1 CONVIVENZA MORE UXORIO E RISARCIMENTO DEL

CONVIVENZA MORE UXORIO E RISARCIMENTO DEL DANNO
Nonostante la famiglia di fatto, altrimenti detta convivenza more uxorio, sia importante fenomeno di
costume e sociale, l’ordinamento giuridico italiano riconosce effettiva e completa tutela solo alla
famiglia fondata sul matrimonio contratto secondo le leggi civili. Ecco gli ambiti ed i confini di
operatività della famiglia di fatto nell’attuale scenario giuridico italiano. Innanzitutto per convivenza
more uxorio si intende solo l’unione tra due persone caratterizzata da affectio coniugalis e stabilità del
vincolo. Fondamento è l’art. 2 Cost., ossia la tutela offerta dall’ordinamento a tutte le formazioni
sociali ove è in grado di realizzarsi la personalità degli individui. La regolamentazione della famiglia
di fatto è un problema prima ancora che giuridico, di politica del diritto e politico di bilanciamento tra
il rispetto della libera autonomia dei privati e l’intervento delle pubbliche istituzioni. Quanto ai profili
disciplinatori, la Giurisprudenza ha elaborato due macro categorie di responsabilità dei conviventi:
“endo” ed “eso”. La responsabilità “endo” deriva dalla condotta illecita posta in essere da un
convivente nei confronti dell’altro lesiva di diritti di quest’ultimo, che possa generare un danno e
dunque un eventuale diritto al risarcimento. Il danno, in tale caso, si inserisce nel circuito interno della
coppia. La responsabilità “eso” è posta in essere dal comportamento illecito di un terzo, che prescinda
e non consideri la posizione di “convivente” di uno dei soggetti, pregiudicando la relazione di coppia.
Il danno, in tale caso, proviene dall’esterno della coppia. L’assenza di qualsiasi regolamentazione
legislativa (rectius vincolatività) di un rapporto more uxorio porta ad escludere che, innanzitutto,
qualora uno dei conviventi decidesse di porre fine alla relazione, sia tenuto a risarcire un danno
all’altro, anche nel caso di rottura ingiustificata. Relativamente alla responsabilità “eso”, ci si è chiesti
se sia risarcibile il danno da perdita per morte (cagionata dal terzo) del convivente di fatto more
uxorio. Per lungo tempo i giudici di legittimità hanno negato il risarcimento del danno per l’uccisione
colposa ovvero dolosa del convivente more uxorio. Tale posizione investiva sia il danno patrimoniale
che il danno morale. La Corte di Cassazione argomentava inoltre, quanto al danno patrimoniale, che
l’assistenza economica non era frutto di un dovere giuridicamente vincolante, ma da una liberalità o
obbligazione morale e che il danno provocato dall’uccisione avrebbe dovuto ledere invece un diritto
soggettivo. Situazione che in un rapporto more uxorio non era riscontrabile, se non in via contrattuale.
Dunque il danno patrimoniale non sarebbe disceso in modo automatico dalla morte del convivente:
l’attore doveva fornire la prova del carattere stabile del contributo personale che il partner apportava.
La giurisprudenza a partire dalla metà degli anni ’90 muta orientamento: in caso di morte del
convivente per fatto illecito altrui non è riconosciuto solo il diritto al risarcimento del danno morale,
ma anche di quello patrimoniale quando risulti provata la stabilità della relazione e la mutua assistenza
morale e materiale. I giudici di legittimità hanno affermato inoltre che, sussistendo un rapporto diretto
fra danno e fatto lesivo, tutti coloro che hanno subito un danno siano essi legati al soggetto leso da
legame di natura familiare o parafamiliare hanno diritto al risarcimento: il convivente more uxorio
patisce la sua sofferenza per la perdita del partner in termini analoghi a quanto accade nella famiglia
legittima. La giurisprudenza tuttavia non si è attestata su posizioni univoche. Particolare interesse desta
la sentenza della Corte di Cassazione (n.15481 del 20 giugno 2013) in cui si richiama il dovere del
giudice di merito nel verificare se il diritto da cui scaturisce il risarcimento del danno rientra o meno
nella categoria dei diritti fondamentali della persona, a prescindere dal tipo di unione al cui interno
detta lesione si sarebbe verificata. Ancora una volta la Corte fornisce una lettura costituzionalmente
orientata dell’art. 2059 c.c., da considerare come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria
della persona, da ricondurre al sistema bipolare danno patrimoniale e non patrimoniale (quest’ultimo
comprensivo del danno biologico, del danno morale e di pregiudizi diversi e ulteriori). Nell’ambito
delle relazioni familiari, la sentenza in esame si accosta alla decisione di legittimità (Cass. 10 maggio
2005) che ha ampliato le frontiere della responsabilità civile nelle relazioni familiari, sancendo il
principio della tutela risarcitoria all’interno dell’istituto familiare come persone in adesione all’art. 2
Cost., nel garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali dove si
svolge la sua personalità. Si afferma che la contribuzione prestata da uno solo dei conviventi a
vantaggio dell’altro determina in capo all’accipiens un arricchimento ingiustificato allorquando
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quest’ultimo sia inadempiente all’obbligazione naturale sullo stesso gravante. In tale ipotesi sarà
garantito il diritto della parte adempiente di ottenere una somma corrispondente all’eccedenza delle
prestazioni eseguite riportando i partner in una posizione di sostanziale parità. Per quanto riguarda
invece i contributi forniti per l’acquisto di beni, la tesi maggioritaria esclude l’applicazione analogica
della comunione legale dei beni. La ratio alberga nella difficoltà di appurare l’esatto inizio e
cessazione del rapporto more uxorio. Quest’ultimo aspetto è un’evidente conseguenza
dell’impossibilità di dare alla comunione legale tra conviventi un rilievo verso l’esterno, dal momento
che essa a differenza del matrimonio, non si fonda su un fatto certo e verificabile dai terzi. Va però
ribadito che rimane aperta la via della stipula di un contratto di convivenza che consenta ai partner
dell’unione libera di produrre, nei soli rapporti interni, effetti lato sensu assimilabili a quelli propri del
regime descritto dall’art. 177 ss. del c.c. . Ai conviventi saranno quindi applicabili i rimedi ordinari di
diritto comune per il caso di esercizio congiunto di una attività economica, con il conseguente
riconoscimento di una società di fatto, qualora ne sussistano i presupposti.
Il contratto di convivenza può contenere accordi di contenuto patrimoniale che i soggetti possono
stipulare al fine di maggior chiarezza nei rapporti economici che intercorrono nella relazione.
L’interesse dei conviventi nella stipula contrattuale scritta di un accordo, riposa nella garanzia
dell’adempimento dei doveri morali e sociali. E’ evidente che deve trattarsi di contenuto patrimoniale
perché la liceità degli accordi personali trova un limite nel divieto di coercizione alla sfera di libertà
del soggetto. Difficilmente ammissibile potrebbe essere l’accordo volto a riprodurre nel more uxorio
un regime di “comunione ordinaria” ex 1100 ss. c.c., la quale nasce dalla legge o dal “titolo”;
quest’ultimo deve essere relativo al momento dell’acquisto e non a quello della convenzione con la
quale i conviventi stabiliscano la caduta in comunione di ogni futuro acquisto.
Un ostacolo alla configurabilità di un contratto di convivenza deriva dalla pacifica riconduzione dei
doveri di reciproca assistenza e contribuzione tra conviventi more uxorio allo schema delle
obbligazioni naturali. Tali obbligazioni, sin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, configurano
l’obbligo morale e sociale in un dovere di solidarietà che impegna entrambi i partner ad una reciproca
assistenza, nonché all’effettuazione di contribuzioni ora in denaro, ora in natura, proporzionate alle
proprie possibilità e capacità di lavoro. Per quanto riguarda il dovere di fedeltà, coabitazione e
assistenza morale, per i quali risulta esplicitata la dipendenza dall’affectio, si deve rilevare come non
possa esserne imposta l’osservanza, dovendo essere rimessi alla coscienza interna ed alla volontà degli
interessati, in attesa di un intervento normativo.
Anche nelle convivenze omosessuali siamo in presenza di una situazione affettiva stabile, che si
esplica nella reciproca assistenza morale e materiale, finalizzata alla realizzazione di un programma di
vita comune dei conviventi. In tale direzione è il Tribunale di Milano che, conformemente alle Sezioni
Unite (11 novembre 2008 “sentenze gemelle”) in ordine al danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.)
afferma che esso deriva dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza
economica. In caso di reato è dunque risarcibile non solo il danno non patrimoniale del convivente
same-sex conseguente alla lesione dei diritti inviolabili secondo la Costituzione, ma anche quello
derivante dalla lesione di interessi inerenti la persona meritevoli di tutela secondo l’ordinamento
giuridico. Solo recentemente la dottrina italiana si è interessata al problema della rilevanza giuridica
delle unioni omosessuali e la giurisprudenza si è resa conto della necessità di un intervento. Le poche
pronunce che hanno attribuito rilievo alle unioni same-sex, lo hanno fatto parificando queste ultime a
quelle more uxorio eterosessuali e rintracciando la soluzione nel diritto comune. La Cassazione si è
occupata della questione concernente la trascrivibilità nel registro dello stato civile di un matrimonio
contratto all’estero, negando di fatto di far valere la trascrizione del matrimonio omosex (Cass. Sez. I,
15 marzo 2012 n. 4184). Tuttavia l’atto oggetto della richiesta di trascrizione non avrebbe potuto
essere considerato alla stregua di un atto di matrimonio, in quanto, difetta di uno dei requisiti integranti
la stessa esistenza del matrimonio, ossia la diversità di sesso dei nubendi. La Corte d’Appello Roma ha
sottolineato la natura non vincolante delle risoluzioni del Parlamento europeo relative al diritto degli
omosessuali alle unioni tra gli stessi. La novità è, con riferimento all’art. 2 Cost., che la Corte
Costituzionale ha ricondotto a “formazione sociale” l’unione omosessuale intesa “come stabile
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convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente
una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.
Oggi, in Italia, le coppie same-sex non risultano beneficiarie di alcun riconoscimento legislativo a
differenza di altri paesi europei ed emerge la consapevolezza dell’esistenza di un limite invalicabile: la
riserva assoluta di legislazione nazionale (Corte EDU 2010 n° 30141/02 Schalk e Kopf vs Austria).
Entro tali limiti le coppie same-sex hanno dunque e tuttavia diritto ad un trattamento omogeneo a
quello che la legge italiana (e la giurisprudenza, come evoluta sino ad oggi) accorda alla coppia di
fatto eterosessuale.
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