Domande d’esame 57. Che cos’è l’unità di voto parlamentare? L’unità di voto parlamentare è l’unità elementare minima del bilancio su cui può esprimere voto il Parlamento. In passato tale ruolo era ricoperto dalle unità previsionali di base (UPB) che, introdotte nel 1997 dalla L. 94/97 (cosiddetta Legge Ciampi), facevano riferimento ad aree omogenee di attività (centri di responsabilità amministrativa). Corrispondevano ai budget affidati, all’inizio di ogni anno con decreto del ministero competente a ciascun dirigente e destinato allo svolgimento dei compiti ad esso assegnati. La riforma apportata dalla L. 196/09, tuttavia, ha innanzitutto formalizzato il cambiamento da una rappresentazione del bilancio basata sull’organizzazione delle amministrazioni (chi gestisce le risorse) ad una basata sulle funzioni (cosa viene realizzato con le risorse disponibili); inoltre, ha spostato l’unità di voto parlamentare ad un livello di aggregazione superiore: per le entrate il Parlamento si esprime in riferimento ai capitoli, per le spese in riferimento ai programmi (i macroaggregati diventano una loro ripartizione interna). In questo modo il Parlamento può esprimersi sugli usi alternativi della spesa, senza tuttavia entrare eccessivamente nei dettagli di utilizzo (comporterebbe tempi di approvazione più ampi e maggior rigidità del bilancio). Non si occupa, perciò, della definizione dei centri di responsabilità; questo compito è assegnato alle singole amministrazioni, cui è garantita libertà di assegnazione delle risorse all’interno dei singoli programmi e la possibilità di ripensare la propria organizzazione (rivedendo gradualmente strutture, responsabilità e sistemi di incentivi). Art. 21, comma 2, L. 196/2009 (Bilancio di previsione) “Il disegno di legge del bilancio di previsione espone per l'entrata e, per ciascun Ministero, per la spesa le unità di voto parlamentare determinate con riferimento rispettivamente alla tipologia di entrata e ad aree omogenee di attività. Per la spesa, le unità di voto sono costituite dai programmi quali aggregati diretti al perseguimento degli obiettivi definiti nell'ambito delle missioni. Le missioni rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa. La realizzazione di ciascun programma è affidata ad un unico centro di responsabilità amministrativa, corrispondente all'unità organizzativa di primo livello dei Ministeri, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. I programmi sono univocamente raccordati alla nomenclatura COFOG (Classification of the functions of government) di secondo livello. Nei casi in cui ciò non accada perché il programma corrisponde in parte a due o più funzioni COFOG di secondo livello, deve essere indicata la relativa percentuale di attribuzione da calcolare sulla base dell'ammontare presunto dei capitoli di diversa finalizzazione ricompresi nel programma”. 58. Chi è John Maynard Keynes? John Maynard Keynes nasce a Cambridge (Inghilterra) il 5 giugno 1883, da un famiglia con profondi legami con il mondo accademico: il padre è un professore universitario di logica ed economia politica, la madre è un autrice di successo, pioniera nelle riforme sociali. Diventerà noto come uno tra i più importanti economisti del XX secolo, le sue idee influenzeranno profondamente anche il mondo politico e sociologico. Si laurea al King’s College di Cambridge nel 1905 (dedicandosi prima agli studi matematici ed interessandosi solo successivamente all’economia). Dal 1906 al 1908 lavora nell’amministrazione civile al ministero dell’India, successivamente diviene lettore in economia continuando, tuttavia, ad avere incarichi professionali di altro genere (ad esempio investitore finanziario e direttore dell’Economic Journal). “Le conseguenze economiche della pace” Dal 1915 al 1918 ricopre il ruolo di consulente presso il ministero del Tesoro, rappresentandolo ufficialmente durante la conferenza di pace di Parigi del 1919. In questa occasione si trova in disaccordo con l’impostazione generale data alla discussione. Nella sua opinione, che descrive nell’opera The economic consequences of the peace, la conferenza avrebbe dovuto porre le basi per un rilancio dell’economia (annullamento debiti di guerra e avviamento programma di credito da parte degli USA), invece si occupò principalmente di confini e sicurezza nazionale. Sottolineò, inoltre, come l’impostazione punitiva degli Alleati nei confronti della Germania avrebbe prodotto solo disastri: le riparazioni di guerra imposte al Paese comportavano un onere che andava ben oltre le sue possibilità economiche. “se mireremo deliberatamente a impoverire l’Europa centrale, la vendetta – oso predire – non si farà attendere. Niente potrà allora ritardare a lungo quella finale guerra civile fra le forze della reazione e le convulsioni disperate della rivoluzione, rispetto alla quale gli orrori della passata guerra tedesca svaniranno nel nulla.” La previsione di Keynes viene confermata durante la repubblica di Weimar: vengono ripagate solo una piccola parte delle riparazioni e, nel tentativo di rispettare gli impegni sottoscritti ,viene sviluppata una discreta potenza industriale (che avrà ruolo importante durante in secondo conflitto mondiale), ma si incorre anche in un iperinflazione (1923). Questa, pesando duramente sull'economia tedesca, causerà il forte scontento che preparerà la strada all'avvento del nazismo. “General theory of employment, interest and money” A partire dal 1925, la sua attenzione si concentra sulla crescente disoccupazione che aveva cominciato a colpire il quel periodo la Gran Bretagna. Nello scritto The end of the laissez-faire (1926) esprime preoccupazione riguardo tale fenomeno ed il suo appoggio, in qualità di consulente governativo, al programma di lavori pubblici avviati dal Liberal party come deterrente. Ancora una volta le sue previsioni risultano vicine ai reali accadimenti: la crisi del 1929 produce una disoccupazione di massa, rispetto a cui le teorie economiche tradizionali non sono in grado di fornire spiegazioni ed indicazioni convincenti. Insoddisfatto da questa incapacità, Keynes è spinto ad elaborare una tesi rivoluzionaria, che sarà la ragione principale del suo successo. Tale tesi viene formalizzata nel General theory of employment, interest and money (1936), a tutt’oggi parte fondamentale della moderna macroeconomia (dando vita alla cosiddetta “rivoluzione keynesiana”). Keynes nega la validità della teoria secondo cui l’offerta crea sempre la propria domanda e mette in discussione la naturale tendenza del sistema concorrenziale alla piena occupazione dei fattori produttivi, in cui l’economia classica aveva sempre creduto (a sostegno di ciò, dimostra come sia possibile mantenere una posizione di equilibrio accompagnata da un elevato inutilizzo dei fattori produttivi). Sottolinea, contestualmente, l’importanza che può avere la domanda effettiva come stimolo per la ripresa dell’attività e dell’investimento. Da questa convinzione ricava la necessità che lo Stato intervenga con la spesa pubblica, anche affrontando un deficit di bilancio, per creare reddito e conseguentemente domanda di beni quando la domanda generata autonomamente dal mercato non fosse sufficiente a occupare tutti i fattori di produzione disponibili. A livello più tecnico, nel testo Keynes suppone che in economica moderna la domanda aggregata (in un sistema chiuso agli scambi con l’esterno è pari alla somma tra consumo e investimento, pubblico e privato) è determinata da una serie di fattori: Propensione marginale al consumo: percentuale di un aumento di reddito che i cittadini scelgono di spendere per l’acquisto di beni e servizi Investimento in beni capitali: influenzato dal tasso d’interesse ( che ne determina il costo e dipende a sua volta dalla preferenza per la liquidità) e dal tasso di rendimento atteso (cui sono legati i risultati del confronto con l’efficienza marginale del capitale) La sua teoria si basa su tre concetti fondamentali riguardanti tali fattori: 1. La parte del reddito consumata cresce meno che proporzionalmente al crescere del reddito, al contrario di quel che si verifica invece per la parte del reddito risparmiata 2. Gli investimenti variano in funzione diretta del tasso di rendimento previsto, più che in funzione inversa del tasso di interesse 3. La preferenza per la liquidità analizza i motivi che influenzano la percentuale del reddito che resta liquida nelle mani del pubblico e delle banche e mette in luce come il saggio dell'interesse, oltre che dall'offerta e dalla domanda di risparmio, sia determinato anche dall'offerta e dalla domanda di moneta In un'economia caratterizzata da domanda aggregata debole (come nel caso della Grande depressione) e che abbia difficoltà ad ottenere la crescita del reddito nazionale, il governo, o più in generale il settore pubblico, ha la possibilità di incrementarla tramite la spesa pubblica per l'acquisto di beni e servizi (fattore esogeno e finalizzato all'aumento di occupazione). Queste argomentazioni troveranno conferma nei risultati della politica del “New Deal” (piano di riforme economico-sociali) varata negli USA in quegli anni dal presidente Roosvelt. 59. Che cos’è la golden rule? La golden rule prevede che venga esclusa dal calcolo del disavanzo primario (quindi dal calcolo del rapporto deficit/Pil) la spesa sostenuta dal Paese per gli investimenti pubblici produttivi (in grado di creare sviluppo e occupazione). L’introduzione della golden rule nei regolamenti europei viene proposta per la prima volta da Mario Monti nel 1996 (che ricopriva la carica di commissario UE al mercato interno), durante i lavori della conferenza intergovernativa che avrebbe messo punto il testo del Trattato di Amsterdam. In seguito proposte analoghe sono state presentate dallo stesso Monti (questa volta come Primo ministro del governo italiano), da Enrico Letta e, in ultimo, dall’attuale Primo ministro Matteo Renzi. Le motivazioni alla base di queste iniziative recenti sono, però, legate alla concreta possibilità che una misura di questo genere possa essere di aiuto alla crescita e all’occupazione, piuttosto che ad opinioni generali di politica economica. La Comunità europea, tuttavia, ha sempre opposto resistenza all’introduzione della golden rule, soprattutto in relazione alle difficoltà legate alla sua applicazione pratica. Come si definisce la “spesa per investimenti”? Una definizione chiara richiede un lavoro tecnico molto complesso (che deve anche tener conto del fatto che ogni Paese attribuisce un diverso valore a ciascun settore), ed in ogni caso lascia sempre spazio di azione a comportamenti di tipo opportunistico. Sfruttando tali difficoltà, infatti, alcuni Paesi potrebbero includere artificiosamente alcune voci di spesa in quelle destinate agli investimenti, allo scopo di abbassare il rapporto deficit/Pil. Ciò gli consentirebbe di non incorrere nelle penalizzazioni che il superare il limite del 3% comporta, senza tuttavia avere una reale stabilità finanziaria. Le spese funzionali all’attivazione dell’investimento, fanno parte o no dell’investimento? Ad esempio, l’acquisto di macchinari innovativi per un laboratorio, spesso richiede anche la spesa per l’assunzione di personale che abbia le competenze per il loro utilizzo: tale spesa deve essere considerata parte dell’investimento? Martina Gregori