L`antropologia è fuori dall`accademia

Lantropologia è fuori dallaccademia
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Pubblico la lettera di denuncia sulla condizione degli antropologi, e degli studi
sullantropologia, nelluniversità italiana che piu di 100 precari e giovani strutturati mdea
hanno scritto alle associazioni aisea e allanuac e presentato alla loro assemblea congiunta
il 25 a Roma. Uno sguardo alla condizione, e al lavoro, degli antropologi nelluniversità italiana, che vale
per tutti coloro che sono impegnati nella ricerca dei settori umanistici.
La crisi finanziaria del 2008 ha aperto in Europa una fase di profonda trasformazione economica,
sociale e politica, tale da scuotere le certezze del passato e da porre con forza il problema della
valorizzazione del patrimonio di conoscenze. Dinanzi all’attuale orizzonte storico e sociale di crisi, il
fatto che l’antropologia socio-culturale non abbia quasi nessuna rilevanza al di fuori delle università, il
fatto che abbia perso le battaglie intraprese negli ultimi anni, ci impone di rivedere criticamente
traiettorie e strategie. Lo sguardo critico è il punto di forza dellantropologia, anche se allo stato dei
fatti sembra essere stato rimosso dalle nostre ragioni pratiche.
In questa sede e con questa lettera aperta vi stiamo chiedendo in modo chiaro di riflettere seriamente
sulle responsabilità che hanno portato allo status quo, ma anche di guardare oltre per cercare nuove
sinergie e rafforzare l’efficacia delle nostre “azioni pubbliche” all’interno e all’esterno dell’accademia.
Con questo obiettivo ci rivolgiamo ad Aisea e Anuac, nella speranza di trovare un fertile dialogo.
Nello specifico vorremmo riflettere su due questioni che riteniamo urgenti e di grande attualità:
1. la prima riguarda il contributo potenziale che i nostri saperi possono fornire fuori dalle istituzioni
universitarie;
2. la seconda questione riguarda quanto dovrebbe essere cambiato allinterno delle stesse istituzioni
universitarie e specificatamente allinterno di quel piccolo recinto che riunisce l’antropologia
accademica.
Su entrambe le questioni riteniamo che la Carta Europea dei Ricercatori (
http://ec.europa.eu/eracareers/pdf/eur_21620_en-it.pdf) costituisca un utile quadro di riferimento.
L’antropologia fuori dall’accademia
In molti paesi l’antropologia ha acquisito un pieno riconoscimento disciplinare non solo in ambito
accademico ma anche nella sfera pubblica.
La realtà italiana si distingue: la comunità antropologica sembra essersi ripiegata nella dimensione
universitaria allontanandosi dalla scena pubblica. Il mancato riconoscimento del nostro sapere
disciplinare determina una grave situazione di marginalizzazione lavorativa. Di fronte al rischio
concreto della scomparsa della disciplina dentro e fuori le mura accademiche, siamo preoccupati per la
debolezza della nostra “autorità pubblica”, per la mancanza di riconoscimento istituzionale in contesti
che pur dovrebbero far riferimento a saperi e competenze antropologiche, quali:
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il CNR Italia, che, dopo aver recentemente ridefinito e accorpato due dei suoi dipartimenti
denominati Identità culturale e Patrimonio, ha fatto nascere il dipartimento Scienze Umane e Sociali. Il
neonato dipartimento organizza e dispone ricerche sulle migrazioni in Italia e nel bacino
Euro-Mediterraneo, sulla cooperazione transfrontaliera, sulle politiche sociali e di welfare, ma non ha al
suo interno, e non la elenca sulla sua vetrina-sito, alcuna competenza antropologica. Neanche nel
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consiglio scientifico del dipartimento si annoverano professionalità antropologiche. Questa grave
mancanza è evidentemente anche una perdita di opportunità di ricerca oltre che di finanziamenti.
i concorsi banditi da enti locali e regionali su temi di competenza delle discipline
demo-etno-antropologiche, quali migrazione, cooperazione internazionale, pari opportunità, politiche
di cura e salute, non prevedono laccesso a classi di laurea, né tantomeno a dottorati in antropologia. Il
profilo antropologico non è previsto dentro le istituzioni preposte, né dentro i servizi prestati. Ancor
meno è pensabile in Italia ricorrere alla consulenza antropologica (se non in minima parte), o per
alcuni più facilmente definibile interculturale, nell’ambito dei servizi socio-sanitari, educativi, o nelle
forme di tutela giuridica delle persone.
la Classe di Concorso per l’insegnamento delle scienze sociali nei Licei delle Scienze Umane.
Siamo consapevoli che la questione è aperta da molto tempo, riteniamo sia un punto importante sotto
vari aspetti, non solo lavorativi. Che la laurea in antropologia non dia diritto a insegnare la propria
materia nei Licei è l’ennesima beffa che, se da un lato contribuisce a ridurre ulteriormente i
praticamente inesistenti sbocchi lavorativi, dall’altro rappresenta un impoverimento per il mondo
scolastico e per gli studenti in primis.
Il patrimonio culturale e le sue politiche sulle figure esperte in materia: le sovrintendenze e i
musei non richiedono figure esperte in materia e a occuparsi dei beni DEA è spesso personale con
tutt’altra formazione. Di recente, grazie a Simbdea, al lavoro svolto da alcuni
antropologi-funzionari-museografi e alla nascita di Scuole di Specializzazione in materia di patrimonio
demo-etno-antropologico, alcuni cambiamenti di approccio da parte delle istituzioni possono essere
evidenziati (il riconoscimento della figura del profilo professionale di demoetnoantropologo nel Mibac a
cui però ancora non è seguito alcun concorso).
Lantropologia nell’accademia
La Carta Europea dei Ricercatori, all’articolo 9 del preambolo, ribadisce esplicitamente che
indipendentemente dalla loro situazione contrattuale i ricercatori e i professori precari debbano essere
trattati come professionisti, quindi considerati parte integrante delle istituzioni in cui lavorano. In questo
senso la distinzione dominante nella cultura accademica italiana tra ‘strutturati’ e ‘non strutturati’ deve
essere colmata (lidentità di alcuni non dovrebbe definirsi con una negazione). Non è più possibile
accettare le condizioni di subalternità dei “non strutturati” (ne è un esempio il ricorso incontrollato alle
docenze a contratto) che si riproducono attraverso pratiche consuete quali il lavoro gratuito o
sottopagato, come non è più possibile accettare criteri di valutazione spuri, criteri che hanno adattato il
nuovo a consuetudini vecchie, criteri flessibili quasi ad personam come quelli che ancora si attuano nelle
pratiche concorsuali.
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Chiediamo all’Aisea e all’Anuac, insieme ad altre “Associazioni scientifiche nazionali”, di prendere
iniziative per proporre una revisione della normativa nazionale affinché tanto il piano
concorsuale quanto quello contrattuale siano il più possibile coerenti con le indicazioni della Carta
Europea dei Ricercatori (la pubblicazione sui siti web dei verbali dei concorsi è una buona pratica
necessaria da cui partire).
Chiediamo che entrambe si assumano la responsabilità di un processo di rinnovamento e
cambiamento delle pratiche consuetudinarie consolidate interne all’ambito disciplinare, siano esse
familistiche, clientelari e baronali. Pratiche che, sotto le mentite spoglie dellappartenenza di scuola,
hanno spesso e volentieri deresponsabilizzato le commissioni.
Pur consapevoli della normativa vigente, chiediamo che AISEA e ANUAC mettano mano in quell’area di
discrezionalità lasciata libera dalla normativa in vigore, e che prenda avvio un progetto di
autoregolamentazione interna (che sia condiviso da tutte le parti interessate, che non si adatti ai
curricula, piuttosto che sia in grado di tracciare percorsi fornendo una linea guida ai futuri antropologi
e contemporaneamente un esempio per altre aree).
Chiediamo l’apertura di uno spazio di discussione continuativo tra le associazioni e i
ricercatori/docenti precari Mdea.
Facciamo un appello alla responsabilità da parte delle commissioni concorsuali, sia nei concorsi
RTD sia nell’ambito dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, in particolare affinché nell’ambito della ASN
non vi sia nessun tipo di discriminazione, in primis quella tra strutturati e non strutturati.
Riteniamo che, oltre a queste, molte siano le questioni aperte che dovrebbero essere discusse intorno a
un tavolo, al quale devono sedersi tutti i rappresentanti di questa disciplina.
FIRME:
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Roberta Altin
FULVIA ANTONELLI
AREAS Associazione di ricerche etnoantropologiche e sociali
Matteo Aria
Francesco Bachis
ELENA BACHIDDU
KATIA BALLACCHINO
Beatrice Balzarotti
MARCO BASSI
carlotta bellomi
MARA BENADUSI
Francesco Bogani
SARA BONFANTI
CHIARA BRAMBILLA
Francesco Bravin
Ilaria Buscaglia
Francesca Cacciatore
EMANUELA CANGHIARI
Vincenzo Cannada Bartoli
Gloria Carlini
GIULIA CASENTINI
Viola Castellano
ARIANNA CECCONI
Andrea Ceriana
SEBASTIANO CESCHI
Tiziana Cicero
Caterina Cingolani
PIETRO CINGOLANI
ANNA CINNAMEO
Gaia Cottino
CREA Centro Ricerche Etno-Antropologiche
alessandro damato
ulderico daniele
Moreno De Toni
STEFANO degli Uberti
Gaia Delpino
Marilia di Giovanni
CATERINA DIPASQUALE
ANTONIO FANELLI
Francesco Fanoli
FRANCESCA FERRUCCI
FABIO FICHERA
ZELDA FRANCESCHI
Elisabetta Frasca
elisa galli
MARTINA GIUFFRE’
Elena Giusti
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JAVIER GONZALEZ DIEZ
PIERO GORZA
ALESSANDRA GUIGONI
ALESSANDRO GUSMAN
Alessandro Jedlowski
LUCA JOURDAN
Chiara lainati
CRISTIANO LANZANO
erika lazzarino
SILVIA LELLI
FILIPPO LENZI GRILLINI
Costanza Lanzara
Manuela Loi
VALENTINA LUSINI
Alessandro Lutri
Maria Cristina Manca
Fabio Malfatti
Gaetano Mangiameli
simone mestroni
SELENIA MARABELLO
Annalisa Maitilasso
PIETRO MELONI
CECILIA NOCCIOLI
Cristina Notarangelo
Natascia Palmieri
Desirée PANGERC
UMBERTO PELLECCHIA
fabio pettirino
CHIARA PILOTTO
Eliana Pili
Alessandro Pisano
Francesca Pistone
Andrea Priori
Alexia Proietti
Antonio Maria Pusceddu
Roberta Raffaetá
MARTINA RICCIO
Angelo Romano
SARA RONCAGLIA
Federico Salsi
Valentina Santocono
Federico Scarpelli
Gregorio Serafino
Ivan Severi
Claudia Guendalina Sias
SARA TAGLIACOZZO
CRISTIANO TALLÈ
BRUNELLA TORTORETO
VALERIA TRUPIANO
ALEX VAILATI
CRISTINA VARGAS
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ALESSANDRA VENTUROLI
SOFIA VENTUROLI
PIETRO VERENI
FRANCESCO VIETTI
ALESSIA VILLANUCCI
GIULIA ZANINI
FRANCESCO ZANOTELLI
VALENTINA ZINGARI
© 2017 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE