Price-cap e concessioni portuali: il caso dei terminal contenitori di

Società Italiana degli Economisti dei Trasporti - IX Riunione Scientifica – Napoli 2007
Price-cap e concessioni portuali: il caso dei terminal
contenitori di Genova
Claudio Ferrari1∗, Manuela Basta1
1
Università di Genova, Dipartimento di Economia Applicata e Metodi Quantitativi
Abstract
L’attuale realtà portuale italiana sconta una perdita di competitività nei confronti dei porti concorrenti
localizzati nel nord Europa, ma negli ultimi anni è andato via via aumentando anche il gap esistente tra i
principali porti nazionali e quelli del bacino del Mediterraneo, segnatamente spagnoli. In questo contesto
si inquadra questo lavoro. Le autorità portuali in Italia presentano una sempre più forte esigenza di
definire canoni efficienti, certi e incentivanti, col duplice obiettivo di rispondere, da un lato, alla necessità
di stimolare lo sviluppo dei traffici del porto e, dall’altro, di aumentare la concorrenza tra operatori per
l’accesso all’infrastruttura in un’ottica di concorrenza per il mercato.
La regolamentazione delle concessioni di aree e banchine a soggetti privati, destinati poi a diventare
operatori terminalisti, è ferma alla legge portuale del 1994. La proposta avanzata nell’articolo è quella di
combinare l’istituzione di gare pubbliche per l’assegnazione delle aree demaniali, all’applicazione di
incrementi annuali del canone di concessione che siano funzione dell’efficienza di ciascun terminal, sulla
base del criterio di regolamentazione del price cap a ridefinizione quadriennale, secondo la formula CPIX. La principale difficoltà che l’autorità portuale si trova ad affrontare è la stima dell’efficienza del
terminalista (il parametro X): allo scadere del termine di validità dei parametri, la variazione di
(in)efficienza relativa di un terminal, rispetto a un campione di unità omogenee, può essere quantificata
attraverso l’adozione di un modello DEA output orientated a rendimenti di scala variabili.
Il lavoro riporta alcuni tra i principali risultati dell’applicazione del nuovo canone di concessione nella
realtà dei principali terminal contenitori del porto di Genova.
Keywords: concessioni, price-cap, DEA
1. Introduzione
Le ragioni che hanno condotto a questo lavoro nascono principalmente dall’attuale
necessità delle autorità portuali italiane di fissare canoni efficienti, certi e incentivanti.
Sottostanti a tali necessità coesistono due obiettivi: da un lato rispondere all’esigenza
delle autorità di stimolare lo sviluppo dei traffici del porto, dall’altro aumentare la
concorrenza tra operatori per l’accesso all’infrastruttura in un’ottica di concorrenza per
il mercato. Gli orientamenti del legislatore, sia a livello europeo che nazionale,
∗
Claudio Ferrari: [email protected]
Manuela Basta: [email protected]
1
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confermano che il perseguimento di tali obiettivi è del tutto legittimo, anzi addirittura
auspicabile.
Per quel che riguarda più propriamente l’ambito portuale, a livello nazionale la legge
84/1994 ha dato il via al lungo, e non certo concluso, processo di riorganizzazione del
settore, istituendo un’autorità portuale per i principali porti nazionali. Tra i vari compiti
che si annoverano in capo all’autorità, si riscontra anche quello di gestire
l’infrastruttura, che in Italia si configura come bene demaniale, assegnando piazzali e
banchine - attraverso un contratto di concessione e a fronte del pagamento di un canone
- ad un terminalista, soggetto privato che, come tale, risponde a esigenze di
massimizzazione del profitto. L’oggetto principale della nostra analisi si identifica
proprio nel rapporto – e nelle norme che lo regolamentano (o che non lo regolamentano)
– che interviene tra autorità portuale e società terminalista.
Le aree portuali, in qualità di risorse scarse e quindi destinabili a numerosi usi
alternativi, dovrebbero essere impiegate in modo da massimizzarne l’efficienza
economica generando una rendita ben superiore allo zero, soprattutto in un contesto
come quello genovese che sconta una conformazione morfologica decisamente
sfavorevole in termini di dotazione di aree disponibili.
La proposta avanzata in questo paper è quella di combinare l’istituzione di gare
pubbliche, per l’assegnazione delle aree demaniali, all’applicazione di incrementi
annuali del canone di concessione che siano funzione dell’efficienza (espressa in
termini di traffico portuale) di ciascun terminalista, sulla base del criterio di
regolamentazione del price-cap secondo la sua formulazione CPI-X, strumento
attualmente utilizzato in Italia in sede di definizione delle tariffe per alcuni servizi di
trasporto (precisamente, ferroviario e autostradale) e non1. L’adozione di tale metodo
comporterebbe da un lato l’abbandono dell’attuale pratica di esprimere il canone come
funzione del livello di investimenti, dall’altro però obbligherebbe l’autorità portuale a
valutare e misurare l’efficienza del terminalista, non avendo a disposizione informazioni
sulla struttura dei costi dell’impresa stessa (con evidente rischio di cattura del
regolatore). Tale ostacolo può essere superato in modo piuttosto agevole grazie
all’adozione della tecnica DEA (Data Envelopment Analysis).
Una revisione dei canoni di concessione basata sul criterio del price cap
permetterebbe di incentivare i terminalisti a migliorare la loro efficienza e quindi a
incrementare il traffico - obiettivo perfettamente in linea con gli obiettivi dell’autorità
portuale – e di suddividere il rischio commerciale tra il soggetto pubblico e quello
privato.
Il lavoro si compone di cinque paragrafi, dei quali il primo riassume brevemente
l’attuale regolamentazione delle concessioni a livello nazionale. Nel secondo paragrafo
si espone la proposta degli autori relativa ad una nuova formula del contratto di
concessione, prestando particolare attenzione al canone di concessione rivisto secondo il
criterio del price-cap. I successivi due paragrafi sono relativi al caso studio sui terminal
contenitori del porto di Genova (SECH e VTE): in particolare si riportano i principali
risultati ottenuti dall’applicazione del modello DEA in sede di quantificazione del
parametro X.
L'articolo termina con alcuni cenni conclusivi relativi ai vantaggi, e anche ad alcuni
svantaggi, che si possono trarre dall’adozione di un nuovo metodo di tariffazione
1
Per approfondimenti sull’applicazione del criterio di regolamentazione del price-cap in Italia si rimanda
a: Iozzi, 2002 Ragazzi, 2004; Ponti, 2004; Valentini, 2005.
2
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dell’infrastruttura portuale e alle possibili aperture future in termini di ampliamento
dello studio.
2. L'attuale regolamentazione delle concessioni in Italia
All'articolo 18 la legge n. 84 del 1994 prevede tra le entrate delle autorità portuali i
canoni di concessione di aree demaniali e banchine e, nello specifico, al comma 1 si
legge che “le concessioni sono affidate, previa determinazione dei relativi canoni anche
commisurati all’entità dei traffici portuali ivi svolti, sulla base di idonee forme di
pubblicità, stabilite dal Ministero dei trasporti e della navigazione, di concerto con il
Ministro delle finanze, con proprio decreto”.
Il decreto cui si fa riferimento, dopo tredici anni, non è ancora stato emanato ma,
mantenendo comunque salva la necessità di una definizione più approfondita, il
meccanismo concessorio è stato ritenuto immediatamente applicabile dalla
giurisprudenza in quanto la legge 84/1994 contiene in sé “disposizioni sufficientemente
dettagliate e precise”2.
I soli riferimenti a un possibile iter della procedura di concessione risalgono ormai al
1996, anno in cui il Ministero dei Trasporti e della Navigazione emana una circolare3
contenente le linee generali del decreto, ai tempi in via di definizione, finalizzato a
regolare le concessioni portuali. In generale le principali indicazioni del Ministero
possono essere così riassunte:
- istituzione di un sistema di gare per l’assegnazione della concessione demaniale;
- adozione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per la scelta del
vincitore della gara;
- fissazione di un canone annuo pari almeno ad un ventesimo del valore dell’area,
delle strutture e degli impianti non rilevati, dedotta l’entità degli investimenti
strutturali4;
- incremento del canone effettivo, dopo il quarto anno, pari al 5% annuo o alla
maggiore misura relativa all’aumento della media degli indici Istat per i prezzi al
consumo delle famiglie di operai ed impiegati e per i corrispondenti valori per il
mercato all’ingrosso.
Essendo trascorso più di un decennio dalla circolare non si può ragionevolmente
affermare che i principi sopra esposti possano ancora ritenersi indicativi della politica
del governo.
In linea del tutto generale e teorica oggi l’iter del procedimento di concessione degli
spazi portuali dovrebbe avviarsi attraverso la pubblicazione delle domande di
concessione, allo scopo di incentivare la concorrenza tra operatori in grado di proporre
domande per le stesse aree. L’autorità portuale potrebbe migliorare il livello di
pubblicità dando il via ad un sistema di gare atto a selezionare l’operatore più efficiente,
indicando nel bando le caratteristiche principali del contratto. Tale maggiore livello di
pubblicità è pienamente coerente con i principi di libertà di stabilimento (art. 43 Trattato
UE) e di circolazione dei servizi (art. 49) che, secondo la giurisprudenza, impongono
all’autorità portuale l’obbligo di “garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un
2
TAR. Puglia Lecce, 2003
Circolare n. 41 Prot. 5171760 del 06/05/1996 emessa da: Ministero dei trasporti e della
navigazione (1993-2001)
4
Non era ammessa una deduzione superiore al 50% del valore dell’area, delle strutture e degli
impianti non rilevati.
3
3
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adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura del mercato dei servizi alla
concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione” 5 .
Nella realtà però il sistema di concessione sconta una carenza di trasparenza nella
pubblicizzazione dei bandi, spesso strutturati in favore di un predeterminato operatore, e
l’assenza di strumenti che incentivino gli operatori all’efficienza. I canoni infatti sono
normalmente fissati secondo una percentuale del valore patrimoniale delle aree e mai in
funzione dei traffici portuali (come invece auspicato dalla legge 84/94), bensì degli
investimenti a carico dell’operatore6 che vengono detratti dal canone effettivo. L’elevata
durata dei contratti di concessione e la necessità di mantenere, se non incrementare, un
determinato livello di efficienza del porto presuppone controlli periodici da parte
dell’autorità portuale e richieste di aggiornamento dei piani di impresa.
Dall’emanazione della legge portuale sono state ormai assegnate la totalità delle aree
portuali italiane e si sono venuti a creare dei rapporti di concessione, spesso produttivi
di diritti soggettivi dei concessionari, difficilmente modificabili o rimovibili. A maggior
ragione si sente la necessità di una regolamentazione dello strumento della concessione
per gestire in modo più efficiente i casi di espansione dei porti o di sostituzione
dell’operatore.
3. Un nuovo contratto di concessione: concorrenza per il mercato e
regolamentazione tramite price-cap
Gli elementi principali e innovativi della proposta che si avanza in questo articolo
sono sostanzialmente due:
- l’avvio di meccanismi di concorrenza per il mercato, attraverso l’istituzione di
gare da parte dell’autorità portuale al fine di selezionare l’operatore che meglio
risponde alle esigenze di incremento dei traffici del porto nel suo complesso;
- la definizione di un canone che sia funzione nel tempo dell’efficienza del
terminalista, in modo da generare ulteriori stimoli alla crescita del throughput.
Per quel che riguarda il primo punto, i presupposti per la realizzazione di gare
pubbliche per l’assegnazione delle aree demaniali esistono già a livello normativo e non
resta che superare gli ostacoli incontrati nella pratica e legati in particolare alla difesa di
interessi ormai consolidati a favore degli operatori tradizionalmente presenti sul mercato
e all’assenza di trasparenza nelle procedure. Nel sistema attuale si sconta la carenza di
condivisione delle informazioni, sia tra soggetti appartenenti al settore che tra questi
ultimi e l’ambiente esterno. Al fine di attivare efficienti meccanismi di concorrenza per
il mercato, l’autorità portuale dovrebbe pubblicizzare attraverso canali istituzionali gli
eventuali bandi per la concessione di spazi portuali.
Relativamente al canone di concessione, è necessario precisare che, secondo la
normativa italiana, l’autorità portuale, in qualità di soggetto pubblico, non si pone un
obiettivo di massimizzazione del profitto, bensì ha il compito, tra gli altri, di “indirizzo,
programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali e
delle altre attività commerciali ed industriali esercitate nei porti […]” (art. 6, comma 1,
L. 84/94). Sembra chiaro quindi come tra i principali obiettivi dell’autorità sia incluso
anche quello di controllare, ma soprattutto incrementare, il traffico portuale nel suo
5
Carbone, Munari 2006
Si verifica il caso in questione quando il concessionario realizza opere fisse – nuove o
aggiuntive - suscettibili di ulteriori utilità ai fini demaniali marittimi e previo atto di autorizzazione
dell’Autorità Portuale a seguito di valutazione della documentazione presentata.
6
4
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complesso, e ciò potrebbe verificarsi anche attraverso la definizione di un canone di
concessione delle aree legato al throughput anziché agli investimenti.
In via generale De Monie (2005) individua tre modelli di contratto di concessione, a
seconda degli strumenti utilizzati per definire il canone sulla base del throughput:
- a canone costante rispetto al traffico, per cui l’operatore versa una somma
prefissata per l’utilizzo di un’area portuale, normalmente sottoposta
periodicamente ad aggiustamenti per tenere conto dell’inflazione;
- a canone crescente secondo un tasso min-max, secondo il quale viene definito un
range limitato agli estremi da un traffico minimo e massimo e il valore del
canone, a partire da un livello iniziale, è stabilito in base al volume di attività
registrato. Una volta che l’operatore raggiunge il massimo livello di traffico
previsto ha la possibilità di trattenere tutti i vantaggi derivanti dalle
movimentazioni in eccesso;
- a canone crescente, secondo un criterio di spartizione dei profitti: in questo caso
non si considera un valore massimo del canone, che cresce all’aumentare del
traffico e il cui unico limite è rappresentato dalla capacità dell’infrastruttura.
In questa sede si ipotizza la definizione di un contratto tale per cui l’autorità portuale
definisca un incremento del canone che sia funzione della stima della variazione di
efficienza registrata dall’operatore negli anni precedenti rispetto ad un range di terminal
omogenei per caratteristiche e traffico, sulla base della formula del price-cap CPI-X7.
Volendo associare il modello proposto a uno dei tre enunciati da De Monie, si può
affermare che la regolamentazione del canone d’accesso tramite price cap si avvicina ad
una tariffa del tipo min-max.
La struttura di base di questo sistema di regolamentazione prevede che l’incremento
delle tariffe possa variare sino ad un limite massimo rappresentato da CPI - X, dove:
CPI rappresenta l’indice Istat dei prezzi al consumo registrato nel corso di un periodo di
riferimento e X la variazione di efficienza (o di inefficienza) rispetto a un set di
operatori nel medesimo arco temporale. I termini di ridefinizione dei parametri possono
essere ragionevolmente fissati in quattro anni e ovviamente l’autorità portuale avrà
l’onere di stimare il fattore X attraverso una metodologia che, per garantire la
trasparenza delle operazioni di assegnazione delle aree, deve essere esplicitata nel bando
di gara.
L’offerta di ciascun partecipante alla gara sarà relativa al valore del canone iniziale e
si aggiudicherà l’asta l’offerta economicamente più elevata.
Le maggiori difficoltà si riscontrano nella quantificazione del parametro X, poiché,
considerati i rischi che si possono correre a seguito di una sovrastima o sottostima del
cap8, diviene necessario scegliere una tecnica di valutazione dell’efficienza delle
performance portuali che renda un risultato il più realistico possibile.
Si è deciso di stimare il parametro X attraverso l’applicazione della Data
Envelopment Analysis, tecnica che analizza l’efficienza economica di un set di “unità
decisionali” (Decision Making Units - Dmu) appartenenti a un medesimo settore. Sono
ormai molto numerose le applicazioni della DEA nel campo dei trasporti e si osservano
7
Per approfondimenti sulle origini e sulla natura del price-cap si vedano Littlechild, 1984 e
Armstrong et al, 1994.
8
Nel caso in cui venisse fissato un cap troppo basso l’impresa godrebbe di extra profitti, se
viceversa si verifica una sopravalutazione si rischia il fallimento dell’impresa terminalista.
5
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studi applicati ad ogni modalità9. Nel caso del settore portuale, questo metodo confronta
l’efficienza relativa, in termini di rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti, dei
diversi porti o terminal presi in esame10 e tale risultato rende dunque una misura
quantitativa dell’(in)efficienza relativa e che può pienamente rappresentare il parametro
X.
Adottando una simile struttura per l’aggiornamento dei canoni, una volta trascorsi i
primi quattro anni dalla concessione si possono verificare due possibili situazioni:
- il terminalista è efficiente, dunque gli scostamenti rispetto alla frontiera di
efficienza sono pari a zero e di conseguenza anche il parametro X è nullo. Nei
quattro anni successivi l’operatore sopporta incrementi del canone al massimo
uguali all’aumento dei prezzi rilevato dall’Istat. Per incentivare ulteriormente il
terminalista all’efficienza, e quindi all’incremento dei traffici, l’autorità portuale
può valutare l’opportunità di riconoscere una sorta di “bonus” all’operatore
efficiente, scontando al fattore CPI una percentuale predeterminata ed indicata
nel bando;
- il terminalista è inefficiente, quindi subisce incrementi del canone pari all’indice
dei prezzi al consumo sottratto alla percentuale di efficienza relativa, che in
questo caso avrà segno negativo. È possibile che si registrino livelli di
inefficienza particolarmente elevati per taluni terminal quindi, per evitare
incrementi dei canoni che potrebbero condurre il terminalista incontro a perdite
tali da mettere in discussione il prosieguo dell’attività, in sede di definizione del
bando è ragionevole pensare di prevedere una soglia massima del parametro X.
4. Case study: il porto di Genova
Il paragrafo è dedicato all’applicazione dello schema di incremento del canone, così
come definito nel paragrafo precedente, al caso specifico dei terminal contenitori
genovesi, VTE e SECH.
Sino al 1996 l’Autorità Portuale di Genova ha adottato un canone di concessione
composto da due parti: l’una fissa, legata al valore delle aree, e l’altra variabile in
funzione dei traffici. A seguito dell’accordo intervenuto nel 1996 tra l’Autorità Portuale
e i terminalisti sono stati modificati i criteri di determinazione del canone di
concessione che attualmente risulta dalla combinazione di due componenti: quella
legata alle aree11 e quella relativa agli investimenti realizzati dal terminalista o dal
concedente in termini di nuove opere infrastrutturali12.
9
Il modello DEA è stato largamente applicato nel settore aereo (fra tutti si ricordano: Adler e
Berechman, 2001; Fernandes e Pacheco, 2002). Per quel che riguarda il trasporto ferroviario si rimanda a
Oum et al (1999), mentre De Boerger et al (2002) hanno studiato le performance del trasporto pubblico.
10
Roll e Hayuth (1993) sono i primi autori che, nella diatriba tra i sostenitori dei metodi
econometrici (quale la Stochastic Frontier Analysis, SFA) e quelli non parametrici (quali la DEA e la
Strategic Portaolio Analysis, SPA), si schierano esplicitamente a favore della DEA ai fini della
valutazione dell’efficienza nel settore portuale, in particolare per quel che riguarda il servizio.
Successivamente sono molti gli studi che ricorrono a modelli DEA, tra tutti si ricordano Marchese et al,
2001; Barros e Athanassiou, 2004; Ferrari e Carrillo, 2006; Rios e Maçada, 2006.
11
Nell’accordo del 1996 è indicato un valore pari a 200.000 lit/mq (103,29 €/mq). A tale valore
sono applicati i seguenti coefficienti correttivi ridefiniti a scadenza biennale: destinazioni merceologiche
prevalenti, stato di conservazione, accessibilità, pescaggi, air draift, presenza di vincoli operativi.
12
A seconda che l’investitore sia il concedente o l’operatore terminalista, la posta degli
investimenti andrà a incrementare o diminuire il canone di concessione del 5% dell’investimento
effettuato. In questo ultimo caso il canone può essere ridotto sino ad un massimo del 50% dell’importo.
6
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L’aggiornamento del canone avviene annualmente sulla base dell’indice ISTAT dei
12 mesi precedenti.
L’obiettivo di questo caso studio è quello di valutare di quanto sarebbero aumentati,
nel 2006, i canoni dei terminal contenitori genovesi in ipotesi di applicazione del
criterio CPI-X.
Il parametro X, che rappresenta la variazione di efficienza relativa, è stato quantificato
attraverso l’applicazione di un modello DEA a rendimenti di scala variabili del tipo
output orientated13.
La decisione di adottare un modello output orientated è dettata dal fatto che l’autorità
portuale si prefigge come fine principale quello di stimolare maggiori traffici, a
prescindere dall’andamento dei costi sostenuti dal terminalista, che restano un aspetto di
competenza di ciascun operatore e su cui l’autorità non è interessata ad indagare. In
sostanza, l’autorità portuale vuole rispondere al quesito “di quanto il traffico portuale
può essere proporzionalmente aumentato mantenendo invariata la quantità di input?”.
Le caratteristiche tipiche dell’infrastruttura, in particolare il fatto che l’infrastruttura
assuma la forma di un mercato di monopolio naturale e la forte presenza di economie di
scala, motivano invece il ricorso ad un modello che tenga in considerazione rendimenti
di scala variabili.
L’analisi copre il periodo che va dal 2003 al 2006 e il modello si compone di un
output (traffico contenitori annuali (Teu)) e tre input (superficie totale (mq), lunghezza
banchina (m), profondità dei fondali (m)), mentre il set di unità decisionali comprende
otto terminal contenitori italiani, (tabella 1), omogenei per tipologie di traffico e
destinazione commerciale
Tabella 1 – campione di terminal analizzati
VTE (Genova)
Savona
SECH (Genova)
SCT (Salerno)
LSCT (La Spezia)
CICT (Cagliari)
TDT (Livorno)
TCR (Ravenna)
Così come per la definizione del modello, anche la scelta degli input è legata alla
necessità di valutare quanto un terminalista può essere efficiente (o, in altri termini,
quanto traffico può produrre) data l’infrastruttura su cui opera grazie all’atto di
concessione. Tale motivazione giustifica la selezione dei soli input controllati
dall’autorità portuale e concessi al terminalista a fronte del pagamento di un canone, in
un’ottica di massima valorizzazione (in termini di efficienza) delle aree demaniali.
5. I risultati dell’analisi
L'efficienza dei diversi terminal è stata valutata con l'ausilio del software Win4Deap
(Coelli et al, 1998), calcolando le riduzioni slack14 con metodologia multi-stage.
Innanzitutto si focalizza l’attenzione sul risultato principale dell’applicazione, cioè la
variazione media di efficienza di ciascun terminal rispetto alle DMUs (unità efficienti).
Come si osserva nella tabella 2, il modello DEA restituisce il valore massimo di output
annuale (traffico potenziale) che ciascun terminal avrebbe potuto produrre, nel periodo
13
Per maggiori approfondimenti sul modello DEA orientato al prodotto in ipotesi di rendimenti di
scala variabile si rimanda a Coelli et al, 1998.
14
Si è in presenza di input slack (eccessi di input) positiva quando l’unità decisionale giace sulla
porzione della frontiera parallela agli assi: in questi casi benché l’unità decisionale risulti a tutti gli effetti
efficiente è possibile ridurre l'utilizzo di almeno un input senza corrispondente riduzione di output.
7
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analizzato, considerata la dotazione iniziale di input. Gli scostamenti dal dato effettivo
possono quindi ragionevolmente considerarsi come misura dell’inefficienza relativa.
La media dei risultati annuali si rende necessaria in funzione della struttura del nuovo
contratto di concessione, che intende mantenere costanti i parametri per quattro anni.
Tabella 2- variazioni di efficienza relativa nell’arco del periodo 2003-2006
Terminal
LSCT
TDT
TCR
CICT
VTE
SECH
SAVONA
SCT
Anno
Traffico effettivo
Traffico potenziale
(In)efficienza
2003
2004
2005
2006
2003
2004
2005
2006
2003
2004
2005
2006
2003
2004
2005
2006
2003
2004
2005
2006
2003
2004
2005
2006
2003
2004
2005
2006
2003
2004
2005
2006
867.948
889.362
873.281
996.292
422.575
447.665
476.407
439.970
148.454
159.315
157.189
150.949
302.783
494.766
631.435
690.392
868.321
891.508
858.708
925.105
363.628
358.622
351.652
353.772
53.543
83.891
219.876
231.489
417.480
411.618
299.851
242.592
867.948
889.362
889.362
996.292
792.895
809.882
791.110
873.368
148.454
159.665
159.315
150.949
868.034
889.852
889.362
996.292
868.321
891.508
889.362
996.292
363.628
358.622
361.652
353.772
53.543
83.891
219.876
231.489
417.480
411.618
299.851
242.592
0,0%
0,0%
-1,8%
0,0%
-46,7%
-44,7%
-39,8%
-49,6%
0,0%
-0,2%
-1,3%
0,0%
-65,1%
-44,4%
-29,0%
-30,7%
0,0%
0,0%
-3,4%
-7,1%
0,0%
0,0%
-2,8%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
(In)efficienza
media
-0,4%
-45,3%
-0,4%
-41,8%
-2,8%
-0,7%
0,0%
0,0%
Gli unici terminal che dall’analisi risultano efficienti sono quelli di Savona e Salerno.
Questo ultimo risultato stupisce poiché il terminal contenitori di Salerno mostra un
costante calo dei traffici nell’arco dei quattro anni analizzati.
La giustificazione di tale risultato si ritrova nel principio della dominanza di un’unità
decisionale su un’altra, di cui il modello DEA si avvale nella valutazione dell’efficienza
relativa. Si ottiene infatti una misura dell’efficienza relativa nel momento in cui
un’unita ha un peers15 di riferimento, cioè risulta “dominata” da un'altra unità
15
I peers di ciascuna unità decisionale rappresentano le Dmu più simili, in termini di processo
produttivo, alle quali rapportarsi.
8
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appartenente al campione che si pone come best practice. Nel caso in cui il modello non
rilevi alcun peers per una determinata unità, allora essa risulta efficiente ma, talvolta,
ciò non corrisponde alla realtà, come nel caso del terminal di Salerno16.
Nella realtà genovese si osserva come entrambi i terminal presentino un certo grado di
inefficienza media: -2,8% per il VTE e – 0,7% per il SECH. I risultati così ottenuti
corrispondono al parametro X delle rispettive funzioni di incremento ipotizzato del
canone per i quattro anni successivi al 2006.
Per quel che riguarda i risultati annuali, è possibile avere una visione d’insieme
osservando la tabella 3. In particolare, la colonna TEcrs indica il grado di efficienza
tecnica nell'ipotesi forte e, nella fattispecie, meno significativa, di rendimenti di scala
costanti, mentre la colonna TEvrs riporta il punteggio di efficienza tecnica sotto l'ipotesi
di rendimenti di scala variabili.
Per quel che riguarda l’efficienza di scala (SE) si osserva un range di valori piuttosto
ampio: ciò è giustificato dalla disomogeneità dimensionali delle Dmu, inconveniente
che purtroppo è impossibile da evitare quando si restringe l’analisi ad una livello
territoriale limitato come quello nazionale. Laddove si rilevi contemporaneamente TEvrs
= 1 e TEcrs <1 (per l’anno 2006, tale situazione si verifica per: TCR, SECH, Savona,
SCT) significa che il terminal presenta una dimensione non ottima. Ciò implica che il
terminal in questione potrebbe operare in modo efficiente se, dato lo stesso saggio
marginale di sostituzione tecnica fra gli input, ricercasse quelle economie di scala
derivanti da un aumento dei traffici.
La colonna peers indica, per alcune unità decisionali, i terminal-target più simili posti
lungo la frontiera di efficienza. Laddove la cella risulti vuota significa che il terminal
non presenta peers. Vengono inoltre evidenziate gli slack o input-inefficienze, che
possono tradursi in possibili diminuzioni di input a fronte di un non peggioramento
dell'output.
16
Se, come esempio, si analizza più nel dettaglio l’ultimo anno dell’analisi (per gli anni precedenti
non si rilevano scostamenti rilevanti per il terminal salernitano) si comprende meglio questa situazione.
Il terminal contenitori di Salerno si trova in effetti sulla spezzata che rappresenta l’isoquanto efficiente e
risulta quindi efficiente. Ciò implica che se l’analisi fosse condotta dall’Autorità Portuale di Salerno
sarebbe opportuno rivedere il campione al fine di fornire un risultato più aderente alla verità per il
terminal in questione.
9
Società Italiana degli Economisti dei Trasporti - IX Riunione Scientifica – Napoli 2007
Tabella 3 – efficienza, slack e peers
Efficienza
TEvrs
1.000
0,533
1.000
0,349
1.000
1.000
1.000
1.000
LSCT
TDT
TCR
CICT
VTE
SECH
SAVONA
SCT
TEcrs
1.000
0,505
0,335
0,349
1.000
0,997
0,166
1.000
LSCT
TDT
TCR
CICT
VTE
SECH
SAVONA
SCT
Efficienza
TEcrs
TEvrs
1.000
1.000
0,526
0,566
0,350
1.000
0,556
0,556
0,966
0,966
0,968
1.000
0,666
1.000
0,951
1.000
SE
1.000
0,947
0,335
1.000
1.000
0,997
0,166
1.000
SE
1.000
0,929
0,350
1.000
1.000
0,968
0,666
0,951
2003
slack
banchine
2004
peers
228 LSCT, VTE, SCT
234 VTE, LSCT
2005
slack
superficie
banchine
18.333
118.000
618.000
TEcrs
1.000
0,522
0,351
0,556
1.000
0,960
0,254
1.000
efficienza
TEvrs
1.000
0,553
1.000
0,556
1.000
1.000
1.000
1.000
Peers
TEcrs
1.000
0,461
0,296
0,693
0,929
0,845
0,626
0,687
238 SCT, LSCT
268 LSCT
148 LSCT
1
SE
1.000
0,944
0,351
1.000
1.000
0,960
0,254
1.000
slack
banchine
Efficienza
TEvrs
1.000
0,504
1.000
0,693
0,929
1.000
1.000
1.000
peers
228 LSCT, VTE, SCT
234 LSCT, VTE, SCT
SE
1.000
0,916
0,296
1.000
1.000
0,845
0,626
0,687
2006
slack
superficie
banchine
peers
253 TCR,LSCT, SCT
118.000
748.000
268 LSCT
448 LSCT
Società Italiana degli Economisti dei Trasporti - IX Riunione Scientifica – Napoli 2007
Considerando la disponibilità dei dati dei terminal relativi a quattro anni si è deciso di
ricorrere all’indice Malmquist17 di crescita della produttività applicato al modello DEA,
per estrapolare alcune informazioni relative alle performance del campione nel suo
complesso.
La tabella 4 mostra buoni incrementi annuali di efficienza tecnica sotto l’ipotesi di
rendimenti di scala costanti (CRS) del campione negli anni 2004 e 2005, con un calo
invece nel 2006. L’andamento dell’efficienza tecnica misurata considerando rendimenti
di scala variabili (VRS) presenta invece una flessione nel corso di tutti e tre gli anni.
Tabella 4 – variazioni efficienza tecnica per il campione nel complesso
2004
2005
2006
Variazione efficienza
tecnica CRS
1.124
1.174
0.879
Variazione efficienza
tecnica VRS
1.065
1.045
0.964
Variazione
efficienza di scala
1.055
1.124
0.912
Tornando all’interesse principale dell’analisi, a questo punto è finalmente possibile
definire i due parametri rilevanti ai fini dell’individuazione dell’incremento dei canoni
di concessione per i terminal genovesi per il periodo 2007-2010.
- la variazione media dell’indice generale (senza considerare i tabacchi) dei prezzi
al consumo (CPI) per le famiglie di operai e impiegati tra il 2003 e il 2006 si è
rivelato pari a +2,4%18;
- la variazione di efficienza (X) è stata valutata uguale a -2,8% per il VTE e -0,7%
per il SECH.
Purtroppo non è possibile fornire un valore realistico del canone di concessione
applicato a partire dal 2007 poiché l’unico dato pubblico di cui si è potuto tenere conto
è l’entità complessiva delle entrate per canoni demaniali dichiarati nel Bilancio di fine
anno 2006. Tale valore corrisponde a 22.609.159,26 euro.
Immaginando, poiché l’AP interpellata non ha voluto fornire dati puntuali, che la
minor efficienza riscontrata per i due principali terminalisti contenitori rispecchi una
situazione tipica degli operatori portuali, possiamo ipotizzare una perdita di efficienza
pari alla media dei valori stimati dal modello e quindi pari all’1,75%. Riportando tale
perdita di efficienza in termini di maggiori canoni riscossi dalla Autorità Portuale, si
arriverebbe a circa 396 mila euro aggiuntivi l’anno.
6. Conclusioni
L’attuale realtà portuale italiana sconta una perdita di competitività nei confronti dei
porti concorrenti localizzati nel nord Europa, nel contempo è andato via via aumentando
anche il gap esistente tra i principali porti nazionali e quelli del bacino del
Mediterraneo, segnatamente spagnoli.
Senza dubbio la colpa di un calo così drammatico non può ascriversi solamente
all’attuale sistema di accesso all’infrastruttura portuale: la condizione di quasi
stagnazione in cui versano molti porti italiani è certamente legata alle difficoltà che si
riscontrano dal lato dei collegamenti terrestri con i mercati interni, nazionali ed europei;
o all’arretratezza del settore logistico nazionale che non è in grado di assicurare alla
17
18
Per approfondimenti su tale indice si rimanda a Coelli et al, 1998.
Istat, 2007.
1
Società Italiana degli Economisti dei Trasporti - IX Riunione Scientifica – Napoli 2007
merce quel valore aggiunto che invece viene garantito nei retroporti per esempio di
Rotterdam, Barcellona o Valencia. Ciò non toglie però che il sistema portuale italiano
subisca le gravi conseguenze derivanti da una incompleta apertura dei mercati alla
concorrenza.
La separazione gestionale dell’infrastruttura e del servizio che si era avviata, così
come accaduto anche per le altre modalità di trasporto, a partire dagli anni ’90 non si è
conclusa con una reale apertura dei mercati delle operazioni portuali alla concorrenza.
Purtroppo non è ancora la logica dell’efficienza della gestione e dell’incremento della
competitività del porto che guida le selezioni degli operatori che godono della
concessione di spazi portuali. Ciò che in Italia infatti ancora si lamenta è il fatto che,
nonostante i principali porti nazionali abbiano adottato assetti gestionali di tipo
landlord, non si è ancora superata la tradizionale chiusura del mercato.
Tra le diverse leve di cui l’autorità dispone per stimolare i terminalisti all’efficienza,
in un’ottica di crescita dei traffici, si è deciso in questa sede di lavorare sulle
concessioni: in primo luogo si reputa indispensabile procedere all’assegnazione delle
aree tramite gara, in secondo luogo si favorisce la definizione del canone di concessione
in funzione dell’incremento dell’efficienza in termini di crescita dei traffici, con
aggiornamenti periodici del canone stesso secondo la formula CPI-X..
Si è dimostrato come le difficoltà principali relative alla stima del parametro X sono
agevolmente superabili attraverso l’adozione di una tecnica DEA output orientated in
ipotesi di rendimenti di scala variabili. I punti di forza di tale tecnica sono la relativa
semplicità dell’applicazione, la possibilità di analizzare unità che producono
contemporaneamente più output e la quantificazione dell’efficienza. L’aspetto critico
principale a cui è necessario prestare particolare attenzione risiede nella selezione di un
campione adeguato, in termini di dimensioni e di caratteristiche delle unità decisionali.
È dimostrato però che, a fronte di alcune precauzioni che debbono essere prese in sede
di definizione del modello e di interpretazione dei risultati, l’applicazione dello
strumento del price cap, abbinato alla tecnica DEA, porta notevoli vantaggi in capo
all’autorità portuale, vantaggi che possono riassumersi in:
- relativa economicità degli strumenti individuati, soprattutto se paragonati a modelli
che necessitano la stima delle funzioni di produzione o di costo del terminalista;
- reale incentivo all’efficienza, poiché maggiore è l’efficienza registrata dal
terminalista, più contenuto sarà l’incremento del canone;
- aumento della competitività del porto rispetto ai concorrenti grazie ad una maggiore
efficienza degli operatori;
- incremento delle entrate anche in termini di imposte che gravano sulla merce
movimentata, conseguente all’aumento dei traffici portuali.
Lo studio si presta ad ulteriori aperture ed approfondimenti, in particolar modo ad un
confronto tra le diverse realtà europee. Potrebbe essere infatti di particolare interesse
una comparazione tra la regolamentazione dell’accesso all’infrastruttura portuale in
diversi paesi e l’apertura del caso studio ad un campione internazionale, soprattutto
nell’ottica dei nuovi orientamenti europei finalizzati a definire un assetto omogeneo dei
porti dei Paesi membri.
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