Un possibile inizio
…Nessuno vi può consigliare e aiutare, nessuno.
C’è una sola via. Penetrate in voi stesso.
Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s’essa estenda le
sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore,
confessatevi se sareste costretto a morire,
quando vi si negasse di scrivere.
Questo anzitutto: domandatevi nell’ora
più silenziosa della notte:
devo io scrivere?
Rainer Maria Rilke, 1875-1926. Lettere a un giovane poeta, 1929
Alcuni dei fatti che narreremo sono stati provocati da circostanze
casuali. Come a dire che, per quel che sappiamo, tali circostanze
non hanno una connessione. Il caso le ha disposte in una sequenza
che, ad un certo punto, ha acquisito senso e autonomia, al punto da
generare una storia.
Del caso però non ci occuperemo, tanto è infinito e dappertutto.
Piuttosto, se dovessimo indicare un inizio, dovremmo scrivere che
tutto cominciò per colpa di una piastrina. Una cellula del sangue
non più grande di quattro millesimi di millimetro. Anzi, un frammento di cellula.
In un centimetro cubo di sangue ce ne sono fino a trecentomila. Per
una decina di giorni circolano accanto a globuli rossi e bianchi, poi
sono rimpiazzate da nuove piastrine, prodotte dalla frammentazione
di grandi cellule che si trovano all’interno di molte ossa. La piastrina
di cui parliamo si era staccata cinque giorni prima dalla cellula madre e nel giro di qualche giorno avrebbe terminato la sua esistenza,
come tante altre. Lei invece incontrò qualcosa.
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La parete dell’arteria nella quale stava transitando era irregolare a
causa di un accumulo di colesterolo e microscopici detriti. Ce n’erano altri nei vasi sanguigni che percorreva ogni giorno, segni iniziali
di arteriosclerosi, comuni nelle persone di mezza età. Quella placca
però aveva una piccola rottura, appena provocata dal flusso del sangue e dai movimenti della parete del vaso. Il tessuto lacerato emetteva segnali che la richiamarono in modo irresistibile.
In presenza di una ferita le piastrine hanno un compito importante,
arrestare le perdite di sangue. Lì c’era una lesione e occorreva ripararla. Lei dunque vi aderì e chiamò a sé, attirandole con sostanze
specifiche, altre piastrine, globuli rossi e bianchi. Tutte le cellule rimasero intrappolate nell’impalcatura del coagulo che si andava formando nell’arteria coronaria.
La piastrina dunque fece quello per cui era stata programmata, fermò il sangue, interrompendo la distribuzione di ossigeno al cuore. E
così il Commissario di Polizia Filippo Maggioni, a cinquantasei anni,
ebbe un infarto che lo fulminò.
Era in un supermercato con la moglie, la accompagnava ogni sabato
mattina, se non doveva lavorare. Ebbe il tempo di lasciare il carrello
della spesa, guardare la moglie, dire mi sorreggi, vero? e stramazzare a
terra, con le mani al petto e un’espressione di dolorosa sorpresa sul
volto.
Visto da fuori Maggioni morì velocemente. La morte però è un insieme di eventi complicati, per nulla brevi o simultanei.
Il cuore cessò di pompare sangue, ma non si fermò. Le sue pareti vibrarono a lungo, in modo scoordinato e inconcludente, e il cervello
ne fece le spese. Maggioni perse conoscenza nel giro di due minuti,
ed entro il successivo quarto d’ora l’attività dei centri nervosi cessò
quasi del tutto. Privo di consapevolezza, memoria, coordinamento,
finì di esistere come persona lì, sul pavimento del supermercato. La
moglie, in attesa dell’ambulanza, gli accarezzava la fronte ricoperta
di sudore freddo.
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