Rassegna di fiscalità internazionale n. 1/2000

il fisco
di legislazione e attualità
12/2000
20 marzo 2000
Direttore
Pasquale Marino
RASSEGNA
FISCALITÀ
INTERNAZIONALE
N. 1/2000
ALLEGATO
Contiene fra l’altro:
il fisco:
Rassegna di fiscalità internazionale n. 1/2000
Rubrica de
Pressione Irpeg sulle società di capitali
RECUPERO ANTICIPO IRPEF SU TFR
Perdite fiscali e credito di imposta sui dividendi
IVA: TERMINE ISCRIZIONE A RUOLO
Processo tributario: litisconsorzio
Corte Cassazione SS.UU. civ. sent. n. 27/2000:
Nullo il bilancio senza principio di chiarezza
PENALE TRIBUTARIO: Francia - La transazione
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SCADENZARIO TRIBUTARIO DI APRILE
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Giurisprudenza tributaria - Risposte a quesiti Iva e Dirette
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2000 - ANNO XXIV
12
il fisco
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dottore commercialista; Sergio Gradi, esperto fiscale; Alberto Mastrangelo, dottore commercialista in Roma; Leonardo Milone, notaio in Roma; Leonardo Perrone, ordinario di diritto tributario nell’università di Roma; Antonino
C. Ramirez, esperto fiscale; Baldassarre Santamaria, prof. di diritto tributario nell’università di Roma, II; Francesco Schiavon, dottore commercialista in Padova; Francesco Serao, dottore commercialista in Napoli.
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Marra, avvocato tributarista in Varese; Giancarlo Modolo, esperto tributario in Milano; Giorgio Moro Visconti, dottore commercialista in Milano; Giuseppe Piazza, dottore commercialista in Milano; Piergiorgio Valente, dottore
commercialista in Milano.
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commercialista, Gianluca Caputi, dottore commercialista, dott. Vincenzo De Luca, dott. Giuseppe Marino, Lorenzo
Giorgio Mottura, dottore commercialista, Salvatore Petrachi, Francesco Veroi, dottore commercialista; Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma - Tel. 06.321.75.78-06.321.75.38.
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Città di Castello (PG) - Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 16620 del 22 dicembre 1976 - Direttore responsabile: dr. Pasquale
Marino - Copertina: G.C. Italiani - Editore: Edit. Trib. It. “ETI” S.p.A. - Redazione e Amministrazione: Viale Mazzini, 25 - Tel.
06.321.75.78-06.321.75.38 - 00195 Roma. Ufficio abbonamenti: Tel. 06.871.303.00-06.871.303.16.
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semestrali della rivista “il fisco”, L. 460.000, Euro 237,57 (Iva inclusa).
Gli impiegati in servizio presso il Ministero delle finanze e della G. di F., allegando un recente attestato di servizio, potranno abbonarsi
solo ai 48 numeri de “il fisco”, più “Rassegna Tributaria” e i 2 CD Rom semestrali della rivista “il fisco”, versando L. 270.000 (Iva inclusa); per avere anche il Codice Tributario 2000 P. Marino, I e II volume, L. 330.000 (Iva inclusa). Sulle quote di abbonamento alla rivista
ROL (il fisconline) o REM (rivista E-Mail) è concesso uno sconto del 20% (non sulle combinazioni). Per i pensionati del Ministero delle
finanze e della G. di F., l’abbonamento ai 48 numeri è di L. 368.000, con il Codice Tributario 2000 P. Marino, L. 428.000.
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bancario o circolare “non trasferibile” e barrato o con bonifico bancario presso la CARIPLO, 736 Roma, Agenzia n. 14, c/c n. 700/1
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postale n. 61844007 intestato a ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma. L’attestazione del versamento sul c/c postale è valida
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633, del D.M. 29 dicembre 1989 (come sostituito dal D.M. 9 aprile 1993) e del D.M. 12 gennaio 1990, è conglobata nel prezzo di
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Anno XXIV n. 12 - 20 marzo 2000
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❏ 3 Abbonamento alla rivista REM - “il fisco” E-Mail:
❏ 4 Combinazione RC cartacea + ROL On Line:
❏ 5 Combinazione RC cartacea + REM E-Mail:
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1 - Contanti
1 Abbonamento a “il fisco” 2000
+ abbonamento Rassegna Tributaria 2000 (6 numeri)
+ Volume Indici 1999 + 2 CD Rom semestrali L. 460.000.
2 - Rateizzato
(con L. 30.000 in più per spese
bancarie, postali, amministrative)
10
Abbonamento a “il fisco” 2000 (come al suddetto “n. 1”)
alla data di sottoscrizione
L. 245.000
2 Abbonamento come al precedente “n.1”
+ Codice Tributario P. Marino 2000 L. 520.000.
11
3 RISERVATO AGLI ABBONATI 2000:
Codice Tributario P. Marino 2000, due volumi
❑ 1 copia L. 60.000 ❑ 2 copie L. 110.000 ❑ 3 copie L. 170.000.
4 Abbonamento ROL ”il fisco” on line,
con la rivista “Rassegna Tributaria” e 2 CD Rom semestrali
L. 600.000.
r.b. al 15/5/2000
L. 245.000
Abbonamento a “il fisco” 2000 (come al suddetto “n. 1”)
+ Codice Tributario P. Marino 2000
alla data di sottoscrizione
L. 275.000
r.b. al 15/5/2000
L. 275.000
Banca di appoggio della ricevuta bancaria al 15/05/2000
(indicare la banca, l’agenzia, l’indirizzo)
5 Abbonamento REM ”il fisco” E-Mail,
con la rivista “Rassegna Tributaria” e 2 CD Rom semestrali L.400.000.
barrare la formula di abbonamento prescelta
e compilare il modulo sottostante per il pagamento
a) con assegno bancario
6 Contenitori rivista “il fisco”,
4 scatole con fili di acciaio, similpelle rossa:
❑ 1993 ❑ 1994 ❑ 1995 ❑ 1996
❑ 1997 ❑ 1998 ❑ 1999 ❑ 2000
L. 120.000 (i.i.) per ogni anno.
Allega assegno bancario “non trasferibile” e barrato
n.
del
di L.
(modalità consigliata: raccomandata assicurata)
b) con bonifico bancario
7 Abbonamento 2000 a “Impresa Commerciale e Industriale”,
mensile, 11 numeri, L. 120.000.
8 Abbonamento 2000 a “Rassegna Tributaria”,
bimestrale, 6 numeri, L. 100.000.
9 2 CD Rom con raccolta semestrale cad. “il fisco” 2000
al 30.6.2000 e 31.12.2000, L. 120.000 per gli abbonati a “il
fisco” (una sola richiesta) e L. 200.000 per i non abbonati.
N.B. Il Codice Tributario P. Marino 2000, aggiornato
al 5 febbraio 2000, verrà spedito entro il 30.04.2000
Informazioni 06.32.17.774 - 06.32.17.578
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fotocopiare
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06070.7 CAB: 03214.4
effettuato il
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intestato a ETI S.p.a.Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma.
Si allega copia fotostatica dell’attestazione di versamento (o
invio per fax).
c) con versamento sul c/c postale
Ha versato L.
sul c/c postale n. 61844007 intestato a ETI S.p.a.Viale Mazzini, 25
- 00195 Roma - e allega copia fotostatica dell’attestazione postale
di versamento (o invio per fax).
Non effettuando la disdetta con lettera raccomandata almeno 30
giorni prima della scadenza, l’abbonamento si intende rinnovato
automaticamente per un altro anno. I supplementi non sono
compresi nella quota di abbonamento.
data
firma
Convegno di Studi
Con la collaborazione della
Ordine
Dottori Commercialisti
Tempio Pausania
il fisco
R I V I S T A
PROMOCAMERA
Azienda Speciale
della Camera di Commercio
di Sassari
STUDI DI SETTORE
ED ACCERTAMENTO
TRIBUTARIO
OLBIA
13 maggio 2000 ore 9,00 - 13,30
Sala Convegni Stazione Marittima
■ ore 10.30
Programma
Riflessione sugli Studi di Settore
Dott. Luigi Magistro
Ufficiale superiore G.d.F.
■ ore 9.00
Saluto
Dott. Franco Anselmo Molinu
Presidente Dottori commercialisti Tempio Pausania
Sig. Fedele Sanciu
Presidente Promocamera
■ ore 11.10
Accertamenti bancari
Dott. Luciano Carta
Ufficiale superiore G.d.F.
■ ore 11.50
Break
■ ore 9.10
■ ore 12.10
Evasione, elusione: impatto sul sistema socio
economico
Prof. Gian Maria Fara
Presidente EURISPES
Studi di Settore ed accertamento con adesione
Prof. Francesco Fratini
Docente presso Istituti Istruzione G.d.F.
■ ore 12.50
■ ore 9.50
Dibattito
Studi di Settore e tutela del contribuente
Prof. Giuseppe Tinelli
Ordinario Diritto Tributario Università di Perugia
MODALITÀ
■ ore 13.30
Conclusione lavori
DI
PARTECIPAZIONE
Ingresso gratuito
Segreteria: Via Tavolara, 11 - Olbia - Tel. 0789.24.705 Fax 0789.22.320 - 0789.25.539
12/2000 il fisco 3243
SOMMARIO
tribuente nei confronti degli accertamenti
effettuati mediante applicazione della
procedura di cui all’art. 3 della L. n.
549/1995
di Luca Bellini
attualità
3248
Attività illecite ed esenzioni fiscali: il caso
dei dentisti abusivi
di Francesco Schiavon
3323
Documentazione: il bilancio in breve. Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica
Dipartimento della Ragioneria generale dello
Stato - Roma gennaio 2000
Memorandum
Scadenzario tributario marzo 2000
3250
La pressione Irpeg sulle società di capitali
di F. Di Nicola, S. Golino, V. Rinaldi, A. Santoro, R. Stajano
3256
1° gennaio 2000: recupero dell’anticipo
Irpef sul Tfr. Scritture contabili
di Flavio Dezzani
3259
3319
Ministero delle finanze
Gabinetto del Ministro - Ufficio Stampa
Il termine per l’iscrizione a ruolo dell’Iva
nel regime previgente all’entrata in vigore
del D.Lgs. n. 46/1999
di Francesco Maria Fioretti
Il liticonsorzio necessario nel processo tributario: un istituto ancora privo di fisionomia. Casi veri o presunti di liticonsorzio
necessario
di Luigi Visconti
3267
Organizzazioni non lucrative di utilità
sociale: poteri, oggetto e finalità dell’attività di controllo
di Claudio Di Gregorio
3277
Perdite fiscali e credito di imposta sui dividendi
di Pierangelo Bianco e Alessandra Piazzino
3282
Novità dal Front (Office)
di Gianluca Patrizi e Gianluca Marini
3285
La riforma della riscossione: alcune novità
introdotte dal D.Lgs. n. 46/1999
di Clelia Buccico
il fisco
3262
3228
La trasmissione telematica delle dichiarazioni
(Comunicato stampa dell’8 marzo 2000)
3228
I nuovi adempimenti semplificati per le
associazioni sportive dilettantistiche
(Comunicato stampa del 10 marzo 2000)
3329
Scadenzario tributario aprile 2000
DIRITTO PENALE TRIBUTA R I O
Problemi e dibattiti
3297
La notifica degli atti giudiziari e fiscali:
considerazioni e riflessioni
di Paolo Di Fabio
3362
Dalle “manette agli evasori” alle “manette
agli estimatori”
di Ivo Caraccioli
3303
Corsi di formazione frequentati all’estero
dal personale: territorialità delle prestazioni ai fini Iva
di Loredana Conidi e Massimo Gabelli
3364
Francia - La transazione con il Fisco. Aspetti legali e operativi
di Thierry Lambert
3307
Iva: il “momento di effettuazione dell’operazione” e le “prestazioni di servizi”
di Piero Merlo
4 Tribunali
3311
Riflessioni sui parametri: le motivazioni e
le strategie difensive adottabili dal con-
3371
Errori della Guardia di finanza, rideterminazione dell’imponibile, conciliazione giudiziale. Effetti penali
(TRIBUNALE di Verona, Sent. n. 525 dicembre
1999) commento di Giovanni Maccagnani
3244 il fisco 12/2000
rubrica dei quesiti
3375
3377
IMPOSTE SUI REDDITI - Redditi d’impresa - I criteri di valutazione delle rimanenze
e il riconoscimento fiscale della loro svalutazione
3389
IVA - L’associazione agricola e il regime forfettario
3379
IVA - Irap - Il trattamento del “prestito di
personale”
3380
SUCCESSIONI E DONAZIONI - I termini
per l’accertamento dell’imposta sulle successioni
3381
IMPOSTE SUI REDDITI - IVA - Agevolazioni
- Società sportive dilettantistiche - Istruzioni - Art. 25 della L. 13 maggio 1999, n. 133 D. Min. Finanze 26 novembre 1999, n. 473
(CIRCOLARE n. 43/E/2000/27853 dell’8 marzo
2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. centr.
Affari giuridici e Contenzioso tributario)
3385
IVA - Base imponibile - Somme stabilite da
lodo arbitrale - Risarcimento danni - Rivalutazione monetaria ed interessi - Trattamento - Artt. 13 e 15 del D.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 633
(RISOLUZIONE n. 25/E/III/7/1999/45904 del 7
marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir.
Centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario)
3386
IVA - Prestazioni di servizi - Auto aziendali
messe a disposizione del dipendente dietro
corrispettivo - Imponibilità - Sussiste - Art.
16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
(RISOLUZIONE n. 24/E/2000/32723 del 7 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir.
Centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario)
DEMANIO - Beni immobili e diritti reali
immobiliari appartenenti allo Stato - Alienazione - Istruzioni - Art. 4 della L. 23
dicembre 1999, n. 488
(CIRCOLARE n. 33/T/U.D.C./17404 del 6 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Territorio - Dir.
Centr. Demanio)
3390
il fisco
circolari
e note ministeriali
Giurisprudenza-flash del numero 12
2 Corte di Cassazione
IVA - I criteri per l’individuazione del
momento impositivo nel regime dell’editoria
3378
3387
giurisprudenza
PROCESSO CIVILE - Petitum e causa petendi - Rapporto di necessaria connessione
con l’oggetto della lite - Collegamento tra
diritto all’informazione e principio di chiarezza - Qualificazione giuridica - Spetta al
giudice - Artt. 101, 112 e 115 del codice di
procedura civile
BILANCIO - Finalità - Garanzia di informazioni ai soci ed a terzi - Postulato di
chiarezza - Informazioni chieste in assemblea - Discussione per la delibera del
bilancio - Integrazione - Art. 2413 del codice civile
BILANCIO - Finalità - Garanzia di informazioni ai soci ed a terzi - Postulato di chiarezza - Informazioni chieste in assemblea Dovere di risposta degli organi sociali Limiti - Sindacabilità - Art. 2413 del codice
civile
BILANCI - Postulato di chiarezza - Rapporto con il principio di verità - Strumentalità Non sussiste - Autonomia - Sussiste - Violazione - Nullità della delibera di approvazione del bilancio - Sussiste - Artt. 2379 e 2423,
comma 2, del codice civile - D.Lgs. 9 aprile
1991, n. 127 - IV Direttiva CEE
BILANCIO - Postulato di chiarimenti - Chiesti dal socio in assemblea - Mancata enucleazione dei motivi di tale richiesta Assenza di buona fede nell’esecuzione del
contratto sociale - Non rileva - Insufficienza
dei dati desumibili dal bilancio e dagli allegati - Necessità di fornire i chiarimenti
richiesti - Sussiste - Artt. 1375 e 2423, comma 2, del codice civile
(CASSAZIONE, SS.UU. civ. - Sent. n. 27 del 5
novembre 1999, dep. il 21 febbraio 2000) commento di Gianluca Caputi
3 Commissione Tributaria Centrale
3402
REGISTRO - Agevolazioni - Atto di prima
acquisizione di immobile in comune danneggiato dal terremoto del 1976 - Per la
ricostruzione o riparazione - Esistenza di
altri singoli atti con medesimo acquirente e
per stessi fini in altri comuni terremotati Non rileva - Benefici - Competono - Art.
41-ter della L. 30 ottobre 1976, n. 730
(COMM. CENTRALE, Sez. XIV - Dec. n. 398
del 19 gennaio 2000, dep. il 25 gennaio 2000)
12/2000 il fisco 3245
3411
Accertamento del periodo di irregolare funzionamento dell’ufficio del territorio di
Novara - servizio di pubblicità immobiliare
nel giorno 3 febbraio 2000
(D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 21 febbraio 2000, in G.U. n. 57 del
9 marzo 2000)
3411
Accertamento del periodo di irregolare funzionamento dell’ufficio del territorio di
Torino nei giorni 2, 3, 4 e 5 febbraio 2000
(D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 21 febbraio 2000, in G.U. n. 57 del
9 marzo 2000)
leggi e decreti
3404
IRPEF - PREMI AI PILOTI MILITARI Disposizioni per disincentivare l’esodo dei
piloti militari
(L. 28 febbraio 2000, n. 42, in G.U. n. 54 del 6
marzo 2000)
3406
PRESTAZIONI SANITARIE - Disposizioni
urgenti in materia sanitaria
(D.L. 8 marzo 2000, n. 46, in G.U. n. 56 dell’8
marzo 2000)
3407
STUDI DI SETTORE - ATTIVITÀ ECONOMICHE VARIE - Comunicato relativo ai decreti
del Ministro delle finanze del 3 febbraio
2000 concernenti: «Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore del commercio;
Approvazione di questionari per gli studi di
settore relativi ad attività economiche nel
settore delle manifatture; Approvazione di
questionari per gli studi di settore relativi ad
attività economiche nel settore dei servizi»
(in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000)
3411
UFFICI FINANZIARI VARI - IRREGOLARE
O MANCATO FUNZIONAMENTO
3411
Accertamento dell’irregolare/mancato funzionamento dell’ufficio del registro di Formia dal 28 al 31 gennaio 2000
(D. Dir. Reg. Entrate Lazio 2 marzo 2000, in
G.U. n. 56 dell’8 marzo 2000)
Legislazione
il fisco
3411
IMPOSTE E TASSE - CONTRASSEGNI
SPECIALI - Regolamento recante norme
per la semplificazione dei procedimenti
di controllo, a fini fiscali, relativi a speciali contrassegni per bevande, acque
minerali e prodotti vinosi, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15
marzo 1997, n. 59
(D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 48, in G.U. n. 57 del
7 marzo 2000)
Gazzetta ufficiale
delle Comunità europee
3412
IVA - Decisione del Consiglio del 28 febbraio 2000 che autorizza gli Stati membri
ad applicare un’aliquota Iva ridotta su taluni servizi ad alta intensità di lavoro secondo la procedura di cui all’art. 28, paragrafo
6, della direttiva 77/388/CEE
(Direttiva n. 2000/185/CE, in GUCE L 59 del 4
marzo 2000)
3414
Agenda legislativa tributaria
Decreti-legge in corso di conversione
Legislazione modificativa, integrativa e di attuazione
Allegato
RUBRICA
DE “il fisco”
3417
3524
Rassegna di fiscalità internazionale n.
1/2000
3246 il fisco 12/2000
INDICE CRONOLOGICO
Leggi e decreti
7.3.2000
7.3.2000
8.3.2000
3411
3407
3385
3386
3381
3411
3411
3411
3404
3412
3411
3411
3411
3411
3406
il fisco
DD. Min. Finanze 3 febbraio 2000
(Errata-corrige) .......................................................
D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 48 .................................
D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta
e Liguria 21 febbraio 2000.....................................
D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta
e Liguria 21 febbraio 2000.....................................
D. Dir. Reg. Entrate Emilia-Romagna 23 febbraio
2000 .......................................................................
L. 28 febbraio 2000, n. 42 ......................................
Dec. Cons. CE 28 febbraio 2000, n. 2000/185/CE.
D. Dir. Reg. Entrate Abruzzo 28 febbraio 2000 ....
D. Dir. Reg. Entrate Abruzzo 28 febbraio 2000 ....
D. Dir. Reg. Entrate Lazio 2 marzo 2000 ..............
D. Dir. Reg. Entrate Lazio 2 marzo 2000 ..............
D.L. 8 marzo 2000, n. 46........................................
Ris. AA.GG. e Cont. Trib.
n. 24/E/III/7/1999/45904 . . . . . . . . . .
Ris. AA.GG. e Cont. Trib.
n. 25/E/2000/32723 . . . . . . . . . . . . . .
Circ. AA.GG. e Cont. Trib.
n. 43/E/2000/27853 . . . . . . . . . . . . . .
Giurisprudenza
Corte di Cassazione
n. 27 del 5.11.1999-21.2.2000 (SS.UU. civ.) . . . . .
3390
Commissione Tributaria Centrale
Circolari e note ministeriali
n. 398 del 19.1.2000-25.2.2000 (Sez. XIV) . . . . . .
3402
Tribunali
6.3.2000
Circ. Demanio n. 33/T/U./D.C. . . . . .
3387
Verona, sent. n. 525 del 2.12.1999 . . . . . . . . . . .
ABBREVIAZIONI DI PIÙ FREQUENTE UTILIZZO
L.
D.L.
D.Lgs.
D.P.R.
D.P.C.M.
= Legge
= Decreto Legge
= Decreto Legislativo
= Decreto Presidente della Repubblica
= Decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri
D.M.
= Decreto Ministeriale
D.Int.
= Decreto Interministeriale
D. Dir. Reg. = Decreto del Direttore Regionale
delle Entrate
D. Dir. Gen.
D. Rett. Univ.
Dir.
Circ.
Provv.
Ris.
Sent.
Ord.
Min.
= Decreto del Direttore Generale
= Decreto Rettorale
= Direttiva
= Circolare
= Provvedimento
= Risoluzione
= Sentenza
= Ordinanza
= Ministro
AVVERTENZA AI LETTORI
Questo numero contiene un allegato:
La rubrica de “il fisco”: “RASSEGNA DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE N. 1/2000”, da pag. 3417 a pag. 3524.
3371
Scadenzario
fiscale
il fisco
su
internet
http://www.ilfisco.it/
3248 il fisco 12/2000
MEMORANDUM SCADENZARIO TRIBUTARIO
il fisco
il fisco
MARZO 2000
Il testo esteso dello Scadenzario di marzo è riportato su “il fisco” n. 8/2000, pagg. 2228 e seguenti
1 Mer. Irpeg - Irap - Ici - Dichiarazione dei redditi - Adempimenti collegati - Termini di presentazione e di versamento
Trattasi di scadenza mobile, legata alla data di approvazione del bilancio
1 Mer. Iva - Dichiarazione annuale relativa al 1999 (fino al 31 maggio) - Contribuenti diversi da quelli tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata annuale - Presentazione istanza di rimborso del credito - Presentazione
1 Mer. Calamità naturali - Imposte e tasse - Termini di adempimento
6 Lun. Iva - Documenti fiscali - Tipografie e rivenditori autorizzati
Termine così prorogato, essendo il giorno 5 domenica
6 Lun. Iva - Provvigioni ai rivenditori autorizzati di documenti di viaggio relativi al trasporto pubblico urbano di persone Emissione della fattura
Termine così prorogato, essendo il giorno 5 domenica
15 Mer. Imposte sui redditi ed Iva - Contribuenti minori e minimi - Annotazione delle operazioni
15 Mer. Iva - Fatturazione differita - Emissione della fattura
15 Mer. Iva - Operazioni per le quali sono rilasciati le ricevute o gli scontrini fiscali - Annotazione cumulativa nel registro dei
corrispettivi
15 Mer. Iva - Fatture di importo inferiore a lire 300.000 - Annotazione del documento riepilogativo
15 Mer. Imposte sui redditi - Ritenute relative ai proventi derivanti da partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio (O.I.C.R.)
15 Mer. Irap - Amministrazioni dello Stato ed enti pubblici - Versamento dell’acconto mensile
15 Mer. Accise - Pagamento imposta
16 Gio. Imposte sui redditi - Ritenute alla fonte - Versamento
16 Gio. Addizionali regionale, provinciale e comunale all’Irpef - Redditi di lavoro dipendente e assimilati - Determinazione e versamento
16 Gio. Sostitutiva - Imposta sostitutiva sui titoli dei cosiddetti “Grandi emittenti” di cui al D.Lgs. n. 239/1996 - Versamento
16 Gio. Redditi diversi - Risparmio amministrato - Versamento dell’imposta sostitutiva
16 Gio. Redditi di capitale e diversi - Risparmio gestito - Versamento dell’imposta sostitutiva in caso di revoca del mandato di gestione
16 Gio. Iva - Contribuenti mensili - Mese di febbraio 2000 - Versamento
16 Gio. Iva - Versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale
16 Gio. Concessioni governative - Numerazione e bollatura di libri e registri - Società di capitali - Tassa annuale
16 Gio. Agevolazioni - Esclusione di beni dal patrimonio dell’impresa - Versamento dell’imposta sostitutiva
16 Gio. Inps - Contributo alla gestione separata dovuto su taluni redditi di lavoro autonomo - Versamento
17 Ven. Iva e ritenute alla fonte - Ravvedimento - Tardivo versamento - Entro 30 giorni dalla scadenza
20 Lun. Iva - Scambi intracomunitari - Elenchi INTRASTAT
20 Lun. Registro - Contratti di locazione ed affitto di beni immobili - Versamento imposta
20 Lun. Contratti di borsa - S.I.M., fiduciarie e agenti di cambio - Versamento della tassa in modo virtuale
20 Lun. Conai - Contributo ambientale - Dichiarazione periodica
31 Ven. Acconti d’imposta - Soggetti Irpeg - Imposte sui redditi - Irap
31 Ven. Redditi diversi - Risparmio amministrato - Rilascio dell’attestazione di versamento dell’imposta sostitutiva
31 Ven. Iva - Dichiarazione periodica - Presentazione
12/2000 il fisco 3249
31 Ven. Iva - Adempimenti di fine mese
31 Ven. Iva - Acquisti intracomunitari da parte di enti, associazioni ed altre organizzazioni di cui all’art. 4, quarto comma, D.P.R. n. 633/1972 - Dichiarazione e versamento
31 Ven. Iva - Autotrasportatori iscritti all’albo - Annotazione delle fatture emesse
31 Ven. Studi di settore - Attività imprenditoriali ed attività professionali - Invio del questionario
La precedente scadenza del 29 febbraio risulta prorogata al 31 marzo per tutti i contribuenti interessati
31 Ven. Imposta sostitutiva sui finanziamenti - Dichiarazione per il 2° semestre
31 Ven. Monitoraggio fiscale - Intermediari che effettuano versamenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori - Comunicazioni all’Anagrafe tributaria
31 Ven. Anagrafe tributaria - Pubbliche Amministrazioni ed enti pubblici - Comunicazioni relative a contratti di appalto, somministrazione e trasporto
31 Ven. Imposta sulle assicurazioni - Versamento mensile
31 Ven. Tassa sui contratti di borsa - Pagamento in modo virtuale - Versamento rata trimestrale
31 Ven. Imposta comunale sulla pubblicità - Pagamento rateale
31 Ven. Accise - Pagamento imposta
31 Ven. Accise - Gas metano - Versamento rata d’acconto mensile
31 Ven. Agevolazioni - Centro “Offshore di Trieste” - Comunicazione all’Amministrazione finanziaria
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3250 il fisco 12/2000
attualità
La pressione Irpeg
sulle società di capitali
di F. Di Nicola,
S. Golino,
V. Rinaldi,
A. Santoro,
R. Stajano
Esperti tributari Se.C.I.T.
Premessa
Sebbene prevalentemente di natura tecnica,
le opinioni espresse in questo articolo sono
attribuibili esclusivamente agli Autori.
(1) Si veda “Rassegna di fiscalità internazionale”, allegata a
“il fisco” n. 48/1999.
il fisco
La questione dell’elevatezza teorica della pressione fiscale sulle imprese è certamente una di quelle
che più frequentemente ricorrono nel dibattito sulla
politica economica nel nostro Paese. La radicata
convinzione che il rapporto tra il gettito ottenuto
dalle imposte sulle imprese e il reddito attribuibile
alle stesse sia particolarmente elevato in Italia sembra aver trovato, ad esempio, un’autorevole conferma in un recente studio della Ernst & Young (1), che
stima in oltre il 58 per cento la pressione Irpeg +
Irap per il settore dell’industria meccanica.
Come noto, il sistema fiscale italiano è caratterizzato dalla diffusa presenza di fenomeni evasivi
ed elusivi di non trascurabile entità ed allo stesso
tempo da un intricato complesso di norme volte a
determinare la base imponibile tramite correzioni
del risultato economico civilistico risultante dal
bilancio. Ne consegue che nessuna realistica e credibile valutazione della pressione fiscale intesa
come indicatore della ricchezza prelevata dall’economia privata può prescindere da un tentativo di
stima degli effetti dei suddetti fenomeni.
Si ritiene utile presentare qui una breve sintesi
di alcuni dei risultati raggiunti in tema di pressione effettiva Irpeg nell’ambito di un’indagine sulla
tassazione delle società di capitali svolta dagli scriventi su incarico conferito dal Ministro delle finanze al Se.C.I.T. Vale la pena di sottolineare che questo lavoro fornisce una stima della pressione effettiva derivante dall’applicazione della sola Irpeg, e
non quindi della pressione tributaria (comprensiva
anche dell’Irap) né, tantomeno, di quella contributiva. D’altronde, la ricchezza dei dati a disposizione è stata tale da metterci in condizione di effettuare la stima tenendo conto di evasione, elusione
e variazioni fiscali, seguendo l’approccio appena
delineato.
L’iter metodologico seguito è stato quello di partire dal risultato economico “potenziale”, comprensivo di ogni elemento e quindi anche dei fenomeni evasivi ed elusivi, per arrivare al reddito
imponibile “effettivo”, calcolato al netto dei citati
fenomeni, dell’erosione e di altre norme rettificative, classificate nelle principali macrovoci. Definite
le varie accezioni di risultato economico e calcolata, per ogni caso, l’Irpeg dovuta, è stato possibile
quantificare la pressione effettiva come rapporto
tra l’Irpeg e la specifica accezione adottata di risultato-reddito.
L’impostazione dell’analisi
Questa parte della ricerca ha fatto riferimento
ad un campione rappresentativo di 500 società di
capitali aventi fini di lucro, selezionate per rappresentare l’universo delle circa 500mila persone giuridiche dello stesso tipo effettivamente operanti in
Italia e risultanti in Anagrafe tributaria, ovvero
tutte le società di capitali esistenti con esclusione
degli intermediari finanziari, delle cooperative,
12/2000 il fisco 3251
ATTUALITÀ
delle società formalmente e sostanzialmente cessate e di quelle interessate da procedure concorsuali.
Per l’identificazione del campione secondo la
tecnica dell’estrazione casuale stratificata proporzionale sono stati utilizzati i seguenti criteri di
stratificazione: il settore di attività (comprese le
fondamentali attività terziarie), la dimensione per
classe di ricavi e l’area geografica di collocazione
della sede giuridica. Vale la pena di sottolineare
l’importanza del carattere rappresentativo del
campione, sia per la sua migliore capacità di
estensione dei risultati all’universo di riferimento,
sia per la sua attitudine a minimizzare, coeteris
paribus, il rischio di riproduzione delle convinzioni degli analisti.
Per ogni impresa del campione e con riferimento all’anno di imposta 1997 sono stati raccolti,
controllati ed archiviati due tipi di dati:
a) i dati di bilancio (di fonte CERVED) per
l’anno 1997;
b) le dichiarazioni dei redditi (mod. 760/R97);
c) le quote di imponibile di cui è stata contestata l’evasione o l’elusione dalla Guardia di finanza o dal Dipartimento delle Entrate a seguito di
verifiche generali appositamente svolte.
i) una stima dell’evasione e dell’elusione (2)
effettive dell’Irpeg;
ii) una stima delle variazioni in aumento ed in
diminuzione e delle altre principali correzioni da
apportare al risultato economico di bilancio per
determinare il reddito imponibile Irpeg per le
società di capitali.
Per quanto concerne il punto i), esistono
numerosi metodi di stima dell’evasione e dell’elusione, da cui possono conseguire quantificazioni
anche sensibilmente diverse; tuttavia, i diversi
approcci hanno in comune la natura macroeconomica la quale implica, innanzitutto, il ricorso
ai dati della contabilità nazionale opportunamente corretti.
Per questa ragione, sebbene la parte dello studio che qui si presenta abbia natura campionaria
e sia fondata prevalentemente su “microsimulazioni” (cioè analisi applicate ad ogni singolo caso
secondo le articolate caratteristiche dello stesso),
per la determinazione del gap tra l’evasione-elusione complessiva e quella definita a seguito delle
verifiche generali si è fatto ricorso alla più recente stima dell’evasione ed elusione Irpeg nota in
(2) L’elusione è stata intesa in questo studio nell’accezione
più ristretta, e cioè come illecita riduzione della base imponibile riportata a tassazione dai verificatori in applicazione delle
norme antielusive vigenti (art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973).
il fisco
Secondo quanto prima affermato, elementi
necessari alla valutazione del rapporto tra Irpeg di
competenza e reddito potenziale, nel prosieguo
definito semplicemente “carico Irpeg”, sono stati i
seguenti:
letteratura, quella ottenuta da Bernardi e Bernasconi (1996) (3).
Applicata al contesto di questo studio, tale stima
è del 25,8 per cento (4) del risultato economico
potenziale, ossia del risultato economico che le
imprese realizzerebbero se non facessero ricorso
ad evasione ed elusione. I dati sub c) sono stati utilizzati per poter meglio interpretare, in chiave di
politica fiscale, questa stima: abbiamo applicato
alle contestazioni sollevate al termine delle verifiche un apposito coefficiente di sopravvivenza della
pretesa tributaria a seguito di acquiescenza, adesione o contenzioso, ricavandolo da un altro studio in corso presso il Se.C.I.T. (5). Sono state così
ottenute le stime di evasione ed elusione “definite”,
ossia delle contestazioni di imponibile che trovano
conferma al termine del procedimento innescato
dalle contestazioni stesse o per accordo tra le parti, o a seguito di sentenze emesse da Commissioni
tributarie. La differenza tra la stima di evasione ed
elusione complessive e quelle definite è quindi stimata pari all’evasione ed elusione che, seppure esistenti, non sono identificate tramite verifiche generali (vale a dire che non sono recuperabili a tassazione o lo sono solo utilizzando altri strumenti di
controllo).
La stima dell’evasione e dell’elusione è pari, per
costruzione, alla differenza tra risultato economico potenziale e risultato economico dichiarato in
bilancio e riportato nella dichiarazione dei redditi;
a sua volta, il reddito imponibile è grandezza
diversa dal risultato economico dichiarato in
bilancio per effetto di tutte le “correzioni” citate al
punto ii), per mezzo delle quali si dà attuazione, in
concreto, al cosiddetto principio del doppio binario. La disponibilità delle dichiarazioni dei redditi
delle imprese campionate e la possibilità di incrociare le stesse con i dati di bilancio ha permesso
una quantificazione abbastanza precisa degli effetti sul gettito delle norme che realizzano il suddetto
principio senza dover ricorrere a troppe ipotesi ed
approssimazioni. Al fine di determinare un aggre(3) Cfr. L. Bernardi e A. Bernasconi, L’evasione fiscale in Italia:
evidenze empiriche, supplemento a “il fisco” n. 38/1996, pagg.
19-35. È il caso di precisare che le stime di questo studio si riferiscono all’anno d’imposta 1991, di 6 anni precedente il periodo
d’imposta osservato in questa indagine. D’altronde, non solo la
valutazione dell’evasione complessiva è più credibile se non si
basa solamente sulle contestazioni dei verificatori civili e militari, che pure appaiono congruenti con la stima di origine macroeconomica, ma non pare significativamente distorsivo ipotizzare
che i comportamenti evasivi ed elusivi non si siano modificati,
nel periodo tra il 1991 ed il 1997, in modo consistente.
(4) Tale percentuale si ottiene dividendo il totale dell’evasione
stimata per la somma del risultato economico potenziale e
degli ammortamenti fiscali. Questi ultimi, ovvero gli ammortamenti anticipati ed accelerati, sono infatti considerati, in questo studio, alla stregua di variazioni fiscali che intervengono
dopo la definizione del risultato economico in bilancio.
(5) La produttività comparata delle fonti di innesco, a cura di
F. Di Nicola, A. Fossati, M. Silvano, A. Tortora.
3252 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
gato il più vicino possibile al reddito imponibile
effettivo di competenza è stato quindi preso in
considerazione il reddito imponibile su cui si calcola l’imposta corrispondente (rigo RG20 del Mod.
760/R97) al netto dei crediti d’imposta sui dividendi e sui fondi comuni (che riflettono puri fenomeni
di cassa e che inficierebbero perciò l’analisi).
Data la natura eterogenea delle disposizioni normative che riguardano le variazioni fiscali, le stesse sono state ulteriormente distinte in 5 categorie:
variazioni antielusive, variazioni erosive, variazioni per evitare la doppia tassazione, variazioni di
competenza temporale e altre variazioni. Ecco i
principali contenuti delle categorie di variazioni:
(6) Va detto che l’effetto della Dit è risultato molto ridotto per
il fatto che in questo lavoro si è considerato il suo primo anno
di applicazione.
il fisco
- variazioni antielusive: si tratta delle variazioni in aumento a cui abbiamo ricondotto delle finalità specificatamente antielusive. Tra queste abbiamo incluso in primo luogo le variazioni che limitano la deducibilità di alcune spese (auto, telefono,
eccetera), spesso riportate nel rigo delle “altre
variazioni in aumento”, e quelle che prevedono
l’incremento della base imponibile in misura pari
ai compensi erogati ma non corrisposti agli amministratori;
- variazioni erosive: si tratta delle variazioni in
diminuzione che riducono il reddito imponibile
per consapevole scelta del legislatore ed in modo
definitivo, non limitandosi cioè a spostare nel tempo gli imponibili o ad attribuirli ad altri soggetti
passivi. Tra queste abbiamo incluso esenzioni, agevolazioni e liberalità deducibili; sommando ad esse
gli effetti della Dit (riportati ad imponibile per
omogeneità di comparazione) abbiamo ottenuto la
correzione qui definita erosione (6);
- variazioni per evitare la doppia tassazione: si
tratta delle variazioni in diminuzione utilizzate per
attribuire ad altri soggetti parte del reddito imponibile. Tra queste abbiamo incluso le variazioni
per evitare la doppia tassazione di dividendi ed utili di società figlie residenti in altri Paesi UE, nonché quelle utilizzate per applicare alle plusvalenze
l’imposta sostitutiva prevista;
- variazioni di competenza temporale: si tratta
delle variazioni, in aumento ed in diminuzione,
utilizzate per riallocare gli imponibili nel tempo in
applicazione della normativa fiscale. Tra quelle in
aumento rientrano, in particolare, le quote costanti di plusvalenze e sopravvenienze attive imputabili
all’esercizio, le rimanenze non contabilizzate, gli
ammortamenti non deducibili, le svalutazioni e gli
accantonamenti ai fondi tassati. Vi rientrano
anche gli ammortamenti fiscali, ovvero gli ammortamenti anticipati ed accelerati, che pure sono
normalmente dedotti in sede di determinazione
del risultato economico di bilancio;
- altre variazioni fiscali: si tratta di una categoria residuale che comprende le variazioni fiscali in
aumento ed in diminuzione non indicate nelle
categorie precedenti, aventi in prevalenza finalità
di pulizia dei conti. Si noti che questa categoria
corrisponde solo a quote marginali degli importi
riportati ai righi denominati “altre variazioni in
aumento” e “altre variazioni in diminuzione” in
quanto la parte preponderante di detti importi è
stata imputata alle categorie precedentemente
enunciate. Tale imputazione si è resa necessaria
dato il rilievo quantitativo delle “altre variazioni in
aumento” ed “in diminuzione”.
Si può osservare che nelle ultime tre categorie
sono incluse variazioni che, per loro natura, provocano semplicemente una riattribuzione temporale o soggettiva degli imponibili, oppure provvedono a realizzare la pulizia dei conti. Per quantificare il carico Irpeg effettivo si è stabilito perciò di
ignorare l’effetto di queste variazioni, in quanto
esse ovviamente non comportano un effettivo e
significativo alleggerimento o appesantimento
fiscale sulla platea complessiva dei contribuenti;
vale peraltro la pena di notare che, nel 1997 e con
riferimento all’intero campione, l’effetto combinato di queste variazioni è consistito in una forte
contrazione della base imponibile Irpeg.
Tornando al punto ii), consideriamo qui le
seguenti “correzioni” del risultato economico
dichiarato in bilancio: variazioni antielusive, erosione e riporto delle perdite.
I risultati dell’analisi sono sintetizzati nel flowchart che segue.
12/2000 il fisco 3253
ATTUALITÀ
(A) RISULTATO ECONOMICO POTENZIALE: 100
evasione ed elusione non recuperate
con verifiche: – 7,3
(B) = RISULTATO ECONOMICO DEFINITO: 92,7%
Irpeg B su
A: 37,4
evasione ed elusione definite dopo adesioni e sentenze: – 18,5
(C) = RISULTATO ECONOMICO DA BILANCIO: 74,2
AL LORDO DEGLI AMMORTAMENTI ANTICIPATI
E ACCELERATI (2,4)
limitazione deducibilità
spese (auto, telefono, eccetera), compensi non corrisposti ad amministratori
}
variazioni antielusive: + 6,2
e agevolazioni,
{ esenzioni
}
Dit, liberalità deducibili
agevolazioni erosive: – 4,1
{
(D) = Risultato C al netto di erosione
e variazioni antielusive: 76,3
Irpeg C su
A: 31,6
Irpeg D su
A: 31,9
riporto perdite esercizi precedenti: – 5,2
(E) = Risultato D al netto del riporto
perdite: 71,1
(7) Tale percentuale è ottenuta, per ciascun aggregato, rapportando il gettito Irpeg dall’aggregato sul risultato economico
potenziale totale e moltiplicando questo quoziente per 100.
il fisco
Come si può vedere, secondo queste stime, fatto
pari a 100 lire il risultato economico potenziale, ben
18,5 lire evase o eluse sono recuperabili effettivamente tramite le verifiche generali a conclusione del procedimento da esse innescato; questo valore corrisponde a più del 70 per cento dell’evasione totale, mentre
il rimanente 30 per cento (7,3 lire) resta non intercettabile con lo strumento della verifica generale.
Al di là della ripartizione tra evasione/elusione
definite ed evasione/elusione non recuperabili, alla
perdita di imponibile determinata da questi fenomeni si aggiunge un’ulteriore diminuzione del reddito imponibile pari a circa 3 lire, determinata dal
saldo algebrico di variazioni antielusive (+6,3),
erosione (– 4,1) e riporto delle perdite (– 5,2).
Per ciascuno degli aggregati, eccetto il risultato
economico potenziale, viene calcolato il carico Irpeg
ottenendo successivamente Irpeg su B, C, D ed E (7);
Irpeg E su
A: 30,6
a sua volta il gettito dell’Irpeg per ogni aggregato è la
somma dell’Irpeg corrispondente per ogni impresa,
pari al 37 per cento dell’aggregato calcolato per l’impresa se questo non è negativo oppure a 0 in caso
l’aggregato sia negativo (vincolo di non negatività
dell’imposta). Applicando questa metodologia, la
pressione Irpeg effettiva, ovvero Irpeg su E, risulta
pari a poco più del 30 per cento (8).
Il vincolo di non negatività dell’imposta incide in
modo determinante sui risultati e sull’interpretazione dell’Irpeg effettiva. In primo luogo, per effet-
(8) In simboli, tale pressione effettiva è quindi pari a
1) Irpeg su E = (Gettito su E/Risultato economico potenziale) * 100 dove
2) Gettito su E= 0,37 * Ei se Ei ≥20
i
=0 se Ei<0, i=singola impresa del campione
dove Ei è il risultato economico E (ossia il risultato economico
potenziale al netto di evasione, elusione, variazioni antielusive,
erosione e riporto delle perdite) per la singola impresa del campione.
3254 il fisco 12/2000
Conclusioni
Lo studio che qui si è brevemente presentato è
stato svolto su una base dati di notevole ricchezza,
costituita da tre tipologie di informazione su un
campione di 500 imprese rappresentativo dell’universo delle società di capitali non finanziarie a fini
di lucro: evasione ed elusione contestate in sede di
verifica dalla Guardia di finanza e dal Dipartimento delle Entrate, dati fiscali analitici e completi e
dati di bilancio.
Al di là dei pur interessanti risultati in termini
distributivi per dimensione di impresa, per area
geografica e per altri fattori, che qui non si riportano per brevità, dallo studio sembrano emergere,
perlomeno per l’anno d’imposta 1997 e per il sottoinsieme di imprese considerato:
il fisco
to di tale vincolo, Irpeg su A, che non è calcolabile
esattamente, potrebbe essere mediamente pari al
37 per cento solo se tutte le imprese del campione
avessero un risultato economico potenziale non
negativo, il che, evidentemente, è pressoché
impossibile. In presenza di risultati economici
potenziali negativi Irpeg su A è sicuramente superiore al 37 per cento.
La differenza tra Irpeg su B e Irpeg su E è la perdita di gettito conseguente all’evasione e all’elusione (recuperabili tramite verifiche fiscali), nonché
all’erosione e all’applicazione di altre norme fiscali.
Tale perdita di gettito è pari a poco meno di 7
punti di imponibile potenziale, vale a dire, rapportando le cifre all’universo delle 500.000 società di
capitali, a circa 22 mila miliardi di lire per il 1997.
Come è ovvio, date le proporzioni tra evasione ed
elusione (25,8 per cento del risultato potenziale) e
il valore netto delle variazioni antielusive, dell’erosione e del riporto delle perdite (3,1 per cento), la
maggior parte di questa perdita di gettito deriva,
nel 1997, dall’evasione e dall’elusione: la pressione
Irpeg su C è pari a solo il 31,6 per cento del reddito
imponibile.
ATTUALITÀ
- una pressione Irpeg effettiva sul risultato
economico complessivo ante imposte a livelli
accettabili (30,6 per cento), nonostante il 1997 fosse il primo anno di applicazione della Dit;
- una pressione Irpeg sul risultato economico
dichiarato che sale di un solo punto (31,6 per cento);
- un livello di evasione ed elusione in senso
stretto di entità non trascurabile (25,8 per cento da
stime derivate dalla contabilità nazionale, 26 per
cento contestata dai verificatori, 18,5 per cento stimata da questo studio tenuto conto anche dei tassi
medi di caduta da contenzioso), che se assente
alzerebbe la pressione Irpeg al 37,4 per cento (ma
consentirebbe, più realisticamente, l’abbassamento delle aliquote di tassazione vigenti);
- una parziale compensazione tra variazioni
antielusive, che aumentano ai fini imponibili il
risultato economico civilistico (+6,3 per cento), e
variazioni in diminuzione di natura erosiva (– 4,1
per cento) o di riporto quinquennale delle perdite
(–5,2 per cento) la cui risultante è una leggera
diminuzione del reddito imponibile;
- in ultimo va sottolineato il fatto, non osservabile nei dati qui presentati, che il carico Irpeg
ottenuto tenendo conto anche delle variazioni
fiscali di natura temporale e di quelle finalizzate
ad evitare la doppia tassazione è pari a circa un
quinto del risultato economico potenziale, ma
quest’ultimo dato non costituirebbe un indicatore corretto della pressione Irpeg sulle società di
capitali.
■
Cosa ha dato la rivista il fisco
con i 48 numeri del 1999 su 15.404 pagine?
48 numeri di rivista
8 pockets legislativi (IVA - TUIR - CODICE CIVILE: BILANCIO SOCIETARIO - PRINCIPI CONTABILI - SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE RISCOSSIONE IMPOSTE - PRINCIPI DI COMPORTAMENTO, PRINCIPI CONTABILI - REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE)
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1 Modelli e istruzioni dichiarazione Iva 1998
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3 Riscossione: i nuovi modelli di versamento
Allegato al n.
4 Tassazione redditi di lavoro dipendente (Circolare n. 14/E dell’8 gennaio 1999)
Allegato al n.
5 Accertamento tributario e segreto bancario
Allegato al n.
6 Investire all’estero verso il duemila - n. 3: La Malaysia: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n.
8 Riforma o rivoluzione del sistema fiscale?
Allegato al n. 12 Modello 730/99 con istruzioni
Allegato al n. 13 Modello 770/99 con istruzioni - Dichiarazione per le ritenute, i contributi e i premi assicurativi
Allegato al n. 13 Investire all’estero verso il duemila - n. 4: La Croazia: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n. 15 Nuova guida agli incentivi fiscali alle piccole e medie imprese commerciali e turistiche
Allegato al n. 18 Modello UNICO 99 con istruzioni - Dichiarazione delle società di capitali, enti commerciali ed
equiparati
Allegato al n. 18 Investire all’estero verso il duemila - n. 5: Il Libano: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n. 20 Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale
Allegato al n. 22 Le novità del Modello UNICO 99 - Società di capitali ed enti commerciali
Allegato al n. 23 Assegnazione e cessione agevolata di beni ai soci nonché trasformazione agevolata in società
semplice
Allegato al n. 24 Irap 1999 con istruzioni
Allegato al n. 24 Riscossione: le nuove cartelle di pagamento
Allegato al n. 25 ICI 1999 - Versamento e dichiarazione
Allegato al n. 28 Investire all’estero verso il duemila - n. 6: La Thailandia: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n. 29 Irap, imprese e lavoro autonomo
Allegato al n. 31 Investire all’estero verso il duemila - n. 7: La Turchia: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n. 34 Investire all’estero verso il duemila - n. 8: L’Uzbekistan: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n. 36 Accise: accertamento, poteri, violazioni e sanzioni
Allegato al n. 38 Investire all’estero verso il duemila - n. 9: Il Kazakstan: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n. 42 La nuova Convenzione Italia-USA
Allegato al n. 43 Investire all’estero verso il duemila - n. 10: L’Egitto: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n. 44 e al n. 45 Metodologie di controllo differenziate per attività economiche dirette al consumatore
finale (Parte prima e Parte seconda)
Allegato al n. 45 Investire all’estero verso il duemila - n. 11: La Romania: aspetti economici, commerciali, tributari
Allegato al n. 47 Politiche pubbliche per la famiglia
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3256 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
1° gennaio 2000
Recupero dell’anticipo Irpef sul Tfr
Scritture contabili
“Il comma 213 dell’art. 3 della L. 23 dicembre
1996, n. 662 stabilisce che detto credito d’imposta è
utilizzabile dal datore di lavoro, all’atto della corresponsione dei trattamenti di fine rapporto, a decorrere dal 1° gennaio 2000, nelle seguenti misure:
di Flavio Dezzani
Prof. ordinario di Ragioneria nell’Università di Torino
Dottore commercialista
Dal 1° gennaio 2000 scatta il meccanismo di
recupero dell’anticipo Irpef sul Tfr che le imprese
hanno versato entro il 31 luglio ed il 30 novembre
del 1997 e del 1998 sul trattamento di fine rapporto al 31 dicembre 1996 ed al 31 dicembre 1997
(art. 3, commi 211-213, della L. 23 dicembre 1996,
n. 662) (1).
Dalla circolare del Ministero delle finanze n.
196/E/III/5-1060 dell’8 luglio 1997 (in “il fisco” n.
29/1997, pag. 8246), vengono stralciate le seguenti
istruzioni:
Art. 3
Disposizioni in materia di entrata
(commi da 211 a 213)
211. I soggetti indicati nell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, riguardante i
sostituti d’imposta per i redditi da lavoro dipendente, sono
tenuti al versamento di un importo pari al 5,89 e al 3,89 per
cento dell’ammontare complessivo dei trattamenti di fine rapporto, di cui all’articolo 2120 del codice civile, maturati al 31
dicembre, rispettivamente, dell’anno 1996 e 1997, a titolo di
acconto delle imposte dovute su tali trattamenti dai dipendenti.
Ognuno dei predetti ammontari è comprensivo delle rivalutazioni ed è al netto delle somme già erogate a titolo di anticipazione fino al 31 dicembre di tali anni. Al versamento di ognuno
degli importi di cui al presente comma non sono tenuti i soggetti indicati nell’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio
1993, n. 29, nonché quelli che alla data del 30 ottobre 1996 avevano un numero di dipendenti:
a) non superiore a cinque, limitatamente al versamento del
2 per cento degli importi maturati al 31 dicembre 1996;
b) non superiore a 15, limitatamente all’ulteriore versamento del 3,89 per cento degli importi maturati al 31 dicembre
il fisco
(1) L. 23 dicembre 1996, n. 662
- fino a concorrenza del 9,78 per cento dei
trattamenti di fine rapporto;
ovvero, se superiore:
1996, nonché alla prevista intera percentuale degli importi
maturati al 31 dicembre 1997;
b-bis) non superiore a 50, limitatamente all’ulteriore versamento del 3,89 per cento degli importi maturati al 31 dicembre
1996 relativi ai dieci dipendenti di più recente assunzione.
211-bis. Il versamento previsto dal comma 211 non è dovuto
per tutti i dipendenti assunti successivamente al 30 ottobre
1996 che determinino incremento del numero degli addetti delle singole aziende.
211-ter. Sono parimenti escluse dal versamento le quote di
accantonamento annuale del trattamento di fine rapporto
comunque imputabili alle forme pensionistiche complementari
di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive
modificazioni e integrazioni.
212. Gli importi indicati al comma 211, da riportare nella
dichiarazione prevista nell’articolo 7 del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, relativa, rispettivamente, al 1997 e al 1998, vanno versati in parti uguali entro il
31 luglio e il 30 novembre dei predetti anni, con le modalità
prescritte per il versamento delle ritenute sui redditi da lavoro
dipendente.
213. L’importo di cui al comma 211, nell’ammontare che risulta
alla data del 31 dicembre di ogni anno, è rivalutato secondo i criteri previsti dal quarto comma dell’articolo 2120 del codice civile.
Esso costituisce credito di imposta, da utilizzare per il versamento delle ritenute applicate sui trattamenti di fine rapporto corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2000, fino a concorrenza del
9,78 per cento di detti trattamenti, ovvero, se superiore, alla percentuale corrispondente al rapporto tra credito di imposta residuo a tale data e i trattamenti di fine rapporto risultanti alla stessa data. Se precedentemente al 1° gennaio 2000 il credito di imposta risulta superiore al 12 per cento dei trattamenti residui, l’eccedenza è utilizzata per il versamento delle ritenute applicate sui
trattamenti la cui corresponsione determina detta eccedenza.
12/2000 il fisco 3257
ATTUALITÀ
- fino a concorrenza della percentuale corrispondente al rapporto tra il credito d’imposta residuo alla data del 1° gennaio 2000 e i trattamenti di
fine rapporto risultanti alla stessa data.
Anno 2000
Occorre verificare se il rapporto credito d’imposta residuo/Tfr al 1° gennaio 2000 è superiore al
9,78 per cento:
78,49/667 = 11,77% > 9,78%
il fisco
La medesima norma stabilisce inoltre che qualora precedentemente al 1° gennaio 2000 il credito
d’imposta risulti superiore al 12 per cento dei trattamenti residui, l’eccedenza è utilizzata per il versamento delle ritenute dovute sui trattamenti che
hanno generato tale eccedenza.
Pertanto, il credito d’imposta è utilizzato, a regime, all’atto del versamento delle ritenute operate
sui trattamenti di fine rapporto corrisposti a
decorrere dal 1° gennaio 2000, nelle misure sopra
indicate.
Tuttavia, se anteriormente al 1° gennaio 2000, il
rapporto tra il credito d’imposta e l’ammontare del
Tfr residuo, calcolato all’atto della corresponsione
dei trattamenti di fine rapporto, è superiore al 12
per cento, l’eccedenza risultante è utilizzata in
sede di versamento delle ritenute operate sui detti
trattamenti.
Alla stregua di quanto sopra esposto, il credito
d’imposta può essere utilizzato, nella misura dell’eccedenza, già a decorrere dal 1° gennaio 1997 e
quindi prima del termine previsto per l’effettivo
versamento dell’anticipo. Ciò in quanto l’obbligazione tributaria nasce già al 31 dicembre 1996
(con riferimento all’anticipo dovuto sul Tfr maturato alla medesima data) ed è stabilito espressamente che l’importo (e quindi non il versamento)
di cui al comma 211 costituisce credito d’imposta,
come tale immediatamente utilizzabile.
Allo stesso modo, ai fini del calcolo dell’eccedenza, a decorrere dal 1° gennaio 1998, si deve tenere
conto del credito d’imposta residuo al 31 dicembre
1997, nonché del credito d’imposta derivante dall’importo dovuto sui trattamenti di fine rapporto
maturati a quest’ultima data.
Il datore di lavoro che, pur ricorrendone le condizioni, non utilizzi l’eccedenza in sede di versamento delle ritenute applicate sui trattamenti di
fine rapporto la cui corresponsione determina l’eccedenza medesima, può comunque computare
successivamente la predetta somma ai fini del calcolo dell’eccedenza ed utilizzarla.
Dal 1° gennaio 2000 il meccanismo di recupero
del credito d’imposta prevede l’applicazione, ai
trattamenti corrisposti a decorrere dalla stessa
data, della percentuale corrispondente al rapporto
tra credito d’imposta residuo e trattamenti di fine
rapporto risultanti al 1° gennaio 2000, qualora
essa risulti superiore al 9,78 per cento dei trattamenti medesimi. Pertanto, al fine di evitare artificiosi aumenti del predetto rapporto, per la determinazione di detta percentuale, il credito d’imposta risultante al 1° gennaio 2000 deve essere depurato dell’ammontare dell’eccedenza che non è stata
utilizzata.
Esempio:
pertanto, il credito d’imposta è utilizzabile fino a
concorrenza dell’11,77 per cento dei Tfr corrisposti
a decorrere dal 1° gennaio 2000”.
Versamento degli acconti Irpef
Questi acconti sono stati iscritti nella voce “Crediti” delle “Immobilizzazioni finanziarie” (B III n.
2) dello stato patrimoniale della società al 31
dicembre 1997 ed al 31 dicembre 1998, in quanto
rappresentano dei crediti verso l’Erario da rivalutarsi alla data del 31 dicembre di ogni anno secondo i criteri previsti dal comma 4 dell’art. 2120 del
codice civile.
La rivalutazione si ottiene applicando un tasso
fisso dell’1,5 per cento maggiorato del 75 per cento
della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Detto provento - che concorre a formare il reddito imponibile (circolare ministeriale n. 196/E
dell’8 luglio 1997) - deve essere imputato al conto
economico alla voce “C) Proventi e oneri finanziari”: n. 16 altri proventi finanziari, lettera a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni.
Le scritture contabili sono le seguenti:
a) versamento dell’acconto Irpef sul Tfr:
Crediti finanziari
a
Banca c/c
………
b) contabilizzazione del provento sul credito:
Crediti finanziari
a
Proventi finanziari
………
3258 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
Nel bilancio al 31 dicembre 1999, l’acconto Irpef sul Tfr ed il relativo provento devono essere così rappresentati:
Stato patrimoniale
B) Immobilizzazioni
..........
..........
III) Immobilizzazioni
finanziarie
..........
C) Trattamento di rapporto
di lavoro subordinato
2) Crediti
..........
d) verso altri
50.000
A)
5.200
A
Conto economico
A) Valore della produzione
..........
B) Costi della produzione
..........
C) Proventi ed oneri finanziari
..........
..........
16) altri proventi finanziari
200
Recupero dell’anticipo Irpef
Dal 1° gennaio 2000 scatta il meccanismo ordinario di recupero dell’acconto Irpef sul Tfr.
Le scritture contabili sono le seguenti:
1) liquidazione del Tfr ai dipendenti:
Fondo Tfr
a
a
a
Diversi
Banca c/c
Erario c/ritenute
a
a
a
Diversi
Banca c/c
Criteri finanziari
………
………
………
=====
2) recupero dell’anticipo Irpef:
Erario c/ritenute
………
………
………
=====
■
12/2000 il fisco 3259
ATTUALITÀ
Il termine
per l’iscrizione a ruolo dell’Iva
nel regime previgente
all’entrata in vigore
del D.Lgs. n. 46/1999
di Francesco Maria Fioretti
Consigliere Corte di Cassazione
Il problema
Il problema che ci si propone di indagare è se il
termine, previsto a pena di decadenza dall’art. 17,
comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (in
vigore fino al 30 giugno 1999) per l’iscrizione a
ruolo delle imposte dirette, liquidate in base agli
accertamenti degli uffici, sia applicabile anche per
l’iscrizione a ruolo dell’Iva.
Il quadro normativo di riferimento
a) il servizio, da istituire nell’ambito del Ministero delle finanze come ufficio centrale alle dipendenze del Ministro, dovrà provvedere alla riscossione dei tributi che secondo le leggi vigenti all’entrata in vigore della presente legge sono riscossi
tramite esattorie e alla riscossione coattiva, in
dipendenza di atto avente efficacia di titolo esecutivo, dell’imposta sul valore aggiunto, delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, delle imposte
sulle successioni e donazioni, dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, delle
imposte di fabbricazione, delle imposte erariali di
consumo e dei diritti doganali nonché alla riscos-
il fisco
L’art. 1, lettera a), della L. 4 ottobre 1986, n.
657 dispone: “Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare le disposizioni occorrenti per l’istituzione e la disciplina del servizio di riscossione dei tributi secondo i seguenti principi e criteri
direttivi:
sione delle pene pecuniarie, delle soprattasse e di
ogni altro accessorio relativi ai predetti tributi;”.
L’art. 2, comma 2, della citata L. n. 657/1986
dispone: “Nell’esercizio della delega saranno rivedute le vigenti disposizioni sulla riscossione dei
tributi e delle altre entrate indicati alle lettere a),
b) e c) del precedente art. 1 e quelle relative ai servizi della riscossione al fine di coordinarle con le
norme emanate in attuazione della delega contenuta nello stesso articolo e assicurare uniformità
di procedure esecutive ispirate a criteri di semplicità e funzionalità”.
Con il D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, emanato ai
sensi dell’art. 1, comma 1, della legge sopra indicata, si provvedeva alla istituzione del servizio di
riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato
e di altri enti pubblici.
L’art. 63 del citato decreto del Presidente della
Repubblica disciplina la riscossione mediante ruoli delle entrate già riscosse tramite esattorie (cioè
la riscossione delle imposte sui redditi), disponendo al comma 4 che per la riscossione coattiva di
tali entrate “continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602,
e successive modificazioni”.
Il successivo art. 67 disciplina la riscossione
coattiva delle tasse e delle imposte indirette, tra le
quali l’imposta sul valore aggiunto, stabilendone al
comma 2 le modalità.
Tale comma dispone, tra l’altro, che l’ufficio
finanziario competente forma il ruolo relativo ai
contribuenti per i quali si procede alla riscossione
coattiva “ai sensi dell’art. 11, terzo comma, del
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602” (la parte compresa tra le virgolette è stata aggiunta dall’art. 3,
comma 11, del D.L. 30 dicembre 1991, n. 417, con-
3260 il fisco 12/2000
L’art. 23 del citato D.Lgs. n. 46/1999 dispone: “Le
disposizioni previste dall’art. 17 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come sostituito dall’art. 6 del
presente decreto, si applicano esclusivamente alle
imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto.”
Infine, l’art. 68 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112
ha abrogato, con effetto dal 1° luglio 1999, il D.P.R.
28 gennaio 1988, n. 43.
Questo il complesso quadro normativo di riferimento.
La tesi dell’Amministrazione finanziaria
il fisco
vertito, con modificazioni nella L. 6 febbraio 1992,
n. 66), e che con decreto del Ministro delle finanze
sono stabiliti tempi, procedure e criteri per la
redazione e la trasmissione dei suddetti ruoli e per
la compilazione meccanografica degli stessi da
parte del consorzio nazionale obbligatorio tra i
concessionari della riscossione.
L’art. 130, comma 2, del menzionato D.P.R. n
43/1988, dispone che “Sono abrogate, altresì, tutte
le disposizioni che regolano, mediante rinvio al
R.D. 14 aprile 1910, n. 639, la riscossione coattiva
delle imposte ... di cui agli artt. 67 ... ed ogni altra
norma incompatibile con la riscossione disciplinata dal presente decreto...”.
L’art. 1 del D.M. 28 dicembre 1989 (recante
istruzioni per la redazione, la trasmissione e la
compilazione meccanografica dei ruoli e adempimenti contabili a carico degli agenti della riscossione per la riscossione coattiva di tasse, imposte
indirette, tributi locali ed altre entrate) - successivamente modificato dai decreti ministeriali 11
maggio 1990 e 10 gennaio 1991 - dispone che “La
riscossione coattiva, in dipendenza di provvedimento avente efficacia di titolo esecutivo dell’imposta sul valore aggiunto ... deve avvenire con le
modalità ed i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602...”.
L’art. 14 del citato decreto ministeriale dispone
che “Per gli adempimenti connessi alla emissione
della cartella di pagamento, alla notificazione della
stessa, al tempo, al luogo e ai modi di pagamento,
nonché al rilascio della quietanza, devono essere
rispettate le disposizioni di cui agli artt. dal 25 al
29, escluso l’art. 28-bis, del D.P.R. n. 602 del 1973”.
L’art. 17 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602,
come sostituito dall’art. 6 del D.Lgs. 26 febbraio
1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), con effetto dal 1°
luglio 1999, dispone: “Le somme dovute dai contribuenti sono iscritte in ruoli resi esecutivi a pena di
decadenza:
a) entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito
dell’attività di liquidazione prevista dall’art. 36-bis
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;
b) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione,
per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’art.
36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;
c) entro il 31 dicembre dell’anno successivo a
quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo,
per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”.
ATTUALITÀ
L’art. 17, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973,
n. 602, vigente fino al 30 giugno 1999, disponeva
che “Le imposte, le maggiori imposte e le ritenute
alla fonte liquidate in base agli accertamenti degli
uffici devono essere iscritte in ruoli formati e consegnati all’intendenza di finanza, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a
quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo”.
L’art. 17, lettera c), del D.P.R. 29 settembre 1973,
n. 602, vigente dal 1° luglio 1999, introdotto dall’art. 6 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, dispone
che le somme dovute dai contribuenti sono iscritte
in ruoli esecutivi a pena di decadenza “entro il 31
dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme
dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”.
L’art. 23 del citato decreto legislativo stabilisce
che le disposizioni dell’art. 17 del D.P.R. n.
602/1973, come sostituito dall’art. 6 summenzionato, “si applicano esclusivamente alle imposte sui
redditi ed all’imposta sul valore aggiunto”.
Nella circolare del Ministero delle finanze 17
settembre 1999, n. 186/E (in “il fisco” n. 35/1999,
pag. 11441), si osserva:
- che l’art. 17, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 su riportato, limitatamente ai termini di riscossione delle imposte dirette da accertamento, conteneva una previsione analoga a quella del “nuovo” art. 17, lettera c);
- che tale ultima norma, per espressa disposizione dell’art. 23 del D.Lgs. n. 46/1999, oltre che
alle imposte sui redditi si applica anche all’Iva;
- che da tale innovazione si debbono trarre
due conseguenze: 1) che per l’Iva (alla quale in
precedenza si applicava la prescrizione ordinaria
decennale) il citato decreto legislativo ha mutato il
precedente assetto normativo [anche in considerazione del fatto che nel D.Lgs. n. 46/1999 mancano
disposizioni attributive di efficacia retroattiva al
citato art. 17, lettera c)] e che, quindi, trattasi di
disposizione avente portata innovativa e, come
tale, deve essere applicata soltanto a partire dal 1°
luglio 1999; 2) che per tutti gli altri tributi restano
fermi i termini prescrizionali di riscossione dettati
dalle singole norme di settore;
- che anche per quanto riguarda gli avvisi di
rettifica e di irrogazione di sanzioni Iva divenuti
definitivi antecedentemente al 1° luglio 1999, per i
quali a tale data non sia ancora provveduto a
riscossione, deve applicarsi la nuova normativa,
12/2000 il fisco 3261
ATTUALITÀ
computando, però, il termine previsto per la iscrizione a ruolo a partire dal 1° luglio 1999.
Osservazioni conclusive
il fisco
È agevole rilevare che l’Amministrazione finanziaria è pervenuta alle conclusioni surriportate
senza minimamente esaminare la legislazione pregressa; l’esame sistematico della normativa precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46/1999, a
sommesso avviso dello scrivente, impone di pervenire a ben altre conclusioni.
L’art. 67 del D.P.R. n. 43 del 1988, per la riscossione coattiva dell’Iva sostituì all’ingiunzione di
pagamento, vidimata e resa esecutiva dal pretore,
l’iscrizione a ruolo, demandando ad apposito
decreto del Ministero delle finanze di stabilire
tempi, procedure e criteri per la redazione dei ruoli; nel contempo l’art. 130, comma 2, del citato
decreto del Presidente della Repubblica con il
disporre l’abrogazione di tutte le disposizioni regolanti mediante rinvio al R.D. 14 aprile 1910, la
riscossione coattiva delle imposte, abrogava anche
i commi 1 e 2 dell’art. 62 del D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633, che disciplinavano la riscossione
coattiva mediante ingiunzione fiscale.
L’art. 1, del D.M 28 dicembre 1989, emanato in
attuazione dell’art. 67 del D.P.R. n. 43/1988 stabilì
che la riscossione coattiva dell’imposta sul valore
aggiunto doveva avvenire con le modalità ed i termini previsti dal D.P.R 29 settembre 1973, n. 602 e
l’art. 14 dello stesso decreto ministeriale rinviò a
disposizioni del citato decreto del Presidente della
Repubblica per gli adempimenti connessi all’emissione della cartella di pagamento (che è notoriamente l’atto con cui si procede alla notificazione
del ruolo al contribuente) ed alla notificazione della stessa.
Tra i termini previsti dal D.P.R. n. 602/1973 rientrava senz’altro anche quello previsto dal comma 3
dell’art. 17 dello stesso decreto del Presidente della
Repubblica, per cui anche i ruoli per la riscossione
dell’imposta sul valore aggiunto, liquidata in base
ad accertamenti dell’ufficio, dovevano essere formati e consegnati, a pena di decadenza, entro il 31
dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento era divenuto definitivo.
Stante quanto precede, non può condividersi la
interpretazione dell’art. 23 del D.Lgs. n. 46/1999,
data dall’Amministrazione finanziaria, la quale
ritiene che tale disposizione abbia esteso anche
all’Iva il termine di decadenza del 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è divenuto definitivo l’accertamento, per procedere all’iscrizione a
ruolo dell’imposta dovuta.
Tale disposizione, tenuto conto di quanto su
esposto e letta, in particolare, in relazione all’art.
67 del D.P.R. n. 43 del 1988, che introdusse lo strumento dell’iscrizione a ruolo per la riscossione
coattiva delle imposte indirette, ed all’art. 1 del
D.M. 28 dicembre 1989 che stabili che la riscossione coattiva di tali imposte doveva avvenire con le
modalità ed i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non ha, come pretende l’Amministrazione, portata estensiva dell’applicazione del
termine e della decadenza previsti dal comma 3
dell’art. 17 del D.P.R. n. 602/1973 (come in vigore
fino al 30 giugno 1999), bensì limitativa.
Con il prevedere che le disposizioni previste dall’art. 17 del D.P.R. n. 602/1973 nella nuova formulazione si applicano esclusivamente alle imposte
sui redditi ed all’imposta sul valore aggiunto, l’art.
23 del D.Lgs. n. 46/1999 ha inteso, per quanto
riguarda la disposizione di cui alla lettera c), limitarla a detti due tributi, chiarendo così che, nonostante il richiamo del D.P.R. n. 602/1973, operato
per gli altri tributi dall’art. 1 del D.M. 28 dicembre
1989, la norma non è applicabile anche a questi
ultimi.
In mancanza della norma dell’art. 23 sopra citato, infatti, l’applicabilità del menzionato art. 17,
lettera c), non solo poteva dedursi dal richiamo
fatto dall’art. 1 del citato decreto ministeriale al
D.P.R. n. 602/1973, ma anche da specifiche previsioni comprese nella disciplina di alcune imposte
indirette, come, ad esempio: l’art. 41 del D.Lgs. 31
ottobre 1990, n. 346 (testo unico delle disposizioni
concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) il quale statuisce che “Per la riscossione coattiva dell’imposta e delle sanzioni amministrative si
applicano le disposizioni del Titolo III del decreto
del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988,
n. 43...”; l’art. 14, comma 1, del D.Lgs. 26 ottobre
1995, n. 504 (testo unico delle disposizioni legislative concernenti “Le imposte sulla produzione e
sui consumi), il quale stabilisce che “Le somme
dovute a titolo d’imposta o indebitamente abbuonate o restituite si esigono con la procedura di
riscossione coattiva prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43, e
successive modificazioni...”.
■
3262 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
Il liticonsorzio necessario
nel processo tributario
Un istituto ancora privo di fisionomia
Casi veri o presunti
di liticonsorzio necessario
di Luigi Visconti
Avvocato in Roma
due commi del citato articolo, che così testualmente stabiliscono:
L’art. 14 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (1),
in attuazione di una espressa previsione contenuta
nella legge delega, detta la disciplina degli istituti
del litisconsorzio necessario e dell’intervento nel
processo tributario, di cui peraltro, sotto il vigore
della precedente disciplina, era stata già riconosciuta l’applicabilità anche nei giudizi dinanzi alle
Commissioni tributarie.
“1. Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte
nello stesso processo e la controversia non può
essere decisa limitatamente ad alcuni di essi.
2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei
confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è
ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza”.
La disciplina è chiaramente mutuata da quella
del litisconsorzio necessario contenuta nell’art.
102 del codice di procedura civile, che testualmente stabilisce:
1. Per quanto riguarda specificamente il litisconsorzio, la relativa disciplina è contenuta nei primi
Art. 14
Litisconsorzio ed intervento
1. Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi.
2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti
i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del
contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un
termine stabilito a pena di decadenza.
3. Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in
giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari
dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso.
4. Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme
prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili.
5. I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi
nelle forme di cui al comma precedente.
6. Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente
non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse al
momento della costituzione è già deciso il termine di decadenza.
il fisco
(1) D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546
“Se la decisione non può pronunciarsi che in
confronto di più parti, queste devono agire o essere convenute nello stesso processo.
Se questo è promosso da alcune o contro alcune
soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del
contraddittorio in un termine perentorio da lui
stabilito”.
Oltre che nei casi in cui è la stessa legge che lo
prescrive - anche per motivi di mera opportunità
- la dottrina ritiene che nel processo civile in
genere danno luogo a litisconsorzio necessario le
azioni costitutive che si riferiscono ad un mutamento di uno stato giuridico che non può operarsi che nei confronti di tutti i soggetti coinvolti (ad
esempio, l’azione di scioglimento della comunione). Viceversa si ritiene che non determinano il
litisconsorzio necessario le azioni di condanna in
quanto esse tendono ad ottenere una prestazione
12/2000 il fisco 3263
ATTUALITÀ
2. I criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nell’ambito del processo civile non possono essere applicati tout court al processo tributario, sia per le caratteristiche di quest’ultimo, sia
anche per la natura pubblicistica dei rapporti che
ne formano oggetto, spesso caratterizzati da situazioni complesse in cui più soggetti sono interessati
all’atto di imposizione, ma in posizione e per titoli
differenti.
il fisco
che può essere data separatamente da ciascuno
degli obbligati.
La giurisprudenza a sua volta include nel litisconsorzio necessario, non solo le azioni che tendono al mutamento di un rapporto o stato giuridico, ma anche le controversie che, più in generale,
hanno per oggetto un rapporto giuridico indivisibile, che cioè non può esistere che in un unico
modo nei confronti di più soggetti.
Il litisconsorzio, in altri termini, sarebbe necessario quando la sentenza, se resa soltanto nei confronti di alcuni soggetti, sarebbe inutiliter data
cioè, inidonea a produrre effetti tra coloro che
hanno partecipato al giudizio. L’inscindibilità di
cui parla la norma deve essere intesa, quindi,
come una impossibilità logico-giuridica di pervenire ad una decisione del giudizio idonea a produrre
effetti giuridici senza la presenza di tutti i soggetti
interessati.
Orbene, poiché la regola che serve a individuare
i soggetti che devono partecipare al giudizio è
quella della legittimazione ad agire e poiché in forza di tale regola legittimati a partecipare al processo sono i titolari attivi o passivi del rapporto
sostanziale che si fa valere in giudizio, ne consegue che il litisconsorzio necessario riguarda esclusivamente ipotesi in cui il rapporto sostanziale che
forma oggetto del processo ha più soggetti dal lato
attivo o da quello passivo, o da entrambi. La pluralità dei soggetti è tuttavia una condizione essenziale ma non sufficiente, essendo anche necessario
che il provvedimento richiesto al giudice riguardi
situazioni giuridiche che possono essere create o
modificate esclusivamente nei confronti della totalità dei soggetti interessati e non solo nei confronti
di alcuni di essi.
Ed a tale ultimo concetto si richiama in qualche
modo la circolare del Ministero delle finanze, 23
aprile 1996, n. 98/E (in “il fisco” n. 18/1996, pag.
4526), nel punto in cui commenta i primi due
commi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546. Nella citata
circolare si legge infatti: “circa l’inscindibilità tra
più soggetti richiamata dalla norma, si precisa che
trattasi di una necessaria compresenza nel rapporto processuale di una pluralità di soggetti che
costituiscono un’unica parte del processo tributario”.
Il richiamo alla necessaria compresenza nel rapporto processuale di più soggetti è, tuttavia, una
formula generica non idonea ad individuare in
concreto i casi di litisconsorzio.
In effetti la disciplina contenuta nei primi due
commi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992, si configura, al pari di quella dell’art. 102 del codice di
procedura civile, come una tipica norma in bianco, cioè una norma il cui contenuto generico va
necessariamente integrato sulla base di altre
disposizioni normative, ovvero va determinato dal
giudice sulla base di criteri logico-giuridici dedotti
dal complesso dell’ordinamento, con specifico riferimento alla branca di esso a cui appartengono i
rapporti dedotti in giudizio. Se così è, allora si
tratta di ricercare nell’ambito dell’ordinamento
giuridico, e di quello tributario in particolare, quali sono i presupposti perché in una controversia
d’imposta dinanzi alle Commissioni tributarie si
configuri l’ipotesi del litisconsorzio necessario, per
il fatto che l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti.
L’oggetto del ricorso cui si riferisce la norma, se
inteso in senso tecnico, è il provvedimento che si
chiede al giudice e detto provvedimento è costituito di solito dall’annullamento dell’atto di impugnazione (cioè un provvedimento di tipo costitutivo),
ma può anche consistere in una condanna alla
restituzione delle somme indebitamente pagate
(ipotesi questa espressamente contemplata ora
dall’art. 69 del D.Lgs. n. 546).
Orbene se si volessero applicare nel processo tributario i principi elaborati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza nell’ambito del processo civile, si
dovrebbe concludere che in tutti i casi in cui il
processo tributario ha per oggetto un atto di
annullamento dell’imposizione a cui sono interessati più soggetti passivi si determina sempre una
ipotesi di litisconsorzio necessario. Tale conclusione, tuttavia, è decisamente respinta dalla dottrina
e dalla giurisprudenza.
Prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina del contenzioso tributario, la dottrina e la giurisprudenza erano orientate a negare che nella ipotesi di solidarietà tributaria si dovesse applicare l’istituto del litisconsorzio necessario (2). In particolare era stato ritenuto che non sussistesse litisconsorzio sia nel caso delle controversie in materia di
imposta di registro sui contratti (al cui pagamento
sono solidalmente obbligate ambedue le parti), che
nelle controversie in materia di imposta di successione in presenza di una pluralità di eredi. Più in
generale la dottrina prevalente negava che in campo tributario si potessero individuare casi concreti
di litisconsorzio necessario di natura sostanziale e
tale opinione non è mutata con l’entrata in vigore
del D.Lgs. n. 546.
3. Esiste, tuttavia, un caso nel quale la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione ha
ritenuto che sussista il litisconsorzio necessario
anche nel processo tributario ed è quello delle con(2) In tal senso, fra l’altro: Cass. n. 6426 del 23 luglio 1987
(in “il fisco” n. 40/1987, pag. 6274).
3264 il fisco 12/2000
(3) In tal senso, fra le altre: Cass., SS.UU., 7 ottobre 1994, n.
8194 e 27 ottobre 1993, n. 10685 (in “il fisco” n. 9/1994, pag.
2343).
(4) In tal senso, fra le altre: Cass., 16 giugno 1987, n. 5344.
(5) In tal senso: Cass., SS.UU., 5 febbraio 1988, n. 1200 (in “il
fisco” n. 14/1988, pag. 2243).
il fisco
troversie promosse dal sostituito d’imposta nei
confronti del sostituto per pretendere il pagamento di quella parte del suo credito che il convenuto
abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d’imposta (sia essa d’acconto o a titolo definitivo) (3).
In questi casi, per un lungo periodo di tempo, la
giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva
ritenuto che la controversia fosse di competenza
dell’Autorità giudiziaria ordinaria, in quanto il
rapporto fra sostituto e sostituito ha carattere privatistico e non tributario. Viceversa, si riconosceva
che fossero di competenza delle Commissioni, perché di carattere tributario, le controversie promosse dal sostituto o dal sostituito nei confronti della
Amministrazione finanziaria per ottenere il riconoscimento del diritto al rimborso della ritenuta
indebitamente effettuata (4). Tale indirizzo è stato
completamente modificato a partire dalla fine
degli anni ottanta, allorché la Corte di Cassazione
pervenne alla conclusione che “il giudice ordinario
non può pronunciarsi sulla legittimità della ritenuta non soltanto in via principale con efficacia vincolante verso l’Amministrazione finanziaria, ma
neppure incidenter tantum, con effetti limitati alle
parti private” (5).
Fra gli argomenti coi quali la Corte di Cassazione giustificò il nuovo indirizzo, merita di essere
sottolineato quello basato sul fatto che l’orientamento precedente conduceva al risultato di esporre colui che ha effettuato la ritenuta al rischio di
pagare due volte la stessa somma, in base a due
pronunce contrastanti provenienti da due giudici
diversi (il civile nel processo fra sostituto e sostituito e quello tributario nel processo fra sostituto e
Amministrazione finanziaria).
È evidente che tale argomento trova fondamento
soprattutto in considerazioni di carattere pratico,
e nella consapevolezza della irrazionalità e sostanziale ingiustizia dei risultati a cui poteva condurre
il riconoscimento di una competenza giurisdizionale del giudice ordinario a conoscere delle controversie fra sostituito e sostituto circa la legittimità delle ritenute effettuate.
Il cambiamento di indirizzo giurisprudenziale è,
quindi, la conseguenza di un mutamento profondo
della prospettiva con cui viene esaminato il problema e denota il progressivo affermarsi dell’idea che
alcune questioni di carattere processuale in materia tributaria non possono essere risolte sulla scorta di regole tecnico-giuridiche elaborate in altri
campi del diritto, ma devono essere esaminate
anche alla luce dei principi costituzionali di ragio-
ATTUALITÀ
nevolezza dell’imposizione e dell’imparzialità e
giustizia dell’azione amministrativa.
Di tale mutato orientamento è possibile trovare
una significativa conferma anche nella sentenza
della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 7053
del 22 giugno 1991 (in “il fisco” n. 27/1991, pag.
4550), con la quale, accogliendo un preciso segnale
della Corte Costituzionale (ordinanze n. 544 del 17
dicembre 1987 e n. 870 del 21 luglio 1988), la
Suprema Corte statuiva il principio che il condebitore rimasto estraneo al giudizio può giovarsi del
giudicato favorevole ottenuto da uno degli altri
condebitori. In questa circostanza la Corte di Cassazione individuò nel principio della capacità contributiva, sancito dall’art. 53 della Costituzione,
l’argomento decisivo a favore della conclusione
accolta. Il mutato indirizzo giurisprudenziale non
ha avuto fino ad oggi una compiuta evoluzione ed
allo stato non si è ancora pervenuti ad una adeguata e sistematica enucleazione di principi idonei a
risolvere le numerose e complesse problematiche
che si possono presentare nella fase contenziosa
allorché l’obbligazione tributaria coinvolge a vario
titolo diversi soggetti. Si pensi ai casi delle imposte
con obbligo di rivalsa caratterizzate dal fatto che il
soggetto economicamente inciso è diverso da quello che assume la qualifica di parte del rapporto tributario (come è il caso dell’Iva) ed ai problemi che
si pongono in caso di controversie instaurate in
sede civile dai soggetti che hanno subito la rivalsa
nei confronti del fornitore o produttore in merito
alla legittimità dell’applicazione del tributo. Neppure la nuova disciplina di cui al D.Lgs. n.
546/1992 ha contribuito a superare le numerose
incertezze.
In effetti il decreto si è limitato a introdurre in
modo espresso nel contenzioso dinanzi alle Commissioni gli istituti del litisconsorzio necessario e
dell’intervento volontario, con una norma chiaramente derivata da quella del codice di procedura
civile, che ad un attento esame si è rivelata assolutamente inidonea ad assumere un contenuto precettivo concreto.
C’è motivo di pensare che l’introduzione nel processo tributario di un istituto modellato sullo schema di quello del processo civile rappresenti in
qualche modo un trapianto fra organismi diversi,
perciò destinato all’insuccesso. Pertanto, a meno
che non si voglia superare il dato normativo per
riconoscere al giudice il potere di sancire il litisconsorzio necessario in tutti i casi nei quali egli
ne ravvisi l’opportunità, bisogna convenire con la
dottrina prevalente che difficilmente nel processo
tributario si verificano casi di rapporti plurisoggettivi inscindibili, nei quali è necessario che la sentenza venga pronunciata nei confronti di tutti gli
interessati. L’ostacolo insuperabile è rappresentato
dal fatto che, ai sensi del comma 1 dell’art. 14 più
volte citato, l’oggetto del ricorso deve riguardare
inscindibilmente più soggetti e ciò non si verifica
né nel caso di solidarietà tributaria, né nel caso di
12/2000 il fisco 3265
ATTUALITÀ
il fisco
sostituzione tributaria, né tanto meno nei casi in
cui il soggetto passivo di imposta è diverso dal soggetto che subisce gli effetti economici del tributo.
Sono tutte ipotesi nelle quali l’imposizione coinvolge gli interessi di più soggetti, senza però creare
situazioni giuridiche plurisoggettive assimilabili a
quelle che nel diritto civile determinano il litisconsorzio necessario.
Allo stato della normativa, quindi, non solo non vi
è la possibilità di dare una soluzione soddisfacente
ad alcune problematiche, ma esiste il rischio di
un’estensione abnorme da parte della giurisprudenza dell’istituto del litisconsorzio a fattispecie per le
quali mancano del tutto le condizioni ed i presupposti. Una conferma di ciò è fornita dalla recentissima sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I civ.,
23 novembre 1999, n. 12991 (in “il fisco” n. 11/2000,
pag. 3199), con la quale è stato affermato che nella
controversia fra Amministrazione finanziaria e
sostituito (percettore delle somme), sulla tassabilità
di alcune somme pagate dal sostituto, anche quest’ultimo deve intervenire come liticonsorte necessario ai fini della pienezza del contraddittorio. Si tratta di una sentenza, priva di precedenti in termini,
che, trascurando la diversità delle situazioni giuridiche sostanziali, estende ad una fattispecie in qualche modo opposta le conclusioni raggiunte dalla
giurisprudenza in materia di controversia fra sostituito e sostituto per la restituzione della ritenuta. Le
motivazioni giuridiche sono in ogni caso poco chiare ed assolutamente non convincenti.
A conclusione di questo rapido excursus sulle
problematiche del litisconsorzio necessario, si
ritiene utile prendere in esame il caso, molto frequente nella pratica, del ricorso proposto dal soggetto che ha subito le ritenute, contro il rifiuto
espresso o tacito dell’Amministrazione finanziaria
al rimborso delle ritenute, richiesto ai sensi dell’art. 38, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973.
Il problema da esaminare è quello relativo alla
eventuale sussistenza di un litisconsorzio necessario.
La conclusione cui si ritiene di dover pervenire è
che in questo caso manchino completamente i presupposti per affermare la sussistenza di un litisconsorzio necessario e che il giudizio debba svolgersi unicamente fra il sostituito e l’Amministrazione finanziaria, in quanto il provvedimento che
il giudice tributario è chiamato a prendere (riconoscimento del diritto al rimborso e relativa condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle
somme) è destinato a spiegare i suoi effetti unicamente nei confronti del sostituito senza alcun
riflesso per il soggetto (sostituto) che ha effettuato
le ritenute.
In effetti, il comma 2 dell’art. 38 del D.P.R. n.
602/1973, prevede espressamente il potere da parte
del sostituito di agire in via autonoma direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria
per ottenere il rimborso delle ritenute che egli
assuma di avere subito illegittimamente. La norma
in questione sancisce quindi la titolarità per il
sostituito di un diritto al recupero della imposizione indebitamente subita, che prescinde completamente dal rapporto di sostituzione in forza del
quale l’erogatore delle somme ha effettuato il prelievo per conto dello Stato.
La sentenza che accoglie o respinge il ricorso è
destinata ad esaurire i suoi effetti nei confronti del
sostituito (6). Pertanto, non sussiste litisconsorzio
necessario perché l’oggetto del ricorso non riguarda inscindibilmente più soggetti, come richiede il
comma 1 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992.
■
(6) Il sostituito potrebbe essere sentito in questo tipo di giudizio soltanto come testimone, qualora la prova testimoniale
fosse ammessa nel processo tributario; come è noto, tuttavia,
ciò non è previsto dall’attuale normativa del procedimento
presso le Commissioni tributarie.
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costituisce, a livello mondiale, un’industria con
volume d’affari di circa 1.100 miliardi di dollari,
con circa 19 milioni di occupati (esclusi i volontari), operante nei servizi sociali, nel settore ricreativo ed ambientale, dell’istruzione e della salute (4).
Premessa
(1) L’espressione “terzo settore” fu usata, per la prima volta,
nel rapporto Un progetto per l’Europa, prodotto da Jacques
Delors, in ambito comunitario, nel 1988. Tale espressione pone
l’accento sulla nascita di una realtà economica che si pone a
metà strada tra settore pubblico e settore privato, presentando
- quanto all’impegno sociale, culturale ed ambientale - caratteri
e finalità propri del primo e - quanto al modello di organizzazione aziendale - l’assetto economico-produttivo proprio del
secondo.
(2) Cfr. Abrahmson-Salamon, The non-profit sector and the
new federal budget, Washington D.C., 1986, pagg. 81-87;
Anheier-Seibel, The third sector. Comparative studies of non profit organizations, Leiden, 1990, pagg. 20-21. Secondo il Centro
informativo del Dipartimento Entrate del Ministero delle finan-
il fisco
Le Onlus (Organizzazioni non lucrative di utilità
sociale) costituiscono un sotto-insieme del più
vasto ambito del cosiddetto non profit, o “terzo settore”, che negli ultimi due decenni è venuto all’attenzione degli studiosi di varie discipline (giuridiche, sociologiche, economico-aziendali), in concomitanza con il progressivo smantellamento dello
Stato sociale (1).
Il termine non profit, di derivazione anglosassone, indica, appunto, le organizzazioni not for
profit, cioè non aventi scopo di lucro e rivolte ad
attività tradizionalmente demandate allo Stato. È
per questo che le organizzazioni di questo tipo
sono anche dette State oriented, in contrapposizione alle organizzazioni for profit, che operano invece per il mercato (e che perciò sono denominate
market oriented) (2).
ze, alla fine dei 1999, in Italia, erano 16.083 le richieste d’iscrizione all’Anagrafe unica delle Onlus, dato questo cui vanno
aggiunte le Onlus “di diritto” che, in quanto tali, non sono tenute ad inviare nessuna comunicazione, ai sensi dell’art. 11 del
D.Lgs. n. 460/1997.
(3) Che le istituzioni religiose vadano ricomprese nell’alveo
delle “aziende non profit” è sostenuto, da ultimo, da
Fiorentini-Slavazza, La Chiesa come azienda non profit, Milano,
1998; Cfr., in particolare, pagg. 31-39, ove gli Autori riprendono
la classificazione di Cassler, The economic of non-profit enterprise, Baltimora, 1986, pag. 42, degli enti non-profit in: 1) Agenzie
di raccolta fondi; 2) Organizzazioni di produzione per i propri
membri; 3) Organizzazioni di produzione per l’esterno; 4) Congregazioni religiose.
(4) Si tratta del The Johns Hopkins comparative non profit
sector project, presentato a Bruxelles il 5 novembre 1998. Per un
commento dei relativi risultati, cfr. Jesi, Non-profit, l’ottava
potenza mondiale, in “Il Sole-24 Ore” del 16 novembre 1998,
pag. 10. Secondo i dati pubblicati da “Indico 3”, nel 1998, in
Italia sono presenti 4.250 cooperative sociali, 130 organizzazioni non governative, circa 10.600 associazioni di volontariato.
Secondo la stessa fonte, il terzo settore impiega, in Italia,
oltre 690.000 persone ed in esso operano oltre 5 milioni di
3268 il fisco 12/2000
volontari. Cfr., in proposito, ancora Jesi, Il terzo settore vale
690mila occupati, in “Il Sole-24 Ore” dell’8 novembre 1999,
pag. 11.
(5) Cfr., in proposito C. Bianchi, Qualche notazione sul terzo
settore, in “Il modello aziendale come modello di economicità”,
Roma, 1998, pagg. 125-129, il quale nega che gli enti non profit
possano costituire un modello aziendale autonomo. Quanto
alla compatibilità di tali enti con un regime di concorrenza, cfr.
le preoccupazioni espresse da Gobbo, Le non profit organizations e la tutela della concorrenza, in “Rivista di politica economica”, ottobre 1997.
(6) Cfr. Tabet, Onlus - profili soggettivi della fattispecie, in “Il
fisco” n. 8/1998, pagg. 2888 e seguenti, che attribuisce al D.Lgs.
n. 460/1997 il merito di aver finalmente delimitato i presupposti soggettivi per le agevolazioni fiscali ed anche i caratteri
distintivi della specie delle Onlus dal genus del non profit.
il fisco
La vastità del fenomeno ha condotto qualche
autore a domandarsi se gli enti non profit costituiscano un modello “a sé” di organizzazione aziendale e se le attività da essi poste in essere siano
compatibili con una logica di concorrenza, atteso
che essi si presentano comunque come “aziende”,
destinate ad operare sul mercato, ancorché non
spinte da finalità lucrative (5).
È stato anche evidenziato come la tematica del
non profit sfugga alla netta ripartizione, fissata dal
legislatore del codice civile, tra enti cosiddetti
“morali”, disciplinati nel Libro I, ed enti a scopo di
lucro, compresi nel Libro V. Difficile anche l’inquadramento degli enti in parola nel sistema tributario uscito dalla riforma del 1971, che distingueva,
sostanzialmente, tra “imprese” ed “enti non commerciali”, ed in particolare tra le attività tipicamente “commerciali” (art. 2195 del codice civile) e
le altre attività (6).
Proprio dalla difficoltà di ridurre ad un unico
genus la vasta platea di soggetti, in astratto qualificabili come non profit, traggono origine i vari tentativi di riordino del settore, sia sul piano civilistico che su quello fiscale. Tra gli obiettivi perseguiti
dal legislatore non è certo secondario quello di
favorire l’ingresso dei privati nel sociale, ritenendosi, da un lato, che essi potessero operarvi con
criteri di maggiore economicità, e prendendosi
atto, dall’altro, che gli stretti vincoli di bilancio
imponevano il progressivo abbandono, da parte
dell’apparato statale, di iniziative tradizionalmente
assegnate alla sua competenza.
In quest’ottica vanno visti gli interventi legislativi prodottisi, dalla metà degli anni ottanta, per
disciplinare le organizzazioni “senza scopo di
lucro” operanti in diversi ambiti: da quello religioso (L. 20 maggio 1985, n. 222), alla cooperazione
allo sviluppo (ove è intervenuta la L. 26 febbraio
1987, n. 49, volta a disciplinare il “riconoscimento”
delle organizzazioni non governative all’uopo istituite), al volontariato (ove è intervenuta la legge
quadro dell’11 agosto 1991, n. 266), alle cooperative sociali (L. 8 novembre 1991, n. 381), nella duplice finalità di gestione di servizi socio-sanitari ed
ATTUALITÀ
educativi, o di attività produttive destinate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Così, sull’esempio del modello statunitense delle
tax-exempt organizations, ed in attuazione della
delega contenuta nell’art. 3, comma 189, della L.
23 dicembre 1996, n. 662, è stato emanato il D.Lgs.
4 dicembre 1997, n. 460, recante il “Riordino della
disciplina tributaria degli enti non commerciali e
delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, nell’intento, appunto, di mettere mano in via
definitiva alla riforma del “terzo settore”, a cominciare dagli aspetti fiscali.
Il decreto si preoccupa, in particolare, di enucleare, nell’ambito della vasta categoria dei soggetti non profit, quelle organizzazioni che si caratterizzano per lo svolgimento di attività istituzionali
“socialmente apprezzabili”, fornendo un’indicazione tassativa di tali attività, ritenute ex lege “non
commerciali”, e perciò meritevoli di agevolazioni
fiscali, sia ai fini delle imposte sul reddito che dell’Iva. Non solo: i proventi delle attività connesse a
quelle “socialmente apprezzabili” sono anch’essi
considerati insuscettibili di concorrere alla formazione del reddito.
Il decreto s’incarica poi di stabilire quali enti, tra
quelli non commerciali, possano essere inclusi nel
sotto-insieme delle Onlus e quali, invece, siano
destinati a non farne parte.
Di particolare interesse sono anche le disposizioni in materia di regimi contabili.
Infine, viene istituita un’anagrafe delle Onlus ed
un’autorità di vigilanza sul possesso dei requisiti
previsti (7).
Il D. Lgs. n. 460/1997 e le norme regolamentari
emanate successivamente hanno ulteriormente
accentuato la crescita del settore non profit in Italia. A due anni dall’entrata in vigore del citato
decreto appare incontestabile l’impatto prodotto
dall’attività degli enti in parola, e delle Onlus in
particolare, nel contesto economico e sociale, per
l’enorme massa di denaro che essi riescono a muovere e per il numero di persone che sono capaci di
coinvolgere.
Ma proprio la consapevolezza di questa realtà ha
indotto i competenti organi istituzionali - e tra
essi, in primo luogo, il Ministero delle finanze e la
Guardia di finanza - ad apprestare adeguate forme
di controllo nei confronti dei suddetti enti, al fine
di prevenire abusi, sia sotto il profilo delle agevolazioni fiscali di cui questi ultimi indubbiamente
godono, in forza delle citate disposizioni normative, sia sotto il profilo della reale destinazione delle
risorse che vengono a conseguire.
In quest’ottica s’inquadra la presente trattazione,
volta ad offrire un contributo agli operatori del(7) La norma ad hoc in proposito è stata modificata dall’art.
14 della L. 13 maggio 1999, n. 133, recante “Disposizioni in
materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale”, pubblicata nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17 maggio 1999.
12/2000 il fisco 3269
ATTUALITÀ
l’Amministrazione finanziaria addetti ai controlli
nello specifico settore, avuto riguardo sia agli
obblighi contabili il cui regolare assolvimento essi
si troveranno a verificare, sia al corretto esercizio
del potere di accesso nelle sedi o nei locali in uso a
tali organizzazioni, sia, infine, al “progetto investigativo”, che deve presiedere l’attività di controllo
nei confronti dei citati enti.
Ciò nella consapevolezza che, indipendentemente dal dibattito aperto sull’effettiva possibilità di
comprendere gli enti in parola nell’ambito dei consueti modelli aziendalistici, essi costituiscono, tuttavia e sotto molti aspetti, una novità nell’universo
dei soggetti economici nei confronti dei quali è
rivolta l’attività ispettiva di tipo fiscale.
1. Esercizio del potere d’accesso nei confronti
delle Onlus
(8) Pubblicata nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17 maggio 1999.
il fisco
La L. 23 dicembre 1996, n. 662, pur lasciando
invariata la generale disciplina dei controlli fissata
dal D.P.R. n. 633/1972 e dal D.P.R. n. 600/1973, ha
previsto, nei commi 190-192 dell’art 3, concernenti
lo specifico ambito degli enti non commerciali e
delle Onlus, l’istituzione di un “organismo di controllo”, che operasse accanto a quelli già esistenti
(uffici delle Entrate, uffici Iva, Comandi della
Guardia di finanza), per assicurare “la corretta
osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia di terzo settore”, nonché la tutela
da abusi da parte di enti che svolgono l’attività di
raccolta dei fondi e di sollecitazione della fede
pubblica attraverso l’impiego dei mezzi di comunicazione”.
In particolare, per effetto dell’entrata in vigore
dell’art. 14 della L. 13 maggio 1999, n. 133 (8), che
ha sostituito l’art. 3, comma 191, della L. n.
662/1996 citata, risultano assegnati a tale organismo i “... più ampi poteri di indirizzo, promozione
e ispezione per la corretta osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia di terzo settore ...”, nonché il potere di “... adottare
provvedimenti di irrogazione di sanzioni di cui
all’articolo 28 del D. Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460”.
La stessa L. n. 133/1999 ha inserito nell’art. 3
della legge delega n. 662/1999 il comma n. 192-bis,
a tenore del quale è attribuito ad un successivo
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il
compito di stabilire “... la sede, l’organizzazione
interna, il funzionamento, il numero dei componenti e i relativi compensi, i poteri e le modalità di
finanziamento dell’organismo di controllo ...”.
Ad oggi, l’organismo non è stato ancora istituito
e, dunque, pur tenendo conto della volontà del
legislatore delegante di mettere mano a questa
materia, non scindibile da quella delle agevolazioni fiscali concesse alle Onlus in presenza dei relati-
vi presupposti, la funzione di controllo resta per il
momento assegnata, in via principale, agli uffici
delle Entrate (art. 33, comma 1, del D.P.R. n.
600/1973), ed agli uffici Iva (art. 52 del D.P.R. n.
633/1972) nonché, in via di concorso, ai Reparti
della Guardia di finanza (artt. 33, comma 2, del
D.P.R. n. 600/1973, e 63 del D.P.R. n. 633/1972).
La funzione di controllo si esplica mediante l’esercizio dei poteri d’accesso, ispezione e venfica,
cioè di quell’insieme di poteri esercitabili, anche
senza il consenso del contribuente, al fine di accertarne l’effettiva capacità contributiva e reprimere
l’evasione e le altre violazioni.
Il potere di accesso, cioè il potere di “ingresso e
permanenza, anche contro la volontà dell’interessato, in locali ed ambienti” (9) è regolato, sostanzialmente, dall’art 52 del D.P.R. n. 633/1972, cui
rinvia anche l’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973, in
materia di accertamento delle imposte sui redditi.
Poiché le norme in questione non sono state
modificate dal D.Lgs. n. 460/1997, si è posto il problema se, per procedere ad accesso presso le Onlus
sia necessaria “l’autorizzazione del procuratore
della Repubblica” (art. 52, comma 1) e, in caso
positivo, se essa abbia sostanzialmente natura di
“atto dovuto”, ovvero debba avere quale suo indefettibile presupposto l’esame dei “gravi indizi di
violazioni”.
L’art. 52, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972,
ammette infatti “... l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o
professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta
e per la repressione ... delle altre violazioni. Tuttavia, per accedere in locali che siano adibiti anche
ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione
del procuratore della Repubblica”.
Come si vede, la norma non menziona anche “gli
uffici ed i locali di enti non commerciali”, lasciando così intendere che, per questi ultimi, non sia
sufficiente l’ “apposita autorizzazione che ne indica
lo scopo rilasciata dal capo dell’ufficio ...” (art. 52,
comma 1, del D.P.R. n. 633/1972; art. 33 del D.P.R.
n. 600/1973) ovvero, per i militari della Guardia di
finanza, “previo ordine del Comandante di Reparto” (10).
A dirimere ogni dubbio procedurale interviene il
comma 2 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, per il
quale “... L’accesso in locali diversi da quelli indicati
può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi
(9) Cfr. Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996,
pag. 256.
(10) Cfr. artt. 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, 33, comma
2, del D.P.R. n. 600/1973 e circolare n. 1/98, in data 20 ottobre
1998, del Comando generale della Guardia di finanza (in allegato a “il fisco” n. 47/1998), Vol. I, pag. 72.
3270 il fisco 12/2000
(11) Cfr., per tutti, Manzoni, Potere di accertamento e tutela
del contribuente, Milano, 1993, pag. 247. RUSSO, Manuale di
diritto tributario, cit., pag. 257, ricomprende invece, tra i locali
in parola, anche “le sedi di enti che non svolgono attività d’impresa”.
(12) Le ispezioni e gli accertamenti “a fini fiscali” sono peraltro ammessi dall’art. 14, comma 2, della Costituzione anche nei
riguardi del domicilio, e “regolati da leggi speciali”.
l’ente e dell’attività in concreto esercitata, non
potendosi ritenere che un’associazione sia arbitra
della propria intassabilità” (13).
Ed è evidente che solo un accertamento in concreto, cioè presso l’ente, possa dirimere ogni dubbio sulla sussistenza dei presupposti per le agevolazioni fiscali previste dal D.Lgs. n. 460/1997.
A ritenere diversamente si darebbe corpo ad un
paradosso sistematico. Il D.Lgs. n. 460/1997, infatti, sul piano sostanziale:
a) stabilisce criteri di stretta interpretazione
per la concessione delle agevolazioni fiscali, fissando divieti ed obblighi a carico delle Onlus e modificando in varie parti la disciplina in materia di
imposte sui redditi e di Iva;
b) stabilisce il criterio generale ed i parametri
cui ricondurre la qualificazione dell’ente come
“ente non commerciale”, ai fini delle imposte sui
redditi e dell’Iva, ed il venir meno di tale qualifica.
il fisco
indizi di violazioni ... allo scopo di reperire libri,
registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”.
L’interpretazione letterale dei due commi su
richiamati assimila gli uffici ed i locali costituenti
la sede dell’attività di un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale, o comunque in uso alla
medesima, al domicilio privato, richiedendo per
l’accesso presso tali locali non solo l’elemento formale dell’autorizzazione del procuratore della
Repubblica, ma anche la previa e sostanziale valutazione, da parte di quest’ultimo, della sussistenza
dei “gravi indizi di violazioni” e stabilendo che ad
esso possa procedersi solo al fine di reperire libri,
registri, documenti, scritture” ed altre “prove”
(non più indizi) delle violazioni.
Tale interpretazione appare - in seguito alla
modifica dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, ad opera dell’art. 18, comma 2, lettera e), della L. 30
dicembre 1991, n. 413, che ha innovato alla disciplina dell’accesso presso studi professionali, facendo venir meno anche in tali ipotesi la previa autorizzazione del pubblico ministero - per lo meno
anacronistica.
In dottrina, si ritiene comunemente che il citato
comma 2 sia applicabile all’accesso presso locali
assimilabili al domicilio, o comunque ad esclusivo
uso privato, quali la seconda o la terza casa, autorimesse, soffitte, scantinati, nonché natanti, aeromobili ed automezzi (11).
In altre parole: se l’interesse costituzionale tutelato dalla norma dell’art. 52 è quello dell’inviolabilità del domicilio, sancita dall’art. 14 della Costituzione, desta perplessità la lettura della norma
medesima, nel senso di ricomprendere tra i detti
locali anche quelli costituenti la sede o luoghi
secondari degli enti non commerciali, soprattutto
perché non c’è nessuna norma costituzionale che
tuteli l’inviolabilità della sede.
Tale non è infatti l’art. 14 della Costituzione, che
salvaguarda le “garanzie prescritte per la tutela
della libertà personale”, con ciò intendendo che
l’inviolabilità del domicilio è posta a tutela della
persona e non del luogo. E non lo è nemmeno l’art.
18 della Costituzione, che nel riconoscere il diritto
di associarsi senza autorizzazione, non stabilisce
alcuna “immunità” delle associazioni da ispezioni
e controlli (12).
Anzi, proprio la Corte Costituzionale, dichiarando l’insufficienza del principio dell’autoproclamazione ha precisato che la concessione dei benefici
va effettuata “alla stregua della reale natura del-
ATTUALITÀ
Lo stesso decreto fissa, infine, sul piano procedurale e dell’accertamento, obblighi di tenuta delle
scritture contabili e di rendiconto annuale o speciale per gli stessi enti.
Appare dunque paradossale che, sul piano dell’accertamento, viga in favore degli enti non commerciali, e delle Onlus in particolare, una concreta
immunità dal controllo, superabile solo con una
specifica autorizzazione del pubblico ministero ed
in vista di “gravi indizi di violazioni”, condizione
che pone a carico dei verificatori una sorta di diabolica probatio su fatti e circostanze che possano
in concreto reggere ad un “sostanziale” controllo
di legittimità da parte dell’Autorità giudiziaria. Il
sistema appare tanto più paradossale per il fatto
che si è contemporaneamente in procinto di creare
un organo ad hoc, munito dei “più ampi poteri ...
di ispezione” (14).
Che di immunità dall’accertamento gli enti non
commerciali, e le Onlus in particolare, non possano godere, sembra peraltro confermato dalla circolare n. 100, in data 4 gennaio 1999, del Comando
generale della Guardia di finanza, recante “Pro(13) Così Corte Costituzionale, 19 novembre 1992, n. 467,
Presidente Corasaniti (in “il fisco” n. 45/1992, pag. 10831).
(14) Il problema del corretto esercizio del potere d’accesso
dell’Amministrazione finanziaria nei confronti degli enti non
commerciali in generale, e delle Onlus in particolare, sembra in
buona parte eluso dagli Autori che si sono fin qui occupati dell’universo non profit, salvo per quelli provenienti dal Corpo della Guardia di finanza. Il silenzio dei più sull’argomento appare
quantomeno singolare, ove si ponga mente al lamentato smantellamento della “rete dei reparti verifiche contabili, operanti
prima dell’inspiegabile soppressione degli Ispettorati compartimentali delle Imposte dirette ed indirette” e si auspica “un adeguato sfruttamento dei poteri previsti dai decreti sull’accertamento dei redditi e dell’Iva, intervenendo con accessi in loco, in
un settore come quello degli enti non profit, con problematiche
non risolvibili mediante i soliti espedienti presuntivi, come l’ultima ‘invenzione’ degli studi di settore”. Così: A. e C. Palazzolo,
Enti non commerciali. La questione dei controlli, in “Il fisco” n.
25/1999, pag. 8309.
12/2000 il fisco 3271
ATTUALITÀ
(15) Così circolare n. 100 del Comando generale della Guardia di finanza, cit., pag. 10, paragrafo 2.3.1.2, criterio n. (4). I
“criteri per la selezione dei settori economici e delle posizioni
soggettive a più alto potenziale di pericolosità fiscale” risultano,
peraltro, confermati per l’anno 2000. Cfr., in proposito, pag. 3,
paragrafo 2.1., della circolare n. 8000, in data 18 gennaio 2000,
dello stesso Comando generale, avente ad oggetto: “Programmazione dell’attività di servizio nel comparto della prevenzione
e della repressione delle violazioni degli obblighi tributari.
Anno 2000.”
(16) Cfr G. Gallo, Profili problematici dell’attività di verifica
nei confronti delle Onlus, in “Il fisco” n. 41/1998, pagg. 1327913280.
il fisco
grammazione dell’attività di servizio nel comparto
della prevenzione e repressione delle violazioni
agli obblighi tributari”, che inserisce tra i settori i
quali, a livello centrale, sono da ritenere connotati
da una potenziale “pericolosità fiscale”, e pertanto
“verificabili”, appunto, quello concernente gli enti
non commerciali, onde effettuare nei loro confronti “il controllo dei requisiti che li ammettono ad
usufruire delle previste agevolazioni fiscali” (15).
Si deve, dunque, ritenere che la mancata inclusione degli enti non commerciali tra quelli oggetto
d’accesso, senza autorizzazione del pubblico ministero, costituisca una svista del legislatore, della
quale appare auspicabile una sollecita revisione.
Non sembra invece condivisibile la tesi di chi
ritiene che quando la Onlus svolga unicamente
attività istituzionali, ai sensi dell’art. 111-ter del
Tuir, l’accesso presso la sua sede debba essere
autorizzato dal pubblico ministero, nei modi e nei
termini di cui all’art. 52, comma 2, citato, mentre
negli altri casi sia sufficiente l’autorizzazione del
capo dell’ufficio o l’ordine del Comandante del
Reparto della Guardia di finanza (16).
A parte la difficoltà pratica di distinguere preventivamente i locali adibiti all’esercizio di attività
istituzionali da quelli adibiti ad attività connesse,
va rilevato che proprio l’art. 111-ter del Tuir citato,
assimilando sotto il profilo dell’assoggettamento
all’imposizione i due tipi di attività, rende applicabile la disciplina dell’art. 52, comma 2, del D.P.R.
n. 633/1972 anche ai locali adibiti all’esercizio di
attività connesse posto che, non concorrendo i
proventi derivanti da queste ultime alla formazione del reddito imponibile, anche i relativi locali
non possono essere acriticamente ritenuti suscettibili di ogni “rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta”, mentre l’accesso volto alla
“repressione dell’evasione e delle altre violazioni”
richiede la sussistenza di “gravi indizi”.
L’interpretazione qui suggerita trova, peraltro,
conforto nelle istruzioni ministeriali per la compilazione del Modello UNICO 2000 di dichiarazione
dei redditi per gli enti non commerciali ed equiparati.
Nel paragrafo R1, sottoparagrafo 1.3., infatti, si
legge che, relativamente alle attività istituzionali
ed a quelle connesse, “non sussiste (per le Onlus)
l’obbligo di dichiarazione”, mentre le stesse “sono
tenute a presentare la dichiarazione per i soli redditi fondiari e diversi, ... (dovendo includere questi
ultimi) rispettivamente nei quadri RA/RB e RL”.
Quindi, anche il fatto che le diverse attività (istituzionali e connesse) possano esercitarsi in locali
diversi non legittima l’accesso presso alcuni di essi
senza l’autorizzazione del procuratore della
Repubblica, posto che entrambe risultano irrilevanti ai fini della produzione del reddito.
In altre parole: l’autorizzazione all’accesso è
comunque richiesta per la verifica di attività che
non si presentino ictu oculi commerciali, agricole,
artistiche o professionali, mentre la ricerca dei
“gravi indizi” che legittimino un accesso presso
una Onlus, è rivolta a sostenere che, dietro lo
schermo di una proclamata finalità solidaristica si
svolga in realtà un attività commerciale o comunque soggetta, in tutto o in parte, ad imposizione.
Tutto ciò offre un quadro eloquente della disparità di trattamento che, almeno sul piano procedurale, il legislatore ha riconosciuto agli enti in parola. Tuttavia, a legislazione invariata, per poter accedere presso la sede di una Onlus, la previa autorizzazione del procuratore della Repubblica risulta
imprescindibile (17).
I “gravi indizi di violazioni” debbono riguardare
non tanto i requisiti fissati dall’art. 10 del D.Lgs. n.
460/1997, quanto piuttosto la sussistenza dei presupposti per la qualifica di ente non commerciale,
ex art. 111-bis del Tuir, e cioè riferirsi ad elementi
informativamente acquisiti concernenti:
- la prevalenza delle immobilizzazioni relative
all’attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività;
- la prevalenza dei ricavi derivanti da attività
commerciale rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;
- la prevalenza dei redditi derivanti da attività
commerciali rispetto alle entrate istituzionali,
intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative;
- la prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti
spese.
(17) Alle stesse conclusioni perviene Quintavalle Cecere, Enti
non profit e potere d’accesso della Guardia di finanza, in “Rivista
della Guardia di finanza” n. 4/1999, luglio-agosto 1999, pag.
1762. Sul piano operativo, cfr. circolare n. 1/98 del Comando
generale della Guardia di finanza, cit., Vol. I, pag. 80, che esplicitamente richiama gli “uffici di enti che non esercitino attività
industriale, commerciale o agricola, circoli privati, eccetera”.
Fanno eccezione le cooperative sociali le quali, benché considerate Onlus “di diritto”, costituiscono un unicum nell’universo
non profit. La relativa disciplina di riferimento è quella dell’impresa (artt. 2511 e seguenti del codice civile) e questo giustifica
una diversa considerazione sia dei proventi derivanti dalle attività da esse esercitate (cfr. art. 111-ter del Tuir e L. n. 381/1991)
sia l’assoggettamento agli stessi obblighi contabili previsti per
le società (cfr. art. 20-bis del D.P.R. n. 600/1973). Nei loro confronti si rende pertanto applicabile l’art. 52, comma 1, del
D.P.R. n. 633/1972, quanto all’esercizio del potere di accesso.
3272 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
I gravi indizi di violazioni possono anche riguardare il superamento, ex art. 10, comma 5, del
D.Lgs. n. 460/1997, da parte dei ricavi derivanti
dalle attività connesse, della soglia del 66 per cento
delle spese complessive dell’organizzazione.
Sarà infine necessario indicare quali elementi
inducano a ritenere che presso i locali oggetto della richiesta di accesso possano rinvenirsi libri,
registri, documenti e scritture (18).
2.1. Sul possesso dei requisiti formali necessari al
godimento dei benefici fiscali
Una volta iniziato il controllo ispettivo nei confronti di un ente iscritto all’Anagrafe unica delle
Onlus detenuta presso il Ministero delle finanze
(art. 11 del D.Lgs. n. 460/1997), ovvero presso una
Onlus “di diritto”, l’attenzione dei verificatori non
potrà limitarsi a riscontrare la rispondenza degli
atti di gestione con le prescrizioni imposte dalla
normativa fiscale, ma dovrà prendere in considerazione la sua struttura complessiva, ivi incluso, dunque, il possesso dei requisiti formali necessari al
godimento dei benefici di legge.
Tale operazione risulta peraltro pregiudiziale ad
ogni altra, posto che ove manchi anche una sola delle condizioni legittimanti la qualifica di Onlus, l’ente
perde il diritto al trattamento di favore e le attività
da esso poste in essere andranno a ricadere nell’ambito della disciplina generale fissata per gli enti non
profit (artt. 1-9 del D.Lgs. n. 460/1997) ovvero, addirittura, per gli enti commerciali (artt. 111-bis del
Tuir e 4, comma 9, del D.P.R. n. 633/1972) (21).
A tale riguardo, l’indagine è volta a verificare:
2. L’oggetto del controllo ispettivo
- il possesso dei requisiti formali richiesti dalla legge;
- la natura dell’attività effettivamente svolta;
- la struttura dell’apparato contabile.
(18) A tale riguardo sarà necessario che gli operanti accertino
preventivamente la circostanza che tutte o parte delle scritture
contabili dell’ente siano detenute presso uno studio professionale o un centro di elaborazione dati.
il fisco
Il controllo ispettivo consta, per usare l’espressione dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, di “ispezioni, verificazioni e ricerche ed ... ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre
violazioni”.
Esso si sostanzia nell’esame delle scritture contabili dell’ente e più in generale di tutta la documentazione rilevante ai fini impositivi, per acclararne la regolarità formale e la sostanziale veridicità ed esattezza, nell’individuazione dell’entità,
della consistenza e della qualità degli elementi
soggettivi ed oggettivi utilizzati nell’ambito dell’attività svolta dall’ente, ed infine nel reperimento di
documenti e cose utili al fine delle successive contestazioni (19).
Più in particolare, per gli organi di polizia tributaria, il controllo ispettivo si concretizza in una
vera e propria indagine di polizia amministrativa,
condotta sulla base di elementi atti ad evidenziare
una potenziale pericolosità fiscale del contribuente e
condurre realisticamente ad un incremento delle
entrate erariali (20). Esso, insomma, traduce in atti
formali un progetto investigativo, predisposto, in
sede di selezione dei soggetti da sottoporre al controllo, ed è volto a comprovare, sul campo, la fondatezza degli elementi informativi previamente
acquisiti.
Con specifico riferimento alle Onlus, una volta
ottenuta dal competente pubblico ministero l’autorizzazione all’accesso, il controllo ispettivo, ossia
l’attività di verifica, dovrà concentrarsi su tre aspetti fondamentali, tutti suscettibili di fornire elementi
concretamente rivelatori della meritevolezza dei
benefici fiscali di cui l’ente verificato gode:
- se il soggetto giuridico può essere Onlus;
- il settore o i settori di attività e la possibilità
di fruire del regime agevolato;
- l’adeguamento delle norme statutarie alle
previsioni di legge;
- il perseguimento di finalità di solidarietà
sociale secondo le previsioni di legge;
- la precisa delimitazione delle attività istituzionali contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto;
- l’adempimento degli obblighi di comunicazione all’Anagrafe unica delle Onlus;
- l’uso corretto dell’acronimo “Onlus”.
I citati elementi concorrono tutti ad illustrare,
sotto il profilo soggettivo-formale, la sussistenza in
capo all’ente dei presupposti per fruire dello speciale regime fiscale previsto a favore delle Onlus.
Essi andranno poi messi in relazione con le altre
risultanze del controllo, inerenti l’esame della
natura delle attività in concreto esercitate e dell’impianto contabile posto in essere, per offrire
obiettivi elementi di valutazione circa l’avvenuto
rispetto della normativa fissata dal D.Lgs. n.
460/1997 (22).
(21) Cfr., in senso conforme, G. Gallo, Profili problematici dell’attività di verifica ..., cit., pag. 13272. La circolare 168/E in
data 26 giugno 1998, del Dipartimento Entrate (in “il fisco” n.
28/1998, pag. 9347), in Premessa, precisa, d’altro canto, che “la
delimitazione dei requisiti che qualificano le Onlus assume
valenza generale nel sistema tributario” e, più oltre, al paragrafo 1.2., che “è del tutto ovvio come le clausole imposte statutariamente alle Onlus costituiscono vincoli ai quali di fatto le
stesse devono necessariamente adeguarsi”.
(19) Cfr. Russo, Manuale di diritto tributario, cit., pag. 256.
(20) Cfr. circolare n. 1/98 del Comando generale della Guardia di finanza, cit., pagg. 5 e 10.
(22) Sull’attività di controllo dei requisiti formali degli enti
non commerciali cfr., più ampiamente, Propersi-Rossi, Gli enti
non profit, Milano, 1998, pagg. 275-282.
12/2000 il fisco 3273
ATTUALITÀ
il fisco
In particolare, con riguardo al requisito della
soggettività giuridica per poter diventare Onlus, il
D.Lgs. n. 460/1997 esclude dal novero dei soggetti
abilitati (art. 10, comma 10), gli enti pubblici, le
società commerciali diverse da quelle cooperative,
i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni
sindacali, le associazioni dei datori di lavoro e le
associazioni di categoria.
Quanto al settore o settori di attività va ricordato
che essi sono tassativamente elencati dalla lettera
a) del comma 1, dell’art. 10 del D.Lgs. n. 460/1997,
e che nell’atto costitutivo o statuto della Onlus
deve risultare [art. 10, comma 1, lettera c)] il
divieto di svolgere attività diverse da quelle elencate, salvo che non si tratti di attività direttamente
connesse.
Per quel che concerne il perseguimento di finalità
di solidarietà sociale, appare sufficiente che lo statuto rechi l’indicazione della categoria o delle categorie di “persone svantaggiate”, cui è rivolta l’attività istituzionale o, in materia di tutela dell’ambiente, verso quali settori di tutela dell’ambiente
intenda rivolgersi, ad esclusione del riciclaggio e
della raccolta di rifiuti solidi.
Non può certo demandarsi ai verificatori il compito di stabilire quando una persona possa definirsi “svantaggiata” in ragione di condizioni psichiche o sociali o familiari e, in ogni caso, con quali
mezzi accertare tali condizioni. A tale proposito,
potrebbe farsi forse riferimento alla disciplina che
regola la particolare materia nelle cooperative
sociali (Onlus “di diritto”, ai sensi dell’art. 10, comma 8, del D.Lgs n. 460/1997), e che richiede che la
condizione di persona svantaggiata risulti da
“documentazione prodotta dalla pubblica amministrazione, fatto salvo il diritto alla riservatezza”
(23). Allo stesso modo, appare problematica la
determinazione del “quando” un’attività sia diretta
alla “valorizzazione del patrimonio ambientale”.
Si è al riguardo osservato che le espressioni usate dal legislatore introducono una sorta di presunzione di finalità solidaristica in favore dell’ente
(24). Ma proprio questa circostanza richiede una
delimitazione il più possibile puntuale, in sede di
redazione dell’atto costitutivo, dell’ambito personale o reale, in cui l’ente intenda svolgere la sua
attività.
Il problema sollevato è direttamente collegato a
quello della delimitazione dell’attività istituzionale
che pure deve essere contenuta nell’atto costitutivo, nel quale dovranno pertanto essere valutate
con estrema attenzione tutte le formule vaghe e
generiche idonee a creare confusione sulla reale
natura dell’attività in concreto esercitata.
Infine, va segnalato il controllo dell’avvenuta trasmissione del modello di comunicazione all’Ana-
grafe unica delle Onlus, ex art. 11 del D.Lgs. n.
460/1997.
Al riguardo, deve richiamarsi la circolare n.
82/E, in data 12 marzo 1998, del Dipartirnento
Entrate (in “il fisco” n. 13/1998, pag. 4107), la quale, a seguito del D.M. 19 gennaio 1998, ha precisato che l’iscrizione all’Anagrafe ha effetto costitutivo
ai fini della qualificazione come Onlus degli enti
interessati e pertanto essi possono beneficiare delle agevolazioni soltanto se effettuano la comunicazione di cui sopra.
Va peraltro segnalato che l’omesso invio della
comunicazione comporta a carico dei rappresentanti legali e dei membri degli organi amministrativi delle Onlus, la sanzione amministrativa da lire
200 mila a 2 milioni, ai sensi dell’art. 28, comma 1,
lettera b), del D.Lgs. n. 460/1997.
Il citato decreto ministeriale non ha previsto l’allegazione alla comunicazione dello statuto dell’ente, cosicché viene meno, per l’organo ricevente, la
possibilità di verificare la sussistenza, se non altro
formale, dei requisiti richiesti dalla legge per l’ottenimento della qualifica di Onlus.
Pertanto la comunicazione assume il valore di
una vera e propria autocertificazione. Ma proprio
questa circostanza implica inevitabilmente una
maggiore responsabilizzazione degli organi deputati al controllo circa il possesso dei requisiti formali per il godimento dei benefici fiscali.
Un ultimo aspetto concerne l’uso indebito della
denominazione “Onlus” o di locuzioni corrispondenti.
Al riguardo va solo segnalato che la constatazione della violazione comporta la sanzione amministrativa da lire 600 mila a lire 6 milioni.
2.2. Sulla natura dell’attività effettivamente svolta
Il controllo ispettivo dell’attività in concreto
esercitata dall’ente costituisce l’aspetto sostanziale
dell’opera dei verificatori e dipende, naturalmente,
dal “progetto investigativo” che è alla base del programmato intervento.
In linea generale, gli aspetti che non possono
essere trascurati sembrano i seguenti:
- l’individuazione, in concreto, delle attività
considerate “connesse”;
- l’avvenuto rispetto delle condizioni poste
dalla legge per l’esercizio di tali attività: non prevalenza rispetto a ciascuno dei settori in cui si esplica l’attività istituzionale e proventi non superiori al
66 per cento delle spese complessive;
- rispetto delle norme concernenti il prestito
di lavoratori dipendenti da imprese o altri enti;
- verifica dell’osservanza degli adempimenti
concernenti i beni gratuitamente devoluti dalle
(23) Cfr. art. 4, comma 3, della L. 8 novembre 1991, n. 381.
(24) Cfr. ancora, G. Gallo, Profili problematici..., cit., pag.
13275.
(25) Cfr., ancora, G. Gallo, Profili problematici ..., cit., pag.
13276.
3274 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
imprese, con particolare riferimento alla loro
destinazione;
- verifica dei parametri per la perdita della
qualifica di ente non commerciale;
- analisi delle fonti di finanziamento dell’ente,
con particolare riguardo all’attività di fund raising.
il fisco
Con riferimento alle attività “connesse” sono tali
le attività, indicate nello statuto, di assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico,
promozione della cultura e dell’arte e tutela dei
diritti civili, svolte nei confronti del “pubblico” in
genere, senza cioè che i soggetti beneficiari versino
in condizioni di “svantaggio”.
Restano pertanto escluse dal novero delle “attività connesse” tutte le operazioni effettuate dall’ente, verso corrispettivo, che non rientrino nell’elenco fissato dall’art. 10, comma 5, del D.Lgs. n.
460/1997. Queste debbono considerarsi, a tutti gli
effetti, “commerciali”, salvo la previsione dell’art.
111 del Tuir, commi 4-bis, 4-ter e 4-quater, per specifiche attività svolte a favore degli iscritti, associati o partecipanti, potendo in questo caso includere
le attività stesse nel novero di quelle “accessorie”
per natura a quelle statutarie e dunque non concorrenti alla formazione del reddito complessivo.
L’attenzione dei verificatori andrà concentrata
sull’esercizio dell’attività complessivamente svolta
dall’ente, valutando se le “altre attività” siano tali per loro natura e per modalità di esercizio - da
distorcere le finalità solidaristiche per le quali
l’ente stesso si è, almeno da un punto di vista formale, costituito, così da rendere l’espressione
“organizzazione non lucrativa di utilità sociale”
un mero schermo all’esercizio, in condizioni fiscali di favore, di un’autentica attività commerciale.
In quest’ottica va anche esaminato l’avvenuto
rispetto delle condizioni poste dalla legge per l’esercizio delle attività connesse, in primo luogo quella
della “non prevalenza” di queste ultime rispetto
alle attività istituzionali.
Poiché, come è stato correttamente rilevato (25),
il legislatore non ha precisato i criteri per stabilire
quando le attività connesse o accessorie debbano
considerarsi prevalenti, tale condizione deve essere
rapportata alle particolari caratteristiche delle
Onlus.
Così, ad esempio, potrebbe rivelarsi addirittura
fuorviante l’assumere a criterio di prevalenza quello basato sull’attività che genera i maggiori proventi, posto che, nella maggior parte dei casi, le
attività istituzionali non producono entrate, in
quanto svolte in maniera gratuita, o producono
“necessariamente” minori entrate, perché svolte a
prezzi sensibilmente inferiori a quelli di mercato.
Peraltro, le attività istituzionali non sono soggette,
ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n. 460/1997, all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante
ricevuta o scontrino fiscale.
Un criterio “obiettivo” appare quello incentrato
sul rapporto tra i soggetti beneficiari delle attività
istituzionali, rispetto ai soggetti (persone o enti)
nei confronti dei quali si esplicano le attività “connesse” o accessorie.
Quanto al rapporto del 66 per cento tra proventi
da attività connesse e spese complessive, particolare cura andrà posta dai verificatori nel controllo
dei documenti di spesa, e delle relative modalità di
pagamento, perché la limitazione potrebbe indurre
le Onlus a gonfiarne l’ammontare, mediante l’utilizzo di fatture false, al fine di mantenere nei limiti
il detto rapporto.
Quanto al rispetto delle norme concernenti il prestito di lavoratori dipendenti da imprese o altri enti,
a parte l’esame dei documenti atti a comprovare
che il lavoratore è stato assunto a tempo indeterminato presso l’ente erogante il prestito, e l’esame
della convenzione tra quest’ultimo e la Onlus interessata, nonché la possibilità di effettuare controlli
incrociati, mediante l’invio di questionari all’ente
erogante, i verificatori dovranno anche constatare,
in concreto, il settore d’impiego del lavoratore fornito in prestito. Il suo utilizzo per attività “connesse” o accessorie, piuttosto che per attività istituzionali, costituisce un indizio circa la prevalenza delle
une rispetto alle altre.
Discorso analogo concerne l’osservanza dell’adempimento degli obblighi relativi a beni gratuitamente devoluti dalle imprese.
Il rispetto degli adempimenti consente l’esenzione dall’Iva [art. 10, n. 12) del D.P.R. n. 633/1972].
Ove i beni fossero destinati ad attività diverse da
quelle istituzionali, le Onlus decadrebbero dai
benefici e le operazioni di acquisto sarebbero soggette ad imposta.
La verifica dei parametri per la perdita della qualifica di ente non commerciale costituisce senz’altro la parte più complessa dell’indagine di polizia
tributaria nei confronti delle Onlus.
Sulla prevalenza dei ricavi derivanti da attività
commerciali rispetto al “valore normale” delle
cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali si è già detto. Va solo rilevata la difficoltà
di assumere a parametro il “valore normale”
posto che i beni ceduti dalla Onlus, gratuitamente, a persone svantaggiate, potrebbero a loro volta
essere stati ceduti gratuitamente da privati o enti,
come pure le prestazioni di servizi essere rese
gratuitamente da professionisti, nell’ambito della
loro opera di volontariato, quali iscritti o associati, presso la Onlus. Cosicché il parametro assunto
rischia di comparare tra loro grandezze non comparabili.
Più obiettivo appare il parametro della prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale, rispetto alle restanti attività, perché è evidente che se, ad esempio, le strutture sanitarie dell’ente fossero impiegate, solo in via occasionale, a
fini di solidarietà, non si potrebbe ragionevolmente sostenere che le prevalenti attività svolte a favore di terzi, verso corrispettivi, o in regime convenzionato, siano “connesse” a quelle istituzionali.
12/2000 il fisco 3275
ATTUALITÀ
(26) Si pensi alle campagne di sensibilizzazione che si risolvono nello svolgimento di manifestazioni che sfruttano il mezzo di diffusione televisiva, anche per 24 ore di seguito, e nelle
quali il marchio dello sponsor principale, in genere una banca,
viene esposto, con carattere di continuità, durante il corso delle
manifestazioni medesime.
2.3. Sulla struttura dell’apparato contabile
Il controllo ispettivo sulla struttura dell’apparato
contabile concerne:
- l’impianto contabile e l’utilizzo di semplificazioni;
- l’impostazione e la chiarezza del rendiconto;
- la presenza dell’organo di revisione, nei casi
previsti.
il fisco
Il parametro della prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali, rispetto alle entrate istituzionali, presenta il pregio dell’esatta individuazione di queste ultime: contributi, sovvenzioni,
liberalità e quote associative, le quali debbono
lasciare una traccia documentale nell’ente, onde
evitare abusi nel senso di dissimulare, attraverso
tali forme, i corrispettivi derivanti da attività commerciale.
Per quel che concerne il parametro della prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività
commerciale rispetto alle restanti spese, questo è
direttamente speculare a quello del limite del 66
per cento, riferito alle spese complessive rispetto ai
proventi derivanti da attività connesse .
Il pericolo è quello dell’omessa fatturazione in
acquisto da parte della Onlus per quel che concerne l’attività commerciale, onde scongiurare il
venir meno della qualifica di ente non commerciale.
L’ultimo aspetto da sottoporre a controllo per
stabilire la natura dell’attività effettivamente svolta
concerne l’analisi delle fonti di finanziamento dell’ente, con particolare riguardo all’attività di fund
raising.
Per quanto non soggetto a particolari formalità,
dal rendiconto della situazione patrimoniale debbono risultare “adeguatamente”, secondo l’espressione usata dall’art. 25 del D.Lgs. n. 460/1997, le liquidità immediate e gli investimenti finanziari, nonché i finanziamenti a breve e a medio-lungo termine, distintamente per attività istituzionali e per
quelle connesse, nonché il patrimonio con vincolo
di destinazione. Nella situazione economica e
finanziaria la Onlus dovrà evidenziare i proventi
da flusso di quote, donazioni e contribuzioni, quelle derivanti da iniziative e campagne di fund raising ed, infine, quelli derivanti da gestione finanziaria e patrimoniale, secondo criteri di chiarezza e
trasparenza.
Dovranno poi risultare assolti gli adempimenti
specifici concernenti le campagne di raccolta dei
fondi, dovendosi precisare “in modo chiaro e trasparente” gli scopi della raccolta, fornire l’identificazione dei soggetti coinvolti ed illustrare il successivo impiego delle nsorse a disposizione.
Un accurato controllo dell’attività in parola
potrebbe rivelare comportamenti evasivi consistenti nell’indiretta distribuzione di utili - ai sensi
dell’art. 10, comma 6, del D.Lgs. n. 460/1997 - ai
soggetti eroganti i fondi, realizzata, ad esempio,
attraverso concomitanti prestazioni pubblicitarie
rese a questi ultimi (26).
Per quanto concerne l’impianto contabile va in
primo luogo osservato che il legislatore ha previsto, nell’art. 20-bis del D.P.R. n. 600/1973, a pena
di decadenza dai benefici fiscali previsti per le
Onlus, un doppio regime contabile.
In relazione all’attività complessivamente svolta,
la Onlus deve tenere e conservare, per un periodo
non inferiore a dieci anni, scritture cronologiche e
sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed
analiticità le operazioni poste in essere.
In relazione alle attività direttamente connesse (o
accessorie) le Onlus devono tenere e conservare le
scritture contabili indicate negli artt. 14, 15, 16 e
18 del D.P.R. n. 600/1973, le quali, ove i proventi
da esse derivanti non siano superiori a 30 milioni
per le prestazioni di servizi e a 50 milioni per le
cessioni di beni, possono essere sostituite da quelle
previste dal regime contabile contemplato dall’art.
3, comma 166, della L. n. 662/1996.
Quando, infine, i proventi derivanti dall’attività
complessivamente svolta non superino i 360 milioni di lire (27), la Onlus può, anziché tenere le scritture cronologiche e sistematiche e fermi restando
gli obblighi contabili inerenti alle attività connesse, redigere un rendiconto dal quale debbono risultare, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le
spese.
Questo, in sintesi, è l’impianto contabile previsto
dal D.Lgs. n. 460/1997.
Ora, mentre la mancata istituzione delle scritture sopra indicate comporta ex lege la decadenza
dai benefici fiscali, la norma non dice in quale sanzione incorrano le Onlus in caso di mancanza di
“compiutezza ed analiticità” nelle scritture cronologiche.
Sembra, al riguardo, di difficile applicazione
l’art. 39, comma 2, lettera d), del D.P.R. n.
600/1973, quando le omissioni, le false o inesatte
indicazioni o le irregolarità formali siano così gravi, numerose e ripetute, da rendere le scritture
stesse inattendibili nel loro complesso “per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità
sistematica”, anche se tale espressione è molto
simile a quella dell’art. 20-bis sopra citato, che
impone alle Onlus la tenuta di “scritture cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiu(27) Il limite, originariamente fissato in lire 100 milioni, è
stato elevato al livello indicato nel testo, a decorrere dal 1° gennaio 2000, da ultimo, con l’art. 25, comma 2, della L. 13 maggio
1999, n. 133.
3276 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
tezza ed analiticità ...”. Infatti: da un lato, l’art. 39
in parola limita i casi di accertamento in via induttiva del reddito con riferimento ai soli libri previsti
dall’art. 14 del D.P.R. n. 600/1973. D’altro canto,
non tutte le scritture indicate nell’art. 20-bis su
richiamato prevedono particolari adempimenti di
carattere formale.
Certo è, però, che l’impianto contabile delle
Onlus deve rispettare sostanziali criteri di sistematicità, completezza ed analiticità, in assenza dei
quali è dato ai competenti uffici il potere di dichiarare la decadenza dai benefici fiscali, ovvero procedere ad ulteriori accertamenti, per esempio,
quelli che utilizzano l’accesso ai dati bancari.
Così operando si può verificare:
benefici fiscali (28), va riconosciuta, dall’altro,
l’inesistenza di norme giuridiche (29) o tecniche
(30), volte a fissare l’ambito ed il contenuto della relazione stessa, non potendosi, pertanto,
desumere da una sua eventuale sinteticità, l’inattendibilità dell’impianto contabile complessivo.
3. Organo competente a ricevere le segnalazioni concernenti il mancato possesso dei requisiti di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 460/1997
- la prevalenza delle attività connesse rispetto
a quelle istituzionali, ovvero che l’ammontare dei
proventi riferito alle prime superi il 66 per cento
delle spese complessive dell’ente;
- l’accertamento di ricavi derivanti da attività
connesse in misura superiore a quello per il quale
è ammesso il regime contabile semplificato di cui
all’art. 3, comma 166, della L. n. 662/1996.
il fisco
In entrambi i casi, è prevista la perdita della
qualifica di Onlus a carico dell’ente.
Quanto all’impostazione ed alla chiarezza del rendiconto sulla situazione patrimoniale, economica e
finanziaria, rilevato che anche per esso non sono
previsti particolari requisiti d’ordine formale,
potendo essere redatto secondo lo schema delle
sezioni contrapposte, ovvero secondo lo schema
scalare, è necessario però che ne emerga compiutamente il complesso delle attività svolte dall’ente,
distintamente per categoria, e che alle poste indicate corrisponda una dettagliata documentazione
delle operazioni effettuate.
Avendo il legislatore privilegiato “la sostanza sulla forma” viene offerto ai verificatori un ampio
margine di discrezionalità nel valutare l’intellegibilità e l’adeguatezza del rendiconto, fino a consentire all’Amministrazione finanziaria di determinare
in via induttiva il reddito, ove l’impianto contabile
complessivo (libri, registri, scritture, documenti e
rendiconto) non rispecchi, secondo i cennati criteri, la reale attività di gestione dell’ente.
Per quel che riguarda l’organo di revisione, l’art.
25 del D.Lgs. n. 460/1997 richiede, nel caso in cui i
proventi dell’attività complessiva superino, per un
biennio consecutivo, i due miliardi, che il rendiconto sia accompagnato da una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel
registro dei revisori contabili.
Se, da un lato, la mancanza di tale relazione
dovrebbe comportare ex lege la decadenza dai
Il D.Lgs. n. 460/1997 non specifica a quale organo dell’Amministrazione finanziaria competa
dichiarare la perdita della qualifica di ente non
commerciale e di disporre la cancellazione dall’Anagrafe unica delle Onlus per il mancato possesso
dei requisiti.
L’art. 28 del citato decreto stabilisce soltanto la
competenza dell’ufficio delle Entrate, nel cui territorio si trova il domicilio fiscale della Onlus, ad irrogare le sanzioni specifiche previste da tale norma.
Si è già visto come identico potere è attribuito,
ai sensi dell’art. 3, comma 191, della L. n.
662/1996, per effetto delle modifiche introdotte
dall’art. 14 della L. n. 133/1999, all’ “Organismo di
controllo degli enti non commerciali e delle
Onlus».
Pertanto anche a tale organo dovranno essere
inviate, in uno con il processo verbale di constatazione redatto al termine della verifica, le segnalazioni in parola, affinché esso eserciti, anche in
tale materia, i poteri concernenti “la corretta
osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia di terzo settore” attribuitigli
dalla legge.
■
(28) Cfr. circolare n. 168/E, in data 26 giugno 1998, del Dipartimento Entrate, paragrafo 8, terz’ultimo periodo.
(29) Si allude, ad esempio, ad un documento simile alla
“Nota integrativa” di cui all’art. 2427 del codice civile, o alla
“Relazione dei sindaci” di cui all’art. 2429 dello stesso codice.
(30) Non sono stati ancora elaborati in Italia, a due anni dall’emanazione del D.Lgs. n. 460/1997 - a cura della Commissione
paritetica per la statuizione dei principi contabili - principi contabili, o di revisione, relativamente agli enti non profit, diversamente da quanto è avvenuto, ad esempio, negli Stati Uniti d’America, ove vige da tempo, in materia, lo Standard for Charitable Solicitation.
12/2000 il fisco 3277
ATTUALITÀ
Perdite fiscali
e credito
di imposta sui dividendi
Nella prima fase di applicazione del nuovo sistema (abrogazione della maggiorazione di conguaglio), l’utilizzo di perdite fiscali da parte dell’azionista comportava un effetto distorsivo che limitava
l’utilizzo del credito di imposta limitato.
A seguito di una modifica disposta con decorrenza dal 1999 è stato eliminato tale effetto distorsivo e pertanto, ad oggi, l’utilizzo delle perdite
fiscali dell’azionista è ininfluente ai fini della fruizione del credito di imposta limitato.
di Pierangelo Bianco
e Alessandra Piazzino
Dottori commercialisti in Milano
Premessa
Il rapporto fra le perdite fiscali ed il credito di
imposta sui dividendi è radicalmente cambiato nel
passaggio dal vecchio al nuovo sistema di determinazione del credito di imposta sui dividendi disciplinato dal D.Lgs. n. 467 del 18 dicembre 1997.
A) Perdite fiscali pregresse della società emittente e
determinazione del credito di imposta sui dividendi:
sistema previgente
Le perdite fiscali della società emittente
Le perdite fiscali dell’azionista
Nel vecchio sistema (maggiorazione di conguaglio), l’utilizzo di perdite fiscali da parte dell’azionista era ininfluente ai fini della fruizione del credito di imposta sui dividendi riscossi.
il fisco
Nel vecchio sistema (maggiorazione di conguaglio), l’utilizzo di perdite fiscali da parte della
società emittente comportava un beneficio fiscale
- in termini di credito di imposta - pari all’Irpeg
corrispondente alle perdite compensate con il reddito imponibile.
Viceversa, nel nuovo sistema (abrogazione della
maggiorazione di conguaglio) l’utilizzo di perdite
fiscali da parte della società emittente è ininfluente
ai fini della determinazione del credito di imposta
sui dividendi erogati.
Nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema è stata
disposta una regola transitoria che consente di non
perdere i benefici fiscali connessi alle perdite pregresse formatesi durante il vecchio sistema e compensate durante il primo quinquennio del nuovo.
Prima della riforma operata dal D.Lgs. 18
dicembre 1997, n. 467, l’utilizzo delle perdite pregresse in caso di distribuzione degli utili, comportava a favore degli azionisti il trasferimento del
beneficio del risparmio di imposta derivante dall’utilizzo delle perdite stesse.
Si rammenta che sia la regola sulla quantificazione dell’imposta di conguaglio (art. 105, comma 1 del Tuir - ante riforma) che la regola sulla
quantificazione della franchigia (art. 105, comma 3, del Tuir - ante riforma) ponevano entrambe, come elemento di confronto, il reddito
dichiarato “al lordo delle perdite riportate da
precedenti esercizi”.
Ciò implicava che:
- nel caso dell’imposta di conguaglio, la minore imposta di conguaglio dovuta grazie all’utilizzo
delle perdite era pari all’imposta riferibile alle perdite stesse: il che significa che la differenza fra il
credito di imposta attribuito agli azionisti e l’imposta assolta dalla società era pari all’imposta riferibile alle perdite utilizzate;
- nel caso della franchigia, la maggiore franchigia calcolata grazie all’utilizzo delle perdite
era pari al 64 per cento delle perdite stesse (e cioè
3278 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
alle perdite al netto dell’imposta ad esse riferibile), il che significata che, per tale importo, si
potevano distribuire utili non assoggettati ad
imposta con attribuzione del credito di imposta
sui dividendi.
il fisco
Sia nel caso dell’imposta di conguaglio che nel
caso della franchigia si verificava l’attribuzione
(effettiva o potenziale nel caso della franchigia)
agli azionisti di un credito di imposta pari all’imposta riferibile alle perdite utilizzate dalla
società. Si operava, in tal modo, il trasferimento
all’azionista del beneficio del risparmio fiscale
derivante dall’utilizzo delle perdite pregresse.
Per meglio illustrare quanto detto sopra, ricorriamo ai seguenti esempi.
- l’attribuzione di un credito di imposta di
562,5 (9/16 di 1.000) e
- il pagamento di un’imposta di conguaglio di
202,5.
IC = 9/16 [1.000 – 0,64 (0 + 1.000)] = 202,5
Si noterà che a fronte di un credito di imposta
di 562,5, la società che ha distribuito gli utili ha
assolta imposte solo per 202,5 (Irpeg 0 + imposta
di conguaglio 202,5). Pertanto il credito di imposta è risultato eccedente rispetto alle imposte
pagate dalla società per 360 (562,5 – 202,5).
Tale maggior credito d’imposta di 360 era pari
al risparmio fiscale della società per l’utilizzo
delle perdite che, in tal modo, veniva trasferito a
diretto vantaggio dell’azionista, come si può
anche notare dal seguente prospetto:
A1) Imposta di conguaglio
Aliquota Irpeg 36 per cento - credito di imposta 9/16
Si supponga un soggetto Irpeg che a fronte di un
reddito di 1.000 abbia utilizzato perdite fiscali per
1.000 e dichiarato un reddito imponibile di 0.
In tal caso, l’utile netto è stato di 1.000.
Secondo la vecchia norma, la distribuzione di
tale utile comportava:
dividendi
Si rammenta che il comma 1 del vecchio art. 105
del Tuir disponeva il pagamento di una imposta (di
conguaglio) pari ai 9/16 della differenza fra gli utili
distribuiti ed il 64 per cento del reddito dichiarato,
al lordo delle perdite riportate da precedenti esercizi.
Nel nostro esempio, l’imposta di conguaglio era
così calcolata:
360
✕
0,5625 = imposta di conguaglio
202,5
640
✕
0,5625 = perdita fiscale ✕ 36%
360,5
1.000
credito d’imposta
A2) Franchigia
562,5
Nel nostro esempio, la franchigia è così calcolata:
Aliquota Irpeg 36 per cento - credito di imposta 9/16
FR = [0,64 (0 + 1.000) – 0] = 640
il fisco
Si supponga un soggetto Irpeg che a fronte di un
reddito di 0 abbia costi non deducibili per 1.000,
utilizzi perdite fiscali per 1.000 e pertanto dichiari
un reddito imponibile di 0.
In tal caso, l’Irpeg sarà pari a 0 e l’utile netto
sarà di 0.
Secondo la vecchia norma, nel caso in esempio
si creava la cosiddetta franchigia.
Si rammenta che il comma 3 del vecchio art. 105
del Tuir quantificava la franchigia quale differenza
fra il 64 per cento del reddito dichiarato, al lordo
delle perdite riportate da precedenti esercizi e l’utile netto di bilancio.
Si noterà che l’utilizzo delle perdite pregresse ha
dato luogo ad una franchigia pari al 64 per cento
delle perdite utilizzate e cioè ha creato la possibilità di distribuire riserve non assoggettate ad
imposta per 640 con attribuzione del relativo credito di imposta (9/16 di 640) di 360.
Tale credito d’imposta di 360 era pari al risparmio fiscale della società per l’utilizzo delle perdite
che, in caso di distribuzione, sarebbe stato trasferito a diretto vantaggio dell’azionista, come si può
anche notare dal seguente prospetto.
Dividendi 640 ✕ 0,5625 = credito di imposta 360 = 36% della perdita pregressa
12/2000 il fisco 3279
ATTUALITÀ
C) Perdite fiscali pregresse della società emittente e
determinazione del credito di imposta sui dividendi:
norma transitoria
A seguito della riforma del D.Lgs. n. 467/1997
(abrogazione dell’imposta di conguaglio), l’utilizzo
delle perdite fiscali non influisce nella determinazione del credito di imposta sui dividendi in quanto
nel nuovo sistema, il credito di imposta è attribuito
non automaticamente, ma in funzione delle imposte effettivamente pagate dalla società e memorizzate nel cosiddetto “basket A” ed in funzione di particolari disposizioni agevolative in virtù delle quali
viene riconosciuto il credito d’imposta limitato
memorizzato nel cosiddetto “basket B”.
Per meglio illustrare quanto detto sopra, ricorriamo ai seguenti esempi.
Nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema, la
legge ha disposto una norma transitoria in base
alla quale si continuano a riconoscere agli azionisti i benefici in termini di credito di imposta connessi all’utilizzo delle perdite pregresse formatesi
fino all’entrata in vigore del nuovo sistema.
Infatti il comma 5, lettera c), dell’art. 3 (disposizioni transitorie) del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.
467 dispone che concorre ad alimentare il cosiddetto “basket B” “l’imposta corrispondente al reddito dichiarato a partire dall’esercizio successivo a
quello in corso al 31 dicembre 1996 e compensato
con le perdite di detto esercizio e di quelli precedenti ai sensi dell’art. 102 del testo unico delle
imposte sui redditi”.
In altri termini le perdite formatesi negli esercizi
dal 1992 al 1996 (per i contribuenti con esercizio
solare) che sono compensate nel termine quinquennale con i redditi degli esercizi dal 1997 al
2001 danno luogo ad un credito di imposta limitato pari all’Irpeg corrispondente alle perdite compensate continuando, di fatto, a produrre - fino
all’esaurimento del periodo quinquennale di utilizzo - gli stessi benefici concessi dal precedente
sistema.
Per meglio illustrare quanto detto sopra, ricorriamo ai seguenti esempi.
Si supponga un soggetto Irpeg che nel 1999 a
fronte di un reddito di 1.000 abbia utilizzato perdite fiscali del 1994 per 1.000 e dichiarato un reddito
imponibile di 0.
In tal caso, l’utile netto è stato di 1.000.
Secondo la norma transitoria, il basket B dovrà
essere alimentato dell’imposta corrispondente al
reddito dichiarato e compensato con le perdite
degli anni 1996 e precedenti, pertanto:
Aliquota Irpeg 37 per cento - credito di imposta 0,5873.
Si supponga un soggetto Irpeg che a fronte di un
reddito di 1.000 utilizzi perdite fiscali per 1.000 e
dichiari un reddito imponibile di 0.
In tal caso, l’utile netto sarà di 1.000.
Secondo la nuova norma, la distribuzione di
tale utile di 1.000 comporta le due seguenti possibilità:
il fisco
B) Perdite fiscali pregresse della società emittente e
determinazione del credito di imposta sui dividendi:
sistema vigente
a) la distribuzione del dividendo di 1.000 senza credito di imposta, oppure
b) la distribuzione del dividendo di 1.000, il
versamento integrativo ex art. 105-bis del Tuir di
587,3 e l’attribuzione di un credito di imposta pieno di 587,3.
Si noterà che, nel nuovo sistema, l’utilizzo delle
perdite fiscali non ha generato alcun beneficio per
il percettore del dividendo in quanto il credito di
imposta riconosciuto (587,3) trova esatto riscontro
nel versamento integrativo di pari importo effettuato dalla società.
1.000 ✕ 0,37 = 370 credito d’imposta limitato (canestro B)
D) Le perdite fiscali dell’azionista ed il credito di
imposta limitato sui dividendi
il fisco
Il credito d’imposta limitato di 370 è il beneficio riconosciuto agli azionisti pari all’Irpeg corrispondente alle perdite pregresse formatesi durante il vecchio sistema e compensate successivamente.
Si noti che, se la situazione di cui sopra si fosse verificata durante il vecchio sistema, il beneficio concesso agli azionisti in dipendenza dell’utilizzo delle perdite sarebbe stato il medesimo così come descritto al precedente punto A1) - fatta salva la differenza dovuta alla variazione dell’aliquota Irpeg (dal 36 per cento al 37 per cento)
e della misura del credito di imposta (dal 56,25
per cento al 58,73 per cento) nel frattempo intervenuta.
Si è detto nella premessa che nella fase di applicazione del nuovo sistema (abrogazione della maggiorazione di conguaglio), l’utilizzo di perdite
fiscali da parte dell’azionista comportava un effetto distorsivo che limitava l’utilizzo del credito di
imposta limitato.
A seguito della modifica disposta alla fine del
1999 è stato eliminato tale effetto distorsivo e pertanto ad oggi l’utilizzo delle perdite fiscali dell’azionista è ininfluente ai fini della fruizione del credito di imposta limitato.
Infatti, l’art. 11 del D.Lgs. n. 505 del 23 dicembre
3280 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
Dividendi
Credito d’imposta limitato
1.000
Credito d’imposta limitato detraibile =
= [(1.000 + 587,3) : 13.587,3] ✕ 5.027 =
= 0,1168 ✕ 5.027 = 587
Ora, si riprenda lo stesso esempio, supponendo
che il contribuente abbia utilizzato perdite fiscali
pregresse per 3.000.
Dividendi
Credito d’imposta limitato
1.000
587,3
Altri redditi
12.000
Perdite pregresse
(3.000)
Reddito imponibile
10.587,3
Irpeg 37%
3.917
Ai fini del computo della detrazione del credito
di imposta limitato, con la nuova regola, il denominatore del rapporto - il reddito complessivo - è
indicato “al netto” delle perdite utilizzate, quindi:
Credito d’imposta limitato detraibile =
= [(1.000 + 587,3) : 10.587,3] ✕ 3.917 =
= 0,15 ✕ 3.917 = 587
Si noterà che il credito d’imposta limitato detraibile calcolato in presenza di utilizzo di perdite
fiscali è uguale a quello calcolato nel primo esempio: il che significa che la presenza di perdite pregresse utilizzate non ha influito sulla determinazione del credito stesso.
Con la vecchia regola invece, il denominatore
del rapporto - il reddito complessivo - era indicato
“al lordo” delle perdite utilizzate, quindi:
Credito d’imposta limitato detraibile =
= [(1.000 + 587,3) : 13.587,3] ✕ 3.917 =
= 0,1168 ✕ 3.917 = 457
Si noterà che, con la vecchia regola, il credito
d’imposta limitato detraibile, in presenza di perdite pregresse utilizzate, risultava inferiore a quello
calcolato nel primo esempio: il che significa che,
con la vecchia regola, l’utilizzo di perdite fiscali
influiva negativamente sulla determinazione della
detrazione del credito stesso.
Esempio
587,3
Altri redditi
12.000
Reddito imponibile
13.587,3
Irpeg 37%
Il credito d’imposta limitato detraibile dall’Irpeg
deriva dal seguente calcolo:
il fisco
1999 ha modificato le regole per la detrazione dall’Irpef e dall’Irpeg del credito di imposta (cosiddetto) limitato spettante sui dividendi.
La nuova regola è applicabile a decorrere dal
periodo di imposta in corso al 31 dicembre 1999.
Gli articoli del testo unico delle imposte sui redditi modificati sono l’art. 11, comma 3-bis, e l’art.
94, comma 1-bis, riguardanti la detrazione del credito di imposta limitato rispettivamente dall’Irpef
e dall’Irpeg.
La modifica della regola riguarda il computo
delle perdite fiscali utilizzate dall’azionista: con la
vecchia regola le perdite fiscali utilizzate influivano negativamente sulla detrazione del credito di
imposta limitato; dopo la modifica, la detrazione
del credito di imposta limitato non è più influenzata dall’utilizzo delle perdite fiscali.
È noto che il credito di imposta limitato è lo
strumento per trasferire agli azionisti i regimi
fiscali agevolativi concessi alle società partecipate
e ciò spiega il motivo per il quale il credito di
imposta limitato non è riportabile a nuovo, non è
rimborsabile ed è detraibile solo fino a concorrenza della quota di imposta dovuta relativa al dividendo cui si riferisce.
La quantificazione della quota di imposta dovuta riferibile al dividendo deriva dal rapporto fra il
dividendo ed il reddito complessivo.
Gli artt. 11 e 94 del Tuir, prima dalla modifica,
disponevano che il denominatore del rapporto - il
reddito complessivo - dovesse essere indicato “al
lordo” delle perdite dei precedenti esercizi ammesse in deduzione.
In tal modo le perdite pregresse utilizzate - incrementando il denominatore del rapporto - contribuivano a ridurre la quota di imposta riferibile al
dividendo con la conseguenza di impedire l’utilizzazione di tutto il credito di imposta limitato riferibile al dividendo stesso. Il che significava impedire il pieno trasferimento agli azionisti dei regimi
agevolativi concessi alle società partecipate.
Questo effetto distorsivo è stato eliminato disponendo che il denominatore del rapporto - il reddito
complessivo imponibile - deve essere indicato “al
netto” delle perdite dei precedenti esercizi ammesse in deduzione anziché “al lordo”.
Al fine di quantificare l’effetto distorsivo ora corretto si propone il seguente esempio.
Si supponga un azionista (soggetto Irpeg) che, nel
periodo di imposta, abbia riscosso dividendi per 1
milione con credito di imposta limitato di 587.300 e
dichiari altri redditi imponibili per 12.000.000.
5.027
Si supponga un azionista (soggetto Irpef) che,
nel periodo di imposta, abbia riscosso dividendi
per 1 milione con credito di imposta limitato di
587.300 e dichiari altri redditi imponibili per
12.000.000
12/2000 il fisco 3281
ATTUALITÀ
Dividendi
Credito d’imposta limitato
587,3
Altri redditi
12.000
Reddito imponibile
13.587,3
Irpefå 19%
Ai fini del computo della detrazione del credito
di imposta limitato, con la nuova regola, il denominatore del rapporto - il reddito complessivo - è
indicato “al netto” delle perdite utilizzate, quindi:
1.000
Credito d’imposta limitato detraibile =
= [(1.000 + 587,3) : 10.587,3] ✕ 2.011 =
= 0,15 ✕ 2.011 = 301
2.582
Il credito d’imposta limitato detraibile dall’Irpef
deriva dal seguente calcolo:
Ora, si riprenda, lo stesso esempio, supponendo
che il contribuente abbia utilizzato perdite fiscali
pregresse per 3 milioni.
Dividendi
Credito d’imposta limitato
1.000
587,3
Redditi d’impresa o partecipaz.
12.000
Perdite pregresse
(3.000)
Reddito imponibile
10.587,3
Irpef 19%
il fisco
Credito d’imposta limitato detraibile =
= [(1.000 + 587,3) : 13.587,3] ✕ 2.582 =
= 0,1168 ✕ 2,582 = 301
Si noterà che il credito d’imposta limitato detraibile calcolato in presenza di utilizzo di perdite
fiscali è uguale a quello calcolato nel primo esempio: il che significa che la presenza di perdite pregresse utilizzate non ha influito sulla determinazione del credito stesso.
Con la vecchia regola invece, il denominatore
del rapporto - il reddito complessivo - era indicato
“al lordo” delle perdite utilizzate, quindi:
Credito d’imposta limitato detraibile =
= [(1.000 + 587,3) : 13.587,3] ✕ 2.011 =
= 0,1169 ✕ 2.011 = 235
Si noterà che, con la vecchia regola, il credito
d’imposta limitato detraibile, in presenta di perdite
pregresse utilizzate, risultava inferiore a quello
calcolato nel primo esempio: il che significa che,
con la vecchia regola, l’utilizzo di perdite fiscali
influiva negativamente sulla determinazione della
detrazione dal credito stesso.
2.011
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il2000
fisco
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■ Rubrica degli articoli
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del CDC e del DAC
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“Codice Tributario Doganale dell’U.E.”
Compilare e spedire insieme alla fotocopia del versamento di L. 50.000
sul c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario non trasferibile
Spett. ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma
Nome
Cognome
P. Iva
Cod. Fisc.
Residente in Via
c.a.p.
Città
Firma
12/2000 il fisco 3283
ATTUALITÀ
Novità dal Front (Office)
di Gianluca Patrizi
e Gianluca Marini
Introduzione
(1) È del 15 gennaio 2000 il decreto del Direttore regionale
sull’attivazione e le competenze dei nuovi uffici delle Entrate di
Roma (in “il fisco” n. 7/2000, pag. 1975), che riporta in allegato
le tabelle “A” e “B” inerenti alla ripartizione dei carichi pregressi fra gli otto uffici delle Entrate circoscrizionali di Roma.
(2) La ratio dell’istituzione degli uffici delle Entrate di Roma
è, come noto, quella di suddividere le posizioni fiscali in otto
ambiti a delimitazione territoriale, riportati in Appendice.
il fisco
Sono funzionanti dal 27 gennaio scorso gli otto
uffici delle Entrate di Roma (1), sebbene non siano
mancati alcuni fisiologici, iniziali, problemi organizzativi a livello di trasferimento delle pratiche di
competenza (si parla di qualcosa come 9400 quintali di carta), correlati soprattutto alla predisposizione dei pacchi ed al loro trasporto nelle sedi di
competenza per domicilio fiscale (2), stante l’enorme numero di atti fiscali pregressi, in lavorazione
o ancora da esaminare, scaturenti dalla soppressione degli uffici distrettuali delle imposte dirette,
degli uffici dell’imposta sul valore aggiunto, degli
uffici del registro e delle sezioni staccate della
Direzione regionale delle Entrate per il Lazio siti
nel distretto di Roma.
Alcuni problemi sono, peraltro, sorti nel procedere al trasferimento dei circa 1500 dipendenti nei
vari uffici delle Entrate, anche considerando che
in seguito a tale trasferimento sono risultati organici non sempre omogenei, e difficilmente si è riusciti a mettere a disposizione dei direttori e dei
capi area un “assortimento” di impiegati e di funzionari in grado di gestire efficacemente i molteplici ambiti impositivi presenti nei nuovi uffici
che, si ricorderà, dovranno curare, tra l’altro, l’accertamento, le verifiche ed i controlli, nonché l’assistenza ai contribuenti per tutte le imposte dirette, per l’Iva, per l’imposta di registro, per l’imposta
di successione, nonché gli adempimenti prima
gestiti dalle sezioni staccate, come, ad esempio, le
autorizzazioni per le manifestazioni a premio
richieste dalle società.
Tanto premesso, considerato che l’operatività
degli otto uffici delle Entrate di Roma non può
ancora essere ritenuta a pieno regime e che, in
particolare, le attività di accertamento devono, in
linea di massima, attendere il completo e definitivo espletamento delle difficili procedure di assegnazione delle pratiche, le quali devono tenere
conto, tra l’altro, di tutti gli incartamenti arretrati
relativi al contenzioso, alle varie sanatorie pregresse e ad ogni altra lavorazione già iniziata o conclusa (3), possiamo affermare che il settore attualmente più operativo dei nuovi uffici delle Entrate è
quello dedicato all’assistenza ai contribuenti, alla
ricezione degli atti, alla bollatura dei registri, alla
registrazione degli atti privati e pubblici, alla
gestione delle pratiche di successione e alle operazioni relative ai codici fiscali e alle partite Iva. Tale
settore è gestito dalla cosiddetta Area Servizi, laddove le procedure di accertamento, lato sensu,
sono delegate all’Area Controllo, entrambe dirette
da capo area.
Esamineremo, nel successivo paragrafo, per
sommi capi, il funzionamento dell’Area Servizi, ed
in particolare del cosiddetto Front Office ovvero,
l’ufficio di prima accoglienza dei contribuenti,
dove sono collocati i vari sportelli polifunzionali;
gli atti protocollati che necessitano di ulteriore
lavorazione sono inviati al Back Office, una sorta
di secondo stadio dell’Area Servizi, ovvero, all’Area
Controllo se trattasi di atti di sua esclusiva competenza, quali ricorsi, istanze di sgravio, eccetera.
Il Front Office
Il Front Office, termine inglese che designa l’ufficio di “primo impatto” con il contribuente è costituito da una sala, più o meno grande secondo l’ufficio e le posizioni fiscali ad esso attribuite, dove
sono sistemati diversi sportelli, in numero variabile; il contribuente ritira uno scontrino stampato da
(3) Si confronti, per avere un’idea della complessità della
cosa, il già citato decreto del Direttore regionale del Lazio del
15 gennaio 2000.
3284 il fisco 12/2000
1) operazioni riguardanti le richieste dei codici fiscali o dei loro duplicati (effettuabili in ogni
ufficio, indipendentemente dal domicilio fiscale
il fisco
un apposito numeratore computerizzato provvisto
di monitor, sul quale sono indicati i servizi disponibili e la coda relativa al momento del ritiro del
biglietto. Tale dispositivo è collegato con un grande tabellone luminoso che indica ai contribuenti
l’approssimarsi del proprio turno e li indirizza allo
sportello appropriato; ogni operatore ha a sua
disposizione un terminale/PC collegato con l’Anagrafe tributaria e con il sito “Finanze” disponibile
su Internet, oltre ad una pulsantiera (reale o virtualmente installata sul monitor del terminale/PC)
anch’essa collegata con il numeratore e con il
tabellone luminoso. Al momento che l’operatore
ha esaurito le richieste del contribuente, azionando l’apposito pulsante comunica al tabellone che è
il turno del contribuente successivo e trasmette un
impulso al numeratore che aggiorna istantaneamente la coda di contribuenti relativa a quel determinato servizio. Il numero (o codice alfanumerico)
del prossimo contribuente compare anche su di un
display luminoso situato in prossimità dello sportello, composto da una scrivania e due poltroncine, separato dagli altri sportelli da una bassa parete a forma di “L”, che ricorda da vicino le postazioni a disposizione dei clienti delle banche.
A seconda delle esigenze dell’ufficio, che possono cambiare di giorno in giorno in dipendenza del
numero dei contribuenti presenti, è possibile
variare in tempo reale l’assegnazione degli sportelli ad un determinato servizio, così da smaltire efficacemente eventuali afflussi anomali ad uno stesso
servizio.
Prescindendo dalla suddivisione delle specifiche
mansioni per ogni singolo sportello, che tratteremo a parte, troviamo uno sportello di prima informazione che ha il compito di indirizzare i contribuenti al servizio appropriato, nonché di prestare
loro ogni assistenza nella compilazione dei moduli
necessari, forniti dallo stesso sportello; è inoltre
presente una postazione cosiddetta self-service,
provvista di monitor touch-screen, mediante la
quale è possibile l’accesso ad una serie di servizi
disponibili in automatico, che consentono, ad
esempio, di richiedere il duplicato del tesserino
plastificato del codice fiscale, che sarà direttamente inviato presso il domicilio fiscale del contribuente, oppure di consultare in tempo reale i contributi Inps versati.
I servizi specifici forniti dagli operatori del Ministero delle finanze, indipendentemente dal numero
degli sportelli in funzione che, come già in precedenza accennato, è variabile da ufficio a ufficio,
sono inerenti a:
ATTUALITÀ
della persona fisica), operazioni inerenti all’apertura, alle chiusura o alle variazioni delle partite Iva
(effettuabili, dall’11 di febbraio ultimo scorso, per
domicilio fiscale del contribuente) espletate, in
linea di massima, dai medesimi sportelli;
2) informazioni generiche e/o specifiche sulle
varie imposte gestite dall’ufficio, in esse comprese
quelle relative ai rimborsi e alle cartelle esattoriali
derivanti da controlli formali o sostanziali;
3) registrazioni di atti pubblici e privati, con
la caratteristica che, laddove sono registrabili in
ogni ufficio tutti gli atti privati sottoscritti dai contribuenti, per quanto riguarda gli atti pubblici ogni
ufficio ha assegnato un determinato numero di
notai abilitati alla presentazione, secondo l’ubicazione degli studi. La registrazione degli atti avviene in differita nel Back Office, l’ufficio situato virtualmente “alle spalle” del Front Office;
4) ricezione di atti quali ricorsi, depositi di
verbali di assemblea, di atti costitutivi, di istanze
di autotutela eccetera, i quali sono protocollati,
viene rilasciata al contribuente una ricevuta di presentazione ed infine vengono inviati, per competenza, all’Area interessata;
5) ricezione delle pratiche di successione,
accettate secondo il domicilio fiscale del de cuius,
lavorate in seguito al Back Office dell’Area Servizi;
6) bollatura dei registri in tempo reale o in
differita, in dipendenza del numero degli addetti e
del carico di lavoro giornaliero.
In ogni Front Office, situati ai piani più bassi
degli uffici, è presente una sala di attesa posta in
modo da consentire ai contribuenti la visione del
tabellone luminoso, e dal notevole affollamento
dei primi giorni di attività si sta gradualmente passando ad un flusso più controllato ed ordinato,
soprattutto perché i contribuenti cominciano ad
“educarsi” circa la dislocazione dei nuovi uffici ed
anche perché il personale dell’Amministrazione
finanziaria si va impratichendo sempre di più circa le procedure da seguire.
Senza dubbio stiamo assistendo ad una riforma
ambiziosa che non tarderà a produrre i suoi frutti
ma, come tutti i frutti, questi devono avere il tempo di maturare e non è certo possibile trasformare
da un giorno all’altro personale fino a ieri specializzato in un settore impositivo ben definito in funzionari immediatamente polifunzionali, in grado,
cioè, di gestire imposte in precedenza mai trattate.
Per questo occorrerà certamente del tempo e i
nuovi uffici delle Entrate abbisogneranno, senza
dubbio, di un periodo di rodaggio di alcuni mesi
per sviluppare tutte le loro notevoli potenzialità,
che consentiranno un rapporto Fisco/contribuenti
sensibilmente migliore e più produttivo.
12/2000 il fisco 3285
ATTUALITÀ
Appendice
LE COMPETENZE DEGLI OTTO UFFICI DELLE ENTRATE DI ROMA
Circoscrizioni
Ufficio
Indirizzo
I/II/XVI ........................................................ Roma 1 ................................. Via Ippolito Nievo, 36
XVII/XVIII/XIX .......................................... Roma 2 ................................. Largo Lorenzo Mossa, 8
IV/XX .......................................................... Roma 3 ................................. Via di Settebagni, 384
III/V/VI/VII .................................................. Roma 4 ................................. Via Marcello Boglione, 7
VIII/IX/X ..................................................... Roma 5 ................................. Via di Torre Spaccata, 110
XI/XII/XV .................................................... Roma 6 ................................. Via Canton, 20
XIII .............................................................. Roma 7 ................................. Via Canton 10, (provvisorio)
Comuni
- Comune di Fiumicino ............................................................................................................. Ufficio Roma 7
- Comuni di Anzio, Ardea, Nettuno, Pomezia.......................................................................... Ufficio Roma 8
Via Alcide de Gasperi, 4 - Pomezia
- Comuni di Anguillara Sabazia, Bracciano, Campagnano di Roma, Canale Monterano,
Capena, Castelnuovo di Porto, Civitella San Paolo, Fiano Romano, Filacciano, Formello,
Magliano Romano, Manziana, Mazzano Romano, Mentana, Monterotondo, Morlupo,
Nazzano, Ponzano Romano, Riano, Rignano Flaminio, Sacrofano, Sant’Oreste, Torrita
Tiberina, Trevignano Romano................................................................................................ Ufficio Roma 3
■
3286 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
La riforma della riscossione
Alcune novità introdotte
dal D.Lgs. n. 46/1999
di Clelia Buccico
Dottore di ricerca in Diritto tributario
Seconda Università degli Studi di Napoli
re l’effetto della riscossione con un incremento
quantitativo ed un miglioramento temporale nel
recupero dell’evaso.
La legge ha trovato immediata attuazione, con
l’emanazione di tre provvedimenti che hanno recepito le linee guida in essa contenute. L’attività di
riordino è destinata a rendere concrete le entrate
che molto spesso rimangono un dato meramente
statistico.
Il primo decreto, il D.Lgs. 22 febbraio 1999, n.
37 (1), dà ai contribuenti la possibilità di versare
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il concessionario e il ruolo - 3. La formazione e il contenuto dei ruoli: 3.1. Osservazioni - 4. La dilazione di pagamento: 4.1. Osservazioni
- 5. La sospensione di pagamento - 6. L’opposizione
all’esecuzione o agli atti esecutivi - 7. La cartella di
pagamento: 7.1. Osservazioni - 8. Le modalità di pagamento delle cartelle - 9. Gli interessi: 9.1.: Interessi per
ritardata iscrizione a ruolo; 9.2.: Interessi per dilazione
del pagamento; 9.3. Attribuzione degli interessi; 9.4.:
Interessi di mora; 9.5. Interessi per sospensione amministrativa.
(1) Decreto ministeriale 23 marzo 1999, “Abolizione dell’obbligo del non riscosso come riscosso, per i concessionari del
servizio di riscossione, ai sensi del decreto legislativo 22 febbraio 1999, n. 37, e definizione dei rapporti contabili pendenti”
(Gazzetta Ufficiale n. 73 del 29 marzo 1999)
1. Premessa
Intervento al Convegno di Studi: Le novità
della Finanziaria 2000 , organizzato dall’Ordine
dei Dottori commercialisti di Napoli e dalla
Rivista “il fisco”, tenutosi a Napoli il 18 febbraio 2000.
il fisco
La L. 28 settembre 1998, n. 337 ha attribuito al
Governo la delega per il riordino della disciplina
relativa alla riscossione. La legge ha visto la luce
dopo un periodo di gestazione avviatosi due anni
prima, con la presentazione al Parlamento di un
disegno di legge messo a punto dal Governo e formalizzatosi nell’atto della Camera 2372-octies.
Il provvedimento stabilisce alcuni fondamentali
principi direttivi, da tempo auspicati, per una
razionalizzazione della riscossione a mezzo ruolo.
In particolare il provvedimento intende incidere in
modo assai più marcato e significativo sull’attuale
disciplina della riscossione, essendo evidente l’intento del legislatore di semplificare e razionalizzare l’attività del concessionario, rendendola più efficace ed incisiva, e, per altro verso, di massimizza-
Art. 1
1. I ruoli affidati in carico, con l’obbligo del non riscosso
come riscosso, ai concessionari del servizio di riscossione anteriormente al 26 febbraio 1999, data di entrata in vigore del
decreto legislativo 22 febbraio 1999, n. 37, i cui importi dovevano essere anticipati, in tutto o in parte, successivamente alla
predetta data, sono rettificati, per le somme relative a decimi o
rate ancora da scadere, in ruoli senza obbligo del non riscosso
come riscosso, con provvedimento degli uffici del Ministero
delle finanze incaricati del servizio contabile in materia di
entrate e patrimonio. La rettifica del carico avviene, sulla base
dei dati forniti dalle Ragionerie provinciali dello Stato, tenendo
conto del carico originariamente iscritto a ruolo, senza considerare le somme inerenti i provvedimenti di sospensione, dilazione o sgravio provvisorio.
2. Per gli importi oggetto di sospensione, dilazione o sgravio
provvisorio, concernenti ruoli emessi con l’obbligo del non
riscosso come riscosso relativamente ai quali, al 26 febbraio
1999, sono scaduti i termini di versamento di tutti i decimi da
anticipare, gli uffici del Ministero delle finanze incaricati del
servizio contabile in materia di entrate e patrimonio procedono
alla rettifica con distinto provvedimento.
3. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2, sono adottati, per
ciascun concessionario, cumulativamente, per ciascuna scadenza di rata, per capitolo articolo e per competenza e residui, con
riferimento a tutti gli importi da rettificare. Essi sono notificati
12/2000 il fisco 3287
ATTUALITÀ
imposte e contributi anche mediante delega ai
concessionari della riscossione.
Inoltre, viene eliminato l’obbligo del “non riscosso come riscosso”: i concessionari non saranno più
costretti ad anticipare le somme iscritte a ruolo
indipendentemente dalla loro effettiva riscossione.
Per effetto del decreto, i contribuenti potranno
andare, per delegare alla riscossione, anche in
esattoria e non solo in banca o alla Posta.
Il secondo decreto (26 febbraio 1999, n. 46)
costituisce una prima attuazione della legge delega
per la parte relativa alla razionalizzazione e snellimento delle procedure di formazione dei ruoli e di
esecuzione, nonché alla regolamentazione dei rapporti tra i concessionari e gli enti impositori.
Si tratta, fra l’altro, di un’attuazione indispensabile per realizzare gli obiettivi di gettito programmati dal Governo (in particolare, con l’art. 13 della
L. 23 dicembre 1998, n. 448), relativamente al
recupero dei crediti contributivi (2).
al concessionario e comunicati alla competente Ragioneria provinciale dello Stato.
4. Per i provvedimenti relativi all’importo dei crediti vigenti o
alle rate completamente scadute ma in parte non versate, si
assume come scadenza la data del 10 febbraio 1999. Gli stessi
vengono emessi in conto residui.
Art. 2
(2) In particolare, il decreto dà attuazione ai principi e criteri direttivi della legge delega di cui alle seguenti lettere:
a) limitatamente all’affidamento ai concessionari della
riscossione mediante ruolo delle entrate dello Stato, degli enti
territoriali (per questi ultimi fermo quanto previsto dall’art. 53
del D.Lgs. n. 446/1997 e quindi quanto previsto in tema di albo
per l’accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali),
degli enti pubblici e previdenziali.
Tale principio direttivo comporta la regola della cosiddetta
generalizzazione della riscossione coattiva mediante ruolo di
tutte le entrate pubbliche ivi specificate, con conseguente obbligatorietà della diretta iscrizione a ruolo di tutte le entrate
(regola espressa dall’art. 17 del decreto legislativo).
In ogni caso la riscossione coattiva a mezzo ruolo si vuole
applicabile, dal legislatore della delega, alla riscossione delle
entrate, tributarie ed extratributarie, dello Stato e di tutti gli
enti pubblici istituzionali.
In conseguenza si avrà il correlativo tendenziale superamento della procedura di ingiunzione fiscale di cui al R.D. n.
639/1910 che costituisce a fronte della natura di titolo esecutivo
del ruolo, semplicemente un fattore di ritardo nell’avvio delle
procedure esecutive in presenza di crediti certi, liquidi ed esigibili svolgendo una funzione che può essere svolta dal ruolo e/o
il fisco
1. A decorrere dal 26 febbraio 1999, i versamenti in tesoreria
delle somme riscosse dai concessionari sono effettuati secondo
le modalità stabilite dall’art. 72, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43.
2. Ai fini dell’individuazione del termine di versamento in
tesoreria, le somme, relative a ruoli con obbligo affidati in carico precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto
legislativo n. 37 del 1999, ed incassate fino a tale data, si considerano riscosse il 26 febbraio 1999. Il riversamento delle stesse
è effettuato al netto degli importi già versati per effetto dell’obbligo del non riscosso come riscosso.
3. Gli interessi di mora riscossi a fronte di ruoli affidati in
carico con obbligo spettano ai concessionari proporzionalmente alle somme anticipate.
Il terzo e ultimo tassello della riforma della
riscossione è il D.Lgs. n. 112 del 13 aprile 1999,
che riguarda i rapporti tra Fisco e concessionari.
In base a quanto prevede il decreto, dal 2004 i concessionari della riscossione dovranno trasformarsi
in società per azioni con capitale sociale non inferiore a 5 miliardi di lire. Le concessionarie saranno selezionate attraverso procedure di gara pubblica. Gli amministratori dovranno avere requisiti di
onorabilità e professionalità e rispettare determinate regole di comportamento.
I privati concessionari potranno accedere direttamente alla banca dati del Ministero delle finanze
(rispettando la riservatezza delle informazioni) e
potranno dedicarsi anche al recupero crediti per
conto terzi, ovviamente tenendo ben distinte le
attività.
Per migliorare l’efficienza della riscossione i
concessionari saranno remunerati in base alle
somme effettivamente riscosse.
Saranno rafforzate le sanzioni per la tardiva o
mancata trasmissione delle informazioni sullo stato della riscossione.
Anche la recente riforma della riscossione,
suddivisa come visto nel riordino della riscossione
mediante ruolo di cui al D.P.R. n. 602/1973, operato
con il D.Lgs. n. 46/1999, e nel riordino del servizio
nazionale della riscossione, operato con il D.Lgs. n.
112/1999, sostitutivo del D.P.R. n. 43/1988, non si è
sottratta agli interventi correttivi necessari per affinare la disciplina innovativa e per adeguare le regole rivolte a superare la fase di transizione dal vecchio al nuovo regime della riscossione tributaria. È
così che nel mese di agosto con il D.Lgs. n.
326/1999 sono state apportate alcune correzioni ai
decreti legislativi n. 46 e n. 112.
dalla cartella di pagamento contenente invito ad adempiere ed
avviso di mora.
Tale procedura rimane residualmente in vigore - e, pertanto,
non si è ritenuto di procedere all’abrogazione del R.D. n.
639/1910 - per i casi in cui esistano norme, applicabili a soggetti (quali gli enti delle autonomie locali) per i quali il ruolo sia
facoltativo, che consentano il ricorso all’ingiunzione fiscale per
la riscossione;
f) revisione e semplificazione della procedura di iscrizione
a ruolo;
g) previsione della possibilità di versamento delle somme
iscritte a ruolo tramite il sistema bancario, con o senza domiciliazione dei pagamenti su conto corrente, ovvero con procedure
di pagamento automatizzate;
h) snellimento delle procedure esecutive attraverso l’emanazione di un unico atto avente funzione di avviso di pagamento e di mora; la preclusione dell’espropriazione immobiliare per
i debiti di modesto importo; l’espropriazione diretta per crediti
superiori ad un certo valore al di sotto del quale comunque non
è preclusa l’iscrizione di ipoteca legale; la revisione e semplificazione delle vendite; la facoltà per il concessionario di non
procedere all’esecuzione mobiliare utilizzando l’istituto vendite
giudiziarie; l’accesso dei concessionari all’anagrafe tributaria;
l’attribuzione di compiti di natura informatica e di supporto al
Consorzio nazionale obbligatorio fra i concessionari;
i) revisione delle disposizioni in tema di notifiche degli atti
esattoriali tenuto conto della normativa in tema di protezione
dei dati personali.
3288 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
In tale sede ho ritenuto opportuno analizzare le
più significative novità del D.Lgs. n. 46/1999 che si
riferisce alla riscossione mediante ruolo.
Nel ruolo deve comunque essere indicato il
numero di codice fiscale del contribuente, in difetto non può porsi luogo all’iscrizione.
Con la manovra finanziaria 2000 è stato stabilito
all’art. 30, comma 19, che per la riscossione dei
ruoli non erariali sottoscritti entro il 30 giugno
2000 non si applica tale disposizione.
I ruoli - secondo quanto disciplinato dal D.M. n.
321 del 3 settembre 1999 - sono formati direttamente dall’ente creditore o con l’intervento del
consorzio nazionale obbligatorio tra i concessionari (CNC).
Essi, in entrambi i casi, recano un numero identificativo univoco a livello nazionale e sono costituiti
ognuno da un prospetto conforme al modello da
approvare con decreto dirigenziale (3), adottato dalle Amministrazioni delle finanze e del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica, e da
un elenco contenente l’indicazione dei seguenti dati:
2. Il concessionario e il ruolo
3. La formazione e il contenuto dei ruoli
Sempre in riferimento ai ruoli, e nell’ottica dello
snellimento delle procedure, la norma detta disposizioni in ordine al procedimento di formazione dei
ruoli ed al loro contenuto così come disciplinato
dall’art. 12 del D.P.R. n. 602/1973 modificato dal
D.Lgs. n. 46/1999.
Il ruolo non sarà distinto più per tipo di tributo,
ma potrà contenere più specie di tributi.
Il ruolo era precedentemente redatto per ciascun
comune e per ogni tributo, ora invece è formato
per tutti i comuni compresi nell’ambito territoriale
dell’agente della riscossione ed è riferito a tutti i
contribuenti che hanno il domicilio fiscale nel suddetto ambito territoriale.
Ne consegue che il numero di ruoli diminuisce e
si raggiunge il debitore in breve tempo visto che
viene cercato dov’è il suo domicilio fiscale, cioè
dove il contribuente risiede.
a) l’ente creditore;
b) la specie del ruolo;
c) il codice fiscale e i dati anagrafici dei debitori;
il fisco
Il decreto correttivo del D.P.R. n. 602/1973 definisce finalmente il concessionario e il ruolo.
Concessionario è il soggetto cui è affidato in
concessione il servizio di riscossione o è il commissario governativo che gestisce lo stesso. Il ruolo
è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute, formato dall’ufficio, per la riscossione a mezzo
concessionario (art. 10).
Una delle innovazioni sostanziali della riforma
è, come già detto, la semplificazione dei ruoli. In
particolare, per quanto riguarda l’oggetto, il ruolo
deve rispettare l’indicazione di tutti gli elementi
inerenti al debito verso l’Erario e cioè: le imposte,
le sanzioni e gli interessi dovuti.
Lo scopo è quello di formare un titolo giuridico
onnicomprensivo, dotato della massima trasparenza
e comprensibilità per il destinatario oltre che di efficienza e di efficacia per la parte pubblica creditrice.
Un’innovazione strutturale è poi la ridefinizione
delle tipologie dei ruoli che, sempre nell’ottica della
semplificazione, vengono ridotte da quattro a due.
Si hanno così solo ruoli ordinari e straordinari e
non più principali, suppletivi, speciali e straordinari. I secondi come già avviene, verrebbero emessi nel caso di fondato pericolo per la riscossione e
all’Amministrazione spetta la prova della sussistenza di tale pericolo.
È stata prevista al riguardo una norma di coordinamento [art. 38, comma 1, lettera b)], che chiarisce che le norme di legge o regolamentari che
attualmente fanno riferimento ai ruoli principali,
suppletivi o speciali debbono intendersi come riferite ai ruoli ordinari.
d) il codice di ogni componente del credito
(articolo di ruolo);
e) il codice dell’ambito;
f) l’anno o il periodo di riferimento del credito;
g) l’importo di ogni componente del credito;
h) il totale degli importi iscritti nel ruolo;
i) il numero delle rate in cui il ruolo deve essere riscosso, l’importo di ciascuna di esse e la
cadenza delle stesse;
l) la data di consegna al concessionario.
Nell’elenco è contenuta, per ciascun debitore,
anche l’indicazione sintetica degli elementi sulla
base dei quali è stata effettuata l’iscrizione a ruolo;
nel caso in cui l’iscrizione a ruolo consegua ad un
atto precedentemente notificato, devono essere
indicati gli estremi di tale atto e la relativa data di
notifica.
Si aggiunga poi che, a seguito dell’emanazione
del regolamento approvato con il D.P.R. n.
129/1999 (16 aprile 1999), in attuazione dell’art.
12-bis, non si fa luogo all’accertamento, all’iscrizione a ruolo e alla riscossione dei crediti relativi
ai tributi erariali, regionali e locali di ogni specie
comprensivi o costituiti solo da sanzioni amministrative o interessi, qualora l’ammontare dovuto,
per ciascun credito, con riferimento ad ogni periodo d’imposta, non superi l’importo di trentaduemila lire.
Tale disciplina non ha carattere generale: essa si
riferisce solo ai crediti tributari accertabili relati-
(3) Cfr. decreto dirigenziale 11 novembre 1999. Tale decreto
contiene tre allegati: 1. Il prospetto del ruolo; 2. Le specifiche
tecniche per la consegna ai concessionari del servizio nazionale
della riscossione dei ruoli formati direttamente dall’ente creditore; 3. Il modello del riassunto dei ruoli erariali.
12/2000 il fisco 3289
ATTUALITÀ
a) l’ente creditore;
b) l’ente beneficiario, se diverso dall’ente creditore;
c) la specie del ruolo;
d) il codice fiscale dei debitori;
e) il cognome, il nome, il sesso, il luogo e la
data di nascita, per le persone fisiche;
f) la denominazione, la ragione sociale o la
ditta e la sede, per i soggetti diversi dalle persone
fisiche;
g) per ogni articolo di ruolo, il codice o, in
mancanza, la descrizione;
h) l’anno o il periodo di riferimento del credito;
i) gli importi a carico di ciascun debitore. Per
gli interessi, gli accessori e le sanzioni, l’ente creditore può limitarsi ad indicare nella minuta gli elementi necessari al calcolo degli stessi da parte del
CNC;
l) il numero delle rate in cui il ruolo deve essere riscosso, l’importo totale di ciascuna di esse e la
cadenza delle stesse;
m) l’importo totale relativo a ogni pagina e
all’intera minuta;
n) l’indicazione sintetica degli elementi sulla
base dei quali è stata effettuata l’iscrizione a ruolo.
il fisco
vamente ad un arco temporale che trova limite
nella data del 31 dicembre 1997. Nel preambolo
introduttivo al D.P.R. n. 129/1999 si legge infatti
che “è opportuno abbandonare i crediti comunque
non accertati o non corrisposti fino al 31 dicembre 1997”. Se ne desume che la norma debba riferirsi ai crediti relativi a fattispecie insorte prima
del 31 dicembre 1997. Per i crediti tributari insorti
successivamente a tale data, non ancora accertati,
ma accertabili, o non corrisposti, valgono le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 46/1999 le quali,
facendo riferimento al D.P.R. n. 129/1999, non
potranno che condurre alla stessa disciplina dettata dal regolamento. Ne deriva che il limite delle
32mila lire è applicabile a tutti i crediti tributari
anche successivi al 31 dicembre 1997, accertati o
non, iscritti a ruolo o non, e comunque non ancora
riscossi.
È da sottolineare che la norma si riferisce anche
alla disciplina dell’accertamento, stabilendo che
quando l’importo della pretesa tributaria non eccede 32mila lire, rimane inibita la facoltà di procedere all’emissione dell’atto di accertamento.
Se poi l’importo del credito supera il limite previsto si fa luogo all’accertamento, all’iscrizione a
ruolo e alla riscossione per l’intero ammontare.
La disposizione non si applica qualora il credito tributario, comprensivo o costituito solo da
sanzioni amministrative o interessi, derivi da
ripetuta violazione, per almeno un biennio, degli
obblighi di versamento concernenti un medesimo
tributo.
Se ne desume che allorquando il credito nasce
dal mancato adempimento di un obbligo di versamento e tale omissione è stata preceduta, nei due
anni anteriori, non nei due periodi di imposta precedenti, da analoga omissione concernente lo stesso tributo, la regola diviene inefficace, con la conseguenza che l’importo dovuto è iscrivibile a ruolo
sebbene al di sotto della soglia fissata dal regolamento (D.P.R. n. 129/1999, art. 1, comma 1).
I ruoli formati direttamente dall’ente creditore
sono redatti, firmati e consegnati, mediante trasmissione telematica al CNC, ai competenti concessionari del servizio nazionale della riscossione
(concessionari), come già detto, in conformità alle
specifiche tecniche approvate con il decreto dirigenziale. Se una o più quote del ruolo sono prive
di almeno uno dei dati elencati il concessionario lo
segnala all’ente creditore per il tramite del CNC e
resta autorizzato a non porre tali quote in riscossione finché l’ente creditore non abbia provveduto
alle necessarie integrazioni.
Nel caso in cui l’ente creditore non possa utilizzare la procedura diretta alla formazione e consegna del ruolo, alla compilazione informatizzata dei
ruoli provvede il CNC sulla base di minute trasmesse dagli enti creditori su supporto informatico o cartaceo.
Le minute dei ruoli contengono l’indicazione dei
seguenti elementi:
Nel caso in cui l’iscrizione a ruolo consegua ad
un atto precedentemente notificato, devono essere
indicati gli estremi di tale atto e la relativa data di
notifica.
La trasmissione delle minute redatte su supporto informatico è effettuata in conformità alle specifiche tecniche definite d’intesa tra il singolo ente
creditore ed il CNC.
Il CNC, ricevute le minute, provvede alla informatizzazione dei ruoli operando l’acquisizione, la
codifica ed il controllo dei dati trasmessi, richiedendo al sistema informativo del Ministero delle
finanze la convalida, la fornitura o l’attribuzione
del codice fiscale e del domicilio fiscale del debitore, escludendo le quote concernenti importi inferiori a quello stabilito con il regolamento di cui
all’art. 12-bis del D.P.R. n. 602/1973, e quelle prive
di almeno uno dei dati di cui alle lettere a), b), c),
e), f), g), h) i) e l) e quantificando gli interessi, le
sanzioni e gli accessori non direttamente determinati nella minuta dell’ente creditore.
Dopo avere svolto tali attività il CNC restituisce
in duplice esemplare i ruoli informatizzati agli enti
creditori (4).
(4) La restituzione dei ruoli informatizzati provenienti da
supporto cartaceo avviene:
a) per le minute pervenute al CNC dal giorno 1 al giorno 15
del mese, entro il giorno 15 del secondo mese successivo;
b) per le minute pervenute al CNC dal giorno 16 all’ultimo
giorno del mese, entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo.
La restituzione dei ruoli informatizzati provenienti da supporto magnetico avviene:
a) per le minute pervenute al CNC dal giorno 1 al giorno 15
del mese, entro l’ultimo giorno del mese successivo;
3290 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
Entro dieci giorni dalla restituzione l’ente creditore rende esecutivo il ruolo con la sottoscrizione del
prospetto e ne consegna un esemplare al competente concessionario mediante trasmissione al CNC.
3.1. Osservazioni
4. La dilazione di pagamento
In materia di dilazione del pagamento delle
somme iscritte a ruolo è stata introdotta una nuova disciplina con riferimento sia ai presupposti per
la concessione del beneficio, sia al numero delle
rate che possono essere accordate; in virtù di
quanto disposto dall’art. 18 del D.Lgs. n. 46/1999,
peraltro, tale disciplina si applica anche alle tasse
e alle imposte indirette.
L’ufficio (5), in base a quanto disciplinato dal
b) per le minute pervenute al CNC dal giorno 16 all’ultimo
giorno del mese, entro il giorno 15 del secondo mese successivo.
(5) A tale proposito, si evidenzia che il termine “ufficio” non
può che essere riferito all’ufficio che ha effettuato l’iscrizione a
ruolo, in conformità al senso che questo termine assume in tutte le disposizioni del D.Lgs. n. 46/1999; laddove, infatti, il legi-
il fisco
Con la riformulazione dell’art. 12 data la corrispondenza tra ambito territoriale e concessionario
e l’unicità dei ruoli (ordinari e straordinari) si comprende il sensibile risparmio organizzativo conseguente alle nuove regole: nelle mani di uno stesso
concessionario si potranno concentrare, in relazione ad un medesimo debitore, tutti i ruoli e le corrispondenti pretese di più amministrazioni pubbliche creditrici, in relazione ad entrate tributarie e
non, a patto che tutte queste amministrazioni si
avvalgano del servizio nazionale della riscossione.
Il ruolo diviene esecutivo nel momento in cui
viene sottoscritto dal titolare dell’ufficio competente a formarlo ovvero da un suo delegato. Tale
disposizione taglia drasticamente il lungo iter precedente occorrente per giungere alla definitiva
consegna al concessionario del ruolo esecutivo.
Precedentemente infatti i ruoli erano consegnati
dal concessionario all’Intendenza di finanza. Della
consegna veniva redatto processo verbale in duplice
copia e un esemplare veniva affisso in apposito albo
presso l’ufficio delle imposte. I competenti uffici
dell’Amministrazione finanziaria apponevano il
visto di esecutorietà sul riassunto riepilogativo, parte integrante del ruolo, che veniva inviato in copia
alla competente ragioneria provinciale dello Stato.
Ora invece la formazione di un ruolo è tutta
interna all’Amministrazione finanziaria e il ruolo,
al termine del processo di sua formazione, acquista anche l’esecutorietà. Si è così inciso positivamente non solo sui tempi di materiale predisposizione del titolo, ma anche sull’efficacia del sistema, capace di ridurre al minimo gli errori di formazione dell’atto.
nuovo art. 19 del D.P.R. n. 602/1973, su richiesta
del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di
temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello
stesso, la ripartizione del pagamento delle somme
iscritte a ruolo fino ad una massimo di sessanta
rate mensili ovvero la sospensione della riscossione per un anno e, successivamente, la ripartizione
del pagamento fino ad un massimo di quarantotto
rate mensili.
Secondo quanto esplicitato nella circolare ministeriale n. 184/E del 6 settembre 1999 e nella circolare n. 156/E del 26 gennaio 2000 (rispettivamente,
in “il fisco” n. 34/1999, pag. 11268, e n. 6/2000,
pag. 1711), relativamente a somme non superiori a
cinquanta milioni di lire (da calcolarsi con riferimento all’importo di cui il debitore chiede la rateazione, e non a quello iscritto a ruolo), l’ufficio
dovrà valutare discrezionalmente, di volta in volta,
l’esistenza della “temporanea situazione di obiettiva difficoltà”, provvedendo, tra l’altro, a stabilire il
numero di rate mensili che riterrà congruo in rapporto tanto all’entità del carico, quanto alle condizioni patrimoniali del debitore. In ogni caso, la
scadenza di ogni rata, in conformità all’art. 19,
comma 4, del nuovo D.P.R. n. 602/1973, dovrà
essere fissata all’ultimo giorno di ciascun mese.
Se l’importo iscritto a ruolo è invece superiore a
cinquanta milioni di lire, il riconoscimento di tali
benefici è subordinato alla prestazione di idonea
garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria.
La richiesta di rateazione deve essere presentata,
a pena di decadenza, prima dell’inizio della procedura esecutiva ai sensi del nuovo art. 19, comma 2,
del D.P.R. n. 602/1973.
Ne deriva che l’ufficio può concedere la rateazione soltanto dopo avere appurato, per il tramite del
slatore delegato ha inteso individuare soltanto determinate
tipologie di uffici finanziari, lo ha fatto espressamente (cfr., ad
esempio, art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973, come sostituito dall’art. 15 del D.Lgs. n. 46/1999).
Pertanto, a decorrere dal 1° luglio 1999, è venuta a cessare la
preesistente competenza delle sezioni staccate delle Direzioni
regionali delle Entrate a rateizzare i debiti d’imposta iscritti in
ruoli formati dagli uffici distrettuali delle imposte dirette, dagli
uffici Iva e dagli uffici del registro ed i provvedimenti di rateazione di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973 devono essere
adottati in ogni caso dall’ufficio che ha emesso il ruolo, come
già avviene per i ruoli degli uffici delle entrate e dei Centri di
servizio delle imposte dirette ed indirette.
Ne consegue che le istanze di rateazione presentate alle sezioni staccate antecedentemente al 1° luglio 1999 e non ancora evase a tale data devono essere trasmesse con urgenza agli uffici
che hanno emesso i ruoli, senza che sia necessario alcun atto di
impulso del richiedente, al quale, comunque, dovrà essere fornita comunicazione dell’avvenuta trasmissione dell’istanza.
Ricevuta in tal modo la richiesta di rateazione, l’ufficio delle
imposte dirette, Iva o registro provvederà ad esaminarla in tempi rapidi, al fine di evitare che il trasferimento della titolarità
della competenza possa arrecare pregiudizio agli interessati.
Circolare Ministero delle finanze, Dipartimento Entrate, Direzione
centrale Riscossione 6 settembre 1999, n. 184/E/99/155190 - Art.
7 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. Provvedimenti di dilazione
delle somme iscritte a ruolo. Istruzioni provvisorie.
12/2000 il fisco 3291
ATTUALITÀ
concessionario della riscossione, che, alla data di
presentazione dell’istanza, l’azione esecutiva non
fosse stata avviata.
In caso di mancato pagamento della prima rata
o, successivamente, di due rate:
a) il debitore decade automaticamente dal
beneficio della rateazione;
b) l’intero importo iscritto a ruolo ancora
dovuto è immediatamente e automaticamente
riscuotibile in unica soluzione;
c) il carico non può più essere rateizzato.
È dunque inapplicabile la risoluzione del Ministero delle finanze n. 433238 del 1960 che prevedeva nella previgente normativa che il contribuente
decaduto dal beneficio della rateazione potesse
essere riammesso al beneficio versando l’ammontare delle rate insolute.
4.1. Osservazioni
5. La sospensione di pagamento
La riscossione può essere sospesa, in base a
quanto disciplinato dall’art. 19-bis, dal Ministero
delle finanze con proprio decreto per 12 mesi se
sussistono situazioni eccezionali, a carattere generale o relative ad un’area significativa del territorio
che alterino lo svolgimento di un corretto rapporto
con il contribuente.
La sospensione amministrativa è invece disciplinata dall’art. 39. Tale norma sancisce che la
sospensione può essere concessa da parte degli
organi amministrativi per le imposte sui redditi e
per gli altri tributi che danno origine a contenzioso devoluto alle Commissioni tributarie confermando il principio secondo cui il ricorso tributario
il fisco
Nella vecchia formulazione la norma concedeva
all’Amministrazione finanziaria la facoltà di ripartire il debito tributario fino a 10 rate; nella nuova
formula l’ufficio può concedere la dilazione fino a
60 rate del carico tributario iscritto a ruolo “in ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà” del contribuente. Se dal punto di vista del
numero delle rate la nuova norma sembra vantaggiosa per il contribuente non lo è in riferimento al
potere di concessione. Prima, infatti, l’Amministrazione aveva un’ampia facoltà nel concedere la dilazione senza incontrare limiti normativi, con la
riforma tale facoltà è condizionata alla verifica
della difficoltà oggettiva da parte del contribuente
a pagare i propri debiti.
Si ricordi poi quanto detto per gli importi superiori a 50 milioni: oltre alla condizione della difficoltà nel pagamento viene aggiunta la necessità di
portare idonea garanzia fideiussoria con una conseguente contraddizione: se il contribuente è già in
un’evidente difficoltà che senso ha imporgli il
costo della fideiussione?
contro il ruolo non sospende la riscossione; tuttavia, viene stabilito che l’ufficio delle entrate o il
Centro di servizio possono disporre la sospensione
- in tutto o in parte - fino alla data di pubblicazione della sentenza della Commissione tributaria
provinciale, con provvedimento motivato da notificare al concessionario e al contribuente. Se però
sopravvenga fondato pericolo per la riscossione il
provvedimento può essere revocato.
In caso di impugnazione del ruolo, secondo
quanto sancito dall’art. 28 del D.Lgs. n. 46/1999, il
soggetto creditore può, con provvedimento motivato, sospendere la riscossione anche per le entrate di carattere non tributario ed attribuite da un
giudice diverso da quello tributario.
Accanto alla sospensione in via amministrativa
si deve ricordare quella di natura giudiziale sancita
dal nuovo art. 60 del D.P.R. n. 602/1973 e dall’art.
29 del D.Lgs. n. 46/1999. In particolare quest’ultimo dispone che, se la procedura non è ancora iniziata, per le entrate tributarie diverse da quelle
devolute alle Commissioni tributarie e per quelle
non tributarie, il giudice competente a conoscere le
controversie concernenti il ruolo può sospendere la
riscossione se ricorrono gravi motivi.
Ad esecuzione iniziata invece il giudice può
sospendere la riscossione solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 60 del D.P.R. n. 602/1973 se
cioè ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno (6).
I gravi motivi non consistono solo nell’alta probabilità di accoglimento del ricorso (fumus boni
iuris), ma consistono in gravi violazioni di legge o
problemi di illegittimità della procedura, mentre la
gravità e irreparabilità del danno vanno letti in
relazione all’impossibilità di risarcire o dal fatto
che il bene pignorato soddisfi interessi anche di
natura non meramente patrimoniale.
6. L’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi
Il nuovo testo sopprime poi l’istituto del ricorso
amministrativo contro gli atti del concessionario e,
fatta eccezione per gli aspetti connessi alla regolarità formale ed alla notifica del titolo esecutivo
rientranti nella competenza della Commissione tributaria, riconducono sotto la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria la disciplina dei ricorsi
in opposizione all’esecuzione.
In passato la procedura esecutiva non poteva
essere sospesa a meno che la sospensione non fosse disposta dall’Autorità amministrativa (ex Intendente di finanza, poi Direzione regionale delle
Entrate), o dal pretore in sede di opposizione di
(6) In precedenza il potere di sospensione dell’esecuzione
esattoriale era attribuito alla Direzione regionale delle Entrate
o al pretore nell’ambito dell’opposizione di terzo, o, nelle materie di competenza, alle Commissioni tributarie.
3292 il fisco 12/2000
(7) Codice di procedura civile
Art. 615
Forma dell’opposizione
Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere
ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può
proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma
dell’art. 27.
Quando è iniziata l’esecuzione, l’opposizione di cui al comma
precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni si
propongono con ricorso al giudice dell’esecuzione stessa. Questi fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti
davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del
ricorso e del decreto.
(8) Codice di procedura civile
Art. 617
Forma dell’opposizione
Le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia iniziata l’esecuzione, davanti al giudice indicato nell’art. 480, terzo comma,
con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio di
cinque giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto.
Le opposizioni di cui al comma precedente che sia stato
impossibile proporre prima dell’inizio dell’esecuzione e quelle
relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai
singoli atti di esecuzione si propongono con ricorso al giudice
dell’esecuzione nel termine perentorio di cinque giorni dal primo
atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo o il precetto,
oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti.
tivi, il giudice fissa l’udienza di comparizione delle
parti avanti a sé con decreto steso in calce al ricorso,
ordinando al concessionario di depositare in cancelleria, cinque giorni prima dell’udienza, l’estratto del
ruolo e copia di tutti gli atti di esecuzione.
La norma è finalizzata a mettere il giudice in
condizione di conoscere gli atti dell’esecuzione. Il
giudice dell’opposizione in mancanza della produzione degli atti da parte del concessionario legittimato passivo delle opposizioni poiché titolare dell’azione esecutiva, deve valutare secondo i normali
criteri dell’onere della prova (art. 2697 del codice
civile), ma può esercitare poteri officiosi per conoscere gli atti esecutivi, ad esempio, reiterando l’ordine di esibizione al concessionario inadempiente
o contumace e solo successivamente traendo argomenti di prova dal suo contegno processuale.
7. La cartella di pagamento
il fisco
terzo (ex art. 54 del D.P.R. n. 602/1973 vecchio
testo).
Al contribuente escusso era preclusa ogni azione
giurisdizionale a tutela dei propri interessi, una
volta che l’esattore avesse intrapreso l’esecuzione
coattiva.
Le opposizioni regolate dagli articoli da 615 a
618 del codice di procedura civile non erano
ammesse e i soggetti passivi dell’esecuzione esattoriale che si ritenevano da essa lesi potevano agire
in sede giudiziaria contro l’esattore solo dopo il
compimento dell’esecuzione stessa, ai soli fini del
risarcimento dei danni.
Ora è stata mantenuta solo la preclusione dell’opposizione all’esecuzione: ai sensi del nuovo
art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973, infatti
non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile (7), fatta
eccezione per quelle concernenti la pignorabilità
dei beni; b) le opposizioni regolate dall’art. 617 del
codice di procedura civile (8) relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo.
La ratio di tale preclusione discende dall’esigenza di rispettare la riserva giurisdizionale delle
Commissioni tributarie sulle controversie riguardanti i tributi elencati nell’art. 2 del D.Lgs. n.
546/1992.
Al comma 2 l’art. 57 menzionato sancisce che se è
proposta opposizione all’esecuzione o agli atti esecu-
ATTUALITÀ
Il concessionario notifica la cartella di pagamento, entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello della consegna del ruolo, al debitore
iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei
quali procede.
La cartella di pagamento contiene l’intimazione
ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il
termine di sessanta giorni dalla notificazione, con
l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad
esecuzione forzata. Essa è redatta in conformità al
modello approvato con decreto del Ministero delle
finanze (art. 1 del D.M. 28 giugno 1999).
Ai fini della scadenza del termine di pagamento
il sabato è considerato giorno festivo.
Con il D.M. 28 giugno 1999 è stato approvato il
modello delle cartelle di pagamento, in conformità
del quale, a partire dal 1° luglio 1999, le stesse
sono redatte.
Il modello è predisposto su fogli di formato A4,
compilati fronteretro, con fondo bianco e riquadri
di colore azzurro; esso è composto da un frontespizio riepilogativo, da uno o più riquadri contenenti l’indicazione degli elementi sulla base dei
quali è stata disposta l’iscrizione a ruolo, dalle
istruzioni per il pagamento e dalle avvertenze relative alle modalità ed ai termini di impugnazione
della cartella di pagamento.
Quanto a trasparenza, la cartella ne ha così guadagnato: la prima parte, infatti, come detto, contiene la comunicazione sintetica che la società
concessionaria del servizio di riscossione effettua
nei confronti del cittadino sulle somme che il contribuente dovrà ai vari enti impositori e le causali
delle richieste. La cartella contiene anche informazioni più dettagliate sugli addebiti di cui si chiede
il pagamento e sugli enti che lo hanno richiesto
nonché di dove, come e quando effettuare i versamenti dovuti.
Con il decreto è stato approvato anche il contenuto delle avvertenze relative alle modalità ed ai
12/2000 il fisco 3293
ATTUALITÀ
termini di impugnazione delle cartelle di pagamento afferenti alle entrate amministrate dal Ministero delle finanze.
Il contribuente si ritroverà così l’indicazione dell’iter da seguire nel caso in cui voglia fare ricorso.
Per le entrate diverse da quelle indicate, ciascun
soggetto creditore provvede a fornire al consorzio
nazionale fra i concessionari il contenuto delle
avvertenze relative alle modalità ed ai termini di
impugnazione afferenti alle proprie entrate, adottando un linguaggio il più possibile comprensibile
ai debitori.
Infine per le cartelle di pagamento relative ai
ruoli resi esecutivi antecedentemente al 1° luglio
1999 sono redatte in conformità dei modelli
approvati con il decreto direttoriale 31 dicembre
1996.
7.1. Osservazioni
il fisco
Non più cartella esattoriale, ma cartella di pagamento. Il legislatore ha introdotto un modello che
comprende in sé le caratteristiche che, prima della
riforma, appartenevano distintamente alla cartella
esattoriale e all’avviso di mora.
La cartella di pagamento ha assorbito le funzioni di titolo esecutivo e di precetto: il debitore una
volta ricevuta la notifica è tenuto al pagamento
entro 60 giorni, decorsi i quali inizia la procedura
espropriativa.
La nuova cartella contiene la comunicazione
dettagliata delle somme da pagare, la relativa causale, gli enti creditori, i termini entro i quali il contribuente dovrà pagare.
In tal modo nell’ottica della semplificazione e
razionalizzazione dei rapporti tra il cittadino-contribuente e le amministrazioni pubbliche dello Stato, l’Amministrazione da una lato semplifica i
pagamenti a ruolo dovuti dai contribuenti con la
notifica di un solo atto, e dall’altro ammette un
atto trasparente e di facile lettura.
Nonostante la semplificazione potrebbero sorgere dei problemi. Il contribuente potrebbe infatti
per errore presentare il ricorso ad un organo diverso da quello prescritto visto che il ruolo e di conseguenza la cartella unica contiene tutte le somme
dovute per tributi e contributi. Come ha ben sottolineato parte della dottrina si sarebbe dovuto creare un solo ufficio presso il quale presentare l’istanza di rateazione dell’intero carico ad un unico
organo presso il quale contestarlo.
Altro problema sorge con l’eliminazione dell’avviso di mora. Tale eliminazione come vedremo
rischia di violare l’art. 13 della Costituzione.
Il diritto di procedere all’esecuzione forzata non
può - per le entrate tributarie sottratte al giudice
ordinario - essere contestato per effetto della sola
mancata notificazione della cartella di pagamento,
come avveniva prima della riforma (Cassazione n.
3739/1971).
Nel testo dell’art. 46 del D.P.R. n. 602/1973 prima della riforma si disponeva che il concessionario, prima di iniziare l’espropriazione forzata nei
confronti del debitore moroso doveva notificargli
un avviso contenente l’indicazione del debito,
distintamente per imposte, soprattasse, pene pecuniarie, interessi, indennità di mora e spese, e l’invito a pagare entro cinque giorni.
Pur trattandosi di un atto del concessionario era
compreso fra gli atti giudizialmente impugnabili
per vizi propri, ma in caso di mancata notifica della cartella esattoriale consentiva l’impugnazione
congiunta anche di quest’ultima, rappresentava
cioè una sorta di ultimo rimedio contro le cartelle
esattoriali erroneamente notificate o non venute a
conoscenza del debitore.
La legge delega di riforma della riscossione, con
la finalità di semplificare e accelerare le procedure
di riscossione ha pensato, come visto, ad un unico
atto con funzioni di pagamento e di mora abolendo così l’avviso di mora.
Secondo quanto sancito dall’art. 25 del D.P.R. n.
602/1973 abbiamo visto che l’espropriazione forzata può essere iniziata una volta decorso il termine
di 60 giorni dalla notifica della cartella (salve le
disposizioni relative alla dilazione o alla sospensione del pagamento). Ciò implica che a tale notifica
viene affidato un valore dirimente.
Ciò deve avvenire entro l’anno dalla notifica della cartella di pagamento, decorso il quale, se del
caso, prima di addivenire al pignoramento, il concessionario dovrà notificare “un avviso questo che
contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo
risultante dal ruolo entro cinque giorni”, avviso
questo che perde efficacia trascorsi 180 giorni dalla data della notifica (ex art. 50). Tale atto previsto
con lo stesso decreto attuativo che ha introdotto la
cartella unica (è approvato il modello di cui all’allegato n. 3, in conformità del quale è redatto l’avviso di intimazione previsto dall’art. 50 del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 602; esso è predisposto su
foglio formato A4, con fondo bianco e riquadri di
colore verde), ha comunque una funzione marginale nella procedura del recupero coattivo.
Ma veniamo al problema da me posto. Cosa succede se la notifica della cartella di pagamento è
affetta da nullità o è giuridicamente inesistente o
più semplicemente è omessa e il concessionario
provvede a pignorare beni o crediti entro l’anno
dalla presunta notifica credendo che questa sia
stata validamente effettuata?
Precedentemente dopo la notifica della cartella e
prima del pignoramento doveva essere notificato
l’avviso di mora e tale atto poteva essere impugnato davanti alla Commissione tributaria denunziandone l’illegittimità in quanto non preceduto dalla
notifica della cartella esattoriale.
Oggi con la riforma della riscossione non è più
possibile far valere il vizio di omessa o irrituale
notifica della cartella mediante il ricorso in Commissione tributaria contro l’avviso di mora perché
3294 il fisco 12/2000
8. Le modalità di pagamento delle cartelle
Con il provvedimento del direttore generale del
Dipartimento delle Entrate datato 28 giugno 1999
vengono regolate retroattivamente le modalità di
pagamento delle somme iscritte a ruolo per tributi,
contributi previdenziali o altre entrate dello Stato
e degli enti pubblici interessati.
(9) C. Glendi, Abolizione dell’avviso di mora: si ritorna al solve
et repete?, in “Corr. trib.” n. 38/1999.
(10) A. Mercatali La ricostruzione delle imposte. Nuove norme
e nuovi problemi, in “Boll. trib.” n. 1/2000.
il fisco
tale avviso non c’è più, almeno sino ad un anno
dalla notifica della cartella di pagamento. Non è
possibile procedere con opposizione ex art. 615 del
codice di procedura civile davanti al giudice ordinario per espresso divieto della legge, né il contribuente può proporre opposizione al Tribunale
visto che, come ricordato, l’art. 57 sancisce che
non sono ammesse le opposizioni regolate dall’art.
617 del codice di procedura civile relative alla
regolarità formale ed alla notificazione del titolo
esecutivo, quest’ultimo costituito dal ruolo che
avrebbe dovuto essere notificato tramite la cartella
che nel caso di specie non è stata notificata.
L’unica strada percorribile sembrerebbe quella
di pagare, se si è in grado di farlo e di presentare
successivamente istanza di restituzione visto che si
è pagato senza che esistesse alcun atto validamente notificato e quindi suscettibile di essere impugnato davanti alle Commissioni (9).
Da quanto detto in concreto l’unico atto che viene portato a conoscenza del contribuente è la cartella di pagamento e solo questa può essere impugnata e solo in sede di impugnativa si potrà richiedere alla Commissione tributaria competente la
sospensione dell’esecuzione.
Non tutta la dottrina è però concorde su tali
conclusioni, anche se sembra difficile condividere
la tesi che mi accingo ad esporre.
Secondo parte della dottrina sembra infatti che
quando la notifica della cartella sia materialmente
o giuridicamente inesistente tanto da non essere
mai venuta a conoscenza del contribuente prima
del pignoramento, occorrerà pure che questi possa
ottenere tutela giurisdizionale del suo diritto di
vedersi applicare una tassazione giusta e del suo
interesse alla corretta e totale osservanza delle
norme procedimentali pena la violazione dell’art.
113 della Costituzione.
A tal fine è necessario individuare in via di interpretazione estensiva della norma, un atto impugnabile proprio per evitare l’incostituzionalità della norma. Ne deriva che l’atto di pignoramento
deve considerarsi un atto conseguente ad un altro
atto che doveva necessariamente essere notificato.
Come tale, l’atto di pignoramento dovrà essere
considerato direttamente impugnabile (10).
ATTUALITÀ
Per comprendere la portata del decreto, è necessario ricordare che il nuovo art. 28 del D.P.R. n.
602/1973, rispondendo a esigenze avvertite da tempo e che avevano trovato una espressa indicazione
nella legge delega n. 337/1997 sulla riforma della
riscossione - ha ampliato i canali di pagamento delle cartelle aggiungendo ai concessionari anche le
banche e le agenzie postali. Ha poi disciplinato le
modalità di versamento per i contribuenti che si
trovano all’estero e che ora possono provvedere
mediante bonifico sul conto corrente bancario indicato dal concessionario nella cartella di pagamento.
Nell’ottica di agevolare il versamento delle somme dovute da parte dei contribuenti, lo stesso art.
28 ha previsto la facoltà di utilizzare mezzi diversi
dal contante, lasciando peraltro a un decreto del
Ministero delle finanze la concreta individuazione
di questi mezzi. Il decreto del 28 giugno scorso,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 luglio
(riportato in “il fisco” n. 31/1999, pag. 10450),
provvede ora a chiarire i vari aspetti operativi delle
disposizioni introdotte.
In primo luogo, identifica il concessionario competente a ricevere il pagamento delle somme iscritte a ruolo sia nell’ufficiale della riscossione nominato dal concessionario, sia nel concessionario
stesso che ha provveduto alla notifica della cartella
di pagamento. Stabilisce poi che il debitore può
rivolgersi a sua discrezione a qualsiasi banca o
agenzia postale per il versamento dell’importo
dovuto; per il pagamento integrale, è tenuto
comunque a utilizzare l’apposito modello allegato
dal concessionario del servizio della riscossione
quando notifica la cartella di pagamento.
Se invece il pagamento che intende fare presso
l’ente poste è di tipo parziale, o è integrale ma tardivo, o ancora è rateizzato in base a uno specifico
provvedimento di dilazione concesso dall’ufficio
competente, dovrà compilare un altro modulo e
precisamente il bollettino di conto corrente modello F35.
Per il versamento che viene effettuato all’estero
il bonifico deve recare una serie di dati, in modo
che il concessionario sia in grado di individuare
con precisione la cartella che viene pagata. I dati
richiesti sono:
- il numero della cartella stessa;
- il codice fiscale del debitore;
in ipotesi di pagamento parziale:
- il numero progressivo e l’ammontare dei
singoli addebiti che si intendono soddisfare.
È possibile, infine, effettuare il versamento delle
somme iscritte a ruolo mediante carte Pagobancomat presso gli sportelli dei concessionari o delle
agenzie postali che hanno attivato i relativi terminali elettronici. Tale tipo di pagamento ha efficacia
liberatoria e può avvenire, ovviamente, nei limiti
dell’ammontare autorizzato dalla banca che ha
emesso la carta stessa.
12/2000 il fisco 3295
ATTUALITÀ
9. Gli interessi
del D.Lgs. n. 46/1999, si fa presente che gli stessi
devono essere applicati:
- dalla data di scadenza del termine di pagamento, se l’istanza è stata presentata prima di tale
data;
- dalla data di presentazione dell’istanza in
caso contrario. In tale ipotesi, tra la data di scadenza del termine di pagamento e quella di presentazione dell’istanza, il contribuente si troverà in
mora e sarà, pertanto, soggetto all’applicazione, a
cura del concessionario, degli interessi previsti
dall’art. 30 del D.P.R. n. 602/1973.
9.1. Interessi per ritardata iscrizione a ruolo
Il nuovo art. 20 del D.P.R. n. 602/1973 prevede
che sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a
quello di scadenza del pagamento (11) e fino alla
data di consegna al concessionario dei ruoli nei
quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al
tasso del cinque per cento annuo. Prima della
correzione attuata dal D.Lgs. n. 326/1999 gli interessi decorrevano dal termine di presentazione
della dichiarazione.
La rettifica deriva dal fatto che il termine di
presentazione della dichiarazione non coincide
più con il termine di pagamento delle imposte.
Fino a qualche anno fa i due termini coincidevano con la conseguenza che era indifferente parlare di scadenza di pagamento o di scadenza di presentazione. Oggi che i due termini non coincidono più è stato logico modificare la decorrenza dei
termini (12).
9.2. Interessi per dilazione del pagamento
(11) Le parole riportate in corsivo sono state così sostituite
dall’art. 1, comma 1, del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 326. La
disposizione si applica dal 21 novembre 1999. Cfr. art. 4 del
provvedimento modificativo.
(12) Secondo quanto disciplinato dal D.M. n. 321/1999 gli
interessi per ritardata iscrizione a ruolo previsti dall’art. 20 del
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sia se determinati direttamente dall’ente creditore, sia se quantificati dal CNC, sono calcolati:
a) per i ruoli provenienti da minute redatte su supporto
cartaceo pervenute al CNC dal giorno 1 al giorno 15 del mese,
fino al giorno 10 del terzo mese successivo;
b) per i ruoli provenienti da minute redatte su supporto
cartaceo pervenute al CNC dal giorno 16 all’ultimo giorno del
mese, fino al giorno 25 del terzo mese successivo;
c) per i ruoli provenienti da minute redatte su supporto
informatico pervenute al CNC dal giorno 1 al giorno 15 del
mese, fino al giorno 25 del secondo mese successivo;
d) per i ruoli provenienti da minute redatte su supporto
informatico pervenute al CNC dal giorno 16 all’ultimo giorno
del mese, fino al giorno 10 del terzo mese successivo.
il fisco
Sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato
o sospeso ai sensi dell’art. 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del sei per cento annuo.
L’ammontare degli interessi dovuti è determinato nel provvedimento con il quale viene accordata la prolungata rateazione dell’imposta ed è
riscosso unitamente all’imposta alle scadenze
stabilite.
Con riferimento alla decorrenza degli interessi
per dilazione di pagamento la cui misura è attualmente fissata al sei per cento, previsti dall’art. 21
del D.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 9
Sempre in tema di interessi, si richiama l’attenzione degli uffici sull’art. 2, comma 1, lettera
a), del D.Lgs. correttivo n. 326 (16 agosto 1999),
per effetto del quale il citato nuovo art. 21 del
D.P.R. n. 602/1973, si applica non solo alle imposte sui redditi, ma anche alle altre entrate tributarie.
Tale precisazione è importante visto che l’applicazione degli interessi per dilazione di pagamento
- prima della modifica apportata dal D.Lgs. n.
326/1999 - si considerava valevole solo per le imposte dirette, con la conseguenza della paralisi degli
uffici Iva e registro, competenti ai sensi dell’art. 19
del D.P.R. n. 602/1973 a concedere la dilazione.
Era infatti impossibile concedere la dilazione visto
che l’art. 31, comma 2, stabilisce che gli interessi
vengono determinati con lo stesso provvedimento
che concede la dilazione.
Ciò ha portato alla non possibilità di concedere
rateizzazioni in materia di imposte indirette dal 1°
luglio al 21 settembre 1999, data di entrata in vigore del decreto correttivo.
L’importo delle singole rate dovrà essere calcolato
arrotondando alle mille lire ed utilizzando la relativa procedura, che sarà resa disponibile, a decorrere
dal 13 settembre 1999, via terminale (13).
9.3. Attribuzione degli interessi
Gli interessi di cui agli artt. 20 e 21 spettano
all’ente destinatario del gettito delle imposte cui si
riferiscono.
9.4. Interessi di mora
Decorso inutilmente il termine previsto dall’art.
25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di
mora al tasso determinato con riguardo alla media
dei tassi bancari attivi.
L’interesse decorre così dalla data di notifica del-
(13) Circolare del Ministero delle finanze, Dipartimento delle
Entrate, Direzione centrale Riscossione 6 settembre 1999, n.
184/E/99/155190.
3296 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
9.5. Interessi per sospensione amministrativa
il fisco
la cartella se il pagamento non viene effettuato nei
sessanta giorni previsti dalla legge. In caso contrario non è dovuto alcun interesse. La ratio legis è
facilmente intuibile ed è quella di stimolare il debitore ad adempiere nel termine assegnato, in quanto
anche il ritardo di un giorno nel pagamento comporta la debenza degli interessi di mora a decorrere
dalla data di notifica della cartella. Sarebbe stato
più logico non richiedere alcun interesse durante il
termine concesso per il pagamento e computare lo
stesso dopo la scadenza dei sessanta giorni.
Sulle somme il cui pagamento è stato sospeso
dall’Amministrazione finanziaria che risultano
dovute dal debitore a seguito della sentenza della
Commissione tributaria provinciale si applicano
gli interessi al tasso del sette per cento annuo;
tali interessi vengono iscritti a ruolo dall’ente
impositore e decorrono dalla data del provvedimento di sospensione sino alla sentenza di primo
grado.
Bibliografia essenziale
il fisco
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D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, in “Tributi” n. 5/1999.
■
12/2000 il fisco 3297
ATTUALITÀ
La notifica
degli atti giudiziari e fiscali
Considerazioni e riflessioni
di Paolo Di Fabio
Premessa
il fisco
L’esplosione del problema delle notifiche degli
atti ha evidenziato l’arretratezza della strutturazione dei procedimenti che l’ordinamento giuridico
italiano ha predisposto al fine di rendere conosciuti al destinatario i documenti notificatigli.
La Corte Costituzionale, con la ben nota sentenza n. 346 del 22 settembre 1998 (in “il fisco” n.
36/1998, pag. 11951), sanciva l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 20 novembre 1982, n.
890, precisamente, stabiliva che il comma 2 del
detto articolo era viziato da incostituzionalità laddove non prevedeva che, in caso di rifiuto di ricevere il piego, o in caso di mancato recapito per
assenza del destinatario o di persona idonea a ricevere l’atto, fosse data notizia al destinatario con
raccomandata con avviso di ricevimento del compimento delle formalità di legge (ossia, la ragione
del mancato recapito, ricompresa tra quelle menzionate: assenza del destinatario, rifiuto di ricevere
l’atto, mancanza di persona idonea a riceverlo).
Ancora, veniva sanzionato il comma 3, nella parte
in cui prevedeva la restituzione al mittente del
documento, depositato presso l’ufficio postale,
dopo soli dieci giorni dal deposito, senza che fosse
stato curato il ritiro da parte del destinatario.
Tale sentenza, pur riguardando la L. n. 890 del
1982, determinava un vero terremoto riguardante
soprattutto gli uffici giudiziari, e tra essi gli uffici
tributari.
Motivando tale pronuncia sulla base di un diritto
di difesa del destinatario, indiscutibile in uno Stato
di diritto, la Corte indicava come direzione per colmare il vuoto normativo venutosi a creare con l’a-
brogazione delle norme sopra ricordate, la disciplina
dettata dall’art. 140 del codice di procedura civile.
L’articolo in questione recita “Irreperibilità o rifiuto di
ricevere la copia - Se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso
del deposito alla porta della abitazione o dell’ufficio
o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia
per raccomandata con avviso di ricevimento”.
Come si vede, il codice prevede il deposito della
copia dell’atto presso la casa comunale esclusivamente come ultima ratio, da esperire solo in caso
di mancanza del destinatario stesso presso la propria abitazione, o presso il luogo dove esercita la
propria attività lavorativa, ovvero, ancora, in caso
di mancanza delle persone indicate dall’art. 139
del codice di procedura civile.
L’applicazione dell’art. 140 del codice di procedura civile al contenzioso tributario obbedisce alla
tendenza assimilatoria della procedura tributaria
alla procedura civilistica, in atto già da qualche
tempo. Tale tendenza si è concretata nell’emanazione dei decreti legislativi 31 dicembre 1992, nn.
545 e 546, riguardanti, rispettivamente, gli organi
speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione, e le norme dispositive sul processo tributario.
Proprio l’art. 16, comma 2, del D.Lgs. n. 546
richiama, circa le notificazioni relative alla procedura dinanzi alle Commissioni tributarie, gli artt.
137 e seguenti del codice di procedura civile. Ciò
comporta l’inserimento in una procedura sui generis, quale quella tributaria, di norme e principi
consolidati nel processo ordinario. I principi cui si
ispira tale regolamentazione, pertanto, vengono
trasfusi pienamente ed interamente dal procedimento ordinario a quello speciale tributario: e ciò
3298 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
La Suprema Corte, in materia di perfezionamento della notificazione, ha stabilito che siano elementi sufficienti l’affissione dell’avviso e la spedizione della raccomandata, senza che sia necessaria
l’effettiva consegna della raccomandata al destinatario (Cass. n. 2490/1996, n. 1136/1995, n.
6187/1994, n. 2714/1991, n. 1504/1990, n.
969/1990, n. 4788/1989, n. 1192/1989, n. 607/1988,
n. 4914/1987). Come si vede, un contrasto con la
precedente pronuncia, per la quale la consegna al
vicino non perfeziona la conoscenza da parte del
destinatario. L’unica differenza consiste nell’avviso
all’uscio: un elemento, a nostro sommesso parere,
alquanto fragile.
Pertanto, tali considerazioni mostrano alcune
imperfezioni nei meccanismi stabiliti dal legislatore affinché un atto venga portato a conoscenza del
soggetto cui è destinato.
a rafforzare le garanzie per il destinatario degli
atti, in base e nel quadro della disposizione costituzionale di cui all’art. 24, commi 1 e 2, della Carta, per la quale “Tutti possono agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Proprio l’esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente sancito, vede come presupposto la
conoscenza da parte del cittadino degli atti giudiziari che lo riguardino, al fine di consentirgli la
difesa stessa.
L’art. 140 del codice di procedura civile e l’art.
1335 del codice civile
La L. n. 890 del 1982
il fisco
L’ambito di applicazione della procedura ex art.
140 del codice procedurale viene definito dalla Cassazione a più riprese (n. 1166/1996, n. 104/1991, n.
7453/1990, n. 1854/1989, n. 2429/1986, n.
1823/1986): solo in presenza di una difficoltà di
ordine materiale, e cioè per irreperibilità, incapacità
o rifiuto di ricevere l’atto ad opera delle persone
indicate dall’art. 139, vi si può fare ricorso. Peraltro
(Cass. n. 5178/1993), il notificante dovrà utilizzare
l’ordinaria diligenza per operare le opportune ricerche, oltre, ovviamente, ad attestare le ricerche stesse
nella relata.
Vincoli non indifferenti, posti a pena di nullità
della procedura notificatoria.
Ancora, l’art. 1335 del codice civile opera una
presunzione di conoscenza laddove proposta e
accettazione contrattuale, la loro revoca e ogni
altra dichiarazione verso un destinatario giungano
all’indirizzo del destinatario stesso: si tratta di presunzione iuris tantum, vincibile dalla prova contraria costituita dallo stato di impossibilità, senza
colpa, di avere avuto notizia della comunicazione.
La Cassazione (n. 2457/1968) ha sancito che tale
principio è applicabile non solo in materia contrattuale, bensì a tutte le dichiarazioni recettizie; tuttavia, esso non si applica alla notificazione degli
atti processuali, regolati dalla disciplina specifica
del codice di procedura (Cassazione n. 6432/1984).
A ben vedere, tuttavia, il principio della presunzione di conoscenza contenuto nel codice civile si
può applicare ad alcuni elementi del meccanismo
previsto dall’art. 140 del codice di procedura civile:
e, precisamente, alla fattispecie della spedizione
della raccomandata. La Cassazione (n. 6101/1988)
ha stabilito che la presunzione di conoscenza non
operi laddove la lettera raccomandata, in assenza
del destinatario e senza alcuna sua autorizzazione
in merito, sia stata consegnata ad un vicino, e, perciò, non consegnata effettivamente al destinatario.
Cosa avviene, dunque, nel caso in cui la lettera raccomandata relativa alla procedura ex articulo 140
venisse consegnata al vicino di casa del destinatario? Basta l’avviso affisso all’uscio del destinatario
stesso per perfezionare la notifica?
La L. n. 890 del 1982 consente agli ufficiali giudiziari di ricorrere al servizio postale per la notificazione degli atti: mera facoltà, nel caso in cui la
notifica debba avvenire nel comune ove ha sede
l’ufficio o l’azienda, vero obbligo, nel caso in cui la
notifica debba avvenire fuori del comune di residenza del destinatario. L’art. 8 della legge, come
detto, è stato colpito dalla Corte Costituzionale
nei commi 2 e 3: il primo, in quanto non prevede
una raccomandata A/R di avviso al destinatario
del deposito del piego, contenente l’atto in comunicazione, presso l’ufficio postale (essendosi verificata la mancanza di persone abilitate a ricevere
il piego).
Il secondo, in quanto prevedeva solo dieci giorni
di deposito presso l’ufficio postale, trascorsi i quali il
piego veniva rispedito al mittente, con ciò concedendo un termine troppo breve al destinatario per recarsi all’ufficio postale e ritirare l’atto depositatovi.
La Corte Costituzionale indicava come modello
da seguire l’art. 140 del codice di procedura civile,
che sopra abbiamo riportato, il quale garantisce il
diritto di difesa, presupposto del quale è la conoscenza dell’atto, attraverso l’invio di una raccomandata A/R di informazione dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale. Inoltre, l’articolo stesso non fa menzione alcuna di termini, trascorsi i quali, l’atto debba essere restituito al mittente. Fin qui, la pronuncia della Corte, la quale va
a colpire una norma a prima vista indifferente
riguardo al contenzioso tributario. A ben vedere,
tuttavia, non appare così pacifico che la sentenza
n. 346 non spieghi i suoi effetti anche nel meccanismo notificatorio tributario.
Notifiche nella normativa fiscale
Così recita l’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973: “Notificazioni - La notificazione degli avvisi e degli altri
12/2000 il fisco 3299
ATTUALITÀ
po libero e le migliorate possibilità economiche
della popolazione determinano assenze di durata
anche rimarchevole dall’abitazione o dal posto di
lavoro, come, peraltro, rilevato dalla stessa Corte
nella motivazione della sentenza.
Ancora, non appare affatto equo imporre al contribuente l’onere di una prova contraria, vista,
peraltro, l’esiguità del termine concessogli per
addivenire alla conoscenza dell’atto comunicatogli
(soli otto giorni).
La Corte Costituzionale ha indicato, infatti, che
“deve ritenersi illegittima qualsiasi disciplina che,
prevedendo la restituzione del piego al mittente
dopo un termine di deposito eccessivamente breve,
pregiudichi la concreta possibilità di conoscenza
del contenuto dell’atto da parte del destinatario
medesimo.”: ebbene, la L. n. 890, nel suo art. 8,
prevedeva un termine di deposito di soli dieci giorni. Se il termine previsto dalla succitata norma
fiscale è di soli otto giorni, appare evidente la sua
esiguità, e la sua conseguente incostituzionalità.
Pertanto, a mente del principio testé enunciato,
deriva il forte sospetto di illegittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 60, lettera e), del
D.P.R. n. 600 del 1973.
Illegittimità derivata
il fisco
atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita secondo le norme stabilite dagli
artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile,
con le seguenti modifiche:
a) la notificazione è eseguita dai messi comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte;
b) il messo deve fare sottoscrivere dal consegnatario l’atto o l’avviso ovvero indicare i motivi
per i quali il consegnatario non ha sottoscritto;
c) salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere
fatta nel domicilio fiscale del destinatario;
d) è in facoltà del contribuente di eleggere
domicilio presso una persona o un ufficio nel
comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano.
In tal caso l’elezione di domicilio deve risultare
espressamente dalla dichiarazione annuale ovvero
da altro atto comunicato successivamente al competente ufficio imposte a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento;
e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi
la notificazione non vi è abitazione, ufficio o
azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 del codice di procedura civile
si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai
fini della decorrenza del termine per ricorrere, si
ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a
quello di affissione;”.
Il riverbero della sentenza della Corte Costituzionale in materia di notifiche, a nostro sommesso
parere, colpisce anche la legittimità e l’operatività
della lettera e) dell’art. 60 sopra menzionato.
Infatti, l’efficacia della notifica si produce automaticamente allo scadere dell’ottavo giorno dall’affissione dell’avviso, a prescindere dal ritiro dell’atto da parte del contribuente presso l’ufficio
postale.
Alla luce del principio espresso dalla Corte, principio costituzionalmente garantito, come già esposto in precedenza, tale norma appare lesiva del
diritto di difesa del contribuente, operando una
presunzione di conoscenza dell’atto da parte sua.
Si potrebbe obiettare che tale presunzione sia da
considerare iuris tantum, pertanto vincibile da
prova contraria: ma ciò è, anzitutto, una possibile
interpretazione, essendo altrettanto valida la tesi
per cui la succitata norma indicherebbe una presunzione iuris et de iure, non vincibile cioè da prova contraria. Appare interessante notare come la
Corte abbia rilevato, nella sua pronuncia, che il
diritto di difesa del destinatario non possa ridursi
“ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli.”. Bisogna altresì ricordare
che il termine di dieci giorni di deposito presso
l’ufficio postale, sancito dalla L. n. 890, fu fissato
in un periodo ed in un contesto sociale ben diverso
da quello attuale, nel quale la globalizzazione dell’attività lavorativa, con la conseguente necessità di
trasferimenti e viaggi, la maggiore quantità di tem-
Potrebbe, a questo punto, obiettarsi che, con la
sentenza n. 346, la Corte Costituzionale abbia
voluto sancire la contrarietà al dettato costituzionale della sola normativa contenuta nella L. 20
novembre 1982, n. 890, e solo di quella.
Ora, a tacere del fatto che il diritto di difesa è un
diritto costituzionalmente garantito, come già più
volte ricordato, appare d’uopo menzionare l’orientamento dottrinale per il quale “nella stessa sentenza di accoglimento la Corte può dichiarare (art.
27 della L. n. 87 del 1953) quali sono le altre disposizioni legislative la cui illegittimità deriva come
conseguenza della decisione adottata (la cosiddetta illegittimità costituzionale conseguenziale). È da
rilevare, al riguardo, che la giurisprudenza della
Corte sul cosiddetto ‘nesso di conseguenzialità’
non è univoca, anche se sembra affermarsi la tendenza a rinvenire tale nesso tutte le volte in cui ci
si trovi in presenza di disposizioni confermative,
applicative o ripetitive di quelle dichiarate illegittime o di disposizioni a queste strettamente collegate sotto il profilo formale. In ogni caso, anche la
dichiarazione di illegittimità conseguenziale costituisce una deroga al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.” (T. Martines, Diritto
costituzionale, V ed., Milano, 1988, pag. 587).
Ancora, per il Sandulli (Il giudizio sulle leggi,
Milano, 1967, pagg. 69 e seguenti, riportato in
nota da Martines, cit.) l’illegittimità conseguenziale si avrebbe in ordine alle disposizioni che:
a) rimarrebbero prive di funzione in seguito
alla dichiarazione di incostituzionalità e quella
3300 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
oggetto del giudizio o che, permanente o in vigore, renderebbero inutiliter data la sentenza della
Corte;
b) hanno contenuto coincidente con quello
della norma dichiarata illegittima;
c) rimarrebbero sbilanciate in conseguenza
dell’eliminazione di quella oggetto del giudizio e
delle altre disposizioni che si trovino con essa in
relazione di connessione inscindibile.
Ulteriore giurisprudenza in materia
Appare ora necessario analizzare le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Campobasso n. 136 del 28 maggio 1998 e n. 151 del 9 giugno 1998 (in questa Rivista, n. 32/1999, pag.
10765, con commento di L. Bellini e A. De Cesare,
nel medesimo numero a pag. 10657), con le quali
si precisano le modalità applicative per una notifica efficace ai sensi dell’art. 140 del codice di procedura civile.
A ben vedere, le sentenze riguardano tributi
richiesti dagli uffici Iva, imposte dirette e del registro in base ad un unico avviso di accertamento
notificato presso l’abitazione dei familiari del contribuente, il quale non conviveva all’epoca con
loro, e risiedeva in tutt’altra città. L’avviso di accertamento, peraltro, era stato consegnato alla figlia
quindicenne. Solo successivamente, ben otto anni
dopo, veniva notificato un avviso di notificazione,
attraverso deposito presso la casa comunale del
comune di residenza del contribuente stesso, relativo a vari avvisi di mora concernenti i tributi
sopra menzionati. Alla pronta ricerca del destina-
il fisco
Si deve precisare che la L. n. 87 del 1953 riguarda le norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte Costituzionale: l’art. 27 prevede che
“La Corte Costituzionale, quando accoglie una
istanza o un ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente
forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime.
Essa dichiara altresì, quali sono le altre disposizioni
legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata.”.
E, come abbiamo visto, la Corte ha sancito, nella
motivazione della sentenza n. 346, la incostituzionalità di “qualsiasi disciplina” che pregiudichi la
reale conoscibilità di un atto notificato, in ragione
di un termine troppo esiguo perché tale conoscenza possa divenire effettiva e si perfezioni.
Ritornando al nostro problema, appare pertanto
chiaro come l’art. 60 del D.P.R. n. 600 possa essere
effettivamente interessato dalla pronuncia del giudice costituzionale, concedendo al destinatario
della notificazione un termine decisamente esiguo
per la conoscenza dell’atto, sempre a tacere della
discutibile e vessatoria presunzione di conoscenza
a suo carico allo scadere del termine, come già evidenziato supra.
tario faceva riscontro l’impossibilità di recuperare
gli avvisi stessi, con conseguente mancata conoscenza del contenuto degli avvisi in questione.
Solo successivamente, ben 7 mesi dopo, in esito
alla notifica di un decreto di comparizione riguardante la procedura di esecuzione forzata promossa
contro di lui in base alle sue posizioni debitorie
scaturenti dal mancato adempimento dei tributi
sopra menzionati, il protagonista della vicenda
giungeva a conoscenza degli avvisi di mora. Venivano da lui proposti, pertanto, separati ricorsi, che
sfociavano nelle dette sentenze di accoglimento
della posizione del ricorrente, il quale contestava
la regolarità della notifica dei detti avvisi di mora,
da parte della Commissione tributaria provinciale
di Campobasso.
Bisogna sottolineare che la fattispecie investita
dalle sentenze in questione consta di elementi
estremamente significativi ai fini della nullità della notifica. In realtà, l’applicazione dell’art. 140
del codice di procedura civile è avvenuta, nel caso
di specie, in modo del tutto irregolare, non rispettando la documentata residenza del contribuente
(il quale, come detto, aveva residenza e domicilio
fiscale in un comune diverso da quello della famiglia), a ciò aggiungendosi la circostanza della consegna avvenuta in mani di persona di minore età,
affermatasi, peraltro, convivente del contribuente.
Peraltro, la sentenza n. 12818 del 23 dicembre
1998 della Corte di Cassazione ha sancito che la
notificazione effettuata dall’Amministrazione
finanziaria a persona diversa dal destinatario in
luogo diverso dal suo domicilio fiscale è inesistente (L. Bellini, A. De Cesare cit., pag. 10661). Ancora, la sentenza n. 8832/1998 della Suprema Corte
stabilisce che dalla relata di notifica debbano
risultare le ricerche, effettuate nel comune presso
la cui casa comunale venga depositato un atto
notificato, in merito all’esistenza nel comune stesso dell’abitazione o ufficio od azienda del contribuente.
Pertanto, addivenire alla procedura ex articulo
140 del codice di procedura civile è scorretto laddove non venissero effettuate adeguate ricerche,
attestate nella relata di notifica, relative all’effettiva residenza del contribuente, con ciò considerandosi non solo l’abitazione, bensì anche l’ufficio o
l’azienda del destinatario dell’atto.
In realtà, a ben vedere, tali sentenze sono ultronee rispetto alla nostra trattazione, involgendo una
fattispecie affatto peculiare. La presenza di innumerevoli elementi che viziano il fatto (il recapito
alla residenza errata, la mancanza di ricerche della
residenza attuale, la consegna a persona non del
tutto affidabile in quanto minorenne) costituiscono elementi significativi, certamente, per i profili
operativi e pratici delle attività notificatorie, ma
nulla aggiungono alla nostra riflessione in materia
di costituzionalità della norma relativa alle notifiche in materia fiscale.
12/2000 il fisco 3301
ATTUALITÀ
La sentenza n. 135/05/99
Conclusioni
il fisco
In ultimo, appare d’uopo citare la sentenza n.
135/05/99 della Commissione tributaria regionale
di Roma, Sez. V, pronunciata il 25 ottobre 1999, in
esito ad un procedimento di appello contro una
cartella di pagamento riguardante tributi Irpef e
Ilor per gli anni 1987, 1988 e 1989. Il ricorrente
lamentava il mancato accoglimento, in primo grado, delle proprie tesi, per le quali era stato impedito a conoscere del contenuto degli avvisi di accertamento relativi alle suddette imposte in quanto il
primo Ufficio delle imposte dirette, a mezzo del
messo notificatore, non aveva compiuto le dovute
ricerche ricorrendo alla procedura ex art. 140 del
codice di procedura civile in modo illegittimo.
Infatti, recatosi presso l’abitazione del contribuente, il messo, constatatane l’assenza e non
essendovi persona abile a ricevere l’atto, procedeva
senza meno ad affiggere all’uscio l’avviso di deposito presso l’ufficio postale dell’atto stesso, confermando ciò con la raccomandata prevista dalla norma. È da specificare che il contribuente era titolare, nello stesso comune, di un’azienda, presso la
quale passava la maggior parte del proprio tempo;
pertanto, con le opportune ricerche, l’avviso di
accertamento sarebbe potuto giungere a buon fine.
Oltre a questo, la raccomandata prevista dalla norma codicistica rimaneva depositata presso l’ufficio
postale per soli tre giorni.
Mentre la Commissione tributaria provinciale,
con il suo pronunciamento in primo grado, riteneva che l’obiezione del ricorrente circa l’irritualità
della notifica venisse superata dalla produzione,
ad opera dell’ufficio resistente, della copia della
busta e dell’avviso di ricevimento, la Commissione
tributaria regionale rilevava l’irregolarità della
notifica, sottolineando il periodo troppo breve (soli
tre giorni) di deposito dell’atto presso l’ufficio
postale. Oltre a questo, la Commissione d’appello
rimarcava l’insufficienza delle ricerche effettuate
dal messo notificatore, sanzionando il ricorso
troppo affrettato alla procedura ex art. 140: peraltro, per la precisione, l’insufficienza delle ricerche
effettuate costituiva, nella motivazione, il primo
punto cardine della pronunzia.
Con tale sentenza, pertanto, si raggiunge un
nuovo punto a favore del contribuente, a cui
garanzia deve ascriversi l’irritualità della notifica
effettuata dopo l’espletamento di ricerche sommarie, oltre alla detta garanzia, ut supra specificato,
del termine congruo di deposito presso l’ufficio
postale, del plico notificato.
L’indagine sui meccanismi predisposti dal legislatore per rendere effettiva la conoscenza di un
atto da parte del destinatario assume importanza
imprescindibile nell’attuale contesto, caratterizzato da rapidi mutamenti sociali, economici e tecnologici.
Non confrontarsi su una tematica tanto importante impedisce l’aggiornamento e l’adattamento
della normativa: già si affacciano problematiche
inerenti a forme innovative di comunicazione,
quali le modalità telematiche (E-mailing, eccetera).
La necessità di bilanciare il diritto, costituzionalmente garantito, di difesa del cittadino con procedure, norme, presunzioni atte ad impedire comportamenti maliziosi costituisce un impegno forte,
da non sottovalutare, soprattutto in una materia,
quale quella tributaria, di notevole complessità e
rilevanza in relazione agli interessi, economici e
non, involti.
Una riflessione serena che tenga conto delle tendenze in atto, emerse in occasione del dibattito
apertosi con la celeberrima sentenza n. 346 della
Corte Costituzionale, non può che giovare ad un
settore, quale quello delle notifiche degli atti,
ancora legato a suggestioni e schemi desueti, al
fine di elaborare una regolamentazione che incarni spirito, necessità e istanze appartenenti all’attuale contesto socio-economico.
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Corsi di formazione
frequentati all’estero dal personale
Territorialità delle prestazioni ai fini Iva
di Loredana Conidi
e Massimo Gabelli
SOMMARIO: Premessa - 1. Territorialità delle prestazioni
di servizi: le norme di riferimento - 2. I corsi di formazione e addestramento del personale - 3. I servizi didattici:
una fattispecie comprensiva dei corsi di formazione e
addestramento del personale - 4. I corsi di formazione e
addestramento del personale compresi nei servizi di consulenza e assistenza tecnica - 5. Conclusioni.
Premessa
1. Territorialità delle prestazioni di servizi: le
norme di riferimento
L’art. 7, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n.
633 stabilisce che “Le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando
sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso o da soggetti ivi residenti che non
abbiano stabilito il domicilio all’estero ....”.
Come noto, l’art. 7, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica citato regola con riferimento a numerose prestazioni di servizi, delle deroghe al
suesposto principio generale ed, in particolare, alla
lettera b), prevedendo che le prestazioni di servizi
il fisco
Nell’ambito delle politiche di sviluppo delle
Risorse Umane sempre più frequentemente e diffusamente le imprese operanti in Italia inviano il
proprio personale a frequentare corsi di formazione e addestramento all’estero.
Il presente lavoro è volto ad esaminare l’inquadramento ai fini Iva sotto il profilo del requisito
territoriale, da attribuire a detti corsi.
Si ritiene opportuno richiamare sinteticamente le disposizioni normative rilevanti per l’inquadramento della fattispecie in esame.
culturali, didattici, sportivi, ricreativi e simili “si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando
sono eseguite nel territorio stesso”.
Per le prestazioni didattiche quindi il criterio di
collegamento territoriale è quello del luogo dell’esecuzione materiale delle stesse, a nulla rilevando la
residenza/domicilio del soggetto passivo prestatore.
Tuttavia la lettera d) dell’art. 7, comma 4, del
D.P.R. n. 633/1972 prevede che le prestazioni di
“consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e di addestramento del
personale, ... si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti
che non hanno stabilito il domicilio all’estero e
quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia
di soggetti domiciliati o residenti all’estero, a
meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica europea”.
Per le prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e addestramento del personale, quindi il criterio di collegamento territoriale è quello della residenza o del
domicilio del soggetto passivo committente.
2. I corsi di formazione e addestramento del
personale
Per individuare l’ambito applicativo delle deroghe menzionate nel caso in esame, si esamina la
nozione di prestazione di servizi didattici differenziandola, se del caso, da quella di formazione e di
addestramento del personale.
In particolare, mentre per i corsi di formazione effettuati in Italia e resi a soggetti ivi domiciliati o residenti ai fini Iva, l’applicazione dell’una
o dell’altra norma porta comunque (1) a conclu-
(1) Fatta salva l’esclusione in base al particolare utilizzo da
parte del committente.
3304 il fisco 12/2000
3. I servizi didattici: una fattispecie comprensiva dei corsi di formazione e addestramento del
personale
Una prima riflessione si pone con riferimento
all’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n.
633/1972, che deroga al principio di carattere generale in tema di territorialità delle prestazioni di servizi e prevede che le prestazioni di servizi culturali,
didattici, sportivi, ricreativi e simili si considerino
effettuate nel territorio dello Stato quando materialmente eseguite nel territorio stesso (3).
(2) Con la conseguenza per il committente di dover in ogni
caso procedere, in assenza di una posizione Iva italiana da parte del prestatore (mancanza di stabile organizzazione o di rappresentante) all’autofatturazione ai sensi dell’art. 17, comma 3,
del D.P.R. n. 633/1972.
(3) Il Ministero, con risoluzione del 3 ottobre 1986, n. 415329
(in “il fisco” n. 43/1986, pag. 6886), in merito al trattamento
fiscale da riservare agli effetti dell’Iva, ai corsi di lingua svolti
da un istituto a favore di cittadini stranieri, si è espresso asserendo che alle “prestazioni di cui trattasi - da considerare prestazioni di servizi culturali e didattici - si rende applicabile la
disposizione legislativa di cui all’art. 7, comma 4, lettera b), del
D.P.R. n. 633/1972 la quale stabilisce, tra l’altro, che le cennate
prestazioni si considerano effettuate nel territorio dello Stato
quando sono eseguite nel territorio stesso”.
il fisco
dere per la territorialità del servizio (2), nel caso
di personale inviato a frequentare corsi di formazione tenuti all’estero le conclusioni nelle due
ipotesi sono opposte.
Infatti, qualificando il servizio come didattico
ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R.
n. 633/1972, la prestazione resta esclusa dall’Iva
nazionale (in quanto è eseguita all’estero); viceversa, qualificando il servizio come prestazione
di formazione e addestramento del personale
regolata dalla successiva lettera d), la prestazione sarebbe soggetta all’Iva nazionale (in quanto
resa a soggetto Iva “residente”, salvo resti esclusa
in ragione del particolare utilizzo).
In altri termini, è necessario esaminare la portata della norma recata dalla lettera b) dell’articolo in commento, verificando se la stessa sia da
considerarsi una norma applicabile anche alla
generalità dei corsi di formazione e di addestramento del personale, attribuendo in questo caso
portata residuale alla norma recata dalla successiva lettera d) - in quanto applicabile solo a particolari fattispecie di corsi di formazione e addestramento del personale.
Diversamente, le prestazioni di formazione ed
addestramento del personale dovrebbero ritenersi
autonomamente regolate, rispetto ai servizi didattici, dalla norma sub art. 7, comma 4, lettera d),
del D.P.R. n. 633/1972, con la conseguenza che
qualsiasi corso di formazione o addestramento del
personale rientrerebbe nell’ambito applicativo di
quest’ultima disposizione.
ATTUALITÀ
Di ausilio all’analisi della nozione di prestazione di servizi didattici è la VI Direttiva comunitaria in materia di Iva (Direttiva n. 77/388 del 17
maggio 1977), nella quale si parla in modo esplicito di attività di insegnamento (art. 9, comma 2,
lettera c), della VI Direttiva) (4).
Al riguardo si osserva che caratteristica precipua di un’attività didattica è la presenza di un
soggetto docente e di uno discente, il primo dei
quali impartisce al secondo il proprio insegnamento con riferimento ad un certo oggetto nonché ad una determinata materia.
Peraltro tali soggetti sono presenti, nella stessa
relazione, anche in un corso di formazione e
addestramento del personale. Sotto questo primo
profilo sembra allora di poter concludere che i
servizi di formazione ed addestramento del personale stanno in un rapporto di specie a genere
rispetto ai servizi didattici, in quanto i primi
sono specifici per oggetto dell’insegnamento (formazione in ambito professionale) e soggetto
discente (il personale).
Per inciso si osserva che si rinviene una relazione di questo genere tra servizi didattici e servizi di formazione e addestramento del personale
in altra norma del D.P.R. n. 633/1972 [art. 10, n.
20)] che espressamente comprende tra le prestazioni didattiche, tra le altre, quelle di formazione
professionale (5).
Giova inoltre segnalare che nella richiamata VI
Direttiva non è dato riscontrare un distinguo (analogo a quello vigente nella normativa interna) tra
attività didattiche e attività di formazione e addestramento del personale, bensì il riferimento all’attività di insegnamento si ha nel menzionato art. 9,
comma 2, lettera c), poi trasfuso e recepito nelle
prestazioni di servizi didattici di cui all’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972.
4. I corsi di formazione e addestramento del
personale compresi nei servizi di consulenza e
assistenza tecnica
Considerato nel precedente paragrafo che i
servizi di formazione ed assistenza del personale
possono essere ricondotti, in principio, ad una
(4) L’art. 9, comma 2, lettera c), della VI Direttiva stabilisce
che “il luogo delle prestazioni di servizi aventi ad oggetto:
- attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, d’insegnamento, ricreative o affini, ivi comprese quelle degli organizzatori di dette attività nonché, eventualmente, prestazioni
accessorie a tali attività;
- attività accessorie ai trasporti quali operazioni di carico,
scarico, manutenzione e attività affini;
- perizie di beni mobili materiali;
- lavori relativi a beni mobili materiali,
è quello in cui tali prestazioni sono materialmente eseguite”.
(5) In merito all’ampia nozione di prestazioni didattiche si
richiamano, da ultimo, le risoluzioni ministeriali n. 44/E del 19
marzo 1999 e n. 73/E del 14 luglio 1998 (rispettivamente, in “il
fisco” n. 18/1999, pag. 6149 e n. 34/1998, pag. 1199).
12/2000 il fisco 3305
ATTUALITÀ
(6) Particolarità riferibile sia al soggetto discente (il personale) che all’obiettivo (formazione e addestramento professionale).
(7) Con la circolare del 28 febbraio 1991, n. 13/430088 (in “il
fisco” n. 11/1991, pag. 1798), il Ministero ha fornito chiarimenti
a proposito delle modifiche normative recate dalla suddetta legge. In merito a quelle introdotte nell’art. 7, comma 4, lettera d),
del D.P.R. n. 633/1972, l’Amministrazione si limita, senza coordinare la disposizione introdotta con la preesistente sub lettera
b), a segnalare che: “nella nuova formulazione sono state introdotte anche le prestazioni di assistenza tecnica e quelle di formazione ed addestramento del personale. In base alla cennata
disposizione ..., alle prestazioni di assistenza tecnica e quelle di
formazione ed addestramento del personale, si considerano
effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti
ivi domiciliati o residenti”.
(8) Peraltro, analoghe conclusioni sono possibili dall’esame
della successiva lettera f) dello stesso art. 7, comma 4, come modi
il fisco
particolare (6) fattispecie dei servizi didattici,
deve essere analizzata la disposizione [art. 7,
comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972], relativa alle prestazioni di consulenza e assistenza
tecnica o legale, comprese quelle di formazione e
addestramento del personale, la cui formulazione attuale è stata introdotta dalla L. n. 428/1990
(con effetto dal 27 gennaio 1991) (7).
In particolare, rispetto all’argomento oggetto del
presente lavoro, è rilevante identificare l’ambito di
applicazione della norma con riferimento ai servizi di
formazione e addestramento del personale, valutando
se qualsiasi prestazione di tale natura si sottragga, o
meno, alla norma sub art. 7, comma 4, lettera b), del
D.P.R. n. 633/1972, inapplicabile quindi ad ogni servizio di formazione e addestramento del personale.
Una prima considerazione è indotta dall’analisi
letterale della norma. La locuzione usata, è “le prestazioni ... di consulenza e assistenza tecnica o
legale, comprese quelle di formazione e di addestramento del personale, ...”.
L’utilizzo del termine “comprese” nonché l’inserimento dell’inciso indicano, a nostro avviso, un
collegamento esplicito lessicale (il termine “comprese”) è periodale (l’inciso) tra la prima parte della frase (prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale) e la seconda (comprese quelle di..., ),
rendendo quest’ultima un “di cui” della prima.
Si può ritenere allora che i servizi di formazione e
di addestramento del personale cui essa si riferisce
siano da considerarsi non prestazioni autonomamente disciplinate rispetto a quelle di consulenza e
assistenza tecnica o legale ma specifici servizi di
formazione e addestramento, compresi tra le prestazioni di consulenza o assistenza tecnica o legale.
In altri termini, se la volontà del legislatore fosse
rinvenibile nel ricondurre l’attività di formazione e
di addestramento del personale in una di quelle
attività assoggettabili alla deroga regolata sub lettera d) - territorialità secondo il domicilio/la residenza del committente - sarebbe stato sufficiente
proseguire l’elenco delle prestazioni, adottando
una diversa formulazione (8).
Oltre all’argomento fondato sulla lettera della norma interna, si consideri che la VI Direttiva [art. 9,
comma 2, lettera e), terzo trattino] menziona “le prestazioni fornite da consulenti, ingegneri, uffici studi,
avvocati, periti contabili ed altre prestazioni analoghe nonché elaborazione di dati e fornitura di informazioni”, mentre manca ogni riferimento alle prestazioni di formazione o addestramento del personale.
Inoltre, in merito alla portata di questa disposizione si è recentemente espressa la Corte di Giustizia delle Comunità europee con sentenza del 16
settembre 1997, n. 145 (in banca dati “il
fiscovideo”), di cui si richiamano in estrema sintesi
(9) alcune osservazioni.
Il richiamo a determinate professioni (avvocato,
ingegnere, eccetera) è un “punto di riferimento per
definire le categorie di prestazioni che vi sono contemplate”, per cui rientrano nell’ambito della deroga
quelle prestazioni “principalmente ed abitualmente
fornite nell’ambito delle professioni elencate” (10).
A nostro avviso le prestazioni di formazione ed
addestramento del personale non rientrano, come
categoria generale, tra quelle principalmente ed
abitualmente fornite nell’ambito di attività delle
figure professionali elencate (consulenti, ingegneri, uffici studi, avvocati, periti contabili).
Invero la norma, oltre che alle professioni menzionate, opera una generica estensione alle “altre
prestazioni analoghe”.
La Corte di Giustizia nella citata sentenza si esprime anche in merito alla portata di questa estensione
la quale “non si riferisce ad alcuni elementi comuni
delle attività eterogenee ricordate ..., bensì a prestazioni analoghe rispetto a ciascuna di dette attività,
separatamente considerata” (paragrafo 20).
In altri termini, le prestazioni analoghe non
costituiscono prestazioni ulteriori rispetto a
quelle elencate e a queste ultime collegate da
alcuni elementi comuni, bensì devono rientrare
nell’ambito di una delle attività professionali tassativamente identificate.
In particolare, “una prestazione deve ritenersi
analoga a una delle attività menzionate in detto
articolo, allorché entrambe perseguano la stessa
finalità” (paragrafo 21).
È nostra opinione che nessuna delle professioni
elencate abbia come finalità tipica (cioè, parafrasando la Corte, principale ed abituale) quella di
formare e addestrare il personale delle imprese.
ficato dall’art. 3, comma 120, della L. 28 dicembre 1995, n. 549,
che, anzi, pare rafforzare la connessione tra consulenza e assistenza tecnica o legale e formazione e addestramento con l’utilizzo dell’avverbio “ivi” (quanto alla mancanza della virgola che dovrebbe
chiudere l’inciso, vista la genesi della complessa norma non pare
un azzardo immaginare un difetto formale di coordinamento).
(9) Per un più ampio commento della sentenza citata si rinvia all’autorevole C. Sacchetto, in “Boll. Trib.” n. 5/1998, pag.
465 e seguenti.
(10) Sentenza sopra citata, paragrafi 15 e 16. Di seguito si fa
riferimento ai paragrafi della sentenza in parola.
3306 il fisco 12/2000
della territorialità, i corsi di formazione eseguiti
in Italia rilevano agli effetti del tributo, risultando assoggettati alla disciplina propria prevista
per tale settore”.
In sintesi, mentre nella prima risoluzione citata
le prestazioni di formazione sono soggette alla norma di cui all’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R.
n. 633/1972, in quanto comprese in una complessa
operazione di consulenza, nella seconda, in mancanza di una complessa operazione di consulenza o
assistenza tecnica e legale, la formazione del personale è assoggettata alla disciplina di cui all’art. 7,
comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972, “disciplina propria prevista per tale settore”.
5. Conclusioni
il fisco
In sintesi, considerata la norma interna e la
corrispondente disposizione comunitaria, si ritiene che le prestazioni di formazione e addestramento del personale non possano essere qualificate come prestazioni rientranti in ogni caso tra
quelle disciplinate dall’art. 7, comma 4, lettera d),
del D.P.R. n. 633/1972.
Con riferimento al comma 4 dell’art. 7 del
D.P.R. n. 633/1972, si può sostenere invece che, in
generale, le prestazioni di formazione e addestramento del personale, autonomamente considerate e per intrinseca natura, rientrino nella disposizione sub lettera b).
Al contrario tali prestazioni rientrerebbero nell’ambito della norma sub lettera d) quando costituenti o una prestazione qualificabile come consulenza o assistenza tecnica o legale oppure una
prestazione priva di autonoma rilevanza compresa in una complessa prestazione di consulenza o
assistenza tecnico/legale.
A supporto della anzidetta tesi si richiama la
risoluzione del 17 novembre 1994, n. 15-556 (in
“il fisco” n. 47/1994, pag. 11192), in cui il Ministero delle finanze, a fronte di un’attività di ricerca e
consulenza riguardante “sia il settore produttivo
(specifiche tecniche di prodotto, configurazione
ottimale dei macchinari, sviluppo e controllo di
standard qualificati, eccetera), sia il settore commerciale, ... sia il settore informatico finanziario
(elaborazione dati, risorse umane, finanza, addestramento di addetti, politiche del personale, eccetera)”, ha ritenuto che dette prestazioni “ancorché coinvolgenti una serie di adempimenti complessi, possano in realtà essere qualificate nella
loro globalità come consulenza tecnica, atteso che
trattasi di prestazioni caratterizzate da una preminente valutazione soggettiva del prestatore”.
In questo caso il Ministero ha applicato la norma
sub art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n.
633/1972 a fronte di servizi di addestramento del
personale, non autonomamente considerati ma perché l’insieme delle operazioni è qualificato come
una complessa prestazione di consulenza tecnica.
Ulteriore conferma dell’interpretazione prospettata, vale a dire che in principio le prestazioni di formazione e addestramento rientrano nella
disciplina sub art. 7, comma 4, lettera b), del
D.P.R. n. 633/1972, è dato rinvenire nella risoluzione ministeriale del 2 settembre 1991, n.
465082 (in “il fisco” n. 39/1991, pag. 6467).
In questa fattispecie, in presenza di un insieme
articolato di prestazioni di servizi ma mancando
una prestazione unitariamente qualificabile come
consulenza o assistenza tecnica o legale, il Ministero ha espressamente concluso che le prestazioni di formazione del personale “ai sensi dell’art.
7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972 ... si
considerano effettuate nel territorio dello Stato
quando sono ivi eseguite. Pertanto, mentre i corsi
di formazione del personale svolti in Egitto non
rilevano ai fini Iva, essendo privi del requisito
ATTUALITÀ
Con riferimento ai servizi di formazione e addestramento del personale, attribuire alla deroga di
cui all’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n.
633/1972 una valenza di carattere generale implica
sostenere che tutte queste prestazioni di servizi
sono rilevanti territorialmente in Italia quando
sono rese a soggetti ivi domiciliati o residenti, a
meno dell’utilizzo fuori dal territorio comunitario,
anche se materialmente effettuate all’estero.
È possibile invece sostenere che i servizi di formazione ed addestramento del personale costituiscano, come regola generale, una prestazione
regolata dall’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R.
n. 633/1972, relativa ai servizi didattici e simili, e
che, conseguentemente, le prestazioni per i corsi
di formazione frequentati all’estero dal personale
delle imprese operanti in Italia restino escluse dal
campo di applicazione dell’Iva nazionale.
Per contro, i corsi di formazione e di addestramento del personale regolati dall’art. 7, comma 4,
lettera d), del D.P.R. n. 633/1972 sarebbero esclusivamente quelli qualificabili come prestazioni di
consulenza e assistenza tecnica o legale ovvero
compresi in prestazioni complesse di consulenza
ed assistenza tecnica o legale.
Sulla base delle suddette considerazioni si
giunge, a titolo meramente esemplificativo, a ritenere che:
- le prestazioni relative ad un corso di formazione linguistica del personale effettuato all’estero restino escluse dall’ambito dell’Iva nazionale ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera b), del
D.P.R. n. 633/1972;
- nell’ambito di un programma di assistenza
tecnica (per esempio: a seguito dell’installazione di
nuovi impianti), comprensivo di corsi di formazione e addestramento del personale effettuati all’estero, queste ultime prestazioni rientrino nella sfera di applicazione dell’Iva nazionale ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972.
■
12/2000 il fisco 3307
ATTUALITÀ
IVA
Il “momento di effettuazione
dell’operazione”
e le “prestazioni di servizi”
Il principio generale, secondo il quale le “prestazioni di servizi” si intendono
effettuate solo nel momento dell’incasso del corrispettivo, si applica
anche quando - all’ultimazione della prestazione - si rilascia una “ricevuta fiscale”,
in relazione alla quale non è stato ancora riscosso il compenso previsto
di Piero Merlo
(1) D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni
ed integrazioni
Art. 6
Effettuazione delle operazioni
Le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento
della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento
della consegna o spedizione se riguardano beni mobili. Tuttavia
le cessioni i cui effetti traslativi o costitutivi si producono
posteriormente, tranne quelle indicate ai nn. 1) e 2) dell’art. 2,
si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali
effetti e comunque, se riguardano beni mobili, dopo il decorso
di un anno dalla consegna o spedizione.
In deroga al precedente comma l’operazione si considera
effettuata:
a) per le cessioni di beni per atto della pubblica autorità e
per le cessioni periodiche o continuative di beni in esecuzione
il fisco
In tema di Iva, uno dei problemi centrali è quello di stabilire correttamente qual è il momento in
cui una data operazione di “cessione” o di “prestazione” si deve considerare effettuata ai fini dell’imponibilità del tributo.
Per quanto riguarda le “cessioni di beni mobili”
[e al di là delle specifiche ed espresse deroghe
contenute nei commi 1 e 2 dell’art. 6 del D.P.R. n.
633/1972 (1)] il momento di effettuazione dell’o-
perazione si identifica con quello della “consegna
o spedizione dei beni”.
Relativamente invece alle “prestazioni di servizi”, si deve fare riferimento al comma 3 dello stes-
di contratti di somministrazione, all’atto del pagamento del
corrispettivo;
b) per i passaggi dal committente al commissionario, di
cui al n. 3) dell’art. 2, all’atto della vendita dei beni da parte del
commissionario;
c) per la destinazione al consumo personale o familiare
dell’imprenditore e ad altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa, di cui al n. 5) dell’art. 2, all’atto del prelievo dei beni;
d) per le cessioni di beni inerenti a contratti estimatori,
all’atto della rivendita a terzi ovvero, per i beni non restituiti,
alla scadenza del termine convenuto tra le parti e comunque
dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione;
d-bis) per le assegnazioni in proprietà di case di abitazione
fatte ai soci da cooperative edilizie a proprietà divisa, alla data
del rogito notarile.
Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del
pagamento del corrispettivo. Quelle indicate nell’art. 3, terzo
comma, primo periodo, si considerano effettuate al momento
in cui sono rese, ovvero, se di carattere periodico o continuativo, nel mese successivo a quello in cui sono rese.
Se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi o indipendentemente da essi sia emessa fattura, o
sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato,
alla data della fattura o a quella del pagamento, ad eccezione del
caso previsto alla lettera d-bis) del secondo comma.
L’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di
servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si
3308 il fisco 12/2000
considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti e l’imposta è versata con le modalità e nei termini stabiliti nel titolo secondo. Tuttavia per le cessioni dei prodotti
farmaceutici indicati nel numero 114) della terza parte dell’allegata tabella A effettuate dai farmacisti, per le cessioni di
beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti,
di cui al quarto comma dell’art. 4, nonché per quelle fatte allo
Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità
giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi
costituiti ai sensi dell’art. 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142,
alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura,
agli istituti universitari, alle unità sanitarie locali, agli enti
ospedalieri, agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e
beneficenza e a quelli di previdenza, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi, salva la
facoltà di applicare le disposizioni del primo periodo. Per le
cessioni di beni di cui all’art. 21, quarto comma, quarto periodo, l’imposta diviene esigibile nel mese successivo a quello
della loro effettuazione.
Questi equivoci nascono perché a volte non si
tiene presente che - anche quando le prestazioni
sono soggette all’obbligo della “ricevuta fiscale” non si viene affatto a modificare il principio generale secondo il quale, nelle prestazioni, il momento impositivo coincide con quello della riscossione
del corrispettivo.
È vero che la “ricevuta” deve essere emessa e
rilasciata nel “momento dell’ultimazione della
prestazione”, anche se in quel momento il pagamento non sia ancora stato effettuato dal cliente,
ma ciò non toglie che l’obbligazione tributaria
nasca solo nel momento successivo della riscossione del corrispettivo.
Ciò evidentemente consente di effettuare l’annotazione del corrispettivo riscosso solo nel momento della riscossione stessa, con tutti gli effetti sottostanti ai fini delle “liquidazioni” e dei versamenti periodici dell’Iva.
A questo riguardo si può ancora fare riferimento alla vecchia circolare n. 3/380101 del 19 gennaio 1980 (in “il fisco” n. 4/1980, pag. 347), nel
punto dove, entrando nel merito delle registrazioni dei corrispettivi, si precisa, appunto, che nel
“registro dei corrispettivi” deve essere annotato
l’ammontare globale dei corrispettivi riscossi
giornalmente, e in particolare devono essere registrati:
il fisco
so art. 6, secondo il quale “Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento
del corrispettivo...”, e ciò ovviamente in relazione
dalla determinazione del “momento impositivo”.
Esiste in pratica solo una deroga, contenuta nello stesso comma 3 dell’art. 6, in base alla quale le
prestazioni, superiori a lire cinquantamila, effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero a titolo gratuito per altre finalità
estranee all’impresa, si considerano effettuate nel
momento in cui sono rese, oppure - se di carattere
periodico - nel mese successivo a quello in cui
sono rese.
Questa norma rappresenta appunto non solo
una deroga al principio generale che prevede la
nascita del momento impositivo solo nel momento
della riscossione del corrispettivo, ma anche all’altra norma di carattere generale secondo la quale le
“prestazioni” sono imponibili solo se rese “contro
corrispettivo” (comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. n.
633/1972), e ciò in difformità dell’altra norma che
prevede (salvo le espresse deroghe) l’imposizione
dell’Iva anche sulle cessioni gratuite.
Per completare il quadro essenziale delle disposizioni che riguardano la determinazione del
momento impositivo nelle prestazioni di servizi, si
deve anche ricordare che - sempre con riferimento all’art. 6, comma 4 - l’emissione anticipata della
fattura determina automaticamente l’effettuazione dell’operazione, come pure l’incasso anticipato
del corrispettivo stesso (ovviamente anche per
una sola parte di esso).
Queste premesse e queste indicazioni - prima di
prendere brevemente in esame una sentenza della
Corte di Cassazione che prende in esame un caso
particolare e un contenzioso derivante appunto da
una scorretta interpretazione da parte del verificatore fiscale delle norme generali cui si è accennato
- sono senza dubbio opportune in quanto, come
già si è accennato, permangono tuttora equivoci
al riguardo, soprattutto da parte dei classici prestatori di servizi (artigiani, installatori, riparatori,
eccetera).
ATTUALITÀ
1) l’ammontare dei corrispettivi risultanti
dalle ricevute fiscali per la parte effettivamente
riscossa;
2) l’ammontare dei corrispettivi risultanti
dalle fatture emesse ai sensi dell’art. 2 del D.M. 13
ottobre 1979, anche se non riscosso.
Un’altra puntualizzazione - che se pure indirettamente e in relazione a quella precedente riguarda la diffusa pratica di emettere la ricevuta
fiscale (con l’indicazione “corrispettivo non
riscosso”) anche nei casi di prestazioni gratuite
(in garanzia, eccetera).
In questo modo si finisce per ingenerare confusione ed equivoci in caso di verifica tributaria, in
quanto diventa più difficile distinguere e separare
le prestazioni gratuite escluse dall’ambito dell’Iva,
da quelle, da assoggettare all’imposta, in relazione
alle quali il corrispettivo non è stato riscosso contestualmente all’ultimazione della prestazione
medesima.
Una sentenza della Corte di Cassazione
La rilevanza, ai fini tributari (Iva), nelle prestazioni di servizi, della data di incasso del corrispettivo (e non di quella dell’ultimazione della prestazione) è stata ribadita e riaffermata qualche anno
fa - se pure in modo indiretto - dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 11150 del 26 ottobre 1995).
La Suprema Corte doveva giudicare sul ricorso
di un contribuente al quale era stato negato il
12/2000 il fisco 3309
ATTUALITÀ
il fisco
beneficio dell’esonero dall’obbligo di dichiarazione (in relazione all’entrata in vigore del D.L. n.
260/1974) invocato dal contribuente stesso, dal
momento che nel medesimo anno 1974 aveva realizzato un volume d’affari inferiore ai cinque
milioni.
I verificatori (e poi l’ufficio Iva) avevano sostenuto, al contrario, che non ricorrevano i presupposti per l’esonero in quanto le prestazioni erano
state effettivamente e concretamente eseguite ed
ultimate anteriormente al 1° settembre 1974, e
cioè prima dell’entrata in vigore della norma in
questione, e - conseguentemente - il volume d’affari di quel periodo di imposta risultava superiore
ai previsti cinque milioni.
A parte ogni possibile considerazione su un
contenzioso iniziato negli anni ’70 e conclusosi
solo nel 1995, e sulla insistenza dell’Amministrazione finanziaria nel sostenere una tesi a dir poco
precaria, non v’è dubbio che la sentenza della Corte di Cassazione e le sue motivazioni sono corrette
e puntuali.
Infatti, i giudici - dopo aver precisato che il
comma 3 dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 dispo-
ne, come abbiamo già ricordato, che le “prestazioni di servizi” si considerano effettuate all’atto del
pagamento del corrispettivo (salva l’ipotesi della
fatturazione anticipata) - hanno, conseguentemente, ritenuto ininfluente la circostanza che le
prestazioni in questione fossero state eseguite prima del 1° settembre 1974.
È inconfutabile infatti che anche agli effetti del
“volume d’affari” - come stabilito nell’art. 20 dello
stesso D.P.R. n. 633/1972 - si deve fare riferimento
esclusivo, per determinare il suo ammontare, al
momento di effettuazione delle operazioni, e
quindi - nel caso di prestazioni - all’incasso del
corrispettivo o alla preventiva fatturazione.
D’altra parte, alle stesse conclusioni era pervenuta anche la Commissione tributaria centrale
(decisione n. 5283 del 13 luglio 1990) che - coerentemente con la norma generale sul momento
di imponibilità delle prestazioni - aveva affermato
che si devono considerare imponibili all’Iva anche
le prestazioni eseguite anteriormente alla data di
entrata in vigore dell’Iva stessa, i cui corrispettivi
erano stati riscossi dopo tale data.
■
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12/2000 il fisco 3311
ATTUALITÀ
Riflessioni sui parametri
Le motivazioni e le strategie difensive
adottabili dal contribuente
nei confronti degli accertamenti effettuati
mediante applicazione della procedura
di cui all’art. 3 della L. n. 549/1995
di Luca Bellini
Avvocato in Ravenna
Premessa
L’istituto dell’accertamento sulla base di parametri è stato istituito dall’art. 3, commi 179 e seguenti, della L. n. 549 del 28 dicembre 1995, in sostituzione dei coefficienti presuntivi di ricavi e compensi.
Tale modalità di accertamento trova tuttavia
applicazione limitata ai periodi d’imposta 1995,
1996 e 1997.
Per i periodi d’imposta successivi, viceversa, il
metodo di accertamento si applica limitatamente
ai contribuenti esercenti attività per le quali non
il fisco
Con la circolare n. 203 del 20 ottobre 1999 (in “il
fisco” n. 40/1999, pag. 12716), il Ministero delle
finanze ha dato avvio alla procedura di contraddittorio, al fine di definire i procedimenti di controllo
relativi ai contribuenti che hanno dichiarato minori ricavi, rispetto a quelli accertabili mediante l’impiego dei parametri.
Appare quindi importante, anche ai fini delle
scelte da operare in sede di concordato, conoscere
le possibilità di difesa nei confronti di tale metodo
accertativo.
Come sempre quando si tratta di materia fiscale,
per definizione legislativamente complessa, è
opportuno preliminarmente un breve promemoria.
sono stati approvati gli studi di settore, ovvero per
le quali, pur essendo stato approvato lo studio di
settore, ricorrano una o più cause di inapplicabilità previste nei decreti di approvazione dello studio stesso.
Le modalità applicative per il periodo d’imposta
1995 sono state disciplinate dal D.P.C.M. del 29
gennaio 1996, il quale ha approvato sia le tabelle
degli indicatori che la nota tecnica metodologica
per la determinazione dei parametri.
Successivamente tale decreto è stato modificato
dal D.P.C.M. del 27 marzo 1997, sotto certi profili
in maniera significativa (si pensi al fattore di adeguamento di cui all’art. 5, precedentemente non
previsto).
Ai sensi del citato art. 3, comma 181, della L. n.
549/1995, gli accertamenti di cui all’art. 39, comma
1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973,
possono essere effettuati mediante l’applicazione
dei parametri, per i periodi d’imposta indicati.
A sua volta, l’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 afferma che l’ufficio può procedere alla rettifica dei
redditi d’impresa e derivanti dall’esercizio di arti e
professioni anche sulla base di presunzioni semplici, purché esse siano gravi, precise e concordanti.
Infine le istruzioni per l’effettuazione dell’accertamento cosiddetto “parametrico”, sono state dettate dal Ministero con circolare n. 136/E del 21
giugno 1999 (in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9060).
Fatta questa breve premessa, passiamo ad esaminare le possibili motivazioni adducibili, sia in
sede di accertamento con adesione che in sede
contenziosa, nei confronti dei parametri.
3312 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
L’esposizione seguirà pertanto l’ordine di un
vero e proprio ricorso, con trattazione dei motivi a
seconda della loro pregiudizialità, salve alcune
digressioni, anche relative all’aspetto della “strategia” processuale e pre-processuale adottabile dal
contribuente.
posizione discendente rispetto alla media del settore.
Ulteriore considerazione e conseguenza della
mancata esplicitazione consiste nel fatto che i passaggi logici sottesi alla nuova modalità di accertamento non trovano compiuta esteriorizzazione.
È importante sottolineare che ai parametri viene
attribuita, sin dall’originare, un’operatività provvisoria limitata e predefinita, in quanto destinati ad
operare nella fase di transizione tra i coefficienti
presuntivi e gli studi di settore.
I parametri sono definibili come moltiplicatori,
determinati e specificati da atti normativi secondari, da applicarsi ad indici di natura contabile, al
fine di provare, in capo al contribuente accertato,
l’esistenza di discordanze tra redditività potenziale
ed il reddito dichiarato.
1. Considerazioni generali
La rettifica della dichiarazione in base ai parametri, così come la cosiddetta minimum tax e gli
studi di settore, appartiene al più ampio genere
degli accertamenti basati su criteri di forfetizzazione, questi ultimi basati, nel caso specifico, su logiche-matematico-statistiche già caratterizzanti i
coefficienti presuntivi.
L’elaborazione dei parametri è stata demandata
dall’art. 3, comma 184, della L. 28 dicembre 1995
n. 549, al Dipartimento delle Entrate del Ministero
delle finanze, senza tuttavia prevedere, a carico
dello stesso Dipartimento, l’onere di divulgare,
neppure sommariamente, i procedimenti formativi
dei medesimi.
Solo nelle note tecniche allegate al D.P.C.M. 29
gennaio 1996 e al D.P.C.M. 27 marzo 1997 sono
contenuti i risultati di tali analisi.
Schematicamente, i procedimenti sono in esse,
così, descritti:
Poiché per ciascun settore economico e voce
contabile possono essere stati elaborati più parametri, in dipendenza del numero di gruppi omogenei in cui risulta suddivisa ciascuna categoria, il
posizionamento del contribuente all’interno del
cosiddetto cluster avviene secondo una funzione
probabilistica, predisposta in base al metodo della
“analisi discriminante”, non meglio esplicitata nelle citate note tecniche.
Una considerazione molto semplice può già a
questo punto, ed in ogni caso, privare di fondamento la ragionevolezza dei parametri: il contribuente potrebbe trovarsi, nella curva di calcolo, in
(1) Si confrontino sull’argomento:
J. Bloch e L. Sorgato, Difesa del contribuente dagli accertamenti fondati sui parametri, in “Corr. Trib.” n. 36/1999;
C. Maggi e N. Miglietta, Dubbi sulla legittimità dei criteri e dei
gruppi omogenei definiti per la determinazione dei ricavi, dei
compensi e del volume d’affari, in “il fisco” n. 15/1996, pag. 3991.
2.1. Illegittimità costituzionale dell’art. 3 della L. n.
549 del 28 dicembre 1995
il fisco
1) identificazione di un campione di contribuenti economicamente coerente;
2) identificazione di “gruppi massimamente
omogenei di contribuenti” all’interno di un’attività
economica;
3) identificazione di una funzione di ricavo e
di compenso;
4) identificazione di una funzione che consenta di associare qualsiasi contribuente ad uno dei
gruppi omogenei individuati per la sua attività;
5) calcolo di un fattore di adeguamento personalizzato (1).
2. Motivazioni specifiche
Le prime eccezioni proponibili nei confronti dell’accertamento descritto, non possono che essere
costituite dai motivi di incostituzionalità del sistema.
L’istituto giuridico delineato dalla norma in epigrafe, si potrebbe appalesare incostituzionale per
violazione dei seguenti articoli della Costituzione:
A) Art. 23
L’incostituzionalità palesata deriverebbe dalla
violazione del principio di riserva di legge, previsto
in tema di prestazioni patrimoniali, in quanto viene delegato, senza indicare criteri e parametri di
legge, ad una fonte normativa secondaria il potere
di disciplinare una materia riservata a fonti normative primarie.
B) Art. 24
La definizione legislativa delle presunzioni derivanti dall’utilizzo dei parametri, e la loro forza
probatoria, appaiono fortemente carenti ed in ogni
caso contraddittorie e viziate da incostituzionalità.
Se ad esse deve essere data valenza di presunzioni legali, infatti, non potranno che annoverarsi tra
le presunzioni relative (se invece si ritiene che esse
costituiscano presunzioni semplici, allora varranno le considerazioni esposte nel prosieguo dell’esposizione, sub 2.4).
Tuttavia la confutazione delle presunzioni derivanti dall’applicazione dei parametri è soggetta a
limitazioni probatorie (per esempio: esclusione
della prova testimoniale), tali da violare fortemente il diritto di difesa, ponendo il contribuente di
fronte ad un onere di probatio diabolica, e tali da
12/2000 il fisco 3313
ATTUALITÀ
si riesca a mantenere la lucidità necessaria in certi
frangenti, fare verbalizzare, in sede di processo
verbale o di contraddittorio, dichiarazioni di terzi
cui sia possibile richiamarsi successivamente in
sede contenziosa.
C) Tornando ai possibili motivi di incostituzionalità, viene in considerazione, come sempre o quasi
quando si tratta di tributi, l’art. 53, comma 1, della
Costituzione
Il meccanismo di calcolo induttivo potrebbe
infatti essere ritenuto in contraddizione con il
principio della tassazione in base all’oggettiva
capacità contributiva dei cittadini.
Viene infatti imposta al contribuente una prestazione svincolata dalla sua effettiva capacità contributiva.
L’attività imprenditoriale e libero-professionale è,
per definizione civilistica, soggetta a rischio e ciò
comporta che l’imprenditore non solo possa guadagnare meno del risultato derivante dall’applicazione
dei parametri, ma anche subire una perdita.
D) Art. 95
il fisco
far ritenere di fatto assolute le presunzioni parametriche.
In realtà, se non bastasse, è da rilevare che contrastano fortemente con il sistema costituzionale
quelle presunzioni che si appalesino indicative di
capacità contributiva, ma nei confronti delle quali
resti di fatto preclusa la prova contraria (cfr. Corte
Costituzionale 11 marzo 1991, n. 103, in “il fisco”
n. 12/1991, pag. 1916).
In altri termini, si pone l’interrogativo se una
presunzione relativa, pur astrattamente prevedendo la possibilità di prova contraria, contenendo
forti limitazioni e preclusioni processuali, possa
continuare ad annoverarsi tra le presunzioni iuris
tantum, ovvero debba essere considerata iuris et de
iure.
Le compressioni del diritto di difesa, tutelato,
giova ripetere, dall’art. 24 della Costituzione, sembrano in realtà far pendere la bilancia verso, tale
seconda alternativa.
Si consideri che la prova dello scostamento dai
parametri può essere data solo documentalmente,
mentre esistono sicuramente circostanze esimenti
comprovabili esclusivamente per testimoni.
In definitiva non può il legislatore definire una
presunzione come relativa, per poi surrettiziamente regolamentarla come assoluta, poiché il disposto normativo, chiaramente contraddittorio, non
può che ricevere censura di incostituzionalità dal
giudice delle leggi, anche attraverso pronuncia
cosiddetta manipolatrice che riformuli il dettato
normativo in guisa tale da consentire, in concreto,
il diritto di difesa.
Sotto il profilo probatorio, il divieto di prova
testimoniale è, del resto, un dato normativo incontrovertibile (art. 7, comma 4, del D.Lgs. n.
546/1992).
Senza che si possa ritenere in toto applicabile
all’accertamento parametrico, viene tuttavia alla
mente, a questo riguardo, una considerazione
generale.
Anche recentemente la Corte di Cassazione,
con sentenza n. 14427 del 22 dicembre 1999 (in
“il fisco” n. 8/2000, pag. 2272), ha sancito la
legittimità ed utilizzabilità delle dichiarazioni
raccolte in sede di istruttoria (processi verbali)
da parte degli uffici finanziari o della Guardia di
finanza.
Se ad una delle parti del processo tributario è
riconosciuta la possibilità di utilizzare tale modalità pratica di “aggiramento” del divieto legislativo,
piuttosto che chiedersi se tale principio risulti valido o meno, potrebbe apparire più conveniente
ragionare a contrariis.
Mi spiego meglio.
Se non è richiesto che le indagini fiscali si svolgano secondo le regole dell’assunzione delle prove,
non si vede proprio come tale principio, giusto o
sbagliato che sia, si debba applicare ad una sola
delle parti in causa.
Potrebbe pertanto essere opportuno, sempre che
Il potere di regolamentare la materia in oggetto
è stato infatti attribuito al Presidente del Consiglio
dei Ministri.
Tale funzione sembra tuttavia ad esso preclusa,
non avendo la Corte Costituzionale previsto per
tale organo funzioni ulteriori a quelle di coordinamento dell’attività dei Ministri.
In particolare, ai sensi dell’art. 17 della L. 23
agosto 1988, n. 400, tale potere avrebbe potuto al
massimo essere attribuito al Presidente della
Repubblica (su delibera del Consiglio dei Ministri
e sentito il parere del Consiglio di Stato, previa
approvazione della Corte dei Conti), oppure al
Ministro competente (su parere del Consiglio di
Stato, e sempre previa approvazione della Corte
dei Conti), ma non al Presidente del Consiglio, con
procedura semplificata (in quanto mancherebbero
comunque il parere del Consiglio di Stato ed il
visto e registrazione della Corte dei Conti).
Esaminate le possibili motivazioni di incostituzionalità prospettate, vengono in evidenza i seguenti,
ulteriori, motivi di diritto
2.2. Carenza di motivazione e violazione dell’art. 3
della L. n. 549 del 28 dicembre 1995 da parte dei
decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 29
gennaio 1996 (e 27 marzo 1997), nonché dell’atto
impugnato - Contraddittorietà manifesta ed eccesso
di potere.
A) Il dettato del comma 184, dell’art. 3 sopra richia-
3314 il fisco 12/2000
B) Valga a confortare quanto appena esposto il
seguente esempio, dei tanti proponibili.
Se poniamo a confronto due contribuenti che, a
fronte di dati contabili di costo (rilevanti ai fini
dell’applicazione dei parametri) identici, presentino dati contabili di ricavo divergenti: ad esempio,
30.000.000 per il primo e 40.000.000 per il secondo
contribuente, la differenza in termini di “ricavi
contabili” fa sì che, impostando le relative simulazioni, si ottengano redditi presunti manifestamente irragionevoli.
Nei confronti del primo e del secondo contribuente, il programma applicativo evidenzia maggiori ricavi stimati pari, rispettivamente, a
21.302.000 ed a 15.773.000.
In definitiva il primo contribuente raggiungerà
il fisco
mato, prevedeva che i parametri fossero elaborati
al fine di determinare i ricavi, i compensi ed il volume d’affari “fondatamente attribuibile al contribuente in base alle caratteristiche ed alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta”.
Occorreva quindi, per il legislatore del 1995, fare
riferimento alle condizioni riferibili ai casi specifici, al fine di costruire parametri legittimi.
Viceversa la previsione legislativa è stata disattesa e travisata dai decreti attuativi (e di conseguenza dagli atti amministrativi in cui si andrà ad
estrinsecare l’attività di accertamento), con conseguente nullità per violazione di legge.
Infatti l’indagine parametrica della congruità reddituale del contribuente si fonda su di un’elaborazione matematico-statistica di dati “desunti dalle
dichiarazioni dei redditi secondo la metodologia
indicata nella nota tecnica e metodologica che ha
consentito di individuare, in riferimento a settori
omogenei di attività, campioni di contribuenti che
hanno presentato dichiarazioni dalle quali si rilevano coerenti indici di natura economica e contabile”
(così la premessa al decreto del 29 gennaio 1996).
Le informazioni di tipo contabile che il programma ministeriale richiede al contribuente, sono
costituite da variabili del tutto inidonee ad integrare sia una ragionevole premessa del procedimento
di calcolo, sia quelle presunzioni gravi, precise e
concordanti, richieste espressamente dall’art. 39,
comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973.
In primo luogo, costituisce elementare considerazione che una variabile non può generare se stessa.
Poiché l’intera procedura è finalizzata all’individuazione del ricavo congruo, è palesemente irrazionale introdurre nel suo schema matematico-statistico, inquinandolo alla base, una variabile che costituisce addirittura il risultato a cui il suo meccanismo
di calcolo dovrebbe conclusivamente pervenire.
L’inserimento di una variabile inattendibile in
uno schema che reagisce esclusivamente ad
inputs matematico-statistici, delegittima l’intera
procedura, rendendola inattendibile ed incapace
di pervenire ad un dato finale reddituale ragionevole.
ATTUALITÀ
la soglia di ricavi congrui a 51.302.000, mentre il
secondo a 55.773.000.
Le ragioni di tale divergenza in termini di ricavi
contabili che rendono “congruo” il contribuente,
pur a parità di costi, sono dovute alla valenza attribuita ai ricavi dichiarati dai contribuenti.
L’inserimento nel meccanismo di calcolo dei
ricavi contabili influenza negativamente l’intero
procedimento, rendendolo complessivamente inattendibile ed irragionevole, oltre che in contrasto
con i principi costituzionali di capacità contributiva e di uguaglianza.
Infatti il contribuente che inizialmente aveva
dichiarato maggiori ricavi, viene penalizzato in
quanto, si ripete, pur a parità di costi, raggiunge
una soglia di congruità maggiore rispetto al contribuente che aveva dichiarato ricavi inferiori.
Al limite, l’istituto giuridico potrebbe ritenersi
ragionevole se ai costi, e solo a questi, si attribuisse significato ai fini del calcolo parametrico.
Anche in questo caso, tuttavia, l’efficacia probatoria e l’attendibilità del sistema non sarebbero
certo assicurati.
Si pensi, per esempio, a voci di spesa particolarmente alte ed incidenti, come i consumi per autotrasporto per un agente di commercio.
Non v’è chi non veda che l’agente con scarso
volume d’affari abbia necessità di procacciarsi
clienti, e debba perciò sostenere spese per spostamenti, mentre al contrario chi possiede un portafoglio clienti già consolidato non abbia necessità
di sostenere spese ulteriori per ampliarlo.
Quello che si vuole affermare, in definitiva, è che
non sempre a maggiori voci di spesa corrispondono maggiori ricavi, ma anzi, spesso, accade esattamente il contrario.
Il libero professionista che inizia l’attività,
sosterrà probabilmente maggiori spese di impianto il primo esercizio, che non i successivi, mentre i
ricavi seguiranno, presumibilmente, una curva
esattamente inversa.
In definitiva le affermazioni contenute nei parametri, finiscono per incentivare l’evasione, oltre ad
essere viziate di irragionevolezza, illogicità ed
eccesso di potere, ed a dimostrarsi incapaci, da
sole, di assurgere, conclusivamente, al rango di
presunzioni gravi, precise e concordanti.
Dall’illegittimità dell’atto generale deriva la possibilità di sua disapplicazione da parte delle Commissioni tributarie, ai sensi e per gli effetti dell’art.
7, comma 5, del D. Lgs. n. 546/1992, e l’annullamento dell’atto impugnato, di conseguenza o ex se,
per violazione dell’obbligo di motivazione.
La contraddittorietà del sistema, nonché la scarsa convinzione del legislatore stesso nel risultato
della propria opera, sono del resto testimoniati
dall’esplicita previsione legislativa (comma 187), in
base alla quale la determinazione dei maggiori
ricavi non costituisce notizia di reato, nonché dalla durata temporale dei parametri, limitata agli
esercizi 1995, 1996 e 1997.
12/2000 il fisco 3315
ATTUALITÀ
2.3. Vizio di motivazione, sotto un profilo diverso da
quello di cui sub 2.2), anche per violazione dell’art.
42 del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 3 della L. n.
241/1990
il fisco
Nell’ambito del procedimento amministrativo di
formazione dei parametri, risulta impossibile rinvenire l’indicazione dei criteri statistici che sarebbero stati seguiti nell’elaborazione dei parametri.
Il Ministero avrebbe dovuto dar conto di quali
soggetti siano stati utilizzati per il campione e di
come si sia concretamente pervenuti al calcolo dei
singoli moltiplicatori.
L’avviso di accertamento che si andrà a contestare, in sede di accertamento con adesione od in
sede contenziosa, fondato esclusivamente sull’applicazione dei parametri, si appalesa di conseguenza carente di motivazione.
Per dottrina e giurisprudenza consolidate, infatti, l’obbligo di motivazione può ritenersi pienamente assolto solo con la previa esplicitazione
dell’iter logico-deduttivo che caratterizza il ragionamento critico del verificatore.
Solo la diretta ed immediata comprensione dei
passaggi logici può consentire al contribuente, raggiunto dalle contestazioni erariali, di esplicare
compiutamente la propria attività difensiva.
Al contrario la mancata esteriorizzazione, da parte delle note tecniche allegate al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 ed al D.P.C.M. 27 marzo 1997, di alcuni
passaggi fondamentali, non consente di conoscere i
criteri di formazione ed impiego dei parametri.
In tale senso va valutata, altresì, la necessità,
avvertita in sede legislativa stessa, di procedere
alla predisposizione e alla distribuzione dei supporti meccanografici contenenti i relativi programmi applicativi.
Così come avviene nei casi di accertamenti riferiti a processi verbali di constatazione, nei casi di
rettifiche parametriche il contribuente si trova di
fronte ad una sorta di motivazione per relationem,
con riferimento, in particolare, alle note tecniche
contenute dai citati decreti.
La necessità di informazioni accessibili a tutti,
in merito ai dati presi in considerazione, le regole
ed i procedimenti tecnici seguiti per determinare il
contenuto dei decreti ministeriali sui quali si fondano i singoli accertamenti, costituiscono diritti
irrinunciabili del cittadino.
La conoscenza del procedimento seguito per la
determinazione dei parametri è necessaria al contribuente, non solo ai fini dell’impugnazione o della
richiesta di disapplicazione del decreto ministeriale,
ove possibile, ma anche per argomentare nel merito, nel pur limitato ambito concesso dalla legge.
Ma vi è un ulteriore passaggio logico lacunoso
nelle disposizioni legislative che regolano l’istituto
in discussione.
La nota tecnica allegata al pacchetto software,
approvata all’art. 1 del D.P.C.M. 29 gennaio 1996,
illustra la metodologia eseguita ed il dettaglio
matematico delle funzioni di regressione applicate.
L’art. 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri prevede al comma 1, che “sulla base dei parametri sono determinati presuntivamente i ricavi”.
Quello che non viene minimamente spiegato è in
che modo e secondo quali criteri avvenga poi l’assegnazione ad un gruppo omogeneo.
Il passaggio logico attraverso cui si giunge al
maggiore ricavo o compenso non è spiegato in
alcun modo.
Solo la conoscenza dei criteri di collegamento
tra parametri e gruppi omogenei, consentirebbe di
conoscere l’iter da seguire per giungere alla conoscenza della congruità o meno dei ricavi-compensi
dichiarati.
Tale omissione rende illegittima l’applicazione dei
parametri e l’accertamento induttivo, in quanto il
dettato legislativo regola ed approva i parametri e la
nota, ma non prevede il percorso matematico-statistico che porta al risultato finale (l’accertamento),
nei casi di coesistenza di due o più gruppi omogenei.
In caso di accertamento analitico-induttivo fondato sull’applicazione dei parametri, l’atto di accertamento, in altri termini, deve rendere noto il processo
di stima attraverso il quale è stato determinato un
maggior livello di ricavi: se tale estrinsecazione
avviene per relationem, ossia mediante riferimento
alle note tecniche contenute dai citati decreti, è chiaro che le carenze, sotto tale profilo, di questi ultimi
non possono che riflettersi sull’atto di accertamento.
Ne deriva l’illegittimità dell’atto sotto un duplice
punto di vista.
Sotto un profilo più generale, è da rilevare che
l’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, in tema di
procedimenti amministrativi, prevede che oggi tutta l’attività amministrativa debba comunque sottostare all’obbligo di motivazione, con indicazione
dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche
che hanno determinato i risultati finali dell’azione
dell’Amministrazione.
Per quanto riguarda specificamente l’aspetto tributario, l’atto di accertamento risulta ulteriormente illegittimo per violazione del dettato di cui
all’art. 42, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, in
tema di motivazione degli atti di accertamento.
2.4. Violazione degli artt. 2727 e seguenti del codice
civile, nonché dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973
Abbiamo visto in sede di premessa che ai sensi
del citato art. 3, comma 181, della L. n. 549/1995,
gli accertamenti di cui all’art. 39, comma 1, lettera
d), del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, possono essere effettuati mediante l’applicazione dei
parametri.
L’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 prevede che l’ufficio può procedere alla rettifica dei redditi d’impresa e derivanti dall’esercizio di arti e professioni
anche sulla base di presunzioni semplici, purché
esse siano gravi, precise e concordanti.
3316 il fisco 12/2000
B) Del resto, se è vero che il dettato dell’art. 39 del
D.P.R. n. 600/1973 prevede che la rettifica del reddito possa avvenire mediante utilizzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti,
delle due l’una:
- o i parametri sono già stati implicitamente
definiti e riconosciuti dal legislatore come presunzioni legali, relative come intenzione, ma assolute
di fatto;
- oppure i parametri possiedono la valenza
probatoria propria delle presunzioni cosiddette
“semplici”.
Nel primo caso si appalesa una manifesta incostituzionalità del sistema, per le motivazioni esposte sub 2.1).
Se, viceversa, si vuole affermare che i parametri
integrino presunzioni semplici, come potrebbe dedursi dalla collocazione normativa dell’accertamento
parametrico tra gli accertamenti analitico-induttivi di
cui all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n.
600/1973, nonché dall’assenza di qualsivoglia accenno
legislativo in merito, ne consegue che essi risultano
aggredibili, in sede processuale, opponendo qualsivoglia argomentazione contraria.
La forza probatoria di cui essi apparirebbero
portatori, secondo questa ipotesi, sarebbe infatti
assai limitata, stante la discriminante tra presunzioni semplici e presunzioni legali.
Queste ultime istituiscono una relazione diretta
tra fatto noto e fatto dedotto, la cui valenza proba-
il fisco
A) L’utilizzo del verbo “potere” da parte del legislatore suggerisce una prima considerazione, ovvero
l’assoluta facoltatività e non automaticità dell’accertamento, legata, evidentemente, all’esistenza di
elementi ulteriori rispetto alla mera discordanza tra
il reddito dichiarato e quello derivante dall’applicazione dei moltiplicatori parametrici.
Infatti, sul piano strettamente probatorio, l’ufficio deve comunque provare la sua pretesa.
È l’Amministrazione finanziaria, attore in senso
sostanziale ai sensi dell’art. 2697 del codice civile,
a dover quindi fornire dimostrazione di come è
stato esercitato un potere suscettibile di conseguenze patrimoniali sul destinatario (in tal senso
Cass. n. 2990/1979; n. 863/1991; n. 3023/1983, di
quest’ultima la massima in “il fisco” n. 30/1983,
pag. 4037).
In altre parole, occorre verificare caso per caso
se nella fattispecie concreta l’accertamento parametrico può dirsi legittimo, in quanto sussistano
elementi atti ad integrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Nei casi specifici, in sede contenziosa ed anche,
precedentemente, in sede amministrativa, dovranno essere evidenziate tutte le possibili circostanze
influenti sul risultato finale del reddito dichiarato.
Quanto sopra anche al fine di consentire al giudice una statuizione favorevole al contribuente per
quanto riguarda le spese del giudizio.
ATTUALITÀ
toria ha già preventivamente riscosso l’apprezzamento del legislatore, così da vincolare il giudice a
recepire il risultato generalizzato dalla campionatura (cosiddetta inferenziale).
Con riguardo alle presunzioni semplici si verifica (rectius: si dovrebbe verificare) il contrario.
Per esse, la capacità probatoria deve rendersi
manifesta attraverso l’indagine analitica del caso.
Per quanto riguarda i parametri, l’indagine dovrà
essere tesa a verificare se i conteggi rivestano, anche
tecnicamente, attitudine a correlare criticamente, se
non con un nesso di univocità, perlomeno con verosimiglianza, rispondendo ad un criterio di probabilità, il fatto noto ed il fatto che si intende provare.
In tal caso, pertanto, il giudice tributario resta
libero di apprezzare il valore probatorio che le presunzioni riescono ad esprimere (così l’art. 2729 del
codice civile).
Ne consegue, anche sotto questo profilo, l’illegittimità dell’atto, derivante dall’utilizzo di presunzioni contrarie alle norme quadro che le disciplinano, ovvero gli artt. 2727 e seguenti del codice
civile, nonché alle norme specifiche sull’accertamento, ovvero l’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973.
Gravità, precisione e concordanza non sembrano in verità per nulla caratterizzare i parametri.
Per quanto riguarda la gravità essi non risultano
attendibili e convincenti (si ricordi che la legge
esclude espressamente la valenza probatoria ai fini
penali); quanto alla precisione, essi appaiono immotivati, contraddittori, privi di riscontro in altri dati
ed elementi, e suscettibili di diversa interpretazione,
come da esempi precedenti; infine, sotto il profilo
della concordanza, essi contrastano con elementi
certi (quali le risultanze di una regolare contabilità).
Del resto il decreto attuativo dei parametri costituisce un mero atto amministrativo; a questo, quale
fonte normativa subordinata alla legge, non può riconoscersi certo forza superiore alle norme civilistiche
violate, in quanto ciò costituirebbe una palese violazione del principio di gerarchia delle fonti, con conseguente giuridica impossibilità che la disciplina
dettata dalla fonte superiore possa essere abrogata
dalla fonte inferiore (cfr. Commentario del Codice
Civile, Scialoja-Branca, ed. Zanichelli, pag. 32111).
2.5. In ogni caso, non sembra che possano ritenersi
applicabili, in caso di accertamenti mediante applicazione automatica dei parametri, pene pecuniarie a
fronte di redditi presunti
Questi ultimi infatti non hanno una valenza
sostanziale, ma al massimo la capacità di invertire
l’onere della prova solo ai fini della determinazione di un maggior reddito, ma non riguardo alla
commissione di un eventuale illecito.
A questo riguardo, si possono invocare i principi
sanciti dal sistema sanzionatorio, e ribaditi dalla
Corte di Cassazione con sentenza n. 8031 del 26
giugno 1992: “può essere assoggettato ad una san-
12/2000 il fisco 3317
ATTUALITÀ
zione amministrativa, non diversamente che ad
una sanzione penale, solo colui di cui sia pienamente provata la responsabilità per la violazione
sanzionata”.
Del resto gli artt. 70 del D.P.R. n. 600/1973, e 75
del D.P.R. n. 633/1972, dispongono che in materia
di accertamento delle sanzioni si applicano le norme del codice penale e di procedura penale.
Vale perciò anche il dettato di cui all’art. 192 del
codice di procedura penale, per il quale “l’esistenza
di un fatto non può essere desunta da indizi a
meno che questi siano gravi, precisi e concordanti”.
I parametri elaborati con criteri praticamente
sconosciuti, non possono certo costituire prova della commissione di un illecito, né amministrativo né
penale, come confermato espressamente, giova
ripetere, dall’art. 3, comma 187, della L. n.
549/1995, secondo il quale la determinazione dei
maggiori ricavi da parametri non costituisce notizia
di reato ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura
penale.
In definitiva, in accordo con le motivazioni
espresse, non sembra superfluo specificare quali
dovranno essere le conclusioni da rassegnare in
sede processuale.
Le richieste da rivolgere al giudice, sempre
seguendo l’ordine pregiudiziale, potranno essere le
seguenti:
- in via preliminare la dichiarazione di rilevante e non manifesta infondatezza delle eccezioni
di incostituzionalità prospettate sub 2.1), dell’art. 3
della L. n. 549 del 28 dicembre 1995, con disposizione di sospensione del procedimento e di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale;
- in via principale la disapplicazione del
D.P.C.M. 29 gennaio 1996, e di altri eventualmente
utilizzati dall’Amministrazione, e conseguentemente l’annullamento dell’atto;
- in via subordinata l’annullamento dell’atto,
illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere e carenza di motivazione, nonché, eventualmente, infondato nel merito;
***
il fisco
***
- in via di estremo subordine una più equa
determinazione del reddito e l’annullamento delle
sanzioni pecuniarie.
Conclusa la trattazione della questione da un
punto di vista prettamente giuridico, mi siano consentite alcune brevi note finali.
È già stato ampiamente ribadito in dottrina che
neppure la tenuta di una perfetta contabilità libera
il contribuente dall’onere di fornire la prova contraria (a meno che non si sposi la tesi, secondo cui
i parametri integrano una presunzione semplice,
liberamente valutabile dal giudice).
Tale considerazione ne suggerisce una ulteriore,
ovvero che in questo modo il contribuente da un
lato è obbligato a tenere la contabilità secondo
restrittivi criteri di legge, comportanti notevoli
costi ed il rischio di incorrere in sanzioni, anche
penali, per violazioni meramente formali, dall’altro
la correttezza del proprio operato nulla rileva ai
fini dell’applicabilità dei parametri.
Sotto altro punto di vista per il nostro legislatore, alla ricerca di strumenti atti ad incentivare l’occupazione e la produzione, non è facile approntare
strumenti di accertamento presuntivo basati sugli
stessi fattori di spesa e sviluppo che si cerca di
incrementare!
Ne deriva una crisi del sistema legislativo,
comprovata da situazioni quali quella appena
trattata; crisi che tuttavia non deve indurre i giudici a spogliarsi del problema, ma anzi a riappropriarsi delle proprie funzioni, in accordo con il
principio supremo di divisione dei poteri dello
Stato.
In questo modo, passo dopo passo, potrà essere
restituita alla certezza del diritto la sua caratteristica di fine primario, caratterizzante uno Stato
democratico.
Un particolare ringraziamento all’amico Claudio Visani, per la collaborazione prestata alla redazione del presente articolo.
■
Sul numero 2 del 29 febbraio 2000
commerciale
industriale
Rivista mensile su bilancio, certificazione, problemi societari, giurisprudenza societaria
ATTUALITÀ
Tesoreria centralizzata e flussi finanziari inter-company
di Roberto Moro Visconti
Le “quotazioni pazze” dei titoli Internet
di Flavio Dezzani
Il nuovo ruolo del Collegio Sindacale ed il rapporto con l’Internal
Auditing
di Pietro Adonnino
La redazione del primo bilancio consolidato obbligatorio per
legge
di Piero Pisoni
Sospetti di incostituzionalità sulla revocatoria fallimentare
di Umberto Apice
Le operazioni e le perdite in moneta estera: la rilevazione
contabile e la conversione in moneta nazionale
di Flavio Dezzani, Piero Pisoni e Luigi Puddu
Il requisito dell’oggettività nelle valutazioni aziendali: alcune note
critiche
di Stefano Ricci
La valutazione del capitale economico di un’azienda in perdita,
di recente costituzione e senza un campione di imprese
concorrenti: il caso Amazon.com
di Gian Matteo Ciampaglia
Il fallimento del socio receduto. L’estensione del fallimento al
socio illimitatamente responsabile uscito dalla società fallita e
l’accertamento del pregresso stato di insolvenza dell’impresa
collettiva
di Mauro Vanni
Trasformazione di società. Estensione del fallimento al socio
divenuto limitatamente responsabile
di Carmela Migliazzo
DIRITTO E PRATICA COMMERCIALE
a cura di Paolo Ferro-Luzzi
DOTTRINA
PROBLEMI DELLA PRATICA
La capitalizzazione degli interessi nel conto corrente
(Trib. Roma, 17 dicembre 1999)
Le nuove modifiche alle procedure esecutive
di Barbara Pansadoro
DIRITTO PENALE D’IMPRESA
a cura di Ivo Caraccioli
Il tramonto di un mito: l’abolizione del principio di
“ultrattività” nel nuovo diritto penale tributario. Effetti sulle
nuove fattispecie criminose
di Giuseppe Bersani
“Management fees” e nuovo diritto penale tributario
di Paolo Comuzzi
Sui rapporti tra processo penale e contenzioso tributario nella riforma
di Graziano Gallo
LAVORO E PREVIDENZA
a cura dell’Istituto di Studi e Ricerche Aziendali - ISTRA
Prassi amministrativa - Giurisprudenza del lavoro
AGENDA LEGISLATIVA PER LE AZIENDE
LEGGI E DECRETI PER LE AZIENDE
Le leggi e i decreti più importanti per le aziende e i professionisti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale
dal n. 25 del 1° febbraio 2000 al n. 49 del 29 febbraio 2000
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12/2000 il fisco 3319
ATTUALITÀ
Attività illecite
ed esenzioni fiscali
Il caso dei dentisti abusivi
di Francesco Schiavon
Dottore commercialista in Padova
1. La L. n. 537/1993 e la circolare illustrativa
(1) D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni ed integrazioni
Art. 6
Classificazione dei redditi
1. I singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie:
a) redditi fondiari; b) redditi di capitale; c) redditi di lavoro
dipendente; d) redditi di lavoro autonomo; e) redditi di impresa; f) redditi diversi.
2. I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per
effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite,
anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni
consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da
invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della
stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su
cui tali interessi sono maturati.
3. I redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi.
il fisco
La L. n. 537/1993 dispone che nelle categorie di
reddito di cui all’art. 6, comma 1, del D.P.R. n.
917/1986 (1), “devono intendersi ricompresi, se in
esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti
o attività qualificabili come illecito civile, penale o
amministrativo se non già sottoposti a sequestro o
confisca penale” (art. 14, comma 4).
Nella circolare n. 150/E-III-5-1560 del 10 agosto 1994 (in “il fisco” n. 31/1994, pag. 7336), il
Ministero delle finanze precisava quanto segue:
“L’art. 14, comma 4, della legge in rassegna prevede espressamente, in conformità a quanto sostenuto anche dalla Corte di Cassazione [cfr. Cass.,
Sez. III pen., 9 settembre 1992, n. 9405 e Cass.,
Sez. I civ., 13 marzo 1993, n. 3028) (rispettivamente, in “il fisco” n. 41/1992, pag. 9821 e n.
22/1993, pag. 6573), n.d.r.], l’imponibilità dei proventi derivanti dalle attività illecite, affermando
espressamente la compatibilità delle categorie
reddituali indicate nel comma 1 dell’art. 6 del Tuir
con la qualificazione di illecito che in sede penale,
amministrativa o civile viene attribuita ai fatti,
atti o attività da cui i redditi derivano. Detti proventi sono assoggettati a tassazione se non sono
stati già sottoposti a sequestro o confisca penale.
L’imponibilità dei proventi di cui trattasi non è
limitata alla sola Irpef, bensì si estende, ricorrendone i presupposti soggettivi e oggettivi, anche
all’Irpeg e all’Ilor.
Il principio della tassabilità dei proventi derivanti da attività illecite è subordinato alla condizione che l’attività produttiva del reddito sia, di
per sé considerata, già ricompresa nelle fattispecie
imponibili previste dalle norme vigenti; risulta,
quindi, che sono tassabili, ad esempio, i redditi di
capitale per usura, i redditi di lavoro collegati ad
attività illecite, i redditi di impresa derivanti da
attività criminose e che si rendono applicabili i
criteri di determinazione del reddito relativi a ciascuna categoria.
Pertanto, rientra nell’ambito applicativo della
disposizione in rassegna la produzione di redditi
di lavoro autonomo o di impresa derivanti da attività illecite esercitate in assenza di un requisito
previsto dalla legislazione extrafiscale in materia
(ad esempio: mancata iscrizione ad albo professionale, mancato possesso dei requisiti o titoli di
studio richiesti per lo svolgimento dell’attività,
mancanza di licenza di commercio o di altra autorizzazione amministrativa, ovvero con violazione
di prescrizioni obbligatorie o di disposizioni della
contrattazione collettiva).
Per quanto attiene all’efficacia temporale della
norma va precisato che essa ha portata retroattiva
in quanto il principio della tassabilità dei redditi
3320 il fisco 12/2000
2. La giurisprudenza della Cassazione
In precedenza la Cassazione aveva dapprima, con
la sentenza n. 2475/1991, sostenuto che il pretium
sceleris, non essendo frutto di operazione produttiva, ma di arricchimento senza causa, non può rientrare nella nozione di reddito: infatti la disciplina
normativa tributaria può prendere in considerazione un reddito qualificabile come illecito (in quanto
pur sempre collegato a violazioni di norme fiscali),
ma non anche un illecito arricchimento, nel qual
caso è la norma penale che provvede al recupero
con gli strumenti della restituzione e della confisca
delle cose che costituiscono il prezzo del reato.
È poi intervenuta la giurisprudenza, civile e
penale, richiamata nella circolare parzialmente
trascritta.
Dopo la norma del 1993, si può affermare che
tale norma ha come fondamento la cosiddetta
teoria “economica”, che prevede implicitamente,
da parte dell’ordinamento, la possibilità di assoggettare a tassazione i proventi illeciti. La Corte di
Cassazione, nell’orientamento più recente, preso
atto del dato legislativo, aderisce alla citata “teoria economica” e pare anch’essa orientata ad
applicare il nuovo dato normativo, costituito dall’art. 14 della L. n. 537/1993, come interpretazione autentica: cfr., ad esempio, Cass. 19 aprile
1995, n. 4381 (in “il fisco” n. 20/1995, pag. 4958),
sull’emissione a pagamento di false fatture.
Come è stato notato, la L. n. 537 ha posto tra
l’altro rimedio a quella “sconsolante” giurisprudenza della Cassazione, che ha ritenuto intassabili ai fini delle imposte sui redditi i proventi dell’attività medica illecita (cfr. R. Lupi, Illeciti tassabili solo sulla carta, in “Il Sole-24 Ore” del 19
agosto 1995).
3. L'applicazione della L. n. 537
il fisco
derivanti da attività illecita era già insito nell’ordinamento tributario.
Ne è la prova la considerazione che il ‘possesso’
dei redditi rientranti nelle categorie indicate nell’art.
6 del testo unico deve intendersi come disponibilità
materiale e di fatto a prescindere dalla qualificazione lecita o illecita dell’attività posta in essere.
Va, peraltro, osservato che potrà sempre essere
eccepita, in sede di accertamento, l’eventuale
avvenuta perdita del provento per confisca o restituzione e risarcimento con onere della prova a
carico del contribuente.
Si osserva che l’art. 14 della legge citata afferma
che la tassabilità è limitata ai proventi che non
sono oggetto di confisca. La Cassazione, però, con
la sentenza n. 3259 della Sez. I civ. del 16 aprile
1997 (in “il fisco” n. 26/1997, pag. 7515) ha affermato che, qualora il sequestro del provento illecito in concreto (ad esempio perché già consumato
o perché occultato dal percettore) non abbia luogo, si deve comunque procedere alla tassazione.
Come vedremo in prosieguo, anche se la richiamata disposizione attribuisce prevalenza all’aspetto economico dell’attività rispetto alle modalità di
produzione del reddito ai soli fini delle imposte
dirette, il principio, alla luce di recenti pronunce
della Corte di Giustizia delle Comunità europee,
risulta valido anche ai fini dell’Iva per effetto del
carattere di neutralità che è insito in tale tributo.
ATTUALITÀ
Secondo la dottrina appena ricordata, la cui
citazione riteniamo adatta a riassumere efficacemente la questione, “sull’argomento è facile smarrire il senso della misura ... trovandosi inavvertitamente a immaginare il solista del mitra che presenta il Mod. 740 per i proventi delle rapine o l’anonima sarda che dichiara i sequestri sul Mod.
760. In realtà furti, rapine, estorsioni, ma anche
truffe, non danno luogo a redditi, ma solo ad
obblighi di restituzione nei confronti dei rapinati:
è contraddittorio recuperare il maltolto e al tempo
stesso tassarlo”.
La norma consente invece di assoggettare ad
imposizione gli illeciti che non depauperano, con
violenza o inganno, il patrimonio altrui, ma si
concretizzano in cessioni di beni o prestazione di
servizi, come nelle seguenti fattispecie, del resto
accennate, come si è visto, nella circolare n.
150/E:
- attività esercitate in difetto di requisiti professionali e pertanto abusive;
- attività illecite per la violazione di discipline amministrative (mancanza di autorizzazioni,
eccetera);
- commercio di musicassette o software pirata, o di merci contrabbandate, sale giochi semiclandestine, eccetera.
È rilevante, come indicato anche nella circolare
ministeriale, la tipologia di redditi prevista nel
Tuir: mentre una truffa, anche se ripetuta, non
potrà essere considerata attività d’impresa, l’esercizio di un bar senza licenza comporta comunque
proventi che fiscalmente rientrano nei redditi
d’impresa.
Alcuni tipi di accertamenti su attività sommerse sono stati considerati inutili da qualificati
esperti. Comunque fin dal 1995, secondo notizie
a suo tempo riportate dalla stampa quotidiana
(“Corriere della sera”, 18 agosto 1995) la Guardia
di finanza ha proceduto ad elevare denunce contro prostitute per omessa dichiarazione dei redditi. È stato invocato appunto all’art. 14 della L. n.
537/1993, creata nell’ambito della repressione
contro “Tangentopoli”, ma ritenuta applicabile al
caso dell’adescamento (attività illecita), mentre la
prostituzione non rappresenta attualmente attività illecita.
La Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 124 del 12 maggio 1997, ha
12/2000 il fisco 3321
ATTUALITÀ
stamento di protesi direttamente per privati, correlato con altre “cure” dentistiche rese abusivamente si ricordano, oltre a quella menzionata, le
seguenti altre sentenze (pubblicate in “il fisco” n.
33/1997, pag. 9721):
negato la tassabilità delle tangenti, in quanto non
riconducibili alle tipologie reddituali del Tuir. La
stessa Commissione ha poi escluso la tassabilità
come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente delle somme erogate a militari della Guardia di finanza in sede di verifica (13 dicembre
1996, n. 426).
Ancora la Commissione tributaria provinciale di
Milano, con la sentenza n. 39 del 19 febbraio
1998, ha ritenuto che i proventi derivanti dalla
concussione o corruzione, se non confiscati, siano
tassabili, ma peraltro non nelle categorie dei redditi di lavoro dipendente o assimilate. La sentenza
n. 442 del 2 luglio 1998, infine, ha qualificato
come redditi derivanti dall’assunzione di obblighi
di fare, non fare e permettere [a sensi dell’art. 81,
comma 1, lettera l), del Tuir] le somme percepite a
titolo di finanziamento occulto dei partiti politici.
- Commissione tributaria provinciale di Salerno (Sez. I, nn. 630 e 631, depositate il 23 dicembre
1996), che affermavano il diritto all’esenzione;
- Commissione tributaria provinciale di
Salerno (Sez. I, n. 787 del 5 aprile 1997) per la
quale sussisteva l’imponibilità.
5. La giurisprudenza comunitaria sull’irrilevanza ai fini Iva dell’illiceità delle operazioni
4. Imponibilità di attività illecite ed applicazione delle esenzioni
il fisco
A questo punto si sono posti degli interrogativi
“collaterali”, specificamente nel settore dell’imposizione indiretta. Il più noto è il seguente: i proventi del dentista abusivo, regolarmente dichiarati, sono esentati da Iva, come lo sono i proventi
del dentista abilitato?
È stato affermato in proposito che “le prestazioni di cure dentistiche rese illecitamente da un
odontotecnico rientrano nell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto contemplata dall’art. 10, n.
18), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633” [Commissione tributaria provinciale di Firenze, Sezione IV,
19 ottobre 1996, n. 258 (in “il fisco” n. 43/1996,
pag. 10456); orientamento condiviso da altre
Sezioni della stessa Commissione].
Il testo legislativo ricordato, e cioè il D.P.R. n.
633/1972, dichiara esenti da Iva “le prestazioni
sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla
persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’art. 99 del testo
unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27
luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni,
ovvero individuate con decreto del Ministro della
sanità, di concerto con il Ministro delle finanze”.
Nel caso specifico ci si riferiva a un odontotecnico:
è pleonastico osservare che, di norma, l’attività dell’odontotecnico consiste unicamente nell’approntamento di protesi dentarie su misura, secondo le
specifiche direttive dell’odontoiatria, in relazione
alle esigenze di un paziente dello stesso.
La sentenza menzionata risultava supportata da
opinioni espresse in dottrina, secondo le quali - in
mancanza di norme specifiche - qualora un’attività illecita sia attratta nell’orbita tributaria si
applicano integralmente le relative disposizioni,
comprese quelle agevolative.
Per quanto riguarda il trattamento tributario
delle prestazioni di servizi consistenti nell’appre-
È intanto intervenuta una giurisprudenza orientativa della Corte di Giustizia delle Comunità
europee, in particolare la sentenza, afferente la
causa C-283/95, dell’11 luglio 1998. La sentenza
richiamata, in materia di esercizio non autorizzato, e perciò illecito, di un gioco d’azzardo, ha
affermato che l’art. 13, B, lettera f), della VI Direttiva CEE n. 77/388, che prevede l’esenzione dall’Iva dei giochi d’azzardo, salvo condizioni e limiti
stabiliti da ciascuno Stato membro, deve essere
interpretato nel senso che uno Stato membro non
può assoggettare tale attività all’imposta sul valore aggiunto quando la medesima attività svolta da
una casa da gioco autorizzata è esentata.
La decisione della Corte parte dalla premessa
che in materia di imposta sul valore aggiunto
non è consentita una distinzione di trattamento
tra operazioni lecite ed operazioni illecite e che
può essere affermata soltanto la non imponibilità
al tributo, come principio di carattere generale,
per quelle operazioni che, essendo assolutamente
vietate (esempio, importazione di stupefacenti o
di denaro contraffatto), risultano del tutto estranee all’Iva e non creano un problema di concorrenza tra settori economici leciti ed illeciti. Nei
casi in cui, invece, tale concorrenza sia ipotizzabile, il principio di neutralità fiscale dell’Iva
impedisce che le due attività vengano trattate
diversamente.
In particolare, per quanto concerne i giochi
d’azzardo, che secondo la sentenza costituiscono
una ipotesi facoltativa di esenzione per gli Stati, si
afferma che, nel rispetto del richiamato principio
di neutralità del tributo, anche quando gli Stati si
avvalgono della facoltà di stabilire condizioni e
limiti all’esenzione, tale regime fiscale non può
essere limitato alle sole operazioni lecite.
In sostanza, la sentenza in oggetto stabilisce i
seguenti principi:
a) l’esercizio di attività illecite che, in astratto, potrebbero essere esercitate lecitamente, attraverso un provvedimento amministrativo di autorizzazione o di concessione, rientrano nel campo
di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto;
3322 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
b) tali attività possono essere assoggettate a
imposta a condizione che la medesima attività
svolta lecitamente sia sottoposta ad Iva. Se l’attività lecitamente esercitata è esente, anche l’attività illecitamente esercitata deve essere esonerata.
- 2 agosto 1993, causa C-111/92 (esportazione senza autorizzazione di sistemi informatici);
- 28 maggio 1998, causa C-3/97 (fornitura di
profumi contraffatti);
- 29 giugno 1999, causa C-158/98 (locazione
di un banco per la vendita di stupefacenti).
6. La circolare ministeriale n. 176/E del 1999
A seguito della menzionata sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee (causa C283/95 dell’11 luglio 1998), si è pertanto riproposto il problema del trattamento fiscale da applicare ai fini dell’Iva alle prestazioni odontoiatriche rese da soggetti non iscritti all’apposito albo
e il Ministero delle finanze è intervenuto in proposito con circolare 9 agosto 1999, n. 176/E (in
“il fisco” n. 32/1999, pag. 10745). Il Ministero, in
particolare, per quanto concerne i giochi d’azzardo, ricorda che essi costituiscono una ipotesi
facoltativa di esenzione per gli Stati, e che nella
sentenza citata si afferma che, nel rispetto del
principio di neutralità del tributo, anche quando
gli Stati si avvalgono della facoltà di stabilire
il fisco
In relazione al primo aspetto, la Corte non ha
avuto dubbi sul fatto che, in base al combinato
disposto dall’art. 2 e dall’art. 11 della citata Direttiva, la specifica attività rientrasse nel campo di
applicazione dell’imposta. Anche se ha voluto sottolineare che le attività illecite rientrano nel campo di applicazione dell’imposta solo a condizione
che le stesse possano essere in concreto svolte
anche lecitamente attraverso un atto amministrativo di autorizzazione. In effetti, se si tratta di atti
ontologicamente illeciti, vale a dire non suscettibili di essere realizzati in modo lecito (ad esempio,
come si è visto, cessione di sostanze stupefacenti,
eccetera), essi rimangono sempre e comunque
fuori dall’applicazione di una qualsivoglia forma
di tassazione.
Circa il secondo aspetto, vale a dire se sull’attività illecita specifica fosse applicabile l’Iva, la Corte ha risposto negativamente, sostenendo che non
è possibile sottoporre a tassazione Iva il provento
illecito derivante dall’esercizio abusivo del gioco
d’azzardo, in quanto la specifica attività se svolta
lecitamente sarebbe per l’art. 13 della VI Direttiva
non tassabile. Dunque i proventi illeciti in quanto
tali sono tassabili ai fini Iva a condizione che l’attività posta in essere, se fosse svolta lecitamente,
risulti tassabile.
A favore dell’imponibilità ai fini dell’Iva delle
attività illecite si ricordano anche le seguenti sentenze comunitarie:
condizioni e limiti all’esenzione, tale regime
fiscale non può essere limitato alle sole operazioni lecite.
Ma veniamo al punto focale della circolare,
che più interessa e che è espresso nei seguenti
termini: “In passato, questa Amministrazione, ed
in particolare la Direzione regionale per le
Entrate dell’Emilia-Romagna, con nota 6 dicembre 1994, n. 39950, ha sostenuto che sono imponibili ad Iva, con applicazione dell’aliquota ordinaria, le prestazioni odontoiatriche abusivamente rese da odontotecnici nei confronti di pazienti
e nei confronti di soggetti che esercitano abusivamente l’attività odontoiatrica, nonché le prestazioni odontoiatriche rese da società sia di persone che di capitali ... In proposito deve ritenersi
che il principio della neutralità fiscale dal quale,
secondo quanto sancito dalla Corte di Giustizia,
discende che alle attività illecite si applica lo
stesso trattamento Iva previsto per le medesime
attività esercitate legittimamente, abbia carattere
generale e che quindi non vi sia spazio per una
soluzione che, nell’ambito delle prestazioni sanitarie, differenzi l’applicazione dell’imposta sulla
base della disciplina extrafiscale relativa alle
modalità di esercizio dell’attività o ai requisiti
soggettivi di coloro che la svolgono”.
Qualora infatti - secondo il Ministero - determinate attività venissero escluse dal regime di esenzione per esse previsto per carenza dei presupposti
abilitativi che ne legittimano l’esercizio, verrebbe
meno il carattere neutrale che l’Iva assume in relazione all’aspetto economico dell’operazione e si
attribuirebbe all’imposta il ruolo di penalizzare lo
svolgimento abusivo delle medesime. Il Ministero
delle finanze non omette inoltre di ricordare che
“il principio della tassazione delle attività illecite
secondo le regole generali è ... presente nel nostro
ordinamento per esplicita previsione dell’art. 14,
comma 4, della L. 24 dicembre 1993, n. 537”.
Si deve quindi concludere che l’attività odontoiatrica svolta abusivamente dagli odontotecnici
è esente dall’Iva in quanto è riconducibile nella
previsione normativa dell’art. 10, n. 18), del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Il Ministero precisa infine che la surriferita
interpretazione della disposizione esentativa, che
recepisce il principio affermato dalla Corte di
Giustizia al quale gli Stati membri dell’Unione
europea sono tenuti ad adeguarsi, ha valenza
esclusivamente fiscale e non interferisce con gli
altri settori dell’ordinamento giuridico ai quali è
attribuito il compito di reprimere i comportamenti illeciti.
Osserviamo da parte nostra che - in particolare
- resta salva, per l’esercizio abusivo della professione, la sanzione prevista dall’art. 348 del codice
penale.
■
12/2000 il fisco 3323
ATTUALITÀ
DOCUMENTAZIONE
Il bilancio in breve
Ministero del Tesoro, del Bilancio
e della Programmazione Economica
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - Roma gennaio 2000
il fisco
3324 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
12/2000 il fisco 3325
ATTUALITÀ
il fisco
3326 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
12/2000 il fisco 3327
ATTUALITÀ
il fisco
■
3328 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
comunicati stampa
Ministero delle finanze
Gabinetto del Ministro
Ufficio Stampa
1 Comunicato stampa dell’8 marzo 2000
La trasmissione telematica
delle dichiarazioni
Il Ministero delle Finanze, per agevolare le procedure di abilitazione degli intermediari che cureranno la trasmissione telematica delle dichiarazioni, comunica quanto segue:
il fisco
1) la domanda per richiedere l’abilitazione
alla trasmissione in via telematica può essere presentata in qualsiasi momento purché in tempo utile per poter ottemperare agli obblighi di trasmissione telematica delle dichiarazioni;
2) l’impegno a trasmettere le dichiarazioni
può essere assunto dall’intermediario in possesso
dei requisiti richiesti per l’abilitazione alla trasmissione telematica anche prima di avere ottenuto la
detta abilitazione;
3) i professionisti in possesso dei requisiti
richiesti per l’abilitazione che intendono avvalersi delle società di cui all’art. 3 del decreto 18 febbraio 1999 (costituite da Consigli nazionali,
Ordini, Collegi, Associazioni, eccetera) possono
limitarsi a richiedere il riconoscimento della
sussistenza dei predetti requisiti senza dover
procedere alla generazione dei codici di autenticazione;
4) è possibile ottenere le domande per l’abilitazione anche attraverso il servizio “FAX ON
DEMAND” telefonando al numero 164.74.
■
2 Comunicato stampa del 10 marzo 2000
I nuovi adempimenti semplificati
per le associazioni sportive dilettantistiche
Con l’art. 9, comma 3, del regolamento approvato
con D.P.R. 30 dicembre 1999, n. 544 (in “il fisco” n.
10/2000, pag. 2873, n.d.r.), sono stati previsti per le
associazioni sportive dilettantistiche, in luogo degli
adempimenti contabili disciplinati dalla L. 16
dicembre 1991, n. 398, nuovi adempimenti semplificati, tra cui l’obbligo di annotazione entro il 15 del
mese successivo dei corrispettivi e di qualsiasi pro-
vento conseguiti nel mese precedente nello svolgimento di attività commerciali.
Posto che il predetto provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 febbraio 2000,
si precisa che le annotazioni relative alle attività
svolte nel mese di gennaio possono essere validamente effettuate entro il giorno 15 marzo 2000.
■
12/2000 il fisco 3329
ATTUALITÀ
SCADENZARIO TRIBUTARIO
APRILE 2000
Per una maggiore certezza della scadenza
Si raccomanda di verificare il giorno delle scadenze sul sito Internet “www.ilfisco.it”
e sulla banca dati “fisconline”, aggiornati giuridicamente, alla voce “Scadenzario”
il fisco
1 SABATO
Scadenzario tributario aprile 2000
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IRPEG - IRAP - ICI - Dichiarazione dei redditi - Adempimenti collegati - Termini di presentazione e di versamento
Trattasi di scadenza mobile, legata alla data di approvazione del bilancio
Presentazione:
ad una banca o
ad un ufficio della “Poste italiane S.p.A.”
presso un qualunque ufficio o sportello indipendentemente dal domicilio fiscale
● ad un intermediario abilitato per la trasmissione
telematica
●
Imposte sui redditi
●
Dichiarazione - I contribuenti soggetti ad IRPEG, tenuti all’approvazione del bilancio o del rendiconto entro un termine stabilito dalla
legge o dall’atto costitutivo, devono presentare la dichiarazione entro
un mese dall’approvazione del bilancio o rendiconto.
Se il bilancio non è stato approvato entro il termine stabilito, la
dichiarazione deve essere presentata entro un mese dalla scadenza del
termine stesso.
I termini di presentazione della dichiarazione che scadono di sabato
sono prorogati d’ufficio al primo giorno feriale successivo (art. 2,
D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322).
Le società ed enti “cosiddetti” di grandi dimensioni, i soggetti con un numero di dipendenti non
inferiore a 50, nonché le società che presentano le
dichiarazioni per conto di altre società del gruppo,
presentano la dichiarazione in via telematica,
direttamente o tramite un intermediario abilitato.
Attenzione: Qualora il termine per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi da redigere sui modelli da approvarsi entro il 15 febbraio dell’anno in cui devono essere utilizzati, scada tra il 1° gennaio
ed il 31 maggio dello stesso anno, la presentazione delle stesse è
effettuata nel mese di maggio e la trasmissione telematica nel mese
di giugno (art. 2, comma 4, citato D.P.R. n. 322/1998).
Vedasi, al riguardo, il Comunicato stampa del 31 gennaio 2000 (in
“il fisco” n. 7/2000, pag. 1980).
Dichiarazione telematica - La presentazione della dichiarazione in
via telematica - da parte degli intermediari abilitati - è effettuata
entro due mesi dall’approvazione del bilancio o dalla scadenza del
termine stabilito per l’approvazione.
Società ed enti di grandi dimensioni - Le società di cui all’art. 87,
comma 1, lettera a), del Tuir, con capitale sociale superiore a 5
miliardi di lire, e gli enti di cui all’art. 87, comma 1, lettera b), del
Tuir, con patrimonio netto superiore a 5 miliardi di lire, presentano
la dichiarazione in via telematica, direttamente o tramite un intermediario abilitato.
N.B.: La dichiarazione può essere spedita dall’estero mediante raccomandata o mezzo equivalente
dal quale risulti con certezza la data di spedizione.
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
●
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24) approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili.
3330 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
1 SABATO
Scadenzario tributario aprile 2000
segue
ADEMPIMENTO
Soggetti con un numero di dipendenti non inferiore a 50 - L’obbligo di
trasmissione telematica, direttamente o tramite intermediari, è esteso
ai soggetti con un numero di dipendenti non inferiore a 50, dall’art.
3, D.P.R. n. 322/1998, come modificato dall’art. 1, comma 3, lettera
b), D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 (in “il fisco” n. 9/2000, pag.
2473).
Società facenti parte di un gruppo - Specifiche disposizioni sono dettate per la presentazione telematica delle dichiarazioni delle società ed
enti facenti parte di un gruppo.
Euro - Ai sensi dell’art. 16, D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213, le
imprese possono adottare l’euro quale moneta di conto al posto della
lira durante il periodo transitorio (1° gennaio 1999-31 dicembre
2001). A decorrere dal 1° gennaio 2002 l’adozione dell’euro è obbligatoria.
Quando l’euro è utilizzato come moneta di conto, i bilanci riferiti ad
una data compresa tra il 1° gennaio 1999 e il 31 dicembre 2001 possono essere redatti e pubblicati in euro.
A partire dalla redazione e pubblicazione del primo bilancio in euro
tutti i bilanci successivi devono essere redatti e pubblicati in euro
(salvo che ricorrano particolari ragioni da illustrare nei documenti
anzidetti).
A partire dall’esercizio per il quale il bilancio è stato redatto e pubblicato in euro, le dichiarazioni fiscali (imposte sui redditi, IVA, IRAP e
sostituti d’imposta) devono essere presentate con gli importi in euro.
Qualora venga presentata una dichiarazione con l’indicazione dei
dati in euro, tutte le dichiarazioni successive devono essere redatte
utilizzando la medesima valuta.
Dual Income Tax (D.I.T.) e Legge “Visco” - Ai fini dell’applicazione di un’aliquota ridotta del 19 per cento sul reddito soggetto ad
IRPEG si vedano:
- il D.Lgs. 28 dicembre 1997, n. 466, in materia di Dual Income
Tax (D.I.T.) (in banca dati “il fiscovideo”);
- l’art. 2, commi da 8 a 13, L. 13 maggio 1999, n. 133, in materia di
agevolazioni per i nuovi investimenti (cosiddetta Legge “Visco”) (in
“il fisco” n. 23/1999, pag. 7812).
Cosiddetta rottamazione del magazzino - Vedasi l’art. 7, commi 914, L. 23 dicembre 1999, n. 488 (Legge finanziaria 2000) ai fini
della regolarizzazione delle esistenze iniziali di magazzino dell’esercizio in corso al 30 settembre 1999 (in allegato a “il fisco” n.
1/2000).
Versamenti - I versamenti a saldo ed in acconto risultanti dalla
dichiarazione - ad eccezione di quelli dell’IVA - devono essere effettuati entro lo stesso termine di presentazione della dichiarazione alla
banca, alla posta, ad un intermediario abilitato o alla società del
gruppo che ne cura la presentazione. Entro lo stesso termine devono
essere eseguiti i versamenti relativi alle dichiarazioni trasmesse direttamente in via telematica senza avvalersi di intermediari o di società
del gruppo.
MODALITÀ
Vedasi la C.M. n. 91/E del 26 aprile 1999 (in banca dati “il fiscovideo”) recante l’istituzione di nuovi
codici-tributo per gli acconti IRPEF, IRPEG ed
IRAP, che si riportano:
4033 - IRPEF acconto - prima rata
4034 - IRPEF acconto - seconda rata o acconto in
unica soluzione
2112 - IRPEG acconto - prima rata
2113 - IRPEG acconto - seconda rata o acconto in
unica soluzione
3812 - IRAP acconto - prima rata
3813 - IRAP acconto - seconda rata o acconto in
unica soluzione
Rateizzazione - Ai sensi dell’art. 20, D.Lgs. 9
luglio 1997, n. 241 (in banca dati “il fiscovideo”) è
ammessa la rateizzazione - con l’applicazione degli
interessi - delle somme a saldo ed in acconto risultanti dalla dichiarazione e con versamento delle
rate successive alla prima:
entro il giorno 16 di ciascun mese, per i titolari
di partita IVA;
● entro la fine di ciascun mese, per gli altri contribuenti.
●
In ogni caso il pagamento deve essere completato
entro il mese di novembre dello stesso anno di
presentazione della dichiarazione.
Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9
luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare
con il suddetto modello unificato possono essere
compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate.
12/2000 il fisco 3331
ATTUALITÀ
il fisco
1 SABATO
Scadenzario tributario aprile 2000
segue
ADEMPIMENTO
Modelli - Per l’anno 2000 i modelli devono essere approvati entro il
15 febbraio 2000.
Le dichiarazioni devono essere redatte utilizzando i predetti modelli
approvati per le dichiarazioni relative al 1999 ovvero, in caso di
periodo di imposta non coincidente con l’anno solare, per il periodo
di imposta in corso al 31 dicembre 1999.
Vedasi, inoltre:
- il D.M. 20 dicembre 1999 (in S.O. n. 231 alla G.U. n. 305 del 30
dicembre 1999) recante approvazione del modello 770/2000, come
modificato con errata-corrige in G.U. n. 9 del 13 gennaio 2000;
- il D.M. 30 dicembre 1999 (in allegato a “il fisco” n. 4/2000), recante approvazione del modello di dichiarazione IVA 2000 relativo al
periodo di imposta 1999.
Dichiarazione unificata annuale
Sono obbligati alla presentazione della dichiarazione unificata i contribuenti che, ai fini dell’IRPEG, hanno un periodo di imposta
coincidente con l’anno solare e che devono presentare due o più delle seguenti quattro dichiarazioni:
dei redditi;
dell’IVA;
● dei sostituti d’imposta, quando siano state effettuate ritenute nei
confronti di non più di venti soggetti;
● dell’IRAP.
●
●
I contribuenti che, ai fini dell’IRPEG, hanno un periodo di imposta
non coincidente con l’anno solare non possono presentare la dichiarazione in forma unificata neanche quando sono tenuti alla presentazione di almeno due delle anzidette dichiarazioni.
Studi di settore - In relazione alla normativa sugli studi di settore
(art. 10, L. 8 maggio 1998, n. 146, e D.P.R. 31 maggio 1999, n.
195, in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9089) si vedano gli studi approvati
con DD.MM. 30 marzo 1999 (in “il fisco” n. 18/1999, pag. 6187 e
n. 19/1999, pag. 6590 e pag. 6593) e con DD.MM. 3 febbraio
2000 (in “il fisco” n. 11/2000, pagg. 3220 e seguenti).
Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 110/E del 21 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 22/1999, pag. 7541).
Vedasi, infine, il D.M. 24 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 1/2000, pag.
172) recante le “Modalità di annotazione separata dei componenti
rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore” e la C.M. n.
31/E del 25 febbraio 2000 (in “il fisco” n. 11/2000, pag. 3181).
IRAP
Aliquota - Vedasi l’art. 45, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come
modificato dall’art. 6, comma 17, L. 23 dicembre 1999, n. 488 (in
allegato a “il fisco” n. 1/2000) per quanto concerne le aliquote d’imposta stabilite in via transitoria:
- per i soggetti che operano nel settore agricolo e per le cooperative
della piccola pesca e loro consorzi di cui all’art. 10, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601;
- per i soggetti di cui agli artt. 6 e 7 (banche, enti e società finanziari,
imprese di assicurazione), citato D.Lgs. n. 446/1997.
MODALITÀ
3332 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
1 SABATO
Scadenzario tributario aprile 2000
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
Acconto IRAP - A partire dal secondo periodo di imposta di applicazione dell’IRAP il versamento in acconto deve essere effettuato con
le stesse regole valide per gli acconti delle imposte sui redditi; in sintesi: misura del 98 per cento, in due rate, la prima delle quali pari al
40 per cento (art. 31, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446).
Si vedano le modifiche apportate dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n.
506 (in allegato a “il fisco” n. 2/2000), le cui disposizioni - per quanto di interesse - si applicano a decorrere dal periodo di imposta in
corso al 31 dicembre 1999.
Dichiarazione dei sostituti di imposta per i redditi di capitale
Ai sensi dell’art. 2, comma 6, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, i soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche presentano la
dichiarazione dei sostituti d’imposta per i redditi di capitale nonché
per i premi e per le vincite contestualmente alla dichiarazione dei
redditi propri.
Dichiarazione ICI
Presentazione:
Nello stesso termine di presentazione della dichiarazione dei redditi,
i contribuenti soggetti ad IRPEG devono presentare la dichiarazione
ICI, relativa agli acquisti effettuati ed alle variazioni intervenute nell’anno.
Per le società e gli enti il cui esercizio non coincide con l’anno solare,
la dichiarazione ICI per il 1999, deve essere presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi per il periodo che
comprende il 31 dicembre 1999.
ICI:
- al comune sul cui territorio è situato l’immobile,
mediante consegna o spedizione con raccomandata senza avviso di ricevimento, in busta bianca
recante la dicitura “Dichiarazione ICI” con l’indicazione dell’anno cui la dichiarazione stessa si
riferisce.
N.B.: Si vedano le diverse modalità di dichiarazione eventualmente
stabilite dai regolamenti emanati dai singoli comuni.
IVA - Dichiarazione annuale relativa al 1999 (fino al 31
maggio) - Contribuenti diversi da quelli tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata annuale - Istanza di rimborso del credito - Presentazione
Continua a decorrere il termine - fino al 31 maggio 2000 - per la
presentazione della dichiarazione annuale Iva relativa all’anno 1999
in via autonoma da parte dei soggetti non tenuti alla presentazione
in forma non unificata, quali ad esempio le società di capitali ed enti
soggetti ad IRPEG con periodo di imposta non coincidente con
anno solare [art. 8, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, come modificato
dall’art. 1, comma 6, lettera a), n. 1), D.P.R. 14 ottobre 1999, n.
542 in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473].
È altresì esclusa dalla dichiarazione unificata annuale la dichiarazione
degli enti e delle società che si sono avvalsi della procedura di liquidazione dell’imposta sul valore aggiunto di gruppo di cui all’art. 73,
ultimo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 3, citato D.P.R.
n. 322/1998, come modificato dall’art. 1, citato D.P.R. n.
542/1999).
La presentazione della dichiarazione in via telematica è effettuata
entro il mese di giugno da parte delle società ed enti e degli intermediari indicati nell’art. 3, commi 2 e seguenti, citato D.P.R. n. 322,
Presentazione:
Dichiarazione - La dichiarazione deve essere redatta in conformità al modello IVA 2000 approvato
con D.M. 30 dicembre 1999 (in allegato a “il
fisco” n. 4/2000) e presentata:
- ad un ufficio postale,
- ad una banca convenzionata,
- ad un intermediario abilitato per la trasmissione
telematica,
che rilasciano ricevuta.
Gli intermediari, oltre alla ricevuta, rilasciano
copia della dichiarazione con l’impegno a trasmettere all’Amministrazione finanziaria, in via telematica, i dati in essa contenuti.
12/2000 il fisco 3333
ATTUALITÀ
il fisco
1 SABATO
Scadenzario tributario aprile 2000
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
ovvero nel mese di novembre per le dichiarazioni ricevute dalle banche e dalle Poste italiane S.p.A.
Dichiarazione unificata annuale
I contribuenti, con periodo di imposta coincidente con l’anno solare,
obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, dell’IRAP,
dell’imposta sul valore aggiunto e di quella del sostituto d’imposta,
qualora abbiano effettuato ritenute alla fonte nei riguardi di non più
di venti soggetti, devono presentare la dichiarazione unificata annuale nei termini previsti dall’art. 3, citato D.P.R. n. 322/1998.
Opzioni e revoche
La comunicazione delle opzioni e delle revoche deve essere effettuata
mediante utilizzazione del modello VO.
Vedasi il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442 (in “il fisco” n. 1/1998,
pag. 141), recante la disciplina delle opzioni in materia di imposte
dirette ed IVA, nonché la C.M. n. 209/E del 27 agosto 1998 (in “il
fisco” n. 32/1998, pag. 10791).
Si richiama l’attenzione sulla durata triennale dell’opzione prevista
per i contribuenti trimestrali dall’art. 7, citato D.P.R. n. 542/1999.
Fallimento
Si segnala che ai sensi dell’art. 8, comma 4, D.P.R. 22 luglio 1998, n.
322 (come modificato dall’art. 1, citato D.P.R. n. 542/1999, e che
riproduce analoga disposizione di cui al previgente comma 5) per le
operazioni registrate nella parte dell’anno solare anteriore alla dichiarazione di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa deve
essere anche presentata dai curatori o dai commissari liquidatori,
entro quattro mesi dalla nomina, apposita dichiarazione al competente ufficio IVA o delle entrate, ove istituito, ai fini della eventuale
insinuazione al passivo della procedura concorsuale.
A tal fine deve essere utilizzato l’apposito Modello IVA 74-bis,
approvato unitamente al modello di dichiarazione IVA annuale (in
allegato a “il fisco” n. 4/2000).
Versamento
Il termine di versamento è stabilito al giorno 16 marzo ovvero entro
il termine previsto per il pagamento delle somme dovute in base alla
dichiarazione unificata annuale, maggiorando le somme da versare
degli interessi nella misura dello 0,40 per cento per ogni mese o frazione di mese successivo alla predetta data (art. 6, D.P.R. 14 ottobre
1999, n. 542, in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473).
Il versamento può essere effettuato in forma rateizzata e con applicazione degli interessi con scadenza entro il giorno 16 di ciascun mese
e con indicazione in dichiarazione del numero delle rate.
Rimborsi
Per quanto concerne i rimborsi è stato predisposto un apposito
modello VR da utilizzare da parte dei contribuenti IVA, compresi
quelli tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata, che
Rimborsi - Il modello VR deve essere presentato
direttamente al Concessionario della riscossione a
partire dal 1° febbraio ed entro il 31 maggio (per i
contribuenti tenuti alla presentazione della dichia-
3334 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
1 SABATO
Scadenzario tributario aprile 2000
segue
ADEMPIMENTO
intendono richiedere il rimborso del credito d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale relativa al 1999.
Vedasi, al riguardo, il Comunicato stampa del 31 gennaio 2000 (in
“il fisco” n. 7/2000, pag. 1980).
MODALITÀ
razione IVA in forma autonoma) ovvero entro il
30 giugno 2000 (per i contribuenti tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata).
CALAMITÀ NATURALI - Imposte e tasse - Termini di
adempimento
Eventi alluvionali dell’ottobre 1996
Versamento:
Vedasi il D.M. 6 novembre 1998, recante “Modalità e termini di
ripresa della riscossione delle somme sospese per effetto degli eventi
alluvionali del giorno 14 ottobre 1996 che ha colpito il comune di
Crotone” (in “il fisco” n. 43/1998, pag. 14094), come modificato dal
D.M. 31 marzo 1999 (in banca dati “il fiscovideo”).
Sui termini per la ripresa della riscossione dei tributi oggetto della sospensione, disposta con la
citata Ord. n. 2908 del 30 dicembre 1998, vedasi
l’art. 6 dell’ordinanza stessa, a norma del quale la
ripresa della riscossione dei tributi oggetto delle
sospensioni avviene dopo otto mesi dalla scadenza
della sospensione e con una rateizzazione, su base
mensile, pari al triplo del periodo di durata della
sospensione stessa.
Eventi sismici del maggio 1997
Vedasi il D.M. 6 novembre 1998, recante “Modalità e termini di
ripresa della riscossione delle somme sospese per effetto dell’evento
sismico del giorno 12 maggio 1997 che ha colpito il comune di
Massa Martana” (in “il fisco” n. 43/1998, pag. 14091), come modificato dal D.M. 31 marzo 1999 (in banca dati “il fiscovideo”).
Eventi sismici del settembre 1997
Vedasi il D.M. 30 marzo 1998, recante “Modalità e termini di ripresa della riscossione delle somme sospese per effetto della crisi sismica
iniziata il 26 settembre 1997 che ha colpito le regioni delle Marche e
dell’Umbria” (in banca dati “il fiscovideo”) con riferimento ai contribuenti nei cui confronti è stata disposta la sospensione dei termini
fino al 31 marzo 1998.
Il termine di sospensione è stato invece stabilito al 31 dicembre 1998
- prorogato al 30 giugno 1999 con Ord. Min. Interno 30 dicembre
1998, n. 2908 (in “il fisco” n. 2/1999, pag. 673) - per i soggetti residenti o aventi sede operativa nei comuni di cui all’art. 1, comma 1,
dell’Ord. n. 2694 del 13 ottobre 1997, le cui abitazioni e i cui
immobili, sede di attività produttive, sono stati oggetto di ordinanze
sindacali di sgombero per inagibilità totale o parziale.
Eventi franosi del maggio 1998
Con Ord. Prot. Civ. del 21 maggio 1998, n. 2787 (in “il fisco” n.
23/1998, pag. 7733) sono stati sospesi dal 5 maggio al 31 dicembre
1998 - prorogato al 30 giugno 1999 con Ord. Min. Interno 30
dicembre 1998, n. 2908 (in “il fisco” n. 2/1999, pag. 673) - i termini
relativi agli adempimenti ed ai versamenti di natura tributaria nei
confronti di soggetti aventi domicilio, residenza o sede ovvero con
attività svolte nei territori delle province di Salerno, Avellino e
Caserta indicati nell’ordinanza stessa.
Eventi sismici del settembre 1998
Con Ord. Prot. Civ. n. 2860 dell’8 ottobre 1998 (in “il fisco” n.
12/2000 il fisco 3335
ATTUALITÀ
il fisco
1 SABATO
Scadenzario tributario aprile 2000
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
39/1998, pag. 12807) sono stati sospesi dal 9 settembre 1998 al 31
dicembre 1998 - prorogato al 30 settembre 1999 con Ord. Min.
Interno 30 dicembre 1998, n. 2908 (in “il fisco” n. 2/1999, pag.
673) - i termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti di natura
tributaria nei confronti di taluni soggetti aventi domicilio, residenza
o sede nei territori delle province di Potenza e Cosenza individuati
dall’Ord. n. 2847 del 17 settembre 1998, come integrata dall’art. 3,
Ord. Prot. Civ. n. 2882 del 30 novembre 1998 (in banca dati “il
fiscovideo”).
Eventi alluvionali del settembre-ottobre 1998
Con Ord. Prot. Civ. n. 2873 del 19 ottobre 1998 (in banca dati “il
fiscovideo”) sono stati sospesi dal 29 settembre 1998 al 31 dicembre
1998 - prorogato al 30 settembre 1999 con Ord. Min. Interno 30
dicembre 1998, n. 2908 (in “il fisco” n. 2/1999, pag. 673) - i termini
relativi agli adempimenti ed ai versamenti di natura tributaria nei
confronti di taluni soggetti aventi domicilio, residenza o sede nei territori delle province di Imperia, Savona, Genova, La Spezia, Lucca e
Prato ivi indicati. Vedasi, al riguardo, l’Ord. Prot. Civ. 13 novembre
1998, n. 2880 (in banca dati “il fiscovideo”).
Eventi alluvionali del novembre 1999
Vedasi l’Ord Prot. Civ. n. 3024 del 30 novembre 1999 (in G.U. n.
290 dell’11 dicembre 1999) recante sospensione, dal 12 novembre
1999 al 31 dicembre 2000, dei termini relativi agli adempimenti tributari nei confronti dei soggetti aventi domicilio, residenza o sede
nei comuni della provincia di Cagliari, colpiti dagli eventi alluvionali
dei giorni 12 e 13 novembre 1999.
Eventi atmosferici del dicembre 1999
Vedasi l’Ord Prot. Civ. n. 3026 del 9 febbraio 2000 (in G.U. n. 37
del 15 febbraio 2000) recante sospensione, dal 14, 15 e 16 dicembre
1999 e fino al 30 giugno 2000, dei termini relativi agli adempimenti
e versamenti tributari nei confronti di taluni soggetti aventi domicilio, residenza o sede nei comuni delle province di Avellino, Benevento e Salerno colpiti dagli eventi atmosferici dei giorni 14, 15 e 16
dicembre 1999.
5 MERCOLEDÌ
ADEMPIMENTO
IVA - Provvigioni ai rivenditori autorizzati di documenti di
viaggio relativi al trasporto pubblico urbano di persone Emissione della fattura
Per gli esercenti attività di trasporto scade il termine per l’emissione
della fattura relativa alle provvigioni corrisposte ai rivenditori autorizzati di documenti di viaggio per il trasporto pubblico urbano di
persone e risultanti dalle annotazioni eseguite entro il mese precedente [art. 74, comma 1, lettera e), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e
art. 3, D.M. 5 maggio 1980, in banca dati “il fiscovideo”].
MODALITÀ
3336 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
5 MERCOLEDÌ
Scadenzario tributario aprile 2000
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
In ordine alla detrazione della relativa imposta vedasi la R.M. n.
111/E dell’8 luglio 1999 (in “il fisco” n. 30/1999, pag. 10182).
15 SABATO
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IVA E RITENUTE ALLA FONTE - Ravvedimento - Tardivo versamento - Entro 30 giorni dalla scadenza
Il termine è indicato in via cautelativa alla data odierna, senza tenere
conto del differimento al primo giorno lavorativo successivo previsto per i
versamenti il cui termine scade di sabato.
IVA - Scade il termine per l’effettuazione del versamento tardivo
- entro trenta giorni - dell’imposta risultante dalla liquidazione
periodica (qualora non eseguito entro la scadenza del 16 marzo
2000), con l’applicazione della sanzione ridotta - nella misura del
3,75 per cento dell’imposta versata in ritardo - ai sensi dell’art.
13 (“Ravvedimento”), D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (in banca
dati “il fiscovideo”).
La norma prevede il pagamento della sanzione contestualmente alla
regolarizzazione nonché il pagamento degli interessi moratori, calcolati al tasso legale del 2,5 per cento annuo con maturazione giorno
per giorno.
Si vedano al riguardo le istruzioni al modello di dichiarazione IVA
periodica (di cui al D.M. 21 dicembre 1999, in “il fisco” n. 2/2000,
pag. 549, come sostituito con errata-corrige in G.U., riportata in “il
fisco” n. 4/2000, pag. 1018) per quanto concerne le indicazioni da
riportare nel modello in conseguenza del ravvedimento.
Vedasi inoltre:
- la C.M. n. 180/E del 10 luglio 1998 (in allegato a “il fisco” n.
30/1998);
- la C.M. n. 192/E del 23 luglio 1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag.
10403);
- la C.M. n. 23/E del 25 gennaio 1999 (in “il fisco” n. 6/1999, pag.
1810).
Ritenute alla fonte - Gli stessi criteri trovano applicazione per il versamento (tardivo) delle ritenute alla fonte qualora non eseguito entro
la predetta scadenza del 16 marzo 2000.
Mod. F24 con saldo a zero - La regolarizzazione dell’omessa o tardiva presentazione del Mod. F24 con saldo a zero, per effetto della
compensazione, può essere effettuata:
- senza applicazione di sanzioni, entro tre mesi dall’omissione e
- con applicazione della sanzione ridotta ad un sesto, entro un anno
dalla data di commissione della violazione.
Al riguardo vedasi il Comunicato stampa 4 febbraio 1999 (in “il
fisco” n. 7/1999, pag. 2078).
Versamento:
Sanzioni: con D.M. 11 giugno 1998 (in “il fisco”
n. 25/1998, pag. 8519) sono stati approvati i codici-tributo da utilizzare per il versamento delle sanzioni, che deve essere effettuato:
al Concessionario della riscossione;
presso una banca;
● presso un ufficio postale;
●
●
utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17
dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999).
Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno
1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711).
Tributi ed interessi moratori: ai sensi dell’art. 1,
comma 3, citato D.M. 11 giugno 1998 “il pagamento del tributo, quando dovuto, e dei relativi
interessi moratori, calcolati al tasso legale con
maturazione giorno per giorno è eseguito utilizzando la specifica modulistica prevista per il versamento diretto del tributo stesso”.
12/2000 il fisco 3337
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
15 SABATO
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IMPOSTE SUI REDDITI ED IVA - Contribuenti minori e
minimi - Annotazione delle operazioni
Per i contribuenti di minori dimensioni, cosiddetti “minori” e “minimi”, di cui all’art. 3, commi da 165 a 185, L. 23 dicembre 1996, n.
662 (in banca dati “il fiscovideo”), scade il termine per l’annotazione
delle operazioni del mese precedente.
Le annotazioni in oggetto possono essere effettuate nei registri previsti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero in appositi prospetti approvati, rispettivamente, per i contribuenti minori e minimi,
con D.M. 11 febbraio 1997 e con D.M. 12 febbraio 1997 (in “il
fisco” n. 8/1997, pagg. 2332 e 2338).
Vedasi al riguardo la C.M. 17 gennaio 1997, n. 10/E (in “il fisco” n.
5/1997, pag. 1340) e la C.M. 13 marzo 1997, n. 75/E (in “il fisco”
n. 12/1997, pag. 3236).
N.B.: Si rammenta che la disciplina di cui al citato art. 3, comma
166, L. n. 662/1996 è stata estesa agli enti non commerciali che
abbiano conseguito ricavi non superiori ai limiti indicati dall’art. 20,
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dal D.Lgs. 4
dicembre 1997, n. 460 (in “il fisco” n. 2/1998, pag. 598). Vedasi al
riguardo la C.M. n. 124/E del 12 maggio 1998 (in “il fisco” n.
21/1998, pag. 6833).
IMPOSTE SUI REDDITI ED IVA - Associazioni sportive
dilettantistiche - Annotazione delle operazioni
Per le associazioni sportive dilettantistiche di cui all’art. 25, comma 1,
L. 13 maggio 1999, n. 133, che abbiano optato per l’applicazione
delle disposizioni di cui alla L. 16 dicembre 1991, n. 398, scade il termine per annotare, anche con unica registrazione, l’ammontare dei
corrispettivi e di qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività
commerciali, con riferimento al mese precedente (art. 9, D.P.R. 30
dicembre 1999, n. 544, in “il fisco” n. 10/2000, pag. 2873).
Le medesime disposizioni si applicano alle associazioni senza scopo
di lucro ed alle associazioni pro-loco.
Vedasi la C.M. n. 43/E dell’8 marzo 2000 (in “il fisco” n. 12/3381)
IVA - Fatturazione differita - Emissione della fattura
Scade il termine per l’emissione delle fatture relative alle cessioni di
beni, comprovate da documenti di trasporto o di consegna, spediti o
consegnati nel mese precedente (art. 21, quarto comma, D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633).
Vedasi la C.M. n. 288/E del 22 dicembre 1998 (in “il fisco” n.
1/1999, pag. 121) con riferimento al particolare caso delle cessioni
“triangolari” disciplinato dall’art. 21, quarto comma, quarto periodo,
D.P.R. n. 633/1972.
I compensi sono annotati nel modello approvato
con D.M. 11 febbraio 1997 (in “il fisco” n.
8/1997, pag. 2332) opportunamente integrato.
Nello stesso modello sono annotati distintamente:
- i proventi, di cui all’art. 25, comma 1, citata L.
n. 133/1999, che non costituiscono reddito
imponibile,
- le plusvalenze patrimoniali,
- le operazioni intracomunitarie, ai sensi dell’art.
47, D.L. n. 331/1993.
3338 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
15 SABATO
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IVA - Operazioni per le quali sono rilasciati le ricevute o gli
scontrini fiscali - Annotazione cumulativa nel registro dei
corrispettivi
Scade il termine entro il quale le operazioni per le quali è rilasciato lo scontrino fiscale, effettuate nel mese solare precedente, possono essere annotate, con unica registrazione, nel registro previsto
dall’art. 24, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con allegazione al
registro stesso degli scontrini riepilogativi giornalieri (art. 6, comma 4, D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, in “il fisco” n. 7/1997, pag.
1811).
La facoltà di annotazione cumulativa mensile può essere esercitata
anche dai contribuenti che emettono ricevuta fiscale (vd. C.M. n.
45/E del 19 febbraio 1997, in “il fisco” n. 9/1997, pag. 2445).
IVA - Fatture di importo inferiore a lire 300.000 - Annotazione del documento riepilogativo
Ai sensi dell’art. 6, comma 1, D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695 (in
“il fisco” n. 7/1997, pag. 1811) per le fatture emesse nel corso del
mese, di importo inferiore a lire trecentomila può essere annotato
con riferimento a tale mese entro il termine di cui all’art. 23, primo
comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in luogo di ciascuna, un
documento riepilogativo nel quale devono essere indicati i numeri
delle fatture cui si riferisce, l’ammontare complessivo imponibile
delle operazioni e l’ammontare dell’imposta, distinti secondo l’aliquota applicata.
Conseguentemente scade il termine per l’annotazione del documento riepilogativo delle fatture - di importo inferiore a lire trecentomila - emesse nel mese precedente (vd. anche la C.M. n. 45/E del 19
febbraio 1997, in “il fisco” n. 9/1997, pag. 2445).
17 LUNEDÌ
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IMPOSTE SUI REDDITI - Ritenute alla fonte - Versamento
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Scade il termine per il versamento delle ritenute operate (1) nel mese
precedente su:
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
●
A)
- redditi di lavoro dipendente e quelli assimilati (2) (3);
- redditi di lavoro autonomo (4) (5);
- redditi derivanti da utilizzazione di marchi ed opere dell’ingegno,
collaborazione coordinata e continuativa e partecipazione ad associazioni in partecipazione;
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avver-
12/2000 il fisco 3339
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
17 LUNEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
- provvigioni inerenti a rapporti di commissione, agenzia, mediazione e rappresentanza di commercio;
- riscatti su polizze di assicurazione sulla vita durante il quinquennio
di durata minima;
- compensi per la perdita di avviamento commerciale e sui contributi
degli enti pubblici ad imprese;
- premi e contributi corrisposti dall’UNIRE e premi corrisposti dalla
FISE;
- indennità di esproprio, di occupazione, eccetera;
- rendite corrisposte ai lavoratori assicurati dall’AVS svizzera.
(1) Ritenute di importo minimo - Ai sensi dell’art. 8, comma 5,
D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito dalla L. 26 giugno 1990, n.
165 (in banca dati “il fiscovideo”), le ritenute alla fonte di ammontare non superiore al limite minimo della commissione spettante,
devono essere versate cumulativamente ed in unica soluzione
entro il 16 gennaio dell’anno successivo a quello in cui sono state
operate.
(2) Credito d’imposta per versamenti d’acconto sul T.F.R.
- Vedasi l’art. 3, commi da 211 a 213, L. 23 dicembre 1996, n.
662 (in banca dati “il fiscovideo”) circa il riconoscimento di un
credito d’imposta conseguente al versamento d’acconto delle
imposte sul T.F.R. effettuato nei mesi di luglio e novembre degli
anni 1997-1998.
Si vedano al riguardo la C.M. n. 196/E dell’8 luglio 1997 e la
R.M. n. 165/E del 29 luglio 1997 (in “il fisco” n. 29/1998, pag.
9711).
(3) Addizionali regionale, provinciale e comunale IRPEF - Con
riferimento all’addizionale provinciale e comunale all’IRPEF di
cui all’art. 1, D.Lgs. 28 settembre 1998, n. 360 ed all’addizionale regionale all’IRPEF, di cui all’art. 50, D.Lgs. 15 dicembre
1997, n. 446, dovuta sui redditi di lavoro dipendente ed assimilato, vedasi la corrispondente scadenza in questo stesso Scadenzario.
(4) Ritenute sui redditi di lavoro autonomo - Ai sensi dell’art. 2,
D.P.R. 10 novembre 1997, n. 445, come sostituito dall’art. 3, comma 2, D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 (in “il fisco” n. 9/2000, pag.
2473) il versamento delle ritenute da parte dei sostituti d’imposta
che nell’anno erogano esclusivamente compensi di lavoro autonomo a non più di tre soggetti ed effettuano ritenute di acconto per
un importo non superiore a lire due milioni, deve essere eseguito
entro gli stessi termini stabiliti per il versamento a saldo delle
imposte sui redditi.
Qualora nel corso del periodo di imposta venga superato anche uno
dei limiti sopra indicati, il sostituto di imposta è tenuto ad effettuare
i versamenti, a partire dalla prima scadenza utile, nei termini previsti
dal D.P.R. n. 602 del 1973.
(5) Sport dilettantistico - Vedasi l’art. 2, D.M. 26 novembre 1999,
n. 473 (in “il fisco” n. 48/1999, pag. 15304) ai fini dell’applicazione
di una ritenuta a titolo di imposta e delle aliquote di compartecipazione delle addizionali all’IRPEF sui compensi, incluse le indennità
MODALITÀ
tenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento
all’indicazione del numero di rate anche in caso di
versamento in unica soluzione e di somme non
rateizzabili.
N.B.: Vedasi il D.M. 6 agosto 1998, concernente
il versamento delle ritenute operate in Valle d’Aosta (in “il fisco” n. 35/1998, pag. 11655). Per i
codici-tributo concernenti le ritenute operate in
Sicilia e Sardegna e per gli altri codici-tributo
vedasi l’elenco riportato nella banca dati “il fiscovideo” mediante ricerca alla funzione “Segnalazioni”.
Vedasi, al riguardo, l’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997,
n. 241, circa la possibilità di effettuare il versamento delle ritenute indicate dall’art. 3, secondo
comma, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602:
oltre che presso le sezioni di Tesoreria provinciale
(ma in tal caso non è ammessa la compensazione),
● anche con il suddetto Mod. F24.
●
Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9
luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare
con il suddetto modello unificato possono essere
compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e successive modificazioni (in banca dati “il
fiscovideo”).
3340 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
17 LUNEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
di trasferta e i rimborsi forfettari, erogati da società o associazioni
sportive dilettantistiche. A tal fine deve essere utilizzato il codice-tributo 1043 che assume la denominazione “ritenuta a titolo di imposta per prestazioni di lavoro autonomo”. (Vedi “Guida del contribuente” n. 8 del febbraio 2000).
Vedasi la C.M. n. 43/E dell’8 marzo 2000 (in “il fisco” n. 12/3381)
B)
- obbligazioni e titoli similari (1);
- interessi, premi ed altri frutti corrisposti sui depositi;
- redditi di capitale diversi dai dividendi (2) e da quelli indicati in
precedenza;
- proventi da cessioni a termine di obbligazioni e titoli similari;
- plusvalenze realizzate mediante cessioni a termine di valute estere;
- proventi indicati sulle cambiali di cui all’art. 6, n. 4), Tariffa All. A
annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642;
- proventi derivanti da depositi a garanzia di finanziamenti;
- premi delle lotterie, tombole, pesche o banchi di beneficenza;
- premi per giochi di abilità in spettacoli radiotelevisivi e competizioni sportive;
- altre vincite e premi.
(1) Imposta sostitutiva - Per talune obbligazioni e titoli similari,
pubblici e privati, vedasi il D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 e successive
modificazioni (vd. la scadenza “SOSTITUTIVA - Imposta sostitutiva sui titoli dei cosiddetti ‘Grandi emittenti’ di cui al D.Lgs. n.
239/1996 - Versamento” in questo Scadenzario).
(2) Dividendi - Per gli utili la cui distribuzione è deliberata a decorrere dal 1° luglio 1998, il D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, prevede
l’applicazione delle ritenute con versamento entro il 16 aprile, 16
luglio, 16 ottobre e 16 gennaio per le ritenute operate nel trimestre
solare precedente.
Vedasi l’art. 27-ter, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ai fini dell’applicazione di un’imposta sostitutiva sugli utili delle azioni e titoli in
deposito accentrato presso la Monte Titoli S.p.A.
IMPOSTE SUI REDDITI - Ritenute alla fonte - Dividendi
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Scade il termine per il versamento delle ritenute alla fonte sui dividendi operate e sugli importi versati dai soci sugli utili in natura nel
primo trimestre 2000 (art. 8, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602).
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
●
In particolare si precisa che, ai sensi dell’art. 27, comma 1, D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600 (con riferimento agli utili di cui è deliberata
la distribuzione a partire dal 1° luglio 1998), la ritenuta è applicata a
titolo d’imposta nella misura del 12,50 per cento sugli utili corrisposti dalle società ed enti di cui all’art. 87, lettere a) e b), del Tuir alle
persone fisiche residenti in relazione a partecipazioni non qualificate
- secondo la nozione di cui all’art. 81, comma 1, lettera c-bis), del
Tuir - non possedute nell’esercizio dell’impresa.
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
12/2000 il fisco 3341
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
17 LUNEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
A tal fine gli interessati devono attestare il possesso dei suddetti
requisiti. La ritenuta di cui sopra non è operata nei confronti dei
soggetti che ne facciano richiesta all’atto della riscossione degli utili
(art. 27, comma 5, citato D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’art. 2, D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, in allegato a “il fisco” n.
2/2000).
MODALITÀ
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento
all’indicazione del numero di rate anche in caso di
versamento in unica soluzione e di somme non
rateizzabili.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e successive modificazioni (in banca dati “il
fiscovideo”).
ADDIZIONALI REGIONALE, PROVINCIALE E
COMUNALE ALL’IRPEF - Redditi di lavoro dipendente e
assimilati - Determinazione e versamento
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Versamento:
Addizionale regionale
●
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
Ai sensi dell’art. 50, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come modificato dall’art. 1, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 506 (in allegato a “il
fisco” n. 2/2000), l’addizionale dovuta sui redditi di lavoro dipendente e assimilati è determinata dai sostituti d’imposta di cui agli artt.
23 e 29 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, all’atto di effettuazione
delle operazioni di conguaglio relative a detti redditi. Il relativo
importo è trattenuto:
- in un numero massimo di undici rate, a partire dal periodo di paga
successivo a quello in cui le stesse sono effettuate e non oltre quello
relativamente al quale le ritenute sono versate nel mese di dicembre;
- in unica soluzione nel periodo di paga in cui sono svolte le predette
operazioni di conguaglio in caso di cessazione del rapporto.
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Vedasi al riguardo il D.M. 20 dicembre 1999 (in
“il fisco” n. 1/2000, pag. 162) recante l’approvazione dei codici-tributo relativi all’addizionale comunale IRPEF.
Vedasi altresì:
Vedasi, al riguardo, il Comunicato stampa del Ministero delle finanze del 14 gennaio 2000 (in “il fisco” n. 4/2000, pag. 946).
Addizionale provinciale e comunale
Ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. 28 settembre 1998, n. 360 (come modificato dall’art. 6, comma 12, L. 23 dicembre 1999, n. 488, in allegato
a “il fisco” n. 1/2000), per le modalità di determinazione dell’addizionale provinciale e comunale sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati e per l’effettuazione delle relative trattenute da parte dei sostituti di imposta si applicano le disposizioni - sopra illustrate - previste
per l’addizionale regionale all’Irpef di cui all’art. 50, comma 4, del
D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
N.B.: L’elenco dei comuni che hanno deliberato l’applicazione di
un’aliquota maggiorata per il 1999 è pubblicato nel S.O. n. 184 alla
G.U. n. 246 del 19 ottobre 1999; un elenco degli stessi comuni, reso
noto dall’A.N.C.I., è riportato in “il fisco” n. 38/1999, pag. 12311.
Si vedano altresì le integrazioni diffuse dal Ministero delle finanze
la N.M. n. 9476/1998 del 4 febbraio 1998 (in
“il fisco” n. 16/1998, pag. 5148) con riferimento
all’addizionale regionale;
● la N.M. n. 1999/150425 del 21 settembre 1999
(in “il fisco” n. 36/1999, pag. 11756) con riferimento all’addizionale provinciale e comunale.
●
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e successive modificazioni (in banca dati “il
fiscovideo”).
3342 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
17 LUNEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
con gli elenchi pubblicati nel S.O. n. 224 alla G.U. n. 298 del 21
dicembre 1999.
SOSTITUTIVA - Imposta sostitutiva sui titoli dei cosiddetti “Grandi emittenti” di cui al D.Lgs. n. 239/1996 - Versamento
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Versamento:
Scade il termine per il versamento dell’imposta sostitutiva - risultante
dal saldo mensile del conto unico - relativa agli interessi, premi ed
altri frutti di obbligazioni e titoli di cui al D.Lgs. 1° aprile 1996, n.
239 (in banca dati “il fiscovideo”). Si vedano al riguardo la C.M. 23
dicembre 1996, n. 306/E (in “il fisco” n. 2/1997, pag. 443), la C.M.
7 agosto 1997, n. 234/E (in “il fisco” n. 32/1997, pag. 9514) e la
C.M. n. 165/E del 24 giugno 1998 (in allegato a “il fisco” n.
27/1998).
Con D.M. 6 dicembre 1996 (in “il fisco” n.
48/1996, pag. 11637) è stato disciplinato il versamento dell’imposta sostitutiva (esclusa quella relativa ai titoli obbligazionari degli enti locali di cui
all’art. 35 della L. 23 dicembre 1994, n. 724):
●
alla competente sezione di Tesoreria provinciale;
ovvero
N.B.: Per il versamento relativo ai buoni postali di risparmio vedasi
il D.M. 23 dicembre 1998, n. 511 (in “il fisco” n. 9/1999, pag.
3119).
N.B.: L’imposta sostitutiva non si applica sui redditi di capitale derivanti da attività finanziarie per le quali il contribuente opta per la
disciplina del risparmio gestito di cui all’art. 7, D.Lgs. 21 novembre
1997, n. 461.
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
●
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento
all’indicazione del numero di rate anche in caso di
versamento in unica soluzione e di somme non
rateizzabili.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e successive modificazioni (in banca dati “il
fiscovideo”).
REDDITI DIVERSI - Risparmio amministrato - Versamento dell’imposta sostitutiva
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Versamento:
Con riferimento alle plusvalenze per le quali il contribuente abbia
optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza realizzata (cosiddetto regime del risparmio amministrato), scade il termine per il versamento da parte degli intermediari (banche,
S.I.M., altri intermediari autorizzati) dell’imposta sostitutiva applica-
Con D.M. 23 luglio 1998 (in “il fisco” n. 31/1998,
pag. 10438) come modificato dal D.M. 6 agosto
1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10490) è stato
disciplinato il versamento dell’imposta sostitutiva:
12/2000 il fisco 3343
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
17 LUNEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
ta nel secondo mese precedente (art. 6, D.Lgs. 21 novembre 1997,
n. 461, e successive modificazioni; testo coordinato in allegato a “il
fisco” n. 30/1998).
Vedasi la C.M. n. 165/E del 24 giugno 1998 (in allegato a “il fisco”
n. 27/1998) e la C.M. n. 188/E del 16 luglio 1998 (in “il fisco” n.
31/1998, pag. 10382).
Attestazione di versamento - I soggetti che effettuano il versamento
dell’imposta sostitutiva rilasciano al contribuente la relativa attestazione entro il mese di marzo dell’anno successivo ovvero entro dodici giorni dalla richiesta degli interessati (art. 6, comma 9, D.Lgs. 21
novembre 1997, n. 461, come modificato dall’art. 5, D.Lgs. 23
dicembre 1999, n. 505, in allegato a “il fisco” n. 2/2000).
La disposizione si applica con riferimento ai versamenti dell’imposta
sostitutiva relativi alle operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2000.
MODALITÀ
●
alla competente sezione di Tesoreria provinciale;
ovvero
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
●
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento
all’indicazione del numero di rate anche in caso di
versamento in unica soluzione e di somme non
rateizzabili.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e successive modificazioni (in banca dati “il
fiscovideo”).
REDDITI DI CAPITALE E DIVERSI - Risparmio gestito Versamento dell’imposta sostitutiva in caso di revoca del
mandato di gestione
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Versamento:
Con riferimento ai redditi di capitale e diversi relativi a gestioni individuali di portafoglio per i quali il contribuente abbia optato per
l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul risultato maturato (cosiddetto regime del risparmio gestito), scade il termine per il versamento da parte dei soggetti abilitati (banche, S.I.M.,
società fiduciarie) dell’imposta sostitutiva, in caso di revoca del mandato di gestione nel secondo mese precedente (art. 7, comma 11,
D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, come modificato dall’art. 7,
D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, in allegato a “il fisco” n. 2/2000)
Con D.M. 23 luglio 1998 (in “il fisco” n. 31/1998,
pag. 10438) come modificato dal D.M. 6 agosto
1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10490) è stato
disciplinato il versamento dell’imposta sostitutiva:
●
alla competente sezione di Tesoreria provinciale;
ovvero
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
Vedasi la C.M. n. 165/E del 24 giugno 1998 (in allegato a “il fisco”
n. 27/1998) e la C.M. n. 188/E del 16 luglio 1998 (in “il fisco” n.
31/1998, pag. 10382).
●
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
3344 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
17 LUNEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento
all’indicazione del numero di rate anche in caso di
versamento in unica soluzione e di somme non
rateizzabili.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e successive modificazioni (in banca dati “il
fiscovideo”).
IMPOSTE SUI REDDITI - Ritenute relative ai proventi
derivanti da partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio (O.I.C.R.)
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Scade il termine per versare le ritenute del 12,50 per cento effettuate
nel mese precedente sui proventi derivanti dalla partecipazione agli
organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto
estero (art. 10-ter, L. 23 marzo 1983, n. 77, e successive modificazioni, in banca dati “il fiscovideo”).
Versamento:
●
alla Tesoreria provinciale dello Stato (vd. D.M.
10 dicembre 1992, in “il fisco” n. 47/1992, pag.
11266).
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio
1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n.
473 (in banca dati “il fiscovideo”).
IRAP - Amministrazioni dello Stato ed enti pubblici - Versamento dell’acconto mensile
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Versamento:
Per gli organi e le amministrazioni dello Stato e per gli enti pubblici,
di cui agli artt. 3, comma 1, lettere e-bis), e 10-bis) D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 - come modificati dall’art. 1, D.Lgs. 30 dicembre
1999, n. 506 (in allegato a “il fisco” n. 2/2000) - che effettuano il
versamento dell’IRAP mensilmente nella misura e con i criteri previsti dagli artt. 16 e 30 - anch’essi modificati dall’art. 1, citato decreto
correttivo - scade il termine per l’effettuazione del versamento dell’acconto mensile calcolato sull’ammontare degli emolumenti corrisposti nel mese precedente (D.M. 2 novembre 1998, n. 421, in “il
fisco” n. 47/1998, pag. 15421, e Comunicato stampa del Ministero
delle finanze 3 febbraio 1999, in “il fisco” n. 7/1999, pag. 2077).
con le modalità indicate dal citato D.M. 2 novembre 1998, n. 421, utilizzando il codice-tributo
3810 (vd. Comunicato stampa del Ministero delle
finanze del 7 maggio 1999, in “il fisco” n.
20/1999, pag. 6778).
I predetti soggetti versano il saldo, tenendo conto degli acconti già
pagati, entro il termine di presentazione della dichiarazione ai fini
dell’IRAP.
N.B.: Con le stesse modalità indicate è versata
l’addizionale regionale all’IRPEF di cui all’art. 50,
citato D.Lgs. n. 446/1997, trattenuta dalle amministrazioni dello Stato.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio
1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n.
473 (in banca dati “il fiscovideo”).
12/2000 il fisco 3345
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
17 LUNEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IVA - Contribuenti mensili - Mese di marzo 2000 - Versamento
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Scade il termine per l’effettuazione del versamento sulla base della
liquidazione relativa al mese di marzo 2000, ai sensi del D.P.R. 23
marzo 1998, n. 100, come modificato dall’art. 2, D.P.R. 14 ottobre
1999, n. 542 (in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473). Se l’importo non
supera lire 50.000 il versamento è effettuato insieme a quello relativo
al mese successivo.
Dichiarazione periodica - Vedasi la corrispondente scadenza a fine
mese, in questo Scadenzario.
Contabilità presso terzi - Il citato D.P.R. n. 100 del 1998 ha introdotto la facoltà - per i contribuenti che affidano a terzi la tenuta della
contabilità e ne abbiano dato comunicazione “all’ufficio dell’imposta
sul valore aggiunto competente nella prima dichiarazione annuale
presentata nell’anno successivo alla scelta operata” - di fare riferimento, ai fini della liquidazione mensile, all’imposta divenuta esigibile
nel secondo mese precedente.
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
●
utilizzando il codice-tributo 6003 ed il modello di
pagamento unificato (F24) approvato con D.M. 15
dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858)
e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui
foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12
aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento
all’indicazione del numero di rate anche in caso di
versamento in unica soluzione e di somme non
rateizzabili.
Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9
luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare
con il suddetto modello unificato possono essere
compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio
1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n.
473 (in banca dati “il fiscovideo”).
INPS - Contributo alla gestione separata dovuto su taluni
redditi di lavoro autonomo - Versamento
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Scade il termine per il versamento del contributo alla gestione separata INPS, sui compensi corrisposti nel mese precedente (D.M. 2
maggio 1996, n. 281, in “il fisco” n. 23/1996, pag. 5818), relativi a:
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
●
- rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
- prestazioni degli incaricati alle vendite a domicilio;
- spedizionieri doganali, nei limiti ed alle condizioni di cui alla L. 16
luglio 1997, n. 230 (in “il fisco” n. 31/1997, pag. 9207);
- borse concesse per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca (art.
1, L. 3 agosto 1998, n. 315, in “il fisco” n. 33/1998, pag. 11024).
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24) approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Aliquota - Vedasi l’art. 59, comma 16, L. 27 dicembre 1997, n. 449,
come modificato dall’art. 51, L. 23 dicembre 1999, n. 488 (in allegato a “il fisco” n. 1/2000) con riferimento alla determinazione dell’aliquota.
Vedasi altresì l’art. 51, commi 3 e 4, citata L. n. 488/1999, ai fini
della determinazione del reddito derivante da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento
all’indicazione del numero di rate anche in caso di
versamento in unica soluzione e di somme non
rateizzabili.
3346 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
17 LUNEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9
luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare
con il suddetto modello unificato possono essere
compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e successive modificazioni (in banca dati “il
fiscovideo”).
ACCISE - Pagamento imposta
Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*)
Scade il termine per il pagamento dell’accisa per i prodotti ad essa
soggetti, immessi in consumo nel periodo compreso tra il giorno 16
e la fine del mese precedente (art. 3, comma 4, testo unico sulle
accise approvato con D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504). Restano salve
le diverse scadenze relative a specifici prodotti quali, ad esempio, il
gas metano.
Versamento:
●
alla Tesoreria provinciale dello Stato.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17
aprile, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio
1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n.
473 (in banca dati “il fiscovideo”).
Vedasi al riguardo la C.M. n. 80/D del 14 marzo 1997 (in “il fisco”
n. 13/1997, pag. 3787).
20 GIOVEDÌ
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IVA - Scambi intracomunitari - Elenchi INTRASTAT
Scade il termine - così stabilito dall’art. 1, D.P.R. 7 gennaio 1999, n.
10 (in “il fisco” n. 6/1999, pag. 1860) - per la presentazione degli
elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari
relativi al mese di marzo 2000 (art. 6, D.L. 23 gennaio 1993, n. 16,
convertito dalla L. 24 marzo 1993, n. 75).
Vedasi la C.M. n. 60/D del 12 marzo 1999 (in “il fisco” n. 13/1999,
pag. 4533).
N.B.: Lo stesso decreto prevede importi di riferimento distinti per la
presentazione degli elenchi mensili:
- delle cessioni (cessioni intracomunitarie realizzate nell’anno precedente o che si presume di realizzare, in caso di inizio dell’attività di
scambi intracomunitari, di ammontare complessivo superiore a 300
milioni di lire);
- degli acquisti (acquisti intracomunitari realizzati nell’anno precedente o che si presume di realizzare, in caso di inizio dell’attività di
scambi intracomunitari, di ammontare complessivo superiore a 200
milioni di lire).
Presentazione:
Gli elenchi devono essere presentati ad un qualsiasi ufficio doganale abilitato della circoscrizione
doganale in cui ha sede il soggetto obbligato utilizzando i modelli:
- INTRA 1, INTRA 1-bis e INTRA 1-ter, per le
cessioni;
- INTRA 2, INTRA 2-bis e INTRA 2-ter, per gli
acquisti,
approvati con D.M. 21 ottobre 1992 (in “il fisco”
n. 40/1992, pag. 9670), come modificato dal
D.M. 4 febbraio 1998 (in “il fisco” n. 8/1998, pag.
3044).
N.B.: La presentazione può essere effettuata
anche:
●
Periodicità - Lo stesso decreto consente ai soggetti tenuti alla presentazione:
a mezzo raccomandata postale (art. 34, D.L. 23
febbraio 1995, n. 41, convertito dalla L. 22 marzo 1995, n. 85, in banca dati “il fiscovideo” );
12/2000 il fisco 3347
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
20 GIOVEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
- degli elenchi trimestrali, di presentarli con periodicità mensile;
- degli elenchi annuali, di presentarli con periodicità mensile o trimestrale.
MODALITÀ
●
mediante supporti magnetici nonché per via telematica (vd. art. 4, citato D.M. 21 ottobre 1992;
C.M. n. 231/D del 26 settembre 1996, in “il
fisco” n. 37/1996, pag. 8958).
Repubblica di San Marino - Vedasi la R.M. n. 83/E del 23 aprile
1997 (in “il fisco” n. 19/1997, pag. 5215) con riferimento agli obblighi connessi alle cessioni di beni verso la Repubblica di San Marino.
Euro - Vedasi il paragrafo 4.2.1 della C.M. n. 291/E del 23 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 1/1999, pag. 107) ai fini delle annotazioni
sui modelli INTRA degli importi espressi in euro, in valute aderenti
ed in altre valute.
REGISTRO - Contratti di locazione ed affitto di beni
immobili - Versamento imposta
Scade il termine per il versamento relativo a:
cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite, con effetto dal 1°
aprile 2000;
● contratti pluriennali (1) relativi ad immobili urbani: annualità successive alla prima, con inizio dal 1° aprile 2000.
●
(1) Per i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani di
durata pluriennale l’imposta può essere assolta:
a) annualmente sull’ammontare del canone relativo a ciascun anno,
ovvero
b) sul corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto. In tal
caso è prevista una riduzione sull’imposta dovuta (art. 17 e art. 5,
Tariffa del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). Vedasi al riguardo la
C.M. n. 12/E del 16 gennaio 1998 ( in “il fisco” n. 4/1998, pag.
1353).
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
presso una banca;
● presso un ufficio postale,
●
●
utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17
dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999).
Vedasi il D.M. 24 dicembre 1999 recante “Modalità
tecniche di trasmissione telematica dei dati concernenti i contratti di locazione e di affitto da sottoporre a registrazione” (in “il fisco” n. 2/2000, pag. 519
ed errata-corrige in “il fisco” n. 4/2000, pag. 1027).
Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno
1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711).
L’imposta dovuta sui contratti di locazione ed affitto di beni immobili deve essere versata entro venti giorni dalla data dell’atto su tutti i
contratti senza limite di importo salvo quelli non formati per atto
pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a
trenta giorni complessivi nell’anno. Entro lo stesso termine di venti
giorni il contratto deve essere presentato all’ufficio per la registrazione unitamente all’attestato di pagamento.
CONTRATTI DI BORSA - S.I.M., fiduciarie e agenti di
cambio - Versamento della tassa in modo virtuale
Scade il termine per il versamento delle tasse liquidate sui contratti
di trasferimento di titoli e valori conclusi nel mese precedente da
parte delle:
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
presso una banca;
● presso un ufficio postale,
●
●
●
S.I.M., società di intermediazione mobiliare di cui alla L. 2 gen-
3348 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
20 GIOVEDÌ
segue
ADEMPIMENTO
naio 1991, n. 1 ed al D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (D.M. 12
novembre 1991) ora disciplinate dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n.
58 - testo unico dell’intermediazione finanziaria (in banca dati “il
fiscovideo” );
● società fiduciarie e agenti di cambio (D.M. 6 luglio 1995, in “il
fisco” n. 30/1995, pag. 7584).
CONAI - Contributo ambientale - Dichiarazione periodica
Per i produttori e gli utilizzatori di imballaggi scade il termine per la
liquidazione e per la trasmissione al CONAI della dichiarazione
mensile relativa al contributo ambientale.
Il contributo è dovuto sulla base delle fatture emesse nel mese precedente ovvero dei documenti ricevuti in qualità di importatore (art. 7,
comma 10, Regolamento CONAI - Consorzio Nazionale Imballaggi, costituito ai sensi dell’art. 41, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22)
distinguendo gli importi relativi a ciascuna tipologia di materiale
(acciaio, alluminio, carta, legno, plastica, vetro).
Gli importi risultanti dalla liquidazione che verrà effettuata dal
CONAI devono essere versati entro 90 giorni.
N.B.: Si segnala che a decorrere dal 1° gennaio 2000 il consiglio di
amministrazione del CONAI ha previsto distinte classi di dichiarazioni (Vd. comunicato dell’11 novembre 1999, riportato nel sito
Internet):
- A - Esenzione, per contributo ambientale annuo fino a lire 50.000
per singolo materiale, lire 100.000 in caso di import
forfetizzato;
- B - Annuale, per contributo ambientale annuo fino a lire 600.000
per singolo materiale, e per importazioni forfetizzate;
- C - Trimestrale, per contributo ambientale annuo fino a lire
60.000.000 per singolo materiale, e per importazioni
forfetizzate;
- D - Mensile, per contributo ambientale annuo superiore a lire
60.000.000 per singolo materiale, e per importazioni
forfetizzate.
Secondo il predetto comunicato “La classe di dichiarazione va verificata alla fine di ogni anno solare e segnalata attraverso l’autodichiarazione (mod. 6.8), entro il 20 gennaio.
Le nuove dichiarazioni trimestrali e annuali non vanno intese come
un obbligo, ma come un’opzione offerta alle imprese per semplificare
le procedure. L’impresa ha sempre facoltà di inviare le dichiarazioni
con una periodicità più ravvicinata: la Classe Annuale può dichiarare
anche trimestralmente o mensilmente; la Classe Trimestrale può
dichiarare anche mensilmente.”.
MODALITÀ
utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17
dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999).
Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno
1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711).
12/2000 il fisco 3349
ATTUALITÀ
il fisco
30 DOMENICA
Scadenzario tributario aprile 2000
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
ASSISTENZA FISCALE - Prestata dai sostituti d’imposta Presentazione del Modello 730
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Scade il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi
modello 730 da parte dei soggetti che si avvalgono dell’assistenza
fiscale tramite i sostituti d’imposta sempreché detti sostituti d’imposta abbiano comunicato entro il 15 gennaio u.s. di voler prestare assistenza fiscale (art. 13, D.M. 31 maggio 1999, n. 164, in “il fisco” n.
25/1999, pag. 8444).
Presentazione:
La dichiarazione deve essere redatta utilizzando il
modello 730/2000, approvato con D.M. 17 gennaio 2000 (in allegato a “il fisco” n. 6/2000).
Il sostituto è tenuto a rilasciare la ricevuta dell’avvenuta consegna della dichiarazione modello 730 e
della busta contenente il modello 730-1.
Il termine di presentazione scade il 31 maggio 2000, se l’assistenza
fiscale è prestata dai CAF-dipendenti.
Unitamente al modello 730, deve essere consegnato al sostituto
d’imposta, in busta chiusa, il modello 730-1 concernente la scelta
della destinazione dell’8 per mille, anche se in concreto non sia stata
espressa alcuna scelta.
Se il contribuente intende rateizzare il versamento delle somme
dovute a saldo ed in acconto - con applicazione degli interessi dello
0,50 per cento mensile - deve barrare l’apposita casella indicando il
numero delle rate stesse.
Altresì il contribuente deve barrare l’apposita casella se richiede di
non effettuare il versamento d’acconto IRPEF ovvero deve indicare
l’importo se chiede di effettuare un versamento inferiore. Ai sensi
dell’art. 6, comma 8, L. 23 dicembre 1999, n. 488, per il periodo
d’imposta 2000, ai soli fini dell’IRPEF, la misura dell’acconto è
ridotta dal 98 al 92 per cento.
ACCONTI D’IMPOSTA - Soggetti IRPEG - Imposte sui
redditi - IRAP
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
ad una banca convenzionata;
● presso gli uffici postali abilitati,
●
Per i soggetti all’IRPEG per i quali il mese di aprile 2000 è l’undicesimo mese dell’esercizio sociale, scade il termine per il versamento
della seconda o unica rata degli acconti di imposta.
Imposte sui redditi
L’acconto si applica nella misura del 98 per cento dell’imposta relativa al periodo d’imposta precedente, al netto di detrazioni, crediti e
ritenute, ed è versata in due rate, la prima delle quali pari al 40 per
cento e la seconda, per il residuo importo.
L’acconto non è dovuto se l’imposta relativa al periodo d’imposta
precedente, al netto di detrazioni, crediti e ritenute, non è superiore
a lire 40 mila.
Il versamento della prima rata d’acconto non è dovuto se non è superiore a lire 200 mila.
●
utilizzando il modello di pagamento unificato
(F24) approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in
“il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto
anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999
(in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002).
Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il
fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento
all’indicazione del numero di rate anche in caso di
versamento in unica soluzione e di somme non
rateizzabili.
3350 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
Al riguardo vedasi inoltre quanto disposto:
a) dall’art. 13, D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 (in banca dati “il fiscovideo”) per la determinazione degli acconti IRPEG dovuti per il
periodo di imposta in corso al 1° aprile 1997 e per i successivi;
b) dall’art. 16, comma 2, D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”) per la determinazione degli acconti IRPEG dovuti per il periodo di imposta successivo a quello in corso alla data del 31 marzo 1998;
c) dall’art. 2, comma 12, L. 13 maggio 1999, n. 133 (in “il fisco” n.
23/1999, pag. 7812) per la determinazione degli acconti IRPEG
dovuti per il periodo di imposta in corso alla data di entrata in
vigore della predetta L. n. 133/1999, e per il successivo.
Fusioni e scissioni - Vedasi l’art. 4, comma 1, D.L. 11 marzo 1997,
n. 50, convertito dalla L. 9 maggio 1997, n. 122 (in banca dati “il
fiscovideo”), per quanto concerne gli obblighi di versamento d’acconto nei casi di fusione e scissione.
IRAP
A partire dal secondo periodo di imposta di applicazione dell’IRAP il
versamento in acconto deve essere effettuato con le stesse regole valide per gli acconti delle imposte sui redditi; in sintesi: misura del 98
per cento, in due rate, la prima delle quali pari al 40 per cento, e la
seconda per il residuo importo (art. 31, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n.
446, in banca dati “il fiscovideo”).
Vedasi la C.M. n. 263/E del 12 novembre 1998, par. 2.15 (in “il
fisco” n. 43/1998, pag. 14062) ai fini del versamento d’acconto IRAP
nei casi di fusione, scissione e trasformazione.
ENTI NON COMMERCIALI - Raccolta pubblica in concomitanza di ricorrenze e campagne di sensibilizzazione - Redazione del rendiconto
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Per gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di
fondi, scade il termine - ai sensi dell’art. 20, D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600 - di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio (e pertanto
scade il 30 aprile se l’esercizio coincide con l’anno solare) - per la redazione di apposito rendiconto, accompagnato da una relazione illustrativa, delle entrate e delle spese relative alle raccolte pubbliche di
fondi in concomitanza delle celebrazioni, delle ricorrenze e delle
campagne di sensibilizzazione, di cui all’art. 108, comma 2-bis, lettera a), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
Vedasi al riguardo la C.M. n. 124/E del 12 maggio 1998 (in “il fisco”
n. 21/1998, pag. 6833).
MODALITÀ
Vedasi la C.M. n. 91/E del 26 aprile 1999 (in banca dati “il fiscovideo”) recante l’istituzione di nuovi
codici-tributo per gli acconti IRPEF, IRPEG ed
IRAP, che si riportano:
4033 - IRPEF acconto - prima rata
4034 - IRPEF acconto - seconda rata o acconto in
unica soluzione
2112 - IRPEG acconto - prima rata
2113 - IRPEG acconto - seconda rata o acconto in
unica soluzione
3812 - IRAP acconto - prima rata
3813 - IRAP acconto - seconda rata o acconto in
unica soluzione
Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9
luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare
con il suddetto modello unificato possono essere
compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e successive modificazioni (in banca dati “il
fiscovideo”).
12/2000 il fisco 3351
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE Redazione del rendiconto
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Ai sensi dell’art. 5, comma 5, D.M. 26 novembre 1999, n. 473 (in “il
fisco” n. 48/1999, pag. 15304) per le associazioni sportive dilettantistiche di cui all’art. 1, comma 1, citato D.M. n. 473/1999 scade il
termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio (e pertanto scade il
30 aprile, se l’esercizio coincide con l’anno solare) per la redazione di un
apposito rendiconto, tenuto e conservato ai sensi dell’art. 22, D.P.R.
29 settembre 1973, n. 600, dal quale devono risultare, anche a mezzo
di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e
le spese relative a ciascuna manifestazione nell’ambito della quale vengono realizzati i proventi di cui al comma 3 dell’art. 1, precisamente:
- i proventi derivanti dallo svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali;
- i proventi realizzati a seguito di raccolte di fondi effettuate con
qualsiasi modalità, purché le attività e le raccolte di fondi anzidette
abbiano carattere di occasionalità e saltuarietà.
Detti proventi non concorrono a formare il reddito imponibile fino
all’ammontare complessivo conseguito dalle medesime associazioni
nel corso di un periodo d’imposta, nell’ambito di due manifestazioni
e comunque per un importo non superiore al limite di 100 milioni
di lire fissato con D.M. 10 novembre 1999 (in “il fisco” n. 45/1999,
pag. 14065).
Vedasi la C.M. n. 43/E dell’8 marzo 2000 (in “il fisco” n. 3381).
ONLUS - Redazione del bilancio o rendiconto annuale
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Ai sensi dell’art. 20-bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per le
Onlus - Organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui al
D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 - diverse dalle società cooperative,
scade il termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio (e pertanto scade il 30 aprile se l’esercizio coincide con l’anno solare) a pena di
decadenza di benefici fiscali per esse previsti, per redigere la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’organizzazione, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali.
Vedasi al riguardo la C.M. n. 168/E del 26 giugno 1998 (in “il fisco”
n. 28/1998, pag. 9347).
MODALITÀ
3352 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IVA - Dichiarazione periodica - Presentazione
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Scade il termine per la presentazione della dichiarazione periodica, di
cui al D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, come modificato dal D.P.R. 14
ottobre 1999, n. 542 (in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473), relativa al
mese di marzo 2000.
Per i contribuenti che inviano la dichiarazione in via telematica
direttamente o mediante gli intermediari abilitati (art. 3, D.P.R. 22
luglio 1998, n. 322), la trasmissione telematica della dichiarazione
periodica deve essere effettuata entro il 31 maggio 2000.
L’obbligo di trasmissione telematica è stato esteso ai soggetti con un
numero di dipendenti non inferiore a 50.
Si vedano al riguardo la C.M. n. 68/E del 24 marzo 1999 (in “il
fisco” n. 14/1999, pag. 4886) e la C.M. n. 92/E del 26 aprile 1999
(in “il fisco” n. 19/1999, pag. 6538).
N.B.: Scade inoltre il termine per la presentazione in via telematica
della dichiarazione periodica relativa al mese di febbraio 2000.
Si ricorda che le dichiarazioni periodiche devono essere presentate:
- a decorrere dall’anno 1999 dalle società e dagli enti soggetti ad
IRPEG di cui all’art. 87 del Tuir, ed esclusi i soggetti di cui all’art.
88, comma 1, del Tuir;
- a decorrere dall’anno d’imposta 2000, dalle società di persone e
soggetti equiparati di cui all’art. 5, D.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917 nonché dalle persone fisiche che hanno realizzato nell’anno
precedente un volume d’affari superiore a lire 50 milioni.
IVA - Adempimenti di fine mese
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Agenzie di viaggio e turismo
Scade il termine per la registrazione nel registro di cui all’art. 24 od
in apposito registro tenuto ai sensi dell’art. 39, D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633, dei corrispettivi delle operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e turismo nel mese precedente (art. 74-ter, D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633; art. 5, D.M. 30 luglio 1999, n. 340, in “il
fisco” n. 37/1999, pag. 12034).
Plafond
Per i contribuenti che si avvalgono della facoltà di acquistare o
importare beni e servizi senza il pagamento dell’imposta, scade il termine per annotare nei registri di cui agli artt. 23, 24 o 39, secondo
Presentazione:
- ad uno sportello bancario convenzionato;
- ad un ufficio delle Poste Italiane S.p.A.,
utilizzando il modello approvato con il D.M. 21
dicembre 1999 (in “il fisco” n. 2/2000, pag. 549),
come sostituito con errata-corrige in G.U. n. 9 del
13 gennaio 2000 (in “il fisco” n. 4/2000, pag.
1018) (da utilizzare con riferimento alle liquidazioni a partire dal periodo d’imposta 2000).
Le specifiche tecniche di trasmissione telematica
sono state approvate con D.M. 24 febbraio 2000
(in S.O. n. 39 alla G.U. n. 55 del 7 marzo 2000).
12/2000 il fisco 3353
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
comma, D.P.R. n. 633/1972, l’ammontare di riferimento delle
esportazioni e delle cessioni intracomunitarie utilizzabile all’inizio
del secondo mese precedente e quello degli acquisti effettuati e delle
importazioni fatte nel medesimo mese senza pagamento dell’imposta
(art. 1, terzo comma, D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito
dalla L. 27 febbraio 1984, n. 17).
In materia di plafond vedasi l’art. 2, L. 18 febbraio 1997, n. 28 (in
“il fisco” n. 11/1997, pag. 3092) e la C.M. n. 145/E del 10 giugno
1998 (in “il fisco” n. 25/1998, pag. 8456).
Scambi intracomunitari
Autofatture - Scade il termine per l’emissione dell’autofattura da parte del cessionario o committente che non ha ricevuto, entro il mese
precedente, la fattura relativa ad operazioni effettuate nel mese ancora precedente (art. 46, comma 5, D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427).
Fatture integrative - Scade il termine per l’emissione, da parte del
medesimo soggetto, di fattura integrativa, nel caso in cui abbia ricevuto una fattura (originaria), indicante un corrispettivo inferiore a
quello reale, registrata nel mese precedente (art. 46, comma 5, citato
D.L. n. 331/1993).
Scheda carburanti - Rilevazione dei chilometri
Ai sensi dell’art. 4, D.P.R. 10 novembre 1997, n. 444 (in “il fisco” n.
1/1998, pag. 145) i soggetti che utilizzano i mezzi di trasporto nell’esercizio di impresa devono rilevare - alla fine del mese o del trimestre
- il numero dei chilometri da riportare nell’apposita scheda (mensile
o trimestrale) carburanti (vd. C.M. n. 205/E del 12 agosto 1998, in
“il fisco” n. 32/1998, pag. 10787).
Sedi secondarie
Per le operazioni effettuate mediante sedi secondarie o altre dipendenze che non vi provvedono direttamente, scade il termine di fatturazione, registrazione e annotazione dei corrispettivi e di registrazione degli
acquisti, relativamente alle operazioni effettuate nel mese precedente
(art. 73, primo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; art. 1, D.M.
18 novembre 1976, come modificato dal D.M. 6 giugno 1979; C.M.
n. 328/E del 24 dicembre 1997, in allegato a “il fisco” n. 1/1998).
Trasporto pubblico urbano di persone
Per gli esercenti attività di trasporto scade il termine per l’annotazione in apposito registro delle provvigioni corrisposte nel mese precedente ai rivenditori autorizzati di documenti di viaggio relativi al trasporto pubblico urbano di persone [art. 74, comma 1, lettera e),
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e art. 2, D.M. 5 maggio 1980, in
banca dati “il fiscovideo” ].
MODALITÀ
3354 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
IVA - Acquisti intracomunitari da parte di enti, associazioni
ed altre organizzazioni di cui all’art. 4, quarto comma,
D.P.R. n. 633/1972 - Dichiarazione e versamento
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Presentazione:
●
Per gli enti, associazioni ed altre organizzazioni di cui all’art. 4, quarto comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non soggetti passivi di
imposta, nonché per quelli soggetti passivi d’imposta, relativamente
all’attività istituzionale, scade il termine per la presentazione della
dichiarazione, relativa agli acquisti intracomunitari per il mese di
marzo 2000 con l’indicazione dell’imposta dovuta, nonché per il
versamento dell’imposta, ai sensi dell’art. 49, D.L. 30 agosto 1993,
n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427.
la dichiarazione (mod. INTRA 12 - D.M. 16
febbraio 1993, in “il fisco” n. 8/1993, pag. 2523)
deve essere presentata all’ufficio IVA competente
(ovvero all’Ufficio delle entrate, se già attivato).
N.B.: Vedasi il D.M. 27 dicembre 1999 (in “il
fisco” n. 4/2000, pag. 1025) per quanto concerne
la ripartizione delle competenze degli uffici delle
entrate circoscrizionali di Roma.
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
presso una banca;
● presso un ufficio postale,
●
●
utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17
dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999).
Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno
1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711).
IVA - Scambi intracomunitari - Elenchi INTRASTAT trimestrali
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica
Presentazione:
Scade il termine - così stabilito dall’art. 1, D.P.R. 7 gennaio 1999, n.
10 (in “il fisco” n. 6/1999, pag. 1860) - per la presentazione degli
elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari
relativi al primo trimestre 2000 (art. 6, D.L. 23 gennaio 1993, n.
16, convertito dalla L. 24 marzo 1993, n. 75).
Gli elenchi devono essere presentati ad un qualsiasi ufficio doganale abilitato della circoscrizione
doganale in cui ha sede il soggetto obbligato utilizzando i modelli:
Vd. la C.M. n. 60/D del 12 marzo 1999 (in “il fisco” n. 13/1999,
pag. 5433).
N.B.: Lo stesso decreto prevede importi di riferimento distinti per la
presentazione degli elenchi trimestrali:
- delle cessioni (cessioni intracomunitarie realizzate nell’anno precedente o che si presume di realizzare, in caso di inizio dell’attività di
scambi intracomunitari, di ammontare complessivo superiore a 75
e non superiore a 300 milioni di lire);
- degli acquisti (acquisti intracomunitari realizzati nell’anno precedente o che si presume di realizzare, in caso di inizio dell’attività di
scambi intracomunitari, di ammontare complessivo superiore a 50
e non superiore a 200 milioni di lire).
- INTRA 1, INTRA 1-bis e INTRA 1-ter, per le
cessioni;
- INTRA 2, INTRA 2-bis e INTRA 2-ter, per gli
acquisti,
approvati con D.M. 21 ottobre 1992 (in “il fisco”
n. 40/1992, pag. 9670), come modificato dal
D.M. 4 febbraio 1998 (in “il fisco” n. 8/1998, pag.
3044).
N.B.: La presentazione può essere effettuata
anche:
●
a mezzo raccomandata postale (art. 34, D.L. 23
febbraio 1995, n. 41, convertito dalla L. 22 mar-
12/2000 il fisco 3355
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
Periodicità - Lo stesso decreto consente ai soggetti tenuti alla presentazione:
- degli elenchi trimestrali, di presentarli con periodicità mensile;
- degli elenchi annuali, di presentarli con periodicità mensile o trimestrale.
Repubblica di San Marino - Vedasi la R.M. n. 83/E del 23 aprile
1997 (in “il fisco” n. 19/1997, pag. 5215) con riferimento agli obblighi connessi alle cessioni di beni verso la Repubblica di San Marino.
MODALITÀ
zo 1995, n. 85, in “il fisco” n. 13/1995, pag.
3403);
● mediante supporti magnetici nonché per via telematica (vd. art. 4, citato D.M. 21 ottobre 1992;
C.M. n. 231/D del 26 settembre 1996, in “il
fisco” n. 37/1996, pag. 8958).
Euro - Vedasi il paragrafo 4.2.1 della C.M. n. 291/E del 23 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 1/1999, pag. 107) ai fini delle annotazioni
sui modelli INTRA degli importi espressi in euro, in valute aderenti
ed in altre valute.
IVA - Rimborsi trimestrali - Presentazione domanda
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Presentazione:
●
Ai sensi dell’art. 38-bis, secondo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n.
633, scade il termine per la presentazione della domanda di rimborso
dell’imposta a credito relativa al primo trimestre 2000 nelle ipotesi
previste dall’art. 30, terzo comma, lettere a) e b), stesso D.P.R. n.
633/1972, e precisamente:
effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquota inferiore a quella dell’imposta su acquisti e importazioni, tenuto conto
dell’art. 3, comma 6, D.L. 28 giugno 1995, n. 250, convertito
dalla L. 8 agosto 1995, n. 349 (in banca dati “il fiscovideo” );
● operazioni non imponibili per un ammontare superiore al 25 per
cento dell’ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate.
●
Garanzie - In relazione all’esonero dall’obbligo di prestazione delle
garanzie, previsto dall’art. 38-bis, settimo comma, D.P.R. n.
633/1972, a favore dei contribuenti cosiddetti “virtuosi”, la C.M. n.
54/E del 4 marzo 1999 (in “il fisco” n. 11/1999, pag. 3878) reca un
fac-simile della dichiarazione sostitutiva di atto notorio prevista dalla
lettera c) del medesimo comma.
Con riferimento alla garanzia sui rimborsi, vedasi la CM n. 84/E del
12 marzo 1998 (in “il fisco” n. 12/1998, pag. 3758) e la C.M. n.
146/E del 10 giugno 1998 (in “il fisco” n. 25/1998, pag. 8466).
N.B.: È stato precisato che la presentazione di un esemplare della
dichiarazione IVA periodica ai fini della richiesta di rimborso è da
considerarsi un adempimento distinto ed autonomo rispetto alla presentazione di detta dichiarazione IVA periodica. Pertanto chi è tenuto alla presentazione della dichiarazione deve effettuare entrambi gli
adempimenti nel rispetto dei termini e delle modalità previsti per
ciascuno di essi (vd. Appendice alle istruzioni per la compilazione del
modello di dichiarazione periodica).
presentazione di un esemplare anche in copia
fotostatica, unitamente alla predetta dichiarazione sostitutiva (se ricorrono le condizioni per l’esonero dalla prestazione della garanzia) direttamente al competente ufficio Iva, ovvero all’ufficio delle entrate, se già attivato (art. 8, D.P.R. 14
ottobre 1999, n. 542, in “il fisco” n. 9/2000, pag.
2473).
N.B.: Vedasi il D.M. 27 dicembre 1999 (in “il
fisco” n. 4/2000, pag. 1025) per quanto concerne
la ripartizione delle competenze degli uffici delle
entrate circoscrizionali di Roma.
A tal fine può essere utilizzato il modello di dichiarazione periodica IVA, approvato con il D.M. 21
dicembre 1999 (in “il fisco” n. 2/2000, pag. 549),
come sostituito con errata-corrige in G.U. n. 9 del
13 gennaio 2000 (in “il fisco” n. 4/2000, pag.
1018).
I soggetti non tenuti alla presentazione della predetta dichiarazione richiedono il rimborso presentando all’ufficio competente entro lo stesso termine un esemplare del modello di dichiarazione
periodica ovvero l’apposita istanza prevista dal
D.M. 23 luglio 1975, come modificato dal D.M.
15 febbraio 1979.
Si vedano al riguardo la C.M. n. 68/E del 24 marzo 1999 (in “il fisco” n. 14/1999, pag. 4886) e la
C.M. n. 92/E del 26 aprile 1999 (in “il fisco” n.
19/1999, pag. 6538).
3356 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
Compensazione - L’importo a credito, in luogo
della richiesta di rimborso può essere portato in
tutto o in parte a compensazione - a partire dal
primo giorno successivo al trimestre di riferimento
- con il mod. F24, con utilizzazione dei codici-tributo indicati dalla Nota n. 1999/63239 del 12
aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 5963).
IVA - Misuratori fiscali - Assistenza tecnica
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Presentazione:
●
Scade il termine per la notifica al Ministero delle finanze delle variazioni dell’organizzazione dei Centri di assistenza tecnica diretta o
indiretta, intervenute nel primo trimestre 2000; le variazioni sono
operative dalla data della notifica (art. 1, comma 6, D.M. 4 aprile
1990, in “il fisco” n. 26/1990, pag. 4322).
al Ministero delle finanze mediante raccomandata.
IVA - Acque minerali, bevande e prodotti vinosi - Nuove
disposizioni
Si segnala che a decorrere dal 24 marzo 2000, data di entrata in vigore del D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 48 (in “il fisco” n. 12/2000, pag.
3407), sono abrogate le disposizioni relative all’applicazione di contrassegni sui contenitori e sui mezzi di chiusura di bevande, acque
minerali e prodotti vinosi destinati alla vendita al consumo, e precisamente l’art. 73, secondo comma, ultimo periodo, D.P.R. n.
633/1972, l’art. 3, L. 2 maggio 1976, n. 160, il D.M. 27 agosto
1976 ed il D.M. 4 maggio 1981.
Attenzione: fino al 31 dicembre 2000 le imprese
possono continuare ad utilizzare i contenitori, i
recipienti, gli imballaggi e i mezzi di chiusura cui
siano applicati i contrassegni previsti dalla previgente normativa.
BOLLO - Assegni circolari - Dichiarazione
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Presentazione:
●
Scade il termine per la presentazione, da parte degli istituti di credito, della dichiarazione relativa al primo trimestre 2000 per la liquidazione dell’imposta di bollo sugli assegni circolari (art. 10, Tar. all.
A al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642).
all’ufficio del registro (ovvero all’Ufficio delle
entrate, se già attivato).
N.B.: Vedasi il D.M. 27 dicembre 1999 (in “il
fisco” n. 4/2000, pag. 1025) per quanto concerne
la ripartizione delle competenze degli uffici delle
entrate circoscrizionali di Roma.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
12/2000 il fisco 3357
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
BOLLO - Pagamento in modo virtuale - Versamento rata
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
presso una banca;
● presso un ufficio postale;
●
Scade il termine per il versamento della seconda rata bimestrale per i
soggetti autorizzati a corrispondere il tributo in modo virtuale, in
base alla dichiarazione presentata entro il 31 gennaio scorso (art. 15,
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642).
●
utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17
dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “ il fisco’” n. 3/1999).
Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno
1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711).
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
IMPOSTA SULLE ASSICURAZIONI - Versamento mensile
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Versamento:
al Concessionario della riscossione;
presso una banca;
● presso un ufficio postale,
●
Scade il termine per il versamento dell’imposta dovuta sui premi ed
accessori incassati nel mese di marzo 2000 nonché gli eventuali conguagli dell’imposta dovuta sui premi ed accessori incassati nel mese
di febbraio 2000 (art. 9, L. 29 ottobre 1961, n. 1216, in banca dati
“il fiscovideo” ).
Vedasi al riguardo la C.M. n. 94/E del 3 aprile 1997 (in “il fisco” n.
15/1997, pag. 4289).
●
utilizzando il Mod. F23 approvato con D.M. 17
dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999).
Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno
1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711).
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
ACCISE - Pagamento imposta
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Versamento:
●
Scade il termine per il pagamento dell’accisa per i prodotti ad essa
soggetti, immessi in consumo nei primi quindici giorni del mese in
corso (art. 3, comma 4, testo unico sulle accise, approvato con
D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, in banca dati “il fiscovideo” ).
Vedasi al riguardo la C.M. n. 80/D del 14 marzo 1997 (in “il fisco”
n. 13/1997, pag. 3787).
alla Tesoreria provinciale dello Stato.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
3358 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
Restano salve le diverse scadenze relative a specifici prodotti, quali,
ad esempio, il gas metano.
ACCISE - Gas metano - Versamento rata d’acconto mensile
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Versamento:
●
Scade il termine per il versamento della rata di acconto mensile calcolata sulla base dei consumi dell’anno precedente, ai sensi dell’art.
26, comma 8, del testo unico sulle accise, approvato con D.Lgs. 26
ottobre 1995, n. 504 (in banca dati “il fiscovideo”).
alla Tesoreria provinciale dello Stato.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
Si vedano al riguardo le modifiche apportate dall’art. 12, L. 23
dicembre 1999, n. 488 (in allegato a “il fisco” n. 1/2000).
Vedasi al riguardo la C.M. n. 1002 del 6 marzo 1997 (in “il fisco” n.
11/1997, pag. 3079) e la C.M. n. 80/D del 14 marzo 1997 (in “il
fisco” n. 13/1997, pag. 3787).
RIFIUTI - Tributo speciale per il deposito in discarica di
rifiuti solidi - Versamento
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Scade il termine per il versamento alle regioni del tributo speciale per
il deposito in discarica di rifiuti solidi, relativo alle operazioni di
deposito effettuate nel primo trimestre 2000 (art. 3, comma 30, L.
28 dicembre 1995, n. 549, in banca dati “il fiscovideo”; C.M. n.
190/E del 24 luglio 1996, in “il fisco” n. 32/1996, pag. 7808).
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
TOSAP - Versamento annuale e condizioni di rateizzazione
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
In relazione alla facoltà di corrispondere la tassa per l’occupazione
spazi - se di importo superiore a lire 500.000 - in quattro rate di
uguale importo, senza interessi, con scadenza nei mesi di gennaio,
aprile, luglio e ottobre, scade il termine per il versamento della rata
di aprile (art. 50, comma 5-bis, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507).
Vedasi quanto disposto dal medesimo comma 5-bis per la rateizzazione relativa alle occupazioni iniziate nel corso dell’anno.
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
12/2000 il fisco 3359
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
TASSE AUTOMOBILISTICHE - Rimorchi adibiti al trasporto di cose - Rinnovo
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Versamento:
●
presso gli uffici postali;
presso i tabaccai,
Per i rimorchi adibiti al trasporto di cose scade il termine per il rinnovo del pagamento delle tasse automobilistiche con scadenza nel
mese di febbraio 2000 (D.M. 26 gennaio 2000, in “il fisco” n.
6/2000, pag. 1780).
con la modulistica di cui al D.M. 7 gennaio 1999
(in “il fisco” n. 4/1999, pag. 1202).
Per i suddetti veicoli le tasse sono corrisposte per uno o due periodi
fissi quadrimestrali oppure per l’intero anno decorrente dal 1° febbraio.
N.B.: Il versamento può essere eseguito presso l’ACI nelle regioni con le quali sono state stipulate le
relative convenzioni.
●
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
ANAGRAFE TRIBUTARIA - Dati relativi a contratti di
somministrazione di energia elettrica ed a contratti di assicurazione - Comunicazioni
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Presentazione:
●
Scade il termine per la comunicazione all’Anagrafe tributaria da parte
di aziende, istituti, enti e società, dei dati relativi agli utenti di contratti di somministrazione di energia elettrica e di contratti di assicurazione (esclusa la responsabilità civile) relativi al 1999 [art. 6, comma
1, lettera g-ter), D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, e DD.MM. 28
aprile 1992, in “il fisco” n. 21/1992, pag. 5528 e 5530].
INPS - Contributo alla gestione separata dovuto su taluni
redditi di lavoro autonomo - Denuncia trimestrale su supporto cartaceo
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Scade il termine per la presentazione della denuncia trimestrale relativa al primo trimestre 2000, mediante utilizzo del modello di denuncia su supporto cartaceo da presentare, da parte dei committenti di
prestazioni soggette al contributo alla gestione separata INPS (vedasi
la Circ. INPS n. 171 del 28 luglio 1998, in banca dati “il fiscovideo”).
Supporti magnetici - Con Circ. INPS n. 78 del 1° aprile 1999 (in
banca dati “il fiscovideo”) è stato chiarito che la denuncia trimestrale
mediante supporto magnetico può essere presentata entro il mese
successivo rispetto alla scadenza prevista in via ordinaria per la presentazione su supporto cartaceo.
all’Anagrafe tributaria, via Mario Carucci, 99
- 00143 Roma, utilizzando la nota di accompagnamento Mod. AA12.
3360 il fisco 12/2000
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
MODALITÀ
REVISORI CONTABILI - Contributo annuo - Invio dell’attestazione
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Presentazione:
●
Per i revisori contabili iscritti nel registro scade il termine per inviare
l’attestazione del versamento del contributo annuo per il 2000 di lire
50.000 con scadenza il 31 gennaio scorso (art. 8, L. 13 maggio
1997, n. 132, in “il fisco” n. 22/1997, pag. 6196).
raccomandata al Ministero della giustizia, Direzione Affari civili e libere professioni, Reparto
revisori contabili, Via Crescenzio 17, Roma.
Si ricorda che i “neorevisori”, iscritti nel 1999, sono tenuti ad effettuare il versamento anche relativamente al 1999 e quindi a trasmettere la relativa attestazione.
AMBIENTE - Modello unico di dichiarazione (cosiddetto
“MUD”)
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Scade il termine per la presentazione della dichiarazione annuale prevista dall’art. 6, L. 25 gennaio 1994, n. 70, in materia ambientale.
Ai sensi dell’art. 7, D.M. 4 agosto 1998, n. 372 (in banca dati “il
fiscovideo”), ai fini della compilazione del MUD deve essere utilizzato
il manuale di transcodifica allegato al predetto decreto.
DIPENDENTI PUBBLICI - Compensi erogati da soggetti
pubblici e privati - Denuncia all’amministrazione di appartenenza
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica
Per i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti
pubblici per gli incarichi retribuiti scade il termine per dare comunicazione all’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei
compensi erogati nell’anno precedente (art. 58, comma 1, D.Lgs. 3
febbraio 1993, n. 29, in banca dati “il fiscovideo”).
TOSAP E COSAP - Aziende di erogazione di pubblici servizi
- Occupazioni con cavi, condutture e impianti - Versamento
Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile
domenica (*)
Versamento:
In unica soluzione su conto corrente postale.
Per le aziende di erogazione di pubblici servizi scade il termine per il
versamento:
- della TOSAP, tassa occupazione spazi ed aree pubbliche di cui agli
artt. 46 e 47, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507
N.B.: i comuni e le province possono prevedere termini e modalità diverse da quelle predette, inviando
apposite comunicazioni alle aziende interessate.
12/2000 il fisco 3361
ATTUALITÀ
il fisco
Scadenzario tributario aprile 2000
30 DOMENICA
segue
ADEMPIMENTO
- ovvero del COSAP, canone per l’occupazione spazi ed aree pubbliche di cui all’art. 63, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446
secondo che l’ente locale abbia deliberato l’applicazione della
TOSAP o del COSAP.
MODALITÀ
(*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2
maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio
1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”).
Il termine è così stabilito dal predetto art. 63, citato D.Lgs. n.
446/1997, come modificato dall’art. 18, L. 23 dicembre 1999, n.
488 (allegato a “il fisco” n. 1/2000) ed è stato ritenuto applicabile
anche ai fini della TOSAP (C.M. n. 32/E-FP-31853 del 28 febbraio
2000, in “il fisco” n. 11/2000, pag. 3195).
Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 247/E del 29 dicembre 1999 (allegata
a “il fisco” n. 1/2000).
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TRIBUTARIO
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il fisco
3362 il fisco 12/2000
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
Rubrica a cura del Prof. Ivo Caraccioli
Ordinario di Istituzioni di diritto penale nell’Università di Torino
PROBLEMI E DIBATTITI
Dalle “manette agli evasori”
alle “manette agli estimatori”
di Ivo Caraccioli
1. Il 3 marzo il Consiglio dei Ministri ha definitivamente varato - con importanti modifiche rispetto al contenuto dello schema approvato il 5 gennaio scorso, a seguito delle approfondite critiche
contenute nei pareri delle Commissioni parlamentari - il testo del decreto legislativo di riforma del
diritto penale tributario (riportato in “il fisco” n.
11/2000, pagg. 3155 e seguenti).
Per una volta occorre dare atto al Parlamento di
avere svolto una funzione egregia, in quella fase
delicatissima che è la comparazione (onde evitare
eccessi di delega) tra il contenuto della legge-delega e quello del decreto delegato. Le relazioni sono
state di buon livello scientifico ed il dibattito (trasversale ai vari gruppi politici) risulta essere stato
sereno e concreto.
il fisco
2. Molti altri punti, a mio avviso, avrebbero meritato di essere corretti, ma in questo primo approccio al nuovo testo desidero limitarmi a considerare
- siccome foriera di importanti conseguenze operative - la mantenuta presenza del comma 2 dell’art.
7 in tema di “valutazioni”.
Qui si volta veramente pagina, perché si passa
da un regime di impunità dei giudizi estimativi
[dipendente dall’introduzione della formula “fatti
materiali” nel vecchio testo dell’art. 4, lettera f),
della L. n. 516/82, ad opera della modifica del
1991], ad un sistema di larga e pericolosa responsabilità penale, con conseguenze serie per i professionisti (dato che gli imprenditori avranno buon
gioco nel dire che trattasi di compito ad essi
demandato istituzionalmente).
Mentre il comma 1 dell’art. 7 esclude la rilevanza penale della mera violazione dei criteri di
“competenza”, purché essa avvenga sulla base di
“metodi costanti”, nonché delle “valutazioni esti-
mative” che siano spiegate nel bilancio o nella
nota integrativa, il comma 2 (uguale come testo,
salvo la parola “ritenute”, a quello dello schema)
aggiunge che “in ogni caso, non danno luogo a
fatti punibili a norma degli artt. 3 e 4 le valutazioni estimative che, singolarmente considerate,
differiscono in misura inferiore al dieci per cento
da quelle corrette” (non mi soffermo sull’ulteriore parte del comma, che prevede una “franchigia”).
3. Quale l’interpretazione corretta dell’art. 7?
Di questo articolo si può dare una duplice alternativa interpretazione.
Secondo una prima interpretazione, occorre
distinguere tra valutazioni, per così dire, “spiegate” e “non spiegate”. Le prime non darebbero mai
luogo a reato (né di art. 3 né di art. 4). Quanto alle
seconde bisognerebbe distinguere a seconda che
siano inferiori o superiori al 10 per cento di divergenza: nel primo caso, non ci sarebbe mai reato;
nel secondo caso vi potrebbe essere il reato di cui
all’art. 3 o quello di cui all’art. 4 a seconda che il
giudice ritenga, nei fatti, una condotta di fraudolenza o di mera infedeltà.
Tale interpretazione, per così dire “più benevola”, porterebbe peraltro alla conclusione, che non
si può dire se sia quella voluta dal legislatore,
secondo cui basterebbe al contribuente indicare
un qualunque, anche cervellotico e totalmente
erroneo criterio di computo del valore per andare
esente da responsabilità penale. Anche perché, si
deve aggiungere, non viene previsto alcun tipo di
sindacato da parte del giudice penale sulla correttezza o meno dei criteri seguiti.
Sulla base di una seconda possibile interpretazione “più rigorosa”, invece, si dovrebbe distingue-
12/2000 il fisco 3363
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
razione che il 10 per cento, in certi casi, può essere
irrisorio (e gli esempi che vengono alla mente sono
tanti) - non finirà con il trasformare la “dichiarazione fraudolenta valutativa” in una sorta di “falso
in bilancio valutativo”? [e quali i rapporti, non
disciplinati, tra i reati fiscali e l’art. 2621, n. 1), del
codice civile?].
re tra le valutazioni inferiori al 10 per cento e quelle superiori al 10 per cento.
Le prime non darebbero mai luogo a responsabilità. Le seconde, al contrario, darebbero luogo a
responsabilità ex art. 3, ove non siano spiegate e
sono quindi idonee ad ostacolare l’accertamento
della rappresentazione delle scritture contabili; a
responsabilità ex art. 4 se siano spiegate e diano
luogo, quindi, a mera infedeltà.
Sarà interessante vedere, in pratica, quale delle
due tesi verrà adottata dalla giurisprudenza, anche
se appare difficile ipotizzare che possa essere
accettata un’interpretazione legittimante qualsiasi
tipo di “pseudo-spiegazione”.
5. Che dire, poi, della comparazione con chi omette
completamente la dichiarazione? Esso è punito
assai meno severamente dall’art. 5. Onde si arriva a
questa incredibile conclusione: se non si presenta la
dichiarazione, si risponde con la reclusione da uno
a tre anni; se si presenta la dichiarazione e si viene
censurati in ordine alle valutazioni (e quindi per
questioni altamente opinabili), si rischia una pena
da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione.
6. Ulteriori punti da evidenziare sono i seguenti:
- tutte le valutazioni sono “estimative’’, oppure
solo una categoria particolare di esse (ad esempio,
quelle che non trovano specifici parametri o coefficienti di riferimento nella normativa tributaria)?
Lascio ai tecnici la risposta;
- “singolarmente considerate” vuol dire che il
10 per cento dev’essere superato per ogni singola
voce (magazzino, crediti, eccetera), oppure per
“ogni parte di voce” (ad esempio, diverse voci del
magazzino?);
- chi mai deciderà sulla “correttezza”? (solo il
consulente del pubblico ministero od il perito del
giudice od anche - come taluno sta sostenendo l’Amministrazione finanziaria, ditalchè non siano
“scorrette” quelle valutazioni che non possiedono
tale duplice crisma di negatività?);
- tale comportamento - a tacere della conside-
il fisco
4. Tutto questo vale, comunque, sempre che ci sia il
bilancio. Per i contribuenti non tassati in base a
bilancio, invece, il rischio penale rimane assurdamente più alto, perché essi non hanno modo di spiegare il criterio seguito e quindi potrebbero comunque rispondere per dichiarazione infedele o per
dichiarazione fraudolenta (se venga ritenuto che la
valutazione era idonea a nascondere la verità). Il che
appare francamente inaccettabile sotto un profilo di
giustizia sostanziale e spiegabile soltanto con la
volontà del legislatore di trattare più severamente i
contribuenti persone giuridiche rispetto ai contribuenti persone fisiche (come si desume anche dagli
artt. 13, comma 2, e 19, comma 2).
7. Sono sicuro che da parte del legislatore si
obbietterà che tutto può essere risolto alla luce del
nuovo art. 15 (“Violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie”), nel senso che i
“valutatori” saranno in buona fede per mancanza
di dolo specifico di evasione fiscale quante volte
abbiano “errato in buona fede” su una norma tributaria ovvero si siano trovati in una situazione di
“obbiettiva incertezza”
Non attribuirei, tuttavia, eccessiva importanza a
tale canone interpretativo - peraltro opportunamente introdotto come criterio generale - dato che
nella stragrande maggioranza dei casi di valutazioni estimative non si tratterà tanto di interpretare
bene o male una norma, quanto piuttosto di attribuire un dato valore ad elementi di fatto. È, questo, infatti, il concetto di “estimazione”, che si vuole criminalizzare.
Inoltre, non saranno certo gli uffici finanziari o
la Guardia di finanza a dover decidere questo punto: essi si limiteranno ad inviare gli atti al pubblico
ministero, che nella maggior parte dei casi neppure si occuperà dell’errore; la risoluzione verrà,
quindi, rimessa al giudice, onde si dovrà comunque subire il processo, magari per poi essere assolti perché la norma era oscura o vi erano obbiettive
condizioni di incertezza.
8. Un esame comparativo delle legislazioni penaltributarie degli altri Paesi dell’Unione europea
mette in luce che solo in alcune di esse (poche) le
valutazioni sono punibili, e comunque sempre in
un quadro di particolare artificiosità. Né si dimentichi che altrove esistono dei sistemi di tax ruling
assai più efficaci che non il (limitatissimo) nostro;
oppure sono previsti dei “filtri” perché non tutto
finisca davanti al giudice penale.
Era proprio il caso di mantenere siffatto profilo
di rigidità repressiva in un settore tanto difficile e
dai confini così imprecisi?
Poiché la norma è stata introdotta, occorre,
peraltro, dedicare il massimo sforzo interpretativo
alla creazione di una “casistica”, che possa in qualche modo risultare convincente per la magistratura ed introdurre quindi dei “paletti” di confine, che
facciano argine ad una responsabilità penale
potenzialmente amplissima.
Penso si possa affermare, forse con una punta di
malizia, che si è passati dalle “manette agli evasori” alle “manette agli estimatori”.
3364 il fisco 12/2000
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
Francia - La transazione con il Fisco
Aspetti legali e operativi
di Thierry Lambert
Professore nell’Università di Paris XIII
Direttore del “Centro di studi e ricerche amministrative e politiche” (CERAP)
Relazione tenuta al Convegno (Milano 5 marzo 1999) su “La definizione transattiva delle
sentenze tributarie in Italia e nell’Unione europea. Normativa vigente e prospettive di armonizzazione”, organizzato dalla Direzione regionale delle Entrate per la Lombardia, dalla Rivista “il fisco” e dal “Centro di diritto penale tributario” (Torino), presso il Centro congressi
Cariplo.
La traduzione in italiano risente inevitabilmente della difformità di linguaggio giuridico
tra la lingua italiana e quella francese, ma è
stata curata con la massima possibile attenzione. Si prega di scusare eventuali inconvenienti.
(1) Avis 27 febbraio 1868; CE Dic. 1887, Eveque de Moulins;
CE 18 maggio 1877, Banque de France, CE 17 marzo 1893,
Chemins de fer contre Ministre de la guerre, concl. ROMIEU,
Rec., pag. 245.
(2) M. Hauriou, Précis de droit administratif et de droit public,
Recueil Sirey, 8ème édition, 1914, pag. 909.
(3) G. Lerouge, Théorie de la fraude fiscale, LGDJ, 1944, pagg
94 e seguenti.
il fisco
I contendenti di una lite possono accordarsi
almeno su un punto: regolare la vertenza con un
mezzo diverso dal processo il quale, per lo più,
sarà lungo, oneroso e con risultato aleatorio. La
transazione è un mezzo per concludere velocemente una vertenza con condizioni accettabili per
entrambe le parti.
L’art. 2044 del codice civile recita: “La transazione è un contratto mediante il quale le parti
concludono una lite esistente o impediscono il
nascere di una lite. Tale contratto deve essere
redatto in forma scritta”. Da molto tempo, il
Consiglio di Stato ha posto come principio che
nessuna disposizione legislativa o regolamentare
proibisce allo Stato di giungere ad una transazione (1); il che ha fatto dire al presidente Hauriou:
“Lo Stato può anche transigere sui diritti di potere pubblico; è altrettanto vero che affinché un’operazione di potere pubblico possa essere oggetto di transazione bisogna che essa sia sinallagmatica” (2). La Corte di Cassazione, con sentenza del 30 giugno 1820, ha riconosciuto un diritto
di transazione in materia doganale (3), la cui
conseguenza pratica fu di considerare che questa
procedura poneva termine alle liti a favore dell’Amministrazione che “è l’unica a potere tenere
conto dell’intenzione di frode e dei rischi ai danni dell’Erario” (4). Nel campo doganale, oggi, la
transazione viene molto utilizzata in quanto essa
permette di ricorrere al contratto ed in quanto
essa restituisce al trasgressore la facoltà di dialogare con l’Amministrazione (5).
In materia di controversie fiscali il ricorso alle
transazioni è importante. Secondo i dati del Consiglio di Stato, nel 1993, ogni anno (6) ci sarebbero
tra 15.000 e 20.000 transazioni fiscali, alle quali si
aggiungono le decisioni favorevoli che permettono
all’Amministrazione di sgravare o di diminuire le
imposte e le sanzioni. Per avere un’idea completa
su quest’argomento bisognerebbe sapere qual è la
posta in gioco nel campo finanziario ma, da questo punto di vista, l’Amministrazione non dà sufficienti informazioni.
Tutti concordano sul fatto che in materia fiscale
la transazione è una convenzione tra l’Amministrazione e il contribuente per diminuire le sanzioni
fiscali o le maggiorazioni fiscali quando esse non
sono definitive. È necessario esaminare le condizioni che permettono di concludere una transazione prima di esaminarne gli effetti.
I. Concludere una transazione
Richiedere una transazione è una cosa, portarla
a termine un’altra. La convenzione liberamente
pattuita ed accettata dalle parti sigilla un compromesso accettabile per tutti. La transazione pre-
(4) C. Caussade, Face au fisc, Ed. de la Côte auxiliaire, 1927,
pag. 279.
(5) C.J. Berr, H. Tremeau, Le droit douanier, communautaire
et national, Economica, collana: “Droit des affaires et de l’entreprise”, IV ed., 1977, pag. 571. Per un paragone molto illustrativo tra diritto doganale e diritto fiscale, vd. B. Neel, Les pénalités
fiscales et douanières, Economica, collana: “Finances publiques”, 1989, pag. 424.
(6) Sezione rapporto e studi del Consiglio di Stato, Régler
autrement les conflits: Conciliation, transaction, arbitrage en
matière administrative, La documentation française, 1993,
pag. 65.
12/2000 il fisco 3365
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
suppone un perfetto accordo di volontà. Potrà
essere conclusa prima o dopo l’esazione delle
imposte su iniziativa sia dell’Amministrazione sia
del contribuente. Si tratta di una questione di
opportunità, dato che ogni caso è particolare e
presenta una moltitudine di questioni diverse.
Quando una grande impresa chiede una procedura di transazione, in seguito ad una verifica dei
conti, è per lo meno eccessivo pensare che le transazioni siano “convenzioni mediante le quali i
contribuenti si impegnano a sposare il punto di
vista dell’Amministrazione” (7), in particolare perché gli amministratori conoscono perfettamente
la transazione come mezzo di trattativa di una
controversia con l’Amministrazione fiscale. Per le
altre imprese, più piccole, o per le persone fisiche
troppo deboli per trattare, la transazione può
diventare un vantaggio per l’Amministrazione.
Questa procedura non viene imposta a nessuno.
Una procedura contenziosa sarebbe più vantaggiosa o no?
A) Esame
(7) G. Tixier, G. Gest, Manuel de droit fiscal, LGDJ 4ème édition, 1986, pag. 328. Nello stesso senso J.C. Ricci, Le pouvoir
discrétionnaire de l’Administration fiscale, presses Universitaires
d’Aix-Marseille, 1977, pagg. 337 e seguenti.
(8) Art. R 247-8 e 9 du Livre des procédures fiscales.
(9) Cass. Com. 29 aprile 1997, affaire Ferreira, “Revue de
jurisprudence fiscale”, 1997, 6, comm. 641, note Y. Brard, JCP,
1997, éd. E, n. 38, II, 990.
(10) Art. 1840 N quater del codice generale delle imposte nella sua versione in vigore in questo periodo.
il fisco
L’ufficio delle imposte competente per le imposte controverse attiva la transazione. L’istruzione e
la conclusione della transazione sono compiute
nell’ambito normale della delega di firma in via
amichevole (8). Il principio di una transazione può
essere proposto dall’Amministrazione fiscale al
contribuente, ma questi deve dare accettazione
espressa perché la procedura possa essere avviata.
L’Amministrazione ha scelto la procedura della
transazione, per esempio, per regolamentare il contenzioso delle sanzioni in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione Ferreira in data 29 aprile
1997 (9). Secondo la Corte, dalla giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta
che un sistema di maggiorazione dell’imposta, in
questo caso una pena pecuniaria del 200 per cento
per la mancanza del bollo dell’automobile (10),
era compatibile con l’art. 6 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e di salvaguardia delle libertà fondamentali, dal momento che il contribuente poteva adire un Tribunale che gli offriva
le garanzie previste in tale Convenzione contro la
decisione presa nei suoi confronti. Posto che questa garanzia era stata negata al contribuente, la
Corte di Cassazione ha annullato la sentenza del
Tribunale di primo grado che lo aveva condannato
al pagamento di sanzioni per mancanza del bollo.
Per arginare il flusso contenzioso che ha seguito
questa decisione che verteva sul quantum delle
sanzioni, l’Amministrazione ha scelto di privilegiare la via della transazione per risolvere le controversie. Ma l’Amministrazione ha voluto far
sapere ai contribuenti interessati che la proposta
transazionale era fatta in via amichevole, per
risparmiare il costo di una controversia e nel caso
in cui il contribuente adisse il giudice l’Amministrazione stessa conservava il diritto di chiedere
l’applicazione di un quantum superiore a quello
indicato nella proposta di transazione. Infine,
l’Amministrazione scartava qualsiasi progetto di
transazione quando l’ammontare della condanna
era di poco rilievo (11). In altri termini, la transazione era possibile per i proprietari di veicoli con
una potenza fiscale elevata, ma non per chi aveva
veicoli con pochi cavalli, anche se viaggiavano sia
gli uni che gli altri senza bollo.
Molto di rado l’Amministrazione viene messa a
confronto con un contenzioso di massa riguardante le sanzioni. Scegliendo la transazione, essa adatta l’ammontare delle sanzioni alla figura del contribuente, basandosi, in particolare, su elementi
relativi alla sua situazione patrimoniale e finanziaria. Così, la sanzione non punisce più solo la mancanza del bollo, ma anche il comportamento tributario complessivo del contribuente.
La richiesta di transazione viene, il più delle volte, dal contribuente che è oggetto di un controllo.
Da un punto di vista formale, questa richiesta deve
essere firmata dal richiedente o dal suo rappresentante legale e deve contenere informazioni che permettano di identificare con precisione la base dell’imposta e le relative sanzioni. È importante notare - quale fatto eccezionale in materia di procedura fiscale - che, di solito, le richieste di transazione
non sono mai respinte per vizio formale. Normalmente, in tale caso, l’Amministrazione chiede di
regolarizzare ed i contribuenti aderiscono.
L’istruzione della proposta deve essere fatta dai
servizi incaricati di stabilire la base imponibile e
di recuperare l’imposta. La Direzione generale
delle imposte, incaricata di stabilire la base imponibile, analizza i fatti costitutivi dell’infrazione, le
false dichiarazioni e le dichiarazioni incomplete;
valuta l’importanza del danno cagionato all’Erario. L’Amministrazione può quantificare il beneficio tratto o scontato dal contribuente. Ciò viene
agevolato dal fatto che alla fine del controllo
fiscale ha notificato le rettifiche, ha fatto il calcolo dei diritti e delle sanzioni dovuti dal contribuente. Questi risultati strettamente aritmetici
vengono temperati dal parere dei servizi incarica-
(11) È il caso delle pene pecuniarie per mancanza del bollo
per i veicoli di meno 16 CV.
3366 il fisco 12/2000
(12) J.J. Bienvenu, T. Lambert, Droit fiscal, Puf, Coll. “Droit
fondamental”, 2ème éd., 1997, pagg. 168 e seguenti.
(13) T. Lambert, Contrôle fiscal. Droit et pratique, Puf, Collection “Droit fondamental”, 2ème éd., 1998, pagg. 44 e seguenti.
(14) P. Borras, A. Garay, Le contentieux du recouvrement
fiscal, LGDJ, Collection “Systèmes Droit Public”, 1993, pagg. 13
e seguenti.
dell’imposta, della riscossione. Si tratta, da parte
dell’Amministrazione, di dare un parere globale,
senza omettere nulla su un contribuente.
B) Gli elementi del contratto
il fisco
ti del controllo sulla responsabilità del contribuente secondo la sua più o meno buona fede. Se
è colpevole di manovre fraudolente, di atti anomali di gestione o di abuso di diritto (12), tutti
atti che dimostrano un’intenzione fraudolenta, la
Direzione generale delle imposte sarà poco propensa a dare un esito favorevole alla proposta di
transazione. Essa si comporterà diversamente in
caso di buona fede del contribuente e di violazioni di poco conto.
L’Amministrazione finanziaria prenderà in esame i precedenti del contribuente, in particolare
per quel che riguarda i suoi obblighi di dichiarazione e le procedure contenziose e non di cui è
oggetto. Infine, l’esame accurato del fascicolo del
contribuente, persona giuridica o fisica, chiarirà
per l’Amministrazione la sua situazione patrimoniale e finanziaria. Se occorre, per avere più ampie
informazioni, l’Amministrazione potrà usare del
diritto di informazione nei confronti di terzi
secondo le disposizioni di cui agli artt. 81 e
seguenti del Livre des procédures fiscales (13).
I servizi contabili, incaricati del recupero delle
varie imposte, devono anch’essi fornire un parere
circostanziato sul comportamento fiscale del contribuente per le imposte già applicate. In tale prospettiva, essi menzioneranno i precedenti del
richiedente in materia di pagamento, in particolare diranno se ha già beneficiato di transazione o di
proroghe di scadenze per pagare il suo debito tributario. La puntualità nel pagamento delle imposte, in particolare quello relativo a sanzioni per il
pagamento delle quali la transazione è stata chiesta, costituisce un valido elemento di giudizio. Allo
stesso modo, si opererà a riguardo di obblighi
legali formali, per esempio concernenti lo stato del
deposito delle ricevute delle imposte sulle società
per le persone giuridiche od ancora un arretrato
notevole nel pagamento delle imposte: questi sono
tutti elementi che possono rendere aleatoria la conclusione della transazione. I commercialisti devono
inoltre dare un parere su quelle che sembrano loro
essere le possibilità reali di pagamento del contribuente. I servizi per il recupero delle imposte, ossia
i servizi dell’Erario (14), potranno ugualmente,
dare il loro consenso per dilazioni globali di pagamento, chiedere garanzie per tutelare il credito tributario, fissare le scadenze ed il loro ammontare.
L’istruzione di una domanda di transazione non
si può fare senza una stretta collaborazione tra i
servizi incaricati di stabilire la base dell’imposta e
delle sanzioni ed i servizi incaricati del recupero
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
Conformemente alle disposizioni dell’art. L
247-3° del Livre des procédures fiscales, la transazione può esistere solo nei casi in cui le infrazioni
constatate implichino una pena pecuniaria fiscale
o una maggiorazione (15), a patto che queste sanzioni non siano definitive. Non possono essere
oggetto di transazione, rimessa o diminuzione,
presso l’Amministrazione, le sanzioni pecuniarie
penali pronunciate dai Tribunali penali. La
domanda di grazia deve essere presentata presso
l’Autorità giudiziaria, che può decidere se dare o
meno un esito favorevole.
La transazione può solo vertere su sanzioni. Da
questo punto di vista, l’interesse di mora (16) la
cui funzione, si dice, è di compensare il danno fatto all’Erario per via di un pagamento in ritardo o
di un pagamento insufficiente, non ha il carattere
di sanzione penale o di “maggiorazione” nel senso
dell’art. L 247-3° di cui sopra. Di conseguenza, l’interesse di mora non può essere oggetto di transazione per il motivo che non è una vera sanzione. Il
punto merita di essere discusso, e certi parlamentari ne sono preoccupati (17), perché il tasso mensile dell’interesse di mora viene fissato allo 0,75
per cento, ossia il 9 per cento annuo, mentre il tasso d’incremento dei prezzi è stato, rispettivamente,
dell’1,2 per cento nel 1997 e dell’1,4 per cento nel
1998. In tali condizioni, siamo propensi a pensare
che l’interesse di mora costituisce una vera sanzione pecuniaria che, come altre, potrebbe essere
oggetto di transazione.
L’Amministrazione esamina caso per caso le sanzioni che vengono rimesse e quelle che sono mantenute. Le riduzioni dovute a transazione rispettano la gerarchia delle sanzioni istituite dal legislatore in funzione della gravità delle infrazioni constatate. Viene escluso che una transazione conduca,
per esempio, a trattare meglio un contribuente che
non dichiara mai le imposte o la cui mala fede è
accertata rispetto ad un trasgressore di buona
fede. Altrimenti la transazione sarebbe fonte d’ingiustizia e d’iniquità.
Il Consiglio di Stato fissa come principio che
una transazione che verte sulle sanzioni deve essere
considerata come conclusa a partire dal momento
in cui viene accettata dal contribuente ed approvata
(15) T. Lambert, Contrôle fiscal. Droit et pratique, op. cit.,
pagg. 193 e seguenti.
(16) Art. 1727 del Codice generale delle imposte.
(17) Per esempio, domande scritte n. 22611 a cura di D. Paille, n. 23401 a cura di D. Boissière, “Journal Officiel Assemblée
Nationale”, 22 febbraio 1999, pag. 1064.
12/2000 il fisco 3367
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
(18) CE 4 maggio 1988, nn. 58991, 59139, 59198 e 60054,
conclusioni O. Fouquet, Les petites affiches, 1988, 127, pagg. 14
e seguenti.
(19) CE, 12 dicembre 1990, nn. 112316-61 643, “Revue de
jurisprudence fiscale”, 1991, 2, comm. 217.
il fisco
dall’autorità competente (18). Ma prima della sua
formalizzazione e stipulazione contrattuale, la transazione viene discussa oralmente. La natura dei
dibattiti e la qualità degli argomenti sono elementi
che sfuggono all’osservatore. Quando un accordo
sembra sul punto di essere raggiunto, l’Amministrazione propone il contratto al contribuente che, dopo
un tempo di riflessione, lo può rifiutare, lo può
accettare o può cercare di ritrattarlo. La proposta
amministrativa viene inoltrata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. L’Amministrazione per
evitare ogni genere di ambiguità, che potrebbe dar
luogo a contenzioso, indica l’ammontare dell’imposta principale così come l’ammontare delle sanzioni
accessorie che verranno richieste al contribuente se
egli accetta la proposta di transazione.
Il contribuente dispone di un periodo di trenta
giorni per far conoscere la sua decisione, a partire
dal ricevimento della notifica della proposta di
transazione. In caso di rifiuto da parte sua, senza
proposta alternativa, l’Amministrazione rinuncerà
ad ogni prospettiva di transazione. Se egli accetta
la proposta, la transazione viene conclusa e sarà
confermata tramite lettera dell’Amministrazione,
con una copia del contratto. Se il contribuente
accompagna il suo rifiuto con osservazioni, l’Amministrazione può sia confermare la sua proposta
iniziale, sia modificarla inserendo elementi nuovi
forniti dal contribuente. Non esiste transazione
quando il rappresentante dell’Amministrazione
non risponde ad osservazioni scritte fatte dal contribuente, nell’ambito della trattativa, anche se il
direttore dei servizi tributari ha ridotto le sanzioni
applicabili al contribuente (19).
Nel primo caso, un nuovo rifiuto da parte del
contribuente ha valore di rifiuto puro e semplice
della transazione proposta. Nel secondo caso,
l’Amministrazione avanza una nuova proposta alla
quale il contribuente deve rispondere entro dieci
giorni. In mancanza di accordo, questa nuova proposta viene considerata come inesistente; di conseguenza, la procedura riprende il suo corso normale come nel caso di rifiuto puro e semplice.
Non si può escludere che un contribuente, che
ha rifiutato una proposta di transazione, instauri
la controversia dinanzi al Tribunale amministrativo con la speranza di risultati migliori. L’art. L
251-al. 2 del Livre des Procédures fiscales dispone
in proposito: “nel caso in cui il contribuente rifiuti
la transazione a lui proposta dall’Amministrazione
e si instauri la controversia dinanzi al tribunale
competente esso fissa, nello stesso tempo, il tasso
delle maggiorazioni o delle sanzioni e la base dell’imposta”. Ciò significa che il Tribunale ammini-
strativo, quando viene adito per conclusioni in
proposito, deve fissare il tasso delle maggiorazioni
o sanzioni applicabili. In tale ipotesi, la giurisdizione amministrativa può solo mantenere il tasso
legale delle maggiorazioni o sanzioni perché non
ha la competenza per diminuirle in via amichevole. Invece, può benissimo decidere quale sanzione
sarà legalmente dovuta tenendo conto della buona
o della mala fede del contribuente.
La notifica delle proposte di transazione può
essere fatta tramite agenti di fascia “A” (ispettori,
ispettori principali, direttori, eccetera), e con certe
condizioni da agenti di fascia “B” (controllori delle
imposte, eccetera) ed anche di fascia “C” (agenti
che stabiliscono la base dell’imposta, eccetera).
Inoltre, un superiore gerarchico può fare proposte
di transazione al posto di uno dei suoi subordinati.
Di conseguenza, il direttore generale delle imposte
ed il Ministro del tesoro possono trattare transazioni che, da un punto di vista formale, saranno notificate al contribuente dal direttore dei servizi fiscali
territorialmente competente. Quando la transazione è di competenza del direttore generale delle
imposte o del Ministro, può essere effettuata solo
previo avviso del Comitato del contenzioso tributario doganale e dei cambi. Il contribuente può fare
osservazioni scritte od orali presso questo Comitato composto da consiglieri del Consiglio di Stato,
della Corte di Cassazione e della Corte dei conti.
Ovviamente, a questo livello, la trattativa comporta
numerosi punti in discussione che non possono
essere ridotti a soli aspetti fiscali. Infine, nel quadro di una decentralizzazione dei poteri l’art. R
247-9 del Livre des procédures fiscales autorizza i
direttori dei servizi fiscali ed i direttori regionali a
delegare i poteri decisionali agli agenti che si trovano sotto la loro autorità, secondo condizioni fissate
dal direttore generale delle imposte (20).
II. Gli effetti della transazione definitiva
Una transazione può sempre essere conclusa
fino a quando la tassazione non è definitiva. Le
sanzioni e le imposizioni principali non sono definitive quando i limiti per un ricorso contenzioso
non sono arrivati a termine o quando l’istruzione
amministrativa o giurisdizionale della lite che
oppone il contribuente all’Amministrazione non è
oggetto di decisione irrevocabile. Ma, una volta
conclusa la transazione, il contribuente non può
più contestare né i diritti in via principale né le
(20) Con una decisione del direttore generale delle imposte in
data 5 dicembre 1991, i vicedirettori dipartimentali ed ispettori
principali possono prendere delle decisioni entro un limite di
150 000 F; i capi del centro delle imposte, gli esattori delle
imposte, i conservatori di ipoteche entro il limite di 50 000 F;
gli agenti di fascia “B” (controllori, eccetera) entro un limite di
30 000 F e gli agenti di categoria “C” incaricati della gestione
delle entrate locali con competenza allargata fino a 30 000 F
(fonte: DB 13 S-26 in data 30 giugno 1993).
3368 il fisco 12/2000
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
sanzioni di base imponibile mantenute, oggetto
della transazione ed accettate dalle parti.
Allo stesso modo, l’Amministrazione non può
più contestare una transazione conclusa per un’omissione da loro commessa (21). Una sentenza del
Consiglio di Stato ha stabilito che il carattere definitivo della transazione proibiva la sua conclusione o la sua impugnazione anche quando l’errore
veniva invocato (22).
La conclusione di una transazione implica l’abbandono reciproco delle istanze contenziose in
corso. Questo punto è molto importante perché le
parti, per diverse ragioni, non hanno sempre interesse a chiedere al giudice di decidere la loro lite.
Infine, l’Amministrazione non può chiedere somme superiori a quelle richieste nella transazione.
Da parte sua, il contribuente si impegna a pagare
la totalità del suo debito tributario, i diritti in via
principale e le sanzioni mantenute, sia immediatamente, sia rispettando scadenze concordate con i
servizi incaricati del recupero.
A) Le condizioni per la transazione definitiva
(21) CE 14 novembre 1990, n. 69875, Cyel, nota X, “Bulletin
de gestion fiscale de l’entreprise”, 1990, 24, pag. 11, “Revue de
jurisprudence fiscale”, 1991, comm. 110.
(22) CE 9 novembre 1972, n. 80514, Società Age-France,
“Recueil de jurisprudence fiscale”, 1972, IV, pag. 97.
(23) J.P. Chevalier, La relativité de chose jugée dans le contentieux fiscal, Puf, 1975, pag. 24.
(24) Cass. crim. 24 aprile 1971, “Recueil de jurisprudence
fiscale”, IV, pag. 208; CE 26 marzo 1980, n. 11988, “Revue de
jurisprudence fiscale”, 1980, pag. 283.
il fisco
Possiamo dire che la transazione è una procedura
non giurisdizionale il cui oggetto è di porre fine alla
lite e che quindi instaura “una situazione simile a
quella creata dall’autorità del giudicato” (23). Il vecchio art. 1965 H 2 del codice generale delle imposte
aveva il vantaggio di essere semplice: “la transazione eseguita dal contribuente ed approvata dall’autorità competente è definitiva, quanto ai diritti e alle
sanzioni ed impedisce qualsiasi introduzione o
ripresa di una procedura contenziosa”. Dall’attuale
comma primo dell’art. L 251 del Livre des procédures fiscales possiamo dedurre che la transazione
costituisce una convenzione definitiva solo se è stata, da una parte, approvata dall’autorità competente, e d’altra parte, eseguita dal contribuente. È indispensabile che i due elementi sussistano entrambi
perché la transazione abbia un carattere definitivo.
Non ci deve essere né ambiguità né confusione
quando la procedura transattiva viene messa in
atto. In nessun caso, il semplice fatto, di un contribuente, che accetta le rettifiche che gli sono state
notificate, può essere considerato come una transazione ai sensi degli artt. L 247 e seguenti del
Livre des Procédures fiscales (24). A volte le parole
sono ingannevoli perché un contribuente può parlare in buona fede di “transazione” perché gli sembra di aver concordato su rettifiche e sanzioni con
il verificatore, mentre, in fatto ed in diritto, si trovava semplicemente in una situazione di procedura contraddittoria che consentiva un dibattito orale ed uno scambio di argomenti (25). In pratica, il
verificatore può rinunciare a certe rettifiche, applicare sanzioni minori rispetto a quelle dovute per
far meglio accettare altre sanzioni alle quali tiene
di più. Qui si tratta di concessioni, di accomodamenti, di elementi di trattativa che non possono
essere considerati, da un punto di vista strettamente giuridico, come transazioni.
Nella fase dei negoziati tra il contribuente ed il
rappresentante dell’Amministrazione, è possibile
che il contribuente eserciti pienamente i suoi diritti perché la convenzione prevista non sia definitivamente conclusa né realizzata. La richiesta di
transazione da parte del contribuente non ha l’effetto di interrompere una procedura di controllo
fiscale. Di conseguenza, il verificatore potrà
rispondere alle osservazioni del contribuente od
ancora inoltrare una lettera di motivazione delle
sanzioni. Il verificatore si limiterà a precisare, su
tali documenti, per conoscenza, che una richiesta
di transazione è in corso d’istruzione. Così facendo, il verificatore protegge i diritti dell’Erario e
può così fare apprezzare meglio al contribuente il
suo interesse a concludere velocemente una transazione. È anche stato deciso che una proposta di
transazione notificata dal verificatore al contribuente e accettata da quest’ultimo, ma non approvata dal direttore dei servizi fiscali competente
non impedisce all’Amministrazione di notificare
nuove rettifiche prima della scadenza del limite di
prescrizione (26).
Nello stesso spirito e per la stessa ragione, nulla
impedisce che l’Amministrazione avvii una procedura diretta a far esercitare l’azione pubblica e faccia applicare la sanzione penale delle infrazioni
considerate, ovvero l’incarcerazione del contribuente (27).
Una transazione è definitiva dopo la notifica al
contribuente del progetto di convenzione, da lui
firmata ed approvata dall’autorità competente. Il
Consiglio di Stato ha convalidato questo punto di
vista in una causa in cui le parti erano d’accordo
su un ammontare di sanzioni transazionali di
190 000 F, ma, in seguito ad un errore materiale, la
somma di 190 F è stata scritta sulla convenzione
firmata da entrambe le parti. Essa è stata giudicata, dall’Alta assemblea, come se fosse una transa(25) T. Lambert, Contrôle fiscal. Droit et pratique, op. cit.,
pagg. 109 e seguenti.
(26) CE 11 luglio 1973, n. 81913, conclusioni Delmas Marsalet, Droit Fiscal, 1974, comm. 1084.
(27) TGI de Lyon, 27 gennaio 1972, “Recueil de jurisprudence
fiscale”, IV, pag. 167.
12/2000 il fisco 3369
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
(28) CE 28 settembre 1983, n. 11513, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1983, 11, comm. 1398, cronica di M. Guillenchmit, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1984, 1, pagg. 2 e
seguenti. Confermato in particolare dal CE 15 maggio 1991,
n. 76979, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1991, 7, comm.
997.
(29) CAA Plen. Leone, 26 gennaio 1990, n. 1663, “Revue de
jurisprudence fiscale”, 1990, 12, comm. 1536.
(30) CE 4 maggio 1988, nn. 59198-60054-58991-59139,
“Revue de jurisprudence fiscale”, 1988, 6, comm. 793.
B) Gli effetti sulle procedure contenziose
il fisco
zione definitiva, il che attirò commenti ironici da
parte di osservatori oculati che hanno considerato
che “i contribuenti si rallegreranno e l’Amministrazione raddoppierà la vigilanza ...” (28).
A volte succede che il contribuente non rispetti
gli impegni che ha sottoscritto in piena libertà.
Quindi, per non essere stata eseguita, una transazione non è definitiva e nulla impedisce allora
all’Amministrazione di ricorrere alla via contenziosa per il recupero dell’imposta e delle sanzioni
fiscali in questione. Gli uffici delle imposte e quelli
incaricati della riscossione delle somme sorvegliano la buona esecuzione della transazione. In particolare, il contribuente può non rispettare i termini
di pagamento, pagare una parte del suo debito,
depositare il bilancio. In quest’ultima ipotesi, il
credito fiscale deve essere dichiarato nella sua
totalità al passivo della procedura.
Il revisore pubblico deve controllare la buona esecuzione delle clausole della transazione. In caso di
insolvenza del contribuente, egli deve subito informare l’ufficio delle imposte, firmatario della convenzione. Esso notifica al contribuente la caducità
della transazione e lo informa sulle conseguenze.
Quanto al revisore, egli cercherà di recuperare l’integralità delle somme legalmente dovute. In tali
condizioni, una trattativa per una nuova transazione è poco probabile, anche se possibile; invece non
è da escludere la scelta di una nuova scadenza per il
pagamento del debito. L’interesse dell’Erario è di
incassare, se possibile velocemente, le imposte, sanzioni e pene pecuniarie ancora dovute dal contribuente. Inoltre, gli uffici della riscossione potranno
prendere ogni misura necessaria per la garanzia del
recupero dell’ammontare dovuto ed, in particolare,
per conservare il privilegio dell’Erario.
Non si può del tutto escludere che un contribuente per diverse ragioni cambi il suo parere e la
sua strategia. Firmando una convenzione di transazione, egli rinuncia ad ogni prospettiva contenziosa, ma se non esegue - o non esegue più - il contratto, nulla gli impedisce di adottare la strada
contenziosa per rimettere in causa sia i diritti principali sia le sanzioni contestate (29). A volte, il
ricorso ad un nuovo parere non è estraneo a tale
cambiamento di intenzione. Una transazione che
non è stata eseguita dal contribuente è inopponibile non solo all’Amministrazione ma anche al contribuente (30).
Un contribuente può avere trattato e concluso
una transazione con un’Amministrazione diversa
dalla Direzione generale delle imposte. In proposito, è stato deciso che un contribuente non possa
sostenere che la transazione conclusa con la Direzione generale del commercio nazionale e dei
prezzi, in seguito ad una infrazione alla legislazione economica, ostacoli il proseguimento della procedura contenziosa (31). Una convenzione di transazione siglata con quest’ultima è inopponibile
all’Amministrazione fiscale, anche se le due Direzioni appartengono allo stesso Ministero. È la stessa cosa quanto a transazioni firmate con la Direzione generale delle dogane e delle imposte indirette o con quelle concluse con la Direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione delle frodi.
Il principio dell’art. L 251 del Livre des procédures fiscales è semplice: la transazione definitiva
impedisce qualsiasi introduzione o ripresa di una
procedura contenziosa. Di conseguenza, la transazione si oppone all’esame tramite la giurisdizione
contenziosa d’ogni questione relativa alla fondatezza dei diritti e delle sanzioni, oggetto della convenzione. Se la transazione viene firmata mentre
un’azione contenziosa è in corso sia in ordine ai
diritti principali sia sulle sanzioni, essa pone fine
alla lite e sopprime qualsiasi possibilità di avviamento di azione contenziosa ulteriore. Secondo il
parere del Consiglio di Stato espresso in più riprese, dopo una transazione tra l’Amministrazione ed
il contribuente, dove quest’ultimo ha introdotto l’istanza ed eseguito la transazione, l’istanza rimane
senza oggetto e il giudice non può fare altro che
pronunciare un’ordinanza di non luogo a procedere (32).
La situazione così creata dalla transazione ci
invita a fare tre osservazioni. La prima è che, dopo
l’esecuzione di una transazione definitiva, il contribuente non può più fare una richiesta contenziosa presso il direttore dei servizi fiscali, né introdurre un’istanza presso i Tribunali amministrativi
o giudiziari. La seconda, corollario della precedente, consiste nel fatto che l’Amministrazione non
può più adire le giurisdizioni amministrative o
giudiziarie. La terza: le richieste od istanze in corso sono diventate senza oggetto. Si può concludere
una transazione dopo l’introduzione di un ricorso
contro una sentenza resa dal Tribunale amministrativo. Ma appena la convenzione è resa definiti-
(31) CE 6 gennaio 1986, n. 42182, conclusioni O. Fouquet,
“Revue de jurisprudence fiscale”, 1986, 2, pagg. 77 e seguenti.
(32) CE 11 luglio 1983, n. 32256, “Revue de jurisprudence
fiscale”, 1983, 10, comm. 1218; CE 6 gennaio 1984, n. 21005,
“Revue de jurisprudence fiscale”, 1984, 3, comm. 383; CE 1°
ottobre 1986, n. 45374, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1986,
11, comm. 1035.
3370 il fisco 12/2000
(33) CE 17 novembre 1977, n. 75177, Lebon, pag. 583.
(34) CE 14 ottobre 1951, n. 46211, Lebon, pag. 463.
il fisco
va dalle parti non è più possibile procedere (33).
Il Consiglio di Stato ha fissato come principio
che la transazione ha “l’autorità del giudicato sia
per i diritti sia per le sanzioni” (34), a patto che
essa sia stata fatta legalmente ed eseguita dal contribuente. L’Alta assemblea ne trae come conseguenza che, se la procedura di imposizione eseguita prima della transazione è viziata da gravi irregolarità, non si può censurare l’azione amministrativa a patto che essa rispetti i termini della transazione (35). Tale orientamento sorprende per il fatto di essere praticato dalla giustizia amministrativa, in genere molto attaccata al rispetto delle forme e dei riti. È difficile accettare che la transazione possa dispensare l’Amministrazione dal rispetto
delle regole di diritto relative alle imposte.
Una transazione definitiva implica, da parte del
contribuente, una rinuncia a richiedere la restituzione di diritti già acquisiti. Per questo è irricevibile la richiesta per ottenere il rimborso di diritti
acquisiti in applicazione della transazione. Ma
approfondiamo il punto. Supponiamo che tali
diritti non fossero dovuti, e che il contribuente
abbia sbagliato chiedendo una transazione: tale
circostanza non potrebbe rendere ricevibile l’istanza di restituzione (36). In altre parole, spetta al
contribuente verificare tutti gli elementi del contratto, prima di accettarlo.
Tuttavia, se appare che una transazione definitiva è stata concessa su sanzioni relative ad una
imposizione successivamente riconosciuta come
soprattassata, da una parte l’Amministrazione può
renderla neutra mediante uno sgravio o una restituzione d’ufficio, d’altra parte “si può pensare ad
una revisione della sanzione fissata tramite la transazione” (37). Peraltro, è questo ciò che farà l’Amministrazione, visto che concluderà in quest’occasione una nuova transazione col contribuente.
C’è un profilo fiscale da non trascurare quando
la transazione si fa in corso d’istanza presso una
giurisdizione amministrativa. Gli interessi di mora
al tasso legale (38) di cui all’art. L 209 del Livres
des procédures fiscales, si applicano sulle somme
rimaste a carico del contribuente, dal primo giorno del tredicesimo mese seguente a quello del
recupero fino alla data del pagamento effettivo. La
maggiorazione del 10 per cento per pagamento in
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
ritardo, prevista all’art. 1761-1 del codice generale
delle imposte, è ugualmente applicabile ad ogni
ammontare rimasto a carico del contribuente e
non saldato alla data limite di pagamento. Queste
disposizioni si applicano anche in caso di desistenza dall’azione giudiziaria. Si tratta, come per l’interesse di mora applicato dai servizi che calcolano la
base dell’imponibile, di risarcire il prezzo del tempo quanto al pagamento effettivo del credito fiscale presso i servizi di riscossione.
La dottrina della contabilità pubblica è abbastanza conciliante quando la transazione si fa in
corso d’istanza presso la giurisdizione amministrativa (39). Infatti, essa consiglia di istruire con
benevolenza la rimessa volontaria della maggiorazione del 10 per cento, come lo fa peraltro in caso
di transazione, senza che un contenzioso sia stato
avviato presso il Tribunale amministrativo. Invece,
essa è meno comprensiva di fronte ad interessi di
mora che verrebbero, secondo il suo punto di
vista, a compensare il danno finanziario causato
all’Erario e che sarebbero dovuti ad un incasso differito delle imposte. Questo aspetto finanziario è
tale da invogliare i contribuenti a ricercare una
transazione il più presto possibile in seguito alla
risposta dell’Amministrazione ad osservazioni che
seguono la notifica di rettifiche.
L’ultimo punto è quello del ruolo della transazione quando l’Amministrazione vuol fare procedere il giudice penale per il delitto di frode fiscale
(40). In questa situazione, particolare e limitata,
l’Amministrazione si astiene dall’acconsentire a
transazioni vertenti su sanzioni relative ad imposte che sono o potrebbero essere all’origine di una
denunzia per frode fiscale. L’art. L 249, comma 3,
del Livre des procédures fiscales dispone: “dopo una
sentenza definitiva, le sanzioni fiscali irrogate dai
tribunali non possono più essere oggetto di transazione”. Sarà solo possibile ottenere una restituzione totale o parziale delle sanzioni fiscali, per tenere
conto delle risorse e dei carichi del debitore, dopo
l’avviso conforme del presidente del Tribunale.
Ma, quanto alle imposte indirette, la transazione
si può fare in accordo col pubblico ministero, se
l’infrazione è passibile sia di sanzioni fiscali sia di
sanzioni penali, ed in accordo con il presidente del
Tribunale adito nel caso di sole sanzioni fiscali
(41). Infine, la transazione non può essere una
causa d’estinzione dell’azione pubblica in base
all’art. 1741 del codice generale delle imposte.
Per alcuni, il tasso così alto delle sanzioni fiscali
“agevola le possibilità di transazione con i verifica-
(35) CE 13 luglio 1967, n. 70807, “Recueil de jurisprudence
fiscale”, II parte, pag. 199.
(36) CE 27 giugno 1951, n. 10090, Lebon, pag. 704.
(37) DB 13 S-2531 in data 30 giugno 1993.
(38) Il decreto n. 99-71 in data 3 febbraio 1999 fissa il tasso
di interesse legale al 3,47 per cento, “Journal Officiel”, 5 febbraio 1999, pag. 1861.
(39) Istruzione contabilità pubblica, n. 95-027 A 1 in data 1°
marzo 1995.
(40) G. Tixier, P. Derouin, Droit penal de la fiscalité, Dalloz,
Collection: “Droit usuel”, 1989, pagg. 176 e seguenti.
(41) P. Di Malta, Droit fiscal penal, Puf, Collection: “Fiscalité”,
1992, pagg. 176 e seguenti.
12/2000 il fisco 3371
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
(42) M. Aicardi, Relazione al Primo Ministro, Ministro dell’economia e delle finanze e della privatizzazione, L’amélioration des
rapports entre les citoyens et les administrations fiscales et
douanières, La Documentation Française, Collection: “Des rapports officiels”, 1986, pag. 40.
(43) E. Serverin, P. Lascoumes, T. Lambert, Transactions et
pratiques transactionnelles, “Economica”, 1987, 256 pagine.
il fisco
tori, pratica che non avrebbe alcuna ragione di
essere se le sanzioni fossero proporzionate alla
gravità delle infrazioni ed alle facoltà contributive
dei contribuenti” (42). Questo non è sicuro perché,
salvo proibire la transazione, il contribuente cercherà sempre di diminuire il peso delle sanzioni,
anche se esse sono simboliche.
Questa pratica, che è anche un diritto, messa
in opera in vari campi e non solo nel campo
fiscale (43), permette all’Amministrazione di
punire il contribuente con il suo accordo senza
dover farlo giudicare (44). Per fortuna, la Corte
europea dei diritti dell’uomo è vigilante e non ha
esitato a condannare il Belgio, in data 27 febbraio 1980 (45), per un caso in cui il richiedente
aveva concluso una transazione con l’Amministrazione fiscale ma “sotto una pressione così
costringente da fare cedere il contribuente”.
Ecco una decisione che ci rassicura e che, eventualmente, apre prospettive ai contribuenti
indotti a concludere transazioni.
(44) M. Marty Delmas, C.Colly Teitegen, Punir sans juger? de
la répression administrative au droit administratif pénal, “Economica”, 1992, 191 pagine.
(45) CEDH 27 febbraio 1980, caso Deweere/Belgio, citato da
M. Marty Delmas, Droit pénal des affaires, tome 1, Puf, Collection “Thémis”, 1990, pag. 218.
GIURISPRUDENZA
4 TRIBUNALI
Errori della Guardia di finanza,
rideterminazione dell’imponibile,
conciliazione giudiziale
Effetti penali
REATI TRIBUTARI - Conciliazione giudiziale - Effetti penali - Limiti
Sebbene la conciliazione giudiziale non produca effetti penali diretti, nel caso concreto essa può incidere sulla soglia di
punibilità dei reati fiscali [art. 1, comma 2, lettera c), della L. 7 agosto 1982, n. 516] in un’ipotesi particolare di rideterminazione dell’imponibile da parte dell’Amministrazione finanziaria, conseguente ad errori commessi dalla Guardia di finanza in sede di verifica.
(TRIBUNALE di Verona, Gip Vacca - Imp. F. e altro - Sent. n. 525 del 2 dicembre 1999)
(Omissis) Diritto - Procedutosi penalmente nei confronti
degli odierni imputati, all’esito dell’udienza preliminare e considerate le produzioni effettuate dalla difesa, appaiono fondate
e vanno conseguentemente accolte le conclusioni delle parti
riportate in epigrafe.
Il procedimento aveva preso le mosse a seguito dei rilievi
effettuati dalla Guardia di finanza in sede ispettiva presso la
società V.F. e C. S.n.c.: a seguito degli stessi era stato determinato un maggior reddito d’impresa per il 1991, come da capo di
imputazione, e conseguentemente per ciascuno dei soci un red-
3372 il fisco 12/2000
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
dichiarato diversa ed inferiore rispetto a quella denunciata in
sede di primo accertamento, e solo laddove detto percorso poggi su rilievi oggettivi se ne potranno recepire gli esiti anche in
sede penale.
il fisco
dito di partecipazione non dichiarato pari (per ognuno) ad un
quarto di quello d’impresa.
Poiché secondo la Guardia di finanza il reddito di partecipazione superava per ciascuno dei soci la soglia dei 50 milioni l’omissione della relativa dichiarazione ai fini fiscali diveniva
penalmente rilevante.
Ha osservato la difesa, producendo la relativa documentazione, che gli imputati hanno definito nelle more le loro pendenze
fiscali attraverso l’istituto della conciliazione giudiziale ai sensi
dell’art. 48, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992.
Sebbene tale strumento (che consente di chiudere la vertenza
con il Fisco con un accordo che passa attraverso la rideterminazione da parte dell’ufficio finanziario dell’importo del reddito
non dichiarato e dell’imposta evasa e l’accettazione da parte del
contribuente delle conclusioni della Pubblica Amministrazione
ed il pagamento della somma finale risultante) non abbia di per
sé alcun effetto diretto in sede penale, tuttavia nel caso che
occupa appare concretamente suscettibile di influenzare l’odierna decisione per i motivi che seguono.
Innanzitutto si deve osservare che, nel definire il caso sul
fronte fiscale, il Ministero competente ha ritenuto che le conclusioni cui era giunta la Guardia di finanza, pur se sostanzialmente condivisibili, andavano riviste riducendo l’importo della
presunta evasione al di sotto dei 200 milioni, vale a dire pertanto per ciascuno dei soci al di sotto dei 50 milioni (limite che
come si è detto segna il discrimine tra le condotte penalmente
rilevanti e quelle che tali non sono).
La determinazione del Ministero non può astrattamente essere presa a base della decisione da assumersi in sede penale, in
considerazione del fatto che alla Pubblica Amministrazione è
consentito assumere determinazioni conclusive delle vertenze
con i privati anche in base a criteri di natura equitativa o di
convenienza, che non sono trasponibili ovviamente in sede
penale ove deve aversi riguardo unicamente alla realtà storica
dei fatti per come risultano accertati.
Occorre pertanto verificare in concreto, nel singolo caso:
Nel caso che occupa, tale recepimento appare possibile poiché, come emerge chiaramente dalla relazione redatta dall’ufficio Iva, sulla cui base è stata poi effettuata la conciliazione tra i
privati interessati e l’Amministrazione finanziaria, l’ufficio ha
rilevato numerosi errori commessi dalla Guardia di finanza nella propria esposizione dei fatti in danno del privato (per esempio l’ufficio ha avuto modo di constatare come, esaminando i
questionari, inviati dalla Guardia di finanza ai clienti della
società e da questi redatti, contrariamente all’assunto dei verbalizzanti i clienti abbiano dichiarato di avere generalmente e
regolarmente ricevuto gli scontrini all’atto della consegna della
merce; anche le date di consegna delle merci indicate dai clienti
non appaiono in molti casi coincidere con quelle desunte dalla
Guardia di finanza; risultava invece la piuttosto sistematica
emissione di scontrini per importi inferiori a quelli pagati,
eccetera).
In conclusione, da un lato l’accertamento operato dalla
Guardia di finanza, se pur basato su rilievi di carattere
oggettivo (come la riscontrata emissione sistematica di scontrini per cessioni di merce per valori inferiori a quelli effettivi)
appare avere, nella determinazione globale del reddito non
dichiarato, carattere presuntivo; dall’altra la rideterminazione
dell’imponibile effettuata dal Ministero appare non essere il
frutto solo di una valutazione di carattere equitativo o di mera
convenienza per la Pubblica Amministrazione, bensì appare
poggiare su considerazioni e rilievi di carattere oggettivo, trasponibili nel contesto del processo penale, rilievi che condurrebbero, anche nel caso di un dibattimento, ad abbattere in
egual modo l’importo dell’evasione, riconducendolo entro limiti
di irrilevanza penale.
P.Q.M.
- da un lato sulla base di quali elementi l’organo accertatore ha ritenuto di determinare l’importo dell’evasione nel senso
indicato nell’accertamento;
- dall’altro attraverso quale percorso la Pubblica Amministrazione sia giunta ad una determinazione dell’importo non
visti gli artt. 425, 530 del codice di procedura penale dichiara
non doversi procedere nei confronti di V.F. e S.P. il fatto non è
previsto dalla legge come reato.
(Omissis).
Commento
il fisco
La sentenza in rassegna prende posizione su un tema interessante e, si ritiene, suscettibile di interessanti applicazioni, anche
(e forse, tenuto conto dell’innalzamento delle soglie di punibilità e
della rilevanza dell’accertamento dell’imposta evasa previste dalla
novella in fieri, soprattutto) in seguito alla futura entrata in vigore della riforma dei reati tributari.
Il giudice delle indagini preliminari di Verona, ha dichiarato
non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge
come reato, in relazione ad una fattispecie in cui l’imputato ebbe
ad esperire l’istituto della conciliazione giudiziale.
Il caso in esame riguardava un’ipotesi di omessa annotazione
di corrispettivi previsti e puniti dall’art. 1, comma 2, lettera c),
della L. n. 516/1982.
In sintesi, a seguito di una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di finanza a carico di una società di persone, era stato contestato il reato di omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi dei soci, della quota del reddito di partecipazione accertato a
carico della società.
La società esperì positivamente l’istituto della conciliazione
giudiziale.
In esito a detta procedura, i redditi accertati in capo ai soci erano tali da non eccedere la soglia di punibilità.
In sostanza, il giudice ha ritenuto che gli imputati andassero
prosciolti in indiretta conseguenza dell’esperimento dell’istituto
della conciliazione, in esito al quale l’Amministrazione finanziaria aveva fissato l’ammontare dei corrispettivi evasi in una somma inferiore a quella di cui alla soglia di punibilità stabilita dalla
norma incriminatrice.
La conciliazione, come noto, non ha effetti penali.
Di questo il giudice dimostra di avere piena consapevolezza.
Poiché la conciliazione ha “accertato” un’omessa annotazione
di corrispettivi inferiore alla soglia di punibilità (o meglio, l’ufficio deputato all’accertamento ha “corretto” la precedente quantificazione data dalla Guardia di finanza in sede di verifica generale),
il giudice ha, attraverso un procedimento interpretativo nella fattispecie condivisibile, ritenuto tale attività non irrilevante in sede
penale.
Orbene, quali conseguenze potrebbe avere il consolidarsi di un
siffatto orientamento, alla luce dell’ormai prossima riforma dei
reati tributari?
Gli istituti della conciliazione giudiziale e dell’accertamento con
adesione sono qualificati, dal disegno di decreto legislativo di riforma dei reati tributari, come circostanze attenuanti (art. 13 del disegno di decreto legislativo di riforma dei reati tributari).
Per cui sembrerebbe non dubitabile l’inefficacia scriminante
degli istituti suddetti.
12/2000 il fisco 3373
DIRITTO PENALE TRIBUTARIO
il fisco
Tuttavia, se, come nel caso ipotizzato dalla sentenza in rassegna, la conciliazione (o l’accertamento con adesione) venga a fissare l’imposta evasa in una somma inferiore a quella originariamente quantificata ed in ipotesi minore di quella di cui alla soglia
di punibilità, il giudice penale, pur essendo evidentemente libero
di apprezzare altrimenti la fattispecie, potrebbe tenere conto del
positivo esperimento di questi istituti amministrativi al fine di
valutarne le conseguenze anche sul piano penale.
È chiaro, infatti, che laddove risulti che l’intervenuta definizione amministrativa entro limiti che non eccedano le soglie di rilevanza penale, non sia frutto semplicemente di ragioni genericamente “transattive”, ma si fondi su ragioni che per la loro natura
possano trovare accesso anche in sede di processo penale, pare
non infondato sostenerne la possibile, per così dire mediata, rilevanza penalistica.
In verità, al di là di ogni altra considerazione, nel caso ipotizzato (e cioè originario accertamento che eccede le soglie di punibilità, e successiva “definizione amministrativa” che non le ecceda)
appaiono, comunque, non facilmente sostenibili in sede dibatti-
mentale le ragioni dell’accusa, contraddette, non per ragioni
meramente presuntive, da una “riverifica” da parte degli organi
competenti ad accertare il tributo evaso (organi che in sede dibattimentale, svolgono, come noto, un essenziale ruolo nella dinamica processuale in qualità di testimoni del pubblico ministero).
Questa prospettiva consentirebbe di valorizzare notevolmente
sul piano professionale il ruolo di chi assista i contribuenti, operando in sede variamente conciliativa, con gli uffici finanziari.
Infatti, se in sede di conciliazione o di accertamento con adesione, si raggiungesse l’obiettivo di contenere, sulla base di argomenti solidamente provati, l’evasione al di sotto dei limiti di rilevanza penale, tale obiettivo potrebbe consentire (o meglio, rendere
meno disagevole) l’ottenimento di una sentenza di assoluzione,
anziché, quello assai meno fascinoso di beneficiare di una mera
circostanza attenuante.
Giovanni Maccagnani
Avvocato in Verona
CONTENITORI
per raccogliere la rivista
il fisco
I contenitori consentono di consultare la raccolta alla stregua di un
volume in quanto ciascuna copia della rivista è trattenuta al
centro del dorso del raccoglitore da un filo metallico.
Colore rosso amaranto, rivestiti in similpelle, scritte in oro.
Anno 2000
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Anno 1998
Anno 1997
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Anno 1992
Anno 1991
Anno 1990
Anno 1989
Anno 1988
Anno 1987
Anno 1986
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contenitori semestrali
contenitori semestrali
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L'importo deve essere versato su c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario “non trasferibile”
intestato a ETI S.p.a. - Viale Mazzini, 25 - 00195 - Roma.
Non si spedisce in contrassegno, il pagamento è anticipato. E' indispensabile indicare
il proprio codice fiscale. Spedizione entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta.
12/2000 il fisco 3375
rubrica dei quesiti
Si invitano i signori Lettori a voler formulare quesiti concernenti argomenti di carattere esclusivamente
tributario. La stesura dattiloscritta, possibilmente di un solo argomento, non deve superare una pagina.
Le richieste vanno indirizzate alla “Rubrica dei quesiti” - Rivista “il fisco” - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma.
La Rivista si riserva di pubblicare solamente le risposte ai quesiti, ripetiamo, di natura esclusivamente tributaria
e ritenuti di interesse generale.
Dette soluzioni, pur elaborate con la massima cura possibile, non impegnano in alcun modo la Rivista, soprattutto per tutte le questioni sulle quali non risulta esplicito l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria.
Si prega di non rivolgere quesiti per telefono.
La selezione delle richieste di risposta ai quesiti è curata dall’Ufficio Studi dello “Studio di consulenza societaria
e tributaria Marino”. Eventuali richieste di pareri riservati e/o urgenti devono essere indirizzate alla “Rubrica dei
quesiti”, che provvederà ad assegnarli a noti liberi professionisti specializzati con l’applicazione delle vigenti tariffe professionali.
IMPOSTE SUI REDDITI - REDDITI D’IMPRESA
I criteri di valutazione delle rimanenze
e il riconoscimento fiscale della loro svalutazione
D Una S.r.l. intende valutare le rimanenze al 31 dicembre 1999 con il metodo Fifo (per i prodotti finiti) e con il metodo
della media ponderata (per le materie prime).
Si chiede se tali valori siano riconosciuti anche ai fini fiscali, o se occorra invece riferirsi comunque al metodo del Lifo
a scatti annuali.
La società, inoltre, sta valutando la possibilità di effettuare una svalutazione delle materie prime nel bilancio chiuso al
31 dicembre 1999 per adeguarle al valore di mercato (minore rispetto al costo).
Si chiede se tale svalutazione, obbligatoria ai fini civilistici, sia fiscalmente ammessa in deduzione.
R Per quanto riguarda le modalità di valutazione delle
rimanenze [voci C.I. 1), 2) e 4) dell’attivo] ammesse dalla
normativa fiscale, queste possono essere valutate con i
metodi Lifo, Fifo e costo medio ponderato e i valori così
determinati hanno rilevanza anche ai fini fiscali (art. 59,
comma 3-bis, del D.P.R. n. 917 del 1986). Pertanto, per effetto
del comma 3-bis dell’art. 59 del D.P.R. n. 917 del 1986, si è
venuta a realizzare in tema di valutazione delle rimanenze
una perfetta convergenza della normativa fiscale con quella
civilistica, la quale, all’art. 2426, n. 10), del codice civile prevede che “il costo dei beni fungibili può essere calcolato col
metodo della media ponderata o con quelli ‘primo entrato,
primo uscito’ o ‘ultimo entrato, primo uscito’; se il valore così
ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti
3376 il fisco 12/2000
il fisco
alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa”.
In sostanza, per la determinazione del valore delle rimanenze continua ad essere consentito il criterio Lifo, sulla
base del costo medio dei beni in rimanenza, con stratificazioni per esercizi di formazione delle rimanenze stesse (art.
59, commi 1, 2 e 3, del D.P.R. n. 917 del 1986). Inoltre, in aderenza alle norme civilistiche, viene recepito un principio di
libertà di valutazione in quanto, alle imprese che valutano in
bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del “primo entrato, primo uscito” (cosiddetto metodo Fifo) o con varianti di tali metodi, è permesso assumere quale valore minimo riconosciuto nella determinazione del
reddito imponibile - lo stesso valore attribuito in bilancio alle
rimanenze dei beni in base al criterio di valutazione in concreto prescelto.
Con ciò è stata riconosciuta valenza fiscale a qualsiasi
metodo conosciuto dalla tecnica contabile per la determinazione del costo delle rimanenze, dovendosi quindi escludere che i risultati così ottenuti debbano essere confrontati ai
fini fiscali con il metodo Lifo, come invece era necessario
prima dell’introduzione del citato comma 3-bis (in tal senso
vd. circolare Abi n. 30 del 21 aprile 1994, paragrafo 1.2).
Sul punto è comunque opportuno richiamare quanto
affermato nella relazione ministeriale al D.L. 29 giugno 1994,
n. 416 (il quale ha introdotto il più volte citato richiamato
comma 3-bis) laddove si legge che “la revisione della disciplina tributaria in tema di valutazione dei beni di magazzino
è stata attuata tenendo conto anche del fatto che la riconosciuta libertà di scelta del metodo di valutazione deve, pur
sempre, esplicarsi nel rispetto dell’obbligo del mantenimento in bilancio dell’invarianza dei criteri di valutazione da un
esercizio rispetto all’altro, nel senso che, una volta adottato
un criterio di valutazione, questo non potrà essere mutato
negli esercizi successivi se non in casi eccezionali, da motivare adeguatamente nella nota integrativa e comunque dandone comunicazione all’ufficio delle imposte competente
(art. 76, comma 4, del D.P.R. n. 917 del 1986)”. Va da sé che
tale principio dell’invarianza dei criteri di valutazione, pur
costituendo un temperamento alla libertà di scelta dei criteri
di valutazione, non implica la reintroduzione del potere di
divieto da parte dell’Amministrazione finanziaria già contenuto nell’art. 75 del D.P.R. n. 597 del 1973 (in tal senso si
RUBRICA DEI QUESITI
veda Leo, Monacchi, Schiavo, Roxas, Le imposte sui redditi
nel testo unico, pag. 1084).
A quanto detto si aggiunga che, ai sensi del comma 4,
dell’art. 59 del D.P.R. n. 917 del 1986, le rimanenze, qualora il
valore unitario medio dei beni appartenenti ad una certa
categoria, determinato con i criteri sopra richiamati, risulti
superiore al loro valore normale medio dell’ultimo mese dell’esercizio, possono essere valutate moltiplicando l’intera
quantità delle voci di quella categoria, prescindendo dall’esercizio di formazione, per il detto valore normale; trattasi
della valutazione al minore fra prezzo di costo e valore di
mercato (sul punto, peraltro, si condivide la tesi secondo la
quale l’adozione del metodo del valore normale non è un
obbligo bensì una facoltà, nel senso che la sua scelta è
rimessa alla discrezione dell’impresa - vd. Leo, Monacchi,
Schiavo, Roxas, Le imposte sui redditi nel testo unico, Giuffrè,
1996, op. cit., pag. 1085).
L’ultimo periodo del comma 4, dell’art. 59 citato aggiunge
che tale minore valore attribuito alle rimanenze “... vale
anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze
non risultino inscritte nello stato patrimoniale per un valore
superiore” (art. 59, comma 4, ultimo periodo). Il significato di
quest’ultima disposizione è stato spiegato dal Ministero delle
finanze nel senso che “la disposizione fiscale contenuta nell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 59, che consente di
svalutare le rimanenze al valore normale, ha sostanzialmente
anticipato il n. 9) dell’art. 2426 del codice civile, il quale consente una valutazione delle rimanenze al valore desumibile
dall’andamento del mercato se minore del costo di acquisto
o di produzione. Il medesimo n. 9) prevede che tale minore
valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne
sono venuti meno i motivi. Ebbene - conclude l’Amministrazione finanziaria - la ripresa di valore ai fini civilistici comporta necessariamente l’assoggettamento a imposizione di
tale rivalutazione, stante il disposto dello stesso ultimo periodo del comma 4 dell’art. 59, secondo cui il minore valore
attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni di
tale norma vale anche per gli esercizi successivi, sempreché
le rimanenze non risultino iscritte in bilancio per un valore
superiore” (cfr. circolare ministeriale n. 73/E del 27 maggio
1994, risposta n. 3.26, in “il fisco” n. 22/1994, pag. 5459).
L.G.M.
12/2000 il fisco 3377
RUBRICA DEI QUESITI
IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
I criteri per l’individuazione del momento impositivo
nel regime dell’editoria
D Un mio cliente ha costituito una S.r.l. che ha per oggetto sociale l’esercizio di attività editoriali.
Premesso che ho acquisito le necessarie informazioni in ordine alle novità che hanno interessato il regime “monofase”
che si applica nel settore editoriale ex art. 74, lettera c), del D.P.R. n. 633 del 1972, vorrei taluni chiarimenti sui criteri da
seguire per l’individuazione del momento impositivo ex art. 6 del citato D.P.R. n. 633 del 1972.
il fisco
R In via generale, il comma 1, dell’art. 6 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede che “le cessioni di beni si considerano effettuate ne1 momento ... della consegna o spedizione
se riguardano beni mobili”.
Il successivo comma 2, alla lettera a) dispone che “In
deroga al precedente comma l’operazione si considera
effettuata ... a) ... per le cessioni periodiche o continuative di
beni in esecuzione di contratti di somministrazione, all’atto
del pagamento del corrispettivo”.
Infine, la lettera d) del medesimo comma 2 precisa che “In
deroga al precedente comma l’operazione si considera effettuata” ... d) per le cessioni di beni inerenti a contratti estimatori, all’atto della rivendita a terzi ovvero, per i beni non restituiti,
alla scadenza del termine convenuto tra le parti e comunque
dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione”.
Secondo il Ministero delle finanze i criteri sopra richiamati trovano applicazione anche con riferimento al regime speciale per l’editoria, salva la necessità di operare gli opportuni adeguamenti al fine di tener conto delle peculiarità del
regime stesso.
Ne discende che, in ordine all’individuazione del momento impositivo, dalla lettura combinata dell’art. 74, lettera c),
del D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 1 del D.M. 9 aprile 1993
risulta che esso coincide con la consegna o spedizione dei
prodotti editoriali.
Inoltre, in deroga a quanto previsto come criterio generale dall’art. 6, comma 2, lettera d), del decreto Iva, ove l’editore applichi il sistema della resa forfettaria, il momento impositivo coincide in ogni caso con quello della consegna o
spedizione dei prodotti editoriali, e ciò non solo nell’ipotesi
di consegna o spedizione a titolo definitivo, ma anche in presenza di contratti estimatori, ex art. 1556 del codice civile, o
di contratti di deposito con rappresentanza (cfr. circolare
ministeriale n. 63/490676 del 7 agosto 1990 nonché il paragrafo 7.2.1 della circolare ministeriale n. 328/E del 24
dicembre 1997, rispettivamente, in “il fisco” n. 31/1990, pag.
5053 e in allegato al n. 1/1998). Tale deroga, evidentemente,
trova giustificazione nella caratteristica stessa del sistema
della “resa forfetaria”, e cioè nella circostanza che la base
imponibile è costituita dal “numero delle copie consegnate
o spedite, diminuito a titolo di forfettizzazione della resa del
53 per cento per i libri e del 60 per cento per i giornali quotidiani e periodici, esclusi quelli pornografici e quelli ceduti
unitamente a supporti integrativi o ad altri beni”, indipen-
dentemente quindi dal numero di copie effettivamente vendute dall’edicolante.
Per contro, ove l’editore applichi il sistema delle copie
effettivamente vendute, il momento impositivo si identifica
con quello dell’effettiva vendita, sicché l’esistenza di un contratto estimatorio tra le parti rende applicabile la regola prevista dal richiamato art. 6, comma 2, lettera d), del decreto
Iva, secondo cui l’operazione si considera effettuata all’atto
della rivendita a terzi ovvero, per i beni non restituiti, alla
scadenza del termine convenuto tra le parti e comunque
dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione.
Nei casi in cui le consegne o spedizioni dei prodotti editoriali siano effettuate in esecuzione di rapporti di abbonamento, va anzitutto rilevata la possibilità per l’editore di applicare l’Iva con la forfettizzazione della resa, e ciò ancorché in tal
caso nessuna resa sia configurabile (in tal senso si veda la
circolare ministeriale n. 13/450224 del 5 marzo 1990, in “il
fisco” n. 11/1990, pag. 1730, la risposta scritta del 24 giugno
1991 all’interrogazione parlamentare n. 4-17823 del 18 gennaio 1990 nonché la citata circolare ministeriale n. 328/E del
24 dicembre 1997, paragrafo 7.4): l’applicazione di tale
sistema, infatti, non presuppone l’esistenza di una resa
(effettiva o potenziale), trattandosi più semplicemente di una
norma agevolativa. Quanto alla determinazione del momento impositivo in relazione alle vendite in abbonamento, questo coincide con il pagamento totale o parziale del corrispettivo; nella specie, infatti, si è in presenza di cessioni
periodiche o continuative di beni e pertanto torna applicabile la regola generale prevista del citato art. 6, comma 2, lettera a), del D.P.R. n. 633/1972. Peraltro, ove non venga effettuato pagamento alcuno, e quindi nell’ipotesi di abbonamenti gratuiti [soggetti ad Iva ai sensi dell’art. 2, comma 2, n. 4),
del D.P.R. n. 633/1972], resta fermo il criterio generale che
individua il momento impositivo con l’atto della consegna o
spedizione (cfr. risoluzione ministeriale n. 490961 del 10
novembre 1990, in “il fisco” n. 47/1990, pag. 7603). Ovviamente, nessun problema si pone ove le cessioni abbiano
per oggetto campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati: in tal caso l’operazione non assume
rilevanza ai fini dell’Iva ex art. 2, comma 3, lettera d), del
D.P.R. n. 633/1972 (cfr. circolare ministeriale n. 63/490676 del
7 agosto 1990, paragrafo 3.4, citata).
Nei casi di pagamenti di acconti effettuati anteriormente
alla consegna o spedizione dei prodotti editoriali, questi rile-
3378 il fisco 11/2000
RUBRICA DEI QUESITI
il fisco
vano, in relazione al relativo ammontare, solo nelle ipotesi di
applicazione del tributo in base alle copie effettivamente
vendute; d’altronde, ove si applichi il sistema della resa forfetaria, la base imponibile può essere determinata solo all’atto
della effettiva consegna o spedizione dei relativi beni, con
specifico riferimento quindi al numero delle copie consegnate o spedite (cfr. circolare ministeriale n. 63/490676 del 7
agosto 1990, paragrafo 3.3, citata).
Resta inteso che nei casi in cui le operazioni vengano
effettuate in esecuzione di rapporti di abbonamento, con
conseguente esclusiva rilevanza dei corrispettivi dell’abbonamento stesso, ai fini del momento impositivo risulta determinante non solo il pagamento anticipato di acconti ma
anche l’emissione di documenti riferiti agli acconti stessi o
all’intero ammontare dell’abbonamento, e ciò in virtù della
regola generale contenuta nel comma 4 del più volte citato
art. 6 (cfr. risoluzione ministeriale n. 431336 del 29 dicembre 1990, in “il fisco” n. 5/1991, pag. 808).
Quanto, infine, al concetto di consegna o spedizione di
prodotti editoriali, il Ministero delle finanze ha rilevato che
“in linea generale per consegna o spedizione deve intendersi ogni atto che comporti la perdita della disponibilità dei
beni, fatti salvi i casi in cui risulti che i beni stessi, ancorché
consegnati a terzi, permangono ancora nella sfera
giuridico-patrimoniale dell’editore per essere stati consegnati in base ad uno dei titoli non traslativi espressamente
indicati nell’art. 53 del citato decreto presidenziale n.
633/1972 e purché siano stati posti in essere gli adempimenti e le formalità ivi previsti” (cfr. circolare ministeriale n.
63/490676 del 7 agosto 1990, citata).
L.G.M.
L’associazione agricola
e il regime forfettario
D Un’associazione culturale, con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, era in regime opzionale di cui alla L.
n. 398 del 16 dicembre 1991; durante il mese di settembre 1999 ha superato il limite di proventi annui di cui al comma 1
dell’art. 1, della L. n. 398/1991 e quindi dal mese successivo non è più nel suddetto regime opzionale.
A seguito delle modifiche apportate dall’art. 24 dell’A.C. n. 5858 (“il fisco” n. 17/1999, pagg. 5865 e seguenti) all’art. 1,
comma 1, della L. n. 398/1991, a decorrere dal periodo d’imposta successivo all’entrata in vigore della suddetta legge
(A.C. 5858), l’importo di lire 130.594.000, di cui all’art. 1, comma 1, della L. n. 398/1991, è elevato a lire 360.000.000. Nel
caso specifico il periodo d’imposta successivo all’entrata in vigore della legge è l’anno solare 2000.
Poiché, l’art. 1, comma 1, della L. n. 398/1991 prevede che le associazioni culturali, che nel periodo d’imposta precedente abbiano conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a lire 130.594.000, ora
360.000.000, possano optare per l’applicazione delle imposte sul valore aggiunto e sui redditi secondo le disposizioni di
cui all’art. 2 della stessa, si chiede se nell’anno 2000 sia possibile esercitare l’opzione suddetta, nel caso in cui nell’anno
precedente, ossia il 1999, l’associazione, pur avendo superato il precedente limite di proventi di lire 130.594.000, non
superi il nuovo limite di 360.000.000.
R I presupposti per l’applicazione dei benefici fiscali nei
confronti delle associazioni sportive dilettantistiche, pro loco
e associazioni senza fine di lucro, previsti dalle leggi 16
dicembre 1991, n. 398, 13 maggio 1999, n. 133 e dall’art. 74,
comma 6, del D.P.R. n. 633/1972 in materia di determinazione forfettaria delle imposte e di osservanza degli adempimenti contabili sono di seguito indicati:
il fisco
- affiliazione alle federazioni sportive nazionali o agli
enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi
delle leggi vigenti;
- conseguimento nel periodo d’imposta precedente di
proventi commerciali non superiori al limite aggiornato da
ultimo in lire 360 milioni, dall’art. 25, comma 2, della L. 13
maggio 1999, n. 133.
È importante sottolineare che nella circolare 29 dicembre
1999, n. 1999 il Ministero delle finanze ha precisato che detto limite è valido anche nel caso in cui siano stati realizzati,
nel periodo d’imposta precedente, prima dell’entrata in
vigore della citata L. n. 133/1999, proventi superiori a lire
130.594.000, importo precedentemente previsto per il godimento dell’agevolazione in questione;
- esercizio di apposita opzione, con le modalità di
seguito indicate.
Gli adempimenti connessi al regime agevolativo notevolmente semplificati in ragione del mutato quadro normativo
che sostituiscono le precedenti formalità, quali la compilazione della distinta o dichiarazione d’incasso sono i seguenti:
1) comunicazione dell’esercizio dell’opzione, diversamente da quanto avveniva in passato, all’ufficio della SIAE
competente in ragione del domicilio fiscale dell’associazione, prima dell’inizio dell’anno solare per cui ha effetto l’opzione medesima, e all’ufficio Iva o delle Entrate, se istituito,
con le modalità previste dal D.P.R. n. 442/1997. L’opzione è
vincolante per un quinquennio (per 1’anno 2000 l’opzione
potrà essere comunicata alla SIAE entro il termine del 30
giugno 2000).
Naturalmente, i soggetti che non optano per l’applicazione del regime speciale o che perdono in corso d’anno i
requisiti per l’accesso ai benefici in discorso, sono assoggettati alla disciplina Iva ordinaria, ivi compreso l’obbligo di
certificazione dei corrispettivi mediante misuratore fiscale o
biglietterie automatizzate;
11/2000 il fisco 3379
RUBRICA DEI QUESITI
3) versamento trimestrale dell’imposta sul valore
aggiunto mediante delega unica di pagamento (Mod. F24),
entro il giorno 16 del secondo mese successivo al trimestre
di riferimento, con possibilità di avvalersi della compensazione di cui all’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241;
4) numerazione progressiva e conservazione delle fatture di acquisto a norma dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972.
2) qualora i presupposti vengano meno nel corso dell’anno, l’applicazione del tributo con il regime ordinario
dovrà avvenire dall’anno successivo a quello in cui sono
venuti meno i cennati requisiti; annotazione, anche mensile,
dei corrispettivi entro il giorno 15 del mese successivo a
quello di riferimento, utilizzando anche l’apposito prospetto
previsto dal D.M. 11 febbraio 1997, con eventuale annotazione dei proventi non costituenti reddito imponibile, delle plusvalenze patrimoniali e delle operazioni intracomunitarie;
A.C.
IVA - IRAP
Il trattamento del “prestito di personale”
D La nostra società di avvale di personale distaccato da parte sia di altre aziende del gruppo che di aziende terze. Si
chiede quale sia il relativo trattamento ai fini dell’Iva e dell’Irap.
a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo
costo”.
In linea con la prassi amministrativa sopra riportata si è
espressa anche la Corte di Cassazione (Sez. I civ., Sent. n.
1788 del 3 ottobre 1995, dep. il 6 marzo 1996, Pres. Sensale,
Rel. Altieri, in “il fisco” n. 13/1996, pag. 3427), la quale ha
ritenuto che “il distacco o prestito di personale non costituisce operazione imponibile, purché l’impresa beneficiaria
corrisponda il solo costo di tale utilizzazione, e cioè la retribuzione, gli oneri fiscali e previdenziali, e le spese sostenute
dai dipendenti”, aggiungendo che la nozione di prestito di
personale non è limitata al caso di distacco di poche unità,
ben potendo riguardare anche l’ipotesi in cui il personale
distaccato per lunghi periodi costituisca un’intera branca
organizzativa.
il fisco
R Il Ministero delle finanze ha in più occasioni affrontato
la questione del trattamento ai fini dell’Iva delle operazioni
di “prestito di personale” sia fra società facenti parte di uno
stesso gruppo che fra società non collegate.
In particolare, con riferimento al prestito di personale fra
società facenti parte di uno stesso gruppo, è stato chiarito
che la fattispecie non realizza i presupposti per l’applicazione dell’Iva, sempreché le somme pagate dalla società utilizzatrice in dipendenza del prestito siano esattamente commisurate alle retribuzioni spettanti ai dipendenti ed ai relativi
oneri assistenziali e previdenziali. Per le prestazioni di servizi
infatti, ai fini dell’applicazione dell’Iva assumono rilevanza
soltanto quelle poste in essere “verso corrispettivo” (art. 3
del D.P.R. n. 633 del 1972), mentre nel caso di specie si è in
presenza - ad avviso dell’Amministrazione finanziaria - di un
semplice “rimborso” di spese di lavoro subordinato, come
tali non soggette al tributo (cfr. risoluzione ministeriale n.
502712 del 5 luglio 1973).
Le medesime considerazioni sopra esposte si rendono
applicabili anche ai prestiti di personale posti in essere tra
società non facenti parte di uno stesso gruppo (e, più in
generale, tra società caratterizzate da nessun collegamento
di natura organica o finanziaria), in quanto il legame tra le
società contraenti attiene all’aspetto soggettivo e non a quello oggettivo del rapporto (cfr. risoluzione ministeriale n.
500160 del 19 febbraio 1974).
Quanto detto trova ulteriore conferma nella risoluzione
ministeriale n. 152/E del 5 giugno 1995, emessa successivamente all’entrata in vigore dell’art. 8, comma 35, della
legge 11 marzo 1988, n. 67, con il quale il legislatore ha
espressamente disciplinato la fattispecie in esame prevedendo che “Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale
Per quanto riguarda il trattamento del personale distaccato ai fini dell’Irap, l’art. 11, comma 1-bis, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 dispone che “Gli importi spettanti a titolo di
recupero di oneri del personale distaccato presso terzi non
concorrono alla determinazione della base imponibile”.
Pertanto, per il soggetto che distacca il proprio personale,
gli importi in questione non concorrono alla formazione della base imponibile Irap.
Inoltre, lo stesso comma 1-bis stabilisce che “Nei confronti
del soggetto che impiega il personale distaccato, tali importi
si considerano costi relativi al personale non ammessi in
deduzione”. Ne deriva che l’onere sostenuto dal soggetto
presso cui viene distaccato il personale, anche se imputato in
una voce di conto economico rilevante ai fini Irap, non concorrerà alla formazione della propria base imponibile Irap.
In sostanza, “si verifica la neutralizzazione della operazione, in quanto da una parte si ha l’indeducibilità dei costi
3380 il fisco 11/2000
RUBRICA DEI QUESITI
sopra indicati si rendono applicabili anche con riferimento
all’impiego di personale sulla base di contratti cosiddetti di
lavoro interinale, stante l’analogia sostanziale della fattispecie” (cfr. circolare ministeriale n. 141/E del 4 giugno 1998,
capitolo III, paragrafo 3, in allegato a “il fisco” n. 24/1998).
sostenuti per il personale distaccato e dall’altra la non imponibilità dei proventi per il riaddebito delle spese e degli
oneri relativi all’impiego del personale. La disposizione
testé enunciata si rende applicabile nei confronti di tutto il
personale dipendente, compreso, ad esempio, il personale
dirigente che svolga incarichi di amministratore o di sindaco presso società del gruppo. Si ritiene, inoltre, che i criteri
L.G.M.
SUCCESSIONI E DONAZIONI
I termini per l’accertamento
dell’imposta sulle successioni
D Il comma 2, dell’art. 27 del D.Lgs. n. 346/1990 stabilisce che la liquidazione dell’imposta principale deve essere notificata entro il termine decadenziale di tre anni dalla data di registrazione della dichiarazione di successione.
Il comma 3 di detto art. 27 (come modificato dall’art. 10 della L. n. 425/1996) dispone che l’avviso di rettifica e di liquidazione dell’imposta complementare deve essere notificato entro il termine decadenziale di due anni dal pagamento
dell’imposta principale.
L’art. 11 del D.L. n. 79/1997, convertito nella L. n. 140/1997, prevede che le imposte ipotecarie e catastali, nonché l’imposta sostitutiva Invim, devono essere corrisposte mediante autoliquidazione ed il relativo attestato deve essere conservato dagli eredi sino alla scadenza del termine per la rettifica prevista dal comma 3 dell’art. 27 del D.Lgs. n. 346/1990.
Tanto premesso si domanda: il termine decadenziale di due anni per la rettifica dei valori dichiarati (comma 3) decorre dalla data di pagamento delle imposte principali autoliquidate? Oppure dalla data di pagamento delle imposte principali liquidate dall’ufficio (comma 2)?
il fisco
R È noto che per effetto delle modifiche apportate dall’art. 11 del D.L. 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla L. 28
maggio 1997, n. 140, per le successioni apertesi dal 29 marzo 1997, comprendenti immobili di valore totale superiore a
L. 250 milioni, l’Invim è stata soppressa e sostituita da un’imposta, detta, appunto, sostitutiva applicata sull’intero valore
degli immobili (non sull’incremento di valore) con l’aliquota
dell’1 per cento.
Detta imposta, come le imposte ipotecaria e catastale, di
bollo e la tassa ipotecaria dovute in caso di successione,
non viene liquidata dall’ufficio, ma deve essere autoliquidata
dai contribuenti (eredi e legatari) prima della presentazione
della dichiarazione di successione (quindi, al più tardi entro
i sei mesi previsti dall’apertura della successione).
L’autoliquidazione va effettuata utilizzando l’apposito prospetto, approvato con D.M. 21 maggio 1997, nel quale vanno
riportati anche gli estremi di versamento, da allegare poi
alla dichiarazione di successione.
Ciò premesso, entrando nel vivo del quesito proposto,
rileviamo che la previsione impositiva appena descritta
“riflette” un criterio del tutto autonomo di percezione di un
tributo, quello cosiddetto sostitutivo dell’Invim per successioni, che non va ad interferire con altre previsioni, che possono definirsi “collegate”, ma che continuano a mantenere
una loro spiccata originalità.
Del resto, lo stesso art. 11, comma 3, penultimo periodo,
del D.L. n. 79/1997 ricordato, prevede espressamente con
riguardo all’imposta sostitutiva che “Per l’accertamento, la
riscossione anche coattiva, le sanzioni, gli interessi e il contenzioso si applicano le disposizioni di cui al D.P.R. n. 643 del
1972”, cioè quelle in tema di Invim.
In buona sintesi, l’Amministrazione finanziaria può rettificare, si ripete, in via del tutto distinta, la misura dell’autoliquidazione effettuata entro due anni dalla stessa e richiedere l’imposta sostitutiva eventualmente non versata entro
tre anni dalla presentazione della dichiarazione di successione.
Esaminando, in definitiva, le norme dettate dal D.Lgs. n.
346/1990, relativo alle imposte sulle successioni e donazioni,
ne deriva, a nostro avviso, che l’ufficio competente, se ritiene la dichiarazione di successione incompleta o infedele,
procede alla rettifica ed alla liquidazione della maggiore
imposta: detta rettifica deve essere notificata agli interessati
entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento
dell’imposta principale (comma 3, dell’art. 27, del D.Lgs. n.
346/1990).
In definitiva, il riferimento esplicito all’imposta principale,
va ad interessare non l’imposta sostitutiva autoliquidata, ma
l’imposta principale del tributo successorio, quella, in pratica, che scaturisce dalla “materiale” liquidazione, operata
dall’ufficio, sulla scorta diretta dei dati e degli elementi indicati nella dichiarazione presentata.
D.C.
12/2000 il fisco 3381
circolari
e note ministeriali
IMPOSTE SUI REDDITI - IVA
Le istruzioni del Ministero delle Finanze
sulle agevolazioni alle società sportive dilettantistiche
Imposte sui redditi - Iva - Agevolazioni - Società sportive dilettantistiche - Istruzioni - Art. 25 della L. 13 maggio 1999, n. 133
- D. Min. Finanze 26 novembre 1999, n. 473
(CIRCOLARE n. 43/E/2000/27853 dell’8 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. centr. Affari giuridici e Contenzioso
tributario)
in allegato n. 2 a “ il fisco” n. 1/2000, n.d.r.). Si ritiene di
dover fornire ulteriori istruzioni in merito alla corretta applicazione della normativa dettata dall’art. 25 della medesima L.
n. 133 del 1999.
SOMMARIO. Premessa - 1. Proventi che non concorrono alla formazione del reddito: 1.1. Ambito di operatività e contenuto della
norma agevolativa; 1.2. Requisiti per fruire dell’agevolazione; 1.3.
Trattamento tributario ai fini Iva; 1.4. Decorrenza della disposizione
agevolativa; 1.5. Rapporti fra la disposizione agevolativa di cui
all’art. 25 della L. n. 133 del 1999 ed altre disposizioni agevolative 2. Elevazione a 360 milioni di lire del limite massimo dei proventi
per beneficiare delle disposizioni recate dalla L. n. 398 del 1991 - 3.
Riduzione del coefficiente di redditività - 4. Applicazione della ritenuta a titolo di imposta sui compensi corrisposti a terzi: 4.1.
Ambito di applicazione della norma; 4.2. Disciplina tributaria dei
compensi corrisposti a terzi; 4.3. Adempimenti - 5. Erogazioni liberali - 6. Modalità di effettuazione dei versamenti e dei pagamenti 7. Adempimenti contabili.
Al fine di rafforzare il sostegno fiscale alle associazioni
sportive dilettantistiche, di razionalizzare le agevolazioni e di
introdurre maggiori elementi di trasparenza e chiarezza nel
settore, nonché allo scopo di distinguere con maggiore facilità le associazioni sportive dilettantistiche meritevoli di tale
qualificazione da quelle che fruiscono impropriamente del
regime agevolativo, l’art. 25 della L. 13 maggio 1999, n. 133
ha apportato rilevanti modifiche in materia.
Le disposizioni di attuazione dell’anzidetto art. 25 della L.
n. 133 del 1999 sono state dettate con regolamento del
Ministro delle finanze del 26 novembre 1999, n. 473, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 dicembre 1999 - Serie
generale - n. 294.
Con riferimento alle disposizioni recate dall’art. 25 della
L. n. 133 del 1999 ed al regolamento di attuazione n. 473
del 1999 sono stati forniti alcuni chiarimenti con circolari n.
231/E del 6 dicembre 1999 e n. 247/E del 29 dicembre
1999 (rispettivamente in “ il fisco” n. 47/1999, pag. 14994, e
1.1. Ambito di operatività e contenuto della norma agevolativa
il fisco
Premessa
1. Proventi che non concorrono alla formazione del reddito
L’art. 25, comma 1, della L. n. 133 del 1999 ha introdotto
una nuova agevolazione tributaria a favore delle associazioni
sportive dilettantistiche che si avvalgono delle disposizioni
contenute nella L. 16 dicembre 1991, n. 398.
L’art. 1 del regolamento n. 473 del 1999 ha delimitato
l’ambito soggettivo di applicazione della norma agevolativa,
prevedendo che le disposizioni recate dal citato art. 25,
comma 1, si rivolgono alle associazioni sportive dilettantistiche comprese quelle non riconosciute dal CONI o dalle
Federazioni sportive nazionali, purché siano riconosciute da
enti di promozione sportiva. L’espresso richiamo operato dall’art. 25, comma 1, ai soggetti che “si avvalgono dell’opzione”
prevista dall’art. 1 della L. 16 dicembre 1991, n. 398 comporta l’esclusione dall’ambito applicativo della norma in esame
dei soggetti che non siano destinatari della menzionata L. n.
398 del 1991 (esempio, enti commerciali, società cooperative
a responsabilità limitata, società a responsabilità limitata, soggette a precisi ed inderogabili obblighi contabili), nonché
delle associazioni che non si siano avvalse dell’opzione.
L’agevolazione in argomento consiste nell’esclusione dalla
formazione del reddito imponibile di particolari proventi,
indicati espressamente nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999.
In particolare, i proventi che non concorrono a formare il
reddito delle associazioni sportive dilettantistiche sono i
seguenti:
3382 il fisco 12/2000
CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI
a) proventi conseguiti nello svolgimento di attività
commerciali connesse con gli scopi istituzionali. La connessione con gli scopi istituzionali comporta che le attività commerciali debbano essere strutturalmente funzionali alla manifestazione sportiva e rese in concomitanza con lo svolgimento
della medesima;
b) proventi conseguiti a seguito di raccolte di fondi
effettuate con qualsivoglia modalità.
1.4. Decorrenza della disposizione agevolativa
Per quanto concerne la decorrenza della disposizione agevolativa in esame, il regolamento n. 473 del 1999 chiarisce
che la stessa riguarda solo i proventi conseguiti a seguito di
manifestazioni realizzate successivamente alla data di entrata
in vigore dello stesso regolamento. Pertanto, i benefici di che
trattasi si applicano per le manifestazioni effettuate a partire
dal 1° gennaio 2000, ancorché il periodo di imposta sia già
in corso alla predetta data.
A titolo esemplificativo possono annoverarsi fra gli anzidetti proventi quelli derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande, dalla vendita di materiali sportivi, di gadgets
pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle
lotterie, eccetera. Le raccolte di fondi possono realizzarsi
anche attraverso la vendita di beni e servizi resi a fronte di
offerte non commisurate al valore del bene venduto o del servizio prestato.
L’art. 25, comma 1, della L. n. 133 del 1999 stabilisce che
l’agevolazione compete fino al limite predeterminato con
decreto del Ministro delle finanze di concerto con il
Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica e con l’Autorità di Governo competente in materia di sport (Ministro per i beni e le attività culturali). Tale
limite è stato, attualmente, fissato, con decreto del 10
novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23
novembre 1999 - Serie generale - n. 275, nella misura massima di lire cento milioni per periodo di imposta.
La norma in esame introduce in sostanza una forma di
autofinanziamento, escludendo dal concorso alla formazione
del reddito imponibile, determinati proventi fino ad un
importo massimo complessivo di cento milioni di lire.
I requisiti per fruire dell’agevolazione in esame sono stabiliti dall’art. 25, comma 1, della L. n. 133 del 1999 e dall’art.
1, comma 3, del regolamento n. 473 del 1999.
In particolare, non concorrono a formare il reddito imponibile delle associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono delle disposizioni della L. 16 dicembre 1991, n. 398, i
proventi derivanti dallo svolgimento delle attività commerciali connesse agli scopi istituzionali e quelli realizzati a seguito di raccolte di fondi effettuate con qualsiasi modalità,
quando sussistano le seguenti condizioni:
- le attività e le raccolte di fondi abbiano carattere di
occasionalità e saltuarietà;
- i proventi siano conseguiti nell’ambito di due manifestazioni per periodo di imposta;
- i proventi rientrino nel limite complessivo di lire
cento milioni per periodo di imposta.
Ne consegue che costituiscono reddito imponibile delle
associazioni in argomento la parte dei proventi eccedenti
l’importo di lire cento milioni, i proventi derivanti da attività
o da raccolte di fondi che non abbiano il carattere di occasionalità e saltuarietà, ovvero i proventi conseguiti oltre l’ambito
delle due manifestazioni per periodo di imposta.
1.3. Trattamento tributario ai fini Iva
Per quanto riguarda il trattamento tributario ai fini Iva, è
evidente che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi
effettuate dalle associazioni sportive nell’ambito delle attività
che presentano il carattere di occasionalità e saltuarietà sono,
in base ai principi generali, escluse dal campo di applicazione
dell’Iva.
il fisco
1.2. Requisiti per fruire dell’agevolazione
1.5. Rapporti fra la disposizione agevolativa di cui all’art. 25
della L. n. 133 del 1999 ed altre disposizioni agevolative
Giova sottolineare che la speciale disposizione recata dal
comma 1, lettera b), dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999,
concernente le raccolte di fondi effettuate dalle associazioni
sportive dilettantistiche, si applica, come chiarito dall’art. 1,
comma 4, del più volte menzionato regolamento, in luogo di
quella generale contenuta nell’art. 108, comma 2-bis, lettera
a), del testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) approvato
con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, riferita agli enti non
commerciali, anche di tipo associativo, ivi compresi, quindi,
quelli di cui all’art. 111 dello stesso Tuir.
Si chiarisce, altresì, che la disposizione agevolativa contenuta nel comma 1 dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999 non si
applica a favore delle associazioni senza fine di lucro e delle
pro loco, che in forza dell’art. 9 (recte: 9-bis, n.d.r.) del D.L. n.
417 del 1991 si avvalgono delle disposizioni della L. n. 398
del 1991. Invero, la disposizione in esame introduce una vera
e propria ulteriore agevolazione in favore soltanto delle associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono delle disposizioni della L. n. 398 del 1991, senza che ciò determini una
modifica di tale legge.
2. Elevazione a 360 milioni di lire del limite massimo dei
proventi per beneficiare delle disposizioni recate dalla L. n.
398 del 1991
Il comma 2 dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999 ha stabilito che “A decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge,
l’importo di lire 100 milioni, fissato dall’articolo 1, comma
1, della legge 16 dicembre 1991, n.398, come modificato da
ultimo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
10 novembre 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
285 del 5 dicembre 1998, in lire 130.594.000, è elevato a lire
360 milioni”.
Al riguardo, nel regolamento n. 473 del 1999 nonché
nella circolare n. 231/E del 6 dicembre 1999, è stato precisato che a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello
in corso alla data di entrata in vigore della L. n. 133 del 1999
- e cioè, ad esempio, per le associazioni con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, dal 1° gennaio 2000, per le
associazioni con periodo di imposta compreso tra il 1° luglio
e 30 giugno, dal 1° luglio 1999 - possono avvalersi del regime tributario agevolato recato dalla L. 16 dicembre 1991, n.
398 le associazioni sportive dilettantistiche, comprese quelle
non riconosciute dal CONI o dalle Federazioni sportive
nazionali, purché riconosciute da enti di promozione sportiva, che svolgano senza scopo di lucro attività sportiva dilettantistica e che nel periodo d’imposta precedente abbiano
conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per
un importo non superiore a 360 milioni di lire.
Dalla suddetta data, come chiarito nella citata circolare n.
231/E del 1999, tale nuovo limite di 360 milioni di lire si
12/2000 il fisco 3383
CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI
applica a regime senza necessità dell’adeguamento annuale
operato nel passato.
Il comma 5 dell’art. 1 del regolamento n. 473 esclude dal
computo di detto limite di importo di 360 milioni di lire, i
proventi di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 25
della L. n. 133 del 1999.
Si fa presente, come precisato nella circolare n. 247/E del
29 dicembre 1999 al punto 6.9., che, per poter usufruire
delle agevolazioni recate dalla L. n. 398 del 1991, occorre
esercitare l’opzione prima dell’inizio dell’anno solare, a prescindere dalla cadenza dell’esercizio, dandone comunicazione
all’ufficio della SIAE competente in ragione del domicilio
fiscale dell’associazione. Simile comunicazione deve essere,
altresì, effettuata all’ufficio Iva o delle Entrate, se istituito,
secondo le disposizioni del D.P.R. 10 novembre 1997, n.
442. L’opzione è vincolante per un quinquennio.
Si precisa, infine, che l’elevazione del limite a 360 milioni
di lire si applica anche alle associazioni senza scopo di lucro e
alle pro loco che, in forza dell’art. 9-bis del D.L. 30 dicembre
1991, n. 417 convertito dalla L. 6 febbraio 1997, n. 66, si
avvalgono delle disposizioni della L. n. 398 del 1991.
3. Riduzione del coefficiente di redditività
4. Applicazione della ritenuta a titolo di imposta sui compensi corrisposti a terzi
4.1. Ambito di applicazione della norma
Il comma 4 dell’art. 25 della legge in argomento introduce
una nuova disciplina sui compensi corrisposti dalle società
sportive dilettantistiche per prestazioni inerenti alla propria
attività, superando il problema della qualificazione di tali
redditi.
Tale disciplina riguarda, per espressa previsione dell’art. 2,
comma 4, del regolamento n. 473 del 1999, i compensi erogati per la promozione di attività sportive dilettantistiche dai
seguenti soggetti:
- CONI;
- federazioni sportive nazionali;
- enti di promozione sportiva;
- altri soggetti comunque denominati, che in via istituzionale perseguono finalità sportive dilettantistiche, qualunque sia la loro veste giuridica (società, associazioni, enti o circoli, eccetera), purché riconosciuti (affiliati) da uno degli
organismi citati.
il fisco
Come evidenziato nella circolare n. 231/E, l’art. 25,
comma 3, della L. n. 133 del 1999 ha previsto, attraverso
una specifica modifica dell’art. 2, comma 5, della L. n. 398
del 1991, che il reddito imponibile delle associazioni sportive dilettantistiche venga determinato applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività del 3 per cento, in luogo di
quello del 6 per cento originariamente stabilito, cui si deve
aggiungere comunque, come in passato, l’intero importo
delle plusvalenze patrimoniali.
Tale nuovo coefficiente di redditività del 3 per cento,
come precisato nella più volte richiamata circolare n. 231/E,
è applicabile dall’inizio del periodo di imposta in corso alla
data del 18 maggio 1999, data di entrata in vigore della citata L. n. 133 del 1999.
Il medesimo coefficiente si applica alle associazioni senza
scopo di lucro e alle pro loco che si avvalgono delle disposizioni della L. n. 398 del 1991.
Pertanto, l’ambito soggettivo di applicazione della disposizione, rispetto a quello del comma 1 del medesimo art. 25, risulta
più ampio in quanto non è limitato alle sole associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono della L. n. 398 del 1991.
Per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicazione
della disciplina in esame, l’art. 2 del più volte citato regolamento traduce il contenuto del comma 4 dell’art. 25, riconducendo tra i compensi corrisposti a fronte di “prestazioni
inerenti alla propria attività”, quelli finalizzati alla promozione dell’attività sportiva dilettantistica.
La norma si propone di incentivare esclusivamente lo
sport dilettantistico e le prestazioni che ne promuovono l’attività, dettando una disciplina di favore per i compensi corrisposti da tutti i soggetti sopra elencati a fronte di prestazioni
sportive dilettantistiche ovvero di attività, anche amministrative o di gestione, dirette alla promozione della pratica sportiva dilettantistica. La disciplina fiscale in esame non si applica, pertanto, ai compensi erogati dagli anzidetti soggetti per
remunerare attività diverse da quelle finalizzate alla promozione dello sport dilettantistico.
Dalle disposizioni appena richiamate si evince che, nella
particolare ipotesi in cui i soggetti individuati all’art. 2,
comma 4, lettera a), del menzionato regolamento intrattengano rapporti con persone fisiche addette a settori diversi di
attività, occorrerà scomputare, dall’ammontare complessivo
dei compensi erogati, quella parte di essi che, analiticamente
o proporzionalmente commisurata all’attività di promozione
dello sport dilettantistico, può fruire dell’agevolazione trattata al successivo punto 4.2.
L’art. 2, comma 4, lettera b), del regolamento n. 473 del
1999, esclude poi, in ogni caso, dalla disciplina in esame i
compensi erogati dagli enti in argomento ai propri lavoratori
dipendenti assunti per lo svolgimento delle attività amministrative o di gestione, agli artisti e professionisti di cui all’art.
49, comma 1, del Tuir, ed agli esercenti attività di impresa di
cui all’art. 51, comma 1 del medesimo testo unico.
4.2. Disciplina tributaria dei compensi corrisposti a terzi
I compensi corrisposti dalle società sportive dilettantistiche, come individuati al punto 4.1, non costituiscono reddito per il percipiente persona fisica fino ad un ammontare, per
ciascuna prestazione autonomamente considerata, di lire
novantamila e fino all’importo complessivo annuo di lire sei
milioni. La quota-parte dei compensi che eccede tali limiti
costituisce per il percipiente reddito imponibile, direttamente
assoggettato all’atto della corresponsione a ritenuta a titolo di
imposta con aliquota pari a quella prevista dall’art. 11 del
Tuir per il primo scaglione di reddito (attualmente 18,5 per
cento), maggiorata delle quote di compartecipazione delle
addizionali Irpef. Conseguentemente tali compensi non concorrono alla determinazione del reddito complessivo imponibile ai fini Irpef del percipiente.
La quota dei compensi che eccede i limiti prefissati di lire
novantamila e di lire sei milioni viene interamente assoggettata a tassazione senza ulteriori esclusioni, riduzioni o deduzioni riconducibili alle singole categorie reddituali.
In sostanza, fino a quando il percipiente non superi l’importo massimo complessivo di sei milioni di lire sono escluse
dalla tassazione le prime novantamila lire di compenso per
ciascuna prestazione, mentre la quota-parte del compenso
eccedente deve essere assoggettata a ritenuta a titolo di imposta. Qualora, invece, il percipiente abbia superato il limite
complessivo di lire sei milioni tutte le ulteriori somme devono essere assoggettate a tassazione con applicazione della ritenuta a titolo d’imposta.
3384 il fisco 12/2000
CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI
Per la corretta applicazione della norma, nella parte in cui
prevede l’assoggettamento a tassazione “del compenso eccedente la somma di lire 90.000”, si rende comunque necessario individuare e valorizzare le singole prestazioni anche nell’ipotesi in cui il compenso sia unitariamente convenuto a
fronte di più prestazioni. In tal caso, si dovrà ripartire proporzionalmente il compenso tra le varie prestazioni individuate ai fini della sua commisurazione al limite di lire novantamila.
Va, infine, sottolineato che la nuova disciplina fiscale recata dal più volte citato art. 25 sostituisce quella contenuta
nella L. 25 novembre 1986, n. 80.
le, nonché i compensi comunque denominati corrisposti
dalle predette società, debbono essere disposti attraverso
conti correnti bancari o postali intestati all’associazione sportiva, ovvero effettuati mediante carte di credito o bancomat o
altri sistemi di pagamento, che consentano concretamente lo
svolgimento di efficaci e adeguati controlli quali, ad esempio,
assegni non trasferibili intestati all’associazione sportiva destinataria dei versamenti.
Allo scopo di rendere effettivamente attuata la sopra
richiamata disposizione, il comma 3 dell’art. 4 del citato
regolamento n. 473 prevede che i versamenti o i pagamenti
di importi non inferiori a lire centomila eseguiti in difformità
alle modalità prescritte, concorrono, in ogni caso, rispettivamente a formare il reddito del percipiente e sono indeducibili
nella determinazione del reddito del soggetto erogante e
comportano la decadenza dalle agevolazioni della L. n. 398
del 1991.
Infine, il comma 4 dell’art. 4 del regolamento di attuazione prevede che tutte le disposizioni contenute nel medesimo
art. 4 siano applicabili a tutti i soggetti che promuovono
ovvero organizzano attività sportiva senza l’impiego di atleti
che, al momento dello svolgimento della manifestazione o
della prestazione, rivestano la qualifica di atleti professionisti
secondo le disposizioni vigenti.
4.3. Adempimenti
I percipienti devono, all’atto del pagamento, ma prima
dell’effettivo esborso del compenso, autocertificare agli enti
eroganti l’ammontare di tutti gli eventuali compensi della
stessa natura già percepiti.
Le verifiche richieste al sostituto d’imposta sono quelle
volte ad accertare l’ammontare del compenso e l’eventuale
superamento della soglia limite annuale.
I soggetti che erogano i compensi devono rilasciare certificazione al percipiente attestante i compensi corrisposti e
comunque devono presentare il Modello 770 ancorché i
compensi erogati non siano stati assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta.
Come precisato nella circolare n. 247/E del 1999 nel
punto 1.14., l’art. 25, comma 5, della L. n. 133 del 1999,
modificando con l’aggiunta della lettera “ i-ter)” l’art. 13 -bis,
comma 1, del Tuir, ha previsto la possibilità per le persone
fisiche che effettuano erogazioni liberali a favore delle società
sportive dilettantistiche di fruire di una detrazione d’imposta
lorda del 19 per cento calcolata su un importo massimo complessivo annuo di un milione di lire.
Per le analoghe erogazioni effettuate da soggetti all’Irpeg la
detrazione del 19 per cento va calcolata su un importo massimo di lire cinquecentomila.
Come chiarito nel regolamento n. 473 del 1999 per
società sportive dilettantistiche, destinatarie delle suddette
erogazioni, si intendono i seguenti soggetti:
- CONI;
- federazioni sportive nazionali;
- enti di promozione sportiva;
- qualunque altro soggetto, comunque denominato,
che persegua finalità sportive dilettantistiche e che sia riconosciuto da uno degli Organismi citati.
6. Modalità di effettuazione dei versamenti e dei pagamenti
L’art. 4 del regolamento n. 473 del 1999 prevede che tutti
i versamenti effettuati a favore delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche, nonché i pagamenti eseguiti dalle
medesime, di importi non inferiori a lire centomila, ivi compresi le erogazioni liberali, i contributi, le quote associative e i
proventi che non concorrono a formare il reddito imponibi-
il fisco
5. Erogazioni liberali
7. Adempimenti contabili
Ad integrazione dei chiarimenti forniti con la circolare n.
247/E del 1999, punto 6.9., si evidenzia la necessità dell’annotazione separata dei proventi dell’art. 25, comma 1, lettere
a) e b), al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria il
riscontro ed il controllo degli anzidetti proventi.
Si precisa, altresì, che l’art. 5, comma 4, del citato regolamento n. 473 del 1999 impone l’obbligo di conservare copia
della documentazione concernente incassi e pagamenti delle
associazioni sportive dilettantistiche per tutto il periodo per
cui è possibile esperire l’azione di accertamento da parte
dell’Amministrazione finanziaria, come previsto dall’art. 43
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Con il medesimo art. 5, comma 5, viene, infine, fissato,
quale specifico adempimento contabile a carico delle associazioni sportive dilettantistiche che vogliano fruire dell’agevolazione dell’art. 25, comma 1, della L. n. 133 del 1999, un
obbligo di rendicontazione analogo a quello stabilito dall’art.
20, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per gli
enti non commerciali destinatari dell’art. 108, comma 2-bis,
lettera a), del Tuir. Per espressa previsione normativa la suddetta rendicontazione deve essere tenuta e conservata ai sensi
dell’art. 22 del citato D.P.R. n. 600 del 1973.
Infine, si fa presente che nella precedente circolare n.
247/E del 1999 al punto 2, paragrafo 6.9. si è fatto erroneamente riferimento all’anno invece che al mese.
Conseguentemente il primo periodo del menzionato punto 2
deve essere letto correttamente nel modo seguente: “qualora i
presupposti vengano meno nel corso dell’anno, l’applicazione
del tributo con il regime ordinario dovrà avvenire dal mese
successivo a quello in cui sono venuti meno i cennati requisiti;”.
●
12/2000 il fisco 3385
CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI
IVA
L’applicazione dell’imposta
sulle risultanze del lodo arbitrale
Iva - Base imponibile - Somme stabilite da lodo arbitrale - Risarcimento danni - Rivalutazione monetaria ed interessi Trattamento - Artt. 13 e 15 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
(RISOLUZIONE n. 25/E/III/7/1999/45904 del 7 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. Centr. Affari giuridici e
Contenzioso tributario)
il fisco
Con la nota … la Direzione regionale delle Entrate per la
Toscana ha fatto presente che la A.S.L. n. 7 di S. ha chiesto
chiarimenti sul trattamento, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, applicabile alle somme, stabilite dal lodo arbitrale, dovute dalla medesima all’impresa S. Costruzioni per la
costruzione dell’ospedale della V..
Più specificamente con deliberazione dell’amministratore
straordinario n. 687 del 16 luglio 1993 la suddetta A.S.L.
ha affidato la costruzione dell’ospedale ad una Associazione
Temporanea di Imprese della quale risulta capogruppo la
citata impresa S. Costruzioni. Successivamente, dopo che i
tecnici dell’impresa e della A.S.L. hanno puntualizzato i
vari aspetti contrattuali ed esecutivi dell’opera, con delibera
dell’amministratore straordinario n. 382 del 19 maggio
1994 la stessa A.S.L. approvava lo schema di contratto di
appalto avente per oggetto la prima parte delle opere afferenti la realizzazione del predetto ospedale ed in data 23
giugno 1994 veniva stipulato tra le anzidette parti il contratto di appalto relativo alla realizzazione dei lavori in
oggetto.
Nel corso dell’esecuzione delle suddette opere si sono verificate delle situazioni anomale del tutto indipendenti dalla
volontà dell’impresa appaltatrice che hanno determinato
ritardi nella conclusione dei lavori e maggiori oneri per la
medesima.
Conseguentemente la predetta associazione di imprese,
tramite la capogruppo S. Costruzioni, ha avanzato, in occasione della sottoscrizione dei S.A.L., alcune riserve le quali
sono state regolarmente iscritte nel registro di contabilità.
L’A.S.L. in oggetto, nel frattempo, con delibera 26 ottobre
1995 n. 2963, ha avviato la procedura di accordo bonario,
prevista dall’art. 31-bis della L. 11 febbraio 1994, n. 109,
proponendo di riconoscere la somma di lire 150.000.000
all’impresa la quale non ha ritenuto di accettare.
Pertanto in data 18 gennaio 1996 la citata impresa capogruppo S. Costruzioni ha notificato alla A.S.L. in argomento
domanda di arbitrato, ai sensi dell’art. 16 del contratto di
appalto, nel quale sono stati formulati alcuni quesiti aventi
per oggetto il riconoscimento di maggiori somme dovute per
oneri, danni ed aggiornamento prezzi. Il collegio arbitrale,
pur condividendo le argomentazioni della A.S.L. in merito
alla circostanza che il ritardo lamentato dall’impresa in
discorso, con riferimento alla stipulazione del contratto, rappresenta comunque una fase esplicitamente e specificamente
prevista sia dal bando che dalla lettera di invito, fase pertanto
necessariamente successiva all’identificazione dell’impresa
tenuta ad eseguire l’opera in oggetto, ha, altresì, riconosciuto
che era preciso onere dell’Amministrazione di attivarsi quanto prima al fine dell’individuazione degli elementi contrat-
tuali, soprattutto in riferimento all’interesse generale relativo
alla rapida costruzione dell’ospedale.
Per le ragioni sopra considerate il collegio arbitrale ha
ritenuto che “... il mancato rispetto da parte del committente dell’obbligo di cooperazione su di esso gravante configura un’ipotesi di mora accipiendi della stazione appaltante
... con conseguente obbligo risarcitorio per non essersi questa comportata in modo tale da non ledere gli interessi dell’appaltatore.” e conseguentemente ha accolto la richiesta
dell’impresa avente per oggetto il riconoscimento per risarcimento danni dovuto al ritardo con cui è stato stipulato il
contratto.
In particolare l’accoglimento a titolo di risarcimento danni
e per rivalutazione monetaria ed interessi sul risarcimento
danni concerne le questioni rappresentate nei quesiti n. 1, n.
3 e n. 12; in ordine alla problematica di cui al n. 11, concernente la richiesta di maggiori somme e relativi interessi per la
progettazione relativa alla variante di cui alla delibera GRT n.
3939/1995, il collegio arbitrale ha ravvisato che le stesse sono
da corrispondere a titolo di riconoscimento di maggiori oneri
conseguenti alla sospensione ed alla modifica dell’attività di
progettazione.
In relazione a quanto precede l’Amministrazione istante ha
chiesto di conoscere se le somme relative ai predetti quesiti
accolti nel lodo debbano o meno rientrare nel campo di
applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.
Al riguardo si ritiene utile precisare che l’art. 13, comma
1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce, tra l’altro,
che agli effetti dell’Iva “La base imponibile delle cessioni di
beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le
spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso
terzi accollati al cessionario o al committente ...”, nel successivo art. 15, n. 1), è previsto invece che sono escluse dal
computo della base imponibile “le somme dovute a titolo di
interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità
nell’adempimento degli obblighi del cessionario o del committente”.
Tutto ciò premesso la scrivente ritiene che la individuazione della causa per la quale le somme in argomento sono da
corrispondere consente di determinare il corretto trattamento
fiscale applicabile agli effetti dell’Iva. Pertanto quelle corrisposte a titolo esclusivamente risarcitorio nonché per rivalutazione monetaria sul risarcimento danni e per relativi interessi, ai sensi del citato art. 15, n. 1), del D.P.R. n. 633 del
1972, sono escluse dal campo di applicazione dell’Iva.
Per contro la somma configurata come riconoscimento di
maggiori oneri, e relativa rivalutazione monetaria, conse-
3386 il fisco 12/2000
CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI
guenti alla modifica dell’attività di progettazione è da ritenere
un maggiore corrispettivo ai sensi del citato art. 13, comma
1, del D.P.R. n. 633 del 1972. In tal caso i relativi interessi,
avendo natura risarcitoria, sono da ritenere esclusi dal campo
di applicazione dell’Iva ai sensi del citato art. 15, n. 1), del
D.P.R. n. 633 del 1972.
●
IVA
Le auto aziendali
messe a disposizione del dipendente
Iva - Prestazioni di servizi - Auto aziendali messe a disposizione del dipendente dietro corrispettivo - Imponibilità - Sussiste Art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
(RISOLUZIONE n. 24/E/2000/32723 del 7 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. Centr. Affari giuridici e
Contenzioso tributario)
il fisco
Un recente articolo apparso sulla stampa specializzata ha
evidenziato il rischio che si determini una doppia imposizione, ai fini dell’Iva, nell’ipotesi in cui un’autovettura acquistata da un’azienda venga messa a disposizione del dipendente
dietro versamento di un corrispettivo periodico.
All’atto dell’acquisto della vettura l’azienda non può esercitare la detrazione dell’imposta ad essa addebitata stante la
preclusione derivante dall’art.19-bis1, lettera c), del D.P.R. n.
633 del 1972. Sarebbe quindi logico che il successivo riaddebito dei costi al dipendente utilizzatore avvenisse senza applicazione dell’imposta, onde evitare la doppia imposizione. Per
raggiungere questo risultato non è possibile, però, invocare
l’applicazione dell’art. 10, n. 27-quinquies), del medesimo
D.P.R n. 633, che riserva il regime di esenzione alle “cessioni
che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il
diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi
degli artt. 19, 19-bis1 e 19-bis2”. Il tenore letterale della
disposizione ora richiamata ne consente infatti l’applicazione
alle sole cessioni di beni, mentre nel caso di cui si discute la
messa a disposizione dell’auto in favore del dipendente concretizza, ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 1), una prestazione
di servizi.
L’autore dell’articolo ipotizza però che il riaddebito del
costo possa avvenire ugualmente in regime di esenzione
dall’Iva in base all’applicazione della norma di cui all’art. 16,
comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, la quale stabilisce che
“Per le prestazioni di servizi dipendenti da contratti d’opera,
di appalto e simili che hanno per oggetto la produzione di
beni e per quelle dipendenti da contratti di locazione finanziaria, di noleggio e simili l’imposta si applica con la stessa
aliquota che sarebbe applicabile in caso di cessione dei beni
prodotti, dati con contratti di locazione finanziaria, noleggio
e simili”. L’Amministrazione finanziaria ha precisato con la
circolare n. 127/E del 15 maggio 1996 (in “ il fisco” n.
21/1996, pag. 5331, n.d.r.), in materia di prestito d’uso di
oro greggio, che il comma 3 dell’art. 16, benché fa riferimento espresso alle sole aliquote, può essere applicato anche nei
casi in cui è necessario perequare il regime fiscale riservato a
certe prestazioni rispetto a quello che sarebbe applicabile ove
lo stesso risultato economico fosse raggiunto attraverso una
cessione di beni. Lo stesso principio è stato ribadito nel paragrafo 3.1 della recente circolare n. 165/E del 2 agosto 1999
(in “ il fisco” n. 31/1999, pag. 10426, n.d.r.), laddove si è
affermato che, in base al medesimo art. 16, comma 3, alle
lavorazioni effettuate da terzi per la trasformazione dei rottami di metalli non ferrosi si rende applicabile lo stesso regime
di sospensione dell’imposta previsto per le cessioni dei medesimi prodotti.
Tenuto conto delle menzionate pronunce ministeriali, è
stato proposto di estendere il regime di esenzione previsto
- per le cessioni di beni acquistati senza detrarre neppure parzialmente la relativa imposta - dall’art. 10, n. 27-quinquies),
del D.P.R. n. 633 del 1972, anche alle prestazioni che si concretizzano nella messa a disposizione del dipendente di beni
acquistati senza detrazione (quali le auto).
Nel contempo, viene evidenziato che la posizione attuale
dell’Amministrazione finanziaria sembra invece propendere
per l’applicazione dell’Iva alle prestazioni di messa a disposizione dell’auto al dipendente. La circolare n. 326/E del 1997
(in allegato a “ il fisco” n. 1/1998, pag. 263, n.d.r.) precisa
infatti, al paragrafo 2.3.2.1, che, in caso di addebito di parte
del costo auto al dipendente, ai fini del calcolo della parte
residua di costo, che rappresenta fringe benefit, le somme
addebitate debbono essere considerate al lordo dell’Iva.
Tutto ciò premesso, si ritiene opportuno osservare in via
preliminare che i principi strutturali in materia di Iva postulano la necessità di non applicare l’Iva allorché vengono
ceduti beni a suo tempo acquistati senza poter detrarre, nemmeno parzialmente, la relativa imposta. Questo principio,
espresso in termini normativi dall’art. 13.B.c.1 della VI
Direttiva CEE (n. 77/388 del 17 maggio 1977) - e recepito
dal legislatore nazionale con l’art. 10, n. 27-quinquies), del
D.P.R. n. 633 del 1972, mira ad evitare la doppia imposizione su uno stesso cespite.
12/2000 il fisco 3387
CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI
il fisco
Un principio analogo non è stabilito dalla normativa italiana,
né dalla Direttiva comunitaria, per le prestazioni di servizi attraverso le quali si mette a disposizione di altri un bene acquistato
senza poter detrarre, neppure in parte, la relativa imposta.
Poiché in tale ipotesi si raggiunge un risultato sostanziale
analogo a quello che si otterrebbe tramite la cessione del
bene, sembrerebbe coerente perequare il trattamento tributario dell’operazione a quello proprio della cessione stessa.
La normativa nazionale contiene una norma, quella di cui
al richiamato art. 16, comma 3, la quale potrebbe consentire
di applicare il regime di esenzione anche alle prestazioni in
discorso, se interpretata nel senso di ritenere che essa, pur
facendo espresso riferimento alle aliquote, può essere applicata anche per realizzare la perequazione del regime Iva (esenzione).
Questa interpretazione estensiva è stata già accolta, come
sopra detto, con le circolari sul prestito di uso dell’oro e sul
regime speciale Iva per il commercio dei rottami.
Peraltro, invocare l’art. 16, comma 3, in connessione con
l’art. 10, n. 27-quinquies), per applicare l’esenzione dall’Iva
nel caso dell’auto aziendale concessa in uso dall’azienda al
dipendente dietro corrispettivo, porta a risultati incompatibili con il sistema complessivo dell’imposta sul valore aggiunto.
Il ragionamento fondato sul ripetuto art. 16, comma 3, infatti, dovrebbe applicarsi anche nel caso in cui l’indetraibilità
originaria dell’Iva relativa ai beni acquistati non si ricollega
ad una preclusione oggettiva (cioè all’art. 19-bis1), ma al
fatto che il soggetto acquirente effettua solo operazioni esenti
e quindi non è legittimato ad alcun recupero dell’Iva a
monte. Ma in questo caso si verificherebbe l’effetto, potenzialmente distorsivo della concorrenza, che tutte le locazioni
finanziarie, i noleggi, le locazioni e simili, poste in essere da
soggetti con percentuale di detraibilità pari a zero, sarebbero
assoggettate al regime di esenzione, a prescindere dalla natura
del cespite oggetto dell’operazione.
Ad esempio, un istituto bancario con pro rata di detraibilità zero potrebbe applicare il regime di esenzione a tutte le
locazioni di unità immobiliari strumentali per natura (normalmente soggette all’aliquota del 20 per cento) effettuate.
A ben vedere il fatto che la norma comunitaria volta ad evitare le doppie imposizioni si riferisca solo alle cessioni di beni e
non anche alle prestazioni di servizi risponde ad una logica precisa. Vuole evitare, infatti, la doppia tassazione del bene che si
ricollegherebbe al trasferimento definitivo dello stesso, ma non
intende detassare anche le utilizzazioni che del bene, acquistato
senza operare la detrazione, si facciano prima di cederlo.
In definitiva, si ritiene corretto l’orientamento già affermato da questa Direzione centrale nella richiamata circolare
n. 326/E.
Per quanto concerne la possibile obiezione fondata sul
fatto che l’art. 16, comma 3, è stato ritenuto applicabile a
fattispecie del tutto analoghe, si ritiene che debba porsi l’accento sul fatto che il prestito d’uso d’oro è un contratto che
determina il passaggio della proprietà in capo all’usuario del
metallo, il che avvicina di molto la fattispecie a quella della
cessione.
Per quanto riguarda invece il regime di sospensione dell’imposta previsto per i rottami ed altri materiali di recupero,
l’estensione alle prestazioni concernenti le lavorazioni è stata
motivata dall’esigenza di garantire un trattamento uniforme
al comparto che per la sua peculiarità è assoggettato ad una
particolare disciplina di applicazione del tributo, tesa ad evitare pratiche frodatorie.
●
DEMANIO
Le dismissioni degli immobili
appartenenti allo Stato
Demanio - Beni immobili e diritti reali immobiliari appartenenti allo Stato - Alienazione - Istruzioni - Art. 4 della L. 23
dicembre 1999, n. 488
(CIRCOLARE n. 33/T/U.D.C./17404 del 6 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Territorio - Dir. Centr. Demanio)
il fisco
L’art. 3, comma 99, della L. n. 662/1996, così come
sostituito dall’art. 14, comma 12, della L. n. 449/1997,
aveva previsto, innovando la precedente normativa, la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di alienare beni
immobili e diritti reali immobiliari appartenenti allo Stato,
mediante trattativa privata quando il valore non superava i
300 milioni di lire, ovvero, per importi superiori, mediante
asta pubblica.
Il medesimo articolo aveva contestualmente disciplinato le
modalità di esercizio del diritto di prelazione da parte degli
enti locali, stabilendo termini tassativi entro i quali il medesimo doveva esercitarsi.
Tali disposizioni per il loro carattere fortemente semplificatorio hanno determinato una indiscussa accelerazione nel
processo di dismissione del patrimonio immobiliare statale
consentendo di raggiungere negli ultimi due anni obiettivi
ragguardevoli, con l’ausilio anche di efficaci e autonomi strumenti di cui l’Amministrazione si è dotata e compendiati
nella circolare n. 172/T del 2 luglio 1998 (in “ il fisco” n.
29/1998, pag. 9765, n.d.r.).
3388 il fisco 12/2000
il fisco
Con la L. n. 488/1999, art. 4, è stata ridisegnata, nel breve
volgere del tempo, la disciplina in materia di dismissione del
patrimonio immobiliare statale e in particolar modo è stato
integralmente sostituito il comma 99.
Il testo attuale, che esplicherà i suoi effetti fino alla piena
operatività dell’Agenzia del Demanio, introduce un diverso
sistema di dismissione del patrimonio dello Stato, incentrato
su programmi da definirsi dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il
Ministero delle finanze; l’attuazione dei programmi è demandata al Ministro del tesoro, che vi provvede mediante alienazione ad uno o più soggetti intermediari scelti con procedure
competitive; mentre è attribuito al Ministro delle finanze il
compito di procedere all’alienazione singola dei beni e diritti
immobiliari, anche non compresi nei programmi, a soggetti
diversi dagli intermediari.
Ed è proprio su tale ultima previsione che preme soffermare l’attenzione e fornire istruzioni e chiarimenti agli uffici.
Infatti, a differenza della normativa precedente, quella attuale non reca alcuna disposizione riguardo alle modalità - asta
pubblica e/o trattativa privata - con cui deve procedersi all’alienazione; si prevede tuttavia la possibilità di derogare alle
norme di contabilità dello Stato con l’intento ulteriormente di
semplificare ed accelerare i procedimenti di dismissione.
Emerge, pertanto, la necessità di definire l’ambito e la portata della deroga per consentire agli uffici di procedere all’attività di vendita.
Considerato che la normativa in questione è destinata ad
esercitare i suoi effetti in un arco di tempo limitato e che la
materia è suscettibile di essere modificata da un disegno di
legge ordinamentale collegato alla Finanziaria 2000 la scrivente ritiene opportuno che i provvedimenti di alienazione
continuino ad essere effettuati secondo le disposizioni impartite con circolare n. 172/T.
Ciò trova suo fondamento logico giuridico nel fatto che il
sistema di individuazione del contraente ivi prefigurato
risponde pienamente ai principi di legalità, imparzialità, trasparenza e pubblicità, principi fondamentali nell’ordinamento giuridico, nonché soddisfa i criteri di efficienza, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa.
Nel rispetto di tali principi ed in conformità ai suddetti criteri si ritiene, in sostanza, di poter mantenere il ricorso alla trattativa privata nelle forme e con le modalità già indicate nella citata circolare quando il valore di stima dei beni immobili non
superi i 300 milioni di lire, e di far luogo alla vendita tramite
asta pubblica, quando il valore di stima superi tale importo.
Del pari si ritiene opportuno mantenere la possibilità della
trattativa privata, da esplicarsi con le modalità di cui alla circolare n. 172/T, qualora l’asta pubblica vada deserta.
Per quanto riguarda le procedure inerenti all’espletamento
dell’asta pubblica, si ritiene che, sulla base della facoltà
espressamente riconosciuta dalla legge, possa derogarsi, in via
generale, all’obbligo di far luogo alla pubblicazione del bando
di gara (art. 66 del Regolamento di contabilità generale dello
Stato) sul Foglio Annunzi Legali della provincia in cui avrà
luogo l’asta. Invece la pubblicazione del bando sulla Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana (sedici giorni prima del
giorno fissato per l’incanto), avrà luogo quando il prezzo base
d’asta supera lire un miliardo.
Le modifiche suddette sono apportate nell’ottica di uno
snellimento delle procedure e nella considerazione della scarsa
efficacia di tali forme di pubblicità, che viceversa nei fatti risultano economicamente onerose e proceduralmente macchinose.
L’esigenza della pubblicità viene in effetti ampiamente soddisfatta dalle modalità già indicate nella richiamata circolare n.
172/T (Internet, giornali locali, agenzie, pubblici uffici), che
devono essere potenziate sia attraverso la pubblicazione dell’e-
CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI
stratto del bando di gara su un quotidiano nazionale, sia
mediante affissione dei bandi di gara nelle immediate vicinanze del luogo ove è ubicato l’immobile da alienare, nonché
mediante qualsiasi altro mezzo che si ritenga opportuno. Si
evidenzia che nell’estratto del bando di gara da pubblicarsi sul
quotidiano nazionale, dovrà espressamente essere previsto che
ogni ulteriore più dettagliata informazione potrà essere assunta
anche consultando il sito Internet: “demanio.finanze.it”. In
ogni caso tutte le forme di pubblicità adottate devono essere
espressamente menzionate nel verbale di aggiudicazione.
Resta inoltre fermo l’obbligo di pubblicazione del bando
nell’albo del comune ove è situato il bene nonché, ove l’ufficio lo ritenga opportuno, dei comuni viciniori.
Sempre in tema di asta pubblica si dispone che, alla luce
della soppressione della fase di approvazione, gli uffici, decorsi i termini per l’esercizio del diritto di prelazione da parte
degli enti locali senza che il diritto medesimo sia stato fatto
valere, invitino i soggetti aggiudicatari a corrispondere il
prezzo di vendita entro quindici giorni dalla richiesta.
Nel caso di trattativa privata, ferme restando le procedure
previste nella richiamata circolare n. 172/T, per ovviare agli
inconvenienti più volte verificatisi derivanti dalla mancata
stipula del contratto da parte del migliore offerente, viene
modificato il modulo di domanda già predisposto
dall’Amministrazione in allegato alla circolare predetta,
mediante apposita integrazione che prevede l’impegno dell’interessato, qualora la propria offerta sia risultata la migliore, a versare all’Erario un importo pari al 10 per cento del
prezzo offerto nel caso in cui non partecipi alla stipula del
contratto alla data fissata dall’ufficio (vedi allegato).
Va infine chiarito che per quanto concerne il diritto di
prelazione previsto dal comma 113 dell’art. 3 della L. n.
662/1996, in favore degli enti locali territoriali (comuni, province e regioni), la cui vigenza è mantenuta stante la formulazione del nuovo comma 99, si pone il problema di individuare, per quanto concerne le vendite singole poste in essere
dall’Amministrazione finanziaria, le modalità di esercizio.
Anche in tal caso appare utile e opportuno mutuare le
modalità già previste dalla L. n. 449/1997, art. 14, comma 12,
ora sostituito dalla L. n. 488/1999, in base alle quali sia nel
caso di trattativa privata che in quello dell’asta pubblica, gli
enti locali territoriali devono esercitare il diritto di prelazione
entro i 15 giorni successivi al ricevimento della comunicazione
da parte dell’Ufficio del Territorio. Va altresì precisato che in
analogia a quanto previsto dall’art. 4, comma 11, della legge in
esame, la priorità per l’esercizio del diritto di prelazione è attribuita ai comuni quindi alle province e quindi alle regioni.
Nel richiamare le disposizioni già impartite nella recente lettera n. 3422 del 18 gennaio 2000, si fa riserva di ulteriori
disposizioni per quanto riguarda espressamente la dismissione
del patrimonio destinato ad uso abitativo secondo le previsioni
contenute nel comma 14, dell’art. 4 della L. n. 488/1999.
Infine, si attribuiscono secondo l’allegato prospetto, a ciascuna Direzione compartimentale gli obiettivi di vendita riferiti all’anno in corso, sulla base dell’obiettivo generale assegnato dall’Onorevole Signor Ministro nella direttiva riferita
all’anno 2000.
Si invitano pertanto codeste Direzioni compartimentali a
voler divulgare con la massima sollecitudine il contenuto
della presente ai propri dipendenti uffici, avendo cura di attenersi in maniera scrupolosa alle indicazioni in essa riportate.
La presente circolare è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana.
Allegati: … Omissis …
●
12/2000 il fisco 3389
giurisprudenza-flash del numero 12
ESTREMI
Cassazione, Sez. Unite civ.
Sent. n. 27 del 5 novembre 1999,
dep. il 21 febbraio 2000
BILANCI - Postulato di chiarezza
TITOLO E SINTESI DELLA MOTIVAZIONE
È nulla la delibera di approvazione del bilancio che non rispetti il
principio di chiarezza - Il bilancio di una società che violi i precetti di
chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, comma 2, del codice civile,
anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.Lgs. n.
127/1991 è illecito ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui
esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo di esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore
patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati
non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge
vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (restando in
questi casi composto il contrasto rilevato).
pag. 3390
Comm. Centrale, Sez. XIV
Dec. n. 398 del 19 gennaio 2000,
dep. il 25 gennaio 2000
REGISTRO - Agevolazioni
Le agevolazioni per l’acquisto di immobili danneggiati dal sisma del
1976 - Il requisito previsto di primo acquisto per usufruire dei benefici
fiscali, deve riferirsi ad ogni acquisto di immobile, anche se situato in
altro comune terremotato ed effettuato dal medesimo acquirente ai fini
del ripristino di una sede dell’impresa necessaria per lo svolgimento della
propria normale attività. Verificata l’esistenza per il singolo atto considerato sia del requisito oggettivo che di quello soggettivo previsti dalla norma agevolativa, non può darsi, infatti, al contenuto della stessa una interpretazione restrittiva e, definitiva, contraria ai fini perseguiti.
pag. 3402
3390 il fisco 12/2000
giurisprudenza
2 CORTE DI CASSAZIONE
È nulla la delibera di approvazione
del bilancio che non rispetti
il principio di chiarezza
PROCESSO CIVILE - Petitum e causa petendi - Rapporto di necessaria connessione con l’oggetto della lite Collegamento tra diritto all’informazione e principio di chiarezza - Qualificazione giuridica - Spetta al giudice
- Artt. 101, 112 e 115 del codice di procedura civile
Il giudice di merito nel decidere non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo tenere conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dall’azione dedotta in causa e dalle precisazioni eventualmente formulate
nel corso del giudizio nonché del provvedimento richiesto in concreto, col solo limite della pronuncia richiesta e di non
sostituire d’ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta.
BILANCIO - Finalità - Garanzia di informazioni ai soci ed a terzi - Postulato di chiarezza - Informazioni chieste in assemblea - Discussione per la delibera del bilancio - Integrazione - Art. 2413 del codice civile
Poiché la funzione del bilancio non è solo quella di misurare gli utili e le perdite d’impresa al termine dell’esercizio, ma
anche quella di fornire ai soci ed al mercato tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere, è
evidente che proprio la discussione assembleare che precede la (eventuale) approvazione del bilancio stesso costituisce il
momento privilegiato per ottenere le informazioni dirette a colmare i deficit di conoscenza desumibili dal documento contabile e dalle relazioni di accompagnamento.
BILANCIO - Finalità - Garanzia di informazioni ai soci ed a terzi - Postulato di chiarezza - Informazioni chieste in assemblea - Dovere di risposta degli organi sociali - Limiti - Sindacabilità - Art. 2413 del codice civile
Il diritto di informazione non può essere assoluto dovendo lo stesso essere pertinente agli argomenti posti all’ordine del
giorno ed inoltre gli amministratori possono rifiutarsi di rispondere legittimamente alle richieste di informazione quando
la risposta comporti la diffusione di notizie pregiudizievoli per la società; ma se la domanda è pertinente e non trovi ostacolo in oggettive esigenze di riservatezza deve ricevere una risposta idonea a dissipare le insufficienze, le incertezze, i punti
di carente chiarezza desumibili dai dati di bilancio e dalle relazioni.
BILANCI - Postulato di chiarezza - Rapporto con il principio di verità - Strumentalità - Non sussiste - Autonomia - Sussiste - Violazione - Nullità della delibera di approvazione del bilancio - Sussiste - Artt. 2379 e 2423,
comma 2, del codice civile - D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 - IV Direttiva CEE
Il bilancio di una società che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, comma 2, del codice civile,
anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 127/1991 è illecito ed è quindi nulla la deliberazione
assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una
divaricazione tra il risultato effettivo di esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai
relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna
delle singole poste iscritte (restando in questi casi composto il contrasto rilevato).
BILANCIO - Postulato di chiarimenti - Chiesti dal socio in assemblea - Mancata enucleazione dei motivi di tale
richiesta - Assenza di buona fede nell’esecuzione del contratto sociale - Non rileva - Insufficienza dei dati desu-
12/2000 il fisco 3391
GIURISPRUDENZA
mibili dal bilancio e dagli allegati - Necessità di fornire i chiarimenti richiesti - Sussiste - Artt. 1375 e 2423,
comma 2, del codice civile
Redigere il bilancio con chiarezza è di per sé un obbligo legale degli amministratori, che non postula sollecitazioni,
richieste o segnalazioni di alcun genere; pertanto se a fronte di una appostazione non decifrabile un socio in assemblea di
approvazione del bilancio chiede chiarimenti, non è tenuto affatto ad illustrare agli organi della società “i dubbi o i sospetti” che egli possa o meno nutrire. I chiarimenti vanno forniti in modo adeguato ed effettivo, non essendo ipotizzabile una
gradualità dell’informazione a seconda delle motivazioni addotte per richiederla, perché è motivo congruo l’insufficienza
dei dati desumibili dal bilancio e dai documenti di accompagnamento.
(Oggetto della controversia: impugnazione delibera assembleare)
(CASSAZIONE, SS.UU. civ. - Sent. n. 27 del 5 novembre 1999, dep. il 21 febbraio 2000)
Sostennero ancora che l’istanza di verifica dei criteri adottati
dall’organo amministrativo nella redazione del bilancio non era
fine a se stessa, ma era diretta ad accertare che, mediante una
sopravvalutazione degli impianti e dei macchinari, non fosse
stata in realtà occultata una perdita d’esercizio superiore al terzo del capitale sociale e, conseguentemente, non fosse stata
aggirata la norma recata dall’art. 2446 del codice civile.
Pertanto convennero in giudizio davanti al Tribunale di Monza la L.P. S.p.a., con sede in V., chiedendo che si dichiarassero
nulle, o comunque si annullassero, le delibere tutte assunte dall’assemblea ordinaria della detta società, tenutasi il 7 maggio
1991, con ogni conseguenza di legge.
La società si costituì per resistere alla domanda, della quale
chiese il rigetto. Essa rilevò che la richiesta degli attori, diretta a
prendere visione dei documenti utilizzati dall’organo amministrativo per la redazione del bilancio, da un lato appariva superflua,
attesi i chiarimenti forniti nel corso del dibattito assembleare dal
presidente del consiglio di amministrazione e dal presidente del
collegio sindacale, dall’altro non trovava supporto giuridico, non
sussistendo un diritto di informazione del singolo socio così
ampio come quello che gli attori avevano preteso di esercitare.
Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 14 agosto 1993,
rigettò la domanda e condannò gli attori al pagamento delle
spese giudiziali, considerando:
La Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite civili, composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Andrea Vela (Primo Presidente), Dott. Antonio Iannotta (Presidente di sezione), Dott.
Francesco Amirante (Presidente di sezione), Dott. Alessandro
Criscuolo (Relatore), Dott. Giuseppe Ianniruberto, Dott. Raffaele Corona, Dott. Giovanni Olla; Dott. Alfio Finocchiaro, Dott.
Paolo Vittoria (Consiglieri), ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso proposto da L.P. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,
presso lo studio dell’avvocato P.R., che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati G.P., A.P., giusta delega a margine del
ricorso;
ricorrente
contro
A.B., M.A.T., elettivamente domiciliati in Roma, presso lo
studio dell’avvocato A.A. che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati V.O., G.E.C., giusta delega a margine del controricorso;
controricorrenti
Fatto
Con citazione notificata il 29 luglio 1991 i signori A.B. e
M.A.T., azionisti della L.P. S.p.a., impugnarono la delibera adottata dall’assemblea della società il 7 maggio 1991, con la quale
era stato approvato il bilancio di esercizio al 31 dicembre 1990
previo voto contrario degli attori.
Essi addussero che, nel corso dell’assemblea, erano state
disattese le richieste, dai medesimi avanzate, dirette ad ottenere chiarimenti in ordine all’incremento, per oltre un miliardo di
lire rispetto all’anno precedente, della valutazione degli
“impianti e macchinari” inserita nell’attivo del bilancio, e che,
in particolare, non era stato consentito loro di esaminare l’elaborato e la documentazione utilizzati dall’organo amministrativo per introdurre in bilancio la voce in contestazione.
Aggiunsero che la mancata evasione, nel corso dell’assemblea, delle legittime richieste di chiarimenti formulate costituiva violazione del loro diritto all’informazione quali soci, nonché una sopraffazione da parte dei soci di maggioranza.
il fisco
avverso la sentenza n. 1460/95 della Corte d’appello di Milano, depositata il 23 maggio 1995;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 5 novembre 1999 dal Consigliere Dott. Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati P.R., G.P., per la ricorrente, G.E.C., per i
controricorrenti;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. Massimo Fedeli che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Che, ad avviso degli attori, il diritto di informazione loro
spettante non era stato realizzato dai generici chiarimenti e
dalle assicurazioni fornite in assemblea dal presidente del collegio sindacale, il quale si era limitato ad asserire di avere esaminato la documentazione inerente alla voce di bilancio “impianti
e macchinari” e di averla trovata “regolare e conforme”, laddove tale diritto doveva ritenersi esteso all’analisi della documentazione utilizzata dall’organo amministrativo per redigere il
bilancio, affinché il socio potesse avere la più ampia cognizione
dei fatti sui quali era chiamato ad esprimere il proprio voto;
Che tale opinione non andava condivisa sulla base della ricostruzione sistematica della vigente disciplina societaria, la quale differenziava il diritto di informazione del socio in relazione
all’esistenza o meno nella società del collegio sindacale;
Che, ai sensi dell’art. 2489 del codice civile (concernente le
società a r.l. ma da ritenere espressione di un principio generale
in ordine alle competenze ed alle conseguenti responsabilità dei
vari organi sociali), “nelle società in cui non esiste il collegio
sindacale, ciascun socio ha diritto di avere dagli amministratori
notizia dello svolgimento degli affari sociali e di consultare i
libri sociali”;
Che, per contro, l’art. 2429 del codice civile dispone che il
socio di società per azioni (nella quale il collegio sindacale è
obbligatorio), durante i quindici giorni precedenti l’assemblea,
può prendere visione del bilancio, delle relazioni degli amministratori e dei sindaci, non già di altri atti o documenti, per l’esistenza di un organo (il collegio sindacale) preposto al controllo
della corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle
scritture contabili e all’osservanza delle norme stabilite dall’art.
2426 del codice civile per la valutazione del patrimonio sociale;
Che a tale organo, e non anche ai soci, la legge attribuisce il
diritto di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento
3392 il fisco 12/2000
GIURISPRUDENZA
delle operazioni sociali o su determinati affari, nonché di procedere ad atti di ispezione o di controllo.
I signori A.B. e M.A.T. proposero appello, lamentando la confusione operata dal primo giudice tra i controlli sull’amministrazione (incontestabilmente riservati al collegio sindacale) e
le richieste di informazioni che i soci avevano diritto di formulare in sede assembleare e che potevano essere necessarie per
esprimere un voto cosciente e meditato.
Contestarono l’assunto di controparte, secondo cui la relazione al bilancio avrebbe dato tutte le informazioni e la voce
“impianti e macchinari” sarebbe risultata già “dettagliatamente
illustrata e particolareggiata”, replicando che per tale voce l’incremento di oltre un miliardo era spiegato (quanto a 756 milioni) con la vaga formula “spese per ultimazione dei lavori di
ripristino e di adattamento degli impianti” e null’altro.
Chiesero quindi che, in riforma della sentenza appellata, si
dichiarasse nulla o si annullasse la delibera di approvazione del
bilancio al 31 dicembre 1990, con ogni conseguenza di legge.
La società si costituì per resistere al gravame, sostenendo (tra
l’altro) che il bilancio e la relazione degli amministratori ad
esso connessa soddisfacevano pienamente ai requisiti di chiarezza e precisione delle singole poste iscritte e fissate dalla legge, rispondendo in modo chiaro e completo alle esigenze di
puntuale informazione ai soci.
La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1460/95 depositata il 23 maggio 1995, in riforma della decisione impugnata
dichiarò la nullità della delibera di approvazione del bilancio al
31 dicembre 1990 assunta dall’assemblea della L.P. S.p.a. in
data 7 maggio 1991 e condannò la detta società al pagamento
delle spese giudiziali del doppio grado.
La Corte distrettuale osservò:
il fisco
Che la ragione dell’impugnativa della delibera stava nella
mancata evasione della richiesta avanzata dagli appellanti,
diretta ad ottenere chiarimenti sull’incremento di oltre un
miliardo, concernente una voce dell’attivo di bilancio (impianti
e macchinari), in asserita violazione del diritto di informazione
dell’assemblea e dei soci;
Che tale diritto si era - almeno inizialmente - manifestato in
una richiesta di fornire in visione all’assemblea l’elaborato e la
relativa documentazione contabile, utilizzata dall’organo
amministrativo per inserire in bilancio la voce in contestazione;
Che un diritto all’informazione, comprensivo dell’ispezione e
consultazione delle scritture contabili e dei documenti sociali,
non aveva supporto normativo, in quanto i soci avevano diritto
di visura del libro soci e del libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari [art. 2422 con rinvio all’art. 2421, nn. 1) e
3), del codice civile], nonché della relazione degli amministratori sull’andamento della gestione sociale (art. 2429-bis del
codice civile con rinvio all’art. 2423 del codice civile) e di quella
dei sindaci (art. 2432 del codice civile), ma non il diritto di consultare elaborati tecnici, scritture contabili e quant’altro potesse influenzare la formazione delle poste in bilancio;
Che soltanto eventualmente, nelle società prive del collegio
sindacale, la seconda parte dell’art. 2489 del codice civile autorizza i soci rappresentanti almeno 1/3 del capitale sociale a fare
eseguire la “revisione” annuale della gestione sociale, ritenuta
da dottrina e giurisprudenza come una forma di controllo dei
libri contabili;
Che su tali rilievi convenivano in sostanza gli stessi appellanti, i quali, nelle difese conclusive, sembravano circoscrivere
l’oggetto del gravame non sulla (incontestata) inesistenza di
uno ius singulare spettante al socio di effettuare controlli sull’amministrazione, mediante richiesta di esibizione di atti e
documenti ulteriori rispetto a quelli il cui esame era consentito
dalla legge, ma piuttosto su negati o comunque insufficienti ed
insoddisfacenti chiarimenti forniti ai soci per metterli in grado
di esercitare un voto consapevole in assemblea;
Che, in ordine a questa seconda questione, la Corte doveva
convenire che il diritto all’informazione - funzionale al diritto
di voto (come pure al diritto di discussione sull’ordine del giorno) - sarebbe stato compromesso se le notizie richieste fossero
state rifiutate o in qualche modo eluse con risposte generiche
ed inconcludenti;
Che il principio della chiarezza, costituente caposaldo nell’evoluzione verso la trasparenza della disciplina riguardante il
bilancio di esercizio in generale, e la relazione degli amministratori in particolare (transitata dalla riforma del 1974 all’attuazione della IV Direttiva CEE del 31 luglio 1978, mediante la
rinnovellata normativa societaria con il D.Lgs. n. 127 del 1991),
trova naturale corollario proprio nelle regole dell’informazione,
suscettibile di maggiore o minore ampiezza in sede assembleare di approvazione del bilancio, secondo l’esposizione illustrativa della gestione sociale nella relazione di accompagnamento,
salvi le valutazioni di opportunità e i controlli di legittimità
rimessi esclusivamente agli organi amministrativi e sindacali;
Che la relazione non doveva specificare la meccanica economica di tutti gli atti compiuti, ma doveva fornire dati sintetici e pur
tuttavia precisi circa l’iter contabile di formazione (specialmente
con riferimento agli investimenti, ai costi ed ai prezzi (art. 2429bis del codice civile) appunto allo scopo di consentire un giudizio
consapevole sulla redditività e sulle prospettive dell’impresa;
Che, in definitiva, al socio non si poteva precludere o comprimere il diritto ad una informazione corretta ed esauriente sulla
vita societaria, fornendogli i dettagli e i chiarimenti richiesti in
sede assembleare, ove le occorrenti spiegazioni non fossero già
ricavabili dall’analisi della relazione al bilancio degli amministratori;
Che, nel caso in esame, la legittima aspettativa del socio non
era stata compiutamente esaudita;
Che, infatti, nella riunione assembleare il presidente del collegio sindacale, dopo la precisazione di avere controllato la
documentazione a sostegno della contestata posta in bilancio e
di averla trovata regolare, a fronte della richiesta dei soci “se i
costi di che trattasi presentassero effettivamente una utilità pluriennale e costituissero vere e proprie migliorie incrementative
degli impianti stessi ovvero manutenzione più o meno ordinaria”, aveva spiegato che “la società stava convertendo gli
impianti nel passato destinati all’attività di produzione di olii
minerali in quella del tutto recente di sola commercializzazione
degli stessi”;
Che, evidentemente, si trattava di una non-risposta costituendo essa una mera affermazione tautologica, inidonea a fornire
spiegazioni sul contenuto alternativo della domanda posta dai
soci, i quali volevano in sostanza conoscere la natura della spesa, in cosa essa era materialmente consistita e quali impianti
aveva interessato, per rendersi conto se i costi sostenuti dalla
società fossero stati realmente incrementativi del valore, come
condizione per la loro iscrizione all’attivo, oppure in tutto o in
parte spese di manutenzione;
Che ben a ragione era stata formulata la domanda di chiarimento, perché il lettore del bilancio e della relazione degli
amministratori non avrebbe potuto ivi rinvenire la “spiegazione
contabile” per fugare le perplessità legittimamente insorte, a
fronte di una operata rivalutazione (oltre a quelle previste dalla
legge) di lire 1.054.490.899, come si desumeva dal tenore della
detta relazione del consiglio di amministrazione (riportata, in
parte qua, nella sentenza della Corte territoriale), le cui enunciazioni non sembravano sufficienti a realizzare il diritto del
socio di prendere contezza del percorso logico, attraverso il
quale si perveniva al risultato esposto e dei criteri di contabilizzazione seguiti, tra l’altro sottoposti, per le spese pluriennali,
all’accordo del collegio sindacale [art. 2426 del codice civile,
poi trasfuso, ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 127 del 1991, nell’art. 2426, n. 5), del codice civile];
Che nulla era spiegato sulle modalità di incremento del valore patrimoniale e sulla capitalizzazione della spesa, con riguardo al fenomeno concreto venuto a realizzarsi in termini di lavori compiuti, costi sostenuti e relative causali);
Che la relazione conteneva delle “conclusioni”, non delle
“spiegazioni” e tali lacune, non colmate nell’appropriata sede
assembleare, caratterizzata da mere risposte reiterative dell’affermazione che si trattava di spese di ristrutturazione, senza
ulteriori ragguagli per una chiara comprensione della realtà
della posta e della corretta metodologia di valutazione, si riflettevano sulla stessa validità della delibera di approvazione del
bilancio, viziata da radicale nullità ai sensi dell’art. 2379 del
codice civile;
12/2000 il fisco 3393
GIURISPRUDENZA
Che le norme sui criteri di redazione del bilancio erano
poste, infatti, a tutela di un interesse generale, trascendente
quello dei singoli soci, mentre la lesione del diritto all’informazione, non riparata nelle sedi opportune per consentire attraverso il voto la formazione della volontà sociale, rendeva illecita
la delibera di approvazione.
Contro la suddetta sentenza la L.P. S.p.a., in persona del presidente del consiglio di amministrazione G.T., ha proposto
ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
I signori A.B. e M.A.T. resistono con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 del
codice di procedura civile.
La causa è stata assegnata alle Sezioni Unite civili di questa
Corte per il contrasto manifestatosi in giurisprudenza in ordine
al principio di chiarezza nel bilancio delle società di capitali.
Diritto
il fisco
Deve essere esaminato con priorità, per ragioni di ordine
logico, il terzo mezzo di cassazione.
Con esso la società ricorrente, sono la rubrica “violazione e
falsa applicazione degli artt. 101, 112 e 115 del codice di procedura civile; art. 360, n. 3), del codice di procedura civile; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione: art. 360, n. 5),
del codice di procedura civile”, deduce che la Corte di appello
di Milano sarebbe incorsa in un patente vizio di extrapetizione,
avendo ravvisato la nullità della delibera di approvazione del
bilancio nella violazione delle “norme sui criteri di redazione
del bilancio”, ed avendo affermato che il diritto all’informazione dei soci sarebbe stato “leso dall’incomprensibilità delle iscrizioni ed appostazioni, non diversamente ovviata nelle sedi
opportune”.
Il diritto all’informazione ritenuto leso dalla Corte di merito
non sarebbe, pertanto, il diritto ad ulteriori informazioni e
chiarimenti in assemblea, la cui violazione porterebbe, semmai,
alla declaratoria di annullabilità della delibera, ma addirittura e
sicuramente la violazione del principio di chiarezza e precisione del bilancio, avendo la Corte medesima ritenuto nulla la
delibera per la riscontrata oscurità della posta “impianti e macchinari” (oscurità, oltretutto, desunta sulla base di un’errata
qualificazione delle spese affrontate in ordine agli impianti e
macchinari come spese di impianto e di avviamento, ex art.
2426 del codice civile).
Tuttavia mai gli attori appellanti avrebbero chiesto o dedotto
che la delibera che approvava il bilancio della L.P. S.p.a. fosse
annullabile o nulla per violazione delle norme in tema di chiara
e precisa redazione del bilancio e di corretta redazione degli
allegati al bilancio, avendo essi chiaramente fondato le proprie
affermazioni di invalidità della delibera esclusivamente sulla
mancata informazione ai soci in sede assembleare.
Soltanto sul sufficiente o insufficiente soddisfacimento del
diritto di informazione in sede assembleare si sarebbero imperniate le difese degli attuali resistenti, nel conto del giudizio di
appello (come anche di quello di primo grado), mentre mai in
nessun atto difensivo si sarebbe contestata la correttezza dell’appostazione in sé e la sua conformità ai criteri di legge ed ai
principi contabili individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
La Corte milanese, dunque, avrebbe pronunciato la nullità
della delibera assembleare fondandosi su un motivo non dedotto dagli attori in giudizio.
Né sarebbe sostenibile che essa potesse d’ufficio esaminare
vizi non specificamente fatti valere con l’atto di appello. Invero,
come statuito da questa Corte (Cass., 29 aprile 1994, n. 4177),
“l’impugnazione di una deliberazione societaria esige la specifica deduzione delle ragioni di nullità che si ritiene la inficino, in
modo che la materia del contendere risulti precisamente definita, in relazione sia alla delimitazione dell’ambito entro e non
oltre il quale devono esercitarsi i poteri decisori del giudice, sia
al rispetto del principio del contraddittorio”.
Il motivo non ha fondamento.
Si deve premettere che, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito non
è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli
tenere conto, piuttosto, del contenuto sostanziale della pretesa
come desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché del
provvedimento richiesto in concreto, con i soli limiti di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla
richiesta e di non sostituire d’ufficio una diversa azione a quella
formalmente proposta (Cass., 24 settembre 1999, n. 10493; 20
marzo 1999, n. 2574; 15 gennaio 1999, n. 383; 12 gennaio 1999,
n. 258).
E si deve aggiungere che non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che accolga un’istanza la quale, pur non espressamente formulata, possa ritenersi implicitamente proposta e
virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio,
quando la domanda stessa, con particolare riguardo al petitum
e alla causa petendi, si trovi in rapporto di necessaria connessione con l’oggetto della lite e non estenda il diritto che l’attore
ha inteso tutelare con l’azione proposta (Cass., 13 aprile 1999,
n. 3613; 20 maggio 1997, n. 4461).
Tanto chiarito si osserva che, come risulta dagli atti (di cui
questa Corte deve prendere diretta cognizione, essendo dedotto
un error in procedendo), gli attuali resistenti fin dalla citazione
introduttiva avevano chiesto che si dichiarasse la nullità, o
comunque si pronunziasse l’annullamento, della delibera di
approvazione del bilancio al 31 dicembre 1990, affermando che
“La mancata evasione della richiesta di adeguati chiarimenti
sull’incremento per oltre un miliardo di lire che avrebbe interessato, nell’esercizio 1990, impianti e macchinari della società,
costituisce una patente violazione del diritto di informazione
dell’assemblea (ed anche dei singoli soci che ne fanno parte)”
(vd. pag. 4 della citazione).
Il petitum, dunque, era inequivoco nel domandare, in primo
luogo la declaratoria di nullità; e le ragioni di tale domanda
venivano indicate nella violazione del diritto dell’assemblea e
dei soci ad essere informati, violazione conseguente alla mancata evasione della richiesta di adeguati chiarimenti, che rendeva non comprensibile, perché non chiara, quella posta di bilancio. Già con la proposizione della domanda, pertanto, veniva in
evidenza il collegamento tra diritto all’informazione e principio
di chiarezza (su tale collegamento si tornerà in prosieguo, in
particolare trattando del primo e del secondo mezzo di cassazione).
Il tema è poi ripreso da A.B. e da M.A.T. con l’atto di appello
nel quale, pur ponendosi l’accento sul diritto all’informazione
non soddisfatto, con conseguente impossibilità di esprimere un
voto cosciente e meditato, è ribadita l’esigenza di poter chiedere chiarimenti e dettagli per dare significato e contenuto alla
“vaga formula” dedicata dalla relazione al bilancio alla voce in
questione (vd. pagg. 5-6 dell’atto di appello). E nelle conclusioni
del medesimo atto è riproposta, in via principale, la domanda
di nullità.
Del resto, che si discutesse anche del principio di chiarezza
(art. 2423, comma 2, del codice civile, nel testo anteriore alla
riforma attuata ad opera dell’art. 2 del D.Lgs. 9 aprile 1991, n.
127) e che il diritto all’informazione fosse funzionale a tale
principio, è aspetto ben colto dalla società attuale ricorrente,
nella cui comparsa di costituzione in appello si legge: “Sotto
questo profilo, il bilancio della L.P. e la relazione degli amministratori ad esso connessa soddisfacevano appieno ai requisiti di
chiarezza e precisione delle singole poste iscritte fissate dalla
legge, rispondendo in modo chiaro e completo alle esigenze di
puntuale informazione ai soci” (pag. 11).
Conseguentemente, il presunto vizio di extrapetizione non
sussiste, in quanto la Corte distrettuale, nel richiamare il principio della chiarezza, altro non ha fatto che enucleare il contenuto sostanziale della domanda. Infatti, come ben si esprime la
sentenza impugnata, quel principio trova naturale corollario
proprio nelle regole dell’informazione in assemblea, onde la
violazione del relativo diritto (se accertata), lasciando in ombra
i punti controversi, si traduce appunto in violazione del principio suddetto.
Perciò non è esatto che la Corte milanese abbia pronunciato
la nullità della delibera assembleare fondandosi su un motivo
non dedotto in giudizio. Il motivo costituiva invece componente logica necessaria della pretesa azionata, alla stregua delle
3394 il fisco 12/2000
il fisco
considerazioni fin qui svolte, che rendono non pertinente il
richiamo alla statuizione di questa Corte n. 4177 del 1994.
Di qui l’infondatezza della censura.
Con il primo mezzo di cassazione la società ricorrente
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2261, 2320,
comma 3, 2377 e 2379, 2403, 2489, 2422, 2432 (vecchio testo)
del codice civile, in relazione all’art. 360, n. 3), del codice di
procedura civile; violazione e falsa applicazione degli artt.
2423, 2424, 2425, 2426, 2429-bis (vecchio testo) del codice civile; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto
decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 5), del
codice di procedura civile.
La sentenza impugnata, dopo avere affermato correttamente
che il diritto all’informazione non comporta il diritto di consultare elaborati tecnici, scritture contabili e quant’altro possa
influenzare la formazione delle poste in bilancio, avrebbe (limitato il thema decidendum alla verifica dell’ampiezza (e così del
rispetto) del diritto all’informazione del socio in sede di assemblea e delle conseguenze della sua violazione sulla delibera di
approvazione del bilancio. In questa disamina, però, essa
avrebbe dilatato i limiti di tale diritto fino a comprendervi indirettamente la pretesa alla conoscenza dei documenti contabili
che poche pagine prima avrebbe escluso.
Potrebbe convenirsi con la generica asserzione della Corte
territoriale, secondo cui al socio andrebbe data un’informazione tale da consentirgli “un giudizio consapevole” sulla redditività e sulle prospettive dell’impresa e di esprimere “un voto
cosciente”; sarebbe invece illegittimo affermare (nella specie)
che la domanda di chiarimento sull’incremento della posta
“impianti e macchinari” poteva essere agevolmente soddisfatta
“riferendo a campione di talune voci significative di spesa e della loro causale”. Ciò equivarrebbe a sostenere che i dati risultanti da documenti e scritture che non devono per legge essere
esibiti, devono tuttavia essere letti in assemblea, sia pure a
campione; e tale ragionamento sarebbe contraddittorio, finendo col privare di contenuto l’enunciazione di principio circa l’inesistenza di un diritto dei soci alla consultazione dei documenti e delle scritture sociali.
Il riferimento di voci a campione non potrebbe arrestarsi per
determinazione del presidente dell’assemblea, quando il socio,
dopo una prima “campionatura”, volesse conoscerne altre in
ordine alla posta che lo interessa, onde la lettura delle voci e
delle causali verrebbe a corrispondere nella sostanza alla consultazione dei documenti giustificativi.
Un simile dilatato diritto a conoscere i dati “giustificativi”
delle poste e delle risultanze di bilancio e delle affermazioni
contenute nella relazione degli amministratori non sarebbe
però conforme alla disciplina delle società per azioni, come
risultante dalla normativa richiamata nella rubrica del motivo
e, segnatamente, dall’art. 2432 del codice civile, che attribuisce
al solo collegio sindacale il controllo del bilancio e della relazione alla luce dei documenti giustificativi, mentre i soci avrebbero unicamente il diritto di prendere visione del bilancio e delle
relazioni degli amministratori e dei sindaci.
Nel caso in esame, secondo la sentenza, il diritto all’informazione circa l’incremento della posta “impianti e macchinari”
non sarebbe stato soddisfatto: a) né dalla risposta in assemblea
del presidente del collegio sindacale, secondo cui le spese
sarebbero state riferite alla conversione degli impianti; b) né
dalla specificazione (contenuta nella relazione degli amministratori) che gli incrementi della posta erano dovuti “a ingenti e
costosi lavori per la ristrutturazione dei serbatoi stessi e degli
impianti accessori”; c) né dalla illustrazione delle specifiche
cifre dell’incremento.
Invece proprio queste convergenti notizie avrebbero costituito l’informazione richiesta dalla legge. Resterebbe soltanto da
stabilire se davvero l’informazione medesima dovesse avere un
contenuto maggiore, dovesse cioè, come opinato dal giudice di
appello, “dare contezza del percorso logico attraverso il quale si
perviene a quel risultato e dei seguiti criteri di contabilizzazione” e spiegare “le modalità di incremento del valore patrimoniale e la capitalizzazione della spesa con riguardo al fenomeno
concreto venuto a realizzarsi in termini di lavori compiuti,
costi sostenuti e afferenti causali”.
GIURISPRUDENZA
Ma tale configurazione del diritto de quo non troverebbe
conforto nella legge, con la quale anzi sarebbe in contrasto.
Se gli amministratori e i sindaci dovessero dare conto del
percorso logico, dei lavori compiuti (da indicare singulatim),
dei costi sostenuti (del pari da indicare in dettaglio) e delle singole causali, ne deriverebbero conseguenze sufficienti a dimostrare l’insostenibilità dell’orientamento espresso dalla sentenza
impugnata.
Per un verso resterebbe superata la normativa riguardante il
bilancio e le relazione allegate, mentre quella normativa
dovrebbe essere il reale ancoraggio per la veridicità e la chiarezza del bilancio; per un altro verso si andrebbe incontro a
pericolosi esiti in ordine al funzionamento delle assemblee
sociali, chiamate ad approvare il bilancio di esercizio. Tali
assemblee resterebbero alla mercé dei capricciosi voleri di soci
disturbatori o incompetenti, estrosi o emulativi. In sintesi, l’andamento delle sedute assembleari, specialmente nelle grosse
società, rischierebbe di diventare ingovernabile e questa conseguenza sarebbe rivelatrice della insostenibilità del principio.
L’errore della Corte milanese, sul piano giuridico, consisterebbe appunto nell’aver pensato il diritto all’informazione come
una specie di diritto assoluto, mentre al contrario sarebbe un
diritto configurabile in specifica relazione alla quantità, tipo e
grado di notizie che la normativa impone agli amministratori
ed ai sindaci di fornire ai soci per la specifica delibera in approvazione.
Nessuna norma in tema di criteri di redazione del bilancio e
delle relazioni degli amministratori e dei sindaci richiederebbe
un grado di analiticità di informazione come quello indicato
dalla sentenza impugnata. Nessuna norma imporrebbe che di
ciascuna posta del bilancio venga fornita la spiegazione contabile, o che sia descritto il percorso logico attraverso il quale si
perviene ad un certo risultato, o che siano spiegate le modalità
di incremento del valore patrimoniale di un determinato bene,
con riguardo al fenomeno concreto venuto a realizzarsi, in termini di lavori compiuti, costi sostenuti e relative causali.
Al contrario, l’art. 2429-bis del codice civile, elencando i dati
più specifici che in ogni caso devono risultare dalla relazione,
richiederebbe - per quanto interessa la fattispecie - la specificazione dei “criteri seguiti nella valutazione delle varie categorie
di beni e le loro eventuali modifiche rispetto al bilancio del precedente esercizio” [n. 1), comma 2] e la specificazione delle
“variazioni intervenute nella consistenza delle partite dell’attivo
e del passivo” [n. 3), comma 2].
Informazioni, queste, che sarebbero state fornite con riguardo alla voce “impianti e macchinari” nel bilancio e nella relazione degli amministratori della L.P., essendo stato ivi specificato che i criteri di valutazione dei cespiti non avevano subito
modifiche rispetto ai precedenti bilanci, essendo state segnalate
sia l’entità dell’incremento della posta impianti e macchinari,
sia le ragioni (mutamento del tipo di utilizzazione degli
impianti) che avevano richiesto i lavori di conversione-ristrutturazione-adeguamento degli impianti stessi, ed essendo stato
indicato il valore dei singoli cespiti come rivalutati ex lege.
La Corte milanese, poi, sarebbe incorsa in un altro errore di
diritto, nel determinare l’ampiezza dell’informazione dovuta
qualificando le spese capitalizzate come spese di impianto e di
avviamento ex art. 2426 del codice civile.
I costi di “ripristino e di adattamento degli impianti” sarebbero pacificamente costi che possono essere capitalizzati, cioè
aggiunti al costo iniziale del bene iscritto all’attivo, in quanto
abbiano comportato e comportino un incremento del valore di
utilizzazione del bene.
Non si tratterebbe, invece, di spese riconducibili al punto 6)
dell’art. 2429-bis, comma 2, né - come affermato dalla Corte
d’appello - di spese di impianto e di ampliamento ex art. 2426.
Queste ultime sarebbero quelle sostenute per la costituzione
della società o per l’aumento di capitale e, secondo una recente
innovativa dottrina, anche quelle per la costituzione o l’ampliamento dell’azienda sociale. Non rientrerebbero, invece, in tale
categoria di spese quelle sostenute dalla L.P. per il ripristino e
la conversione degli impianti e macchinari, sicché il richiamo
della Corte d’appello al citato art. 2426 del codice civile sarebbe
non pertinente, anzi errato.
12/2000 il fisco 3395
GIURISPRUDENZA
il fisco
Se rettamente intese come spese incrementative del valore dei
beni, iscrivibili per ciò stesso direttamente a maggior valore di
bilancio del bene interessato dall’incremento, nessuna norma
sui criteri di redazione del bilancio risulterebbe violata dalla L.P.
Il motivo non ha fondamento.
Non è contestato (né potrebbe seriamente esserlo) che in
sede di assemblea, i soci intervenuti abbiano diritto non soltanto ad esprimere la propria opinione sugli argomenti all’ordine
del giorno, ma anche a richiedere informazioni e chiarimenti
sia sulle materie oggetto di deliberazione sia sull’andamento
della gestione sociale. Ciò vale, ovviamente, anche e soprattutto
in sede di assemblea per l’approvazione del bilancio. D’altro
canto, poiché la funzione del bilancio non è soltanto quella di
misurare gli utili e le perdite dell’impresa al termine dell’esercizio, ma anche quella di fornire ai soci ed al mercato tutte le
informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere, è evidente che proprio la discussione assembleare che
precede la (eventuale) approvazione del bilancio stesso costituisce il momento privilegiato per ottenere le informazioni dirette
a colmare i deficit di conoscenza desumibili dal documento
contabile e dalle relazioni di accompagnamento.
Tale indirizzo trova oggi espresso riscontro normativo nel
testo dell’art. 2423 del codice civile, in tema di redazione del
bilancio, come sostituto dall’art. 2 del D.Lgs. 9 aprile 1991, n.
127 (attuativo delle Direttive n. 78/660/CEE e n. 83/349/CEE in
materia societaria). Il comma 3 di detta norma, infatti, dispone
che, se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di
legge non sono sufficienti a dare un’informazione veritiera e
corretta, si devono fornire le informazioni complementari
necessarie allo scopo. Ma la funzione informativa del bilancio e
il correlato diritto all’informazione trovavano già saldo aggancio nella normativa precedente e, in particolare, proprio nel
dettato dell’art. 2423 del codice civile (vigente all’epoca cui si
riferisce la delibera impugnata), dal momento che anche quel
dettato enuncia il principio di chiarezza, cui è collegato il diritto all’informazione, finalizzato a consentire l’espressione in
assemblea di un voto cosciente e meditato appunto perché
basato su un’adeguata conoscenza dei dati.
Certamente si pone il problema di determinare l’estensione
di tale diritto, che non può essere assoluto (né la sentenza
impugnata lo afferma). In proposito, e fermo il punto che il suo
esercizio deve essere pertinente agli argomenti posti all’ordine
del giorno, è da ritenere in via generale che gli amministratori
(o chi per essi) possano rifiutarsi legittimamente di rispondere
alla domanda di informazione, quando la risposta comporti la
diffusione di notizie destinate a rimanere riservate e la cui diffusione possa arrecare pregiudizio alla società (salva la verifica
in sede giudiziaria della legittimità di tale comportamento).
Ma, quando la domanda sia pertinente e non trovi ostacolo
in oggettive esigenze di riservatezza, essa deve ricevere una
risposta che, seppure modulata sul tipo, sulla quantità e sullo
scopo delle informazioni richieste, deve essere concreta ed adeguata, vale a dire idonea a dissipare le insufficienze, le incertezze, i punti di carente chiarezza desumibili dai dati di bilancio e
dalle relazioni.
In altre parole, il diritto all’informazione deve trovare una
realizzazione effettiva e non già ricevere una risposta di mera
apparenza. D’altro canto, esso non è fine a se stesso. Poiché le
informazioni fornite in assemblea sono destinate a soddisfare
l’interesse ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio (col risultato, tra l’altro, di far venire
meno l’interesse del socio ad eventuali impugnative della delibera di approvazione), risulta evidente il rapporto strumentale
che quel diritto presenta col principio di chiarezza. Come dianzi si è accennato, la sua prioritaria ragion d’essere riposa
appunto sull’esigenza di rimuovere gli aspetti di insufficienza o
di oscurità che si possano cogliere nell’esposizione dei dati contabili: e dunque esso non può dirsi realizzato quando le risposte
alle domande avanzate in assemblea dal socio siano sommarie,
inadeguate o meramente assertive.
L’accertamento al riguardo si traduce in un apprezzamento
di fatto spettante al giudice di merito e non sindacabile in sede
di legittimità, se sorretto da congrua motivazione immune da
vizi logici.
Alla stregua di tali considerazioni, la sentenza impugnata si
sottrae alle censure formulate dalla società ricorrente col motivo in esame.
Non è esatto, in primo luogo, che la Corte di merito abbia
dilatato eccessivamente i limiti del diritto all’informazione,
Essa ha osservato che tale diritto resterebbe compromesso se
le notizie richieste fossero rifiutate o eluse con risposte generiche e inconcludenti; ha rilevato che il principio della chiarezza
trova naturale corollario proprio nelle regole della informazione, ponendo in rilievo che questa è suscettibile di maggiore o
minore ampiezza in sede assembleare di approvazione del
bilancio, a seconda che minore o maggiore risulti l’esposizione
illustrativa della gestione sociale nella relazione di accompagnamento; ha rimarcato che il diritto del socio ad ottenere una
informazione corretta ed esauriente sulla vita societaria non
può essere precluso o compresso, aggiungendo che, se l’informativa non va spinta fino a riconoscergli un diritto alla “ispezione” della documentazione contabile, essa va comunque soddisfatta con ragionevoli dettagli e chiarimenti forniti in sede
assembleare, qualora le spiegazioni non siano già ricavabili dall’analisi della relazione al bilancio; è quindi passata all’esame
della fattispecie concreta.
Orbene, in questo percorso logico (in tutto coerente con le
considerazioni sopra svolte circa contenuto e limiti del diritto
all’informazione) non si coglie alcuna dilatazione di quel diritto, che risulta anzi definito con sufficiente precisione. Il passaggio argomentativo, per cui la domanda di chiarimenti sull’incremento della posta “impianti e macchinari” poteva essere
soddisfatta riferendo a campione di talune voci significative di
spesa e delle loro causali, non significa imporre la lettura in
assemblea dei dati risultanti da documenti e scritture che non
devono per legge essere esibiti.
A parte il rilievo che si tratta di un esempio (e cioè di un
argomento ad abundantiam, com’è reso palese dal fato che la
proposizione è collocata tra parentesi), il riferire voci e causali
di spesa costituisce uno dei possibili modi di rispondere in termini concreti alle esigenze informative rappresentate dal socio,
ma non equivale certo a costringere amministratori e sindaci a
leggere in assemblea documenti e scritture, onde l’argomento si
rivela suggestivo ma privo di fondamento, con conseguente
insussistenza delle denunziate violazioni di legge.
È vero, poi, che il controllo della correttezza delle iscrizioni a
bilancio e della loro corrispondenza con i sottostanti dati giustificativi appartiene al collegio sindacale. Ma ciò non preclude
al socio di chiedere in assemblea i necessari chiarimenti, ove la
relazione dei sindaci si riveli non chiara e non esauriente, se
non si vuole privare di ogni contenuto quel diritto all’informazione che la stessa ricorrente astrattamente non disconosce.
Quanto alle critiche (sopra riassunte) circa la configurazione
di tale diritto, si deve osservare che esse muovono da un’interpretazione non condivisibile della normativa in materia di
bilancio.
Già si è notato che questo ha anche la funzione di fornire ai
soci e ai terzi tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto
al riguardo di prescrivere.
Come questa Corte ha affermato (e il collegio condivide il
principio, cui intende dare continuità), tali informazioni non
attengono soltanto ai dati conclusivi, ma anche alle singole
poste e al modo della loro formazione, in guisa che il lettore del
bilancio sia messo in grado di ripercorrere l’iter logico che ha
guidato i redattori del documento nelle scelte e nelle valutazioni che ogni bilancio necessariamente implica, e sia messo in
condizioni di conoscere in maniera sufficientemente dettagliata
la composizione del patrimonio della società ed i singoli elementi che hanno determinato un certo risultato economico di
periodo (così Cass., 3 settembre 1996, n. 8048, in motivazione).
In questo quadro ben si spiega che gli amministratori di una
società di capitali, o chi per essi, chiamati in assemblea a fornire informazioni specifiche e non meramente rituali in ordine
ad una certa posta del bilancio (specialmente quando essa sia
consistente e suscettibile di incidere sull’equilibrio contabile
dell’organismo sociale), debbano illustrare - sia pure in forma
sintetica - i criteri utilizzati e gli elementi che hanno concorso a
determinare la formazione di quella posta, nel cui novero rien-
3396 il fisco 12/2000
il fisco
trano i lavori compiuti, i costi sostenuti e le relative causali.
Diversamente diventa difficile capire, per restare alla fattispecie
in esame, perché le spese siano state capitalizzate, cioè aggiunte al costo iniziale del bene iscritto all’attivo, in quanto comportanti un incremento del valore di utilizzazione del bene medesimo, e non siano servite soltanto a ripristinarlo.
Pertanto nel caso in esame la Corte distrettuale, nel rilevare
che nulla era stato spiegato sulle modalità di incremento del
valore patrimoniale e sulla capitalizzazione della spesa, non ha
compiuto alcuna forzatura o dilatazione del diritto all’informazione, ma ha semplicemente posto l’accento sull’esigenza che
esso abbia carattere di effettività.
Né possono condividersi le preoccupazioni espresse dalla
ricorrente circa il funzionamento delle assemblee sociali chiamate ad approvare il bilancio, perché eventuali domande “estrose” o emulative possono essere adeguatamente contenute attraverso l’uso dei poteri ordinatori e di direzione dei lavori spettanti al presidente dell’assemblea (art. 2371 del codice civile).
Infine, quanto all’assunto secondo cui la Corte milanese
sarebbe incorsa in un errore di diritto nel qualificare le spese
capitalizzate come spese di impianto e di avviamento ex art.
2426 del codice civile, si deve replicare che il punto non è rilevante nel contesto delle argomentazioni svolte dalla sentenza
impugnata. Infatti, questa richiama la norma citata soltanto
per affermare che i criteri di contabilizzazione sono soggetti,
per le spese pluriennali, all’accordo del collegio sindacale (vd.
pag. 10), accennando così, in via del tutto incidentale (“tra l’altro”), ad un profilo che era estraneo al tema della decisione,
sulla quale risulta priva di incidenza.
Conclusivamente, il motivo ora esaminato deve essere respinto.
Con il secondo mezzo di cassazione la società ricorrente
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2377, 2379,
2432 (vecchio testo) del codice civile, in relazione all’art. 360, n.
3), del codice di procedura civile, nonché omessa motivazione
su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n.
5), del codice di procedura civile.
Sulla base dell’asserito difetto di informazione la sentenza
impugnata avrebbe dichiarato la nullità della delibera di approvazione del bilancio, in quanto le lacune dell’informazione si
sarebbero riverberate sulla stessa validità della delibera viziata
da radicale nullità ai sensi dell’art. 2379 del codice civile, essendo le norme sui criteri di redazione del bilancio stabilite a tutela di un interesse generale, che trascende quello dei singoli soci.
Tale argomentazione si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in tema di presupposti di nullità delle delibere che approvano i bilanci.
La nullità di dette delibere, infatti, presupporrebbe che l’omissione di indicazioni analitiche costituisca un ostacolo effettivo alla conoscenza completa ed esatta della realtà, non
bastando la sola scarsa chiarezza e precisione dell’appostazione
ed affermandosi che, se il bilancio non è redatto in maniera
analitica, ne soffre l’evidenza e l’immediata comprensibilità, ma
non necessariamente può ritenersi vulnerato il principio di
verità. Tra l’altro, sarebbe stato chiarito che, se pure si volesse
ritenere non assolto (o non compiutamente assolto) il diritto
all’informazione sulla posta di bilancio, l’invalidità (per tale
ragione) della delibera di approvazione potrebbe affermarsi soltanto qualora il difetto di distinzione o di analisi si fosse tradotto in oscurità e la realtà da rappresentare fosse diventata
incomprensibile e cioè ignota, il che sarebbe equivalente ad
impossibilità di conoscere la verità.
Questi principi sarebbero stati ignorati dalla Corte di merito.
La motivazione della sentenza impugnata, anzi, dimostrerebbe
che essa avrebbe ritenuto nulla la delibera di approvazione del
bilancio per il semplice fatto che non era stato raggiunto un
livello di informazione postulato come necessario (e comunque
illegittimamente determinato), indipendentemente dal necessario effetto della lesione del principio di verità.
In ogni caso la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione sul punto, o comunque motivata in modo contraddittorio
e perplesso.
Essa si sarebbe limitata a definire l’aspettativa del socio
all’informazione “non compiutamente esaudita” (con espressione evidentemente indeterminata); ovvero avrebbe formulato le
GIURISPRUDENZA
ipotesi che le informazioni date non “paiono peraltro sufficienti
ad acquietare il diritto del socio di prendere contezza del percorso logico attraverso il quale si perviene a quel risultato”; o
che le informazioni conterrebbero “conclusioni” e non “spiegazioni”; e ancora che non sarebbero stati dati “ulteriori ragguagli
per una chiara comprensione della realtà della posta e della
corretta metodologia di valutazione”. Ma la certezza e l’affidamento per i soci e i terzi sulla validità della delibera di approvazione del bilancio sociale non potrebbe dipendere dall’applicazione di concetti dai contorni assai elastici.
Le testuali espressioni della sentenza impugnata non soltanto
rivelerebbero l’errore di diritto messo in evidenza, ma paleserebbero anche il vizio della motivazione, laddove non sarebbe
stato dimostrato che il bilancio, le relazioni e le informazioni
fornite in assemblea con riguardo alla voce “impianti e macchinari” e al suo incremento, fossero state date in modo da rendere o lasciare oscura la posta, al punto da rendere incomprensibile al socio quanto andava ad approvare.
Al contrario, la sentenza avrebbe dato per presupposto che,
nel bilancio, l’appostazione de qua era separatamente indicata
come “impianti e macchinari” (e non confusa con altre); che
nella relazione si specificava l’incremento in lire 1.054.490.899;
che si specificava, altresì, la doppia imputazione di tale incremento, riferito “a spese per ultimazione dei lavori di ripristino
e di adattamento degli impianti”; che erano specificamente
indicate le singole categorie dei cespiti, distinti tra quelli rivalutati e non; che in assemblea il presidente del collegio sindacale
aveva confermato la correttezza della posta con riferimento alla
documentazione; che lo stesso presidente in assemblea aveva
chiarito che l’incremento della posta era giustificato dal fatto
che le spese afferivano alla conversione degli impianti dall’attività di produzione degli olii minerali alla commercializzazione
degli stessi.
Orbene, pure in presenza di questa serie di dati ammessi
come pacifici dalla stessa sentenza, la Corte milanese non
avrebbe spiegato perché l’informazione basata su quei presupposti avesse lasciato oscuro o incomprensibile il bilancio, al
punto da condurre alla nullità della delibera di approvazione,
né avrebbe chiarito perché le informazioni asseritamente
necessarie per spiegare i percorsi logici sottostanti alle poste di
bilancio fossero richieste addirittura per riscattare il bilancio in
questione dall’oscurità e dall’incomprensibilità tali da ledere il
principio di verità.
Nella sentenza impugnata, invero, non si troverebbe traccia
del mancato rispetto di tale principio, né vi sarebbe al riguardo
motivazione, come pure non sarebbe motivata la presunta
oscurità della posta “impianti e macchinari”.
L’esame del motivo presuppone la composizione del contrasto di giurisprudenza, in ragione del quale la causa è stata
rimessa a queste Sezioni Unite.
Infatti, sulla violazione del principio di chiarezza - enunciato
dall’art. 2423, comma 2, del codice civile - si sono manifestati
due orientamenti.
Una prima tesi, che per un certo periodo può considerarsi
prevalente, è diretta a propugnare, per giungere alla declaratoria di invalidità di una delibera di approvazione di bilancio,
una sorta di supremazia del principio di verità del bilancio
medesimo o comunque, pur attribuendo rilevanza ai difetti di
chiarezza, ritiene necessario ravvisare nella violazione di quest’ultimo principio una qualche compromissione del principio
di verità, al quale la chiarezza è considerata funzionale (vd., tra
le altre, Cass., 9 febbraio 1979, n. 906; 16 dicembre 1982, n.
6942; 27 febbraio 1985, n. 1699; 18 marzo 1986, n. 1839; 23
marzo 1993, n. 3458; 25 maggio 1994, n. 5097; 22 luglio 1994,
n. 6834; 2 ottobre 1995, n. 10348).
Una seconda tesi, invece, nega che la rilevanza del precetto di
chiarezza debba restare subordinata al rispetto di un sovraordinato principio di verità del bilancio, prendendo posizione a
favore dell’autonomia del precetto di chiarezza (Cass., 14 marzo 1992, n. 3132; 30 marzo 1995, n. 3774; 3 settembre 1996, n.
8048; 8 agosto 1997, n. 7398).
Il primo indirizzo, pur con differenti sfumature determinate
dalla diversità delle fattispecie esaminate, muove dal rilievo
che, alla luce della correlazione tra il principio di chiarezza e
12/2000 il fisco 3397
GIURISPRUDENZA
il fisco
precisione dettato dall’art. 2423, comma 2, del codice civile, e
quello fondamentale di verità, preordinato alla tutela della pubblica fede, la violazione delle disposizioni relative alle modalità
di redazione del bilancio (art. 2424 del codice civile) rende nulla la delibera di approvazione soltanto quando risultino in concreto pregiudicati gli interessi generali tutelati dalla norma, e
non anche quando l’incidenza su di essi sia insignificante o trascurabile.
Si è poi puntualizzato che il principio di verità del bilancio,
fondamentale al punto da vedere sanzionata penalmente la sua
violazione, è posto a tutela non solo dell’interesse dei soci ad
essere correttamente informati della situazione economicopatrimoniale della società al termine di ciascun esercizio, ma
anche dell’interesse dei terzi che hanno instaurato rapporti con
la società, nonché dell’interesse generale dello Stato alla realizzazione di un più compiuto controllo sull’attività delle società
per azioni ed alla regolarità della loro gestione in vista del conseguimento dello scopo economico-pratico del contratto sociale.
Si è inoltre osservato che il principio di chiarezza e precisione è strumentale al rispetto del principio di verità e va inteso in
funzione della finalità da questo perseguita, sicché deve escludersi che l’inosservanza della regola enunciata nel comma 2
dell’art. 2423 valga a produrre la nullità della deliberazione di
approvazione del bilancio anche nei casi in cui risulti soddisfatta l’esigenza di verità, o quando si tratti di violazione meramente formale ed apparente delle disposizioni che disciplinano il
contenuto del bilancio, pur riconoscendosi la natura imperativa
delle norme a tal fine dettate dal codice civile.
In definitiva, solo un bilancio non veritiero (per tale intendendosi quello in cui venga alterata sostanzialmente, mediante
valutazioni di attività e passività sociali artificiose e false, la
reale situazione patrimoniale della società, con conseguente
lesione degli interessi generali tutelati dalla legge), può determinare la nullità della delibera di approvazione, non anche “un
semplice vizio di calcolo e di valutazione in cui si sia incorsi
nella compilazione del bilancio” (vd., in motivazione, la sentenza n. 906 del 1979, con la giurisprudenza ivi richiamata).
Alla mancanza di verità del bilancio è stata equiparata, ai fini
della nullità della deliberazione approvativa, la “inconoscibilità
contabile” (Cass., n. 3373 del 1977, cit.), ossia l’impossibilità di
conoscere la reale situazione della società, avvertendosi peraltro che la causa di nullità per illiceità dell’oggetto non sussiste
quando dalle relazioni degli amministratori e dei sindaci, nonché dalle risultanze della discussione in assemblea sia possibile
desumere ulteriori dati ed informazioni che consentano di
acquisire un’esatta conoscenza della situazione reale della
società e di controllare il rispetto sostanziale del principio di
verità del bilancio (vd. Cass., 3458 del 1993, cit. in motivazione,
con la giurisprudenza in essa menzionata).
Il secondo indirizzo, invece, rileva che il bilancio d’esercizio
di una società di capitali è illecito non soltanto quando la violazione della normativa al riguardo determini una divaricazione
tra il risultato effettivo dell’esercizio (o il dato destinato alla
rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della
società) e quello del quale il bilancio dà contezza, ma anche in
tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non
sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la
legge vuole invece siano fornite con riguardo alle singole poste
di cui è richiesta l’iscrizione.
Posto l’accento sull’essenzialità della funzione informativa
del bilancio, l’orientamento in esame ravvisa l’illiceità di questo
ogni qual volta la violazione dei precetti inderogabili di legge,
che presiedono alla sua formazione, non permetta di percepire
con chiarezza sufficiente le specifiche informazioni, che la lettura del documento e dei suoi allegati deve invece offrire con
riguardo a ciascuna delle poste da cui il bilancio è formato.
Il principio di chiarezza non resta dunque subordinato al
principio di verità, in quanto un bilancio non idoneo a fornire
informazioni sufficientemente leggibili non può essere considerato valido sol perché, in ultima analisi, i dati in esso riportati
non risultino, nella loro espressione contabile, contrari al vero.
Una tale opinione sarebbe manifestamente insostenibile dopo
la formale ricezione, nell’ordinamento italiano, con l’emanazione del D.Lgs. n. 127 del 1991, dei dettami della IV Direttiva
comunitaria in materia di società palesemente ispirati alla massima valorizzazione del cosiddetto principio di trasparenza del
bilancio.
Essa, però, non appare condivisibile neppure alla stregua della normativa pregressa in vigore all’epoca di redazione del
bilancio qui in esame, alla cui interpretazione, del resto, non
possono restare estranei i principi da tempo enunciati dalla
stessa IV Direttiva, la cui emanazione risale al luglio del 1978.
Infatti, se è vero che le Direttive comunitarie, prima del loro
formale recepimento, non sono suscettibili di diretta applicazione nei rapporti tra privati, è altresì vero che - come anche la
Corte di Giustizia europea ha avuto modo di affermare nella
sentenza resa il 14 luglio 1994 in causa n. 91/94 - il giudice
“quando applica disposizioni di diritto nazionale, tanto precedenti quanto successive alla direttiva, ha l’obbligo di interpretarle quanto più è possibile alla luce dello scopo e della lettera
della direttiva”.
Del resto, l’art. 2423 del codice civile (vecchio testo) pone il
precetto di chiarezza sullo stesso piano di quello di precisione,
senza suggerire alcuna graduatoria di importanza e senza
subordinare il rispetto del primo a quello del secondo o di qualsiasi altro precetto. Peraltro l’opposta opinione non tiene conto
di ulteriori disposizioni, come quelle dirette a disciplinare il
contenuto della relazione degli amministratori, che testimoniano della massima importanza attribuita dal legislatore alla
chiarezza delle singole informazioni che debbono essere garantite ai destinatari del bilancio. E rischia perciò di tradire, in
sostanza, la stessa ragion d’essere delle norme in esame, essendo di tutta evidenza che la mancanza di chiarezza nelle singole
poste in cui il bilancio si articola fatalmente compromette quella funzione informativa (anche all’esterno della compagine
sociale) che si è già visto essere uno degli scopi principali perseguiti dal legislatore nel disciplinare il profilo contabile del
diritto societario (vd., in particolare, Cass., n. 8048 del 1996
cit., in motivazione).
Ritiene il Collegio che il secondo degli orientamenti ora illustrati meriti adesione.
Invero, può in via di principio condividersi l’affermazione
secondo cui la violazione delle disposizioni relative alle modalità di redazione del bilancio (nella specie, art. 2424, vecchio
testo) rende nulla la delibera di approvazione quando risultino
in concreto pregiudicati gli interessi generali tutelati dalla norma, e non anche quando l’incidenza su di essi sia insignificante
o trascurabile. Ma questo è profilo diverso dal tema qui in trattazione. Esso concerne le ipotesi in cui la violazione sia nella
sostanza irrilevante, perché priva di reale consistenza, meramente formale, di immediata percezione o di agevole correzione tramite appunto le informazioni rese in assemblea. Il che
può avvenire sia per il principio di chiarezza sia per il principio
di verità, prescinde dunque da qualsiasi forma di subordinazione del primo al secondo e presuppone sempre un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito, sulla sostanziale inconsistenza o irrilevanza della violazione.
Non può essere seguito, invece, l’indirizzo che, muovendo da
un rapporto di strumentalità tra il principio di chiarezza e quello di verità, finisce col subordinare il primo al secondo. Una
simile tesi, insostenibile dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 127
del 1991 (vd., in proposito, le puntuali osservazioni contenute
nella sentenza di questa Corte n. 8048 del 1996, che si condividono), non appare accettabile neppure alla stregua della normativa pregressa, vigente all’epoca della redazione del bilancio
in esame.
Al riguardo si deve sottolineare che l’art. 2423, comma 2, del
codice civile (vecchio testo) attribuisce specifica ed autonoma
rilevanza al principio di chiarezza, che dunque non può essere
ridotto al rango di mero elemento di supporto al principio di
verità. Chiarezza, secondo parte della dottrina, significa evidenza (vd. anche l’art. 2217 del codice civile) e significa soprattutto
trasparenza, intelligibilità delle strutture, analiticità delle voci
in misura adeguata alle esigenze di comprensione della composizione del patrimonio, dell’origine del risultato e delle ragioni
per le quali una certa posta di bilancio ha acquistato la consistenza e la qualificazione che le sono state attribuite nel documento.
3398 il fisco 12/2000
il fisco
Peraltro, come sopra si è notato, tra le funzioni del bilancio
c’è quella di fornire ai soci e ai terzi tutte le informazioni prescritte dalla legge, non soltanto con riferimento ai dati conclusivi ma anche alle singole poste e al modo della loro formazione. Orbene, un bilancio poco chiaro elude tale finalità e pregiudica, quindi, gli interessi generali tutelati dalla normativa in
materia, ancorché i dati in esso riportati non risultino, nella
loro espressione contabile, contrati al vero. D’altro canto il semplice dato numerico è di per sé insufficiente a fornire una informazione leggibile, se non è accompagnato dalla univocità e dalla comprensibilità delle denominazioni delle voci dei conti, non
meramente assertive ma dotate di adeguata capacità dimostrativa. Non a caso, del resto, ai sensi dell’art. 2423, comma 3, del
codice civile (vecchio testo), il bilancio deve essere corredato da
una relazione degli amministratori sull’andamento della gestione sociale, il cui contenuto è indicato nell’art. 2429-bis, sempre
nel testo precedente alla riforma attuata con il citato D.Lgs. n.
127 del 1991. La funzione illustrativa di tale documento può
definirsi in re ipsa ed attesta il rilievo attribuito dalla legge all’esigenza - rispondente ad un interesse generale e non già del singolo socio - che le informazioni desumibili dal bilancio debbano essere chiare, così confermando l’insostenibilità, anche nel
sistema precedente, di una collocazione del principio di chiarezza in posizione di minore importanza rispetto al principio
della rappresentazione veritiera (la cui analoga importanza non
è qui in discussione).
In definitiva, da nessuna norma è possibile desumere una
sorta di supremazione del principio di verità su quello di chiarezza, supremazia che è anzi esclusa dall’analisi del sistema
normativo.
Pertanto si deve affermare che il bilancio d’esercizio di una
società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione
dettati dall’art. 2423, comma 2, del codice civile (anche nel
testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 127
del 9 aprile 1991), è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione
assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto
quando la violazione della normativa in materia determini una
divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio (o il dato
destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai
relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle
informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle
singole poste iscritte (restando in questi sensi composto il contrasto rilevato).
Alla stregua di tale principio, e delle considerazioni che lo
sorreggono, le censure mosse dalla ricorrente col motivo in esame si rivelano infondate.
Infatti la nullità della delibera di approvazione del bilancio è
giustificata dalla riscontrata violazione del precetto di chiarezza, non essendo necessario che fosse accertata anche la lesione
del principio di verità.
Quanto alle presunte carenze di motivazione (non certo
desumibili da alcune formule lessicali ritenute imprecise: vd.
pagg. 20-21 del ricorso), si deve osservare che la Corte territoriale: 1) ha posto in luce che, di fronte alla richiesta dei soci (i
quali volevano conoscere “se i costi di che trattasi presentassero effettivamente una utilità pluriennale e costituissero vere e
proprie migliorie incrementative degli impianti stessi ovvero
manutenzione più o meno ordinaria”), il presidente del collegio
sindacale aveva replicato che “la società stava convertendo gli
impianti nel passato destinati all’attività di produzione di oli
minerali in quella del tutto recente di sola commercializzazione
degli stessi”; 2) ha ritenuto che questa fosse una “non risposta”,
perché costituiva un’affermazione tautologica che non forniva
spiegazione al contenuto alternativo della domanda posta dai
soci, i quali volevano in sostanza conoscere la natura della spesa, in cosa fosse materialmente consistita e quali impianti avesse interessato, allo scopo di verificare se i costi sostenuti dalla
società erano stati realmente incrementativi del valore o si fossero risolti in spese di manutenzione; 3) ha considerato che a
ragione era stata avanzata la domanda di chiarimento, perché
il lettore del bilancio e della relazione degli amministratori non
avrebbe potuto ivi rinvenirne la spiegazione contabile per fuga-
GIURISPRUDENZA
re le perplessità legittimamente insorte a fronte di una operata
rivalutazione (oltre a quelle previste dalla legge) di lire
1.054.490.899; 4) ha quindi preso in esame la relazione del consiglio di amministrazione - alcuni passi della quale sono trascritti in sentenza: vd. pag. 9 - e l’ha trovata insufficiente a realizzare il diritto del socio ad un’adeguata informazione, rimarcando che nulla era spiegato “sulle modalità d’incremento del
valore patrimoniale e sulla capitalizzazione della spesa con
riguardo al fenomeno concreto venuto a realizzarsi in termini
di lavori compiuti, costi sostenuti ed afferenti causali” (si noti
che proprio la natura incrementativa del valore costituiva il
nodo centrale della questione); 5) all’esito della disamina ha
rilevato che la relazione conteneva delle conclusioni e non delle
spiegazioni (in questa sintesi si rinviene la violazione del principio di chiarezza, essendo mancate, secondo il ragionamento
svolto dalla Corte distrettuale, l’univocità e la comprensibilità
della posta), aggiungendo che tali lacune, non colmate da un’adeguata informazione in sede assembleare, conducevano alla
nullità della delibera di approvazione del bilancio, in quanto le
norme sui criteri di redazione di questo sono poste a tutela di
un interesse generale trascendente quello dei singoli soci.
Si tratta, come si vede, di un percorso argomentativo articolato che, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, procede all’analisi delle risultanze del bilancio, degli allegati e delle
risposte date in assemblea alle domande dei soci, spiegando
perché era rimasta non esaudita l’esigenza di chiarezza circa
l’assunta natura incrementativa dell’appostazione de qua.
Gli argomenti addotti dalla ricorrente mettono in evidenza,
in realtà, non già vizi di motivazione, ma un diverso apprezzamento dei fatti già motivatamente valutati dalla Corte territoriale: il che non è consentito in sede di legittimità.
Con il quarto mezzo di cassazione, infine, la L.P. S.p.a.
denunzia ancora omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 5), del codice di procedura civile, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti
del codice civile, dell’art. 1375 del codice civile e dell’art. 2375
del codice civile, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), del
codice di procedura civile.
La sentenza impugnata sarebbe altresì viziata con riguardo
al concreto accertamento dell’insufficienza dell’informazione
data in assemblea nel caso di specie, in quanto la valutazione
del giudice d’appello si baserebbe su una inesatta percezione
della realtà documentale dei fatti e su presupposti di fatto inesistenti.
In primo luogo la Corte milanese avrebbe omesso di considerare un dato, fattuale decisivo, cioè che la richiesta di informazioni da parte dei soci circa la voce “impianti e macchinari”,
sarebbe stata soltanto una, relativa al punto “se i costi di cui
trattasi presentino effettivamente una utilità pluriennale e costituiscano vere e proprie migliorie incrementative degli impianti
stessi ovvero manutenzione più o meno ordinaria”. A questa
domanda avrebbe risposto il presidente del collegio sindacale, il
quale, dopo la precisazione di aver verificato la correttezza della
documentazione, avrebbe affermato che “nella sostanza è noto
come la società stia convertendo gli impianti nel passato destinati all’attività di produzione di olii minerali in quella del tutto
recente di solo commercializzazione degli stessi”.
Se tale dato fosse stato congruamente compreso dalla Corte
di Milano, la valutazione circa l’adeguatezza e la sufficienza
della risposta ai soci non sarebbe censurabile davanti a questa
Corte. Ma il giudice d’appello avrebbe fondato il proprio giudizio di insufficienza sull’inesistente presupposto che i soci di
minoranza avessero chiesto informazioni circa “la natura della
spesa, in cosa essa era materialmente consistita e quali impianti aveva interessato”.
Una simile domanda mai sarebbe stata posta dai soci in
assemblea, né esisterebbe un principio il quale imponga agli
organi sociali di interpretare le domande formulate dai soci
medesimi.
La sentenza impugnata sarebbe altresì carente di motivazione nel punto in cui, da un lato, darebbe una interpretazione
estensiva e con criterio sostanzialistico della domanda posta
dai soci di minoranza e, dall’altro lato, si attesterebbe su una
12/2000 il fisco 3399
GIURISPRUDENZA
In questa sede si deve ribadire quanto segue:
il fisco
interpretazione restrittiva e formalistica in ordine alla risposta
del presidente del collego sindacale, così falsamente applicando
anche i criteri ermeneutici preposti all’interpretazione contrattuale.
In realtà la risposta del detto presidente sarebbe stata inequivoca e di immediata percezione, in quanto le spese per una
profonda modifica di destinazione degli impianti per definizione non potevano costituire spese di ordinaria manutenzione.
Del resto lo stesso presidente avrebbe precisato di aver verificato la correttezza della documentazione.
Sarebbe dunque insufficiente e contraddittorio il ragionamento della Corte di merito circa la presunta “non risposta”
data dal presidente del collegio sindacale, mentre quest’ultimo
avrebbe risposto in modo pertinente e congruo.
Un altro profilo andrebbe poi rilevato, e da esso risulterebbe
che la sentenza impugnata avrebbe trascurato le norme e i
principi giuridici in tema di corretta esecuzione del contratto,
applicabili al contratto sociale e, segnatamente, al comportamento assembleare dei soci e degli organi della società.
Infatti, alla luce dell’art. 1375 del codice civile, la risposta data
in assemblea alla domanda del socio sarebbe stata esaustiva e sufficiente. Una informazione più completa sarebbe potuta spettare
ai soci se costoro, in assemblea, conformando il proprio comportamento ai principi di esecuzione in buona fede del contratto
sociale avessero illustrato i dubbi o i sospetti, il cui superamento
avrebbe richiesto la conoscenza di ulteriori e più specifici dati.
Se così fosse accaduto, forse sarebbe stata giustificata la sentenza che avesse ritenuto leso il diritto di informazione del
socio.
Ma così non sarebbe accaduto e la sentenza impugnata si
rivelerebbe sul punto immotivata e contraddittoria. Invero, soltanto negli atti difensivi gli attuali resistenti avrebbero allegato
che la loro richiesta sarebbe stata giustificata dal sospetto che
la capitalizzazione delle spese costituisse un espediente della
società per occultare una perdita di esercizio superiore al terzo
del capitale sociale. Tale sospetto mai sarebbe stato addotto in
assemblea e la mancata considerazione che le richieste dei soci
di minoranza apparissero in sede assembleare non supportate
da ragionevoli dubbi e comprensibili sospetti (mai esplicitati)
vizierebbe, da sola e gravemente, l’intero ragionamento della
Corte di merito sulla ritenuta doverosità di un particolarissimo
livello di informazioni. Anche alla luce del principio di buona
fede sarebbe onere del socio dichiarare in assemblea i motivi
per cui ritiene di aver diritto ad ulteriori informazioni relativamente a determinate operazioni sociali oppure, se si tratti di
assemblee per l’approvazione del bilancio, relativamente ad
una data appostazione, in particolare quando questa è di per sé
secundum legem. Sarebbe invece inammissibile non manifestare in assemblea dubbi o sospetti relativamente a date poste di
bilancio, per poi proclamarli in sede giudiziale. Il che troverebbe conferma nell’art. 2375 del codice civile, alla stregua del
quale nel verbale devono essere riassunte, su richiesta dei soci,
le loro dichiarazioni.
La sentenza impugnata sarebbe contraddittoria, o meglio
insufficientemente motivata, sia in ordine alla valutazione della
risposta data dal presidente del collegio sindacale, sia circa la
valutazione dei dati pur contenuti nella relazione degli amministratori e relativi alla posta contestata.
Infine la Corte di mento avrebbe trascurato di motivare congruamente in ordine al fatto, rilevante in causa, che la ritenuta
insufficiente risposta degli organi sociali ai soci concerneva soltanto la posta di bilancio “impianti e macchinari”, mentre a
numerose altre domande, su altre poste, sarebbe stata data
risposta puntuale. Sarebbe stato così violato il principio per cui
il giudizio sul rispetto o sulla violazione del diritto individuale
all’informazione non potrebbe essere formulato atomisticamente con riferimento alle singole domande e risposte, ma costituirebbe la risultante di una valutazione complessiva delle risposte
date e dell’idoneità di queste a consentire all’azionista un voto
cosciente e meditato sull’argomento o sugli argomenti portati
all’esame dell’assemblea.
Neppure le suddette censure sono fondate.
Esse, in parte, trovano già confutazione negli argomenti illustrati trattando dei precedenti motivi, cui dunque si rinvia.
a) non è esatto che la Corte distrettuale abbia mal percepito la realtà documentale, basandosi su presupposti di fatto inesistenti. Essa ha tenuto ben presenti sia la richiesta di informazioni avanzata dai soci (che è riportata in sentenza) sia la risposta del presidente del collegio sindacale (del pari trascritta nella
detta sentenza: vd. pag. 8);
b) non è esatto che il giudice d’appello abbia fondato la
sua decisione sull’inesistente presupposto che i soci di minoranza avessero chiesto informazioni circa “la natura della spesa, in cosa essa era materialmente consistita e quali impianti
aveva interessato”. Questa non è - come mostra di ritenere la
ricorrente - un’altra domanda mai formulata. È invece il contenuto sostanziale della domanda posta dai soci, interpretata dalla Corte d’appello nel legittimo esercizio del suo potere di lettura ed interpretazione delle risultanze documentali acquisite. E,
per la verità, la lettura e l’interpretazione si rivelano corrette sul
piano logico e coerenti col tenore della domanda, alla stregua
del quesito come articolato dai soci (trascritto anche nel ricorso
per cassazione), impegnati a conoscere quali fossero e in cosa
consistessero le migliorie incrementative degli impianti. Su
questo punto la sentenza impugnata ha trovato insufficiente e
inadeguata la risposta secondo la quale la società stava procedendo alla conversione degli impianti. E l’apprezzamento al
riguardo, sufficientemente motivato, non è censurabile in questa sede;
c) non è condivisibile l’assunto secondo cui la sentenza
impugnata avrebbe interpretato con un metro diverso la
domanda dei soci e la risposta del presidente del collegio sindacale, così anche falsamente applicando i criteri ermeneutici
preposti all’interpretazione contrattuale. In realtà la ricorrente
tenta di impegnare questa Corte in un riesame (non consentito
in questa sede) del criterio logico, degli apprezzamenti di fatto
e del percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, la
cui correttezza sul piano della motivazione è stata già verificata
trattando dei motivi in precedenza esaminati.
Neppure può condividersi, poi, la tesi della ricorrente secondo cui i soci avrebbero dovuto spiegare ed illustrare in assemblea agli organi della società i dubbi ed i sospetti, per il cui
superamento dovevano ricevere dati più specifici in ordine alla
posta “impianti e macchinari”.
Si deve replicare che quello di redigere il bilancio con chiarezza è di per sé un obbligo legale della società, e per essa degli
amministratori, che non postula sollecitazioni, richieste o
segnalazioni di alcun genere da parte di alcuno. Pertanto, se di
fronte ad una certa appostazione non decifrabile un socio in
assemblea di approvazione del bilancio chiede chiarimenti, non
è tenuto affatto ad illustrare agli organi della società “i dubbi o
i sospetti” che egli possa o meno nutrire. Spetta agli organi predetti fornire i chiarimenti in modo adeguato ed effettivo (e senza riserve mentali o schermaglie dialettiche), non essendo ipotizzabile una gradualità dell’informazione a seconda delle motivazioni addotte per richiederla, perché è motivo congruo l’insufficienza dei dati desumibili dal bilancio e dai documenti di
accompagnamento.
Quanto alle presunte insufficienze di motivazioni circa la
ritenuta incongruità della risposta data dal presidente del collegio sindacale, vanno richiamate le considerazioni svolte in precedenza sulla insindacabilità dei motivati apprezzamenti compiuti dalla Corte di merito.
Infine, non rileva che a numerose domande su altre poste di
bilancio sia stata data risposta puntuale (come si afferma a pag.
37 del ricorso). Pur trascurando il rilievo che il profilo non risulta aver costituito oggetto di accertamento nei precedenti gradi
di merito, si deve richiamare quanto in precedenza notato, cioè
che l’illiceità del bilancio ricorre ogni qual volta la violazione dei
precetti inderogabili di legge non permetta di percepire, con sufficiente chiarezza, le specifiche informazioni che la lettura del
documento e dei suoi allegati deve invece fornire con riguardo a
ciascuna delle poste da cui il bilancio è formato (così Cass., n.
8048 del 1996 cit., in motivazione). E tale principio, valido in via
generale, ancor più merita di essere riaffermato quando la contestazione investa una posta di consistente entità (come nella
3400 il fisco 12/2000
GIURISPRUDENZA
il fisco
specie), senza dubbio suscettibile di incidere sull’equilibrio
patrimoniale ed economico dell’organismo sociale.
Ne deriva che nessuna motivazione ulteriore doveva essere
esposta, dopo l’accertamento compiuto dalla Corte di merito in
ordine alla violazione delle norme sui criteri di redazione del
bilancio. È stato, infatti, più volte chiarito che la deliberazione
assembleare di una società di capitali, con la quale venga
approvato un bilancio redatto in modo non conforme ai precetti stabiliti al riguardo dall’art. 2423 del codice civile (o in violazione delle norme dettate dagli articoli seguenti, in quanto
espressione di quei medesimi precetti), è da ritenere nulla per
illiceità del suo oggetto, ai sensi dell’art. 2379 del codice civile.
E ciò perché quei precetti sono fissati dal legislatore in funzione di interessi che trascendono i limiti della compagine
sociale e concernono anche i terzi, a loro volta destinatari delle
informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, che il bilancio deve fornire con chiarezza e
precisione (ovvero, come ora si esprime il comma 2 del citato
art. 2423, dopo le modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 127 del
1991, con chiarezza ed in modo veritiero e corretto), com’è reso
evidente dal regime pubblicitario cui tale documento è soggetto
(vd., tra le altre Cass., 3 settembre 1996, n. 8048; 14 marzo
1992, n. 3132; 8 giugno 1988, n. 3881; 18 marzo 1986, n. 1839).
Conclusivamente il ricorso si rivela infondato e deve, dunque, essere respinto.
Per il principio della soccombenza la società L.P. va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna la
società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessive lire 15.383.500, di cui lire
quindici milioni per onorari.
Commento
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Principio di verità - 3. Principio di chiarezza - 4. Rapporto tra i principi di verità e chiarezza - 5. Autonomia del
principio di chiarezza - 6. Il verbale d’assemblea - 7. Diritto di informazione - 8. Conclusioni.
codice civile o dalle leggi speciali; vanno quindi rispettati gli schemi obbligatori previsti per la redazione dello stato patrimoniale e
del conto economico [artt. 2424 e 2425-bis (3) ]. L’efficacia segnaletica dei documenti approntati deve essere idonea a consentire al
bilancio di raggiungere le sue finalità ovvero offrire una rappresentazione sulla composizione qualitativa e sull’entità del patrimonio societario al termine di ogni esercizio, nonchè sugli utili
conseguiti e sulle perdite sofferte. Con il D.Lgs. 9 aprile 1991, n.
127 (ma già, come vedremo oltre con l’emanazione della Direttiva
78/660), sono stati fatti dei passi avanti nella specificazione del
principio, sia sul fronte della determinazione del “perimetro” della
sua operatività, sia dal lato della quantità e qualità (4) delle informazioni che la società è tenuta a garantire ai soci ed ai terzi interessati al bilancio. Da un lato, all’applicazione di questo principio, in quanto facente parte integrante del bilancio, è soggetta
anche la nota integrativa (art. 2427 del codice civile) per la quale
è previsto un contenuto minimale, che anzi rappresenta il vero
mezzo di comprensione dei valori esposti negli schemi; dall’altro,
se necessario ai fini di una rappresentazione veritiera e corretta,
la società è tenuta (deve !) a fornire informazioni complementari,
anche al di fuori di quelle obbligatorie, che quindi sono minimali,
previste dalla legge (cosiddetto criterio di raccordo) (5).
1. Premessa
La sentenza che si annota compone un contrasto nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione sul rapporto intercorrente
tra i due principi fondamentali che devono essere rispettati nella
redazione del bilancio di esercizio: i principi (o postulati) di chiarezza e di verità (1). Per lungo tempo è stata coltivata una polemica
sulla posizione, strumentale e quindi subordinata ovvero autonoma
del principio di chiarezza rispetto a quello di verità, con la conseguente restrizione o dilatazione dell’area dell’illiceità per il loro mancato ossequio. L’occasione per tale pronuncia è nata per l’azione
intentata da alcuni soci di una S.p.A. per la declaratoria di nullità di
una delibera di approvazione di bilancio; i soci si sono sentiti lesi
nel loro diritto di informazione per i mancati chiarimenti o meglio
per le risposte evasive fornite durante la discussione in assemblea,
da parte degli amministratori, sull’entità della appostazione contabile “impianti e macchinari” incrementatasi in virtù della capitalizzazione di costi di “ripristino ed adattamento degli impianti” (2).
Il sistema dei valori aziendali comprende tanto valori oggettivi,
determinati attraverso scambi con i terzi quanto valori soggettivi,
stimati, se verificabili solamente in un secondo momento e congetturati, se determinabili solo sulla base di ipotesi. Mentre per i valori
oggettivi il grado di precisione nella loro rilevazione contabile e rappresentazione in bilancio è pressoché assoluto, per le componenti
soggettive del sistema dei valori è richiesta una loro determinazione
comunque discrezionale che, per quanto sia ampia la libertà del
redattore, non deve comunque sfociare nell’arbitrio essendo necessario attenersi ai criteri di ragionevolezza, attendibilità e buona
fede. Con il recepimento della Direttiva 78/660 da parte del D.Lgs. 9
aprile 1991, n. 127, al termine precisione di cui all’art. 2423, comma 2, del codice civile, esplicativo del principio, è sostituita dall’espressione “rappresentare in modo veritiero e corretto”, felice adattamento dell’inglese true and fair view, che mette in risalto come la
verità di bilancio sia in re ipsa condizionata (e quindi giocoforza
resa relativa), dalla presenza di valori eterogenei per rilevazione e
rappresentazione; si sono utilizzate così due distinti termini a
seconda del riferimento a valori oggettivi o a valori soggettivi.
3. Principio di chiarezza
Il bilancio di esercizio deve fornire informazioni con un grado
di completezza ed analiticità non inferiore a quello previsto dal
il fisco
2. Principio di verità
4. Rapporto tra i principi di verità e chiarezza
La giurisprudenza della Suprema Corte è stata molto oscillante
nel valutare il rapporto tra i due postulati del bilancio di esercizio
(6). Un primo orientamento, che prende le mosse dalla fine degli
anni ’70, rilevato il principio di verità come “fondamentale” in
quanto posto a presidio delle finalità pubblicistiche di bilancio,
ha asservito ad esso, funzionalizzandolo, il principio di chiarezza.
In seguito a questa impostazione, le violazioni del principio di
chiarezza diventano apprezzabili ai fini della dichiarazione di nullità per illiceità dell’oggetto ex art. 2379 del codice civile solamente quando venga meno la percezione esatta della consistenza complessiva della società eludendo così la finalità pubblicistica del
bilancio (ci si trova, secondo tale impostazione, al cospetto di
norme dettate nell’interesse generale, interesse che trascende quello dei singoli soci) (7); il che equivale a dire che non sono sanzionate a meno che non pregiudichino il principio di verità (8). Un
secondo orientamento, più recente, che si può far risalire all’inizio degli anni ’90, afferma l’autonomia del principio della chiarezza da quello di verità, considerando l’importanza, soprattutto sulla scorta della introduzione nel nostro ordinamento della IV
Direttiva CEE ai fini di una corretta comprensione del bilancio di
esercizio con conseguente tutela dei soci e dei terzi, di una informazione (e quindi di una rappresentazione) completa (9). Non
solo, allora, il bilancio non deve essere falso, ovvero contenere
poste non vere o omettere poste vere, e fornire dati contrari al vero
nella loro espressione contabile ma deve anche essere chiaro,
“spiegare” (10) quei dati in quanto la chiarezza è parimenti fon-
12/2000 il fisco 3401
GIURISPRUDENZA
damentale per valutare la consistenza economica e patrimoniale
della società (10).
valore “integrativo”, se vogliamo “sanante” riconosciuto al verbale (meglio al suo contenuto) già da precedenti sentenze della
Suprema Corte (vd. Cass., Sez. I, sent. n. 2959 dell’11 marzo
1993, in CED Cass., r.v. 481361). Quindi, la discussione assembleare che precede la (eventuale) approvazione del bilancio come
sede privilegiata per colmare i deficit di conoscenza desumibili
dai documenti.
5. Autonomia del principio di chiarezza
6. Il verbale d’assemblea
È interessante notare l’iter logico svolto dalla Corte territoriale,
riportato nella sentenza per valutare il rispetto del principio di
chiarezza. Letti gli schemi di bilancio e non evinta la natura della
posta contabile controversa si è passati all’esame della relazione
degli amministratori (art. 2329-bis), del collegio sindacale (art.
2432 del codice civile) e dei prospetti allegati; essendo risultato
ancora oscuro il modo di formazione, si è esaminato il verbale
d’assemblea; quindi ritenuto leso il diritto all’informazione a causa delle risposte, giudicate evasive, da parte del presidente del consiglio di amministrazione e da parte del presidente del collegio
sindacale, si è arrivati ad individuare nella chiarezza il principio
di bilancio violato e stante la sua autonomia si è dichiarata nulla
la delibera di approvazione. Si manifesta quindi l’importanza del
verbale d’assemblea con le trascrizioni delle domande poste dai
soci e delle relative risposte che contribuiscono (o quanto meno
dovrebbero) a chiarire il significato dei valori di bilancio. Un
(1) Nel sistema normativo previgente parte della dottrina ha evidenziato la presenza di tre principi generali; oltre a quello di verità, fondamentale e desumibile dal sistema, quelli di chiarezza e di precisione,
intesi come criteri di comportamento e comunque al primo asserviti.
Precisione, quindi, non come sinonimo di verità ma come clausola di
relazione. Non deve pertanto meravigliare l’accostamento, in numerose
sentenze della Suprema Corte, dei principi di precisione e chiarezza in
contrapposizione al principio di verità (vd. Cass., sent. n. 1839 del 18
marzo 1986, in CED Cass. (rv. 445146).
(2) La spiegazione della natura di tali spese con l’indicazione degli
impianti interessati, necessaria ai fini di rendere evidente il reale
potere incrementativo del valore apportato dai costi sostenuti, non è
7. Diritto di informazione
il fisco
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n.
27/2000, che si annota operano la composizione del contrasto
giurisprudenziale affermando la piena autonomia del principio di
chiarezza da quello di verità. Decisivo, al riguardo, il rafforzamento della capacità informativa del bilancio d’esercizio attuato
dal D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, che ha dettato nuove e più penetranti regole con riguardo ai principi generali (art. 2423, commi 2
e 3, del codice civile), agli schemi obbligatori (artt. 2424 e 2425
del codice civile), agli allegati esplicativi (art. 2427 del codice civile), processo di rafforzamento già avviato in parte con la riforma
del 1974. Gli schemi di bilancio, da schemi “minimali” in mano
al redattore si trasformano in schemi vincolanti dove si deve
rispettare l’indicazione delle voci ed il loro ordine; la nota integrativa, sconosciuta nella legislazione anteriore, diventa lo strumento di comprensione dei valori di bilancio (11); ma soprattutto è il
comma 3 dell’art. 2423 del codice civile ad esaltare il principio di
chiarezza; qui si prevede la necessità di integrare con una informativa supplementare nel caso che le specifiche disposizioni di
legge non siano sufficienti. La nuova normativa ha quindi ben
evidenziato il principio della chiarezza da quello della rappresentazione veritiera e corretta della situazione economica, patrimoniale e finanziaria, mettendoli sul medesimo livello. Ed è sullo
stesso piano che il principio di chiarezza, operava rispetto al principio di verità nella normativa previgente che proprio alla luce
della Direttiva CEE 78/660 deve essere letta; ciò in quanto “il giudice quando applica disposizioni di diritto nazionale tanto precedenti quanto successive alla Direttiva ha l’obbligo di interpretarle
quanto più è possibile alla luce dello scopo e della lettera della
Direttiva” (Corte di Giustizia delle Comunità europee, C-91/94).
Per cui anche la lesione del principio di chiarezza rende la delibera di approvazione del bilancio nulla per illiceità dell’oggetto,
dovendo lo stesso consentire l’adeguata comprensione delle singole poste e dei meccanismi della loro formazione.
I soci, durante la discussione in assemblea prima della approvazione del bilancio di esercizio, possono chiedere informazioni e
chiarimenti sul contenuto del bilancio. Ma fino a che punto si
spinge il diritto dei soci e, correlativamente, entro quali limiti gli
amministratori devono ottemperare alle richieste dell’adunanza?
La sentenza in commento dà numerose indicazioni sull’estensione di questo diritto (sollecitata a tal proposito dal ricorrente) che:
a) non può spingersi fino a pretendere l’esame dei documenti e
degli elaborati tecnici e scritture contabili utilizzati per la formazione del bilancio, nel caso in cui sia presente il collegio sindacale, in quanto i soci, ex lege, hanno diritto di visionare il libro
soci, delle adunanze e delle delibere assembleari nonchè la relazione degli amministratori (art. 2429-bis del codice civile) e la relazione dei sindaci e che solo 1/3 del capitale sociale può far eseguire la revisione annuale della gestione sociale; b) in ogni caso gli
amministratori si possono opporre alle richieste a causa della
necessaria riservatezza che caratterizza alcune informazioni per la
vita economica dell’azienda stessa; c) un filtro alle domande
“estrose o emulative” è comunque previsto attraverso l’utilizzo dei
poteri di governo dell’assemblea di cui è attributario il presidente
dell’assemblea (art. 2371, del codice civile); d) pur se dietro le
domande dei soci possono celarsi dubbi e sospetti non esternati
in assemblea, comunque tali “riserve mentali” non rappresentano
una violazione al principio di buona fede e non rilevano ai fini
del dovere degli amministratori di fornire una adeguata risposta
chiarificatrice sui quesiti rivolti (in definitiva non è prevista alcuna “gradualità” dell’informazione a seconda dei motivi addotti dal
socio in assemblea. Ovviamente nelle ipotesi di cui alle lettere b) e
c) sarà sempre possibile un sindacato giurisdizionale sulle scelte
operate dagli amministratori e dal presidente dell’assemblea,
come lo è nel caso di risposte evasive.
8. Conclusioni
La sanzione per il mancato rispetto dei postulati di bilancio è
la nullità per illiceità dell’oggetto ai sensi dell’art. 2379 del codice
civile in quanto essendo tali precetti fissati dal legislatore per la
tutela di interessi sostanziali che travalicano anche i limiti della
compagine sociale deve essere assicurata oltre ad una rappresentazione veritiera e corretta anche la chiarezza del bilancio. Ad
attenuare il rigore di una simile impostazione, la valutazione di
merito sulla entità della violazione dei principi che deve essere
trascurabile ovvero di carattere “meramente formale”; cautela che
riguarda tanto il principio di verità quanto quello di chiarezza.
Gianluca Caputi
Dottore commercialista in Roma
stata rinvenuta da un esame preliminare nel bilancio o nei suoi allegati. Da tenere inoltre presente che la questione era rilevante in
quanto tale capitalizzazione poteva essere strumentale alla copertura
di perdite di esercizio superiori ad 1/3 del capitale che avrebbero
comportato, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 2446 del codice
civile.
(3) In questa nota si fanno riferimenti, contemporaneamente, ad articoli del codice civile in vigore o abrogati; dal contesto si dovrebbe evincere facilmente a quale “versione” dell’articolo ci si riporta.
(4) Gli schemi di stato patrimoniale e di conto economico introdotti
sono sia tassativi per le voci che obbligatori per ordine di esposizione sia
dei gruppi che delle voci.
3402 il fisco 12/2000
GIURISPRUDENZA
(5) Un importante contributo nella determinazione del principio di
chiarezza è stato offerto dai principi contabili; chiarezza vuol dire anche
evitare di compensare le partite, distinguere le poste dell’attività caratteristica da quella extra caratteristica e gli elementi “ordinari” da quelli
“straordinari”.
(6) Per un esame approfondito della problematica, “Una polemica da
seppellire: Il principio di chiarezza del bilancio tra strumentalità ed autonomia”, di P. G. Jaeger, in “Giur. Comm.le”, 1994, II, pagg. 759 e seguenti, con rinvii ad altra bibliografia.
(7) Per cui, l’esporre in bilancio delle voci in modo da infrangere l’obbligo di analiticità della loro evidenziazione (ad esempio non evidenziando tra gli ammortamenti i cosiddetti ammortamenti anticipati), ma attenendosi comunque nella loro determinazione ai limiti imposti dalla legge, non si traduce in una violazione del principio di verità e pertanto non
è sanzionabile. In merito:
“Nella disciplina della formazione del bilancio delle società per azioni,
di cui agli artt. 2423 e seguenti del codice civile, i criteri di chiarezza e
precisione vanno posti in correlazione con il principio di verità, in quanto strumentali all’esigenza che il bilancio medesimo assolva alla funzione di informare compiutamente sulla reale situazione economica e patrimoniale della società, a tutela dei soci e dei terzi, e vanno altresì coordinati con il principio secondo il quale l’obbligo di analiticità dell’esposizione delle poste attive e passive non esclude la discrezionalità di valutazione spettante agli amministratori, sia pur nel rispetto dei limiti fissati
dalla legge e dai parametri generali della prudenza e ragionevolezza.
Pertanto, con riguardo alla sottovalutazione di poste attive o sopravvalutazione di poste passive, come si verifica nel caso del computo di titoli e
partecipazioni con il cosiddetto sistema “lifo annuale” (costo, corretto,
in caso di quotazione inferiore, secondo i prezzi di compenso dell’ultimo
trimestre), ovvero di creazione di ammortamenti anticipati in aggiunta a
quelli ordinari, non vietati dalle citate norme del codice civile, né dalle
disposizioni fiscali, la violazione dei suddetti criteri e principi, e la conseguente nullità della deliberazione di approvazione del bilancio (sotto il
profilo dell’illiceità dell’oggetto), non sono ravvisabili qualora si verta in
tema di valutazioni che, mantenendosi nell’ambito di quei parametri di
prudenza e ragionevolezza, non si traducano in un’effettiva ed apprezzabile alterazione dell’esattezza dell’informazione, non implichino cioè
rilevanti deficienze ed oscurità dello stato patrimoniale (non emendabili
con i dati emergenti dalle relazioni dei sindaci e degli amministratori)”.
Sez. I, sent. n. 1839 del 18 marzo 1986, in CED Cass. (rv. 445146).
(8) “La delibera assembleare di una società di capitali è nulla per illiceità dell’oggetto, a norma dell’art. 2379 del codice civile, quando è contraria a norme dettate a tutela anche di interessi generali. Pertanto, qua-
lora vengano addotte violazioni del principio di chiarezza e precisione
del bilancio, la nullità della delibera sussiste se i fatti accertati sono concretamente idonei ad ingenerare, per tutti gli interessati, incertezze o
comunque erronee convinzioni circa la situazione economico-patrimoniale della società, tali da tradursi in un reale pregiudizio per l’interesse
generale alla verità del bilancio (cui è funzionale il principio di chiarezza
e precisione), che tutela non solo il singolo socio, ma tutti i terzi e, specialmente, i creditori della società” Cass., Sez. I, sent. n. 6834 del 22
luglio 1994, in CED Cass. (rv. 487463).
(9) “La nullità per illiceità dell’oggetto della deliberazione assembleare
di una società di capitali, con la quale sia stato approvato un bilancio
non conforme ai precetti dell’art. 2423 del codice civile, va ravvisata non
solo quando la violazione dei principi di chiarezza, veridicità e correttezza comporti una netta censura tra il dato rappresentato e l’effettivo risultato dell’esercizio, ma anche in tutte le ipotesi in cui dal bilancio medesimo (o dalla relazione allegata) non risulti quel complesso di informazioni che la legge richiede con riguardo alle singole voci o poste, restando
così compromessa quella funzione informativa, interna ed esterna alla
società, che è lo scopo fondamentale perseguito dal legislatore.” Cass.,
Sez. I, sent. n. 7398 dell’8 agosto 1997, in CED Cass. (rv. 506618).
(10) “La valutazione delle azioni di società, ai fini della loro iscrizione
in bilancio, ai sensi del comma 4 dell’art. 2425 del codice civile (nel testo
in vigore prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 127 del 1991), determina
l’illiceità del bilancio e la nullità della relativa deliberazione approvativa
ogni qual volta gli amministratori, nell’esercizio del potere discrezionale
loro attribuito dalla norma, abbiano violato il principio di prudenza,
operando una valutazione macroscopicamente irragionevole, oppure
non abbiano fornito (né vi abbiano provveduto i Sindaci nella loro relazione) un’adeguata spiegazione dei criteri cui detta valutazione si è ispirata. La verifica dell’eventuale violazione dei menzionati limiti di ragionevolezza, così come quella concernente la sufficiente enunciazione dei
criteri di valutazione, è rimessa al giudice di merito e, se adeguatamente
motivata, non è censurabile in sede di legittimità.” Cass., Sez. I, sent. n.
8048 del 3 settembre 1996, in CED Cass. (rv. 499456).
(11) “La delibera assembleare di approvazione del bilancio di una
società per azioni, che sia stato redatto trascurando le analitiche previsioni dell’art. 2424 del codice civile, è illecita, quando l’esigenza di chiarezza sia frustrata al punto da non consentire la percezione esatta della
consistenza complessiva della società e da eludere l’interesse dei soci e
dei terzi a conoscerla, indipendentemente dall’intento che l’abbia determinata.” Cass., Sez. I, sent. n. 3132 del 14 marzo 1992, in CED Cass. (rv
476262).
3 COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE
Le agevolazioni per l’acquisto
di immobili danneggiati
dal sisma del 1976
REGISTRO - Agevolazioni - Atto di prima acquisizione di immobile in comune danneggiato dal terremoto del
1976 - Per la ricostruzione o riparazione - Esistenza di altri singoli atti con medesimo acquirente e per stessi
fini in altri comuni terremotati - Non rileva - Benefici - Competono - Art. 41-ter della L. 30 ottobre 1976, n. 730
Il requisito previsto di primo acquisto per usufruire dei benefici fiscali, deve riferirsi ad ogni acquisto di immobile, anche
se situato in altro comune terremotato ed effettuato dal medesimo acquirente ai fini del ripristino di una sede dell’impresa
12/2000 il fisco 3403
GIURISPRUDENZA
necessaria per lo svolgimento della propria normale attività. Verificata l’esistenza per il singolo atto considerato sia del
requisito oggettivo che di quello soggettivo previsti dalla norma agevolativa, non può darsi, infatti, al contenuto della stessa
una interpretazione restrittiva e, definitiva, contraria ai fini perseguiti (n.d.r.) (1).
(Oggetto della controversia: Ricorso avverso avviso di liquidazione per imposta di registro)
(COMM. CENTRALE, Sez. XIV - Dec. n. 398 del 19 gennaio 2000, dep. il 25 gennaio 2000)
La Commissione tributaria centrale, Sez. XIV, riunita con
l’intervento dei Signori: Michele Maiella (Presidente), Luigi
Mazzella (Relatore), Giorgio Zagari, Giorgio Giovannini, Renato Sgroi (Componenti), e con l’assistenza del segretario Anna
Angela Casale ha emesso la seguente
to irrilevante la prova fornita dall’ufficio circa l’avvenuta concessione del beneficio per l’acquisto di un’area con fabbricato
interamente distrutto nel comune di Gemona del Friuli ed insistendo nella tesi di un’interpretazione non restrittiva della norma di agevolazione fiscale.
Propone ricorso l’ufficio a questa Commissione tributaria
centrale rilevando che non avendo le filiali della B.d.F. S.p.a.
personalità giuridica solo l’ufficio di Udine, sede centrale dell’istituto di credito, poteva porre in essere legittimamente atti a
contenuto patrimoniale e che, d’altra parte, il medesimo come
identico soggetto danneggiato poteva usufruire delle richieste
agevolazioni solo ed esclusivamente per il primo acquisto effettuato a scopo di ricostruzione e non per tutti gli altri successivamente avvenuti nei comuni dove esistevano le varie filiali.
Decisione
sul seguente ricorso:
- ricorso principale n. 649/86 presentato da ufficio del registro di Gemona del Friuli (controparte: B.d.F. S.p.a.) contro la
decisione n. 80/01/86 riguardante l’imposta di registro emessa
dalla Commissione tributaria di II grado di Udine.
Fatto
(1) Si ricorda che l’art. 41-ter della L. 30 ottobre 1976, n. 730, di conversione del D.L. 18 settembre 1976, n. 648, concernente interventi per le
zone del Friuli-Venezia Giulia colpite dagli eventi sismici dell’anno 1976,
prevedeva per gli atti di primo acquisto di terreni o di edifici anche
distrutti o danneggiati situati nei comuni espressamente indicati, stipulati fino al 31 dicembre 1980, nonché di quelli distrutti o danneggiati a sco-
il fisco
Con atto privato autenticato da notaio la signora O.I. vendeva alla B.d.F. S.p.a con sede in Udine un’area edificabile nel
Comune di B. con il sovrastante fabbricato gravemente danneggiato dal terremoto, per un valore dichiarato di lire 55.000.000
All’atto della registrazione l’ufficio del registro di Gemona del
Friuli, su richiesta della parte contribuente, concedeva i benefici previsti dall’art. 41-ter della L. 30 ottobre 1976, n. 730 e della
L. 4 agosto 1977, n. 500.
Successivamente, però, lo stesso ufficio emetteva avviso di
liquidazione per il recupero delle imposte non percette, notificandolo nei termini e modi di legge e sostenendo che il beneficio non poteva ritenersi applicabile in quanto non si trattava,
nella specie, di un primo acquisto da parte della contribuente.
La stessa B.d.F. S.p.a., secondo l’ufficio, aveva già usufruito della medesima agevolazione in occasione di un precedente acquisto.
Alla pretesa fiscale si opponeva la parte con ricorso alla Commissione tributaria di I grado di Tolmezzo, la quale lo accoglieva ed annullava l’avviso di liquidazione per la considerazione
che l’ufficio del registro non aveva fornito alcuna prova né tanto
meno precisato per quali altri immobili la contribuente aveva
goduto del beneficio fiscale e che, in ogni caso, il requisito del
primo acquisto doveva riferirsi, a giudizio di quei giudici, ad
ogni acquisto di immobile anche se situato in altro comune terremotato effettuato ai fini del ripristino di una sede dell’impresa
necessaria per lo svolgimento della propria normale attività.
Su ricorso dell’ufficio, la Commissione tributaria di II grado
di Udine confermava la decisione impugnata ritenendo del tut-
Diritto
Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.
Non è oggetto di contestazione tra le parti che la B.d.F. S.p.a.
abbia effettuato il suo primo acquisto nel comune di B. per
ricostruire un edificio gravemente danneggiato dal terremoto e
per esercitarvi la propria normale attività imprenditoriale.
Orbene, poiché i benefici previsti dalla legge più volte citata
hanno il chiaro ed unico scopo di favorire gli acquisti di immobili danneggiati dal movimento tellurico del 1976 se effettuati
in funzione della ricostruzione o della riparazione è evidente
che, nel caso di specie, sussiste sia il requisito oggettivo necessario per ottenere l’agevolazione (che è, come si è detto, la rimessa in pristino nelle zone terremotate di fabbricati utilizzati da
un imprenditore per lo svolgimento della propria normale attività) e sia quello soggettivo in quanto l’impresa che ha effettuato
l’acquisto nel comune dove esercitava la sua attività, procedeva
effettivamente ad un primo atto di acquisizione, non avendone
in quello stesso comune effettuato altri in precedenza.
Interpretare restrittivamente la norma nel senso ipotizzato
dall’ufficio del registro di Gemona del Friuli significherebbe
frustrare le stesse finalità ricostruttive che il legislatore intendeva perseguire per favorire la rinascita e la ripresa delle attività
imprenditoriali nelle zone colpite dal sisma.
P.Q.M.
si rigetta il ricorso dell’ufficio e si conferma la decisione di
secondo grado.
po di ricostruzione o riparazione, l’applicazione delle imposte di registro,
ipotecarie e catastali in misura fissa, a condizione che l’acquirente risultasse danneggiato ed avesse la propria residenza nei previsti comuni da
data anteriore al 6 maggio 1976 e la conservasse alla data dell’acquisto.
D.C.
3404 il fisco 12/2000
leggi e decreti
(Riproduzione fotografica della Gazzetta Ufficiale)
LEGGE 28 febbraio 2000, n. 42.
Disposizioni per disincentivare l’esodo dei piloti militari.
(in G.U. n. 54 del 6 marzo 2000)
il fisco
12/2000 il fisco 3405
LEGGI E DECRETI
il fisco
3406 il fisco 12/2000
LEGGI E DECRETI
MINISTERO DELLE FINANZE
DECRETO 22 febbraio 2000.
Autorizzazione all’esercizio dell’attività di assistenza
fiscale da parte del Centro di assistenza fiscale CAFImprese, denominato «CNA Pistoia S.r.l.» e iscrizione
dello stesso all’albo dei CAF-Imprese.
(in G.U. n. 54 del 6 marzo 2000)
il fisco
DECRETO-LEGGE 8 marzo 2000, n. 46.
Disposizioni urgenti in materia sanitaria.
(in G.U. n. 56 dell’8 marzo 2000)
12/2000 il fisco 3407
LEGGI E DECRETI
N.B. - Il D.Lgs. 29 aprile 1998, n. 124, è riportato in “il
fisco” n. 19/1998, pag. 6304.
il fisco
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
7 febbraio 2000, n. 48.
Regolamento recante norme per la semplificazione dei
procedimenti di controllo, a fini fiscali, relativi a speciali
contrassegni per bevande, acque minerali e prodotti
vinosi, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15
marzo 1997, n. 59.
(in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000)
3408 il fisco 12/2000
LEGGI E DECRETI
il fisco
12/2000 il fisco 3409
LEGGI E DECRETI
il fisco
3410 il fisco 12/2000
LEGGI E DECRETI
il fisco
MINISTERO DELLE FINANZE
DECRETO 1° marzo 2000.
Autorizzazione alla società «Centro autorizzato di assistenza fiscale Assocontribuenti S.r.l.», in Ascoli Piceno,
ad esercitare attività di assistenza fiscale.
(in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000)
12/2000 il fisco 3411
LEGGI E DECRETI
ERRATA-CORRIGE
Comunicato relativo ai decreti del Ministro delle finanze
del 3 febbraio 2000 concernenti: «Approvazione di
questionari per gli studi di settore relativi ad attività
economiche nel settore del commercio; Approvazione
di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore delle manifatture; Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi
ad attività economiche nel settore dei servizi» (Decreti
pubblicati nel supplemento ordinario n. 34 alla Gazzetta
Ufficiale - serie generale - n. 45 del 24 febbraio 2000).
MINISTERO DELLE FINANZE
DECRETO 18 febbraio 2000.
Modalità tecniche di svolgimento della Lotteria nazionale del Gran premio di Agnano e del Gran premio di F.
1 di San Marino-Imola, della Maratona di Torino e del
Trofeo Valle di Fiemme - Manifestazione 2000.
(in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000)
I titoli dei decreti citati in epigrafe, pubblicati nel suindicato supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale, redatti
nella forma sopra riportata, sia nel frontespizio, che nel sommario e, rispettivamente, alle pagine 7, 54 e 158, nonché
quelli relativi all’annuncio dato nella Gazzetta Ufficiale n.
45, alla pagina 3 del sommario, sono da intendersi formulati
come segue: “Approvazione degli studi di settore relativi ad
attività economiche nel settore del commercio; Approvazione degli studi di settore relativi ad attività economiche nel
settore delle manifatture; Approvazione degli studi di settore
relativi ad attività economiche nel settore dei servizi.».
MINISTERO DELLE FINANZE
il fisco
N.B. - I Decreti del Min. Finanze 3 febbraio 2000 sono
riportati in “il fisco” n. 11/2000, pagg. 3220 e seguenti.
(in G.U. n. 59 dell’11 marzo 2000)
UFFICI FINANZIARI VARI
IRREGOLARE O MANCATO
FUNZIONAMENTO
D. Dir. Reg. Entrate Lazio 2 marzo 2000
Accertamento dell’irregolare/mancato funzionamento
dell’ufficio del registro di Formia dal 28 al 31 gennaio
2000.
(in G.U. n. 56 dell’8 marzo 2000)
D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria
21 febbraio 2000
MINISTERO DELLE FINANZE
DECRETO 22 dicembre 2000.
Proroga della dilazione di versamento So.Ri.T. S.p.a.,
concessionario del servizio di riscossione dei tributi per
la provincia di Perugia.
(in G.U. n. 58 del 10 febbraio 2000)
Accertamento del periodo di irregolare funzionamento
dell’ufficio del territorio di Novara - servizio di pubblicità immobiliare il giorno 3 febbraio 2000.
(in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000)
D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria
21 febbraio 2000
Accertamento del periodo di irregolare funzionamento
dell’ufficio del territorio di Torino nei giorni 2, 3, 4 e 5
febbraio 2000.
(in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000)
3412 il fisco 12/2000
Gazzetta ufficiale
delle Comunità europee
Legislazione
(Riproduzione fotografica)
Decisione del Consiglio
del 28 febbraio 2000
che autorizza gli Stati membri ad applicare un’aliquota Iva ridotta su taluni servizi ad alta intensità
di lavoro secondo la procedura di cui all’art. 28, paragrafo 6, della direttiva 77/388/CEE
(2000/185/CE)
(in G.U.C.E. L. 59 del 4 marzo 2000)
il fisco
12/2000 il fisco 3413
LEGGI E DECRETI - CE
il fisco
3414 il fisco 12/2000
AGENDA LEGISLATIVA
Agenda legislativa tributaria
Decreti-legge in corso di conversione
Provvedimento
in “il fisco”
conversione
entro il
D.L. 15 febbraio 2000, n. 21
(in G.U. n. 37 del 15.2.2000)
Iva - Produttori agricoli - Regime
speciale - Proroga
Proroga del regime speciale in materia di IVA per i produttori agricoli
n. 9/2000, pag. 2469
15.4.2000
Vd. relazione illustrativa, in “il fisco” n.
9/2000, pag. 2400.
D.L. 8 marzo 2000, n. 46
(in G.U. n. 56 dell’8.3.2000)
Prestazioni sanitarie
Disposizioni urgenti in materia sanitaria
n. 12/2000, pag. 3406
7.5.2000
Vd. il D.Lgs. 29 aprile 1998, n. 124, riportato
in “il fisco” n. 19/1998, pag. 6304 e comunicato di errata-corrige (in G.U. n. 300 del 23
dicembre 1999, riportato in “il fisco” n.
1/2000, pag. 161).
Vd. il D.L. 20 dicembre 1999, n. 485, in “il fisco” n. 1/2000, pag. 157, non convertito.
note
Legislazione modificativa, integrativa e di attuazione, in questo numero
Provvedimento
pagina
L. 28 febbraio 2000, n. 42
(in G.U. n. 54 del 6.3.2000)
Irpef - Premi ai piloti militari
Disposizioni per disincentivare l’esodo dei piloti
militari
3404
D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 48
(in G.U. n. 57 del 9.3.2000)
Imposte e tasse - Contrassegni speciali
Regolamento recante norme per la semplificazione
dei procedimenti di controllo, a fini fiscali, relativi
a speciali contrassegni per bevande, acque minerali
e prodotti vinosi, a norma dell’articolo 20, comma
8, della legge 15 marzo 1997, n. 59
3407
Errata-corrige
(in G.U. n. 57 del 9.3.2000)
Studi di settore - Attività economiche varie
Comunicato relativo ai decreti del Ministro delle finanze del 3 febbraio 2000 concernenti: “Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi
ad attività economiche nel settore del commercio;
Approvazione di questionari per gli studi di settore
relativi ad attività economiche nel settore delle manifatture; Approvazione di questionari per gli studi
di settore relativi ad attività economiche nel settore
dei servizi”
3411
note
I decreti del Ministero delle Finanze 3 febbraio 2000 sono
riportati in “il fisco” n. 11/2000, rispettivamente, alle pagine
3220, 3222 e 3224.
rubrica
rivista
ilfisco
n. 1-2000
Rassegna di fiscalità
internazionale
coordinata da Piergiorgio Valente
su questo numero:
❏ Temi di approfondimento
Rendite finanziarie: ipotesi di ricostruzione sistematica in ordine alla tassazione dei non residenti
Internet - Il concetto di stabile organizzazione applicato al commercio on-line. La proposta dell’OCSE al Forum on Electronic Commerce
Il mutamento di residenza quale tipica forma di tax planning delle persone fisiche - Disamina
degli strumenti normativi interni di reazione al fenomeno (con accenni di diritto comparato)
La Repubblica di Croazia - Sistema tributario, agevolazioni fiscali per gli investitori esteri e rilevanza del Paese ai fini di alcune norme tributarie italiane
❏ Corso teorico pratico di fiscalità internazionale
L’espansione sul mercato estero
❏ Risposte a quesiti
❏ Notiziario su fiscalità dei Paesi
❏ Panorama giurisprudenziale
Sentenza della Corte (sesta Sezione) 29 settembre 1999: “Direttiva 69/335/CEE - Imposte indirette
sulla raccolta di capitali - Onorari richiesti per la redazione di un atto notarile che attesta un aumento di capitale nonché una modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali” Causa C-56/98 tra Modelo sgps sa e Director-Geral dos Registos e Notariado, Ministèrio Pùblico
❏ Appendice normativa e documenti
Budget review - South Africa - Chapter 6 - Revenue issues and tax proposals
Transfer pricing guidelines in Belgium
Senate Foreign Relations Committee Resolution that Senate Ratify Tax Treaty with Italy
Allegato gratuito alla rivista “il fisco” n. 12 del 20 marzo 2000
Rassegna di fiscalità
internazionale
n. 1-2000
COMITATO DELLA RUBRICA
Piergiorgio Valente, coordinatore; Patrizio Braccioni; Gaetano Casertano; Aldo Correale; Franco Roccatagliata
su questo numero:
Pag.
TEMI DI APPROFONDIMENTO
Pag.
1. Rendite finanziarie: ipotesi di ricostruzione
sistematica in ordine alla tassazione dei non
residenti
di Patrizio Braccioni ........................................
NOTIZIARIO SU FISCALITÀ DEI PAESI
10
3. Il mutamento di residenza quale tipica forma di
tax planning delle persone fisiche - Disamina
degli strumenti normativi interni di reazione al
fenomeno (con accenni di diritto comparato)
di Sergio La Rocca ................................................
15
1. Argentina ..............................................................
2. Filippine..........................................................................
3. Francia........................................................................
4. Irlanda....................................................................
5. Malesia....................................................................
6. Messico ...................................................................
7. Venezuela ...............................................................
61
61
61
62
62
63
63
PANORAMA GIURISPRUDENZIALE
30
CORSO TEORICO-PRATICO
DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE
1. L’espansione sul mercato estero
di Gianpaolo Valente.................................................
58
5
2. Internet - Il concetto di stabile organizzazione
applicato al commercio on-line. La proposta
dell’OCSE al Forum on Electronic Commerce
di Piergiorgio Valente e Franco Roccatagliata...
4. La Repubblica di Croazia - Sistema tributario,
agevolazioni fiscali per gli investitori esteri e
rilevanza del Paese ai fini di alcune norme tributarie italiane
di Marco Mazzetti di Pietralata ..........................
3. Come viene risolto dalla nuova Convenzione tra
Italia e Stati Uniti il problema del riconoscimento dell’Irap? .........................................................
41
1. Sentenza della Corte (sesta Sezione) 29 settembre 1999: “Direttiva 69/335/CEE - Imposte indirette sulla raccolta di capitali - Onorari richiesti
per la redazione di un atto notarile che attesta
un aumento di capitale nonché una modifica
della denominazione sociale e della sede di una
società di capitali” Causa C-56/98 tra Modelo
sgps sa e Director-Geral dos Registos e Notariado, Ministério Pùblico
con il commento di Maria Giuseppina Valente .
67
RISPOSTE A QUESITI
1. Quale è il trattamento fiscale riservato al compenso percepito da un lavoratore dipendente
che presta attività all’estero?...................................
2. Nell’ambito delle CFC Legislation adottate nel
mondo ad oggi, generalmente al socio residente
vengono attribuiti tutti i redditi della società
estera o solo alcuni? ..................................................
APPENDICE NORMATIVA E DOCUMENTI
57
58
1. Budget review - South Africa - Chapter 6 - Revenue
issues and tax proposals ......................................
2. Transfer pricing guidelines in Belgium ..............
3. Senate Foreign Relations Committee Resolution
that Senate Ratify Tax Treaty with Italy.............
il fisco
Reg. Trib. di Roma n. 16620 del 22 dicembre 1976
Direttore responsabile Pasquale Marino
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Rendite finanziarie - Tassazione non residenti
12/2000 il fisco 3423
1 TEMI DI APPROFONDIMENTO
Rendite finanziarie
Ipotesi di ricostruzione sistematica
in ordine alla tassazione
dei non residenti
di Patrizio Braccioni (*)
il fisco
Il D.Lgs. 21 luglio 1999, n. 259 (in G.U. del 4
agosto 1999, n. 181) ha apportato rilevanti modifiche al regime di tassazione dei soggetti non residenti in relazione ad alcune tipologie di redditi di
capitale e redditi diversi, modificando di conseguenza alcune norme introdotte dal D.Lgs. 21
novembre 1997, n. 461 di riforma dell’intero sistema di tassazione delle rendite finanziarie (1).
Nuove modifiche, ad oggi solo annunciate (cfr. lo
schema di decreto legislativo di modifica di questa
materia approvato dal Consiglio dei Ministri il 19
novembre e pubblicato su “Il Sole-24 Ore” del 20
novembre 1999), apporteranno ulteriori cambiamenti, utili ai fini di questo lavoro, anche in relazione ai
contenuti del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239, in tema di
regime fiscale degli interessi, premi e altri frutti delle
obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati.
In breve, per soffermarci solo sugli aspetti relativi alla tassazione dei non residenti, con effetto dal
1° gennaio 1999 è stata ampliata l’esenzione prevista sugli interessi derivanti da conto corrente bancario e postale per tutti i soggetti non residenti ed
indipendentemente dal Paese di residenza. Nel
testo precedente alla modifica non subivano ritenute gli interessi di conto corrente percepiti da
soggetti residenti in Paesi di white list, cioè tutti i
Paesi legati all’Italia da una Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni che preveda
lo scambio di informazioni. A partire dalla data
indicata non subiranno più alcuna ritenuta fiscale
gli interessi di conto corrente pagati anche a soggetti residenti in Paesi di black list, cioè Paesi a
fiscalità privilegiata di cui al D.M. 24 marzo 1992.
Similmente dicasi per gli interessi pagati a non
residenti su certificati di deposito, in relazione ai
quali l’unica condizione resta appunto che gli interessi siano pagati nel corso del 1999, indipendentemente dalla data di emissione dei certificati stessi.
Inoltre, il regime di favore già previsto dall’art.
20, comma 1, lettera f), del Tuir, è stato esteso
anche alle plusvalenze realizzate sulla cessione di
obbligazioni, purché quotate nei mercati regolamentati, italiani e/o esteri.
Inoltre, nell’ipotesi di obbligazioni convertibili,
riteniamo (contrariamente a tesi ministeriali) sia
rilevante la quotazione del titolo sottostante. In
altri termini potranno beneficiare dell’esenzione
sulle plusvalenze quelle obbligazioni che, ancorché
non quotate, siano convertibili in azioni quotate.
Da ultimo, sono esentati da tassazione i contratti derivati posti in essere da soggetti non residenti
purché negoziati in mercati regolamentati, in questo caso indipendentemente dalla circostanza che
gli strumenti finanziari sottostanti siano anch’essi
quotati.
La dottrina ha già ampiamente appuntato la
propria attenzione su questi aspetti di novità introdotti dal decreto in oggetto (2); sarebbe quindi difficile affrontare di nuovo questi argomenti senza
(*) Responsabile Affari Fiscali Gruppo Unicredito Italiano.
(1) Sul tema della riforma dei redditi di capitale e diversi cfr.
Ferranti-Arquilla, La tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, Milano, 1998; Guida pratica alla
tassazione delle attività finanziarie, a cura di E. Mignarri, Roma,
1999; Girolamo-Rossi-Scarioni, La tassazione delle rendite finanziarie, Bologna, 1999.
(2) In particolare si segnalano i lavori di Michelutti, I nuovi
presupposti di territorialità per i redditi diversi realizzati da soggetti non residenti; in particolare le plusvalenze da cessione di
partecipazioni sociali, in “Riv. Dir. Trib.”, 1999, IV, pagg. 279 e
seguenti; Ceccacci, Le nuove fattispecie di redditi diversi esclusi
da tassazione nei confronti dei non residenti, ibidem, pagg. 311 e
seguenti.
RFI - 5
3424 il fisco 12/2000
Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
correre il rischio di ripetere quanto già detto da
autorevoli Autori.
L’argomento che andiamo a trattare vuole invece
cercare di tracciare una ricostruzione sistematica
dell’intera materia, la tassazione dei redditi di
capitale e dei redditi diversi in capo a soggetti non
residenti.
Questo aspetto, su cui a nostro avviso è efficacemente intervenuto il D.Lgs. n. 259/1999, costituisce la novità più rilevante apportata al testo previgente, ciò indipendentemente dalle singole disposizioni innovative.
Il tentativo di delineare un quadro sistematico di
riferimento risulterà utile sia de iure condito, sia,
forse con maggiore intensità, de iure condendo.
Non è del resto nuovo in Italia il desiderio di
superare l’eccesso di legislazione in materia tributaria con il fissare dei criteri e dei principi di ordine generale cui si possa fare riferimento per orientarsi nella complessa e variegata normativa, talvolta non coordinata e di difficile comprensione per
la stessa Amministrazione finanziaria (3).
Il tentativo di cui si fa cenno non vuole peraltro
rappresentare un puro sforzo di carattere teorico,
bensì di carattere pratico, cioè far discendere dalle
diverse fattispecie che andremo ad individuare delle conseguenze specifiche con impatti su aspetti
applicativi di rilievo.
Con riferimento alle plusvalenze realizzate su
azioni quotate in mercati regolamentati ed alla
relativa esclusione da imposta di cui al citato art.
20, comma 1, lettera f), del Tuir, tutti gli Autori
hanno fatto correttamente rinvio al concetto di
extraterritorialità di tali plusvalenze quale ratio
della non imposizione del reddito.
Ritengo che sia utile in questa sede approfondire
ulteriormente questo concetto.
Non possono anzitutto non convincere le affermazioni del Ceccacci (4), il quale afferma che il
principio che attribuisce la tassazione dei capital
gain al Paese di residenza del soggetto che lo ha
realizzato è inserito all’art. 13 del Modello di Convenzione OCSE ed è quindi da considerarsi un
principio diffuso: fatto ancor più pregnante laddove si constati che questo principio è poi di fatto
inserito pressoché in tutte le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate tra
loro dai Paesi aderenti all’OCSE.
(3) Questa affermazione si rinviene nella relazione dell’On.
Marongiu al disegno di legge n. 4818 approvato ad oggi solamente dal Senato, Disposizioni in materia di statuto dei diritti
del contribuente.
(4) Ceccacci, Le nuove fattispecie ..., op. cit.
RFI - 6
il fisco
1. Il presupposto di territorialità
Vorremmo però aggiungere ulteriori riflessioni.
Nel prendere le mosse dal pregevole studio del
Sacchetto in materia di territorialità dell’imposta
(5), va a nostro avviso ribadito che se il presupposto del potere di imposizione dello Stato deve essere individuato in uno stretto rapporto economico
fra il soggetto d’imposta ed il territorio in cui si
verifica il presupposto, dobbiamo constatare che
la regola in argomento non può essere considerata
una eccezione alla regola più generale dell’attrazione a tassazione in base al principio della prima
parte della lettera f) dell’art. 20 del Tuir (attrazione
a tassazione dei redditi diversi derivante da beni
che si trovano nel territorio), in quanto le azioni di
società quotate, ormai dematerializzate ai sensi
del D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213 e delle successive
disposizioni attuative del Ministero del tesoro, non
sarebbero ad avviso di chi scrive da considerarsi
beni che si trovano in Italia.
Del resto, pur in diverso ambito, il Ministero delle finanze ha indicato un principio per il quale il
deposito di titoli in Italia non attrae quivi a tassazione i redditi di capitale (interessi) pagati su questi titoli se debitore e creditore di detti interessi
siano soggetti non residenti. Questa ipotesi è ad
esempio riferibile alle obbligazioni emesse dalla
Tecnost N.V. (società olandese) nel 1999 e tuttora
in circolazione sul mercato: gli interessi pagati dalla società emittente a soggetti non residenti non
saranno da assoggettare a ritenuta fiscale ancorché i titoli siano depositati in Italia e gli interessi
siano “materialmente” corrisposti da intermediari
italiani. In questo senso si esprime la circolare (del
Ministero delle finanze) n. 207/E del 26 ottobre
1999 (in “il fisco” n. 41/1999, pag. 12981) emanata
a commento del D.Lgs. n. 259/1999 in argomento.
In conclusione, la non imponibilità prevista per
le sunnominate tipologie di plusvalenze può a
nostro avviso rispondere ad un principio di carattere generale piuttosto che essere ritenuta la conseguenza dell’introduzione di una presunzione
assoluta di extraterritorialità.
Se poi estendiamo l’analisi alle plusvalenze realizzate in relazione a partecipazioni qualificate, la
non imponibilità risulta comunque garantita dalle
Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia e di cui si è fatto cenno
sopra.
La vera eccezione diviene quindi il realizzo di
plusvalenze su partecipazioni qualificate da parte
di soggetti residenti in Paesi non convenzionati
con l’Italia, in particolare paradisi fiscali.
Questo caso può essere giustificato da finalità
diverse, ivi comprese finalità antielusive; del resto,
l’attrazione a tassazione in Italia di redditi prodotti
(5) Sacchetto, voce Territorialità, “Dir. Trib.”, in “Enciclopedia
del Diritto”, Ed. Giuffrè.
Rendite finanziarie - Tassazione non residenti
(6) Ci riferiamo alle regole meglio conosciute come Controlled
Foreign Companies Rules, o più semplicemente CFC Rules, già in
vigore in numerosi Paesi OCSE. Segnaliamo inoltre che di
recente dette regole sono state modificate nel Regno Unito in
ordine agli obblighi di reporting. Sul tema Mongan-Gordan
Brown, U.K. self-assessment for controlled foreign companies, in
“Tax Planning International Review”, 1999, 9, pagg. 3 e seguenti.
(7) Si fa riferimento allo schema di decreto legislativo approvato il 19 novembre 1999 e pubblicato su “Il Sole-24 Ore” del 20
novembre 1999, di cui si fa cenno all’inizio di questo lavoro.
La differenza della fattispecie da ultimo descritta con gli interessi di conto corrente risiede nel fatto che, come peraltro già precisato, nel primo caso
la non imponibilità è estesa a tutti i non residenti,
nel secondo caso solamente ad un gruppo limitato.
Last but not least, i contratti derivati conclusi da
non residenti in mercati regolamentati non sono
soggetti a tassazione in Italia indipendentemente
dallo strumento finanziario sottostante. Anche in
questo caso, la volatilità, ovvero l’immaterialità del
prodotto derivato (si tratta in sostanza di mero
scambio di flussi finanziari) rende di fatto impossibile individuare un territorio cui collegare un
presupposto impositivo. D’altro canto, come già
visto per le azioni, non pare attrarre a tassazione
un reddito il luogo in cui si trova il mercato regolamentato in cui avviene l’operazione.
2. Non imponibilità: esclusione od esenzione
da imposta?
Nell’ambito di questa materia, l’assunto di base
da cui muoviamo in ordine alle fattispecie di non
applicazione di imposte italiane è che ci pare di
poter distinguere fondamentalmente due ipotesi:
- casi di esclusione da imposta;
- casi di esenzione da imposta.
il fisco
in paradisi fiscali, pur limitatamente a società collegate direttamente o indirettamente a società italiane, sta per divenire (ad oggi con ragionevole
probabilità) una norma di carattere generale nel
nostro ordinamento (6).
Diverso è invece il caso di non imponibilità degli
interessi da conto corrente o da certificati di deposito, corrisposti a non residenti.
Ricordiamo ancora una volta che la norma in
discussione (art. 26-bis del D.P.R. n. 600/1973) prevedeva la non applicazione della ritenuta solo in
relazione agli interessi corrisposti a soggetti residenti in Paesi di white list.
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 259/1999, il
beneficio della non imponibilità degli interessi è
stato esteso a tutti i non residenti.
In questo caso trattasi di valori (danaro) ubicati
in Italia che maturano redditi di capitale, interessi.
Il vincolo che lega il presupposto economico al territorio italiano in questa ipotesi esiste ed è ben evidente: la non applicazione dell’imposta non può
quindi che essere giustificata dall’introduzione da
parte del legislatore di una presunzione assoluta di
non imponibilità nei confronti di qualunque soggetto non residente. A fini che tratteremo nel prosieguo di questo lavoro, si sottolinea l’assoluta
generalità della previsione di non imponibilità.
Per venire al tema degli interessi corrisposti su
obbligazioni emesse dai cosiddetti “Grandi emittenti”, cioè in particolare obbligazioni emesse in
Italia dallo Stato, da banche e da società quotate, il
D.Lgs. n. 239/1996 prevede l’esenzione da ritenuta
sugli interessi corrisposti a soggetti residenti in
Paesi di white list.
Anche in questo caso gli interessi maturano su
valori, in questo caso obbligazioni, legati al territorio italiano in quanto ivi originatisi, a nulla rilevando, di nuovo, il luogo (Italia o estero) in cui
questi valori siano depositati.
Il concetto di collegamento con il territorio italiano sarà ulteriormente rafforzato quando, come
già appare all’orizzonte (7), saranno assoggettate a
questa medesima normativa anche le obbligazioni
emesse dagli stessi soggetti all’estero.
Infatti, nel momento in cui scriviamo queste brevi
note le obbligazioni emesse all’estero sono escluse
dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 239/1996.
12/2000 il fisco 3425
Senza in questa sede riproporre le opinioni dottrinali sul concetto di esenzione e di esclusione in
ambito puramente domestico, per i quali rinviamo
ad un nostro vecchio lavoro (8), in ambito internazionale tali concetti possono a nostro avviso assumere connotazioni più marcate.
Può ritenersi “escluso” da tassazione il reddito in
relazione al quale non vi sia alcun presupposto di
territorialità; in altri termini, i presupposti impositivi sono completamente estranei al territorio italiano e quindi al suo ordinamento. Vengono così a
mancare quei vincoli di carattere economico con il
territorio nazionale che consentono allo Stato di
poter esercitare la propria giurisdizione fiscale (9).
La non ricorrenza di detti presupposti può
anche essere presunta, con presunzione assoluta.
Al contrario, l’esenzione può riferirsi a quelle
ipotesi in cui, pur in presenza di vincoli economici
con il territorio che potrebbero di per sé giustificare l’imposizione fiscale, è il legislatore che sceglie
di non esercitare tale potere.
(8) Braccioni, Ancora sulla tassabilità dell’indennità integrativa speciale, in “Dir. Prat. Trib”, 1986, II, pagg. 234 e seguenti.
(9) Per approfondimenti cfr. Rutsel, The jurisdiction to tax in
International Law: theory and practice of legislative fiscal jurisdiction, nella collana “Series” in “International Taxation”,
Kluwer, Deventer, 1989; Garbarino, La tassazione del reddito
transnazionale, Padova, 1990; Mann, Studies, in “International
Law”, Oxford, 1973, Sacchetto, op. cit.
RFI - 7
3426 il fisco 12/2000
Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
RFI - 8
il fisco
Riteniamo così che, in base alle considerazioni
svolte nel paragrafo dedicato alla territorialità,
rientrano nell’ipotesi di esclusione le plusvalenze
realizzate su partecipazioni non qualificate in
società residenti e di conseguenza su titoli e diritti
attraverso i quali possono essere assunte dette partecipazioni, su contratti derivati negoziati su mercati regolamentati e su titoli non rappresentativi di
merci, di certificati di massa, eccetera [ex art. 81,
lettera c-ter), del Tuir).
Similmente può dirsi degli interessi di conto
corrente e degli interessi di certificati di deposito
percepiti da non residenti.
L’assenza totale di presupposti impositivi fa a
nostro avviso ricadere nell’ambito dell’esclusione
anche i redditi di capitale e le plusvalenze relative
ai titoli emessi all’estero da società non residenti e
collocati in Italia. Abbiamo già visto infatti che il
deposito di titoli sul territorio nazionale non è di
per sé sufficiente ad attrarre a tassazione in Italia i
proventi di detto titolo.
Rientrano invece nell’ipotesi dell’esenzione gli
interessi pagati sui titoli rientranti nella disciplina
del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 (cioè, lo ricordiamo, principalmente titoli di Stato, obbligazioni
emesse da banche o società quotate con scadenza
superiore a diciotto mesi).
In questo caso, in assenza di previsioni normative specifiche, il vincolo economico con il territorio
è rappresentato dal titolo italiano e dal valore che
esso rappresenta: si tratta semplicemente di un
bene italiano, un titolo, emesso da un soggetto italiano e collocato all’estero.
Di per sé, quindi, rimanendo sempre su di un
piano sistematico, lo Stato avrebbe il diritto di tassare i proventi di tali titoli anche se detenuti da
soggetti non residenti.
Tale potere viene neutralizzato appunto dalla
normativa specifica, che per questo può definirsi
come di esenzione e che mantiene per questo un
carattere di eccezionalità.
Da tale carattere di eccezionalità deriva l’ulteriore conseguenza di una limitazione soggettiva del
beneficio.
Se fosse infine definitivamente approvata la norma di cui allo schema normativo approvato dal
Consiglio dei Ministri il 19 novembre 1999, di cui
si è già fatto cenno, la quale prevede che rientrerebbero nella disciplina del D.Lgs. n. 239/1996
anche i titoli emessi all’estero da banche e società
quotate italiane (confermando in via legislativa
una tesi già accettata dal Ministero delle finanze),
il quadro risulterebbe ulteriormente perfezionato,
nel senso che resterebbe pur sempre l’evidente collegamento dell’emittente con il territorio italiano,
indipendentemente dal luogo di emissione, restando altresì limitati nel numero i soggetti non residenti che potrebbero beneficiare dell’esenzione
(resterebbero infatti esenti i soggetti residenti in
Paesi di white list).
Ciò rafforzerebbe a nostro avviso le tesi sopra
delineate.
Fatta questa disamina, la stessa ci induce a ritenere che tale differenziazione si ripercuota anche
sulla diversa intensità della prova documentale da
rendersi a cura dell’investitore estero in ordine al
proprio status di non residente per beneficiare della non applicazione di imposte in Italia.
Per ciò che concerne i redditi esclusi diviene sufficiente una autocertificazione: non vi è necessità
da parte dell’Amministrazione finanziaria di indagare sul soggetto non residente proprio perché,
come abbiamo visto, o per presunzione di legge o
per una circostanza materiale, tutti i presupposti
impositivi si verificano all’estero.
Questo assunto, almeno così ci pare, viene confermato laddove nella relazione governativa al
D.Lgs. 259/1999, in relazione ai conti correnti ed ai
conti cosiddetti omnibus si richiedono appunto
mere autocertificazioni. Per i conti omnibus, cioè i
conti detenuti presso intermediari residenti da
parte di intermediari non residenti ove sono gestiti
indistintamente una pluralità di rapporti relativi a
clienti di questi ultimi, si giunge addirittura ad
affermare, che sia l’intermediario non residente a
poter rilasciare un’unica autocertificazione a nome
dei propri clienti.
Al contrario, per beneficiare dell’esenzione di cui
al D.Lgs. n. 239/1996, occorre presentare una certificazione (Mod. 116/IMP) vistata dalle autorità
fiscali estere ove si attesti appunto la residenza
all’estero dell’investitore: la prova richiesta è quindi più pregnante (10).
3. Valutazioni de iure condendo: derivati O.T.C.
e plusvalenze su azioni estere detenute in Italia
da non residenti
Va anzitutto premesso che il legislatore non deve
perseguire le astrazioni teoriche della dottrina, e
non può quindi per nulla essere vincolato da queste nelle proprie scelte.
Dobbiamo però sottolineare che l’applicazione
dei principi di cui sopra potrebbe rendere più
razionale la tassazione delle fattispecie indicate in
epigrafe.
Per ciò che concerne i contratti derivati O.T.C.
(Over The Counter), cioè i contratti derivati non
(10) Si precisa in proposito che alcune rigidità interpretative
paiono essere state di recente superate a seguito della risoluzione del 26 luglio 1999, n. 126/E (in “il fisco” n. 39/1999, pag.
12542), ove si afferma che il Mod. 111/IMP (ma l’ampiezza della pronuncia ministeriale fa intendere che tale interpretazione
sia estensibile anche al Mod. 116/Imp) utilizzato per i rimborsi
di tale imposta, può essere sostituito da una diversa certificazione di residenza all’estero purché vistata dalle autorità fiscali
estere.
Rendite finanziarie - Tassazione non residenti
(11) Sul punto e sui contratti derivati in generale cfr. per tutti
l’interessante monografia di Caputo, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, Milano, 1997. Cfr. anche Kolb, Financial
derivatives, New York, 1993. Per un approfondimento degli
aspetti fiscali internazionali, cfr. Tax aspects of derivative financial instruments, in “Cahiers de droit fiscal international”, 1995.
delineato nei suoi tratti essenziali (ché per
approfondire ulteriormente occorrerebbero ben
altre forze!), ci pare di poter sostenere che la plusvalenza realizzata dal non residente sia da considerarsi anch’essa esclusa da imposta.
Ciò per due ordini di argomentazioni:
- la tesi contraria della tassazione risulterebbe
incomprensibilmente discriminatoria nei confronti
delle azioni di società non residenti rispetto a quelle di società residenti. Infatti, in base alla normativa già commentata, sarebbero escluse da tassazione in Italia le plusvalenze realizzate dal soggetto
non residente su azioni quotate italiane. Non si
comprende quindi come, aggiungendo un ulteriore
elemento di estraneità alla fattispecie (plusvalenza
su azione quotata di società non residente), si giustifichi la tassazione italiana;
- non soccorre infine alla tesi della tassabilità,
come già visto ripetutamente nel corso del presente lavoro, la circostanza del deposito dei titoli in
Italia.
il fisco
negoziati su mercati regolamentati, resta ferma la
natura di scambi di flussi di danaro tra due parti.
Se una di queste è un soggetto non residente, non
si comprende in effetti la ratio dell’assoggettamento potenziale ad imposta in Italia dei flussi verso
l’estero, laddove tale imponibilità non sussiste nell’ipotesi di contratti derivati negoziati in mercati
regolamentati.
Può essere compresa l’esigenza di tenere sotto
controllo questo fenomeno, che ha raggiunto
ormai dimensioni abnormi a livello mondiale (11),
ma resta difficile comprendere come in questo
senso possa apportare utilità l’imposizione fiscale.
L’immaterialità della transazione realizzata tra
soggetti residenti e soggetti non residenti, anche se
O.T.C, dovrebbe condurre a ritenere la fattispecie
alla stregua di un’ipotesi di esclusione dall’imposta
per difetto del requisito di territorialità.
Similmente dicasi per il secondo dei due casi
indicati in epigrafe, cioè la tassazione di plusvalenze su azioni estere quotate detenute in Italia da
soggetti non residenti.
Nel panorama finanziario italiano tale fattispecie si è di recente posta con insistenza in occasione
della offerta pubblica di vendita e del collocamento delle azioni in vari Paesi europei (ivi compresa
l’Italia) della società tedesca Deutsche Telekom,
conseguente alla privatizzazione della stessa.
Sul piano pratico il problema è di scarso
momento, in quanto nella maggioranza dei casi
sono le Convenzioni internazionali ad escludere da
tassazione in Italia le plusvalenze realizzate.
La fattispecie, che non pare peraltro essere stata
esplicitamente regolamentata da disposizioni
interpretative ufficiali, diviene in teoria interessante laddove il soggetto estero sia residente in un
Paese non legato all’Italia da Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni, ivi compresi
i paradisi fiscali.
Ora, in base all’interpretazione di carattere sistematico della materia che ci pare di avere almeno
12/2000 il fisco 3427
Si dovrebbe quindi concludere che le plusvalenze
realizzate da soggetti non residenti su azioni quotate di società anch’esse non residenti, ancorché
depositate in Italia, restino escluse da tassazione.
4. Conclusioni
Con la trattazione che precede, ci pare di poter
concludere che in ordine alla tassazione dei redditi
di capitale e diversi nei confronti di soggetti non
residenti, il legislatore ha già in buona parte creato
e, con le modifiche in vista, stia seriamente completando, un assetto legislativo che possa definirsi
sistematico.
Il difficile inquadramento di certe fattispecie
in occasione dell’emanazione dei due primi
decreti legislativi emanati in questa complessa
materia, il D.Lgs n. 239/1996 e il D.Lgs n.
461/1997, si è in buona parte dissolto con la
recente legislazione.
Ci pare altresì di avere dimostrato che lo sforzo
effettuato non è stato di pura teoria, ma consente
di superare alcune difficoltà interpretative, oltre a
sistematizzare alcuni aspetti formali (certificazioni), che nella prassi quotidiana sono assai rilevanti
nei rapporti con gli investitori stranieri.
RFI - 9
3428 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
2 TEMI DI APPROFONDIMENTO
Internet
Il concetto di stabile organizzazione
applicato al commercio on-line
La proposta dell’OCSE al Forum
on Electronic Commerce (*)
di Piergiorgio Valente (**) e Franco Roccatagliata (***)
(*) Le opinioni espresse nell’articolo non rappresentano che il
punto di vista degli autori e non possono essere in alcun modo
attribuite alle istituzioni in cui essi operano.
(**) Studio Associato Legale Tributario corrispondente di
Ernst & Young International.
(***) Esperto di fiscalità presso la Commissione europea.
(1) Per un maggiore approfondimento di queste tematiche si
veda Valente-Roccatagliata, Internet: aspetti giuridici e fiscali
del commercio elettronico, Roma, ETI, 1999.
RFI - 10
ne del commercio elettronico (2), come, ad esempio, quello della “neutralità”, rimanevano irrisolti
gli aspetti di carattere più operativo. Non era, ad
esempio, chiaro se e a quali condizioni un server
potesse costituire una stabile organizzazione o,
ancora, come dovesse essere classificato il reddito
derivante da una transazione di commercio elettronico “diretto” (3).
Il rapido diffondersi delle nuove forme di commercio e il numero crescente di soggetti coinvolti
hanno reso però ora necessario orientare l’analisi
nell’approfondimento di fattispecie concrete, al
fine di fornire agli operatori on-line riferimenti
chiari sui criteri di tassazione da applicare.
il fisco
Il lungo processo di approfondimento delle problematiche sollevate dalle nuove tecnologie informatiche nel campo della fiscalità ha registrato, alle
soglie del terzo millennio, una significativa evoluzione.
Fino ad oggi le organizzazioni internazionali e le
Amministrazioni finanziarie coinvolte nello studio
delle conseguenze fiscali legate al diffondersi del
commercio elettronico avevano indirizzato i loro
contributi soprattutto nel sottolineare la difficoltà
di applicare i tradizionali principi della fiscalità al
commercio on-line e nel definire le linee programmatiche delle nuove politiche di tassazione (1).
Così le sempre più numerose imprese che, spinte
dalle immense potenzialità del commercio elettronico, aprivano un sito web per svolgere transazioni
on-line dovevano fronteggiare, oltre alle problematiche di carattere legale, anche le incertezze derivanti dall’agire in un ambito fiscale ancora non
interamente definito. Se, infatti, erano stati chiariti sin dall’inizio alcuni principi base della tassazio-
1. L’OCSE Forum on Electronic Commerce
Un contributo significativo in questa direzione è
stato fornito dall’OCSE in occasione del Forum on
Electronic Commerce tenutosi a Parigi il 12 e 13
ottobre scorso.
In questo contesto è stato reso pubblico il documento “The application of the permanent establishment definition in the context of electronic commerce: proposed clarification of the commentary on article 5 of the OCSE Model Tax Convention - draft for
(2) Si veda a riguardo il documento dell’OCSE, Electronic
commerce: taxation framework conditions, presentato alla conferenza di Ottawa del 7-9 ottobre 1998.
(3) In proposito si veda Quaranta Cassano, Internet: criteri di
classificazione delle operazioni di commercio elettronico diretto,
in “il fisco” n. 39/1999, pag. 12486.
Internet - Concetto stabile organizzazione
comments” (4) predisposto dal “Working Party No.
1 on Tax Conventions and Related Questions” (5)
(W.P. n. 1).
In particolare il documento approfondisce le
problematiche generate dall’applicazione al commercio elettronico del concetto di stabile organizzazione (6), elemento cardine dei moderni ordinamenti tributari e delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, fornendo alcune possibili soluzioni interpretative.
Come chiarito nella parte introduttiva del
documento (7), il lavoro, già presentato e discusso al meeting del “Technical Advisory Group on
Monitoring the Application of Existing Treaty
Norms for the Taxation of Business Profits”, costituisce solo una bozza (8), resa pubblica al fine di
sollecitare un’analisi critica delle soluzioni proposte e permettere alle parti interessate di inviare i propri commenti entro il 31 dicembre 1999.
Sulla base dei commenti pervenuti il W.P. n. 1
rivedrà il documento per proporlo nella versione
definitiva al meeting che si terrà a febbraio del
2000.
12/2000 il fisco 3429
non è analizzata la possibilità di cambiare l’art.
5 del citato Modello (9).
Questo approccio, che sembra confermare la
posizione assunta in precedenza dal CFA (10), ha
anche un indubbio vantaggio di ordine pratico; la
scelta di mantenere inalterata l’attuale formulazione dell’art. 5 del Modello OCSE e di intervenire
soltanto sul Commentario (11) renderebbe la posizione dell’OCSE di natura interpretativa e, quindi,
immediatamente applicabile a tutte le Convenzioni
in vigore che riprendono dal Modello OCSE la
definizione di stabile organizzazione.
Occorre però ricordare che il documento non
esprime la posizione definitiva dell’OCSE e non è
quindi da escludere che, alla fine, si preferisca
intervenire sul testo dell’art. 5 del Modello. Infatti,
il Business Profits Technical Advisory Group (12),
istituito dal CFA al fine di esaminare “how the current treaty rules for the taxation of business profits
apply in the context of electronic commerce and examine proposals for alternative rules”, è attualmente
impegnato in uno studio che, integrando il lavoro
del W.P. n. 1, dovrà indicare se sarà necessario procedere a una modifica del Modello OCSE (13).
2. La modifica proposta al Commentario OCSE
(4) Il documento è disponibile sul sito http://www.OCSE.
org/daf/fa/e_com/paris99.htm.
(5) Il “Working Party” costituisce un sotto-gruppo dell’OCSE Committee on Fiscal Affairs (CFA) ed è responsabile dell’aggiornamento del Modello OCSE contro le doppie imposizioni.
(6) Per un’analisi più approfondita di questo tema si vedano i
Documenti OCSE Electronic commerce: the challenges to tax
authorities and taxpayers (Turku, 18 novembre 1997) e Electronic commerce: a discussion paper on taxation issues (17 settembre 1998) e Valente-Roccatagliata, Internet: aspetti giuridici e
fiscali del commercio elettronico, op. cit.
il fisco
Una prima considerazione, essenziale per
valutare le posizioni assunte nel documento,
deve riguardare il contenuto del mandato che il
W.P. n. 1 ha ricevuto dal CFA. In particolare il
compito era quello di chiarire come l’attuale
definizione di stabile organizzazione contenuta
nell’art. 5 del Modello OCSE contro le doppie
imposizioni possa applicarsi al commercio elettronico, prevedendo eventuali modifiche al
Commentario OCSE. Nel documento, quindi,
(9) “This draft does not, therefore, address the broader and ultimately more important issue of whether any changes should be
made to that definition or whether the permanent establishment
concept should be abandoned”. The application of the permanent
establishment definition in the context of electronic commerce:
proposed clarification of the commentary on article 5 of the
OCSE Model Tax Convention - draft for comments.
(10) In particolare, nel documento Electronic commerce:
Taxation framework conditions è detto: “While the OCSE believes
that the principles which underlie the international norms that it
has developed in the area of tax treaties and transfer pricing
(through the Model Tax Convention and the Transfer Pricing Guidelines) are capable of being applied to electronic commerce, there
should be a clarification of how the Model Tax Convention
applies with respect to some aspects of electronic commerce.”.
(11) Identica posizione è stata assunta dal CFA nel Documento Revision of the commentary on article 12 concerning software
payments del 29 settembre 1998. La necessità di chiarire la
natura dei pagamenti connessi a transazioni di commercio elettronico ha portato il CFA a proporre una modifica al Commentario, mantenendo inalterata la definizione di royalties contenuta nell’art. 12 del Modello contro le doppie imposizioni.
(7) Electronic commerce: application of the existing permanent
establishment definition.
(12) Il Business Profits è uno dei cinque TAGs istituiti dal CFA
nel gennaio 1999 per sviluppare specifiche tematiche tecniche
concernenti il commercio elettronico. Gli altri TAGs sono:
- Technology TAG;
- Professional Data Assessment TAG;
- Consumption Tax TAG;
- Income Characterisation TAG.
(8) Infatti “(t)he draft constitutes the outcome of a first
discussion of the issue by the Working Party. While it reflects
the majority of the views expressed during that discussion, it
should not be considered, in this draft form, to constitute the
official views of the OCSE nor of any of the OCSE Member
countries”.
(13) Qualora dovesse prevalere quest’ultima soluzione, si
ritiene che il documento predisposto dal W.P., costituendo un
draft for comments, non potrà essere tenuto in considerazione
per valutare l’applicazione alle transazioni on-line delle Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni che adottano l’attuale definizione di stabile organizzazione.
RFI - 11
3430 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
Oltre a quello derivato dal mandato specifico
ricevuto dal CFA, un altro importante limite al
campo d’azione del W.P. n. 1 è posto dalla divisione dei lavori nell’ambito dell’OCSE. Il documento,
pertanto, non affronta il problema della determinazione di quanta parte del reddito prodotto tramite operazioni di commercio elettronico possa
essere imputato alla struttura informatica, qualora
questa dovesse essere definita stabile organizzazione. Tale compito è infatti di pertinenza dello Steering Group on Transfer Pricing.
paragrafo 10 del Commentario che, in passato, era
stato fonte di interpretazioni discordanti.
In particolare, nel citato paragrafo del Commentario, l’OCSE ammette la possibilità che si configuri
una stabile organizzazione anche quando l’attività
d’impresa è svolta avvalendosi essenzialmente di
apparecchiature automatiche e l’intervento dell’uomo è limitato all’installazione, funzionamento, controllo e manutenzione delle macchine. Così, macchine da gioco, distributrici o simili costituiscono
stabile organizzazione se l’impresa svolge un’attività
che va oltre l’avviamento delle macchine, arrivando
a curarne in proprio (o per mezzo di un agente
dipendente) il funzionamento e la manutenzione.
Dal testo letterale del Commentario non si evince chiaramente se la presenza del personale costituisca un elemento essenziale per determinare l’esistenza della stabile organizzazione (14).
Il W.P. n. 1 assume, al riguardo, una posizione
definitiva affermando che “automated equipment
that does not require on-site human intervention for
its operation may still constitute a permanent establishment”, rendendo, così, l’interpretazione del
concetto di stabile organizzazione fornita dal
Commentario più adeguata a disciplinare la nuova
realtà determinata dall’evoluzione tecnologica.
3. Rilevanza dell’elemento fisico in un Internet
web site
RFI - 12
il fisco
Le modifiche proposte, che potranno costituire un
paragrafo unico dedicato al commercio elettronico o
integrare i paragrafi esistenti nel rispetto dell’attuale
struttura del Commentario, si fondano sulla distinzione tra l’elemento fisico e quello immateriale.
L’Internet web site può essere visto come una
combinazione di software e dati elettronici immagazzinati e elaborati da un server. A parere del W.P.
n. 1 l’intangibilità dei primi due elementi dovrebbe
far escludere che questi, da soli, possano individuare una base fissa d’affari, mentre il server,
essendo un elemento fisico, potrebbe costituire
una stabile organizzazione qualora si realizzassero
le altre condizioni richieste.
La posizione assunta dal W.P. n. 1 è sicuramente
coerente con il dettato letterale dell’attuale Commentario che identifica una “base d’affari” con la
presenza di locali o magazzini o, in certi casi, di
macchinari e attrezzi. Occorre però sottolineare
come lo stesso Commentario ammette che “a place
of business may also exist where no premises are
available or required for carrying on the business of
the enterprise and it simply has a certain amount of
space at its disposal”. Ci si chiede allora se, in un
contesto come quello del commercio elettronico,
nato dall’applicazione delle più moderne tecnologie, il concetto di “spazio a disposizione” non debba intendersi in modo più ampio e più aderente
alla realtà informatica, includendo anche lo spazio
di memoria su un computer o la pagina web su un
server.
La necessità di adeguare il concetto di stabile organizzazione all’evoluzione tecnologica, invece, è stata
ampiamente considerata dal gruppo di lavoro del
CFA con riferimento alle moderne attrezzature che
permettono lo sviluppo di un’attività commerciale
senza l’intervento e la presenza dell’uomo. Nel documento proposto è infatti chiaramente detto che non
ha alcuna rilevanza la circostanza che l’attrezzatura
impiegata per il commercio elettronico non richieda
personale in loco per il funzionamento e la manutenzione. In questo modo il W.P. n. 1 fornisce un’indicazione essenziale per fare chiarezza sul contenuto del
4. Lo svogimento dell’attività d’impresa su
Internet e la gestione del server
Individuato il server come l’elemento materiale
che può determinare il configurarsi di una stabile
organizzazione, il W.P. n. 1 approfondisce l’analisi
interpretativa dell’art. 5 del Modello OCSE contro
le doppie imposizioni, distinguendo l’attività di
gestione del server che ospita il sito web dall’attività commerciale svolta su Internet.
Anche questa distinzione assume una rilevanza
fondamentale nell’ambito del commercio elettronico se si considera che spesso il sito web con cui
l’impresa opera on-line viene ospitato su un server
gestito da un Internet Service Provider (15).
(14) Tale assunto sembra smentito dalla Sentenza del 30 ottobre 1996, II R 12/92, emessa dalla Corte federale tedesca,
secondo cui un oleodotto olandese che, partendo dall’Olanda,
serve alcuni clienti in territorio tedesco, costituisce stabile
organizzazione, nonostante la presenza dell’oleodotto sul suolo
tedesco non sia accompagnata da personale o comunque da
altre determinanti attrezzature della società olandese (stazioni
di pompaggio o di monitoraggio, depositi, eccetera). I giudici
hanno individuato la presenza di una stabile organizzazione
partendo dall’assunto che l’oleodotto in sé è strettamente correlato al business tipico dell’impresa olandese: il trasporto di
greggio per conto terzi.
(15) Già nel documento Electronic commerce: the challenges
to tax authorities and taxpayers (Turku, 18 novembre 1997)
l’OCSE aveva sottolineato come “(t)he ownership of the web
contents and of the server would also be relevant: for instance, the
enterprise could own the web site but lease the server from a ser
Internet - Concetto stabile organizzazione
vice provider, lease both the web site and server from the service
provider or lease the web site and server and share various functions with the service provider”.
(16) Non importa, a parere del W.P. n. 1, che la società che
svolge l’attività di commercio on-line abbia avuto la possibilità
di scegliere il server su cui operare attraverso la propria pagina
web; questa scelta non comporta la gestione diretta del server,
che rimane pienamente affidata all’ISP.
(17) A riguardo, nel documento Electronic commerce: the
challenges to tax authorities and taxpayers (Turku, 18 novembre 1997) si legge: “for instance, a server may be located in a
building situated in a country where the enterprise has no other
presence. Alternatively, it could be located on a portable computer used in different places within that building or moved
from city to city by an itinerant employee. Further difficulties
would arise where a number of mirror web sites on different
servers located in different countries would be used so that a
customer could be directed to any site for any function depending on electronic traffic. Another possibility would be to have
only one web site which is electronically transferred in total
every three months to a new server in a different building, city
or country”.
il fisco
La proposta di modifica al Commentario prevede che la base fissa d’affari si realizzi solo quando
l’attività d’impresa è svolta dallo stesso soggetto
che ha la piena disponibilità del server (in affitto o
in proprietà). Pertanto, mentre il configurarsi di
una stabile organizzazione dovrebbe essere possibile per l’impresa che prende in affitto un server e
vi colloca un sito web per svolgere un’attività commerciale on-line, questo dovrebbe essere escluso
nel caso della società che, avendo collocato il proprio sito sul server gestito da un Internet Service
Provider, non ha la piena disponibilità del server
(16). Naturalmente occorre sottolineare come, in
quest’ultima ipotesi, la società che dispone in un
Paese di un server (in proprietà o in affitto) e che
ospita i siti web di altre società ha sicuramente in
quel Paese una stabile organizzazione, realizzandosi la presenza fissa di un elemento fisico (il server) attraverso il quale viene svolta l’attività d’impresa (la vendita dello spazio disponibile).
Come detto, la definizione di stabile organizzazione fornita dall’art. 5 del Modello OCSE prevede
che la sede d’affari sia fissa, cioè caratterizzata da
un certo grado di permanenza in un determinato
luogo. Già in precedenti documenti l’OCSE aveva
evidenziato la difficoltà di applicare questo concetto a un elemento come il server che può essere
facilmente spostato a bassi costi e senza pregiudicare la sua funzionalità (17).
Nella proposta di modifica all’attuale Commentario, il W.P. n. 1 sottolinea come, a riguardo, debba considerarsi non tanto il fatto che il server per
sua natura possa essere spostato, quanto la circostanza che esso lo sia effettivamente.
Un altro elemento essenziale che deve realizzarsi perché si possa parlare di stabile organizzazione è che attraverso l’Internet web site venga
12/2000 il fisco 3431
svolta in tutto o in parte l’attività d’impresa, e
non solo l’attività ausiliaria o preparatoria a questa (18).
L’analisi di questo aspetto è complessa, tenuto
conto della molteplicità e varietà dei servizi che
possono essere offerti sul sito; infatti una pagina web può avere un semplice contenuto pubblicitario, dando informazioni sull’impresa e sui
prodotti che questa vende, o può consentire
anche l’ordinazione e il pagamento, come può,
in alcuni casi, fornire il prodotto (o il servizio)
richiesto. Inoltre, la stessa novità di alcuni servizi offerti su Internet rende difficile la loro
classificazione; è, per esempio, il caso delle
banche dati messe a disposizione dei visitatori
di un sito. Già nel Documento “Electronic commerce: the challenges to tax authorities and taxpayers” l’OCSE sollevava il dubbio che un archivio informatico potesse essere assimilato a un
magazzino di beni fisici che, se usato esclusivamente per lo stoccaggio e la spedizione, non
costituisce stabile organizzazione. Naturalmente occorrerebbe in questo caso definire quando
la banca dati possa considerarsi ancora un semplice magazzino e quando invece la sua consultazione, unita ad altri servizi accessori, quali,
ad esempio, l’utilizzo di motori di ricerca,
diventi una prestazione di servizio rientrante
nell’attività d’impresa. In proposito il documento del W.P. n. 1 non fornisce maggiori approfondimenti, limitandosi a riconoscere la necessità
di esaminare caso per caso, avendo riguardo
alle varie attività svolte dall’impresa attraverso
gli strumenti informatici.
5. Applicabilità dell’agent clause
In diversi lavori dedicati all’approfondimento
delle problematiche fiscali del commercio elettronico è spesso ipotizzata l’applicazione del paragrafo 5 dell’art. 5 del Modello OCSE, che tratta
dell’ipotesi di stabile organizzazione da agente
dipendente.
Anche questo aspetto è affrontato nel documento proposto dal gruppo di lavoro del CFA, con riferimento a due distinte fattispecie.
Innanzitutto viene analizzata la possibilità di
inquadrare il rapporto che intercorre tra l’Internet
Service Provider e l’impresa in un rapporto di
“agente dipendente”. Conformemente a quanto
detto dal Dipartimento del Tesoro americano nel
documento “Implicazioni di politica fiscale relati-
(18) Nel documento Electronic commerce: a discussion paper
on taxation issues si evidenzia come una stabile organizzazione
possa configurarsi anche quando l’impresa, pur non usando la
pagina web per svolgere la propria attività, affitta ad altre
imprese lo spazio residuo sul proprio server.
RFI - 13
3432 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
(19) “Presumibilmente la relazione dell’imprenditore estero
con un provider locale di servizi di telecomunicazione è tale
che quest’ultimo non dovrebbe essere considerato un suo
agente. Anche nell’eventualità di una relazione di rappresentanza è molto probabile che il provider sia considerato un
agente indipendente. In tal modo non si pone la questione dell’attività d’impresa o della stabile organizzazione statunitense”.
Dipartimento del Tesoro americano, Implicazioni di politica
fiscale relative al commercio telematico, disponibile sul sito:
http://www.finanze.it/bit_tax.htm.
RFI - 14
il fisco
ve al commercio telematico” (19), l’organismo dell’OCSE afferma che, pur potendosi verificare situazioni particolari, in generale il paragrafo 5 dell’art.
5 non si rende applicabile in quanto la società provider non ha normalmente la facoltà di concludere
affari in nome dell’impresa ospitata sul proprio
server e, qualora l’avesse, agirebbe comunque in
qualità di agente indipendente nell’esercizio della
propria attività d’impresa, come è dimostrato dal
fatto che ospita i siti web di numerose imprese.
Viene, inoltre, analizzata la possibilità di identificare il sito web come agente; l’ipotesi era stata
avanzata in considerazione del fatto che i più evoluti programmi informatici permettono ad un
computer di svolgere in modo autonomo una serie
di attività che includono anche funzioni che
potremmo definire “discrezionali”. Anche se nei
limiti e nel rigido rispetto delle condizioni imposte
dal programma, un computer può “dialogare” con
il visitatore della pagina web fino a concludere un
contratto che vincola la società padrona del sito.
Anche questa ipotesi è esclusa dal documento
proposto dal W.P. n. 1 in considerazione del fatto
che l’art. 5 del Modello OCSE prevede che agente
dipendente sia una “persona” e la definizione di
“persona” fornita dall’art. 3 dello stesso Modello
non contiene alcun riferimento che possa includere un sito web. Basandosi su una interpretazione
aderente al contenuto letterale del Modello OCSE,
il documento rifiuta quindi una ipotesi che, anche
se suggestiva, nasceva da un errore concettuale
basato sulla confusione della basic clause, che privilegia l’aspetto oggettivo della sede di affari, con
l’agent clause, imperniata invece sull’aspetto soggettivo (20).
Il documento presentato dall’OCSE, pur essendo
una proposta finalizzata a stimolare la riflessione
dei soggetti coinvolti, contiene un’approfondita
analisi dell’attuale definizione di stabile organizzazione e importanti spunti interpretativi. Non è
però detto che siano questi gli indirizzi che alla
fine prevarranno. Se le soluzioni proposte nel
documento aderiscono al dettato letterale dell’art.
5 del Modello è perché questo era il limite del
mandato conferito al gruppo di lavoro; in alcuni
punti del documento tale limitazione è evidente.
Come chiarito nella prima parte del documento,
e come evidenziato in altri documenti precedenti,
l’OCSE è consapevole che l’evoluzione delle tecnologie di comunicazione permetterà in breve tempo
agli operatori economici di sviluppare il commercio elettronico in qualsiasi parte del mondo, indipendentemente dal luogo dove è collocato il server;
per questo l’OCSE stessa non esclude che la definizione (o il concetto stesso) di stabile organizzazione potrà in futuro essere sostituita per delineare
un sistema impositivo più aderente alla nuova
realtà economica.
(20) Per un maggiore approfondimento si veda Valente-Roccatagliata, Internet: aspetti giuridici e fiscali del commercio elettronico, op. cit..
Il mutamento di residenza
12/2000 il fisco 3433
3 TEMI DI APPROFONDIMENTO
Il mutamento di residenza
quale tipica forma di tax planning
delle persone fisiche
Disamina degli strumenti normativi
interni di reazione al fenomeno
(con accenni di diritto comparato)
di Sergio La Rocca
(1) Tra le molteplici pratiche elusive (esempio: Transfer price,
utilizzazione fiscale delle holdings, trusts, bandiere di convenienza, eccetera) quella del ricorso ad un paradiso fiscale (tax
haven, secondo la nota denominazione anglosassone) è certamente la più proficua, anche perché il paradiso fiscale consente
di combinare tra loro mezzi elusivi, facendo conseguire al
“viaggiatore fiscale” risultati talora insperati.
il fisco
Il crescente fenomeno della internazionalizzazione dei movimenti di capitali e la differenziazione del trattamento fiscale dei medesimi capitali tra
le diverse realtà nazionali ha contribuito al diffondersi del fenomeno relativo alla utilizzazione dei
cosiddetti paradisi fiscali che, da molto tempo,
rappresenta prerogativa tipica delle “imprese multinazionali”.
Dette imprese, infatti, collocando la propria
sede in tali realtà, beneficiano della fiscalità agevolata lì presente, con la quasi certezza di una
impunità fiscale, e ciò in quanto è possibile
“approfittare” delle lacune esistenti nell’ambito
della normativa internazionale e delle disparità
tra le disposizioni tributarie dei singoli Paesi, e
così “piazzare” i propri capitali in modo da raggiungere un risparmio di imposta di dubbia legittimità (1).
Proprio per fronteggiare tali meccanismi elusivi, i legislatori delle nazioni interessate a contrastare il fenomeno hanno da tempo introdotto
disposizioni peculiari (si segnalano, ad esempio,
l’art. 46 del Code B des Impôts sur le Revenu belga,
l’art. 238A del Code Général des Impôts francese,
nonché i commi 7-bis e 7-ter dell’art. 76 del D.P.R.
n. 917/1986, testo unico delle imposte sui redditi,
italiano) (2).
Tuttavia, accanto a tale forma di elusione fiscale
internazionale, posta in essere da società, ne esiste
un’altra, anch’essa molto particolare: si tratta del
fenomeno conosciuto come “mutamento di residenza”.
Tale fenomeno è attuato esclusivamente dalle
persone fisiche che, in modo fittizio, trasferiscono
la residenza dal proprio Paese di origine (a fiscalità elevata) in un altro Stato (a fiscalità agevolata
o addirittura nulla), anche (od esclusivamente)
con lo scopo di acquisire un indebito beneficio,
consistente nel più favorevole regime impositivo
dello Stato estero e nel sottrarre all’imposizione
(2) La normativa italiana, prendendo lo spunto da quella
francese, prevede la indeducibilità delle spese e componenti
negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e società collocate nei paradisi fiscali, a meno che le
imprese residenti in Italia non forniscano la prova che le operazioni effettuate all’estero hanno natura commerciale o che
le operazioni svolte abbiano avuto concreta esecuzione, e
corrispondono ad un effettivo interesse economico. Il legislatore italiano, inoltre, ha pure previsto una lista ad hoc (cosiddetta black list) con il D.M. 24 aprile 1992, con la quale vengono individuati gli Stati e territori (posti al di fuori dell’Unione europea) con regime fiscale agevolato, nei confronti
dei quali è applicabile la normativa anti paradisi fiscali su
richiamata.
RFI - 15
3434 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
- sulle peculiari e recentissime novità introdotte in sede normativa per contrastare la diffusione di tale strumento [comma 2-bis dell’art. 2 del
(3) Quello del trasferimento della residenza anagrafica
all’estero da parte di cittadini italiani che svolgono attività
artistica, sportiva, professionale o imprenditoriale si è rivelato un fenomeno in crescente aumento, che ha anche avuto
rilevanti echi sulla stampa e sui mass media. Anche il Ministero delle finanze ha provveduto ad “attaccare” le residenze
di comodo, avviando indagini su circa 300 vip che hanno
scelto di trasferire la propria residenza all’estero. Eclatante è
stato, poi, il caso conseguente alla decisione della Commissione tributaria di Modena che ha respinto il ricorso di un
famoso tenore, ritenendo che la sua residenza monegasca
fosse fittizia.
RFI - 16
Tuir (4) e comma 2 dell’art. 58 del D.P.R. n.
600/1973 (5)];
- sulla black list contenente l’indicazione dei
Paesi, considerati paradisi fiscali per le persone
fisiche dalla normativa italiana (attuata con il
D.M. 4 maggio 1999, pubblicato nella G.U. n. 107
del 10 maggio 1999);
- nonché sulle conseguenti circolari emanate
dal Ministero delle finanze per la disamina del
problema “mutamento di residenza” [operata con
la circolare del Ministero delle finanze n. 304/E del
2 dicembre 1997 (in “il fisco” n. 46/1997, pag.
13664)] e per la disamina della disciplina de qua
[attuata con la ulteriore circolare del Ministero
delle finanze n. 140/E, del 24 giugno 1999 (in “il
fisco” n. 27/1999, pag. 9055)].
il fisco
progressiva del Paese di origine i redditi complessivi, ovunque prodotti.
Per quanto, più propriamente, attiene all’ordinamento nazionale italiano, la diffusione del
fenomeno relativo al mutamento di residenza ha
assunto negli ultimi tempi una portata nient’affatto secondaria (3), tanto che lo stesso si è imposto, di recente, all’attenzione pure del nostro legislatore.
In linea generale, va premesso che il nostro
ordinamento giuridico - analogamente alla quasi
totalità delle altre legislazioni fiscali più evolute
- ricollega al possesso della residenza fiscale la
tassazione globale e progressiva dei redditi
ovunque prodotti (sulla base del cosiddetto
worldwide principle), mentre stabilisce che i non
residenti siano tassati su base territoriale, cioè
limitatamente ai redditi prodotti nel territorio
dello Stato.
A tale riguardo - come si vedrà meglio infra l’art. 2 del Tuir fissa una pluralità di possibili relazioni (cosiddetti “criteri di collegamento”), sia
personali che reali, con il Paese combinando, in
modo alternativo, elementi meramente formali
(iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente) con presupposti di natura sostanziale (residenza o domicilio nel territorio dello Stato), tutti
accomunati dalla sussistenza del solo requisito
temporale (“per la maggior parte del periodo d’imposta”).
Il diverso livello di tassazione tra i vari Stati,
a parità di reddito complessivo, ha tuttavia
indotto un non trascurabile numero di cittadini
italiani - più di frequente tra coloro che svolgono attività lavorativa in ambito internazionale ad emigrare fittiziamente - soltanto, cioè, sul
piano delle risultanze anagrafiche - in Paesi
caratterizzati da un regime fiscale particolarmente favorevole: con ciò ponendo in essere
quello che si è già definito come “mutamento di
residenza”.
Scopo del presente lavoro è, quindi, quello di
soffermarsi:
Prima di procedere in tale analisi sembra
opportuno, però, accennare al concetto di tax
planning, con particolare riferimento alla utilizzazione di tale strumento da parte delle persone fisiche nei paradisi fiscali (esaminandone anche alcuni di essi) e, poi, procedere ad una breve disamina
della normativa generale in vigore nell’ordinamento italiano in tema di soggetti passivi all’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef), dettata dal menzionato art. 2 del D.P.R. n. 917/1986,
anche alla luce dei chiarimenti resi dal Ministero
delle finanze, con la circolare n. 304/E del 2
dicembre 1997 (accennando, invero brevemente,
ad alcune analoghe disposizioni emanate da altri
Stati europei).
1. Il tax planning delle persone fisiche
Il tax planning rappresenta l’attività (aziendale
e/o di consulenza) mirata a programmare i fatti
imponibili di una persona fisica o giuridica e, quin-
(4) Il comma 2-bis è stato inserito dall’art. 10, comma 1, della
L. 23 dicembre 1998, n. 448 (pubblicata nel supplemento ordinario n. 210/L alla G.U. n. 302 del 29 dicembre 1998). Detto
comma così recita: “Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime
fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle
finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”. Il decreto di cui
la norma fa menzione è il citato D.M. 4 maggio 1999, contenente la black list dei Paesi fiscalmente privilegiati per le persone
fisiche.
(5) Il comma 2, ultimo periodo, dell’art. 58 del D.P.R. n.
600/1973 è stato integrato dal comma 2 dell’art. 10 della citata
L. n. 448/1998. Alla luce di tale integrazione, l’ultimo periodo
del comma 2 dell’art. 58 del decreto del Presidente della Repubblica citato, attualmente in vigore, così recita: “I cittadini italiani, che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio
con la pubblica amministrazione, nonché quelli considerati
residenti ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, del testo unico delle
imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917, hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza
nello Stato”.
Il mutamento di residenza
(6) In senso analogo, si veda Vecchio, Il tax planning internazionale, in “Commercio Internazionale”, n. 6, 1990, pagg. 379 e
seguenti.
(7) L’esempio classico in questo caso è il Principato di Monaco, che rappresenta un vero paradiso fiscale per le persone fisiche, poiché non vi esiste nessuna significativa imposta sul reddito.
(8) Da tale situazione, periodicamente conseguono controversie insorte fra l’artista (o lo sportivo) e l’Amministrazione finanziaria, incentrate prevalentemente sulla presunzione fiscale che
il contribuente fosse di fatto residente in Italia. In questo caso
le conseguenze sono assai rilevanti, in quanto i residenti devono scontare l’Irpef del nostro Paese sui redditi ovunque prodotti (anche all’estero) assoggettando gli stessi ad aliquota progressiva.
terio per la tassazione preso a base del sistema
impositivo.
Infatti, è ovvio come ad un soggetto che consegua redditi in più di uno Stato probabilmente convenga spostare la sua residenza in un Paese il cui
sistema di tassazione sia improntato al carattere
della territorialità: in tal modo verranno assoggettati a tassazione in quello Stato i soli redditi che
siano stati prodotti nello stesso territorio; mentre i
redditi realizzati all’estero, essendo imputabili ad
un non residente, saranno tassabili solo nella
misura in cui quel determinato Stato prevede la
tassazione del reddito prodotto nel territorio
medesimo.
È evidente come usufruendo di tali possibilità si
realizzi quel risparmio d’imposta desiderato: ma
ciò, non sottraendo materia imponibile all’Amministrazione finanziaria di nessuno dei due Stati
interessati, quanto piuttosto “eludendo” il principio di progressività dell’imposizione, ritenuto
ormai uno dei cardini fondamentali della tassazione di quasi tutti gli Stati (9).
2. Esempi di utilizzazione dei paradisi fiscali
delle persone fisiche
il fisco
di, in generale la sua attività economica, in modo
da subire il minor prelievo fiscale possibile (6).
La pianificazione fiscale, dunque, rappresenta
un processo attento ed elaborato che parte con l’esame di ognuno dei fattori rilevanti al raggiungimento dello scopo ultimo: il risparmio delle imposte.
Una delle principali tecniche elusive di tax planning internazionale attiene alla ricerca della più
opportuna “collocazione” territoriale del soggetto,
attuata attraverso il trasferimento della residenza
dell’operatore economico tenuto conto del principio di territorialità accolto nei vari Paesi.
Si realizza, così, una forma di elusione internazionale attuata con il trasferimento del contribuente: un contribuente, infatti, può giudicare
interessante stabilire il proprio domicilio in un
Paese straniero in cui la pressione fiscale risulti
più leggera, per le sue attività rispetto a quella del
proprio Paese d’origine.
Questa forma di pianificazione fiscale “della persona”, rappresenta un sistema messo in pratica
anche da diversi nomi celebri, soprattutto nel
mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura
per attenuare la propria pressione fiscale sulle
imposte sui redditi (7).
La residenza all’estero è, infatti, una scelta spesso fatta dagli artisti che nell’arco dell’anno si esibiscono in parecchi Stati, tanto da rendere difficile
l’individuazione del luogo in cui abbiano stabilito
la propria dimora abituale. Di norma, lo Stato in
cui viene svolta l’attività artistica applica sul compenso una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Se
l’artista, poi, stabilisce la propria residenza in uno
Stato che non tassa o tassa in misura ridottissima i
redditi delle persone fisiche, riesce così, di fatto,
ad appiattire la propria tassazione sul livello delle
ritenute d’imposta subite nei vari Stati in cui ha
svolto l’attività (8).
Nel mutamento di residenza, inoltre, grossa
importanza riveste, oltre che l’aliquota o la somma
di aliquote applicabili al particolare reddito, il cri-
12/2000 il fisco 3435
Per meglio comprendere il funzionamento dei
meccanismi attraverso i quali si realizza l’elusione
fiscale internazionale delle persone fisiche è necessario brevemente accennare a quelle giurisdizioni
fiscali nelle quali i redditi e la ricchezza dichiarati
dalle persone fisiche al loro interno sono esonerati
da parte o da tutte le forme di imposta.
Tra queste giurisdizioni, che costitituiscono i
paradisi fiscali per le persone fisiche, si possono
menzionare, Andorra, Monaco, le Bahamas (10), le
Bermuda (11), le Isole Cayman (12), la Polinesia
francese (13), San Bartolomeo (14).
(9) Questo tipo di elusione, può dunque considerarsi sostanzialmente legale, risultando conforme al diritto degli uomini di
stabilirsi ove preferiscono.
(10) Le Bahamas non presentano più l’imposta sui redditi e
sulle successioni.
(11) Esistono nelle Bermuda forme minime di imposizione
personale: l’aliquota massima dell’imposta di successsione è, ad
esempio del 5 per cento, ma l’imposizione è limitata all’asse
ereditario esistente nelle Bermuda.
(12) Non è possibile ritrovare in tali isole alcune delle classiche forme di imposizione delle persone fisiche.
(13) La Polinesia francese non prevede più alcuna tassazione
sui redditi, né sulle plusvalenze, né alcuna forma di imposizione sulle successioni e sulle donazioni.
(14) San Bartolomeo non presenta alcuna forma di imposizione sui redditi.
RFI - 17
3436 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
La determinazione delle regole sulla residenza
fiscale, combinate con varie situazioni operanti
Stato per Stato, permettono, dunque, alle persone
fisiche di sfuggire alle imposte.
Per quanto attiene più specificamente ai primi
due paradisi fiscali sopra menzionati si può dire
che essi sono tra i piu importanti ed essendo
anche menzionati nella black list italiana dei paradisi fiscali delle persone fisiche (di cui al D.M. 4
maggio 1999) procederemo ad una loro breve disamina.
necessario il possesso di un immobile nel Principato (cosa che stante il costo dei medesimi è certamente riservata ad una vera e propria élite).
Le società, invece, scontano un’imposta sugli
utili del 35 per cento: detta imposta è di tipo territoriale e, di conseguenza, si applica comunque
solamente ai redditi realizzati a Monaco.
3. Qualificazione dei soggetti residenti ai fini
delle imposte sui redditi
Passando, ora, all’esame della normativa italiana
vigente è noto che l’art. 2, comma 2, del Tuir stabilisce che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi
del codice civile”.
Pertanto, alla luce di tale disposizione, gli elementi che determinano la “residenza fiscale” in
Italia sono:
2.1. Andorra (15)
Andorra rappresenta un paradiso fiscale soltanto
per le persone fisiche per le quali non esistono
imposte di alcun tipo che colpiscano i redditi od il
patrimonio. Tale Paese, inoltre, funziona come una
specie di “porto franco” che abbraccia il coprincipato in tutto il suo insieme.
Andorra, inoltre, non ha stipulato alcun trattato
sulla doppia imposizione, né alcuna Convenzione
in materia fiscale, pertanto non fa parte di alcun
sistema amministrativo di assistenza in materia
fiscale (16).
2.2. Principato di Monaco (17)
(15) Il coprincipato di Andorra è situato nei Pirenei, tra la
Francia e la Spagna, ed è circondato da montagne che arrivano
a 2.800 m., con una popolazione di circa 30.000 abitanti. La
principale fonte di ricchezza è l’afflusso dei turisti che vengono
a fare i loro acquisti “esentasse” di alcolici e di sigarette.
(16) Per ottenere la residenza ad Andorra è necessario realizzare negozi a titolo oneroso - quali, ad esempio, acquisto di una
proprietà - in modo, così, da ottenere un permesso, prima provvisorio e poi definitivo, di residenza.
(17) Monaco è situata sulla Costa Azzurra, a sud della Francia, tra Nizza e S. Remo, ha una superficie di 1,5 Km quadrati,
per una popolazione di circa 25.000 abitanti. Non esiste agricoltura a causa della piccola estensione del Principato che comporta anche un prezzo talora assurdo del terreno al metro quadrato; la principale risorsa economica è il turismo, ed il costo
della vita è certamente tra i più elevati oggi esistenti al mondo.
(18) Per quanto attiene all’imposta sulle donazioni o successioni ricordiamo che in linea diretta (tra marito e moglie o tra
padre e figlio) non è prevista alcuna imposizione, mentre l’imposta è pari: all’8 per cento del valore dell’asse ereditario tra
fratelli e sorelle; al 10 per cento tra zio e nipote; al 13 per cento
tra gli altri collaterali; al 16 per cento per tutte le altre ipotesi.
Vale ricordare che tali imposte sono riscosse solo sulle attività
esistenti nel Principato.
RFI - 18
il fisco
II Principato di Monaco è un paradiso fiscale delle persone fisiche dato che non esiste alcuna imposta per i residenti sui redditi da lavoro, sugli interessi e i dividendi, sulle plusvalenze e sul patrimonio
(18). La struttura giuridica di ricevimento è basata
sulla residenza per ottenere la quale è, comunque,
a) l’iscrizione nelle anagrafi comunali della
popolazione residente;
b) la residenza nel territorio dello Stato, ai
sensi dell’art. 43, comma 2, del codice civile;
c) il domicilio nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 43, comma 1, del codice civile;
d) il requisito temporale.
Dal tenore letterale della norma emerge chiaramente che i requisiti sub a), b) e c) sono tra loro
alternativi e non concorrenti; è, pertanto, sufficiente il combinarsi di uno solo di essi con il requisito temporale, affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia (19).
3.1. Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente (cancellazione dalle anagrafi della popolazione
residente ed iscrizione all’A.I.R.E.)
L’iscrizione nelle anagrafi comunali della popolazione residente è disciplinata dalla L. 24 dicembre 1954, n. 1228 e dal relativo regolamento di
attuazione, il D.P.R. n. 223 del 30 maggio 1989.
Presupposto per l’iscrizione all’anagrafe è quello di
avere nel comune la propria dimora abituale ovvero l’avere stabilito nel comune il proprio domicilio.
Si ricorda, infine che non cessano di appartenere
alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti all’estero per l’esercizio di occupazioni stagionali o per cause di durata limitata.
Nelle ipotesi che qui ci interessano - trasferimento della residenza anagrafica all’estero da parte di cittadini italiani - va evidenziato che lo stesso
(19) In tal senso, oltre l’unanime dottrina, anche il Ministero
delle finanze, circolare n. 304/E del 1997 citata.
Il mutamento di residenza
(20) All’A.I.R.E. (Anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero) - istituita e disciplinata a norma della L. 27 ottobre 1988,
n. 470 e del relativo regolamento di attuazione, introdotto con
D.P.R. n. 323 del 6 settembre 1989 - devono iscriversi i cittadini
italiani che abbiano stabilito la propria dimora abituale all’estero. Tuttavia si segnala che non devono iscriversi all’A.I.R.E.:
- i cittadini che si recano all’estero per cause di durata
limitata, non superiore ai dodici mesi;
- i cittadini che si recano all’estero per l’esercizio di attività
stagionali;
- i dipendenti di ruolo dello Stato in servizio all’estero e le
persone con esse conviventi, i quali siano stati notificati alle
autorità locali, ai sensi delle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e sulle relazioni consolari (rispettivamente
del 1961 e del 1963) ratificate in Italia con la L. n. 804 del 9
agosto 1967.
all’interpretazione che di esse ha fornito la Suprema Corte di Cassazione (21)
Appare a questo punto utile una breve disamina
dei concetti di “residenza” e “domicilio”, in quanto
attraverso la dimostrazione dell’esistenza di uno
dei due citati requisiti, l’Amministrazione finanziaria potrà presumere sussistere, in capo ad un soggetto trasferito all’estero, la residenza fiscale.
3.2. Residenza
il fisco
avviene mediante la cancellazione dall’anagrafe
della popolazione residente e, di norma, dalla conseguente iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (A.I.R.E.) (20).
Pertanto, essendo venuto meno il requisito dell’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente - ma, ovviamente, non quello di cittadino italiano nel qual caso, altrimenti, la normativa in esame
non potrebbe essere applicata, dovendosi considerare quel soggetto alla stregua di qualunque straniero - assume fondamentale importanza - al fine
della eventuale qualificazione fiscale del soggetto
trasferitosi all’estero, come residente in Italia - la
verifica della sussistenza di almeno uno dei restanti requisiti (domicilio/residenza) che la norma
fiscale pone per determinare l’esistenza della “residenza fiscale” in Italia (con tutti gli obblighi che
da tale determinazione conseguirebbero).
Al riguardo, infatti, va evidenziato - come pure
affermato dalla citata circolare n. 304/E del 1997,
del Ministero delle finanze - che la cancellazione
dall’anagrafe della popolazione residente e la conseguente iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (A.I.R.E.) non costituisce elemento
determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato italiano, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche
in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici (così, ex plurimis, Cass. 17 luglio 1967, n. 1812;
20 settembre 1971, n. 4829; 24 marzo 1983, n.
2970; 5 febbraio 1985, n. 791).
Da ciò discende che l’avere stabilito il domicilio
civilistico in Italia ovvero l’avere fissato la propria
residenza sempre nel territorio dello Stato italiano
rappresentano condizioni sufficienti per integrare
la fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente. In tal caso, pertanto, al fine di continuare a considerare come residente fiscale in Italia
il soggetto trasferito all’estero, occorrere rifarsi
alle nozioni civilistiche di residenza e di domicilio
- per effetto dell’espresso richiamo operato a tali
istituti dal citato art. 2, comma 2, del Tuir - nonché
12/2000 il fisco 3437
Come è noto, la residenza è definita dal codice
civile (art. 43, comma 2) come il “luogo in cui la
persona ha la dimora abituale”. Pertanto, è possibile affermare che essa è determinata dall’abituale,
volontaria dimora di una persona in un dato luogo, per cui concorrono ad instaurare tale relazione
giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della
stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento
soggettivo della volontà di rimanervi, la quale,
estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale
intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento (così, Cass. 5 febbraio 1985, n. 791).
Dottrina e giurisprudenza sono, quindi, concordi
nell’affermare che affinché sussista il requisito dell’abitualità della dimora non è necessaria la continuità o la definitività (Cass. 29 aprile 1975, n.
2561; Cass., SS.UU., 28 ottobre 1985, n. 5292) (22).
3.3. Domicilio
Secondo quanto previsto dall’art. 43, comma 1,
del codice civile, “Il domicilio di una persona è nel
luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei
suoi affari e interessi”. Alla luce di tale disposto, la
giurisprudenza prevalente sostiene che il domicilio
costituisce un rapporto giuridico col centro dei
propri affari e prescinde dalla presenza effettiva in
un luogo (Cass. 29 dicembre 1960, n. 3322).
Esso consiste principalmente in una situazione
giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica
del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo cioè dalla volontà di stabilire e conservare in
quel luogo la sede principale dei propri affari ed
interessi (Cass. 21 marzo 1968, n. 884).
La locuzione “affari ed interessi” - di cui al citato
art. 43, comma 1, del codice civile - deve intendersi
in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti
di natura patrimoniale ed economica, ma anche
morali, sociali e familiari (Cass. 26 ottobre 1968,
n. 3586, 12 febbraio 1973, n. 435), di guisa che la
determinazione del domicilio va desunta alla stre-
(21) In tal senso, cfr. circolare n. 304/E del 1997, più volte
citata.
(22) Pertanto, l’abitualità della dimora permane anche qualora il soggetto lavori o svolga altre attività.
RFI - 19
3438 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
gua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente
o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti ed il carattere principale che esso ha nella vita della persona
(Cass. 5 maggio 1980, n. 2936).
Vale evidenziare che tale interpretazione giurisprudenziale è stata concretamente già seguita dall’Amministrazione finanziaria nel caso di un soggetto iscritto all’A.I.R.E. ed esercente attività di
lavoro autonomo all’estero. Per tale caso con risoluzione 14 ottobre 1988, n. 8/1329 (in “il fisco” n.
47/1988, pag. 7477), richiamata nella circolare n.
304/E del 1997 - si è affermato che la residenza
fiscale in Italia si concretizza qualora “la famiglia
dell’interessato abbia mantenuto la dimora in Italia durante l’attività lavorativa all’estero o, comunque, nel caso in cui emergano atti o fatti tali da
indurre a ritenere che il soggetto interessato ha
quivi mantenuto il centro dei suoi affari ed interessi”. Per cui, da ciò discende che, per l’Amministrazione finanziaria, deve considerarsi fiscalmente
residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo
la propria attività lavorativa fuori dal territorio
nazionale, mantenga il “centro” dei propri interessi familiari e sociali in Italia (23).
Altro requisito richiesto dal citato art. 2 del Tuir
- al fine della determinazione della residenza fiscale in Italia - è costituito dal requisito temporale
(“per la maggior parte del periodo d’imposta”) che
opera sia nel caso dell’iscrizione anagrafica che
nelle ipotesi di domicilio o di residenza, ai sensi
del codice civile.
In sostanza, con tale requisito, il legislatore ha
inteso richiedere la sussistenza di un legame effettivo e non meramente provvisorio del soggetto con
il territorio dello Stato, tale da legittimare la sussistenza degli obblighi tributari in capo a tale soggetto.
Più in particolare, tale requisito temporale - che,
come detto, accomuna le tre fattispecie necessarie
alla individuazione della “residenza fiscale” (iscrizione anagrafi popolazione residente, domicilio,
residenza) previste dall’art. 2 del Tuir in esame viene comunemente interpretato come permanen-
(23) Al riguardo, va evidenziato che la rilevanza assunta dall’elemento soggettivo e soprattutto l’estensione dell’inciso “affari ed interessi” ai rapporti di natura non patrimoniale, fa sì che
la nozione di domicilio sfugga a criteri di carattere qualitativo.
Pertanto, la circostanza che il soggetto abbia mantenuto in Italia i propri legami familiari od il “centro” dei propri interessi
patrimoniali e sociali deve ritenersi sufficiente a dimostrare un
collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano tale da
far ritenere soddisfatto il requisito temporale previsto dalla
norma (in tal senso circolare n. 304/E del 1997, citata)
RFI - 20
4. Reazione al fenomeno del “mutamento di
residenza” - Cenni di diritto comparato
Prima di procedere all’esame della normativa
italiana, recentemente introdotta per “combattere”
il fenomeno in esame, pare opportuno considerare
alcune disposizioni normative interne, introdotte
all’uopo dalle legislazioni di Paesi comunitari, al
fine di potere anche comparare le stesse con le
disposizioni italiane.
Nella legislazione dei vari Stati non mancano,
infatti, disposizioni volte a limitare, quanto meno
ai fini fiscali, siffatti trasferimenti (o meglio,
abbandono di residenza), posto che ad essi corrisponde in genere una perdita di gettito fiscale.
il fisco
3.4. Requisito temporale
za, in una delle tre ipotesi su menzionate, per
almeno 183 giorni all’anno (184, per gli anni bisestili).
Ovviamente, il periodo de quo può anche non
essere continuativo: infatti, il Ministero delle
finanze ha avuto modo di precisare (24) che il
computo dei giorni al fine della verifica della permanenza in Italia - e quindi, per l’assoggettamento
ai redditi quivi percepiti - deve essere effettuato
tenendo presente il numero complessivo dei giorni
di presenza fisica (25).
4.1. Germania
In Germania, per esempio, il trasferimento della
residenza all’estero da parte di soggetti ivi residenti per 5 anni nel corso degli ultimi 10, i quali conservano interessi economici nel Paese, non esclude
la illimitata assoggettabilità ad imposta (per i successivi 10 anni) su tutti i redditi posseduti, che non
siano considerati di fonte estera, ai fini dell’appli-
(24) Trattasi della circolare 17 agosto 1996, n. 201/E (in “il
fisco” n. 32/1996, pag. 7795), emanata in tema di individuazione del regime fiscale applicabile ai redditi di lavoro dipendente
percepiti in Italia da soggetti residenti in Paesi con i quali sono
in vigore le Convenzioni contro le doppie imposizioni.
(25) In particolare devono essere computati non soltanto il
periodo di effettivo svolgimento dell’attività in Italia, ma anche
le frazioni di giorno, il giorno di arrivo e di partenza, i sabati e
le domeniche, i giorni di ferie goduti nel territorio dello Stato
prima, durante e dopo l’esercizio dell’attività, nonché le brevi
interruzioni dell’attività lavorativa trascorse nel territorio dello
Stato.
Sono invece esclusi dal computo soltanto la durata - inferiore
a 24 ore - del tempo trascorso in Italia in transito tra due località poste al di fuori del territorio dello Stato, nonché i giorni di
ferie e le brevi interruzioni delle attività trascorse all’estero.
Anche se tale precisazione è stata resa con riferimento a redditi
di lavoro dipendente, si deve ritenere che tali criteri di computo
abbiano carattere generale e, quindi, possano essere utilizzati
per individuare la residenza fiscale in Italia. (In senso conforme, si veda Leo-Monacchi-Schiavo, Le imposte sui redditi nel
testo unico, Giuffrè ed., 1999, pag. 12).
Il mutamento di residenza
cazione delle disposizioni del Foreign Tax Credit
delle persone fisiche.
12/2000 il fisco 3439
ria italiana ha posto già la sua attenzione al fenomeno che qui ci interessa con la citata circolare n.
304/E del 2 dicembre l997.
4.2. Danimarca
5.1. Circolare del Ministero delle finanze n. 304/E
del 1997
In Danimarca, il trasferimento di residenza non
esclude l’assoggettabilità della persona fisica ad
imposta, fino a che la stessa dispone nello Stato di
una abitazione ed anche per i quattro anni successivi all’abbandono dell’alloggio.
Tale disposizione, peraltro, si applica solamente
nell’ipotesi in cui il contribuente non sia in grado
di dimostrare di essere assoggettato ad imposizione sul reddito complessivo prodotto in un altro
Paese (26).
4.3. Finlandia
In Finlandia l’art. 9 dell’Income Tax Act, prevede
che i cittadini finlandesi siano considerati fiscalmente residenti nel Paese anche per i tre anni successivi a quello di trasferimento della residenza
all’estero.
4.4. Gran Bretagna
5. La normativa italiana anti-paradisi fiscali
delle persone fisiche
Di recente si è assistito, da parte del legislatore
italiano, al tentativo di porre un freno al fenomeno
in analisi, stante anche la sua sostanziale estensione a diverse categorie di persone fisiche che, per
sfuggire alla elevata imposizione italiana decidono
di “tagliare” il collegamento con la nostra legislazione fiscale, trasferendo la propria residenza in
Paesi a fiscalità agevolata.
Prima però di passare all’esame della nuova normativa (art. 2, comma 2-bis, del Tuir) pare opportuno evidenziare che l’Amministrazione finanzia-
il fisco
La prima disposizione di legge tesa a limitare l’elusione fiscale internazionale delle persone fisiche
è contenuta nella legge delle finanze del 1936, poi
divenuta l’art. 478 dell’I.C.T.A..
Tale norma, intitolata “Trasferimento di attività
all’estero”, contiene delle disposizioni tese ad evitare che, attraverso il trasferimento dei redditi
all’estero, il contribuente sfugga all’imposta sul
reddito in Inghilterra.
La prima iniziativa intrapresa in tal senso è stata
attuata appunto con la più volte menzionata circolare n. 304/E del 1997, con la quale il Ministero
delle finanze, partendo dall’esame della situazione
normativa esistente (prima ancora, cioè, dell’entrata in vigore del comma 2-bis dell’art. 2 del Tuir) ha
cercato di tracciare le guidelines per affrontare la
lotta avverso il mutamento di residenza, e, in particolare, per l’accertamento della effettiva residenza fiscale, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche (27).
Con la suddetta circolare - al fine di monitorare i
fenomeni su esposti di elusione e di porre in essere
ogni azione utile per controllarli e contrastarli il
Ministero delle finanze ha ritenuto necessario
“dare impulso ad attività di tipo investigativo e di
intelligence tali da consentire l’individuazione dei
casi in cui il trasferimento della residenza anagrafica rappresenta un facile espediente posto in essere da cittadini italiani che di fatto hanno mantenuto la residenza o il domicilio in Italia” ed ha, con
ciò fornito “gli strumenti da tenere in considerazione al fine di verificare la sussistenza di elementi
certi e concreti ai fini dell’accertamento dell’effettiva residenza fiscale in Italia, indipendentemente
dalle risultanze anagrafiche” (28).
In particolare, tra le azioni necessarie da intraprendere per valutare l’effettiva situazione giuridica della persona fisica trasferita, vengono evidenziate le seguenti (29):
- reperire notizie certe sulla posizione storicoanagrafica risultante presso il comune dell’ultimo
domicilio fiscale in Italia (30);
- acquisire tutte le informazioni presenti nel
sistema informativo dell’Anagrafe tributaria;
(27) L’esempio classico riguarda, quindi, quei cittadini trasferitisi all’estero che si sono iscritti all’A.I.R.E, dopo essersi cancellati dall’anagrafe della popolazione residente.
(28) Così circolare n. 304/E del 1997 citata.
(29) Secondo quanto riportato nella circolare in esame, tale
attività sarà espletata da apposite strutture investigative e di
intelligence.
(26) Ispirata al medesimo principio di cautela nell’abbandono della residenza fiscale è la disposizione danese che, a talune
condizioni, considera l’abbandono di residenza, da parte di
società registrate in Danimarca, alla stregua (quanto meno ai
fini fiscali) della loro messa in liquidazione, cosicché il trasferimento di beni all’estero, ai fini fiscali, è equivalente alla loro
vendita.
(30) Il Ministero, all’uopo, ricorda che tali notizie possono
essere anche reperite presso gli uffici dell’A.I.R.E., situati presso ciascun comune e presso il Ministero dell’interno nei quali
sono tenuti gli schedari che raccolgono le schede individuali e
le schede delle famiglie cancellate dall’anagrafe delle popolazioni residenti a causa del trasferimento permanente all’estero.
RFI - 21
3440 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
- acquisire copia degli atti concernenti donazioni, compravendite, costituzione di società di
persona e/o di capitale anche a stretta base azionaria, conferimenti in società;
- valutare attentamente i rapporti intercorrenti con i soggetti cointeressati nei suddetti atti;
- acquisire informazioni sulle movimentazioni
di somme di denaro da e per l’estero, sul luogo e
data di emissione di assegni bancari, sugli investimenti in titoli azionari e obbligazionari italiani.
- disponga di una abitazione permanente;
- mantenga una famiglia;
- accrediti i propri proventi, dovunque conseguiti;
- possieda beni, anche mobiliari;
- partecipi a riunioni d’affari;
- rivesta delle cariche sociali;
- sopporti spese alberghiere o di iscrizione a
circoli o clubs;
- organizzi la propria attività e i propri impegni anche internazionali, direttamente o attraverso
soggetti operanti nel territorio.
In sostanza, il Ministero delle finanze pone in
evidenza l’esigenza che, con l’attività investigativa
svolta, l’organo accertatore sia in grado di reperire
tutti gli elementi concreti di prova in ordine:
Passando, poi, all’esame delle tipologie reddituali interessate dai casi di fittizia emigrazione all’estero di persone fisiche residenti, la circolare in
esame, opportunamente, evidenzia che gli elementi reddituali sottratti all’imposizione riguardano le
seguenti categorie reddituali:
- ai legami familiari o comunque affettivi ed
all’attaccamento all’Italia;
- agli interessi economici in Italia;
- all’interesse a tenere o far rientrare in Italia i
proventi conseguiti con le prestazioni effettuate
all’estero;
- all’intenzione di abitare in Italia anche in
futuro, intenzione desumibile da fatti e atti concludenti ovvero da pubbliche dichiarazioni (31).
- redditi derivanti da attività professionali,
sportive ed artistiche;
- redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno (royalties, eccetera);
- redditi di capitale.
Pertanto l’obiettivo più importante da perseguire
nella prima fase delle indagini è l’accertamento
della simulazione del soggetto che:
II Ministero delle finanze, dunque, stabilisce che
per tali soggetti trasferitisi all’estero, l’accertamento della qualità di soggetto fiscalmente residente in
Italia si desumerà - attraverso le indagini svolte da una “valutazione d’insieme” dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene in Italia.
Tale valutazione, indipendentemente dalla presenza fisica e dalla sola attività lavorativa esplicata
prevalentemente all’estero consentirà di stabilire
che la sede principale degli affari ed interessi è
situata nel territorio dello Stato italiano se ed in
quanto, ad esempio, in Italia la persona fisica interessata dall’attività di controllo:
(31) È molto interessante la precisazione del Ministero delle
finanze circa il fatto che detti elementi potranno essere ricavati,
oltre che dall’analisi puntuale di tutta la documentazione acquisita, anche da un’attenta ricognizione sulla stampa locale e
nazionale, nonché su pubblicazioni biografiche o servizi prodotti dalle reti televisive locali e nazionali.
RFI - 22
il fisco
- nonostante le risultanze anagrafiche attestanti il trasferimento della residenza all’estero,
mantenga il “centro” dei propri interessi rilevanti
in Italia;
- ovvero, preordinando una “pluralità di centri”, renda difficoltosa l’individuazione della sede
principale degli affari ed interessi;
- od ancora abbia realizzato una interposizione
fittizia, attraverso l’imputazione formale dei proventi, direttamente conseguiti, a soggetti terzi (società).
Pertanto, ai fini dell’individuazione dei redditi
conseguiti occorrerà fare specificamente ricorso ai
seguenti strumenti:
- all’istituto dello “scambio di informazioni”
con le competenti autorità fiscali estere, avendo
cura di evidenziare nella richiesta ogni utile elemento già acquisito ai fini della individuazione dei
redditi conseguiti nello Stato estero;
- alle indagini bancarie ed alla richiesta di
informazioni presso gli intermediari finanziari.
Una volta conclusasi l’analisi di tutti gli elementi
ricavati ed, eventualmente, individuato in Italia il
permanere del domicilio o della residenza da parte
del soggetto trasferito - anche alla luce del criterio
ermeneutico conseguente alla menzionata giurisprudenza della Corte di Cassazione - lo stesso
soggetto sarà, ovviamente, considerato fiscalmente
residente in Italia, da ciò conseguendo tutti gli
obblighi fiscali a suo carico (32).
5.2. Modifiche normative (art. 2, comma 2-bis, del
Tuir - D.M. Finanze 4 maggio 1999) e circolare del
Ministero delle finanze n. 140/E del 1999
Con il citato art. 10 della L. 23 dicembre 1998,
n. 448, sono state ora introdotte nuove disposi(32) Inoltre, per effetto della modifica del comma 2 dell’art.
58 del D.P.R. n. 600/1973, il luogo di residenza od in cui si conserva il domicilio è utile anche per indicare a quale ufficio dell’Amministrazione finanziaria competerà l’accertamento nei
confronti della persona fisica considerata ancora residente in
Italia.
Il mutamento di residenza
(33) Il termine “Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato”, mutuato dall’esperienza francese (“Etat étranger ou territoire avec un régime fiscale privilégié”, di cui all’art. 238 A del
CGI francese, citato) non è nuovo nell’esperienza giuridica italiana. Lo si è, infatti, utilizzato per la prima volta nell’art. 76,
comma 7-bis, del Tuir, per indicare la indeducibilità delle spese
e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con società domiciliate ai fini fiscali in Stati o territori
extra-Unione europea (considerati regime fiscale privilegiato),
laddove tali società siano legate ad imprese italiane da un rapporto di controllo o di collegamento, ai sensi dell’art. 2359 del
codice civile.
(34) È opportuno precisare - come meglio si dirà fra breve che i Paesi o territori che costituiscono paradisi fiscali per le
persone fisiche non necessariamente coincidono con quelli
individuati dal D.M. 24 aprile 1992 (emanato in attuazione dell’art. 76, comma 7-bis, del Tuir) che contiene invece l’elencazione dei paradisi fiscali per le persone giuridiche.
rimane a carico dell’Amministrazione finanziaria,
la quale dovrà procedere a dimostrare la sussistenza della residenza fiscale, attraverso gli strumenti
indicati nella circolare n. 304/E del 1997, prima
esaminata.
5.2.1. Presunzione di residenza e inversione dell’onere della prova
il fisco
zioni volte a contrastare la fittizia emigrazione
all’estero, per finalità tributarie, delle persone
fisiche.
In forza della suddetta norma - che con il comma 1 ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 2 del Tuir,
concernente l’individuazione dei soggetti passivi
all’Irpef - è stato stabilito che “Si considerano
altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini
italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione
residente ed emigrati in Stati o territori aventi un
regime fiscale privilegiato, individuati con decreto
del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale” (33).
In attuazione, poi, di quanto previsto dalla nuova disposizione legislativa, con D.M. 4 maggio
1999, sono stati individuati gli Stati e i territori
aventi un regime fiscale privilegiato per le persone
fisiche (sono stati, cioè, individuati quegli Stati o
territori che costituiscono per il nostro legislatore
paradisi fiscali per le persone fisiche) (34).
Le nuove disposizioni, sia pure con effetti limitati ai soli “Stati o territori aventi un regime fiscale
privilegiato”, consentono di ampliare l’operatività
della normativa preesistente, in precedenza esaminata.
In pratica, la nuova disposizione normativa
introduce una presunzione (relativa) di legge, in
base alla quale la residenza fiscale in Italia viene
ritenuta sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori e che non riescono a dimostrare la effettività
della nuova residenza nel Paese considerato a
“fiscalità agevolata” (fornendo, appunto, la prova
contraria richiesta dalla legge, per superare la presunzione stessa).
Ovviamente, l’inversione dell’onere della prova
opera soltanto in relazione a coloro che si sono
trasferiti in uno dei Paesi o territori individuati dal
citato decreto ministeriale; infatti, per coloro che
si sono, invece, trasferiti in Paesi diversi da quelli
previsti dal decreto medesimo, l’onere della prova
12/2000 il fisco 3441
Passando all’esame della nuova disposizione
normativa va preliminarmente chiarito - come
pure indicato dal Ministero delle finanze, nella
circolare n. 140/E del 1999 in esame - che la presunzione stabilita dal comma 2-bis dell’art. 2 del
Tuir, non crea affatto un ulteriore status di residenza fiscale - i cui presupposti sono già ampiamente regolati dal comma 2 dello stesso art. 2 bensì introduce soltanto un ulteriore criterio
rivelativo dell’individuazione della residenza
stessa.
In sostanza, con l’introduzione del comma 2bis citato, il legislatore, utilizzando lo strumento
delle “presunzioni legali relative”, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, in
modo da evitare che dati di ordine meramente
formale prevalgano sugli aspetti di ordine sostanziale.
Molto opportunamente, poi, il Ministero precisa
che - per effetto del predetto comma 2-bis citato l’onere della prova contraria riguarda tutti i soggetti che sono emigrati in uno degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, come individuati nel suddetto decreto ministeriale anche
quando l’emigrazione sia avvenuta transitando
anagraficamente per uno Stato terzo, non ricompreso in tale decreto (35).
Per i trasferimenti in Stati o territori diversi da
quelli considerati nel D.M. del 4 maggio 1999 l’onere della prova permane, invece come già sopra
evidenziato, a carico dell’Amministrazione finanziaria, la quale dovrà fare ricorso ai tradizionali
strumenti di indagine ed ai concreti elementi
dimostrativi di cui alla pure richiamata circolare
n. 304/E.
5.2.2. Individuazione degli Stati o territori aventi
un regime fiscale privilegiato (D.M. 4 maggio 1999)
La circolare in esame prosegue con l’analisi dei
criteri con i quali sono stati individuati gli Stati e i
territori aventi un regime fiscale privilegiato, crite(35) In buona sostanza, appare ampiamente condivisibile
l’interpretazione ministeriale della norma in esame, in base alla
quale, facendosi prevalere la realtà sull’apparenza, si considera
operante l’inversione dell’onus probandi anche nel caso in cui il
soggetto sia solo “transitato” in un Paese non ricompreso nella
black list italiana, per poi trasferirsi definitivamente in un paradiso fiscale.
RFI - 23
3442 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
- al ricorrere di una bassa o inesistente forma
di tassazione personale, intesa in termini di effettività e perciò riferita non solo alle aliquote d’imposta nominali, ma anche alla formazione della base
imponibile, agli eventuali regimi agevolativi, alle
detrazioni d’imposta e alle deduzioni dal reddito
complessivo;
- al grado di trasparenza e di collaborazione
informativa dei vari elementi che concorrono a
delineare, con riguardo anche alla situazione bancaria la effettività delle situazioni economicofiscali;
- al complesso dei poteri e delle modalità di
accertamento esercitati dall’Amministrazione
finanziaria locale, come pure al livello delle potestà di controllo previste al riguardo e realmente
attuate senza trascurare l’eventuale ricorso a forme individuali di definizione fiscale, improntate a
criteri di discrezionalità.
(36) L’individuazione di tali Stati e territori è stata indirizzata
da un apposito gruppo di lavoro che, allo scopo, ha utilizzato la
documentazione e le esperienze disponibili in materia di fiscalità agevolata, con particolare riferimento alle elaborazioni in
atto in ambito internazionale, sia comunitario che di cooperazione in sede OCSE
RFI - 24
Prova contraria
il fisco
ri poi trasfusi nel citato D.M. 4 maggio 1999 (in
allegato al presente) (36).
In sintonia con la relazione illustrativa dell’art.
10 della L. n. 448/1998, è dato rilevare che tale
lista, pur ispirandosi a quella prevista dall’art. 76,
comma 7-bis, del Tuir (D.M. 24 aprile 1992) - parimenti finalizzata a contrastare l’utilizzazione strumentale dei regimi fiscalmente privilegiati per le
imprese - se ne differenzia per la diversità non solo
dei presupposti oggettivi ma anche di quelli soggettivi, considerato che la nuova disposizione non
si applica alle imprese ma ai soggetti persone fisiche.
Infatti, l’individuazione dei Paesi fiscalmente
privilegiati per le persone fisiche è svincolata da
qualsiasi limite, sia in ordine al livello quantitativo
della tassazione degli stessi (mentre, invece, l’art.
76, comma 7-bis, del Tuir, nel definire il regime
fiscale privilegiato prevede che in questo sussista
l’esclusione dall’imposizione sul reddito o l’assoggettamento delle società ad imposizione in misura
inferiore alla metà di quella complessivamente
applicata in Italia, sui redditi della stessa natura) e
sia per quanto riguarda l’aderenza o meno all’Unione europea dei Paesi stessi (mentre la black list
di cui al D.M. 24 aprile 1992 fa esclusivo riferimento a società domiciliate in Paesi o territori
extra-Unione europea).
I criteri di individuazione di tali regimi di fiscalità agevolata per le persone fisiche innanzitutto
fanno riferimento:
La norma in esame, quindi, risolve in via presuntiva - con le modalità ed i limiti territoriali
innanzi descritti - il problema della dimostrazione
della permanenza della residenza fiscale in Italia.
Tale presunzione, tuttavia, riveste il carattere di
presunzione legale non assoluta, che consente,
pertanto, la prova contraria: assume, così, un
significato rilevante esaminare la natura, i limiti di
ammissibilità e la consistenza dei relativi mezzi ed
elementi dimostrativi (37).
In sostanza, attraverso la suddetta presunzione
relativa - e per il superamento della stessa - il legislatore impone al contribuente (l’onere) di dimostrare l’esistenza di fatti ed atti che suffraghino
l’effettività del trasferimento di residenza - situazione formalmente manifestatasi con la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente - e
la conseguente assunzione di un reale e duraturo
rapporto con lo Stato di immigrazione, nonché
l’interruzione di rapporti significativi con lo Stato
italiano (38).
In merito, poi, allo specifico contenuto dell’onere probatorio da fornire per il superamento
della presunzione di “fittizietà” della residenza
nel paradiso fiscale - e, quindi, al fine di superare
la mera formalità della cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente con la dimostrazione della insussistenza nel nostro Paese della
dimora abituale (residenza) ovvero del complesso
dei rapporti afferenti gli affari e gli interessi,
allargati, oltre che agli aspetti economici, a quelli
familiari, sociali e morali (domicilio) - il contribuente interessato potrà utilizzare qualsiasi mez-
(37) In merito alla prova contraria che il contribuente deve
fornire per dimostrare la “effettività” della residenza nel
paradiso fiscale la circolare n. 140/E del 1999, precisa che “il
legislatore, nel confermare espressamente l’ammissibilità della prova contraria al fine di contrastare la presunzione legale
di residenza fiscale, ha evitato qualsiasi condizionamento o
limite per quanto riguarda sia la predeterminazione che il
valore delle varie forme in cui tale prova può estrinsecarsi.
Ciò significa che viene riconosciuta la più ampia possibilità
di esplicazione al concreto esercizio dei diritti di difesa del
contribuente anche nella fase extraprocessuale, fermo restando l’esclusione del giuramento e della prova testimoniale”.
(Tali mezzi di prova non sono, infatti utilizzabili nel processo
tributario, per effetto dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n.
546/1992).
(38) Opportunamente la circolare in esame precisa che “in
tale contesto di collegamento personale, è appena il caso di
segnalare che, qualora il Paese fiscalmente privilegiato sia
anche legato al nostro da Convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi, ai fini della conferma o meno della residenza fiscale nazionale occorre ovviamente considerare, oltre ai
presupposti interni, anche quelli di cui all’apposita clausola
convenzionale (‘residente in uno Stato contraente’) allo scopo
di evitare la possibile insorgenza di una doppia residenza
fiscale”.
Il mutamento di residenza
zo di prova (39) di natura documentale o dimostrativa, atto a stabilire, in particolare:
In sostanza soltanto la piena dimostrazione, da
parte del contribuente, della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e la
parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel Paese fiscalmente privilegiato, indipendentemente dall’assolvimento nello stesso
Paese di obblighi fiscali, attestano il venire
meno della residenza fiscale in Italia e la conseguente legittimità della posizione di non residente.
(39) Si tratta, in sostanza, degli stessi strumenti che, in
base alla circolare n. 304/E del 1997 devono essere usati
dagli uffici per dimostrare la residenza fiscale in Italia del
contribuente che, invece, per tale caso, devono essere utilizzati, “in negativo”, dai contribuenti per dimostrare, al contrario appunto, la effettività della residenza all’estero e, di
conseguenza, l’inesistenza della residenza/domicilio in Italia.
(40) Come precisato dal Ministero delle finanze, nella circolare n. 140/E, “i predetti ed eventuali altri elementi di prova vanno considerati e valutati in una visione globale, atteso che il
superamento della prova contraria alla presunzione legale non
può che scaturire da una complessiva considerazione della
posizione del contibuente”.
5.2.3. Decorrenza della presunzione di residenza
fiscale in Italia
In merito, poi, alla decorrenza temporale della
presunzione legale introdotta dal più volte citato
comma 2-bis, opportunamente il Ministero delle
Finanze ritiene - stando anche al tenore delle relazioni accompagnatorie dell’art. 10 della L. n. 448 che la stessa operi dalla data di entrata in vigore
della legge, cioè solo a decorrere dal 1° gennaio
1999 (41): pertanto, con riferimento ai periodi
d’imposta anteriori al 1999, in presenza di una
emigrazione anagrafica verso gli Stati o territori
individuati nel citato D.M. 4 maggio 1999, l’onere
probatorio ai fini della dimostrazione dell’effettiva
residenza fiscale continuerà a gravare sull’Amministrazione finanziaria.
Ovviamente la nuova disposizione presuntiva
trova piena applicazione dal periodo d’imposta
1999 indipendentemente dalla circostanza che l’emigrazione sia avvenuta anteriormente al 1° gennaio 1999 (42).
5.2.4. Domicilio fiscale dei cittadini emigrati in
Stati o territori fiscalmente privilegiati
il fisco
- la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato sia per sé che per l’eventuale nucleo familiare;
- l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli
presso istituti scolastici o di formazione del Paese
estero;
- lo svolgimento di un rapporto lavorativo a
carattere continuativo, stipulato nello stesso
Paese estero, ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;
- lo svolgimento di un rapporto continuativo a
carattere continuativo, stipulato nello stesso Paese;
- la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni
abitativi nel Paese di immigrazione;
- l’esibizione di fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari,
pagati nel Paese estero;
- la movimentazione, a qualsiasi titolo, di
somme di denaro o di altre attività finanziarie nel
Paese estero e da e per l’Italia;
- l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del
Paese di immigrazione, l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di
donazione, compravendita, costituzione di società,
eccetera;
- la mancanza nel nostro Paese di significativi
e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo (40).
12/2000 il fisco 3443
Il comma 2 dell’art. 10 della L. n. 448 ha integrato il comma 2 dell’art. 58 del D.P.R. n. 600 del
1973, con l’inserimento, dopo le parole “pubblica
amministrazione”, delle parole: “nonché quelli
considerati residenti ai sensi dell’art. 2, comma 2bis, del testo unico delle imposte sui redditi,
approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”.
Per effetto di tale previsione, i cittadini cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed
emigrati in un Paese ricompreso nella lista di cui
al D.M. 4 maggio 1999, in quanto considerati
fiscalmente residenti in Italia, continuano ad avere
il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza
anagrafica, al pari dei connazionali “che risiedono
all’estero in forza di un rapporto di servizio con la
pubblica amministrazione”.
(41) Viene, infatti, precisato che “l’inversione dell’onere della
prova prevista dalla disposizione in argomento, finisca per produrre effetti non soltanto meramente procedimentali, ma anche
sostanziali che, come tali, in mancanza di una espressa previsione normativa, non possono avere carattere retroattivo” (circolare n. 140/E del 1999).
(42) Per quanto concerne gli adempimenti dei sostituti d’imposta, la circolare n. 140/E del 1999, precisa che gli stessi non
sono in alcun modo influenzati dalla nuova presunzione legale,
ma continuano ad essere collegati alla posizione comunicata
dal sostituto. Soltanto nel caso in cui quest’ultimo rappresenti
l’effettivo status di residente nazionale, indipendentemente dalle proprie risultanze anagrafiche, il sostituto dovrà attenersi
alla corrispondente disciplina di prelievo tributario alla fonte
(operando in linea di massima, la ritenuta a titolo d’acconto,
anzichè a titolo d’imposta).
RFI - 25
3444 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
Tale disposizione opera nei confronti di quei
soggetti che non hanno fornito la controprova della presunzione di residenza fiscale in Italia e che,
pertanto, si presumono fiscalmente residenti in
Italia e consente di determinare a quale ufficio dell’Amministrazione finanziaria competerà, territorialmente, l’attività accertativa nei confronti di tali
soggetti.
5.3.1. Stati senza Convenzione
Dall’esame della nuova lista è individuabile una
prima categoria di Stati con i quali l’Italia non ha
stipulato Convenzioni fiscali contro le doppie
imposizioni; con tali Stati (quali, ad esempio,
Alderney, Andorra, Anguilla, Antigua, Aruba) la
nostra Amministrazione è praticamente impossibilitata dal “colloquiare” almeno in modo rituale. Ne
consegue che, nei confronti del cittadino italiano
che decide di trasferire in quegli Stati “a regime
fiscale privilegiato” la propria residenza, il Fisco
non potrà mai acquisire alcuna informazione dalle
Amministrazioni di tali Stati: ed in questo caso
viene in soccorso la disposizione introdotta dall’art. 10 della L. n. 448/1998, che consente, come
ampiamente chiarito, di considerare residenti in
Italia queste persone, salvo che non forniscano
prova contraria.
5.3. Breve disamina della black list italiana dei
paradisi fiscali delle persone fisiche
Con il D.M. 4 maggio 1999, l’Amministrazione
finanziaria italiana ha individuato 59 Paesi considerati paradisi fiscali delle persone fisiche, il cui
trasferimento di residenza in essi non ha valore ai
fini delle imposte sui redditi (43).
Prima di tentare un primo esame di tale lista,
pare opportuno premettere che con questa sono
tre gli elenchi che l’Italia ha emanato contenenti
l’indicazione di Stati esteri e precisamente:
Per quanto è dato verificare da un confronto tra
le due “liste nere”, è possibile affermare che, fatta
eccezione per la Giamaica ed il Portorico, inclusi
nella lista dei paradisi fiscali per le imprese, tutti
gli altri Stati esteri ricompresi in questo elenco
sono pure considerati paradisi fiscali delle persone
fisiche.
Per quanto poi emerge dal confronto di questa
nuova black list con la cosiddetta white list (cioè
con l’elenco degli Stati considerati “virtuosi”, di
cui al D.M. 4 settembre 1996 e successive modificazioni, con i quali l’Italia effettua lo “scambio di
informazioni”) è dato rilevare quanto segue.
(43) Secondo dati stimati dal Ministero dell’interno, che
gestisce insieme ai comuni l’A.I.R.E., i cittadini italiani che
hanno trasferito la propria residenza in uno dei 59 Stati menzionati dal decreto in esame sono circa 420.000 (circa 350.000
dei quali risiedono in Svizzera).
(44) Lo scambio di informazioni rappresenta uno strumento
di cooperazione amministrativa, in genere bilaterale, per combattere le evasioni e le frodi fiscali, conseguente alla stipula tra
due Stati di una apposita Convenzione per evitare le doppie
imposizioni, e appunto per prevenire le evasioni fiscali.
RFI - 26
5.3.2. Stati con Convenzione, ma esclusi dalla white list
il fisco
1) la black list dei Paesi a fiscalità agevolata
per le imprese (di cui al D.M. 24 aprile 1992, emanato per attuare la citata disposizione di cui ai
commi 7-bis e 7-ter dell’art. 2 del Tuir);
2) la white list, di cui al D.M. 4 settembre 1996
e successive modificazioni, cioè l’elenco degli Stati
con i quali l’Italia effettua lo “scambio di informazioni” (44);
3) la black list dei Paesi a fiscalità agevolata
per le persone fisiche (di cui al D.M. 4 maggio
1999, emanato per attuare la citata disposizione di
cui al comma 2-bis dell’art. 2 del Tuir).
È poi possibile individuare una seconda categoria di Stati che pur avendo stipulato con l’Italia
Convenzioni per evitare le doppie imposizioni non
figurano nella lista dei Paesi virtuosi in quanto
probabilmente non scambiano informazioni con
l’Italia, sebbene ciò sia previsto dalle singole Convenzioni. È questo il caso, ad esempio, di Cipro,
della Malaysia e della Confederazione Svizzera.
Per questi Stati occorre, peraltro, operare un
distinguo:
- nella Convenzione con Cipro e Malaysia, viene previsto che le autorità fiscali competenti scambino le informazioni non solo per l’applicazione
del contenuto della Convenzione, ma anche per
prevenire evasioni fiscali;
- per quanto, poi, concerne la Svizzera, va evidenziato che la stessa in sede OCSE ha formulato
una espressa riserva sulla propria posizione, delimitando, così, la portata dell’assistenza solamente
ai casi necessari per l’attuazione delle norme convenzionali e non anche per la repressione e la prevenzione delle evasioni fiscali.
In ogni caso, va rilevato che l’individuazione della effettiva residenza di una persona è elemento, di
regola, disciplinato dalle Convenzioni (in genere,
all’art. 4): una collaborazione tra le Amministrazioni è comunque, prevista, pena la violazione della stessa Convenzione.
Per cui partendo dalla considerazione che tali
tre Paesi sono stati inseriti nella black list dei paradisi fiscali delle persone fisiche e, allo stesso tempo, pur avendo stipulato con l’Italia apposite Convenzioni contro le doppie imposizioni, non sono
stati inseriti nella white list, in quanto non collabo-
Il mutamento di residenza
rano, occorre concludere - come fatto per il punto
A) - che in tali casi soccorrerà la presunzione di
cui al comma 2-bis dell’art. 2 del Tuir.
possono andare dai semplici pagamenti “in nero”,
alla menzionata possibilità di cedere i diritti per lo
sfruttamento della propria immagine ad una
società schermo domiciliata nel paradiso fiscale o,
ancora, collocare la propria residenza in un Paese
che assoggetta a tassazione sulla base della “territorialità” per i redditi lì prodotti, rinunciando a
quelli prodotti all’estero o, infine, riorganizzare in
modo ottimale il proprio patrimonio, costituendo
il centro di direzione dei propri interessi in un territorio favorevole fiscalmente e valutariamente (ad
esempio, attraverso un trust retto dal diritto di un
paradiso fiscale).
Pertanto, ben venga la normativa de qua, ben
vengano gli sforzi della nostra Amministrazione
finanziaria per la concreta attuazione della normativa esaminata ma la strada maestra da perseguire
resta sempre quella degli accordi con gli Stati e le
organizzazioni internazionali e soprattutto quella
dell’armonizzazione delle legislazioni internazionali (al fine di costituire un “fronte comune” per
contrastare il ricorso a tali Paesi a fiscalità agevolata), anche allo scopo di evitare le alterazioni causate dall’utilizzo dei paradisi fiscali che, fino a
quando esisteranno, rappresenteranno una delle
principali cause delle “distorsioni” nella tassazione
dei redditi transnazionali.
5.3.3. Stati con Convenzione ed inclusi nella white list
6. Conclusioni
Per concludere questo primo tentativo di esame
delle disposizioni italiane ritengo possibile affermare, con ragionevole certezza, che le stesse, oltre
a colmare una sostanziale lacuna del nostro ordinamento giuridico, costituiscono un interessantissimo strumento di cui il medesimo si è dotato, allo
scopo precipuo di “svelare” i reali criteri di collegamento dai quali consegue la residenza fiscale in
Italia.
Si può, quindi, affermare che tale normativa
consente di verificare la sussistenza (o meno) della
effettiva residenza in Italia; tuttavia, la stessa si
presenta più cagionevole nel momento in cui
occorre procedere alla quantificazione dei redditi
non dichiarati in Italia, per effetto della residenza
nel paradiso fiscale.
È, infatti, sufficientemente agevole per la persona fisica occultare, in tutto o in parte, i proventi
delle proprie attività, sfruttando i “meandri reconditi” offerti dal paradiso fiscale (segreto bancario,
assenza di controlli valutari, mancanza di Convenzioni contro le doppie imposizioni e conseguente
assenza di scambio di informazioni, eccetera).
Le modalità con le quali praticamente realizzare
detto occultamento possono essere le più varie e
il fisco
Terza ed ultima categoria di Stati desumibile
dal D.M. 4 maggio 1999, è quella dei Paesi che
non solo hanno stipulato con l’Italia Convenzioni contro le doppie imposizioni, ma che sono
anche inclusi nella white list, in quanto scambiano informazioni con la nostra Amministrazione
finanziaria.
È, ad esempio, il caso degli Emirati Arabi Uniti,
dell’Ecuador, delle Filippine, di Malta, della
Repubblica di Mauritius e di Singapore.
Per tali Stati, in virtù delle Convenzioni in vigore, i dati relativi ai cittadini italiani residenti
potrebbero ben essere desunti ed acquisiti senza
richiedere al cittadino stesso la prova dell’effettivo
trasferimento. Ed è auspicabile - anche considerando le più attuali disposizioni in tema di rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, in
base ai quali nulla deve essere richiesto a quest’ultimo se si tratta di atti o notizie che l’Amministrazione può autonomamente reperire - che prima di
procedere alla richiesta dei dati alle persone fisiche interessate, si provveda a cercare di ottenere le
informazioni necessarie direttamente dall’Amministrazione finanziaria dello Stato estero.
12/2000 il fisco 3445
Allegato
Si riportano di seguito i tre elenchi realizzati
dall’Italia e, precisamente:
- quello dei Paesi con cui il Fisco italiano
scambia informazioni (white list, di cui al D.M. 4
settembre 1996 e successive modificazioni);
- quello dei Paesi che hanno un regime privilegiato per le imprese (black list imprese, di cui al
D.M. 24 aprile 1992);
- e quello dei Paesi che hanno un regime privilegiato per le persone fisiche (black list persone
fisiche, di cui al D.M. 4 maggio 1999).
A) White list, di cui al D.M. 4 settembre 1996 e successive modificazioni:
sono ricompresi in tale lista i Paesi con i quali, per
effetto della stipula di apposite Convenzioni contro
le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni
fiscali, la nostra Amministrazione fiscale “scambia
informazioni”; in particolare, detta lista annovera i
seguenti Stati:
Algeria
Argentina
Armenia
Australia
Austria
RFI - 27
3446 il fisco 12/2000
RFI - 28
Turkmenistan
Ucraina
Ungheria
Uzbekistan
Venezuela
Zambia
B) Black list imprese, di cui al D.M. 24 aprile 1992:
si considerano fiscalmente privilegiati, ai fini dell’applicazione dell’art. 76, comma 7-bis, del Tuir,
approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, i
seguenti Stati e territori posti al di fuori dell’Unione europea:
il fisco
Azerbajan
Belgio
Bielorussia
Brasile
Bulgaria
Canada
Cina
Corea del Sud
Costa d’Avorio
Croazia
Danimarca
Ecuador
Egitto
Emirati Arabi Uniti
Federazione Russa
Filippine
Finlandia
Francia
Georgia
Germania
Giappone
Grecia
India
Indonesia
Irlanda
Israele
Jugoslavia
Kazakistan
Kirghistan
Kuwait
Lussemburgo
Macedonia
Malta
Marocco
Mauritius
Messico
Norvegia
Nuova Zelanda
Paesi Bassi
Pakistan
Polonia
Portogallo
Regno Unito
Repubblica Ceca
Repubblica Slovacca
Romania
Singapore
Slovenia
Spagna
Sri Lanka
Stati Uniti
Svezia
Tadzhikistan
Tanzania
Thailandia
Trinidad e Tobago
Tunisia
Turchia
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
Andorra
Anguilla (Isole Leeward)
Antigua (Isole Leeward)
Antille Olandesi
Aruba
Bahamas
Baharain
Barbados
Barbuda (Isole Leeward);
Bermuda
Cipro
Costa Rica
Dominica
Emirati Arabi Uniti
Filippine
Giamaica
Gibuti
Grenada
Hong Kong
Isole del Canale (Guernsey, Jersey e Sark)
Isole Cayman
Isola di Man
Isole Cook
Isole Turks e Caicos
Isole Vergini Britanniche
Libano
Liberia
Liechtenstein
Macao
Malaysia
Malta
Monserrat
Nauru (Republic of Nauru)
Nevis (Isole Leeward)
Oman
Panama
Portorico
Saint Kitts (Isole Leeward)
Saint Lucia
Saint Vincent
Seychelles
Singapore
Svizzera
Uruguay
Il mutamento di residenza
Vaunatu (Nuove Ebridi)
Western Samoa
C) Black list delle persone fisiche di cui al D.M. 4
maggio 1999:
si considerano fiscalmente privilegiati ai fini dell’applicazione dell’art. 2, comma 2-bis, del Tuir
approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, i
seguenti Stati e territori:
il fisco
Alderney (Aurigny)
Andorra (Principat d’Andorra)
Anguilla
Antigua e Barbuda (Antigua and Barbuda)
Antille Olandesi (Nedherlandse Antillen)
Aruba
Bahama (Bahamas)
Bahrein (Dawlat al-Bahrain)
Barbabos
Belize
Bermuda
Brunei (Negara Brunei Darussalam)
Cipro (Kypros)
Costa Rica (Repùblica de Costa Rica)
Dominica
Emirati Arabi Uniti (Al-Imarat al-’Arabya al
Muttahida)
Ecuador (Repùblica del Ecuador)
Filippine (Pilipinas)
Gibilterra (Dominion of Gibraltar)
Gibuti (Djibouti)
Grenada
Guernsey (Bailiwick of Guernesey)
Hong Kong (Xianggang)
Isola di Man (Isle of Man)
Isole Cayman (The Cayman Islands)
12/2000 il fisco 3447
Isole Cook
Isole Marshall (Republic of the Marshall Islands)
Isole Vergini Britanniche (British Virgin Islands)
Jersey
Libano (Al-Jumhuriya al Lubnaniya)
Liberia (Republic of Liberia)
Liechtenstein (Furstentum Liechtenstein)
Macao (Macau)
Malaysia (Persekutuan Tanah Malaysia)
Maldive (Divehi)
Malta (Republic of Malta)
Mauritius (Republic of Mauritius)
Monserrat
Nauru (Republic of Nauru)
Niue
Oman (Saltanat ’Oman)
Panama (Republic de Panamà)
Polinesia Francese (Polynésie Française)
Monaco (Principauté de Monaco)
San Marino (Repubblica di San Marino)
Sark (Sercq)
Seicelle (Republic of Seychelles)
Singapore (Republic of Singapore)
Saint Kitts e Nevis (Federation of Saint Kitts
and Nevis)
Saint Lucia
Saint Vincent e Grenadine (Saint Vincent and
the Grenadines)
Svizzera (Confederazione Svizzera)
Taiwan (Chunghua MinKuo)
Tonga (Pule’anga Tonga)
Turks e Caicos (The Turks and Caicos Islands)
Tuvalu (The Tuvalu Islands)
Uruguay (Republica Oriental del Uruguay)
Vanuatu (Republic of Vanuatu)
Samoa (Indipendent State of Samoa)
RFI - 29
3448 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
4 TEMI DI APPROFONDIMENTO
La Repubblica di Croazia
Sistema tributario, agevolazioni fiscali
per gli investitori esteri
e rilevanza del Paese ai fini
di alcune norme tributarie italiane
di Marco Mazzetti di Pietralata (*)
1. Premessa
(*) Dottore commercialista in Roma.
(1) L’incremento del Pil è stato pari al 5,9 per cento nel 1994,
al 6,8 per cento nel 1995, al 6 per cento nel 1996, 6,5 per cento
nel 1997, al 2,7 per cento nel 1998.
(2) In generale, sulla situazione economica e finanziaria della
Croazia e sulle riforme attuate si rinvia a: Vianello-BogoniGarioni, Affari & commercio con: La Croazia, inserto di “Commercio Internazionale”, n. 24, 1996; C.I.S. – Centro Studi
Impresa (a cura di), “Croazia - Guida alla perla dell’Adriatico”,
Milano, 1997; Guandalini, Guida al business nell’Europa
dell’Est, Milano, 1997; C.I.P.A. - Croatian Investment Promotion
Agency, Croatia - Economic Outlook 1998, Zagabria, 1998;
RFI - 30
il fisco
Nell’ampia congerie degli Stati dell’Europa dell’Est sono attualmente in corso processi di transizione dei sistemi economici con modalità e tempi
piuttosto differenti a seconda di vari fattori di
influenza, quali la posizione geografica, la situazione politica interna, le relazioni internazionali, i
settori industriali già sviluppati, la disponibilità di
materie prime e manodopera.
Un’analisi a parte, tuttavia, deve essere svolta
per alcuni Paesi appartenenti all’ex Jugoslavia i
quali, nonostante i conflitti che li hanno coinvolti,
sono stati comunque caratterizzati da uno sviluppo dell’economia non privo di rilievo.
Tra di essi la Repubblica di Croazia, oltre ad avere beneficiato di una crescita piuttosto marcata
(1), ha attuato numerose riforme allo scopo di
accelerare il processo di trasformazione verso un
sistema economico di stampo capitalistico (2).
Tale Stato, dunque, e non solo per la sua posizione geografica, può rappresentare un mercato d’interesse per potenziali investitori italiani, sia per
l’attenzione con cui è considerata dal nostro legislatore (3), sia per una disciplina fiscale che, come
Done, Boland, Croatian Finance and Investment, in “Financial
Time Survey” pubblicata su “Financial Times” del 14 dicembre
1998; Cariola, La Croazia e la Slovenia nei rapporti internazionali, in “Il Giornale dei Dottori Commercialisti”, n. 12, 1998;
Gruppo Coface (a cura di), Guida al rischio Paese, Milano,
1999; Ragusin (a cura di) Della Corte - Crisci - Castoldi, Obiettivo Paese: Croazia, inserto “Mondo & Mercati” de “Il Sole-24
Ore” del 18 marzo 1999; Istituto del Commercio Estero, La
Croazia - Aspetti economici, commerciali, tributari, inserto pubblicato su “il fisco” n. 13/1999; Mazzetti di Pietralata, In Croazia per investire alla pari, in “Commercio Internazionale” n. 11,
1999.
(3) È interessante rilevare che, anche se i programmi agevolativi dell’Unione europea non risultano ad oggi ancora applicabili a tale Stato, tuttavia numerose sono le leggi in vigore in Italia
che concedono agevolazioni finanziarie ad imprese italiane che
investano nell’Europa centrale ed orientale e, di conseguenza,
anche in Croazia. Ricordiamo, a mero titolo esemplificativo in
quanto non costituiscono oggetto del presente lavoro, la L. 29
luglio 1981, n. 394, recante provvedimenti a sostegno delle
esportazioni italiane; la L. 24 aprile 1990, n. 100, che ha istituito la Simest S.p.a., Società Italiana per le Imprese Miste all’Estero; la L. 9 gennaio 1991, n. 19, che ha istituito la Finest
S.p.a., Società finanziaria per le Imprese miste all’estero; la L.
26 febbraio 1992, n. 212, recante incentivi per la collaborazione
con i Paesi dell’Europa centrale e orientale. Il nostro Paese,
inoltre, ha stipulato con la Croazia un accordo per la protezione degli investimenti: cfr. in proposito Monaco, Investimenti
all’estero: accordi con l’Italia al 30 giugno 1998, in “Commercio
Internazionale” n. 18, 1998.
La Repubblica di Croazia: sistema tributario
vedremo, è più favorevole di quella italiana,
soprattutto per le imprese (4).
Quanto detto, peraltro, è confermato dalla diversa ottica con cui il Paese è osservato da parte dell’Unione europea, considerata l’intenzione di contribuire in modo sostanziale allo sviluppo politico
ed economico degli Stati balcanici al fine di stabilizzare l’area (5).
Il conflitto concluso nel 1999, infatti, sebbene
non abbia colpito la Croazia se non in maniera
indiretta, ha rappresentato un fattore di destabilizzazione per l’intera regione, intimorendo gli investitori internazionali, rallentando l’afflusso di capitali dall’estero e bloccando alcuni fondamentali
corridoi di transito tra l’Europa e le risorse del
bacino del Mar Nero (6).
In proposito, deve essere rilevato che, con la
finalità di restituire sicurezza agli investitori e
prevenire il riaccendersi di nuovi focolai, da parte
di organismi internazionali sono stati recentemente varati piani di sviluppo, a cui anche l’Italia
parteciperà con ingenti risorse umane e finanziarie (7).
con particolare attenzione agli aspetti di interesse
per gli investitori esteri (8).
2.1. Tassazione del reddito personale
L’Imposta sul Reddito Personale (porez na dohodak) è stata introdotta nel 1994 (9) e regola i principi di tassazione dei redditi delle persone fisiche.
Tale imposta è basata sul principio di tassazione
del reddito mondiale (cosiddetto “worldwide income taxation”), allo stesso modo dell’imposta sul
reddito delle persone fisiche o Irpef, vigente in Italia dal 1973 (10).
Ai sensi dell’art. 3 della Legge sull’Imposta sul
Reddito Personale, infatti, la base imponibile dei
soggetti passivi residenti è costituita dal reddito
complessivo realizzato in Croazia e all’estero. Al
contrario, i soggetti passivi non residenti sono tassati sul reddito complessivo realizzato in Croazia.
2.1.1. Aliquote
2. Il sistema tributario croato
il fisco
Con riferimento alla normativa tributaria, oggetto del presente lavoro, deve essere rilevato che dal
1994 ad oggi sono state attuate le riforme sia della
tassazione dei redditi personali e d’impresa, sia
della imposizione sugli scambi, sia delle agevolazioni fiscali.
Esaminiamo, nel prosieguo, le principali caratteristiche dei tributi introdotti con queste riforme,
12/2000 il fisco 3449
Come l’Irpef, anche l’imposta personale croata è
progressiva ed è suddivisa in scaglioni.
La progressività per scaglioni è però più limitata
rispetto a quella che, fin dalla sua entrata in vigore, ha sempre caratterizzato l’Irpef. Ancora oggi,
infatti, pur essendo tale aspetto meno accentuato
rispetto all’assetto originario del tributo, l’imposta
personale italiana è comunque basata su cinque
scaglioni di reddito (11).
L’imposta personale croata, invece, prevede l’applicazione di due sole aliquote progressive, in
misura pari al 20 per cento per i redditi fino ad un
importo annuale pari a 36.000 kune (circa lire
9.080.000) ed al 35 per cento per i redditi di
ammontare superiore (art. 5, commi 1 e 2).
(4) Sui rapporti economici tra Italia e Croazia, cfr. Sganga,
Occhio alle opzioni del 2000. Ci attendono i mercati dell’Est, e
L’Italia oggi fa buoni affari con la Slovenia e la Croazia, intervista a Lamberto Dini, in “Il Giornale dei Dottori Commercialisti”
n. 12, 1998, nonché Perrotta (a cura di), Imprese italiane in
Croazia - Esperienze e orientamenti, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze, 1999.
Nell’ambito di tale imposta, i redditi sono distinti in tre categorie che comprendono i redditi di
(5) In proposito cfr. Centre for European Policy Studies,
Working Document n. 131 - A system for post-war South East
Europe (plans for reconstruction, openness, development and
integration), 3 May 1999, Bruxelles.
(8) Quanto riportato nel prosieguo si basa sulle informazioni
in possesso al mese di luglio 1999. Il cambio utilizzato per convertire gli importi espressi in kune è quello al 22 dicembre 1999.
(6) Per un esame dei cosiddetti “corridoi” cfr. Haushofen, Che
cosa è un corridoio ?, in “Limes” n. 3, 1995, pag. 177 e Tuir. Con
riferimento ai corridoi dei Balcani cfr. Favaretto, La guerra degli
assi e gli interessi italiani nel nuovo Adriatico, in “Limes”, n. 2,
1996, e Adriaticus, Italia-Europa - USA: La grande partita della
ricostruzione, in “Limes” n. 2, 1999, pag. 55 e Tuir.
(7) Cfr. Sessa, Balcani, pronta la task force, e Ragusin, Bei:
gli investimenti internazionali si orientino sulle grandi infrastrutture, entrambi in “Il Sole-24 Ore” dell’8 ottobre 1999;
Pelosi, Per i Balcani l’Italia stanzia 400 miliardi, in “Il Sole
24 Ore” del 9 ottobre 1999; Sessa, Balcani, lavori in corso,
inserto “Mondo e mercati” de “Il Sole-24 Ore” del 14 ottobre
1999.
2.1.2. Categorie di reddito
(9) La legge è stata pubblicata sulla G.U. n. 109/1993 ed è
entrata in vigore dal 1° gennaio 1994; successive modificazioni
sono contenute nelle G.U. n. 95/1994, 25/1995 e 52/1995.
(10) Art. 3 del D.P.R. 22 ottobre 1986, n. 917, Tuir.
(11) Si pensi che la tabella allegata al testo originario del
D.P.R. 22 settembre 1973, n. 597, poi trasfuso nel Tuir, prevedeva ben 32 scaglioni di reddito soggetti ad aliquote variabili dal
10 per cento, applicabile a redditi fino a 2 milioni, al 72 per
cento, applicabile su redditi oltre 500 milioni. Oggi gli scaglioni
sono solo 5 e le aliquote variano dal 18,5 per cento applicabile a
redditi fino a 15 milioni, al 44,5 per cento applicabile su redditi
oltre 150 milioni.
RFI - 31
3450 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
lavoro dipendente ed assimilati, i redditi di lavoro
autonomo ed i redditi derivanti dai beni di proprietà e da diritti assimilati (art. 3).
- I redditi di lavoro dipendente comprendono
salari, stipendi e pensioni, nonché i compensi in
natura, corrisposti dal datore di lavoro (art. 7);
- i redditi di lavoro autonomo comprendono
quelli derivanti dall’esercizio di piccole imprese, di
attività professionali, di attività agricole e di altre
attività di lavoro autonomo (ad esempio, l’attività
di amministratore di società) (art. 10);
- i redditi derivanti dai beni di proprietà (art.
30) comprendono i redditi degli immobili (sia per
l’affitto che per la cessione) e quelli relativi allo
sfruttamento temporaneo di brevetti, diritti d’autore ed altri diritti.
2.1.3. Detrazioni e deduzioni
Il sistema delle deduzioni previsto dalla normativa fiscale in vigore in Croazia è piuttosto semplificato rispetto a quanto previsto dalla nostra normativa interna.
In Italia, infatti, le deduzioni e le detrazioni
costituiscono una realtà molto composita e puntuale e rappresentano uno degli strumenti con cui
il legislatore della riforma del 1973 ha attuato il
principio costituzionale della progressività, recato
dall’art. 53 della Carta.
Tale criterio è stato poi seguito in misura
anche maggiore con la riforma posta in essere
nel 1997 (13). Difatti, a fronte dell’incremento
il fisco
Le categorie di reddito sono, dunque, piuttosto
diverse da quelle individuate ai fini Irpef (12),
anche se sussistono delle similarità. Il sistema italiano, infatti, oltre a prevedere un maggior numero
di categorie, individua all’interno di esse molte più
fattispecie imponibili.
Nel nostro sistema, inoltre, i redditi d’impresa e
quelli di lavoro autonomo costituiscono categorie
separate, mentre qui fanno parte della medesima
categoria. I redditi derivanti da brevetti o altri diritti, compresi in un’unica categoria nel sistema croato, sono classificati dalla legge italiana tra quelli di
lavoro autonomo o tra i redditi diversi se percepiti
rispettivamente dall’autore o da altri soggetti.
Per quanto riguarda i redditi di capitale, l’art. 6
prevede l’esenzione dall’imposta personale per gli
interessi su depositi, conti correnti, prestiti, crediti
e titoli, per i dividendi e per le plusvalenze da strumenti finanziari.
della misura percentuale delle aliquote Irpef
relative agli scaglioni di reddito più bassi contenuto nel D.Lgs. n. 446/1997, è stata intessuta una
rete di detrazioni di vari importi, molto più
diversificata rispetto al passato, sia con riferimento ai familiari a carico che per quanto attiene ai diversi livelli di reddito (14).
Esistono inoltre, come noto, diversi tipi di detrazioni per varie tipologie di spese sostenute (spese
mediche, per istruzione universitaria, spese funebri, eccetera), nonché di oneri deducibili dal reddito complessivo (contributi previdenziali ed assistenziali, erogazioni liberali, eccetera) (15).
La normativa croata, per quanto riguarda le
deduzioni, prevede in primo luogo una deduzione
personale annuale pari a 12.000 kune (circa
3.020.000 lire) (art. 34).
Per ciascun familiare a carico sono poi previsti
oneri deducibili dal reddito: 500 kune (circa
126.000 lire) per la moglie, il medesimo ammontare per il primo figlio, 700 kune (circa 180.000 lire)
per il secondo figlio, eccetera (art. 34).
Sono, inoltre, deducibili dal reddito i contributi
obbligatori previdenziali ed assistenziali resi obbligatori per legge: in particolare, i contributi al fondo per la pensione e per gli infortuni, all’assicurazione per la salute, al fondo per la disoccupazione
e per la cura dei bambini (art. 9).
2.1.4. Tassazione dei dividendi
Come è stato specificato in precedenza, al fine
dell’eliminazione della doppia imposizione economica sui dividendi, a differenza dell’Italia che si
avvale del metodo del credito d’imposta (16), la
normativa fiscale croata utilizza il metodo dell’esenzione, non tassandoli in capo ai percipienti (art.
6 della legge sull’imposta sul reddito personale).
2.1.5. Imposizione locale
Come tassazione a livello locale, è prevista l’applicazione di una soprattassa a carico di coloro
che risiedono in determinate città.
Essa è determinata in percentuale dell’imposta
personale dovuta, con aliquote variabili dal 18 per
sione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef
e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali”.
(14) Art. 13 del Tuir.
(12) Art. 6 del del Tuir, che individua sei categorie di reddito
costituite da: redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente,
di lavoro autonomo, d’impresa e diversi.
(13) Recata dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 in materia di
“Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revi-
RFI - 32
(15) Per quanto attiene alle detrazioni si veda l’art. 13-bis del
Tuir, mentre per le deduzioni l’art. 10 del Tuir.
(16) Da ultimo riformulato con il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.
467, recante la nuova disciplina del credito d’imposta e dell’imposta sostitutiva della maggiorazione di conguaglio.
La Repubblica di Croazia: sistema tributario
cento, in vigore nella capitale Zagabria, al 6 per
cento, in vigore a Sebenico in Dalmazia.
Non esistono, invece, tributi locali di natura
patrimoniale, come la nostra imposta comunale
sugli immobili (17).
disciplina del reddito d’impresa contenuta nel
Capo VI del Tuir è molto più puntuale e restrittiva
di quella croata.
La convenienza fiscale descritta è peraltro maggiormente percepibile se si considera che in particolari territori della repubblica di Croazia, le
cosiddette “zone franche”, l’aliquota d’imposta
applicabile è pari al 50 per cento di quella in vigore ed è, dunque, attualmente pari al 17,5 per cento
(per maggiori dettagli, si veda più avanti nel paragrafo relativo alle agevolazioni territoriali).
2.2. Tassazione del reddito d’impresa
L’Imposta sui Profitti delle Imprese (Porez na
dobit) è stata introdotta nel 1994 (18).
Tale imposta è applicabile sia a imprese individuali (qualora superino determinati limiti di ricavi, di dipendenti o di immobilizzazioni materiali, o
che optino per l’applicazione dell’imposta), sia a
società, sia a branch di imprese estere, aventi la
sede legale o amministrativa in Croazia.
2.2.2. Base imponibile
2.2.1. Aliquota
(17) Introdotta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
(18) Essa è stata introdotta con la medesima legge dell’imposta sul reddito personale; successive modificazioni sono contenute nelle G.U. n. 35/1995 e n. 106/1996.
(19) Ai sensi dell’art. 1, comma 3, del D.Lgs. 18 dicembre
1997, n. 466.
il fisco
L’aliquota d’imposta è pari al 35 per cento (articolo 13).
Non sussistendo alcuna imposizione sulle
imprese a livello locale, l’incidenza fiscale sul reddito delle imprese risulta, ad oggi, inferiore rispetto a quella italiana, caratterizzata dall’Irpeg al 37
per cento e dall’Irap al 4,25 per cento.
Solo qualora un’impresa riesca ad ottimizzare il
meccanismo della Dual Income Tax, oppure ad
avvalersi della disciplina agevolativa temporanea
introdotta dal cosiddetto “collegato Visco”, sarebbe
possibile ridurre il carico fiscale ad un livello inferiore.
Com’è noto, infatti, il meccanismo della Dit consente di ridurre l’incidenza percentuale dell’Irpeg
sul relativo reddito imponibile fino ad un’aliquota
media minima pari al 27 per cento (19) o al 20 per
cento per società quotate (20).
Inoltre, per i periodi d’imposta 1999 e 2000, l’aliquota Irpeg ridotta pari al 19 per cento risulta
applicabile ad un ammontare della base imponibile Irpeg pari al minore importo tra gli incrementi
di patrimonio netto e gli incrementi di investimenti in beni strumentali (21).
Anche nel caso di utilizzo ottimale dei regimi
citati, però, deve essere considerato che l’Irap si
applica su una base imponibile molto più ampia di
quella prevista ai fini Irpeg e che, comunque, la
12/2000 il fisco 3451
La base imponibile è determinata come differenza tra i patrimoni netti all’inizio ed alla fine del
periodo d’imposta.
Tra i componenti negativi deducibili, un particolare elemento è rappresentato dal cosiddetto “interesse protettivo”, una sorta di interesse figurativo
maturato sul capitale proprio dell’impresa.
Esso è determinato in percentuale del capitale netto dell’impresa all’inizio del periodo d’imposta e delle modifiche che ha subito nel corso dell’esercizio.
Dal 1° gennaio 1997, l’aliquota generale dell’interesse protettivo è pari al 5 per cento, aumentato
del tasso di crescita dei prezzi alla produzione dei
prodotti industriali, pari all’ 1,55 per cento per
l’anno chiuso al 31 dicembre 1997 ed allo 0 per
cento per l’anno concluso al 31 dicembre 1998.
Tale deduzione si applica anche alle società in
perdita nell’anno, ed aumenta l’importo delle perdite fiscali riportabili a nuovo.
Nell’ambito dei componenti considerati indeducibili dalla normativa possono essere ravvisate
alcune similarità con la disciplina del reddito d’impresa recata dal Tuir.
Tra di essi, infatti, figurano: gli ammortamenti
che eccedono gli importi massimi ammessi in
deduzione, le spese di rappresentanza, multe e
sanzioni, spese di viaggi all’estero eccedenti i limiti
stabiliti, il 30 per cento dei costi sopportati per l’uso di autoveicoli da parte dell’imprenditore o degli
amministratori, ed in generale tutti i costi non
direttamente correlati alla realizzazione dei ricavi.
2.2.3. Perdite
Per le perdite fiscali è previsto il riporto in avanti non oltre cinque anni (art. 10, comma 2), così
come disposto anche dalla normativa italiana (22).
2.2.4. Transfer pricing
La normativa della tassazione delle imprese è
caratterizzata, a differenza di quella italiana, dal-
(20) Art. 6, D.Lgs. n. 466/1997.
(21) Art. 2 della L. 13 maggio 1999, n. 133.
(22) Art. 102 del Tuir.
RFI - 33
3452 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
La normativa è particolarmente di favore in
quanto non richiede il rispetto di condizioni particolari per usufruire dell’agevolazione, come, ad
esempio, l’assunzione di un determinato numero
di lavoratori o l’effettuazione di investimenti di un
determinato ammontare.
Qualora, però, si realizzino o si partecipi alla
realizzazione di infrastrutture (ad esempio,
magazzini, strade, linee elettriche, eccetera) per un
valore superiore a 1 milione di kune (pari a circa
lire 252.000.000), è prevista l’esenzione totale dalle
imposte per i primi 5 anni di attività.
Le agevolazioni, inoltre, possono essere incrementate in particolari zone o per specifiche attività, laddove sussista l’interesse economico dello
Stato o dell’amministrazione locale (ad esempio,
in presenza di investimenti di particolare rilievo).
Infine, deve essere rilevato che le zone franche
sono gestite in base ad una concessione di durata
venticinquennale (25).
2.3. Agevolazioni territoriali
2.4. Ritenute su dividendi, interessi e royalties
Una particolare disciplina agevolativa è prevista
per i soggetti, locali o esteri, che investono in
determinate zone del territorio croato, denominate
“zone franche”.
In particolare, la legge sulle zone franche prevede che le imposte sui redditi siano applicate con
aliquote pari alla metà di quelle previste dalle relative leggi (24).
Per le imprese, pertanto, l’aliquota scende al
17,5 per cento, misura decisamente inferiore a
quella italiana.
In tali zone gli investitori possono esercitare tutti i
tipi di attività produttive, commerciali o di fornitura
di servizi, salvo quella del commercio al dettaglio.
Le attività bancarie, finanziarie ed assicurative
sono subordinate ad una specifica autorizzazione
della banca centrale e non possono essere svolte in
via autonoma, ma solo in funzione delle attività
produttive o commerciali.
La legislazione tributaria croata è caratterizzata
dall’assenza di ritenute interne su interessi, dividendi e royalties, sia se pagati a soggetti residenti
che non residenti.
Esclusivamente con riferimento ai redditi corrisposti a persone fisiche non residenti in relazione
a opere scaturenti da attività artistiche, sportive e
letterarie, anche nel campo giornalistico e radiotelevisivo, è applicabile una ritenuta pari al 20 per
cento (art. 46 della legge sull’imposta sul reddito
personale).
In proposito, la Convenzione contro le doppie
imposizioni stipulata con la ex Jugoslavia ed applicabile anche nei rapporti tra Italia e Croazia in
virtù dell’esplicito subentro di questo Stato, prevede nell’art. 12, una ritenuta non superiore al 10 per
cento.
Per completezza, si segnala che le ritenute convenzionali su interessi e dividendi non possono
essere superiori al 10 per cento.
il fisco
l’assenza di disposizioni in materia di transfer pricing applicabili a società residenti (23).
L’unico aspetto considerato riguarda l’applicazione del criterio di valutazione del valore normale
in relazione agli interessi pagati a soggetti esteri
per finanziamenti (art. 6).
Con riferimento alle sedi secondarie di società
non residenti, invece, è attribuita all’Amministrazione finanziaria la facoltà di controllare i costi
sostenuti per l’acquisto di beni e servizi.
In particolare, qualora l’Amministrazione giudichi tali transazioni come operazioni di trasferimento di redditi, la differenza tra i prezzi di acquisto e i prezzi medi di mercato sul mercato interno
o estero è aggiunta al reddito imponibile della
branch (art. 6, commi 4 e 5).
Tra le spese soggette a controllo, la norma prende specificamente in considerazione quelle sostenute per la gestione, per servizi di consulenza,
nonché per l’acquisto di marchi, brevetti e licenze.
2.5. Convenzioni contro le doppie imposizioni
(23) Sul fenomeno del transfer pricing in generale, si rinvia,
per tutti, al rapporto dell’OCSE, OECD Guidelines on Transfer
Pricing and Multinational Entreprises, 1995. Per quanto riguarda la normativa vigente nel nostro Paese, si rinvia all’art. 76,
comma 5, del Tuir, ed alle relative circolari interpretative del
Ministero delle finanze n. 9/2267 del 22 settembre 1980 e n. 42
del 12 dicembre 1981 (rispettivamente, in “il fisco” n. 39/1980,
pag. 3681 e n. 2/1982, pag. 213). Da ultimo, si segnalano i tentativi dell’Amministrazione finanziaria di estenderne l’applicazione ai rapporti intercorrenti tra imprese italiane appartenenti al
medesimo gruppo, situate in zone agevolate e non, contenuti
nella circolare del dipartimento delle entrate del 26 febbraio
1999, n. 53/E (in “il fisco” n. 11/1999, pag. 3865).
(24) Art. 36 della legge sulle zone franche, pubblicata sulla
G.U. n. 44/1996.
RFI - 34
La Repubblica Croata ha Convenzioni contro le
doppie imposizioni con vari stati dell’Unione europea (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Svezia, Regno Unito), e dell’ex blocco sovietico (Albania, Bulgaria,
Repubblica Ceca, Macedonia, Polonia, Romania,
Russia, Repubblica Slovacca, Ungheria, Ucraina).
(25) Per ulteriori dettagli, si permetta il rinvio a First, Mazzetti di Pietralata, Croazia, zone franche dietro l’uscio, in “Commercio Internazionale” n. 3, 1999.
La Repubblica di Croazia: sistema tributario
12/2000 il fisco 3453
Molte di esse, come pure la Convenzione in vigore con l’Italia, rappresentano i trattati della ex
Jugoslavia accettati dalla Croazia. Ciò può comportare delle difficoltà interpretative in relazione
alle imposte a cui risulta applicabile, stanti le
riforme fiscali citate (26).
Molti di questi trattati, tuttavia, sono già stati
rinegoziati o sono in corso di negoziazione. In particolare, deve essere segnalato che la nuova Convenzione con l’Italia è stata parafata il 25 settembre 1998 (27).
Nella maggior parte dei casi, i soggetti Iva devono presentare mensilmente una dichiarazione Iva
(art. 18). I soggetti Iva le cui cessioni non superano
annualmente l’ammontare di 300.000 kune (circa
76 milioni di lire) possono scegliere di presentarla
ogni trimestre (art. 16).
La dichiarazione annuale deve essere presentata
entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello a
cui si riferisce (art. 18).
2.6. Imposte indirette
2.6.3. Altre imposte indirette
2.6.2. Obblighi di dichiarazione
Altri esempi di imposizione indiretta sono costituiti dall’imposta sui trasferimenti di proprietà e
dall’imposta sulle successioni e donazioni.
L’imposta sui trasferimenti di proprietà è pari al
5 per cento del valore di mercato (o del valore stimato dalle Autorità fiscali) del bene immobile ed è
a carico dell’acquirente.
L’imposta sulle successioni e donazioni si applica con l’aliquota del 5 per cento sulle persone giuridiche o fisiche che ereditano o ricevono in dono
una proprietà situata in Croazia. L’imposta si
applica al momento del trasferimento.
2.6.1. Imposta sul valore aggiunto
(26) Il problema è stato sollevato da Basilavecchia, Problematiche tributarie nei rapporti tra Italia e Croazia, in “il fisco” n.
23/1999, pagg. 7712 -7715.
(27) Cfr. Valente (a cura di), Doppie imposizioni: convenzioni
con l’Italia al 31 dicembre 1998, in “Commercio Internazionale”
n. 5, 1999.
il fisco
L’Imposta sul valore Aggiunto (Porez na Dodanu
Vrijednost o P.D.V.) è stata introdotta con la relativa legge, originariamente pubblicata il 12 luglio
1995, ed è entrata in vigore nel 1998.
La sua struttura, al fine di allineare l’economia
ai principi dell’OCSE, è strettamente basata sui
principi dell’Iva europea disciplinati dalla VI
Direttiva CEE.
La sua introduzione peraltro è stata non priva di
polemiche, dato l’elevato livello dell’aliquota unica,
gravante su tutti i beni e servizi in misura pari al
22 per cento, e non differenziata secondo le tipologie di prodotti.
L’Iva si applica a tutte le cessioni di beni e servizi, l’autoconsumo, le importazioni di beni (art. 2).
Tra le operazioni esenti sono comprese le locazioni di immobili per uso privato, i servizi resi dalle banche e dalle compagnie di assicurazione, i
servizi medici, educativi e culturali (art. 11).
A differenza di quanto previsto dalla legislazione
italiana in materia (28), l’esenzione per le operazioni
di natura finanziaria non è oggettiva, e cioè basata
sui “servizi finanziari”, bensì soggettiva, in quanto
prende in considerazione i servizi resi dalle banche.
Per quanto riguarda le esportazioni di beni,
sono operazioni non imponibili, come in Italia, ma
per le fatture emesse in relazione ad esportazioni
di beni e servizi esiste un limite temporale di 90
giorni entro il quale, in caso di mancato pagamento delle fatture, l’operazione viene considerata soggetta ad imposta (art. 13).
3. Rilevanza della Croazia ai fini di alcune norme tributarie italiane
Esaminiamo ora alcuni aspetti della normativa
italiana in materia di diritto tributario internazionale che riguardano in particolare la Repubblica di
Croazia.
Al riguardo, uno degli elementi di maggior interesse è l’esclusione di tale Paese dalle liste degli
Stati con regime fiscale privilegiato, o black list,
sia ai fini del reddito d’impresa (29) che ai fini della residenza dei cittadini italiani (30), e l’inclusione in quelle recanti gli Stati che consentono lo
scambio di informazioni ai sensi delle Convenzioni
contro le doppie imposizioni, o white list (31).
Riportiamo, dunque, nel prosieguo le conseguenze che scaturiscono dalle disposizioni citate.
3.1. Residenza delle persone fisiche con cittadinanza
italiana
In primo luogo, per quanto attiene alla tassazione delle persone fisiche, di recente è stata introdotta la presunzione relativa di residenza in Italia a
carico dei cittadini italiani emigrati in alcuni parti-
(29) Contenuta nel D.M. 24 aprile 1992.
(30) Contenuta nel D.M. 4 maggio 1999.
(28) Art. 10, comma 1, lettera a), del D.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 633.
(31) Contenuta nel D.M. 4 settembre 1996.
RFI - 35
3454 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
colari Stati caratterizzati da un regime di tassazione privilegiato (32).
Come noto, tale norma, con evidenti finalità
antielusive, ha invertito l’onere della prova a carico
del contribuente che si è trasferito e che deve, pertanto, dimostrare l’effettività del cambio di residenza (33).
Ai cittadini italiani che emigrino in Croazia,
invece, non risulta applicabile la citata presunzione e, ai fini dell’individuazione della qualifica di
soggetto residente in Italia ai fini fiscali, resta
valido il principio generale dell’iscrizione nelle
anagrafi della popolazione residente o della presenza del domicilio o della residenza nel territorio
dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta (34).
3.2.2. Dividendi esteri
I dividendi distribuiti da una società collegata
residente in Croazia sono tassabili in misura pari
al 40 per cento del loro ammontare, in quanto dividendi esteri (37).
Non opera, infatti, l’esclusione da tale regime di
favore (38), posto che la Croazia non fa parte della
citata black list.
La parte di tali utili che non concorre a formare
il reddito rileva, dunque, ai fini della determinazione del credito d’imposta limitato, contenuto nel
cosiddetto “canestro B” (39).
3.2.3. Dual Income Tax e conferimenti di soggetti
esteri
3.2. Tassazione dei redditi d’impresa
3.2.1. Operazioni con società estere appartenenti
al medesimo gruppo
il fisco
Come noto, ai fini della tassazione del reddito
d’impresa in Italia, non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti
da operazioni intercorse con società facenti parte
del medesimo gruppo situate in Stati con regime
fiscale privilegiato, a meno che non sia dimostrato
l’effettivo svolgimento di un’attività economica da
parte di tali società e l’effettivo interesse economico delle transazioni poste in essere (35).
Posto che la Croazia non è inclusa tra i Paesi
elencati nella black list, alle imprese italiane che
operano con società croate dello stesso gruppo
non risultano applicabili i limiti di deducibilità
indicati.
A fronte di operazioni con società residenti in
Croazia che controllano in via diretta o indiretta
l’impresa italiana, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla tale
impresa, si applicano, comunque, le ordinarie
disposizioni in materia di transfer pricing (36).
La disciplina della Dual Income Tax relativa alle
società di capitali ed agli enti commerciali residenti in Italia (40) prende in esame anche i conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti.
Le variazioni in aumento del patrimonio netto,
infatti, non rilevano fino a concorrenza dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti controllati da soggetti residenti, qualora non
sia stato ottenuto il parere favorevole del comitato
consultivo competente in materia di cosiddetto
“diritto d’interpello” (41) (42).
Di conseguenza, nel caso di società croate controllate da residenti in Italia, eventuali conferimenti in denaro devono essere sterilizzati in mancanza
del parere favorevole suddetto. Non esistono problemi, invece, in mancanza di rapporti di controllo.
Una ulteriore previsione riguarda l’irrilevanza
delle variazioni in aumento fino a concorrenza dei
conferimenti in denaro provenienti da soggetti
domiciliati in Paesi diversi da quelli elencati nella
white list (43). Tale disposizione, però, non risulta
(37) Art. 96 del Tuir.
(38) Recata dal comma 1-bis dell’art. 96 del Tuir.
(32) Art. 2, comma 2-bis, del Tuir, introdotto dall’art. 10, comma 1, della L. 23 dicembre 1998, n. 448.
(39) Art. 105, comma 4, del Tuir e circolare 22 gennaio 1998,
n. 26/E, par. 4.1. (in “il fisco” n. 45/1998, pag. 1599).
(33) Sul punto, si rinvia alla circolare 24 giugno 1999, n.
140/E (in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9055). Per un commento sulla nuova disciplina si rinvia, senza pretesa di esaustività a Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano, 1999, pagg. 68-74.
(40) Recata dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 466. Sulla disciplina della Dit si rinvia a Tanno, La Dual Income Tax Milano,
1998. Per un commento sugli aspetti internazionali della Dit si
rinvia, per tutti, a Piazza, op. cit., pagg. 511-523.
(34) Art. 2, comma 2, del Tuir.
(35) Disciplina contenuta nell’art. 76, commi 7-bis e 7-ter, del
Tuir. In proposito si rinvia, per tutti, a Maisto, Il regime tributario delle operazioni intercorrenti tra imprese residenti e società
estere soggette a regime fiscale privilegiato, in “Riv. Dir. Trib.” n.
11, 1992.
(36) Art. 76, comma 5, del Tuir.
RFI - 36
(41) Art. 3, comma 3, lettera a), del D.Lgs. n. 466/1997.
(42) L’interpello è stato introdotto dall’art. 21 della L. 30
dicembre 1991, n. 413. Sulla disciplina dell’interpello, da ultimo, si rinvia a Pezzuto, I paradisi fiscali e finanziari, Milano,
1999, capitolo 2.9, ed all’abbondante bibliografia citata in nota
dall’Autore.
(43) Art. 3, comma 3, lettera b), del D.Lgs. n. 466/1997.
La Repubblica di Croazia: sistema tributario
applicabile perché la Croazia è inclusa tra gli Stati
che consentono lo scambio di informazioni.
3.3. Tassazione dei redditi di capitale percepiti da
non residenti
3.4. Tassazione dei redditi diversi percepiti da non
residenti
Con riferimento ai redditi diversi, in linea di
principio le plusvalenze e le minusvalenze nonché
i redditi e le perdite aventi natura diversa da quelli
originati da partecipazioni qualificate non concor(44) Art. 26-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
(45) Si rileva che con la modifica introdotta dall’art. 2, comma 1, lettera a), n. 1, del D.Lgs. 21 luglio 1999, n. 259, all’art.
20, comma 1, lettera b), del Tuir, gli interessi ed altri proventi di
depositi e conti correnti bancari e postali sono stati esclusi da
imposizione in Italia se percepiti da soggetti non residenti, a
prescindere dal regime fiscale dello Stato di residenza.
(46) Art. 6 del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239.
(47) Modello 116/IMP, regolato dal D.M. 4 dicembre 1996, n. 632.
il fisco
L’inclusione della Croazia nella white list e la sua
esclusione dalla black list permette di applicare un
regime di esenzione previsto in relazione ad alcuni
tipi di redditi di capitale percepiti da non residenti
(44).
In particolare, non sono soggetti a tassazione in
Italia gli interessi ed altri proventi derivanti da
prestiti aventi ad oggetto beni diversi dal denaro,
da rendite perpetue e prestazioni annue perpetue,
da prestazioni di fideiussioni e di ogni altra garanzia, da operazioni di pronti contro termine e di
riporto su titoli e valute, da operazioni di mutuo di
titoli garantito (45).
L’esenzione è subordinata all’acquisizione, da
parte del soggetto erogante, di un attestato di residenza del percipiente rilasciato dalle autorità
fiscali del Paese di appartenenza.
Inoltre, i soggetti residenti in Croazia non
sono soggetti ad imposizione sui proventi delle
obbligazioni e titoli similari emessi dai cosiddetti “grandi emittenti”, e cioè banche e società per
azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati italiani, e su quelli dei titoli di Stato e
dei titoli equiparati, compresi quelli emessi da
enti pubblici economici trasformati in società
per azioni (46).
Per usufruire dell’esenzione il soggetto non residente deve presentare un’attestazione dell’Autorità
fiscale del Paese di residenza (47).
12/2000 il fisco 3455
rono a formare il reddito se percepiti da soggetti
residenti in Croazia (48).
In particolare, sono escluse da tassazione le plusvalenze da cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti in Italia negoziate in mercati
regolamentati, le plusvalenze derivanti da cessione
a titolo oneroso di titoli (esclusi quelli rappresentativi di merci) e di certificati di massa negoziati in
mercati regolamentati, le plusvalenze da cessioni di
valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti,
i redditi derivanti da contratti a termine di tipo traslativo e di tipo differenziale (49) conclusi in mercati regolamentati e le plusvalenze e gli altri proventi
derivanti dalla cessione di rapporti produttivi di
redditi di capitale e di crediti pecuniari se derivanti
da contratti conclusi in mercati regolamentati (50).
Inoltre, nel caso in cui le partecipazioni non
qualificate, i titoli ed i certificati di massa non siano negoziati in mercati regolamentati, i redditi
derivanti dalla eventuale cessione degli stessi sono
esenti per effetto della presenza del Paese nella
white list (51).
La medesima esenzione si applica ai redditi dei
contratti a termine ed alle plusvalenze e agli altri
proventi derivanti dalla cessione di rapporti produttivi di redditi di capitale e di crediti pecuniari,
originati da contratti non conclusi in mercati regolamentati.
In tali casi, però, per poter usufruire del regime
di esenzione è necessario che l’erogante acquisisca
un attestato di residenza del percipiente, rilasciato
dalle autorità fiscali del Paese di appartenenza.
(48) In particolare, si fa riferimento ai redditi diversi individuati dall’art. 81, comma 1, lettere da c-bis a c-quinquies, del
Tuir (in allegato a “il fisco” n. 27/1998).
(49) La circolare del 24 giugno 1998, n. 165/E (in allegato a
“il fisco” n. 27/1998), nel paragrafo 2.2.4, definisce come “contratti a termine di tipo traslativo” quelli da cui deriva l’obbligo
di acquistare o cedere a termine strumenti finanziari, valute
estere, metalli preziosi o merci e come “contratti a termine di
tipo differenziale” quelli da cui deriva l’obbligo di effettuare o
ricevere a termine uno o più pagamenti commisurati a tassi
d’interesse, a quotazioni di strumenti finanziari, di valute estere, di metalli preziosi, di merci e ad ogni altro parametro di
natura finanziaria.
(50) L’esclusione di tutti i redditi elencati è contenuta nell’art.
20, comma 1, lettera f), del Tuir, come modificato dall’art. 2 del
D.Lgs. n. 259/1999. Per un commento alle modifiche al regime
d’imposizione dei redditi di capitale e diversi recate dal decreto
legislativo citato, si rinvia a Piazza, Fisco leggero sulle operazioni di cambio in perdita, in “Guida Normativa”, 17 agosto 1999,
n. 145, pagg. 43 e Tuir.
(51) Art. 5, comma 5, del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461.
RFI - 37
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il fisco
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Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale
12/2000 il fisco 3459
CORSO TEORICO-PRATICO DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE
L’espansione
sul mercato estero
di Gianpaolo Valente (*)
La fase iniziale di espansione all’estero di una
società commerciale residente si può realizzare, di
regola, attraverso:
pio - una espansione “graduale” della società
residente verso i mercati esteri. Almeno inizialmente la società opererà all’estero senza costituirvi una stabile organizzazione (ad esempio,
mediante agenti indipendenti) e solo successivamente consoliderà la propria presenza all’estero
mediante strutture più articolate; occorrerà valutare:
- l’utilizzo di una rete di agenti indipendenti;
- l’apertura di un ufficio di rappresentanza, con
funzioni preparatorie e/o ausiliarie (attività promozionale, di ricerca, di commercializzazione, …);
- l’istituzione di una sede secondaria con rappresentanza stabile, ma priva di autonomia giuridica (filiale o branch);
- la costituzione di società o enti dotati di
completa autonomia giuridica, costituiti e controllati dalla casa madre (società controllata o subsidiary).
Agenti
indipendenti
Italia
Stabile
organizzazione
Società
controllata
I canali di espansione sopra schematizzati - con
problematiche diversamente articolate sia da un
punto di vista operativo sia fiscale - devono essere
valutati essenzialmente in funzione del consolidamento dell’attività estera.
Pare ragionevole ipotizzare - in linea di princi-
(*) Gruppo di Studio - Eutekne.
il fisco
Ufficio di
rappresentanza
- quali siano le soluzioni più vantaggiose per
cogliere le opportunità dei mercati esteri (stabile
organizzazione, sede secondaria ovvero costituzione di nuova società);
- se possedere direttamente o indirettamente
l’investimento nei vari Paesi;
- come razionalizzare ed ottimizzare gli
investimenti effettuati ed i flussi finanziari (in
particolare i flussi di dividendi, interessi e royalties);
- come configurare la struttura del gruppo
(gruppo a struttura semplice, complessa o a catena);
- dove localizzare la holding o le sub holding;
- dove localizzare il marchio.
1. Worldwide principle e doppia imposizione
Il nostro ordinamento prevede, per i soggetti
residenti in Italia, il principio della tassazione dei
redditi ovunque prodotti (“tassazione su base
mondiale” o worldwide principle); tali soggetti sono
pertanto assoggettati ad imposizione diretta ai fini
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef)
e dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche
(Irpeg) anche per i redditi prodotti all’estero. I soggetti non residenti sono invece assoggettati a tassazione limitatamente ai redditi prodotti nel territorio dello Stato (1).
(1) Si veda per tutti Leo-Monacchi-Schiavo, Le imposte sul
reddito nel testo unico, Milano, 1999 e Lupi, Diritto Tributario,
Parte speciale, Milano, 1998, pag. 46.
RFI - 41
3460 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
(2) Il criterio della localizzazione geografica dei redditi è un
criterio di collegamento di tipo oggettivo.
(3) Per la definizione di “Doppia imposizione internazionale”
si veda “Digesto delle Discipline Privatistiche”, sezione commerciale, voce Doppia imposizione internazionale, pagg. 181 e
seguenti con commento di Fantozzi e Vogel. Si veda altresì
“Enciclopedia del diritto”, voce Doppia imposizione, Milano,
pag. 1008 con commento di Vitale, e pag. 1016 con commento
di Adonnino; Lovisolo, Il sistema impositivo dei dividendi, Padova, 1980, pag. 107 (con riferimento alla doppia imposizione dei
dividendi); Pires, International Juridical Double Taxation of
income, Deventer, 1989; Frommel, Taxation of branches and
subsidiaries in Western Europe, Canada and USA, Deventer,
1978; Uckmar, La tassazione degli stranieri in Italia, Padova,
1955; Garbarino, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990; Valente Convenzioni internazionali contro le doppie
imposizioni, Milano, Ipsoa, 1999.
(4) In tal senso si veda Lupi, op. cit., pagg. 59-60.
(5) In proposito si veda la nota di Garbarino a Comm. trib. di
I grado di Roma, 17 ottobre 1983, Adattamento del diritto tributario interno alle convenzioni contro le doppie imposizioni, in
“Dir. Prat. Trib.”, 1987, II, pag. 3.
(6) In tal senso si veda Fantozzi e Vogel in “Digesto delle
Discipline Privatistiche”, sezione commerciale, voce Doppia
imposizione internazionale, pagg. 181 e seguenti.
RFI - 42
Le Convenzioni internazionali contro le doppie
imposizioni assolvono alla funzione (7) di eliminare la doppia imposizione in materia tributaria; a
tal fine è infatti prevista una limitazione del potere
impositivo dei singoli Stati contraenti con riferimento alla fonte da cui proviene il reddito ed alla
residenza del percettore.
Come sopra accennato, la doppia imposizione
internazionale può verificarsi per effetto di contrasti tra due ordinamenti che adottano lo stesso criterio di collegamento tra il fatto generatore del
reddito e l’ordinamento giuridico dello Stato o criteri di collegamento diversi (8):
il fisco
La maggior parte degli Stati, al pari dell’Italia,
adotta tale principio di tassazione per i soggetti
residenti worldwide, caratterizzato da un criterio
di collegamento di tipo soggettivo - quale la residenza, la sede o la cittadinanza - tra il fatto generatore del reddito e l’ordinamento giuridico.
Altri Stati adottano il principio della “tassazione
su base territoriale” (source principle), con relativa
applicazione dell’imposta sulla base della localizzazione geografica dei redditi sia per i soggetti non
residenti sia per i soggetti residenti, con conseguente esenzione dei redditi prodotti all’estero (2).
L’esercizio della potestà impositiva dei singoli Stati su elementi di reddito prodotti o che si verificano
al di fuori del territorio dello Stato, si fonda sulla
presenza di elementi di collegamento tra l’episodio
generatore del reddito e l’ordinamento giuridico dello Stato (la residenza, la sede, la cittadinanza o la
localizzazione geografica del reddito) e comporta
normalmente una sovrapposizione delle sfere di
potestà impositiva - con conseguente rischio di doppie imposizioni (3) in caso di redditi di fonte estera
(4) (5), allorquando uno stesso reddito e/o patrimonio è assoggettato ad imposta due o più volte in capo
allo stesso soggetto da parte di due o più Stati (6)
Il diritto fiscale internazionale non prevede un
divieto della doppia imposizione; ogni Stato conserva piena sovranità impositiva in materia tributaria,
senza possibilità di limitazioni da parte di autorità
o entità superiori, fatta eccezione per i limiti che gli
Stati stessi si autoimpongono attraverso i trattati
bilaterali o multilaterali ed in particolare attraverso
le Convenzioni contro le doppie imposizioni.
- un criterio di collegamento di tipo personale (ad esempio, la residenza), per cui lo stesso
soggetto è considerato residente da entrambi gli
Stati in applicazione delle rispettive legislazioni
interne;
- un criterio di collegamento oggettivo (ad
esempio, il luogo di produzione del reddito), per
cui entrambi gli Stati considerano prodotto nel
proprio territorio, in base alla legislazione interna,
lo stesso reddito;
- due criteri di collegamento diversi: rispettivamente, un criterio di collegamento di tipo personale (ad esempio, la residenza) ed un criterio di
collegamento oggettivo (ad esempio, il luogo di
produzione del reddito).
L’art. 127 del Tuir prevede il divieto della doppia imposizione: “La stessa imposta non può
essere applicata più volte in dipendenza dello
stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi”; tale disposizione “riproduce, nella
forma e nella sostanza” (9) l’art. 67 del D.P.R. n.
600/1973 (10).
Al fine di evitare la doppia imposizione, il
nostro ordinamento prevede, per i soggetti resi(7) La maggior parte delle Convenzioni fiscali internazionali
assolve altresì al compito di prevenire le evasioni fiscali.
(8) Così Vitale, “Enciclopedia del diritto”, voce Doppia imposizione, pagg. 1009-1010.
(9) In tal senso Leo-Monacchi-Schiavo, cit., pag. 1657.
(10) Leo-Monacchi-Schiavo (op. cit., pag. 1657) rilevano come
“la collocazione di tale norma nell’ambito della disciplina riguardante le imposte sui redditi trova la sua giustificazione nel fatto
che la norma stessa enuncia un principio di carattere sostanziale
e che solo di riflesso attiene all’accertamento, come si afferma
nella relativa nota illustrativa ministeriale. La Corte di Cassazione (cfr. sent. 8 settembre 1980, n. 516) ha affermato che il divieto
di doppia imposizione diventa operante, per sua natura, non al
momento dell’accertamento dei presupposti dell’imposizione,
che può avvenire anche nei confronti di soggetti diversi quando
quei presupposti siano fra loro comuni, ma al momento successivo della concreta applicazione dell’imposta e cioè al momento
della sua liquidazione”. Nello stesso senso si veda anche la relazione governativa allo schema del testo unico sub art. 129.
Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale
denti, l’applicazione del credito d’imposta ex artt.
15 e 92 del Tuir per i redditi prodotti all’estero ed
ivi assoggettati a tassazione a titolo definitivo, che
concorrono a formare il reddito complessivo ai
fini Irpef o Irpeg; il metodo del credito d’imposta
consente la detrazione delle imposte pagate all’estero dall’imposta netta dovuta, fino a concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente
al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il
reddito complessivo (11).
Come osservano Leo-Monacchi-Schiavo (12), il
principio del divieto della doppia imposizione sancito nell’art. 127 del Tuir “viene garantito anche
attraverso lo strumento delle Convenzioni internazionali, fermo restando quanto disposto dal successivo art. 128, in base al quale le disposizioni del
Tuir si applicano, se più favorevoli al contribuente,
anche in deroga alle suddette Convenzioni”.
12/2000 il fisco 3461
- ovvero hanno la residenza nel territorio dello
Stato ai sensi dell’art. 43, comma 2, del codice civile (14).
Le tre condizioni sopra richiamate sono tra loro
alternative; sarà pertanto sufficiente il verificarsi
di una sola di tali condizioni affinché un soggetto
sia considerato fiscalmente residente nel territorio
dello Stato (15) (16).
L’anagrafe della popolazione residente è il registro nel quale sono annotate le persone che vivono
in un determinato comune italiano in un determinato momento. Il trasferimento della residenza
fiscale viene, pertanto, suffragato dalla cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente.
Il trasferimento della residenza all’estero comporta l’obbligo di iscrizione della persona nella
apposita anagrafe degli italiani residenti all’estero
(A.I.R.E.).
2. Cenni alla nozione di residenza
- sono iscritte nelle anagrafi comunali della
popolazione residente;
- ovvero hanno il domicilio nel territorio dello
Stato ai sensi dell’art. 43, comma 1, del codice civile;
(11) Tale metodo, detto del “credito ordinario” si differenzia
dal metodo del “pieno credito” che prevede la concessione, da
parte dello Stato di residenza, della deduzione dell’importo
totale delle imposte pagate nell’altro Stato sul reddito imponibile in tale Stato.
(12) Op. cit., pag. 1658.
(13) Per approfondimenti si rimanda a Garbarino, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990.
il fisco
Come sopra accennato, l’esercizio della potestà
impositiva dei singoli Stati si fonda sulla presenza
di elementi di collegamento tra l’episodio generatore del reddito e l’ordinamento giuridico dello
Stato stesso.
La maggior parte degli Stati, al pari dell’Italia,
adotta il principio della tassazione dei redditi
ovunque prodotti (worldwide principle), caratterizzato da un criterio di collegamento di tipo soggettivo - quale la residenza, la sede o la cittadinanza tra il fatto generatore del reddito e l’ordinamento
giuridico.
Il nostro ordinamento ricollega la tassazione dei
redditi su base mondiale al possesso della residenza fiscale nel territorio dello Stato.
I soggetti residenti sono, pertanto, assoggettati
ad imposizione anche per i redditi prodotti all’estero; i soggetti non residenti sono, invece, assoggettati a tassazione limitatamente ai redditi prodotti
nel territorio dello Stato (13).
Ai fini delle imposte sui redditi sono considerate
residenti le persone che, per la maggior parte del
periodo d’imposta:
(14) Con riferimento alla nozione di residenza ai fini fiscali,
l’art. 10 della L. 23 dicembre 1998, n. 448 ha provveduto ad
integrare i criteri fissati dall’art. 2 del Tuir per l’individuazione
della residenza nei confronti delle persone fisiche emigrate in
Paesi caratterizzati da un “regime fiscale privilegiato”, con conseguente sottrazione di materia imponibile in Italia.
Il nuovo comma 2-bis dell’art. 2 dispone che “Si considerano
altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in
Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati
con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”. Lo stesso art. 10 citato modifica anche l’art. 58,
comma 2, del D.P.R. n. 600/1973 (in tema di domicilio fiscale),
aggiungendo dopo le parole “pubblica amministrazione,” le
parole “nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’articolo
2, comma 2-bis, del Tuir”.
(15) La legge non specifica quali soggetti si considerino non
residenti; la definizione di non residente deve pertanto desumersi argomentando a contrariis. È fiscalmente non residente
chi non si trova in nessuna delle ipotesi sopra indicate per individuare i residenti ai fini fiscali; non è invece rilevante il fatto
che un soggetto sia residente in altro Paese: questo non impedisce che possa essere considerato residente anche in Italia.
(16) Per quanto riguarda inoltre il “domicilio fiscale” delle
persone fisiche e dei soggetti diversi dalle persone fisiche si
rimanda all’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973 e a Piazza, Guida alla
fiscalità internazionale, Milano, 1999.
I commi 2 e 3 dell’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973 così recitano:
“Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il
domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte.
Quelle non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in
cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più
comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato. I
cittadini italiani che risiedono all’estero in forza di un rapporto
di servizio con la pubblica amministrazione, nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima
residenza nello Stato.
I soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio
fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa manchi, essi
hanno il domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede
secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel
comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività”.
RFI - 43
3462 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
La giurisprudenza civilistica ha avuto modo di
rilevare che la cancellazione dall’Anagrafe della
popolazione residente e l’iscrizione nell’Anagrafe
degli italiani residenti all’estero non sono sufficienti a determinare l’esclusione della residenza
fiscale nel territorio dello Stato (17).
Le risultanze anagrafiche hanno solo valore presuntivo (18). La residenza anagrafica, quindi, si
presume effettiva. Si tratta di una presunzione
semplice, fatto salvo il limite posto a tutela dei terzi all’art. 44 del codice civile. In presenza di dati
anagrafici contraddetti da atti e dichiarazioni in
senso contrario, spetta all’interessato l’onere della
prova (19).
Ne deriva che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente è condizione necessaria,
ma non sufficiente per non essere assoggettati
all’imposta sul reddito delle persone fisiche. L’iscrizione presso l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, pur comportando la cancellazione dai registri anagrafici del comune di residenza, non è sufficiente a provare l’inesistenza della residenza
fiscale italiana (20).
dicembre 1997 (paragrafo 1) (in “il fisco” n.
46/1997, pag. 13664), deve, pertanto, “considerarsi
fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur
avendo trasferito la propria residenza all’estero e
svolgendo la propria attività fuori dal territorio
nazionale, mantenga, nel senso sopra illustrato, il
‘centro’ dei propri interessi familiari e sociali in
Italia”.
La permanenza del domicilio di una persona
deve essere desunta da tutti gli elementi di fatto
che, direttamente o indirettamente, provino la presenza del suo centro di interessi sul territorio dello
Stato (22).
2.2. La definizione civilistica di “residenza”
2.1. La definizione civilistica di “domicilio”
(17) Come osserva Marino (op. cit., pag. 1375), “la giurisprudenza civilistica è costante nel considerare le risultanze delle
scritture anagrafiche come mere presunzioni contro le quali è
ammissibile la prova contraria anche per mezzo di presunzioni
semplici”.
L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è disciplinata dalla L. n. 1228/1954 e dal D.P.R. n. 223/1989 che ha
sostituito il D.P.R. n. 136/1958.
(18) Cass., sent. n. 4829 del 20 settembre 1979, in “Giust. civ.
Mass.” 1979, fasc. 9.
(19) Cass., sent. n. 4705 dell’8 novembre 1989, in “Giust. civ.”
1990, I, pag. 74.
(20) In tal modo si è orientato anche il Ministero delle finanze; si veda la nota del 2 maggio 1995 relativa al caso dei cittadini italiani “emigrati” a Montecarlo e la citata circolare n. 304/E
del 2 dicembre 1997.
(21) Cass. sent. n. 2936 del 5 maggio 1980, in “Giust. civ.
Mass”, 1980, fasc. 5.; Trabucchi (op. cit., sub art. 43) osserva
che i connotati essenziali del domicilio sono la stabilità e la
principalità. “La stabilità presuppone la intenzionale non-provvisorietà, ma non una particolare durata, anche se questa resta
RFI - 44
il fisco
La norma fiscale rimanda al codice civile per la
definizione di “domicilio”. Ai sensi dell’art. 43,
comma 1, del codice civile, il domicilio è il luogo
in cui una persona ha stabilito la sede principale
dei suoi affari e interessi.
La nozione di domicilio riguarda la generalità
dei rapporti del soggetto, ricomprendendo anche
gli interessi di carattere familiare, sociale e morale
(21). Come chiarito dalla circolare n. 304/E del 2
La norma fiscale rimanda al codice civile per la
definizione di “residenza”; la residenza è definita
dall’art. 43, comma 2, del codice civile come il luogo in cui una persona ha la dimora abituale (23).
La Cassazione (24) precisa che la nozione di
residenza è data “dall’abituale volontaria dimora
di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della
volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in
fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento”.
Data la rilevanza dell’elemento intenzionale
(“abituale e volontaria dimora”), la residenza “sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o
a svolgere altra attività fuori dal comune di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi
ritorni quando possibile e vi mantenga il centro
delle proprie relazioni familiari e sociali” (25).
La stessa Cassazione (26) ha, inoltre, osservato
che l’acquisto della residenza non è subordinato al
pur sempre un indice significativo”; “la principalità, che non
deve necessariamente essere volontaria e consapevole, è concetto relativo ma esclusivo”.
(22) Cass. sent. n. 2936 del 5 maggio 1980, cit.
(23) Trabucchi, (op. cit., sub art. 43) chiarisce che la nozione
di dimora abituale “presuppone l’attualità della presenza fisica
del soggetto, in via transitoria, pur non essendo incompatibile
con il suo momentaneo allontanamento”; è esclusa peraltro la
possibilità di avere “una pluralità di dimore contemporanee” ed
inoltre “la dimora non coincide col momentaneo soggiorno ma
richiede un minimo di stabilità”.
(24) Cass. sent. n. 791 del 5 maggio 1985, in “Giust. civ.
Mass.” 1985, fasc. 2.
(25) Cass. sent. n. 1738 del 14 marzo 1986, in “Giust. civ.
Mass” 1986, fasc. 3.
(26) Cass. sent n. 4525 del 6 luglio 1983, in “Giust. civ. Mass”
1983, fasc. 7.
Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale
decorso di un periodo di tempo: “per determinare
il momento in cui può ritenersi acquistata la residenza, non è necessario, peraltro, che la permanenza in un determinato posto si sia già protratta
per un tempo più o meno lungo, ma è sufficiente
accertare che la persona abbia fissato in quel posto
la propria dimora con l’intenzione desumibile da
ogni elemento di prova anche con giudizio ex post,
di stabilirvisi in modo non temporaneo”.
Il concetto di residenza è fondato sull’elemento
obiettivo della permanenza in tale luogo e soggettivo dell’intenzione di averci stabile dimora, rilevata
dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle
relazioni sociali (27).
d), del Tuir, questi soggetti si considerano residenti
se “per la maggior parte del periodo d’imposta
hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione
o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.
L’oggetto principale è determinato:
- in base all’atto costitutivo, se esistente in forma
di atto pubblico o di scrittura privata autenticata;
- in mancanza, in base all’attività effettivamente esercitata.
2.5. La nozione di “residenza” per le società di capitali
Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche, ai sensi dell’art. 87, comma 3, del Tuir, si
considerano residenti “le società e gli enti che per
la maggior parte del periodo d’imposta hanno la
sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.
Sull’argomento Leo-Monacchi-Schiavo (30) precisano che è irrilevante la circostanza che la società
sia costituita all’estero se la sede legale, o la sede
dell’amministrazione o l’oggetto principale sono
localizzati nel territorio dello Stato; ai fini fiscali la
suddetta società risulterà infatti residente in Italia
se anche uno solo degli elementi sopra riportati è
localizzato nel territorio dello Stato (31).
In sintesi, per stabilire la residenza:
2.3. Il requisito temporale (“per la maggior parte del
periodo d’imposta”)
2.4. La nozione di “residenza” per le società di persone
Per quanto riguarda le società di persone e i soggetti assimilati, ai sensi dell’art. 5, comma 3, lettera
(27) La circolare del Ministero dell’interno del 29 maggio
1995, n. 8 precisa che il soggetto che si trovi in queste condizioni, verificate da appositi accertamenti, ha un diritto soggettivo
all’iscrizione all’anagrafe che non può essere vincolato da altri
elementi, rilevanti ma non essenziali, quali: 1) la disponibilità
di stabile, idonea e regolare abitazione; 2) lo svolgimento di
attività lavorativa nello stesso comune; 3) la contemporanea
iscrizione di tutti i componenti il nucleo familiare; 4) la mancanza di precedenti penali.
(28) Così la circolare n. 304/E del 1997 (cit).
(29) Le Convenzioni contro le doppie imposizioni fanno
generalmente riferimento all’espressione “183 giorni”.
il fisco
La definizione fornita dall’art. 2 del Tuir fa riferimento all’espressione “per la maggior parte del
periodo d’imposta”, sia nel caso dell’iscrizione anagrafica sia nelle ipotesi di domicilio o di residenza
ai sensi del codice civile.
In tal modo il legislatore “ha inteso, in effetti,
richiedere la sussistenza di un legame effettivo e
non provvisorio del soggetto con il territorio dello
Stato, tale da legittimare il concorso alle spese
pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà
di cui all’art. 2 della Costituzione” (28).
Tale espressione, a seconda dell’anno solare di 365
o 366 giorni, corrisponderà pertanto ad un periodo
di 183 o 184 giorni, anche non continuativo (29).
La circolare n. 304/E del 1997 (paragrafo 1)
osserva che “la circostanza che il soggetto abbia
mantenuto in Italia i propri legami familiari o il
‘centro’ dei propri interessi patrimoniali e sociali
deve ritenersi sufficiente a dimostrare un collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano
tale da far ritenere soddisfatto il requisito temporale previsto dalla norma”.
12/2000 il fisco 3463
- se dall’atto costitutivo risulta che la sede
legale è all’estero, si fa riferimento alla sede legale
estera, a patto che non esista nessuno degli altri
due elementi nel territorio dello Stato;
- occorrerà quindi verificare se la sede amministrativa è situata nel territorio dello Stato (luogo
in cui viene svolta l’attività di gestione) (32);
- se oltre alla sede legale anche la sede amministrativa non è situata nel territorio dello Stato, si
(30) Op. cit., pag. 1341.
(31) Ai sensi dell’art. 46 del codice civile, per la residenza o il
domicilio delle persone giuridiche si fa riferimento al luogo
dove è stabilita la loro sede. Secondo la Cass. n. 3604 del 16
giugno 1984 (in “Giust. civ. Mass.” 1984, fasc. 6) la “sede effettiva” è ravvisabile nel “luogo ove hanno concreto svolgimento le
attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le
assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato,
per l’accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli
organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente”. Inoltre: ai sensi dell’art. 2197 del codice civile, l’istituzione nel territorio dello Stato di una sede secondaria con una rappresentanza stabile comporta l’iscrizione all’ufficio del registro delle imprese del luogo
ove è la sede principale dell’impresa; l’obbligo riguarda gli
imprenditori con sede principale situata sia in Italia che all’estero; ai sensi dell’art. 2505 del codice civile, le società costituite all’estero che hanno la sede dell’amministrazione o l’oggetto
principale dell’impresa nel territorio dello Stato sono soggette
alle disposizioni della legge italiana.
(32) La sede amministrativa può essere desunta dall’esistenza
di uffici amministrativi o dall’indicazione su documenti e fatture.
RFI - 45
3464 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
fa riferimento all’oggetto principale dell’attività
determinato sulla base dell’atto costitutivo o in
base all’attività effettivamente esercitata.
- il centro degli interessi vitali è identificabile nel luogo ove il soggetto mantiene le proprie
relazioni familiari e sociali; ove ha la propria
occupazione, o la sede principale degli affari, ove
intrattiene attività politiche, culturali ed interessi diversi;
- il soggiorno abituale è il luogo (o i luoghi
all’interno del medesimo Stato) ove il soggetto
ha dimorato abitualmente (ossia per un periodo di tempo sufficiente a configurare abitualità) (35);
- la sede dell’effettiva direzione (per le persone
diverse dalle persone fisiche) è data dal luogo ove
l’attività viene esercitata effettivamente (diversamente, ad esempio, dal luogo ove ha sede la
società o impresa) (36).
2.6. La nozione di residenza secondo il Modello
OCSE contro le doppie imposizioni
L’art. 4 del Modello OCSE fornisce la definizione
del termine “residente”. Tale nozione è di fondamentale importanza per l’individuazione del presupposto soggettivo di cui all’art. 1 e per risolvere i
casi di doppia imposizione che nascono in conseguenza del fatto che:
- entrambi gli Stati contraenti considerano un
soggetto residente nel loro territorio agli effetti della
loro legislazione interna (casi di doppia residenza);
- la tassazione è consentita nello Stato di residenza del soggetto e nello Stato della fonte;
- il concetto di residenza è collegato a differenti criteri, ordinati gerarchicamente. Si tratta di:
3. Cenni alla nozione di domicilio fiscale
L’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973 stabilisce, ai fini
dell’applicazione dell’imposta, che ogni soggetto si
intende domiciliato in un comune dello Stato. Tale
principio subisce delle specificazioni a seconda
che i soggetti:
a) concetto di residenza esistente nelle legislazioni fiscali nazionali;
b) (in subordine):
●
per le persone fisiche:
tenti;
● per le persone diverse dalle persone fisiche: sede dell’effettiva direzione.
Le disposizioni dettate dalle singole legislazioni
fiscali interne possono essere derogate, in applicazione del paragrafo 2 dell’art. 4, qualora un soggetto
sia considerato residente di entrambi gli Stati contraenti ai sensi delle disposizioni convenzionali. In
tal caso saranno applicabili i criteri sopra indicati.
La sede dell’effettiva direzione - per le persone
diverse dalle persone fisiche - è data dal luogo ove
l’attività viene esercitata effettivamente (diversamente, ad esempio, dal luogo ove ha sede la
società o impresa) (33).
Per quanto riguarda i criteri di cui sopra, essi
sono così definibili:
- il luogo di abitazione permanente è costituito dal luogo che il soggetto ha eletto a propria
dimora, destinata ad utilizzo permanente (34);
(33) Il luogo ove viene effettivamente esercitata l’attività può
essere costituito, altresì, dal luogo ove è situata la stabile organizzazione, ai sensi dell’art. 5.
(34) Con riferimento all’abitazione, il commentario OCSE
all’art. 4 precisa che l’elemento essenziale è che l’abitazione sia
RFI - 46
il fisco
1) luogo di abitazione permanente;
2) centro degli interessi vitali;
3) soggiorno abituale;
4) nazionalità;
5) comune accordo delle autorità compe-
- siano persone fisiche ovvero soggetti diversi
dalle persone fisiche;
- siano o meno residenti nel territorio dello
Stato (37) (38).
permanente; pertanto non si considera abitazione permanente
la disponibilità occasionale, da parte di un individuo, di un’abitazione per un certo periodo di tempo, ad esempio, in occasione di viaggi di piacere, viaggi di lavoro, periodi di soggiorno
all’estero frequentando corsi a scuola, eccetera.
(35) Il soggiorno abituale rileva nei casi in cui la persona ha
un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti o nel
caso in cui non possieda abitazioni permanenti nei due Stati
contraenti.
(36) Il luogo ove viene effettivamente esercitata l’attività può
essere costituito, altresì, dal luogo ove è situata la stabile organizzazione, ai sensi dell’ art. 5 del Modello OCSE.
(37) Si veda in tal senso la relazione ministeriale allo schema
di D.P.R. n. 600/1973 sub art. 58. Come precisa la stessa relazione ministeriale citata, “la nozione di domicilio fiscale non coincide interamente con quella del codice civile come centro di
interessi o sede principale dei propri affari (art. 43 del codice
civile): essa si avvicina a quella di residenza di diritto comune
(art. 43, comma 1, codice civile) in relazione soprattutto alla
rilevanza attribuita all’iscrizione anagrafica”.
(38) In deroga alle disposizioni dell’art. 58, il successivo art.
59 del D.P.R. n. 600/1973 dispone che l’Amministrazione finanziaria può stabilire il domicilio fiscale nel comune in cui il soggetto svolge “in modo continuativo la principale attività” ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, “nel comune in
cui è stabilita la sede amministrativa”, anche se il comune è
situato in altra provincia diversa da quella in cui il soggetto
svolge l’attività principale o è stabilita la sede amministrativa
della società.”
Si veda anche la relazione ministeriale allo schema di D.P.R.
Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale
3.1. La nozione di domicilio fiscale per le persone
fisiche
n. 600/1973 sub art. 59, la circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977
e la risoluzione n. 10/1455 del 18 novembre 1976; con riferimento alla decorrenza della variazione del domicilio fiscale, si
vedano le risoluzioni n. 11/1116 del 19 giugno 1978, n. 11/498
del 25 settembre 1978 e n. 11/1115 del 1° dicembre 1980
(rispettivamente, in “il fisco” n. 20/1978, pag. 47, n. 19/1978,
pag. 75, e n. 3/1981, n. 276).
(39) Il Ministero delle finanze ha pubblicato il decreto ministeriale che approva la lista dei Paesi considerati paradisi fiscali
ai fini dell’applicazione dell’art. 10 della L. n. 448/1998. La
“nuova” black list (D.M. 4 maggio 1999) coincide solo in parte
con quella di cui al D.M. 24 aprile 1992, emanata in attuazione
dell’art. 76, comma 7-bis, del Tuir; tale disposizione, infatti, è
collocata in un diverso contesto normativo - con finalità e destinatari diversi - trovando applicazione con riferimento alle
“società domiciliate fiscalmente in Paesi a regime fiscale privilegiato” e colpisce l’utilizzo di società di paradisi fiscali, mentre
il citato art. 10 riguarda la residenza delle persone fisiche.
La circolare n. 140/E del 1999 (paragrafo 3) precisa che l’individuazione dei paradisi fiscali “è svincolata da qualsiasi limite, sia in ordine al livello quantitativo della tassazione sia per
quanto riguarda l’aderenza o meno all’Unione europea dei Paesi stessi”, inoltre, viene ad essere superata “la tradizionale
distinzione tra i cosiddetti paradisi fiscali (tax havens) e i Paesi
che adottano regimi fiscali preferenziali (harmful preferential
tax regimes), operando, con riguardo alle finalità del regime
presuntivo appena introdotto, una sostanziale parificazione
delle due realtà tipologiche, come peraltro deciso in sede OCSE
quanto alle adottande misure di contrasto del fenomeno della
concorrenza fiscale ‘nefasta’ ”.
Di seguito si riportano i Paesi inclusi nella nuova black list,
La circolare n. 140/E del 24 giugno 1999 (paragrafo 6) (in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9055) precisa
che la modifica si è resa necessaria in considerazione del fatto che i cittadini italiani emigrati in
paradisi fiscali “non sono riconducibili in nessuna
delle categorie già in precedenza contemplate dal
predetto art. 58, che pure già conosceva la categoria delle ‘persone fisiche … non residenti’, nel cui
ambito sicuramente rientrano i cittadini realmente
emigrati in un Paese estero, avente o meno un
regime fiscale privilegiato”.
3.2. La nozione di domicilio fiscale per i soggetti
diversi dalle persone fisiche
il fisco
Ai sensi dell’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe civile sono iscritte.
Come precisato dalla circolare n. 7/1496 del 30
aprile 1977, tale disposizione è da mettere in relazione con il citato art. 2, comma 2, del Tuir.
Ai fini della identificazione del domicilio fiscale
delle persone fisiche non residenti, occorre fare
riferimento al comune nel quale i redditi sono prodotti.
Qualora il reddito venga prodotto in più comuni,
occorre fare riferimento - ai sensi dell’art. 58, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973 - al comune in cui si è
prodotto il reddito più elevato.
Come sopra accennato, l’art. 10, comma 2, della
L. n. 448/1998 ha provveduto a modificare anche
l’art. 58, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, aggiungendo dopo le parole “pubblica amministrazione,”
le parole “nonché quelli considerati residenti ai
sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, del Tuir”. Di
conseguenza, per effetto della novità apportata dal
citato comma 2 dell’art. 10, i cittadini italiani emigrati in paradisi fiscali continuano ad avere il
domicilio fiscale nel comune di ultima residenza
anagrafica (39).
12/2000 il fisco 3465
La relazione ministeriale allo schema di D.P.R.
n. 600/1973 chiarisce che con l’espressione “soggetti diversi dalle persone fisiche” si è voluto indicare “non solo le persone giuridiche di qualsiasi
tipo, ma ogni soggetto passivo tributario non avente piena soggettività giuridica”. La circolare n.
7/1496 del 30 aprile 1977 precisa, inoltre, che i
soggetti residenti nel territorio dello Stato che
interessano ai fini della determinazione del domicilio fiscale sono le società commerciali organizzate secondo la forma delle società di capitali, le
società di persone, gli enti pubblici e privati di cui
all’art. 87 del Tuir.
Ai fini della determinazione del domicilio
fiscale di tali soggetti occorre fare riferimento, ai
sensi dell’art. 58, comma 3, del D.P.R. n.
600/1973:
- al comune in cui si trova la sede legale;
- (ovvero) al comune in cui si trova la sede
amministrativa;
- (ovvero) al comune ove esiste una sede
secondaria;
- (ovvero) al comune in cui viene esercitata
prevalentemente l’attività (40).
Con riferimento poi ai soggetti (diversi dalle persone fisiche) non residenti - che non hanno né la
sede legale né quella amministrativa nel territorio
dello Stato, ma che svolgono attività produttiva di
evidenziando l’esistenza di una Convenzione contro le doppie
imposizioni stipulata con l’Italia e se tali Paesi sono inclusi nella già citata white list. Alderney, Andorra, Anguilla, Antigua e
Barbuda, Antille Olandesi, Aruba, Bahama, Bahrein, Barbados,
Belize, Bermuda, Brunei, Cipro, Costa Rica, Dominica, Emirati
Arabi Uniti, Ecuador, Filippine, Gibilterra, Gibuti, Grenada,
Guernsey, Hong Kong, Isola di Man, Isole Cayman, Isole Cook,
Isole Marshall, Isole Vergini Brit., Jersey, Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Malaysia, Maldive, Malta, Maurizio, Monserrat, Nauru, Niue, Oman, Panama, Polinesia Francese, Monaco, San Marino, Sark, Seicelle, Singapore, Saint Kitts e Nevis,
Saint Lucia, Saint Vincent, Svizzera, Taiwan, Tonga, Turks e
Caicos, Tuvalu, Uruguay, Vanuatu, Samoa.
(40) Così anche la circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977.
RFI - 47
3466 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
reddito o possiedono redditi imponibili - occorre
verificare l’esistenza in Italia di una sede secondaria (41); inoltre, in caso di presenza di più sedi
secondarie, occorrerà fare riferimento alla sede
che abbia la rappresentanza stabile, regolarmente
registrata in conformità al disposto dell’art. 2506
del codice civile (42).
nute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, intese a contrastare il fenomeno del cosiddetto
treaty shopping, nonché nelle norme antielusione
contenute nelle normative interne dei singoli Paesi.
4.1. L’ufficio di rappresentanza all’estero
L’ufficio di rappresentanza può essere considerato la forma di presenza minima di una società residente nel territorio di uno Stato estero.
Si tratta di una sede fissa sul territorio dello Stato estero con funzioni preparatorie e/o ausiliarie
rispetto all’attività della casa madre quali, ad esempio, l’attività promozionale, di informazione, di
ricerca di mercato o scientifica; non svolgono, invece, attività produttiva o di vendita in senso proprio.
4. La fase di espansione all’estero
Come sopra accennato, l’espansione all’estero di
una società commerciale si realizza, di regola,
mediante:
- una rete di agenti indipendenti;
- un ufficio di rappresentanza, per le attività promozionale, di ricerca, di commercializzazione …;
- una filiale o branch;
- una o più società controllate.
- possono consentire di evitare la presenza
fiscale all’estero;
- comportano costi amministrativi (per tenuta
della contabilità, dichiarazione dei redditi) diversi, ….
A seconda delle circostanze del caso concreto, le
ipotesi di struttura possono essere assai numerose
ed articolate; l’imprenditore potrà realizzare direttamente l’investimento attraverso una controllata
o una stabile organizzazione, ovvero potrà avvalersi di una struttura societaria più elaborata che preveda l’esistenza di una o più holding intermedie.
Tali strutture devono avere una concreta giustificazione economica, prima ancora che fiscale, per
evitare di incorrere nelle norme antielusione conte(41) Come precisato dalla circolare n. 7/1496 del 30 aprile
1977, per le società costituite all’estero ai sensi dell’art. 2505 del
codice civile con sede nel territorio dello Stato “non sorgono
particolari problemi, trattandosi di società che hanno la sede
dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale dell’impresa
nel territorio medesimo”.
(42) Si veda anche la circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977.
RFI - 48
Italia
Ufficio
di rappresentanza
il fisco
La pianificazione di un investimento in un
determinato Paese estero non può prescindere dall’analisi della struttura con cui realizzare il progetto; la definizione della struttura societaria a livello
locale e la scelta, ad esempio, tra un controllo
diretto o indiretto rappresentano, infatti, fondamentali decisioni del management aziendale al fine
verificare quali possono essere le soluzioni più
vantaggiose per cogliere le opportunità dei mercati
esteri ed ottimizzare l’imposizione sui flussi finanziari necessari per la realizzazione del progetto e
sui flussi reddituali da questo derivanti.
I canali di espansione sopra esemplificati comportano problematiche diverse sia da un punto di
vista operativo sia fiscale quali, ad esempio:
Ai fini civilistici, l’esistenza di una sede secondaria
richiede la presenza congiunta dei seguenti requisiti:
- rappresentanza con preposizione institoria
ex art. 2203 del codice civile;
- stabili poteri di rappresentanza in capo al
preposto;
- autonomia di gestione;
- obblighi di registrazione in Italia ex art.
2197, ultimo comma, del codice civile (43).
Non vi è perfetta coincidenza tra la nozione civilistica di sede secondaria e la nozione fiscale di
stabile organizzazione.
Come osserva Piazza (44), la disciplina civilistica
è, infatti, orientata a garantire l’affidamento dei
terzi nei confronti dell’imprenditore, mentre la
normativa fiscale è orientata alla corretta determinazione del reddito imponibile; “la nozione di stabile organizzazione prescinde dalla circostanza
che vi sia una ‘rappresentanza’ intesa come una
possibilità delle persone preposta all’unità locale di
impegnare l’imprenditore nei confronti dei terzi in
(43) Come precisato dalla Cassazione, con sentenza. n.
341/1969, la sede secondaria richiede la presenza congiunta sia
di stabili poteri di rappresentanza in capo al preposto, sia di
un’autonomia di gestione della sede stessa.
Per un’analisi della differenza tra sede secondaria con rappresentanza stabile ed altre unità locali, si rimanda a Piazza,
cit., pagg. 23 e seguenti.
(44) Op. cit., pag. 119.
Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale
modo più o meno ampio. D’altra parte ci sembra
possibile - anche se raro - che alcune sedi secondarie con rappresentanza stabile non siano considerate fiscalmente stabili organizzazioni”.
Infine, nel caso in cui un’impresa costituisca un
“ufficio di direzione” (management office) in Paesi
in cui possiede consociate, stabili organizzazioni,
agenti o licenziatari, tale ufficio di direzione sarà
considerato, in genere, una stabile organizzazione,
in quanto svolge funzioni di coordinamento e di
supervisione.
4.2. La definizione di ufficio di rappresentanza nel
Modello OCSE
- una sede fissa di affari avente scopo identico
a quello dell’impresa, non può essere considerata
esercitare attività preparatoria o ausiliaria;
- una sede fissa di affari con funzione di direzione dell’impresa (o di parte dell’impresa o di un
gruppo) non può essere ritenuta svolgere attività
definibili come preparatorie od ausiliarie, in quanto tali attività direzionali non possono essere considerate attività aventi carattere preliminare, o
preparatorio per l’impresa.
(45) La “sede di affari” può essere individuata qualora siano
disponibili - a qualsiasi titolo - locali, immobili o macchinari,
impianti e attrezzature utilizzati per lo svolgimento dell’attività
d’impresa. Una sede di affari può essere presente anche nel
caso in cui non vi siano locali a disposizione per lo svolgimento
di un’attività imprenditoriale, ma l’impresa disponga solamente
di un certo spazio. Il commentario infatti precisa che una sede
di affari può essere rappresentata da uno spazio in un mercato
ovvero da aree impiegate dall’impresa in via permanente in un
deposito doganale o, ancora, nella sede di un’altra impresa.
(46) La qualificazione della sede di affari come “fissa” deve
essere intesa con riferimento sia all’ambito temporale che alla
localizzazione. Per quanto concerne l’ambito temporale deve
sussistere:
- l’elemento soggettivo, vale a dire la volontà di costituire
una sede permanente, in via del tutto disgiunta dalla effettiva
durata della stessa, oppure
- l’elemento oggettivo l’effettiva permanenza.
(47) Si veda in tal senso il commentario al Modello OCSE.
4.3. Utilizzo di una rete di agenti (dipendenti o indipendenti) - Ipotesi di stabile organizzazione
Il paragrafo 5 dell’art. 5 del Modello OCSE delinea un’ulteriore ipotesi di configurabilità di una
stabile organizzazione basata sulla figura dell’agente dipendente e richiede che siano soddisfatti i
seguenti requisiti:
- l’agente deve operare per conto dell’impresa
estera;
- deve godere di poteri che gli permettano di
concludere nello Stato estero contratti in nome
dell’impresa e che ne faccia uso abitualmente.
il fisco
Ai sensi dell’art. 5 del Modello OCSE, costituisce
stabile organizzazione una sede fissa di affari (45)
(46) utilizzata per l’impresa ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attività analoghe che abbiano carattere
preparatorio o ausiliario per l’impresa.
Come precisato dal commentario al Modello
OCSE, tale sede di affari può contribuire alla produttività globale dell’impresa, ma i servizi resi rivestono carattere preparatorio, non direttamente
finalizzati all’ottenimento di un utile d’impresa; ad
esempio, le attività utilizzate dall’impresa al solo
fine di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o per l’attuazione di contratti di
licenza, di brevetti o di know-how.
Il criterio distintivo ai fini dell’individuazione
delle attività che rivestono carattere preparatorio o
ausiliario, deve essere ricercato nel fatto che l’attività della sede di affari di per se stessa rappresenti,
o meno, una parte essenziale dell’attività dell’impresa nella sua globalità (47); pertanto:
12/2000 il fisco 3467
Per configurare l’esistenza di una stabile organizzazione, non è pertanto sufficiente la presenza
di una qualsiasi persona dipendente; è necessario
che le persone che sono distaccate in un particolare Stato vincolino l’impresa in un determinato
livello dell’attività propria dell’impresa, in relazione alle finalità della loro autorità o della natura
della loro attività.
Inoltre, tale autorità va esercitata in via continuativa nell’altro Stato; la persona deve impiegare
i propri poteri in modo continuativo e non meramente in casi isolati.
Il successivo paragrafo 6 dell’art. 5 del Modello
OCSE dispone che non configura ipotesi di stabile
organizzazione l’esercizio della propria attività da
parte di un’impresa in altro Stato mediante un
mediatore, un commissionario generale o di ogni
altro intermediario con status indipendente, a condizione che tali intermediari:
- agiscano nell’ambito della loro ordinaria
attività;
- siano indipendenti rispetto alla casa madre
(cosiddetto “status indipendente”).
In merito alla prima condizione (48), il commentario al Modello OCSE osserva che un intermediario agisce al di fuori della propria attività
ordinaria quando esercita abitualmente un’attività
che attiene economicamente alla sfera dell’impresa
(48) Tale condizione è considerata necessaria, ma non sufficiente; qualora non sia soddisfatta, si avrà una stabile organizzazione dell’impresa preponente nello Stato di esercizio dell’attività, a meno che l’attività non rientri tra quelle di cui all’art. 5,
paragrafo 4, del Modello OCSE (ipotesi particolari che non
configurano l’esistenza di una stabile organizzazione).
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3468 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
e non alla propria (esempio: vendita di beni dell’impresa e stipula di contratti in via abituale in
nome e per conto dell’impresa stessa).
Con riferimento al cosiddetto “status indipendente” (49), il commentario al Modello OCSE individua alcuni criteri di riferimento:
del Tuir i redditi prodotti nel territorio dello Stato
sono assoggettati a tassazione secondo le disposizioni delle singole categorie di reddito (cosiddetto
principio del trattamento isolato dei redditi) (50).
Qualora, invece, esista una stabile organizzazione, i redditi conseguiti sono attratti alla disciplina
del reddito d’impresa ed il trattamento isolato è
accordato se i redditi non derivano da attività esercitate mediante stabile organizzazione; tali considerazioni valgono sia nel caso di stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, sia nel caso
di stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti.
In tale ultimo caso, ai fini delle imposte sui redditi, il reddito prodotto dalla stabile organizzazione all’estero di soggetti residenti viene pertanto:
- l’indipendenza dalla casa madre deve essere
intesa in senso giuridico ed economico;
- il rischio imprenditoriale deve essere proprio
dell’agente e non dell’impresa.
Lo stesso commentario individua poi natura ed
estensione degli obblighi cui deve sottostare l’agente, nonché le istruzioni impartite ed il controllo
esercitato dall’impresa.
4.4. Società controllanti e/o controllate - Ipotesi di
stabile organizzazione
- determinato mediante rilevazione contabile
distinta dei fatti di gestione e dei risultati dell’esercizio;
- incluso nella base imponibile del soggetto passivo residente a cui la stabile organizzazione fa capo
in base al cosiddetto worldwide principle (51) (52).
Ai sensi dell’art. 5, paragrafo 7, del Modello
OCSE, il fatto che una società:
L’esistenza di una consociata non costituisce, di
per sé, una stabile organizzazione della società
madre. Ai fini impositivi, infatti, la consociata
costituisce una entità legale distinta rispetto alla
casa madre e non costituisce stabile organizzazione, anche se l’attività imprenditoriale esercitata è
diretta dalla casa madre stessa.
Viceversa, una consociata può costituire stabile
organizzazione della casa madre, qualora:
5. Cenni alla nozione di stabile organizzazione
il fisco
- controlli una società residente di un altro
Stato contraente ovvero
- sia da questa controllata,
- ovvero svolga un’attività in tale altro Stato
(anche a mezzo di una stabile organizzazione),
non costituisce, di per sé, motivo sufficiente per
far considerare una qualsiasi di dette società una
stabile organizzazione dell’altra.
La fase iniziale di espansione all’estero da parte
di una società commerciale residente può comportare, di regola, oltre ai casi di utilizzo di una rete
di agenti indipendenti e/o alla apertura di un ufficio di rappresentanza (ad esempio, per attività promozionale, di ricerca, di commercializzazione, …):
- l’istituzione di una sede secondaria con rappresentanza stabile, ma priva di autonomia giuridica (esempio, branch);
- la costituzione di società o enti dotati di
completa autonomia giuridica, costituiti e controllati dalla casa madre (subsidiary).
- non possa essere considerata un agente indipendente;
- abbia ed eserciti, in via abituale, il potere di
concludere contratti in nome della casa madre.
Italia
Italia
4.5. La tassazione dei redditi derivanti da attività
esercitate mediante stabile organizzazione all’estero
di soggetti residenti
Foreign
branch
Foreign
subsidiary
Nei confronti dei soggetti non residenti senza
stabile organizzazione nel territorio dello Stato, in
base al combinato disposto degli artt. 3, 20 e 113
(50) In tal senso si veda Garbarino, op. cit., pag. 214.
(51) Garbarino, op. cit., pagg. 214 e seguenti.
(49) Anche tale condizione è necessaria affinché non si abbia
stabile organizzazione, ma non sufficiente; un agente indipendente può rientrare nella definizione generale di stabile organizzazione, quale sede fissa di affari in cui l’impresa esercita la
propria attività, ma non rispettare il requisito dell’esercizio di
un’attività ordinaria.
RFI - 50
(52) L’art. 7 del Modello OCSE prevede che “gli utili di
un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in
detto Stato, a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione
ivi situata”. Qualora l’impresa svolga l’attività mediante una
Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale
Il nostro ordinamento non prevede una nozione
di “stabile organizzazione”.
Una definizione - ritenuta valida dall’Amministrazione finanziaria con la circolare del Ministero
delle finanze n. 7/1496 del 30 aprile 1977 e la risoluzione del Ministero delle finanze n. 9/2398 del 1°
febbraio 1983 (in “il fisco” n. 8/1983, pag. 1027)
(53) - è rinvenibile all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE.
In particolare la risoluzione postula il concorso
di due elementi costitutivi fondamentali:
sa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in
parte la sua attività”.
In particolare occorre rilevare che (vd. il paragrafo 2 del commentario OCSE all’art. 5, paragrafo 1):
- l’esistenza di una “sede di affari” può essere
individuata qualora siano disponibili (a qualsiasi
titolo) locali, immobili o macchinari, impianti e
attrezzature varie utilizzati per lo svolgimento dell’attività d’impresa; od anche solo qualora l’impresa disponga di determinati spazi a disposizione, in
modo permanente;
- la qualificazione della sede di affari come
“fissa” deve essere intesa con riferimento sia
all’ambito temporale che alla localizzazione;
- l’attività deve essere svolta attraverso la stabile organizzazione; deve pertanto esistere necessariamente un collegamento tra il requisito oggettivo dell’esistenza della sede e quello dell’esercizio
di attività.
- l’esistenza di una installazione fissa in senso
tecnico (locali, materiale, attrezzature);
- e l’esercizio dell’attività da parte dell’impresa
per mezzo di tale installazione.
La Cassazione 27 novembre 1987, n. 8820, con
riferimento alla stabile organizzazione in Italia di
un soggetto estero, ha inoltre enunciato le seguenti
caratteristiche fondamentali per l’esistenza di una
stabile organizzazione:
5.1. Requisiti generali per l’esistenza di una stabile
organizzazione
Ai sensi dell’art. 5 del Modello OCSE, “l’espressione ‘stabile organizzazione’ designa una sede fis-
stabile organizzazione, gli utili dell’impresa diverranno imponibili nell’altro Stato, ma solamente nella misura in cui siano
attribuibili alla stabile organizzazione stessa. Ne consegue che:
- un’impresa residente di uno Stato non potrà essere tassata in un altro Stato a motivo dell’attività ivi svolta, a meno che
vi operi mediante una stabile organizzazione;
- l’attività condotta dall’impresa nell’altro Stato mediante
una stabile organizzazione non potrà essere sottoposta a tassazione se non per gli utili direttamente attribuibili alla stabile
organizzazione stessa.
(53) Come osservato da Piazza (op. cit., pag. 119), non esiste
una esatta corrispondenza tra le fattispecie regolate dal codice
civile e quelle regolate dalla normativa fiscale; “… la nozione di
stabile organizzazione prescinde dalla circostanza che vi sia
una ‘rappresentanza’ intesa come una possibilità della persona
preposta all’unità locale di impegnare l’imprenditore nei confronti dei terzi in modo più o meno ampio. D’altra parte ci sembra possibile - anche se raro - che alcune sedi secondarie con
‘rappresentanza’ stabile non siano considerate fiscalmente stabili organizzazioni”.
5.2. Ipotesi particolari che configurano l’esistenza di
una stabile organizzazione
il fisco
- l’organizzazione deve essere strumentale ad
un’attività svolta abitualmente in Italia da un ente
straniero;
- l’organizzazione deve essere stabile, tale cioè
da poter essere utilizzata in maniera durevole;
- sono irrilevanti le dimensioni e l’assetto
strutturale dell’organizzazione;
- l’attività svolta dalla stabile organizzazione
può essere secondaria o strumentale rispetto a
quella dell’ente estero e lo scopo può anche non
essere economico.
12/2000 il fisco 3469
Accanto alla previsione dei requisiti generali per
l’individuazione di una stabile organizzazione, i
paragrafi 2 e 3 dell’art. 5 forniscono alcune tipologie che possono configurare l’esistenza di una stabile organizzazione:
- una sede di direzione;
- una succursale;
- un ufficio;
- un’officina;
- un laboratorio;
- una miniera o giacimento petrolifero o di gas
naturale, una cava o altro luogo di estrazione di
risorse naturali;
- un cantiere di costruzione o di montaggio la
cui durata oltrepassa i dodici mesi.
Di seguito si cerca di dare una definizione delle
tipologie sopra richiamate.
La legislazione italiana non prevede una definizione di “sede di direzione”.
Sotto il profilo lessicale il termine “direzione”
(o management) appare un concetto alquanto
astratto, proprio dell’economia d’azienda, e per
questo privo di una puntuale ed univoca definizione nel diritto tributario internazionale; in
linea di principio, il concetto di sede di direzione
sembra individuare un luogo in cui vengono effettivamente prese le decisioni relative agli indirizzi
dell’azienda.
Il termine “succursale” dovrebbe indicare una
“sede secondaria e distaccata di un ufficio, di una
società industriale o commerciale di un’azienda”.
Come si può notare l’espressione succursale può
RFI - 51
3470 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
- non siano considerate stabile organizzazione;
- siano considerate stabile organizzazione;
- siano considerate stabile organizzazione,
qualora tali attività abbiano una durata superiore
ad un prefissato periodo temporale.
(54) Piazza (op. cit., pag. 140, nota 50) fa riferimento al
Documento n. 9 del Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e dei Ragionieri ove i concetti di filiale e succursale vengono fatti rientrare in un’unica categoria fondamentale, vale a
dire la sede secondaria in senso civilistico.
RFI - 52
il fisco
essere, nel linguaggio comune, impiegata in alternativa a filiale (54).
Inoltre, si può ritenere che un ufficio rientri nel
significato comunemente attribuibile alla succursale.
Qualora, in base al disposto di cui al paragrafo
4, l’attività sia condotta ai soli fini di esposizione,
di consegna, di acquisto di merci, di raccolta di
informazioni o di pubblicità o di attività analoghe
di carattere preparatorio od ausiliare per l’impresa, non si ha stabile organizzazione dell’impresa.
Con il termine “officina” si intende designare
comunemente un impianto nel quale vengono
effettuate lavorazioni o si procede all’esecuzione di
montaggi, riparazioni, revisioni e manutenzioni.
Come si può notare nell’espressione “officina” si
riassumono le caratteristiche principali della stabile organizzazione.
Per “laboratorio” si intende un locale attrezzato
per svolgere attività sperimentali, tecniche o produttive o per eseguire ricerche scientifiche; talvolta
può essere annesso ad un negozio di vendita.
In base alla lettera c) del paragrafo 2, qualora il
laboratorio sia utilizzato per l’impresa ai soli fini
di ricerca scientifica, non si considera che vi sia
una stabile organizzazione.
Tra le fattispecie che possono configurare una
stabile organizzazione vi sono le miniere, le cave o
altri luoghi di estrazione di risorse naturali. Il
paragrafo 14 del commentario al Modello OCSE
precisa che l’espressione “ogni altro luogo di estrazione di risorse naturali” deve essere interpretata
in modo estensivo in modo da ricomprendervi, ad
esempio, i luoghi di estrazione di idrocarburi sia
sulla terraferma che offshore. Precisa ancora il
commentario (al paragrafo 15), che il testo del
modello si riferisce all’ “estrazione di risorse” e non
anche all’ “esplorazione” delle stesse; dal momento
che non è stato possibile pervenire in sede OCSE
ad una comune definizione per la qualificazione
del reddito derivante dall’attività esplorativa, nonché per l’attribuzione del diritto a tassare tale reddito, gli Stati contraenti possono accordarsi per
inserire specifiche disposizioni nelle Convenzioni
bilaterali.
In particolare, gli Stati contraenti possono convenire che le attività di esplorazione di risorse
naturali svolte in uno dei due Paesi:
Per quanto riguarda l’Italia, nessuna delle Convenzioni stipulate dal nostro Paese prevede disposizioni specifiche sul punto (55). In assenza di
disposizioni particolari previste dai trattati, ma in
presenza di un reddito derivante da tali attività, la
verifica dell’esistenza o meno di una stabile organizzazione deve essere effettuata sulla base delle
regole generali previste dal paragrafo 1 dell’art. 5
del Modello OCSE (“sede fissa d’affari in cui l’impresa esercita in tutto in parte la sua attività”),
come suggerito dal paragrafo 15 del commentario.
Secondo il paragrafo 17 del commentario al
Modello OCSE, con il termine “cantiere di costruzione o di montaggio” deve intendersi un’installazione volta alla costruzione di edifici, strade, ponti, canali, posa in opera di tubazioni, terrazzamenti e dragaggio.
Il paragrafo 19 del commentario rileva che il
cantiere inizia ad esistere da quando l’imprenditore comincia l’attività (ivi comprese le attività preparatorie), nello Stato in cui la costruzione deve
essere eseguita; ciò avviene, ad esempio, quando
l’impresa installa un ufficio per la progettazione.
In generale, il cantiere continua ad esistere fino al
completamento del lavoro od al suo definitivo
abbandono. Interruzioni stagionali, causate da cattivo tempo, e interruzioni temporanee, dovute da
indisponibilità di materiali o da difficoltà relative
alla manodopera, devono essere computate nel
periodo di durata del cantiere.
Il paragrafo 3 del Modello OCSE dispone che
“un cantiere di costruzione o di montaggio è considerato stabile organizzazione solamente se oltrepassa i dodici mesi”. Sul punto il commentario (al
paragrafo 16) avverte che, qualora il cantiere non
soddisfi questa condizione, non costituisce di per
sé stabile organizzazione, anche se esiste nella sua
area un’installazione, un ufficio od un laboratorio,
nel senso espresso dal paragrafo 2, connesso con
l’attività di costruzione o montaggio.
La circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977 riconosce anch’essa la rilevanza del requisito dell’ambito
temporale statuendo che “relativamente ai cantieri
di costruzione o di montaggio è altresì fissato un
limite temporale al di sotto del quale viene negata
l’esistenza della stabile organizzazione”.
5.3. Ipotesi particolari che non configurano l’esistenza di una stabile organizzazione
Lo stesso art. 5 del Modello OCSE prevede infine, al paragrafo 4, ipotesi per le quali non è configurabile una stabile organizzazione, anche qualora
sia configurabile una sede fissa di affari. Tali ulteriori ipotesi, aventi secondo il commentario OCSE
(55) Piazza, op. cit., pag. 142.
Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale
la caratteristica fondamentale dell’ausiliarietà
rispetto all’attività principale dell’impresa, si verificano qualora:
altro intermediario con status indipendente, a condizione che tali persone agiscano nell’ambito della
loro ordinaria attività.
- venga fatto uso di un’installazione al solo
scopo del deposito, dell’esposizione o della consegna di merce appartenente all’impresa;
- siano immagazzinate merci appartenenti
all’impresa al solo scopo di deposito, di esposizione o di consegna;
- siano immagazzinate merci appartenenti
all’impresa ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;
- sia utilizzata una sede fissa di affari al solo
fine di acquistare merci o raccogliere informazioni
per l’impresa;
- sia utilizzata una sede fissa di affari, per
l’impresa, al solo fine di pubblicità, di fornire
informazioni, di ricerche scientifiche e di attività
analoghe che abbiamo carattere preparatorio o
ausiliario;
- sia utilizzata una sede fissa di affari unicamente per qualsiasi combinazione delle attività
citate ai punti precedenti, purché l’attività della
sede fissa nel suo insieme quale risulta da tale
combinazione, sia di carattere preparatorio o ausiliare.
I paragrafi 5 e 6 dello stesso art. 5 del Modello
OCSE analizzano le ipotesi di utilizzo da parte della casa madre di agenti dipendenti e indipendenti.
Il paragrafo 5 delinea un’ulteriore ipotesi di configurabilità di stabile organizzazione basata sulla
figura dell’agente dipendente e richiede che siano
soddisfatti i seguenti requisiti:
- l’agente deve operare per conto dell’impresa
estera;
- deve godere di poteri che gli permettano di
concludere nello Stato estero contratti in nome
dell’impresa e deve farne uso abitualmente;
- deve svolgere attività diverse da quelle rientranti tra le ipotesi di esclusione di stabile organizzazione di cui al paragrafo 4 dell’art. 5 del Modello
OCSE (56).
Ai sensi del paragrafo 6 dell’art. 5 non si considera, invece, che un’impresa di uno Stato abbia
una stabile organizzazione nell’altro Stato qualora
eserciti la propria attività in tale Stato mediante
un mediatore, un commissionario generale o di ogni
(56) Il paragrafo in esame stabilisce un criterio alternativo
circa l’esistenza per l’impresa di una stabile organizzazione in
un determinato Stato. Ne deriva che, nel caso in cui si possa
dimostrare che l’impresa dispone di una stabile organizzazione
in base ai paragrafi 1 e 2, non diviene necessario dimostrare che
la persona in carica ricade sotto la disciplina del paragrafo 5.
Italia
Italia
Paese OCSE
S.O.
S.O.
1. sede di direzione
1. mediatore indipendente
2. succursale indipendente
2. commissionario generale
3. ufficio
3. altro intermediario indipen4. officina
dente
5. laboratorio
6. magazzino di vendita
7. miniera, cava, o altro luogo di estrazione di risorse naturali
8. cantiere di costruzione o montaggio o le attività di supervisione di durata superiore a 3 mesi
9. mediatore dipendente
10. commissionario generale dipendente
11. altro intermediario dipendente
il fisco
5.4. Agente dipendente e agente indipendente
12/2000 il fisco 3471
5.5. Nozione di stabile organizzazione nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia
Attualmente quasi tutte le Convenzioni stipulate
dall’Italia riportano il concetto indicato nello schema di Convenzione OCSE che definisce la stabile
organizzazione come sede fissa di affari in cui
l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività.
La definizione fornita dall’OCSE ha il pregio di
indicare - esemplificando - ciò che costituisce e ciò
che non costituisce stabile organizzazione.
La definizione OCSE può essere utilizzata come
riferimento, dall’operatore nazionale, al fine della
qualificazione di fattispecie concrete nei casi in
cui manchi la Convenzione contro la doppia imposizione tra l’Italia ed un altro Paese. Per converso,
in presenza di Convenzione, le disposizioni della
stessa entrano a far parte dell’ordinamento giuridico e divengono direttamente applicabili.
5.6. Imputazione di costi e ricavi alla stabile organizzazione
Ai sensi del paragrafo 2 dell’art. 7 del Modello
OCSE contro le doppie imposizioni, l’attribuzione
degli utili ad una stabile organizzazione per le
transazioni effettuate con la casa madre viene
effettuata in base al principio del dealing at arm’s
length (valore normale).
RFI - 53
3472 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
RFI - 54
il fisco
In base a tale principio possono essere attribuiti
alla stabile organizzazione gli utili che si ritiene
che la stabile organizzazione avrebbe prodotto se
avesse trattato con un soggetto indipendente
(impresa distinta e separata), in condizioni di libera concorrenza (condizioni e prezzi vigenti nel
mercato ordinario). Tale principio è esteso anche
all’attribuzione di utili che la stabile organizzazione può conseguire da transazioni con altre stabili
organizzazioni dell’impresa, con società consociate e loro stabili organizzazioni.
Il paragrafo 3 dello stesso art. 7 chiarisce che,
nel calcolare gli utili di una stabile organizzazione,
occorre considerare le spese ovunque sostenute
per gli scopi perseguiti dalla stabile organizzazione stessa, comprese le spese di direzione e le spese
generali di amministrazione.
L’ammontare delle spese potrà essere stimato
ovvero calcolato in modo convenzionale; ad esempio, nel caso di spese generali amministrative
sostenute dalla casa madre, potrà essere opportuno considerare una parte proporzionale del fatturato della stabile organizzazione (o degli utili lordi) rispetto a quelli dell’impresa nel suo complesso (57).
Nel prossimo numero tratteremo de “La costituzione di controllata all’estero di vendita e di produzione”.
(57) Per un commento delle posizioni espresse dall’Amministrazione finanziaria si rimanda a Garbarino, op. cit., pagg. 227
e seguenti.
Rassegna di fiscalità
internazionale
Rubrica n. 1/2000
Risposte a quesiti
CODICE
2000
TRIBUTARIO
X
edizione
Pasquale Marino
PIANO DELL’OPERA 2000
PRIMO VOLUME
❑ Testi normativi annotati
❑ Appendice di aggiornamento
❑ Indice cronologico e analitico
Accertamento
Agevolazioni tributarie
Anagrafe tributaria e codice fiscale
Bollo
Concessioni governative e regionali
Contenzioso tributario
Contratti di borsa
Delega Riforma Tributaria
ICI
INVIM
Ipotecaria e catastale
IRAP
IRPEF, IRPEG, ILOR
IVA
Pubblicità - Tosap - Tarsu
Registro
Riscossione
Successioni e donazioni
Violazioni tributarie
Codice civile - Bilancio e società
Indici
SECONDO VOLUME
2000
IN DUE VOLUMI
AGGIORNATI AL 5 FEBBRAIO 2000
formato compact cm 19 x 13 pagine 2.944
❑ Annotazioni e richiami articolo
per articolo di:
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VERSAMENTO CON ASSEGNO NT O SUL C/C POSTALE N. 61844007 INTESTATO A
ETI S.p.A. - VIALE MAZZINI, 25 - 00195 ROMA - TEL. 06/32.17.538 - 06/32.17.578 - FAX 06/32.17.808 - 06/32.17.466
LA SPEDIZIONE DEI DUE VOLUMI VERRÀ EFFETTUATA ENTRO APRILE 2000
Risposte a quesiti
12/2000 il fisco 3475
1 RISPOSTE A QUESITI
A partire da questo numero “RASSEGNA DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE” dedicherà una nuova
sezione ai quesiti dei Lettori.
Si invitano, pertanto, i Signori Lettori a formulare quesiti concernenti esclusivamente argomenti di carattere tributario internazionale.
La stesura dattiloscritta, possibilmente di un solo argomento, non deve superare una pagina.
Le richieste vanno indirizzate a “il fisco”, “Rassegna di fiscalità internazionale”, V.le Mazzini
25, 00195 Roma, esclusivamente per fax 06.32.17.808-06.32.17.466 o per lettera.
La Rivista si riserva di pubblicare solamente le risposte ai quesiti, ripetiamo, di natura esclusivamente tributaria e ritenuti di interesse generale. Dette soluzioni, pur elaborate con la massima cura possibile, non impegnano in alcun modo la Rivista.
1 Qual è il trattamento fiscale riservato al
compenso percepito da un lavoratore dipendente che presta attività all’stero?
il fisco
L’art. 3, comma 3, lettera c), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 sancisce l’esclusione da tassazione
dei redditi di lavoro dipendente realizzati da contribuenti residenti in Italia che prestano lavoro
all’estero “… in via continuativa e come oggetto
esclusivo del rapporto ”.
L’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 2 settembre 1997,
n. 314, ha disposto l’abrogazione del suddetto articolo, tuttavia prevedendo, al comma 2, che questa
disposizione abbia effetto a decorrere dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso alla data del
31 dicembre 2000.
A decorrere dal 1° gennaio 2001 [data in cui cesserà di avere effetto l’art. 3, comma 3, lettera c),
del D.P.R. n. 917/1986], i cittadini residenti in Italia saranno assoggettati a imposizione anche sui
redditi di lavoro dipendente “prestato all’estero in
via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto”.
Tali redditi saranno pertanto tassati in base al
“worldwide principle” e, ove esistenti, potranno
essere applicate, come per le altre categorie di reddito prodotte all’estero, le norme convenzionali.
È tuttavia il caso di precisare che le Convenzioni
stipulate dall’Italia non prevedono, di norma (a
meno che non si applichi la regola dei 183 giorni e
non si verifichino le condizioni ad essa connesse in
dipendenza delle quali il reddito è tassato soltanto
nel Paese di residenza), la tassazione esclusiva nel
paese della “fonte”, ma prevedono una tassazione
sia nello Stato estero che in Italia.
La doppia imposizione verrà pertanto eliminata (in alcuni casi soltanto attenuata) mediante il
meccanismo del credito d’imposta, in base al
quale le imposte pagate all’estero in via definitiva
possono essere “scomputate” dalle imposte dovute in Italia (1)
Applicando il meccanismo del credito d’imposta il Paese di residenza applica l’imposta su base
mondiale (redditi ovunque prodotti) e quindi su
tutti i redditi conseguiti dal contribuente, compresi quelli realizzati in Stati esteri. Provvede poi
a concedere una detrazione (credito d’imposta)
dalle imposte dovute secondo la legislazione
nazionale in relazione alle imposte pagate nel
Paese estero.
Se la detrazione concessa nel Paese di residenza
è pari all’intero ammontare delle imposte pagate
nel Paese estero si ha un “credito pieno”. Qualora,
invece, la detrazione sia limitata alla parte di imposte pagate nel Paese di residenza proporzionalmente corrispondente al reddito conseguito e tassato
all’estero, si ha un “credito d’imposta ordinario”.
L’art. 15 del D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, al
fine di attenuare l’impatto della nuova disciplina
prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n. 314/1997, prevede
l’attribuzione di un credito d’imposta ai datori di
lavoro italiani che inviano i propri dipendenti
all’estero. Tale credito d’imposta, concesso a
decorrere dal 1° gennaio 2001, è pari all’ammontare delle ritenute operate sui redditi di lavoro
prestato all’estero, non concorre alla formazione
del reddito imponibile, non ha effetto sul calcolo
proporzionale di deducibilità degli interessi passivi e può essere utilizzato in compensazione
secondo quanto stabilito dall’art. 17 del D.Lgs. 9
luglio 1997, n. 241.
(1) Al fine di evitare la doppia imposizione, infatti, il Modello
OCSE propone due metodi: “il metodo dell’esenzione” (art.
23A) e il “metodo del credito d’imposta” (art. 23B).
RFI - 57
3476 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
2 Nell’ambito delle CFC Legislation adottate
nel mondo ad oggi, generalmente al socio residente vengono attribuiti tutti i redditi della
società estera o solo alcuni?
il fisco
Il criterio di attribuzione del reddito varia in
ogni Stato che ha recepito il regime della CFC a
seconda che lo stesso abbia adottato l’approccio
cosiddetto locational (o designated income) o l’approccio cosiddetto transactional (o shopping).
L’approccio locational, adottato tra gli altri, da
Giappone, Francia e Regno Unito, prevede che i
redditi conseguiti dalle partecipate localizzate in
Paesi a regime fiscale privilegiato, siano tassati
nel Paese di residenza della partecipante a prescindere dalla tipologia di reddito conseguita. Ne
consegue che al socio residente in uno di questi
(1) L’approccio locational presenta, tuttavia, alcune eccezioni;
ad esempio, in Germania e in Spagna vengono generalmente
attribuiti i redditi di capitale.
3 Come viene risolto dalla nuova Convenzione tra Italia e Stati Uniti il problema del riconoscimento dell’Irap?
RFI - 58
il fisco
Con l’introduzione dell’Irap si era inevitabilmente posto il problema del riconoscimento della creditableness della stessa a fronte delle imposte
dovute negli Stati Uniti.
L’Irap, infatti, non può, in base ai principi della
normativa statunitense, essere qualificata come
imposta sul reddito in considerazione dei particolari criteri di determinazione della base imponibile. La prevista esclusione dalla base imponibile
Irap degli interessi passivi e del costo del lavoro
(non rientranti tra i componenti negativi) rappresenta, infatti, una divaricazione tra la base imponibile determinata ai fini delle imposte sul reddito e
quella determinata ai fini Irap.
La nuova Convenzione, firmata tra l’Italia e gli
Stati Uniti il 25 agosto 1999, ha risolto tale pro-
Paesi saranno attribuiti tutti gli utili prodotti all’estero (1).
L’approccio transactional al contrario assoggetta
a tassazione nel Paese di residenza della partecipante solo determinate categorie di reddito: le
cosiddette “tipologie di reddito passive”.
Rientrano in tali “tipologie di reddito passive” i
dividendi, gli interessi, le royalties, i canoni di locazione e i redditi ottenuti dalle società di assicurazione captive. Tale approccio, adottato da Stati Uniti e
Canada, prescinde dalla localizzazione della partecipata e non prevede né una definizione di paradiso
fiscale, né una lista di Paesi a fiscalità privilegiata.
blema qualificando l’Irap come imposta sul reddito, sia pure recante anomalie che hanno comportato rettifiche convenzionali della misura della accreditabilità. A seguito della nuova Convenzione, dunque, è riconosciuta la creditability dell’Irap non in misura integrale ma solo sulla parte
“virtuale” che sarebbe dovuta qualora non sussistesse l’indeducibilità delle suddette voci di
costo. Ne consegue che il credito di imposta sarà
riconosciuto solo per la parte di Irap pagata (o
maturata) rettificata con l’applicazione di un
coefficiente (1) che non potrà essere di segno
negativo.
(1) Il coefficiente di rettifica si determina riportando al
numeratore la base imponibile Irap effettiva al netto del costo
del lavoro e degli interessi passivi (non considerati ai fini della
determinazione della base imponibile stessa) e al denominatore
la base imponibile totale su cui si calcola l’Irap.
Rassegna di fiscalità
internazionale
Notiziario su fiscalità dei Paesi
A cura del Centro Studi (*) Ernst & Young con il coordinamento di Antonino
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(*) Ha collaborato Giulia Iacobone
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Notiziario su fiscalità dei Paesi
Un gruppo multinazionale che intenda costituire
una ROHQ nelle Filippine deve avere una disponibilità di almeno 200,000 dollari (o l’equivalente in
un’altra valuta) per coprire i costi operativi.
Gli incentivi concessi alle ROHQ prevedono,
inoltre, una speciale aliquota del 10 per cento sul
reddito, in luogo della normale aliquota delle
imposte sul reddito del 33 per cento (tale aliquota
sarà ridotta al 32 per cento nell’anno 2000).
Le ROHQ sono anche esentate da tutte le imposte locali, ad eccezione di quelle sulla proprietà
immobiliare e sugli impianti.
Una ROHQ è inoltre soggetta all’Iva del 10 per
cento.
Qualunque reddito prodotto da una ROHQ è
assoggettato all’imposta nella misura del 15 per
cento all’atto della distribuzione alla casa madre.
Incentivi fiscali e non fiscali sono garantiti ai
dipendenti espatriati della ROHQ.
Gli stranieri impiegati della ROHQ sono soggetti
ad una speciale aliquota d’imposta del 15 per cento sul reddito lordo ricevuto sotto forma di salari,
rendite annue, compensi (indennizzi).
1 Argentina
Le autorità fiscali argentine hanno introdotto,
con la “General Resolution” n. 702/99, regole
aggiuntive alla disciplina sul transfer pricing. Le
più importanti modifiche previste dal citato documento sono le seguenti:
- la dichiarazione relativa al transfer pricing
deve essere inoltrata alle autorità competenti;
- viene fornita una descrizione delle società
che devono presentare la dichiarazione ai fini del
transfer pricing;
- viene fornita una definizione di “zone a tassazione ridotta”;
- viene stabilita la documentazione che deve
essere preparata e conservata dal contribuente per
provare che sono state rispettate le leggi argentine
sul transfer pricing;
- sono stabiliti nuovi criteri per determinare
quando esiste una relazione economica tra le
società;
- viene definito un “best method” per determinare la correttezza del transfer pricing;
- sono stabiliti criteri di comparabilità.
2 Filippine
Il Congresso delle Filippine ha introdotto una
serie di agevolazioni fiscali, che hanno avuto effetto a partire dal 29 dicembre 1999, per le ROHQ.
Le ROHQ sono società operative, con sede nelle
Filippine, appartenenti a gruppi multinazionali ed
il cui reddito deriva dai servizi resi alle proprie
subsidiary, branch o società affiliate.
I servizi possono essere solo relativi a:
- amministrazione generale e pianificazione;
- ricerca di materie prime e componenti;
- consulenza finanziaria;
- marketing e promozione delle vendite;
- gestione del personale;
- ricerca e sviluppo;
- manutenzione;
- elaborazione dati e comunicazione.
Le ROHQ non possono, pertanto, intraprendere
altre attività, quali, ad esempio, promozione di
beni e servizi per conto della società madre, branch, affiliata, subsidiary o di qualunque altra
società.
3 Francia: Finanziaria per il 2000
il fisco
La data di scadenza della dichiarazione sul transfer pricing per le società che hanno chiuso l’esercizio sociale tra il 31 dicembre 1998 e il 30 settembre 1999 è fissata per il 7 marzo del 2000. Per gli
anni successivi la dichiarazione sul trasfer pricing
deve essere redatta insieme alla dichiarazione dei
redditi annuale.
12/2000 il fisco 3479
Il 31 dicembre 1999 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge Finanziaria francese per il
2000.
Si illustrano di seguito le principali novità.
- Iva. È stata introdotta la riduzione dell’aliquota Iva dal 20,6 per cento al 5,5 per cento per quanto riguarda le spese relative a lavori di ristrutturazione su abitazioni. Questa riduzione non potrà
essere applicata per le spese di costruzione o
acquisizione di attrezzature. Tale norma è in linea
con la Direttiva comunitaria adottata alla fine del
1999 che permette agli Stati membri di ridurre le
aliquote Iva in modo sperimentale per servizi specifici.
- Settore immobiliare e avviamento commerciale.
È stata introdotta una riduzione al 4,8 per cento
dell’imposta di registro per l’acquisizione di qualsiasi proprietà immobiliare e per l’avviamento
(quest’ultimo in precedenza era soggetto ad un’aliquota dell’11,4 per cento che rappresentava un
deterrente per le compravendite in Francia). Quindi, d’ora in poi, il 4,8 per cento rappresenterà l’aliquota standard per la tassazione dei trasferimenti
immobiliari, delle spese di avviamento, delle azioni e dei titoli di società immobiliari non quotate.
- Participation exemption (“régime des societés
mères et filiales”). La Finanziaria prevede un
aumento dal 2,5 per cento al 5 per cento della base
imponibile per i dividendi ricevuti da una casa
madre francese sotto il regime della participation
exemption. Quest’ultima sarà limitata al 95 per
RFI - 61
3480 il fisco 12/2000
Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
cento dei dividendi ricevuti, al lordo del credito
d’imposta (cosiddetto “avoir fiscal”). Si tratta di
una riduzione del beneficio concesso dalle norme
previgenti, in base alle quali i dividendi ricevuti da
una casa madre francese erano esenti da imposta
per il 97,5 per cento.
- Tax Credit. È prevista una riduzione dal 45 per
cento al 40 per cento del credito d’imposta relativo
ai dividendi distribuiti agli azionisti diversi da persone fisiche e da società che abbiano beneficiato
del regime della participation exemption. Tale riduzione avrà un impatto diretto sul rimborso del credito d’imposta relativo ai fondi pensione.
- Fusioni e conferimenti. È stato ridotto da 5 a 3
anni il periodo di detenzione delle azioni per usufruire della sospensione d’imposta (tassazione differita del capital gain) applicabile solo allo scambio di azioni.
- Tassazione delle società. L’aliquota di tassazione
delle società, che nel 1999 era del 40 per cento, è
divenuta pari al 37,76 per cento.
4.1. Imposte di successione e donazione
Per le successioni e donazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 1999 sono state introdotte nuove disposizioni.
Le soglie di esenzione sono state incrementate e
una singola aliquota del 20 per cento sostituisce le
aliquote esistenti.
4.2. Capital gains
Il Ministero delle finanze ha fissato un’unica aliquota pari al 20 per cento per tutti i capital gains.
5 Malesia
Il Ministro delle finanze della Malesia ha recentemente messo a punto due nuove proposte di legge: la legge Finanziaria per l’anno 2000 e la legge
sulle nuove modalità di accertamento del reddito.
5.1. Proposta di legge Finanziaria 2000
4 Irlanda
RFI - 62
il fisco
Il 1° dicembre 1999 il governo irlandese ha presentato la legge Finanziaria per il 2000.
Le proposte sono dirette a modificare radicalmente la tassazione delle persone fisiche in Irlanda
nei prossimi tre anni.
Altri articoli inclusi nella legge Finanziaria comprendono l’introduzione di un’aliquota del 12,5 per
cento per alcune imprese di dimensioni minori,
una riduzione delle ritenute d’acconto, variazioni
nelle imposte sulle successioni e donazioni e riduzioni di alcune aliquote sui capital gains.
Le aliquote delle imposte sui redditi saranno
ridotte, a partire dal 6 aprile 2000, rispettivamente
la più alta dal 46 per cento al 44 per cento e l’aliquota standard dal 24 per cento al 22 per cento.
Inoltre, come già previsto dalla legge Finanziaria
1999, l’aliquota standard d’imposta per il reddito
derivante da attività commerciale viene ridotta dal
28 per cento al 24 per cento.
A partire dal 1° gennaio 2000 l’imposta sui redditi non derivanti da attività commerciale (si qualificano come tali gli sconti, i redditi prodotti all’estero, gli interessi su titoli di Stato, le royalties passive, e i redditi derivanti da locazioni) è calcolata
con un’aliquota del 25 per cento. Inoltre, la stessa
aliquota del 25 per cento si applica al reddito derivante dalla lavorazione dei minerali, dalle attività
petrolifere e da alcune operazioni di sviluppo dei
terreni.
Sempre a partire dal 6 aprile 2000 la ritenuta sui
dividendi verrà ridotta dal 24 per cento al 22 per
cento, in linea con la riduzione dell’aliquota standard sul reddito delle società.
Per il secondo anno consecutivo l’obiettivo della
politica fiscale perseguito dalla legge Finanziaria è
il risanamento del deficit. Si illustrano di seguito i
principali temi affrontati:
- la necessità di attrarre investimenti di alta
qualità per migliorare la competitività;
- l’implementazione di misure atte a rafforzare il sistema bancario, i mercati dei capitali e il settore societario;
- la trasformazione del settore dei servizi in un
settore in forte crescita;
- lo sviluppo della capacità e della conoscenza
delle risorse umane del Paese.
I più importanti cambiamenti fiscali che potrebbero interessare gli investitori stranieri sono i
seguenti:
- riduzione dell’aliquota d’imposta sul reddito
dell’1 per cento, sia per le persone fisiche che per i
non residenti (riduzione dell’aliquota di tassazione
dal 30 per cento al 29 per cento);
- riduzione dell’imposta doganale di importazione sul cibo e su altri prodotti. Estensione dell’esenzione dall’imposta doganale di importazione e
dalla “sales tax” fino al 31 dicembre del 2000 sui
beni di consumo;
- riclassificazione della tassazione sugli
impianti e macchinari. Sono state infatti costruite
tre categorie di detrazione con tre tassi diversi;
- riduzione dell’imposta di bollo e deduzione
delle spese inerenti alla ristrutturazione del debito
aziendale;
- esenzione dal “Real Property capital gain” e
dall’imposta di bollo sulle operazioni finanziarie
Notiziario su fiscalità dei Paesi
eseguite tra il 31 ottobre 1999 e il 31 dicembre
2000 per la fusione delle società broker e sugli strumenti finanziari usati per il trasferimento di attività nel mercato delle obbligazioni (BOND);
- per le Venture Capital Companies (VCC)
esenzione dalla tassazione su tutte le fonti di reddito percepite nei primi 10 anni o per il corso della
loro durata;
- deduzione delle spese di Information Technology per i processi di ristrutturazione aziendale.
zione degli investimenti (Ley de Promoción y Protección de Inversiones - LPPI).
L’emanazione della LPPI risponde all’esigenza
del Governo venezuelano di riordinare compiutamente la disciplina degli investimenti di soggetti
residenti e non residenti, senza, però, derogare alle
disposizioni del Patto Andino.
Tra i principali argomenti affrontati dalla legge
in esame occorre menzionare:
- i contratti di stabilità giuridica;
- l’espropriazione degli investimenti stranieri;
- le dispute tra investitori esteri e Governo
venezuelano;
- la natura delle imposte statali e comunali;
- il rimpatrio degli investimenti effettuati da
soggetti non residenti.
In aggiunta alle suddette proposte è stata annunciata un’altra importante modifica per eliminare le
precedenti restrizioni sulla distribuzione dei dividendi. Infatti fino ad oggi si potevano distribuire
dividendi fino a concorrenza dell’utile netto relativo all’esercizio di competenza o fino a concorrenza
della media dei dividendi dichiarati negli ultimi
due anni.
5.2. Nuove modalità di accertamento del reddito
6 Messico
È stato recentemente firmato un nuovo accordo
per favorire le esportazioni europee di componenti
per l’industria automobilistica.
È infatti prevista una riduzione progressiva, nell’arco di un periodo di sette anni, sui dazi doganali, fino ad arrivare a tariffa zero nell’anno 2007.
In particolare l’accordo prevede che, a partire dal
2003, il 60 per cento dei beni industriali europei
viaggerà senza pagamento di dazi mentre il restante 40 per cento sarà assoggettato al pagamento di
un’imposta con aliquota pari al 5 per cento.
7 Venezuela
Il 22 ottobre 1999, è stato pubblicato in Gazzetta
Ufficiale il Decreto n. 356 del 3 ottobre 1999 recante disposizioni in materia di promozione e prote-
il fisco
La riforma fiscale attiene anche alla modalità e
ai tempi di presentazione della dichiarazione dei
redditi da parte delle società. Secondo le norme in
vigore fino ad oggi le società sono tenute a presentare le dichiarazioni dei redditi solitamente 30
giorni dopo la ricezione dell’avviso da parte della
Pubblica Amministrazione (IRB).
Secondo la nuova proposta, invece, la dichiarazione fornita dalla società sarà considerata come
una autovalutazione.
La responsabilità sarà a carico del contribuente
che dovrà predisporre la propria dichiarazione dei
redditi secondo il principio di ragionevolezza per
evitare, qualora la dichiarazione stessa risultasse
inesatta, multe che comportano anche la reclusione.
12/2000 il fisco 3481
I contratti di stabilità giuridica sono accordi di
lungo termine volti a tutelare gli investimenti effettuati da soggetti non residenti. Sono stipulati tra
investitori stranieri e determinati enti nazionali
per un periodo massimo di 10 anni e garantiscono
il mantenimento, per la durata dell’accordo, del
regime fiscale vigente al momento della stipulazione del contratto.
In tema di esproprio, occorre ricordare che la
Costituzione venezuelana riconosce allo Stato il
diritto di espropriare beni ed investimenti per
motivi di pubblica utilità, senza prevedere alcuna
forma di tutela per i proprietari.
La LPPI, invece, impone, in caso di espropriazione di investimenti di non residenti, che vengano
rispettate appropriate procedure e che l’indennità
di espropriazione sia equa, comprensiva degli interessi calcolati al tasso di mercato, e gratuitamente
convertibile in valuta straniera.
Per quanto attiene alla risoluzione delle dispute
tra investitori esteri e governo, la LPPI stabilisce
modalità differenti a seconda che l’investitore estero sia o meno residente in uno Stato che ha stipulato con il Venezuela un trattato per la promozione
degli investimenti.
In assenza di tali trattati, qualora non si giunga
ad un accordo per via diplomatica entro 12 mesi
dalla presentazione del reclamo da parte dell’investitore estero, il Governo venezuelano deve concordare, con lo Stato di residenza dell’investitore, la
nomina di un collegio arbitrale e la ripartizione
delle spese ad esso relative. La decisione del collegio è vincolante ed inappellabile.
Per gli investitori residenti in Paesi con i quali il
Venezuela ha stipulato trattati per la promozione
degli investimenti, la risoluzione della controversia
può essere demandata direttamente al collegio
arbitrale, senza dover precedentemente adire le vie
diplomatiche.
Relativamente alla natura delle imposte statali e
comunali, la LPPI richiede allo Stato e agli enti locaRFI - 63
3482 il fisco 12/2000
Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
li che le imposte gravanti sull’industria e sul commercio non abbiano carattere “confiscatorio” e non
siano di ostacolo alla crescita degli investimenti.
Infine, la LPPI riconosce agli investitori non
residenti il diritto di riportare nello Stato di residenza i capitali investiti ed i frutti da essi derivanti, nonché le royalties e le indennità percepite in
RFI - 64
Venezuela. Tuttavia, qualora l’esercizio di tale
diritto determini un disequilibrio nella bilancia
dei pagamenti o nelle riserve valutarie venezuelane, può essere limitato, nei modi e nei tempi previsti dalla legge e a condizione che non siano danneggiati gli interessi economici degli investitori
esteri.
Rassegna di fiscalità
internazionale
Panorama giurisprudenziale
A cura di Piergiorgio Valente e Franco Roccatagliata con la collaborazione del
Centro Studi Ernst & Young
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Panorama giurisprudenziale
12/2000 il fisco 3485
1 PANORAMA GIURISPRUDENZIALE
Sentenza della Corte (Sesta Sezione)
29 settembre 1999:
“Direttiva 69/335/CEE - Imposte
indirette sulla raccolta di capitali
- Onorari richiesti per la redazione
di un atto notarile che attesta
un aumento di capitale
nonché una modifica
della denominazione sociale
e della sede di una società
di capitali”
Causa C-56/98 tra Modelo sgps sa
e Director-Geral dos registos e
Notariado, Ministério pù blico
il fisco
...
1. Con ordinanza 21 gennaio 1998, pervenuta in
cancelleria il 24 febbraio seguente, il Supremo Tribunal Administrativo ha sottoposto a questa Corte,
ai sensi dell’art. 177 del Trattato CE (divenuto art.
234 CE), quattro questioni pregiudiziali vertenti
sull’interpretazione degli artt. 4, n. 3, 10 e 12, n. 1,
lettera e), della Direttiva del Consiglio 17 luglio
1969, 69/335/CEE, concernente le imposte indiret-
te sulla raccolta di capitali (GU L 249, pag. 25),
come modificata con Direttiva del Consiglio 10
giugno 1985, 85/303/CEE (GU L 156, pag. 23; in
prosieguo: la “Direttiva”).
2. Tali questioni sono state sollevate nell’ambito
di una controversia tra la Modelo SGPS SA (in
prosieguo: la “Modelo”) ed il Director-Geral dos
Registos e Notariado in merito al pagamento degli
onorari notarili richiesti per la redazione di atti
RFI - 67
3486 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
pubblici che attestano l’aumento del capitale
sociale nonché la modifica della denominazione
sociale e della sede della Modelo.
dall’imposta sui conferimenti ai quali, in deroga
all’art. 10, possono essere sottoposte le società di
capitali in occasione delle operazioni contemplate
da quest’ultimo articolo (vd. Sentenza 2 febbraio
1988, Causa 36/86, Dansk Sparinvest, “Racc.”, pag.
409, punto 9). L’art. 12 della Direttiva cita, al suo
n. 1, lettera e), i “diritti di carattere remunerativo”.
La normativa comunitaria
3. Come si evince dal suo preambolo, la Direttiva
ha inteso promuovere la libertà di circolazione dei
capitali, considerata essenziale alla creazione di
un’unione economica che abbia caratteristiche
analoghe a quelle di un mercato interno. Il perseguimento di tale obiettivo presuppone, per quanto
riguarda la tassazione della raccolta di capitali, la
soppressione delle imposte fino ad allora in vigore
negli Stati membri e l’applicazione, in luogo di
esse, di un’imposta riscossa una sola volta nel mercato comune e di pari livello in tutti gli Stati membri (Sentenza 2 dicembre 1997, Causa C-188/95,
Fantask e a., “Racc.”, pag. I-6783, punto 13).
4. L’art. 4, n. 1, della Direttiva dispone che:
La normativa nazionale
“Sono sottoposte all’imposta sui conferimenti le
operazioni seguenti:
a) la costituzione di una società di capitali;
b) ...;
c) l’aumento del capitale sociale di una società
di capitali mediante conferimento di beni di qualsiasi natura; ...”
“Oltre all’imposta sui conferimenti, gli Stati
membri non applicano, per quanto concerne le
società, associazioni o persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, nessuna altra imposizione,
sotto qualsiasi forma:
a) per le operazioni previste all’art. 4;
b) per i conferimenti, prestiti o prestazioni, effettuati nel quadro delle operazioni previste all’art. 4;
c) per l’immatricolazione o per qualsiasi altra
formalità preliminare all’esercizio di un’attività,
alla quale una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica”.
8. L’art. 12, n. 1, della Direttiva stabilisce un
elenco tassativo delle imposte e dei diritti diversi
RFI - 68
il fisco
5. In forza dell’art. 4, n. 3, della Direttiva, non si
considera costituzione di società ai sensi del n. 1,
lettera a), qualsiasi modifica dell’atto costitutivo o
dello statuto di una società di capitali.
6. L’art. 4, n. 2, della Direttiva elenca le diverse
operazioni che gli Stati membri possono, a determinate condizioni, sottoporre all’imposta sui conferimenti.
7. La Direttiva prescrive anche, conformemente
all’ultimo “considerando”, la soppressione di altre
imposte indirette aventi le stesse caratteristiche
dell’imposta sui conferimenti. Tali tributi, di cui è
vietata la riscossione, sono in particolare elencati
nell’art. 10 della Direttiva, ai sensi del quale:
8. Il codice portoghese del notariato, emanato
con D.L. 31 marzo 1967, n. 47619, prevede che
alcuni negozi debbano formare oggetto di atti pubblici, vale a dire devono essere attestati in un documento redatto da un notaio. Tra tali negozi figurano gli “atti di costituzione, modifica, scioglimento e
semplice liquidazione delle società commerciali ...
come anche gli atti di modifica dei contratti di
società” [art. 89, lettera e), del codice del notariato).
9. L’importo degli onorari dovuti per la redazione di atti notarili è fissato dalla tariffa degli onorari notarili (in prosieguo: la “tariffa”), nella sua versione risultante dall’allegato al D.L. 2 novembre
1983, n. 397/83.
10. L’art. 1, n. 1, della tariffa prevede che il valore degli atti notarili è, in generale, pari a quello dei
beni che ne costituiscono l’oggetto. L’art. 2, n. 2,
della tariffa precisa il valore di ogni tipo di atto
notarile: tale valore equivale, per gli atti di costituzione di società, di modifica del contratto di
società o di scioglimento di società, all’importo del
capitale [art. 1, n. 2, lettera e)], per gli aumenti di
capitale, con o senza modifica del contratto di
società, all’importo dell’aumento [art. 1, n. 2, lettera f)] e, per gli aumenti di capitale accompagnati
da una modifica parziale di clausole diverse da
quelle direttamente interessate dall’aumento,
all’importo dell’aumento o quello del capitale
modificato, a seconda di quale comporti gli onorari più elevati [art. 1, n. 2, lettera g)].
11. Ai sensi dell’art. 5 della tariffa, se il negozio
che è stato oggetto dell’atto pubblico ha un valore
determinato, si devono aggiungere agli onorari fissi,
previsti all’art. 4 della tariffa, degli onorari variabili,
il cui importo, calcolato sul valore totale dell’atto, è,
per ogni taglio da 1.000 ESC, di 10 ESC fino a
200.000 ESC, di 5 ESC tra 200.000 e 1.000.000 ESC,
di 4 ESC tra 1.000.000 e 10.000.000 ESC e di 3 ESC
per importi superiori a 10.000.000 ESC.
12. L’art. 27, n. 1, lettera c), della tariffa prevede
una riduzione della metà degli onorari previsti
all’art. 5 per gli atti di modifica parziale del contratto
di società, di proroga o continuazione della società.
La causa principale
14. La Modelo decideva di aumentare il proprio
capitale sociale da 7.240.000.000 ESC a
Panorama giurisprudenziale
14.000.000.000 ESC, nonché di modificare la propria denominazione sociale e la propria sede. Il 31
dicembre 1992 essa faceva redigere, a tale scopo,
alcuni atti pubblici presso lo studio notarile n. 6 della città di Oporto. A tale titolo, essa veniva invitata a
pagare onorari per un importo di 21.006.000 ESC.
15. La Modelo impugnava la liquidazione degli
onorari dinanzi al Tribunal Tributário de Primeira
Instância do Porto, il quale rigettava il ricorso.
Essa ricorreva quindi al Supremo Tribunal Administrativo, facendo valere che gli onorari contestati sono in realtà imposte il cui ammontare, per
tale motivo, deve essere determinato dal Parlamento e non dal Governo, che l’importo richiesto
è sproporzionato rispetto ai servizi forniti e che la
riscossione degli onorari è incompatibile con la
Direttiva.
16. Interrogandosi circa la conformità della
tariffa alla Direttiva, il Supremo Tribunal Administrativo decideva di sospendere il procedimento e
sottoporre alla Corte le questioni pregiudiziali
seguenti:
Sulle questioni pregiudiziali
17. Con tali questioni il giudice a quo domanda
sostanzialmente, in primo luogo, se il pagamento
degli onorari notarili possa essere considerato
come un’imposta ai sensi della Direttiva. In caso di
soluzione affermativa, il giudice a quo chiede di
sapere se gli onorari notarili siano colpiti dal divieto previsto all’art. 10 della Direttiva o se si tratti di
un diritto avente carattere remunerativo ai sensi
dell’art. 12, n. 1, lettera e), della Direttiva. Infine, il
giudice a quo domanda se l’art. 10 della Direttiva
generi diritti di cui i singoli possono avvalersi
dinanzi ai giudici nazionali.
Sulla qualifica d’imposta ai sensi della Direttiva
il fisco
“1) Se l’art. 10 della Direttiva del Consiglio
69/335/CEE possa essere invocato da un singolo
nei suoi rapporti con lo Stato, anche se questo non
abbia trasposto la stessa Direttiva nel proprio ordinamento giuridico nazionale.
2) Se le operazioni di cui all’art. 4, n. 3, della
Direttiva 69/335/CEE debbano considerarsi colpite
dal divieto sancito dall’art. 10 della stessa, sicché
sia vietata la riscossione, con riferimento ad esse,
non solo dell’imposta sul conferimento di capitali,
ma pure qualunque altra imposta di qualsiasi
natura.
3) Se le disposizioni di cui agli artt. 10 e 12, n.
1, lettera e) della Direttiva 69/335/CEE debbano
essere interpretate nel senso che vietano che gli
onorari dovuti al notaio per la redazione in forma
di atto pubblico (prescritto per legge) delle deliberazioni di aumento di capitale o recanti modifiche
statutarie possano variare in funzione, rispettivamente, dell’importo dell’aumento e dell’entità del
capitale e non in funzione del costo del servizio
prestato.
4) Se, nell’ipotesi di soluzione affermativa, sia
ammissibile, in considerazione degli artt. 10 e 12,
n. 1, lettera e), della Direttiva 69/335/CEE, che
l’importo di detti onorari ecceda manifestamente e
illogicamente il costo effettivo del servizio specifico prestato”.
12/2000 il fisco 3487
18. Da una risposta del Governo portoghese ai
quesiti posti dalla Corte si evince che in Portogallo, da un lato, i notai sono dipendenti statali soggetti agli stessi diritti e doveri degli altri impiegati
pubblici e, dall’altro, la loro remunerazione è
costituita da una parte fissa, determinata in base
agli stessi criteri applicati a tutti gli altri dipendenti statali, e da una parte variabile, rappresentata da
una partecipazione agli onorari riscossi.
19. I notai compilano un riepilogo mensile degli
onorari percepiti. Dal totale così ottenuto vengono
detratte alcune somme, calcolate in base a determinate percentuali, che spettano al notaio ed ai
suoi dipendenti. Il resto è versato alla Cofre dos
Conservadores, Notários e Funcionários de Justiça
(Cassa dei conservatori, notai ed agenti di giustizia, in prosieguo: la “Cassa”).
20. Secondo il Governo portoghese, la Cassa
finanzia il pagamento della parte fissa del salario
dei notai e degli altri funzionari, le spese relative
alla formazione professionale dei notai, le spese
d’acquisto di locali e mobilio necessari per l’insediamento dei notai nonché, previa autorizzazione
del Ministero della Giustizia, altre spese in ambito
giudiziario.
21. Da ciò discende che una parte degli onorari
controversi nella causa principale, dovuti in applicazione di una norma giuridica stabilita dallo Stato, è versata dai privati allo Stato per finanziarne
alcune funzioni.
22. Considerati gli obiettivi perseguiti dalla
Direttiva, specie la soppressione delle imposte
indirette che presentano le stesse caratteristiche
dell’imposta sui conferimenti, occorre qualificare
come imposte, ai sensi della Direttiva, gli onorari
notarili riscossi per un’operazione rientrante nella
Direttiva, compiuta da dipendenti statali, ed in
parte versati allo Stato per finanziare spese pubbliche.
23. Da ciò che precede discende che la Direttiva
deve essere interpretata nel senso che gli onorari
riscossi per la redazione di un atto notarile che
attesta un’operazione prevista dalla Direttiva, in
una situazione caratterizzata dal fatto che i notai
sono dipendenti statali e che gli onorari sono in
parte versati allo Stato per finanziare talune funzioni di quest’ultimo, costituiscono un’imposta ai
sensi della Direttiva.
RFI - 69
3488 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
Sul divieto previsto all’art. 10 della Direttiva
RFI - 70
il fisco
24. Ai sensi dell’art. 10, lettera c), della Direttiva,
oltre all’imposta sui conferimenti, sono vietate le
imposte sulla registrazione o su qualsiasi altra formalità preliminare all’esercizio di un’attività alla
quale una società può essere sottoposta in ragione
della sua forma giuridica. Questo divieto è giustificato dal fatto che, anche se i tributi di cui trattasi
non colpiscono i conferimenti di capitali in quanto
tali, essi sono tuttavia riscossi per le formalità connesse alla forma giuridica della società, vale a dire
a motivo dello strumento usato per raccogliere
capitali, per cui il loro mantenimento rischierebbe
di mettere in discussione anche gli scopi perseguiti
dalla Direttiva (Sentenza 11 giugno 1996, Causa C2/94, Denkavit International e a., “Racc.”, pag. I2827, punto 23).
25. Tale divieto riguarda non solo i diritti versati
in occasione dell’iscrizione delle nuove società, ma
anche i diritti dovuti per l’iscrizione degli aumenti
di capitale effettuati da tali società nel caso siano
anch’essi riscossi in ragione di una formalità
essenziale connessa alla forma giuridica delle
società di cui trattasi. Pur non costituendo formalmente una procedura preliminare all’esercizio dell’attività delle società di capitali, l’iscrizione degli
aumenti di capitale è tuttavia condizione per l’esercizio e la prosecuzione di tale attività (Sentenza
Fantask e a., già citata, punto 22).
26. Dovendo l’aumento del capitale sociale di una
società di capitali, nell’ordinamento portoghese,
formare necessariamente l’oggetto di un atto notarile, si deve constatare che tale atto costituisce una
formalità essenziale connessa alla forma giuridica
della società e che esso è condizione per l’esercizio
e la prosecuzione dell’attività di quest’ultima.
27. Inoltre, un’imposta riscossa sotto forma di
onorari per la redazione di atti notarili che attestano la modifica della denominazione sociale e della
sede di una società di capitali deve essere considerata come avente le stesse caratteristiche dell’imposta sui conferimenti, in quanto venga calcolata
sulla base del capitale sociale della società. Infatti,
se fosse altrimenti, gli Stati membri, pur astenendosi dal tassare le raccolte di capitali in quanto
tali, potrebbero colpire gli stessi capitali in occasione di una modifica dello statuto di una società
di capitali. L’obiettivo perseguito dalla Direttiva
potrebbe così essere aggirato.
28. Ne consegue che occorre risolvere la questione nel senso che gli onorari riscossi per la redazione di atti notarili che attestano l’aumento del capitale nonché la modifica della denominazione
sociale e della sede di una società di capitali sono,
qualora costituiscano un’imposta ai sensi della
Direttiva, vietati in linea di principio in forza dell’art. 10, lettera c), della Direttiva.
Sulla deroga prevista dall’art. 12, n. 1, lettera
e), della Direttiva
29. Si deve a tale riguardo rilevare che la distinzione tra i tributi vietati ai sensi dell’art. 10 della
Direttiva e i diritti a carattere remunerativo implica che questi ultimi comprendano soltanto le
remunerazioni la cui entità sia calcolata in base al
costo del servizio reso. Una remunerazione la cui
entità sia priva di qualunque nesso con il costo del
servizio concretamente reso ovvero sia calcolata in
funzione non del costo dell’operazione di cui essa
costituisce il corrispettivo, bensì dell’insieme dei
costi di gestione e di investimento del servizio
incaricato della detta operazione dev’essere considerata come un tributo che può solo ricadere sotto
il divieto di cui all’art. 10 della Direttiva (vd. Sentenza 20 aprile 1993, Cause riunite C-71/91 e C178/91, Ponente Carni, “Racc.”, pag. I-1915, punti
41 e 42).
30. Si deve del pari rilevare che un diritto il cui
importo aumenta direttamente e senza limiti in
proporzione al capitale nominale sottoscritto non
può, di per sé, costituire un’imposta a carattere
remunerativo ai sensi della Direttiva. Infatti, pur
potendo esistere, in determinati casi, un nesso tra
la complessità del servizio reso e l’entità dei capitali sottoscritti, l’importo di tale imposta sarà
generalmente privo di correlazione con le spese
concretamente affrontate dall’amministrazione
che ha prestato il servizio (vd. in tal senso la Sentenza Fantask, citata, punto 31).
31. Nel caso di specie, sebbene l’imposta sia
riscossa secondo un tariffario regressivo, l’entità
dell’imposta aumenta comunque direttamente in
proporzione del capitale nominale sottoscritto.
Inoltre, considerato che, al di sopra di 10.000.000
ESC, i diritti riscossi sono pari al tasso non trascurabile dello 0,3 per cento, senza la previsione di
alcun limite, gli onorari possono raggiungere un
importo rilevante.
32. In tali circostanze occorre risolvere la questione nel senso che un diritto riscosso per la redazione di un atto notarile che attesta l’aumento del
capitale sociale nonché la modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali, come gli onorari di cui alla causa principale, il
cui importo aumenta direttamente e senza limiti
in proporzione al capitale sociale sottoscritto non
ha carattere remunerativo ai sensi dell’art. 12, n. 1,
lettera e), della Direttiva.
Sull’effetto diretto dell’art. 10 della Direttiva
33. Occorre ricordare che, secondo una costante
giurisprudenza, in tutti i casi in cui talune disposizioni di una Direttiva appaiano, sotto il profilo sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i sin-
Panorama giurisprudenziale
il fisco
goli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali
nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia
recepito tempestivamente la Direttiva nel diritto
nazionale, sia che l’abbia recepita in modo inadeguato (vd., in particolare, Sentenza 23 febbraio 1994,
Causa C-236/92, Comitato di coordinamento per la
difesa della cava e a., “Racc.”, pag. I-483, punto 8).
34. Sotto questo profilo, come la Corte ha già avuto occasione di rilevare, il divieto sancito dall’art. 10
della Direttiva è formulato in modo sufficientemente preciso e incondizionato da poter essere invocato
dai singoli davanti ai giudici nazionali contro una
disposizione di diritto nazionale in contrasto con la
detta Direttiva (Sentenza 5 marzo 1998, Causa C347/96, Solred, “Racc.”, pag. I-937, punto 29).
35. Si deve pertanto risolvere la questione nel senso
che l’art. 10 della Direttiva attribuisce ai singoli diritti
di cui possono avvalersi dinanzi ai giudici nazionali.
Sulle spese
36. Le spese sostenute dai Governi portoghese,
belga, tedesco, spagnolo, francese ed austriaco,
nonché dalla Commissione, che hanno presentato
osservazioni alla Corte, non possono dare luogo a
rifusione. Nei confronti delle parti nella causa
principale il presente procedimento costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale,
cui spetta quindi statuire sulle spese.
P.Q.M.
la Corte, pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Supremo Tribunal Administrativo, con
ordinanza 21 gennaio 1998, dichiara:
12/2000 il fisco 3489
1) La Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969,
69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla
raccolta di capitali, come modificata dalla Direttiva del Consiglio 10 giugno 1985, 85/303/CEE, deve
essere interpretata nel senso che gli onorari riscossi per la redazione di un atto notarile che attesta
un’operazione prevista dalla Direttiva, in una
situazione caratterizzata dal fatto che i notai sono
dipendenti statali e che gli onorari sono in parte
versati allo Stato per finanziare talune funzioni di
quest’ultimo, costituiscono un’imposta ai sensi
della Direttiva.
2) Gli onorari dovuti per la redazione di un atto
notarile che attesta l’aumento del capitale nonché
la modifica della denominazione sociale e della
sede di una società di capitali sono, qualora costituiscano un’imposta ai sensi della Direttiva
69/335, come modificata dalla Direttiva 85/303,
vietati in linea di principio in forza dell’art. 10, lettera c), della stessa Direttiva.
3) Un diritto riscosso per la redazione di un atto
notarile che attesta l’aumento del capitale sociale
nonché la modifica della denominazione sociale e
della sede di una società di capitali, come gli onorari di cui alla causa principale, il cui importo
aumenta direttamente e senza limiti in proporzione al capitale sociale sottoscritto, non ha carattere
remunerativo ai sensi dell’art. 12, n. 1, lettera e),
della Direttiva 69/335, come modificata dalla
Direttiva 85/303.
4) L’art. 10 della Direttiva n. 69/335, come modificata dalla Direttiva n. 85/303, attribuisce ai singoli diritti di cui possono avvalersi dinanzi ai giudici nazionali.
Commento (*)
Le parcelle notarili hanno natura impositiva?
il fisco
Oggetto della causa è stato il ricorso di una
società portoghese - la Modelo SGPS SA - avverso la liquidazione degli oneri notarili relativi
all’atto pubblico con il quale la stessa aveva provveduto ad aumentare il proprio capitale sociale e
a modificare il proprio nome e la propria sede
sociale.
Secondo il codice portoghese del notariato (1),
infatti, determinati negozi devono essere attestati
in un documento redatto da un notaio. Tra tali atti
figurano gli “atti di costituzione, modifica, scioglimento e semplice liquidazione delle società commerciali …. come anche gli atti di modifica dei
contratti di società”(2).
La SGPS ha sostenuto che gli onorari richiesti
fossero in realtà delle imposte il cui ammontare
dovesse essere determinato dal Parlamento e non
dal Governo e che la loro riscossione fosse incompatibile con la Direttiva n. 69/335/CEE concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali.
La questione è stata portata dalla società
davanti al Supremo Tribunal Administrativo, il
quale ha ritenuto di sospendere il procedimento
(*) Ha collaborato di Maria Giuseppina Valente, Dottore
commercialista in Roma.
(1) D.L. 31 marzo 1967, n. 47619.
(2) Art. 89, lettera e), del Codice del Notariato.
RFI - 71
3490 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
- se il pagamento degli oneri notarili possa
essere considerato come un’imposta ai sensi della
Direttiva n. 69/335/CEE e, in caso di risposta affermativa, se tali onorari rientrino nel divieto previsto dall’art. 10 della Direttiva ovvero se possano
considerarsi quali “diritti di carattere remunerativo” e pertanto ammessi ai sensi dell’art. 12, n. 1,
lettera e), della Direttiva;
- se le disposizioni contenute nell’art. 10 della
Direttiva n. 69/335/CEE generino diritti di cui i
singoli possano avvalersi direttamente davanti ai
giudici nazionali.
La Direttiva n. 69/335/CEE
(3) Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 335 pubblicata in
GUCE L 249/25 del 3 ottobre 1969, successivamente modificata
ed integrata da: Direttiva 9 aprile 1973, n. 79 pubblicata in
GUCE L 103/13 del 18 aprile 1973, Direttiva 9 aprile 1973, n. 80
pubblicata in GUCE L 103/15 del 18 aprile 1973, Direttiva 7
novembre 1974, n. 553 pubblicata in GUCE L 303/9 del 13
novembre 1974 e Direttiva 10 giugno 1985 n. 303 pubblicata in
GUCE L 156/23 del 15 giugno 1985.
il fisco
La Direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 17 luglio 1969, n. 335 (3), concernente le
imposte indirette sulla raccolta di capitali, mira
“ad armonizzare gli elementi che contribuiscono
alla fissazione e alla riscossione dell’imposta gravante sui conferimenti di capitali in società nella
Comunità, nel contesto dell’eliminazione degli
ostacoli fiscali che si frappongono alla libera circolazione dei capitali” (4).
Il legislatore comunitario, motivato dall’esigenza
di eliminare le disparità che ostacolano la libera
circolazione di capitali, è intervenuto con la Direttiva in esame prevedendo una disciplina unitaria
per una serie di operazioni, che sono funzionali
alla raccolta di capitali da parte delle società di
capitali.
Il risultato è stato quello della creazione di una
“imposta sui conferimenti”, che si sarebbe dovuta
sostituire ad ogni altra imposta esistente nei Singoli stati membri, ai quali doveva essere preclusa
l’applicazione di altre forme di imposizione diverse da quella disciplinata a livello comunitario, fatte
salve poche deroghe espressamente consentite dalla Direttiva stessa (5).
La Direttiva si applica dunque ai “conferimenti
alle società di capitali”, che il movimento di capitali o di beni sia la principale caratteristica delle
operazioni soggette all’imposta sui conferimenti è
confermato dall’art. 4, paragrafo (6): per evitare
una doppia imposizione, questa disposizione
esclude dalla nozione di “costituzione” talune operazioni che, sebbene importanti nell’esistenza giuridica di una società di capitali, non determinano
movimenti di capitali.
L’art. 10 della Direttiva, inteso alla luce del suo
ultimo “considerando” (7), vieta al di fuori dell’imposta sui conferimenti, le imposte indirette aventi
le stesse caratteristiche di tale imposta. Si tratta,
fra l’altro, dei tributi che, sotto qualsiasi forma,
sono dovuti per la costituzione di una società di
capitali e l’aumento del suo capitale, ovvero per la
sua registrazione o per qualsiasi formalità preliminare all’esercizio di un’attività alla quale una
società può essere sottoposta in ragione della sua
forma giuridica. Quest’ultimo divieto è giustificato
dal fatto che, anche se i tributi di cui trattasi non
colpiscono i conferimenti di capitali in quanto tali,
essi sono tuttavia riscossi per le formalità connesse
alla forma giuridica della società, vale a dire a
motivo dello strumento usato per raccogliere capitali, per cui il loro mantenimento rischierebbe di
mettere in discussione anche gli scopi perseguiti
dalla Direttiva (8).
Qualche eccezione al principio di esclusività dell’imposta sui conferimenti è prevista all’art. 12,
paragrafo 1, della Direttiva, ai sensi del quale gli
Stati membri possono applicare, fra l’altro, diritti
aventi carattere remunerativo, ovvero diritti che
comprendano soltanto le remunerazioni, riscosse
all’atto della registrazione o annualmente, la cui
entità sia calcolata in base al costo del servizio
reso (9).
(6) Art. 4, paragrafo 3: “Non si considera costituzione di
società ai sensi del paragrafo 1, lettera a), qualsiasi modifica
dell’atto costitutivo o dello statuto di una società di capitali e in
particolare: a) la trasformazione di una società di capitali in
una società di capitali di tipo diverso; b) il trasferimento da uno
Stato membro in un altro Stato membro della sede della direzione effettiva o della sede statutaria di una società, associazione o persona giuridica che è considerata, per l’applicazione dell’imposta sui conferimenti, come società di capitali in ciascuno
di detti Stati membri; c) la modifica dell’oggetto sociale di una
società di capitali; d) la proroga di una società di capitali”.
(7) Il preambolo alla Direttiva n. 69/335/CEE prevede: “… considerando che il mantenimento di altre imposte indirette aventi
le stesse caratteristiche dell’imposta sui conferimenti e dell’imposta di bollo sui titoli rischia di rimettere in questione le finalità perseguite dai provvedimenti previste dalla presente Direttiva e che è pertanto necessario sopprimere tali imposizioni ...”.
(4) Corte di Giustizia CEE, Sentenza 5 marzo 1998, Causa C347/96, Solred/Administracion General del Estado, punto 3.
(8) Sentenze 5 marzo 1998, Causa C-347/96, Solered, punto
21; 11 giugno 1996, Causa C-2/94, Denkavit International, punto
23; 2 dicembre 1997, Causa C-188/95, Fantask, punto 21 e conclusioni dell’Avvocato Generale Jacobs, punto 44, nella Causa
Denkavit (C-294).
(5) Carmini-Mainardi, Elementi di diritto tributario comunitario, 1996, Padova, pag. 226.
(9) Sentenza 20 aprile 1993, procedimenti riuniti C-71/91 e C178/91, Ponente Carni e a., punto 41.
RFI - 72
Panorama giurisprudenziale
La Sentenza della Corte
La Corte, rispondendo ai quesiti posti dal Supremo Tribunal Administrativo, ha affermato che:
- gli onorari riscossi per la redazione di un
atto notarile che attesta l’aumento del capitale
nonché la modifica della denominazione sociale e
della sede di una società di capitali costituiscono
un’imposta ai sensi della Direttiva;
- che i suddetti onorari, qualora costituiscano
un’imposta ai sensi della Direttiva, sono in linea di
principio, vietati in forza dell’art. 10, lettera c), della stessa.
(10) Cfr. nota 17.
(11) Cfr. nota 18.
(12) Punto 18 della Sentenza.
(13) In base alla tariffa che disciplina la misura degli emolumenti notarili, contenuta nell’Allegato al D.L. 2 novembre 1983,
n. 397, il valore degli atti notarili è, in via generale, pari a quel-
il fisco
A tale conclusione la Corte è pervenuta analizzando la natura degli oneri in oggetto in relazione
alla normativa portoghese che disciplina la funzione notarile (10).
Sulla base dell’indagine fatta dalla Corte, è emerso
in primo luogo che tra gli atti che devono essere
redatti in forma pubblica, ovvero attestati in un
documento redatto da un notaio, rientrano “gli atti di
costituzione, modifica, scioglimento e semplice liquidazione delle società commerciali … come anche gli
atti di modifica dei contratti di società” (11).
Da quanto esposto dal Governo, i notai portoghesi esercitano le loro funzioni nell’ambito di un
servizio pubblico, essendo funzionari dello Stato.
Essi sono tuttavia personalmente responsabili
degli atti da essi redatti e sono tenuti ad indennizzare i soggetti che abbiano subito un danno derivante dal loro comportamento (12).
La remunerazione del notaio comprende una
parte fissa ed una variabile. La parte fissa è determinata secondo i criteri applicabili a tutti i funzionari pubblici. Quella variabile è fissata in misura
percentuale degli onorari percepiti per i loro atti.
Infatti, ogni mese i notai compilano un riepilogo
mensile degli emolumenti percepiti e gli stessi trattengono delle somme, calcolate in base a determinate percentuali, che spettano al notaio e ai suoi
dipendenti. La parte restante è versata alla Cofre
dos Conservadores, Notários e Funcionários de
Justiça (Cassa dei conservatori, notai ed agenti di
giustizia), la quale finanzia il pagamento della parte fissa del salario dei notai e degli altri funzionari,
le spese relative alla loro formazione professionale
e le altre le spese necessarie per lo svolgimento
dell’attività (13).
12/2000 il fisco 3491
L’avere analizzato la natura, secondo il diritto
interno, degli oneri notarili in oggetto, non è
però sufficiente a risolvere la questione relativa
alla loro compatibilità con la Direttiva; occorre
infatti che la qualificazione di un’imposta, tassa,
dazio o prelievo venga compiuta sulla scorta delle caratteristiche oggettive dell’imposta, indipendentemente dalla qualificazione che le viene attribuita nel diritto nazionale (14) e, soprattutto, alla
luce delle disposizioni contenute nella Direttiva.
Secondo quanto previsto da quest’ultima, occorre in primo luogo distinguere tra le imposte sui
conferimenti di cui agli artt. 2-9 e quelle imposte
aventi le stesse caratteristiche dalle imposte sui
conferimenti, previste dall’art. 10 (15) e in linea di
principio vietate.
In particolare, i tributi contemplati alla lettera c)
dell’art. 10, anche se non colpiscono gli apporti di
capitale in quanto tali, sono riscossi in ragione delle formalità connesse alla forma giuridica della
società, vale a dire a motivo dello strumento usato
per la raccolta di capitali, per cui il loro mantenimento rischierebbe di mettere in discussione
anche gli scopi perseguiti dalla Direttiva (16).
Alla luce delle considerazioni svolte, gli “onorari
dovuti per la redazione di un atto notarile” rientrano nel divieto stabilito dalla Direttiva all’art. 10,
lettera c). Infatti, pur non costituendo formalmente una procedura preliminare all’esercizio dell’attività delle società di capitali, l’iscrizione degli
aumenti di capitale è tuttavia condizione per l’esercizio e la prosecuzione della stessa (17).
lo dei beni che ne costituiscono l’oggetto. Nel caso specifico, in
cui si è provveduto ad aumentare il capitale della società, il
valore sarebbe costituito dall’importo dell’aumento. Secondo
quanto è previsto dalla tariffa degli oneri notarili, occorre
aggiungere agli onorari fissi degli onorari variabili, il cui
importo viene calcolato sul valore dell’atto come sopra definito,
in misura percentuale del valore del capitale.
(14) Sentenza 13 febbraio 1996, procedimenti riuniti C-197 e
C-252, Societé Bautiaa e a., punto 39; ma anche Sentenza 27
ottobre 1998, Causa C-4/97, Nonwoven, punto 19.
(15) Ai sensi dell’art. 10 della Direttiva “oltre all’imposta sui
conferimenti, gli Stati membri non applicano, per quanto concerne la società, associazioni o persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, nessuna altra imposizione, sotto qualsiasi forma: a) per le operazioni previste all’art. 4; b) per i conferimenti,
prestiti o prestazioni, effettuati nel quadro delle operazioni previste all’art. 4; c) per l’immatricolazione o per qualsiasi altra formalità preliminare all’esercizio di un’attività, alla quale una
società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di
lucro può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica”.
(16) Conclusioni dell’Avvocato Jacobs punto 44 nella Causa
C-294, Denkavit e a. e nella Sentenza della Corte dell’11 giugno,
punto 23. Allo stesso modo si era espressa la Corte nella Sentenza 2 dicembre 1997, Causa C-188/95, Fantask e a., punto 21
e in quella del 5 marzo 1998, Causa C-347/96, Solered, punto 21.
(17) Sentenza Solered, punto 21.
RFI - 73
3492 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
(18) Sentenza Fantask, punto 22.
(19) La remunerazione così corrisposta al notaio non avrebbe
neppure le caratteristiche tipiche di imposta. In via generale,
l’imposta è “intesa come prestazione coattiva, di regola pecuniaria, dovuta dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con una particolare attività dell’ente pubblico, e tantomeno a favore del soggetto stesso, il quale è obbligato ad adempiere quella prestazione quando egli si trovi in un dato rapporto
con il presupposto di fatto legislativamente stabilito”. Micheli,
Corso di Diritto Tributario, 1989, Torino, pag. 18.
RFI - 74
sufficiente per differenziare la figura del notaio da
quella di un funzionario pubblico in senso proprio.
Le somme percepite dal notaio portoghese non
sono pertanto differenti da quelle percepite dai
notai negli altri ordinamenti, in cui essi sono liberi
professionisti e sono pagati in base alle prestazioni
effettuate; le remunerazioni ricevute costituiscono
un reddito professionale che permette di coprire
le spese dell’attività notarile e di mantenere un certo tenore di vita (20).
Conferma di quanto detto deriva anche dalla circostanza che il notaio portoghese svolge la propria
attività sotto la sua piena responsabilità e che lo
stesso è personalmente responsabile degli atti che
redige ed è tenuto ad indennizzare le persone che
subiscano un danno dagli atti stessi.
Effetti della pronuncia della Corte sulla funzione pubblica notarile
il fisco
La Corte ha però sostenuto che gli onorari dovuti per la redazione di un atto notarile costituiscono
un’imposta ai sensi della Direttiva, in quanto i
notai sono dipendenti statali e detti onorari sono
“in parte” versati allo Stato per finanziare talune
funzioni di quest’ultimo.
Tale conclusione non può essere condivisa pienamente se si ha riguardo alla duplice composizione della remunerazione percepita dai notai portoghesi: ovvero di compenso erogato in misura fissa
e di compenso variabile in funzione degli onorari
riscossi.
L’affermazione della Corte sarebbe condivisibile
qualora gli onorari notarili, in quanto dovuti in
applicazione di una norma giuridica stabilita dallo
Stato e versati dai privati per finanziarne alcune funzioni, fossero costituiti esclusivamente dalla remunerazione in misura fissa, determinata in base agli
stessi criteri applicabili a tutti i dipendenti statali.
La riscossione degli onorari così determinati e
dovuti in ragione di una formalità essenziale connessa alla forma giuridica della società, sarebbe
pertanto vietata ai sensi dell’art. 10, paragrafo 1,
lettera c), della Direttiva, alla stessa stregua dei
diritti riscossi per qualsiasi “formalità necessaria
per l’esercizio di un’attività … in ragione della sua
forma giuridica” (18).
Inoltre, alla luce dell’art. 12 della Direttiva, la
loro riscossione sarebbe potuta rientrare nella
deroga prevista dall’articolo citato, nella misura in
cui detti diritti avessero avuto carattere remunerativo del servizio reso.
Ma il compenso percepito da un notaio portoghese è anche determinato in percentuale agli onorari riscossi per la redazione degli atti.
Gli onorari percepiti dal notaio in funzione delle
somme percepite non potrebbero pertanto rientrare nelle previsioni della Direttiva, in quanto gli
stessi non assumerebbero le caratteristiche di una
imposta avente le stesse caratteristiche dell’imposta sui conferimenti statali (19).
Sebbene il notaio portoghese riceva, quale compenso per l’attività prestata, degli emolumenti calcolati in misura fissa, tuttavia, egli percepisce anche
una somma calcolata in misura percentuale sugli
onorari riscossi e tale erogazione attesterebbe lo
scopo lucrativo di tale professione, e ciò sarebbe
La Corte nella Sentenza in commento, nel considerare gli onorari riscossi per la redazione di un
atto notarile un’imposta ai sensi della Direttiva, ha
sicuramente esaltato la funzione pubblica della
figura notarile, e tale conclusione potrebbe lasciare spazio ad ulteriori controversie da parte di altri
Stati membri. Ma, ad evitare equivoci, occorre evidenziare che nella legislazione portoghese la funzione notarile è differente da figure simili presenti
negli altri ordinamenti comunitari.
Infatti mentre nella maggior parte degli Stati
membri di civil law, l’attività del notaio viene configurata come una specie di Giano bifronte, in cui
convivono la figura del pubblico ufficiale e quella
del professionista indipendente (21), nel sistema
portoghese il notaio è un pubblico ufficiale, dipendente dello Stato.
Da uno studio effettuato dal Parlamento europeo sulla professione notarile in Europa (22), è
emerso che fra i tratti caratteristici e unificanti
degli ordinamenti di tradizione latino-germanica, raggruppati nell’Unione Internazionale del
Notariato Latino, spiccano l’ampiezza e la delicatezza delle funzioni, certificativa e di assistenza,
del notaio, e l’efficacia normalmente attribuita ai
suoi atti, la peculiarità di una funzione in cui si
sommano l’esercizio di funzioni pubbliche e lo
svolgimento di una libera professione privata, il
controllo pubblico su di essa, la predeterminazione del numero dei notai e i rigorosi meccanismi di selezione, l’obbligatoria appartenenza dei
(20) Conclusioni dell’Avvocato Generale George Cosmas del
20 maggio 1999, punto 83.
(21) Cfr. Nigro, Il notaio nel diritto pubblico, in “Riv. not.”,
1979, pag. 1151.
(22) Rapporto del 9 dicembre 1993, punti 11-15.
Panorama giurisprudenziale
il fisco
notai ad organizzazioni corporative e la straordinaria importanza che la prassi notarile custodita
negli archivi. Intorno a tali caratteristiche, il
notariato ha costruito la propria immagine di
professione legale tra le più rispettate e prestigiose degli ordinamenti nei quali si è diffuso e
consolidato.
Va però rilevato come di recente tale immagine è
stata al centro dell’attenzione da parte delle istituzioni comunitarie (23), in quanto le limitazioni
alla libertà di stabilimento di cui all’art. 55 del
Trattato CEE, non potrebbero essere estese all’intera professione se le attività connesse con l’eserci-
12/2000 il fisco 3493
zio di pubblici poteri possono essere scisse dall’insieme dell’attività professionale.
La coesistenza del notariato della pubblica funzione e della libera professione esige sicuramente
un chiarimento a livello comunitario, ma a questo
punto è lecito chiedersi se nella pronuncia della
Corte si possa intravedere un orientamento delle
istituzioni CEE.
(23) Risposta della Commissione europea 19 maggio 1989 ad
interrogazione scritta n. 2199/88.
RFI - 75
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Appendice normativa
12/2000 il fisco 3497
1 APPENDICE NORMATIVA E DOCUMENTI
Budget review - South Africa
Chapter 6 Revenue issues
and tax proposals
Introduction
Key tax proposals
Government strives for a tax system that is fair,
efficient, effective and internationally competitive,
and that yields sufficient revenue to finance its
expenditure commitments.
In response to the challenge of globalisation and
in line with the strategy for growth, equity and
redistribution, a far-reaching reduction in the
company tax rate from 35 per cent to 30 per cent
is proposed.
In terms of personal income tax, Government is
able to go beyond eliminating the effects of fiscal
drag. The proposed adjustments to the income tax
brackets and rates will bring about and across the
board cut in the tax burden. Other tax relief measures include a 19 per cent cut in the excise tax on
soft drinks and selective reductions in transfer
duties aimed at encouraging home ownership.
For health reasons, increases in tobacco taxes will
again exceed the rate of inflation. The fuel levy is to
increase by 4c/litre, and which is below inflation.
Specific excises on alcoholic drinks are raised.
The Skills Development Levies Bill, due to be
tabled shortly, will allow for the introduction of a
payroll levy to finance the National Skills Fund
and Sectoral Education and Training Authorities.
Tax policy and administrative efficiency
il fisco
The Katz Commission has consistently advised
that tax reform and tax policy must move hand in
hand with efforts to ensure that the tax authorities
have sufficient administrative capacity. Without solid administration, tax law and tax policy cannot be
given practical effect. For this reason, the current
emphasis is on enhancing the operational effectiveness of the South African Revenue Service (SARS)
as a precondition for more fundamental tax reform.
The drive to improve administrative performance will continue. Key developments include
progress towards establishing new and more effective computer systems, which will enhance collection capacity and help to narrow the tax compliance gap.
Taxation and globalisation
Demutualisation levy
The increasing integration of the world economy
encourages global convergence of tax policies and
structures. Traditional tax principles are also facing new challenges, such as the growth of electronic commerce. In a rapidly changing commercial
environment, continuing to apply the “source principle of taxation” may give rise to a narrowing of
the tax base if economic transactions migrate outside the borders of South Africa. Providers of capital and skills increasingly take account of tax policy in their location decisions. South Africa’s tax
reform is in part aimed at adapting to international tax practice and minimising the costs to the
economy of international tax arbitrage.
The 1998 Budget announced Government’s
intention to impose a once-off charge on the
demutualisation of Sanlam and Old Mutual, at a
rate of 2,5 per cent on the free reserves at the date
of demutualisation. The proceeds will be used to
capitalise the Umsobomvu Fund.
RFI - 79
Umsobomvu Fund
Proposals for the design and management of the
Umsobomvu Fund are currently being finalised. It
will be established under section 21 of the Companies Act, of 1973. The Articles of Association will
be published shortly.
3498 il fisco 12/2000
RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000
Tax administration
Transformation of the South African Revenue Service
SARS transformation
In June 1998, SARS launched a transformation
programme aimed at:
- improving operational efficiency and effectiveness;
- improving client relationships;
- encouraging tax morality;
- increasing the level of compliance;
- making the organisation demographically
representative through affirmative action.
Key developments of the transformation programme include:
- regionalisation and decentralisation of functions;
- the creation of an Advisory Board.
Administrative efficiencies
Since SARS became autonomous in 1997, it has
focused its attention on devising strategies to
improve tax collection. Some of the important initiatives introduced thus far include:
- improving its audit capacity through the
introduction of new computer-aided audit systems;
- rationalising head office functions to focus
on strategy and policy design;
- introducing regional offices to co-ordinate
and monitor the 112 local offices where revenue
collection and customs control are executed;
- enhancing the capacity to investigate and
prosecute tax evaders;
- improving debt recovery procedures.
il fisco
Improvements in information technology and
systems, including the phased introduction of the
New Income Tax System (NITS). In 1999/00,
efforts will be made to integrate the Income Tax,
VAT and PAYE systems.
Revisions to human resource policies and the
introduction of a code of conduct for employees,
underpinned by basic principles of honesty,
human dignity, integrity, excellence and service.
Mobilisation of international technical assistance
for the Customs Transformation Programme.
760 606 income tax, VAT and PAYE cases, of which
about 181.000 proved to be eligible for registration.
Tax base broadening goes beyond the campaign
to identify and register unregistered taxpayers. It
involves cultivating a culture of voluntary compliance. The base broadening efforts also involve
changing the adversarial relationship between the
tax collector and the taxpayer. SARS is making
progress in this regard by being visible, accessible
and fair in its dealings with taxpayers.
Agreements for the avoidance of double taxation
During 1998/99, progress was once again made
in reaching agreements with other countries for
the avoidance of double taxation in respect of
income accruing to South African taxpayers from
foreign sources or to foreign taxpayers from South
African sources. The present position is as follows.
Comprehensive agreements are in place with
Austria, Belgium, Botswana, Canada, Croatia,
Cyprus, the Czech Republic, Denmark, Egypt, Finland, France, Germany, Hungary, India, Iran, Ireland, Israel, Japan, Korea, Lesotho, Malawi, Malta,
Mauritius, Namibia, the Netherlands, Norway,
Poland, Romania, Singapore, Swaziland, Sweden,
Switzerland, Thailand, the United Kingdom, the
United States of America, Zambia and Zimbabwe.
The treaty with the United Kingdom also extends
to Grenada, the Seychelles and Sierra Leone.
Comprehensive agreements have been ratified in
South Africa with Algeria, Indonesia, Italy, Namibia, Pakistan, the Russian Federation, the Slovak
Republic and Uganda.
Comprehensive agreements have been signed
but not ratified with Greece, Luxembourg and the
Seychelles.
Comprehensive agreements have been negotiated or renegotiated, but not signed, with Australia,
Botswana, Ethiopia, Gabon, Germany, Malawi,
Malaysia, Morocco, Swaziland, Tunisia, Ukraine,
Zambia and Zimbabwe.
Comprehensive agreements are being negotiated
or renegotiated but have not been finalised with
Mozambique, the People’s Republic of China, Portugal, Spain and Turkey.
Limited sea and air transport agreements exist
with Brazil, Greece, Italy, Portugal and Spain.
A number of other countries have expressed the
desire to negotiate double taxation agreements
with South Africa.
Administrative agreements
Tax base broadening
SARS has achieved considerable success in its
base-broadening initiative, aimed at registering persons, businesses and employers and reducing the
rate of non-compliance with tax legislation. Between
October 1997 and December 1998, SARS evaluated
RFI - 80
Agreements in respect of administrative assistance
cover the exchange of information, technical assistance, surveillance, investigations and visits by officials. During 1998, such agreements were finalised
with Algeria and France. It is likely that this network
of agreements will be expanded in the future.
Appendice normativa
VAT administration
12/2000 il fisco 3499
- exports and imports will be more tightly controlled, thereby minimising the loss of revenue and
the adverse impact of round-tripping and fictitious
exports;
- SARS will be able to collect more reliable
statistics in respect of the trade that passes
through these posts;
During 1998/99, measures were implemented to
improve the administration of VAT as it relates to
the export and import of goods.
Exports
In last year’s Budget Review, certain measures
were announced to curb VAT evasion on fictitious
exports to neighbouring countries. These measures, which were limited to liquor and tobacco
products and introduced with effect from 11
March 1998, had the effect that the zero-rating of
exports to such countries would apply only where
the goods were consigned or delivered by a South
African vendor to a purchaser outside the Republic, and not where the purchaser took delivery in
South Africa.
With effect from 16 November 1998, these measures were extended to cover exports of all types of
products to the BLNS countries (Botswana,
Lesotho, Namibia, Swaziland) and are embodied
in a revised VAT Export Incentive Scheme published on 13 November 1998.
Tax compliance
Imports
As far as tax avoidance is concerned, both local
and international courts have held that taxpayers
have the right to plan their affairs to minimise
their tax liability. However, it remains a fact that
many aggressive tax-avoidance schemes border on
tax evasion.
While SARS is committed to improving its services to the taxpaying public, it will also increase its
capacity to counter fraud. Over the past year, good
progress has been made in this regard. Several convictions were made and over 250 criminal cases are
currently proceeding. In addition, approximately R1
billion of additional revenue was generated from
concerted in-house forensic investigations.
From a tax-avoidance perspective, various initiatives are under way focusing primarily on combating transfer-pricing mechanisms, and on targeting
specific categories of high-risk taxpayers and
transactions.
- Botswana Groblersbrug; Kopfontein;
Ramatlabama; Skilpadshek;
- Lesotho Caledonspoort; Ficksburg Bridge;
Maseru Bridge; Qacha’s Nek; Van Rooyenshek;
- Namibia Narogas; Vioolsdrift;
- Swaziland Golela; Jeppes Reef; Mahamba;
Mananga; Nerston; Oshoek.
According to a survey by the Department of
Transport, almost 90 per cent of the commercial
traffic between South Africa and the BLNS countries passes through these posts.
Benefits
The benefits flowing from these measures
include the following:
Tax evasion and tax avoidance
Tax fraud is widespread in the areas of VAT, customs and excise, involving the following:
- fraudulent claims of input tax;
- fictitious exports;
- abuse of general rebate facilities;
- diversion of goods without payment of duty;
- mixing of diesel and paraffin to reduce the
fuel levy payment.
il fisco
Since the introduction of VAT in 1991, it has been
the intention that VAT should be paid at designated
border posts in respect of the import of goods from
the BLNS countries. Unfortunately this was not possible due to the lack of proper facilities at the borders. VAT was collected only at a later stage, which
created opportunities for evasion.
Since 4 January 1999, the collection of VAT on
goods imported from BLNS countries has taken
place at the border posts. This brings imports from
BLNS countries in line with imports from the rest
of the world. The following are the designated border posts between the Republic and the BLNS
countries:
Despite endeavours to improve tax morality, a
range of inappropriate behaviour persists, from
downright fraud to aggressive tax avoidance
schemes.
Year 2000 compliance
SARS systems will be Year 2000 compliant well
ahead of time. Nevertheless, the Year 2000 problem
may have a negative impact on revenue collections.
Companies with systems that do not co