il fisco di legislazione e attualità 12/2000 20 marzo 2000 Direttore Pasquale Marino RASSEGNA FISCALITÀ INTERNAZIONALE N. 1/2000 ALLEGATO Contiene fra l’altro: il fisco: Rassegna di fiscalità internazionale n. 1/2000 Rubrica de Pressione Irpeg sulle società di capitali RECUPERO ANTICIPO IRPEF SU TFR Perdite fiscali e credito di imposta sui dividendi IVA: TERMINE ISCRIZIONE A RUOLO Processo tributario: litisconsorzio Corte Cassazione SS.UU. civ. sent. n. 27/2000: Nullo il bilancio senza principio di chiarezza PENALE TRIBUTARIO: Francia - La transazione con il Fisco SCADENZARIO TRIBUTARIO DI APRILE Ultime disposizioni tributarie sulla Gazzetta Ufficiale o emanate dal Ministero delle Finanze Giurisprudenza tributaria - Risposte a quesiti Iva e Dirette Editoriale Tributaria Italiana S.p.A. Viale Mazzini 25 - 00195 Roma Sped. Abb. Post. - 45% art. 2 comma 20/b L. n. 662/96 - Filiale di Roma rivista settimanale Contiene I.P. 2000 - ANNO XXIV 12 il fisco Avviso ai lettori Telefoni dell’Ufficio Abbonamenti: Direttore: Pasquale Marino, dottore commercialista in Roma Comitati di redazione 1990 06.871.303.82 - 06.871.302.72 a Roma telefax n. 06.321.78.08 - 06.321.74.66 Pietro Adonnino, prof. associato di diritto tributario nell’università di Roma, avvocato in Roma; Paolo Armati, notaio in Roma; Bruno Assumma, avvocato in Roma; Claudio Berliri, avvocato in Roma; Mario Boidi, dottore commercialista in Torino; Ivo Caraccioli, ordinario di istituzioni di diritto penale nell’università di Torino; Giovanni Chiarion Casoni, dottore commercialista in Roma; Flavio Dezzani, prof. ordinario di ragioneria nell’università di Torino, dottore commercialista; Sergio Gradi, esperto fiscale; Alberto Mastrangelo, dottore commercialista in Roma; Leonardo Milone, notaio in Roma; Leonardo Perrone, ordinario di diritto tributario nell’università di Roma; Antonino C. Ramirez, esperto fiscale; Baldassarre Santamaria, prof. di diritto tributario nell’università di Roma, II; Francesco Schiavon, dottore commercialista in Padova; Francesco Serao, dottore commercialista in Napoli. a Milano Giuseppe Bernoni, dottore commercialista in Milano; Roberto Lunelli, dottore commercialista in Udine; Giuseppe Marra, avvocato tributarista in Varese; Giancarlo Modolo, esperto tributario in Milano; Giorgio Moro Visconti, dottore commercialista in Milano; Giuseppe Piazza, dottore commercialista in Milano; Piergiorgio Valente, dottore commercialista in Milano. Ufficio Studi dello STUDIO DI CONSULENZA SOCIETARIA E TRIBUTARIA “MARINO”: Pasquale Marino, dottore commercialista, Gianluca Caputi, dottore commercialista, dott. Vincenzo De Luca, dott. Giuseppe Marino, Lorenzo Giorgio Mottura, dottore commercialista, Salvatore Petrachi, Francesco Veroi, dottore commercialista; Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma - Tel. 06.321.75.78-06.321.75.38. Una copia L. 11.000, Euro 5,68 - Concessionaria esclusiva per la distribuzione nelle edicole “Parrini e C.”, Roma, Piazza Colonna, 361 Centr. Tel. 06.699.407.31; Segrate (MI), Via Morandi, 52 - Tel. 02.213.46.23 - Stampa: “Abete Industria Poligrafica S.p.A.”, Stabilimento di Città di Castello (PG) - Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 16620 del 22 dicembre 1976 - Direttore responsabile: dr. Pasquale Marino - Copertina: G.C. Italiani - Editore: Edit. Trib. It. “ETI” S.p.A. - Redazione e Amministrazione: Viale Mazzini, 25 - Tel. 06.321.75.78-06.321.75.38 - 00195 Roma. Ufficio abbonamenti: Tel. 06.871.303.00-06.871.303.16. 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Per i pensionati del Ministero delle finanze e della G. di F., l’abbonamento ai 48 numeri è di L. 368.000, con il Codice Tributario 2000 P. Marino, L. 428.000. Un numero ordinario L. 11.000, Euro 5,68, arretrato L. 14.000, Euro 7,23. Modalità di pagamento: Versamento diretto (con assegno bancario o circolare “non trasferibile” e barrato o con bonifico bancario presso la CARIPLO, 736 Roma, Agenzia n. 14, c/c n. 700/1 ABI: 06070.7 CAB: 03214.4 o vaglia postale) indirizzato a ETI S.p.A., Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma, oppure versamento a mezzo c/c postale n. 61844007 intestato a ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma. L’attestazione del versamento sul c/c postale è valida come documento fiscale di spesa. La decorrenza per l’abbonamento è dall’1.1.2000 al 31.12.2000 con diritto ai numeri arretrati; l’abbonamento s’intende rinnovato nel caso in cui non sia pervenuta alla Editrice ETI S.p.A. lettera raccomandata di disdetta 30 giorni prima della scadenza di detto abbonamento. L’Iva corrisposta dall’editore ai sensi dell’art. 74, lettera c), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del D.M. 29 dicembre 1989 (come sostituito dal D.M. 9 aprile 1993) e del D.M. 12 gennaio 1990, è conglobata nel prezzo di copertina. All’acquirente-abbonato non è consentita la detrazione dell’imposta (circolare ministeriale n. 63/490676 del 7 agosto 1990). I contenuti e i pareri espressi negli articoli sono da considerare opinioni personali degli autori che non impegnano pertanto il direttore e il comitato di redazione. Concessionaria pubblicità: P.I.M. - Pubblicità Italiana Multimedia S.r.l. - Sede legale e presidenza: Milano, Via Tucidide, 56 bis, Torre I 20134 - Centralino Tel. 02.74.82.71 - Presidenza Tel. 02.74.82.69.57 - Fax 02.70.00.19.41 - Direzione Commerciale Tel. 02.74.82.69.78 - Fax 02.70.10.05.88 - Direzione Amministrativa Tel. 02.74.82.79.21 - Fax 02.74.82.79.29. 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Per un aggiornamento tributario sempre più tempestivo (nuove leggi, commenti esplicativi, giurisprudenza, circolari, quesiti, ecc.) seguiamo i tempi moderni! Tre variazioni in tema: il fiscoRC Rivista “il fisco” su Carta, RC 48 numeri settimanali, 12.000 pagine minimo. Inclusi nella quota: 1) Rassegna Tributaria; 2) due Compact Disc semestrali con la raccolta dei 48 numeri (1° gennaio - 31 dicembre 2000). Lire 460.000 Il fisco Rc è anche in edicola ogni settimana a Lire 11.000. il fiscoROL Rivista “il fisco” On Line, ROL con aggiornamento giornaliero, un quotidiano fiscale, con due Compact Disc semestrali per conservare la raccolta e consentirne la consultazione informatica nel tempo. Lire 600.000 (una licenza) il fiscoREM Rivista “il fisco” E-Mail, REM ogni martedì l’anticipazione della rivista sarà disponibile in formato pdf, nella vostra casella E-Mail, con due Compact Disc semestrali per conservare la raccolta e consentirne la consultazione informatica nel tempo. Lire 400.000 (una licenza) Il fisco ROL e REM viene venduto con abbonamento annuale mobile con decorrenza dalla data di attivazione del collegamento (esempio: data attivazione 31/03/2000, fine abbonamento 30/03/2001) il fisco da 24 anni certezza e serietà nell’informazione! E, ancora, in più, le vantaggiose combinazioni per due versioni della rivista a quota scontata! ETI Editore: 00195 Roma - Viale Mazzini, 25 Informazioni 06.32.17.774 - 06.32.17.578 Fax 06.32.17.808 - 06.32.17.466 HOME PAGE “il fisco” http://www.ilfisco.it/ CEDOLA ABBONAMENTI http://www.ilfisco.it/cedolaab.htm E-MAIL: [email protected] Abbonamenti 2000 - 2001 alle tre versioni Combinazioni di abbonamento - Cedola di commissione Spett.le ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma Il sottoscritto P.Iva Via Città E-Mail Cod. Fisc. c.a.p. Tel. Sottoscrive: ❏ 1 Abbonamento alla rivista RC - “il fisco” cartacea: ❏ 2 Abbonamento alla rivista ROL - “il fisco” On Line: ❏ 3 Abbonamento alla rivista REM - “il fisco” E-Mail: ❏ 4 Combinazione RC cartacea + ROL On Line: ❏ 5 Combinazione RC cartacea + REM E-Mail: L. L. L. L. L. 460.000 600.000 400.000 800.000 600.000 Modalità di pagamento: Versamento sul c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario o circolare “non trasferibile” e barrato n. del di L. o con bonifico bancario presso la CARIPLO, 736 Roma, Ag. n. 14, c/c n. 700/1 ABI: 06070.7 CAB: 03214.4 effettuato il di L. intestato a: ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma. Si allega copia fotostatica dell’attestazione di versamento (o invio per fax) data firma I NUOVI ABBONAMENTI PER IL 2000 R I V I S T A il fisco 1999: 15.404 pagine! più 1.894 pagine di RASSEGNA TRIBUTARIA e 256 pagine dell’Agenda del Contribuente 1999 Cedola di commissione abbonamento Spett.le ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma Il sottoscritto Via E-Mail P.IVA Città Tel. Cod. Fisc. c.a.p. ❑ Sottoscrive nuovo abbonamento ❑ Rinnova dal 1° gennaio al 31 dicembre 2000 1 - Contanti 1 Abbonamento a “il fisco” 2000 + abbonamento Rassegna Tributaria 2000 (6 numeri) + Volume Indici 1999 + 2 CD Rom semestrali L. 460.000. 2 - Rateizzato (con L. 30.000 in più per spese bancarie, postali, amministrative) 10 Abbonamento a “il fisco” 2000 (come al suddetto “n. 1”) alla data di sottoscrizione L. 245.000 2 Abbonamento come al precedente “n.1” + Codice Tributario P. Marino 2000 L. 520.000. 11 3 RISERVATO AGLI ABBONATI 2000: Codice Tributario P. Marino 2000, due volumi ❑ 1 copia L. 60.000 ❑ 2 copie L. 110.000 ❑ 3 copie L. 170.000. 4 Abbonamento ROL ”il fisco” on line, con la rivista “Rassegna Tributaria” e 2 CD Rom semestrali L. 600.000. r.b. al 15/5/2000 L. 245.000 Abbonamento a “il fisco” 2000 (come al suddetto “n. 1”) + Codice Tributario P. Marino 2000 alla data di sottoscrizione L. 275.000 r.b. al 15/5/2000 L. 275.000 Banca di appoggio della ricevuta bancaria al 15/05/2000 (indicare la banca, l’agenzia, l’indirizzo) 5 Abbonamento REM ”il fisco” E-Mail, con la rivista “Rassegna Tributaria” e 2 CD Rom semestrali L.400.000. barrare la formula di abbonamento prescelta e compilare il modulo sottostante per il pagamento a) con assegno bancario 6 Contenitori rivista “il fisco”, 4 scatole con fili di acciaio, similpelle rossa: ❑ 1993 ❑ 1994 ❑ 1995 ❑ 1996 ❑ 1997 ❑ 1998 ❑ 1999 ❑ 2000 L. 120.000 (i.i.) per ogni anno. Allega assegno bancario “non trasferibile” e barrato n. del di L. (modalità consigliata: raccomandata assicurata) b) con bonifico bancario 7 Abbonamento 2000 a “Impresa Commerciale e Industriale”, mensile, 11 numeri, L. 120.000. 8 Abbonamento 2000 a “Rassegna Tributaria”, bimestrale, 6 numeri, L. 100.000. 9 2 CD Rom con raccolta semestrale cad. “il fisco” 2000 al 30.6.2000 e 31.12.2000, L. 120.000 per gli abbonati a “il fisco” (una sola richiesta) e L. 200.000 per i non abbonati. N.B. Il Codice Tributario P. Marino 2000, aggiornato al 5 febbraio 2000, verrà spedito entro il 30.04.2000 Informazioni 06.32.17.774 - 06.32.17.578 Fax 06.32.17.808 - 06.32.17.466 HOME PAGE “il fisco” - http://www.ilfisco.it/ CEDOLA ABBONAMENTI - http://www.ilfisco.it/cedolaab.htm E-MAIL: [email protected] fotocopiare presso la CARIPLO, 736 Roma, Agenzia n. 14, c/c n. 700/1 ABI: 06070.7 CAB: 03214.4 effettuato il di L. intestato a ETI S.p.a.Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma. Si allega copia fotostatica dell’attestazione di versamento (o invio per fax). c) con versamento sul c/c postale Ha versato L. sul c/c postale n. 61844007 intestato a ETI S.p.a.Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma - e allega copia fotostatica dell’attestazione postale di versamento (o invio per fax). Non effettuando la disdetta con lettera raccomandata almeno 30 giorni prima della scadenza, l’abbonamento si intende rinnovato automaticamente per un altro anno. I supplementi non sono compresi nella quota di abbonamento. data firma Convegno di Studi Con la collaborazione della Ordine Dottori Commercialisti Tempio Pausania il fisco R I V I S T A PROMOCAMERA Azienda Speciale della Camera di Commercio di Sassari STUDI DI SETTORE ED ACCERTAMENTO TRIBUTARIO OLBIA 13 maggio 2000 ore 9,00 - 13,30 Sala Convegni Stazione Marittima ■ ore 10.30 Programma Riflessione sugli Studi di Settore Dott. Luigi Magistro Ufficiale superiore G.d.F. ■ ore 9.00 Saluto Dott. Franco Anselmo Molinu Presidente Dottori commercialisti Tempio Pausania Sig. Fedele Sanciu Presidente Promocamera ■ ore 11.10 Accertamenti bancari Dott. Luciano Carta Ufficiale superiore G.d.F. ■ ore 11.50 Break ■ ore 9.10 ■ ore 12.10 Evasione, elusione: impatto sul sistema socio economico Prof. Gian Maria Fara Presidente EURISPES Studi di Settore ed accertamento con adesione Prof. Francesco Fratini Docente presso Istituti Istruzione G.d.F. ■ ore 12.50 ■ ore 9.50 Dibattito Studi di Settore e tutela del contribuente Prof. Giuseppe Tinelli Ordinario Diritto Tributario Università di Perugia MODALITÀ ■ ore 13.30 Conclusione lavori DI PARTECIPAZIONE Ingresso gratuito Segreteria: Via Tavolara, 11 - Olbia - Tel. 0789.24.705 Fax 0789.22.320 - 0789.25.539 12/2000 il fisco 3243 SOMMARIO tribuente nei confronti degli accertamenti effettuati mediante applicazione della procedura di cui all’art. 3 della L. n. 549/1995 di Luca Bellini attualità 3248 Attività illecite ed esenzioni fiscali: il caso dei dentisti abusivi di Francesco Schiavon 3323 Documentazione: il bilancio in breve. Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - Roma gennaio 2000 Memorandum Scadenzario tributario marzo 2000 3250 La pressione Irpeg sulle società di capitali di F. Di Nicola, S. Golino, V. Rinaldi, A. Santoro, R. Stajano 3256 1° gennaio 2000: recupero dell’anticipo Irpef sul Tfr. Scritture contabili di Flavio Dezzani 3259 3319 Ministero delle finanze Gabinetto del Ministro - Ufficio Stampa Il termine per l’iscrizione a ruolo dell’Iva nel regime previgente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46/1999 di Francesco Maria Fioretti Il liticonsorzio necessario nel processo tributario: un istituto ancora privo di fisionomia. Casi veri o presunti di liticonsorzio necessario di Luigi Visconti 3267 Organizzazioni non lucrative di utilità sociale: poteri, oggetto e finalità dell’attività di controllo di Claudio Di Gregorio 3277 Perdite fiscali e credito di imposta sui dividendi di Pierangelo Bianco e Alessandra Piazzino 3282 Novità dal Front (Office) di Gianluca Patrizi e Gianluca Marini 3285 La riforma della riscossione: alcune novità introdotte dal D.Lgs. n. 46/1999 di Clelia Buccico il fisco 3262 3228 La trasmissione telematica delle dichiarazioni (Comunicato stampa dell’8 marzo 2000) 3228 I nuovi adempimenti semplificati per le associazioni sportive dilettantistiche (Comunicato stampa del 10 marzo 2000) 3329 Scadenzario tributario aprile 2000 DIRITTO PENALE TRIBUTA R I O Problemi e dibattiti 3297 La notifica degli atti giudiziari e fiscali: considerazioni e riflessioni di Paolo Di Fabio 3362 Dalle “manette agli evasori” alle “manette agli estimatori” di Ivo Caraccioli 3303 Corsi di formazione frequentati all’estero dal personale: territorialità delle prestazioni ai fini Iva di Loredana Conidi e Massimo Gabelli 3364 Francia - La transazione con il Fisco. Aspetti legali e operativi di Thierry Lambert 3307 Iva: il “momento di effettuazione dell’operazione” e le “prestazioni di servizi” di Piero Merlo 4 Tribunali 3311 Riflessioni sui parametri: le motivazioni e le strategie difensive adottabili dal con- 3371 Errori della Guardia di finanza, rideterminazione dell’imponibile, conciliazione giudiziale. Effetti penali (TRIBUNALE di Verona, Sent. n. 525 dicembre 1999) commento di Giovanni Maccagnani 3244 il fisco 12/2000 rubrica dei quesiti 3375 3377 IMPOSTE SUI REDDITI - Redditi d’impresa - I criteri di valutazione delle rimanenze e il riconoscimento fiscale della loro svalutazione 3389 IVA - L’associazione agricola e il regime forfettario 3379 IVA - Irap - Il trattamento del “prestito di personale” 3380 SUCCESSIONI E DONAZIONI - I termini per l’accertamento dell’imposta sulle successioni 3381 IMPOSTE SUI REDDITI - IVA - Agevolazioni - Società sportive dilettantistiche - Istruzioni - Art. 25 della L. 13 maggio 1999, n. 133 D. Min. Finanze 26 novembre 1999, n. 473 (CIRCOLARE n. 43/E/2000/27853 dell’8 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario) 3385 IVA - Base imponibile - Somme stabilite da lodo arbitrale - Risarcimento danni - Rivalutazione monetaria ed interessi - Trattamento - Artt. 13 e 15 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (RISOLUZIONE n. 25/E/III/7/1999/45904 del 7 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. Centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario) 3386 IVA - Prestazioni di servizi - Auto aziendali messe a disposizione del dipendente dietro corrispettivo - Imponibilità - Sussiste - Art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (RISOLUZIONE n. 24/E/2000/32723 del 7 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. Centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario) DEMANIO - Beni immobili e diritti reali immobiliari appartenenti allo Stato - Alienazione - Istruzioni - Art. 4 della L. 23 dicembre 1999, n. 488 (CIRCOLARE n. 33/T/U.D.C./17404 del 6 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Territorio - Dir. Centr. Demanio) 3390 il fisco circolari e note ministeriali Giurisprudenza-flash del numero 12 2 Corte di Cassazione IVA - I criteri per l’individuazione del momento impositivo nel regime dell’editoria 3378 3387 giurisprudenza PROCESSO CIVILE - Petitum e causa petendi - Rapporto di necessaria connessione con l’oggetto della lite - Collegamento tra diritto all’informazione e principio di chiarezza - Qualificazione giuridica - Spetta al giudice - Artt. 101, 112 e 115 del codice di procedura civile BILANCIO - Finalità - Garanzia di informazioni ai soci ed a terzi - Postulato di chiarezza - Informazioni chieste in assemblea - Discussione per la delibera del bilancio - Integrazione - Art. 2413 del codice civile BILANCIO - Finalità - Garanzia di informazioni ai soci ed a terzi - Postulato di chiarezza - Informazioni chieste in assemblea Dovere di risposta degli organi sociali Limiti - Sindacabilità - Art. 2413 del codice civile BILANCI - Postulato di chiarezza - Rapporto con il principio di verità - Strumentalità Non sussiste - Autonomia - Sussiste - Violazione - Nullità della delibera di approvazione del bilancio - Sussiste - Artt. 2379 e 2423, comma 2, del codice civile - D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 - IV Direttiva CEE BILANCIO - Postulato di chiarimenti - Chiesti dal socio in assemblea - Mancata enucleazione dei motivi di tale richiesta Assenza di buona fede nell’esecuzione del contratto sociale - Non rileva - Insufficienza dei dati desumibili dal bilancio e dagli allegati - Necessità di fornire i chiarimenti richiesti - Sussiste - Artt. 1375 e 2423, comma 2, del codice civile (CASSAZIONE, SS.UU. civ. - Sent. n. 27 del 5 novembre 1999, dep. il 21 febbraio 2000) commento di Gianluca Caputi 3 Commissione Tributaria Centrale 3402 REGISTRO - Agevolazioni - Atto di prima acquisizione di immobile in comune danneggiato dal terremoto del 1976 - Per la ricostruzione o riparazione - Esistenza di altri singoli atti con medesimo acquirente e per stessi fini in altri comuni terremotati Non rileva - Benefici - Competono - Art. 41-ter della L. 30 ottobre 1976, n. 730 (COMM. CENTRALE, Sez. XIV - Dec. n. 398 del 19 gennaio 2000, dep. il 25 gennaio 2000) 12/2000 il fisco 3245 3411 Accertamento del periodo di irregolare funzionamento dell’ufficio del territorio di Novara - servizio di pubblicità immobiliare nel giorno 3 febbraio 2000 (D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 21 febbraio 2000, in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000) 3411 Accertamento del periodo di irregolare funzionamento dell’ufficio del territorio di Torino nei giorni 2, 3, 4 e 5 febbraio 2000 (D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 21 febbraio 2000, in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000) leggi e decreti 3404 IRPEF - PREMI AI PILOTI MILITARI Disposizioni per disincentivare l’esodo dei piloti militari (L. 28 febbraio 2000, n. 42, in G.U. n. 54 del 6 marzo 2000) 3406 PRESTAZIONI SANITARIE - Disposizioni urgenti in materia sanitaria (D.L. 8 marzo 2000, n. 46, in G.U. n. 56 dell’8 marzo 2000) 3407 STUDI DI SETTORE - ATTIVITÀ ECONOMICHE VARIE - Comunicato relativo ai decreti del Ministro delle finanze del 3 febbraio 2000 concernenti: «Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore del commercio; Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore delle manifatture; Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore dei servizi» (in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000) 3411 UFFICI FINANZIARI VARI - IRREGOLARE O MANCATO FUNZIONAMENTO 3411 Accertamento dell’irregolare/mancato funzionamento dell’ufficio del registro di Formia dal 28 al 31 gennaio 2000 (D. Dir. Reg. Entrate Lazio 2 marzo 2000, in G.U. n. 56 dell’8 marzo 2000) Legislazione il fisco 3411 IMPOSTE E TASSE - CONTRASSEGNI SPECIALI - Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di controllo, a fini fiscali, relativi a speciali contrassegni per bevande, acque minerali e prodotti vinosi, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 48, in G.U. n. 57 del 7 marzo 2000) Gazzetta ufficiale delle Comunità europee 3412 IVA - Decisione del Consiglio del 28 febbraio 2000 che autorizza gli Stati membri ad applicare un’aliquota Iva ridotta su taluni servizi ad alta intensità di lavoro secondo la procedura di cui all’art. 28, paragrafo 6, della direttiva 77/388/CEE (Direttiva n. 2000/185/CE, in GUCE L 59 del 4 marzo 2000) 3414 Agenda legislativa tributaria Decreti-legge in corso di conversione Legislazione modificativa, integrativa e di attuazione Allegato RUBRICA DE “il fisco” 3417 3524 Rassegna di fiscalità internazionale n. 1/2000 3246 il fisco 12/2000 INDICE CRONOLOGICO Leggi e decreti 7.3.2000 7.3.2000 8.3.2000 3411 3407 3385 3386 3381 3411 3411 3411 3404 3412 3411 3411 3411 3411 3406 il fisco DD. Min. Finanze 3 febbraio 2000 (Errata-corrige) ....................................................... D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 48 ................................. D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 21 febbraio 2000..................................... D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 21 febbraio 2000..................................... D. Dir. Reg. Entrate Emilia-Romagna 23 febbraio 2000 ....................................................................... L. 28 febbraio 2000, n. 42 ...................................... Dec. Cons. CE 28 febbraio 2000, n. 2000/185/CE. D. Dir. Reg. Entrate Abruzzo 28 febbraio 2000 .... D. Dir. Reg. Entrate Abruzzo 28 febbraio 2000 .... D. Dir. Reg. Entrate Lazio 2 marzo 2000 .............. D. Dir. Reg. Entrate Lazio 2 marzo 2000 .............. D.L. 8 marzo 2000, n. 46........................................ Ris. AA.GG. e Cont. Trib. n. 24/E/III/7/1999/45904 . . . . . . . . . . Ris. AA.GG. e Cont. Trib. n. 25/E/2000/32723 . . . . . . . . . . . . . . Circ. AA.GG. e Cont. Trib. n. 43/E/2000/27853 . . . . . . . . . . . . . . Giurisprudenza Corte di Cassazione n. 27 del 5.11.1999-21.2.2000 (SS.UU. civ.) . . . . . 3390 Commissione Tributaria Centrale Circolari e note ministeriali n. 398 del 19.1.2000-25.2.2000 (Sez. XIV) . . . . . . 3402 Tribunali 6.3.2000 Circ. Demanio n. 33/T/U./D.C. . . . . . 3387 Verona, sent. n. 525 del 2.12.1999 . . . . . . . . . . . ABBREVIAZIONI DI PIÙ FREQUENTE UTILIZZO L. D.L. D.Lgs. D.P.R. D.P.C.M. = Legge = Decreto Legge = Decreto Legislativo = Decreto Presidente della Repubblica = Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri D.M. = Decreto Ministeriale D.Int. = Decreto Interministeriale D. Dir. Reg. = Decreto del Direttore Regionale delle Entrate D. Dir. Gen. D. Rett. Univ. Dir. Circ. Provv. Ris. Sent. Ord. Min. = Decreto del Direttore Generale = Decreto Rettorale = Direttiva = Circolare = Provvedimento = Risoluzione = Sentenza = Ordinanza = Ministro AVVERTENZA AI LETTORI Questo numero contiene un allegato: La rubrica de “il fisco”: “RASSEGNA DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE N. 1/2000”, da pag. 3417 a pag. 3524. 3371 Scadenzario fiscale il fisco su internet http://www.ilfisco.it/ 3248 il fisco 12/2000 MEMORANDUM SCADENZARIO TRIBUTARIO il fisco il fisco MARZO 2000 Il testo esteso dello Scadenzario di marzo è riportato su “il fisco” n. 8/2000, pagg. 2228 e seguenti 1 Mer. Irpeg - Irap - Ici - Dichiarazione dei redditi - Adempimenti collegati - Termini di presentazione e di versamento Trattasi di scadenza mobile, legata alla data di approvazione del bilancio 1 Mer. Iva - Dichiarazione annuale relativa al 1999 (fino al 31 maggio) - Contribuenti diversi da quelli tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata annuale - Presentazione istanza di rimborso del credito - Presentazione 1 Mer. Calamità naturali - Imposte e tasse - Termini di adempimento 6 Lun. Iva - Documenti fiscali - Tipografie e rivenditori autorizzati Termine così prorogato, essendo il giorno 5 domenica 6 Lun. Iva - Provvigioni ai rivenditori autorizzati di documenti di viaggio relativi al trasporto pubblico urbano di persone Emissione della fattura Termine così prorogato, essendo il giorno 5 domenica 15 Mer. Imposte sui redditi ed Iva - Contribuenti minori e minimi - Annotazione delle operazioni 15 Mer. Iva - Fatturazione differita - Emissione della fattura 15 Mer. Iva - Operazioni per le quali sono rilasciati le ricevute o gli scontrini fiscali - Annotazione cumulativa nel registro dei corrispettivi 15 Mer. Iva - Fatture di importo inferiore a lire 300.000 - Annotazione del documento riepilogativo 15 Mer. Imposte sui redditi - Ritenute relative ai proventi derivanti da partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio (O.I.C.R.) 15 Mer. Irap - Amministrazioni dello Stato ed enti pubblici - Versamento dell’acconto mensile 15 Mer. Accise - Pagamento imposta 16 Gio. Imposte sui redditi - Ritenute alla fonte - Versamento 16 Gio. Addizionali regionale, provinciale e comunale all’Irpef - Redditi di lavoro dipendente e assimilati - Determinazione e versamento 16 Gio. Sostitutiva - Imposta sostitutiva sui titoli dei cosiddetti “Grandi emittenti” di cui al D.Lgs. n. 239/1996 - Versamento 16 Gio. Redditi diversi - Risparmio amministrato - Versamento dell’imposta sostitutiva 16 Gio. Redditi di capitale e diversi - Risparmio gestito - Versamento dell’imposta sostitutiva in caso di revoca del mandato di gestione 16 Gio. Iva - Contribuenti mensili - Mese di febbraio 2000 - Versamento 16 Gio. Iva - Versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale 16 Gio. Concessioni governative - Numerazione e bollatura di libri e registri - Società di capitali - Tassa annuale 16 Gio. Agevolazioni - Esclusione di beni dal patrimonio dell’impresa - Versamento dell’imposta sostitutiva 16 Gio. Inps - Contributo alla gestione separata dovuto su taluni redditi di lavoro autonomo - Versamento 17 Ven. Iva e ritenute alla fonte - Ravvedimento - Tardivo versamento - Entro 30 giorni dalla scadenza 20 Lun. Iva - Scambi intracomunitari - Elenchi INTRASTAT 20 Lun. Registro - Contratti di locazione ed affitto di beni immobili - Versamento imposta 20 Lun. Contratti di borsa - S.I.M., fiduciarie e agenti di cambio - Versamento della tassa in modo virtuale 20 Lun. Conai - Contributo ambientale - Dichiarazione periodica 31 Ven. Acconti d’imposta - Soggetti Irpeg - Imposte sui redditi - Irap 31 Ven. Redditi diversi - Risparmio amministrato - Rilascio dell’attestazione di versamento dell’imposta sostitutiva 31 Ven. Iva - Dichiarazione periodica - Presentazione 12/2000 il fisco 3249 31 Ven. Iva - Adempimenti di fine mese 31 Ven. Iva - Acquisti intracomunitari da parte di enti, associazioni ed altre organizzazioni di cui all’art. 4, quarto comma, D.P.R. n. 633/1972 - Dichiarazione e versamento 31 Ven. Iva - Autotrasportatori iscritti all’albo - Annotazione delle fatture emesse 31 Ven. Studi di settore - Attività imprenditoriali ed attività professionali - Invio del questionario La precedente scadenza del 29 febbraio risulta prorogata al 31 marzo per tutti i contribuenti interessati 31 Ven. Imposta sostitutiva sui finanziamenti - Dichiarazione per il 2° semestre 31 Ven. Monitoraggio fiscale - Intermediari che effettuano versamenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori - Comunicazioni all’Anagrafe tributaria 31 Ven. Anagrafe tributaria - Pubbliche Amministrazioni ed enti pubblici - Comunicazioni relative a contratti di appalto, somministrazione e trasporto 31 Ven. Imposta sulle assicurazioni - Versamento mensile 31 Ven. Tassa sui contratti di borsa - Pagamento in modo virtuale - Versamento rata trimestrale 31 Ven. Imposta comunale sulla pubblicità - Pagamento rateale 31 Ven. Accise - Pagamento imposta 31 Ven. Accise - Gas metano - Versamento rata d’acconto mensile 31 Ven. Agevolazioni - Centro “Offshore di Trieste” - Comunicazione all’Amministrazione finanziaria perché è conveniente abbonarsi alla rivista “il fisco”: ❑ con il numero 48/1999 le pagine pubblicate sono state 15.404 + 1.894 pagine di “Rassegna Tributaria”! per noi non è un record … per noi è normale dare tante pagine ai nostri lettori ad un basso canone di abbonamento! la rivista “il fisco” non teme ... confronti! 3250 il fisco 12/2000 attualità La pressione Irpeg sulle società di capitali di F. Di Nicola, S. Golino, V. Rinaldi, A. Santoro, R. Stajano Esperti tributari Se.C.I.T. Premessa Sebbene prevalentemente di natura tecnica, le opinioni espresse in questo articolo sono attribuibili esclusivamente agli Autori. (1) Si veda “Rassegna di fiscalità internazionale”, allegata a “il fisco” n. 48/1999. il fisco La questione dell’elevatezza teorica della pressione fiscale sulle imprese è certamente una di quelle che più frequentemente ricorrono nel dibattito sulla politica economica nel nostro Paese. La radicata convinzione che il rapporto tra il gettito ottenuto dalle imposte sulle imprese e il reddito attribuibile alle stesse sia particolarmente elevato in Italia sembra aver trovato, ad esempio, un’autorevole conferma in un recente studio della Ernst & Young (1), che stima in oltre il 58 per cento la pressione Irpeg + Irap per il settore dell’industria meccanica. Come noto, il sistema fiscale italiano è caratterizzato dalla diffusa presenza di fenomeni evasivi ed elusivi di non trascurabile entità ed allo stesso tempo da un intricato complesso di norme volte a determinare la base imponibile tramite correzioni del risultato economico civilistico risultante dal bilancio. Ne consegue che nessuna realistica e credibile valutazione della pressione fiscale intesa come indicatore della ricchezza prelevata dall’economia privata può prescindere da un tentativo di stima degli effetti dei suddetti fenomeni. Si ritiene utile presentare qui una breve sintesi di alcuni dei risultati raggiunti in tema di pressione effettiva Irpeg nell’ambito di un’indagine sulla tassazione delle società di capitali svolta dagli scriventi su incarico conferito dal Ministro delle finanze al Se.C.I.T. Vale la pena di sottolineare che questo lavoro fornisce una stima della pressione effettiva derivante dall’applicazione della sola Irpeg, e non quindi della pressione tributaria (comprensiva anche dell’Irap) né, tantomeno, di quella contributiva. D’altronde, la ricchezza dei dati a disposizione è stata tale da metterci in condizione di effettuare la stima tenendo conto di evasione, elusione e variazioni fiscali, seguendo l’approccio appena delineato. L’iter metodologico seguito è stato quello di partire dal risultato economico “potenziale”, comprensivo di ogni elemento e quindi anche dei fenomeni evasivi ed elusivi, per arrivare al reddito imponibile “effettivo”, calcolato al netto dei citati fenomeni, dell’erosione e di altre norme rettificative, classificate nelle principali macrovoci. Definite le varie accezioni di risultato economico e calcolata, per ogni caso, l’Irpeg dovuta, è stato possibile quantificare la pressione effettiva come rapporto tra l’Irpeg e la specifica accezione adottata di risultato-reddito. L’impostazione dell’analisi Questa parte della ricerca ha fatto riferimento ad un campione rappresentativo di 500 società di capitali aventi fini di lucro, selezionate per rappresentare l’universo delle circa 500mila persone giuridiche dello stesso tipo effettivamente operanti in Italia e risultanti in Anagrafe tributaria, ovvero tutte le società di capitali esistenti con esclusione degli intermediari finanziari, delle cooperative, 12/2000 il fisco 3251 ATTUALITÀ delle società formalmente e sostanzialmente cessate e di quelle interessate da procedure concorsuali. Per l’identificazione del campione secondo la tecnica dell’estrazione casuale stratificata proporzionale sono stati utilizzati i seguenti criteri di stratificazione: il settore di attività (comprese le fondamentali attività terziarie), la dimensione per classe di ricavi e l’area geografica di collocazione della sede giuridica. Vale la pena di sottolineare l’importanza del carattere rappresentativo del campione, sia per la sua migliore capacità di estensione dei risultati all’universo di riferimento, sia per la sua attitudine a minimizzare, coeteris paribus, il rischio di riproduzione delle convinzioni degli analisti. Per ogni impresa del campione e con riferimento all’anno di imposta 1997 sono stati raccolti, controllati ed archiviati due tipi di dati: a) i dati di bilancio (di fonte CERVED) per l’anno 1997; b) le dichiarazioni dei redditi (mod. 760/R97); c) le quote di imponibile di cui è stata contestata l’evasione o l’elusione dalla Guardia di finanza o dal Dipartimento delle Entrate a seguito di verifiche generali appositamente svolte. i) una stima dell’evasione e dell’elusione (2) effettive dell’Irpeg; ii) una stima delle variazioni in aumento ed in diminuzione e delle altre principali correzioni da apportare al risultato economico di bilancio per determinare il reddito imponibile Irpeg per le società di capitali. Per quanto concerne il punto i), esistono numerosi metodi di stima dell’evasione e dell’elusione, da cui possono conseguire quantificazioni anche sensibilmente diverse; tuttavia, i diversi approcci hanno in comune la natura macroeconomica la quale implica, innanzitutto, il ricorso ai dati della contabilità nazionale opportunamente corretti. Per questa ragione, sebbene la parte dello studio che qui si presenta abbia natura campionaria e sia fondata prevalentemente su “microsimulazioni” (cioè analisi applicate ad ogni singolo caso secondo le articolate caratteristiche dello stesso), per la determinazione del gap tra l’evasione-elusione complessiva e quella definita a seguito delle verifiche generali si è fatto ricorso alla più recente stima dell’evasione ed elusione Irpeg nota in (2) L’elusione è stata intesa in questo studio nell’accezione più ristretta, e cioè come illecita riduzione della base imponibile riportata a tassazione dai verificatori in applicazione delle norme antielusive vigenti (art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973). il fisco Secondo quanto prima affermato, elementi necessari alla valutazione del rapporto tra Irpeg di competenza e reddito potenziale, nel prosieguo definito semplicemente “carico Irpeg”, sono stati i seguenti: letteratura, quella ottenuta da Bernardi e Bernasconi (1996) (3). Applicata al contesto di questo studio, tale stima è del 25,8 per cento (4) del risultato economico potenziale, ossia del risultato economico che le imprese realizzerebbero se non facessero ricorso ad evasione ed elusione. I dati sub c) sono stati utilizzati per poter meglio interpretare, in chiave di politica fiscale, questa stima: abbiamo applicato alle contestazioni sollevate al termine delle verifiche un apposito coefficiente di sopravvivenza della pretesa tributaria a seguito di acquiescenza, adesione o contenzioso, ricavandolo da un altro studio in corso presso il Se.C.I.T. (5). Sono state così ottenute le stime di evasione ed elusione “definite”, ossia delle contestazioni di imponibile che trovano conferma al termine del procedimento innescato dalle contestazioni stesse o per accordo tra le parti, o a seguito di sentenze emesse da Commissioni tributarie. La differenza tra la stima di evasione ed elusione complessive e quelle definite è quindi stimata pari all’evasione ed elusione che, seppure esistenti, non sono identificate tramite verifiche generali (vale a dire che non sono recuperabili a tassazione o lo sono solo utilizzando altri strumenti di controllo). La stima dell’evasione e dell’elusione è pari, per costruzione, alla differenza tra risultato economico potenziale e risultato economico dichiarato in bilancio e riportato nella dichiarazione dei redditi; a sua volta, il reddito imponibile è grandezza diversa dal risultato economico dichiarato in bilancio per effetto di tutte le “correzioni” citate al punto ii), per mezzo delle quali si dà attuazione, in concreto, al cosiddetto principio del doppio binario. La disponibilità delle dichiarazioni dei redditi delle imprese campionate e la possibilità di incrociare le stesse con i dati di bilancio ha permesso una quantificazione abbastanza precisa degli effetti sul gettito delle norme che realizzano il suddetto principio senza dover ricorrere a troppe ipotesi ed approssimazioni. Al fine di determinare un aggre(3) Cfr. L. Bernardi e A. Bernasconi, L’evasione fiscale in Italia: evidenze empiriche, supplemento a “il fisco” n. 38/1996, pagg. 19-35. È il caso di precisare che le stime di questo studio si riferiscono all’anno d’imposta 1991, di 6 anni precedente il periodo d’imposta osservato in questa indagine. D’altronde, non solo la valutazione dell’evasione complessiva è più credibile se non si basa solamente sulle contestazioni dei verificatori civili e militari, che pure appaiono congruenti con la stima di origine macroeconomica, ma non pare significativamente distorsivo ipotizzare che i comportamenti evasivi ed elusivi non si siano modificati, nel periodo tra il 1991 ed il 1997, in modo consistente. (4) Tale percentuale si ottiene dividendo il totale dell’evasione stimata per la somma del risultato economico potenziale e degli ammortamenti fiscali. Questi ultimi, ovvero gli ammortamenti anticipati ed accelerati, sono infatti considerati, in questo studio, alla stregua di variazioni fiscali che intervengono dopo la definizione del risultato economico in bilancio. (5) La produttività comparata delle fonti di innesco, a cura di F. Di Nicola, A. Fossati, M. Silvano, A. Tortora. 3252 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ gato il più vicino possibile al reddito imponibile effettivo di competenza è stato quindi preso in considerazione il reddito imponibile su cui si calcola l’imposta corrispondente (rigo RG20 del Mod. 760/R97) al netto dei crediti d’imposta sui dividendi e sui fondi comuni (che riflettono puri fenomeni di cassa e che inficierebbero perciò l’analisi). Data la natura eterogenea delle disposizioni normative che riguardano le variazioni fiscali, le stesse sono state ulteriormente distinte in 5 categorie: variazioni antielusive, variazioni erosive, variazioni per evitare la doppia tassazione, variazioni di competenza temporale e altre variazioni. Ecco i principali contenuti delle categorie di variazioni: (6) Va detto che l’effetto della Dit è risultato molto ridotto per il fatto che in questo lavoro si è considerato il suo primo anno di applicazione. il fisco - variazioni antielusive: si tratta delle variazioni in aumento a cui abbiamo ricondotto delle finalità specificatamente antielusive. Tra queste abbiamo incluso in primo luogo le variazioni che limitano la deducibilità di alcune spese (auto, telefono, eccetera), spesso riportate nel rigo delle “altre variazioni in aumento”, e quelle che prevedono l’incremento della base imponibile in misura pari ai compensi erogati ma non corrisposti agli amministratori; - variazioni erosive: si tratta delle variazioni in diminuzione che riducono il reddito imponibile per consapevole scelta del legislatore ed in modo definitivo, non limitandosi cioè a spostare nel tempo gli imponibili o ad attribuirli ad altri soggetti passivi. Tra queste abbiamo incluso esenzioni, agevolazioni e liberalità deducibili; sommando ad esse gli effetti della Dit (riportati ad imponibile per omogeneità di comparazione) abbiamo ottenuto la correzione qui definita erosione (6); - variazioni per evitare la doppia tassazione: si tratta delle variazioni in diminuzione utilizzate per attribuire ad altri soggetti parte del reddito imponibile. Tra queste abbiamo incluso le variazioni per evitare la doppia tassazione di dividendi ed utili di società figlie residenti in altri Paesi UE, nonché quelle utilizzate per applicare alle plusvalenze l’imposta sostitutiva prevista; - variazioni di competenza temporale: si tratta delle variazioni, in aumento ed in diminuzione, utilizzate per riallocare gli imponibili nel tempo in applicazione della normativa fiscale. Tra quelle in aumento rientrano, in particolare, le quote costanti di plusvalenze e sopravvenienze attive imputabili all’esercizio, le rimanenze non contabilizzate, gli ammortamenti non deducibili, le svalutazioni e gli accantonamenti ai fondi tassati. Vi rientrano anche gli ammortamenti fiscali, ovvero gli ammortamenti anticipati ed accelerati, che pure sono normalmente dedotti in sede di determinazione del risultato economico di bilancio; - altre variazioni fiscali: si tratta di una categoria residuale che comprende le variazioni fiscali in aumento ed in diminuzione non indicate nelle categorie precedenti, aventi in prevalenza finalità di pulizia dei conti. Si noti che questa categoria corrisponde solo a quote marginali degli importi riportati ai righi denominati “altre variazioni in aumento” e “altre variazioni in diminuzione” in quanto la parte preponderante di detti importi è stata imputata alle categorie precedentemente enunciate. Tale imputazione si è resa necessaria dato il rilievo quantitativo delle “altre variazioni in aumento” ed “in diminuzione”. Si può osservare che nelle ultime tre categorie sono incluse variazioni che, per loro natura, provocano semplicemente una riattribuzione temporale o soggettiva degli imponibili, oppure provvedono a realizzare la pulizia dei conti. Per quantificare il carico Irpeg effettivo si è stabilito perciò di ignorare l’effetto di queste variazioni, in quanto esse ovviamente non comportano un effettivo e significativo alleggerimento o appesantimento fiscale sulla platea complessiva dei contribuenti; vale peraltro la pena di notare che, nel 1997 e con riferimento all’intero campione, l’effetto combinato di queste variazioni è consistito in una forte contrazione della base imponibile Irpeg. Tornando al punto ii), consideriamo qui le seguenti “correzioni” del risultato economico dichiarato in bilancio: variazioni antielusive, erosione e riporto delle perdite. I risultati dell’analisi sono sintetizzati nel flowchart che segue. 12/2000 il fisco 3253 ATTUALITÀ (A) RISULTATO ECONOMICO POTENZIALE: 100 evasione ed elusione non recuperate con verifiche: – 7,3 (B) = RISULTATO ECONOMICO DEFINITO: 92,7% Irpeg B su A: 37,4 evasione ed elusione definite dopo adesioni e sentenze: – 18,5 (C) = RISULTATO ECONOMICO DA BILANCIO: 74,2 AL LORDO DEGLI AMMORTAMENTI ANTICIPATI E ACCELERATI (2,4) limitazione deducibilità spese (auto, telefono, eccetera), compensi non corrisposti ad amministratori } variazioni antielusive: + 6,2 e agevolazioni, { esenzioni } Dit, liberalità deducibili agevolazioni erosive: – 4,1 { (D) = Risultato C al netto di erosione e variazioni antielusive: 76,3 Irpeg C su A: 31,6 Irpeg D su A: 31,9 riporto perdite esercizi precedenti: – 5,2 (E) = Risultato D al netto del riporto perdite: 71,1 (7) Tale percentuale è ottenuta, per ciascun aggregato, rapportando il gettito Irpeg dall’aggregato sul risultato economico potenziale totale e moltiplicando questo quoziente per 100. il fisco Come si può vedere, secondo queste stime, fatto pari a 100 lire il risultato economico potenziale, ben 18,5 lire evase o eluse sono recuperabili effettivamente tramite le verifiche generali a conclusione del procedimento da esse innescato; questo valore corrisponde a più del 70 per cento dell’evasione totale, mentre il rimanente 30 per cento (7,3 lire) resta non intercettabile con lo strumento della verifica generale. Al di là della ripartizione tra evasione/elusione definite ed evasione/elusione non recuperabili, alla perdita di imponibile determinata da questi fenomeni si aggiunge un’ulteriore diminuzione del reddito imponibile pari a circa 3 lire, determinata dal saldo algebrico di variazioni antielusive (+6,3), erosione (– 4,1) e riporto delle perdite (– 5,2). Per ciascuno degli aggregati, eccetto il risultato economico potenziale, viene calcolato il carico Irpeg ottenendo successivamente Irpeg su B, C, D ed E (7); Irpeg E su A: 30,6 a sua volta il gettito dell’Irpeg per ogni aggregato è la somma dell’Irpeg corrispondente per ogni impresa, pari al 37 per cento dell’aggregato calcolato per l’impresa se questo non è negativo oppure a 0 in caso l’aggregato sia negativo (vincolo di non negatività dell’imposta). Applicando questa metodologia, la pressione Irpeg effettiva, ovvero Irpeg su E, risulta pari a poco più del 30 per cento (8). Il vincolo di non negatività dell’imposta incide in modo determinante sui risultati e sull’interpretazione dell’Irpeg effettiva. In primo luogo, per effet- (8) In simboli, tale pressione effettiva è quindi pari a 1) Irpeg su E = (Gettito su E/Risultato economico potenziale) * 100 dove 2) Gettito su E= 0,37 * Ei se Ei ≥20 i =0 se Ei<0, i=singola impresa del campione dove Ei è il risultato economico E (ossia il risultato economico potenziale al netto di evasione, elusione, variazioni antielusive, erosione e riporto delle perdite) per la singola impresa del campione. 3254 il fisco 12/2000 Conclusioni Lo studio che qui si è brevemente presentato è stato svolto su una base dati di notevole ricchezza, costituita da tre tipologie di informazione su un campione di 500 imprese rappresentativo dell’universo delle società di capitali non finanziarie a fini di lucro: evasione ed elusione contestate in sede di verifica dalla Guardia di finanza e dal Dipartimento delle Entrate, dati fiscali analitici e completi e dati di bilancio. Al di là dei pur interessanti risultati in termini distributivi per dimensione di impresa, per area geografica e per altri fattori, che qui non si riportano per brevità, dallo studio sembrano emergere, perlomeno per l’anno d’imposta 1997 e per il sottoinsieme di imprese considerato: il fisco to di tale vincolo, Irpeg su A, che non è calcolabile esattamente, potrebbe essere mediamente pari al 37 per cento solo se tutte le imprese del campione avessero un risultato economico potenziale non negativo, il che, evidentemente, è pressoché impossibile. In presenza di risultati economici potenziali negativi Irpeg su A è sicuramente superiore al 37 per cento. La differenza tra Irpeg su B e Irpeg su E è la perdita di gettito conseguente all’evasione e all’elusione (recuperabili tramite verifiche fiscali), nonché all’erosione e all’applicazione di altre norme fiscali. Tale perdita di gettito è pari a poco meno di 7 punti di imponibile potenziale, vale a dire, rapportando le cifre all’universo delle 500.000 società di capitali, a circa 22 mila miliardi di lire per il 1997. Come è ovvio, date le proporzioni tra evasione ed elusione (25,8 per cento del risultato potenziale) e il valore netto delle variazioni antielusive, dell’erosione e del riporto delle perdite (3,1 per cento), la maggior parte di questa perdita di gettito deriva, nel 1997, dall’evasione e dall’elusione: la pressione Irpeg su C è pari a solo il 31,6 per cento del reddito imponibile. ATTUALITÀ - una pressione Irpeg effettiva sul risultato economico complessivo ante imposte a livelli accettabili (30,6 per cento), nonostante il 1997 fosse il primo anno di applicazione della Dit; - una pressione Irpeg sul risultato economico dichiarato che sale di un solo punto (31,6 per cento); - un livello di evasione ed elusione in senso stretto di entità non trascurabile (25,8 per cento da stime derivate dalla contabilità nazionale, 26 per cento contestata dai verificatori, 18,5 per cento stimata da questo studio tenuto conto anche dei tassi medi di caduta da contenzioso), che se assente alzerebbe la pressione Irpeg al 37,4 per cento (ma consentirebbe, più realisticamente, l’abbassamento delle aliquote di tassazione vigenti); - una parziale compensazione tra variazioni antielusive, che aumentano ai fini imponibili il risultato economico civilistico (+6,3 per cento), e variazioni in diminuzione di natura erosiva (– 4,1 per cento) o di riporto quinquennale delle perdite (–5,2 per cento) la cui risultante è una leggera diminuzione del reddito imponibile; - in ultimo va sottolineato il fatto, non osservabile nei dati qui presentati, che il carico Irpeg ottenuto tenendo conto anche delle variazioni fiscali di natura temporale e di quelle finalizzate ad evitare la doppia tassazione è pari a circa un quinto del risultato economico potenziale, ma quest’ultimo dato non costituirebbe un indicatore corretto della pressione Irpeg sulle società di capitali. ■ Cosa ha dato la rivista il fisco con i 48 numeri del 1999 su 15.404 pagine? 48 numeri di rivista 8 pockets legislativi (IVA - TUIR - CODICE CIVILE: BILANCIO SOCIETARIO - PRINCIPI CONTABILI - SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE RISCOSSIONE IMPOSTE - PRINCIPI DI COMPORTAMENTO, PRINCIPI CONTABILI - REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE) 10 raccolte autonome legislative tributarie con relativo contenitore 1999 9 dispense (dal n. 51 al n. 59) Corso teorico-pratico per la redazione del bilancio e della dichiarazione dei redditi - Quarta edizione 1997-1999 6 numeri della rivista “Rassegna di fiscalità internazionale” Allegato al n. 1 Legge finanziaria 1999 Allegato al n. 1 Modelli e istruzioni dichiarazione Iva 1998 Allegato al n. 3 Riscossione: i nuovi modelli di versamento Allegato al n. 4 Tassazione redditi di lavoro dipendente (Circolare n. 14/E dell’8 gennaio 1999) Allegato al n. 5 Accertamento tributario e segreto bancario Allegato al n. 6 Investire all’estero verso il duemila - n. 3: La Malaysia: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 8 Riforma o rivoluzione del sistema fiscale? Allegato al n. 12 Modello 730/99 con istruzioni Allegato al n. 13 Modello 770/99 con istruzioni - Dichiarazione per le ritenute, i contributi e i premi assicurativi Allegato al n. 13 Investire all’estero verso il duemila - n. 4: La Croazia: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 15 Nuova guida agli incentivi fiscali alle piccole e medie imprese commerciali e turistiche Allegato al n. 18 Modello UNICO 99 con istruzioni - Dichiarazione delle società di capitali, enti commerciali ed equiparati Allegato al n. 18 Investire all’estero verso il duemila - n. 5: Il Libano: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 20 Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale Allegato al n. 22 Le novità del Modello UNICO 99 - Società di capitali ed enti commerciali Allegato al n. 23 Assegnazione e cessione agevolata di beni ai soci nonché trasformazione agevolata in società semplice Allegato al n. 24 Irap 1999 con istruzioni Allegato al n. 24 Riscossione: le nuove cartelle di pagamento Allegato al n. 25 ICI 1999 - Versamento e dichiarazione Allegato al n. 28 Investire all’estero verso il duemila - n. 6: La Thailandia: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 29 Irap, imprese e lavoro autonomo Allegato al n. 31 Investire all’estero verso il duemila - n. 7: La Turchia: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 34 Investire all’estero verso il duemila - n. 8: L’Uzbekistan: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 36 Accise: accertamento, poteri, violazioni e sanzioni Allegato al n. 38 Investire all’estero verso il duemila - n. 9: Il Kazakstan: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 42 La nuova Convenzione Italia-USA Allegato al n. 43 Investire all’estero verso il duemila - n. 10: L’Egitto: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 44 e al n. 45 Metodologie di controllo differenziate per attività economiche dirette al consumatore finale (Parte prima e Parte seconda) Allegato al n. 45 Investire all’estero verso il duemila - n. 11: La Romania: aspetti economici, commerciali, tributari Allegato al n. 47 Politiche pubbliche per la famiglia E in più, ancora, 1.894 pagine con l’invio gratuito della rivista di dottrina RASSEGNA TRIBUTARIA! … Fate un confronto, vi convincerete sempre di più che è utile e indispensabile abbonarsi alla rivista “il fisco” 3256 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ 1° gennaio 2000 Recupero dell’anticipo Irpef sul Tfr Scritture contabili “Il comma 213 dell’art. 3 della L. 23 dicembre 1996, n. 662 stabilisce che detto credito d’imposta è utilizzabile dal datore di lavoro, all’atto della corresponsione dei trattamenti di fine rapporto, a decorrere dal 1° gennaio 2000, nelle seguenti misure: di Flavio Dezzani Prof. ordinario di Ragioneria nell’Università di Torino Dottore commercialista Dal 1° gennaio 2000 scatta il meccanismo di recupero dell’anticipo Irpef sul Tfr che le imprese hanno versato entro il 31 luglio ed il 30 novembre del 1997 e del 1998 sul trattamento di fine rapporto al 31 dicembre 1996 ed al 31 dicembre 1997 (art. 3, commi 211-213, della L. 23 dicembre 1996, n. 662) (1). Dalla circolare del Ministero delle finanze n. 196/E/III/5-1060 dell’8 luglio 1997 (in “il fisco” n. 29/1997, pag. 8246), vengono stralciate le seguenti istruzioni: Art. 3 Disposizioni in materia di entrata (commi da 211 a 213) 211. I soggetti indicati nell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, riguardante i sostituti d’imposta per i redditi da lavoro dipendente, sono tenuti al versamento di un importo pari al 5,89 e al 3,89 per cento dell’ammontare complessivo dei trattamenti di fine rapporto, di cui all’articolo 2120 del codice civile, maturati al 31 dicembre, rispettivamente, dell’anno 1996 e 1997, a titolo di acconto delle imposte dovute su tali trattamenti dai dipendenti. Ognuno dei predetti ammontari è comprensivo delle rivalutazioni ed è al netto delle somme già erogate a titolo di anticipazione fino al 31 dicembre di tali anni. Al versamento di ognuno degli importi di cui al presente comma non sono tenuti i soggetti indicati nell’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nonché quelli che alla data del 30 ottobre 1996 avevano un numero di dipendenti: a) non superiore a cinque, limitatamente al versamento del 2 per cento degli importi maturati al 31 dicembre 1996; b) non superiore a 15, limitatamente all’ulteriore versamento del 3,89 per cento degli importi maturati al 31 dicembre il fisco (1) L. 23 dicembre 1996, n. 662 - fino a concorrenza del 9,78 per cento dei trattamenti di fine rapporto; ovvero, se superiore: 1996, nonché alla prevista intera percentuale degli importi maturati al 31 dicembre 1997; b-bis) non superiore a 50, limitatamente all’ulteriore versamento del 3,89 per cento degli importi maturati al 31 dicembre 1996 relativi ai dieci dipendenti di più recente assunzione. 211-bis. Il versamento previsto dal comma 211 non è dovuto per tutti i dipendenti assunti successivamente al 30 ottobre 1996 che determinino incremento del numero degli addetti delle singole aziende. 211-ter. Sono parimenti escluse dal versamento le quote di accantonamento annuale del trattamento di fine rapporto comunque imputabili alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni e integrazioni. 212. Gli importi indicati al comma 211, da riportare nella dichiarazione prevista nell’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, relativa, rispettivamente, al 1997 e al 1998, vanno versati in parti uguali entro il 31 luglio e il 30 novembre dei predetti anni, con le modalità prescritte per il versamento delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente. 213. L’importo di cui al comma 211, nell’ammontare che risulta alla data del 31 dicembre di ogni anno, è rivalutato secondo i criteri previsti dal quarto comma dell’articolo 2120 del codice civile. Esso costituisce credito di imposta, da utilizzare per il versamento delle ritenute applicate sui trattamenti di fine rapporto corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2000, fino a concorrenza del 9,78 per cento di detti trattamenti, ovvero, se superiore, alla percentuale corrispondente al rapporto tra credito di imposta residuo a tale data e i trattamenti di fine rapporto risultanti alla stessa data. Se precedentemente al 1° gennaio 2000 il credito di imposta risulta superiore al 12 per cento dei trattamenti residui, l’eccedenza è utilizzata per il versamento delle ritenute applicate sui trattamenti la cui corresponsione determina detta eccedenza. 12/2000 il fisco 3257 ATTUALITÀ - fino a concorrenza della percentuale corrispondente al rapporto tra il credito d’imposta residuo alla data del 1° gennaio 2000 e i trattamenti di fine rapporto risultanti alla stessa data. Anno 2000 Occorre verificare se il rapporto credito d’imposta residuo/Tfr al 1° gennaio 2000 è superiore al 9,78 per cento: 78,49/667 = 11,77% > 9,78% il fisco La medesima norma stabilisce inoltre che qualora precedentemente al 1° gennaio 2000 il credito d’imposta risulti superiore al 12 per cento dei trattamenti residui, l’eccedenza è utilizzata per il versamento delle ritenute dovute sui trattamenti che hanno generato tale eccedenza. Pertanto, il credito d’imposta è utilizzato, a regime, all’atto del versamento delle ritenute operate sui trattamenti di fine rapporto corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2000, nelle misure sopra indicate. Tuttavia, se anteriormente al 1° gennaio 2000, il rapporto tra il credito d’imposta e l’ammontare del Tfr residuo, calcolato all’atto della corresponsione dei trattamenti di fine rapporto, è superiore al 12 per cento, l’eccedenza risultante è utilizzata in sede di versamento delle ritenute operate sui detti trattamenti. Alla stregua di quanto sopra esposto, il credito d’imposta può essere utilizzato, nella misura dell’eccedenza, già a decorrere dal 1° gennaio 1997 e quindi prima del termine previsto per l’effettivo versamento dell’anticipo. Ciò in quanto l’obbligazione tributaria nasce già al 31 dicembre 1996 (con riferimento all’anticipo dovuto sul Tfr maturato alla medesima data) ed è stabilito espressamente che l’importo (e quindi non il versamento) di cui al comma 211 costituisce credito d’imposta, come tale immediatamente utilizzabile. Allo stesso modo, ai fini del calcolo dell’eccedenza, a decorrere dal 1° gennaio 1998, si deve tenere conto del credito d’imposta residuo al 31 dicembre 1997, nonché del credito d’imposta derivante dall’importo dovuto sui trattamenti di fine rapporto maturati a quest’ultima data. Il datore di lavoro che, pur ricorrendone le condizioni, non utilizzi l’eccedenza in sede di versamento delle ritenute applicate sui trattamenti di fine rapporto la cui corresponsione determina l’eccedenza medesima, può comunque computare successivamente la predetta somma ai fini del calcolo dell’eccedenza ed utilizzarla. Dal 1° gennaio 2000 il meccanismo di recupero del credito d’imposta prevede l’applicazione, ai trattamenti corrisposti a decorrere dalla stessa data, della percentuale corrispondente al rapporto tra credito d’imposta residuo e trattamenti di fine rapporto risultanti al 1° gennaio 2000, qualora essa risulti superiore al 9,78 per cento dei trattamenti medesimi. Pertanto, al fine di evitare artificiosi aumenti del predetto rapporto, per la determinazione di detta percentuale, il credito d’imposta risultante al 1° gennaio 2000 deve essere depurato dell’ammontare dell’eccedenza che non è stata utilizzata. Esempio: pertanto, il credito d’imposta è utilizzabile fino a concorrenza dell’11,77 per cento dei Tfr corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2000”. Versamento degli acconti Irpef Questi acconti sono stati iscritti nella voce “Crediti” delle “Immobilizzazioni finanziarie” (B III n. 2) dello stato patrimoniale della società al 31 dicembre 1997 ed al 31 dicembre 1998, in quanto rappresentano dei crediti verso l’Erario da rivalutarsi alla data del 31 dicembre di ogni anno secondo i criteri previsti dal comma 4 dell’art. 2120 del codice civile. La rivalutazione si ottiene applicando un tasso fisso dell’1,5 per cento maggiorato del 75 per cento della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente. Detto provento - che concorre a formare il reddito imponibile (circolare ministeriale n. 196/E dell’8 luglio 1997) - deve essere imputato al conto economico alla voce “C) Proventi e oneri finanziari”: n. 16 altri proventi finanziari, lettera a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni. Le scritture contabili sono le seguenti: a) versamento dell’acconto Irpef sul Tfr: Crediti finanziari a Banca c/c ……… b) contabilizzazione del provento sul credito: Crediti finanziari a Proventi finanziari ……… 3258 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ Nel bilancio al 31 dicembre 1999, l’acconto Irpef sul Tfr ed il relativo provento devono essere così rappresentati: Stato patrimoniale B) Immobilizzazioni .......... .......... III) Immobilizzazioni finanziarie .......... C) Trattamento di rapporto di lavoro subordinato 2) Crediti .......... d) verso altri 50.000 A) 5.200 A Conto economico A) Valore della produzione .......... B) Costi della produzione .......... C) Proventi ed oneri finanziari .......... .......... 16) altri proventi finanziari 200 Recupero dell’anticipo Irpef Dal 1° gennaio 2000 scatta il meccanismo ordinario di recupero dell’acconto Irpef sul Tfr. Le scritture contabili sono le seguenti: 1) liquidazione del Tfr ai dipendenti: Fondo Tfr a a a Diversi Banca c/c Erario c/ritenute a a a Diversi Banca c/c Criteri finanziari ……… ……… ……… ===== 2) recupero dell’anticipo Irpef: Erario c/ritenute ……… ……… ……… ===== ■ 12/2000 il fisco 3259 ATTUALITÀ Il termine per l’iscrizione a ruolo dell’Iva nel regime previgente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46/1999 di Francesco Maria Fioretti Consigliere Corte di Cassazione Il problema Il problema che ci si propone di indagare è se il termine, previsto a pena di decadenza dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (in vigore fino al 30 giugno 1999) per l’iscrizione a ruolo delle imposte dirette, liquidate in base agli accertamenti degli uffici, sia applicabile anche per l’iscrizione a ruolo dell’Iva. Il quadro normativo di riferimento a) il servizio, da istituire nell’ambito del Ministero delle finanze come ufficio centrale alle dipendenze del Ministro, dovrà provvedere alla riscossione dei tributi che secondo le leggi vigenti all’entrata in vigore della presente legge sono riscossi tramite esattorie e alla riscossione coattiva, in dipendenza di atto avente efficacia di titolo esecutivo, dell’imposta sul valore aggiunto, delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, delle imposte sulle successioni e donazioni, dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, delle imposte di fabbricazione, delle imposte erariali di consumo e dei diritti doganali nonché alla riscos- il fisco L’art. 1, lettera a), della L. 4 ottobre 1986, n. 657 dispone: “Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare le disposizioni occorrenti per l’istituzione e la disciplina del servizio di riscossione dei tributi secondo i seguenti principi e criteri direttivi: sione delle pene pecuniarie, delle soprattasse e di ogni altro accessorio relativi ai predetti tributi;”. L’art. 2, comma 2, della citata L. n. 657/1986 dispone: “Nell’esercizio della delega saranno rivedute le vigenti disposizioni sulla riscossione dei tributi e delle altre entrate indicati alle lettere a), b) e c) del precedente art. 1 e quelle relative ai servizi della riscossione al fine di coordinarle con le norme emanate in attuazione della delega contenuta nello stesso articolo e assicurare uniformità di procedure esecutive ispirate a criteri di semplicità e funzionalità”. Con il D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, emanato ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge sopra indicata, si provvedeva alla istituzione del servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici. L’art. 63 del citato decreto del Presidente della Repubblica disciplina la riscossione mediante ruoli delle entrate già riscosse tramite esattorie (cioè la riscossione delle imposte sui redditi), disponendo al comma 4 che per la riscossione coattiva di tali entrate “continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni”. Il successivo art. 67 disciplina la riscossione coattiva delle tasse e delle imposte indirette, tra le quali l’imposta sul valore aggiunto, stabilendone al comma 2 le modalità. Tale comma dispone, tra l’altro, che l’ufficio finanziario competente forma il ruolo relativo ai contribuenti per i quali si procede alla riscossione coattiva “ai sensi dell’art. 11, terzo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602” (la parte compresa tra le virgolette è stata aggiunta dall’art. 3, comma 11, del D.L. 30 dicembre 1991, n. 417, con- 3260 il fisco 12/2000 L’art. 23 del citato D.Lgs. n. 46/1999 dispone: “Le disposizioni previste dall’art. 17 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come sostituito dall’art. 6 del presente decreto, si applicano esclusivamente alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto.” Infine, l’art. 68 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 ha abrogato, con effetto dal 1° luglio 1999, il D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43. Questo il complesso quadro normativo di riferimento. La tesi dell’Amministrazione finanziaria il fisco vertito, con modificazioni nella L. 6 febbraio 1992, n. 66), e che con decreto del Ministro delle finanze sono stabiliti tempi, procedure e criteri per la redazione e la trasmissione dei suddetti ruoli e per la compilazione meccanografica degli stessi da parte del consorzio nazionale obbligatorio tra i concessionari della riscossione. L’art. 130, comma 2, del menzionato D.P.R. n 43/1988, dispone che “Sono abrogate, altresì, tutte le disposizioni che regolano, mediante rinvio al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, la riscossione coattiva delle imposte ... di cui agli artt. 67 ... ed ogni altra norma incompatibile con la riscossione disciplinata dal presente decreto...”. L’art. 1 del D.M. 28 dicembre 1989 (recante istruzioni per la redazione, la trasmissione e la compilazione meccanografica dei ruoli e adempimenti contabili a carico degli agenti della riscossione per la riscossione coattiva di tasse, imposte indirette, tributi locali ed altre entrate) - successivamente modificato dai decreti ministeriali 11 maggio 1990 e 10 gennaio 1991 - dispone che “La riscossione coattiva, in dipendenza di provvedimento avente efficacia di titolo esecutivo dell’imposta sul valore aggiunto ... deve avvenire con le modalità ed i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602...”. L’art. 14 del citato decreto ministeriale dispone che “Per gli adempimenti connessi alla emissione della cartella di pagamento, alla notificazione della stessa, al tempo, al luogo e ai modi di pagamento, nonché al rilascio della quietanza, devono essere rispettate le disposizioni di cui agli artt. dal 25 al 29, escluso l’art. 28-bis, del D.P.R. n. 602 del 1973”. L’art. 17 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come sostituito dall’art. 6 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), con effetto dal 1° luglio 1999, dispone: “Le somme dovute dai contribuenti sono iscritte in ruoli resi esecutivi a pena di decadenza: a) entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; b) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’art. 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; c) entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”. ATTUALITÀ L’art. 17, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, vigente fino al 30 giugno 1999, disponeva che “Le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base agli accertamenti degli uffici devono essere iscritte in ruoli formati e consegnati all’intendenza di finanza, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo”. L’art. 17, lettera c), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, vigente dal 1° luglio 1999, introdotto dall’art. 6 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, dispone che le somme dovute dai contribuenti sono iscritte in ruoli esecutivi a pena di decadenza “entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”. L’art. 23 del citato decreto legislativo stabilisce che le disposizioni dell’art. 17 del D.P.R. n. 602/1973, come sostituito dall’art. 6 summenzionato, “si applicano esclusivamente alle imposte sui redditi ed all’imposta sul valore aggiunto”. Nella circolare del Ministero delle finanze 17 settembre 1999, n. 186/E (in “il fisco” n. 35/1999, pag. 11441), si osserva: - che l’art. 17, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 su riportato, limitatamente ai termini di riscossione delle imposte dirette da accertamento, conteneva una previsione analoga a quella del “nuovo” art. 17, lettera c); - che tale ultima norma, per espressa disposizione dell’art. 23 del D.Lgs. n. 46/1999, oltre che alle imposte sui redditi si applica anche all’Iva; - che da tale innovazione si debbono trarre due conseguenze: 1) che per l’Iva (alla quale in precedenza si applicava la prescrizione ordinaria decennale) il citato decreto legislativo ha mutato il precedente assetto normativo [anche in considerazione del fatto che nel D.Lgs. n. 46/1999 mancano disposizioni attributive di efficacia retroattiva al citato art. 17, lettera c)] e che, quindi, trattasi di disposizione avente portata innovativa e, come tale, deve essere applicata soltanto a partire dal 1° luglio 1999; 2) che per tutti gli altri tributi restano fermi i termini prescrizionali di riscossione dettati dalle singole norme di settore; - che anche per quanto riguarda gli avvisi di rettifica e di irrogazione di sanzioni Iva divenuti definitivi antecedentemente al 1° luglio 1999, per i quali a tale data non sia ancora provveduto a riscossione, deve applicarsi la nuova normativa, 12/2000 il fisco 3261 ATTUALITÀ computando, però, il termine previsto per la iscrizione a ruolo a partire dal 1° luglio 1999. Osservazioni conclusive il fisco È agevole rilevare che l’Amministrazione finanziaria è pervenuta alle conclusioni surriportate senza minimamente esaminare la legislazione pregressa; l’esame sistematico della normativa precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46/1999, a sommesso avviso dello scrivente, impone di pervenire a ben altre conclusioni. L’art. 67 del D.P.R. n. 43 del 1988, per la riscossione coattiva dell’Iva sostituì all’ingiunzione di pagamento, vidimata e resa esecutiva dal pretore, l’iscrizione a ruolo, demandando ad apposito decreto del Ministero delle finanze di stabilire tempi, procedure e criteri per la redazione dei ruoli; nel contempo l’art. 130, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica con il disporre l’abrogazione di tutte le disposizioni regolanti mediante rinvio al R.D. 14 aprile 1910, la riscossione coattiva delle imposte, abrogava anche i commi 1 e 2 dell’art. 62 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che disciplinavano la riscossione coattiva mediante ingiunzione fiscale. L’art. 1, del D.M 28 dicembre 1989, emanato in attuazione dell’art. 67 del D.P.R. n. 43/1988 stabilì che la riscossione coattiva dell’imposta sul valore aggiunto doveva avvenire con le modalità ed i termini previsti dal D.P.R 29 settembre 1973, n. 602 e l’art. 14 dello stesso decreto ministeriale rinviò a disposizioni del citato decreto del Presidente della Repubblica per gli adempimenti connessi all’emissione della cartella di pagamento (che è notoriamente l’atto con cui si procede alla notificazione del ruolo al contribuente) ed alla notificazione della stessa. Tra i termini previsti dal D.P.R. n. 602/1973 rientrava senz’altro anche quello previsto dal comma 3 dell’art. 17 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica, per cui anche i ruoli per la riscossione dell’imposta sul valore aggiunto, liquidata in base ad accertamenti dell’ufficio, dovevano essere formati e consegnati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento era divenuto definitivo. Stante quanto precede, non può condividersi la interpretazione dell’art. 23 del D.Lgs. n. 46/1999, data dall’Amministrazione finanziaria, la quale ritiene che tale disposizione abbia esteso anche all’Iva il termine di decadenza del 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è divenuto definitivo l’accertamento, per procedere all’iscrizione a ruolo dell’imposta dovuta. Tale disposizione, tenuto conto di quanto su esposto e letta, in particolare, in relazione all’art. 67 del D.P.R. n. 43 del 1988, che introdusse lo strumento dell’iscrizione a ruolo per la riscossione coattiva delle imposte indirette, ed all’art. 1 del D.M. 28 dicembre 1989 che stabili che la riscossione coattiva di tali imposte doveva avvenire con le modalità ed i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non ha, come pretende l’Amministrazione, portata estensiva dell’applicazione del termine e della decadenza previsti dal comma 3 dell’art. 17 del D.P.R. n. 602/1973 (come in vigore fino al 30 giugno 1999), bensì limitativa. Con il prevedere che le disposizioni previste dall’art. 17 del D.P.R. n. 602/1973 nella nuova formulazione si applicano esclusivamente alle imposte sui redditi ed all’imposta sul valore aggiunto, l’art. 23 del D.Lgs. n. 46/1999 ha inteso, per quanto riguarda la disposizione di cui alla lettera c), limitarla a detti due tributi, chiarendo così che, nonostante il richiamo del D.P.R. n. 602/1973, operato per gli altri tributi dall’art. 1 del D.M. 28 dicembre 1989, la norma non è applicabile anche a questi ultimi. In mancanza della norma dell’art. 23 sopra citato, infatti, l’applicabilità del menzionato art. 17, lettera c), non solo poteva dedursi dal richiamo fatto dall’art. 1 del citato decreto ministeriale al D.P.R. n. 602/1973, ma anche da specifiche previsioni comprese nella disciplina di alcune imposte indirette, come, ad esempio: l’art. 41 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) il quale statuisce che “Per la riscossione coattiva dell’imposta e delle sanzioni amministrative si applicano le disposizioni del Titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43...”; l’art. 14, comma 1, del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (testo unico delle disposizioni legislative concernenti “Le imposte sulla produzione e sui consumi), il quale stabilisce che “Le somme dovute a titolo d’imposta o indebitamente abbuonate o restituite si esigono con la procedura di riscossione coattiva prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43, e successive modificazioni...”. ■ 3262 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ Il liticonsorzio necessario nel processo tributario Un istituto ancora privo di fisionomia Casi veri o presunti di liticonsorzio necessario di Luigi Visconti Avvocato in Roma due commi del citato articolo, che così testualmente stabiliscono: L’art. 14 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (1), in attuazione di una espressa previsione contenuta nella legge delega, detta la disciplina degli istituti del litisconsorzio necessario e dell’intervento nel processo tributario, di cui peraltro, sotto il vigore della precedente disciplina, era stata già riconosciuta l’applicabilità anche nei giudizi dinanzi alle Commissioni tributarie. “1. Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. 2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza”. La disciplina è chiaramente mutuata da quella del litisconsorzio necessario contenuta nell’art. 102 del codice di procedura civile, che testualmente stabilisce: 1. Per quanto riguarda specificamente il litisconsorzio, la relativa disciplina è contenuta nei primi Art. 14 Litisconsorzio ed intervento 1. Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. 2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza. 3. Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso. 4. Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili. 5. I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente. 6. Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse al momento della costituzione è già deciso il termine di decadenza. il fisco (1) D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste devono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito”. Oltre che nei casi in cui è la stessa legge che lo prescrive - anche per motivi di mera opportunità - la dottrina ritiene che nel processo civile in genere danno luogo a litisconsorzio necessario le azioni costitutive che si riferiscono ad un mutamento di uno stato giuridico che non può operarsi che nei confronti di tutti i soggetti coinvolti (ad esempio, l’azione di scioglimento della comunione). Viceversa si ritiene che non determinano il litisconsorzio necessario le azioni di condanna in quanto esse tendono ad ottenere una prestazione 12/2000 il fisco 3263 ATTUALITÀ 2. I criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nell’ambito del processo civile non possono essere applicati tout court al processo tributario, sia per le caratteristiche di quest’ultimo, sia anche per la natura pubblicistica dei rapporti che ne formano oggetto, spesso caratterizzati da situazioni complesse in cui più soggetti sono interessati all’atto di imposizione, ma in posizione e per titoli differenti. il fisco che può essere data separatamente da ciascuno degli obbligati. La giurisprudenza a sua volta include nel litisconsorzio necessario, non solo le azioni che tendono al mutamento di un rapporto o stato giuridico, ma anche le controversie che, più in generale, hanno per oggetto un rapporto giuridico indivisibile, che cioè non può esistere che in un unico modo nei confronti di più soggetti. Il litisconsorzio, in altri termini, sarebbe necessario quando la sentenza, se resa soltanto nei confronti di alcuni soggetti, sarebbe inutiliter data cioè, inidonea a produrre effetti tra coloro che hanno partecipato al giudizio. L’inscindibilità di cui parla la norma deve essere intesa, quindi, come una impossibilità logico-giuridica di pervenire ad una decisione del giudizio idonea a produrre effetti giuridici senza la presenza di tutti i soggetti interessati. Orbene, poiché la regola che serve a individuare i soggetti che devono partecipare al giudizio è quella della legittimazione ad agire e poiché in forza di tale regola legittimati a partecipare al processo sono i titolari attivi o passivi del rapporto sostanziale che si fa valere in giudizio, ne consegue che il litisconsorzio necessario riguarda esclusivamente ipotesi in cui il rapporto sostanziale che forma oggetto del processo ha più soggetti dal lato attivo o da quello passivo, o da entrambi. La pluralità dei soggetti è tuttavia una condizione essenziale ma non sufficiente, essendo anche necessario che il provvedimento richiesto al giudice riguardi situazioni giuridiche che possono essere create o modificate esclusivamente nei confronti della totalità dei soggetti interessati e non solo nei confronti di alcuni di essi. Ed a tale ultimo concetto si richiama in qualche modo la circolare del Ministero delle finanze, 23 aprile 1996, n. 98/E (in “il fisco” n. 18/1996, pag. 4526), nel punto in cui commenta i primi due commi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546. Nella citata circolare si legge infatti: “circa l’inscindibilità tra più soggetti richiamata dalla norma, si precisa che trattasi di una necessaria compresenza nel rapporto processuale di una pluralità di soggetti che costituiscono un’unica parte del processo tributario”. Il richiamo alla necessaria compresenza nel rapporto processuale di più soggetti è, tuttavia, una formula generica non idonea ad individuare in concreto i casi di litisconsorzio. In effetti la disciplina contenuta nei primi due commi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992, si configura, al pari di quella dell’art. 102 del codice di procedura civile, come una tipica norma in bianco, cioè una norma il cui contenuto generico va necessariamente integrato sulla base di altre disposizioni normative, ovvero va determinato dal giudice sulla base di criteri logico-giuridici dedotti dal complesso dell’ordinamento, con specifico riferimento alla branca di esso a cui appartengono i rapporti dedotti in giudizio. Se così è, allora si tratta di ricercare nell’ambito dell’ordinamento giuridico, e di quello tributario in particolare, quali sono i presupposti perché in una controversia d’imposta dinanzi alle Commissioni tributarie si configuri l’ipotesi del litisconsorzio necessario, per il fatto che l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti. L’oggetto del ricorso cui si riferisce la norma, se inteso in senso tecnico, è il provvedimento che si chiede al giudice e detto provvedimento è costituito di solito dall’annullamento dell’atto di impugnazione (cioè un provvedimento di tipo costitutivo), ma può anche consistere in una condanna alla restituzione delle somme indebitamente pagate (ipotesi questa espressamente contemplata ora dall’art. 69 del D.Lgs. n. 546). Orbene se si volessero applicare nel processo tributario i principi elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nell’ambito del processo civile, si dovrebbe concludere che in tutti i casi in cui il processo tributario ha per oggetto un atto di annullamento dell’imposizione a cui sono interessati più soggetti passivi si determina sempre una ipotesi di litisconsorzio necessario. Tale conclusione, tuttavia, è decisamente respinta dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina del contenzioso tributario, la dottrina e la giurisprudenza erano orientate a negare che nella ipotesi di solidarietà tributaria si dovesse applicare l’istituto del litisconsorzio necessario (2). In particolare era stato ritenuto che non sussistesse litisconsorzio sia nel caso delle controversie in materia di imposta di registro sui contratti (al cui pagamento sono solidalmente obbligate ambedue le parti), che nelle controversie in materia di imposta di successione in presenza di una pluralità di eredi. Più in generale la dottrina prevalente negava che in campo tributario si potessero individuare casi concreti di litisconsorzio necessario di natura sostanziale e tale opinione non è mutata con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 546. 3. Esiste, tuttavia, un caso nel quale la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione ha ritenuto che sussista il litisconsorzio necessario anche nel processo tributario ed è quello delle con(2) In tal senso, fra l’altro: Cass. n. 6426 del 23 luglio 1987 (in “il fisco” n. 40/1987, pag. 6274). 3264 il fisco 12/2000 (3) In tal senso, fra le altre: Cass., SS.UU., 7 ottobre 1994, n. 8194 e 27 ottobre 1993, n. 10685 (in “il fisco” n. 9/1994, pag. 2343). (4) In tal senso, fra le altre: Cass., 16 giugno 1987, n. 5344. (5) In tal senso: Cass., SS.UU., 5 febbraio 1988, n. 1200 (in “il fisco” n. 14/1988, pag. 2243). il fisco troversie promosse dal sostituito d’imposta nei confronti del sostituto per pretendere il pagamento di quella parte del suo credito che il convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d’imposta (sia essa d’acconto o a titolo definitivo) (3). In questi casi, per un lungo periodo di tempo, la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva ritenuto che la controversia fosse di competenza dell’Autorità giudiziaria ordinaria, in quanto il rapporto fra sostituto e sostituito ha carattere privatistico e non tributario. Viceversa, si riconosceva che fossero di competenza delle Commissioni, perché di carattere tributario, le controversie promosse dal sostituto o dal sostituito nei confronti della Amministrazione finanziaria per ottenere il riconoscimento del diritto al rimborso della ritenuta indebitamente effettuata (4). Tale indirizzo è stato completamente modificato a partire dalla fine degli anni ottanta, allorché la Corte di Cassazione pervenne alla conclusione che “il giudice ordinario non può pronunciarsi sulla legittimità della ritenuta non soltanto in via principale con efficacia vincolante verso l’Amministrazione finanziaria, ma neppure incidenter tantum, con effetti limitati alle parti private” (5). Fra gli argomenti coi quali la Corte di Cassazione giustificò il nuovo indirizzo, merita di essere sottolineato quello basato sul fatto che l’orientamento precedente conduceva al risultato di esporre colui che ha effettuato la ritenuta al rischio di pagare due volte la stessa somma, in base a due pronunce contrastanti provenienti da due giudici diversi (il civile nel processo fra sostituto e sostituito e quello tributario nel processo fra sostituto e Amministrazione finanziaria). È evidente che tale argomento trova fondamento soprattutto in considerazioni di carattere pratico, e nella consapevolezza della irrazionalità e sostanziale ingiustizia dei risultati a cui poteva condurre il riconoscimento di una competenza giurisdizionale del giudice ordinario a conoscere delle controversie fra sostituito e sostituto circa la legittimità delle ritenute effettuate. Il cambiamento di indirizzo giurisprudenziale è, quindi, la conseguenza di un mutamento profondo della prospettiva con cui viene esaminato il problema e denota il progressivo affermarsi dell’idea che alcune questioni di carattere processuale in materia tributaria non possono essere risolte sulla scorta di regole tecnico-giuridiche elaborate in altri campi del diritto, ma devono essere esaminate anche alla luce dei principi costituzionali di ragio- ATTUALITÀ nevolezza dell’imposizione e dell’imparzialità e giustizia dell’azione amministrativa. Di tale mutato orientamento è possibile trovare una significativa conferma anche nella sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 7053 del 22 giugno 1991 (in “il fisco” n. 27/1991, pag. 4550), con la quale, accogliendo un preciso segnale della Corte Costituzionale (ordinanze n. 544 del 17 dicembre 1987 e n. 870 del 21 luglio 1988), la Suprema Corte statuiva il principio che il condebitore rimasto estraneo al giudizio può giovarsi del giudicato favorevole ottenuto da uno degli altri condebitori. In questa circostanza la Corte di Cassazione individuò nel principio della capacità contributiva, sancito dall’art. 53 della Costituzione, l’argomento decisivo a favore della conclusione accolta. Il mutato indirizzo giurisprudenziale non ha avuto fino ad oggi una compiuta evoluzione ed allo stato non si è ancora pervenuti ad una adeguata e sistematica enucleazione di principi idonei a risolvere le numerose e complesse problematiche che si possono presentare nella fase contenziosa allorché l’obbligazione tributaria coinvolge a vario titolo diversi soggetti. Si pensi ai casi delle imposte con obbligo di rivalsa caratterizzate dal fatto che il soggetto economicamente inciso è diverso da quello che assume la qualifica di parte del rapporto tributario (come è il caso dell’Iva) ed ai problemi che si pongono in caso di controversie instaurate in sede civile dai soggetti che hanno subito la rivalsa nei confronti del fornitore o produttore in merito alla legittimità dell’applicazione del tributo. Neppure la nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 546/1992 ha contribuito a superare le numerose incertezze. In effetti il decreto si è limitato a introdurre in modo espresso nel contenzioso dinanzi alle Commissioni gli istituti del litisconsorzio necessario e dell’intervento volontario, con una norma chiaramente derivata da quella del codice di procedura civile, che ad un attento esame si è rivelata assolutamente inidonea ad assumere un contenuto precettivo concreto. C’è motivo di pensare che l’introduzione nel processo tributario di un istituto modellato sullo schema di quello del processo civile rappresenti in qualche modo un trapianto fra organismi diversi, perciò destinato all’insuccesso. Pertanto, a meno che non si voglia superare il dato normativo per riconoscere al giudice il potere di sancire il litisconsorzio necessario in tutti i casi nei quali egli ne ravvisi l’opportunità, bisogna convenire con la dottrina prevalente che difficilmente nel processo tributario si verificano casi di rapporti plurisoggettivi inscindibili, nei quali è necessario che la sentenza venga pronunciata nei confronti di tutti gli interessati. L’ostacolo insuperabile è rappresentato dal fatto che, ai sensi del comma 1 dell’art. 14 più volte citato, l’oggetto del ricorso deve riguardare inscindibilmente più soggetti e ciò non si verifica né nel caso di solidarietà tributaria, né nel caso di 12/2000 il fisco 3265 ATTUALITÀ il fisco sostituzione tributaria, né tanto meno nei casi in cui il soggetto passivo di imposta è diverso dal soggetto che subisce gli effetti economici del tributo. Sono tutte ipotesi nelle quali l’imposizione coinvolge gli interessi di più soggetti, senza però creare situazioni giuridiche plurisoggettive assimilabili a quelle che nel diritto civile determinano il litisconsorzio necessario. Allo stato della normativa, quindi, non solo non vi è la possibilità di dare una soluzione soddisfacente ad alcune problematiche, ma esiste il rischio di un’estensione abnorme da parte della giurisprudenza dell’istituto del litisconsorzio a fattispecie per le quali mancano del tutto le condizioni ed i presupposti. Una conferma di ciò è fornita dalla recentissima sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I civ., 23 novembre 1999, n. 12991 (in “il fisco” n. 11/2000, pag. 3199), con la quale è stato affermato che nella controversia fra Amministrazione finanziaria e sostituito (percettore delle somme), sulla tassabilità di alcune somme pagate dal sostituto, anche quest’ultimo deve intervenire come liticonsorte necessario ai fini della pienezza del contraddittorio. Si tratta di una sentenza, priva di precedenti in termini, che, trascurando la diversità delle situazioni giuridiche sostanziali, estende ad una fattispecie in qualche modo opposta le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza in materia di controversia fra sostituito e sostituto per la restituzione della ritenuta. Le motivazioni giuridiche sono in ogni caso poco chiare ed assolutamente non convincenti. A conclusione di questo rapido excursus sulle problematiche del litisconsorzio necessario, si ritiene utile prendere in esame il caso, molto frequente nella pratica, del ricorso proposto dal soggetto che ha subito le ritenute, contro il rifiuto espresso o tacito dell’Amministrazione finanziaria al rimborso delle ritenute, richiesto ai sensi dell’art. 38, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973. Il problema da esaminare è quello relativo alla eventuale sussistenza di un litisconsorzio necessario. La conclusione cui si ritiene di dover pervenire è che in questo caso manchino completamente i presupposti per affermare la sussistenza di un litisconsorzio necessario e che il giudizio debba svolgersi unicamente fra il sostituito e l’Amministrazione finanziaria, in quanto il provvedimento che il giudice tributario è chiamato a prendere (riconoscimento del diritto al rimborso e relativa condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle somme) è destinato a spiegare i suoi effetti unicamente nei confronti del sostituito senza alcun riflesso per il soggetto (sostituto) che ha effettuato le ritenute. In effetti, il comma 2 dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, prevede espressamente il potere da parte del sostituito di agire in via autonoma direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria per ottenere il rimborso delle ritenute che egli assuma di avere subito illegittimamente. La norma in questione sancisce quindi la titolarità per il sostituito di un diritto al recupero della imposizione indebitamente subita, che prescinde completamente dal rapporto di sostituzione in forza del quale l’erogatore delle somme ha effettuato il prelievo per conto dello Stato. La sentenza che accoglie o respinge il ricorso è destinata ad esaurire i suoi effetti nei confronti del sostituito (6). Pertanto, non sussiste litisconsorzio necessario perché l’oggetto del ricorso non riguarda inscindibilmente più soggetti, come richiede il comma 1 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992. ■ (6) Il sostituito potrebbe essere sentito in questo tipo di giudizio soltanto come testimone, qualora la prova testimoniale fosse ammessa nel processo tributario; come è noto, tuttavia, ciò non è previsto dall’attuale normativa del procedimento presso le Commissioni tributarie. 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Secondo uno studio condotto dalla Johns Hopkins University di Baltimora, il non profit costituisce, a livello mondiale, un’industria con volume d’affari di circa 1.100 miliardi di dollari, con circa 19 milioni di occupati (esclusi i volontari), operante nei servizi sociali, nel settore ricreativo ed ambientale, dell’istruzione e della salute (4). Premessa (1) L’espressione “terzo settore” fu usata, per la prima volta, nel rapporto Un progetto per l’Europa, prodotto da Jacques Delors, in ambito comunitario, nel 1988. Tale espressione pone l’accento sulla nascita di una realtà economica che si pone a metà strada tra settore pubblico e settore privato, presentando - quanto all’impegno sociale, culturale ed ambientale - caratteri e finalità propri del primo e - quanto al modello di organizzazione aziendale - l’assetto economico-produttivo proprio del secondo. (2) Cfr. Abrahmson-Salamon, The non-profit sector and the new federal budget, Washington D.C., 1986, pagg. 81-87; Anheier-Seibel, The third sector. Comparative studies of non profit organizations, Leiden, 1990, pagg. 20-21. Secondo il Centro informativo del Dipartimento Entrate del Ministero delle finan- il fisco Le Onlus (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale) costituiscono un sotto-insieme del più vasto ambito del cosiddetto non profit, o “terzo settore”, che negli ultimi due decenni è venuto all’attenzione degli studiosi di varie discipline (giuridiche, sociologiche, economico-aziendali), in concomitanza con il progressivo smantellamento dello Stato sociale (1). Il termine non profit, di derivazione anglosassone, indica, appunto, le organizzazioni not for profit, cioè non aventi scopo di lucro e rivolte ad attività tradizionalmente demandate allo Stato. È per questo che le organizzazioni di questo tipo sono anche dette State oriented, in contrapposizione alle organizzazioni for profit, che operano invece per il mercato (e che perciò sono denominate market oriented) (2). ze, alla fine dei 1999, in Italia, erano 16.083 le richieste d’iscrizione all’Anagrafe unica delle Onlus, dato questo cui vanno aggiunte le Onlus “di diritto” che, in quanto tali, non sono tenute ad inviare nessuna comunicazione, ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 460/1997. (3) Che le istituzioni religiose vadano ricomprese nell’alveo delle “aziende non profit” è sostenuto, da ultimo, da Fiorentini-Slavazza, La Chiesa come azienda non profit, Milano, 1998; Cfr., in particolare, pagg. 31-39, ove gli Autori riprendono la classificazione di Cassler, The economic of non-profit enterprise, Baltimora, 1986, pag. 42, degli enti non-profit in: 1) Agenzie di raccolta fondi; 2) Organizzazioni di produzione per i propri membri; 3) Organizzazioni di produzione per l’esterno; 4) Congregazioni religiose. (4) Si tratta del The Johns Hopkins comparative non profit sector project, presentato a Bruxelles il 5 novembre 1998. Per un commento dei relativi risultati, cfr. Jesi, Non-profit, l’ottava potenza mondiale, in “Il Sole-24 Ore” del 16 novembre 1998, pag. 10. Secondo i dati pubblicati da “Indico 3”, nel 1998, in Italia sono presenti 4.250 cooperative sociali, 130 organizzazioni non governative, circa 10.600 associazioni di volontariato. Secondo la stessa fonte, il terzo settore impiega, in Italia, oltre 690.000 persone ed in esso operano oltre 5 milioni di 3268 il fisco 12/2000 volontari. Cfr., in proposito, ancora Jesi, Il terzo settore vale 690mila occupati, in “Il Sole-24 Ore” dell’8 novembre 1999, pag. 11. (5) Cfr., in proposito C. Bianchi, Qualche notazione sul terzo settore, in “Il modello aziendale come modello di economicità”, Roma, 1998, pagg. 125-129, il quale nega che gli enti non profit possano costituire un modello aziendale autonomo. Quanto alla compatibilità di tali enti con un regime di concorrenza, cfr. le preoccupazioni espresse da Gobbo, Le non profit organizations e la tutela della concorrenza, in “Rivista di politica economica”, ottobre 1997. (6) Cfr. Tabet, Onlus - profili soggettivi della fattispecie, in “Il fisco” n. 8/1998, pagg. 2888 e seguenti, che attribuisce al D.Lgs. n. 460/1997 il merito di aver finalmente delimitato i presupposti soggettivi per le agevolazioni fiscali ed anche i caratteri distintivi della specie delle Onlus dal genus del non profit. il fisco La vastità del fenomeno ha condotto qualche autore a domandarsi se gli enti non profit costituiscano un modello “a sé” di organizzazione aziendale e se le attività da essi poste in essere siano compatibili con una logica di concorrenza, atteso che essi si presentano comunque come “aziende”, destinate ad operare sul mercato, ancorché non spinte da finalità lucrative (5). È stato anche evidenziato come la tematica del non profit sfugga alla netta ripartizione, fissata dal legislatore del codice civile, tra enti cosiddetti “morali”, disciplinati nel Libro I, ed enti a scopo di lucro, compresi nel Libro V. Difficile anche l’inquadramento degli enti in parola nel sistema tributario uscito dalla riforma del 1971, che distingueva, sostanzialmente, tra “imprese” ed “enti non commerciali”, ed in particolare tra le attività tipicamente “commerciali” (art. 2195 del codice civile) e le altre attività (6). Proprio dalla difficoltà di ridurre ad un unico genus la vasta platea di soggetti, in astratto qualificabili come non profit, traggono origine i vari tentativi di riordino del settore, sia sul piano civilistico che su quello fiscale. Tra gli obiettivi perseguiti dal legislatore non è certo secondario quello di favorire l’ingresso dei privati nel sociale, ritenendosi, da un lato, che essi potessero operarvi con criteri di maggiore economicità, e prendendosi atto, dall’altro, che gli stretti vincoli di bilancio imponevano il progressivo abbandono, da parte dell’apparato statale, di iniziative tradizionalmente assegnate alla sua competenza. In quest’ottica vanno visti gli interventi legislativi prodottisi, dalla metà degli anni ottanta, per disciplinare le organizzazioni “senza scopo di lucro” operanti in diversi ambiti: da quello religioso (L. 20 maggio 1985, n. 222), alla cooperazione allo sviluppo (ove è intervenuta la L. 26 febbraio 1987, n. 49, volta a disciplinare il “riconoscimento” delle organizzazioni non governative all’uopo istituite), al volontariato (ove è intervenuta la legge quadro dell’11 agosto 1991, n. 266), alle cooperative sociali (L. 8 novembre 1991, n. 381), nella duplice finalità di gestione di servizi socio-sanitari ed ATTUALITÀ educativi, o di attività produttive destinate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Così, sull’esempio del modello statunitense delle tax-exempt organizations, ed in attuazione della delega contenuta nell’art. 3, comma 189, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, è stato emanato il D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, recante il “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, nell’intento, appunto, di mettere mano in via definitiva alla riforma del “terzo settore”, a cominciare dagli aspetti fiscali. Il decreto si preoccupa, in particolare, di enucleare, nell’ambito della vasta categoria dei soggetti non profit, quelle organizzazioni che si caratterizzano per lo svolgimento di attività istituzionali “socialmente apprezzabili”, fornendo un’indicazione tassativa di tali attività, ritenute ex lege “non commerciali”, e perciò meritevoli di agevolazioni fiscali, sia ai fini delle imposte sul reddito che dell’Iva. Non solo: i proventi delle attività connesse a quelle “socialmente apprezzabili” sono anch’essi considerati insuscettibili di concorrere alla formazione del reddito. Il decreto s’incarica poi di stabilire quali enti, tra quelli non commerciali, possano essere inclusi nel sotto-insieme delle Onlus e quali, invece, siano destinati a non farne parte. Di particolare interesse sono anche le disposizioni in materia di regimi contabili. Infine, viene istituita un’anagrafe delle Onlus ed un’autorità di vigilanza sul possesso dei requisiti previsti (7). Il D. Lgs. n. 460/1997 e le norme regolamentari emanate successivamente hanno ulteriormente accentuato la crescita del settore non profit in Italia. A due anni dall’entrata in vigore del citato decreto appare incontestabile l’impatto prodotto dall’attività degli enti in parola, e delle Onlus in particolare, nel contesto economico e sociale, per l’enorme massa di denaro che essi riescono a muovere e per il numero di persone che sono capaci di coinvolgere. Ma proprio la consapevolezza di questa realtà ha indotto i competenti organi istituzionali - e tra essi, in primo luogo, il Ministero delle finanze e la Guardia di finanza - ad apprestare adeguate forme di controllo nei confronti dei suddetti enti, al fine di prevenire abusi, sia sotto il profilo delle agevolazioni fiscali di cui questi ultimi indubbiamente godono, in forza delle citate disposizioni normative, sia sotto il profilo della reale destinazione delle risorse che vengono a conseguire. In quest’ottica s’inquadra la presente trattazione, volta ad offrire un contributo agli operatori del(7) La norma ad hoc in proposito è stata modificata dall’art. 14 della L. 13 maggio 1999, n. 133, recante “Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale”, pubblicata nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17 maggio 1999. 12/2000 il fisco 3269 ATTUALITÀ l’Amministrazione finanziaria addetti ai controlli nello specifico settore, avuto riguardo sia agli obblighi contabili il cui regolare assolvimento essi si troveranno a verificare, sia al corretto esercizio del potere di accesso nelle sedi o nei locali in uso a tali organizzazioni, sia, infine, al “progetto investigativo”, che deve presiedere l’attività di controllo nei confronti dei citati enti. Ciò nella consapevolezza che, indipendentemente dal dibattito aperto sull’effettiva possibilità di comprendere gli enti in parola nell’ambito dei consueti modelli aziendalistici, essi costituiscono, tuttavia e sotto molti aspetti, una novità nell’universo dei soggetti economici nei confronti dei quali è rivolta l’attività ispettiva di tipo fiscale. 1. Esercizio del potere d’accesso nei confronti delle Onlus (8) Pubblicata nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17 maggio 1999. il fisco La L. 23 dicembre 1996, n. 662, pur lasciando invariata la generale disciplina dei controlli fissata dal D.P.R. n. 633/1972 e dal D.P.R. n. 600/1973, ha previsto, nei commi 190-192 dell’art 3, concernenti lo specifico ambito degli enti non commerciali e delle Onlus, l’istituzione di un “organismo di controllo”, che operasse accanto a quelli già esistenti (uffici delle Entrate, uffici Iva, Comandi della Guardia di finanza), per assicurare “la corretta osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia di terzo settore”, nonché la tutela da abusi da parte di enti che svolgono l’attività di raccolta dei fondi e di sollecitazione della fede pubblica attraverso l’impiego dei mezzi di comunicazione”. In particolare, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 14 della L. 13 maggio 1999, n. 133 (8), che ha sostituito l’art. 3, comma 191, della L. n. 662/1996 citata, risultano assegnati a tale organismo i “... più ampi poteri di indirizzo, promozione e ispezione per la corretta osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia di terzo settore ...”, nonché il potere di “... adottare provvedimenti di irrogazione di sanzioni di cui all’articolo 28 del D. Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460”. La stessa L. n. 133/1999 ha inserito nell’art. 3 della legge delega n. 662/1999 il comma n. 192-bis, a tenore del quale è attribuito ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di stabilire “... la sede, l’organizzazione interna, il funzionamento, il numero dei componenti e i relativi compensi, i poteri e le modalità di finanziamento dell’organismo di controllo ...”. Ad oggi, l’organismo non è stato ancora istituito e, dunque, pur tenendo conto della volontà del legislatore delegante di mettere mano a questa materia, non scindibile da quella delle agevolazioni fiscali concesse alle Onlus in presenza dei relati- vi presupposti, la funzione di controllo resta per il momento assegnata, in via principale, agli uffici delle Entrate (art. 33, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973), ed agli uffici Iva (art. 52 del D.P.R. n. 633/1972) nonché, in via di concorso, ai Reparti della Guardia di finanza (artt. 33, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, e 63 del D.P.R. n. 633/1972). La funzione di controllo si esplica mediante l’esercizio dei poteri d’accesso, ispezione e venfica, cioè di quell’insieme di poteri esercitabili, anche senza il consenso del contribuente, al fine di accertarne l’effettiva capacità contributiva e reprimere l’evasione e le altre violazioni. Il potere di accesso, cioè il potere di “ingresso e permanenza, anche contro la volontà dell’interessato, in locali ed ambienti” (9) è regolato, sostanzialmente, dall’art 52 del D.P.R. n. 633/1972, cui rinvia anche l’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973, in materia di accertamento delle imposte sui redditi. Poiché le norme in questione non sono state modificate dal D.Lgs. n. 460/1997, si è posto il problema se, per procedere ad accesso presso le Onlus sia necessaria “l’autorizzazione del procuratore della Repubblica” (art. 52, comma 1) e, in caso positivo, se essa abbia sostanzialmente natura di “atto dovuto”, ovvero debba avere quale suo indefettibile presupposto l’esame dei “gravi indizi di violazioni”. L’art. 52, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, ammette infatti “... l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione ... delle altre violazioni. Tuttavia, per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica”. Come si vede, la norma non menziona anche “gli uffici ed i locali di enti non commerciali”, lasciando così intendere che, per questi ultimi, non sia sufficiente l’ “apposita autorizzazione che ne indica lo scopo rilasciata dal capo dell’ufficio ...” (art. 52, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972; art. 33 del D.P.R. n. 600/1973) ovvero, per i militari della Guardia di finanza, “previo ordine del Comandante di Reparto” (10). A dirimere ogni dubbio procedurale interviene il comma 2 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, per il quale “... L’accesso in locali diversi da quelli indicati può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi (9) Cfr. Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996, pag. 256. (10) Cfr. artt. 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, 33, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973 e circolare n. 1/98, in data 20 ottobre 1998, del Comando generale della Guardia di finanza (in allegato a “il fisco” n. 47/1998), Vol. I, pag. 72. 3270 il fisco 12/2000 (11) Cfr., per tutti, Manzoni, Potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, pag. 247. RUSSO, Manuale di diritto tributario, cit., pag. 257, ricomprende invece, tra i locali in parola, anche “le sedi di enti che non svolgono attività d’impresa”. (12) Le ispezioni e gli accertamenti “a fini fiscali” sono peraltro ammessi dall’art. 14, comma 2, della Costituzione anche nei riguardi del domicilio, e “regolati da leggi speciali”. l’ente e dell’attività in concreto esercitata, non potendosi ritenere che un’associazione sia arbitra della propria intassabilità” (13). Ed è evidente che solo un accertamento in concreto, cioè presso l’ente, possa dirimere ogni dubbio sulla sussistenza dei presupposti per le agevolazioni fiscali previste dal D.Lgs. n. 460/1997. A ritenere diversamente si darebbe corpo ad un paradosso sistematico. Il D.Lgs. n. 460/1997, infatti, sul piano sostanziale: a) stabilisce criteri di stretta interpretazione per la concessione delle agevolazioni fiscali, fissando divieti ed obblighi a carico delle Onlus e modificando in varie parti la disciplina in materia di imposte sui redditi e di Iva; b) stabilisce il criterio generale ed i parametri cui ricondurre la qualificazione dell’ente come “ente non commerciale”, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, ed il venir meno di tale qualifica. il fisco indizi di violazioni ... allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”. L’interpretazione letterale dei due commi su richiamati assimila gli uffici ed i locali costituenti la sede dell’attività di un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale, o comunque in uso alla medesima, al domicilio privato, richiedendo per l’accesso presso tali locali non solo l’elemento formale dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica, ma anche la previa e sostanziale valutazione, da parte di quest’ultimo, della sussistenza dei “gravi indizi di violazioni” e stabilendo che ad esso possa procedersi solo al fine di reperire libri, registri, documenti, scritture” ed altre “prove” (non più indizi) delle violazioni. Tale interpretazione appare - in seguito alla modifica dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, ad opera dell’art. 18, comma 2, lettera e), della L. 30 dicembre 1991, n. 413, che ha innovato alla disciplina dell’accesso presso studi professionali, facendo venir meno anche in tali ipotesi la previa autorizzazione del pubblico ministero - per lo meno anacronistica. In dottrina, si ritiene comunemente che il citato comma 2 sia applicabile all’accesso presso locali assimilabili al domicilio, o comunque ad esclusivo uso privato, quali la seconda o la terza casa, autorimesse, soffitte, scantinati, nonché natanti, aeromobili ed automezzi (11). In altre parole: se l’interesse costituzionale tutelato dalla norma dell’art. 52 è quello dell’inviolabilità del domicilio, sancita dall’art. 14 della Costituzione, desta perplessità la lettura della norma medesima, nel senso di ricomprendere tra i detti locali anche quelli costituenti la sede o luoghi secondari degli enti non commerciali, soprattutto perché non c’è nessuna norma costituzionale che tuteli l’inviolabilità della sede. Tale non è infatti l’art. 14 della Costituzione, che salvaguarda le “garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”, con ciò intendendo che l’inviolabilità del domicilio è posta a tutela della persona e non del luogo. E non lo è nemmeno l’art. 18 della Costituzione, che nel riconoscere il diritto di associarsi senza autorizzazione, non stabilisce alcuna “immunità” delle associazioni da ispezioni e controlli (12). Anzi, proprio la Corte Costituzionale, dichiarando l’insufficienza del principio dell’autoproclamazione ha precisato che la concessione dei benefici va effettuata “alla stregua della reale natura del- ATTUALITÀ Lo stesso decreto fissa, infine, sul piano procedurale e dell’accertamento, obblighi di tenuta delle scritture contabili e di rendiconto annuale o speciale per gli stessi enti. Appare dunque paradossale che, sul piano dell’accertamento, viga in favore degli enti non commerciali, e delle Onlus in particolare, una concreta immunità dal controllo, superabile solo con una specifica autorizzazione del pubblico ministero ed in vista di “gravi indizi di violazioni”, condizione che pone a carico dei verificatori una sorta di diabolica probatio su fatti e circostanze che possano in concreto reggere ad un “sostanziale” controllo di legittimità da parte dell’Autorità giudiziaria. Il sistema appare tanto più paradossale per il fatto che si è contemporaneamente in procinto di creare un organo ad hoc, munito dei “più ampi poteri ... di ispezione” (14). Che di immunità dall’accertamento gli enti non commerciali, e le Onlus in particolare, non possano godere, sembra peraltro confermato dalla circolare n. 100, in data 4 gennaio 1999, del Comando generale della Guardia di finanza, recante “Pro(13) Così Corte Costituzionale, 19 novembre 1992, n. 467, Presidente Corasaniti (in “il fisco” n. 45/1992, pag. 10831). (14) Il problema del corretto esercizio del potere d’accesso dell’Amministrazione finanziaria nei confronti degli enti non commerciali in generale, e delle Onlus in particolare, sembra in buona parte eluso dagli Autori che si sono fin qui occupati dell’universo non profit, salvo per quelli provenienti dal Corpo della Guardia di finanza. Il silenzio dei più sull’argomento appare quantomeno singolare, ove si ponga mente al lamentato smantellamento della “rete dei reparti verifiche contabili, operanti prima dell’inspiegabile soppressione degli Ispettorati compartimentali delle Imposte dirette ed indirette” e si auspica “un adeguato sfruttamento dei poteri previsti dai decreti sull’accertamento dei redditi e dell’Iva, intervenendo con accessi in loco, in un settore come quello degli enti non profit, con problematiche non risolvibili mediante i soliti espedienti presuntivi, come l’ultima ‘invenzione’ degli studi di settore”. Così: A. e C. Palazzolo, Enti non commerciali. La questione dei controlli, in “Il fisco” n. 25/1999, pag. 8309. 12/2000 il fisco 3271 ATTUALITÀ (15) Così circolare n. 100 del Comando generale della Guardia di finanza, cit., pag. 10, paragrafo 2.3.1.2, criterio n. (4). I “criteri per la selezione dei settori economici e delle posizioni soggettive a più alto potenziale di pericolosità fiscale” risultano, peraltro, confermati per l’anno 2000. Cfr., in proposito, pag. 3, paragrafo 2.1., della circolare n. 8000, in data 18 gennaio 2000, dello stesso Comando generale, avente ad oggetto: “Programmazione dell’attività di servizio nel comparto della prevenzione e della repressione delle violazioni degli obblighi tributari. Anno 2000.” (16) Cfr G. Gallo, Profili problematici dell’attività di verifica nei confronti delle Onlus, in “Il fisco” n. 41/1998, pagg. 1327913280. il fisco grammazione dell’attività di servizio nel comparto della prevenzione e repressione delle violazioni agli obblighi tributari”, che inserisce tra i settori i quali, a livello centrale, sono da ritenere connotati da una potenziale “pericolosità fiscale”, e pertanto “verificabili”, appunto, quello concernente gli enti non commerciali, onde effettuare nei loro confronti “il controllo dei requisiti che li ammettono ad usufruire delle previste agevolazioni fiscali” (15). Si deve, dunque, ritenere che la mancata inclusione degli enti non commerciali tra quelli oggetto d’accesso, senza autorizzazione del pubblico ministero, costituisca una svista del legislatore, della quale appare auspicabile una sollecita revisione. Non sembra invece condivisibile la tesi di chi ritiene che quando la Onlus svolga unicamente attività istituzionali, ai sensi dell’art. 111-ter del Tuir, l’accesso presso la sua sede debba essere autorizzato dal pubblico ministero, nei modi e nei termini di cui all’art. 52, comma 2, citato, mentre negli altri casi sia sufficiente l’autorizzazione del capo dell’ufficio o l’ordine del Comandante del Reparto della Guardia di finanza (16). A parte la difficoltà pratica di distinguere preventivamente i locali adibiti all’esercizio di attività istituzionali da quelli adibiti ad attività connesse, va rilevato che proprio l’art. 111-ter del Tuir citato, assimilando sotto il profilo dell’assoggettamento all’imposizione i due tipi di attività, rende applicabile la disciplina dell’art. 52, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 anche ai locali adibiti all’esercizio di attività connesse posto che, non concorrendo i proventi derivanti da queste ultime alla formazione del reddito imponibile, anche i relativi locali non possono essere acriticamente ritenuti suscettibili di ogni “rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta”, mentre l’accesso volto alla “repressione dell’evasione e delle altre violazioni” richiede la sussistenza di “gravi indizi”. L’interpretazione qui suggerita trova, peraltro, conforto nelle istruzioni ministeriali per la compilazione del Modello UNICO 2000 di dichiarazione dei redditi per gli enti non commerciali ed equiparati. Nel paragrafo R1, sottoparagrafo 1.3., infatti, si legge che, relativamente alle attività istituzionali ed a quelle connesse, “non sussiste (per le Onlus) l’obbligo di dichiarazione”, mentre le stesse “sono tenute a presentare la dichiarazione per i soli redditi fondiari e diversi, ... (dovendo includere questi ultimi) rispettivamente nei quadri RA/RB e RL”. Quindi, anche il fatto che le diverse attività (istituzionali e connesse) possano esercitarsi in locali diversi non legittima l’accesso presso alcuni di essi senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, posto che entrambe risultano irrilevanti ai fini della produzione del reddito. In altre parole: l’autorizzazione all’accesso è comunque richiesta per la verifica di attività che non si presentino ictu oculi commerciali, agricole, artistiche o professionali, mentre la ricerca dei “gravi indizi” che legittimino un accesso presso una Onlus, è rivolta a sostenere che, dietro lo schermo di una proclamata finalità solidaristica si svolga in realtà un attività commerciale o comunque soggetta, in tutto o in parte, ad imposizione. Tutto ciò offre un quadro eloquente della disparità di trattamento che, almeno sul piano procedurale, il legislatore ha riconosciuto agli enti in parola. Tuttavia, a legislazione invariata, per poter accedere presso la sede di una Onlus, la previa autorizzazione del procuratore della Repubblica risulta imprescindibile (17). I “gravi indizi di violazioni” debbono riguardare non tanto i requisiti fissati dall’art. 10 del D.Lgs. n. 460/1997, quanto piuttosto la sussistenza dei presupposti per la qualifica di ente non commerciale, ex art. 111-bis del Tuir, e cioè riferirsi ad elementi informativamente acquisiti concernenti: - la prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività; - la prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciale rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali; - la prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative; - la prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti spese. (17) Alle stesse conclusioni perviene Quintavalle Cecere, Enti non profit e potere d’accesso della Guardia di finanza, in “Rivista della Guardia di finanza” n. 4/1999, luglio-agosto 1999, pag. 1762. Sul piano operativo, cfr. circolare n. 1/98 del Comando generale della Guardia di finanza, cit., Vol. I, pag. 80, che esplicitamente richiama gli “uffici di enti che non esercitino attività industriale, commerciale o agricola, circoli privati, eccetera”. Fanno eccezione le cooperative sociali le quali, benché considerate Onlus “di diritto”, costituiscono un unicum nell’universo non profit. La relativa disciplina di riferimento è quella dell’impresa (artt. 2511 e seguenti del codice civile) e questo giustifica una diversa considerazione sia dei proventi derivanti dalle attività da esse esercitate (cfr. art. 111-ter del Tuir e L. n. 381/1991) sia l’assoggettamento agli stessi obblighi contabili previsti per le società (cfr. art. 20-bis del D.P.R. n. 600/1973). Nei loro confronti si rende pertanto applicabile l’art. 52, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, quanto all’esercizio del potere di accesso. 3272 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ I gravi indizi di violazioni possono anche riguardare il superamento, ex art. 10, comma 5, del D.Lgs. n. 460/1997, da parte dei ricavi derivanti dalle attività connesse, della soglia del 66 per cento delle spese complessive dell’organizzazione. Sarà infine necessario indicare quali elementi inducano a ritenere che presso i locali oggetto della richiesta di accesso possano rinvenirsi libri, registri, documenti e scritture (18). 2.1. Sul possesso dei requisiti formali necessari al godimento dei benefici fiscali Una volta iniziato il controllo ispettivo nei confronti di un ente iscritto all’Anagrafe unica delle Onlus detenuta presso il Ministero delle finanze (art. 11 del D.Lgs. n. 460/1997), ovvero presso una Onlus “di diritto”, l’attenzione dei verificatori non potrà limitarsi a riscontrare la rispondenza degli atti di gestione con le prescrizioni imposte dalla normativa fiscale, ma dovrà prendere in considerazione la sua struttura complessiva, ivi incluso, dunque, il possesso dei requisiti formali necessari al godimento dei benefici di legge. Tale operazione risulta peraltro pregiudiziale ad ogni altra, posto che ove manchi anche una sola delle condizioni legittimanti la qualifica di Onlus, l’ente perde il diritto al trattamento di favore e le attività da esso poste in essere andranno a ricadere nell’ambito della disciplina generale fissata per gli enti non profit (artt. 1-9 del D.Lgs. n. 460/1997) ovvero, addirittura, per gli enti commerciali (artt. 111-bis del Tuir e 4, comma 9, del D.P.R. n. 633/1972) (21). A tale riguardo, l’indagine è volta a verificare: 2. L’oggetto del controllo ispettivo - il possesso dei requisiti formali richiesti dalla legge; - la natura dell’attività effettivamente svolta; - la struttura dell’apparato contabile. (18) A tale riguardo sarà necessario che gli operanti accertino preventivamente la circostanza che tutte o parte delle scritture contabili dell’ente siano detenute presso uno studio professionale o un centro di elaborazione dati. il fisco Il controllo ispettivo consta, per usare l’espressione dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, di “ispezioni, verificazioni e ricerche ed ... ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni”. Esso si sostanzia nell’esame delle scritture contabili dell’ente e più in generale di tutta la documentazione rilevante ai fini impositivi, per acclararne la regolarità formale e la sostanziale veridicità ed esattezza, nell’individuazione dell’entità, della consistenza e della qualità degli elementi soggettivi ed oggettivi utilizzati nell’ambito dell’attività svolta dall’ente, ed infine nel reperimento di documenti e cose utili al fine delle successive contestazioni (19). Più in particolare, per gli organi di polizia tributaria, il controllo ispettivo si concretizza in una vera e propria indagine di polizia amministrativa, condotta sulla base di elementi atti ad evidenziare una potenziale pericolosità fiscale del contribuente e condurre realisticamente ad un incremento delle entrate erariali (20). Esso, insomma, traduce in atti formali un progetto investigativo, predisposto, in sede di selezione dei soggetti da sottoporre al controllo, ed è volto a comprovare, sul campo, la fondatezza degli elementi informativi previamente acquisiti. Con specifico riferimento alle Onlus, una volta ottenuta dal competente pubblico ministero l’autorizzazione all’accesso, il controllo ispettivo, ossia l’attività di verifica, dovrà concentrarsi su tre aspetti fondamentali, tutti suscettibili di fornire elementi concretamente rivelatori della meritevolezza dei benefici fiscali di cui l’ente verificato gode: - se il soggetto giuridico può essere Onlus; - il settore o i settori di attività e la possibilità di fruire del regime agevolato; - l’adeguamento delle norme statutarie alle previsioni di legge; - il perseguimento di finalità di solidarietà sociale secondo le previsioni di legge; - la precisa delimitazione delle attività istituzionali contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto; - l’adempimento degli obblighi di comunicazione all’Anagrafe unica delle Onlus; - l’uso corretto dell’acronimo “Onlus”. I citati elementi concorrono tutti ad illustrare, sotto il profilo soggettivo-formale, la sussistenza in capo all’ente dei presupposti per fruire dello speciale regime fiscale previsto a favore delle Onlus. Essi andranno poi messi in relazione con le altre risultanze del controllo, inerenti l’esame della natura delle attività in concreto esercitate e dell’impianto contabile posto in essere, per offrire obiettivi elementi di valutazione circa l’avvenuto rispetto della normativa fissata dal D.Lgs. n. 460/1997 (22). (21) Cfr., in senso conforme, G. Gallo, Profili problematici dell’attività di verifica ..., cit., pag. 13272. La circolare 168/E in data 26 giugno 1998, del Dipartimento Entrate (in “il fisco” n. 28/1998, pag. 9347), in Premessa, precisa, d’altro canto, che “la delimitazione dei requisiti che qualificano le Onlus assume valenza generale nel sistema tributario” e, più oltre, al paragrafo 1.2., che “è del tutto ovvio come le clausole imposte statutariamente alle Onlus costituiscono vincoli ai quali di fatto le stesse devono necessariamente adeguarsi”. (19) Cfr. Russo, Manuale di diritto tributario, cit., pag. 256. (20) Cfr. circolare n. 1/98 del Comando generale della Guardia di finanza, cit., pagg. 5 e 10. (22) Sull’attività di controllo dei requisiti formali degli enti non commerciali cfr., più ampiamente, Propersi-Rossi, Gli enti non profit, Milano, 1998, pagg. 275-282. 12/2000 il fisco 3273 ATTUALITÀ il fisco In particolare, con riguardo al requisito della soggettività giuridica per poter diventare Onlus, il D.Lgs. n. 460/1997 esclude dal novero dei soggetti abilitati (art. 10, comma 10), gli enti pubblici, le società commerciali diverse da quelle cooperative, i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro e le associazioni di categoria. Quanto al settore o settori di attività va ricordato che essi sono tassativamente elencati dalla lettera a) del comma 1, dell’art. 10 del D.Lgs. n. 460/1997, e che nell’atto costitutivo o statuto della Onlus deve risultare [art. 10, comma 1, lettera c)] il divieto di svolgere attività diverse da quelle elencate, salvo che non si tratti di attività direttamente connesse. Per quel che concerne il perseguimento di finalità di solidarietà sociale, appare sufficiente che lo statuto rechi l’indicazione della categoria o delle categorie di “persone svantaggiate”, cui è rivolta l’attività istituzionale o, in materia di tutela dell’ambiente, verso quali settori di tutela dell’ambiente intenda rivolgersi, ad esclusione del riciclaggio e della raccolta di rifiuti solidi. Non può certo demandarsi ai verificatori il compito di stabilire quando una persona possa definirsi “svantaggiata” in ragione di condizioni psichiche o sociali o familiari e, in ogni caso, con quali mezzi accertare tali condizioni. A tale proposito, potrebbe farsi forse riferimento alla disciplina che regola la particolare materia nelle cooperative sociali (Onlus “di diritto”, ai sensi dell’art. 10, comma 8, del D.Lgs n. 460/1997), e che richiede che la condizione di persona svantaggiata risulti da “documentazione prodotta dalla pubblica amministrazione, fatto salvo il diritto alla riservatezza” (23). Allo stesso modo, appare problematica la determinazione del “quando” un’attività sia diretta alla “valorizzazione del patrimonio ambientale”. Si è al riguardo osservato che le espressioni usate dal legislatore introducono una sorta di presunzione di finalità solidaristica in favore dell’ente (24). Ma proprio questa circostanza richiede una delimitazione il più possibile puntuale, in sede di redazione dell’atto costitutivo, dell’ambito personale o reale, in cui l’ente intenda svolgere la sua attività. Il problema sollevato è direttamente collegato a quello della delimitazione dell’attività istituzionale che pure deve essere contenuta nell’atto costitutivo, nel quale dovranno pertanto essere valutate con estrema attenzione tutte le formule vaghe e generiche idonee a creare confusione sulla reale natura dell’attività in concreto esercitata. Infine, va segnalato il controllo dell’avvenuta trasmissione del modello di comunicazione all’Ana- grafe unica delle Onlus, ex art. 11 del D.Lgs. n. 460/1997. Al riguardo, deve richiamarsi la circolare n. 82/E, in data 12 marzo 1998, del Dipartirnento Entrate (in “il fisco” n. 13/1998, pag. 4107), la quale, a seguito del D.M. 19 gennaio 1998, ha precisato che l’iscrizione all’Anagrafe ha effetto costitutivo ai fini della qualificazione come Onlus degli enti interessati e pertanto essi possono beneficiare delle agevolazioni soltanto se effettuano la comunicazione di cui sopra. Va peraltro segnalato che l’omesso invio della comunicazione comporta a carico dei rappresentanti legali e dei membri degli organi amministrativi delle Onlus, la sanzione amministrativa da lire 200 mila a 2 milioni, ai sensi dell’art. 28, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 460/1997. Il citato decreto ministeriale non ha previsto l’allegazione alla comunicazione dello statuto dell’ente, cosicché viene meno, per l’organo ricevente, la possibilità di verificare la sussistenza, se non altro formale, dei requisiti richiesti dalla legge per l’ottenimento della qualifica di Onlus. Pertanto la comunicazione assume il valore di una vera e propria autocertificazione. Ma proprio questa circostanza implica inevitabilmente una maggiore responsabilizzazione degli organi deputati al controllo circa il possesso dei requisiti formali per il godimento dei benefici fiscali. Un ultimo aspetto concerne l’uso indebito della denominazione “Onlus” o di locuzioni corrispondenti. Al riguardo va solo segnalato che la constatazione della violazione comporta la sanzione amministrativa da lire 600 mila a lire 6 milioni. 2.2. Sulla natura dell’attività effettivamente svolta Il controllo ispettivo dell’attività in concreto esercitata dall’ente costituisce l’aspetto sostanziale dell’opera dei verificatori e dipende, naturalmente, dal “progetto investigativo” che è alla base del programmato intervento. In linea generale, gli aspetti che non possono essere trascurati sembrano i seguenti: - l’individuazione, in concreto, delle attività considerate “connesse”; - l’avvenuto rispetto delle condizioni poste dalla legge per l’esercizio di tali attività: non prevalenza rispetto a ciascuno dei settori in cui si esplica l’attività istituzionale e proventi non superiori al 66 per cento delle spese complessive; - rispetto delle norme concernenti il prestito di lavoratori dipendenti da imprese o altri enti; - verifica dell’osservanza degli adempimenti concernenti i beni gratuitamente devoluti dalle (23) Cfr. art. 4, comma 3, della L. 8 novembre 1991, n. 381. (24) Cfr. ancora, G. Gallo, Profili problematici..., cit., pag. 13275. (25) Cfr., ancora, G. Gallo, Profili problematici ..., cit., pag. 13276. 3274 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ imprese, con particolare riferimento alla loro destinazione; - verifica dei parametri per la perdita della qualifica di ente non commerciale; - analisi delle fonti di finanziamento dell’ente, con particolare riguardo all’attività di fund raising. il fisco Con riferimento alle attività “connesse” sono tali le attività, indicate nello statuto, di assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell’arte e tutela dei diritti civili, svolte nei confronti del “pubblico” in genere, senza cioè che i soggetti beneficiari versino in condizioni di “svantaggio”. Restano pertanto escluse dal novero delle “attività connesse” tutte le operazioni effettuate dall’ente, verso corrispettivo, che non rientrino nell’elenco fissato dall’art. 10, comma 5, del D.Lgs. n. 460/1997. Queste debbono considerarsi, a tutti gli effetti, “commerciali”, salvo la previsione dell’art. 111 del Tuir, commi 4-bis, 4-ter e 4-quater, per specifiche attività svolte a favore degli iscritti, associati o partecipanti, potendo in questo caso includere le attività stesse nel novero di quelle “accessorie” per natura a quelle statutarie e dunque non concorrenti alla formazione del reddito complessivo. L’attenzione dei verificatori andrà concentrata sull’esercizio dell’attività complessivamente svolta dall’ente, valutando se le “altre attività” siano tali per loro natura e per modalità di esercizio - da distorcere le finalità solidaristiche per le quali l’ente stesso si è, almeno da un punto di vista formale, costituito, così da rendere l’espressione “organizzazione non lucrativa di utilità sociale” un mero schermo all’esercizio, in condizioni fiscali di favore, di un’autentica attività commerciale. In quest’ottica va anche esaminato l’avvenuto rispetto delle condizioni poste dalla legge per l’esercizio delle attività connesse, in primo luogo quella della “non prevalenza” di queste ultime rispetto alle attività istituzionali. Poiché, come è stato correttamente rilevato (25), il legislatore non ha precisato i criteri per stabilire quando le attività connesse o accessorie debbano considerarsi prevalenti, tale condizione deve essere rapportata alle particolari caratteristiche delle Onlus. Così, ad esempio, potrebbe rivelarsi addirittura fuorviante l’assumere a criterio di prevalenza quello basato sull’attività che genera i maggiori proventi, posto che, nella maggior parte dei casi, le attività istituzionali non producono entrate, in quanto svolte in maniera gratuita, o producono “necessariamente” minori entrate, perché svolte a prezzi sensibilmente inferiori a quelli di mercato. Peraltro, le attività istituzionali non sono soggette, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n. 460/1997, all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale. Un criterio “obiettivo” appare quello incentrato sul rapporto tra i soggetti beneficiari delle attività istituzionali, rispetto ai soggetti (persone o enti) nei confronti dei quali si esplicano le attività “connesse” o accessorie. Quanto al rapporto del 66 per cento tra proventi da attività connesse e spese complessive, particolare cura andrà posta dai verificatori nel controllo dei documenti di spesa, e delle relative modalità di pagamento, perché la limitazione potrebbe indurre le Onlus a gonfiarne l’ammontare, mediante l’utilizzo di fatture false, al fine di mantenere nei limiti il detto rapporto. Quanto al rispetto delle norme concernenti il prestito di lavoratori dipendenti da imprese o altri enti, a parte l’esame dei documenti atti a comprovare che il lavoratore è stato assunto a tempo indeterminato presso l’ente erogante il prestito, e l’esame della convenzione tra quest’ultimo e la Onlus interessata, nonché la possibilità di effettuare controlli incrociati, mediante l’invio di questionari all’ente erogante, i verificatori dovranno anche constatare, in concreto, il settore d’impiego del lavoratore fornito in prestito. Il suo utilizzo per attività “connesse” o accessorie, piuttosto che per attività istituzionali, costituisce un indizio circa la prevalenza delle une rispetto alle altre. Discorso analogo concerne l’osservanza dell’adempimento degli obblighi relativi a beni gratuitamente devoluti dalle imprese. Il rispetto degli adempimenti consente l’esenzione dall’Iva [art. 10, n. 12) del D.P.R. n. 633/1972]. Ove i beni fossero destinati ad attività diverse da quelle istituzionali, le Onlus decadrebbero dai benefici e le operazioni di acquisto sarebbero soggette ad imposta. La verifica dei parametri per la perdita della qualifica di ente non commerciale costituisce senz’altro la parte più complessa dell’indagine di polizia tributaria nei confronti delle Onlus. Sulla prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al “valore normale” delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali si è già detto. Va solo rilevata la difficoltà di assumere a parametro il “valore normale” posto che i beni ceduti dalla Onlus, gratuitamente, a persone svantaggiate, potrebbero a loro volta essere stati ceduti gratuitamente da privati o enti, come pure le prestazioni di servizi essere rese gratuitamente da professionisti, nell’ambito della loro opera di volontariato, quali iscritti o associati, presso la Onlus. Cosicché il parametro assunto rischia di comparare tra loro grandezze non comparabili. Più obiettivo appare il parametro della prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale, rispetto alle restanti attività, perché è evidente che se, ad esempio, le strutture sanitarie dell’ente fossero impiegate, solo in via occasionale, a fini di solidarietà, non si potrebbe ragionevolmente sostenere che le prevalenti attività svolte a favore di terzi, verso corrispettivi, o in regime convenzionato, siano “connesse” a quelle istituzionali. 12/2000 il fisco 3275 ATTUALITÀ (26) Si pensi alle campagne di sensibilizzazione che si risolvono nello svolgimento di manifestazioni che sfruttano il mezzo di diffusione televisiva, anche per 24 ore di seguito, e nelle quali il marchio dello sponsor principale, in genere una banca, viene esposto, con carattere di continuità, durante il corso delle manifestazioni medesime. 2.3. Sulla struttura dell’apparato contabile Il controllo ispettivo sulla struttura dell’apparato contabile concerne: - l’impianto contabile e l’utilizzo di semplificazioni; - l’impostazione e la chiarezza del rendiconto; - la presenza dell’organo di revisione, nei casi previsti. il fisco Il parametro della prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali, rispetto alle entrate istituzionali, presenta il pregio dell’esatta individuazione di queste ultime: contributi, sovvenzioni, liberalità e quote associative, le quali debbono lasciare una traccia documentale nell’ente, onde evitare abusi nel senso di dissimulare, attraverso tali forme, i corrispettivi derivanti da attività commerciale. Per quel che concerne il parametro della prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti spese, questo è direttamente speculare a quello del limite del 66 per cento, riferito alle spese complessive rispetto ai proventi derivanti da attività connesse . Il pericolo è quello dell’omessa fatturazione in acquisto da parte della Onlus per quel che concerne l’attività commerciale, onde scongiurare il venir meno della qualifica di ente non commerciale. L’ultimo aspetto da sottoporre a controllo per stabilire la natura dell’attività effettivamente svolta concerne l’analisi delle fonti di finanziamento dell’ente, con particolare riguardo all’attività di fund raising. Per quanto non soggetto a particolari formalità, dal rendiconto della situazione patrimoniale debbono risultare “adeguatamente”, secondo l’espressione usata dall’art. 25 del D.Lgs. n. 460/1997, le liquidità immediate e gli investimenti finanziari, nonché i finanziamenti a breve e a medio-lungo termine, distintamente per attività istituzionali e per quelle connesse, nonché il patrimonio con vincolo di destinazione. Nella situazione economica e finanziaria la Onlus dovrà evidenziare i proventi da flusso di quote, donazioni e contribuzioni, quelle derivanti da iniziative e campagne di fund raising ed, infine, quelli derivanti da gestione finanziaria e patrimoniale, secondo criteri di chiarezza e trasparenza. Dovranno poi risultare assolti gli adempimenti specifici concernenti le campagne di raccolta dei fondi, dovendosi precisare “in modo chiaro e trasparente” gli scopi della raccolta, fornire l’identificazione dei soggetti coinvolti ed illustrare il successivo impiego delle nsorse a disposizione. Un accurato controllo dell’attività in parola potrebbe rivelare comportamenti evasivi consistenti nell’indiretta distribuzione di utili - ai sensi dell’art. 10, comma 6, del D.Lgs. n. 460/1997 - ai soggetti eroganti i fondi, realizzata, ad esempio, attraverso concomitanti prestazioni pubblicitarie rese a questi ultimi (26). Per quanto concerne l’impianto contabile va in primo luogo osservato che il legislatore ha previsto, nell’art. 20-bis del D.P.R. n. 600/1973, a pena di decadenza dai benefici fiscali previsti per le Onlus, un doppio regime contabile. In relazione all’attività complessivamente svolta, la Onlus deve tenere e conservare, per un periodo non inferiore a dieci anni, scritture cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed analiticità le operazioni poste in essere. In relazione alle attività direttamente connesse (o accessorie) le Onlus devono tenere e conservare le scritture contabili indicate negli artt. 14, 15, 16 e 18 del D.P.R. n. 600/1973, le quali, ove i proventi da esse derivanti non siano superiori a 30 milioni per le prestazioni di servizi e a 50 milioni per le cessioni di beni, possono essere sostituite da quelle previste dal regime contabile contemplato dall’art. 3, comma 166, della L. n. 662/1996. Quando, infine, i proventi derivanti dall’attività complessivamente svolta non superino i 360 milioni di lire (27), la Onlus può, anziché tenere le scritture cronologiche e sistematiche e fermi restando gli obblighi contabili inerenti alle attività connesse, redigere un rendiconto dal quale debbono risultare, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese. Questo, in sintesi, è l’impianto contabile previsto dal D.Lgs. n. 460/1997. Ora, mentre la mancata istituzione delle scritture sopra indicate comporta ex lege la decadenza dai benefici fiscali, la norma non dice in quale sanzione incorrano le Onlus in caso di mancanza di “compiutezza ed analiticità” nelle scritture cronologiche. Sembra, al riguardo, di difficile applicazione l’art. 39, comma 2, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973, quando le omissioni, le false o inesatte indicazioni o le irregolarità formali siano così gravi, numerose e ripetute, da rendere le scritture stesse inattendibili nel loro complesso “per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica”, anche se tale espressione è molto simile a quella dell’art. 20-bis sopra citato, che impone alle Onlus la tenuta di “scritture cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiu(27) Il limite, originariamente fissato in lire 100 milioni, è stato elevato al livello indicato nel testo, a decorrere dal 1° gennaio 2000, da ultimo, con l’art. 25, comma 2, della L. 13 maggio 1999, n. 133. 3276 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ tezza ed analiticità ...”. Infatti: da un lato, l’art. 39 in parola limita i casi di accertamento in via induttiva del reddito con riferimento ai soli libri previsti dall’art. 14 del D.P.R. n. 600/1973. D’altro canto, non tutte le scritture indicate nell’art. 20-bis su richiamato prevedono particolari adempimenti di carattere formale. Certo è, però, che l’impianto contabile delle Onlus deve rispettare sostanziali criteri di sistematicità, completezza ed analiticità, in assenza dei quali è dato ai competenti uffici il potere di dichiarare la decadenza dai benefici fiscali, ovvero procedere ad ulteriori accertamenti, per esempio, quelli che utilizzano l’accesso ai dati bancari. Così operando si può verificare: benefici fiscali (28), va riconosciuta, dall’altro, l’inesistenza di norme giuridiche (29) o tecniche (30), volte a fissare l’ambito ed il contenuto della relazione stessa, non potendosi, pertanto, desumere da una sua eventuale sinteticità, l’inattendibilità dell’impianto contabile complessivo. 3. Organo competente a ricevere le segnalazioni concernenti il mancato possesso dei requisiti di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 460/1997 - la prevalenza delle attività connesse rispetto a quelle istituzionali, ovvero che l’ammontare dei proventi riferito alle prime superi il 66 per cento delle spese complessive dell’ente; - l’accertamento di ricavi derivanti da attività connesse in misura superiore a quello per il quale è ammesso il regime contabile semplificato di cui all’art. 3, comma 166, della L. n. 662/1996. il fisco In entrambi i casi, è prevista la perdita della qualifica di Onlus a carico dell’ente. Quanto all’impostazione ed alla chiarezza del rendiconto sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria, rilevato che anche per esso non sono previsti particolari requisiti d’ordine formale, potendo essere redatto secondo lo schema delle sezioni contrapposte, ovvero secondo lo schema scalare, è necessario però che ne emerga compiutamente il complesso delle attività svolte dall’ente, distintamente per categoria, e che alle poste indicate corrisponda una dettagliata documentazione delle operazioni effettuate. Avendo il legislatore privilegiato “la sostanza sulla forma” viene offerto ai verificatori un ampio margine di discrezionalità nel valutare l’intellegibilità e l’adeguatezza del rendiconto, fino a consentire all’Amministrazione finanziaria di determinare in via induttiva il reddito, ove l’impianto contabile complessivo (libri, registri, scritture, documenti e rendiconto) non rispecchi, secondo i cennati criteri, la reale attività di gestione dell’ente. Per quel che riguarda l’organo di revisione, l’art. 25 del D.Lgs. n. 460/1997 richiede, nel caso in cui i proventi dell’attività complessiva superino, per un biennio consecutivo, i due miliardi, che il rendiconto sia accompagnato da una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori contabili. Se, da un lato, la mancanza di tale relazione dovrebbe comportare ex lege la decadenza dai Il D.Lgs. n. 460/1997 non specifica a quale organo dell’Amministrazione finanziaria competa dichiarare la perdita della qualifica di ente non commerciale e di disporre la cancellazione dall’Anagrafe unica delle Onlus per il mancato possesso dei requisiti. L’art. 28 del citato decreto stabilisce soltanto la competenza dell’ufficio delle Entrate, nel cui territorio si trova il domicilio fiscale della Onlus, ad irrogare le sanzioni specifiche previste da tale norma. Si è già visto come identico potere è attribuito, ai sensi dell’art. 3, comma 191, della L. n. 662/1996, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 14 della L. n. 133/1999, all’ “Organismo di controllo degli enti non commerciali e delle Onlus». Pertanto anche a tale organo dovranno essere inviate, in uno con il processo verbale di constatazione redatto al termine della verifica, le segnalazioni in parola, affinché esso eserciti, anche in tale materia, i poteri concernenti “la corretta osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia di terzo settore” attribuitigli dalla legge. ■ (28) Cfr. circolare n. 168/E, in data 26 giugno 1998, del Dipartimento Entrate, paragrafo 8, terz’ultimo periodo. (29) Si allude, ad esempio, ad un documento simile alla “Nota integrativa” di cui all’art. 2427 del codice civile, o alla “Relazione dei sindaci” di cui all’art. 2429 dello stesso codice. (30) Non sono stati ancora elaborati in Italia, a due anni dall’emanazione del D.Lgs. n. 460/1997 - a cura della Commissione paritetica per la statuizione dei principi contabili - principi contabili, o di revisione, relativamente agli enti non profit, diversamente da quanto è avvenuto, ad esempio, negli Stati Uniti d’America, ove vige da tempo, in materia, lo Standard for Charitable Solicitation. 12/2000 il fisco 3277 ATTUALITÀ Perdite fiscali e credito di imposta sui dividendi Nella prima fase di applicazione del nuovo sistema (abrogazione della maggiorazione di conguaglio), l’utilizzo di perdite fiscali da parte dell’azionista comportava un effetto distorsivo che limitava l’utilizzo del credito di imposta limitato. A seguito di una modifica disposta con decorrenza dal 1999 è stato eliminato tale effetto distorsivo e pertanto, ad oggi, l’utilizzo delle perdite fiscali dell’azionista è ininfluente ai fini della fruizione del credito di imposta limitato. di Pierangelo Bianco e Alessandra Piazzino Dottori commercialisti in Milano Premessa Il rapporto fra le perdite fiscali ed il credito di imposta sui dividendi è radicalmente cambiato nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema di determinazione del credito di imposta sui dividendi disciplinato dal D.Lgs. n. 467 del 18 dicembre 1997. A) Perdite fiscali pregresse della società emittente e determinazione del credito di imposta sui dividendi: sistema previgente Le perdite fiscali della società emittente Le perdite fiscali dell’azionista Nel vecchio sistema (maggiorazione di conguaglio), l’utilizzo di perdite fiscali da parte dell’azionista era ininfluente ai fini della fruizione del credito di imposta sui dividendi riscossi. il fisco Nel vecchio sistema (maggiorazione di conguaglio), l’utilizzo di perdite fiscali da parte della società emittente comportava un beneficio fiscale - in termini di credito di imposta - pari all’Irpeg corrispondente alle perdite compensate con il reddito imponibile. Viceversa, nel nuovo sistema (abrogazione della maggiorazione di conguaglio) l’utilizzo di perdite fiscali da parte della società emittente è ininfluente ai fini della determinazione del credito di imposta sui dividendi erogati. Nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema è stata disposta una regola transitoria che consente di non perdere i benefici fiscali connessi alle perdite pregresse formatesi durante il vecchio sistema e compensate durante il primo quinquennio del nuovo. Prima della riforma operata dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 467, l’utilizzo delle perdite pregresse in caso di distribuzione degli utili, comportava a favore degli azionisti il trasferimento del beneficio del risparmio di imposta derivante dall’utilizzo delle perdite stesse. Si rammenta che sia la regola sulla quantificazione dell’imposta di conguaglio (art. 105, comma 1 del Tuir - ante riforma) che la regola sulla quantificazione della franchigia (art. 105, comma 3, del Tuir - ante riforma) ponevano entrambe, come elemento di confronto, il reddito dichiarato “al lordo delle perdite riportate da precedenti esercizi”. Ciò implicava che: - nel caso dell’imposta di conguaglio, la minore imposta di conguaglio dovuta grazie all’utilizzo delle perdite era pari all’imposta riferibile alle perdite stesse: il che significa che la differenza fra il credito di imposta attribuito agli azionisti e l’imposta assolta dalla società era pari all’imposta riferibile alle perdite utilizzate; - nel caso della franchigia, la maggiore franchigia calcolata grazie all’utilizzo delle perdite era pari al 64 per cento delle perdite stesse (e cioè 3278 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ alle perdite al netto dell’imposta ad esse riferibile), il che significata che, per tale importo, si potevano distribuire utili non assoggettati ad imposta con attribuzione del credito di imposta sui dividendi. il fisco Sia nel caso dell’imposta di conguaglio che nel caso della franchigia si verificava l’attribuzione (effettiva o potenziale nel caso della franchigia) agli azionisti di un credito di imposta pari all’imposta riferibile alle perdite utilizzate dalla società. Si operava, in tal modo, il trasferimento all’azionista del beneficio del risparmio fiscale derivante dall’utilizzo delle perdite pregresse. Per meglio illustrare quanto detto sopra, ricorriamo ai seguenti esempi. - l’attribuzione di un credito di imposta di 562,5 (9/16 di 1.000) e - il pagamento di un’imposta di conguaglio di 202,5. IC = 9/16 [1.000 – 0,64 (0 + 1.000)] = 202,5 Si noterà che a fronte di un credito di imposta di 562,5, la società che ha distribuito gli utili ha assolta imposte solo per 202,5 (Irpeg 0 + imposta di conguaglio 202,5). Pertanto il credito di imposta è risultato eccedente rispetto alle imposte pagate dalla società per 360 (562,5 – 202,5). Tale maggior credito d’imposta di 360 era pari al risparmio fiscale della società per l’utilizzo delle perdite che, in tal modo, veniva trasferito a diretto vantaggio dell’azionista, come si può anche notare dal seguente prospetto: A1) Imposta di conguaglio Aliquota Irpeg 36 per cento - credito di imposta 9/16 Si supponga un soggetto Irpeg che a fronte di un reddito di 1.000 abbia utilizzato perdite fiscali per 1.000 e dichiarato un reddito imponibile di 0. In tal caso, l’utile netto è stato di 1.000. Secondo la vecchia norma, la distribuzione di tale utile comportava: dividendi Si rammenta che il comma 1 del vecchio art. 105 del Tuir disponeva il pagamento di una imposta (di conguaglio) pari ai 9/16 della differenza fra gli utili distribuiti ed il 64 per cento del reddito dichiarato, al lordo delle perdite riportate da precedenti esercizi. Nel nostro esempio, l’imposta di conguaglio era così calcolata: 360 ✕ 0,5625 = imposta di conguaglio 202,5 640 ✕ 0,5625 = perdita fiscale ✕ 36% 360,5 1.000 credito d’imposta A2) Franchigia 562,5 Nel nostro esempio, la franchigia è così calcolata: Aliquota Irpeg 36 per cento - credito di imposta 9/16 FR = [0,64 (0 + 1.000) – 0] = 640 il fisco Si supponga un soggetto Irpeg che a fronte di un reddito di 0 abbia costi non deducibili per 1.000, utilizzi perdite fiscali per 1.000 e pertanto dichiari un reddito imponibile di 0. In tal caso, l’Irpeg sarà pari a 0 e l’utile netto sarà di 0. Secondo la vecchia norma, nel caso in esempio si creava la cosiddetta franchigia. Si rammenta che il comma 3 del vecchio art. 105 del Tuir quantificava la franchigia quale differenza fra il 64 per cento del reddito dichiarato, al lordo delle perdite riportate da precedenti esercizi e l’utile netto di bilancio. Si noterà che l’utilizzo delle perdite pregresse ha dato luogo ad una franchigia pari al 64 per cento delle perdite utilizzate e cioè ha creato la possibilità di distribuire riserve non assoggettate ad imposta per 640 con attribuzione del relativo credito di imposta (9/16 di 640) di 360. Tale credito d’imposta di 360 era pari al risparmio fiscale della società per l’utilizzo delle perdite che, in caso di distribuzione, sarebbe stato trasferito a diretto vantaggio dell’azionista, come si può anche notare dal seguente prospetto. Dividendi 640 ✕ 0,5625 = credito di imposta 360 = 36% della perdita pregressa 12/2000 il fisco 3279 ATTUALITÀ C) Perdite fiscali pregresse della società emittente e determinazione del credito di imposta sui dividendi: norma transitoria A seguito della riforma del D.Lgs. n. 467/1997 (abrogazione dell’imposta di conguaglio), l’utilizzo delle perdite fiscali non influisce nella determinazione del credito di imposta sui dividendi in quanto nel nuovo sistema, il credito di imposta è attribuito non automaticamente, ma in funzione delle imposte effettivamente pagate dalla società e memorizzate nel cosiddetto “basket A” ed in funzione di particolari disposizioni agevolative in virtù delle quali viene riconosciuto il credito d’imposta limitato memorizzato nel cosiddetto “basket B”. Per meglio illustrare quanto detto sopra, ricorriamo ai seguenti esempi. Nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema, la legge ha disposto una norma transitoria in base alla quale si continuano a riconoscere agli azionisti i benefici in termini di credito di imposta connessi all’utilizzo delle perdite pregresse formatesi fino all’entrata in vigore del nuovo sistema. Infatti il comma 5, lettera c), dell’art. 3 (disposizioni transitorie) del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 467 dispone che concorre ad alimentare il cosiddetto “basket B” “l’imposta corrispondente al reddito dichiarato a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 1996 e compensato con le perdite di detto esercizio e di quelli precedenti ai sensi dell’art. 102 del testo unico delle imposte sui redditi”. In altri termini le perdite formatesi negli esercizi dal 1992 al 1996 (per i contribuenti con esercizio solare) che sono compensate nel termine quinquennale con i redditi degli esercizi dal 1997 al 2001 danno luogo ad un credito di imposta limitato pari all’Irpeg corrispondente alle perdite compensate continuando, di fatto, a produrre - fino all’esaurimento del periodo quinquennale di utilizzo - gli stessi benefici concessi dal precedente sistema. Per meglio illustrare quanto detto sopra, ricorriamo ai seguenti esempi. Si supponga un soggetto Irpeg che nel 1999 a fronte di un reddito di 1.000 abbia utilizzato perdite fiscali del 1994 per 1.000 e dichiarato un reddito imponibile di 0. In tal caso, l’utile netto è stato di 1.000. Secondo la norma transitoria, il basket B dovrà essere alimentato dell’imposta corrispondente al reddito dichiarato e compensato con le perdite degli anni 1996 e precedenti, pertanto: Aliquota Irpeg 37 per cento - credito di imposta 0,5873. Si supponga un soggetto Irpeg che a fronte di un reddito di 1.000 utilizzi perdite fiscali per 1.000 e dichiari un reddito imponibile di 0. In tal caso, l’utile netto sarà di 1.000. Secondo la nuova norma, la distribuzione di tale utile di 1.000 comporta le due seguenti possibilità: il fisco B) Perdite fiscali pregresse della società emittente e determinazione del credito di imposta sui dividendi: sistema vigente a) la distribuzione del dividendo di 1.000 senza credito di imposta, oppure b) la distribuzione del dividendo di 1.000, il versamento integrativo ex art. 105-bis del Tuir di 587,3 e l’attribuzione di un credito di imposta pieno di 587,3. Si noterà che, nel nuovo sistema, l’utilizzo delle perdite fiscali non ha generato alcun beneficio per il percettore del dividendo in quanto il credito di imposta riconosciuto (587,3) trova esatto riscontro nel versamento integrativo di pari importo effettuato dalla società. 1.000 ✕ 0,37 = 370 credito d’imposta limitato (canestro B) D) Le perdite fiscali dell’azionista ed il credito di imposta limitato sui dividendi il fisco Il credito d’imposta limitato di 370 è il beneficio riconosciuto agli azionisti pari all’Irpeg corrispondente alle perdite pregresse formatesi durante il vecchio sistema e compensate successivamente. Si noti che, se la situazione di cui sopra si fosse verificata durante il vecchio sistema, il beneficio concesso agli azionisti in dipendenza dell’utilizzo delle perdite sarebbe stato il medesimo così come descritto al precedente punto A1) - fatta salva la differenza dovuta alla variazione dell’aliquota Irpeg (dal 36 per cento al 37 per cento) e della misura del credito di imposta (dal 56,25 per cento al 58,73 per cento) nel frattempo intervenuta. Si è detto nella premessa che nella fase di applicazione del nuovo sistema (abrogazione della maggiorazione di conguaglio), l’utilizzo di perdite fiscali da parte dell’azionista comportava un effetto distorsivo che limitava l’utilizzo del credito di imposta limitato. A seguito della modifica disposta alla fine del 1999 è stato eliminato tale effetto distorsivo e pertanto ad oggi l’utilizzo delle perdite fiscali dell’azionista è ininfluente ai fini della fruizione del credito di imposta limitato. Infatti, l’art. 11 del D.Lgs. n. 505 del 23 dicembre 3280 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ Dividendi Credito d’imposta limitato 1.000 Credito d’imposta limitato detraibile = = [(1.000 + 587,3) : 13.587,3] ✕ 5.027 = = 0,1168 ✕ 5.027 = 587 Ora, si riprenda lo stesso esempio, supponendo che il contribuente abbia utilizzato perdite fiscali pregresse per 3.000. Dividendi Credito d’imposta limitato 1.000 587,3 Altri redditi 12.000 Perdite pregresse (3.000) Reddito imponibile 10.587,3 Irpeg 37% 3.917 Ai fini del computo della detrazione del credito di imposta limitato, con la nuova regola, il denominatore del rapporto - il reddito complessivo - è indicato “al netto” delle perdite utilizzate, quindi: Credito d’imposta limitato detraibile = = [(1.000 + 587,3) : 10.587,3] ✕ 3.917 = = 0,15 ✕ 3.917 = 587 Si noterà che il credito d’imposta limitato detraibile calcolato in presenza di utilizzo di perdite fiscali è uguale a quello calcolato nel primo esempio: il che significa che la presenza di perdite pregresse utilizzate non ha influito sulla determinazione del credito stesso. Con la vecchia regola invece, il denominatore del rapporto - il reddito complessivo - era indicato “al lordo” delle perdite utilizzate, quindi: Credito d’imposta limitato detraibile = = [(1.000 + 587,3) : 13.587,3] ✕ 3.917 = = 0,1168 ✕ 3.917 = 457 Si noterà che, con la vecchia regola, il credito d’imposta limitato detraibile, in presenza di perdite pregresse utilizzate, risultava inferiore a quello calcolato nel primo esempio: il che significa che, con la vecchia regola, l’utilizzo di perdite fiscali influiva negativamente sulla determinazione della detrazione del credito stesso. Esempio 587,3 Altri redditi 12.000 Reddito imponibile 13.587,3 Irpeg 37% Il credito d’imposta limitato detraibile dall’Irpeg deriva dal seguente calcolo: il fisco 1999 ha modificato le regole per la detrazione dall’Irpef e dall’Irpeg del credito di imposta (cosiddetto) limitato spettante sui dividendi. La nuova regola è applicabile a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 1999. Gli articoli del testo unico delle imposte sui redditi modificati sono l’art. 11, comma 3-bis, e l’art. 94, comma 1-bis, riguardanti la detrazione del credito di imposta limitato rispettivamente dall’Irpef e dall’Irpeg. La modifica della regola riguarda il computo delle perdite fiscali utilizzate dall’azionista: con la vecchia regola le perdite fiscali utilizzate influivano negativamente sulla detrazione del credito di imposta limitato; dopo la modifica, la detrazione del credito di imposta limitato non è più influenzata dall’utilizzo delle perdite fiscali. È noto che il credito di imposta limitato è lo strumento per trasferire agli azionisti i regimi fiscali agevolativi concessi alle società partecipate e ciò spiega il motivo per il quale il credito di imposta limitato non è riportabile a nuovo, non è rimborsabile ed è detraibile solo fino a concorrenza della quota di imposta dovuta relativa al dividendo cui si riferisce. La quantificazione della quota di imposta dovuta riferibile al dividendo deriva dal rapporto fra il dividendo ed il reddito complessivo. Gli artt. 11 e 94 del Tuir, prima dalla modifica, disponevano che il denominatore del rapporto - il reddito complessivo - dovesse essere indicato “al lordo” delle perdite dei precedenti esercizi ammesse in deduzione. In tal modo le perdite pregresse utilizzate - incrementando il denominatore del rapporto - contribuivano a ridurre la quota di imposta riferibile al dividendo con la conseguenza di impedire l’utilizzazione di tutto il credito di imposta limitato riferibile al dividendo stesso. Il che significava impedire il pieno trasferimento agli azionisti dei regimi agevolativi concessi alle società partecipate. Questo effetto distorsivo è stato eliminato disponendo che il denominatore del rapporto - il reddito complessivo imponibile - deve essere indicato “al netto” delle perdite dei precedenti esercizi ammesse in deduzione anziché “al lordo”. Al fine di quantificare l’effetto distorsivo ora corretto si propone il seguente esempio. Si supponga un azionista (soggetto Irpeg) che, nel periodo di imposta, abbia riscosso dividendi per 1 milione con credito di imposta limitato di 587.300 e dichiari altri redditi imponibili per 12.000.000. 5.027 Si supponga un azionista (soggetto Irpef) che, nel periodo di imposta, abbia riscosso dividendi per 1 milione con credito di imposta limitato di 587.300 e dichiari altri redditi imponibili per 12.000.000 12/2000 il fisco 3281 ATTUALITÀ Dividendi Credito d’imposta limitato 587,3 Altri redditi 12.000 Reddito imponibile 13.587,3 Irpefå 19% Ai fini del computo della detrazione del credito di imposta limitato, con la nuova regola, il denominatore del rapporto - il reddito complessivo - è indicato “al netto” delle perdite utilizzate, quindi: 1.000 Credito d’imposta limitato detraibile = = [(1.000 + 587,3) : 10.587,3] ✕ 2.011 = = 0,15 ✕ 2.011 = 301 2.582 Il credito d’imposta limitato detraibile dall’Irpef deriva dal seguente calcolo: Ora, si riprenda, lo stesso esempio, supponendo che il contribuente abbia utilizzato perdite fiscali pregresse per 3 milioni. Dividendi Credito d’imposta limitato 1.000 587,3 Redditi d’impresa o partecipaz. 12.000 Perdite pregresse (3.000) Reddito imponibile 10.587,3 Irpef 19% il fisco Credito d’imposta limitato detraibile = = [(1.000 + 587,3) : 13.587,3] ✕ 2.582 = = 0,1168 ✕ 2,582 = 301 Si noterà che il credito d’imposta limitato detraibile calcolato in presenza di utilizzo di perdite fiscali è uguale a quello calcolato nel primo esempio: il che significa che la presenza di perdite pregresse utilizzate non ha influito sulla determinazione del credito stesso. Con la vecchia regola invece, il denominatore del rapporto - il reddito complessivo - era indicato “al lordo” delle perdite utilizzate, quindi: Credito d’imposta limitato detraibile = = [(1.000 + 587,3) : 13.587,3] ✕ 2.011 = = 0,1169 ✕ 2.011 = 235 Si noterà che, con la vecchia regola, il credito d’imposta limitato detraibile, in presenta di perdite pregresse utilizzate, risultava inferiore a quello calcolato nel primo esempio: il che significa che, con la vecchia regola, l’utilizzo di perdite fiscali influiva negativamente sulla determinazione della detrazione dal credito stesso. 2.011 ■ Nelle librerie specializzate o con richiesta diretta all’Editore Antonio de Cicco Codice Tributario Doganale dell’U.E. La normativa comune sul commercio internazionale Testo Consolidato ■ Codice Doganale Comunitario CDC ■ Disposizioni di attuazione al Codice Comunitario - DAC il2000 fisco R I V I S T A Corredati con: ■ Rubrica degli articoli ■ Tavola di correlazione tra gli articoli del CDC e del DAC ■ Indice sistematico ■ Indice analitico CEDOLA RICHIESTA VOLUME di pag. 782 “Codice Tributario Doganale dell’U.E.” Compilare e spedire insieme alla fotocopia del versamento di L. 50.000 sul c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario non trasferibile Spett. ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma Nome Cognome P. Iva Cod. Fisc. Residente in Via c.a.p. Città Firma 12/2000 il fisco 3283 ATTUALITÀ Novità dal Front (Office) di Gianluca Patrizi e Gianluca Marini Introduzione (1) È del 15 gennaio 2000 il decreto del Direttore regionale sull’attivazione e le competenze dei nuovi uffici delle Entrate di Roma (in “il fisco” n. 7/2000, pag. 1975), che riporta in allegato le tabelle “A” e “B” inerenti alla ripartizione dei carichi pregressi fra gli otto uffici delle Entrate circoscrizionali di Roma. (2) La ratio dell’istituzione degli uffici delle Entrate di Roma è, come noto, quella di suddividere le posizioni fiscali in otto ambiti a delimitazione territoriale, riportati in Appendice. il fisco Sono funzionanti dal 27 gennaio scorso gli otto uffici delle Entrate di Roma (1), sebbene non siano mancati alcuni fisiologici, iniziali, problemi organizzativi a livello di trasferimento delle pratiche di competenza (si parla di qualcosa come 9400 quintali di carta), correlati soprattutto alla predisposizione dei pacchi ed al loro trasporto nelle sedi di competenza per domicilio fiscale (2), stante l’enorme numero di atti fiscali pregressi, in lavorazione o ancora da esaminare, scaturenti dalla soppressione degli uffici distrettuali delle imposte dirette, degli uffici dell’imposta sul valore aggiunto, degli uffici del registro e delle sezioni staccate della Direzione regionale delle Entrate per il Lazio siti nel distretto di Roma. Alcuni problemi sono, peraltro, sorti nel procedere al trasferimento dei circa 1500 dipendenti nei vari uffici delle Entrate, anche considerando che in seguito a tale trasferimento sono risultati organici non sempre omogenei, e difficilmente si è riusciti a mettere a disposizione dei direttori e dei capi area un “assortimento” di impiegati e di funzionari in grado di gestire efficacemente i molteplici ambiti impositivi presenti nei nuovi uffici che, si ricorderà, dovranno curare, tra l’altro, l’accertamento, le verifiche ed i controlli, nonché l’assistenza ai contribuenti per tutte le imposte dirette, per l’Iva, per l’imposta di registro, per l’imposta di successione, nonché gli adempimenti prima gestiti dalle sezioni staccate, come, ad esempio, le autorizzazioni per le manifestazioni a premio richieste dalle società. Tanto premesso, considerato che l’operatività degli otto uffici delle Entrate di Roma non può ancora essere ritenuta a pieno regime e che, in particolare, le attività di accertamento devono, in linea di massima, attendere il completo e definitivo espletamento delle difficili procedure di assegnazione delle pratiche, le quali devono tenere conto, tra l’altro, di tutti gli incartamenti arretrati relativi al contenzioso, alle varie sanatorie pregresse e ad ogni altra lavorazione già iniziata o conclusa (3), possiamo affermare che il settore attualmente più operativo dei nuovi uffici delle Entrate è quello dedicato all’assistenza ai contribuenti, alla ricezione degli atti, alla bollatura dei registri, alla registrazione degli atti privati e pubblici, alla gestione delle pratiche di successione e alle operazioni relative ai codici fiscali e alle partite Iva. Tale settore è gestito dalla cosiddetta Area Servizi, laddove le procedure di accertamento, lato sensu, sono delegate all’Area Controllo, entrambe dirette da capo area. Esamineremo, nel successivo paragrafo, per sommi capi, il funzionamento dell’Area Servizi, ed in particolare del cosiddetto Front Office ovvero, l’ufficio di prima accoglienza dei contribuenti, dove sono collocati i vari sportelli polifunzionali; gli atti protocollati che necessitano di ulteriore lavorazione sono inviati al Back Office, una sorta di secondo stadio dell’Area Servizi, ovvero, all’Area Controllo se trattasi di atti di sua esclusiva competenza, quali ricorsi, istanze di sgravio, eccetera. Il Front Office Il Front Office, termine inglese che designa l’ufficio di “primo impatto” con il contribuente è costituito da una sala, più o meno grande secondo l’ufficio e le posizioni fiscali ad esso attribuite, dove sono sistemati diversi sportelli, in numero variabile; il contribuente ritira uno scontrino stampato da (3) Si confronti, per avere un’idea della complessità della cosa, il già citato decreto del Direttore regionale del Lazio del 15 gennaio 2000. 3284 il fisco 12/2000 1) operazioni riguardanti le richieste dei codici fiscali o dei loro duplicati (effettuabili in ogni ufficio, indipendentemente dal domicilio fiscale il fisco un apposito numeratore computerizzato provvisto di monitor, sul quale sono indicati i servizi disponibili e la coda relativa al momento del ritiro del biglietto. Tale dispositivo è collegato con un grande tabellone luminoso che indica ai contribuenti l’approssimarsi del proprio turno e li indirizza allo sportello appropriato; ogni operatore ha a sua disposizione un terminale/PC collegato con l’Anagrafe tributaria e con il sito “Finanze” disponibile su Internet, oltre ad una pulsantiera (reale o virtualmente installata sul monitor del terminale/PC) anch’essa collegata con il numeratore e con il tabellone luminoso. Al momento che l’operatore ha esaurito le richieste del contribuente, azionando l’apposito pulsante comunica al tabellone che è il turno del contribuente successivo e trasmette un impulso al numeratore che aggiorna istantaneamente la coda di contribuenti relativa a quel determinato servizio. Il numero (o codice alfanumerico) del prossimo contribuente compare anche su di un display luminoso situato in prossimità dello sportello, composto da una scrivania e due poltroncine, separato dagli altri sportelli da una bassa parete a forma di “L”, che ricorda da vicino le postazioni a disposizione dei clienti delle banche. A seconda delle esigenze dell’ufficio, che possono cambiare di giorno in giorno in dipendenza del numero dei contribuenti presenti, è possibile variare in tempo reale l’assegnazione degli sportelli ad un determinato servizio, così da smaltire efficacemente eventuali afflussi anomali ad uno stesso servizio. Prescindendo dalla suddivisione delle specifiche mansioni per ogni singolo sportello, che tratteremo a parte, troviamo uno sportello di prima informazione che ha il compito di indirizzare i contribuenti al servizio appropriato, nonché di prestare loro ogni assistenza nella compilazione dei moduli necessari, forniti dallo stesso sportello; è inoltre presente una postazione cosiddetta self-service, provvista di monitor touch-screen, mediante la quale è possibile l’accesso ad una serie di servizi disponibili in automatico, che consentono, ad esempio, di richiedere il duplicato del tesserino plastificato del codice fiscale, che sarà direttamente inviato presso il domicilio fiscale del contribuente, oppure di consultare in tempo reale i contributi Inps versati. I servizi specifici forniti dagli operatori del Ministero delle finanze, indipendentemente dal numero degli sportelli in funzione che, come già in precedenza accennato, è variabile da ufficio a ufficio, sono inerenti a: ATTUALITÀ della persona fisica), operazioni inerenti all’apertura, alle chiusura o alle variazioni delle partite Iva (effettuabili, dall’11 di febbraio ultimo scorso, per domicilio fiscale del contribuente) espletate, in linea di massima, dai medesimi sportelli; 2) informazioni generiche e/o specifiche sulle varie imposte gestite dall’ufficio, in esse comprese quelle relative ai rimborsi e alle cartelle esattoriali derivanti da controlli formali o sostanziali; 3) registrazioni di atti pubblici e privati, con la caratteristica che, laddove sono registrabili in ogni ufficio tutti gli atti privati sottoscritti dai contribuenti, per quanto riguarda gli atti pubblici ogni ufficio ha assegnato un determinato numero di notai abilitati alla presentazione, secondo l’ubicazione degli studi. La registrazione degli atti avviene in differita nel Back Office, l’ufficio situato virtualmente “alle spalle” del Front Office; 4) ricezione di atti quali ricorsi, depositi di verbali di assemblea, di atti costitutivi, di istanze di autotutela eccetera, i quali sono protocollati, viene rilasciata al contribuente una ricevuta di presentazione ed infine vengono inviati, per competenza, all’Area interessata; 5) ricezione delle pratiche di successione, accettate secondo il domicilio fiscale del de cuius, lavorate in seguito al Back Office dell’Area Servizi; 6) bollatura dei registri in tempo reale o in differita, in dipendenza del numero degli addetti e del carico di lavoro giornaliero. In ogni Front Office, situati ai piani più bassi degli uffici, è presente una sala di attesa posta in modo da consentire ai contribuenti la visione del tabellone luminoso, e dal notevole affollamento dei primi giorni di attività si sta gradualmente passando ad un flusso più controllato ed ordinato, soprattutto perché i contribuenti cominciano ad “educarsi” circa la dislocazione dei nuovi uffici ed anche perché il personale dell’Amministrazione finanziaria si va impratichendo sempre di più circa le procedure da seguire. Senza dubbio stiamo assistendo ad una riforma ambiziosa che non tarderà a produrre i suoi frutti ma, come tutti i frutti, questi devono avere il tempo di maturare e non è certo possibile trasformare da un giorno all’altro personale fino a ieri specializzato in un settore impositivo ben definito in funzionari immediatamente polifunzionali, in grado, cioè, di gestire imposte in precedenza mai trattate. Per questo occorrerà certamente del tempo e i nuovi uffici delle Entrate abbisogneranno, senza dubbio, di un periodo di rodaggio di alcuni mesi per sviluppare tutte le loro notevoli potenzialità, che consentiranno un rapporto Fisco/contribuenti sensibilmente migliore e più produttivo. 12/2000 il fisco 3285 ATTUALITÀ Appendice LE COMPETENZE DEGLI OTTO UFFICI DELLE ENTRATE DI ROMA Circoscrizioni Ufficio Indirizzo I/II/XVI ........................................................ Roma 1 ................................. Via Ippolito Nievo, 36 XVII/XVIII/XIX .......................................... Roma 2 ................................. Largo Lorenzo Mossa, 8 IV/XX .......................................................... Roma 3 ................................. Via di Settebagni, 384 III/V/VI/VII .................................................. Roma 4 ................................. Via Marcello Boglione, 7 VIII/IX/X ..................................................... Roma 5 ................................. Via di Torre Spaccata, 110 XI/XII/XV .................................................... Roma 6 ................................. Via Canton, 20 XIII .............................................................. Roma 7 ................................. Via Canton 10, (provvisorio) Comuni - Comune di Fiumicino ............................................................................................................. Ufficio Roma 7 - Comuni di Anzio, Ardea, Nettuno, Pomezia.......................................................................... Ufficio Roma 8 Via Alcide de Gasperi, 4 - Pomezia - Comuni di Anguillara Sabazia, Bracciano, Campagnano di Roma, Canale Monterano, Capena, Castelnuovo di Porto, Civitella San Paolo, Fiano Romano, Filacciano, Formello, Magliano Romano, Manziana, Mazzano Romano, Mentana, Monterotondo, Morlupo, Nazzano, Ponzano Romano, Riano, Rignano Flaminio, Sacrofano, Sant’Oreste, Torrita Tiberina, Trevignano Romano................................................................................................ Ufficio Roma 3 ■ 3286 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ La riforma della riscossione Alcune novità introdotte dal D.Lgs. n. 46/1999 di Clelia Buccico Dottore di ricerca in Diritto tributario Seconda Università degli Studi di Napoli re l’effetto della riscossione con un incremento quantitativo ed un miglioramento temporale nel recupero dell’evaso. La legge ha trovato immediata attuazione, con l’emanazione di tre provvedimenti che hanno recepito le linee guida in essa contenute. L’attività di riordino è destinata a rendere concrete le entrate che molto spesso rimangono un dato meramente statistico. Il primo decreto, il D.Lgs. 22 febbraio 1999, n. 37 (1), dà ai contribuenti la possibilità di versare SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il concessionario e il ruolo - 3. La formazione e il contenuto dei ruoli: 3.1. Osservazioni - 4. La dilazione di pagamento: 4.1. Osservazioni - 5. La sospensione di pagamento - 6. L’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi - 7. La cartella di pagamento: 7.1. Osservazioni - 8. Le modalità di pagamento delle cartelle - 9. Gli interessi: 9.1.: Interessi per ritardata iscrizione a ruolo; 9.2.: Interessi per dilazione del pagamento; 9.3. Attribuzione degli interessi; 9.4.: Interessi di mora; 9.5. Interessi per sospensione amministrativa. (1) Decreto ministeriale 23 marzo 1999, “Abolizione dell’obbligo del non riscosso come riscosso, per i concessionari del servizio di riscossione, ai sensi del decreto legislativo 22 febbraio 1999, n. 37, e definizione dei rapporti contabili pendenti” (Gazzetta Ufficiale n. 73 del 29 marzo 1999) 1. Premessa Intervento al Convegno di Studi: Le novità della Finanziaria 2000 , organizzato dall’Ordine dei Dottori commercialisti di Napoli e dalla Rivista “il fisco”, tenutosi a Napoli il 18 febbraio 2000. il fisco La L. 28 settembre 1998, n. 337 ha attribuito al Governo la delega per il riordino della disciplina relativa alla riscossione. La legge ha visto la luce dopo un periodo di gestazione avviatosi due anni prima, con la presentazione al Parlamento di un disegno di legge messo a punto dal Governo e formalizzatosi nell’atto della Camera 2372-octies. Il provvedimento stabilisce alcuni fondamentali principi direttivi, da tempo auspicati, per una razionalizzazione della riscossione a mezzo ruolo. In particolare il provvedimento intende incidere in modo assai più marcato e significativo sull’attuale disciplina della riscossione, essendo evidente l’intento del legislatore di semplificare e razionalizzare l’attività del concessionario, rendendola più efficace ed incisiva, e, per altro verso, di massimizza- Art. 1 1. I ruoli affidati in carico, con l’obbligo del non riscosso come riscosso, ai concessionari del servizio di riscossione anteriormente al 26 febbraio 1999, data di entrata in vigore del decreto legislativo 22 febbraio 1999, n. 37, i cui importi dovevano essere anticipati, in tutto o in parte, successivamente alla predetta data, sono rettificati, per le somme relative a decimi o rate ancora da scadere, in ruoli senza obbligo del non riscosso come riscosso, con provvedimento degli uffici del Ministero delle finanze incaricati del servizio contabile in materia di entrate e patrimonio. La rettifica del carico avviene, sulla base dei dati forniti dalle Ragionerie provinciali dello Stato, tenendo conto del carico originariamente iscritto a ruolo, senza considerare le somme inerenti i provvedimenti di sospensione, dilazione o sgravio provvisorio. 2. Per gli importi oggetto di sospensione, dilazione o sgravio provvisorio, concernenti ruoli emessi con l’obbligo del non riscosso come riscosso relativamente ai quali, al 26 febbraio 1999, sono scaduti i termini di versamento di tutti i decimi da anticipare, gli uffici del Ministero delle finanze incaricati del servizio contabile in materia di entrate e patrimonio procedono alla rettifica con distinto provvedimento. 3. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2, sono adottati, per ciascun concessionario, cumulativamente, per ciascuna scadenza di rata, per capitolo articolo e per competenza e residui, con riferimento a tutti gli importi da rettificare. Essi sono notificati 12/2000 il fisco 3287 ATTUALITÀ imposte e contributi anche mediante delega ai concessionari della riscossione. Inoltre, viene eliminato l’obbligo del “non riscosso come riscosso”: i concessionari non saranno più costretti ad anticipare le somme iscritte a ruolo indipendentemente dalla loro effettiva riscossione. Per effetto del decreto, i contribuenti potranno andare, per delegare alla riscossione, anche in esattoria e non solo in banca o alla Posta. Il secondo decreto (26 febbraio 1999, n. 46) costituisce una prima attuazione della legge delega per la parte relativa alla razionalizzazione e snellimento delle procedure di formazione dei ruoli e di esecuzione, nonché alla regolamentazione dei rapporti tra i concessionari e gli enti impositori. Si tratta, fra l’altro, di un’attuazione indispensabile per realizzare gli obiettivi di gettito programmati dal Governo (in particolare, con l’art. 13 della L. 23 dicembre 1998, n. 448), relativamente al recupero dei crediti contributivi (2). al concessionario e comunicati alla competente Ragioneria provinciale dello Stato. 4. Per i provvedimenti relativi all’importo dei crediti vigenti o alle rate completamente scadute ma in parte non versate, si assume come scadenza la data del 10 febbraio 1999. Gli stessi vengono emessi in conto residui. Art. 2 (2) In particolare, il decreto dà attuazione ai principi e criteri direttivi della legge delega di cui alle seguenti lettere: a) limitatamente all’affidamento ai concessionari della riscossione mediante ruolo delle entrate dello Stato, degli enti territoriali (per questi ultimi fermo quanto previsto dall’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997 e quindi quanto previsto in tema di albo per l’accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali), degli enti pubblici e previdenziali. Tale principio direttivo comporta la regola della cosiddetta generalizzazione della riscossione coattiva mediante ruolo di tutte le entrate pubbliche ivi specificate, con conseguente obbligatorietà della diretta iscrizione a ruolo di tutte le entrate (regola espressa dall’art. 17 del decreto legislativo). In ogni caso la riscossione coattiva a mezzo ruolo si vuole applicabile, dal legislatore della delega, alla riscossione delle entrate, tributarie ed extratributarie, dello Stato e di tutti gli enti pubblici istituzionali. In conseguenza si avrà il correlativo tendenziale superamento della procedura di ingiunzione fiscale di cui al R.D. n. 639/1910 che costituisce a fronte della natura di titolo esecutivo del ruolo, semplicemente un fattore di ritardo nell’avvio delle procedure esecutive in presenza di crediti certi, liquidi ed esigibili svolgendo una funzione che può essere svolta dal ruolo e/o il fisco 1. A decorrere dal 26 febbraio 1999, i versamenti in tesoreria delle somme riscosse dai concessionari sono effettuati secondo le modalità stabilite dall’art. 72, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43. 2. Ai fini dell’individuazione del termine di versamento in tesoreria, le somme, relative a ruoli con obbligo affidati in carico precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 37 del 1999, ed incassate fino a tale data, si considerano riscosse il 26 febbraio 1999. Il riversamento delle stesse è effettuato al netto degli importi già versati per effetto dell’obbligo del non riscosso come riscosso. 3. Gli interessi di mora riscossi a fronte di ruoli affidati in carico con obbligo spettano ai concessionari proporzionalmente alle somme anticipate. Il terzo e ultimo tassello della riforma della riscossione è il D.Lgs. n. 112 del 13 aprile 1999, che riguarda i rapporti tra Fisco e concessionari. In base a quanto prevede il decreto, dal 2004 i concessionari della riscossione dovranno trasformarsi in società per azioni con capitale sociale non inferiore a 5 miliardi di lire. Le concessionarie saranno selezionate attraverso procedure di gara pubblica. Gli amministratori dovranno avere requisiti di onorabilità e professionalità e rispettare determinate regole di comportamento. I privati concessionari potranno accedere direttamente alla banca dati del Ministero delle finanze (rispettando la riservatezza delle informazioni) e potranno dedicarsi anche al recupero crediti per conto terzi, ovviamente tenendo ben distinte le attività. Per migliorare l’efficienza della riscossione i concessionari saranno remunerati in base alle somme effettivamente riscosse. Saranno rafforzate le sanzioni per la tardiva o mancata trasmissione delle informazioni sullo stato della riscossione. Anche la recente riforma della riscossione, suddivisa come visto nel riordino della riscossione mediante ruolo di cui al D.P.R. n. 602/1973, operato con il D.Lgs. n. 46/1999, e nel riordino del servizio nazionale della riscossione, operato con il D.Lgs. n. 112/1999, sostitutivo del D.P.R. n. 43/1988, non si è sottratta agli interventi correttivi necessari per affinare la disciplina innovativa e per adeguare le regole rivolte a superare la fase di transizione dal vecchio al nuovo regime della riscossione tributaria. È così che nel mese di agosto con il D.Lgs. n. 326/1999 sono state apportate alcune correzioni ai decreti legislativi n. 46 e n. 112. dalla cartella di pagamento contenente invito ad adempiere ed avviso di mora. Tale procedura rimane residualmente in vigore - e, pertanto, non si è ritenuto di procedere all’abrogazione del R.D. n. 639/1910 - per i casi in cui esistano norme, applicabili a soggetti (quali gli enti delle autonomie locali) per i quali il ruolo sia facoltativo, che consentano il ricorso all’ingiunzione fiscale per la riscossione; f) revisione e semplificazione della procedura di iscrizione a ruolo; g) previsione della possibilità di versamento delle somme iscritte a ruolo tramite il sistema bancario, con o senza domiciliazione dei pagamenti su conto corrente, ovvero con procedure di pagamento automatizzate; h) snellimento delle procedure esecutive attraverso l’emanazione di un unico atto avente funzione di avviso di pagamento e di mora; la preclusione dell’espropriazione immobiliare per i debiti di modesto importo; l’espropriazione diretta per crediti superiori ad un certo valore al di sotto del quale comunque non è preclusa l’iscrizione di ipoteca legale; la revisione e semplificazione delle vendite; la facoltà per il concessionario di non procedere all’esecuzione mobiliare utilizzando l’istituto vendite giudiziarie; l’accesso dei concessionari all’anagrafe tributaria; l’attribuzione di compiti di natura informatica e di supporto al Consorzio nazionale obbligatorio fra i concessionari; i) revisione delle disposizioni in tema di notifiche degli atti esattoriali tenuto conto della normativa in tema di protezione dei dati personali. 3288 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ In tale sede ho ritenuto opportuno analizzare le più significative novità del D.Lgs. n. 46/1999 che si riferisce alla riscossione mediante ruolo. Nel ruolo deve comunque essere indicato il numero di codice fiscale del contribuente, in difetto non può porsi luogo all’iscrizione. Con la manovra finanziaria 2000 è stato stabilito all’art. 30, comma 19, che per la riscossione dei ruoli non erariali sottoscritti entro il 30 giugno 2000 non si applica tale disposizione. I ruoli - secondo quanto disciplinato dal D.M. n. 321 del 3 settembre 1999 - sono formati direttamente dall’ente creditore o con l’intervento del consorzio nazionale obbligatorio tra i concessionari (CNC). Essi, in entrambi i casi, recano un numero identificativo univoco a livello nazionale e sono costituiti ognuno da un prospetto conforme al modello da approvare con decreto dirigenziale (3), adottato dalle Amministrazioni delle finanze e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e da un elenco contenente l’indicazione dei seguenti dati: 2. Il concessionario e il ruolo 3. La formazione e il contenuto dei ruoli Sempre in riferimento ai ruoli, e nell’ottica dello snellimento delle procedure, la norma detta disposizioni in ordine al procedimento di formazione dei ruoli ed al loro contenuto così come disciplinato dall’art. 12 del D.P.R. n. 602/1973 modificato dal D.Lgs. n. 46/1999. Il ruolo non sarà distinto più per tipo di tributo, ma potrà contenere più specie di tributi. Il ruolo era precedentemente redatto per ciascun comune e per ogni tributo, ora invece è formato per tutti i comuni compresi nell’ambito territoriale dell’agente della riscossione ed è riferito a tutti i contribuenti che hanno il domicilio fiscale nel suddetto ambito territoriale. Ne consegue che il numero di ruoli diminuisce e si raggiunge il debitore in breve tempo visto che viene cercato dov’è il suo domicilio fiscale, cioè dove il contribuente risiede. a) l’ente creditore; b) la specie del ruolo; c) il codice fiscale e i dati anagrafici dei debitori; il fisco Il decreto correttivo del D.P.R. n. 602/1973 definisce finalmente il concessionario e il ruolo. Concessionario è il soggetto cui è affidato in concessione il servizio di riscossione o è il commissario governativo che gestisce lo stesso. Il ruolo è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute, formato dall’ufficio, per la riscossione a mezzo concessionario (art. 10). Una delle innovazioni sostanziali della riforma è, come già detto, la semplificazione dei ruoli. In particolare, per quanto riguarda l’oggetto, il ruolo deve rispettare l’indicazione di tutti gli elementi inerenti al debito verso l’Erario e cioè: le imposte, le sanzioni e gli interessi dovuti. Lo scopo è quello di formare un titolo giuridico onnicomprensivo, dotato della massima trasparenza e comprensibilità per il destinatario oltre che di efficienza e di efficacia per la parte pubblica creditrice. Un’innovazione strutturale è poi la ridefinizione delle tipologie dei ruoli che, sempre nell’ottica della semplificazione, vengono ridotte da quattro a due. Si hanno così solo ruoli ordinari e straordinari e non più principali, suppletivi, speciali e straordinari. I secondi come già avviene, verrebbero emessi nel caso di fondato pericolo per la riscossione e all’Amministrazione spetta la prova della sussistenza di tale pericolo. È stata prevista al riguardo una norma di coordinamento [art. 38, comma 1, lettera b)], che chiarisce che le norme di legge o regolamentari che attualmente fanno riferimento ai ruoli principali, suppletivi o speciali debbono intendersi come riferite ai ruoli ordinari. d) il codice di ogni componente del credito (articolo di ruolo); e) il codice dell’ambito; f) l’anno o il periodo di riferimento del credito; g) l’importo di ogni componente del credito; h) il totale degli importi iscritti nel ruolo; i) il numero delle rate in cui il ruolo deve essere riscosso, l’importo di ciascuna di esse e la cadenza delle stesse; l) la data di consegna al concessionario. Nell’elenco è contenuta, per ciascun debitore, anche l’indicazione sintetica degli elementi sulla base dei quali è stata effettuata l’iscrizione a ruolo; nel caso in cui l’iscrizione a ruolo consegua ad un atto precedentemente notificato, devono essere indicati gli estremi di tale atto e la relativa data di notifica. Si aggiunga poi che, a seguito dell’emanazione del regolamento approvato con il D.P.R. n. 129/1999 (16 aprile 1999), in attuazione dell’art. 12-bis, non si fa luogo all’accertamento, all’iscrizione a ruolo e alla riscossione dei crediti relativi ai tributi erariali, regionali e locali di ogni specie comprensivi o costituiti solo da sanzioni amministrative o interessi, qualora l’ammontare dovuto, per ciascun credito, con riferimento ad ogni periodo d’imposta, non superi l’importo di trentaduemila lire. Tale disciplina non ha carattere generale: essa si riferisce solo ai crediti tributari accertabili relati- (3) Cfr. decreto dirigenziale 11 novembre 1999. Tale decreto contiene tre allegati: 1. Il prospetto del ruolo; 2. Le specifiche tecniche per la consegna ai concessionari del servizio nazionale della riscossione dei ruoli formati direttamente dall’ente creditore; 3. Il modello del riassunto dei ruoli erariali. 12/2000 il fisco 3289 ATTUALITÀ a) l’ente creditore; b) l’ente beneficiario, se diverso dall’ente creditore; c) la specie del ruolo; d) il codice fiscale dei debitori; e) il cognome, il nome, il sesso, il luogo e la data di nascita, per le persone fisiche; f) la denominazione, la ragione sociale o la ditta e la sede, per i soggetti diversi dalle persone fisiche; g) per ogni articolo di ruolo, il codice o, in mancanza, la descrizione; h) l’anno o il periodo di riferimento del credito; i) gli importi a carico di ciascun debitore. Per gli interessi, gli accessori e le sanzioni, l’ente creditore può limitarsi ad indicare nella minuta gli elementi necessari al calcolo degli stessi da parte del CNC; l) il numero delle rate in cui il ruolo deve essere riscosso, l’importo totale di ciascuna di esse e la cadenza delle stesse; m) l’importo totale relativo a ogni pagina e all’intera minuta; n) l’indicazione sintetica degli elementi sulla base dei quali è stata effettuata l’iscrizione a ruolo. il fisco vamente ad un arco temporale che trova limite nella data del 31 dicembre 1997. Nel preambolo introduttivo al D.P.R. n. 129/1999 si legge infatti che “è opportuno abbandonare i crediti comunque non accertati o non corrisposti fino al 31 dicembre 1997”. Se ne desume che la norma debba riferirsi ai crediti relativi a fattispecie insorte prima del 31 dicembre 1997. Per i crediti tributari insorti successivamente a tale data, non ancora accertati, ma accertabili, o non corrisposti, valgono le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 46/1999 le quali, facendo riferimento al D.P.R. n. 129/1999, non potranno che condurre alla stessa disciplina dettata dal regolamento. Ne deriva che il limite delle 32mila lire è applicabile a tutti i crediti tributari anche successivi al 31 dicembre 1997, accertati o non, iscritti a ruolo o non, e comunque non ancora riscossi. È da sottolineare che la norma si riferisce anche alla disciplina dell’accertamento, stabilendo che quando l’importo della pretesa tributaria non eccede 32mila lire, rimane inibita la facoltà di procedere all’emissione dell’atto di accertamento. Se poi l’importo del credito supera il limite previsto si fa luogo all’accertamento, all’iscrizione a ruolo e alla riscossione per l’intero ammontare. La disposizione non si applica qualora il credito tributario, comprensivo o costituito solo da sanzioni amministrative o interessi, derivi da ripetuta violazione, per almeno un biennio, degli obblighi di versamento concernenti un medesimo tributo. Se ne desume che allorquando il credito nasce dal mancato adempimento di un obbligo di versamento e tale omissione è stata preceduta, nei due anni anteriori, non nei due periodi di imposta precedenti, da analoga omissione concernente lo stesso tributo, la regola diviene inefficace, con la conseguenza che l’importo dovuto è iscrivibile a ruolo sebbene al di sotto della soglia fissata dal regolamento (D.P.R. n. 129/1999, art. 1, comma 1). I ruoli formati direttamente dall’ente creditore sono redatti, firmati e consegnati, mediante trasmissione telematica al CNC, ai competenti concessionari del servizio nazionale della riscossione (concessionari), come già detto, in conformità alle specifiche tecniche approvate con il decreto dirigenziale. Se una o più quote del ruolo sono prive di almeno uno dei dati elencati il concessionario lo segnala all’ente creditore per il tramite del CNC e resta autorizzato a non porre tali quote in riscossione finché l’ente creditore non abbia provveduto alle necessarie integrazioni. Nel caso in cui l’ente creditore non possa utilizzare la procedura diretta alla formazione e consegna del ruolo, alla compilazione informatizzata dei ruoli provvede il CNC sulla base di minute trasmesse dagli enti creditori su supporto informatico o cartaceo. Le minute dei ruoli contengono l’indicazione dei seguenti elementi: Nel caso in cui l’iscrizione a ruolo consegua ad un atto precedentemente notificato, devono essere indicati gli estremi di tale atto e la relativa data di notifica. La trasmissione delle minute redatte su supporto informatico è effettuata in conformità alle specifiche tecniche definite d’intesa tra il singolo ente creditore ed il CNC. Il CNC, ricevute le minute, provvede alla informatizzazione dei ruoli operando l’acquisizione, la codifica ed il controllo dei dati trasmessi, richiedendo al sistema informativo del Ministero delle finanze la convalida, la fornitura o l’attribuzione del codice fiscale e del domicilio fiscale del debitore, escludendo le quote concernenti importi inferiori a quello stabilito con il regolamento di cui all’art. 12-bis del D.P.R. n. 602/1973, e quelle prive di almeno uno dei dati di cui alle lettere a), b), c), e), f), g), h) i) e l) e quantificando gli interessi, le sanzioni e gli accessori non direttamente determinati nella minuta dell’ente creditore. Dopo avere svolto tali attività il CNC restituisce in duplice esemplare i ruoli informatizzati agli enti creditori (4). (4) La restituzione dei ruoli informatizzati provenienti da supporto cartaceo avviene: a) per le minute pervenute al CNC dal giorno 1 al giorno 15 del mese, entro il giorno 15 del secondo mese successivo; b) per le minute pervenute al CNC dal giorno 16 all’ultimo giorno del mese, entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo. La restituzione dei ruoli informatizzati provenienti da supporto magnetico avviene: a) per le minute pervenute al CNC dal giorno 1 al giorno 15 del mese, entro l’ultimo giorno del mese successivo; 3290 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ Entro dieci giorni dalla restituzione l’ente creditore rende esecutivo il ruolo con la sottoscrizione del prospetto e ne consegna un esemplare al competente concessionario mediante trasmissione al CNC. 3.1. Osservazioni 4. La dilazione di pagamento In materia di dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo è stata introdotta una nuova disciplina con riferimento sia ai presupposti per la concessione del beneficio, sia al numero delle rate che possono essere accordate; in virtù di quanto disposto dall’art. 18 del D.Lgs. n. 46/1999, peraltro, tale disciplina si applica anche alle tasse e alle imposte indirette. L’ufficio (5), in base a quanto disciplinato dal b) per le minute pervenute al CNC dal giorno 16 all’ultimo giorno del mese, entro il giorno 15 del secondo mese successivo. (5) A tale proposito, si evidenzia che il termine “ufficio” non può che essere riferito all’ufficio che ha effettuato l’iscrizione a ruolo, in conformità al senso che questo termine assume in tutte le disposizioni del D.Lgs. n. 46/1999; laddove, infatti, il legi- il fisco Con la riformulazione dell’art. 12 data la corrispondenza tra ambito territoriale e concessionario e l’unicità dei ruoli (ordinari e straordinari) si comprende il sensibile risparmio organizzativo conseguente alle nuove regole: nelle mani di uno stesso concessionario si potranno concentrare, in relazione ad un medesimo debitore, tutti i ruoli e le corrispondenti pretese di più amministrazioni pubbliche creditrici, in relazione ad entrate tributarie e non, a patto che tutte queste amministrazioni si avvalgano del servizio nazionale della riscossione. Il ruolo diviene esecutivo nel momento in cui viene sottoscritto dal titolare dell’ufficio competente a formarlo ovvero da un suo delegato. Tale disposizione taglia drasticamente il lungo iter precedente occorrente per giungere alla definitiva consegna al concessionario del ruolo esecutivo. Precedentemente infatti i ruoli erano consegnati dal concessionario all’Intendenza di finanza. Della consegna veniva redatto processo verbale in duplice copia e un esemplare veniva affisso in apposito albo presso l’ufficio delle imposte. I competenti uffici dell’Amministrazione finanziaria apponevano il visto di esecutorietà sul riassunto riepilogativo, parte integrante del ruolo, che veniva inviato in copia alla competente ragioneria provinciale dello Stato. Ora invece la formazione di un ruolo è tutta interna all’Amministrazione finanziaria e il ruolo, al termine del processo di sua formazione, acquista anche l’esecutorietà. Si è così inciso positivamente non solo sui tempi di materiale predisposizione del titolo, ma anche sull’efficacia del sistema, capace di ridurre al minimo gli errori di formazione dell’atto. nuovo art. 19 del D.P.R. n. 602/1973, su richiesta del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad una massimo di sessanta rate mensili ovvero la sospensione della riscossione per un anno e, successivamente, la ripartizione del pagamento fino ad un massimo di quarantotto rate mensili. Secondo quanto esplicitato nella circolare ministeriale n. 184/E del 6 settembre 1999 e nella circolare n. 156/E del 26 gennaio 2000 (rispettivamente, in “il fisco” n. 34/1999, pag. 11268, e n. 6/2000, pag. 1711), relativamente a somme non superiori a cinquanta milioni di lire (da calcolarsi con riferimento all’importo di cui il debitore chiede la rateazione, e non a quello iscritto a ruolo), l’ufficio dovrà valutare discrezionalmente, di volta in volta, l’esistenza della “temporanea situazione di obiettiva difficoltà”, provvedendo, tra l’altro, a stabilire il numero di rate mensili che riterrà congruo in rapporto tanto all’entità del carico, quanto alle condizioni patrimoniali del debitore. In ogni caso, la scadenza di ogni rata, in conformità all’art. 19, comma 4, del nuovo D.P.R. n. 602/1973, dovrà essere fissata all’ultimo giorno di ciascun mese. Se l’importo iscritto a ruolo è invece superiore a cinquanta milioni di lire, il riconoscimento di tali benefici è subordinato alla prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria. La richiesta di rateazione deve essere presentata, a pena di decadenza, prima dell’inizio della procedura esecutiva ai sensi del nuovo art. 19, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973. Ne deriva che l’ufficio può concedere la rateazione soltanto dopo avere appurato, per il tramite del slatore delegato ha inteso individuare soltanto determinate tipologie di uffici finanziari, lo ha fatto espressamente (cfr., ad esempio, art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973, come sostituito dall’art. 15 del D.Lgs. n. 46/1999). Pertanto, a decorrere dal 1° luglio 1999, è venuta a cessare la preesistente competenza delle sezioni staccate delle Direzioni regionali delle Entrate a rateizzare i debiti d’imposta iscritti in ruoli formati dagli uffici distrettuali delle imposte dirette, dagli uffici Iva e dagli uffici del registro ed i provvedimenti di rateazione di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973 devono essere adottati in ogni caso dall’ufficio che ha emesso il ruolo, come già avviene per i ruoli degli uffici delle entrate e dei Centri di servizio delle imposte dirette ed indirette. Ne consegue che le istanze di rateazione presentate alle sezioni staccate antecedentemente al 1° luglio 1999 e non ancora evase a tale data devono essere trasmesse con urgenza agli uffici che hanno emesso i ruoli, senza che sia necessario alcun atto di impulso del richiedente, al quale, comunque, dovrà essere fornita comunicazione dell’avvenuta trasmissione dell’istanza. Ricevuta in tal modo la richiesta di rateazione, l’ufficio delle imposte dirette, Iva o registro provvederà ad esaminarla in tempi rapidi, al fine di evitare che il trasferimento della titolarità della competenza possa arrecare pregiudizio agli interessati. Circolare Ministero delle finanze, Dipartimento Entrate, Direzione centrale Riscossione 6 settembre 1999, n. 184/E/99/155190 - Art. 7 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. Provvedimenti di dilazione delle somme iscritte a ruolo. Istruzioni provvisorie. 12/2000 il fisco 3291 ATTUALITÀ concessionario della riscossione, che, alla data di presentazione dell’istanza, l’azione esecutiva non fosse stata avviata. In caso di mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di due rate: a) il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione; b) l’intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente e automaticamente riscuotibile in unica soluzione; c) il carico non può più essere rateizzato. È dunque inapplicabile la risoluzione del Ministero delle finanze n. 433238 del 1960 che prevedeva nella previgente normativa che il contribuente decaduto dal beneficio della rateazione potesse essere riammesso al beneficio versando l’ammontare delle rate insolute. 4.1. Osservazioni 5. La sospensione di pagamento La riscossione può essere sospesa, in base a quanto disciplinato dall’art. 19-bis, dal Ministero delle finanze con proprio decreto per 12 mesi se sussistono situazioni eccezionali, a carattere generale o relative ad un’area significativa del territorio che alterino lo svolgimento di un corretto rapporto con il contribuente. La sospensione amministrativa è invece disciplinata dall’art. 39. Tale norma sancisce che la sospensione può essere concessa da parte degli organi amministrativi per le imposte sui redditi e per gli altri tributi che danno origine a contenzioso devoluto alle Commissioni tributarie confermando il principio secondo cui il ricorso tributario il fisco Nella vecchia formulazione la norma concedeva all’Amministrazione finanziaria la facoltà di ripartire il debito tributario fino a 10 rate; nella nuova formula l’ufficio può concedere la dilazione fino a 60 rate del carico tributario iscritto a ruolo “in ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà” del contribuente. Se dal punto di vista del numero delle rate la nuova norma sembra vantaggiosa per il contribuente non lo è in riferimento al potere di concessione. Prima, infatti, l’Amministrazione aveva un’ampia facoltà nel concedere la dilazione senza incontrare limiti normativi, con la riforma tale facoltà è condizionata alla verifica della difficoltà oggettiva da parte del contribuente a pagare i propri debiti. Si ricordi poi quanto detto per gli importi superiori a 50 milioni: oltre alla condizione della difficoltà nel pagamento viene aggiunta la necessità di portare idonea garanzia fideiussoria con una conseguente contraddizione: se il contribuente è già in un’evidente difficoltà che senso ha imporgli il costo della fideiussione? contro il ruolo non sospende la riscossione; tuttavia, viene stabilito che l’ufficio delle entrate o il Centro di servizio possono disporre la sospensione - in tutto o in parte - fino alla data di pubblicazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale, con provvedimento motivato da notificare al concessionario e al contribuente. Se però sopravvenga fondato pericolo per la riscossione il provvedimento può essere revocato. In caso di impugnazione del ruolo, secondo quanto sancito dall’art. 28 del D.Lgs. n. 46/1999, il soggetto creditore può, con provvedimento motivato, sospendere la riscossione anche per le entrate di carattere non tributario ed attribuite da un giudice diverso da quello tributario. Accanto alla sospensione in via amministrativa si deve ricordare quella di natura giudiziale sancita dal nuovo art. 60 del D.P.R. n. 602/1973 e dall’art. 29 del D.Lgs. n. 46/1999. In particolare quest’ultimo dispone che, se la procedura non è ancora iniziata, per le entrate tributarie diverse da quelle devolute alle Commissioni tributarie e per quelle non tributarie, il giudice competente a conoscere le controversie concernenti il ruolo può sospendere la riscossione se ricorrono gravi motivi. Ad esecuzione iniziata invece il giudice può sospendere la riscossione solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 60 del D.P.R. n. 602/1973 se cioè ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno (6). I gravi motivi non consistono solo nell’alta probabilità di accoglimento del ricorso (fumus boni iuris), ma consistono in gravi violazioni di legge o problemi di illegittimità della procedura, mentre la gravità e irreparabilità del danno vanno letti in relazione all’impossibilità di risarcire o dal fatto che il bene pignorato soddisfi interessi anche di natura non meramente patrimoniale. 6. L’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi Il nuovo testo sopprime poi l’istituto del ricorso amministrativo contro gli atti del concessionario e, fatta eccezione per gli aspetti connessi alla regolarità formale ed alla notifica del titolo esecutivo rientranti nella competenza della Commissione tributaria, riconducono sotto la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria la disciplina dei ricorsi in opposizione all’esecuzione. In passato la procedura esecutiva non poteva essere sospesa a meno che la sospensione non fosse disposta dall’Autorità amministrativa (ex Intendente di finanza, poi Direzione regionale delle Entrate), o dal pretore in sede di opposizione di (6) In precedenza il potere di sospensione dell’esecuzione esattoriale era attribuito alla Direzione regionale delle Entrate o al pretore nell’ambito dell’opposizione di terzo, o, nelle materie di competenza, alle Commissioni tributarie. 3292 il fisco 12/2000 (7) Codice di procedura civile Art. 615 Forma dell’opposizione Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell’art. 27. Quando è iniziata l’esecuzione, l’opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell’esecuzione stessa. Questi fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. (8) Codice di procedura civile Art. 617 Forma dell’opposizione Le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia iniziata l’esecuzione, davanti al giudice indicato nell’art. 480, terzo comma, con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio di cinque giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto. Le opposizioni di cui al comma precedente che sia stato impossibile proporre prima dell’inizio dell’esecuzione e quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai singoli atti di esecuzione si propongono con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine perentorio di cinque giorni dal primo atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo o il precetto, oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti. tivi, il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti avanti a sé con decreto steso in calce al ricorso, ordinando al concessionario di depositare in cancelleria, cinque giorni prima dell’udienza, l’estratto del ruolo e copia di tutti gli atti di esecuzione. La norma è finalizzata a mettere il giudice in condizione di conoscere gli atti dell’esecuzione. Il giudice dell’opposizione in mancanza della produzione degli atti da parte del concessionario legittimato passivo delle opposizioni poiché titolare dell’azione esecutiva, deve valutare secondo i normali criteri dell’onere della prova (art. 2697 del codice civile), ma può esercitare poteri officiosi per conoscere gli atti esecutivi, ad esempio, reiterando l’ordine di esibizione al concessionario inadempiente o contumace e solo successivamente traendo argomenti di prova dal suo contegno processuale. 7. La cartella di pagamento il fisco terzo (ex art. 54 del D.P.R. n. 602/1973 vecchio testo). Al contribuente escusso era preclusa ogni azione giurisdizionale a tutela dei propri interessi, una volta che l’esattore avesse intrapreso l’esecuzione coattiva. Le opposizioni regolate dagli articoli da 615 a 618 del codice di procedura civile non erano ammesse e i soggetti passivi dell’esecuzione esattoriale che si ritenevano da essa lesi potevano agire in sede giudiziaria contro l’esattore solo dopo il compimento dell’esecuzione stessa, ai soli fini del risarcimento dei danni. Ora è stata mantenuta solo la preclusione dell’opposizione all’esecuzione: ai sensi del nuovo art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973, infatti non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile (7), fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’art. 617 del codice di procedura civile (8) relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo. La ratio di tale preclusione discende dall’esigenza di rispettare la riserva giurisdizionale delle Commissioni tributarie sulle controversie riguardanti i tributi elencati nell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992. Al comma 2 l’art. 57 menzionato sancisce che se è proposta opposizione all’esecuzione o agli atti esecu- ATTUALITÀ Il concessionario notifica la cartella di pagamento, entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello della consegna del ruolo, al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede. La cartella di pagamento contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. Essa è redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze (art. 1 del D.M. 28 giugno 1999). Ai fini della scadenza del termine di pagamento il sabato è considerato giorno festivo. Con il D.M. 28 giugno 1999 è stato approvato il modello delle cartelle di pagamento, in conformità del quale, a partire dal 1° luglio 1999, le stesse sono redatte. Il modello è predisposto su fogli di formato A4, compilati fronteretro, con fondo bianco e riquadri di colore azzurro; esso è composto da un frontespizio riepilogativo, da uno o più riquadri contenenti l’indicazione degli elementi sulla base dei quali è stata disposta l’iscrizione a ruolo, dalle istruzioni per il pagamento e dalle avvertenze relative alle modalità ed ai termini di impugnazione della cartella di pagamento. Quanto a trasparenza, la cartella ne ha così guadagnato: la prima parte, infatti, come detto, contiene la comunicazione sintetica che la società concessionaria del servizio di riscossione effettua nei confronti del cittadino sulle somme che il contribuente dovrà ai vari enti impositori e le causali delle richieste. La cartella contiene anche informazioni più dettagliate sugli addebiti di cui si chiede il pagamento e sugli enti che lo hanno richiesto nonché di dove, come e quando effettuare i versamenti dovuti. Con il decreto è stato approvato anche il contenuto delle avvertenze relative alle modalità ed ai 12/2000 il fisco 3293 ATTUALITÀ termini di impugnazione delle cartelle di pagamento afferenti alle entrate amministrate dal Ministero delle finanze. Il contribuente si ritroverà così l’indicazione dell’iter da seguire nel caso in cui voglia fare ricorso. Per le entrate diverse da quelle indicate, ciascun soggetto creditore provvede a fornire al consorzio nazionale fra i concessionari il contenuto delle avvertenze relative alle modalità ed ai termini di impugnazione afferenti alle proprie entrate, adottando un linguaggio il più possibile comprensibile ai debitori. Infine per le cartelle di pagamento relative ai ruoli resi esecutivi antecedentemente al 1° luglio 1999 sono redatte in conformità dei modelli approvati con il decreto direttoriale 31 dicembre 1996. 7.1. Osservazioni il fisco Non più cartella esattoriale, ma cartella di pagamento. Il legislatore ha introdotto un modello che comprende in sé le caratteristiche che, prima della riforma, appartenevano distintamente alla cartella esattoriale e all’avviso di mora. La cartella di pagamento ha assorbito le funzioni di titolo esecutivo e di precetto: il debitore una volta ricevuta la notifica è tenuto al pagamento entro 60 giorni, decorsi i quali inizia la procedura espropriativa. La nuova cartella contiene la comunicazione dettagliata delle somme da pagare, la relativa causale, gli enti creditori, i termini entro i quali il contribuente dovrà pagare. In tal modo nell’ottica della semplificazione e razionalizzazione dei rapporti tra il cittadino-contribuente e le amministrazioni pubbliche dello Stato, l’Amministrazione da una lato semplifica i pagamenti a ruolo dovuti dai contribuenti con la notifica di un solo atto, e dall’altro ammette un atto trasparente e di facile lettura. Nonostante la semplificazione potrebbero sorgere dei problemi. Il contribuente potrebbe infatti per errore presentare il ricorso ad un organo diverso da quello prescritto visto che il ruolo e di conseguenza la cartella unica contiene tutte le somme dovute per tributi e contributi. Come ha ben sottolineato parte della dottrina si sarebbe dovuto creare un solo ufficio presso il quale presentare l’istanza di rateazione dell’intero carico ad un unico organo presso il quale contestarlo. Altro problema sorge con l’eliminazione dell’avviso di mora. Tale eliminazione come vedremo rischia di violare l’art. 13 della Costituzione. Il diritto di procedere all’esecuzione forzata non può - per le entrate tributarie sottratte al giudice ordinario - essere contestato per effetto della sola mancata notificazione della cartella di pagamento, come avveniva prima della riforma (Cassazione n. 3739/1971). Nel testo dell’art. 46 del D.P.R. n. 602/1973 prima della riforma si disponeva che il concessionario, prima di iniziare l’espropriazione forzata nei confronti del debitore moroso doveva notificargli un avviso contenente l’indicazione del debito, distintamente per imposte, soprattasse, pene pecuniarie, interessi, indennità di mora e spese, e l’invito a pagare entro cinque giorni. Pur trattandosi di un atto del concessionario era compreso fra gli atti giudizialmente impugnabili per vizi propri, ma in caso di mancata notifica della cartella esattoriale consentiva l’impugnazione congiunta anche di quest’ultima, rappresentava cioè una sorta di ultimo rimedio contro le cartelle esattoriali erroneamente notificate o non venute a conoscenza del debitore. La legge delega di riforma della riscossione, con la finalità di semplificare e accelerare le procedure di riscossione ha pensato, come visto, ad un unico atto con funzioni di pagamento e di mora abolendo così l’avviso di mora. Secondo quanto sancito dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 abbiamo visto che l’espropriazione forzata può essere iniziata una volta decorso il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella (salve le disposizioni relative alla dilazione o alla sospensione del pagamento). Ciò implica che a tale notifica viene affidato un valore dirimente. Ciò deve avvenire entro l’anno dalla notifica della cartella di pagamento, decorso il quale, se del caso, prima di addivenire al pignoramento, il concessionario dovrà notificare “un avviso questo che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni”, avviso questo che perde efficacia trascorsi 180 giorni dalla data della notifica (ex art. 50). Tale atto previsto con lo stesso decreto attuativo che ha introdotto la cartella unica (è approvato il modello di cui all’allegato n. 3, in conformità del quale è redatto l’avviso di intimazione previsto dall’art. 50 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602; esso è predisposto su foglio formato A4, con fondo bianco e riquadri di colore verde), ha comunque una funzione marginale nella procedura del recupero coattivo. Ma veniamo al problema da me posto. Cosa succede se la notifica della cartella di pagamento è affetta da nullità o è giuridicamente inesistente o più semplicemente è omessa e il concessionario provvede a pignorare beni o crediti entro l’anno dalla presunta notifica credendo che questa sia stata validamente effettuata? Precedentemente dopo la notifica della cartella e prima del pignoramento doveva essere notificato l’avviso di mora e tale atto poteva essere impugnato davanti alla Commissione tributaria denunziandone l’illegittimità in quanto non preceduto dalla notifica della cartella esattoriale. Oggi con la riforma della riscossione non è più possibile far valere il vizio di omessa o irrituale notifica della cartella mediante il ricorso in Commissione tributaria contro l’avviso di mora perché 3294 il fisco 12/2000 8. Le modalità di pagamento delle cartelle Con il provvedimento del direttore generale del Dipartimento delle Entrate datato 28 giugno 1999 vengono regolate retroattivamente le modalità di pagamento delle somme iscritte a ruolo per tributi, contributi previdenziali o altre entrate dello Stato e degli enti pubblici interessati. (9) C. Glendi, Abolizione dell’avviso di mora: si ritorna al solve et repete?, in “Corr. trib.” n. 38/1999. (10) A. Mercatali La ricostruzione delle imposte. Nuove norme e nuovi problemi, in “Boll. trib.” n. 1/2000. il fisco tale avviso non c’è più, almeno sino ad un anno dalla notifica della cartella di pagamento. Non è possibile procedere con opposizione ex art. 615 del codice di procedura civile davanti al giudice ordinario per espresso divieto della legge, né il contribuente può proporre opposizione al Tribunale visto che, come ricordato, l’art. 57 sancisce che non sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo, quest’ultimo costituito dal ruolo che avrebbe dovuto essere notificato tramite la cartella che nel caso di specie non è stata notificata. L’unica strada percorribile sembrerebbe quella di pagare, se si è in grado di farlo e di presentare successivamente istanza di restituzione visto che si è pagato senza che esistesse alcun atto validamente notificato e quindi suscettibile di essere impugnato davanti alle Commissioni (9). Da quanto detto in concreto l’unico atto che viene portato a conoscenza del contribuente è la cartella di pagamento e solo questa può essere impugnata e solo in sede di impugnativa si potrà richiedere alla Commissione tributaria competente la sospensione dell’esecuzione. Non tutta la dottrina è però concorde su tali conclusioni, anche se sembra difficile condividere la tesi che mi accingo ad esporre. Secondo parte della dottrina sembra infatti che quando la notifica della cartella sia materialmente o giuridicamente inesistente tanto da non essere mai venuta a conoscenza del contribuente prima del pignoramento, occorrerà pure che questi possa ottenere tutela giurisdizionale del suo diritto di vedersi applicare una tassazione giusta e del suo interesse alla corretta e totale osservanza delle norme procedimentali pena la violazione dell’art. 113 della Costituzione. A tal fine è necessario individuare in via di interpretazione estensiva della norma, un atto impugnabile proprio per evitare l’incostituzionalità della norma. Ne deriva che l’atto di pignoramento deve considerarsi un atto conseguente ad un altro atto che doveva necessariamente essere notificato. Come tale, l’atto di pignoramento dovrà essere considerato direttamente impugnabile (10). ATTUALITÀ Per comprendere la portata del decreto, è necessario ricordare che il nuovo art. 28 del D.P.R. n. 602/1973, rispondendo a esigenze avvertite da tempo e che avevano trovato una espressa indicazione nella legge delega n. 337/1997 sulla riforma della riscossione - ha ampliato i canali di pagamento delle cartelle aggiungendo ai concessionari anche le banche e le agenzie postali. Ha poi disciplinato le modalità di versamento per i contribuenti che si trovano all’estero e che ora possono provvedere mediante bonifico sul conto corrente bancario indicato dal concessionario nella cartella di pagamento. Nell’ottica di agevolare il versamento delle somme dovute da parte dei contribuenti, lo stesso art. 28 ha previsto la facoltà di utilizzare mezzi diversi dal contante, lasciando peraltro a un decreto del Ministero delle finanze la concreta individuazione di questi mezzi. Il decreto del 28 giugno scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 luglio (riportato in “il fisco” n. 31/1999, pag. 10450), provvede ora a chiarire i vari aspetti operativi delle disposizioni introdotte. In primo luogo, identifica il concessionario competente a ricevere il pagamento delle somme iscritte a ruolo sia nell’ufficiale della riscossione nominato dal concessionario, sia nel concessionario stesso che ha provveduto alla notifica della cartella di pagamento. Stabilisce poi che il debitore può rivolgersi a sua discrezione a qualsiasi banca o agenzia postale per il versamento dell’importo dovuto; per il pagamento integrale, è tenuto comunque a utilizzare l’apposito modello allegato dal concessionario del servizio della riscossione quando notifica la cartella di pagamento. Se invece il pagamento che intende fare presso l’ente poste è di tipo parziale, o è integrale ma tardivo, o ancora è rateizzato in base a uno specifico provvedimento di dilazione concesso dall’ufficio competente, dovrà compilare un altro modulo e precisamente il bollettino di conto corrente modello F35. Per il versamento che viene effettuato all’estero il bonifico deve recare una serie di dati, in modo che il concessionario sia in grado di individuare con precisione la cartella che viene pagata. I dati richiesti sono: - il numero della cartella stessa; - il codice fiscale del debitore; in ipotesi di pagamento parziale: - il numero progressivo e l’ammontare dei singoli addebiti che si intendono soddisfare. È possibile, infine, effettuare il versamento delle somme iscritte a ruolo mediante carte Pagobancomat presso gli sportelli dei concessionari o delle agenzie postali che hanno attivato i relativi terminali elettronici. Tale tipo di pagamento ha efficacia liberatoria e può avvenire, ovviamente, nei limiti dell’ammontare autorizzato dalla banca che ha emesso la carta stessa. 12/2000 il fisco 3295 ATTUALITÀ 9. Gli interessi del D.Lgs. n. 46/1999, si fa presente che gli stessi devono essere applicati: - dalla data di scadenza del termine di pagamento, se l’istanza è stata presentata prima di tale data; - dalla data di presentazione dell’istanza in caso contrario. In tale ipotesi, tra la data di scadenza del termine di pagamento e quella di presentazione dell’istanza, il contribuente si troverà in mora e sarà, pertanto, soggetto all’applicazione, a cura del concessionario, degli interessi previsti dall’art. 30 del D.P.R. n. 602/1973. 9.1. Interessi per ritardata iscrizione a ruolo Il nuovo art. 20 del D.P.R. n. 602/1973 prevede che sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento (11) e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del cinque per cento annuo. Prima della correzione attuata dal D.Lgs. n. 326/1999 gli interessi decorrevano dal termine di presentazione della dichiarazione. La rettifica deriva dal fatto che il termine di presentazione della dichiarazione non coincide più con il termine di pagamento delle imposte. Fino a qualche anno fa i due termini coincidevano con la conseguenza che era indifferente parlare di scadenza di pagamento o di scadenza di presentazione. Oggi che i due termini non coincidono più è stato logico modificare la decorrenza dei termini (12). 9.2. Interessi per dilazione del pagamento (11) Le parole riportate in corsivo sono state così sostituite dall’art. 1, comma 1, del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 326. La disposizione si applica dal 21 novembre 1999. Cfr. art. 4 del provvedimento modificativo. (12) Secondo quanto disciplinato dal D.M. n. 321/1999 gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo previsti dall’art. 20 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sia se determinati direttamente dall’ente creditore, sia se quantificati dal CNC, sono calcolati: a) per i ruoli provenienti da minute redatte su supporto cartaceo pervenute al CNC dal giorno 1 al giorno 15 del mese, fino al giorno 10 del terzo mese successivo; b) per i ruoli provenienti da minute redatte su supporto cartaceo pervenute al CNC dal giorno 16 all’ultimo giorno del mese, fino al giorno 25 del terzo mese successivo; c) per i ruoli provenienti da minute redatte su supporto informatico pervenute al CNC dal giorno 1 al giorno 15 del mese, fino al giorno 25 del secondo mese successivo; d) per i ruoli provenienti da minute redatte su supporto informatico pervenute al CNC dal giorno 16 all’ultimo giorno del mese, fino al giorno 10 del terzo mese successivo. il fisco Sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso ai sensi dell’art. 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del sei per cento annuo. L’ammontare degli interessi dovuti è determinato nel provvedimento con il quale viene accordata la prolungata rateazione dell’imposta ed è riscosso unitamente all’imposta alle scadenze stabilite. Con riferimento alla decorrenza degli interessi per dilazione di pagamento la cui misura è attualmente fissata al sei per cento, previsti dall’art. 21 del D.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 9 Sempre in tema di interessi, si richiama l’attenzione degli uffici sull’art. 2, comma 1, lettera a), del D.Lgs. correttivo n. 326 (16 agosto 1999), per effetto del quale il citato nuovo art. 21 del D.P.R. n. 602/1973, si applica non solo alle imposte sui redditi, ma anche alle altre entrate tributarie. Tale precisazione è importante visto che l’applicazione degli interessi per dilazione di pagamento - prima della modifica apportata dal D.Lgs. n. 326/1999 - si considerava valevole solo per le imposte dirette, con la conseguenza della paralisi degli uffici Iva e registro, competenti ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973 a concedere la dilazione. Era infatti impossibile concedere la dilazione visto che l’art. 31, comma 2, stabilisce che gli interessi vengono determinati con lo stesso provvedimento che concede la dilazione. Ciò ha portato alla non possibilità di concedere rateizzazioni in materia di imposte indirette dal 1° luglio al 21 settembre 1999, data di entrata in vigore del decreto correttivo. L’importo delle singole rate dovrà essere calcolato arrotondando alle mille lire ed utilizzando la relativa procedura, che sarà resa disponibile, a decorrere dal 13 settembre 1999, via terminale (13). 9.3. Attribuzione degli interessi Gli interessi di cui agli artt. 20 e 21 spettano all’ente destinatario del gettito delle imposte cui si riferiscono. 9.4. Interessi di mora Decorso inutilmente il termine previsto dall’art. 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato con riguardo alla media dei tassi bancari attivi. L’interesse decorre così dalla data di notifica del- (13) Circolare del Ministero delle finanze, Dipartimento delle Entrate, Direzione centrale Riscossione 6 settembre 1999, n. 184/E/99/155190. 3296 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ 9.5. Interessi per sospensione amministrativa il fisco la cartella se il pagamento non viene effettuato nei sessanta giorni previsti dalla legge. In caso contrario non è dovuto alcun interesse. La ratio legis è facilmente intuibile ed è quella di stimolare il debitore ad adempiere nel termine assegnato, in quanto anche il ritardo di un giorno nel pagamento comporta la debenza degli interessi di mora a decorrere dalla data di notifica della cartella. Sarebbe stato più logico non richiedere alcun interesse durante il termine concesso per il pagamento e computare lo stesso dopo la scadenza dei sessanta giorni. Sulle somme il cui pagamento è stato sospeso dall’Amministrazione finanziaria che risultano dovute dal debitore a seguito della sentenza della Commissione tributaria provinciale si applicano gli interessi al tasso del sette per cento annuo; tali interessi vengono iscritti a ruolo dall’ente impositore e decorrono dalla data del provvedimento di sospensione sino alla sentenza di primo grado. Bibliografia essenziale il fisco G. Anni, La delega per la revisione della riscossione coattiva tramite ruolo, in “Corr. trib.” n. 42/1998. P. Costantini, Il riordino della disciplina sulla riscossione dei tributi, in “il fisco” n. 29/1999, pag. 9673. R. Di Frasca, La riscossione torna indietro, in “Boll. trib.” n. 20/1999. C. Glendi, Abolizione dell’avviso di mora: si ritorna al solve et repete?, in “Corr. trib.” n. 38/1999. E. Grassi, Qualche osservazione sulle nuove disposizioni concernenti le iscrizioni a ruolo delle imposte sui redditi, in “il fisco” n. 27/1999, pag. 8940. A. Mercatali, La riscossione delle imposte. Nuove norme e nuovi problemi, in “Boll. trib.” n. 1/2000. U. Perrucci, Riscossione più severa per il contribuente, in “Boll. trib.” n. 6/1999. N. Pollari, La riforma del sistema della riscossione tributaria. Procedure, versamenti diretti e ruolo, in “il fisco” n. 46/1999, pag. 14298. S. Salvatores, La nuova riscossione e la tutela del contribuente, in “Boll. trib.” n. 13/1999. S. Salvatores, La nuova riscossione mediante ruolo, in “Boll. Trib.” n. 9/1999. S. Trovato, Brevi note in ordine al potere di sospensione della riscossione, in “il fisco” n. 1/2000, pag. 82. F. Zolea, La legge delega di riforma della riscossione coattiva, in “Tributi” n. 9/1998. F. Zolea, La nuova riscossione coattiva dei crediti non tributari nel D.Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, in “Boll. trib.” n. 6/1999. F. Zolea, Le linee-guida del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, in materia di riscossione mediante ruolo, in “Tributi” n. 2/1999. F. Zolea, Riforma della riscossione, ultimo atto. Il D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, in “Tributi” n. 5/1999. ■ 12/2000 il fisco 3297 ATTUALITÀ La notifica degli atti giudiziari e fiscali Considerazioni e riflessioni di Paolo Di Fabio Premessa il fisco L’esplosione del problema delle notifiche degli atti ha evidenziato l’arretratezza della strutturazione dei procedimenti che l’ordinamento giuridico italiano ha predisposto al fine di rendere conosciuti al destinatario i documenti notificatigli. La Corte Costituzionale, con la ben nota sentenza n. 346 del 22 settembre 1998 (in “il fisco” n. 36/1998, pag. 11951), sanciva l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 20 novembre 1982, n. 890, precisamente, stabiliva che il comma 2 del detto articolo era viziato da incostituzionalità laddove non prevedeva che, in caso di rifiuto di ricevere il piego, o in caso di mancato recapito per assenza del destinatario o di persona idonea a ricevere l’atto, fosse data notizia al destinatario con raccomandata con avviso di ricevimento del compimento delle formalità di legge (ossia, la ragione del mancato recapito, ricompresa tra quelle menzionate: assenza del destinatario, rifiuto di ricevere l’atto, mancanza di persona idonea a riceverlo). Ancora, veniva sanzionato il comma 3, nella parte in cui prevedeva la restituzione al mittente del documento, depositato presso l’ufficio postale, dopo soli dieci giorni dal deposito, senza che fosse stato curato il ritiro da parte del destinatario. Tale sentenza, pur riguardando la L. n. 890 del 1982, determinava un vero terremoto riguardante soprattutto gli uffici giudiziari, e tra essi gli uffici tributari. Motivando tale pronuncia sulla base di un diritto di difesa del destinatario, indiscutibile in uno Stato di diritto, la Corte indicava come direzione per colmare il vuoto normativo venutosi a creare con l’a- brogazione delle norme sopra ricordate, la disciplina dettata dall’art. 140 del codice di procedura civile. L’articolo in questione recita “Irreperibilità o rifiuto di ricevere la copia - Se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito alla porta della abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”. Come si vede, il codice prevede il deposito della copia dell’atto presso la casa comunale esclusivamente come ultima ratio, da esperire solo in caso di mancanza del destinatario stesso presso la propria abitazione, o presso il luogo dove esercita la propria attività lavorativa, ovvero, ancora, in caso di mancanza delle persone indicate dall’art. 139 del codice di procedura civile. L’applicazione dell’art. 140 del codice di procedura civile al contenzioso tributario obbedisce alla tendenza assimilatoria della procedura tributaria alla procedura civilistica, in atto già da qualche tempo. Tale tendenza si è concretata nell’emanazione dei decreti legislativi 31 dicembre 1992, nn. 545 e 546, riguardanti, rispettivamente, gli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione, e le norme dispositive sul processo tributario. Proprio l’art. 16, comma 2, del D.Lgs. n. 546 richiama, circa le notificazioni relative alla procedura dinanzi alle Commissioni tributarie, gli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile. Ciò comporta l’inserimento in una procedura sui generis, quale quella tributaria, di norme e principi consolidati nel processo ordinario. I principi cui si ispira tale regolamentazione, pertanto, vengono trasfusi pienamente ed interamente dal procedimento ordinario a quello speciale tributario: e ciò 3298 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ La Suprema Corte, in materia di perfezionamento della notificazione, ha stabilito che siano elementi sufficienti l’affissione dell’avviso e la spedizione della raccomandata, senza che sia necessaria l’effettiva consegna della raccomandata al destinatario (Cass. n. 2490/1996, n. 1136/1995, n. 6187/1994, n. 2714/1991, n. 1504/1990, n. 969/1990, n. 4788/1989, n. 1192/1989, n. 607/1988, n. 4914/1987). Come si vede, un contrasto con la precedente pronuncia, per la quale la consegna al vicino non perfeziona la conoscenza da parte del destinatario. L’unica differenza consiste nell’avviso all’uscio: un elemento, a nostro sommesso parere, alquanto fragile. Pertanto, tali considerazioni mostrano alcune imperfezioni nei meccanismi stabiliti dal legislatore affinché un atto venga portato a conoscenza del soggetto cui è destinato. a rafforzare le garanzie per il destinatario degli atti, in base e nel quadro della disposizione costituzionale di cui all’art. 24, commi 1 e 2, della Carta, per la quale “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Proprio l’esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente sancito, vede come presupposto la conoscenza da parte del cittadino degli atti giudiziari che lo riguardino, al fine di consentirgli la difesa stessa. L’art. 140 del codice di procedura civile e l’art. 1335 del codice civile La L. n. 890 del 1982 il fisco L’ambito di applicazione della procedura ex art. 140 del codice procedurale viene definito dalla Cassazione a più riprese (n. 1166/1996, n. 104/1991, n. 7453/1990, n. 1854/1989, n. 2429/1986, n. 1823/1986): solo in presenza di una difficoltà di ordine materiale, e cioè per irreperibilità, incapacità o rifiuto di ricevere l’atto ad opera delle persone indicate dall’art. 139, vi si può fare ricorso. Peraltro (Cass. n. 5178/1993), il notificante dovrà utilizzare l’ordinaria diligenza per operare le opportune ricerche, oltre, ovviamente, ad attestare le ricerche stesse nella relata. Vincoli non indifferenti, posti a pena di nullità della procedura notificatoria. Ancora, l’art. 1335 del codice civile opera una presunzione di conoscenza laddove proposta e accettazione contrattuale, la loro revoca e ogni altra dichiarazione verso un destinatario giungano all’indirizzo del destinatario stesso: si tratta di presunzione iuris tantum, vincibile dalla prova contraria costituita dallo stato di impossibilità, senza colpa, di avere avuto notizia della comunicazione. La Cassazione (n. 2457/1968) ha sancito che tale principio è applicabile non solo in materia contrattuale, bensì a tutte le dichiarazioni recettizie; tuttavia, esso non si applica alla notificazione degli atti processuali, regolati dalla disciplina specifica del codice di procedura (Cassazione n. 6432/1984). A ben vedere, tuttavia, il principio della presunzione di conoscenza contenuto nel codice civile si può applicare ad alcuni elementi del meccanismo previsto dall’art. 140 del codice di procedura civile: e, precisamente, alla fattispecie della spedizione della raccomandata. La Cassazione (n. 6101/1988) ha stabilito che la presunzione di conoscenza non operi laddove la lettera raccomandata, in assenza del destinatario e senza alcuna sua autorizzazione in merito, sia stata consegnata ad un vicino, e, perciò, non consegnata effettivamente al destinatario. Cosa avviene, dunque, nel caso in cui la lettera raccomandata relativa alla procedura ex articulo 140 venisse consegnata al vicino di casa del destinatario? Basta l’avviso affisso all’uscio del destinatario stesso per perfezionare la notifica? La L. n. 890 del 1982 consente agli ufficiali giudiziari di ricorrere al servizio postale per la notificazione degli atti: mera facoltà, nel caso in cui la notifica debba avvenire nel comune ove ha sede l’ufficio o l’azienda, vero obbligo, nel caso in cui la notifica debba avvenire fuori del comune di residenza del destinatario. L’art. 8 della legge, come detto, è stato colpito dalla Corte Costituzionale nei commi 2 e 3: il primo, in quanto non prevede una raccomandata A/R di avviso al destinatario del deposito del piego, contenente l’atto in comunicazione, presso l’ufficio postale (essendosi verificata la mancanza di persone abilitate a ricevere il piego). Il secondo, in quanto prevedeva solo dieci giorni di deposito presso l’ufficio postale, trascorsi i quali il piego veniva rispedito al mittente, con ciò concedendo un termine troppo breve al destinatario per recarsi all’ufficio postale e ritirare l’atto depositatovi. La Corte Costituzionale indicava come modello da seguire l’art. 140 del codice di procedura civile, che sopra abbiamo riportato, il quale garantisce il diritto di difesa, presupposto del quale è la conoscenza dell’atto, attraverso l’invio di una raccomandata A/R di informazione dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale. Inoltre, l’articolo stesso non fa menzione alcuna di termini, trascorsi i quali, l’atto debba essere restituito al mittente. Fin qui, la pronuncia della Corte, la quale va a colpire una norma a prima vista indifferente riguardo al contenzioso tributario. A ben vedere, tuttavia, non appare così pacifico che la sentenza n. 346 non spieghi i suoi effetti anche nel meccanismo notificatorio tributario. Notifiche nella normativa fiscale Così recita l’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973: “Notificazioni - La notificazione degli avvisi e degli altri 12/2000 il fisco 3299 ATTUALITÀ po libero e le migliorate possibilità economiche della popolazione determinano assenze di durata anche rimarchevole dall’abitazione o dal posto di lavoro, come, peraltro, rilevato dalla stessa Corte nella motivazione della sentenza. Ancora, non appare affatto equo imporre al contribuente l’onere di una prova contraria, vista, peraltro, l’esiguità del termine concessogli per addivenire alla conoscenza dell’atto comunicatogli (soli otto giorni). La Corte Costituzionale ha indicato, infatti, che “deve ritenersi illegittima qualsiasi disciplina che, prevedendo la restituzione del piego al mittente dopo un termine di deposito eccessivamente breve, pregiudichi la concreta possibilità di conoscenza del contenuto dell’atto da parte del destinatario medesimo.”: ebbene, la L. n. 890, nel suo art. 8, prevedeva un termine di deposito di soli dieci giorni. Se il termine previsto dalla succitata norma fiscale è di soli otto giorni, appare evidente la sua esiguità, e la sua conseguente incostituzionalità. Pertanto, a mente del principio testé enunciato, deriva il forte sospetto di illegittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 60, lettera e), del D.P.R. n. 600 del 1973. Illegittimità derivata il fisco atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita secondo le norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile, con le seguenti modifiche: a) la notificazione è eseguita dai messi comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte; b) il messo deve fare sottoscrivere dal consegnatario l’atto o l’avviso ovvero indicare i motivi per i quali il consegnatario non ha sottoscritto; c) salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario; d) è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano. In tal caso l’elezione di domicilio deve risultare espressamente dalla dichiarazione annuale ovvero da altro atto comunicato successivamente al competente ufficio imposte a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento; e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 del codice di procedura civile si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione;”. Il riverbero della sentenza della Corte Costituzionale in materia di notifiche, a nostro sommesso parere, colpisce anche la legittimità e l’operatività della lettera e) dell’art. 60 sopra menzionato. Infatti, l’efficacia della notifica si produce automaticamente allo scadere dell’ottavo giorno dall’affissione dell’avviso, a prescindere dal ritiro dell’atto da parte del contribuente presso l’ufficio postale. Alla luce del principio espresso dalla Corte, principio costituzionalmente garantito, come già esposto in precedenza, tale norma appare lesiva del diritto di difesa del contribuente, operando una presunzione di conoscenza dell’atto da parte sua. Si potrebbe obiettare che tale presunzione sia da considerare iuris tantum, pertanto vincibile da prova contraria: ma ciò è, anzitutto, una possibile interpretazione, essendo altrettanto valida la tesi per cui la succitata norma indicherebbe una presunzione iuris et de iure, non vincibile cioè da prova contraria. Appare interessante notare come la Corte abbia rilevato, nella sua pronuncia, che il diritto di difesa del destinatario non possa ridursi “ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli.”. Bisogna altresì ricordare che il termine di dieci giorni di deposito presso l’ufficio postale, sancito dalla L. n. 890, fu fissato in un periodo ed in un contesto sociale ben diverso da quello attuale, nel quale la globalizzazione dell’attività lavorativa, con la conseguente necessità di trasferimenti e viaggi, la maggiore quantità di tem- Potrebbe, a questo punto, obiettarsi che, con la sentenza n. 346, la Corte Costituzionale abbia voluto sancire la contrarietà al dettato costituzionale della sola normativa contenuta nella L. 20 novembre 1982, n. 890, e solo di quella. Ora, a tacere del fatto che il diritto di difesa è un diritto costituzionalmente garantito, come già più volte ricordato, appare d’uopo menzionare l’orientamento dottrinale per il quale “nella stessa sentenza di accoglimento la Corte può dichiarare (art. 27 della L. n. 87 del 1953) quali sono le altre disposizioni legislative la cui illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata (la cosiddetta illegittimità costituzionale conseguenziale). È da rilevare, al riguardo, che la giurisprudenza della Corte sul cosiddetto ‘nesso di conseguenzialità’ non è univoca, anche se sembra affermarsi la tendenza a rinvenire tale nesso tutte le volte in cui ci si trovi in presenza di disposizioni confermative, applicative o ripetitive di quelle dichiarate illegittime o di disposizioni a queste strettamente collegate sotto il profilo formale. In ogni caso, anche la dichiarazione di illegittimità conseguenziale costituisce una deroga al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.” (T. Martines, Diritto costituzionale, V ed., Milano, 1988, pag. 587). Ancora, per il Sandulli (Il giudizio sulle leggi, Milano, 1967, pagg. 69 e seguenti, riportato in nota da Martines, cit.) l’illegittimità conseguenziale si avrebbe in ordine alle disposizioni che: a) rimarrebbero prive di funzione in seguito alla dichiarazione di incostituzionalità e quella 3300 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ oggetto del giudizio o che, permanente o in vigore, renderebbero inutiliter data la sentenza della Corte; b) hanno contenuto coincidente con quello della norma dichiarata illegittima; c) rimarrebbero sbilanciate in conseguenza dell’eliminazione di quella oggetto del giudizio e delle altre disposizioni che si trovino con essa in relazione di connessione inscindibile. Ulteriore giurisprudenza in materia Appare ora necessario analizzare le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Campobasso n. 136 del 28 maggio 1998 e n. 151 del 9 giugno 1998 (in questa Rivista, n. 32/1999, pag. 10765, con commento di L. Bellini e A. De Cesare, nel medesimo numero a pag. 10657), con le quali si precisano le modalità applicative per una notifica efficace ai sensi dell’art. 140 del codice di procedura civile. A ben vedere, le sentenze riguardano tributi richiesti dagli uffici Iva, imposte dirette e del registro in base ad un unico avviso di accertamento notificato presso l’abitazione dei familiari del contribuente, il quale non conviveva all’epoca con loro, e risiedeva in tutt’altra città. L’avviso di accertamento, peraltro, era stato consegnato alla figlia quindicenne. Solo successivamente, ben otto anni dopo, veniva notificato un avviso di notificazione, attraverso deposito presso la casa comunale del comune di residenza del contribuente stesso, relativo a vari avvisi di mora concernenti i tributi sopra menzionati. Alla pronta ricerca del destina- il fisco Si deve precisare che la L. n. 87 del 1953 riguarda le norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale: l’art. 27 prevede che “La Corte Costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata.”. E, come abbiamo visto, la Corte ha sancito, nella motivazione della sentenza n. 346, la incostituzionalità di “qualsiasi disciplina” che pregiudichi la reale conoscibilità di un atto notificato, in ragione di un termine troppo esiguo perché tale conoscenza possa divenire effettiva e si perfezioni. Ritornando al nostro problema, appare pertanto chiaro come l’art. 60 del D.P.R. n. 600 possa essere effettivamente interessato dalla pronuncia del giudice costituzionale, concedendo al destinatario della notificazione un termine decisamente esiguo per la conoscenza dell’atto, sempre a tacere della discutibile e vessatoria presunzione di conoscenza a suo carico allo scadere del termine, come già evidenziato supra. tario faceva riscontro l’impossibilità di recuperare gli avvisi stessi, con conseguente mancata conoscenza del contenuto degli avvisi in questione. Solo successivamente, ben 7 mesi dopo, in esito alla notifica di un decreto di comparizione riguardante la procedura di esecuzione forzata promossa contro di lui in base alle sue posizioni debitorie scaturenti dal mancato adempimento dei tributi sopra menzionati, il protagonista della vicenda giungeva a conoscenza degli avvisi di mora. Venivano da lui proposti, pertanto, separati ricorsi, che sfociavano nelle dette sentenze di accoglimento della posizione del ricorrente, il quale contestava la regolarità della notifica dei detti avvisi di mora, da parte della Commissione tributaria provinciale di Campobasso. Bisogna sottolineare che la fattispecie investita dalle sentenze in questione consta di elementi estremamente significativi ai fini della nullità della notifica. In realtà, l’applicazione dell’art. 140 del codice di procedura civile è avvenuta, nel caso di specie, in modo del tutto irregolare, non rispettando la documentata residenza del contribuente (il quale, come detto, aveva residenza e domicilio fiscale in un comune diverso da quello della famiglia), a ciò aggiungendosi la circostanza della consegna avvenuta in mani di persona di minore età, affermatasi, peraltro, convivente del contribuente. Peraltro, la sentenza n. 12818 del 23 dicembre 1998 della Corte di Cassazione ha sancito che la notificazione effettuata dall’Amministrazione finanziaria a persona diversa dal destinatario in luogo diverso dal suo domicilio fiscale è inesistente (L. Bellini, A. De Cesare cit., pag. 10661). Ancora, la sentenza n. 8832/1998 della Suprema Corte stabilisce che dalla relata di notifica debbano risultare le ricerche, effettuate nel comune presso la cui casa comunale venga depositato un atto notificato, in merito all’esistenza nel comune stesso dell’abitazione o ufficio od azienda del contribuente. Pertanto, addivenire alla procedura ex articulo 140 del codice di procedura civile è scorretto laddove non venissero effettuate adeguate ricerche, attestate nella relata di notifica, relative all’effettiva residenza del contribuente, con ciò considerandosi non solo l’abitazione, bensì anche l’ufficio o l’azienda del destinatario dell’atto. In realtà, a ben vedere, tali sentenze sono ultronee rispetto alla nostra trattazione, involgendo una fattispecie affatto peculiare. La presenza di innumerevoli elementi che viziano il fatto (il recapito alla residenza errata, la mancanza di ricerche della residenza attuale, la consegna a persona non del tutto affidabile in quanto minorenne) costituiscono elementi significativi, certamente, per i profili operativi e pratici delle attività notificatorie, ma nulla aggiungono alla nostra riflessione in materia di costituzionalità della norma relativa alle notifiche in materia fiscale. 12/2000 il fisco 3301 ATTUALITÀ La sentenza n. 135/05/99 Conclusioni il fisco In ultimo, appare d’uopo citare la sentenza n. 135/05/99 della Commissione tributaria regionale di Roma, Sez. V, pronunciata il 25 ottobre 1999, in esito ad un procedimento di appello contro una cartella di pagamento riguardante tributi Irpef e Ilor per gli anni 1987, 1988 e 1989. Il ricorrente lamentava il mancato accoglimento, in primo grado, delle proprie tesi, per le quali era stato impedito a conoscere del contenuto degli avvisi di accertamento relativi alle suddette imposte in quanto il primo Ufficio delle imposte dirette, a mezzo del messo notificatore, non aveva compiuto le dovute ricerche ricorrendo alla procedura ex art. 140 del codice di procedura civile in modo illegittimo. Infatti, recatosi presso l’abitazione del contribuente, il messo, constatatane l’assenza e non essendovi persona abile a ricevere l’atto, procedeva senza meno ad affiggere all’uscio l’avviso di deposito presso l’ufficio postale dell’atto stesso, confermando ciò con la raccomandata prevista dalla norma. È da specificare che il contribuente era titolare, nello stesso comune, di un’azienda, presso la quale passava la maggior parte del proprio tempo; pertanto, con le opportune ricerche, l’avviso di accertamento sarebbe potuto giungere a buon fine. Oltre a questo, la raccomandata prevista dalla norma codicistica rimaneva depositata presso l’ufficio postale per soli tre giorni. Mentre la Commissione tributaria provinciale, con il suo pronunciamento in primo grado, riteneva che l’obiezione del ricorrente circa l’irritualità della notifica venisse superata dalla produzione, ad opera dell’ufficio resistente, della copia della busta e dell’avviso di ricevimento, la Commissione tributaria regionale rilevava l’irregolarità della notifica, sottolineando il periodo troppo breve (soli tre giorni) di deposito dell’atto presso l’ufficio postale. Oltre a questo, la Commissione d’appello rimarcava l’insufficienza delle ricerche effettuate dal messo notificatore, sanzionando il ricorso troppo affrettato alla procedura ex art. 140: peraltro, per la precisione, l’insufficienza delle ricerche effettuate costituiva, nella motivazione, il primo punto cardine della pronunzia. Con tale sentenza, pertanto, si raggiunge un nuovo punto a favore del contribuente, a cui garanzia deve ascriversi l’irritualità della notifica effettuata dopo l’espletamento di ricerche sommarie, oltre alla detta garanzia, ut supra specificato, del termine congruo di deposito presso l’ufficio postale, del plico notificato. L’indagine sui meccanismi predisposti dal legislatore per rendere effettiva la conoscenza di un atto da parte del destinatario assume importanza imprescindibile nell’attuale contesto, caratterizzato da rapidi mutamenti sociali, economici e tecnologici. Non confrontarsi su una tematica tanto importante impedisce l’aggiornamento e l’adattamento della normativa: già si affacciano problematiche inerenti a forme innovative di comunicazione, quali le modalità telematiche (E-mailing, eccetera). La necessità di bilanciare il diritto, costituzionalmente garantito, di difesa del cittadino con procedure, norme, presunzioni atte ad impedire comportamenti maliziosi costituisce un impegno forte, da non sottovalutare, soprattutto in una materia, quale quella tributaria, di notevole complessità e rilevanza in relazione agli interessi, economici e non, involti. Una riflessione serena che tenga conto delle tendenze in atto, emerse in occasione del dibattito apertosi con la celeberrima sentenza n. 346 della Corte Costituzionale, non può che giovare ad un settore, quale quello delle notifiche degli atti, ancora legato a suggestioni e schemi desueti, al fine di elaborare una regolamentazione che incarni spirito, necessità e istanze appartenenti all’attuale contesto socio-economico. ■ Nelle librerie specializzate o con richiesta diretta all’Editore il fisco 1999 Nicolò Pollari Sebastiano Galdino Bilancio di esercizio e reddito fiscale Volume di 576 pagine, lire 45.000 Parte I Parte II Bilancio di esercizio e determinazione del reddito di impresa Analisi civilistica e fiscale delle voci di bilancio CEDOLA RICHIESTA VOLUME “BILANCIO DI ESERCIZIO E REDDITO FISCALE” DI PAGG. 576 Compilare e spedire insieme alla fotocopia del versamento di L. 45.000 sul c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario non trasferibile Spett. ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma Nome Cognome P. Iva Cod. Fisc. Città Firma c.a.p. NO VI TÀ Residente in Via 12/2000 il fisco 3303 ATTUALITÀ Corsi di formazione frequentati all’estero dal personale Territorialità delle prestazioni ai fini Iva di Loredana Conidi e Massimo Gabelli SOMMARIO: Premessa - 1. Territorialità delle prestazioni di servizi: le norme di riferimento - 2. I corsi di formazione e addestramento del personale - 3. I servizi didattici: una fattispecie comprensiva dei corsi di formazione e addestramento del personale - 4. I corsi di formazione e addestramento del personale compresi nei servizi di consulenza e assistenza tecnica - 5. Conclusioni. Premessa 1. Territorialità delle prestazioni di servizi: le norme di riferimento L’art. 7, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 stabilisce che “Le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso o da soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero ....”. Come noto, l’art. 7, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica citato regola con riferimento a numerose prestazioni di servizi, delle deroghe al suesposto principio generale ed, in particolare, alla lettera b), prevedendo che le prestazioni di servizi il fisco Nell’ambito delle politiche di sviluppo delle Risorse Umane sempre più frequentemente e diffusamente le imprese operanti in Italia inviano il proprio personale a frequentare corsi di formazione e addestramento all’estero. Il presente lavoro è volto ad esaminare l’inquadramento ai fini Iva sotto il profilo del requisito territoriale, da attribuire a detti corsi. Si ritiene opportuno richiamare sinteticamente le disposizioni normative rilevanti per l’inquadramento della fattispecie in esame. culturali, didattici, sportivi, ricreativi e simili “si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono eseguite nel territorio stesso”. Per le prestazioni didattiche quindi il criterio di collegamento territoriale è quello del luogo dell’esecuzione materiale delle stesse, a nulla rilevando la residenza/domicilio del soggetto passivo prestatore. Tuttavia la lettera d) dell’art. 7, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972 prevede che le prestazioni di “consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e di addestramento del personale, ... si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all’estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all’estero, a meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica europea”. Per le prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e addestramento del personale, quindi il criterio di collegamento territoriale è quello della residenza o del domicilio del soggetto passivo committente. 2. I corsi di formazione e addestramento del personale Per individuare l’ambito applicativo delle deroghe menzionate nel caso in esame, si esamina la nozione di prestazione di servizi didattici differenziandola, se del caso, da quella di formazione e di addestramento del personale. In particolare, mentre per i corsi di formazione effettuati in Italia e resi a soggetti ivi domiciliati o residenti ai fini Iva, l’applicazione dell’una o dell’altra norma porta comunque (1) a conclu- (1) Fatta salva l’esclusione in base al particolare utilizzo da parte del committente. 3304 il fisco 12/2000 3. I servizi didattici: una fattispecie comprensiva dei corsi di formazione e addestramento del personale Una prima riflessione si pone con riferimento all’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972, che deroga al principio di carattere generale in tema di territorialità delle prestazioni di servizi e prevede che le prestazioni di servizi culturali, didattici, sportivi, ricreativi e simili si considerino effettuate nel territorio dello Stato quando materialmente eseguite nel territorio stesso (3). (2) Con la conseguenza per il committente di dover in ogni caso procedere, in assenza di una posizione Iva italiana da parte del prestatore (mancanza di stabile organizzazione o di rappresentante) all’autofatturazione ai sensi dell’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972. (3) Il Ministero, con risoluzione del 3 ottobre 1986, n. 415329 (in “il fisco” n. 43/1986, pag. 6886), in merito al trattamento fiscale da riservare agli effetti dell’Iva, ai corsi di lingua svolti da un istituto a favore di cittadini stranieri, si è espresso asserendo che alle “prestazioni di cui trattasi - da considerare prestazioni di servizi culturali e didattici - si rende applicabile la disposizione legislativa di cui all’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972 la quale stabilisce, tra l’altro, che le cennate prestazioni si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono eseguite nel territorio stesso”. il fisco dere per la territorialità del servizio (2), nel caso di personale inviato a frequentare corsi di formazione tenuti all’estero le conclusioni nelle due ipotesi sono opposte. Infatti, qualificando il servizio come didattico ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972, la prestazione resta esclusa dall’Iva nazionale (in quanto è eseguita all’estero); viceversa, qualificando il servizio come prestazione di formazione e addestramento del personale regolata dalla successiva lettera d), la prestazione sarebbe soggetta all’Iva nazionale (in quanto resa a soggetto Iva “residente”, salvo resti esclusa in ragione del particolare utilizzo). In altri termini, è necessario esaminare la portata della norma recata dalla lettera b) dell’articolo in commento, verificando se la stessa sia da considerarsi una norma applicabile anche alla generalità dei corsi di formazione e di addestramento del personale, attribuendo in questo caso portata residuale alla norma recata dalla successiva lettera d) - in quanto applicabile solo a particolari fattispecie di corsi di formazione e addestramento del personale. Diversamente, le prestazioni di formazione ed addestramento del personale dovrebbero ritenersi autonomamente regolate, rispetto ai servizi didattici, dalla norma sub art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972, con la conseguenza che qualsiasi corso di formazione o addestramento del personale rientrerebbe nell’ambito applicativo di quest’ultima disposizione. ATTUALITÀ Di ausilio all’analisi della nozione di prestazione di servizi didattici è la VI Direttiva comunitaria in materia di Iva (Direttiva n. 77/388 del 17 maggio 1977), nella quale si parla in modo esplicito di attività di insegnamento (art. 9, comma 2, lettera c), della VI Direttiva) (4). Al riguardo si osserva che caratteristica precipua di un’attività didattica è la presenza di un soggetto docente e di uno discente, il primo dei quali impartisce al secondo il proprio insegnamento con riferimento ad un certo oggetto nonché ad una determinata materia. Peraltro tali soggetti sono presenti, nella stessa relazione, anche in un corso di formazione e addestramento del personale. Sotto questo primo profilo sembra allora di poter concludere che i servizi di formazione ed addestramento del personale stanno in un rapporto di specie a genere rispetto ai servizi didattici, in quanto i primi sono specifici per oggetto dell’insegnamento (formazione in ambito professionale) e soggetto discente (il personale). Per inciso si osserva che si rinviene una relazione di questo genere tra servizi didattici e servizi di formazione e addestramento del personale in altra norma del D.P.R. n. 633/1972 [art. 10, n. 20)] che espressamente comprende tra le prestazioni didattiche, tra le altre, quelle di formazione professionale (5). Giova inoltre segnalare che nella richiamata VI Direttiva non è dato riscontrare un distinguo (analogo a quello vigente nella normativa interna) tra attività didattiche e attività di formazione e addestramento del personale, bensì il riferimento all’attività di insegnamento si ha nel menzionato art. 9, comma 2, lettera c), poi trasfuso e recepito nelle prestazioni di servizi didattici di cui all’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972. 4. I corsi di formazione e addestramento del personale compresi nei servizi di consulenza e assistenza tecnica Considerato nel precedente paragrafo che i servizi di formazione ed assistenza del personale possono essere ricondotti, in principio, ad una (4) L’art. 9, comma 2, lettera c), della VI Direttiva stabilisce che “il luogo delle prestazioni di servizi aventi ad oggetto: - attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, d’insegnamento, ricreative o affini, ivi comprese quelle degli organizzatori di dette attività nonché, eventualmente, prestazioni accessorie a tali attività; - attività accessorie ai trasporti quali operazioni di carico, scarico, manutenzione e attività affini; - perizie di beni mobili materiali; - lavori relativi a beni mobili materiali, è quello in cui tali prestazioni sono materialmente eseguite”. (5) In merito all’ampia nozione di prestazioni didattiche si richiamano, da ultimo, le risoluzioni ministeriali n. 44/E del 19 marzo 1999 e n. 73/E del 14 luglio 1998 (rispettivamente, in “il fisco” n. 18/1999, pag. 6149 e n. 34/1998, pag. 1199). 12/2000 il fisco 3305 ATTUALITÀ (6) Particolarità riferibile sia al soggetto discente (il personale) che all’obiettivo (formazione e addestramento professionale). (7) Con la circolare del 28 febbraio 1991, n. 13/430088 (in “il fisco” n. 11/1991, pag. 1798), il Ministero ha fornito chiarimenti a proposito delle modifiche normative recate dalla suddetta legge. In merito a quelle introdotte nell’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972, l’Amministrazione si limita, senza coordinare la disposizione introdotta con la preesistente sub lettera b), a segnalare che: “nella nuova formulazione sono state introdotte anche le prestazioni di assistenza tecnica e quelle di formazione ed addestramento del personale. In base alla cennata disposizione ..., alle prestazioni di assistenza tecnica e quelle di formazione ed addestramento del personale, si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti ivi domiciliati o residenti”. (8) Peraltro, analoghe conclusioni sono possibili dall’esame della successiva lettera f) dello stesso art. 7, comma 4, come modi il fisco particolare (6) fattispecie dei servizi didattici, deve essere analizzata la disposizione [art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972], relativa alle prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e addestramento del personale, la cui formulazione attuale è stata introdotta dalla L. n. 428/1990 (con effetto dal 27 gennaio 1991) (7). In particolare, rispetto all’argomento oggetto del presente lavoro, è rilevante identificare l’ambito di applicazione della norma con riferimento ai servizi di formazione e addestramento del personale, valutando se qualsiasi prestazione di tale natura si sottragga, o meno, alla norma sub art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972, inapplicabile quindi ad ogni servizio di formazione e addestramento del personale. Una prima considerazione è indotta dall’analisi letterale della norma. La locuzione usata, è “le prestazioni ... di consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e di addestramento del personale, ...”. L’utilizzo del termine “comprese” nonché l’inserimento dell’inciso indicano, a nostro avviso, un collegamento esplicito lessicale (il termine “comprese”) è periodale (l’inciso) tra la prima parte della frase (prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale) e la seconda (comprese quelle di..., ), rendendo quest’ultima un “di cui” della prima. Si può ritenere allora che i servizi di formazione e di addestramento del personale cui essa si riferisce siano da considerarsi non prestazioni autonomamente disciplinate rispetto a quelle di consulenza e assistenza tecnica o legale ma specifici servizi di formazione e addestramento, compresi tra le prestazioni di consulenza o assistenza tecnica o legale. In altri termini, se la volontà del legislatore fosse rinvenibile nel ricondurre l’attività di formazione e di addestramento del personale in una di quelle attività assoggettabili alla deroga regolata sub lettera d) - territorialità secondo il domicilio/la residenza del committente - sarebbe stato sufficiente proseguire l’elenco delle prestazioni, adottando una diversa formulazione (8). Oltre all’argomento fondato sulla lettera della norma interna, si consideri che la VI Direttiva [art. 9, comma 2, lettera e), terzo trattino] menziona “le prestazioni fornite da consulenti, ingegneri, uffici studi, avvocati, periti contabili ed altre prestazioni analoghe nonché elaborazione di dati e fornitura di informazioni”, mentre manca ogni riferimento alle prestazioni di formazione o addestramento del personale. Inoltre, in merito alla portata di questa disposizione si è recentemente espressa la Corte di Giustizia delle Comunità europee con sentenza del 16 settembre 1997, n. 145 (in banca dati “il fiscovideo”), di cui si richiamano in estrema sintesi (9) alcune osservazioni. Il richiamo a determinate professioni (avvocato, ingegnere, eccetera) è un “punto di riferimento per definire le categorie di prestazioni che vi sono contemplate”, per cui rientrano nell’ambito della deroga quelle prestazioni “principalmente ed abitualmente fornite nell’ambito delle professioni elencate” (10). A nostro avviso le prestazioni di formazione ed addestramento del personale non rientrano, come categoria generale, tra quelle principalmente ed abitualmente fornite nell’ambito di attività delle figure professionali elencate (consulenti, ingegneri, uffici studi, avvocati, periti contabili). Invero la norma, oltre che alle professioni menzionate, opera una generica estensione alle “altre prestazioni analoghe”. La Corte di Giustizia nella citata sentenza si esprime anche in merito alla portata di questa estensione la quale “non si riferisce ad alcuni elementi comuni delle attività eterogenee ricordate ..., bensì a prestazioni analoghe rispetto a ciascuna di dette attività, separatamente considerata” (paragrafo 20). In altri termini, le prestazioni analoghe non costituiscono prestazioni ulteriori rispetto a quelle elencate e a queste ultime collegate da alcuni elementi comuni, bensì devono rientrare nell’ambito di una delle attività professionali tassativamente identificate. In particolare, “una prestazione deve ritenersi analoga a una delle attività menzionate in detto articolo, allorché entrambe perseguano la stessa finalità” (paragrafo 21). È nostra opinione che nessuna delle professioni elencate abbia come finalità tipica (cioè, parafrasando la Corte, principale ed abituale) quella di formare e addestrare il personale delle imprese. ficato dall’art. 3, comma 120, della L. 28 dicembre 1995, n. 549, che, anzi, pare rafforzare la connessione tra consulenza e assistenza tecnica o legale e formazione e addestramento con l’utilizzo dell’avverbio “ivi” (quanto alla mancanza della virgola che dovrebbe chiudere l’inciso, vista la genesi della complessa norma non pare un azzardo immaginare un difetto formale di coordinamento). (9) Per un più ampio commento della sentenza citata si rinvia all’autorevole C. Sacchetto, in “Boll. Trib.” n. 5/1998, pag. 465 e seguenti. (10) Sentenza sopra citata, paragrafi 15 e 16. Di seguito si fa riferimento ai paragrafi della sentenza in parola. 3306 il fisco 12/2000 della territorialità, i corsi di formazione eseguiti in Italia rilevano agli effetti del tributo, risultando assoggettati alla disciplina propria prevista per tale settore”. In sintesi, mentre nella prima risoluzione citata le prestazioni di formazione sono soggette alla norma di cui all’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972, in quanto comprese in una complessa operazione di consulenza, nella seconda, in mancanza di una complessa operazione di consulenza o assistenza tecnica e legale, la formazione del personale è assoggettata alla disciplina di cui all’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972, “disciplina propria prevista per tale settore”. 5. Conclusioni il fisco In sintesi, considerata la norma interna e la corrispondente disposizione comunitaria, si ritiene che le prestazioni di formazione e addestramento del personale non possano essere qualificate come prestazioni rientranti in ogni caso tra quelle disciplinate dall’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972. Con riferimento al comma 4 dell’art. 7 del D.P.R. n. 633/1972, si può sostenere invece che, in generale, le prestazioni di formazione e addestramento del personale, autonomamente considerate e per intrinseca natura, rientrino nella disposizione sub lettera b). Al contrario tali prestazioni rientrerebbero nell’ambito della norma sub lettera d) quando costituenti o una prestazione qualificabile come consulenza o assistenza tecnica o legale oppure una prestazione priva di autonoma rilevanza compresa in una complessa prestazione di consulenza o assistenza tecnico/legale. A supporto della anzidetta tesi si richiama la risoluzione del 17 novembre 1994, n. 15-556 (in “il fisco” n. 47/1994, pag. 11192), in cui il Ministero delle finanze, a fronte di un’attività di ricerca e consulenza riguardante “sia il settore produttivo (specifiche tecniche di prodotto, configurazione ottimale dei macchinari, sviluppo e controllo di standard qualificati, eccetera), sia il settore commerciale, ... sia il settore informatico finanziario (elaborazione dati, risorse umane, finanza, addestramento di addetti, politiche del personale, eccetera)”, ha ritenuto che dette prestazioni “ancorché coinvolgenti una serie di adempimenti complessi, possano in realtà essere qualificate nella loro globalità come consulenza tecnica, atteso che trattasi di prestazioni caratterizzate da una preminente valutazione soggettiva del prestatore”. In questo caso il Ministero ha applicato la norma sub art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972 a fronte di servizi di addestramento del personale, non autonomamente considerati ma perché l’insieme delle operazioni è qualificato come una complessa prestazione di consulenza tecnica. Ulteriore conferma dell’interpretazione prospettata, vale a dire che in principio le prestazioni di formazione e addestramento rientrano nella disciplina sub art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972, è dato rinvenire nella risoluzione ministeriale del 2 settembre 1991, n. 465082 (in “il fisco” n. 39/1991, pag. 6467). In questa fattispecie, in presenza di un insieme articolato di prestazioni di servizi ma mancando una prestazione unitariamente qualificabile come consulenza o assistenza tecnica o legale, il Ministero ha espressamente concluso che le prestazioni di formazione del personale “ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972 ... si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono ivi eseguite. Pertanto, mentre i corsi di formazione del personale svolti in Egitto non rilevano ai fini Iva, essendo privi del requisito ATTUALITÀ Con riferimento ai servizi di formazione e addestramento del personale, attribuire alla deroga di cui all’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972 una valenza di carattere generale implica sostenere che tutte queste prestazioni di servizi sono rilevanti territorialmente in Italia quando sono rese a soggetti ivi domiciliati o residenti, a meno dell’utilizzo fuori dal territorio comunitario, anche se materialmente effettuate all’estero. È possibile invece sostenere che i servizi di formazione ed addestramento del personale costituiscano, come regola generale, una prestazione regolata dall’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972, relativa ai servizi didattici e simili, e che, conseguentemente, le prestazioni per i corsi di formazione frequentati all’estero dal personale delle imprese operanti in Italia restino escluse dal campo di applicazione dell’Iva nazionale. Per contro, i corsi di formazione e di addestramento del personale regolati dall’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972 sarebbero esclusivamente quelli qualificabili come prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale ovvero compresi in prestazioni complesse di consulenza ed assistenza tecnica o legale. Sulla base delle suddette considerazioni si giunge, a titolo meramente esemplificativo, a ritenere che: - le prestazioni relative ad un corso di formazione linguistica del personale effettuato all’estero restino escluse dall’ambito dell’Iva nazionale ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972; - nell’ambito di un programma di assistenza tecnica (per esempio: a seguito dell’installazione di nuovi impianti), comprensivo di corsi di formazione e addestramento del personale effettuati all’estero, queste ultime prestazioni rientrino nella sfera di applicazione dell’Iva nazionale ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972. ■ 12/2000 il fisco 3307 ATTUALITÀ IVA Il “momento di effettuazione dell’operazione” e le “prestazioni di servizi” Il principio generale, secondo il quale le “prestazioni di servizi” si intendono effettuate solo nel momento dell’incasso del corrispettivo, si applica anche quando - all’ultimazione della prestazione - si rilascia una “ricevuta fiscale”, in relazione alla quale non è stato ancora riscosso il compenso previsto di Piero Merlo (1) D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni ed integrazioni Art. 6 Effettuazione delle operazioni Le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili. Tuttavia le cessioni i cui effetti traslativi o costitutivi si producono posteriormente, tranne quelle indicate ai nn. 1) e 2) dell’art. 2, si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque, se riguardano beni mobili, dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione. In deroga al precedente comma l’operazione si considera effettuata: a) per le cessioni di beni per atto della pubblica autorità e per le cessioni periodiche o continuative di beni in esecuzione il fisco In tema di Iva, uno dei problemi centrali è quello di stabilire correttamente qual è il momento in cui una data operazione di “cessione” o di “prestazione” si deve considerare effettuata ai fini dell’imponibilità del tributo. Per quanto riguarda le “cessioni di beni mobili” [e al di là delle specifiche ed espresse deroghe contenute nei commi 1 e 2 dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 (1)] il momento di effettuazione dell’o- perazione si identifica con quello della “consegna o spedizione dei beni”. Relativamente invece alle “prestazioni di servizi”, si deve fare riferimento al comma 3 dello stes- di contratti di somministrazione, all’atto del pagamento del corrispettivo; b) per i passaggi dal committente al commissionario, di cui al n. 3) dell’art. 2, all’atto della vendita dei beni da parte del commissionario; c) per la destinazione al consumo personale o familiare dell’imprenditore e ad altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa, di cui al n. 5) dell’art. 2, all’atto del prelievo dei beni; d) per le cessioni di beni inerenti a contratti estimatori, all’atto della rivendita a terzi ovvero, per i beni non restituiti, alla scadenza del termine convenuto tra le parti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione; d-bis) per le assegnazioni in proprietà di case di abitazione fatte ai soci da cooperative edilizie a proprietà divisa, alla data del rogito notarile. Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo. Quelle indicate nell’art. 3, terzo comma, primo periodo, si considerano effettuate al momento in cui sono rese, ovvero, se di carattere periodico o continuativo, nel mese successivo a quello in cui sono rese. Se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi o indipendentemente da essi sia emessa fattura, o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento, ad eccezione del caso previsto alla lettera d-bis) del secondo comma. L’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si 3308 il fisco 12/2000 considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti e l’imposta è versata con le modalità e nei termini stabiliti nel titolo secondo. Tuttavia per le cessioni dei prodotti farmaceutici indicati nel numero 114) della terza parte dell’allegata tabella A effettuate dai farmacisti, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti, di cui al quarto comma dell’art. 4, nonché per quelle fatte allo Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’art. 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, agli istituti universitari, alle unità sanitarie locali, agli enti ospedalieri, agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi, salva la facoltà di applicare le disposizioni del primo periodo. Per le cessioni di beni di cui all’art. 21, quarto comma, quarto periodo, l’imposta diviene esigibile nel mese successivo a quello della loro effettuazione. Questi equivoci nascono perché a volte non si tiene presente che - anche quando le prestazioni sono soggette all’obbligo della “ricevuta fiscale” non si viene affatto a modificare il principio generale secondo il quale, nelle prestazioni, il momento impositivo coincide con quello della riscossione del corrispettivo. È vero che la “ricevuta” deve essere emessa e rilasciata nel “momento dell’ultimazione della prestazione”, anche se in quel momento il pagamento non sia ancora stato effettuato dal cliente, ma ciò non toglie che l’obbligazione tributaria nasca solo nel momento successivo della riscossione del corrispettivo. Ciò evidentemente consente di effettuare l’annotazione del corrispettivo riscosso solo nel momento della riscossione stessa, con tutti gli effetti sottostanti ai fini delle “liquidazioni” e dei versamenti periodici dell’Iva. A questo riguardo si può ancora fare riferimento alla vecchia circolare n. 3/380101 del 19 gennaio 1980 (in “il fisco” n. 4/1980, pag. 347), nel punto dove, entrando nel merito delle registrazioni dei corrispettivi, si precisa, appunto, che nel “registro dei corrispettivi” deve essere annotato l’ammontare globale dei corrispettivi riscossi giornalmente, e in particolare devono essere registrati: il fisco so art. 6, secondo il quale “Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo...”, e ciò ovviamente in relazione dalla determinazione del “momento impositivo”. Esiste in pratica solo una deroga, contenuta nello stesso comma 3 dell’art. 6, in base alla quale le prestazioni, superiori a lire cinquantamila, effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero a titolo gratuito per altre finalità estranee all’impresa, si considerano effettuate nel momento in cui sono rese, oppure - se di carattere periodico - nel mese successivo a quello in cui sono rese. Questa norma rappresenta appunto non solo una deroga al principio generale che prevede la nascita del momento impositivo solo nel momento della riscossione del corrispettivo, ma anche all’altra norma di carattere generale secondo la quale le “prestazioni” sono imponibili solo se rese “contro corrispettivo” (comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972), e ciò in difformità dell’altra norma che prevede (salvo le espresse deroghe) l’imposizione dell’Iva anche sulle cessioni gratuite. Per completare il quadro essenziale delle disposizioni che riguardano la determinazione del momento impositivo nelle prestazioni di servizi, si deve anche ricordare che - sempre con riferimento all’art. 6, comma 4 - l’emissione anticipata della fattura determina automaticamente l’effettuazione dell’operazione, come pure l’incasso anticipato del corrispettivo stesso (ovviamente anche per una sola parte di esso). Queste premesse e queste indicazioni - prima di prendere brevemente in esame una sentenza della Corte di Cassazione che prende in esame un caso particolare e un contenzioso derivante appunto da una scorretta interpretazione da parte del verificatore fiscale delle norme generali cui si è accennato - sono senza dubbio opportune in quanto, come già si è accennato, permangono tuttora equivoci al riguardo, soprattutto da parte dei classici prestatori di servizi (artigiani, installatori, riparatori, eccetera). ATTUALITÀ 1) l’ammontare dei corrispettivi risultanti dalle ricevute fiscali per la parte effettivamente riscossa; 2) l’ammontare dei corrispettivi risultanti dalle fatture emesse ai sensi dell’art. 2 del D.M. 13 ottobre 1979, anche se non riscosso. Un’altra puntualizzazione - che se pure indirettamente e in relazione a quella precedente riguarda la diffusa pratica di emettere la ricevuta fiscale (con l’indicazione “corrispettivo non riscosso”) anche nei casi di prestazioni gratuite (in garanzia, eccetera). In questo modo si finisce per ingenerare confusione ed equivoci in caso di verifica tributaria, in quanto diventa più difficile distinguere e separare le prestazioni gratuite escluse dall’ambito dell’Iva, da quelle, da assoggettare all’imposta, in relazione alle quali il corrispettivo non è stato riscosso contestualmente all’ultimazione della prestazione medesima. Una sentenza della Corte di Cassazione La rilevanza, ai fini tributari (Iva), nelle prestazioni di servizi, della data di incasso del corrispettivo (e non di quella dell’ultimazione della prestazione) è stata ribadita e riaffermata qualche anno fa - se pure in modo indiretto - dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 11150 del 26 ottobre 1995). La Suprema Corte doveva giudicare sul ricorso di un contribuente al quale era stato negato il 12/2000 il fisco 3309 ATTUALITÀ il fisco beneficio dell’esonero dall’obbligo di dichiarazione (in relazione all’entrata in vigore del D.L. n. 260/1974) invocato dal contribuente stesso, dal momento che nel medesimo anno 1974 aveva realizzato un volume d’affari inferiore ai cinque milioni. I verificatori (e poi l’ufficio Iva) avevano sostenuto, al contrario, che non ricorrevano i presupposti per l’esonero in quanto le prestazioni erano state effettivamente e concretamente eseguite ed ultimate anteriormente al 1° settembre 1974, e cioè prima dell’entrata in vigore della norma in questione, e - conseguentemente - il volume d’affari di quel periodo di imposta risultava superiore ai previsti cinque milioni. A parte ogni possibile considerazione su un contenzioso iniziato negli anni ’70 e conclusosi solo nel 1995, e sulla insistenza dell’Amministrazione finanziaria nel sostenere una tesi a dir poco precaria, non v’è dubbio che la sentenza della Corte di Cassazione e le sue motivazioni sono corrette e puntuali. Infatti, i giudici - dopo aver precisato che il comma 3 dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 dispo- ne, come abbiamo già ricordato, che le “prestazioni di servizi” si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo (salva l’ipotesi della fatturazione anticipata) - hanno, conseguentemente, ritenuto ininfluente la circostanza che le prestazioni in questione fossero state eseguite prima del 1° settembre 1974. È inconfutabile infatti che anche agli effetti del “volume d’affari” - come stabilito nell’art. 20 dello stesso D.P.R. n. 633/1972 - si deve fare riferimento esclusivo, per determinare il suo ammontare, al momento di effettuazione delle operazioni, e quindi - nel caso di prestazioni - all’incasso del corrispettivo o alla preventiva fatturazione. D’altra parte, alle stesse conclusioni era pervenuta anche la Commissione tributaria centrale (decisione n. 5283 del 13 luglio 1990) che - coerentemente con la norma generale sul momento di imponibilità delle prestazioni - aveva affermato che si devono considerare imponibili all’Iva anche le prestazioni eseguite anteriormente alla data di entrata in vigore dell’Iva stessa, i cui corrispettivi erano stati riscossi dopo tale data. ■ Si avvisano i Signori Lettori che è possibile acquistare in edicola per pochi giorni il fisco o con richiesta all’editore (minimo 5 copie) a lire 6.000 cadauna = lire 30.000 Pagamento anticipato a: ETI S.p.A. Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma versando l’importo sul c/c postale n. 61844007 (copia versamento per fax) o con assegno bancario, N.T. 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Residente in Via Città Firma c.a.p. 12/2000 il fisco 3311 ATTUALITÀ Riflessioni sui parametri Le motivazioni e le strategie difensive adottabili dal contribuente nei confronti degli accertamenti effettuati mediante applicazione della procedura di cui all’art. 3 della L. n. 549/1995 di Luca Bellini Avvocato in Ravenna Premessa L’istituto dell’accertamento sulla base di parametri è stato istituito dall’art. 3, commi 179 e seguenti, della L. n. 549 del 28 dicembre 1995, in sostituzione dei coefficienti presuntivi di ricavi e compensi. Tale modalità di accertamento trova tuttavia applicazione limitata ai periodi d’imposta 1995, 1996 e 1997. Per i periodi d’imposta successivi, viceversa, il metodo di accertamento si applica limitatamente ai contribuenti esercenti attività per le quali non il fisco Con la circolare n. 203 del 20 ottobre 1999 (in “il fisco” n. 40/1999, pag. 12716), il Ministero delle finanze ha dato avvio alla procedura di contraddittorio, al fine di definire i procedimenti di controllo relativi ai contribuenti che hanno dichiarato minori ricavi, rispetto a quelli accertabili mediante l’impiego dei parametri. Appare quindi importante, anche ai fini delle scelte da operare in sede di concordato, conoscere le possibilità di difesa nei confronti di tale metodo accertativo. Come sempre quando si tratta di materia fiscale, per definizione legislativamente complessa, è opportuno preliminarmente un breve promemoria. sono stati approvati gli studi di settore, ovvero per le quali, pur essendo stato approvato lo studio di settore, ricorrano una o più cause di inapplicabilità previste nei decreti di approvazione dello studio stesso. Le modalità applicative per il periodo d’imposta 1995 sono state disciplinate dal D.P.C.M. del 29 gennaio 1996, il quale ha approvato sia le tabelle degli indicatori che la nota tecnica metodologica per la determinazione dei parametri. Successivamente tale decreto è stato modificato dal D.P.C.M. del 27 marzo 1997, sotto certi profili in maniera significativa (si pensi al fattore di adeguamento di cui all’art. 5, precedentemente non previsto). Ai sensi del citato art. 3, comma 181, della L. n. 549/1995, gli accertamenti di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, possono essere effettuati mediante l’applicazione dei parametri, per i periodi d’imposta indicati. A sua volta, l’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 afferma che l’ufficio può procedere alla rettifica dei redditi d’impresa e derivanti dall’esercizio di arti e professioni anche sulla base di presunzioni semplici, purché esse siano gravi, precise e concordanti. Infine le istruzioni per l’effettuazione dell’accertamento cosiddetto “parametrico”, sono state dettate dal Ministero con circolare n. 136/E del 21 giugno 1999 (in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9060). Fatta questa breve premessa, passiamo ad esaminare le possibili motivazioni adducibili, sia in sede di accertamento con adesione che in sede contenziosa, nei confronti dei parametri. 3312 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ L’esposizione seguirà pertanto l’ordine di un vero e proprio ricorso, con trattazione dei motivi a seconda della loro pregiudizialità, salve alcune digressioni, anche relative all’aspetto della “strategia” processuale e pre-processuale adottabile dal contribuente. posizione discendente rispetto alla media del settore. Ulteriore considerazione e conseguenza della mancata esplicitazione consiste nel fatto che i passaggi logici sottesi alla nuova modalità di accertamento non trovano compiuta esteriorizzazione. È importante sottolineare che ai parametri viene attribuita, sin dall’originare, un’operatività provvisoria limitata e predefinita, in quanto destinati ad operare nella fase di transizione tra i coefficienti presuntivi e gli studi di settore. I parametri sono definibili come moltiplicatori, determinati e specificati da atti normativi secondari, da applicarsi ad indici di natura contabile, al fine di provare, in capo al contribuente accertato, l’esistenza di discordanze tra redditività potenziale ed il reddito dichiarato. 1. Considerazioni generali La rettifica della dichiarazione in base ai parametri, così come la cosiddetta minimum tax e gli studi di settore, appartiene al più ampio genere degli accertamenti basati su criteri di forfetizzazione, questi ultimi basati, nel caso specifico, su logiche-matematico-statistiche già caratterizzanti i coefficienti presuntivi. L’elaborazione dei parametri è stata demandata dall’art. 3, comma 184, della L. 28 dicembre 1995 n. 549, al Dipartimento delle Entrate del Ministero delle finanze, senza tuttavia prevedere, a carico dello stesso Dipartimento, l’onere di divulgare, neppure sommariamente, i procedimenti formativi dei medesimi. Solo nelle note tecniche allegate al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e al D.P.C.M. 27 marzo 1997 sono contenuti i risultati di tali analisi. Schematicamente, i procedimenti sono in esse, così, descritti: Poiché per ciascun settore economico e voce contabile possono essere stati elaborati più parametri, in dipendenza del numero di gruppi omogenei in cui risulta suddivisa ciascuna categoria, il posizionamento del contribuente all’interno del cosiddetto cluster avviene secondo una funzione probabilistica, predisposta in base al metodo della “analisi discriminante”, non meglio esplicitata nelle citate note tecniche. Una considerazione molto semplice può già a questo punto, ed in ogni caso, privare di fondamento la ragionevolezza dei parametri: il contribuente potrebbe trovarsi, nella curva di calcolo, in (1) Si confrontino sull’argomento: J. Bloch e L. Sorgato, Difesa del contribuente dagli accertamenti fondati sui parametri, in “Corr. Trib.” n. 36/1999; C. Maggi e N. Miglietta, Dubbi sulla legittimità dei criteri e dei gruppi omogenei definiti per la determinazione dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari, in “il fisco” n. 15/1996, pag. 3991. 2.1. Illegittimità costituzionale dell’art. 3 della L. n. 549 del 28 dicembre 1995 il fisco 1) identificazione di un campione di contribuenti economicamente coerente; 2) identificazione di “gruppi massimamente omogenei di contribuenti” all’interno di un’attività economica; 3) identificazione di una funzione di ricavo e di compenso; 4) identificazione di una funzione che consenta di associare qualsiasi contribuente ad uno dei gruppi omogenei individuati per la sua attività; 5) calcolo di un fattore di adeguamento personalizzato (1). 2. Motivazioni specifiche Le prime eccezioni proponibili nei confronti dell’accertamento descritto, non possono che essere costituite dai motivi di incostituzionalità del sistema. L’istituto giuridico delineato dalla norma in epigrafe, si potrebbe appalesare incostituzionale per violazione dei seguenti articoli della Costituzione: A) Art. 23 L’incostituzionalità palesata deriverebbe dalla violazione del principio di riserva di legge, previsto in tema di prestazioni patrimoniali, in quanto viene delegato, senza indicare criteri e parametri di legge, ad una fonte normativa secondaria il potere di disciplinare una materia riservata a fonti normative primarie. B) Art. 24 La definizione legislativa delle presunzioni derivanti dall’utilizzo dei parametri, e la loro forza probatoria, appaiono fortemente carenti ed in ogni caso contraddittorie e viziate da incostituzionalità. Se ad esse deve essere data valenza di presunzioni legali, infatti, non potranno che annoverarsi tra le presunzioni relative (se invece si ritiene che esse costituiscano presunzioni semplici, allora varranno le considerazioni esposte nel prosieguo dell’esposizione, sub 2.4). Tuttavia la confutazione delle presunzioni derivanti dall’applicazione dei parametri è soggetta a limitazioni probatorie (per esempio: esclusione della prova testimoniale), tali da violare fortemente il diritto di difesa, ponendo il contribuente di fronte ad un onere di probatio diabolica, e tali da 12/2000 il fisco 3313 ATTUALITÀ si riesca a mantenere la lucidità necessaria in certi frangenti, fare verbalizzare, in sede di processo verbale o di contraddittorio, dichiarazioni di terzi cui sia possibile richiamarsi successivamente in sede contenziosa. C) Tornando ai possibili motivi di incostituzionalità, viene in considerazione, come sempre o quasi quando si tratta di tributi, l’art. 53, comma 1, della Costituzione Il meccanismo di calcolo induttivo potrebbe infatti essere ritenuto in contraddizione con il principio della tassazione in base all’oggettiva capacità contributiva dei cittadini. Viene infatti imposta al contribuente una prestazione svincolata dalla sua effettiva capacità contributiva. L’attività imprenditoriale e libero-professionale è, per definizione civilistica, soggetta a rischio e ciò comporta che l’imprenditore non solo possa guadagnare meno del risultato derivante dall’applicazione dei parametri, ma anche subire una perdita. D) Art. 95 il fisco far ritenere di fatto assolute le presunzioni parametriche. In realtà, se non bastasse, è da rilevare che contrastano fortemente con il sistema costituzionale quelle presunzioni che si appalesino indicative di capacità contributiva, ma nei confronti delle quali resti di fatto preclusa la prova contraria (cfr. Corte Costituzionale 11 marzo 1991, n. 103, in “il fisco” n. 12/1991, pag. 1916). In altri termini, si pone l’interrogativo se una presunzione relativa, pur astrattamente prevedendo la possibilità di prova contraria, contenendo forti limitazioni e preclusioni processuali, possa continuare ad annoverarsi tra le presunzioni iuris tantum, ovvero debba essere considerata iuris et de iure. Le compressioni del diritto di difesa, tutelato, giova ripetere, dall’art. 24 della Costituzione, sembrano in realtà far pendere la bilancia verso, tale seconda alternativa. Si consideri che la prova dello scostamento dai parametri può essere data solo documentalmente, mentre esistono sicuramente circostanze esimenti comprovabili esclusivamente per testimoni. In definitiva non può il legislatore definire una presunzione come relativa, per poi surrettiziamente regolamentarla come assoluta, poiché il disposto normativo, chiaramente contraddittorio, non può che ricevere censura di incostituzionalità dal giudice delle leggi, anche attraverso pronuncia cosiddetta manipolatrice che riformuli il dettato normativo in guisa tale da consentire, in concreto, il diritto di difesa. Sotto il profilo probatorio, il divieto di prova testimoniale è, del resto, un dato normativo incontrovertibile (art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992). Senza che si possa ritenere in toto applicabile all’accertamento parametrico, viene tuttavia alla mente, a questo riguardo, una considerazione generale. Anche recentemente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14427 del 22 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 8/2000, pag. 2272), ha sancito la legittimità ed utilizzabilità delle dichiarazioni raccolte in sede di istruttoria (processi verbali) da parte degli uffici finanziari o della Guardia di finanza. Se ad una delle parti del processo tributario è riconosciuta la possibilità di utilizzare tale modalità pratica di “aggiramento” del divieto legislativo, piuttosto che chiedersi se tale principio risulti valido o meno, potrebbe apparire più conveniente ragionare a contrariis. Mi spiego meglio. Se non è richiesto che le indagini fiscali si svolgano secondo le regole dell’assunzione delle prove, non si vede proprio come tale principio, giusto o sbagliato che sia, si debba applicare ad una sola delle parti in causa. Potrebbe pertanto essere opportuno, sempre che Il potere di regolamentare la materia in oggetto è stato infatti attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri. Tale funzione sembra tuttavia ad esso preclusa, non avendo la Corte Costituzionale previsto per tale organo funzioni ulteriori a quelle di coordinamento dell’attività dei Ministri. In particolare, ai sensi dell’art. 17 della L. 23 agosto 1988, n. 400, tale potere avrebbe potuto al massimo essere attribuito al Presidente della Repubblica (su delibera del Consiglio dei Ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato, previa approvazione della Corte dei Conti), oppure al Ministro competente (su parere del Consiglio di Stato, e sempre previa approvazione della Corte dei Conti), ma non al Presidente del Consiglio, con procedura semplificata (in quanto mancherebbero comunque il parere del Consiglio di Stato ed il visto e registrazione della Corte dei Conti). Esaminate le possibili motivazioni di incostituzionalità prospettate, vengono in evidenza i seguenti, ulteriori, motivi di diritto 2.2. Carenza di motivazione e violazione dell’art. 3 della L. n. 549 del 28 dicembre 1995 da parte dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 gennaio 1996 (e 27 marzo 1997), nonché dell’atto impugnato - Contraddittorietà manifesta ed eccesso di potere. A) Il dettato del comma 184, dell’art. 3 sopra richia- 3314 il fisco 12/2000 B) Valga a confortare quanto appena esposto il seguente esempio, dei tanti proponibili. Se poniamo a confronto due contribuenti che, a fronte di dati contabili di costo (rilevanti ai fini dell’applicazione dei parametri) identici, presentino dati contabili di ricavo divergenti: ad esempio, 30.000.000 per il primo e 40.000.000 per il secondo contribuente, la differenza in termini di “ricavi contabili” fa sì che, impostando le relative simulazioni, si ottengano redditi presunti manifestamente irragionevoli. Nei confronti del primo e del secondo contribuente, il programma applicativo evidenzia maggiori ricavi stimati pari, rispettivamente, a 21.302.000 ed a 15.773.000. In definitiva il primo contribuente raggiungerà il fisco mato, prevedeva che i parametri fossero elaborati al fine di determinare i ricavi, i compensi ed il volume d’affari “fondatamente attribuibile al contribuente in base alle caratteristiche ed alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta”. Occorreva quindi, per il legislatore del 1995, fare riferimento alle condizioni riferibili ai casi specifici, al fine di costruire parametri legittimi. Viceversa la previsione legislativa è stata disattesa e travisata dai decreti attuativi (e di conseguenza dagli atti amministrativi in cui si andrà ad estrinsecare l’attività di accertamento), con conseguente nullità per violazione di legge. Infatti l’indagine parametrica della congruità reddituale del contribuente si fonda su di un’elaborazione matematico-statistica di dati “desunti dalle dichiarazioni dei redditi secondo la metodologia indicata nella nota tecnica e metodologica che ha consentito di individuare, in riferimento a settori omogenei di attività, campioni di contribuenti che hanno presentato dichiarazioni dalle quali si rilevano coerenti indici di natura economica e contabile” (così la premessa al decreto del 29 gennaio 1996). Le informazioni di tipo contabile che il programma ministeriale richiede al contribuente, sono costituite da variabili del tutto inidonee ad integrare sia una ragionevole premessa del procedimento di calcolo, sia quelle presunzioni gravi, precise e concordanti, richieste espressamente dall’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973. In primo luogo, costituisce elementare considerazione che una variabile non può generare se stessa. Poiché l’intera procedura è finalizzata all’individuazione del ricavo congruo, è palesemente irrazionale introdurre nel suo schema matematico-statistico, inquinandolo alla base, una variabile che costituisce addirittura il risultato a cui il suo meccanismo di calcolo dovrebbe conclusivamente pervenire. L’inserimento di una variabile inattendibile in uno schema che reagisce esclusivamente ad inputs matematico-statistici, delegittima l’intera procedura, rendendola inattendibile ed incapace di pervenire ad un dato finale reddituale ragionevole. ATTUALITÀ la soglia di ricavi congrui a 51.302.000, mentre il secondo a 55.773.000. Le ragioni di tale divergenza in termini di ricavi contabili che rendono “congruo” il contribuente, pur a parità di costi, sono dovute alla valenza attribuita ai ricavi dichiarati dai contribuenti. L’inserimento nel meccanismo di calcolo dei ricavi contabili influenza negativamente l’intero procedimento, rendendolo complessivamente inattendibile ed irragionevole, oltre che in contrasto con i principi costituzionali di capacità contributiva e di uguaglianza. Infatti il contribuente che inizialmente aveva dichiarato maggiori ricavi, viene penalizzato in quanto, si ripete, pur a parità di costi, raggiunge una soglia di congruità maggiore rispetto al contribuente che aveva dichiarato ricavi inferiori. Al limite, l’istituto giuridico potrebbe ritenersi ragionevole se ai costi, e solo a questi, si attribuisse significato ai fini del calcolo parametrico. Anche in questo caso, tuttavia, l’efficacia probatoria e l’attendibilità del sistema non sarebbero certo assicurati. Si pensi, per esempio, a voci di spesa particolarmente alte ed incidenti, come i consumi per autotrasporto per un agente di commercio. Non v’è chi non veda che l’agente con scarso volume d’affari abbia necessità di procacciarsi clienti, e debba perciò sostenere spese per spostamenti, mentre al contrario chi possiede un portafoglio clienti già consolidato non abbia necessità di sostenere spese ulteriori per ampliarlo. Quello che si vuole affermare, in definitiva, è che non sempre a maggiori voci di spesa corrispondono maggiori ricavi, ma anzi, spesso, accade esattamente il contrario. Il libero professionista che inizia l’attività, sosterrà probabilmente maggiori spese di impianto il primo esercizio, che non i successivi, mentre i ricavi seguiranno, presumibilmente, una curva esattamente inversa. In definitiva le affermazioni contenute nei parametri, finiscono per incentivare l’evasione, oltre ad essere viziate di irragionevolezza, illogicità ed eccesso di potere, ed a dimostrarsi incapaci, da sole, di assurgere, conclusivamente, al rango di presunzioni gravi, precise e concordanti. Dall’illegittimità dell’atto generale deriva la possibilità di sua disapplicazione da parte delle Commissioni tributarie, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, comma 5, del D. Lgs. n. 546/1992, e l’annullamento dell’atto impugnato, di conseguenza o ex se, per violazione dell’obbligo di motivazione. La contraddittorietà del sistema, nonché la scarsa convinzione del legislatore stesso nel risultato della propria opera, sono del resto testimoniati dall’esplicita previsione legislativa (comma 187), in base alla quale la determinazione dei maggiori ricavi non costituisce notizia di reato, nonché dalla durata temporale dei parametri, limitata agli esercizi 1995, 1996 e 1997. 12/2000 il fisco 3315 ATTUALITÀ 2.3. Vizio di motivazione, sotto un profilo diverso da quello di cui sub 2.2), anche per violazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 3 della L. n. 241/1990 il fisco Nell’ambito del procedimento amministrativo di formazione dei parametri, risulta impossibile rinvenire l’indicazione dei criteri statistici che sarebbero stati seguiti nell’elaborazione dei parametri. Il Ministero avrebbe dovuto dar conto di quali soggetti siano stati utilizzati per il campione e di come si sia concretamente pervenuti al calcolo dei singoli moltiplicatori. L’avviso di accertamento che si andrà a contestare, in sede di accertamento con adesione od in sede contenziosa, fondato esclusivamente sull’applicazione dei parametri, si appalesa di conseguenza carente di motivazione. Per dottrina e giurisprudenza consolidate, infatti, l’obbligo di motivazione può ritenersi pienamente assolto solo con la previa esplicitazione dell’iter logico-deduttivo che caratterizza il ragionamento critico del verificatore. Solo la diretta ed immediata comprensione dei passaggi logici può consentire al contribuente, raggiunto dalle contestazioni erariali, di esplicare compiutamente la propria attività difensiva. Al contrario la mancata esteriorizzazione, da parte delle note tecniche allegate al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 ed al D.P.C.M. 27 marzo 1997, di alcuni passaggi fondamentali, non consente di conoscere i criteri di formazione ed impiego dei parametri. In tale senso va valutata, altresì, la necessità, avvertita in sede legislativa stessa, di procedere alla predisposizione e alla distribuzione dei supporti meccanografici contenenti i relativi programmi applicativi. Così come avviene nei casi di accertamenti riferiti a processi verbali di constatazione, nei casi di rettifiche parametriche il contribuente si trova di fronte ad una sorta di motivazione per relationem, con riferimento, in particolare, alle note tecniche contenute dai citati decreti. La necessità di informazioni accessibili a tutti, in merito ai dati presi in considerazione, le regole ed i procedimenti tecnici seguiti per determinare il contenuto dei decreti ministeriali sui quali si fondano i singoli accertamenti, costituiscono diritti irrinunciabili del cittadino. La conoscenza del procedimento seguito per la determinazione dei parametri è necessaria al contribuente, non solo ai fini dell’impugnazione o della richiesta di disapplicazione del decreto ministeriale, ove possibile, ma anche per argomentare nel merito, nel pur limitato ambito concesso dalla legge. Ma vi è un ulteriore passaggio logico lacunoso nelle disposizioni legislative che regolano l’istituto in discussione. La nota tecnica allegata al pacchetto software, approvata all’art. 1 del D.P.C.M. 29 gennaio 1996, illustra la metodologia eseguita ed il dettaglio matematico delle funzioni di regressione applicate. L’art. 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri prevede al comma 1, che “sulla base dei parametri sono determinati presuntivamente i ricavi”. Quello che non viene minimamente spiegato è in che modo e secondo quali criteri avvenga poi l’assegnazione ad un gruppo omogeneo. Il passaggio logico attraverso cui si giunge al maggiore ricavo o compenso non è spiegato in alcun modo. Solo la conoscenza dei criteri di collegamento tra parametri e gruppi omogenei, consentirebbe di conoscere l’iter da seguire per giungere alla conoscenza della congruità o meno dei ricavi-compensi dichiarati. Tale omissione rende illegittima l’applicazione dei parametri e l’accertamento induttivo, in quanto il dettato legislativo regola ed approva i parametri e la nota, ma non prevede il percorso matematico-statistico che porta al risultato finale (l’accertamento), nei casi di coesistenza di due o più gruppi omogenei. In caso di accertamento analitico-induttivo fondato sull’applicazione dei parametri, l’atto di accertamento, in altri termini, deve rendere noto il processo di stima attraverso il quale è stato determinato un maggior livello di ricavi: se tale estrinsecazione avviene per relationem, ossia mediante riferimento alle note tecniche contenute dai citati decreti, è chiaro che le carenze, sotto tale profilo, di questi ultimi non possono che riflettersi sull’atto di accertamento. Ne deriva l’illegittimità dell’atto sotto un duplice punto di vista. Sotto un profilo più generale, è da rilevare che l’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, in tema di procedimenti amministrativi, prevede che oggi tutta l’attività amministrativa debba comunque sottostare all’obbligo di motivazione, con indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato i risultati finali dell’azione dell’Amministrazione. Per quanto riguarda specificamente l’aspetto tributario, l’atto di accertamento risulta ulteriormente illegittimo per violazione del dettato di cui all’art. 42, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, in tema di motivazione degli atti di accertamento. 2.4. Violazione degli artt. 2727 e seguenti del codice civile, nonché dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 Abbiamo visto in sede di premessa che ai sensi del citato art. 3, comma 181, della L. n. 549/1995, gli accertamenti di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, possono essere effettuati mediante l’applicazione dei parametri. L’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 prevede che l’ufficio può procedere alla rettifica dei redditi d’impresa e derivanti dall’esercizio di arti e professioni anche sulla base di presunzioni semplici, purché esse siano gravi, precise e concordanti. 3316 il fisco 12/2000 B) Del resto, se è vero che il dettato dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 prevede che la rettifica del reddito possa avvenire mediante utilizzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, delle due l’una: - o i parametri sono già stati implicitamente definiti e riconosciuti dal legislatore come presunzioni legali, relative come intenzione, ma assolute di fatto; - oppure i parametri possiedono la valenza probatoria propria delle presunzioni cosiddette “semplici”. Nel primo caso si appalesa una manifesta incostituzionalità del sistema, per le motivazioni esposte sub 2.1). Se, viceversa, si vuole affermare che i parametri integrino presunzioni semplici, come potrebbe dedursi dalla collocazione normativa dell’accertamento parametrico tra gli accertamenti analitico-induttivi di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973, nonché dall’assenza di qualsivoglia accenno legislativo in merito, ne consegue che essi risultano aggredibili, in sede processuale, opponendo qualsivoglia argomentazione contraria. La forza probatoria di cui essi apparirebbero portatori, secondo questa ipotesi, sarebbe infatti assai limitata, stante la discriminante tra presunzioni semplici e presunzioni legali. Queste ultime istituiscono una relazione diretta tra fatto noto e fatto dedotto, la cui valenza proba- il fisco A) L’utilizzo del verbo “potere” da parte del legislatore suggerisce una prima considerazione, ovvero l’assoluta facoltatività e non automaticità dell’accertamento, legata, evidentemente, all’esistenza di elementi ulteriori rispetto alla mera discordanza tra il reddito dichiarato e quello derivante dall’applicazione dei moltiplicatori parametrici. Infatti, sul piano strettamente probatorio, l’ufficio deve comunque provare la sua pretesa. È l’Amministrazione finanziaria, attore in senso sostanziale ai sensi dell’art. 2697 del codice civile, a dover quindi fornire dimostrazione di come è stato esercitato un potere suscettibile di conseguenze patrimoniali sul destinatario (in tal senso Cass. n. 2990/1979; n. 863/1991; n. 3023/1983, di quest’ultima la massima in “il fisco” n. 30/1983, pag. 4037). In altre parole, occorre verificare caso per caso se nella fattispecie concreta l’accertamento parametrico può dirsi legittimo, in quanto sussistano elementi atti ad integrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza. Nei casi specifici, in sede contenziosa ed anche, precedentemente, in sede amministrativa, dovranno essere evidenziate tutte le possibili circostanze influenti sul risultato finale del reddito dichiarato. Quanto sopra anche al fine di consentire al giudice una statuizione favorevole al contribuente per quanto riguarda le spese del giudizio. ATTUALITÀ toria ha già preventivamente riscosso l’apprezzamento del legislatore, così da vincolare il giudice a recepire il risultato generalizzato dalla campionatura (cosiddetta inferenziale). Con riguardo alle presunzioni semplici si verifica (rectius: si dovrebbe verificare) il contrario. Per esse, la capacità probatoria deve rendersi manifesta attraverso l’indagine analitica del caso. Per quanto riguarda i parametri, l’indagine dovrà essere tesa a verificare se i conteggi rivestano, anche tecnicamente, attitudine a correlare criticamente, se non con un nesso di univocità, perlomeno con verosimiglianza, rispondendo ad un criterio di probabilità, il fatto noto ed il fatto che si intende provare. In tal caso, pertanto, il giudice tributario resta libero di apprezzare il valore probatorio che le presunzioni riescono ad esprimere (così l’art. 2729 del codice civile). Ne consegue, anche sotto questo profilo, l’illegittimità dell’atto, derivante dall’utilizzo di presunzioni contrarie alle norme quadro che le disciplinano, ovvero gli artt. 2727 e seguenti del codice civile, nonché alle norme specifiche sull’accertamento, ovvero l’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973. Gravità, precisione e concordanza non sembrano in verità per nulla caratterizzare i parametri. Per quanto riguarda la gravità essi non risultano attendibili e convincenti (si ricordi che la legge esclude espressamente la valenza probatoria ai fini penali); quanto alla precisione, essi appaiono immotivati, contraddittori, privi di riscontro in altri dati ed elementi, e suscettibili di diversa interpretazione, come da esempi precedenti; infine, sotto il profilo della concordanza, essi contrastano con elementi certi (quali le risultanze di una regolare contabilità). Del resto il decreto attuativo dei parametri costituisce un mero atto amministrativo; a questo, quale fonte normativa subordinata alla legge, non può riconoscersi certo forza superiore alle norme civilistiche violate, in quanto ciò costituirebbe una palese violazione del principio di gerarchia delle fonti, con conseguente giuridica impossibilità che la disciplina dettata dalla fonte superiore possa essere abrogata dalla fonte inferiore (cfr. Commentario del Codice Civile, Scialoja-Branca, ed. Zanichelli, pag. 32111). 2.5. In ogni caso, non sembra che possano ritenersi applicabili, in caso di accertamenti mediante applicazione automatica dei parametri, pene pecuniarie a fronte di redditi presunti Questi ultimi infatti non hanno una valenza sostanziale, ma al massimo la capacità di invertire l’onere della prova solo ai fini della determinazione di un maggior reddito, ma non riguardo alla commissione di un eventuale illecito. A questo riguardo, si possono invocare i principi sanciti dal sistema sanzionatorio, e ribaditi dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8031 del 26 giugno 1992: “può essere assoggettato ad una san- 12/2000 il fisco 3317 ATTUALITÀ zione amministrativa, non diversamente che ad una sanzione penale, solo colui di cui sia pienamente provata la responsabilità per la violazione sanzionata”. Del resto gli artt. 70 del D.P.R. n. 600/1973, e 75 del D.P.R. n. 633/1972, dispongono che in materia di accertamento delle sanzioni si applicano le norme del codice penale e di procedura penale. Vale perciò anche il dettato di cui all’art. 192 del codice di procedura penale, per il quale “l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti”. I parametri elaborati con criteri praticamente sconosciuti, non possono certo costituire prova della commissione di un illecito, né amministrativo né penale, come confermato espressamente, giova ripetere, dall’art. 3, comma 187, della L. n. 549/1995, secondo il quale la determinazione dei maggiori ricavi da parametri non costituisce notizia di reato ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale. In definitiva, in accordo con le motivazioni espresse, non sembra superfluo specificare quali dovranno essere le conclusioni da rassegnare in sede processuale. Le richieste da rivolgere al giudice, sempre seguendo l’ordine pregiudiziale, potranno essere le seguenti: - in via preliminare la dichiarazione di rilevante e non manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalità prospettate sub 2.1), dell’art. 3 della L. n. 549 del 28 dicembre 1995, con disposizione di sospensione del procedimento e di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale; - in via principale la disapplicazione del D.P.C.M. 29 gennaio 1996, e di altri eventualmente utilizzati dall’Amministrazione, e conseguentemente l’annullamento dell’atto; - in via subordinata l’annullamento dell’atto, illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere e carenza di motivazione, nonché, eventualmente, infondato nel merito; *** il fisco *** - in via di estremo subordine una più equa determinazione del reddito e l’annullamento delle sanzioni pecuniarie. Conclusa la trattazione della questione da un punto di vista prettamente giuridico, mi siano consentite alcune brevi note finali. È già stato ampiamente ribadito in dottrina che neppure la tenuta di una perfetta contabilità libera il contribuente dall’onere di fornire la prova contraria (a meno che non si sposi la tesi, secondo cui i parametri integrano una presunzione semplice, liberamente valutabile dal giudice). Tale considerazione ne suggerisce una ulteriore, ovvero che in questo modo il contribuente da un lato è obbligato a tenere la contabilità secondo restrittivi criteri di legge, comportanti notevoli costi ed il rischio di incorrere in sanzioni, anche penali, per violazioni meramente formali, dall’altro la correttezza del proprio operato nulla rileva ai fini dell’applicabilità dei parametri. Sotto altro punto di vista per il nostro legislatore, alla ricerca di strumenti atti ad incentivare l’occupazione e la produzione, non è facile approntare strumenti di accertamento presuntivo basati sugli stessi fattori di spesa e sviluppo che si cerca di incrementare! Ne deriva una crisi del sistema legislativo, comprovata da situazioni quali quella appena trattata; crisi che tuttavia non deve indurre i giudici a spogliarsi del problema, ma anzi a riappropriarsi delle proprie funzioni, in accordo con il principio supremo di divisione dei poteri dello Stato. In questo modo, passo dopo passo, potrà essere restituita alla certezza del diritto la sua caratteristica di fine primario, caratterizzante uno Stato democratico. Un particolare ringraziamento all’amico Claudio Visani, per la collaborazione prestata alla redazione del presente articolo. ■ Sul numero 2 del 29 febbraio 2000 commerciale industriale Rivista mensile su bilancio, certificazione, problemi societari, giurisprudenza societaria ATTUALITÀ Tesoreria centralizzata e flussi finanziari inter-company di Roberto Moro Visconti Le “quotazioni pazze” dei titoli Internet di Flavio Dezzani Il nuovo ruolo del Collegio Sindacale ed il rapporto con l’Internal Auditing di Pietro Adonnino La redazione del primo bilancio consolidato obbligatorio per legge di Piero Pisoni Sospetti di incostituzionalità sulla revocatoria fallimentare di Umberto Apice Le operazioni e le perdite in moneta estera: la rilevazione contabile e la conversione in moneta nazionale di Flavio Dezzani, Piero Pisoni e Luigi Puddu Il requisito dell’oggettività nelle valutazioni aziendali: alcune note critiche di Stefano Ricci La valutazione del capitale economico di un’azienda in perdita, di recente costituzione e senza un campione di imprese concorrenti: il caso Amazon.com di Gian Matteo Ciampaglia Il fallimento del socio receduto. L’estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile uscito dalla società fallita e l’accertamento del pregresso stato di insolvenza dell’impresa collettiva di Mauro Vanni Trasformazione di società. Estensione del fallimento al socio divenuto limitatamente responsabile di Carmela Migliazzo DIRITTO E PRATICA COMMERCIALE a cura di Paolo Ferro-Luzzi DOTTRINA PROBLEMI DELLA PRATICA La capitalizzazione degli interessi nel conto corrente (Trib. Roma, 17 dicembre 1999) Le nuove modifiche alle procedure esecutive di Barbara Pansadoro DIRITTO PENALE D’IMPRESA a cura di Ivo Caraccioli Il tramonto di un mito: l’abolizione del principio di “ultrattività” nel nuovo diritto penale tributario. Effetti sulle nuove fattispecie criminose di Giuseppe Bersani “Management fees” e nuovo diritto penale tributario di Paolo Comuzzi Sui rapporti tra processo penale e contenzioso tributario nella riforma di Graziano Gallo LAVORO E PREVIDENZA a cura dell’Istituto di Studi e Ricerche Aziendali - ISTRA Prassi amministrativa - Giurisprudenza del lavoro AGENDA LEGISLATIVA PER LE AZIENDE LEGGI E DECRETI PER LE AZIENDE Le leggi e i decreti più importanti per le aziende e i professionisti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dal n. 25 del 1° febbraio 2000 al n. 49 del 29 febbraio 2000 Condizioni di abbonamento: Abbonamento 2000 - Rivista mensile: Abbonamento ordinario 2000 (11 numeri, pagg. 100 minimo) L. 120.000 (Iva inclusa). Pagamento con assegno bancario "non trasferibile" e barrato intestato a ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma (modalità consigliata) o versamento sul c/c postale n. 61844007 intestato a ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma. Il versamento deve essere fatto direttamente alla ETI che non si avvale di intermediari o esattori. 12/2000 il fisco 3319 ATTUALITÀ Attività illecite ed esenzioni fiscali Il caso dei dentisti abusivi di Francesco Schiavon Dottore commercialista in Padova 1. La L. n. 537/1993 e la circolare illustrativa (1) D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni ed integrazioni Art. 6 Classificazione dei redditi 1. I singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie: a) redditi fondiari; b) redditi di capitale; c) redditi di lavoro dipendente; d) redditi di lavoro autonomo; e) redditi di impresa; f) redditi diversi. 2. I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati. 3. I redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi. il fisco La L. n. 537/1993 dispone che nelle categorie di reddito di cui all’art. 6, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986 (1), “devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale” (art. 14, comma 4). Nella circolare n. 150/E-III-5-1560 del 10 agosto 1994 (in “il fisco” n. 31/1994, pag. 7336), il Ministero delle finanze precisava quanto segue: “L’art. 14, comma 4, della legge in rassegna prevede espressamente, in conformità a quanto sostenuto anche dalla Corte di Cassazione [cfr. Cass., Sez. III pen., 9 settembre 1992, n. 9405 e Cass., Sez. I civ., 13 marzo 1993, n. 3028) (rispettivamente, in “il fisco” n. 41/1992, pag. 9821 e n. 22/1993, pag. 6573), n.d.r.], l’imponibilità dei proventi derivanti dalle attività illecite, affermando espressamente la compatibilità delle categorie reddituali indicate nel comma 1 dell’art. 6 del Tuir con la qualificazione di illecito che in sede penale, amministrativa o civile viene attribuita ai fatti, atti o attività da cui i redditi derivano. Detti proventi sono assoggettati a tassazione se non sono stati già sottoposti a sequestro o confisca penale. L’imponibilità dei proventi di cui trattasi non è limitata alla sola Irpef, bensì si estende, ricorrendone i presupposti soggettivi e oggettivi, anche all’Irpeg e all’Ilor. Il principio della tassabilità dei proventi derivanti da attività illecite è subordinato alla condizione che l’attività produttiva del reddito sia, di per sé considerata, già ricompresa nelle fattispecie imponibili previste dalle norme vigenti; risulta, quindi, che sono tassabili, ad esempio, i redditi di capitale per usura, i redditi di lavoro collegati ad attività illecite, i redditi di impresa derivanti da attività criminose e che si rendono applicabili i criteri di determinazione del reddito relativi a ciascuna categoria. Pertanto, rientra nell’ambito applicativo della disposizione in rassegna la produzione di redditi di lavoro autonomo o di impresa derivanti da attività illecite esercitate in assenza di un requisito previsto dalla legislazione extrafiscale in materia (ad esempio: mancata iscrizione ad albo professionale, mancato possesso dei requisiti o titoli di studio richiesti per lo svolgimento dell’attività, mancanza di licenza di commercio o di altra autorizzazione amministrativa, ovvero con violazione di prescrizioni obbligatorie o di disposizioni della contrattazione collettiva). Per quanto attiene all’efficacia temporale della norma va precisato che essa ha portata retroattiva in quanto il principio della tassabilità dei redditi 3320 il fisco 12/2000 2. La giurisprudenza della Cassazione In precedenza la Cassazione aveva dapprima, con la sentenza n. 2475/1991, sostenuto che il pretium sceleris, non essendo frutto di operazione produttiva, ma di arricchimento senza causa, non può rientrare nella nozione di reddito: infatti la disciplina normativa tributaria può prendere in considerazione un reddito qualificabile come illecito (in quanto pur sempre collegato a violazioni di norme fiscali), ma non anche un illecito arricchimento, nel qual caso è la norma penale che provvede al recupero con gli strumenti della restituzione e della confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato. È poi intervenuta la giurisprudenza, civile e penale, richiamata nella circolare parzialmente trascritta. Dopo la norma del 1993, si può affermare che tale norma ha come fondamento la cosiddetta teoria “economica”, che prevede implicitamente, da parte dell’ordinamento, la possibilità di assoggettare a tassazione i proventi illeciti. La Corte di Cassazione, nell’orientamento più recente, preso atto del dato legislativo, aderisce alla citata “teoria economica” e pare anch’essa orientata ad applicare il nuovo dato normativo, costituito dall’art. 14 della L. n. 537/1993, come interpretazione autentica: cfr., ad esempio, Cass. 19 aprile 1995, n. 4381 (in “il fisco” n. 20/1995, pag. 4958), sull’emissione a pagamento di false fatture. Come è stato notato, la L. n. 537 ha posto tra l’altro rimedio a quella “sconsolante” giurisprudenza della Cassazione, che ha ritenuto intassabili ai fini delle imposte sui redditi i proventi dell’attività medica illecita (cfr. R. Lupi, Illeciti tassabili solo sulla carta, in “Il Sole-24 Ore” del 19 agosto 1995). 3. L'applicazione della L. n. 537 il fisco derivanti da attività illecita era già insito nell’ordinamento tributario. Ne è la prova la considerazione che il ‘possesso’ dei redditi rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6 del testo unico deve intendersi come disponibilità materiale e di fatto a prescindere dalla qualificazione lecita o illecita dell’attività posta in essere. Va, peraltro, osservato che potrà sempre essere eccepita, in sede di accertamento, l’eventuale avvenuta perdita del provento per confisca o restituzione e risarcimento con onere della prova a carico del contribuente. Si osserva che l’art. 14 della legge citata afferma che la tassabilità è limitata ai proventi che non sono oggetto di confisca. La Cassazione, però, con la sentenza n. 3259 della Sez. I civ. del 16 aprile 1997 (in “il fisco” n. 26/1997, pag. 7515) ha affermato che, qualora il sequestro del provento illecito in concreto (ad esempio perché già consumato o perché occultato dal percettore) non abbia luogo, si deve comunque procedere alla tassazione. Come vedremo in prosieguo, anche se la richiamata disposizione attribuisce prevalenza all’aspetto economico dell’attività rispetto alle modalità di produzione del reddito ai soli fini delle imposte dirette, il principio, alla luce di recenti pronunce della Corte di Giustizia delle Comunità europee, risulta valido anche ai fini dell’Iva per effetto del carattere di neutralità che è insito in tale tributo. ATTUALITÀ Secondo la dottrina appena ricordata, la cui citazione riteniamo adatta a riassumere efficacemente la questione, “sull’argomento è facile smarrire il senso della misura ... trovandosi inavvertitamente a immaginare il solista del mitra che presenta il Mod. 740 per i proventi delle rapine o l’anonima sarda che dichiara i sequestri sul Mod. 760. In realtà furti, rapine, estorsioni, ma anche truffe, non danno luogo a redditi, ma solo ad obblighi di restituzione nei confronti dei rapinati: è contraddittorio recuperare il maltolto e al tempo stesso tassarlo”. La norma consente invece di assoggettare ad imposizione gli illeciti che non depauperano, con violenza o inganno, il patrimonio altrui, ma si concretizzano in cessioni di beni o prestazione di servizi, come nelle seguenti fattispecie, del resto accennate, come si è visto, nella circolare n. 150/E: - attività esercitate in difetto di requisiti professionali e pertanto abusive; - attività illecite per la violazione di discipline amministrative (mancanza di autorizzazioni, eccetera); - commercio di musicassette o software pirata, o di merci contrabbandate, sale giochi semiclandestine, eccetera. È rilevante, come indicato anche nella circolare ministeriale, la tipologia di redditi prevista nel Tuir: mentre una truffa, anche se ripetuta, non potrà essere considerata attività d’impresa, l’esercizio di un bar senza licenza comporta comunque proventi che fiscalmente rientrano nei redditi d’impresa. Alcuni tipi di accertamenti su attività sommerse sono stati considerati inutili da qualificati esperti. Comunque fin dal 1995, secondo notizie a suo tempo riportate dalla stampa quotidiana (“Corriere della sera”, 18 agosto 1995) la Guardia di finanza ha proceduto ad elevare denunce contro prostitute per omessa dichiarazione dei redditi. È stato invocato appunto all’art. 14 della L. n. 537/1993, creata nell’ambito della repressione contro “Tangentopoli”, ma ritenuta applicabile al caso dell’adescamento (attività illecita), mentre la prostituzione non rappresenta attualmente attività illecita. La Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 124 del 12 maggio 1997, ha 12/2000 il fisco 3321 ATTUALITÀ stamento di protesi direttamente per privati, correlato con altre “cure” dentistiche rese abusivamente si ricordano, oltre a quella menzionata, le seguenti altre sentenze (pubblicate in “il fisco” n. 33/1997, pag. 9721): negato la tassabilità delle tangenti, in quanto non riconducibili alle tipologie reddituali del Tuir. La stessa Commissione ha poi escluso la tassabilità come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente delle somme erogate a militari della Guardia di finanza in sede di verifica (13 dicembre 1996, n. 426). Ancora la Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sentenza n. 39 del 19 febbraio 1998, ha ritenuto che i proventi derivanti dalla concussione o corruzione, se non confiscati, siano tassabili, ma peraltro non nelle categorie dei redditi di lavoro dipendente o assimilate. La sentenza n. 442 del 2 luglio 1998, infine, ha qualificato come redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere [a sensi dell’art. 81, comma 1, lettera l), del Tuir] le somme percepite a titolo di finanziamento occulto dei partiti politici. - Commissione tributaria provinciale di Salerno (Sez. I, nn. 630 e 631, depositate il 23 dicembre 1996), che affermavano il diritto all’esenzione; - Commissione tributaria provinciale di Salerno (Sez. I, n. 787 del 5 aprile 1997) per la quale sussisteva l’imponibilità. 5. La giurisprudenza comunitaria sull’irrilevanza ai fini Iva dell’illiceità delle operazioni 4. Imponibilità di attività illecite ed applicazione delle esenzioni il fisco A questo punto si sono posti degli interrogativi “collaterali”, specificamente nel settore dell’imposizione indiretta. Il più noto è il seguente: i proventi del dentista abusivo, regolarmente dichiarati, sono esentati da Iva, come lo sono i proventi del dentista abilitato? È stato affermato in proposito che “le prestazioni di cure dentistiche rese illecitamente da un odontotecnico rientrano nell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto contemplata dall’art. 10, n. 18), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633” [Commissione tributaria provinciale di Firenze, Sezione IV, 19 ottobre 1996, n. 258 (in “il fisco” n. 43/1996, pag. 10456); orientamento condiviso da altre Sezioni della stessa Commissione]. Il testo legislativo ricordato, e cioè il D.P.R. n. 633/1972, dichiara esenti da Iva “le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’art. 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze”. Nel caso specifico ci si riferiva a un odontotecnico: è pleonastico osservare che, di norma, l’attività dell’odontotecnico consiste unicamente nell’approntamento di protesi dentarie su misura, secondo le specifiche direttive dell’odontoiatria, in relazione alle esigenze di un paziente dello stesso. La sentenza menzionata risultava supportata da opinioni espresse in dottrina, secondo le quali - in mancanza di norme specifiche - qualora un’attività illecita sia attratta nell’orbita tributaria si applicano integralmente le relative disposizioni, comprese quelle agevolative. Per quanto riguarda il trattamento tributario delle prestazioni di servizi consistenti nell’appre- È intanto intervenuta una giurisprudenza orientativa della Corte di Giustizia delle Comunità europee, in particolare la sentenza, afferente la causa C-283/95, dell’11 luglio 1998. La sentenza richiamata, in materia di esercizio non autorizzato, e perciò illecito, di un gioco d’azzardo, ha affermato che l’art. 13, B, lettera f), della VI Direttiva CEE n. 77/388, che prevede l’esenzione dall’Iva dei giochi d’azzardo, salvo condizioni e limiti stabiliti da ciascuno Stato membro, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può assoggettare tale attività all’imposta sul valore aggiunto quando la medesima attività svolta da una casa da gioco autorizzata è esentata. La decisione della Corte parte dalla premessa che in materia di imposta sul valore aggiunto non è consentita una distinzione di trattamento tra operazioni lecite ed operazioni illecite e che può essere affermata soltanto la non imponibilità al tributo, come principio di carattere generale, per quelle operazioni che, essendo assolutamente vietate (esempio, importazione di stupefacenti o di denaro contraffatto), risultano del tutto estranee all’Iva e non creano un problema di concorrenza tra settori economici leciti ed illeciti. Nei casi in cui, invece, tale concorrenza sia ipotizzabile, il principio di neutralità fiscale dell’Iva impedisce che le due attività vengano trattate diversamente. In particolare, per quanto concerne i giochi d’azzardo, che secondo la sentenza costituiscono una ipotesi facoltativa di esenzione per gli Stati, si afferma che, nel rispetto del richiamato principio di neutralità del tributo, anche quando gli Stati si avvalgono della facoltà di stabilire condizioni e limiti all’esenzione, tale regime fiscale non può essere limitato alle sole operazioni lecite. In sostanza, la sentenza in oggetto stabilisce i seguenti principi: a) l’esercizio di attività illecite che, in astratto, potrebbero essere esercitate lecitamente, attraverso un provvedimento amministrativo di autorizzazione o di concessione, rientrano nel campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto; 3322 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ b) tali attività possono essere assoggettate a imposta a condizione che la medesima attività svolta lecitamente sia sottoposta ad Iva. Se l’attività lecitamente esercitata è esente, anche l’attività illecitamente esercitata deve essere esonerata. - 2 agosto 1993, causa C-111/92 (esportazione senza autorizzazione di sistemi informatici); - 28 maggio 1998, causa C-3/97 (fornitura di profumi contraffatti); - 29 giugno 1999, causa C-158/98 (locazione di un banco per la vendita di stupefacenti). 6. La circolare ministeriale n. 176/E del 1999 A seguito della menzionata sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee (causa C283/95 dell’11 luglio 1998), si è pertanto riproposto il problema del trattamento fiscale da applicare ai fini dell’Iva alle prestazioni odontoiatriche rese da soggetti non iscritti all’apposito albo e il Ministero delle finanze è intervenuto in proposito con circolare 9 agosto 1999, n. 176/E (in “il fisco” n. 32/1999, pag. 10745). Il Ministero, in particolare, per quanto concerne i giochi d’azzardo, ricorda che essi costituiscono una ipotesi facoltativa di esenzione per gli Stati, e che nella sentenza citata si afferma che, nel rispetto del principio di neutralità del tributo, anche quando gli Stati si avvalgono della facoltà di stabilire il fisco In relazione al primo aspetto, la Corte non ha avuto dubbi sul fatto che, in base al combinato disposto dall’art. 2 e dall’art. 11 della citata Direttiva, la specifica attività rientrasse nel campo di applicazione dell’imposta. Anche se ha voluto sottolineare che le attività illecite rientrano nel campo di applicazione dell’imposta solo a condizione che le stesse possano essere in concreto svolte anche lecitamente attraverso un atto amministrativo di autorizzazione. In effetti, se si tratta di atti ontologicamente illeciti, vale a dire non suscettibili di essere realizzati in modo lecito (ad esempio, come si è visto, cessione di sostanze stupefacenti, eccetera), essi rimangono sempre e comunque fuori dall’applicazione di una qualsivoglia forma di tassazione. Circa il secondo aspetto, vale a dire se sull’attività illecita specifica fosse applicabile l’Iva, la Corte ha risposto negativamente, sostenendo che non è possibile sottoporre a tassazione Iva il provento illecito derivante dall’esercizio abusivo del gioco d’azzardo, in quanto la specifica attività se svolta lecitamente sarebbe per l’art. 13 della VI Direttiva non tassabile. Dunque i proventi illeciti in quanto tali sono tassabili ai fini Iva a condizione che l’attività posta in essere, se fosse svolta lecitamente, risulti tassabile. A favore dell’imponibilità ai fini dell’Iva delle attività illecite si ricordano anche le seguenti sentenze comunitarie: condizioni e limiti all’esenzione, tale regime fiscale non può essere limitato alle sole operazioni lecite. Ma veniamo al punto focale della circolare, che più interessa e che è espresso nei seguenti termini: “In passato, questa Amministrazione, ed in particolare la Direzione regionale per le Entrate dell’Emilia-Romagna, con nota 6 dicembre 1994, n. 39950, ha sostenuto che sono imponibili ad Iva, con applicazione dell’aliquota ordinaria, le prestazioni odontoiatriche abusivamente rese da odontotecnici nei confronti di pazienti e nei confronti di soggetti che esercitano abusivamente l’attività odontoiatrica, nonché le prestazioni odontoiatriche rese da società sia di persone che di capitali ... In proposito deve ritenersi che il principio della neutralità fiscale dal quale, secondo quanto sancito dalla Corte di Giustizia, discende che alle attività illecite si applica lo stesso trattamento Iva previsto per le medesime attività esercitate legittimamente, abbia carattere generale e che quindi non vi sia spazio per una soluzione che, nell’ambito delle prestazioni sanitarie, differenzi l’applicazione dell’imposta sulla base della disciplina extrafiscale relativa alle modalità di esercizio dell’attività o ai requisiti soggettivi di coloro che la svolgono”. Qualora infatti - secondo il Ministero - determinate attività venissero escluse dal regime di esenzione per esse previsto per carenza dei presupposti abilitativi che ne legittimano l’esercizio, verrebbe meno il carattere neutrale che l’Iva assume in relazione all’aspetto economico dell’operazione e si attribuirebbe all’imposta il ruolo di penalizzare lo svolgimento abusivo delle medesime. Il Ministero delle finanze non omette inoltre di ricordare che “il principio della tassazione delle attività illecite secondo le regole generali è ... presente nel nostro ordinamento per esplicita previsione dell’art. 14, comma 4, della L. 24 dicembre 1993, n. 537”. Si deve quindi concludere che l’attività odontoiatrica svolta abusivamente dagli odontotecnici è esente dall’Iva in quanto è riconducibile nella previsione normativa dell’art. 10, n. 18), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Il Ministero precisa infine che la surriferita interpretazione della disposizione esentativa, che recepisce il principio affermato dalla Corte di Giustizia al quale gli Stati membri dell’Unione europea sono tenuti ad adeguarsi, ha valenza esclusivamente fiscale e non interferisce con gli altri settori dell’ordinamento giuridico ai quali è attribuito il compito di reprimere i comportamenti illeciti. Osserviamo da parte nostra che - in particolare - resta salva, per l’esercizio abusivo della professione, la sanzione prevista dall’art. 348 del codice penale. ■ 12/2000 il fisco 3323 ATTUALITÀ DOCUMENTAZIONE Il bilancio in breve Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - Roma gennaio 2000 il fisco 3324 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco 12/2000 il fisco 3325 ATTUALITÀ il fisco 3326 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco 12/2000 il fisco 3327 ATTUALITÀ il fisco ■ 3328 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ comunicati stampa Ministero delle finanze Gabinetto del Ministro Ufficio Stampa 1 Comunicato stampa dell’8 marzo 2000 La trasmissione telematica delle dichiarazioni Il Ministero delle Finanze, per agevolare le procedure di abilitazione degli intermediari che cureranno la trasmissione telematica delle dichiarazioni, comunica quanto segue: il fisco 1) la domanda per richiedere l’abilitazione alla trasmissione in via telematica può essere presentata in qualsiasi momento purché in tempo utile per poter ottemperare agli obblighi di trasmissione telematica delle dichiarazioni; 2) l’impegno a trasmettere le dichiarazioni può essere assunto dall’intermediario in possesso dei requisiti richiesti per l’abilitazione alla trasmissione telematica anche prima di avere ottenuto la detta abilitazione; 3) i professionisti in possesso dei requisiti richiesti per l’abilitazione che intendono avvalersi delle società di cui all’art. 3 del decreto 18 febbraio 1999 (costituite da Consigli nazionali, Ordini, Collegi, Associazioni, eccetera) possono limitarsi a richiedere il riconoscimento della sussistenza dei predetti requisiti senza dover procedere alla generazione dei codici di autenticazione; 4) è possibile ottenere le domande per l’abilitazione anche attraverso il servizio “FAX ON DEMAND” telefonando al numero 164.74. ■ 2 Comunicato stampa del 10 marzo 2000 I nuovi adempimenti semplificati per le associazioni sportive dilettantistiche Con l’art. 9, comma 3, del regolamento approvato con D.P.R. 30 dicembre 1999, n. 544 (in “il fisco” n. 10/2000, pag. 2873, n.d.r.), sono stati previsti per le associazioni sportive dilettantistiche, in luogo degli adempimenti contabili disciplinati dalla L. 16 dicembre 1991, n. 398, nuovi adempimenti semplificati, tra cui l’obbligo di annotazione entro il 15 del mese successivo dei corrispettivi e di qualsiasi pro- vento conseguiti nel mese precedente nello svolgimento di attività commerciali. Posto che il predetto provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 febbraio 2000, si precisa che le annotazioni relative alle attività svolte nel mese di gennaio possono essere validamente effettuate entro il giorno 15 marzo 2000. ■ 12/2000 il fisco 3329 ATTUALITÀ SCADENZARIO TRIBUTARIO APRILE 2000 Per una maggiore certezza della scadenza Si raccomanda di verificare il giorno delle scadenze sul sito Internet “www.ilfisco.it” e sulla banca dati “fisconline”, aggiornati giuridicamente, alla voce “Scadenzario” il fisco 1 SABATO Scadenzario tributario aprile 2000 ADEMPIMENTO MODALITÀ IRPEG - IRAP - ICI - Dichiarazione dei redditi - Adempimenti collegati - Termini di presentazione e di versamento Trattasi di scadenza mobile, legata alla data di approvazione del bilancio Presentazione: ad una banca o ad un ufficio della “Poste italiane S.p.A.” presso un qualunque ufficio o sportello indipendentemente dal domicilio fiscale ● ad un intermediario abilitato per la trasmissione telematica ● Imposte sui redditi ● Dichiarazione - I contribuenti soggetti ad IRPEG, tenuti all’approvazione del bilancio o del rendiconto entro un termine stabilito dalla legge o dall’atto costitutivo, devono presentare la dichiarazione entro un mese dall’approvazione del bilancio o rendiconto. Se il bilancio non è stato approvato entro il termine stabilito, la dichiarazione deve essere presentata entro un mese dalla scadenza del termine stesso. I termini di presentazione della dichiarazione che scadono di sabato sono prorogati d’ufficio al primo giorno feriale successivo (art. 2, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322). Le società ed enti “cosiddetti” di grandi dimensioni, i soggetti con un numero di dipendenti non inferiore a 50, nonché le società che presentano le dichiarazioni per conto di altre società del gruppo, presentano la dichiarazione in via telematica, direttamente o tramite un intermediario abilitato. Attenzione: Qualora il termine per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi da redigere sui modelli da approvarsi entro il 15 febbraio dell’anno in cui devono essere utilizzati, scada tra il 1° gennaio ed il 31 maggio dello stesso anno, la presentazione delle stesse è effettuata nel mese di maggio e la trasmissione telematica nel mese di giugno (art. 2, comma 4, citato D.P.R. n. 322/1998). Vedasi, al riguardo, il Comunicato stampa del 31 gennaio 2000 (in “il fisco” n. 7/2000, pag. 1980). Dichiarazione telematica - La presentazione della dichiarazione in via telematica - da parte degli intermediari abilitati - è effettuata entro due mesi dall’approvazione del bilancio o dalla scadenza del termine stabilito per l’approvazione. Società ed enti di grandi dimensioni - Le società di cui all’art. 87, comma 1, lettera a), del Tuir, con capitale sociale superiore a 5 miliardi di lire, e gli enti di cui all’art. 87, comma 1, lettera b), del Tuir, con patrimonio netto superiore a 5 miliardi di lire, presentano la dichiarazione in via telematica, direttamente o tramite un intermediario abilitato. N.B.: La dichiarazione può essere spedita dall’estero mediante raccomandata o mezzo equivalente dal quale risulti con certezza la data di spedizione. Versamento: al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● ● utilizzando il modello di pagamento unificato (F24) approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. 3330 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco 1 SABATO Scadenzario tributario aprile 2000 segue ADEMPIMENTO Soggetti con un numero di dipendenti non inferiore a 50 - L’obbligo di trasmissione telematica, direttamente o tramite intermediari, è esteso ai soggetti con un numero di dipendenti non inferiore a 50, dall’art. 3, D.P.R. n. 322/1998, come modificato dall’art. 1, comma 3, lettera b), D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 (in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473). Società facenti parte di un gruppo - Specifiche disposizioni sono dettate per la presentazione telematica delle dichiarazioni delle società ed enti facenti parte di un gruppo. Euro - Ai sensi dell’art. 16, D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213, le imprese possono adottare l’euro quale moneta di conto al posto della lira durante il periodo transitorio (1° gennaio 1999-31 dicembre 2001). A decorrere dal 1° gennaio 2002 l’adozione dell’euro è obbligatoria. Quando l’euro è utilizzato come moneta di conto, i bilanci riferiti ad una data compresa tra il 1° gennaio 1999 e il 31 dicembre 2001 possono essere redatti e pubblicati in euro. A partire dalla redazione e pubblicazione del primo bilancio in euro tutti i bilanci successivi devono essere redatti e pubblicati in euro (salvo che ricorrano particolari ragioni da illustrare nei documenti anzidetti). A partire dall’esercizio per il quale il bilancio è stato redatto e pubblicato in euro, le dichiarazioni fiscali (imposte sui redditi, IVA, IRAP e sostituti d’imposta) devono essere presentate con gli importi in euro. Qualora venga presentata una dichiarazione con l’indicazione dei dati in euro, tutte le dichiarazioni successive devono essere redatte utilizzando la medesima valuta. Dual Income Tax (D.I.T.) e Legge “Visco” - Ai fini dell’applicazione di un’aliquota ridotta del 19 per cento sul reddito soggetto ad IRPEG si vedano: - il D.Lgs. 28 dicembre 1997, n. 466, in materia di Dual Income Tax (D.I.T.) (in banca dati “il fiscovideo”); - l’art. 2, commi da 8 a 13, L. 13 maggio 1999, n. 133, in materia di agevolazioni per i nuovi investimenti (cosiddetta Legge “Visco”) (in “il fisco” n. 23/1999, pag. 7812). Cosiddetta rottamazione del magazzino - Vedasi l’art. 7, commi 914, L. 23 dicembre 1999, n. 488 (Legge finanziaria 2000) ai fini della regolarizzazione delle esistenze iniziali di magazzino dell’esercizio in corso al 30 settembre 1999 (in allegato a “il fisco” n. 1/2000). Versamenti - I versamenti a saldo ed in acconto risultanti dalla dichiarazione - ad eccezione di quelli dell’IVA - devono essere effettuati entro lo stesso termine di presentazione della dichiarazione alla banca, alla posta, ad un intermediario abilitato o alla società del gruppo che ne cura la presentazione. Entro lo stesso termine devono essere eseguiti i versamenti relativi alle dichiarazioni trasmesse direttamente in via telematica senza avvalersi di intermediari o di società del gruppo. MODALITÀ Vedasi la C.M. n. 91/E del 26 aprile 1999 (in banca dati “il fiscovideo”) recante l’istituzione di nuovi codici-tributo per gli acconti IRPEF, IRPEG ed IRAP, che si riportano: 4033 - IRPEF acconto - prima rata 4034 - IRPEF acconto - seconda rata o acconto in unica soluzione 2112 - IRPEG acconto - prima rata 2113 - IRPEG acconto - seconda rata o acconto in unica soluzione 3812 - IRAP acconto - prima rata 3813 - IRAP acconto - seconda rata o acconto in unica soluzione Rateizzazione - Ai sensi dell’art. 20, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 (in banca dati “il fiscovideo”) è ammessa la rateizzazione - con l’applicazione degli interessi - delle somme a saldo ed in acconto risultanti dalla dichiarazione e con versamento delle rate successive alla prima: entro il giorno 16 di ciascun mese, per i titolari di partita IVA; ● entro la fine di ciascun mese, per gli altri contribuenti. ● In ogni caso il pagamento deve essere completato entro il mese di novembre dello stesso anno di presentazione della dichiarazione. Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare con il suddetto modello unificato possono essere compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate. 12/2000 il fisco 3331 ATTUALITÀ il fisco 1 SABATO Scadenzario tributario aprile 2000 segue ADEMPIMENTO Modelli - Per l’anno 2000 i modelli devono essere approvati entro il 15 febbraio 2000. Le dichiarazioni devono essere redatte utilizzando i predetti modelli approvati per le dichiarazioni relative al 1999 ovvero, in caso di periodo di imposta non coincidente con l’anno solare, per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 1999. Vedasi, inoltre: - il D.M. 20 dicembre 1999 (in S.O. n. 231 alla G.U. n. 305 del 30 dicembre 1999) recante approvazione del modello 770/2000, come modificato con errata-corrige in G.U. n. 9 del 13 gennaio 2000; - il D.M. 30 dicembre 1999 (in allegato a “il fisco” n. 4/2000), recante approvazione del modello di dichiarazione IVA 2000 relativo al periodo di imposta 1999. Dichiarazione unificata annuale Sono obbligati alla presentazione della dichiarazione unificata i contribuenti che, ai fini dell’IRPEG, hanno un periodo di imposta coincidente con l’anno solare e che devono presentare due o più delle seguenti quattro dichiarazioni: dei redditi; dell’IVA; ● dei sostituti d’imposta, quando siano state effettuate ritenute nei confronti di non più di venti soggetti; ● dell’IRAP. ● ● I contribuenti che, ai fini dell’IRPEG, hanno un periodo di imposta non coincidente con l’anno solare non possono presentare la dichiarazione in forma unificata neanche quando sono tenuti alla presentazione di almeno due delle anzidette dichiarazioni. Studi di settore - In relazione alla normativa sugli studi di settore (art. 10, L. 8 maggio 1998, n. 146, e D.P.R. 31 maggio 1999, n. 195, in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9089) si vedano gli studi approvati con DD.MM. 30 marzo 1999 (in “il fisco” n. 18/1999, pag. 6187 e n. 19/1999, pag. 6590 e pag. 6593) e con DD.MM. 3 febbraio 2000 (in “il fisco” n. 11/2000, pagg. 3220 e seguenti). Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 110/E del 21 maggio 1999 (in “il fisco” n. 22/1999, pag. 7541). Vedasi, infine, il D.M. 24 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 1/2000, pag. 172) recante le “Modalità di annotazione separata dei componenti rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore” e la C.M. n. 31/E del 25 febbraio 2000 (in “il fisco” n. 11/2000, pag. 3181). IRAP Aliquota - Vedasi l’art. 45, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come modificato dall’art. 6, comma 17, L. 23 dicembre 1999, n. 488 (in allegato a “il fisco” n. 1/2000) per quanto concerne le aliquote d’imposta stabilite in via transitoria: - per i soggetti che operano nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca e loro consorzi di cui all’art. 10, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601; - per i soggetti di cui agli artt. 6 e 7 (banche, enti e società finanziari, imprese di assicurazione), citato D.Lgs. n. 446/1997. MODALITÀ 3332 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco 1 SABATO Scadenzario tributario aprile 2000 segue ADEMPIMENTO MODALITÀ Acconto IRAP - A partire dal secondo periodo di imposta di applicazione dell’IRAP il versamento in acconto deve essere effettuato con le stesse regole valide per gli acconti delle imposte sui redditi; in sintesi: misura del 98 per cento, in due rate, la prima delle quali pari al 40 per cento (art. 31, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446). Si vedano le modifiche apportate dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 506 (in allegato a “il fisco” n. 2/2000), le cui disposizioni - per quanto di interesse - si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 1999. Dichiarazione dei sostituti di imposta per i redditi di capitale Ai sensi dell’art. 2, comma 6, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, i soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche presentano la dichiarazione dei sostituti d’imposta per i redditi di capitale nonché per i premi e per le vincite contestualmente alla dichiarazione dei redditi propri. Dichiarazione ICI Presentazione: Nello stesso termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, i contribuenti soggetti ad IRPEG devono presentare la dichiarazione ICI, relativa agli acquisti effettuati ed alle variazioni intervenute nell’anno. Per le società e gli enti il cui esercizio non coincide con l’anno solare, la dichiarazione ICI per il 1999, deve essere presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi per il periodo che comprende il 31 dicembre 1999. ICI: - al comune sul cui territorio è situato l’immobile, mediante consegna o spedizione con raccomandata senza avviso di ricevimento, in busta bianca recante la dicitura “Dichiarazione ICI” con l’indicazione dell’anno cui la dichiarazione stessa si riferisce. N.B.: Si vedano le diverse modalità di dichiarazione eventualmente stabilite dai regolamenti emanati dai singoli comuni. IVA - Dichiarazione annuale relativa al 1999 (fino al 31 maggio) - Contribuenti diversi da quelli tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata annuale - Istanza di rimborso del credito - Presentazione Continua a decorrere il termine - fino al 31 maggio 2000 - per la presentazione della dichiarazione annuale Iva relativa all’anno 1999 in via autonoma da parte dei soggetti non tenuti alla presentazione in forma non unificata, quali ad esempio le società di capitali ed enti soggetti ad IRPEG con periodo di imposta non coincidente con anno solare [art. 8, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, come modificato dall’art. 1, comma 6, lettera a), n. 1), D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473]. È altresì esclusa dalla dichiarazione unificata annuale la dichiarazione degli enti e delle società che si sono avvalsi della procedura di liquidazione dell’imposta sul valore aggiunto di gruppo di cui all’art. 73, ultimo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 3, citato D.P.R. n. 322/1998, come modificato dall’art. 1, citato D.P.R. n. 542/1999). La presentazione della dichiarazione in via telematica è effettuata entro il mese di giugno da parte delle società ed enti e degli intermediari indicati nell’art. 3, commi 2 e seguenti, citato D.P.R. n. 322, Presentazione: Dichiarazione - La dichiarazione deve essere redatta in conformità al modello IVA 2000 approvato con D.M. 30 dicembre 1999 (in allegato a “il fisco” n. 4/2000) e presentata: - ad un ufficio postale, - ad una banca convenzionata, - ad un intermediario abilitato per la trasmissione telematica, che rilasciano ricevuta. Gli intermediari, oltre alla ricevuta, rilasciano copia della dichiarazione con l’impegno a trasmettere all’Amministrazione finanziaria, in via telematica, i dati in essa contenuti. 12/2000 il fisco 3333 ATTUALITÀ il fisco 1 SABATO Scadenzario tributario aprile 2000 segue ADEMPIMENTO MODALITÀ ovvero nel mese di novembre per le dichiarazioni ricevute dalle banche e dalle Poste italiane S.p.A. Dichiarazione unificata annuale I contribuenti, con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, dell’IRAP, dell’imposta sul valore aggiunto e di quella del sostituto d’imposta, qualora abbiano effettuato ritenute alla fonte nei riguardi di non più di venti soggetti, devono presentare la dichiarazione unificata annuale nei termini previsti dall’art. 3, citato D.P.R. n. 322/1998. Opzioni e revoche La comunicazione delle opzioni e delle revoche deve essere effettuata mediante utilizzazione del modello VO. Vedasi il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442 (in “il fisco” n. 1/1998, pag. 141), recante la disciplina delle opzioni in materia di imposte dirette ed IVA, nonché la C.M. n. 209/E del 27 agosto 1998 (in “il fisco” n. 32/1998, pag. 10791). Si richiama l’attenzione sulla durata triennale dell’opzione prevista per i contribuenti trimestrali dall’art. 7, citato D.P.R. n. 542/1999. Fallimento Si segnala che ai sensi dell’art. 8, comma 4, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (come modificato dall’art. 1, citato D.P.R. n. 542/1999, e che riproduce analoga disposizione di cui al previgente comma 5) per le operazioni registrate nella parte dell’anno solare anteriore alla dichiarazione di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa deve essere anche presentata dai curatori o dai commissari liquidatori, entro quattro mesi dalla nomina, apposita dichiarazione al competente ufficio IVA o delle entrate, ove istituito, ai fini della eventuale insinuazione al passivo della procedura concorsuale. A tal fine deve essere utilizzato l’apposito Modello IVA 74-bis, approvato unitamente al modello di dichiarazione IVA annuale (in allegato a “il fisco” n. 4/2000). Versamento Il termine di versamento è stabilito al giorno 16 marzo ovvero entro il termine previsto per il pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione unificata annuale, maggiorando le somme da versare degli interessi nella misura dello 0,40 per cento per ogni mese o frazione di mese successivo alla predetta data (art. 6, D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542, in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473). Il versamento può essere effettuato in forma rateizzata e con applicazione degli interessi con scadenza entro il giorno 16 di ciascun mese e con indicazione in dichiarazione del numero delle rate. Rimborsi Per quanto concerne i rimborsi è stato predisposto un apposito modello VR da utilizzare da parte dei contribuenti IVA, compresi quelli tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata, che Rimborsi - Il modello VR deve essere presentato direttamente al Concessionario della riscossione a partire dal 1° febbraio ed entro il 31 maggio (per i contribuenti tenuti alla presentazione della dichia- 3334 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco 1 SABATO Scadenzario tributario aprile 2000 segue ADEMPIMENTO intendono richiedere il rimborso del credito d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale relativa al 1999. Vedasi, al riguardo, il Comunicato stampa del 31 gennaio 2000 (in “il fisco” n. 7/2000, pag. 1980). MODALITÀ razione IVA in forma autonoma) ovvero entro il 30 giugno 2000 (per i contribuenti tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata). CALAMITÀ NATURALI - Imposte e tasse - Termini di adempimento Eventi alluvionali dell’ottobre 1996 Versamento: Vedasi il D.M. 6 novembre 1998, recante “Modalità e termini di ripresa della riscossione delle somme sospese per effetto degli eventi alluvionali del giorno 14 ottobre 1996 che ha colpito il comune di Crotone” (in “il fisco” n. 43/1998, pag. 14094), come modificato dal D.M. 31 marzo 1999 (in banca dati “il fiscovideo”). Sui termini per la ripresa della riscossione dei tributi oggetto della sospensione, disposta con la citata Ord. n. 2908 del 30 dicembre 1998, vedasi l’art. 6 dell’ordinanza stessa, a norma del quale la ripresa della riscossione dei tributi oggetto delle sospensioni avviene dopo otto mesi dalla scadenza della sospensione e con una rateizzazione, su base mensile, pari al triplo del periodo di durata della sospensione stessa. Eventi sismici del maggio 1997 Vedasi il D.M. 6 novembre 1998, recante “Modalità e termini di ripresa della riscossione delle somme sospese per effetto dell’evento sismico del giorno 12 maggio 1997 che ha colpito il comune di Massa Martana” (in “il fisco” n. 43/1998, pag. 14091), come modificato dal D.M. 31 marzo 1999 (in banca dati “il fiscovideo”). Eventi sismici del settembre 1997 Vedasi il D.M. 30 marzo 1998, recante “Modalità e termini di ripresa della riscossione delle somme sospese per effetto della crisi sismica iniziata il 26 settembre 1997 che ha colpito le regioni delle Marche e dell’Umbria” (in banca dati “il fiscovideo”) con riferimento ai contribuenti nei cui confronti è stata disposta la sospensione dei termini fino al 31 marzo 1998. Il termine di sospensione è stato invece stabilito al 31 dicembre 1998 - prorogato al 30 giugno 1999 con Ord. Min. Interno 30 dicembre 1998, n. 2908 (in “il fisco” n. 2/1999, pag. 673) - per i soggetti residenti o aventi sede operativa nei comuni di cui all’art. 1, comma 1, dell’Ord. n. 2694 del 13 ottobre 1997, le cui abitazioni e i cui immobili, sede di attività produttive, sono stati oggetto di ordinanze sindacali di sgombero per inagibilità totale o parziale. Eventi franosi del maggio 1998 Con Ord. Prot. Civ. del 21 maggio 1998, n. 2787 (in “il fisco” n. 23/1998, pag. 7733) sono stati sospesi dal 5 maggio al 31 dicembre 1998 - prorogato al 30 giugno 1999 con Ord. Min. Interno 30 dicembre 1998, n. 2908 (in “il fisco” n. 2/1999, pag. 673) - i termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti di natura tributaria nei confronti di soggetti aventi domicilio, residenza o sede ovvero con attività svolte nei territori delle province di Salerno, Avellino e Caserta indicati nell’ordinanza stessa. Eventi sismici del settembre 1998 Con Ord. Prot. Civ. n. 2860 dell’8 ottobre 1998 (in “il fisco” n. 12/2000 il fisco 3335 ATTUALITÀ il fisco 1 SABATO Scadenzario tributario aprile 2000 segue ADEMPIMENTO MODALITÀ 39/1998, pag. 12807) sono stati sospesi dal 9 settembre 1998 al 31 dicembre 1998 - prorogato al 30 settembre 1999 con Ord. Min. Interno 30 dicembre 1998, n. 2908 (in “il fisco” n. 2/1999, pag. 673) - i termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti di natura tributaria nei confronti di taluni soggetti aventi domicilio, residenza o sede nei territori delle province di Potenza e Cosenza individuati dall’Ord. n. 2847 del 17 settembre 1998, come integrata dall’art. 3, Ord. Prot. Civ. n. 2882 del 30 novembre 1998 (in banca dati “il fiscovideo”). Eventi alluvionali del settembre-ottobre 1998 Con Ord. Prot. Civ. n. 2873 del 19 ottobre 1998 (in banca dati “il fiscovideo”) sono stati sospesi dal 29 settembre 1998 al 31 dicembre 1998 - prorogato al 30 settembre 1999 con Ord. Min. Interno 30 dicembre 1998, n. 2908 (in “il fisco” n. 2/1999, pag. 673) - i termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti di natura tributaria nei confronti di taluni soggetti aventi domicilio, residenza o sede nei territori delle province di Imperia, Savona, Genova, La Spezia, Lucca e Prato ivi indicati. Vedasi, al riguardo, l’Ord. Prot. Civ. 13 novembre 1998, n. 2880 (in banca dati “il fiscovideo”). Eventi alluvionali del novembre 1999 Vedasi l’Ord Prot. Civ. n. 3024 del 30 novembre 1999 (in G.U. n. 290 dell’11 dicembre 1999) recante sospensione, dal 12 novembre 1999 al 31 dicembre 2000, dei termini relativi agli adempimenti tributari nei confronti dei soggetti aventi domicilio, residenza o sede nei comuni della provincia di Cagliari, colpiti dagli eventi alluvionali dei giorni 12 e 13 novembre 1999. Eventi atmosferici del dicembre 1999 Vedasi l’Ord Prot. Civ. n. 3026 del 9 febbraio 2000 (in G.U. n. 37 del 15 febbraio 2000) recante sospensione, dal 14, 15 e 16 dicembre 1999 e fino al 30 giugno 2000, dei termini relativi agli adempimenti e versamenti tributari nei confronti di taluni soggetti aventi domicilio, residenza o sede nei comuni delle province di Avellino, Benevento e Salerno colpiti dagli eventi atmosferici dei giorni 14, 15 e 16 dicembre 1999. 5 MERCOLEDÌ ADEMPIMENTO IVA - Provvigioni ai rivenditori autorizzati di documenti di viaggio relativi al trasporto pubblico urbano di persone Emissione della fattura Per gli esercenti attività di trasporto scade il termine per l’emissione della fattura relativa alle provvigioni corrisposte ai rivenditori autorizzati di documenti di viaggio per il trasporto pubblico urbano di persone e risultanti dalle annotazioni eseguite entro il mese precedente [art. 74, comma 1, lettera e), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e art. 3, D.M. 5 maggio 1980, in banca dati “il fiscovideo”]. MODALITÀ 3336 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco 5 MERCOLEDÌ Scadenzario tributario aprile 2000 segue ADEMPIMENTO MODALITÀ In ordine alla detrazione della relativa imposta vedasi la R.M. n. 111/E dell’8 luglio 1999 (in “il fisco” n. 30/1999, pag. 10182). 15 SABATO ADEMPIMENTO MODALITÀ IVA E RITENUTE ALLA FONTE - Ravvedimento - Tardivo versamento - Entro 30 giorni dalla scadenza Il termine è indicato in via cautelativa alla data odierna, senza tenere conto del differimento al primo giorno lavorativo successivo previsto per i versamenti il cui termine scade di sabato. IVA - Scade il termine per l’effettuazione del versamento tardivo - entro trenta giorni - dell’imposta risultante dalla liquidazione periodica (qualora non eseguito entro la scadenza del 16 marzo 2000), con l’applicazione della sanzione ridotta - nella misura del 3,75 per cento dell’imposta versata in ritardo - ai sensi dell’art. 13 (“Ravvedimento”), D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (in banca dati “il fiscovideo”). La norma prevede il pagamento della sanzione contestualmente alla regolarizzazione nonché il pagamento degli interessi moratori, calcolati al tasso legale del 2,5 per cento annuo con maturazione giorno per giorno. Si vedano al riguardo le istruzioni al modello di dichiarazione IVA periodica (di cui al D.M. 21 dicembre 1999, in “il fisco” n. 2/2000, pag. 549, come sostituito con errata-corrige in G.U., riportata in “il fisco” n. 4/2000, pag. 1018) per quanto concerne le indicazioni da riportare nel modello in conseguenza del ravvedimento. Vedasi inoltre: - la C.M. n. 180/E del 10 luglio 1998 (in allegato a “il fisco” n. 30/1998); - la C.M. n. 192/E del 23 luglio 1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10403); - la C.M. n. 23/E del 25 gennaio 1999 (in “il fisco” n. 6/1999, pag. 1810). Ritenute alla fonte - Gli stessi criteri trovano applicazione per il versamento (tardivo) delle ritenute alla fonte qualora non eseguito entro la predetta scadenza del 16 marzo 2000. Mod. F24 con saldo a zero - La regolarizzazione dell’omessa o tardiva presentazione del Mod. F24 con saldo a zero, per effetto della compensazione, può essere effettuata: - senza applicazione di sanzioni, entro tre mesi dall’omissione e - con applicazione della sanzione ridotta ad un sesto, entro un anno dalla data di commissione della violazione. Al riguardo vedasi il Comunicato stampa 4 febbraio 1999 (in “il fisco” n. 7/1999, pag. 2078). Versamento: Sanzioni: con D.M. 11 giugno 1998 (in “il fisco” n. 25/1998, pag. 8519) sono stati approvati i codici-tributo da utilizzare per il versamento delle sanzioni, che deve essere effettuato: al Concessionario della riscossione; presso una banca; ● presso un ufficio postale; ● ● utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17 dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999). Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno 1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711). Tributi ed interessi moratori: ai sensi dell’art. 1, comma 3, citato D.M. 11 giugno 1998 “il pagamento del tributo, quando dovuto, e dei relativi interessi moratori, calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno è eseguito utilizzando la specifica modulistica prevista per il versamento diretto del tributo stesso”. 12/2000 il fisco 3337 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 15 SABATO segue ADEMPIMENTO MODALITÀ IMPOSTE SUI REDDITI ED IVA - Contribuenti minori e minimi - Annotazione delle operazioni Per i contribuenti di minori dimensioni, cosiddetti “minori” e “minimi”, di cui all’art. 3, commi da 165 a 185, L. 23 dicembre 1996, n. 662 (in banca dati “il fiscovideo”), scade il termine per l’annotazione delle operazioni del mese precedente. Le annotazioni in oggetto possono essere effettuate nei registri previsti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero in appositi prospetti approvati, rispettivamente, per i contribuenti minori e minimi, con D.M. 11 febbraio 1997 e con D.M. 12 febbraio 1997 (in “il fisco” n. 8/1997, pagg. 2332 e 2338). Vedasi al riguardo la C.M. 17 gennaio 1997, n. 10/E (in “il fisco” n. 5/1997, pag. 1340) e la C.M. 13 marzo 1997, n. 75/E (in “il fisco” n. 12/1997, pag. 3236). N.B.: Si rammenta che la disciplina di cui al citato art. 3, comma 166, L. n. 662/1996 è stata estesa agli enti non commerciali che abbiano conseguito ricavi non superiori ai limiti indicati dall’art. 20, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dal D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 (in “il fisco” n. 2/1998, pag. 598). Vedasi al riguardo la C.M. n. 124/E del 12 maggio 1998 (in “il fisco” n. 21/1998, pag. 6833). IMPOSTE SUI REDDITI ED IVA - Associazioni sportive dilettantistiche - Annotazione delle operazioni Per le associazioni sportive dilettantistiche di cui all’art. 25, comma 1, L. 13 maggio 1999, n. 133, che abbiano optato per l’applicazione delle disposizioni di cui alla L. 16 dicembre 1991, n. 398, scade il termine per annotare, anche con unica registrazione, l’ammontare dei corrispettivi e di qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali, con riferimento al mese precedente (art. 9, D.P.R. 30 dicembre 1999, n. 544, in “il fisco” n. 10/2000, pag. 2873). Le medesime disposizioni si applicano alle associazioni senza scopo di lucro ed alle associazioni pro-loco. Vedasi la C.M. n. 43/E dell’8 marzo 2000 (in “il fisco” n. 12/3381) IVA - Fatturazione differita - Emissione della fattura Scade il termine per l’emissione delle fatture relative alle cessioni di beni, comprovate da documenti di trasporto o di consegna, spediti o consegnati nel mese precedente (art. 21, quarto comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). Vedasi la C.M. n. 288/E del 22 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 1/1999, pag. 121) con riferimento al particolare caso delle cessioni “triangolari” disciplinato dall’art. 21, quarto comma, quarto periodo, D.P.R. n. 633/1972. I compensi sono annotati nel modello approvato con D.M. 11 febbraio 1997 (in “il fisco” n. 8/1997, pag. 2332) opportunamente integrato. Nello stesso modello sono annotati distintamente: - i proventi, di cui all’art. 25, comma 1, citata L. n. 133/1999, che non costituiscono reddito imponibile, - le plusvalenze patrimoniali, - le operazioni intracomunitarie, ai sensi dell’art. 47, D.L. n. 331/1993. 3338 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 15 SABATO segue ADEMPIMENTO MODALITÀ IVA - Operazioni per le quali sono rilasciati le ricevute o gli scontrini fiscali - Annotazione cumulativa nel registro dei corrispettivi Scade il termine entro il quale le operazioni per le quali è rilasciato lo scontrino fiscale, effettuate nel mese solare precedente, possono essere annotate, con unica registrazione, nel registro previsto dall’art. 24, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con allegazione al registro stesso degli scontrini riepilogativi giornalieri (art. 6, comma 4, D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, in “il fisco” n. 7/1997, pag. 1811). La facoltà di annotazione cumulativa mensile può essere esercitata anche dai contribuenti che emettono ricevuta fiscale (vd. C.M. n. 45/E del 19 febbraio 1997, in “il fisco” n. 9/1997, pag. 2445). IVA - Fatture di importo inferiore a lire 300.000 - Annotazione del documento riepilogativo Ai sensi dell’art. 6, comma 1, D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695 (in “il fisco” n. 7/1997, pag. 1811) per le fatture emesse nel corso del mese, di importo inferiore a lire trecentomila può essere annotato con riferimento a tale mese entro il termine di cui all’art. 23, primo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in luogo di ciascuna, un documento riepilogativo nel quale devono essere indicati i numeri delle fatture cui si riferisce, l’ammontare complessivo imponibile delle operazioni e l’ammontare dell’imposta, distinti secondo l’aliquota applicata. Conseguentemente scade il termine per l’annotazione del documento riepilogativo delle fatture - di importo inferiore a lire trecentomila - emesse nel mese precedente (vd. anche la C.M. n. 45/E del 19 febbraio 1997, in “il fisco” n. 9/1997, pag. 2445). 17 LUNEDÌ ADEMPIMENTO MODALITÀ IMPOSTE SUI REDDITI - Ritenute alla fonte - Versamento Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Scade il termine per il versamento delle ritenute operate (1) nel mese precedente su: Versamento: al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● ● A) - redditi di lavoro dipendente e quelli assimilati (2) (3); - redditi di lavoro autonomo (4) (5); - redditi derivanti da utilizzazione di marchi ed opere dell’ingegno, collaborazione coordinata e continuativa e partecipazione ad associazioni in partecipazione; utilizzando il modello di pagamento unificato (F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avver- 12/2000 il fisco 3339 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 17 LUNEDÌ segue ADEMPIMENTO - provvigioni inerenti a rapporti di commissione, agenzia, mediazione e rappresentanza di commercio; - riscatti su polizze di assicurazione sulla vita durante il quinquennio di durata minima; - compensi per la perdita di avviamento commerciale e sui contributi degli enti pubblici ad imprese; - premi e contributi corrisposti dall’UNIRE e premi corrisposti dalla FISE; - indennità di esproprio, di occupazione, eccetera; - rendite corrisposte ai lavoratori assicurati dall’AVS svizzera. (1) Ritenute di importo minimo - Ai sensi dell’art. 8, comma 5, D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito dalla L. 26 giugno 1990, n. 165 (in banca dati “il fiscovideo”), le ritenute alla fonte di ammontare non superiore al limite minimo della commissione spettante, devono essere versate cumulativamente ed in unica soluzione entro il 16 gennaio dell’anno successivo a quello in cui sono state operate. (2) Credito d’imposta per versamenti d’acconto sul T.F.R. - Vedasi l’art. 3, commi da 211 a 213, L. 23 dicembre 1996, n. 662 (in banca dati “il fiscovideo”) circa il riconoscimento di un credito d’imposta conseguente al versamento d’acconto delle imposte sul T.F.R. effettuato nei mesi di luglio e novembre degli anni 1997-1998. Si vedano al riguardo la C.M. n. 196/E dell’8 luglio 1997 e la R.M. n. 165/E del 29 luglio 1997 (in “il fisco” n. 29/1998, pag. 9711). (3) Addizionali regionale, provinciale e comunale IRPEF - Con riferimento all’addizionale provinciale e comunale all’IRPEF di cui all’art. 1, D.Lgs. 28 settembre 1998, n. 360 ed all’addizionale regionale all’IRPEF, di cui all’art. 50, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, dovuta sui redditi di lavoro dipendente ed assimilato, vedasi la corrispondente scadenza in questo stesso Scadenzario. (4) Ritenute sui redditi di lavoro autonomo - Ai sensi dell’art. 2, D.P.R. 10 novembre 1997, n. 445, come sostituito dall’art. 3, comma 2, D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 (in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473) il versamento delle ritenute da parte dei sostituti d’imposta che nell’anno erogano esclusivamente compensi di lavoro autonomo a non più di tre soggetti ed effettuano ritenute di acconto per un importo non superiore a lire due milioni, deve essere eseguito entro gli stessi termini stabiliti per il versamento a saldo delle imposte sui redditi. Qualora nel corso del periodo di imposta venga superato anche uno dei limiti sopra indicati, il sostituto di imposta è tenuto ad effettuare i versamenti, a partire dalla prima scadenza utile, nei termini previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973. (5) Sport dilettantistico - Vedasi l’art. 2, D.M. 26 novembre 1999, n. 473 (in “il fisco” n. 48/1999, pag. 15304) ai fini dell’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta e delle aliquote di compartecipazione delle addizionali all’IRPEF sui compensi, incluse le indennità MODALITÀ tenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. N.B.: Vedasi il D.M. 6 agosto 1998, concernente il versamento delle ritenute operate in Valle d’Aosta (in “il fisco” n. 35/1998, pag. 11655). Per i codici-tributo concernenti le ritenute operate in Sicilia e Sardegna e per gli altri codici-tributo vedasi l’elenco riportato nella banca dati “il fiscovideo” mediante ricerca alla funzione “Segnalazioni”. Vedasi, al riguardo, l’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, circa la possibilità di effettuare il versamento delle ritenute indicate dall’art. 3, secondo comma, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: oltre che presso le sezioni di Tesoreria provinciale (ma in tal caso non è ammessa la compensazione), ● anche con il suddetto Mod. F24. ● Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare con il suddetto modello unificato possono essere compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”). 3340 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 17 LUNEDÌ segue ADEMPIMENTO MODALITÀ di trasferta e i rimborsi forfettari, erogati da società o associazioni sportive dilettantistiche. A tal fine deve essere utilizzato il codice-tributo 1043 che assume la denominazione “ritenuta a titolo di imposta per prestazioni di lavoro autonomo”. (Vedi “Guida del contribuente” n. 8 del febbraio 2000). Vedasi la C.M. n. 43/E dell’8 marzo 2000 (in “il fisco” n. 12/3381) B) - obbligazioni e titoli similari (1); - interessi, premi ed altri frutti corrisposti sui depositi; - redditi di capitale diversi dai dividendi (2) e da quelli indicati in precedenza; - proventi da cessioni a termine di obbligazioni e titoli similari; - plusvalenze realizzate mediante cessioni a termine di valute estere; - proventi indicati sulle cambiali di cui all’art. 6, n. 4), Tariffa All. A annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642; - proventi derivanti da depositi a garanzia di finanziamenti; - premi delle lotterie, tombole, pesche o banchi di beneficenza; - premi per giochi di abilità in spettacoli radiotelevisivi e competizioni sportive; - altre vincite e premi. (1) Imposta sostitutiva - Per talune obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati, vedasi il D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 e successive modificazioni (vd. la scadenza “SOSTITUTIVA - Imposta sostitutiva sui titoli dei cosiddetti ‘Grandi emittenti’ di cui al D.Lgs. n. 239/1996 - Versamento” in questo Scadenzario). (2) Dividendi - Per gli utili la cui distribuzione è deliberata a decorrere dal 1° luglio 1998, il D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, prevede l’applicazione delle ritenute con versamento entro il 16 aprile, 16 luglio, 16 ottobre e 16 gennaio per le ritenute operate nel trimestre solare precedente. Vedasi l’art. 27-ter, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ai fini dell’applicazione di un’imposta sostitutiva sugli utili delle azioni e titoli in deposito accentrato presso la Monte Titoli S.p.A. IMPOSTE SUI REDDITI - Ritenute alla fonte - Dividendi Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Scade il termine per il versamento delle ritenute alla fonte sui dividendi operate e sugli importi versati dai soci sugli utili in natura nel primo trimestre 2000 (art. 8, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). Versamento: al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● ● In particolare si precisa che, ai sensi dell’art. 27, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (con riferimento agli utili di cui è deliberata la distribuzione a partire dal 1° luglio 1998), la ritenuta è applicata a titolo d’imposta nella misura del 12,50 per cento sugli utili corrisposti dalle società ed enti di cui all’art. 87, lettere a) e b), del Tuir alle persone fisiche residenti in relazione a partecipazioni non qualificate - secondo la nozione di cui all’art. 81, comma 1, lettera c-bis), del Tuir - non possedute nell’esercizio dell’impresa. utilizzando il modello di pagamento unificato (F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). 12/2000 il fisco 3341 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 17 LUNEDÌ segue ADEMPIMENTO A tal fine gli interessati devono attestare il possesso dei suddetti requisiti. La ritenuta di cui sopra non è operata nei confronti dei soggetti che ne facciano richiesta all’atto della riscossione degli utili (art. 27, comma 5, citato D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’art. 2, D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, in allegato a “il fisco” n. 2/2000). MODALITÀ Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”). ADDIZIONALI REGIONALE, PROVINCIALE E COMUNALE ALL’IRPEF - Redditi di lavoro dipendente e assimilati - Determinazione e versamento Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Versamento: Addizionale regionale ● al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● Ai sensi dell’art. 50, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come modificato dall’art. 1, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 506 (in allegato a “il fisco” n. 2/2000), l’addizionale dovuta sui redditi di lavoro dipendente e assimilati è determinata dai sostituti d’imposta di cui agli artt. 23 e 29 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, all’atto di effettuazione delle operazioni di conguaglio relative a detti redditi. Il relativo importo è trattenuto: - in un numero massimo di undici rate, a partire dal periodo di paga successivo a quello in cui le stesse sono effettuate e non oltre quello relativamente al quale le ritenute sono versate nel mese di dicembre; - in unica soluzione nel periodo di paga in cui sono svolte le predette operazioni di conguaglio in caso di cessazione del rapporto. utilizzando il modello di pagamento unificato (F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Vedasi al riguardo il D.M. 20 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 1/2000, pag. 162) recante l’approvazione dei codici-tributo relativi all’addizionale comunale IRPEF. Vedasi altresì: Vedasi, al riguardo, il Comunicato stampa del Ministero delle finanze del 14 gennaio 2000 (in “il fisco” n. 4/2000, pag. 946). Addizionale provinciale e comunale Ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. 28 settembre 1998, n. 360 (come modificato dall’art. 6, comma 12, L. 23 dicembre 1999, n. 488, in allegato a “il fisco” n. 1/2000), per le modalità di determinazione dell’addizionale provinciale e comunale sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati e per l’effettuazione delle relative trattenute da parte dei sostituti di imposta si applicano le disposizioni - sopra illustrate - previste per l’addizionale regionale all’Irpef di cui all’art. 50, comma 4, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. N.B.: L’elenco dei comuni che hanno deliberato l’applicazione di un’aliquota maggiorata per il 1999 è pubblicato nel S.O. n. 184 alla G.U. n. 246 del 19 ottobre 1999; un elenco degli stessi comuni, reso noto dall’A.N.C.I., è riportato in “il fisco” n. 38/1999, pag. 12311. Si vedano altresì le integrazioni diffuse dal Ministero delle finanze la N.M. n. 9476/1998 del 4 febbraio 1998 (in “il fisco” n. 16/1998, pag. 5148) con riferimento all’addizionale regionale; ● la N.M. n. 1999/150425 del 21 settembre 1999 (in “il fisco” n. 36/1999, pag. 11756) con riferimento all’addizionale provinciale e comunale. ● (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”). 3342 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 17 LUNEDÌ segue ADEMPIMENTO MODALITÀ con gli elenchi pubblicati nel S.O. n. 224 alla G.U. n. 298 del 21 dicembre 1999. SOSTITUTIVA - Imposta sostitutiva sui titoli dei cosiddetti “Grandi emittenti” di cui al D.Lgs. n. 239/1996 - Versamento Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Versamento: Scade il termine per il versamento dell’imposta sostitutiva - risultante dal saldo mensile del conto unico - relativa agli interessi, premi ed altri frutti di obbligazioni e titoli di cui al D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 (in banca dati “il fiscovideo”). Si vedano al riguardo la C.M. 23 dicembre 1996, n. 306/E (in “il fisco” n. 2/1997, pag. 443), la C.M. 7 agosto 1997, n. 234/E (in “il fisco” n. 32/1997, pag. 9514) e la C.M. n. 165/E del 24 giugno 1998 (in allegato a “il fisco” n. 27/1998). Con D.M. 6 dicembre 1996 (in “il fisco” n. 48/1996, pag. 11637) è stato disciplinato il versamento dell’imposta sostitutiva (esclusa quella relativa ai titoli obbligazionari degli enti locali di cui all’art. 35 della L. 23 dicembre 1994, n. 724): ● alla competente sezione di Tesoreria provinciale; ovvero N.B.: Per il versamento relativo ai buoni postali di risparmio vedasi il D.M. 23 dicembre 1998, n. 511 (in “il fisco” n. 9/1999, pag. 3119). N.B.: L’imposta sostitutiva non si applica sui redditi di capitale derivanti da attività finanziarie per le quali il contribuente opta per la disciplina del risparmio gestito di cui all’art. 7, D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461. al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● ● utilizzando il modello di pagamento unificato (F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”). REDDITI DIVERSI - Risparmio amministrato - Versamento dell’imposta sostitutiva Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Versamento: Con riferimento alle plusvalenze per le quali il contribuente abbia optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza realizzata (cosiddetto regime del risparmio amministrato), scade il termine per il versamento da parte degli intermediari (banche, S.I.M., altri intermediari autorizzati) dell’imposta sostitutiva applica- Con D.M. 23 luglio 1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10438) come modificato dal D.M. 6 agosto 1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10490) è stato disciplinato il versamento dell’imposta sostitutiva: 12/2000 il fisco 3343 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 17 LUNEDÌ segue ADEMPIMENTO ta nel secondo mese precedente (art. 6, D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, e successive modificazioni; testo coordinato in allegato a “il fisco” n. 30/1998). Vedasi la C.M. n. 165/E del 24 giugno 1998 (in allegato a “il fisco” n. 27/1998) e la C.M. n. 188/E del 16 luglio 1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10382). Attestazione di versamento - I soggetti che effettuano il versamento dell’imposta sostitutiva rilasciano al contribuente la relativa attestazione entro il mese di marzo dell’anno successivo ovvero entro dodici giorni dalla richiesta degli interessati (art. 6, comma 9, D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, come modificato dall’art. 5, D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, in allegato a “il fisco” n. 2/2000). La disposizione si applica con riferimento ai versamenti dell’imposta sostitutiva relativi alle operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2000. MODALITÀ ● alla competente sezione di Tesoreria provinciale; ovvero al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● ● utilizzando il modello di pagamento unificato (F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”). REDDITI DI CAPITALE E DIVERSI - Risparmio gestito Versamento dell’imposta sostitutiva in caso di revoca del mandato di gestione Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Versamento: Con riferimento ai redditi di capitale e diversi relativi a gestioni individuali di portafoglio per i quali il contribuente abbia optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul risultato maturato (cosiddetto regime del risparmio gestito), scade il termine per il versamento da parte dei soggetti abilitati (banche, S.I.M., società fiduciarie) dell’imposta sostitutiva, in caso di revoca del mandato di gestione nel secondo mese precedente (art. 7, comma 11, D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, come modificato dall’art. 7, D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, in allegato a “il fisco” n. 2/2000) Con D.M. 23 luglio 1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10438) come modificato dal D.M. 6 agosto 1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10490) è stato disciplinato il versamento dell’imposta sostitutiva: ● alla competente sezione di Tesoreria provinciale; ovvero al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● Vedasi la C.M. n. 165/E del 24 giugno 1998 (in allegato a “il fisco” n. 27/1998) e la C.M. n. 188/E del 16 luglio 1998 (in “il fisco” n. 31/1998, pag. 10382). ● utilizzando il modello di pagamento unificato (F24), approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il 3344 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 17 LUNEDÌ segue ADEMPIMENTO MODALITÀ fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”). IMPOSTE SUI REDDITI - Ritenute relative ai proventi derivanti da partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio (O.I.C.R.) Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Scade il termine per versare le ritenute del 12,50 per cento effettuate nel mese precedente sui proventi derivanti dalla partecipazione agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero (art. 10-ter, L. 23 marzo 1983, n. 77, e successive modificazioni, in banca dati “il fiscovideo”). Versamento: ● alla Tesoreria provinciale dello Stato (vd. D.M. 10 dicembre 1992, in “il fisco” n. 47/1992, pag. 11266). (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). IRAP - Amministrazioni dello Stato ed enti pubblici - Versamento dell’acconto mensile Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Versamento: Per gli organi e le amministrazioni dello Stato e per gli enti pubblici, di cui agli artt. 3, comma 1, lettere e-bis), e 10-bis) D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 - come modificati dall’art. 1, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 506 (in allegato a “il fisco” n. 2/2000) - che effettuano il versamento dell’IRAP mensilmente nella misura e con i criteri previsti dagli artt. 16 e 30 - anch’essi modificati dall’art. 1, citato decreto correttivo - scade il termine per l’effettuazione del versamento dell’acconto mensile calcolato sull’ammontare degli emolumenti corrisposti nel mese precedente (D.M. 2 novembre 1998, n. 421, in “il fisco” n. 47/1998, pag. 15421, e Comunicato stampa del Ministero delle finanze 3 febbraio 1999, in “il fisco” n. 7/1999, pag. 2077). con le modalità indicate dal citato D.M. 2 novembre 1998, n. 421, utilizzando il codice-tributo 3810 (vd. Comunicato stampa del Ministero delle finanze del 7 maggio 1999, in “il fisco” n. 20/1999, pag. 6778). I predetti soggetti versano il saldo, tenendo conto degli acconti già pagati, entro il termine di presentazione della dichiarazione ai fini dell’IRAP. N.B.: Con le stesse modalità indicate è versata l’addizionale regionale all’IRPEF di cui all’art. 50, citato D.Lgs. n. 446/1997, trattenuta dalle amministrazioni dello Stato. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). 12/2000 il fisco 3345 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 17 LUNEDÌ segue ADEMPIMENTO MODALITÀ IVA - Contribuenti mensili - Mese di marzo 2000 - Versamento Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Scade il termine per l’effettuazione del versamento sulla base della liquidazione relativa al mese di marzo 2000, ai sensi del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, come modificato dall’art. 2, D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 (in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473). Se l’importo non supera lire 50.000 il versamento è effettuato insieme a quello relativo al mese successivo. Dichiarazione periodica - Vedasi la corrispondente scadenza a fine mese, in questo Scadenzario. Contabilità presso terzi - Il citato D.P.R. n. 100 del 1998 ha introdotto la facoltà - per i contribuenti che affidano a terzi la tenuta della contabilità e ne abbiano dato comunicazione “all’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto competente nella prima dichiarazione annuale presentata nell’anno successivo alla scelta operata” - di fare riferimento, ai fini della liquidazione mensile, all’imposta divenuta esigibile nel secondo mese precedente. Versamento: al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● ● utilizzando il codice-tributo 6003 ed il modello di pagamento unificato (F24) approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare con il suddetto modello unificato possono essere compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). INPS - Contributo alla gestione separata dovuto su taluni redditi di lavoro autonomo - Versamento Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Scade il termine per il versamento del contributo alla gestione separata INPS, sui compensi corrisposti nel mese precedente (D.M. 2 maggio 1996, n. 281, in “il fisco” n. 23/1996, pag. 5818), relativi a: Versamento: al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● ● - rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; - prestazioni degli incaricati alle vendite a domicilio; - spedizionieri doganali, nei limiti ed alle condizioni di cui alla L. 16 luglio 1997, n. 230 (in “il fisco” n. 31/1997, pag. 9207); - borse concesse per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca (art. 1, L. 3 agosto 1998, n. 315, in “il fisco” n. 33/1998, pag. 11024). utilizzando il modello di pagamento unificato (F24) approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Aliquota - Vedasi l’art. 59, comma 16, L. 27 dicembre 1997, n. 449, come modificato dall’art. 51, L. 23 dicembre 1999, n. 488 (in allegato a “il fisco” n. 1/2000) con riferimento alla determinazione dell’aliquota. Vedasi altresì l’art. 51, commi 3 e 4, citata L. n. 488/1999, ai fini della determinazione del reddito derivante da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. 3346 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 17 LUNEDÌ segue ADEMPIMENTO MODALITÀ Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare con il suddetto modello unificato possono essere compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”). ACCISE - Pagamento imposta Termine così prorogato, essendo il giorno 16 domenica (*) Scade il termine per il pagamento dell’accisa per i prodotti ad essa soggetti, immessi in consumo nel periodo compreso tra il giorno 16 e la fine del mese precedente (art. 3, comma 4, testo unico sulle accise approvato con D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504). Restano salve le diverse scadenze relative a specifici prodotti quali, ad esempio, il gas metano. Versamento: ● alla Tesoreria provinciale dello Stato. (*) Il versamento può essere eseguito fino a lunedì 17 aprile, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). Vedasi al riguardo la C.M. n. 80/D del 14 marzo 1997 (in “il fisco” n. 13/1997, pag. 3787). 20 GIOVEDÌ ADEMPIMENTO MODALITÀ IVA - Scambi intracomunitari - Elenchi INTRASTAT Scade il termine - così stabilito dall’art. 1, D.P.R. 7 gennaio 1999, n. 10 (in “il fisco” n. 6/1999, pag. 1860) - per la presentazione degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari relativi al mese di marzo 2000 (art. 6, D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito dalla L. 24 marzo 1993, n. 75). Vedasi la C.M. n. 60/D del 12 marzo 1999 (in “il fisco” n. 13/1999, pag. 4533). N.B.: Lo stesso decreto prevede importi di riferimento distinti per la presentazione degli elenchi mensili: - delle cessioni (cessioni intracomunitarie realizzate nell’anno precedente o che si presume di realizzare, in caso di inizio dell’attività di scambi intracomunitari, di ammontare complessivo superiore a 300 milioni di lire); - degli acquisti (acquisti intracomunitari realizzati nell’anno precedente o che si presume di realizzare, in caso di inizio dell’attività di scambi intracomunitari, di ammontare complessivo superiore a 200 milioni di lire). Presentazione: Gli elenchi devono essere presentati ad un qualsiasi ufficio doganale abilitato della circoscrizione doganale in cui ha sede il soggetto obbligato utilizzando i modelli: - INTRA 1, INTRA 1-bis e INTRA 1-ter, per le cessioni; - INTRA 2, INTRA 2-bis e INTRA 2-ter, per gli acquisti, approvati con D.M. 21 ottobre 1992 (in “il fisco” n. 40/1992, pag. 9670), come modificato dal D.M. 4 febbraio 1998 (in “il fisco” n. 8/1998, pag. 3044). N.B.: La presentazione può essere effettuata anche: ● Periodicità - Lo stesso decreto consente ai soggetti tenuti alla presentazione: a mezzo raccomandata postale (art. 34, D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla L. 22 marzo 1995, n. 85, in banca dati “il fiscovideo” ); 12/2000 il fisco 3347 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 20 GIOVEDÌ segue ADEMPIMENTO - degli elenchi trimestrali, di presentarli con periodicità mensile; - degli elenchi annuali, di presentarli con periodicità mensile o trimestrale. MODALITÀ ● mediante supporti magnetici nonché per via telematica (vd. art. 4, citato D.M. 21 ottobre 1992; C.M. n. 231/D del 26 settembre 1996, in “il fisco” n. 37/1996, pag. 8958). Repubblica di San Marino - Vedasi la R.M. n. 83/E del 23 aprile 1997 (in “il fisco” n. 19/1997, pag. 5215) con riferimento agli obblighi connessi alle cessioni di beni verso la Repubblica di San Marino. Euro - Vedasi il paragrafo 4.2.1 della C.M. n. 291/E del 23 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 1/1999, pag. 107) ai fini delle annotazioni sui modelli INTRA degli importi espressi in euro, in valute aderenti ed in altre valute. REGISTRO - Contratti di locazione ed affitto di beni immobili - Versamento imposta Scade il termine per il versamento relativo a: cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite, con effetto dal 1° aprile 2000; ● contratti pluriennali (1) relativi ad immobili urbani: annualità successive alla prima, con inizio dal 1° aprile 2000. ● (1) Per i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani di durata pluriennale l’imposta può essere assolta: a) annualmente sull’ammontare del canone relativo a ciascun anno, ovvero b) sul corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto. In tal caso è prevista una riduzione sull’imposta dovuta (art. 17 e art. 5, Tariffa del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). Vedasi al riguardo la C.M. n. 12/E del 16 gennaio 1998 ( in “il fisco” n. 4/1998, pag. 1353). Versamento: al Concessionario della riscossione; presso una banca; ● presso un ufficio postale, ● ● utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17 dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999). Vedasi il D.M. 24 dicembre 1999 recante “Modalità tecniche di trasmissione telematica dei dati concernenti i contratti di locazione e di affitto da sottoporre a registrazione” (in “il fisco” n. 2/2000, pag. 519 ed errata-corrige in “il fisco” n. 4/2000, pag. 1027). Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno 1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711). L’imposta dovuta sui contratti di locazione ed affitto di beni immobili deve essere versata entro venti giorni dalla data dell’atto su tutti i contratti senza limite di importo salvo quelli non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a trenta giorni complessivi nell’anno. Entro lo stesso termine di venti giorni il contratto deve essere presentato all’ufficio per la registrazione unitamente all’attestato di pagamento. CONTRATTI DI BORSA - S.I.M., fiduciarie e agenti di cambio - Versamento della tassa in modo virtuale Scade il termine per il versamento delle tasse liquidate sui contratti di trasferimento di titoli e valori conclusi nel mese precedente da parte delle: Versamento: al Concessionario della riscossione; presso una banca; ● presso un ufficio postale, ● ● ● S.I.M., società di intermediazione mobiliare di cui alla L. 2 gen- 3348 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 20 GIOVEDÌ segue ADEMPIMENTO naio 1991, n. 1 ed al D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (D.M. 12 novembre 1991) ora disciplinate dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 - testo unico dell’intermediazione finanziaria (in banca dati “il fiscovideo” ); ● società fiduciarie e agenti di cambio (D.M. 6 luglio 1995, in “il fisco” n. 30/1995, pag. 7584). CONAI - Contributo ambientale - Dichiarazione periodica Per i produttori e gli utilizzatori di imballaggi scade il termine per la liquidazione e per la trasmissione al CONAI della dichiarazione mensile relativa al contributo ambientale. Il contributo è dovuto sulla base delle fatture emesse nel mese precedente ovvero dei documenti ricevuti in qualità di importatore (art. 7, comma 10, Regolamento CONAI - Consorzio Nazionale Imballaggi, costituito ai sensi dell’art. 41, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) distinguendo gli importi relativi a ciascuna tipologia di materiale (acciaio, alluminio, carta, legno, plastica, vetro). Gli importi risultanti dalla liquidazione che verrà effettuata dal CONAI devono essere versati entro 90 giorni. N.B.: Si segnala che a decorrere dal 1° gennaio 2000 il consiglio di amministrazione del CONAI ha previsto distinte classi di dichiarazioni (Vd. comunicato dell’11 novembre 1999, riportato nel sito Internet): - A - Esenzione, per contributo ambientale annuo fino a lire 50.000 per singolo materiale, lire 100.000 in caso di import forfetizzato; - B - Annuale, per contributo ambientale annuo fino a lire 600.000 per singolo materiale, e per importazioni forfetizzate; - C - Trimestrale, per contributo ambientale annuo fino a lire 60.000.000 per singolo materiale, e per importazioni forfetizzate; - D - Mensile, per contributo ambientale annuo superiore a lire 60.000.000 per singolo materiale, e per importazioni forfetizzate. Secondo il predetto comunicato “La classe di dichiarazione va verificata alla fine di ogni anno solare e segnalata attraverso l’autodichiarazione (mod. 6.8), entro il 20 gennaio. Le nuove dichiarazioni trimestrali e annuali non vanno intese come un obbligo, ma come un’opzione offerta alle imprese per semplificare le procedure. L’impresa ha sempre facoltà di inviare le dichiarazioni con una periodicità più ravvicinata: la Classe Annuale può dichiarare anche trimestralmente o mensilmente; la Classe Trimestrale può dichiarare anche mensilmente.”. MODALITÀ utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17 dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999). Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno 1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711). 12/2000 il fisco 3349 ATTUALITÀ il fisco 30 DOMENICA Scadenzario tributario aprile 2000 ADEMPIMENTO MODALITÀ ASSISTENZA FISCALE - Prestata dai sostituti d’imposta Presentazione del Modello 730 Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Scade il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi modello 730 da parte dei soggetti che si avvalgono dell’assistenza fiscale tramite i sostituti d’imposta sempreché detti sostituti d’imposta abbiano comunicato entro il 15 gennaio u.s. di voler prestare assistenza fiscale (art. 13, D.M. 31 maggio 1999, n. 164, in “il fisco” n. 25/1999, pag. 8444). Presentazione: La dichiarazione deve essere redatta utilizzando il modello 730/2000, approvato con D.M. 17 gennaio 2000 (in allegato a “il fisco” n. 6/2000). Il sostituto è tenuto a rilasciare la ricevuta dell’avvenuta consegna della dichiarazione modello 730 e della busta contenente il modello 730-1. Il termine di presentazione scade il 31 maggio 2000, se l’assistenza fiscale è prestata dai CAF-dipendenti. Unitamente al modello 730, deve essere consegnato al sostituto d’imposta, in busta chiusa, il modello 730-1 concernente la scelta della destinazione dell’8 per mille, anche se in concreto non sia stata espressa alcuna scelta. Se il contribuente intende rateizzare il versamento delle somme dovute a saldo ed in acconto - con applicazione degli interessi dello 0,50 per cento mensile - deve barrare l’apposita casella indicando il numero delle rate stesse. Altresì il contribuente deve barrare l’apposita casella se richiede di non effettuare il versamento d’acconto IRPEF ovvero deve indicare l’importo se chiede di effettuare un versamento inferiore. Ai sensi dell’art. 6, comma 8, L. 23 dicembre 1999, n. 488, per il periodo d’imposta 2000, ai soli fini dell’IRPEF, la misura dell’acconto è ridotta dal 98 al 92 per cento. ACCONTI D’IMPOSTA - Soggetti IRPEG - Imposte sui redditi - IRAP Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Versamento: al Concessionario della riscossione; ad una banca convenzionata; ● presso gli uffici postali abilitati, ● Per i soggetti all’IRPEG per i quali il mese di aprile 2000 è l’undicesimo mese dell’esercizio sociale, scade il termine per il versamento della seconda o unica rata degli acconti di imposta. Imposte sui redditi L’acconto si applica nella misura del 98 per cento dell’imposta relativa al periodo d’imposta precedente, al netto di detrazioni, crediti e ritenute, ed è versata in due rate, la prima delle quali pari al 40 per cento e la seconda, per il residuo importo. L’acconto non è dovuto se l’imposta relativa al periodo d’imposta precedente, al netto di detrazioni, crediti e ritenute, non è superiore a lire 40 mila. Il versamento della prima rata d’acconto non è dovuto se non è superiore a lire 200 mila. ● utilizzando il modello di pagamento unificato (F24) approvato con D.M. 15 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 48/1998, pag. 15858) e predisposto anche per i pagamenti in euro, il cui foglio avvertenze è stato approvato con D.M. 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 6002). Vedasi la R.M. n. 85/E del 24 maggio 1999 (in “il fisco” n. 24/1999, pag. 8044) con riferimento all’indicazione del numero di rate anche in caso di versamento in unica soluzione e di somme non rateizzabili. 3350 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO Al riguardo vedasi inoltre quanto disposto: a) dall’art. 13, D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 (in banca dati “il fiscovideo”) per la determinazione degli acconti IRPEG dovuti per il periodo di imposta in corso al 1° aprile 1997 e per i successivi; b) dall’art. 16, comma 2, D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”) per la determinazione degli acconti IRPEG dovuti per il periodo di imposta successivo a quello in corso alla data del 31 marzo 1998; c) dall’art. 2, comma 12, L. 13 maggio 1999, n. 133 (in “il fisco” n. 23/1999, pag. 7812) per la determinazione degli acconti IRPEG dovuti per il periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della predetta L. n. 133/1999, e per il successivo. Fusioni e scissioni - Vedasi l’art. 4, comma 1, D.L. 11 marzo 1997, n. 50, convertito dalla L. 9 maggio 1997, n. 122 (in banca dati “il fiscovideo”), per quanto concerne gli obblighi di versamento d’acconto nei casi di fusione e scissione. IRAP A partire dal secondo periodo di imposta di applicazione dell’IRAP il versamento in acconto deve essere effettuato con le stesse regole valide per gli acconti delle imposte sui redditi; in sintesi: misura del 98 per cento, in due rate, la prima delle quali pari al 40 per cento, e la seconda per il residuo importo (art. 31, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in banca dati “il fiscovideo”). Vedasi la C.M. n. 263/E del 12 novembre 1998, par. 2.15 (in “il fisco” n. 43/1998, pag. 14062) ai fini del versamento d’acconto IRAP nei casi di fusione, scissione e trasformazione. ENTI NON COMMERCIALI - Raccolta pubblica in concomitanza di ricorrenze e campagne di sensibilizzazione - Redazione del rendiconto Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Per gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi, scade il termine - ai sensi dell’art. 20, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio (e pertanto scade il 30 aprile se l’esercizio coincide con l’anno solare) - per la redazione di apposito rendiconto, accompagnato da una relazione illustrativa, delle entrate e delle spese relative alle raccolte pubbliche di fondi in concomitanza delle celebrazioni, delle ricorrenze e delle campagne di sensibilizzazione, di cui all’art. 108, comma 2-bis, lettera a), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Vedasi al riguardo la C.M. n. 124/E del 12 maggio 1998 (in “il fisco” n. 21/1998, pag. 6833). MODALITÀ Vedasi la C.M. n. 91/E del 26 aprile 1999 (in banca dati “il fiscovideo”) recante l’istituzione di nuovi codici-tributo per gli acconti IRPEF, IRPEG ed IRAP, che si riportano: 4033 - IRPEF acconto - prima rata 4034 - IRPEF acconto - seconda rata o acconto in unica soluzione 2112 - IRPEG acconto - prima rata 2113 - IRPEG acconto - seconda rata o acconto in unica soluzione 3812 - IRAP acconto - prima rata 3813 - IRAP acconto - seconda rata o acconto in unica soluzione Compensazione - Ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, le somme a debito da versare con il suddetto modello unificato possono essere compensate con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate. (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni (in banca dati “il fiscovideo”). 12/2000 il fisco 3351 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE Redazione del rendiconto Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Ai sensi dell’art. 5, comma 5, D.M. 26 novembre 1999, n. 473 (in “il fisco” n. 48/1999, pag. 15304) per le associazioni sportive dilettantistiche di cui all’art. 1, comma 1, citato D.M. n. 473/1999 scade il termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio (e pertanto scade il 30 aprile, se l’esercizio coincide con l’anno solare) per la redazione di un apposito rendiconto, tenuto e conservato ai sensi dell’art. 22, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna manifestazione nell’ambito della quale vengono realizzati i proventi di cui al comma 3 dell’art. 1, precisamente: - i proventi derivanti dallo svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali; - i proventi realizzati a seguito di raccolte di fondi effettuate con qualsiasi modalità, purché le attività e le raccolte di fondi anzidette abbiano carattere di occasionalità e saltuarietà. Detti proventi non concorrono a formare il reddito imponibile fino all’ammontare complessivo conseguito dalle medesime associazioni nel corso di un periodo d’imposta, nell’ambito di due manifestazioni e comunque per un importo non superiore al limite di 100 milioni di lire fissato con D.M. 10 novembre 1999 (in “il fisco” n. 45/1999, pag. 14065). Vedasi la C.M. n. 43/E dell’8 marzo 2000 (in “il fisco” n. 3381). ONLUS - Redazione del bilancio o rendiconto annuale Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Ai sensi dell’art. 20-bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per le Onlus - Organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui al D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 - diverse dalle società cooperative, scade il termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio (e pertanto scade il 30 aprile se l’esercizio coincide con l’anno solare) a pena di decadenza di benefici fiscali per esse previsti, per redigere la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’organizzazione, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali. Vedasi al riguardo la C.M. n. 168/E del 26 giugno 1998 (in “il fisco” n. 28/1998, pag. 9347). MODALITÀ 3352 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO MODALITÀ IVA - Dichiarazione periodica - Presentazione Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Scade il termine per la presentazione della dichiarazione periodica, di cui al D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, come modificato dal D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 (in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473), relativa al mese di marzo 2000. Per i contribuenti che inviano la dichiarazione in via telematica direttamente o mediante gli intermediari abilitati (art. 3, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322), la trasmissione telematica della dichiarazione periodica deve essere effettuata entro il 31 maggio 2000. L’obbligo di trasmissione telematica è stato esteso ai soggetti con un numero di dipendenti non inferiore a 50. Si vedano al riguardo la C.M. n. 68/E del 24 marzo 1999 (in “il fisco” n. 14/1999, pag. 4886) e la C.M. n. 92/E del 26 aprile 1999 (in “il fisco” n. 19/1999, pag. 6538). N.B.: Scade inoltre il termine per la presentazione in via telematica della dichiarazione periodica relativa al mese di febbraio 2000. Si ricorda che le dichiarazioni periodiche devono essere presentate: - a decorrere dall’anno 1999 dalle società e dagli enti soggetti ad IRPEG di cui all’art. 87 del Tuir, ed esclusi i soggetti di cui all’art. 88, comma 1, del Tuir; - a decorrere dall’anno d’imposta 2000, dalle società di persone e soggetti equiparati di cui all’art. 5, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 nonché dalle persone fisiche che hanno realizzato nell’anno precedente un volume d’affari superiore a lire 50 milioni. IVA - Adempimenti di fine mese Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Agenzie di viaggio e turismo Scade il termine per la registrazione nel registro di cui all’art. 24 od in apposito registro tenuto ai sensi dell’art. 39, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dei corrispettivi delle operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e turismo nel mese precedente (art. 74-ter, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; art. 5, D.M. 30 luglio 1999, n. 340, in “il fisco” n. 37/1999, pag. 12034). Plafond Per i contribuenti che si avvalgono della facoltà di acquistare o importare beni e servizi senza il pagamento dell’imposta, scade il termine per annotare nei registri di cui agli artt. 23, 24 o 39, secondo Presentazione: - ad uno sportello bancario convenzionato; - ad un ufficio delle Poste Italiane S.p.A., utilizzando il modello approvato con il D.M. 21 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 2/2000, pag. 549), come sostituito con errata-corrige in G.U. n. 9 del 13 gennaio 2000 (in “il fisco” n. 4/2000, pag. 1018) (da utilizzare con riferimento alle liquidazioni a partire dal periodo d’imposta 2000). Le specifiche tecniche di trasmissione telematica sono state approvate con D.M. 24 febbraio 2000 (in S.O. n. 39 alla G.U. n. 55 del 7 marzo 2000). 12/2000 il fisco 3353 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO comma, D.P.R. n. 633/1972, l’ammontare di riferimento delle esportazioni e delle cessioni intracomunitarie utilizzabile all’inizio del secondo mese precedente e quello degli acquisti effettuati e delle importazioni fatte nel medesimo mese senza pagamento dell’imposta (art. 1, terzo comma, D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito dalla L. 27 febbraio 1984, n. 17). In materia di plafond vedasi l’art. 2, L. 18 febbraio 1997, n. 28 (in “il fisco” n. 11/1997, pag. 3092) e la C.M. n. 145/E del 10 giugno 1998 (in “il fisco” n. 25/1998, pag. 8456). Scambi intracomunitari Autofatture - Scade il termine per l’emissione dell’autofattura da parte del cessionario o committente che non ha ricevuto, entro il mese precedente, la fattura relativa ad operazioni effettuate nel mese ancora precedente (art. 46, comma 5, D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427). Fatture integrative - Scade il termine per l’emissione, da parte del medesimo soggetto, di fattura integrativa, nel caso in cui abbia ricevuto una fattura (originaria), indicante un corrispettivo inferiore a quello reale, registrata nel mese precedente (art. 46, comma 5, citato D.L. n. 331/1993). Scheda carburanti - Rilevazione dei chilometri Ai sensi dell’art. 4, D.P.R. 10 novembre 1997, n. 444 (in “il fisco” n. 1/1998, pag. 145) i soggetti che utilizzano i mezzi di trasporto nell’esercizio di impresa devono rilevare - alla fine del mese o del trimestre - il numero dei chilometri da riportare nell’apposita scheda (mensile o trimestrale) carburanti (vd. C.M. n. 205/E del 12 agosto 1998, in “il fisco” n. 32/1998, pag. 10787). Sedi secondarie Per le operazioni effettuate mediante sedi secondarie o altre dipendenze che non vi provvedono direttamente, scade il termine di fatturazione, registrazione e annotazione dei corrispettivi e di registrazione degli acquisti, relativamente alle operazioni effettuate nel mese precedente (art. 73, primo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; art. 1, D.M. 18 novembre 1976, come modificato dal D.M. 6 giugno 1979; C.M. n. 328/E del 24 dicembre 1997, in allegato a “il fisco” n. 1/1998). Trasporto pubblico urbano di persone Per gli esercenti attività di trasporto scade il termine per l’annotazione in apposito registro delle provvigioni corrisposte nel mese precedente ai rivenditori autorizzati di documenti di viaggio relativi al trasporto pubblico urbano di persone [art. 74, comma 1, lettera e), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e art. 2, D.M. 5 maggio 1980, in banca dati “il fiscovideo” ]. MODALITÀ 3354 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO MODALITÀ IVA - Acquisti intracomunitari da parte di enti, associazioni ed altre organizzazioni di cui all’art. 4, quarto comma, D.P.R. n. 633/1972 - Dichiarazione e versamento Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Presentazione: ● Per gli enti, associazioni ed altre organizzazioni di cui all’art. 4, quarto comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non soggetti passivi di imposta, nonché per quelli soggetti passivi d’imposta, relativamente all’attività istituzionale, scade il termine per la presentazione della dichiarazione, relativa agli acquisti intracomunitari per il mese di marzo 2000 con l’indicazione dell’imposta dovuta, nonché per il versamento dell’imposta, ai sensi dell’art. 49, D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427. la dichiarazione (mod. INTRA 12 - D.M. 16 febbraio 1993, in “il fisco” n. 8/1993, pag. 2523) deve essere presentata all’ufficio IVA competente (ovvero all’Ufficio delle entrate, se già attivato). N.B.: Vedasi il D.M. 27 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 4/2000, pag. 1025) per quanto concerne la ripartizione delle competenze degli uffici delle entrate circoscrizionali di Roma. Versamento: al Concessionario della riscossione; presso una banca; ● presso un ufficio postale, ● ● utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17 dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999). Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno 1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711). IVA - Scambi intracomunitari - Elenchi INTRASTAT trimestrali Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Presentazione: Scade il termine - così stabilito dall’art. 1, D.P.R. 7 gennaio 1999, n. 10 (in “il fisco” n. 6/1999, pag. 1860) - per la presentazione degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari relativi al primo trimestre 2000 (art. 6, D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito dalla L. 24 marzo 1993, n. 75). Gli elenchi devono essere presentati ad un qualsiasi ufficio doganale abilitato della circoscrizione doganale in cui ha sede il soggetto obbligato utilizzando i modelli: Vd. la C.M. n. 60/D del 12 marzo 1999 (in “il fisco” n. 13/1999, pag. 5433). N.B.: Lo stesso decreto prevede importi di riferimento distinti per la presentazione degli elenchi trimestrali: - delle cessioni (cessioni intracomunitarie realizzate nell’anno precedente o che si presume di realizzare, in caso di inizio dell’attività di scambi intracomunitari, di ammontare complessivo superiore a 75 e non superiore a 300 milioni di lire); - degli acquisti (acquisti intracomunitari realizzati nell’anno precedente o che si presume di realizzare, in caso di inizio dell’attività di scambi intracomunitari, di ammontare complessivo superiore a 50 e non superiore a 200 milioni di lire). - INTRA 1, INTRA 1-bis e INTRA 1-ter, per le cessioni; - INTRA 2, INTRA 2-bis e INTRA 2-ter, per gli acquisti, approvati con D.M. 21 ottobre 1992 (in “il fisco” n. 40/1992, pag. 9670), come modificato dal D.M. 4 febbraio 1998 (in “il fisco” n. 8/1998, pag. 3044). N.B.: La presentazione può essere effettuata anche: ● a mezzo raccomandata postale (art. 34, D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla L. 22 mar- 12/2000 il fisco 3355 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO Periodicità - Lo stesso decreto consente ai soggetti tenuti alla presentazione: - degli elenchi trimestrali, di presentarli con periodicità mensile; - degli elenchi annuali, di presentarli con periodicità mensile o trimestrale. Repubblica di San Marino - Vedasi la R.M. n. 83/E del 23 aprile 1997 (in “il fisco” n. 19/1997, pag. 5215) con riferimento agli obblighi connessi alle cessioni di beni verso la Repubblica di San Marino. MODALITÀ zo 1995, n. 85, in “il fisco” n. 13/1995, pag. 3403); ● mediante supporti magnetici nonché per via telematica (vd. art. 4, citato D.M. 21 ottobre 1992; C.M. n. 231/D del 26 settembre 1996, in “il fisco” n. 37/1996, pag. 8958). Euro - Vedasi il paragrafo 4.2.1 della C.M. n. 291/E del 23 dicembre 1998 (in “il fisco” n. 1/1999, pag. 107) ai fini delle annotazioni sui modelli INTRA degli importi espressi in euro, in valute aderenti ed in altre valute. IVA - Rimborsi trimestrali - Presentazione domanda Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Presentazione: ● Ai sensi dell’art. 38-bis, secondo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, scade il termine per la presentazione della domanda di rimborso dell’imposta a credito relativa al primo trimestre 2000 nelle ipotesi previste dall’art. 30, terzo comma, lettere a) e b), stesso D.P.R. n. 633/1972, e precisamente: effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquota inferiore a quella dell’imposta su acquisti e importazioni, tenuto conto dell’art. 3, comma 6, D.L. 28 giugno 1995, n. 250, convertito dalla L. 8 agosto 1995, n. 349 (in banca dati “il fiscovideo” ); ● operazioni non imponibili per un ammontare superiore al 25 per cento dell’ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate. ● Garanzie - In relazione all’esonero dall’obbligo di prestazione delle garanzie, previsto dall’art. 38-bis, settimo comma, D.P.R. n. 633/1972, a favore dei contribuenti cosiddetti “virtuosi”, la C.M. n. 54/E del 4 marzo 1999 (in “il fisco” n. 11/1999, pag. 3878) reca un fac-simile della dichiarazione sostitutiva di atto notorio prevista dalla lettera c) del medesimo comma. Con riferimento alla garanzia sui rimborsi, vedasi la CM n. 84/E del 12 marzo 1998 (in “il fisco” n. 12/1998, pag. 3758) e la C.M. n. 146/E del 10 giugno 1998 (in “il fisco” n. 25/1998, pag. 8466). N.B.: È stato precisato che la presentazione di un esemplare della dichiarazione IVA periodica ai fini della richiesta di rimborso è da considerarsi un adempimento distinto ed autonomo rispetto alla presentazione di detta dichiarazione IVA periodica. Pertanto chi è tenuto alla presentazione della dichiarazione deve effettuare entrambi gli adempimenti nel rispetto dei termini e delle modalità previsti per ciascuno di essi (vd. Appendice alle istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione periodica). presentazione di un esemplare anche in copia fotostatica, unitamente alla predetta dichiarazione sostitutiva (se ricorrono le condizioni per l’esonero dalla prestazione della garanzia) direttamente al competente ufficio Iva, ovvero all’ufficio delle entrate, se già attivato (art. 8, D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542, in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2473). N.B.: Vedasi il D.M. 27 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 4/2000, pag. 1025) per quanto concerne la ripartizione delle competenze degli uffici delle entrate circoscrizionali di Roma. A tal fine può essere utilizzato il modello di dichiarazione periodica IVA, approvato con il D.M. 21 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 2/2000, pag. 549), come sostituito con errata-corrige in G.U. n. 9 del 13 gennaio 2000 (in “il fisco” n. 4/2000, pag. 1018). I soggetti non tenuti alla presentazione della predetta dichiarazione richiedono il rimborso presentando all’ufficio competente entro lo stesso termine un esemplare del modello di dichiarazione periodica ovvero l’apposita istanza prevista dal D.M. 23 luglio 1975, come modificato dal D.M. 15 febbraio 1979. Si vedano al riguardo la C.M. n. 68/E del 24 marzo 1999 (in “il fisco” n. 14/1999, pag. 4886) e la C.M. n. 92/E del 26 aprile 1999 (in “il fisco” n. 19/1999, pag. 6538). 3356 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO MODALITÀ Compensazione - L’importo a credito, in luogo della richiesta di rimborso può essere portato in tutto o in parte a compensazione - a partire dal primo giorno successivo al trimestre di riferimento - con il mod. F24, con utilizzazione dei codici-tributo indicati dalla Nota n. 1999/63239 del 12 aprile 1999 (in “il fisco” n. 17/1999, pag. 5963). IVA - Misuratori fiscali - Assistenza tecnica Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Presentazione: ● Scade il termine per la notifica al Ministero delle finanze delle variazioni dell’organizzazione dei Centri di assistenza tecnica diretta o indiretta, intervenute nel primo trimestre 2000; le variazioni sono operative dalla data della notifica (art. 1, comma 6, D.M. 4 aprile 1990, in “il fisco” n. 26/1990, pag. 4322). al Ministero delle finanze mediante raccomandata. IVA - Acque minerali, bevande e prodotti vinosi - Nuove disposizioni Si segnala che a decorrere dal 24 marzo 2000, data di entrata in vigore del D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 48 (in “il fisco” n. 12/2000, pag. 3407), sono abrogate le disposizioni relative all’applicazione di contrassegni sui contenitori e sui mezzi di chiusura di bevande, acque minerali e prodotti vinosi destinati alla vendita al consumo, e precisamente l’art. 73, secondo comma, ultimo periodo, D.P.R. n. 633/1972, l’art. 3, L. 2 maggio 1976, n. 160, il D.M. 27 agosto 1976 ed il D.M. 4 maggio 1981. Attenzione: fino al 31 dicembre 2000 le imprese possono continuare ad utilizzare i contenitori, i recipienti, gli imballaggi e i mezzi di chiusura cui siano applicati i contrassegni previsti dalla previgente normativa. BOLLO - Assegni circolari - Dichiarazione Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Presentazione: ● Scade il termine per la presentazione, da parte degli istituti di credito, della dichiarazione relativa al primo trimestre 2000 per la liquidazione dell’imposta di bollo sugli assegni circolari (art. 10, Tar. all. A al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642). all’ufficio del registro (ovvero all’Ufficio delle entrate, se già attivato). N.B.: Vedasi il D.M. 27 dicembre 1999 (in “il fisco” n. 4/2000, pag. 1025) per quanto concerne la ripartizione delle competenze degli uffici delle entrate circoscrizionali di Roma. (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). 12/2000 il fisco 3357 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO MODALITÀ BOLLO - Pagamento in modo virtuale - Versamento rata Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Versamento: al Concessionario della riscossione; presso una banca; ● presso un ufficio postale; ● Scade il termine per il versamento della seconda rata bimestrale per i soggetti autorizzati a corrispondere il tributo in modo virtuale, in base alla dichiarazione presentata entro il 31 gennaio scorso (art. 15, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642). ● utilizzando il Mod. F23, approvato con D.M. 17 dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “ il fisco’” n. 3/1999). Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno 1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711). (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). IMPOSTA SULLE ASSICURAZIONI - Versamento mensile Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Versamento: al Concessionario della riscossione; presso una banca; ● presso un ufficio postale, ● Scade il termine per il versamento dell’imposta dovuta sui premi ed accessori incassati nel mese di marzo 2000 nonché gli eventuali conguagli dell’imposta dovuta sui premi ed accessori incassati nel mese di febbraio 2000 (art. 9, L. 29 ottobre 1961, n. 1216, in banca dati “il fiscovideo” ). Vedasi al riguardo la C.M. n. 94/E del 3 aprile 1997 (in “il fisco” n. 15/1997, pag. 4289). ● utilizzando il Mod. F23 approvato con D.M. 17 dicembre 1998 e predisposto anche per i pagamenti in euro (in allegato a “il fisco” n. 3/1999). Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 123/E del 2 giugno 1999 (in “il fisco” n. 26/1999, pag. 8711). (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). ACCISE - Pagamento imposta Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Versamento: ● Scade il termine per il pagamento dell’accisa per i prodotti ad essa soggetti, immessi in consumo nei primi quindici giorni del mese in corso (art. 3, comma 4, testo unico sulle accise, approvato con D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, in banca dati “il fiscovideo” ). Vedasi al riguardo la C.M. n. 80/D del 14 marzo 1997 (in “il fisco” n. 13/1997, pag. 3787). alla Tesoreria provinciale dello Stato. (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). 3358 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO MODALITÀ Restano salve le diverse scadenze relative a specifici prodotti, quali, ad esempio, il gas metano. ACCISE - Gas metano - Versamento rata d’acconto mensile Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Versamento: ● Scade il termine per il versamento della rata di acconto mensile calcolata sulla base dei consumi dell’anno precedente, ai sensi dell’art. 26, comma 8, del testo unico sulle accise, approvato con D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (in banca dati “il fiscovideo”). alla Tesoreria provinciale dello Stato. (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). Si vedano al riguardo le modifiche apportate dall’art. 12, L. 23 dicembre 1999, n. 488 (in allegato a “il fisco” n. 1/2000). Vedasi al riguardo la C.M. n. 1002 del 6 marzo 1997 (in “il fisco” n. 11/1997, pag. 3079) e la C.M. n. 80/D del 14 marzo 1997 (in “il fisco” n. 13/1997, pag. 3787). RIFIUTI - Tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi - Versamento Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Scade il termine per il versamento alle regioni del tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi, relativo alle operazioni di deposito effettuate nel primo trimestre 2000 (art. 3, comma 30, L. 28 dicembre 1995, n. 549, in banca dati “il fiscovideo”; C.M. n. 190/E del 24 luglio 1996, in “il fisco” n. 32/1996, pag. 7808). (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). TOSAP - Versamento annuale e condizioni di rateizzazione Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) In relazione alla facoltà di corrispondere la tassa per l’occupazione spazi - se di importo superiore a lire 500.000 - in quattro rate di uguale importo, senza interessi, con scadenza nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre, scade il termine per il versamento della rata di aprile (art. 50, comma 5-bis, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507). Vedasi quanto disposto dal medesimo comma 5-bis per la rateizzazione relativa alle occupazioni iniziate nel corso dell’anno. (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). 12/2000 il fisco 3359 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO MODALITÀ TASSE AUTOMOBILISTICHE - Rimorchi adibiti al trasporto di cose - Rinnovo Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Versamento: ● presso gli uffici postali; presso i tabaccai, Per i rimorchi adibiti al trasporto di cose scade il termine per il rinnovo del pagamento delle tasse automobilistiche con scadenza nel mese di febbraio 2000 (D.M. 26 gennaio 2000, in “il fisco” n. 6/2000, pag. 1780). con la modulistica di cui al D.M. 7 gennaio 1999 (in “il fisco” n. 4/1999, pag. 1202). Per i suddetti veicoli le tasse sono corrisposte per uno o due periodi fissi quadrimestrali oppure per l’intero anno decorrente dal 1° febbraio. N.B.: Il versamento può essere eseguito presso l’ACI nelle regioni con le quali sono state stipulate le relative convenzioni. ● (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). ANAGRAFE TRIBUTARIA - Dati relativi a contratti di somministrazione di energia elettrica ed a contratti di assicurazione - Comunicazioni Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Presentazione: ● Scade il termine per la comunicazione all’Anagrafe tributaria da parte di aziende, istituti, enti e società, dei dati relativi agli utenti di contratti di somministrazione di energia elettrica e di contratti di assicurazione (esclusa la responsabilità civile) relativi al 1999 [art. 6, comma 1, lettera g-ter), D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, e DD.MM. 28 aprile 1992, in “il fisco” n. 21/1992, pag. 5528 e 5530]. INPS - Contributo alla gestione separata dovuto su taluni redditi di lavoro autonomo - Denuncia trimestrale su supporto cartaceo Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Scade il termine per la presentazione della denuncia trimestrale relativa al primo trimestre 2000, mediante utilizzo del modello di denuncia su supporto cartaceo da presentare, da parte dei committenti di prestazioni soggette al contributo alla gestione separata INPS (vedasi la Circ. INPS n. 171 del 28 luglio 1998, in banca dati “il fiscovideo”). Supporti magnetici - Con Circ. INPS n. 78 del 1° aprile 1999 (in banca dati “il fiscovideo”) è stato chiarito che la denuncia trimestrale mediante supporto magnetico può essere presentata entro il mese successivo rispetto alla scadenza prevista in via ordinaria per la presentazione su supporto cartaceo. all’Anagrafe tributaria, via Mario Carucci, 99 - 00143 Roma, utilizzando la nota di accompagnamento Mod. AA12. 3360 il fisco 12/2000 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO MODALITÀ REVISORI CONTABILI - Contributo annuo - Invio dell’attestazione Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Presentazione: ● Per i revisori contabili iscritti nel registro scade il termine per inviare l’attestazione del versamento del contributo annuo per il 2000 di lire 50.000 con scadenza il 31 gennaio scorso (art. 8, L. 13 maggio 1997, n. 132, in “il fisco” n. 22/1997, pag. 6196). raccomandata al Ministero della giustizia, Direzione Affari civili e libere professioni, Reparto revisori contabili, Via Crescenzio 17, Roma. Si ricorda che i “neorevisori”, iscritti nel 1999, sono tenuti ad effettuare il versamento anche relativamente al 1999 e quindi a trasmettere la relativa attestazione. AMBIENTE - Modello unico di dichiarazione (cosiddetto “MUD”) Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Scade il termine per la presentazione della dichiarazione annuale prevista dall’art. 6, L. 25 gennaio 1994, n. 70, in materia ambientale. Ai sensi dell’art. 7, D.M. 4 agosto 1998, n. 372 (in banca dati “il fiscovideo”), ai fini della compilazione del MUD deve essere utilizzato il manuale di transcodifica allegato al predetto decreto. DIPENDENTI PUBBLICI - Compensi erogati da soggetti pubblici e privati - Denuncia all’amministrazione di appartenenza Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica Per i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli incarichi retribuiti scade il termine per dare comunicazione all’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell’anno precedente (art. 58, comma 1, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, in banca dati “il fiscovideo”). TOSAP E COSAP - Aziende di erogazione di pubblici servizi - Occupazioni con cavi, condutture e impianti - Versamento Termine prorogato a martedì 2 maggio, essendo il giorno 30 aprile domenica (*) Versamento: In unica soluzione su conto corrente postale. Per le aziende di erogazione di pubblici servizi scade il termine per il versamento: - della TOSAP, tassa occupazione spazi ed aree pubbliche di cui agli artt. 46 e 47, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 N.B.: i comuni e le province possono prevedere termini e modalità diverse da quelle predette, inviando apposite comunicazioni alle aziende interessate. 12/2000 il fisco 3361 ATTUALITÀ il fisco Scadenzario tributario aprile 2000 30 DOMENICA segue ADEMPIMENTO - ovvero del COSAP, canone per l’occupazione spazi ed aree pubbliche di cui all’art. 63, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 secondo che l’ente locale abbia deliberato l’applicazione della TOSAP o del COSAP. MODALITÀ (*) Il versamento può essere eseguito fino a martedì 2 maggio, ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 (in banca dati “il fiscovideo”). Il termine è così stabilito dal predetto art. 63, citato D.Lgs. n. 446/1997, come modificato dall’art. 18, L. 23 dicembre 1999, n. 488 (allegato a “il fisco” n. 1/2000) ed è stato ritenuto applicabile anche ai fini della TOSAP (C.M. n. 32/E-FP-31853 del 28 febbraio 2000, in “il fisco” n. 11/2000, pag. 3195). Vedasi, al riguardo, la C.M. n. 247/E del 29 dicembre 1999 (allegata a “il fisco” n. 1/2000). Basta sintonizzarsi su Rai Televideo PAGINE 399 E SEGUENTI per avere tutte le informazioni necessarie sullo SCADENZARIO TRIBUTARIO con gli aggiornamenti predisposti dalla rivista il fisco 3362 il fisco 12/2000 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO Rubrica a cura del Prof. Ivo Caraccioli Ordinario di Istituzioni di diritto penale nell’Università di Torino PROBLEMI E DIBATTITI Dalle “manette agli evasori” alle “manette agli estimatori” di Ivo Caraccioli 1. Il 3 marzo il Consiglio dei Ministri ha definitivamente varato - con importanti modifiche rispetto al contenuto dello schema approvato il 5 gennaio scorso, a seguito delle approfondite critiche contenute nei pareri delle Commissioni parlamentari - il testo del decreto legislativo di riforma del diritto penale tributario (riportato in “il fisco” n. 11/2000, pagg. 3155 e seguenti). Per una volta occorre dare atto al Parlamento di avere svolto una funzione egregia, in quella fase delicatissima che è la comparazione (onde evitare eccessi di delega) tra il contenuto della legge-delega e quello del decreto delegato. Le relazioni sono state di buon livello scientifico ed il dibattito (trasversale ai vari gruppi politici) risulta essere stato sereno e concreto. il fisco 2. Molti altri punti, a mio avviso, avrebbero meritato di essere corretti, ma in questo primo approccio al nuovo testo desidero limitarmi a considerare - siccome foriera di importanti conseguenze operative - la mantenuta presenza del comma 2 dell’art. 7 in tema di “valutazioni”. Qui si volta veramente pagina, perché si passa da un regime di impunità dei giudizi estimativi [dipendente dall’introduzione della formula “fatti materiali” nel vecchio testo dell’art. 4, lettera f), della L. n. 516/82, ad opera della modifica del 1991], ad un sistema di larga e pericolosa responsabilità penale, con conseguenze serie per i professionisti (dato che gli imprenditori avranno buon gioco nel dire che trattasi di compito ad essi demandato istituzionalmente). Mentre il comma 1 dell’art. 7 esclude la rilevanza penale della mera violazione dei criteri di “competenza”, purché essa avvenga sulla base di “metodi costanti”, nonché delle “valutazioni esti- mative” che siano spiegate nel bilancio o nella nota integrativa, il comma 2 (uguale come testo, salvo la parola “ritenute”, a quello dello schema) aggiunge che “in ogni caso, non danno luogo a fatti punibili a norma degli artt. 3 e 4 le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette” (non mi soffermo sull’ulteriore parte del comma, che prevede una “franchigia”). 3. Quale l’interpretazione corretta dell’art. 7? Di questo articolo si può dare una duplice alternativa interpretazione. Secondo una prima interpretazione, occorre distinguere tra valutazioni, per così dire, “spiegate” e “non spiegate”. Le prime non darebbero mai luogo a reato (né di art. 3 né di art. 4). Quanto alle seconde bisognerebbe distinguere a seconda che siano inferiori o superiori al 10 per cento di divergenza: nel primo caso, non ci sarebbe mai reato; nel secondo caso vi potrebbe essere il reato di cui all’art. 3 o quello di cui all’art. 4 a seconda che il giudice ritenga, nei fatti, una condotta di fraudolenza o di mera infedeltà. Tale interpretazione, per così dire “più benevola”, porterebbe peraltro alla conclusione, che non si può dire se sia quella voluta dal legislatore, secondo cui basterebbe al contribuente indicare un qualunque, anche cervellotico e totalmente erroneo criterio di computo del valore per andare esente da responsabilità penale. Anche perché, si deve aggiungere, non viene previsto alcun tipo di sindacato da parte del giudice penale sulla correttezza o meno dei criteri seguiti. Sulla base di una seconda possibile interpretazione “più rigorosa”, invece, si dovrebbe distingue- 12/2000 il fisco 3363 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO razione che il 10 per cento, in certi casi, può essere irrisorio (e gli esempi che vengono alla mente sono tanti) - non finirà con il trasformare la “dichiarazione fraudolenta valutativa” in una sorta di “falso in bilancio valutativo”? [e quali i rapporti, non disciplinati, tra i reati fiscali e l’art. 2621, n. 1), del codice civile?]. re tra le valutazioni inferiori al 10 per cento e quelle superiori al 10 per cento. Le prime non darebbero mai luogo a responsabilità. Le seconde, al contrario, darebbero luogo a responsabilità ex art. 3, ove non siano spiegate e sono quindi idonee ad ostacolare l’accertamento della rappresentazione delle scritture contabili; a responsabilità ex art. 4 se siano spiegate e diano luogo, quindi, a mera infedeltà. Sarà interessante vedere, in pratica, quale delle due tesi verrà adottata dalla giurisprudenza, anche se appare difficile ipotizzare che possa essere accettata un’interpretazione legittimante qualsiasi tipo di “pseudo-spiegazione”. 5. Che dire, poi, della comparazione con chi omette completamente la dichiarazione? Esso è punito assai meno severamente dall’art. 5. Onde si arriva a questa incredibile conclusione: se non si presenta la dichiarazione, si risponde con la reclusione da uno a tre anni; se si presenta la dichiarazione e si viene censurati in ordine alle valutazioni (e quindi per questioni altamente opinabili), si rischia una pena da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione. 6. Ulteriori punti da evidenziare sono i seguenti: - tutte le valutazioni sono “estimative’’, oppure solo una categoria particolare di esse (ad esempio, quelle che non trovano specifici parametri o coefficienti di riferimento nella normativa tributaria)? Lascio ai tecnici la risposta; - “singolarmente considerate” vuol dire che il 10 per cento dev’essere superato per ogni singola voce (magazzino, crediti, eccetera), oppure per “ogni parte di voce” (ad esempio, diverse voci del magazzino?); - chi mai deciderà sulla “correttezza”? (solo il consulente del pubblico ministero od il perito del giudice od anche - come taluno sta sostenendo l’Amministrazione finanziaria, ditalchè non siano “scorrette” quelle valutazioni che non possiedono tale duplice crisma di negatività?); - tale comportamento - a tacere della conside- il fisco 4. Tutto questo vale, comunque, sempre che ci sia il bilancio. Per i contribuenti non tassati in base a bilancio, invece, il rischio penale rimane assurdamente più alto, perché essi non hanno modo di spiegare il criterio seguito e quindi potrebbero comunque rispondere per dichiarazione infedele o per dichiarazione fraudolenta (se venga ritenuto che la valutazione era idonea a nascondere la verità). Il che appare francamente inaccettabile sotto un profilo di giustizia sostanziale e spiegabile soltanto con la volontà del legislatore di trattare più severamente i contribuenti persone giuridiche rispetto ai contribuenti persone fisiche (come si desume anche dagli artt. 13, comma 2, e 19, comma 2). 7. Sono sicuro che da parte del legislatore si obbietterà che tutto può essere risolto alla luce del nuovo art. 15 (“Violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie”), nel senso che i “valutatori” saranno in buona fede per mancanza di dolo specifico di evasione fiscale quante volte abbiano “errato in buona fede” su una norma tributaria ovvero si siano trovati in una situazione di “obbiettiva incertezza” Non attribuirei, tuttavia, eccessiva importanza a tale canone interpretativo - peraltro opportunamente introdotto come criterio generale - dato che nella stragrande maggioranza dei casi di valutazioni estimative non si tratterà tanto di interpretare bene o male una norma, quanto piuttosto di attribuire un dato valore ad elementi di fatto. È, questo, infatti, il concetto di “estimazione”, che si vuole criminalizzare. Inoltre, non saranno certo gli uffici finanziari o la Guardia di finanza a dover decidere questo punto: essi si limiteranno ad inviare gli atti al pubblico ministero, che nella maggior parte dei casi neppure si occuperà dell’errore; la risoluzione verrà, quindi, rimessa al giudice, onde si dovrà comunque subire il processo, magari per poi essere assolti perché la norma era oscura o vi erano obbiettive condizioni di incertezza. 8. Un esame comparativo delle legislazioni penaltributarie degli altri Paesi dell’Unione europea mette in luce che solo in alcune di esse (poche) le valutazioni sono punibili, e comunque sempre in un quadro di particolare artificiosità. Né si dimentichi che altrove esistono dei sistemi di tax ruling assai più efficaci che non il (limitatissimo) nostro; oppure sono previsti dei “filtri” perché non tutto finisca davanti al giudice penale. Era proprio il caso di mantenere siffatto profilo di rigidità repressiva in un settore tanto difficile e dai confini così imprecisi? Poiché la norma è stata introdotta, occorre, peraltro, dedicare il massimo sforzo interpretativo alla creazione di una “casistica”, che possa in qualche modo risultare convincente per la magistratura ed introdurre quindi dei “paletti” di confine, che facciano argine ad una responsabilità penale potenzialmente amplissima. Penso si possa affermare, forse con una punta di malizia, che si è passati dalle “manette agli evasori” alle “manette agli estimatori”. 3364 il fisco 12/2000 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO Francia - La transazione con il Fisco Aspetti legali e operativi di Thierry Lambert Professore nell’Università di Paris XIII Direttore del “Centro di studi e ricerche amministrative e politiche” (CERAP) Relazione tenuta al Convegno (Milano 5 marzo 1999) su “La definizione transattiva delle sentenze tributarie in Italia e nell’Unione europea. Normativa vigente e prospettive di armonizzazione”, organizzato dalla Direzione regionale delle Entrate per la Lombardia, dalla Rivista “il fisco” e dal “Centro di diritto penale tributario” (Torino), presso il Centro congressi Cariplo. La traduzione in italiano risente inevitabilmente della difformità di linguaggio giuridico tra la lingua italiana e quella francese, ma è stata curata con la massima possibile attenzione. Si prega di scusare eventuali inconvenienti. (1) Avis 27 febbraio 1868; CE Dic. 1887, Eveque de Moulins; CE 18 maggio 1877, Banque de France, CE 17 marzo 1893, Chemins de fer contre Ministre de la guerre, concl. ROMIEU, Rec., pag. 245. (2) M. Hauriou, Précis de droit administratif et de droit public, Recueil Sirey, 8ème édition, 1914, pag. 909. (3) G. Lerouge, Théorie de la fraude fiscale, LGDJ, 1944, pagg 94 e seguenti. il fisco I contendenti di una lite possono accordarsi almeno su un punto: regolare la vertenza con un mezzo diverso dal processo il quale, per lo più, sarà lungo, oneroso e con risultato aleatorio. La transazione è un mezzo per concludere velocemente una vertenza con condizioni accettabili per entrambe le parti. L’art. 2044 del codice civile recita: “La transazione è un contratto mediante il quale le parti concludono una lite esistente o impediscono il nascere di una lite. Tale contratto deve essere redatto in forma scritta”. Da molto tempo, il Consiglio di Stato ha posto come principio che nessuna disposizione legislativa o regolamentare proibisce allo Stato di giungere ad una transazione (1); il che ha fatto dire al presidente Hauriou: “Lo Stato può anche transigere sui diritti di potere pubblico; è altrettanto vero che affinché un’operazione di potere pubblico possa essere oggetto di transazione bisogna che essa sia sinallagmatica” (2). La Corte di Cassazione, con sentenza del 30 giugno 1820, ha riconosciuto un diritto di transazione in materia doganale (3), la cui conseguenza pratica fu di considerare che questa procedura poneva termine alle liti a favore dell’Amministrazione che “è l’unica a potere tenere conto dell’intenzione di frode e dei rischi ai danni dell’Erario” (4). Nel campo doganale, oggi, la transazione viene molto utilizzata in quanto essa permette di ricorrere al contratto ed in quanto essa restituisce al trasgressore la facoltà di dialogare con l’Amministrazione (5). In materia di controversie fiscali il ricorso alle transazioni è importante. Secondo i dati del Consiglio di Stato, nel 1993, ogni anno (6) ci sarebbero tra 15.000 e 20.000 transazioni fiscali, alle quali si aggiungono le decisioni favorevoli che permettono all’Amministrazione di sgravare o di diminuire le imposte e le sanzioni. Per avere un’idea completa su quest’argomento bisognerebbe sapere qual è la posta in gioco nel campo finanziario ma, da questo punto di vista, l’Amministrazione non dà sufficienti informazioni. Tutti concordano sul fatto che in materia fiscale la transazione è una convenzione tra l’Amministrazione e il contribuente per diminuire le sanzioni fiscali o le maggiorazioni fiscali quando esse non sono definitive. È necessario esaminare le condizioni che permettono di concludere una transazione prima di esaminarne gli effetti. I. Concludere una transazione Richiedere una transazione è una cosa, portarla a termine un’altra. La convenzione liberamente pattuita ed accettata dalle parti sigilla un compromesso accettabile per tutti. La transazione pre- (4) C. Caussade, Face au fisc, Ed. de la Côte auxiliaire, 1927, pag. 279. (5) C.J. Berr, H. Tremeau, Le droit douanier, communautaire et national, Economica, collana: “Droit des affaires et de l’entreprise”, IV ed., 1977, pag. 571. Per un paragone molto illustrativo tra diritto doganale e diritto fiscale, vd. B. Neel, Les pénalités fiscales et douanières, Economica, collana: “Finances publiques”, 1989, pag. 424. (6) Sezione rapporto e studi del Consiglio di Stato, Régler autrement les conflits: Conciliation, transaction, arbitrage en matière administrative, La documentation française, 1993, pag. 65. 12/2000 il fisco 3365 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO suppone un perfetto accordo di volontà. Potrà essere conclusa prima o dopo l’esazione delle imposte su iniziativa sia dell’Amministrazione sia del contribuente. Si tratta di una questione di opportunità, dato che ogni caso è particolare e presenta una moltitudine di questioni diverse. Quando una grande impresa chiede una procedura di transazione, in seguito ad una verifica dei conti, è per lo meno eccessivo pensare che le transazioni siano “convenzioni mediante le quali i contribuenti si impegnano a sposare il punto di vista dell’Amministrazione” (7), in particolare perché gli amministratori conoscono perfettamente la transazione come mezzo di trattativa di una controversia con l’Amministrazione fiscale. Per le altre imprese, più piccole, o per le persone fisiche troppo deboli per trattare, la transazione può diventare un vantaggio per l’Amministrazione. Questa procedura non viene imposta a nessuno. Una procedura contenziosa sarebbe più vantaggiosa o no? A) Esame (7) G. Tixier, G. Gest, Manuel de droit fiscal, LGDJ 4ème édition, 1986, pag. 328. Nello stesso senso J.C. Ricci, Le pouvoir discrétionnaire de l’Administration fiscale, presses Universitaires d’Aix-Marseille, 1977, pagg. 337 e seguenti. (8) Art. R 247-8 e 9 du Livre des procédures fiscales. (9) Cass. Com. 29 aprile 1997, affaire Ferreira, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1997, 6, comm. 641, note Y. Brard, JCP, 1997, éd. E, n. 38, II, 990. (10) Art. 1840 N quater del codice generale delle imposte nella sua versione in vigore in questo periodo. il fisco L’ufficio delle imposte competente per le imposte controverse attiva la transazione. L’istruzione e la conclusione della transazione sono compiute nell’ambito normale della delega di firma in via amichevole (8). Il principio di una transazione può essere proposto dall’Amministrazione fiscale al contribuente, ma questi deve dare accettazione espressa perché la procedura possa essere avviata. L’Amministrazione ha scelto la procedura della transazione, per esempio, per regolamentare il contenzioso delle sanzioni in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione Ferreira in data 29 aprile 1997 (9). Secondo la Corte, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che un sistema di maggiorazione dell’imposta, in questo caso una pena pecuniaria del 200 per cento per la mancanza del bollo dell’automobile (10), era compatibile con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e di salvaguardia delle libertà fondamentali, dal momento che il contribuente poteva adire un Tribunale che gli offriva le garanzie previste in tale Convenzione contro la decisione presa nei suoi confronti. Posto che questa garanzia era stata negata al contribuente, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza del Tribunale di primo grado che lo aveva condannato al pagamento di sanzioni per mancanza del bollo. Per arginare il flusso contenzioso che ha seguito questa decisione che verteva sul quantum delle sanzioni, l’Amministrazione ha scelto di privilegiare la via della transazione per risolvere le controversie. Ma l’Amministrazione ha voluto far sapere ai contribuenti interessati che la proposta transazionale era fatta in via amichevole, per risparmiare il costo di una controversia e nel caso in cui il contribuente adisse il giudice l’Amministrazione stessa conservava il diritto di chiedere l’applicazione di un quantum superiore a quello indicato nella proposta di transazione. Infine, l’Amministrazione scartava qualsiasi progetto di transazione quando l’ammontare della condanna era di poco rilievo (11). In altri termini, la transazione era possibile per i proprietari di veicoli con una potenza fiscale elevata, ma non per chi aveva veicoli con pochi cavalli, anche se viaggiavano sia gli uni che gli altri senza bollo. Molto di rado l’Amministrazione viene messa a confronto con un contenzioso di massa riguardante le sanzioni. Scegliendo la transazione, essa adatta l’ammontare delle sanzioni alla figura del contribuente, basandosi, in particolare, su elementi relativi alla sua situazione patrimoniale e finanziaria. Così, la sanzione non punisce più solo la mancanza del bollo, ma anche il comportamento tributario complessivo del contribuente. La richiesta di transazione viene, il più delle volte, dal contribuente che è oggetto di un controllo. Da un punto di vista formale, questa richiesta deve essere firmata dal richiedente o dal suo rappresentante legale e deve contenere informazioni che permettano di identificare con precisione la base dell’imposta e le relative sanzioni. È importante notare - quale fatto eccezionale in materia di procedura fiscale - che, di solito, le richieste di transazione non sono mai respinte per vizio formale. Normalmente, in tale caso, l’Amministrazione chiede di regolarizzare ed i contribuenti aderiscono. L’istruzione della proposta deve essere fatta dai servizi incaricati di stabilire la base imponibile e di recuperare l’imposta. La Direzione generale delle imposte, incaricata di stabilire la base imponibile, analizza i fatti costitutivi dell’infrazione, le false dichiarazioni e le dichiarazioni incomplete; valuta l’importanza del danno cagionato all’Erario. L’Amministrazione può quantificare il beneficio tratto o scontato dal contribuente. Ciò viene agevolato dal fatto che alla fine del controllo fiscale ha notificato le rettifiche, ha fatto il calcolo dei diritti e delle sanzioni dovuti dal contribuente. Questi risultati strettamente aritmetici vengono temperati dal parere dei servizi incarica- (11) È il caso delle pene pecuniarie per mancanza del bollo per i veicoli di meno 16 CV. 3366 il fisco 12/2000 (12) J.J. Bienvenu, T. Lambert, Droit fiscal, Puf, Coll. “Droit fondamental”, 2ème éd., 1997, pagg. 168 e seguenti. (13) T. Lambert, Contrôle fiscal. Droit et pratique, Puf, Collection “Droit fondamental”, 2ème éd., 1998, pagg. 44 e seguenti. (14) P. Borras, A. Garay, Le contentieux du recouvrement fiscal, LGDJ, Collection “Systèmes Droit Public”, 1993, pagg. 13 e seguenti. dell’imposta, della riscossione. Si tratta, da parte dell’Amministrazione, di dare un parere globale, senza omettere nulla su un contribuente. B) Gli elementi del contratto il fisco ti del controllo sulla responsabilità del contribuente secondo la sua più o meno buona fede. Se è colpevole di manovre fraudolente, di atti anomali di gestione o di abuso di diritto (12), tutti atti che dimostrano un’intenzione fraudolenta, la Direzione generale delle imposte sarà poco propensa a dare un esito favorevole alla proposta di transazione. Essa si comporterà diversamente in caso di buona fede del contribuente e di violazioni di poco conto. L’Amministrazione finanziaria prenderà in esame i precedenti del contribuente, in particolare per quel che riguarda i suoi obblighi di dichiarazione e le procedure contenziose e non di cui è oggetto. Infine, l’esame accurato del fascicolo del contribuente, persona giuridica o fisica, chiarirà per l’Amministrazione la sua situazione patrimoniale e finanziaria. Se occorre, per avere più ampie informazioni, l’Amministrazione potrà usare del diritto di informazione nei confronti di terzi secondo le disposizioni di cui agli artt. 81 e seguenti del Livre des procédures fiscales (13). I servizi contabili, incaricati del recupero delle varie imposte, devono anch’essi fornire un parere circostanziato sul comportamento fiscale del contribuente per le imposte già applicate. In tale prospettiva, essi menzioneranno i precedenti del richiedente in materia di pagamento, in particolare diranno se ha già beneficiato di transazione o di proroghe di scadenze per pagare il suo debito tributario. La puntualità nel pagamento delle imposte, in particolare quello relativo a sanzioni per il pagamento delle quali la transazione è stata chiesta, costituisce un valido elemento di giudizio. Allo stesso modo, si opererà a riguardo di obblighi legali formali, per esempio concernenti lo stato del deposito delle ricevute delle imposte sulle società per le persone giuridiche od ancora un arretrato notevole nel pagamento delle imposte: questi sono tutti elementi che possono rendere aleatoria la conclusione della transazione. I commercialisti devono inoltre dare un parere su quelle che sembrano loro essere le possibilità reali di pagamento del contribuente. I servizi per il recupero delle imposte, ossia i servizi dell’Erario (14), potranno ugualmente, dare il loro consenso per dilazioni globali di pagamento, chiedere garanzie per tutelare il credito tributario, fissare le scadenze ed il loro ammontare. L’istruzione di una domanda di transazione non si può fare senza una stretta collaborazione tra i servizi incaricati di stabilire la base dell’imposta e delle sanzioni ed i servizi incaricati del recupero DIRITTO PENALE TRIBUTARIO Conformemente alle disposizioni dell’art. L 247-3° del Livre des procédures fiscales, la transazione può esistere solo nei casi in cui le infrazioni constatate implichino una pena pecuniaria fiscale o una maggiorazione (15), a patto che queste sanzioni non siano definitive. Non possono essere oggetto di transazione, rimessa o diminuzione, presso l’Amministrazione, le sanzioni pecuniarie penali pronunciate dai Tribunali penali. La domanda di grazia deve essere presentata presso l’Autorità giudiziaria, che può decidere se dare o meno un esito favorevole. La transazione può solo vertere su sanzioni. Da questo punto di vista, l’interesse di mora (16) la cui funzione, si dice, è di compensare il danno fatto all’Erario per via di un pagamento in ritardo o di un pagamento insufficiente, non ha il carattere di sanzione penale o di “maggiorazione” nel senso dell’art. L 247-3° di cui sopra. Di conseguenza, l’interesse di mora non può essere oggetto di transazione per il motivo che non è una vera sanzione. Il punto merita di essere discusso, e certi parlamentari ne sono preoccupati (17), perché il tasso mensile dell’interesse di mora viene fissato allo 0,75 per cento, ossia il 9 per cento annuo, mentre il tasso d’incremento dei prezzi è stato, rispettivamente, dell’1,2 per cento nel 1997 e dell’1,4 per cento nel 1998. In tali condizioni, siamo propensi a pensare che l’interesse di mora costituisce una vera sanzione pecuniaria che, come altre, potrebbe essere oggetto di transazione. L’Amministrazione esamina caso per caso le sanzioni che vengono rimesse e quelle che sono mantenute. Le riduzioni dovute a transazione rispettano la gerarchia delle sanzioni istituite dal legislatore in funzione della gravità delle infrazioni constatate. Viene escluso che una transazione conduca, per esempio, a trattare meglio un contribuente che non dichiara mai le imposte o la cui mala fede è accertata rispetto ad un trasgressore di buona fede. Altrimenti la transazione sarebbe fonte d’ingiustizia e d’iniquità. Il Consiglio di Stato fissa come principio che una transazione che verte sulle sanzioni deve essere considerata come conclusa a partire dal momento in cui viene accettata dal contribuente ed approvata (15) T. Lambert, Contrôle fiscal. Droit et pratique, op. cit., pagg. 193 e seguenti. (16) Art. 1727 del Codice generale delle imposte. (17) Per esempio, domande scritte n. 22611 a cura di D. Paille, n. 23401 a cura di D. Boissière, “Journal Officiel Assemblée Nationale”, 22 febbraio 1999, pag. 1064. 12/2000 il fisco 3367 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO (18) CE 4 maggio 1988, nn. 58991, 59139, 59198 e 60054, conclusioni O. Fouquet, Les petites affiches, 1988, 127, pagg. 14 e seguenti. (19) CE, 12 dicembre 1990, nn. 112316-61 643, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1991, 2, comm. 217. il fisco dall’autorità competente (18). Ma prima della sua formalizzazione e stipulazione contrattuale, la transazione viene discussa oralmente. La natura dei dibattiti e la qualità degli argomenti sono elementi che sfuggono all’osservatore. Quando un accordo sembra sul punto di essere raggiunto, l’Amministrazione propone il contratto al contribuente che, dopo un tempo di riflessione, lo può rifiutare, lo può accettare o può cercare di ritrattarlo. La proposta amministrativa viene inoltrata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. L’Amministrazione per evitare ogni genere di ambiguità, che potrebbe dar luogo a contenzioso, indica l’ammontare dell’imposta principale così come l’ammontare delle sanzioni accessorie che verranno richieste al contribuente se egli accetta la proposta di transazione. Il contribuente dispone di un periodo di trenta giorni per far conoscere la sua decisione, a partire dal ricevimento della notifica della proposta di transazione. In caso di rifiuto da parte sua, senza proposta alternativa, l’Amministrazione rinuncerà ad ogni prospettiva di transazione. Se egli accetta la proposta, la transazione viene conclusa e sarà confermata tramite lettera dell’Amministrazione, con una copia del contratto. Se il contribuente accompagna il suo rifiuto con osservazioni, l’Amministrazione può sia confermare la sua proposta iniziale, sia modificarla inserendo elementi nuovi forniti dal contribuente. Non esiste transazione quando il rappresentante dell’Amministrazione non risponde ad osservazioni scritte fatte dal contribuente, nell’ambito della trattativa, anche se il direttore dei servizi tributari ha ridotto le sanzioni applicabili al contribuente (19). Nel primo caso, un nuovo rifiuto da parte del contribuente ha valore di rifiuto puro e semplice della transazione proposta. Nel secondo caso, l’Amministrazione avanza una nuova proposta alla quale il contribuente deve rispondere entro dieci giorni. In mancanza di accordo, questa nuova proposta viene considerata come inesistente; di conseguenza, la procedura riprende il suo corso normale come nel caso di rifiuto puro e semplice. Non si può escludere che un contribuente, che ha rifiutato una proposta di transazione, instauri la controversia dinanzi al Tribunale amministrativo con la speranza di risultati migliori. L’art. L 251-al. 2 del Livre des Procédures fiscales dispone in proposito: “nel caso in cui il contribuente rifiuti la transazione a lui proposta dall’Amministrazione e si instauri la controversia dinanzi al tribunale competente esso fissa, nello stesso tempo, il tasso delle maggiorazioni o delle sanzioni e la base dell’imposta”. Ciò significa che il Tribunale ammini- strativo, quando viene adito per conclusioni in proposito, deve fissare il tasso delle maggiorazioni o sanzioni applicabili. In tale ipotesi, la giurisdizione amministrativa può solo mantenere il tasso legale delle maggiorazioni o sanzioni perché non ha la competenza per diminuirle in via amichevole. Invece, può benissimo decidere quale sanzione sarà legalmente dovuta tenendo conto della buona o della mala fede del contribuente. La notifica delle proposte di transazione può essere fatta tramite agenti di fascia “A” (ispettori, ispettori principali, direttori, eccetera), e con certe condizioni da agenti di fascia “B” (controllori delle imposte, eccetera) ed anche di fascia “C” (agenti che stabiliscono la base dell’imposta, eccetera). Inoltre, un superiore gerarchico può fare proposte di transazione al posto di uno dei suoi subordinati. Di conseguenza, il direttore generale delle imposte ed il Ministro del tesoro possono trattare transazioni che, da un punto di vista formale, saranno notificate al contribuente dal direttore dei servizi fiscali territorialmente competente. Quando la transazione è di competenza del direttore generale delle imposte o del Ministro, può essere effettuata solo previo avviso del Comitato del contenzioso tributario doganale e dei cambi. Il contribuente può fare osservazioni scritte od orali presso questo Comitato composto da consiglieri del Consiglio di Stato, della Corte di Cassazione e della Corte dei conti. Ovviamente, a questo livello, la trattativa comporta numerosi punti in discussione che non possono essere ridotti a soli aspetti fiscali. Infine, nel quadro di una decentralizzazione dei poteri l’art. R 247-9 del Livre des procédures fiscales autorizza i direttori dei servizi fiscali ed i direttori regionali a delegare i poteri decisionali agli agenti che si trovano sotto la loro autorità, secondo condizioni fissate dal direttore generale delle imposte (20). II. Gli effetti della transazione definitiva Una transazione può sempre essere conclusa fino a quando la tassazione non è definitiva. Le sanzioni e le imposizioni principali non sono definitive quando i limiti per un ricorso contenzioso non sono arrivati a termine o quando l’istruzione amministrativa o giurisdizionale della lite che oppone il contribuente all’Amministrazione non è oggetto di decisione irrevocabile. Ma, una volta conclusa la transazione, il contribuente non può più contestare né i diritti in via principale né le (20) Con una decisione del direttore generale delle imposte in data 5 dicembre 1991, i vicedirettori dipartimentali ed ispettori principali possono prendere delle decisioni entro un limite di 150 000 F; i capi del centro delle imposte, gli esattori delle imposte, i conservatori di ipoteche entro il limite di 50 000 F; gli agenti di fascia “B” (controllori, eccetera) entro un limite di 30 000 F e gli agenti di categoria “C” incaricati della gestione delle entrate locali con competenza allargata fino a 30 000 F (fonte: DB 13 S-26 in data 30 giugno 1993). 3368 il fisco 12/2000 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO sanzioni di base imponibile mantenute, oggetto della transazione ed accettate dalle parti. Allo stesso modo, l’Amministrazione non può più contestare una transazione conclusa per un’omissione da loro commessa (21). Una sentenza del Consiglio di Stato ha stabilito che il carattere definitivo della transazione proibiva la sua conclusione o la sua impugnazione anche quando l’errore veniva invocato (22). La conclusione di una transazione implica l’abbandono reciproco delle istanze contenziose in corso. Questo punto è molto importante perché le parti, per diverse ragioni, non hanno sempre interesse a chiedere al giudice di decidere la loro lite. Infine, l’Amministrazione non può chiedere somme superiori a quelle richieste nella transazione. Da parte sua, il contribuente si impegna a pagare la totalità del suo debito tributario, i diritti in via principale e le sanzioni mantenute, sia immediatamente, sia rispettando scadenze concordate con i servizi incaricati del recupero. A) Le condizioni per la transazione definitiva (21) CE 14 novembre 1990, n. 69875, Cyel, nota X, “Bulletin de gestion fiscale de l’entreprise”, 1990, 24, pag. 11, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1991, comm. 110. (22) CE 9 novembre 1972, n. 80514, Società Age-France, “Recueil de jurisprudence fiscale”, 1972, IV, pag. 97. (23) J.P. Chevalier, La relativité de chose jugée dans le contentieux fiscal, Puf, 1975, pag. 24. (24) Cass. crim. 24 aprile 1971, “Recueil de jurisprudence fiscale”, IV, pag. 208; CE 26 marzo 1980, n. 11988, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1980, pag. 283. il fisco Possiamo dire che la transazione è una procedura non giurisdizionale il cui oggetto è di porre fine alla lite e che quindi instaura “una situazione simile a quella creata dall’autorità del giudicato” (23). Il vecchio art. 1965 H 2 del codice generale delle imposte aveva il vantaggio di essere semplice: “la transazione eseguita dal contribuente ed approvata dall’autorità competente è definitiva, quanto ai diritti e alle sanzioni ed impedisce qualsiasi introduzione o ripresa di una procedura contenziosa”. Dall’attuale comma primo dell’art. L 251 del Livre des procédures fiscales possiamo dedurre che la transazione costituisce una convenzione definitiva solo se è stata, da una parte, approvata dall’autorità competente, e d’altra parte, eseguita dal contribuente. È indispensabile che i due elementi sussistano entrambi perché la transazione abbia un carattere definitivo. Non ci deve essere né ambiguità né confusione quando la procedura transattiva viene messa in atto. In nessun caso, il semplice fatto, di un contribuente, che accetta le rettifiche che gli sono state notificate, può essere considerato come una transazione ai sensi degli artt. L 247 e seguenti del Livre des Procédures fiscales (24). A volte le parole sono ingannevoli perché un contribuente può parlare in buona fede di “transazione” perché gli sembra di aver concordato su rettifiche e sanzioni con il verificatore, mentre, in fatto ed in diritto, si trovava semplicemente in una situazione di procedura contraddittoria che consentiva un dibattito orale ed uno scambio di argomenti (25). In pratica, il verificatore può rinunciare a certe rettifiche, applicare sanzioni minori rispetto a quelle dovute per far meglio accettare altre sanzioni alle quali tiene di più. Qui si tratta di concessioni, di accomodamenti, di elementi di trattativa che non possono essere considerati, da un punto di vista strettamente giuridico, come transazioni. Nella fase dei negoziati tra il contribuente ed il rappresentante dell’Amministrazione, è possibile che il contribuente eserciti pienamente i suoi diritti perché la convenzione prevista non sia definitivamente conclusa né realizzata. La richiesta di transazione da parte del contribuente non ha l’effetto di interrompere una procedura di controllo fiscale. Di conseguenza, il verificatore potrà rispondere alle osservazioni del contribuente od ancora inoltrare una lettera di motivazione delle sanzioni. Il verificatore si limiterà a precisare, su tali documenti, per conoscenza, che una richiesta di transazione è in corso d’istruzione. Così facendo, il verificatore protegge i diritti dell’Erario e può così fare apprezzare meglio al contribuente il suo interesse a concludere velocemente una transazione. È anche stato deciso che una proposta di transazione notificata dal verificatore al contribuente e accettata da quest’ultimo, ma non approvata dal direttore dei servizi fiscali competente non impedisce all’Amministrazione di notificare nuove rettifiche prima della scadenza del limite di prescrizione (26). Nello stesso spirito e per la stessa ragione, nulla impedisce che l’Amministrazione avvii una procedura diretta a far esercitare l’azione pubblica e faccia applicare la sanzione penale delle infrazioni considerate, ovvero l’incarcerazione del contribuente (27). Una transazione è definitiva dopo la notifica al contribuente del progetto di convenzione, da lui firmata ed approvata dall’autorità competente. Il Consiglio di Stato ha convalidato questo punto di vista in una causa in cui le parti erano d’accordo su un ammontare di sanzioni transazionali di 190 000 F, ma, in seguito ad un errore materiale, la somma di 190 F è stata scritta sulla convenzione firmata da entrambe le parti. Essa è stata giudicata, dall’Alta assemblea, come se fosse una transa(25) T. Lambert, Contrôle fiscal. Droit et pratique, op. cit., pagg. 109 e seguenti. (26) CE 11 luglio 1973, n. 81913, conclusioni Delmas Marsalet, Droit Fiscal, 1974, comm. 1084. (27) TGI de Lyon, 27 gennaio 1972, “Recueil de jurisprudence fiscale”, IV, pag. 167. 12/2000 il fisco 3369 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO (28) CE 28 settembre 1983, n. 11513, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1983, 11, comm. 1398, cronica di M. Guillenchmit, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1984, 1, pagg. 2 e seguenti. Confermato in particolare dal CE 15 maggio 1991, n. 76979, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1991, 7, comm. 997. (29) CAA Plen. Leone, 26 gennaio 1990, n. 1663, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1990, 12, comm. 1536. (30) CE 4 maggio 1988, nn. 59198-60054-58991-59139, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1988, 6, comm. 793. B) Gli effetti sulle procedure contenziose il fisco zione definitiva, il che attirò commenti ironici da parte di osservatori oculati che hanno considerato che “i contribuenti si rallegreranno e l’Amministrazione raddoppierà la vigilanza ...” (28). A volte succede che il contribuente non rispetti gli impegni che ha sottoscritto in piena libertà. Quindi, per non essere stata eseguita, una transazione non è definitiva e nulla impedisce allora all’Amministrazione di ricorrere alla via contenziosa per il recupero dell’imposta e delle sanzioni fiscali in questione. Gli uffici delle imposte e quelli incaricati della riscossione delle somme sorvegliano la buona esecuzione della transazione. In particolare, il contribuente può non rispettare i termini di pagamento, pagare una parte del suo debito, depositare il bilancio. In quest’ultima ipotesi, il credito fiscale deve essere dichiarato nella sua totalità al passivo della procedura. Il revisore pubblico deve controllare la buona esecuzione delle clausole della transazione. In caso di insolvenza del contribuente, egli deve subito informare l’ufficio delle imposte, firmatario della convenzione. Esso notifica al contribuente la caducità della transazione e lo informa sulle conseguenze. Quanto al revisore, egli cercherà di recuperare l’integralità delle somme legalmente dovute. In tali condizioni, una trattativa per una nuova transazione è poco probabile, anche se possibile; invece non è da escludere la scelta di una nuova scadenza per il pagamento del debito. L’interesse dell’Erario è di incassare, se possibile velocemente, le imposte, sanzioni e pene pecuniarie ancora dovute dal contribuente. Inoltre, gli uffici della riscossione potranno prendere ogni misura necessaria per la garanzia del recupero dell’ammontare dovuto ed, in particolare, per conservare il privilegio dell’Erario. Non si può del tutto escludere che un contribuente per diverse ragioni cambi il suo parere e la sua strategia. Firmando una convenzione di transazione, egli rinuncia ad ogni prospettiva contenziosa, ma se non esegue - o non esegue più - il contratto, nulla gli impedisce di adottare la strada contenziosa per rimettere in causa sia i diritti principali sia le sanzioni contestate (29). A volte, il ricorso ad un nuovo parere non è estraneo a tale cambiamento di intenzione. Una transazione che non è stata eseguita dal contribuente è inopponibile non solo all’Amministrazione ma anche al contribuente (30). Un contribuente può avere trattato e concluso una transazione con un’Amministrazione diversa dalla Direzione generale delle imposte. In proposito, è stato deciso che un contribuente non possa sostenere che la transazione conclusa con la Direzione generale del commercio nazionale e dei prezzi, in seguito ad una infrazione alla legislazione economica, ostacoli il proseguimento della procedura contenziosa (31). Una convenzione di transazione siglata con quest’ultima è inopponibile all’Amministrazione fiscale, anche se le due Direzioni appartengono allo stesso Ministero. È la stessa cosa quanto a transazioni firmate con la Direzione generale delle dogane e delle imposte indirette o con quelle concluse con la Direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione delle frodi. Il principio dell’art. L 251 del Livre des procédures fiscales è semplice: la transazione definitiva impedisce qualsiasi introduzione o ripresa di una procedura contenziosa. Di conseguenza, la transazione si oppone all’esame tramite la giurisdizione contenziosa d’ogni questione relativa alla fondatezza dei diritti e delle sanzioni, oggetto della convenzione. Se la transazione viene firmata mentre un’azione contenziosa è in corso sia in ordine ai diritti principali sia sulle sanzioni, essa pone fine alla lite e sopprime qualsiasi possibilità di avviamento di azione contenziosa ulteriore. Secondo il parere del Consiglio di Stato espresso in più riprese, dopo una transazione tra l’Amministrazione ed il contribuente, dove quest’ultimo ha introdotto l’istanza ed eseguito la transazione, l’istanza rimane senza oggetto e il giudice non può fare altro che pronunciare un’ordinanza di non luogo a procedere (32). La situazione così creata dalla transazione ci invita a fare tre osservazioni. La prima è che, dopo l’esecuzione di una transazione definitiva, il contribuente non può più fare una richiesta contenziosa presso il direttore dei servizi fiscali, né introdurre un’istanza presso i Tribunali amministrativi o giudiziari. La seconda, corollario della precedente, consiste nel fatto che l’Amministrazione non può più adire le giurisdizioni amministrative o giudiziarie. La terza: le richieste od istanze in corso sono diventate senza oggetto. Si può concludere una transazione dopo l’introduzione di un ricorso contro una sentenza resa dal Tribunale amministrativo. Ma appena la convenzione è resa definiti- (31) CE 6 gennaio 1986, n. 42182, conclusioni O. Fouquet, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1986, 2, pagg. 77 e seguenti. (32) CE 11 luglio 1983, n. 32256, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1983, 10, comm. 1218; CE 6 gennaio 1984, n. 21005, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1984, 3, comm. 383; CE 1° ottobre 1986, n. 45374, “Revue de jurisprudence fiscale”, 1986, 11, comm. 1035. 3370 il fisco 12/2000 (33) CE 17 novembre 1977, n. 75177, Lebon, pag. 583. (34) CE 14 ottobre 1951, n. 46211, Lebon, pag. 463. il fisco va dalle parti non è più possibile procedere (33). Il Consiglio di Stato ha fissato come principio che la transazione ha “l’autorità del giudicato sia per i diritti sia per le sanzioni” (34), a patto che essa sia stata fatta legalmente ed eseguita dal contribuente. L’Alta assemblea ne trae come conseguenza che, se la procedura di imposizione eseguita prima della transazione è viziata da gravi irregolarità, non si può censurare l’azione amministrativa a patto che essa rispetti i termini della transazione (35). Tale orientamento sorprende per il fatto di essere praticato dalla giustizia amministrativa, in genere molto attaccata al rispetto delle forme e dei riti. È difficile accettare che la transazione possa dispensare l’Amministrazione dal rispetto delle regole di diritto relative alle imposte. Una transazione definitiva implica, da parte del contribuente, una rinuncia a richiedere la restituzione di diritti già acquisiti. Per questo è irricevibile la richiesta per ottenere il rimborso di diritti acquisiti in applicazione della transazione. Ma approfondiamo il punto. Supponiamo che tali diritti non fossero dovuti, e che il contribuente abbia sbagliato chiedendo una transazione: tale circostanza non potrebbe rendere ricevibile l’istanza di restituzione (36). In altre parole, spetta al contribuente verificare tutti gli elementi del contratto, prima di accettarlo. Tuttavia, se appare che una transazione definitiva è stata concessa su sanzioni relative ad una imposizione successivamente riconosciuta come soprattassata, da una parte l’Amministrazione può renderla neutra mediante uno sgravio o una restituzione d’ufficio, d’altra parte “si può pensare ad una revisione della sanzione fissata tramite la transazione” (37). Peraltro, è questo ciò che farà l’Amministrazione, visto che concluderà in quest’occasione una nuova transazione col contribuente. C’è un profilo fiscale da non trascurare quando la transazione si fa in corso d’istanza presso una giurisdizione amministrativa. Gli interessi di mora al tasso legale (38) di cui all’art. L 209 del Livres des procédures fiscales, si applicano sulle somme rimaste a carico del contribuente, dal primo giorno del tredicesimo mese seguente a quello del recupero fino alla data del pagamento effettivo. La maggiorazione del 10 per cento per pagamento in DIRITTO PENALE TRIBUTARIO ritardo, prevista all’art. 1761-1 del codice generale delle imposte, è ugualmente applicabile ad ogni ammontare rimasto a carico del contribuente e non saldato alla data limite di pagamento. Queste disposizioni si applicano anche in caso di desistenza dall’azione giudiziaria. Si tratta, come per l’interesse di mora applicato dai servizi che calcolano la base dell’imponibile, di risarcire il prezzo del tempo quanto al pagamento effettivo del credito fiscale presso i servizi di riscossione. La dottrina della contabilità pubblica è abbastanza conciliante quando la transazione si fa in corso d’istanza presso la giurisdizione amministrativa (39). Infatti, essa consiglia di istruire con benevolenza la rimessa volontaria della maggiorazione del 10 per cento, come lo fa peraltro in caso di transazione, senza che un contenzioso sia stato avviato presso il Tribunale amministrativo. Invece, essa è meno comprensiva di fronte ad interessi di mora che verrebbero, secondo il suo punto di vista, a compensare il danno finanziario causato all’Erario e che sarebbero dovuti ad un incasso differito delle imposte. Questo aspetto finanziario è tale da invogliare i contribuenti a ricercare una transazione il più presto possibile in seguito alla risposta dell’Amministrazione ad osservazioni che seguono la notifica di rettifiche. L’ultimo punto è quello del ruolo della transazione quando l’Amministrazione vuol fare procedere il giudice penale per il delitto di frode fiscale (40). In questa situazione, particolare e limitata, l’Amministrazione si astiene dall’acconsentire a transazioni vertenti su sanzioni relative ad imposte che sono o potrebbero essere all’origine di una denunzia per frode fiscale. L’art. L 249, comma 3, del Livre des procédures fiscales dispone: “dopo una sentenza definitiva, le sanzioni fiscali irrogate dai tribunali non possono più essere oggetto di transazione”. Sarà solo possibile ottenere una restituzione totale o parziale delle sanzioni fiscali, per tenere conto delle risorse e dei carichi del debitore, dopo l’avviso conforme del presidente del Tribunale. Ma, quanto alle imposte indirette, la transazione si può fare in accordo col pubblico ministero, se l’infrazione è passibile sia di sanzioni fiscali sia di sanzioni penali, ed in accordo con il presidente del Tribunale adito nel caso di sole sanzioni fiscali (41). Infine, la transazione non può essere una causa d’estinzione dell’azione pubblica in base all’art. 1741 del codice generale delle imposte. Per alcuni, il tasso così alto delle sanzioni fiscali “agevola le possibilità di transazione con i verifica- (35) CE 13 luglio 1967, n. 70807, “Recueil de jurisprudence fiscale”, II parte, pag. 199. (36) CE 27 giugno 1951, n. 10090, Lebon, pag. 704. (37) DB 13 S-2531 in data 30 giugno 1993. (38) Il decreto n. 99-71 in data 3 febbraio 1999 fissa il tasso di interesse legale al 3,47 per cento, “Journal Officiel”, 5 febbraio 1999, pag. 1861. (39) Istruzione contabilità pubblica, n. 95-027 A 1 in data 1° marzo 1995. (40) G. Tixier, P. Derouin, Droit penal de la fiscalité, Dalloz, Collection: “Droit usuel”, 1989, pagg. 176 e seguenti. (41) P. Di Malta, Droit fiscal penal, Puf, Collection: “Fiscalité”, 1992, pagg. 176 e seguenti. 12/2000 il fisco 3371 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO (42) M. Aicardi, Relazione al Primo Ministro, Ministro dell’economia e delle finanze e della privatizzazione, L’amélioration des rapports entre les citoyens et les administrations fiscales et douanières, La Documentation Française, Collection: “Des rapports officiels”, 1986, pag. 40. (43) E. Serverin, P. Lascoumes, T. Lambert, Transactions et pratiques transactionnelles, “Economica”, 1987, 256 pagine. il fisco tori, pratica che non avrebbe alcuna ragione di essere se le sanzioni fossero proporzionate alla gravità delle infrazioni ed alle facoltà contributive dei contribuenti” (42). Questo non è sicuro perché, salvo proibire la transazione, il contribuente cercherà sempre di diminuire il peso delle sanzioni, anche se esse sono simboliche. Questa pratica, che è anche un diritto, messa in opera in vari campi e non solo nel campo fiscale (43), permette all’Amministrazione di punire il contribuente con il suo accordo senza dover farlo giudicare (44). Per fortuna, la Corte europea dei diritti dell’uomo è vigilante e non ha esitato a condannare il Belgio, in data 27 febbraio 1980 (45), per un caso in cui il richiedente aveva concluso una transazione con l’Amministrazione fiscale ma “sotto una pressione così costringente da fare cedere il contribuente”. Ecco una decisione che ci rassicura e che, eventualmente, apre prospettive ai contribuenti indotti a concludere transazioni. (44) M. Marty Delmas, C.Colly Teitegen, Punir sans juger? de la répression administrative au droit administratif pénal, “Economica”, 1992, 191 pagine. (45) CEDH 27 febbraio 1980, caso Deweere/Belgio, citato da M. Marty Delmas, Droit pénal des affaires, tome 1, Puf, Collection “Thémis”, 1990, pag. 218. GIURISPRUDENZA 4 TRIBUNALI Errori della Guardia di finanza, rideterminazione dell’imponibile, conciliazione giudiziale Effetti penali REATI TRIBUTARI - Conciliazione giudiziale - Effetti penali - Limiti Sebbene la conciliazione giudiziale non produca effetti penali diretti, nel caso concreto essa può incidere sulla soglia di punibilità dei reati fiscali [art. 1, comma 2, lettera c), della L. 7 agosto 1982, n. 516] in un’ipotesi particolare di rideterminazione dell’imponibile da parte dell’Amministrazione finanziaria, conseguente ad errori commessi dalla Guardia di finanza in sede di verifica. (TRIBUNALE di Verona, Gip Vacca - Imp. F. e altro - Sent. n. 525 del 2 dicembre 1999) (Omissis) Diritto - Procedutosi penalmente nei confronti degli odierni imputati, all’esito dell’udienza preliminare e considerate le produzioni effettuate dalla difesa, appaiono fondate e vanno conseguentemente accolte le conclusioni delle parti riportate in epigrafe. Il procedimento aveva preso le mosse a seguito dei rilievi effettuati dalla Guardia di finanza in sede ispettiva presso la società V.F. e C. S.n.c.: a seguito degli stessi era stato determinato un maggior reddito d’impresa per il 1991, come da capo di imputazione, e conseguentemente per ciascuno dei soci un red- 3372 il fisco 12/2000 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO dichiarato diversa ed inferiore rispetto a quella denunciata in sede di primo accertamento, e solo laddove detto percorso poggi su rilievi oggettivi se ne potranno recepire gli esiti anche in sede penale. il fisco dito di partecipazione non dichiarato pari (per ognuno) ad un quarto di quello d’impresa. Poiché secondo la Guardia di finanza il reddito di partecipazione superava per ciascuno dei soci la soglia dei 50 milioni l’omissione della relativa dichiarazione ai fini fiscali diveniva penalmente rilevante. Ha osservato la difesa, producendo la relativa documentazione, che gli imputati hanno definito nelle more le loro pendenze fiscali attraverso l’istituto della conciliazione giudiziale ai sensi dell’art. 48, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992. Sebbene tale strumento (che consente di chiudere la vertenza con il Fisco con un accordo che passa attraverso la rideterminazione da parte dell’ufficio finanziario dell’importo del reddito non dichiarato e dell’imposta evasa e l’accettazione da parte del contribuente delle conclusioni della Pubblica Amministrazione ed il pagamento della somma finale risultante) non abbia di per sé alcun effetto diretto in sede penale, tuttavia nel caso che occupa appare concretamente suscettibile di influenzare l’odierna decisione per i motivi che seguono. Innanzitutto si deve osservare che, nel definire il caso sul fronte fiscale, il Ministero competente ha ritenuto che le conclusioni cui era giunta la Guardia di finanza, pur se sostanzialmente condivisibili, andavano riviste riducendo l’importo della presunta evasione al di sotto dei 200 milioni, vale a dire pertanto per ciascuno dei soci al di sotto dei 50 milioni (limite che come si è detto segna il discrimine tra le condotte penalmente rilevanti e quelle che tali non sono). La determinazione del Ministero non può astrattamente essere presa a base della decisione da assumersi in sede penale, in considerazione del fatto che alla Pubblica Amministrazione è consentito assumere determinazioni conclusive delle vertenze con i privati anche in base a criteri di natura equitativa o di convenienza, che non sono trasponibili ovviamente in sede penale ove deve aversi riguardo unicamente alla realtà storica dei fatti per come risultano accertati. Occorre pertanto verificare in concreto, nel singolo caso: Nel caso che occupa, tale recepimento appare possibile poiché, come emerge chiaramente dalla relazione redatta dall’ufficio Iva, sulla cui base è stata poi effettuata la conciliazione tra i privati interessati e l’Amministrazione finanziaria, l’ufficio ha rilevato numerosi errori commessi dalla Guardia di finanza nella propria esposizione dei fatti in danno del privato (per esempio l’ufficio ha avuto modo di constatare come, esaminando i questionari, inviati dalla Guardia di finanza ai clienti della società e da questi redatti, contrariamente all’assunto dei verbalizzanti i clienti abbiano dichiarato di avere generalmente e regolarmente ricevuto gli scontrini all’atto della consegna della merce; anche le date di consegna delle merci indicate dai clienti non appaiono in molti casi coincidere con quelle desunte dalla Guardia di finanza; risultava invece la piuttosto sistematica emissione di scontrini per importi inferiori a quelli pagati, eccetera). In conclusione, da un lato l’accertamento operato dalla Guardia di finanza, se pur basato su rilievi di carattere oggettivo (come la riscontrata emissione sistematica di scontrini per cessioni di merce per valori inferiori a quelli effettivi) appare avere, nella determinazione globale del reddito non dichiarato, carattere presuntivo; dall’altra la rideterminazione dell’imponibile effettuata dal Ministero appare non essere il frutto solo di una valutazione di carattere equitativo o di mera convenienza per la Pubblica Amministrazione, bensì appare poggiare su considerazioni e rilievi di carattere oggettivo, trasponibili nel contesto del processo penale, rilievi che condurrebbero, anche nel caso di un dibattimento, ad abbattere in egual modo l’importo dell’evasione, riconducendolo entro limiti di irrilevanza penale. P.Q.M. - da un lato sulla base di quali elementi l’organo accertatore ha ritenuto di determinare l’importo dell’evasione nel senso indicato nell’accertamento; - dall’altro attraverso quale percorso la Pubblica Amministrazione sia giunta ad una determinazione dell’importo non visti gli artt. 425, 530 del codice di procedura penale dichiara non doversi procedere nei confronti di V.F. e S.P. il fatto non è previsto dalla legge come reato. (Omissis). Commento il fisco La sentenza in rassegna prende posizione su un tema interessante e, si ritiene, suscettibile di interessanti applicazioni, anche (e forse, tenuto conto dell’innalzamento delle soglie di punibilità e della rilevanza dell’accertamento dell’imposta evasa previste dalla novella in fieri, soprattutto) in seguito alla futura entrata in vigore della riforma dei reati tributari. Il giudice delle indagini preliminari di Verona, ha dichiarato non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in relazione ad una fattispecie in cui l’imputato ebbe ad esperire l’istituto della conciliazione giudiziale. Il caso in esame riguardava un’ipotesi di omessa annotazione di corrispettivi previsti e puniti dall’art. 1, comma 2, lettera c), della L. n. 516/1982. In sintesi, a seguito di una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di finanza a carico di una società di persone, era stato contestato il reato di omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi dei soci, della quota del reddito di partecipazione accertato a carico della società. La società esperì positivamente l’istituto della conciliazione giudiziale. In esito a detta procedura, i redditi accertati in capo ai soci erano tali da non eccedere la soglia di punibilità. In sostanza, il giudice ha ritenuto che gli imputati andassero prosciolti in indiretta conseguenza dell’esperimento dell’istituto della conciliazione, in esito al quale l’Amministrazione finanziaria aveva fissato l’ammontare dei corrispettivi evasi in una somma inferiore a quella di cui alla soglia di punibilità stabilita dalla norma incriminatrice. La conciliazione, come noto, non ha effetti penali. Di questo il giudice dimostra di avere piena consapevolezza. Poiché la conciliazione ha “accertato” un’omessa annotazione di corrispettivi inferiore alla soglia di punibilità (o meglio, l’ufficio deputato all’accertamento ha “corretto” la precedente quantificazione data dalla Guardia di finanza in sede di verifica generale), il giudice ha, attraverso un procedimento interpretativo nella fattispecie condivisibile, ritenuto tale attività non irrilevante in sede penale. Orbene, quali conseguenze potrebbe avere il consolidarsi di un siffatto orientamento, alla luce dell’ormai prossima riforma dei reati tributari? Gli istituti della conciliazione giudiziale e dell’accertamento con adesione sono qualificati, dal disegno di decreto legislativo di riforma dei reati tributari, come circostanze attenuanti (art. 13 del disegno di decreto legislativo di riforma dei reati tributari). Per cui sembrerebbe non dubitabile l’inefficacia scriminante degli istituti suddetti. 12/2000 il fisco 3373 DIRITTO PENALE TRIBUTARIO il fisco Tuttavia, se, come nel caso ipotizzato dalla sentenza in rassegna, la conciliazione (o l’accertamento con adesione) venga a fissare l’imposta evasa in una somma inferiore a quella originariamente quantificata ed in ipotesi minore di quella di cui alla soglia di punibilità, il giudice penale, pur essendo evidentemente libero di apprezzare altrimenti la fattispecie, potrebbe tenere conto del positivo esperimento di questi istituti amministrativi al fine di valutarne le conseguenze anche sul piano penale. È chiaro, infatti, che laddove risulti che l’intervenuta definizione amministrativa entro limiti che non eccedano le soglie di rilevanza penale, non sia frutto semplicemente di ragioni genericamente “transattive”, ma si fondi su ragioni che per la loro natura possano trovare accesso anche in sede di processo penale, pare non infondato sostenerne la possibile, per così dire mediata, rilevanza penalistica. In verità, al di là di ogni altra considerazione, nel caso ipotizzato (e cioè originario accertamento che eccede le soglie di punibilità, e successiva “definizione amministrativa” che non le ecceda) appaiono, comunque, non facilmente sostenibili in sede dibatti- mentale le ragioni dell’accusa, contraddette, non per ragioni meramente presuntive, da una “riverifica” da parte degli organi competenti ad accertare il tributo evaso (organi che in sede dibattimentale, svolgono, come noto, un essenziale ruolo nella dinamica processuale in qualità di testimoni del pubblico ministero). Questa prospettiva consentirebbe di valorizzare notevolmente sul piano professionale il ruolo di chi assista i contribuenti, operando in sede variamente conciliativa, con gli uffici finanziari. Infatti, se in sede di conciliazione o di accertamento con adesione, si raggiungesse l’obiettivo di contenere, sulla base di argomenti solidamente provati, l’evasione al di sotto dei limiti di rilevanza penale, tale obiettivo potrebbe consentire (o meglio, rendere meno disagevole) l’ottenimento di una sentenza di assoluzione, anziché, quello assai meno fascinoso di beneficiare di una mera circostanza attenuante. Giovanni Maccagnani Avvocato in Verona CONTENITORI per raccogliere la rivista il fisco I contenitori consentono di consultare la raccolta alla stregua di un volume in quanto ciascuna copia della rivista è trattenuta al centro del dorso del raccoglitore da un filo metallico. Colore rosso amaranto, rivestiti in similpelle, scritte in oro. Anno 2000 4 contenitori trimestrali (con fili) L. 120.000 Anno 1999 Anno 1998 Anno 1997 Anno 1996 Anno 1995 Anno 1994 Anno 1993 Anno 1992 Anno 1991 Anno 1990 Anno 1989 Anno 1988 Anno 1987 Anno 1986 Anno 1985 Anno 1984 Anno 1983 Anno 1982 Anno 1981 Anno 1980 Anno 1979 Anno 1978 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 3 3 3 3 3 3 2 2 contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori semestrali contenitori semestrali (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (senza fili) (senza fili) (senza fili) (senza fili) L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. 120.000 120.000 120.000 120.000 120.000 120.000 120.000 120.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 80.000 80.000 80.000 80.000 80.000 80.000 80.000 80.000 Nel prezzo sono inoltre compresi il costo dell'imballaggio e le spese postali. L'importo deve essere versato su c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario “non trasferibile” intestato a ETI S.p.a. - Viale Mazzini, 25 - 00195 - Roma. Non si spedisce in contrassegno, il pagamento è anticipato. E' indispensabile indicare il proprio codice fiscale. Spedizione entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta. 12/2000 il fisco 3375 rubrica dei quesiti Si invitano i signori Lettori a voler formulare quesiti concernenti argomenti di carattere esclusivamente tributario. La stesura dattiloscritta, possibilmente di un solo argomento, non deve superare una pagina. Le richieste vanno indirizzate alla “Rubrica dei quesiti” - Rivista “il fisco” - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma. La Rivista si riserva di pubblicare solamente le risposte ai quesiti, ripetiamo, di natura esclusivamente tributaria e ritenuti di interesse generale. Dette soluzioni, pur elaborate con la massima cura possibile, non impegnano in alcun modo la Rivista, soprattutto per tutte le questioni sulle quali non risulta esplicito l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria. Si prega di non rivolgere quesiti per telefono. La selezione delle richieste di risposta ai quesiti è curata dall’Ufficio Studi dello “Studio di consulenza societaria e tributaria Marino”. Eventuali richieste di pareri riservati e/o urgenti devono essere indirizzate alla “Rubrica dei quesiti”, che provvederà ad assegnarli a noti liberi professionisti specializzati con l’applicazione delle vigenti tariffe professionali. IMPOSTE SUI REDDITI - REDDITI D’IMPRESA I criteri di valutazione delle rimanenze e il riconoscimento fiscale della loro svalutazione D Una S.r.l. intende valutare le rimanenze al 31 dicembre 1999 con il metodo Fifo (per i prodotti finiti) e con il metodo della media ponderata (per le materie prime). Si chiede se tali valori siano riconosciuti anche ai fini fiscali, o se occorra invece riferirsi comunque al metodo del Lifo a scatti annuali. La società, inoltre, sta valutando la possibilità di effettuare una svalutazione delle materie prime nel bilancio chiuso al 31 dicembre 1999 per adeguarle al valore di mercato (minore rispetto al costo). Si chiede se tale svalutazione, obbligatoria ai fini civilistici, sia fiscalmente ammessa in deduzione. R Per quanto riguarda le modalità di valutazione delle rimanenze [voci C.I. 1), 2) e 4) dell’attivo] ammesse dalla normativa fiscale, queste possono essere valutate con i metodi Lifo, Fifo e costo medio ponderato e i valori così determinati hanno rilevanza anche ai fini fiscali (art. 59, comma 3-bis, del D.P.R. n. 917 del 1986). Pertanto, per effetto del comma 3-bis dell’art. 59 del D.P.R. n. 917 del 1986, si è venuta a realizzare in tema di valutazione delle rimanenze una perfetta convergenza della normativa fiscale con quella civilistica, la quale, all’art. 2426, n. 10), del codice civile prevede che “il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli ‘primo entrato, primo uscito’ o ‘ultimo entrato, primo uscito’; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti 3376 il fisco 12/2000 il fisco alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa”. In sostanza, per la determinazione del valore delle rimanenze continua ad essere consentito il criterio Lifo, sulla base del costo medio dei beni in rimanenza, con stratificazioni per esercizi di formazione delle rimanenze stesse (art. 59, commi 1, 2 e 3, del D.P.R. n. 917 del 1986). Inoltre, in aderenza alle norme civilistiche, viene recepito un principio di libertà di valutazione in quanto, alle imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del “primo entrato, primo uscito” (cosiddetto metodo Fifo) o con varianti di tali metodi, è permesso assumere quale valore minimo riconosciuto nella determinazione del reddito imponibile - lo stesso valore attribuito in bilancio alle rimanenze dei beni in base al criterio di valutazione in concreto prescelto. Con ciò è stata riconosciuta valenza fiscale a qualsiasi metodo conosciuto dalla tecnica contabile per la determinazione del costo delle rimanenze, dovendosi quindi escludere che i risultati così ottenuti debbano essere confrontati ai fini fiscali con il metodo Lifo, come invece era necessario prima dell’introduzione del citato comma 3-bis (in tal senso vd. circolare Abi n. 30 del 21 aprile 1994, paragrafo 1.2). Sul punto è comunque opportuno richiamare quanto affermato nella relazione ministeriale al D.L. 29 giugno 1994, n. 416 (il quale ha introdotto il più volte citato richiamato comma 3-bis) laddove si legge che “la revisione della disciplina tributaria in tema di valutazione dei beni di magazzino è stata attuata tenendo conto anche del fatto che la riconosciuta libertà di scelta del metodo di valutazione deve, pur sempre, esplicarsi nel rispetto dell’obbligo del mantenimento in bilancio dell’invarianza dei criteri di valutazione da un esercizio rispetto all’altro, nel senso che, una volta adottato un criterio di valutazione, questo non potrà essere mutato negli esercizi successivi se non in casi eccezionali, da motivare adeguatamente nella nota integrativa e comunque dandone comunicazione all’ufficio delle imposte competente (art. 76, comma 4, del D.P.R. n. 917 del 1986)”. Va da sé che tale principio dell’invarianza dei criteri di valutazione, pur costituendo un temperamento alla libertà di scelta dei criteri di valutazione, non implica la reintroduzione del potere di divieto da parte dell’Amministrazione finanziaria già contenuto nell’art. 75 del D.P.R. n. 597 del 1973 (in tal senso si RUBRICA DEI QUESITI veda Leo, Monacchi, Schiavo, Roxas, Le imposte sui redditi nel testo unico, pag. 1084). A quanto detto si aggiunga che, ai sensi del comma 4, dell’art. 59 del D.P.R. n. 917 del 1986, le rimanenze, qualora il valore unitario medio dei beni appartenenti ad una certa categoria, determinato con i criteri sopra richiamati, risulti superiore al loro valore normale medio dell’ultimo mese dell’esercizio, possono essere valutate moltiplicando l’intera quantità delle voci di quella categoria, prescindendo dall’esercizio di formazione, per il detto valore normale; trattasi della valutazione al minore fra prezzo di costo e valore di mercato (sul punto, peraltro, si condivide la tesi secondo la quale l’adozione del metodo del valore normale non è un obbligo bensì una facoltà, nel senso che la sua scelta è rimessa alla discrezione dell’impresa - vd. Leo, Monacchi, Schiavo, Roxas, Le imposte sui redditi nel testo unico, Giuffrè, 1996, op. cit., pag. 1085). L’ultimo periodo del comma 4, dell’art. 59 citato aggiunge che tale minore valore attribuito alle rimanenze “... vale anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze non risultino inscritte nello stato patrimoniale per un valore superiore” (art. 59, comma 4, ultimo periodo). Il significato di quest’ultima disposizione è stato spiegato dal Ministero delle finanze nel senso che “la disposizione fiscale contenuta nell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 59, che consente di svalutare le rimanenze al valore normale, ha sostanzialmente anticipato il n. 9) dell’art. 2426 del codice civile, il quale consente una valutazione delle rimanenze al valore desumibile dall’andamento del mercato se minore del costo di acquisto o di produzione. Il medesimo n. 9) prevede che tale minore valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. Ebbene - conclude l’Amministrazione finanziaria - la ripresa di valore ai fini civilistici comporta necessariamente l’assoggettamento a imposizione di tale rivalutazione, stante il disposto dello stesso ultimo periodo del comma 4 dell’art. 59, secondo cui il minore valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni di tale norma vale anche per gli esercizi successivi, sempreché le rimanenze non risultino iscritte in bilancio per un valore superiore” (cfr. circolare ministeriale n. 73/E del 27 maggio 1994, risposta n. 3.26, in “il fisco” n. 22/1994, pag. 5459). L.G.M. 12/2000 il fisco 3377 RUBRICA DEI QUESITI IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO I criteri per l’individuazione del momento impositivo nel regime dell’editoria D Un mio cliente ha costituito una S.r.l. che ha per oggetto sociale l’esercizio di attività editoriali. Premesso che ho acquisito le necessarie informazioni in ordine alle novità che hanno interessato il regime “monofase” che si applica nel settore editoriale ex art. 74, lettera c), del D.P.R. n. 633 del 1972, vorrei taluni chiarimenti sui criteri da seguire per l’individuazione del momento impositivo ex art. 6 del citato D.P.R. n. 633 del 1972. il fisco R In via generale, il comma 1, dell’art. 6 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede che “le cessioni di beni si considerano effettuate ne1 momento ... della consegna o spedizione se riguardano beni mobili”. Il successivo comma 2, alla lettera a) dispone che “In deroga al precedente comma l’operazione si considera effettuata ... a) ... per le cessioni periodiche o continuative di beni in esecuzione di contratti di somministrazione, all’atto del pagamento del corrispettivo”. Infine, la lettera d) del medesimo comma 2 precisa che “In deroga al precedente comma l’operazione si considera effettuata” ... d) per le cessioni di beni inerenti a contratti estimatori, all’atto della rivendita a terzi ovvero, per i beni non restituiti, alla scadenza del termine convenuto tra le parti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione”. Secondo il Ministero delle finanze i criteri sopra richiamati trovano applicazione anche con riferimento al regime speciale per l’editoria, salva la necessità di operare gli opportuni adeguamenti al fine di tener conto delle peculiarità del regime stesso. Ne discende che, in ordine all’individuazione del momento impositivo, dalla lettura combinata dell’art. 74, lettera c), del D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 1 del D.M. 9 aprile 1993 risulta che esso coincide con la consegna o spedizione dei prodotti editoriali. Inoltre, in deroga a quanto previsto come criterio generale dall’art. 6, comma 2, lettera d), del decreto Iva, ove l’editore applichi il sistema della resa forfettaria, il momento impositivo coincide in ogni caso con quello della consegna o spedizione dei prodotti editoriali, e ciò non solo nell’ipotesi di consegna o spedizione a titolo definitivo, ma anche in presenza di contratti estimatori, ex art. 1556 del codice civile, o di contratti di deposito con rappresentanza (cfr. circolare ministeriale n. 63/490676 del 7 agosto 1990 nonché il paragrafo 7.2.1 della circolare ministeriale n. 328/E del 24 dicembre 1997, rispettivamente, in “il fisco” n. 31/1990, pag. 5053 e in allegato al n. 1/1998). Tale deroga, evidentemente, trova giustificazione nella caratteristica stessa del sistema della “resa forfetaria”, e cioè nella circostanza che la base imponibile è costituita dal “numero delle copie consegnate o spedite, diminuito a titolo di forfettizzazione della resa del 53 per cento per i libri e del 60 per cento per i giornali quotidiani e periodici, esclusi quelli pornografici e quelli ceduti unitamente a supporti integrativi o ad altri beni”, indipen- dentemente quindi dal numero di copie effettivamente vendute dall’edicolante. Per contro, ove l’editore applichi il sistema delle copie effettivamente vendute, il momento impositivo si identifica con quello dell’effettiva vendita, sicché l’esistenza di un contratto estimatorio tra le parti rende applicabile la regola prevista dal richiamato art. 6, comma 2, lettera d), del decreto Iva, secondo cui l’operazione si considera effettuata all’atto della rivendita a terzi ovvero, per i beni non restituiti, alla scadenza del termine convenuto tra le parti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione. Nei casi in cui le consegne o spedizioni dei prodotti editoriali siano effettuate in esecuzione di rapporti di abbonamento, va anzitutto rilevata la possibilità per l’editore di applicare l’Iva con la forfettizzazione della resa, e ciò ancorché in tal caso nessuna resa sia configurabile (in tal senso si veda la circolare ministeriale n. 13/450224 del 5 marzo 1990, in “il fisco” n. 11/1990, pag. 1730, la risposta scritta del 24 giugno 1991 all’interrogazione parlamentare n. 4-17823 del 18 gennaio 1990 nonché la citata circolare ministeriale n. 328/E del 24 dicembre 1997, paragrafo 7.4): l’applicazione di tale sistema, infatti, non presuppone l’esistenza di una resa (effettiva o potenziale), trattandosi più semplicemente di una norma agevolativa. Quanto alla determinazione del momento impositivo in relazione alle vendite in abbonamento, questo coincide con il pagamento totale o parziale del corrispettivo; nella specie, infatti, si è in presenza di cessioni periodiche o continuative di beni e pertanto torna applicabile la regola generale prevista del citato art. 6, comma 2, lettera a), del D.P.R. n. 633/1972. Peraltro, ove non venga effettuato pagamento alcuno, e quindi nell’ipotesi di abbonamenti gratuiti [soggetti ad Iva ai sensi dell’art. 2, comma 2, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972], resta fermo il criterio generale che individua il momento impositivo con l’atto della consegna o spedizione (cfr. risoluzione ministeriale n. 490961 del 10 novembre 1990, in “il fisco” n. 47/1990, pag. 7603). Ovviamente, nessun problema si pone ove le cessioni abbiano per oggetto campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati: in tal caso l’operazione non assume rilevanza ai fini dell’Iva ex art. 2, comma 3, lettera d), del D.P.R. n. 633/1972 (cfr. circolare ministeriale n. 63/490676 del 7 agosto 1990, paragrafo 3.4, citata). Nei casi di pagamenti di acconti effettuati anteriormente alla consegna o spedizione dei prodotti editoriali, questi rile- 3378 il fisco 11/2000 RUBRICA DEI QUESITI il fisco vano, in relazione al relativo ammontare, solo nelle ipotesi di applicazione del tributo in base alle copie effettivamente vendute; d’altronde, ove si applichi il sistema della resa forfetaria, la base imponibile può essere determinata solo all’atto della effettiva consegna o spedizione dei relativi beni, con specifico riferimento quindi al numero delle copie consegnate o spedite (cfr. circolare ministeriale n. 63/490676 del 7 agosto 1990, paragrafo 3.3, citata). Resta inteso che nei casi in cui le operazioni vengano effettuate in esecuzione di rapporti di abbonamento, con conseguente esclusiva rilevanza dei corrispettivi dell’abbonamento stesso, ai fini del momento impositivo risulta determinante non solo il pagamento anticipato di acconti ma anche l’emissione di documenti riferiti agli acconti stessi o all’intero ammontare dell’abbonamento, e ciò in virtù della regola generale contenuta nel comma 4 del più volte citato art. 6 (cfr. risoluzione ministeriale n. 431336 del 29 dicembre 1990, in “il fisco” n. 5/1991, pag. 808). Quanto, infine, al concetto di consegna o spedizione di prodotti editoriali, il Ministero delle finanze ha rilevato che “in linea generale per consegna o spedizione deve intendersi ogni atto che comporti la perdita della disponibilità dei beni, fatti salvi i casi in cui risulti che i beni stessi, ancorché consegnati a terzi, permangono ancora nella sfera giuridico-patrimoniale dell’editore per essere stati consegnati in base ad uno dei titoli non traslativi espressamente indicati nell’art. 53 del citato decreto presidenziale n. 633/1972 e purché siano stati posti in essere gli adempimenti e le formalità ivi previsti” (cfr. circolare ministeriale n. 63/490676 del 7 agosto 1990, citata). L.G.M. L’associazione agricola e il regime forfettario D Un’associazione culturale, con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, era in regime opzionale di cui alla L. n. 398 del 16 dicembre 1991; durante il mese di settembre 1999 ha superato il limite di proventi annui di cui al comma 1 dell’art. 1, della L. n. 398/1991 e quindi dal mese successivo non è più nel suddetto regime opzionale. A seguito delle modifiche apportate dall’art. 24 dell’A.C. n. 5858 (“il fisco” n. 17/1999, pagg. 5865 e seguenti) all’art. 1, comma 1, della L. n. 398/1991, a decorrere dal periodo d’imposta successivo all’entrata in vigore della suddetta legge (A.C. 5858), l’importo di lire 130.594.000, di cui all’art. 1, comma 1, della L. n. 398/1991, è elevato a lire 360.000.000. Nel caso specifico il periodo d’imposta successivo all’entrata in vigore della legge è l’anno solare 2000. Poiché, l’art. 1, comma 1, della L. n. 398/1991 prevede che le associazioni culturali, che nel periodo d’imposta precedente abbiano conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a lire 130.594.000, ora 360.000.000, possano optare per l’applicazione delle imposte sul valore aggiunto e sui redditi secondo le disposizioni di cui all’art. 2 della stessa, si chiede se nell’anno 2000 sia possibile esercitare l’opzione suddetta, nel caso in cui nell’anno precedente, ossia il 1999, l’associazione, pur avendo superato il precedente limite di proventi di lire 130.594.000, non superi il nuovo limite di 360.000.000. R I presupposti per l’applicazione dei benefici fiscali nei confronti delle associazioni sportive dilettantistiche, pro loco e associazioni senza fine di lucro, previsti dalle leggi 16 dicembre 1991, n. 398, 13 maggio 1999, n. 133 e dall’art. 74, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972 in materia di determinazione forfettaria delle imposte e di osservanza degli adempimenti contabili sono di seguito indicati: il fisco - affiliazione alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle leggi vigenti; - conseguimento nel periodo d’imposta precedente di proventi commerciali non superiori al limite aggiornato da ultimo in lire 360 milioni, dall’art. 25, comma 2, della L. 13 maggio 1999, n. 133. È importante sottolineare che nella circolare 29 dicembre 1999, n. 1999 il Ministero delle finanze ha precisato che detto limite è valido anche nel caso in cui siano stati realizzati, nel periodo d’imposta precedente, prima dell’entrata in vigore della citata L. n. 133/1999, proventi superiori a lire 130.594.000, importo precedentemente previsto per il godimento dell’agevolazione in questione; - esercizio di apposita opzione, con le modalità di seguito indicate. Gli adempimenti connessi al regime agevolativo notevolmente semplificati in ragione del mutato quadro normativo che sostituiscono le precedenti formalità, quali la compilazione della distinta o dichiarazione d’incasso sono i seguenti: 1) comunicazione dell’esercizio dell’opzione, diversamente da quanto avveniva in passato, all’ufficio della SIAE competente in ragione del domicilio fiscale dell’associazione, prima dell’inizio dell’anno solare per cui ha effetto l’opzione medesima, e all’ufficio Iva o delle Entrate, se istituito, con le modalità previste dal D.P.R. n. 442/1997. L’opzione è vincolante per un quinquennio (per 1’anno 2000 l’opzione potrà essere comunicata alla SIAE entro il termine del 30 giugno 2000). Naturalmente, i soggetti che non optano per l’applicazione del regime speciale o che perdono in corso d’anno i requisiti per l’accesso ai benefici in discorso, sono assoggettati alla disciplina Iva ordinaria, ivi compreso l’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante misuratore fiscale o biglietterie automatizzate; 11/2000 il fisco 3379 RUBRICA DEI QUESITI 3) versamento trimestrale dell’imposta sul valore aggiunto mediante delega unica di pagamento (Mod. F24), entro il giorno 16 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento, con possibilità di avvalersi della compensazione di cui all’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241; 4) numerazione progressiva e conservazione delle fatture di acquisto a norma dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972. 2) qualora i presupposti vengano meno nel corso dell’anno, l’applicazione del tributo con il regime ordinario dovrà avvenire dall’anno successivo a quello in cui sono venuti meno i cennati requisiti; annotazione, anche mensile, dei corrispettivi entro il giorno 15 del mese successivo a quello di riferimento, utilizzando anche l’apposito prospetto previsto dal D.M. 11 febbraio 1997, con eventuale annotazione dei proventi non costituenti reddito imponibile, delle plusvalenze patrimoniali e delle operazioni intracomunitarie; A.C. IVA - IRAP Il trattamento del “prestito di personale” D La nostra società di avvale di personale distaccato da parte sia di altre aziende del gruppo che di aziende terze. Si chiede quale sia il relativo trattamento ai fini dell’Iva e dell’Irap. a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”. In linea con la prassi amministrativa sopra riportata si è espressa anche la Corte di Cassazione (Sez. I civ., Sent. n. 1788 del 3 ottobre 1995, dep. il 6 marzo 1996, Pres. Sensale, Rel. Altieri, in “il fisco” n. 13/1996, pag. 3427), la quale ha ritenuto che “il distacco o prestito di personale non costituisce operazione imponibile, purché l’impresa beneficiaria corrisponda il solo costo di tale utilizzazione, e cioè la retribuzione, gli oneri fiscali e previdenziali, e le spese sostenute dai dipendenti”, aggiungendo che la nozione di prestito di personale non è limitata al caso di distacco di poche unità, ben potendo riguardare anche l’ipotesi in cui il personale distaccato per lunghi periodi costituisca un’intera branca organizzativa. il fisco R Il Ministero delle finanze ha in più occasioni affrontato la questione del trattamento ai fini dell’Iva delle operazioni di “prestito di personale” sia fra società facenti parte di uno stesso gruppo che fra società non collegate. In particolare, con riferimento al prestito di personale fra società facenti parte di uno stesso gruppo, è stato chiarito che la fattispecie non realizza i presupposti per l’applicazione dell’Iva, sempreché le somme pagate dalla società utilizzatrice in dipendenza del prestito siano esattamente commisurate alle retribuzioni spettanti ai dipendenti ed ai relativi oneri assistenziali e previdenziali. Per le prestazioni di servizi infatti, ai fini dell’applicazione dell’Iva assumono rilevanza soltanto quelle poste in essere “verso corrispettivo” (art. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972), mentre nel caso di specie si è in presenza - ad avviso dell’Amministrazione finanziaria - di un semplice “rimborso” di spese di lavoro subordinato, come tali non soggette al tributo (cfr. risoluzione ministeriale n. 502712 del 5 luglio 1973). Le medesime considerazioni sopra esposte si rendono applicabili anche ai prestiti di personale posti in essere tra società non facenti parte di uno stesso gruppo (e, più in generale, tra società caratterizzate da nessun collegamento di natura organica o finanziaria), in quanto il legame tra le società contraenti attiene all’aspetto soggettivo e non a quello oggettivo del rapporto (cfr. risoluzione ministeriale n. 500160 del 19 febbraio 1974). Quanto detto trova ulteriore conferma nella risoluzione ministeriale n. 152/E del 5 giugno 1995, emessa successivamente all’entrata in vigore dell’art. 8, comma 35, della legge 11 marzo 1988, n. 67, con il quale il legislatore ha espressamente disciplinato la fattispecie in esame prevedendo che “Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale Per quanto riguarda il trattamento del personale distaccato ai fini dell’Irap, l’art. 11, comma 1-bis, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 dispone che “Gli importi spettanti a titolo di recupero di oneri del personale distaccato presso terzi non concorrono alla determinazione della base imponibile”. Pertanto, per il soggetto che distacca il proprio personale, gli importi in questione non concorrono alla formazione della base imponibile Irap. Inoltre, lo stesso comma 1-bis stabilisce che “Nei confronti del soggetto che impiega il personale distaccato, tali importi si considerano costi relativi al personale non ammessi in deduzione”. Ne deriva che l’onere sostenuto dal soggetto presso cui viene distaccato il personale, anche se imputato in una voce di conto economico rilevante ai fini Irap, non concorrerà alla formazione della propria base imponibile Irap. In sostanza, “si verifica la neutralizzazione della operazione, in quanto da una parte si ha l’indeducibilità dei costi 3380 il fisco 11/2000 RUBRICA DEI QUESITI sopra indicati si rendono applicabili anche con riferimento all’impiego di personale sulla base di contratti cosiddetti di lavoro interinale, stante l’analogia sostanziale della fattispecie” (cfr. circolare ministeriale n. 141/E del 4 giugno 1998, capitolo III, paragrafo 3, in allegato a “il fisco” n. 24/1998). sostenuti per il personale distaccato e dall’altra la non imponibilità dei proventi per il riaddebito delle spese e degli oneri relativi all’impiego del personale. La disposizione testé enunciata si rende applicabile nei confronti di tutto il personale dipendente, compreso, ad esempio, il personale dirigente che svolga incarichi di amministratore o di sindaco presso società del gruppo. Si ritiene, inoltre, che i criteri L.G.M. SUCCESSIONI E DONAZIONI I termini per l’accertamento dell’imposta sulle successioni D Il comma 2, dell’art. 27 del D.Lgs. n. 346/1990 stabilisce che la liquidazione dell’imposta principale deve essere notificata entro il termine decadenziale di tre anni dalla data di registrazione della dichiarazione di successione. Il comma 3 di detto art. 27 (come modificato dall’art. 10 della L. n. 425/1996) dispone che l’avviso di rettifica e di liquidazione dell’imposta complementare deve essere notificato entro il termine decadenziale di due anni dal pagamento dell’imposta principale. L’art. 11 del D.L. n. 79/1997, convertito nella L. n. 140/1997, prevede che le imposte ipotecarie e catastali, nonché l’imposta sostitutiva Invim, devono essere corrisposte mediante autoliquidazione ed il relativo attestato deve essere conservato dagli eredi sino alla scadenza del termine per la rettifica prevista dal comma 3 dell’art. 27 del D.Lgs. n. 346/1990. Tanto premesso si domanda: il termine decadenziale di due anni per la rettifica dei valori dichiarati (comma 3) decorre dalla data di pagamento delle imposte principali autoliquidate? Oppure dalla data di pagamento delle imposte principali liquidate dall’ufficio (comma 2)? il fisco R È noto che per effetto delle modifiche apportate dall’art. 11 del D.L. 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla L. 28 maggio 1997, n. 140, per le successioni apertesi dal 29 marzo 1997, comprendenti immobili di valore totale superiore a L. 250 milioni, l’Invim è stata soppressa e sostituita da un’imposta, detta, appunto, sostitutiva applicata sull’intero valore degli immobili (non sull’incremento di valore) con l’aliquota dell’1 per cento. Detta imposta, come le imposte ipotecaria e catastale, di bollo e la tassa ipotecaria dovute in caso di successione, non viene liquidata dall’ufficio, ma deve essere autoliquidata dai contribuenti (eredi e legatari) prima della presentazione della dichiarazione di successione (quindi, al più tardi entro i sei mesi previsti dall’apertura della successione). L’autoliquidazione va effettuata utilizzando l’apposito prospetto, approvato con D.M. 21 maggio 1997, nel quale vanno riportati anche gli estremi di versamento, da allegare poi alla dichiarazione di successione. Ciò premesso, entrando nel vivo del quesito proposto, rileviamo che la previsione impositiva appena descritta “riflette” un criterio del tutto autonomo di percezione di un tributo, quello cosiddetto sostitutivo dell’Invim per successioni, che non va ad interferire con altre previsioni, che possono definirsi “collegate”, ma che continuano a mantenere una loro spiccata originalità. Del resto, lo stesso art. 11, comma 3, penultimo periodo, del D.L. n. 79/1997 ricordato, prevede espressamente con riguardo all’imposta sostitutiva che “Per l’accertamento, la riscossione anche coattiva, le sanzioni, gli interessi e il contenzioso si applicano le disposizioni di cui al D.P.R. n. 643 del 1972”, cioè quelle in tema di Invim. In buona sintesi, l’Amministrazione finanziaria può rettificare, si ripete, in via del tutto distinta, la misura dell’autoliquidazione effettuata entro due anni dalla stessa e richiedere l’imposta sostitutiva eventualmente non versata entro tre anni dalla presentazione della dichiarazione di successione. Esaminando, in definitiva, le norme dettate dal D.Lgs. n. 346/1990, relativo alle imposte sulle successioni e donazioni, ne deriva, a nostro avviso, che l’ufficio competente, se ritiene la dichiarazione di successione incompleta o infedele, procede alla rettifica ed alla liquidazione della maggiore imposta: detta rettifica deve essere notificata agli interessati entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta principale (comma 3, dell’art. 27, del D.Lgs. n. 346/1990). In definitiva, il riferimento esplicito all’imposta principale, va ad interessare non l’imposta sostitutiva autoliquidata, ma l’imposta principale del tributo successorio, quella, in pratica, che scaturisce dalla “materiale” liquidazione, operata dall’ufficio, sulla scorta diretta dei dati e degli elementi indicati nella dichiarazione presentata. D.C. 12/2000 il fisco 3381 circolari e note ministeriali IMPOSTE SUI REDDITI - IVA Le istruzioni del Ministero delle Finanze sulle agevolazioni alle società sportive dilettantistiche Imposte sui redditi - Iva - Agevolazioni - Società sportive dilettantistiche - Istruzioni - Art. 25 della L. 13 maggio 1999, n. 133 - D. Min. Finanze 26 novembre 1999, n. 473 (CIRCOLARE n. 43/E/2000/27853 dell’8 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario) in allegato n. 2 a “ il fisco” n. 1/2000, n.d.r.). Si ritiene di dover fornire ulteriori istruzioni in merito alla corretta applicazione della normativa dettata dall’art. 25 della medesima L. n. 133 del 1999. SOMMARIO. Premessa - 1. Proventi che non concorrono alla formazione del reddito: 1.1. Ambito di operatività e contenuto della norma agevolativa; 1.2. Requisiti per fruire dell’agevolazione; 1.3. Trattamento tributario ai fini Iva; 1.4. Decorrenza della disposizione agevolativa; 1.5. Rapporti fra la disposizione agevolativa di cui all’art. 25 della L. n. 133 del 1999 ed altre disposizioni agevolative 2. Elevazione a 360 milioni di lire del limite massimo dei proventi per beneficiare delle disposizioni recate dalla L. n. 398 del 1991 - 3. Riduzione del coefficiente di redditività - 4. Applicazione della ritenuta a titolo di imposta sui compensi corrisposti a terzi: 4.1. Ambito di applicazione della norma; 4.2. Disciplina tributaria dei compensi corrisposti a terzi; 4.3. Adempimenti - 5. Erogazioni liberali - 6. Modalità di effettuazione dei versamenti e dei pagamenti 7. Adempimenti contabili. Al fine di rafforzare il sostegno fiscale alle associazioni sportive dilettantistiche, di razionalizzare le agevolazioni e di introdurre maggiori elementi di trasparenza e chiarezza nel settore, nonché allo scopo di distinguere con maggiore facilità le associazioni sportive dilettantistiche meritevoli di tale qualificazione da quelle che fruiscono impropriamente del regime agevolativo, l’art. 25 della L. 13 maggio 1999, n. 133 ha apportato rilevanti modifiche in materia. Le disposizioni di attuazione dell’anzidetto art. 25 della L. n. 133 del 1999 sono state dettate con regolamento del Ministro delle finanze del 26 novembre 1999, n. 473, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 dicembre 1999 - Serie generale - n. 294. Con riferimento alle disposizioni recate dall’art. 25 della L. n. 133 del 1999 ed al regolamento di attuazione n. 473 del 1999 sono stati forniti alcuni chiarimenti con circolari n. 231/E del 6 dicembre 1999 e n. 247/E del 29 dicembre 1999 (rispettivamente in “ il fisco” n. 47/1999, pag. 14994, e 1.1. Ambito di operatività e contenuto della norma agevolativa il fisco Premessa 1. Proventi che non concorrono alla formazione del reddito L’art. 25, comma 1, della L. n. 133 del 1999 ha introdotto una nuova agevolazione tributaria a favore delle associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono delle disposizioni contenute nella L. 16 dicembre 1991, n. 398. L’art. 1 del regolamento n. 473 del 1999 ha delimitato l’ambito soggettivo di applicazione della norma agevolativa, prevedendo che le disposizioni recate dal citato art. 25, comma 1, si rivolgono alle associazioni sportive dilettantistiche comprese quelle non riconosciute dal CONI o dalle Federazioni sportive nazionali, purché siano riconosciute da enti di promozione sportiva. L’espresso richiamo operato dall’art. 25, comma 1, ai soggetti che “si avvalgono dell’opzione” prevista dall’art. 1 della L. 16 dicembre 1991, n. 398 comporta l’esclusione dall’ambito applicativo della norma in esame dei soggetti che non siano destinatari della menzionata L. n. 398 del 1991 (esempio, enti commerciali, società cooperative a responsabilità limitata, società a responsabilità limitata, soggette a precisi ed inderogabili obblighi contabili), nonché delle associazioni che non si siano avvalse dell’opzione. L’agevolazione in argomento consiste nell’esclusione dalla formazione del reddito imponibile di particolari proventi, indicati espressamente nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999. In particolare, i proventi che non concorrono a formare il reddito delle associazioni sportive dilettantistiche sono i seguenti: 3382 il fisco 12/2000 CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI a) proventi conseguiti nello svolgimento di attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali. La connessione con gli scopi istituzionali comporta che le attività commerciali debbano essere strutturalmente funzionali alla manifestazione sportiva e rese in concomitanza con lo svolgimento della medesima; b) proventi conseguiti a seguito di raccolte di fondi effettuate con qualsivoglia modalità. 1.4. Decorrenza della disposizione agevolativa Per quanto concerne la decorrenza della disposizione agevolativa in esame, il regolamento n. 473 del 1999 chiarisce che la stessa riguarda solo i proventi conseguiti a seguito di manifestazioni realizzate successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso regolamento. Pertanto, i benefici di che trattasi si applicano per le manifestazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2000, ancorché il periodo di imposta sia già in corso alla predetta data. A titolo esemplificativo possono annoverarsi fra gli anzidetti proventi quelli derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande, dalla vendita di materiali sportivi, di gadgets pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle lotterie, eccetera. Le raccolte di fondi possono realizzarsi anche attraverso la vendita di beni e servizi resi a fronte di offerte non commisurate al valore del bene venduto o del servizio prestato. L’art. 25, comma 1, della L. n. 133 del 1999 stabilisce che l’agevolazione compete fino al limite predeterminato con decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con l’Autorità di Governo competente in materia di sport (Ministro per i beni e le attività culturali). Tale limite è stato, attualmente, fissato, con decreto del 10 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 novembre 1999 - Serie generale - n. 275, nella misura massima di lire cento milioni per periodo di imposta. La norma in esame introduce in sostanza una forma di autofinanziamento, escludendo dal concorso alla formazione del reddito imponibile, determinati proventi fino ad un importo massimo complessivo di cento milioni di lire. I requisiti per fruire dell’agevolazione in esame sono stabiliti dall’art. 25, comma 1, della L. n. 133 del 1999 e dall’art. 1, comma 3, del regolamento n. 473 del 1999. In particolare, non concorrono a formare il reddito imponibile delle associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono delle disposizioni della L. 16 dicembre 1991, n. 398, i proventi derivanti dallo svolgimento delle attività commerciali connesse agli scopi istituzionali e quelli realizzati a seguito di raccolte di fondi effettuate con qualsiasi modalità, quando sussistano le seguenti condizioni: - le attività e le raccolte di fondi abbiano carattere di occasionalità e saltuarietà; - i proventi siano conseguiti nell’ambito di due manifestazioni per periodo di imposta; - i proventi rientrino nel limite complessivo di lire cento milioni per periodo di imposta. Ne consegue che costituiscono reddito imponibile delle associazioni in argomento la parte dei proventi eccedenti l’importo di lire cento milioni, i proventi derivanti da attività o da raccolte di fondi che non abbiano il carattere di occasionalità e saltuarietà, ovvero i proventi conseguiti oltre l’ambito delle due manifestazioni per periodo di imposta. 1.3. Trattamento tributario ai fini Iva Per quanto riguarda il trattamento tributario ai fini Iva, è evidente che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dalle associazioni sportive nell’ambito delle attività che presentano il carattere di occasionalità e saltuarietà sono, in base ai principi generali, escluse dal campo di applicazione dell’Iva. il fisco 1.2. Requisiti per fruire dell’agevolazione 1.5. Rapporti fra la disposizione agevolativa di cui all’art. 25 della L. n. 133 del 1999 ed altre disposizioni agevolative Giova sottolineare che la speciale disposizione recata dal comma 1, lettera b), dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999, concernente le raccolte di fondi effettuate dalle associazioni sportive dilettantistiche, si applica, come chiarito dall’art. 1, comma 4, del più volte menzionato regolamento, in luogo di quella generale contenuta nell’art. 108, comma 2-bis, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, riferita agli enti non commerciali, anche di tipo associativo, ivi compresi, quindi, quelli di cui all’art. 111 dello stesso Tuir. Si chiarisce, altresì, che la disposizione agevolativa contenuta nel comma 1 dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999 non si applica a favore delle associazioni senza fine di lucro e delle pro loco, che in forza dell’art. 9 (recte: 9-bis, n.d.r.) del D.L. n. 417 del 1991 si avvalgono delle disposizioni della L. n. 398 del 1991. Invero, la disposizione in esame introduce una vera e propria ulteriore agevolazione in favore soltanto delle associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono delle disposizioni della L. n. 398 del 1991, senza che ciò determini una modifica di tale legge. 2. Elevazione a 360 milioni di lire del limite massimo dei proventi per beneficiare delle disposizioni recate dalla L. n. 398 del 1991 Il comma 2 dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999 ha stabilito che “A decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, l’importo di lire 100 milioni, fissato dall’articolo 1, comma 1, della legge 16 dicembre 1991, n.398, come modificato da ultimo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 285 del 5 dicembre 1998, in lire 130.594.000, è elevato a lire 360 milioni”. Al riguardo, nel regolamento n. 473 del 1999 nonché nella circolare n. 231/E del 6 dicembre 1999, è stato precisato che a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della L. n. 133 del 1999 - e cioè, ad esempio, per le associazioni con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, dal 1° gennaio 2000, per le associazioni con periodo di imposta compreso tra il 1° luglio e 30 giugno, dal 1° luglio 1999 - possono avvalersi del regime tributario agevolato recato dalla L. 16 dicembre 1991, n. 398 le associazioni sportive dilettantistiche, comprese quelle non riconosciute dal CONI o dalle Federazioni sportive nazionali, purché riconosciute da enti di promozione sportiva, che svolgano senza scopo di lucro attività sportiva dilettantistica e che nel periodo d’imposta precedente abbiano conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 360 milioni di lire. Dalla suddetta data, come chiarito nella citata circolare n. 231/E del 1999, tale nuovo limite di 360 milioni di lire si 12/2000 il fisco 3383 CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI applica a regime senza necessità dell’adeguamento annuale operato nel passato. Il comma 5 dell’art. 1 del regolamento n. 473 esclude dal computo di detto limite di importo di 360 milioni di lire, i proventi di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 25 della L. n. 133 del 1999. Si fa presente, come precisato nella circolare n. 247/E del 29 dicembre 1999 al punto 6.9., che, per poter usufruire delle agevolazioni recate dalla L. n. 398 del 1991, occorre esercitare l’opzione prima dell’inizio dell’anno solare, a prescindere dalla cadenza dell’esercizio, dandone comunicazione all’ufficio della SIAE competente in ragione del domicilio fiscale dell’associazione. Simile comunicazione deve essere, altresì, effettuata all’ufficio Iva o delle Entrate, se istituito, secondo le disposizioni del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442. L’opzione è vincolante per un quinquennio. Si precisa, infine, che l’elevazione del limite a 360 milioni di lire si applica anche alle associazioni senza scopo di lucro e alle pro loco che, in forza dell’art. 9-bis del D.L. 30 dicembre 1991, n. 417 convertito dalla L. 6 febbraio 1997, n. 66, si avvalgono delle disposizioni della L. n. 398 del 1991. 3. Riduzione del coefficiente di redditività 4. Applicazione della ritenuta a titolo di imposta sui compensi corrisposti a terzi 4.1. Ambito di applicazione della norma Il comma 4 dell’art. 25 della legge in argomento introduce una nuova disciplina sui compensi corrisposti dalle società sportive dilettantistiche per prestazioni inerenti alla propria attività, superando il problema della qualificazione di tali redditi. Tale disciplina riguarda, per espressa previsione dell’art. 2, comma 4, del regolamento n. 473 del 1999, i compensi erogati per la promozione di attività sportive dilettantistiche dai seguenti soggetti: - CONI; - federazioni sportive nazionali; - enti di promozione sportiva; - altri soggetti comunque denominati, che in via istituzionale perseguono finalità sportive dilettantistiche, qualunque sia la loro veste giuridica (società, associazioni, enti o circoli, eccetera), purché riconosciuti (affiliati) da uno degli organismi citati. il fisco Come evidenziato nella circolare n. 231/E, l’art. 25, comma 3, della L. n. 133 del 1999 ha previsto, attraverso una specifica modifica dell’art. 2, comma 5, della L. n. 398 del 1991, che il reddito imponibile delle associazioni sportive dilettantistiche venga determinato applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività del 3 per cento, in luogo di quello del 6 per cento originariamente stabilito, cui si deve aggiungere comunque, come in passato, l’intero importo delle plusvalenze patrimoniali. Tale nuovo coefficiente di redditività del 3 per cento, come precisato nella più volte richiamata circolare n. 231/E, è applicabile dall’inizio del periodo di imposta in corso alla data del 18 maggio 1999, data di entrata in vigore della citata L. n. 133 del 1999. Il medesimo coefficiente si applica alle associazioni senza scopo di lucro e alle pro loco che si avvalgono delle disposizioni della L. n. 398 del 1991. Pertanto, l’ambito soggettivo di applicazione della disposizione, rispetto a quello del comma 1 del medesimo art. 25, risulta più ampio in quanto non è limitato alle sole associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono della L. n. 398 del 1991. Per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina in esame, l’art. 2 del più volte citato regolamento traduce il contenuto del comma 4 dell’art. 25, riconducendo tra i compensi corrisposti a fronte di “prestazioni inerenti alla propria attività”, quelli finalizzati alla promozione dell’attività sportiva dilettantistica. La norma si propone di incentivare esclusivamente lo sport dilettantistico e le prestazioni che ne promuovono l’attività, dettando una disciplina di favore per i compensi corrisposti da tutti i soggetti sopra elencati a fronte di prestazioni sportive dilettantistiche ovvero di attività, anche amministrative o di gestione, dirette alla promozione della pratica sportiva dilettantistica. La disciplina fiscale in esame non si applica, pertanto, ai compensi erogati dagli anzidetti soggetti per remunerare attività diverse da quelle finalizzate alla promozione dello sport dilettantistico. Dalle disposizioni appena richiamate si evince che, nella particolare ipotesi in cui i soggetti individuati all’art. 2, comma 4, lettera a), del menzionato regolamento intrattengano rapporti con persone fisiche addette a settori diversi di attività, occorrerà scomputare, dall’ammontare complessivo dei compensi erogati, quella parte di essi che, analiticamente o proporzionalmente commisurata all’attività di promozione dello sport dilettantistico, può fruire dell’agevolazione trattata al successivo punto 4.2. L’art. 2, comma 4, lettera b), del regolamento n. 473 del 1999, esclude poi, in ogni caso, dalla disciplina in esame i compensi erogati dagli enti in argomento ai propri lavoratori dipendenti assunti per lo svolgimento delle attività amministrative o di gestione, agli artisti e professionisti di cui all’art. 49, comma 1, del Tuir, ed agli esercenti attività di impresa di cui all’art. 51, comma 1 del medesimo testo unico. 4.2. Disciplina tributaria dei compensi corrisposti a terzi I compensi corrisposti dalle società sportive dilettantistiche, come individuati al punto 4.1, non costituiscono reddito per il percipiente persona fisica fino ad un ammontare, per ciascuna prestazione autonomamente considerata, di lire novantamila e fino all’importo complessivo annuo di lire sei milioni. La quota-parte dei compensi che eccede tali limiti costituisce per il percipiente reddito imponibile, direttamente assoggettato all’atto della corresponsione a ritenuta a titolo di imposta con aliquota pari a quella prevista dall’art. 11 del Tuir per il primo scaglione di reddito (attualmente 18,5 per cento), maggiorata delle quote di compartecipazione delle addizionali Irpef. Conseguentemente tali compensi non concorrono alla determinazione del reddito complessivo imponibile ai fini Irpef del percipiente. La quota dei compensi che eccede i limiti prefissati di lire novantamila e di lire sei milioni viene interamente assoggettata a tassazione senza ulteriori esclusioni, riduzioni o deduzioni riconducibili alle singole categorie reddituali. In sostanza, fino a quando il percipiente non superi l’importo massimo complessivo di sei milioni di lire sono escluse dalla tassazione le prime novantamila lire di compenso per ciascuna prestazione, mentre la quota-parte del compenso eccedente deve essere assoggettata a ritenuta a titolo di imposta. Qualora, invece, il percipiente abbia superato il limite complessivo di lire sei milioni tutte le ulteriori somme devono essere assoggettate a tassazione con applicazione della ritenuta a titolo d’imposta. 3384 il fisco 12/2000 CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI Per la corretta applicazione della norma, nella parte in cui prevede l’assoggettamento a tassazione “del compenso eccedente la somma di lire 90.000”, si rende comunque necessario individuare e valorizzare le singole prestazioni anche nell’ipotesi in cui il compenso sia unitariamente convenuto a fronte di più prestazioni. In tal caso, si dovrà ripartire proporzionalmente il compenso tra le varie prestazioni individuate ai fini della sua commisurazione al limite di lire novantamila. Va, infine, sottolineato che la nuova disciplina fiscale recata dal più volte citato art. 25 sostituisce quella contenuta nella L. 25 novembre 1986, n. 80. le, nonché i compensi comunque denominati corrisposti dalle predette società, debbono essere disposti attraverso conti correnti bancari o postali intestati all’associazione sportiva, ovvero effettuati mediante carte di credito o bancomat o altri sistemi di pagamento, che consentano concretamente lo svolgimento di efficaci e adeguati controlli quali, ad esempio, assegni non trasferibili intestati all’associazione sportiva destinataria dei versamenti. Allo scopo di rendere effettivamente attuata la sopra richiamata disposizione, il comma 3 dell’art. 4 del citato regolamento n. 473 prevede che i versamenti o i pagamenti di importi non inferiori a lire centomila eseguiti in difformità alle modalità prescritte, concorrono, in ogni caso, rispettivamente a formare il reddito del percipiente e sono indeducibili nella determinazione del reddito del soggetto erogante e comportano la decadenza dalle agevolazioni della L. n. 398 del 1991. Infine, il comma 4 dell’art. 4 del regolamento di attuazione prevede che tutte le disposizioni contenute nel medesimo art. 4 siano applicabili a tutti i soggetti che promuovono ovvero organizzano attività sportiva senza l’impiego di atleti che, al momento dello svolgimento della manifestazione o della prestazione, rivestano la qualifica di atleti professionisti secondo le disposizioni vigenti. 4.3. Adempimenti I percipienti devono, all’atto del pagamento, ma prima dell’effettivo esborso del compenso, autocertificare agli enti eroganti l’ammontare di tutti gli eventuali compensi della stessa natura già percepiti. Le verifiche richieste al sostituto d’imposta sono quelle volte ad accertare l’ammontare del compenso e l’eventuale superamento della soglia limite annuale. I soggetti che erogano i compensi devono rilasciare certificazione al percipiente attestante i compensi corrisposti e comunque devono presentare il Modello 770 ancorché i compensi erogati non siano stati assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta. Come precisato nella circolare n. 247/E del 1999 nel punto 1.14., l’art. 25, comma 5, della L. n. 133 del 1999, modificando con l’aggiunta della lettera “ i-ter)” l’art. 13 -bis, comma 1, del Tuir, ha previsto la possibilità per le persone fisiche che effettuano erogazioni liberali a favore delle società sportive dilettantistiche di fruire di una detrazione d’imposta lorda del 19 per cento calcolata su un importo massimo complessivo annuo di un milione di lire. Per le analoghe erogazioni effettuate da soggetti all’Irpeg la detrazione del 19 per cento va calcolata su un importo massimo di lire cinquecentomila. Come chiarito nel regolamento n. 473 del 1999 per società sportive dilettantistiche, destinatarie delle suddette erogazioni, si intendono i seguenti soggetti: - CONI; - federazioni sportive nazionali; - enti di promozione sportiva; - qualunque altro soggetto, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che sia riconosciuto da uno degli Organismi citati. 6. Modalità di effettuazione dei versamenti e dei pagamenti L’art. 4 del regolamento n. 473 del 1999 prevede che tutti i versamenti effettuati a favore delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche, nonché i pagamenti eseguiti dalle medesime, di importi non inferiori a lire centomila, ivi compresi le erogazioni liberali, i contributi, le quote associative e i proventi che non concorrono a formare il reddito imponibi- il fisco 5. Erogazioni liberali 7. Adempimenti contabili Ad integrazione dei chiarimenti forniti con la circolare n. 247/E del 1999, punto 6.9., si evidenzia la necessità dell’annotazione separata dei proventi dell’art. 25, comma 1, lettere a) e b), al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria il riscontro ed il controllo degli anzidetti proventi. Si precisa, altresì, che l’art. 5, comma 4, del citato regolamento n. 473 del 1999 impone l’obbligo di conservare copia della documentazione concernente incassi e pagamenti delle associazioni sportive dilettantistiche per tutto il periodo per cui è possibile esperire l’azione di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, come previsto dall’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Con il medesimo art. 5, comma 5, viene, infine, fissato, quale specifico adempimento contabile a carico delle associazioni sportive dilettantistiche che vogliano fruire dell’agevolazione dell’art. 25, comma 1, della L. n. 133 del 1999, un obbligo di rendicontazione analogo a quello stabilito dall’art. 20, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per gli enti non commerciali destinatari dell’art. 108, comma 2-bis, lettera a), del Tuir. Per espressa previsione normativa la suddetta rendicontazione deve essere tenuta e conservata ai sensi dell’art. 22 del citato D.P.R. n. 600 del 1973. Infine, si fa presente che nella precedente circolare n. 247/E del 1999 al punto 2, paragrafo 6.9. si è fatto erroneamente riferimento all’anno invece che al mese. Conseguentemente il primo periodo del menzionato punto 2 deve essere letto correttamente nel modo seguente: “qualora i presupposti vengano meno nel corso dell’anno, l’applicazione del tributo con il regime ordinario dovrà avvenire dal mese successivo a quello in cui sono venuti meno i cennati requisiti;”. ● 12/2000 il fisco 3385 CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI IVA L’applicazione dell’imposta sulle risultanze del lodo arbitrale Iva - Base imponibile - Somme stabilite da lodo arbitrale - Risarcimento danni - Rivalutazione monetaria ed interessi Trattamento - Artt. 13 e 15 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (RISOLUZIONE n. 25/E/III/7/1999/45904 del 7 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. Centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario) il fisco Con la nota … la Direzione regionale delle Entrate per la Toscana ha fatto presente che la A.S.L. n. 7 di S. ha chiesto chiarimenti sul trattamento, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, applicabile alle somme, stabilite dal lodo arbitrale, dovute dalla medesima all’impresa S. Costruzioni per la costruzione dell’ospedale della V.. Più specificamente con deliberazione dell’amministratore straordinario n. 687 del 16 luglio 1993 la suddetta A.S.L. ha affidato la costruzione dell’ospedale ad una Associazione Temporanea di Imprese della quale risulta capogruppo la citata impresa S. Costruzioni. Successivamente, dopo che i tecnici dell’impresa e della A.S.L. hanno puntualizzato i vari aspetti contrattuali ed esecutivi dell’opera, con delibera dell’amministratore straordinario n. 382 del 19 maggio 1994 la stessa A.S.L. approvava lo schema di contratto di appalto avente per oggetto la prima parte delle opere afferenti la realizzazione del predetto ospedale ed in data 23 giugno 1994 veniva stipulato tra le anzidette parti il contratto di appalto relativo alla realizzazione dei lavori in oggetto. Nel corso dell’esecuzione delle suddette opere si sono verificate delle situazioni anomale del tutto indipendenti dalla volontà dell’impresa appaltatrice che hanno determinato ritardi nella conclusione dei lavori e maggiori oneri per la medesima. Conseguentemente la predetta associazione di imprese, tramite la capogruppo S. Costruzioni, ha avanzato, in occasione della sottoscrizione dei S.A.L., alcune riserve le quali sono state regolarmente iscritte nel registro di contabilità. L’A.S.L. in oggetto, nel frattempo, con delibera 26 ottobre 1995 n. 2963, ha avviato la procedura di accordo bonario, prevista dall’art. 31-bis della L. 11 febbraio 1994, n. 109, proponendo di riconoscere la somma di lire 150.000.000 all’impresa la quale non ha ritenuto di accettare. Pertanto in data 18 gennaio 1996 la citata impresa capogruppo S. Costruzioni ha notificato alla A.S.L. in argomento domanda di arbitrato, ai sensi dell’art. 16 del contratto di appalto, nel quale sono stati formulati alcuni quesiti aventi per oggetto il riconoscimento di maggiori somme dovute per oneri, danni ed aggiornamento prezzi. Il collegio arbitrale, pur condividendo le argomentazioni della A.S.L. in merito alla circostanza che il ritardo lamentato dall’impresa in discorso, con riferimento alla stipulazione del contratto, rappresenta comunque una fase esplicitamente e specificamente prevista sia dal bando che dalla lettera di invito, fase pertanto necessariamente successiva all’identificazione dell’impresa tenuta ad eseguire l’opera in oggetto, ha, altresì, riconosciuto che era preciso onere dell’Amministrazione di attivarsi quanto prima al fine dell’individuazione degli elementi contrat- tuali, soprattutto in riferimento all’interesse generale relativo alla rapida costruzione dell’ospedale. Per le ragioni sopra considerate il collegio arbitrale ha ritenuto che “... il mancato rispetto da parte del committente dell’obbligo di cooperazione su di esso gravante configura un’ipotesi di mora accipiendi della stazione appaltante ... con conseguente obbligo risarcitorio per non essersi questa comportata in modo tale da non ledere gli interessi dell’appaltatore.” e conseguentemente ha accolto la richiesta dell’impresa avente per oggetto il riconoscimento per risarcimento danni dovuto al ritardo con cui è stato stipulato il contratto. In particolare l’accoglimento a titolo di risarcimento danni e per rivalutazione monetaria ed interessi sul risarcimento danni concerne le questioni rappresentate nei quesiti n. 1, n. 3 e n. 12; in ordine alla problematica di cui al n. 11, concernente la richiesta di maggiori somme e relativi interessi per la progettazione relativa alla variante di cui alla delibera GRT n. 3939/1995, il collegio arbitrale ha ravvisato che le stesse sono da corrispondere a titolo di riconoscimento di maggiori oneri conseguenti alla sospensione ed alla modifica dell’attività di progettazione. In relazione a quanto precede l’Amministrazione istante ha chiesto di conoscere se le somme relative ai predetti quesiti accolti nel lodo debbano o meno rientrare nel campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Al riguardo si ritiene utile precisare che l’art. 13, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce, tra l’altro, che agli effetti dell’Iva “La base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente ...”, nel successivo art. 15, n. 1), è previsto invece che sono escluse dal computo della base imponibile “le somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi del cessionario o del committente”. Tutto ciò premesso la scrivente ritiene che la individuazione della causa per la quale le somme in argomento sono da corrispondere consente di determinare il corretto trattamento fiscale applicabile agli effetti dell’Iva. Pertanto quelle corrisposte a titolo esclusivamente risarcitorio nonché per rivalutazione monetaria sul risarcimento danni e per relativi interessi, ai sensi del citato art. 15, n. 1), del D.P.R. n. 633 del 1972, sono escluse dal campo di applicazione dell’Iva. Per contro la somma configurata come riconoscimento di maggiori oneri, e relativa rivalutazione monetaria, conse- 3386 il fisco 12/2000 CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI guenti alla modifica dell’attività di progettazione è da ritenere un maggiore corrispettivo ai sensi del citato art. 13, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972. In tal caso i relativi interessi, avendo natura risarcitoria, sono da ritenere esclusi dal campo di applicazione dell’Iva ai sensi del citato art. 15, n. 1), del D.P.R. n. 633 del 1972. ● IVA Le auto aziendali messe a disposizione del dipendente Iva - Prestazioni di servizi - Auto aziendali messe a disposizione del dipendente dietro corrispettivo - Imponibilità - Sussiste Art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (RISOLUZIONE n. 24/E/2000/32723 del 7 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Entrate - Dir. Centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario) il fisco Un recente articolo apparso sulla stampa specializzata ha evidenziato il rischio che si determini una doppia imposizione, ai fini dell’Iva, nell’ipotesi in cui un’autovettura acquistata da un’azienda venga messa a disposizione del dipendente dietro versamento di un corrispettivo periodico. All’atto dell’acquisto della vettura l’azienda non può esercitare la detrazione dell’imposta ad essa addebitata stante la preclusione derivante dall’art.19-bis1, lettera c), del D.P.R. n. 633 del 1972. Sarebbe quindi logico che il successivo riaddebito dei costi al dipendente utilizzatore avvenisse senza applicazione dell’imposta, onde evitare la doppia imposizione. Per raggiungere questo risultato non è possibile, però, invocare l’applicazione dell’art. 10, n. 27-quinquies), del medesimo D.P.R n. 633, che riserva il regime di esenzione alle “cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli artt. 19, 19-bis1 e 19-bis2”. Il tenore letterale della disposizione ora richiamata ne consente infatti l’applicazione alle sole cessioni di beni, mentre nel caso di cui si discute la messa a disposizione dell’auto in favore del dipendente concretizza, ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 1), una prestazione di servizi. L’autore dell’articolo ipotizza però che il riaddebito del costo possa avvenire ugualmente in regime di esenzione dall’Iva in base all’applicazione della norma di cui all’art. 16, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, la quale stabilisce che “Per le prestazioni di servizi dipendenti da contratti d’opera, di appalto e simili che hanno per oggetto la produzione di beni e per quelle dipendenti da contratti di locazione finanziaria, di noleggio e simili l’imposta si applica con la stessa aliquota che sarebbe applicabile in caso di cessione dei beni prodotti, dati con contratti di locazione finanziaria, noleggio e simili”. L’Amministrazione finanziaria ha precisato con la circolare n. 127/E del 15 maggio 1996 (in “ il fisco” n. 21/1996, pag. 5331, n.d.r.), in materia di prestito d’uso di oro greggio, che il comma 3 dell’art. 16, benché fa riferimento espresso alle sole aliquote, può essere applicato anche nei casi in cui è necessario perequare il regime fiscale riservato a certe prestazioni rispetto a quello che sarebbe applicabile ove lo stesso risultato economico fosse raggiunto attraverso una cessione di beni. Lo stesso principio è stato ribadito nel paragrafo 3.1 della recente circolare n. 165/E del 2 agosto 1999 (in “ il fisco” n. 31/1999, pag. 10426, n.d.r.), laddove si è affermato che, in base al medesimo art. 16, comma 3, alle lavorazioni effettuate da terzi per la trasformazione dei rottami di metalli non ferrosi si rende applicabile lo stesso regime di sospensione dell’imposta previsto per le cessioni dei medesimi prodotti. Tenuto conto delle menzionate pronunce ministeriali, è stato proposto di estendere il regime di esenzione previsto - per le cessioni di beni acquistati senza detrarre neppure parzialmente la relativa imposta - dall’art. 10, n. 27-quinquies), del D.P.R. n. 633 del 1972, anche alle prestazioni che si concretizzano nella messa a disposizione del dipendente di beni acquistati senza detrazione (quali le auto). Nel contempo, viene evidenziato che la posizione attuale dell’Amministrazione finanziaria sembra invece propendere per l’applicazione dell’Iva alle prestazioni di messa a disposizione dell’auto al dipendente. La circolare n. 326/E del 1997 (in allegato a “ il fisco” n. 1/1998, pag. 263, n.d.r.) precisa infatti, al paragrafo 2.3.2.1, che, in caso di addebito di parte del costo auto al dipendente, ai fini del calcolo della parte residua di costo, che rappresenta fringe benefit, le somme addebitate debbono essere considerate al lordo dell’Iva. Tutto ciò premesso, si ritiene opportuno osservare in via preliminare che i principi strutturali in materia di Iva postulano la necessità di non applicare l’Iva allorché vengono ceduti beni a suo tempo acquistati senza poter detrarre, nemmeno parzialmente, la relativa imposta. Questo principio, espresso in termini normativi dall’art. 13.B.c.1 della VI Direttiva CEE (n. 77/388 del 17 maggio 1977) - e recepito dal legislatore nazionale con l’art. 10, n. 27-quinquies), del D.P.R. n. 633 del 1972, mira ad evitare la doppia imposizione su uno stesso cespite. 12/2000 il fisco 3387 CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI il fisco Un principio analogo non è stabilito dalla normativa italiana, né dalla Direttiva comunitaria, per le prestazioni di servizi attraverso le quali si mette a disposizione di altri un bene acquistato senza poter detrarre, neppure in parte, la relativa imposta. Poiché in tale ipotesi si raggiunge un risultato sostanziale analogo a quello che si otterrebbe tramite la cessione del bene, sembrerebbe coerente perequare il trattamento tributario dell’operazione a quello proprio della cessione stessa. La normativa nazionale contiene una norma, quella di cui al richiamato art. 16, comma 3, la quale potrebbe consentire di applicare il regime di esenzione anche alle prestazioni in discorso, se interpretata nel senso di ritenere che essa, pur facendo espresso riferimento alle aliquote, può essere applicata anche per realizzare la perequazione del regime Iva (esenzione). Questa interpretazione estensiva è stata già accolta, come sopra detto, con le circolari sul prestito di uso dell’oro e sul regime speciale Iva per il commercio dei rottami. Peraltro, invocare l’art. 16, comma 3, in connessione con l’art. 10, n. 27-quinquies), per applicare l’esenzione dall’Iva nel caso dell’auto aziendale concessa in uso dall’azienda al dipendente dietro corrispettivo, porta a risultati incompatibili con il sistema complessivo dell’imposta sul valore aggiunto. Il ragionamento fondato sul ripetuto art. 16, comma 3, infatti, dovrebbe applicarsi anche nel caso in cui l’indetraibilità originaria dell’Iva relativa ai beni acquistati non si ricollega ad una preclusione oggettiva (cioè all’art. 19-bis1), ma al fatto che il soggetto acquirente effettua solo operazioni esenti e quindi non è legittimato ad alcun recupero dell’Iva a monte. Ma in questo caso si verificherebbe l’effetto, potenzialmente distorsivo della concorrenza, che tutte le locazioni finanziarie, i noleggi, le locazioni e simili, poste in essere da soggetti con percentuale di detraibilità pari a zero, sarebbero assoggettate al regime di esenzione, a prescindere dalla natura del cespite oggetto dell’operazione. Ad esempio, un istituto bancario con pro rata di detraibilità zero potrebbe applicare il regime di esenzione a tutte le locazioni di unità immobiliari strumentali per natura (normalmente soggette all’aliquota del 20 per cento) effettuate. A ben vedere il fatto che la norma comunitaria volta ad evitare le doppie imposizioni si riferisca solo alle cessioni di beni e non anche alle prestazioni di servizi risponde ad una logica precisa. Vuole evitare, infatti, la doppia tassazione del bene che si ricollegherebbe al trasferimento definitivo dello stesso, ma non intende detassare anche le utilizzazioni che del bene, acquistato senza operare la detrazione, si facciano prima di cederlo. In definitiva, si ritiene corretto l’orientamento già affermato da questa Direzione centrale nella richiamata circolare n. 326/E. Per quanto concerne la possibile obiezione fondata sul fatto che l’art. 16, comma 3, è stato ritenuto applicabile a fattispecie del tutto analoghe, si ritiene che debba porsi l’accento sul fatto che il prestito d’uso d’oro è un contratto che determina il passaggio della proprietà in capo all’usuario del metallo, il che avvicina di molto la fattispecie a quella della cessione. Per quanto riguarda invece il regime di sospensione dell’imposta previsto per i rottami ed altri materiali di recupero, l’estensione alle prestazioni concernenti le lavorazioni è stata motivata dall’esigenza di garantire un trattamento uniforme al comparto che per la sua peculiarità è assoggettato ad una particolare disciplina di applicazione del tributo, tesa ad evitare pratiche frodatorie. ● DEMANIO Le dismissioni degli immobili appartenenti allo Stato Demanio - Beni immobili e diritti reali immobiliari appartenenti allo Stato - Alienazione - Istruzioni - Art. 4 della L. 23 dicembre 1999, n. 488 (CIRCOLARE n. 33/T/U.D.C./17404 del 6 marzo 2000 - Min. Finanze - Dip. Territorio - Dir. Centr. Demanio) il fisco L’art. 3, comma 99, della L. n. 662/1996, così come sostituito dall’art. 14, comma 12, della L. n. 449/1997, aveva previsto, innovando la precedente normativa, la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di alienare beni immobili e diritti reali immobiliari appartenenti allo Stato, mediante trattativa privata quando il valore non superava i 300 milioni di lire, ovvero, per importi superiori, mediante asta pubblica. Il medesimo articolo aveva contestualmente disciplinato le modalità di esercizio del diritto di prelazione da parte degli enti locali, stabilendo termini tassativi entro i quali il medesimo doveva esercitarsi. Tali disposizioni per il loro carattere fortemente semplificatorio hanno determinato una indiscussa accelerazione nel processo di dismissione del patrimonio immobiliare statale consentendo di raggiungere negli ultimi due anni obiettivi ragguardevoli, con l’ausilio anche di efficaci e autonomi strumenti di cui l’Amministrazione si è dotata e compendiati nella circolare n. 172/T del 2 luglio 1998 (in “ il fisco” n. 29/1998, pag. 9765, n.d.r.). 3388 il fisco 12/2000 il fisco Con la L. n. 488/1999, art. 4, è stata ridisegnata, nel breve volgere del tempo, la disciplina in materia di dismissione del patrimonio immobiliare statale e in particolar modo è stato integralmente sostituito il comma 99. Il testo attuale, che esplicherà i suoi effetti fino alla piena operatività dell’Agenzia del Demanio, introduce un diverso sistema di dismissione del patrimonio dello Stato, incentrato su programmi da definirsi dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministero delle finanze; l’attuazione dei programmi è demandata al Ministro del tesoro, che vi provvede mediante alienazione ad uno o più soggetti intermediari scelti con procedure competitive; mentre è attribuito al Ministro delle finanze il compito di procedere all’alienazione singola dei beni e diritti immobiliari, anche non compresi nei programmi, a soggetti diversi dagli intermediari. Ed è proprio su tale ultima previsione che preme soffermare l’attenzione e fornire istruzioni e chiarimenti agli uffici. Infatti, a differenza della normativa precedente, quella attuale non reca alcuna disposizione riguardo alle modalità - asta pubblica e/o trattativa privata - con cui deve procedersi all’alienazione; si prevede tuttavia la possibilità di derogare alle norme di contabilità dello Stato con l’intento ulteriormente di semplificare ed accelerare i procedimenti di dismissione. Emerge, pertanto, la necessità di definire l’ambito e la portata della deroga per consentire agli uffici di procedere all’attività di vendita. Considerato che la normativa in questione è destinata ad esercitare i suoi effetti in un arco di tempo limitato e che la materia è suscettibile di essere modificata da un disegno di legge ordinamentale collegato alla Finanziaria 2000 la scrivente ritiene opportuno che i provvedimenti di alienazione continuino ad essere effettuati secondo le disposizioni impartite con circolare n. 172/T. Ciò trova suo fondamento logico giuridico nel fatto che il sistema di individuazione del contraente ivi prefigurato risponde pienamente ai principi di legalità, imparzialità, trasparenza e pubblicità, principi fondamentali nell’ordinamento giuridico, nonché soddisfa i criteri di efficienza, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa. Nel rispetto di tali principi ed in conformità ai suddetti criteri si ritiene, in sostanza, di poter mantenere il ricorso alla trattativa privata nelle forme e con le modalità già indicate nella citata circolare quando il valore di stima dei beni immobili non superi i 300 milioni di lire, e di far luogo alla vendita tramite asta pubblica, quando il valore di stima superi tale importo. Del pari si ritiene opportuno mantenere la possibilità della trattativa privata, da esplicarsi con le modalità di cui alla circolare n. 172/T, qualora l’asta pubblica vada deserta. Per quanto riguarda le procedure inerenti all’espletamento dell’asta pubblica, si ritiene che, sulla base della facoltà espressamente riconosciuta dalla legge, possa derogarsi, in via generale, all’obbligo di far luogo alla pubblicazione del bando di gara (art. 66 del Regolamento di contabilità generale dello Stato) sul Foglio Annunzi Legali della provincia in cui avrà luogo l’asta. Invece la pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (sedici giorni prima del giorno fissato per l’incanto), avrà luogo quando il prezzo base d’asta supera lire un miliardo. Le modifiche suddette sono apportate nell’ottica di uno snellimento delle procedure e nella considerazione della scarsa efficacia di tali forme di pubblicità, che viceversa nei fatti risultano economicamente onerose e proceduralmente macchinose. L’esigenza della pubblicità viene in effetti ampiamente soddisfatta dalle modalità già indicate nella richiamata circolare n. 172/T (Internet, giornali locali, agenzie, pubblici uffici), che devono essere potenziate sia attraverso la pubblicazione dell’e- CIRCOLARI E NOTE MINISTERIALI stratto del bando di gara su un quotidiano nazionale, sia mediante affissione dei bandi di gara nelle immediate vicinanze del luogo ove è ubicato l’immobile da alienare, nonché mediante qualsiasi altro mezzo che si ritenga opportuno. Si evidenzia che nell’estratto del bando di gara da pubblicarsi sul quotidiano nazionale, dovrà espressamente essere previsto che ogni ulteriore più dettagliata informazione potrà essere assunta anche consultando il sito Internet: “demanio.finanze.it”. In ogni caso tutte le forme di pubblicità adottate devono essere espressamente menzionate nel verbale di aggiudicazione. Resta inoltre fermo l’obbligo di pubblicazione del bando nell’albo del comune ove è situato il bene nonché, ove l’ufficio lo ritenga opportuno, dei comuni viciniori. Sempre in tema di asta pubblica si dispone che, alla luce della soppressione della fase di approvazione, gli uffici, decorsi i termini per l’esercizio del diritto di prelazione da parte degli enti locali senza che il diritto medesimo sia stato fatto valere, invitino i soggetti aggiudicatari a corrispondere il prezzo di vendita entro quindici giorni dalla richiesta. Nel caso di trattativa privata, ferme restando le procedure previste nella richiamata circolare n. 172/T, per ovviare agli inconvenienti più volte verificatisi derivanti dalla mancata stipula del contratto da parte del migliore offerente, viene modificato il modulo di domanda già predisposto dall’Amministrazione in allegato alla circolare predetta, mediante apposita integrazione che prevede l’impegno dell’interessato, qualora la propria offerta sia risultata la migliore, a versare all’Erario un importo pari al 10 per cento del prezzo offerto nel caso in cui non partecipi alla stipula del contratto alla data fissata dall’ufficio (vedi allegato). Va infine chiarito che per quanto concerne il diritto di prelazione previsto dal comma 113 dell’art. 3 della L. n. 662/1996, in favore degli enti locali territoriali (comuni, province e regioni), la cui vigenza è mantenuta stante la formulazione del nuovo comma 99, si pone il problema di individuare, per quanto concerne le vendite singole poste in essere dall’Amministrazione finanziaria, le modalità di esercizio. Anche in tal caso appare utile e opportuno mutuare le modalità già previste dalla L. n. 449/1997, art. 14, comma 12, ora sostituito dalla L. n. 488/1999, in base alle quali sia nel caso di trattativa privata che in quello dell’asta pubblica, gli enti locali territoriali devono esercitare il diritto di prelazione entro i 15 giorni successivi al ricevimento della comunicazione da parte dell’Ufficio del Territorio. Va altresì precisato che in analogia a quanto previsto dall’art. 4, comma 11, della legge in esame, la priorità per l’esercizio del diritto di prelazione è attribuita ai comuni quindi alle province e quindi alle regioni. Nel richiamare le disposizioni già impartite nella recente lettera n. 3422 del 18 gennaio 2000, si fa riserva di ulteriori disposizioni per quanto riguarda espressamente la dismissione del patrimonio destinato ad uso abitativo secondo le previsioni contenute nel comma 14, dell’art. 4 della L. n. 488/1999. Infine, si attribuiscono secondo l’allegato prospetto, a ciascuna Direzione compartimentale gli obiettivi di vendita riferiti all’anno in corso, sulla base dell’obiettivo generale assegnato dall’Onorevole Signor Ministro nella direttiva riferita all’anno 2000. Si invitano pertanto codeste Direzioni compartimentali a voler divulgare con la massima sollecitudine il contenuto della presente ai propri dipendenti uffici, avendo cura di attenersi in maniera scrupolosa alle indicazioni in essa riportate. La presente circolare è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Allegati: … Omissis … ● 12/2000 il fisco 3389 giurisprudenza-flash del numero 12 ESTREMI Cassazione, Sez. Unite civ. Sent. n. 27 del 5 novembre 1999, dep. il 21 febbraio 2000 BILANCI - Postulato di chiarezza TITOLO E SINTESI DELLA MOTIVAZIONE È nulla la delibera di approvazione del bilancio che non rispetti il principio di chiarezza - Il bilancio di una società che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, comma 2, del codice civile, anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 127/1991 è illecito ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo di esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (restando in questi casi composto il contrasto rilevato). pag. 3390 Comm. Centrale, Sez. XIV Dec. n. 398 del 19 gennaio 2000, dep. il 25 gennaio 2000 REGISTRO - Agevolazioni Le agevolazioni per l’acquisto di immobili danneggiati dal sisma del 1976 - Il requisito previsto di primo acquisto per usufruire dei benefici fiscali, deve riferirsi ad ogni acquisto di immobile, anche se situato in altro comune terremotato ed effettuato dal medesimo acquirente ai fini del ripristino di una sede dell’impresa necessaria per lo svolgimento della propria normale attività. Verificata l’esistenza per il singolo atto considerato sia del requisito oggettivo che di quello soggettivo previsti dalla norma agevolativa, non può darsi, infatti, al contenuto della stessa una interpretazione restrittiva e, definitiva, contraria ai fini perseguiti. pag. 3402 3390 il fisco 12/2000 giurisprudenza 2 CORTE DI CASSAZIONE È nulla la delibera di approvazione del bilancio che non rispetti il principio di chiarezza PROCESSO CIVILE - Petitum e causa petendi - Rapporto di necessaria connessione con l’oggetto della lite Collegamento tra diritto all’informazione e principio di chiarezza - Qualificazione giuridica - Spetta al giudice - Artt. 101, 112 e 115 del codice di procedura civile Il giudice di merito nel decidere non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo tenere conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dall’azione dedotta in causa e dalle precisazioni eventualmente formulate nel corso del giudizio nonché del provvedimento richiesto in concreto, col solo limite della pronuncia richiesta e di non sostituire d’ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta. BILANCIO - Finalità - Garanzia di informazioni ai soci ed a terzi - Postulato di chiarezza - Informazioni chieste in assemblea - Discussione per la delibera del bilancio - Integrazione - Art. 2413 del codice civile Poiché la funzione del bilancio non è solo quella di misurare gli utili e le perdite d’impresa al termine dell’esercizio, ma anche quella di fornire ai soci ed al mercato tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere, è evidente che proprio la discussione assembleare che precede la (eventuale) approvazione del bilancio stesso costituisce il momento privilegiato per ottenere le informazioni dirette a colmare i deficit di conoscenza desumibili dal documento contabile e dalle relazioni di accompagnamento. BILANCIO - Finalità - Garanzia di informazioni ai soci ed a terzi - Postulato di chiarezza - Informazioni chieste in assemblea - Dovere di risposta degli organi sociali - Limiti - Sindacabilità - Art. 2413 del codice civile Il diritto di informazione non può essere assoluto dovendo lo stesso essere pertinente agli argomenti posti all’ordine del giorno ed inoltre gli amministratori possono rifiutarsi di rispondere legittimamente alle richieste di informazione quando la risposta comporti la diffusione di notizie pregiudizievoli per la società; ma se la domanda è pertinente e non trovi ostacolo in oggettive esigenze di riservatezza deve ricevere una risposta idonea a dissipare le insufficienze, le incertezze, i punti di carente chiarezza desumibili dai dati di bilancio e dalle relazioni. BILANCI - Postulato di chiarezza - Rapporto con il principio di verità - Strumentalità - Non sussiste - Autonomia - Sussiste - Violazione - Nullità della delibera di approvazione del bilancio - Sussiste - Artt. 2379 e 2423, comma 2, del codice civile - D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 - IV Direttiva CEE Il bilancio di una società che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, comma 2, del codice civile, anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 127/1991 è illecito ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo di esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (restando in questi casi composto il contrasto rilevato). BILANCIO - Postulato di chiarimenti - Chiesti dal socio in assemblea - Mancata enucleazione dei motivi di tale richiesta - Assenza di buona fede nell’esecuzione del contratto sociale - Non rileva - Insufficienza dei dati desu- 12/2000 il fisco 3391 GIURISPRUDENZA mibili dal bilancio e dagli allegati - Necessità di fornire i chiarimenti richiesti - Sussiste - Artt. 1375 e 2423, comma 2, del codice civile Redigere il bilancio con chiarezza è di per sé un obbligo legale degli amministratori, che non postula sollecitazioni, richieste o segnalazioni di alcun genere; pertanto se a fronte di una appostazione non decifrabile un socio in assemblea di approvazione del bilancio chiede chiarimenti, non è tenuto affatto ad illustrare agli organi della società “i dubbi o i sospetti” che egli possa o meno nutrire. I chiarimenti vanno forniti in modo adeguato ed effettivo, non essendo ipotizzabile una gradualità dell’informazione a seconda delle motivazioni addotte per richiederla, perché è motivo congruo l’insufficienza dei dati desumibili dal bilancio e dai documenti di accompagnamento. (Oggetto della controversia: impugnazione delibera assembleare) (CASSAZIONE, SS.UU. civ. - Sent. n. 27 del 5 novembre 1999, dep. il 21 febbraio 2000) Sostennero ancora che l’istanza di verifica dei criteri adottati dall’organo amministrativo nella redazione del bilancio non era fine a se stessa, ma era diretta ad accertare che, mediante una sopravvalutazione degli impianti e dei macchinari, non fosse stata in realtà occultata una perdita d’esercizio superiore al terzo del capitale sociale e, conseguentemente, non fosse stata aggirata la norma recata dall’art. 2446 del codice civile. Pertanto convennero in giudizio davanti al Tribunale di Monza la L.P. S.p.a., con sede in V., chiedendo che si dichiarassero nulle, o comunque si annullassero, le delibere tutte assunte dall’assemblea ordinaria della detta società, tenutasi il 7 maggio 1991, con ogni conseguenza di legge. La società si costituì per resistere alla domanda, della quale chiese il rigetto. Essa rilevò che la richiesta degli attori, diretta a prendere visione dei documenti utilizzati dall’organo amministrativo per la redazione del bilancio, da un lato appariva superflua, attesi i chiarimenti forniti nel corso del dibattito assembleare dal presidente del consiglio di amministrazione e dal presidente del collegio sindacale, dall’altro non trovava supporto giuridico, non sussistendo un diritto di informazione del singolo socio così ampio come quello che gli attori avevano preteso di esercitare. Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 14 agosto 1993, rigettò la domanda e condannò gli attori al pagamento delle spese giudiziali, considerando: La Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite civili, composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Andrea Vela (Primo Presidente), Dott. Antonio Iannotta (Presidente di sezione), Dott. Francesco Amirante (Presidente di sezione), Dott. Alessandro Criscuolo (Relatore), Dott. Giuseppe Ianniruberto, Dott. Raffaele Corona, Dott. Giovanni Olla; Dott. Alfio Finocchiaro, Dott. Paolo Vittoria (Consiglieri), ha pronunciato la seguente Sentenza sul ricorso proposto da L.P. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avvocato P.R., che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati G.P., A.P., giusta delega a margine del ricorso; ricorrente contro A.B., M.A.T., elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio dell’avvocato A.A. che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati V.O., G.E.C., giusta delega a margine del controricorso; controricorrenti Fatto Con citazione notificata il 29 luglio 1991 i signori A.B. e M.A.T., azionisti della L.P. S.p.a., impugnarono la delibera adottata dall’assemblea della società il 7 maggio 1991, con la quale era stato approvato il bilancio di esercizio al 31 dicembre 1990 previo voto contrario degli attori. Essi addussero che, nel corso dell’assemblea, erano state disattese le richieste, dai medesimi avanzate, dirette ad ottenere chiarimenti in ordine all’incremento, per oltre un miliardo di lire rispetto all’anno precedente, della valutazione degli “impianti e macchinari” inserita nell’attivo del bilancio, e che, in particolare, non era stato consentito loro di esaminare l’elaborato e la documentazione utilizzati dall’organo amministrativo per introdurre in bilancio la voce in contestazione. Aggiunsero che la mancata evasione, nel corso dell’assemblea, delle legittime richieste di chiarimenti formulate costituiva violazione del loro diritto all’informazione quali soci, nonché una sopraffazione da parte dei soci di maggioranza. il fisco avverso la sentenza n. 1460/95 della Corte d’appello di Milano, depositata il 23 maggio 1995; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 novembre 1999 dal Consigliere Dott. Alessandro Criscuolo; uditi gli avvocati P.R., G.P., per la ricorrente, G.E.C., per i controricorrenti; udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. Massimo Fedeli che ha concluso per il rigetto del ricorso. Che, ad avviso degli attori, il diritto di informazione loro spettante non era stato realizzato dai generici chiarimenti e dalle assicurazioni fornite in assemblea dal presidente del collegio sindacale, il quale si era limitato ad asserire di avere esaminato la documentazione inerente alla voce di bilancio “impianti e macchinari” e di averla trovata “regolare e conforme”, laddove tale diritto doveva ritenersi esteso all’analisi della documentazione utilizzata dall’organo amministrativo per redigere il bilancio, affinché il socio potesse avere la più ampia cognizione dei fatti sui quali era chiamato ad esprimere il proprio voto; Che tale opinione non andava condivisa sulla base della ricostruzione sistematica della vigente disciplina societaria, la quale differenziava il diritto di informazione del socio in relazione all’esistenza o meno nella società del collegio sindacale; Che, ai sensi dell’art. 2489 del codice civile (concernente le società a r.l. ma da ritenere espressione di un principio generale in ordine alle competenze ed alle conseguenti responsabilità dei vari organi sociali), “nelle società in cui non esiste il collegio sindacale, ciascun socio ha diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali”; Che, per contro, l’art. 2429 del codice civile dispone che il socio di società per azioni (nella quale il collegio sindacale è obbligatorio), durante i quindici giorni precedenti l’assemblea, può prendere visione del bilancio, delle relazioni degli amministratori e dei sindaci, non già di altri atti o documenti, per l’esistenza di un organo (il collegio sindacale) preposto al controllo della corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili e all’osservanza delle norme stabilite dall’art. 2426 del codice civile per la valutazione del patrimonio sociale; Che a tale organo, e non anche ai soci, la legge attribuisce il diritto di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento 3392 il fisco 12/2000 GIURISPRUDENZA delle operazioni sociali o su determinati affari, nonché di procedere ad atti di ispezione o di controllo. I signori A.B. e M.A.T. proposero appello, lamentando la confusione operata dal primo giudice tra i controlli sull’amministrazione (incontestabilmente riservati al collegio sindacale) e le richieste di informazioni che i soci avevano diritto di formulare in sede assembleare e che potevano essere necessarie per esprimere un voto cosciente e meditato. Contestarono l’assunto di controparte, secondo cui la relazione al bilancio avrebbe dato tutte le informazioni e la voce “impianti e macchinari” sarebbe risultata già “dettagliatamente illustrata e particolareggiata”, replicando che per tale voce l’incremento di oltre un miliardo era spiegato (quanto a 756 milioni) con la vaga formula “spese per ultimazione dei lavori di ripristino e di adattamento degli impianti” e null’altro. Chiesero quindi che, in riforma della sentenza appellata, si dichiarasse nulla o si annullasse la delibera di approvazione del bilancio al 31 dicembre 1990, con ogni conseguenza di legge. La società si costituì per resistere al gravame, sostenendo (tra l’altro) che il bilancio e la relazione degli amministratori ad esso connessa soddisfacevano pienamente ai requisiti di chiarezza e precisione delle singole poste iscritte e fissate dalla legge, rispondendo in modo chiaro e completo alle esigenze di puntuale informazione ai soci. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1460/95 depositata il 23 maggio 1995, in riforma della decisione impugnata dichiarò la nullità della delibera di approvazione del bilancio al 31 dicembre 1990 assunta dall’assemblea della L.P. S.p.a. in data 7 maggio 1991 e condannò la detta società al pagamento delle spese giudiziali del doppio grado. La Corte distrettuale osservò: il fisco Che la ragione dell’impugnativa della delibera stava nella mancata evasione della richiesta avanzata dagli appellanti, diretta ad ottenere chiarimenti sull’incremento di oltre un miliardo, concernente una voce dell’attivo di bilancio (impianti e macchinari), in asserita violazione del diritto di informazione dell’assemblea e dei soci; Che tale diritto si era - almeno inizialmente - manifestato in una richiesta di fornire in visione all’assemblea l’elaborato e la relativa documentazione contabile, utilizzata dall’organo amministrativo per inserire in bilancio la voce in contestazione; Che un diritto all’informazione, comprensivo dell’ispezione e consultazione delle scritture contabili e dei documenti sociali, non aveva supporto normativo, in quanto i soci avevano diritto di visura del libro soci e del libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari [art. 2422 con rinvio all’art. 2421, nn. 1) e 3), del codice civile], nonché della relazione degli amministratori sull’andamento della gestione sociale (art. 2429-bis del codice civile con rinvio all’art. 2423 del codice civile) e di quella dei sindaci (art. 2432 del codice civile), ma non il diritto di consultare elaborati tecnici, scritture contabili e quant’altro potesse influenzare la formazione delle poste in bilancio; Che soltanto eventualmente, nelle società prive del collegio sindacale, la seconda parte dell’art. 2489 del codice civile autorizza i soci rappresentanti almeno 1/3 del capitale sociale a fare eseguire la “revisione” annuale della gestione sociale, ritenuta da dottrina e giurisprudenza come una forma di controllo dei libri contabili; Che su tali rilievi convenivano in sostanza gli stessi appellanti, i quali, nelle difese conclusive, sembravano circoscrivere l’oggetto del gravame non sulla (incontestata) inesistenza di uno ius singulare spettante al socio di effettuare controlli sull’amministrazione, mediante richiesta di esibizione di atti e documenti ulteriori rispetto a quelli il cui esame era consentito dalla legge, ma piuttosto su negati o comunque insufficienti ed insoddisfacenti chiarimenti forniti ai soci per metterli in grado di esercitare un voto consapevole in assemblea; Che, in ordine a questa seconda questione, la Corte doveva convenire che il diritto all’informazione - funzionale al diritto di voto (come pure al diritto di discussione sull’ordine del giorno) - sarebbe stato compromesso se le notizie richieste fossero state rifiutate o in qualche modo eluse con risposte generiche ed inconcludenti; Che il principio della chiarezza, costituente caposaldo nell’evoluzione verso la trasparenza della disciplina riguardante il bilancio di esercizio in generale, e la relazione degli amministratori in particolare (transitata dalla riforma del 1974 all’attuazione della IV Direttiva CEE del 31 luglio 1978, mediante la rinnovellata normativa societaria con il D.Lgs. n. 127 del 1991), trova naturale corollario proprio nelle regole dell’informazione, suscettibile di maggiore o minore ampiezza in sede assembleare di approvazione del bilancio, secondo l’esposizione illustrativa della gestione sociale nella relazione di accompagnamento, salvi le valutazioni di opportunità e i controlli di legittimità rimessi esclusivamente agli organi amministrativi e sindacali; Che la relazione non doveva specificare la meccanica economica di tutti gli atti compiuti, ma doveva fornire dati sintetici e pur tuttavia precisi circa l’iter contabile di formazione (specialmente con riferimento agli investimenti, ai costi ed ai prezzi (art. 2429bis del codice civile) appunto allo scopo di consentire un giudizio consapevole sulla redditività e sulle prospettive dell’impresa; Che, in definitiva, al socio non si poteva precludere o comprimere il diritto ad una informazione corretta ed esauriente sulla vita societaria, fornendogli i dettagli e i chiarimenti richiesti in sede assembleare, ove le occorrenti spiegazioni non fossero già ricavabili dall’analisi della relazione al bilancio degli amministratori; Che, nel caso in esame, la legittima aspettativa del socio non era stata compiutamente esaudita; Che, infatti, nella riunione assembleare il presidente del collegio sindacale, dopo la precisazione di avere controllato la documentazione a sostegno della contestata posta in bilancio e di averla trovata regolare, a fronte della richiesta dei soci “se i costi di che trattasi presentassero effettivamente una utilità pluriennale e costituissero vere e proprie migliorie incrementative degli impianti stessi ovvero manutenzione più o meno ordinaria”, aveva spiegato che “la società stava convertendo gli impianti nel passato destinati all’attività di produzione di olii minerali in quella del tutto recente di sola commercializzazione degli stessi”; Che, evidentemente, si trattava di una non-risposta costituendo essa una mera affermazione tautologica, inidonea a fornire spiegazioni sul contenuto alternativo della domanda posta dai soci, i quali volevano in sostanza conoscere la natura della spesa, in cosa essa era materialmente consistita e quali impianti aveva interessato, per rendersi conto se i costi sostenuti dalla società fossero stati realmente incrementativi del valore, come condizione per la loro iscrizione all’attivo, oppure in tutto o in parte spese di manutenzione; Che ben a ragione era stata formulata la domanda di chiarimento, perché il lettore del bilancio e della relazione degli amministratori non avrebbe potuto ivi rinvenire la “spiegazione contabile” per fugare le perplessità legittimamente insorte, a fronte di una operata rivalutazione (oltre a quelle previste dalla legge) di lire 1.054.490.899, come si desumeva dal tenore della detta relazione del consiglio di amministrazione (riportata, in parte qua, nella sentenza della Corte territoriale), le cui enunciazioni non sembravano sufficienti a realizzare il diritto del socio di prendere contezza del percorso logico, attraverso il quale si perveniva al risultato esposto e dei criteri di contabilizzazione seguiti, tra l’altro sottoposti, per le spese pluriennali, all’accordo del collegio sindacale [art. 2426 del codice civile, poi trasfuso, ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 127 del 1991, nell’art. 2426, n. 5), del codice civile]; Che nulla era spiegato sulle modalità di incremento del valore patrimoniale e sulla capitalizzazione della spesa, con riguardo al fenomeno concreto venuto a realizzarsi in termini di lavori compiuti, costi sostenuti e relative causali); Che la relazione conteneva delle “conclusioni”, non delle “spiegazioni” e tali lacune, non colmate nell’appropriata sede assembleare, caratterizzata da mere risposte reiterative dell’affermazione che si trattava di spese di ristrutturazione, senza ulteriori ragguagli per una chiara comprensione della realtà della posta e della corretta metodologia di valutazione, si riflettevano sulla stessa validità della delibera di approvazione del bilancio, viziata da radicale nullità ai sensi dell’art. 2379 del codice civile; 12/2000 il fisco 3393 GIURISPRUDENZA Che le norme sui criteri di redazione del bilancio erano poste, infatti, a tutela di un interesse generale, trascendente quello dei singoli soci, mentre la lesione del diritto all’informazione, non riparata nelle sedi opportune per consentire attraverso il voto la formazione della volontà sociale, rendeva illecita la delibera di approvazione. Contro la suddetta sentenza la L.P. S.p.a., in persona del presidente del consiglio di amministrazione G.T., ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. I signori A.B. e M.A.T. resistono con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 del codice di procedura civile. La causa è stata assegnata alle Sezioni Unite civili di questa Corte per il contrasto manifestatosi in giurisprudenza in ordine al principio di chiarezza nel bilancio delle società di capitali. Diritto il fisco Deve essere esaminato con priorità, per ragioni di ordine logico, il terzo mezzo di cassazione. Con esso la società ricorrente, sono la rubrica “violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 112 e 115 del codice di procedura civile; art. 360, n. 3), del codice di procedura civile; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione: art. 360, n. 5), del codice di procedura civile”, deduce che la Corte di appello di Milano sarebbe incorsa in un patente vizio di extrapetizione, avendo ravvisato la nullità della delibera di approvazione del bilancio nella violazione delle “norme sui criteri di redazione del bilancio”, ed avendo affermato che il diritto all’informazione dei soci sarebbe stato “leso dall’incomprensibilità delle iscrizioni ed appostazioni, non diversamente ovviata nelle sedi opportune”. Il diritto all’informazione ritenuto leso dalla Corte di merito non sarebbe, pertanto, il diritto ad ulteriori informazioni e chiarimenti in assemblea, la cui violazione porterebbe, semmai, alla declaratoria di annullabilità della delibera, ma addirittura e sicuramente la violazione del principio di chiarezza e precisione del bilancio, avendo la Corte medesima ritenuto nulla la delibera per la riscontrata oscurità della posta “impianti e macchinari” (oscurità, oltretutto, desunta sulla base di un’errata qualificazione delle spese affrontate in ordine agli impianti e macchinari come spese di impianto e di avviamento, ex art. 2426 del codice civile). Tuttavia mai gli attori appellanti avrebbero chiesto o dedotto che la delibera che approvava il bilancio della L.P. S.p.a. fosse annullabile o nulla per violazione delle norme in tema di chiara e precisa redazione del bilancio e di corretta redazione degli allegati al bilancio, avendo essi chiaramente fondato le proprie affermazioni di invalidità della delibera esclusivamente sulla mancata informazione ai soci in sede assembleare. Soltanto sul sufficiente o insufficiente soddisfacimento del diritto di informazione in sede assembleare si sarebbero imperniate le difese degli attuali resistenti, nel conto del giudizio di appello (come anche di quello di primo grado), mentre mai in nessun atto difensivo si sarebbe contestata la correttezza dell’appostazione in sé e la sua conformità ai criteri di legge ed ai principi contabili individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La Corte milanese, dunque, avrebbe pronunciato la nullità della delibera assembleare fondandosi su un motivo non dedotto dagli attori in giudizio. Né sarebbe sostenibile che essa potesse d’ufficio esaminare vizi non specificamente fatti valere con l’atto di appello. Invero, come statuito da questa Corte (Cass., 29 aprile 1994, n. 4177), “l’impugnazione di una deliberazione societaria esige la specifica deduzione delle ragioni di nullità che si ritiene la inficino, in modo che la materia del contendere risulti precisamente definita, in relazione sia alla delimitazione dell’ambito entro e non oltre il quale devono esercitarsi i poteri decisori del giudice, sia al rispetto del principio del contraddittorio”. Il motivo non ha fondamento. Si deve premettere che, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto, piuttosto, del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché del provvedimento richiesto in concreto, con i soli limiti di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta e di non sostituire d’ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta (Cass., 24 settembre 1999, n. 10493; 20 marzo 1999, n. 2574; 15 gennaio 1999, n. 383; 12 gennaio 1999, n. 258). E si deve aggiungere che non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che accolga un’istanza la quale, pur non espressamente formulata, possa ritenersi implicitamente proposta e virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio, quando la domanda stessa, con particolare riguardo al petitum e alla causa petendi, si trovi in rapporto di necessaria connessione con l’oggetto della lite e non estenda il diritto che l’attore ha inteso tutelare con l’azione proposta (Cass., 13 aprile 1999, n. 3613; 20 maggio 1997, n. 4461). Tanto chiarito si osserva che, come risulta dagli atti (di cui questa Corte deve prendere diretta cognizione, essendo dedotto un error in procedendo), gli attuali resistenti fin dalla citazione introduttiva avevano chiesto che si dichiarasse la nullità, o comunque si pronunziasse l’annullamento, della delibera di approvazione del bilancio al 31 dicembre 1990, affermando che “La mancata evasione della richiesta di adeguati chiarimenti sull’incremento per oltre un miliardo di lire che avrebbe interessato, nell’esercizio 1990, impianti e macchinari della società, costituisce una patente violazione del diritto di informazione dell’assemblea (ed anche dei singoli soci che ne fanno parte)” (vd. pag. 4 della citazione). Il petitum, dunque, era inequivoco nel domandare, in primo luogo la declaratoria di nullità; e le ragioni di tale domanda venivano indicate nella violazione del diritto dell’assemblea e dei soci ad essere informati, violazione conseguente alla mancata evasione della richiesta di adeguati chiarimenti, che rendeva non comprensibile, perché non chiara, quella posta di bilancio. Già con la proposizione della domanda, pertanto, veniva in evidenza il collegamento tra diritto all’informazione e principio di chiarezza (su tale collegamento si tornerà in prosieguo, in particolare trattando del primo e del secondo mezzo di cassazione). Il tema è poi ripreso da A.B. e da M.A.T. con l’atto di appello nel quale, pur ponendosi l’accento sul diritto all’informazione non soddisfatto, con conseguente impossibilità di esprimere un voto cosciente e meditato, è ribadita l’esigenza di poter chiedere chiarimenti e dettagli per dare significato e contenuto alla “vaga formula” dedicata dalla relazione al bilancio alla voce in questione (vd. pagg. 5-6 dell’atto di appello). E nelle conclusioni del medesimo atto è riproposta, in via principale, la domanda di nullità. Del resto, che si discutesse anche del principio di chiarezza (art. 2423, comma 2, del codice civile, nel testo anteriore alla riforma attuata ad opera dell’art. 2 del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127) e che il diritto all’informazione fosse funzionale a tale principio, è aspetto ben colto dalla società attuale ricorrente, nella cui comparsa di costituzione in appello si legge: “Sotto questo profilo, il bilancio della L.P. e la relazione degli amministratori ad esso connessa soddisfacevano appieno ai requisiti di chiarezza e precisione delle singole poste iscritte fissate dalla legge, rispondendo in modo chiaro e completo alle esigenze di puntuale informazione ai soci” (pag. 11). Conseguentemente, il presunto vizio di extrapetizione non sussiste, in quanto la Corte distrettuale, nel richiamare il principio della chiarezza, altro non ha fatto che enucleare il contenuto sostanziale della domanda. Infatti, come ben si esprime la sentenza impugnata, quel principio trova naturale corollario proprio nelle regole dell’informazione in assemblea, onde la violazione del relativo diritto (se accertata), lasciando in ombra i punti controversi, si traduce appunto in violazione del principio suddetto. Perciò non è esatto che la Corte milanese abbia pronunciato la nullità della delibera assembleare fondandosi su un motivo non dedotto in giudizio. Il motivo costituiva invece componente logica necessaria della pretesa azionata, alla stregua delle 3394 il fisco 12/2000 il fisco considerazioni fin qui svolte, che rendono non pertinente il richiamo alla statuizione di questa Corte n. 4177 del 1994. Di qui l’infondatezza della censura. Con il primo mezzo di cassazione la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2261, 2320, comma 3, 2377 e 2379, 2403, 2489, 2422, 2432 (vecchio testo) del codice civile, in relazione all’art. 360, n. 3), del codice di procedura civile; violazione e falsa applicazione degli artt. 2423, 2424, 2425, 2426, 2429-bis (vecchio testo) del codice civile; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 5), del codice di procedura civile. La sentenza impugnata, dopo avere affermato correttamente che il diritto all’informazione non comporta il diritto di consultare elaborati tecnici, scritture contabili e quant’altro possa influenzare la formazione delle poste in bilancio, avrebbe (limitato il thema decidendum alla verifica dell’ampiezza (e così del rispetto) del diritto all’informazione del socio in sede di assemblea e delle conseguenze della sua violazione sulla delibera di approvazione del bilancio. In questa disamina, però, essa avrebbe dilatato i limiti di tale diritto fino a comprendervi indirettamente la pretesa alla conoscenza dei documenti contabili che poche pagine prima avrebbe escluso. Potrebbe convenirsi con la generica asserzione della Corte territoriale, secondo cui al socio andrebbe data un’informazione tale da consentirgli “un giudizio consapevole” sulla redditività e sulle prospettive dell’impresa e di esprimere “un voto cosciente”; sarebbe invece illegittimo affermare (nella specie) che la domanda di chiarimento sull’incremento della posta “impianti e macchinari” poteva essere agevolmente soddisfatta “riferendo a campione di talune voci significative di spesa e della loro causale”. Ciò equivarrebbe a sostenere che i dati risultanti da documenti e scritture che non devono per legge essere esibiti, devono tuttavia essere letti in assemblea, sia pure a campione; e tale ragionamento sarebbe contraddittorio, finendo col privare di contenuto l’enunciazione di principio circa l’inesistenza di un diritto dei soci alla consultazione dei documenti e delle scritture sociali. Il riferimento di voci a campione non potrebbe arrestarsi per determinazione del presidente dell’assemblea, quando il socio, dopo una prima “campionatura”, volesse conoscerne altre in ordine alla posta che lo interessa, onde la lettura delle voci e delle causali verrebbe a corrispondere nella sostanza alla consultazione dei documenti giustificativi. Un simile dilatato diritto a conoscere i dati “giustificativi” delle poste e delle risultanze di bilancio e delle affermazioni contenute nella relazione degli amministratori non sarebbe però conforme alla disciplina delle società per azioni, come risultante dalla normativa richiamata nella rubrica del motivo e, segnatamente, dall’art. 2432 del codice civile, che attribuisce al solo collegio sindacale il controllo del bilancio e della relazione alla luce dei documenti giustificativi, mentre i soci avrebbero unicamente il diritto di prendere visione del bilancio e delle relazioni degli amministratori e dei sindaci. Nel caso in esame, secondo la sentenza, il diritto all’informazione circa l’incremento della posta “impianti e macchinari” non sarebbe stato soddisfatto: a) né dalla risposta in assemblea del presidente del collegio sindacale, secondo cui le spese sarebbero state riferite alla conversione degli impianti; b) né dalla specificazione (contenuta nella relazione degli amministratori) che gli incrementi della posta erano dovuti “a ingenti e costosi lavori per la ristrutturazione dei serbatoi stessi e degli impianti accessori”; c) né dalla illustrazione delle specifiche cifre dell’incremento. Invece proprio queste convergenti notizie avrebbero costituito l’informazione richiesta dalla legge. Resterebbe soltanto da stabilire se davvero l’informazione medesima dovesse avere un contenuto maggiore, dovesse cioè, come opinato dal giudice di appello, “dare contezza del percorso logico attraverso il quale si perviene a quel risultato e dei seguiti criteri di contabilizzazione” e spiegare “le modalità di incremento del valore patrimoniale e la capitalizzazione della spesa con riguardo al fenomeno concreto venuto a realizzarsi in termini di lavori compiuti, costi sostenuti e afferenti causali”. GIURISPRUDENZA Ma tale configurazione del diritto de quo non troverebbe conforto nella legge, con la quale anzi sarebbe in contrasto. Se gli amministratori e i sindaci dovessero dare conto del percorso logico, dei lavori compiuti (da indicare singulatim), dei costi sostenuti (del pari da indicare in dettaglio) e delle singole causali, ne deriverebbero conseguenze sufficienti a dimostrare l’insostenibilità dell’orientamento espresso dalla sentenza impugnata. Per un verso resterebbe superata la normativa riguardante il bilancio e le relazione allegate, mentre quella normativa dovrebbe essere il reale ancoraggio per la veridicità e la chiarezza del bilancio; per un altro verso si andrebbe incontro a pericolosi esiti in ordine al funzionamento delle assemblee sociali, chiamate ad approvare il bilancio di esercizio. Tali assemblee resterebbero alla mercé dei capricciosi voleri di soci disturbatori o incompetenti, estrosi o emulativi. In sintesi, l’andamento delle sedute assembleari, specialmente nelle grosse società, rischierebbe di diventare ingovernabile e questa conseguenza sarebbe rivelatrice della insostenibilità del principio. L’errore della Corte milanese, sul piano giuridico, consisterebbe appunto nell’aver pensato il diritto all’informazione come una specie di diritto assoluto, mentre al contrario sarebbe un diritto configurabile in specifica relazione alla quantità, tipo e grado di notizie che la normativa impone agli amministratori ed ai sindaci di fornire ai soci per la specifica delibera in approvazione. Nessuna norma in tema di criteri di redazione del bilancio e delle relazioni degli amministratori e dei sindaci richiederebbe un grado di analiticità di informazione come quello indicato dalla sentenza impugnata. Nessuna norma imporrebbe che di ciascuna posta del bilancio venga fornita la spiegazione contabile, o che sia descritto il percorso logico attraverso il quale si perviene ad un certo risultato, o che siano spiegate le modalità di incremento del valore patrimoniale di un determinato bene, con riguardo al fenomeno concreto venuto a realizzarsi, in termini di lavori compiuti, costi sostenuti e relative causali. Al contrario, l’art. 2429-bis del codice civile, elencando i dati più specifici che in ogni caso devono risultare dalla relazione, richiederebbe - per quanto interessa la fattispecie - la specificazione dei “criteri seguiti nella valutazione delle varie categorie di beni e le loro eventuali modifiche rispetto al bilancio del precedente esercizio” [n. 1), comma 2] e la specificazione delle “variazioni intervenute nella consistenza delle partite dell’attivo e del passivo” [n. 3), comma 2]. Informazioni, queste, che sarebbero state fornite con riguardo alla voce “impianti e macchinari” nel bilancio e nella relazione degli amministratori della L.P., essendo stato ivi specificato che i criteri di valutazione dei cespiti non avevano subito modifiche rispetto ai precedenti bilanci, essendo state segnalate sia l’entità dell’incremento della posta impianti e macchinari, sia le ragioni (mutamento del tipo di utilizzazione degli impianti) che avevano richiesto i lavori di conversione-ristrutturazione-adeguamento degli impianti stessi, ed essendo stato indicato il valore dei singoli cespiti come rivalutati ex lege. La Corte milanese, poi, sarebbe incorsa in un altro errore di diritto, nel determinare l’ampiezza dell’informazione dovuta qualificando le spese capitalizzate come spese di impianto e di avviamento ex art. 2426 del codice civile. I costi di “ripristino e di adattamento degli impianti” sarebbero pacificamente costi che possono essere capitalizzati, cioè aggiunti al costo iniziale del bene iscritto all’attivo, in quanto abbiano comportato e comportino un incremento del valore di utilizzazione del bene. Non si tratterebbe, invece, di spese riconducibili al punto 6) dell’art. 2429-bis, comma 2, né - come affermato dalla Corte d’appello - di spese di impianto e di ampliamento ex art. 2426. Queste ultime sarebbero quelle sostenute per la costituzione della società o per l’aumento di capitale e, secondo una recente innovativa dottrina, anche quelle per la costituzione o l’ampliamento dell’azienda sociale. Non rientrerebbero, invece, in tale categoria di spese quelle sostenute dalla L.P. per il ripristino e la conversione degli impianti e macchinari, sicché il richiamo della Corte d’appello al citato art. 2426 del codice civile sarebbe non pertinente, anzi errato. 12/2000 il fisco 3395 GIURISPRUDENZA il fisco Se rettamente intese come spese incrementative del valore dei beni, iscrivibili per ciò stesso direttamente a maggior valore di bilancio del bene interessato dall’incremento, nessuna norma sui criteri di redazione del bilancio risulterebbe violata dalla L.P. Il motivo non ha fondamento. Non è contestato (né potrebbe seriamente esserlo) che in sede di assemblea, i soci intervenuti abbiano diritto non soltanto ad esprimere la propria opinione sugli argomenti all’ordine del giorno, ma anche a richiedere informazioni e chiarimenti sia sulle materie oggetto di deliberazione sia sull’andamento della gestione sociale. Ciò vale, ovviamente, anche e soprattutto in sede di assemblea per l’approvazione del bilancio. D’altro canto, poiché la funzione del bilancio non è soltanto quella di misurare gli utili e le perdite dell’impresa al termine dell’esercizio, ma anche quella di fornire ai soci ed al mercato tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere, è evidente che proprio la discussione assembleare che precede la (eventuale) approvazione del bilancio stesso costituisce il momento privilegiato per ottenere le informazioni dirette a colmare i deficit di conoscenza desumibili dal documento contabile e dalle relazioni di accompagnamento. Tale indirizzo trova oggi espresso riscontro normativo nel testo dell’art. 2423 del codice civile, in tema di redazione del bilancio, come sostituto dall’art. 2 del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 (attuativo delle Direttive n. 78/660/CEE e n. 83/349/CEE in materia societaria). Il comma 3 di detta norma, infatti, dispone che, se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare un’informazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo. Ma la funzione informativa del bilancio e il correlato diritto all’informazione trovavano già saldo aggancio nella normativa precedente e, in particolare, proprio nel dettato dell’art. 2423 del codice civile (vigente all’epoca cui si riferisce la delibera impugnata), dal momento che anche quel dettato enuncia il principio di chiarezza, cui è collegato il diritto all’informazione, finalizzato a consentire l’espressione in assemblea di un voto cosciente e meditato appunto perché basato su un’adeguata conoscenza dei dati. Certamente si pone il problema di determinare l’estensione di tale diritto, che non può essere assoluto (né la sentenza impugnata lo afferma). In proposito, e fermo il punto che il suo esercizio deve essere pertinente agli argomenti posti all’ordine del giorno, è da ritenere in via generale che gli amministratori (o chi per essi) possano rifiutarsi legittimamente di rispondere alla domanda di informazione, quando la risposta comporti la diffusione di notizie destinate a rimanere riservate e la cui diffusione possa arrecare pregiudizio alla società (salva la verifica in sede giudiziaria della legittimità di tale comportamento). Ma, quando la domanda sia pertinente e non trovi ostacolo in oggettive esigenze di riservatezza, essa deve ricevere una risposta che, seppure modulata sul tipo, sulla quantità e sullo scopo delle informazioni richieste, deve essere concreta ed adeguata, vale a dire idonea a dissipare le insufficienze, le incertezze, i punti di carente chiarezza desumibili dai dati di bilancio e dalle relazioni. In altre parole, il diritto all’informazione deve trovare una realizzazione effettiva e non già ricevere una risposta di mera apparenza. D’altro canto, esso non è fine a se stesso. Poiché le informazioni fornite in assemblea sono destinate a soddisfare l’interesse ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio (col risultato, tra l’altro, di far venire meno l’interesse del socio ad eventuali impugnative della delibera di approvazione), risulta evidente il rapporto strumentale che quel diritto presenta col principio di chiarezza. Come dianzi si è accennato, la sua prioritaria ragion d’essere riposa appunto sull’esigenza di rimuovere gli aspetti di insufficienza o di oscurità che si possano cogliere nell’esposizione dei dati contabili: e dunque esso non può dirsi realizzato quando le risposte alle domande avanzate in assemblea dal socio siano sommarie, inadeguate o meramente assertive. L’accertamento al riguardo si traduce in un apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua motivazione immune da vizi logici. Alla stregua di tali considerazioni, la sentenza impugnata si sottrae alle censure formulate dalla società ricorrente col motivo in esame. Non è esatto, in primo luogo, che la Corte di merito abbia dilatato eccessivamente i limiti del diritto all’informazione, Essa ha osservato che tale diritto resterebbe compromesso se le notizie richieste fossero rifiutate o eluse con risposte generiche e inconcludenti; ha rilevato che il principio della chiarezza trova naturale corollario proprio nelle regole della informazione, ponendo in rilievo che questa è suscettibile di maggiore o minore ampiezza in sede assembleare di approvazione del bilancio, a seconda che minore o maggiore risulti l’esposizione illustrativa della gestione sociale nella relazione di accompagnamento; ha rimarcato che il diritto del socio ad ottenere una informazione corretta ed esauriente sulla vita societaria non può essere precluso o compresso, aggiungendo che, se l’informativa non va spinta fino a riconoscergli un diritto alla “ispezione” della documentazione contabile, essa va comunque soddisfatta con ragionevoli dettagli e chiarimenti forniti in sede assembleare, qualora le spiegazioni non siano già ricavabili dall’analisi della relazione al bilancio; è quindi passata all’esame della fattispecie concreta. Orbene, in questo percorso logico (in tutto coerente con le considerazioni sopra svolte circa contenuto e limiti del diritto all’informazione) non si coglie alcuna dilatazione di quel diritto, che risulta anzi definito con sufficiente precisione. Il passaggio argomentativo, per cui la domanda di chiarimenti sull’incremento della posta “impianti e macchinari” poteva essere soddisfatta riferendo a campione di talune voci significative di spesa e delle loro causali, non significa imporre la lettura in assemblea dei dati risultanti da documenti e scritture che non devono per legge essere esibiti. A parte il rilievo che si tratta di un esempio (e cioè di un argomento ad abundantiam, com’è reso palese dal fato che la proposizione è collocata tra parentesi), il riferire voci e causali di spesa costituisce uno dei possibili modi di rispondere in termini concreti alle esigenze informative rappresentate dal socio, ma non equivale certo a costringere amministratori e sindaci a leggere in assemblea documenti e scritture, onde l’argomento si rivela suggestivo ma privo di fondamento, con conseguente insussistenza delle denunziate violazioni di legge. È vero, poi, che il controllo della correttezza delle iscrizioni a bilancio e della loro corrispondenza con i sottostanti dati giustificativi appartiene al collegio sindacale. Ma ciò non preclude al socio di chiedere in assemblea i necessari chiarimenti, ove la relazione dei sindaci si riveli non chiara e non esauriente, se non si vuole privare di ogni contenuto quel diritto all’informazione che la stessa ricorrente astrattamente non disconosce. Quanto alle critiche (sopra riassunte) circa la configurazione di tale diritto, si deve osservare che esse muovono da un’interpretazione non condivisibile della normativa in materia di bilancio. Già si è notato che questo ha anche la funzione di fornire ai soci e ai terzi tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere. Come questa Corte ha affermato (e il collegio condivide il principio, cui intende dare continuità), tali informazioni non attengono soltanto ai dati conclusivi, ma anche alle singole poste e al modo della loro formazione, in guisa che il lettore del bilancio sia messo in grado di ripercorrere l’iter logico che ha guidato i redattori del documento nelle scelte e nelle valutazioni che ogni bilancio necessariamente implica, e sia messo in condizioni di conoscere in maniera sufficientemente dettagliata la composizione del patrimonio della società ed i singoli elementi che hanno determinato un certo risultato economico di periodo (così Cass., 3 settembre 1996, n. 8048, in motivazione). In questo quadro ben si spiega che gli amministratori di una società di capitali, o chi per essi, chiamati in assemblea a fornire informazioni specifiche e non meramente rituali in ordine ad una certa posta del bilancio (specialmente quando essa sia consistente e suscettibile di incidere sull’equilibrio contabile dell’organismo sociale), debbano illustrare - sia pure in forma sintetica - i criteri utilizzati e gli elementi che hanno concorso a determinare la formazione di quella posta, nel cui novero rien- 3396 il fisco 12/2000 il fisco trano i lavori compiuti, i costi sostenuti e le relative causali. Diversamente diventa difficile capire, per restare alla fattispecie in esame, perché le spese siano state capitalizzate, cioè aggiunte al costo iniziale del bene iscritto all’attivo, in quanto comportanti un incremento del valore di utilizzazione del bene medesimo, e non siano servite soltanto a ripristinarlo. Pertanto nel caso in esame la Corte distrettuale, nel rilevare che nulla era stato spiegato sulle modalità di incremento del valore patrimoniale e sulla capitalizzazione della spesa, non ha compiuto alcuna forzatura o dilatazione del diritto all’informazione, ma ha semplicemente posto l’accento sull’esigenza che esso abbia carattere di effettività. Né possono condividersi le preoccupazioni espresse dalla ricorrente circa il funzionamento delle assemblee sociali chiamate ad approvare il bilancio, perché eventuali domande “estrose” o emulative possono essere adeguatamente contenute attraverso l’uso dei poteri ordinatori e di direzione dei lavori spettanti al presidente dell’assemblea (art. 2371 del codice civile). Infine, quanto all’assunto secondo cui la Corte milanese sarebbe incorsa in un errore di diritto nel qualificare le spese capitalizzate come spese di impianto e di avviamento ex art. 2426 del codice civile, si deve replicare che il punto non è rilevante nel contesto delle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata. Infatti, questa richiama la norma citata soltanto per affermare che i criteri di contabilizzazione sono soggetti, per le spese pluriennali, all’accordo del collegio sindacale (vd. pag. 10), accennando così, in via del tutto incidentale (“tra l’altro”), ad un profilo che era estraneo al tema della decisione, sulla quale risulta priva di incidenza. Conclusivamente, il motivo ora esaminato deve essere respinto. Con il secondo mezzo di cassazione la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2377, 2379, 2432 (vecchio testo) del codice civile, in relazione all’art. 360, n. 3), del codice di procedura civile, nonché omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 5), del codice di procedura civile. Sulla base dell’asserito difetto di informazione la sentenza impugnata avrebbe dichiarato la nullità della delibera di approvazione del bilancio, in quanto le lacune dell’informazione si sarebbero riverberate sulla stessa validità della delibera viziata da radicale nullità ai sensi dell’art. 2379 del codice civile, essendo le norme sui criteri di redazione del bilancio stabilite a tutela di un interesse generale, che trascende quello dei singoli soci. Tale argomentazione si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in tema di presupposti di nullità delle delibere che approvano i bilanci. La nullità di dette delibere, infatti, presupporrebbe che l’omissione di indicazioni analitiche costituisca un ostacolo effettivo alla conoscenza completa ed esatta della realtà, non bastando la sola scarsa chiarezza e precisione dell’appostazione ed affermandosi che, se il bilancio non è redatto in maniera analitica, ne soffre l’evidenza e l’immediata comprensibilità, ma non necessariamente può ritenersi vulnerato il principio di verità. Tra l’altro, sarebbe stato chiarito che, se pure si volesse ritenere non assolto (o non compiutamente assolto) il diritto all’informazione sulla posta di bilancio, l’invalidità (per tale ragione) della delibera di approvazione potrebbe affermarsi soltanto qualora il difetto di distinzione o di analisi si fosse tradotto in oscurità e la realtà da rappresentare fosse diventata incomprensibile e cioè ignota, il che sarebbe equivalente ad impossibilità di conoscere la verità. Questi principi sarebbero stati ignorati dalla Corte di merito. La motivazione della sentenza impugnata, anzi, dimostrerebbe che essa avrebbe ritenuto nulla la delibera di approvazione del bilancio per il semplice fatto che non era stato raggiunto un livello di informazione postulato come necessario (e comunque illegittimamente determinato), indipendentemente dal necessario effetto della lesione del principio di verità. In ogni caso la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione sul punto, o comunque motivata in modo contraddittorio e perplesso. Essa si sarebbe limitata a definire l’aspettativa del socio all’informazione “non compiutamente esaudita” (con espressione evidentemente indeterminata); ovvero avrebbe formulato le GIURISPRUDENZA ipotesi che le informazioni date non “paiono peraltro sufficienti ad acquietare il diritto del socio di prendere contezza del percorso logico attraverso il quale si perviene a quel risultato”; o che le informazioni conterrebbero “conclusioni” e non “spiegazioni”; e ancora che non sarebbero stati dati “ulteriori ragguagli per una chiara comprensione della realtà della posta e della corretta metodologia di valutazione”. Ma la certezza e l’affidamento per i soci e i terzi sulla validità della delibera di approvazione del bilancio sociale non potrebbe dipendere dall’applicazione di concetti dai contorni assai elastici. Le testuali espressioni della sentenza impugnata non soltanto rivelerebbero l’errore di diritto messo in evidenza, ma paleserebbero anche il vizio della motivazione, laddove non sarebbe stato dimostrato che il bilancio, le relazioni e le informazioni fornite in assemblea con riguardo alla voce “impianti e macchinari” e al suo incremento, fossero state date in modo da rendere o lasciare oscura la posta, al punto da rendere incomprensibile al socio quanto andava ad approvare. Al contrario, la sentenza avrebbe dato per presupposto che, nel bilancio, l’appostazione de qua era separatamente indicata come “impianti e macchinari” (e non confusa con altre); che nella relazione si specificava l’incremento in lire 1.054.490.899; che si specificava, altresì, la doppia imputazione di tale incremento, riferito “a spese per ultimazione dei lavori di ripristino e di adattamento degli impianti”; che erano specificamente indicate le singole categorie dei cespiti, distinti tra quelli rivalutati e non; che in assemblea il presidente del collegio sindacale aveva confermato la correttezza della posta con riferimento alla documentazione; che lo stesso presidente in assemblea aveva chiarito che l’incremento della posta era giustificato dal fatto che le spese afferivano alla conversione degli impianti dall’attività di produzione degli olii minerali alla commercializzazione degli stessi. Orbene, pure in presenza di questa serie di dati ammessi come pacifici dalla stessa sentenza, la Corte milanese non avrebbe spiegato perché l’informazione basata su quei presupposti avesse lasciato oscuro o incomprensibile il bilancio, al punto da condurre alla nullità della delibera di approvazione, né avrebbe chiarito perché le informazioni asseritamente necessarie per spiegare i percorsi logici sottostanti alle poste di bilancio fossero richieste addirittura per riscattare il bilancio in questione dall’oscurità e dall’incomprensibilità tali da ledere il principio di verità. Nella sentenza impugnata, invero, non si troverebbe traccia del mancato rispetto di tale principio, né vi sarebbe al riguardo motivazione, come pure non sarebbe motivata la presunta oscurità della posta “impianti e macchinari”. L’esame del motivo presuppone la composizione del contrasto di giurisprudenza, in ragione del quale la causa è stata rimessa a queste Sezioni Unite. Infatti, sulla violazione del principio di chiarezza - enunciato dall’art. 2423, comma 2, del codice civile - si sono manifestati due orientamenti. Una prima tesi, che per un certo periodo può considerarsi prevalente, è diretta a propugnare, per giungere alla declaratoria di invalidità di una delibera di approvazione di bilancio, una sorta di supremazia del principio di verità del bilancio medesimo o comunque, pur attribuendo rilevanza ai difetti di chiarezza, ritiene necessario ravvisare nella violazione di quest’ultimo principio una qualche compromissione del principio di verità, al quale la chiarezza è considerata funzionale (vd., tra le altre, Cass., 9 febbraio 1979, n. 906; 16 dicembre 1982, n. 6942; 27 febbraio 1985, n. 1699; 18 marzo 1986, n. 1839; 23 marzo 1993, n. 3458; 25 maggio 1994, n. 5097; 22 luglio 1994, n. 6834; 2 ottobre 1995, n. 10348). Una seconda tesi, invece, nega che la rilevanza del precetto di chiarezza debba restare subordinata al rispetto di un sovraordinato principio di verità del bilancio, prendendo posizione a favore dell’autonomia del precetto di chiarezza (Cass., 14 marzo 1992, n. 3132; 30 marzo 1995, n. 3774; 3 settembre 1996, n. 8048; 8 agosto 1997, n. 7398). Il primo indirizzo, pur con differenti sfumature determinate dalla diversità delle fattispecie esaminate, muove dal rilievo che, alla luce della correlazione tra il principio di chiarezza e 12/2000 il fisco 3397 GIURISPRUDENZA il fisco precisione dettato dall’art. 2423, comma 2, del codice civile, e quello fondamentale di verità, preordinato alla tutela della pubblica fede, la violazione delle disposizioni relative alle modalità di redazione del bilancio (art. 2424 del codice civile) rende nulla la delibera di approvazione soltanto quando risultino in concreto pregiudicati gli interessi generali tutelati dalla norma, e non anche quando l’incidenza su di essi sia insignificante o trascurabile. Si è poi puntualizzato che il principio di verità del bilancio, fondamentale al punto da vedere sanzionata penalmente la sua violazione, è posto a tutela non solo dell’interesse dei soci ad essere correttamente informati della situazione economicopatrimoniale della società al termine di ciascun esercizio, ma anche dell’interesse dei terzi che hanno instaurato rapporti con la società, nonché dell’interesse generale dello Stato alla realizzazione di un più compiuto controllo sull’attività delle società per azioni ed alla regolarità della loro gestione in vista del conseguimento dello scopo economico-pratico del contratto sociale. Si è inoltre osservato che il principio di chiarezza e precisione è strumentale al rispetto del principio di verità e va inteso in funzione della finalità da questo perseguita, sicché deve escludersi che l’inosservanza della regola enunciata nel comma 2 dell’art. 2423 valga a produrre la nullità della deliberazione di approvazione del bilancio anche nei casi in cui risulti soddisfatta l’esigenza di verità, o quando si tratti di violazione meramente formale ed apparente delle disposizioni che disciplinano il contenuto del bilancio, pur riconoscendosi la natura imperativa delle norme a tal fine dettate dal codice civile. In definitiva, solo un bilancio non veritiero (per tale intendendosi quello in cui venga alterata sostanzialmente, mediante valutazioni di attività e passività sociali artificiose e false, la reale situazione patrimoniale della società, con conseguente lesione degli interessi generali tutelati dalla legge), può determinare la nullità della delibera di approvazione, non anche “un semplice vizio di calcolo e di valutazione in cui si sia incorsi nella compilazione del bilancio” (vd., in motivazione, la sentenza n. 906 del 1979, con la giurisprudenza ivi richiamata). Alla mancanza di verità del bilancio è stata equiparata, ai fini della nullità della deliberazione approvativa, la “inconoscibilità contabile” (Cass., n. 3373 del 1977, cit.), ossia l’impossibilità di conoscere la reale situazione della società, avvertendosi peraltro che la causa di nullità per illiceità dell’oggetto non sussiste quando dalle relazioni degli amministratori e dei sindaci, nonché dalle risultanze della discussione in assemblea sia possibile desumere ulteriori dati ed informazioni che consentano di acquisire un’esatta conoscenza della situazione reale della società e di controllare il rispetto sostanziale del principio di verità del bilancio (vd. Cass., 3458 del 1993, cit. in motivazione, con la giurisprudenza in essa menzionata). Il secondo indirizzo, invece, rileva che il bilancio d’esercizio di una società di capitali è illecito non soltanto quando la violazione della normativa al riguardo determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole invece siano fornite con riguardo alle singole poste di cui è richiesta l’iscrizione. Posto l’accento sull’essenzialità della funzione informativa del bilancio, l’orientamento in esame ravvisa l’illiceità di questo ogni qual volta la violazione dei precetti inderogabili di legge, che presiedono alla sua formazione, non permetta di percepire con chiarezza sufficiente le specifiche informazioni, che la lettura del documento e dei suoi allegati deve invece offrire con riguardo a ciascuna delle poste da cui il bilancio è formato. Il principio di chiarezza non resta dunque subordinato al principio di verità, in quanto un bilancio non idoneo a fornire informazioni sufficientemente leggibili non può essere considerato valido sol perché, in ultima analisi, i dati in esso riportati non risultino, nella loro espressione contabile, contrari al vero. Una tale opinione sarebbe manifestamente insostenibile dopo la formale ricezione, nell’ordinamento italiano, con l’emanazione del D.Lgs. n. 127 del 1991, dei dettami della IV Direttiva comunitaria in materia di società palesemente ispirati alla massima valorizzazione del cosiddetto principio di trasparenza del bilancio. Essa, però, non appare condivisibile neppure alla stregua della normativa pregressa in vigore all’epoca di redazione del bilancio qui in esame, alla cui interpretazione, del resto, non possono restare estranei i principi da tempo enunciati dalla stessa IV Direttiva, la cui emanazione risale al luglio del 1978. Infatti, se è vero che le Direttive comunitarie, prima del loro formale recepimento, non sono suscettibili di diretta applicazione nei rapporti tra privati, è altresì vero che - come anche la Corte di Giustizia europea ha avuto modo di affermare nella sentenza resa il 14 luglio 1994 in causa n. 91/94 - il giudice “quando applica disposizioni di diritto nazionale, tanto precedenti quanto successive alla direttiva, ha l’obbligo di interpretarle quanto più è possibile alla luce dello scopo e della lettera della direttiva”. Del resto, l’art. 2423 del codice civile (vecchio testo) pone il precetto di chiarezza sullo stesso piano di quello di precisione, senza suggerire alcuna graduatoria di importanza e senza subordinare il rispetto del primo a quello del secondo o di qualsiasi altro precetto. Peraltro l’opposta opinione non tiene conto di ulteriori disposizioni, come quelle dirette a disciplinare il contenuto della relazione degli amministratori, che testimoniano della massima importanza attribuita dal legislatore alla chiarezza delle singole informazioni che debbono essere garantite ai destinatari del bilancio. E rischia perciò di tradire, in sostanza, la stessa ragion d’essere delle norme in esame, essendo di tutta evidenza che la mancanza di chiarezza nelle singole poste in cui il bilancio si articola fatalmente compromette quella funzione informativa (anche all’esterno della compagine sociale) che si è già visto essere uno degli scopi principali perseguiti dal legislatore nel disciplinare il profilo contabile del diritto societario (vd., in particolare, Cass., n. 8048 del 1996 cit., in motivazione). Ritiene il Collegio che il secondo degli orientamenti ora illustrati meriti adesione. Invero, può in via di principio condividersi l’affermazione secondo cui la violazione delle disposizioni relative alle modalità di redazione del bilancio (nella specie, art. 2424, vecchio testo) rende nulla la delibera di approvazione quando risultino in concreto pregiudicati gli interessi generali tutelati dalla norma, e non anche quando l’incidenza su di essi sia insignificante o trascurabile. Ma questo è profilo diverso dal tema qui in trattazione. Esso concerne le ipotesi in cui la violazione sia nella sostanza irrilevante, perché priva di reale consistenza, meramente formale, di immediata percezione o di agevole correzione tramite appunto le informazioni rese in assemblea. Il che può avvenire sia per il principio di chiarezza sia per il principio di verità, prescinde dunque da qualsiasi forma di subordinazione del primo al secondo e presuppone sempre un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito, sulla sostanziale inconsistenza o irrilevanza della violazione. Non può essere seguito, invece, l’indirizzo che, muovendo da un rapporto di strumentalità tra il principio di chiarezza e quello di verità, finisce col subordinare il primo al secondo. Una simile tesi, insostenibile dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 127 del 1991 (vd., in proposito, le puntuali osservazioni contenute nella sentenza di questa Corte n. 8048 del 1996, che si condividono), non appare accettabile neppure alla stregua della normativa pregressa, vigente all’epoca della redazione del bilancio in esame. Al riguardo si deve sottolineare che l’art. 2423, comma 2, del codice civile (vecchio testo) attribuisce specifica ed autonoma rilevanza al principio di chiarezza, che dunque non può essere ridotto al rango di mero elemento di supporto al principio di verità. Chiarezza, secondo parte della dottrina, significa evidenza (vd. anche l’art. 2217 del codice civile) e significa soprattutto trasparenza, intelligibilità delle strutture, analiticità delle voci in misura adeguata alle esigenze di comprensione della composizione del patrimonio, dell’origine del risultato e delle ragioni per le quali una certa posta di bilancio ha acquistato la consistenza e la qualificazione che le sono state attribuite nel documento. 3398 il fisco 12/2000 il fisco Peraltro, come sopra si è notato, tra le funzioni del bilancio c’è quella di fornire ai soci e ai terzi tutte le informazioni prescritte dalla legge, non soltanto con riferimento ai dati conclusivi ma anche alle singole poste e al modo della loro formazione. Orbene, un bilancio poco chiaro elude tale finalità e pregiudica, quindi, gli interessi generali tutelati dalla normativa in materia, ancorché i dati in esso riportati non risultino, nella loro espressione contabile, contrati al vero. D’altro canto il semplice dato numerico è di per sé insufficiente a fornire una informazione leggibile, se non è accompagnato dalla univocità e dalla comprensibilità delle denominazioni delle voci dei conti, non meramente assertive ma dotate di adeguata capacità dimostrativa. Non a caso, del resto, ai sensi dell’art. 2423, comma 3, del codice civile (vecchio testo), il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori sull’andamento della gestione sociale, il cui contenuto è indicato nell’art. 2429-bis, sempre nel testo precedente alla riforma attuata con il citato D.Lgs. n. 127 del 1991. La funzione illustrativa di tale documento può definirsi in re ipsa ed attesta il rilievo attribuito dalla legge all’esigenza - rispondente ad un interesse generale e non già del singolo socio - che le informazioni desumibili dal bilancio debbano essere chiare, così confermando l’insostenibilità, anche nel sistema precedente, di una collocazione del principio di chiarezza in posizione di minore importanza rispetto al principio della rappresentazione veritiera (la cui analoga importanza non è qui in discussione). In definitiva, da nessuna norma è possibile desumere una sorta di supremazione del principio di verità su quello di chiarezza, supremazia che è anzi esclusa dall’analisi del sistema normativo. Pertanto si deve affermare che il bilancio d’esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, comma 2, del codice civile (anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 127 del 9 aprile 1991), è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (restando in questi sensi composto il contrasto rilevato). Alla stregua di tale principio, e delle considerazioni che lo sorreggono, le censure mosse dalla ricorrente col motivo in esame si rivelano infondate. Infatti la nullità della delibera di approvazione del bilancio è giustificata dalla riscontrata violazione del precetto di chiarezza, non essendo necessario che fosse accertata anche la lesione del principio di verità. Quanto alle presunte carenze di motivazione (non certo desumibili da alcune formule lessicali ritenute imprecise: vd. pagg. 20-21 del ricorso), si deve osservare che la Corte territoriale: 1) ha posto in luce che, di fronte alla richiesta dei soci (i quali volevano conoscere “se i costi di che trattasi presentassero effettivamente una utilità pluriennale e costituissero vere e proprie migliorie incrementative degli impianti stessi ovvero manutenzione più o meno ordinaria”), il presidente del collegio sindacale aveva replicato che “la società stava convertendo gli impianti nel passato destinati all’attività di produzione di oli minerali in quella del tutto recente di sola commercializzazione degli stessi”; 2) ha ritenuto che questa fosse una “non risposta”, perché costituiva un’affermazione tautologica che non forniva spiegazione al contenuto alternativo della domanda posta dai soci, i quali volevano in sostanza conoscere la natura della spesa, in cosa fosse materialmente consistita e quali impianti avesse interessato, allo scopo di verificare se i costi sostenuti dalla società erano stati realmente incrementativi del valore o si fossero risolti in spese di manutenzione; 3) ha considerato che a ragione era stata avanzata la domanda di chiarimento, perché il lettore del bilancio e della relazione degli amministratori non avrebbe potuto ivi rinvenirne la spiegazione contabile per fuga- GIURISPRUDENZA re le perplessità legittimamente insorte a fronte di una operata rivalutazione (oltre a quelle previste dalla legge) di lire 1.054.490.899; 4) ha quindi preso in esame la relazione del consiglio di amministrazione - alcuni passi della quale sono trascritti in sentenza: vd. pag. 9 - e l’ha trovata insufficiente a realizzare il diritto del socio ad un’adeguata informazione, rimarcando che nulla era spiegato “sulle modalità d’incremento del valore patrimoniale e sulla capitalizzazione della spesa con riguardo al fenomeno concreto venuto a realizzarsi in termini di lavori compiuti, costi sostenuti ed afferenti causali” (si noti che proprio la natura incrementativa del valore costituiva il nodo centrale della questione); 5) all’esito della disamina ha rilevato che la relazione conteneva delle conclusioni e non delle spiegazioni (in questa sintesi si rinviene la violazione del principio di chiarezza, essendo mancate, secondo il ragionamento svolto dalla Corte distrettuale, l’univocità e la comprensibilità della posta), aggiungendo che tali lacune, non colmate da un’adeguata informazione in sede assembleare, conducevano alla nullità della delibera di approvazione del bilancio, in quanto le norme sui criteri di redazione di questo sono poste a tutela di un interesse generale trascendente quello dei singoli soci. Si tratta, come si vede, di un percorso argomentativo articolato che, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, procede all’analisi delle risultanze del bilancio, degli allegati e delle risposte date in assemblea alle domande dei soci, spiegando perché era rimasta non esaudita l’esigenza di chiarezza circa l’assunta natura incrementativa dell’appostazione de qua. Gli argomenti addotti dalla ricorrente mettono in evidenza, in realtà, non già vizi di motivazione, ma un diverso apprezzamento dei fatti già motivatamente valutati dalla Corte territoriale: il che non è consentito in sede di legittimità. Con il quarto mezzo di cassazione, infine, la L.P. S.p.a. denunzia ancora omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), del codice di procedura civile, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti del codice civile, dell’art. 1375 del codice civile e dell’art. 2375 del codice civile, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), del codice di procedura civile. La sentenza impugnata sarebbe altresì viziata con riguardo al concreto accertamento dell’insufficienza dell’informazione data in assemblea nel caso di specie, in quanto la valutazione del giudice d’appello si baserebbe su una inesatta percezione della realtà documentale dei fatti e su presupposti di fatto inesistenti. In primo luogo la Corte milanese avrebbe omesso di considerare un dato, fattuale decisivo, cioè che la richiesta di informazioni da parte dei soci circa la voce “impianti e macchinari”, sarebbe stata soltanto una, relativa al punto “se i costi di cui trattasi presentino effettivamente una utilità pluriennale e costituiscano vere e proprie migliorie incrementative degli impianti stessi ovvero manutenzione più o meno ordinaria”. A questa domanda avrebbe risposto il presidente del collegio sindacale, il quale, dopo la precisazione di aver verificato la correttezza della documentazione, avrebbe affermato che “nella sostanza è noto come la società stia convertendo gli impianti nel passato destinati all’attività di produzione di olii minerali in quella del tutto recente di solo commercializzazione degli stessi”. Se tale dato fosse stato congruamente compreso dalla Corte di Milano, la valutazione circa l’adeguatezza e la sufficienza della risposta ai soci non sarebbe censurabile davanti a questa Corte. Ma il giudice d’appello avrebbe fondato il proprio giudizio di insufficienza sull’inesistente presupposto che i soci di minoranza avessero chiesto informazioni circa “la natura della spesa, in cosa essa era materialmente consistita e quali impianti aveva interessato”. Una simile domanda mai sarebbe stata posta dai soci in assemblea, né esisterebbe un principio il quale imponga agli organi sociali di interpretare le domande formulate dai soci medesimi. La sentenza impugnata sarebbe altresì carente di motivazione nel punto in cui, da un lato, darebbe una interpretazione estensiva e con criterio sostanzialistico della domanda posta dai soci di minoranza e, dall’altro lato, si attesterebbe su una 12/2000 il fisco 3399 GIURISPRUDENZA In questa sede si deve ribadire quanto segue: il fisco interpretazione restrittiva e formalistica in ordine alla risposta del presidente del collego sindacale, così falsamente applicando anche i criteri ermeneutici preposti all’interpretazione contrattuale. In realtà la risposta del detto presidente sarebbe stata inequivoca e di immediata percezione, in quanto le spese per una profonda modifica di destinazione degli impianti per definizione non potevano costituire spese di ordinaria manutenzione. Del resto lo stesso presidente avrebbe precisato di aver verificato la correttezza della documentazione. Sarebbe dunque insufficiente e contraddittorio il ragionamento della Corte di merito circa la presunta “non risposta” data dal presidente del collegio sindacale, mentre quest’ultimo avrebbe risposto in modo pertinente e congruo. Un altro profilo andrebbe poi rilevato, e da esso risulterebbe che la sentenza impugnata avrebbe trascurato le norme e i principi giuridici in tema di corretta esecuzione del contratto, applicabili al contratto sociale e, segnatamente, al comportamento assembleare dei soci e degli organi della società. Infatti, alla luce dell’art. 1375 del codice civile, la risposta data in assemblea alla domanda del socio sarebbe stata esaustiva e sufficiente. Una informazione più completa sarebbe potuta spettare ai soci se costoro, in assemblea, conformando il proprio comportamento ai principi di esecuzione in buona fede del contratto sociale avessero illustrato i dubbi o i sospetti, il cui superamento avrebbe richiesto la conoscenza di ulteriori e più specifici dati. Se così fosse accaduto, forse sarebbe stata giustificata la sentenza che avesse ritenuto leso il diritto di informazione del socio. Ma così non sarebbe accaduto e la sentenza impugnata si rivelerebbe sul punto immotivata e contraddittoria. Invero, soltanto negli atti difensivi gli attuali resistenti avrebbero allegato che la loro richiesta sarebbe stata giustificata dal sospetto che la capitalizzazione delle spese costituisse un espediente della società per occultare una perdita di esercizio superiore al terzo del capitale sociale. Tale sospetto mai sarebbe stato addotto in assemblea e la mancata considerazione che le richieste dei soci di minoranza apparissero in sede assembleare non supportate da ragionevoli dubbi e comprensibili sospetti (mai esplicitati) vizierebbe, da sola e gravemente, l’intero ragionamento della Corte di merito sulla ritenuta doverosità di un particolarissimo livello di informazioni. Anche alla luce del principio di buona fede sarebbe onere del socio dichiarare in assemblea i motivi per cui ritiene di aver diritto ad ulteriori informazioni relativamente a determinate operazioni sociali oppure, se si tratti di assemblee per l’approvazione del bilancio, relativamente ad una data appostazione, in particolare quando questa è di per sé secundum legem. Sarebbe invece inammissibile non manifestare in assemblea dubbi o sospetti relativamente a date poste di bilancio, per poi proclamarli in sede giudiziale. Il che troverebbe conferma nell’art. 2375 del codice civile, alla stregua del quale nel verbale devono essere riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni. La sentenza impugnata sarebbe contraddittoria, o meglio insufficientemente motivata, sia in ordine alla valutazione della risposta data dal presidente del collegio sindacale, sia circa la valutazione dei dati pur contenuti nella relazione degli amministratori e relativi alla posta contestata. Infine la Corte di mento avrebbe trascurato di motivare congruamente in ordine al fatto, rilevante in causa, che la ritenuta insufficiente risposta degli organi sociali ai soci concerneva soltanto la posta di bilancio “impianti e macchinari”, mentre a numerose altre domande, su altre poste, sarebbe stata data risposta puntuale. Sarebbe stato così violato il principio per cui il giudizio sul rispetto o sulla violazione del diritto individuale all’informazione non potrebbe essere formulato atomisticamente con riferimento alle singole domande e risposte, ma costituirebbe la risultante di una valutazione complessiva delle risposte date e dell’idoneità di queste a consentire all’azionista un voto cosciente e meditato sull’argomento o sugli argomenti portati all’esame dell’assemblea. Neppure le suddette censure sono fondate. Esse, in parte, trovano già confutazione negli argomenti illustrati trattando dei precedenti motivi, cui dunque si rinvia. a) non è esatto che la Corte distrettuale abbia mal percepito la realtà documentale, basandosi su presupposti di fatto inesistenti. Essa ha tenuto ben presenti sia la richiesta di informazioni avanzata dai soci (che è riportata in sentenza) sia la risposta del presidente del collegio sindacale (del pari trascritta nella detta sentenza: vd. pag. 8); b) non è esatto che il giudice d’appello abbia fondato la sua decisione sull’inesistente presupposto che i soci di minoranza avessero chiesto informazioni circa “la natura della spesa, in cosa essa era materialmente consistita e quali impianti aveva interessato”. Questa non è - come mostra di ritenere la ricorrente - un’altra domanda mai formulata. È invece il contenuto sostanziale della domanda posta dai soci, interpretata dalla Corte d’appello nel legittimo esercizio del suo potere di lettura ed interpretazione delle risultanze documentali acquisite. E, per la verità, la lettura e l’interpretazione si rivelano corrette sul piano logico e coerenti col tenore della domanda, alla stregua del quesito come articolato dai soci (trascritto anche nel ricorso per cassazione), impegnati a conoscere quali fossero e in cosa consistessero le migliorie incrementative degli impianti. Su questo punto la sentenza impugnata ha trovato insufficiente e inadeguata la risposta secondo la quale la società stava procedendo alla conversione degli impianti. E l’apprezzamento al riguardo, sufficientemente motivato, non è censurabile in questa sede; c) non è condivisibile l’assunto secondo cui la sentenza impugnata avrebbe interpretato con un metro diverso la domanda dei soci e la risposta del presidente del collegio sindacale, così anche falsamente applicando i criteri ermeneutici preposti all’interpretazione contrattuale. In realtà la ricorrente tenta di impegnare questa Corte in un riesame (non consentito in questa sede) del criterio logico, degli apprezzamenti di fatto e del percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, la cui correttezza sul piano della motivazione è stata già verificata trattando dei motivi in precedenza esaminati. Neppure può condividersi, poi, la tesi della ricorrente secondo cui i soci avrebbero dovuto spiegare ed illustrare in assemblea agli organi della società i dubbi ed i sospetti, per il cui superamento dovevano ricevere dati più specifici in ordine alla posta “impianti e macchinari”. Si deve replicare che quello di redigere il bilancio con chiarezza è di per sé un obbligo legale della società, e per essa degli amministratori, che non postula sollecitazioni, richieste o segnalazioni di alcun genere da parte di alcuno. Pertanto, se di fronte ad una certa appostazione non decifrabile un socio in assemblea di approvazione del bilancio chiede chiarimenti, non è tenuto affatto ad illustrare agli organi della società “i dubbi o i sospetti” che egli possa o meno nutrire. Spetta agli organi predetti fornire i chiarimenti in modo adeguato ed effettivo (e senza riserve mentali o schermaglie dialettiche), non essendo ipotizzabile una gradualità dell’informazione a seconda delle motivazioni addotte per richiederla, perché è motivo congruo l’insufficienza dei dati desumibili dal bilancio e dai documenti di accompagnamento. Quanto alle presunte insufficienze di motivazioni circa la ritenuta incongruità della risposta data dal presidente del collegio sindacale, vanno richiamate le considerazioni svolte in precedenza sulla insindacabilità dei motivati apprezzamenti compiuti dalla Corte di merito. Infine, non rileva che a numerose domande su altre poste di bilancio sia stata data risposta puntuale (come si afferma a pag. 37 del ricorso). Pur trascurando il rilievo che il profilo non risulta aver costituito oggetto di accertamento nei precedenti gradi di merito, si deve richiamare quanto in precedenza notato, cioè che l’illiceità del bilancio ricorre ogni qual volta la violazione dei precetti inderogabili di legge non permetta di percepire, con sufficiente chiarezza, le specifiche informazioni che la lettura del documento e dei suoi allegati deve invece fornire con riguardo a ciascuna delle poste da cui il bilancio è formato (così Cass., n. 8048 del 1996 cit., in motivazione). E tale principio, valido in via generale, ancor più merita di essere riaffermato quando la contestazione investa una posta di consistente entità (come nella 3400 il fisco 12/2000 GIURISPRUDENZA il fisco specie), senza dubbio suscettibile di incidere sull’equilibrio patrimoniale ed economico dell’organismo sociale. Ne deriva che nessuna motivazione ulteriore doveva essere esposta, dopo l’accertamento compiuto dalla Corte di merito in ordine alla violazione delle norme sui criteri di redazione del bilancio. È stato, infatti, più volte chiarito che la deliberazione assembleare di una società di capitali, con la quale venga approvato un bilancio redatto in modo non conforme ai precetti stabiliti al riguardo dall’art. 2423 del codice civile (o in violazione delle norme dettate dagli articoli seguenti, in quanto espressione di quei medesimi precetti), è da ritenere nulla per illiceità del suo oggetto, ai sensi dell’art. 2379 del codice civile. E ciò perché quei precetti sono fissati dal legislatore in funzione di interessi che trascendono i limiti della compagine sociale e concernono anche i terzi, a loro volta destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, che il bilancio deve fornire con chiarezza e precisione (ovvero, come ora si esprime il comma 2 del citato art. 2423, dopo le modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 127 del 1991, con chiarezza ed in modo veritiero e corretto), com’è reso evidente dal regime pubblicitario cui tale documento è soggetto (vd., tra le altre Cass., 3 settembre 1996, n. 8048; 14 marzo 1992, n. 3132; 8 giugno 1988, n. 3881; 18 marzo 1986, n. 1839). Conclusivamente il ricorso si rivela infondato e deve, dunque, essere respinto. Per il principio della soccombenza la società L.P. va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. la Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessive lire 15.383.500, di cui lire quindici milioni per onorari. Commento SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Principio di verità - 3. Principio di chiarezza - 4. Rapporto tra i principi di verità e chiarezza - 5. Autonomia del principio di chiarezza - 6. Il verbale d’assemblea - 7. Diritto di informazione - 8. Conclusioni. codice civile o dalle leggi speciali; vanno quindi rispettati gli schemi obbligatori previsti per la redazione dello stato patrimoniale e del conto economico [artt. 2424 e 2425-bis (3) ]. L’efficacia segnaletica dei documenti approntati deve essere idonea a consentire al bilancio di raggiungere le sue finalità ovvero offrire una rappresentazione sulla composizione qualitativa e sull’entità del patrimonio societario al termine di ogni esercizio, nonchè sugli utili conseguiti e sulle perdite sofferte. Con il D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 (ma già, come vedremo oltre con l’emanazione della Direttiva 78/660), sono stati fatti dei passi avanti nella specificazione del principio, sia sul fronte della determinazione del “perimetro” della sua operatività, sia dal lato della quantità e qualità (4) delle informazioni che la società è tenuta a garantire ai soci ed ai terzi interessati al bilancio. Da un lato, all’applicazione di questo principio, in quanto facente parte integrante del bilancio, è soggetta anche la nota integrativa (art. 2427 del codice civile) per la quale è previsto un contenuto minimale, che anzi rappresenta il vero mezzo di comprensione dei valori esposti negli schemi; dall’altro, se necessario ai fini di una rappresentazione veritiera e corretta, la società è tenuta (deve !) a fornire informazioni complementari, anche al di fuori di quelle obbligatorie, che quindi sono minimali, previste dalla legge (cosiddetto criterio di raccordo) (5). 1. Premessa La sentenza che si annota compone un contrasto nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione sul rapporto intercorrente tra i due principi fondamentali che devono essere rispettati nella redazione del bilancio di esercizio: i principi (o postulati) di chiarezza e di verità (1). Per lungo tempo è stata coltivata una polemica sulla posizione, strumentale e quindi subordinata ovvero autonoma del principio di chiarezza rispetto a quello di verità, con la conseguente restrizione o dilatazione dell’area dell’illiceità per il loro mancato ossequio. L’occasione per tale pronuncia è nata per l’azione intentata da alcuni soci di una S.p.A. per la declaratoria di nullità di una delibera di approvazione di bilancio; i soci si sono sentiti lesi nel loro diritto di informazione per i mancati chiarimenti o meglio per le risposte evasive fornite durante la discussione in assemblea, da parte degli amministratori, sull’entità della appostazione contabile “impianti e macchinari” incrementatasi in virtù della capitalizzazione di costi di “ripristino ed adattamento degli impianti” (2). Il sistema dei valori aziendali comprende tanto valori oggettivi, determinati attraverso scambi con i terzi quanto valori soggettivi, stimati, se verificabili solamente in un secondo momento e congetturati, se determinabili solo sulla base di ipotesi. Mentre per i valori oggettivi il grado di precisione nella loro rilevazione contabile e rappresentazione in bilancio è pressoché assoluto, per le componenti soggettive del sistema dei valori è richiesta una loro determinazione comunque discrezionale che, per quanto sia ampia la libertà del redattore, non deve comunque sfociare nell’arbitrio essendo necessario attenersi ai criteri di ragionevolezza, attendibilità e buona fede. Con il recepimento della Direttiva 78/660 da parte del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, al termine precisione di cui all’art. 2423, comma 2, del codice civile, esplicativo del principio, è sostituita dall’espressione “rappresentare in modo veritiero e corretto”, felice adattamento dell’inglese true and fair view, che mette in risalto come la verità di bilancio sia in re ipsa condizionata (e quindi giocoforza resa relativa), dalla presenza di valori eterogenei per rilevazione e rappresentazione; si sono utilizzate così due distinti termini a seconda del riferimento a valori oggettivi o a valori soggettivi. 3. Principio di chiarezza Il bilancio di esercizio deve fornire informazioni con un grado di completezza ed analiticità non inferiore a quello previsto dal il fisco 2. Principio di verità 4. Rapporto tra i principi di verità e chiarezza La giurisprudenza della Suprema Corte è stata molto oscillante nel valutare il rapporto tra i due postulati del bilancio di esercizio (6). Un primo orientamento, che prende le mosse dalla fine degli anni ’70, rilevato il principio di verità come “fondamentale” in quanto posto a presidio delle finalità pubblicistiche di bilancio, ha asservito ad esso, funzionalizzandolo, il principio di chiarezza. In seguito a questa impostazione, le violazioni del principio di chiarezza diventano apprezzabili ai fini della dichiarazione di nullità per illiceità dell’oggetto ex art. 2379 del codice civile solamente quando venga meno la percezione esatta della consistenza complessiva della società eludendo così la finalità pubblicistica del bilancio (ci si trova, secondo tale impostazione, al cospetto di norme dettate nell’interesse generale, interesse che trascende quello dei singoli soci) (7); il che equivale a dire che non sono sanzionate a meno che non pregiudichino il principio di verità (8). Un secondo orientamento, più recente, che si può far risalire all’inizio degli anni ’90, afferma l’autonomia del principio della chiarezza da quello di verità, considerando l’importanza, soprattutto sulla scorta della introduzione nel nostro ordinamento della IV Direttiva CEE ai fini di una corretta comprensione del bilancio di esercizio con conseguente tutela dei soci e dei terzi, di una informazione (e quindi di una rappresentazione) completa (9). Non solo, allora, il bilancio non deve essere falso, ovvero contenere poste non vere o omettere poste vere, e fornire dati contrari al vero nella loro espressione contabile ma deve anche essere chiaro, “spiegare” (10) quei dati in quanto la chiarezza è parimenti fon- 12/2000 il fisco 3401 GIURISPRUDENZA damentale per valutare la consistenza economica e patrimoniale della società (10). valore “integrativo”, se vogliamo “sanante” riconosciuto al verbale (meglio al suo contenuto) già da precedenti sentenze della Suprema Corte (vd. Cass., Sez. I, sent. n. 2959 dell’11 marzo 1993, in CED Cass., r.v. 481361). Quindi, la discussione assembleare che precede la (eventuale) approvazione del bilancio come sede privilegiata per colmare i deficit di conoscenza desumibili dai documenti. 5. Autonomia del principio di chiarezza 6. Il verbale d’assemblea È interessante notare l’iter logico svolto dalla Corte territoriale, riportato nella sentenza per valutare il rispetto del principio di chiarezza. Letti gli schemi di bilancio e non evinta la natura della posta contabile controversa si è passati all’esame della relazione degli amministratori (art. 2329-bis), del collegio sindacale (art. 2432 del codice civile) e dei prospetti allegati; essendo risultato ancora oscuro il modo di formazione, si è esaminato il verbale d’assemblea; quindi ritenuto leso il diritto all’informazione a causa delle risposte, giudicate evasive, da parte del presidente del consiglio di amministrazione e da parte del presidente del collegio sindacale, si è arrivati ad individuare nella chiarezza il principio di bilancio violato e stante la sua autonomia si è dichiarata nulla la delibera di approvazione. Si manifesta quindi l’importanza del verbale d’assemblea con le trascrizioni delle domande poste dai soci e delle relative risposte che contribuiscono (o quanto meno dovrebbero) a chiarire il significato dei valori di bilancio. Un (1) Nel sistema normativo previgente parte della dottrina ha evidenziato la presenza di tre principi generali; oltre a quello di verità, fondamentale e desumibile dal sistema, quelli di chiarezza e di precisione, intesi come criteri di comportamento e comunque al primo asserviti. Precisione, quindi, non come sinonimo di verità ma come clausola di relazione. Non deve pertanto meravigliare l’accostamento, in numerose sentenze della Suprema Corte, dei principi di precisione e chiarezza in contrapposizione al principio di verità (vd. Cass., sent. n. 1839 del 18 marzo 1986, in CED Cass. (rv. 445146). (2) La spiegazione della natura di tali spese con l’indicazione degli impianti interessati, necessaria ai fini di rendere evidente il reale potere incrementativo del valore apportato dai costi sostenuti, non è 7. Diritto di informazione il fisco Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27/2000, che si annota operano la composizione del contrasto giurisprudenziale affermando la piena autonomia del principio di chiarezza da quello di verità. Decisivo, al riguardo, il rafforzamento della capacità informativa del bilancio d’esercizio attuato dal D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, che ha dettato nuove e più penetranti regole con riguardo ai principi generali (art. 2423, commi 2 e 3, del codice civile), agli schemi obbligatori (artt. 2424 e 2425 del codice civile), agli allegati esplicativi (art. 2427 del codice civile), processo di rafforzamento già avviato in parte con la riforma del 1974. Gli schemi di bilancio, da schemi “minimali” in mano al redattore si trasformano in schemi vincolanti dove si deve rispettare l’indicazione delle voci ed il loro ordine; la nota integrativa, sconosciuta nella legislazione anteriore, diventa lo strumento di comprensione dei valori di bilancio (11); ma soprattutto è il comma 3 dell’art. 2423 del codice civile ad esaltare il principio di chiarezza; qui si prevede la necessità di integrare con una informativa supplementare nel caso che le specifiche disposizioni di legge non siano sufficienti. La nuova normativa ha quindi ben evidenziato il principio della chiarezza da quello della rappresentazione veritiera e corretta della situazione economica, patrimoniale e finanziaria, mettendoli sul medesimo livello. Ed è sullo stesso piano che il principio di chiarezza, operava rispetto al principio di verità nella normativa previgente che proprio alla luce della Direttiva CEE 78/660 deve essere letta; ciò in quanto “il giudice quando applica disposizioni di diritto nazionale tanto precedenti quanto successive alla Direttiva ha l’obbligo di interpretarle quanto più è possibile alla luce dello scopo e della lettera della Direttiva” (Corte di Giustizia delle Comunità europee, C-91/94). Per cui anche la lesione del principio di chiarezza rende la delibera di approvazione del bilancio nulla per illiceità dell’oggetto, dovendo lo stesso consentire l’adeguata comprensione delle singole poste e dei meccanismi della loro formazione. I soci, durante la discussione in assemblea prima della approvazione del bilancio di esercizio, possono chiedere informazioni e chiarimenti sul contenuto del bilancio. Ma fino a che punto si spinge il diritto dei soci e, correlativamente, entro quali limiti gli amministratori devono ottemperare alle richieste dell’adunanza? La sentenza in commento dà numerose indicazioni sull’estensione di questo diritto (sollecitata a tal proposito dal ricorrente) che: a) non può spingersi fino a pretendere l’esame dei documenti e degli elaborati tecnici e scritture contabili utilizzati per la formazione del bilancio, nel caso in cui sia presente il collegio sindacale, in quanto i soci, ex lege, hanno diritto di visionare il libro soci, delle adunanze e delle delibere assembleari nonchè la relazione degli amministratori (art. 2429-bis del codice civile) e la relazione dei sindaci e che solo 1/3 del capitale sociale può far eseguire la revisione annuale della gestione sociale; b) in ogni caso gli amministratori si possono opporre alle richieste a causa della necessaria riservatezza che caratterizza alcune informazioni per la vita economica dell’azienda stessa; c) un filtro alle domande “estrose o emulative” è comunque previsto attraverso l’utilizzo dei poteri di governo dell’assemblea di cui è attributario il presidente dell’assemblea (art. 2371, del codice civile); d) pur se dietro le domande dei soci possono celarsi dubbi e sospetti non esternati in assemblea, comunque tali “riserve mentali” non rappresentano una violazione al principio di buona fede e non rilevano ai fini del dovere degli amministratori di fornire una adeguata risposta chiarificatrice sui quesiti rivolti (in definitiva non è prevista alcuna “gradualità” dell’informazione a seconda dei motivi addotti dal socio in assemblea. Ovviamente nelle ipotesi di cui alle lettere b) e c) sarà sempre possibile un sindacato giurisdizionale sulle scelte operate dagli amministratori e dal presidente dell’assemblea, come lo è nel caso di risposte evasive. 8. Conclusioni La sanzione per il mancato rispetto dei postulati di bilancio è la nullità per illiceità dell’oggetto ai sensi dell’art. 2379 del codice civile in quanto essendo tali precetti fissati dal legislatore per la tutela di interessi sostanziali che travalicano anche i limiti della compagine sociale deve essere assicurata oltre ad una rappresentazione veritiera e corretta anche la chiarezza del bilancio. Ad attenuare il rigore di una simile impostazione, la valutazione di merito sulla entità della violazione dei principi che deve essere trascurabile ovvero di carattere “meramente formale”; cautela che riguarda tanto il principio di verità quanto quello di chiarezza. Gianluca Caputi Dottore commercialista in Roma stata rinvenuta da un esame preliminare nel bilancio o nei suoi allegati. Da tenere inoltre presente che la questione era rilevante in quanto tale capitalizzazione poteva essere strumentale alla copertura di perdite di esercizio superiori ad 1/3 del capitale che avrebbero comportato, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 2446 del codice civile. (3) In questa nota si fanno riferimenti, contemporaneamente, ad articoli del codice civile in vigore o abrogati; dal contesto si dovrebbe evincere facilmente a quale “versione” dell’articolo ci si riporta. (4) Gli schemi di stato patrimoniale e di conto economico introdotti sono sia tassativi per le voci che obbligatori per ordine di esposizione sia dei gruppi che delle voci. 3402 il fisco 12/2000 GIURISPRUDENZA (5) Un importante contributo nella determinazione del principio di chiarezza è stato offerto dai principi contabili; chiarezza vuol dire anche evitare di compensare le partite, distinguere le poste dell’attività caratteristica da quella extra caratteristica e gli elementi “ordinari” da quelli “straordinari”. (6) Per un esame approfondito della problematica, “Una polemica da seppellire: Il principio di chiarezza del bilancio tra strumentalità ed autonomia”, di P. G. Jaeger, in “Giur. Comm.le”, 1994, II, pagg. 759 e seguenti, con rinvii ad altra bibliografia. (7) Per cui, l’esporre in bilancio delle voci in modo da infrangere l’obbligo di analiticità della loro evidenziazione (ad esempio non evidenziando tra gli ammortamenti i cosiddetti ammortamenti anticipati), ma attenendosi comunque nella loro determinazione ai limiti imposti dalla legge, non si traduce in una violazione del principio di verità e pertanto non è sanzionabile. In merito: “Nella disciplina della formazione del bilancio delle società per azioni, di cui agli artt. 2423 e seguenti del codice civile, i criteri di chiarezza e precisione vanno posti in correlazione con il principio di verità, in quanto strumentali all’esigenza che il bilancio medesimo assolva alla funzione di informare compiutamente sulla reale situazione economica e patrimoniale della società, a tutela dei soci e dei terzi, e vanno altresì coordinati con il principio secondo il quale l’obbligo di analiticità dell’esposizione delle poste attive e passive non esclude la discrezionalità di valutazione spettante agli amministratori, sia pur nel rispetto dei limiti fissati dalla legge e dai parametri generali della prudenza e ragionevolezza. Pertanto, con riguardo alla sottovalutazione di poste attive o sopravvalutazione di poste passive, come si verifica nel caso del computo di titoli e partecipazioni con il cosiddetto sistema “lifo annuale” (costo, corretto, in caso di quotazione inferiore, secondo i prezzi di compenso dell’ultimo trimestre), ovvero di creazione di ammortamenti anticipati in aggiunta a quelli ordinari, non vietati dalle citate norme del codice civile, né dalle disposizioni fiscali, la violazione dei suddetti criteri e principi, e la conseguente nullità della deliberazione di approvazione del bilancio (sotto il profilo dell’illiceità dell’oggetto), non sono ravvisabili qualora si verta in tema di valutazioni che, mantenendosi nell’ambito di quei parametri di prudenza e ragionevolezza, non si traducano in un’effettiva ed apprezzabile alterazione dell’esattezza dell’informazione, non implichino cioè rilevanti deficienze ed oscurità dello stato patrimoniale (non emendabili con i dati emergenti dalle relazioni dei sindaci e degli amministratori)”. Sez. I, sent. n. 1839 del 18 marzo 1986, in CED Cass. (rv. 445146). (8) “La delibera assembleare di una società di capitali è nulla per illiceità dell’oggetto, a norma dell’art. 2379 del codice civile, quando è contraria a norme dettate a tutela anche di interessi generali. Pertanto, qua- lora vengano addotte violazioni del principio di chiarezza e precisione del bilancio, la nullità della delibera sussiste se i fatti accertati sono concretamente idonei ad ingenerare, per tutti gli interessati, incertezze o comunque erronee convinzioni circa la situazione economico-patrimoniale della società, tali da tradursi in un reale pregiudizio per l’interesse generale alla verità del bilancio (cui è funzionale il principio di chiarezza e precisione), che tutela non solo il singolo socio, ma tutti i terzi e, specialmente, i creditori della società” Cass., Sez. I, sent. n. 6834 del 22 luglio 1994, in CED Cass. (rv. 487463). (9) “La nullità per illiceità dell’oggetto della deliberazione assembleare di una società di capitali, con la quale sia stato approvato un bilancio non conforme ai precetti dell’art. 2423 del codice civile, va ravvisata non solo quando la violazione dei principi di chiarezza, veridicità e correttezza comporti una netta censura tra il dato rappresentato e l’effettivo risultato dell’esercizio, ma anche in tutte le ipotesi in cui dal bilancio medesimo (o dalla relazione allegata) non risulti quel complesso di informazioni che la legge richiede con riguardo alle singole voci o poste, restando così compromessa quella funzione informativa, interna ed esterna alla società, che è lo scopo fondamentale perseguito dal legislatore.” Cass., Sez. I, sent. n. 7398 dell’8 agosto 1997, in CED Cass. (rv. 506618). (10) “La valutazione delle azioni di società, ai fini della loro iscrizione in bilancio, ai sensi del comma 4 dell’art. 2425 del codice civile (nel testo in vigore prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 127 del 1991), determina l’illiceità del bilancio e la nullità della relativa deliberazione approvativa ogni qual volta gli amministratori, nell’esercizio del potere discrezionale loro attribuito dalla norma, abbiano violato il principio di prudenza, operando una valutazione macroscopicamente irragionevole, oppure non abbiano fornito (né vi abbiano provveduto i Sindaci nella loro relazione) un’adeguata spiegazione dei criteri cui detta valutazione si è ispirata. La verifica dell’eventuale violazione dei menzionati limiti di ragionevolezza, così come quella concernente la sufficiente enunciazione dei criteri di valutazione, è rimessa al giudice di merito e, se adeguatamente motivata, non è censurabile in sede di legittimità.” Cass., Sez. I, sent. n. 8048 del 3 settembre 1996, in CED Cass. (rv. 499456). (11) “La delibera assembleare di approvazione del bilancio di una società per azioni, che sia stato redatto trascurando le analitiche previsioni dell’art. 2424 del codice civile, è illecita, quando l’esigenza di chiarezza sia frustrata al punto da non consentire la percezione esatta della consistenza complessiva della società e da eludere l’interesse dei soci e dei terzi a conoscerla, indipendentemente dall’intento che l’abbia determinata.” Cass., Sez. I, sent. n. 3132 del 14 marzo 1992, in CED Cass. (rv 476262). 3 COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE Le agevolazioni per l’acquisto di immobili danneggiati dal sisma del 1976 REGISTRO - Agevolazioni - Atto di prima acquisizione di immobile in comune danneggiato dal terremoto del 1976 - Per la ricostruzione o riparazione - Esistenza di altri singoli atti con medesimo acquirente e per stessi fini in altri comuni terremotati - Non rileva - Benefici - Competono - Art. 41-ter della L. 30 ottobre 1976, n. 730 Il requisito previsto di primo acquisto per usufruire dei benefici fiscali, deve riferirsi ad ogni acquisto di immobile, anche se situato in altro comune terremotato ed effettuato dal medesimo acquirente ai fini del ripristino di una sede dell’impresa 12/2000 il fisco 3403 GIURISPRUDENZA necessaria per lo svolgimento della propria normale attività. Verificata l’esistenza per il singolo atto considerato sia del requisito oggettivo che di quello soggettivo previsti dalla norma agevolativa, non può darsi, infatti, al contenuto della stessa una interpretazione restrittiva e, definitiva, contraria ai fini perseguiti (n.d.r.) (1). (Oggetto della controversia: Ricorso avverso avviso di liquidazione per imposta di registro) (COMM. CENTRALE, Sez. XIV - Dec. n. 398 del 19 gennaio 2000, dep. il 25 gennaio 2000) La Commissione tributaria centrale, Sez. XIV, riunita con l’intervento dei Signori: Michele Maiella (Presidente), Luigi Mazzella (Relatore), Giorgio Zagari, Giorgio Giovannini, Renato Sgroi (Componenti), e con l’assistenza del segretario Anna Angela Casale ha emesso la seguente to irrilevante la prova fornita dall’ufficio circa l’avvenuta concessione del beneficio per l’acquisto di un’area con fabbricato interamente distrutto nel comune di Gemona del Friuli ed insistendo nella tesi di un’interpretazione non restrittiva della norma di agevolazione fiscale. Propone ricorso l’ufficio a questa Commissione tributaria centrale rilevando che non avendo le filiali della B.d.F. S.p.a. personalità giuridica solo l’ufficio di Udine, sede centrale dell’istituto di credito, poteva porre in essere legittimamente atti a contenuto patrimoniale e che, d’altra parte, il medesimo come identico soggetto danneggiato poteva usufruire delle richieste agevolazioni solo ed esclusivamente per il primo acquisto effettuato a scopo di ricostruzione e non per tutti gli altri successivamente avvenuti nei comuni dove esistevano le varie filiali. Decisione sul seguente ricorso: - ricorso principale n. 649/86 presentato da ufficio del registro di Gemona del Friuli (controparte: B.d.F. S.p.a.) contro la decisione n. 80/01/86 riguardante l’imposta di registro emessa dalla Commissione tributaria di II grado di Udine. Fatto (1) Si ricorda che l’art. 41-ter della L. 30 ottobre 1976, n. 730, di conversione del D.L. 18 settembre 1976, n. 648, concernente interventi per le zone del Friuli-Venezia Giulia colpite dagli eventi sismici dell’anno 1976, prevedeva per gli atti di primo acquisto di terreni o di edifici anche distrutti o danneggiati situati nei comuni espressamente indicati, stipulati fino al 31 dicembre 1980, nonché di quelli distrutti o danneggiati a sco- il fisco Con atto privato autenticato da notaio la signora O.I. vendeva alla B.d.F. S.p.a con sede in Udine un’area edificabile nel Comune di B. con il sovrastante fabbricato gravemente danneggiato dal terremoto, per un valore dichiarato di lire 55.000.000 All’atto della registrazione l’ufficio del registro di Gemona del Friuli, su richiesta della parte contribuente, concedeva i benefici previsti dall’art. 41-ter della L. 30 ottobre 1976, n. 730 e della L. 4 agosto 1977, n. 500. Successivamente, però, lo stesso ufficio emetteva avviso di liquidazione per il recupero delle imposte non percette, notificandolo nei termini e modi di legge e sostenendo che il beneficio non poteva ritenersi applicabile in quanto non si trattava, nella specie, di un primo acquisto da parte della contribuente. La stessa B.d.F. S.p.a., secondo l’ufficio, aveva già usufruito della medesima agevolazione in occasione di un precedente acquisto. Alla pretesa fiscale si opponeva la parte con ricorso alla Commissione tributaria di I grado di Tolmezzo, la quale lo accoglieva ed annullava l’avviso di liquidazione per la considerazione che l’ufficio del registro non aveva fornito alcuna prova né tanto meno precisato per quali altri immobili la contribuente aveva goduto del beneficio fiscale e che, in ogni caso, il requisito del primo acquisto doveva riferirsi, a giudizio di quei giudici, ad ogni acquisto di immobile anche se situato in altro comune terremotato effettuato ai fini del ripristino di una sede dell’impresa necessaria per lo svolgimento della propria normale attività. Su ricorso dell’ufficio, la Commissione tributaria di II grado di Udine confermava la decisione impugnata ritenendo del tut- Diritto Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Non è oggetto di contestazione tra le parti che la B.d.F. S.p.a. abbia effettuato il suo primo acquisto nel comune di B. per ricostruire un edificio gravemente danneggiato dal terremoto e per esercitarvi la propria normale attività imprenditoriale. Orbene, poiché i benefici previsti dalla legge più volte citata hanno il chiaro ed unico scopo di favorire gli acquisti di immobili danneggiati dal movimento tellurico del 1976 se effettuati in funzione della ricostruzione o della riparazione è evidente che, nel caso di specie, sussiste sia il requisito oggettivo necessario per ottenere l’agevolazione (che è, come si è detto, la rimessa in pristino nelle zone terremotate di fabbricati utilizzati da un imprenditore per lo svolgimento della propria normale attività) e sia quello soggettivo in quanto l’impresa che ha effettuato l’acquisto nel comune dove esercitava la sua attività, procedeva effettivamente ad un primo atto di acquisizione, non avendone in quello stesso comune effettuato altri in precedenza. Interpretare restrittivamente la norma nel senso ipotizzato dall’ufficio del registro di Gemona del Friuli significherebbe frustrare le stesse finalità ricostruttive che il legislatore intendeva perseguire per favorire la rinascita e la ripresa delle attività imprenditoriali nelle zone colpite dal sisma. P.Q.M. si rigetta il ricorso dell’ufficio e si conferma la decisione di secondo grado. po di ricostruzione o riparazione, l’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa, a condizione che l’acquirente risultasse danneggiato ed avesse la propria residenza nei previsti comuni da data anteriore al 6 maggio 1976 e la conservasse alla data dell’acquisto. D.C. 3404 il fisco 12/2000 leggi e decreti (Riproduzione fotografica della Gazzetta Ufficiale) LEGGE 28 febbraio 2000, n. 42. Disposizioni per disincentivare l’esodo dei piloti militari. (in G.U. n. 54 del 6 marzo 2000) il fisco 12/2000 il fisco 3405 LEGGI E DECRETI il fisco 3406 il fisco 12/2000 LEGGI E DECRETI MINISTERO DELLE FINANZE DECRETO 22 febbraio 2000. Autorizzazione all’esercizio dell’attività di assistenza fiscale da parte del Centro di assistenza fiscale CAFImprese, denominato «CNA Pistoia S.r.l.» e iscrizione dello stesso all’albo dei CAF-Imprese. (in G.U. n. 54 del 6 marzo 2000) il fisco DECRETO-LEGGE 8 marzo 2000, n. 46. Disposizioni urgenti in materia sanitaria. (in G.U. n. 56 dell’8 marzo 2000) 12/2000 il fisco 3407 LEGGI E DECRETI N.B. - Il D.Lgs. 29 aprile 1998, n. 124, è riportato in “il fisco” n. 19/1998, pag. 6304. il fisco DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 7 febbraio 2000, n. 48. Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di controllo, a fini fiscali, relativi a speciali contrassegni per bevande, acque minerali e prodotti vinosi, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59. (in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000) 3408 il fisco 12/2000 LEGGI E DECRETI il fisco 12/2000 il fisco 3409 LEGGI E DECRETI il fisco 3410 il fisco 12/2000 LEGGI E DECRETI il fisco MINISTERO DELLE FINANZE DECRETO 1° marzo 2000. Autorizzazione alla società «Centro autorizzato di assistenza fiscale Assocontribuenti S.r.l.», in Ascoli Piceno, ad esercitare attività di assistenza fiscale. (in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000) 12/2000 il fisco 3411 LEGGI E DECRETI ERRATA-CORRIGE Comunicato relativo ai decreti del Ministro delle finanze del 3 febbraio 2000 concernenti: «Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore del commercio; Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore delle manifatture; Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore dei servizi» (Decreti pubblicati nel supplemento ordinario n. 34 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 45 del 24 febbraio 2000). MINISTERO DELLE FINANZE DECRETO 18 febbraio 2000. Modalità tecniche di svolgimento della Lotteria nazionale del Gran premio di Agnano e del Gran premio di F. 1 di San Marino-Imola, della Maratona di Torino e del Trofeo Valle di Fiemme - Manifestazione 2000. (in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000) I titoli dei decreti citati in epigrafe, pubblicati nel suindicato supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale, redatti nella forma sopra riportata, sia nel frontespizio, che nel sommario e, rispettivamente, alle pagine 7, 54 e 158, nonché quelli relativi all’annuncio dato nella Gazzetta Ufficiale n. 45, alla pagina 3 del sommario, sono da intendersi formulati come segue: “Approvazione degli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore del commercio; Approvazione degli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore delle manifatture; Approvazione degli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore dei servizi.». MINISTERO DELLE FINANZE il fisco N.B. - I Decreti del Min. Finanze 3 febbraio 2000 sono riportati in “il fisco” n. 11/2000, pagg. 3220 e seguenti. (in G.U. n. 59 dell’11 marzo 2000) UFFICI FINANZIARI VARI IRREGOLARE O MANCATO FUNZIONAMENTO D. Dir. Reg. Entrate Lazio 2 marzo 2000 Accertamento dell’irregolare/mancato funzionamento dell’ufficio del registro di Formia dal 28 al 31 gennaio 2000. (in G.U. n. 56 dell’8 marzo 2000) D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 21 febbraio 2000 MINISTERO DELLE FINANZE DECRETO 22 dicembre 2000. Proroga della dilazione di versamento So.Ri.T. S.p.a., concessionario del servizio di riscossione dei tributi per la provincia di Perugia. (in G.U. n. 58 del 10 febbraio 2000) Accertamento del periodo di irregolare funzionamento dell’ufficio del territorio di Novara - servizio di pubblicità immobiliare il giorno 3 febbraio 2000. (in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000) D. Dir. Comp. Territorio Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 21 febbraio 2000 Accertamento del periodo di irregolare funzionamento dell’ufficio del territorio di Torino nei giorni 2, 3, 4 e 5 febbraio 2000. (in G.U. n. 57 del 9 marzo 2000) 3412 il fisco 12/2000 Gazzetta ufficiale delle Comunità europee Legislazione (Riproduzione fotografica) Decisione del Consiglio del 28 febbraio 2000 che autorizza gli Stati membri ad applicare un’aliquota Iva ridotta su taluni servizi ad alta intensità di lavoro secondo la procedura di cui all’art. 28, paragrafo 6, della direttiva 77/388/CEE (2000/185/CE) (in G.U.C.E. L. 59 del 4 marzo 2000) il fisco 12/2000 il fisco 3413 LEGGI E DECRETI - CE il fisco 3414 il fisco 12/2000 AGENDA LEGISLATIVA Agenda legislativa tributaria Decreti-legge in corso di conversione Provvedimento in “il fisco” conversione entro il D.L. 15 febbraio 2000, n. 21 (in G.U. n. 37 del 15.2.2000) Iva - Produttori agricoli - Regime speciale - Proroga Proroga del regime speciale in materia di IVA per i produttori agricoli n. 9/2000, pag. 2469 15.4.2000 Vd. relazione illustrativa, in “il fisco” n. 9/2000, pag. 2400. D.L. 8 marzo 2000, n. 46 (in G.U. n. 56 dell’8.3.2000) Prestazioni sanitarie Disposizioni urgenti in materia sanitaria n. 12/2000, pag. 3406 7.5.2000 Vd. il D.Lgs. 29 aprile 1998, n. 124, riportato in “il fisco” n. 19/1998, pag. 6304 e comunicato di errata-corrige (in G.U. n. 300 del 23 dicembre 1999, riportato in “il fisco” n. 1/2000, pag. 161). Vd. il D.L. 20 dicembre 1999, n. 485, in “il fisco” n. 1/2000, pag. 157, non convertito. note Legislazione modificativa, integrativa e di attuazione, in questo numero Provvedimento pagina L. 28 febbraio 2000, n. 42 (in G.U. n. 54 del 6.3.2000) Irpef - Premi ai piloti militari Disposizioni per disincentivare l’esodo dei piloti militari 3404 D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 48 (in G.U. n. 57 del 9.3.2000) Imposte e tasse - Contrassegni speciali Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di controllo, a fini fiscali, relativi a speciali contrassegni per bevande, acque minerali e prodotti vinosi, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59 3407 Errata-corrige (in G.U. n. 57 del 9.3.2000) Studi di settore - Attività economiche varie Comunicato relativo ai decreti del Ministro delle finanze del 3 febbraio 2000 concernenti: “Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore del commercio; Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore delle manifatture; Approvazione di questionari per gli studi di settore relativi ad attività economiche nel settore dei servizi” 3411 note I decreti del Ministero delle Finanze 3 febbraio 2000 sono riportati in “il fisco” n. 11/2000, rispettivamente, alle pagine 3220, 3222 e 3224. rubrica rivista ilfisco n. 1-2000 Rassegna di fiscalità internazionale coordinata da Piergiorgio Valente su questo numero: ❏ Temi di approfondimento Rendite finanziarie: ipotesi di ricostruzione sistematica in ordine alla tassazione dei non residenti Internet - Il concetto di stabile organizzazione applicato al commercio on-line. La proposta dell’OCSE al Forum on Electronic Commerce Il mutamento di residenza quale tipica forma di tax planning delle persone fisiche - Disamina degli strumenti normativi interni di reazione al fenomeno (con accenni di diritto comparato) La Repubblica di Croazia - Sistema tributario, agevolazioni fiscali per gli investitori esteri e rilevanza del Paese ai fini di alcune norme tributarie italiane ❏ Corso teorico pratico di fiscalità internazionale L’espansione sul mercato estero ❏ Risposte a quesiti ❏ Notiziario su fiscalità dei Paesi ❏ Panorama giurisprudenziale Sentenza della Corte (sesta Sezione) 29 settembre 1999: “Direttiva 69/335/CEE - Imposte indirette sulla raccolta di capitali - Onorari richiesti per la redazione di un atto notarile che attesta un aumento di capitale nonché una modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali” Causa C-56/98 tra Modelo sgps sa e Director-Geral dos Registos e Notariado, Ministèrio Pùblico ❏ Appendice normativa e documenti Budget review - South Africa - Chapter 6 - Revenue issues and tax proposals Transfer pricing guidelines in Belgium Senate Foreign Relations Committee Resolution that Senate Ratify Tax Treaty with Italy Allegato gratuito alla rivista “il fisco” n. 12 del 20 marzo 2000 Rassegna di fiscalità internazionale n. 1-2000 COMITATO DELLA RUBRICA Piergiorgio Valente, coordinatore; Patrizio Braccioni; Gaetano Casertano; Aldo Correale; Franco Roccatagliata su questo numero: Pag. TEMI DI APPROFONDIMENTO Pag. 1. Rendite finanziarie: ipotesi di ricostruzione sistematica in ordine alla tassazione dei non residenti di Patrizio Braccioni ........................................ NOTIZIARIO SU FISCALITÀ DEI PAESI 10 3. Il mutamento di residenza quale tipica forma di tax planning delle persone fisiche - Disamina degli strumenti normativi interni di reazione al fenomeno (con accenni di diritto comparato) di Sergio La Rocca ................................................ 15 1. Argentina .............................................................. 2. Filippine.......................................................................... 3. Francia........................................................................ 4. Irlanda.................................................................... 5. Malesia.................................................................... 6. Messico ................................................................... 7. Venezuela ............................................................... 61 61 61 62 62 63 63 PANORAMA GIURISPRUDENZIALE 30 CORSO TEORICO-PRATICO DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE 1. L’espansione sul mercato estero di Gianpaolo Valente................................................. 58 5 2. Internet - Il concetto di stabile organizzazione applicato al commercio on-line. La proposta dell’OCSE al Forum on Electronic Commerce di Piergiorgio Valente e Franco Roccatagliata... 4. La Repubblica di Croazia - Sistema tributario, agevolazioni fiscali per gli investitori esteri e rilevanza del Paese ai fini di alcune norme tributarie italiane di Marco Mazzetti di Pietralata .......................... 3. Come viene risolto dalla nuova Convenzione tra Italia e Stati Uniti il problema del riconoscimento dell’Irap? ......................................................... 41 1. Sentenza della Corte (sesta Sezione) 29 settembre 1999: “Direttiva 69/335/CEE - Imposte indirette sulla raccolta di capitali - Onorari richiesti per la redazione di un atto notarile che attesta un aumento di capitale nonché una modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali” Causa C-56/98 tra Modelo sgps sa e Director-Geral dos Registos e Notariado, Ministério Pùblico con il commento di Maria Giuseppina Valente . 67 RISPOSTE A QUESITI 1. Quale è il trattamento fiscale riservato al compenso percepito da un lavoratore dipendente che presta attività all’estero?................................... 2. Nell’ambito delle CFC Legislation adottate nel mondo ad oggi, generalmente al socio residente vengono attribuiti tutti i redditi della società estera o solo alcuni? .................................................. APPENDICE NORMATIVA E DOCUMENTI 57 58 1. Budget review - South Africa - Chapter 6 - Revenue issues and tax proposals ...................................... 2. Transfer pricing guidelines in Belgium .............. 3. Senate Foreign Relations Committee Resolution that Senate Ratify Tax Treaty with Italy............. il fisco Reg. Trib. di Roma n. 16620 del 22 dicembre 1976 Direttore responsabile Pasquale Marino 79 102 104 il fisco Direttore: Pasquale Marino, dottore commercialista in Roma Avviso ai lettori Telefoni dell’Ufficio Abbonamenti: Comitati di redazione 1990 06.871.303.82 - 06.871.302.72 a Roma telefax n. 06.321.78.08 - 06.321.74.66 Pietro Adonnino, prof. associato di diritto tributario nell’università di Roma, avvocato in Roma; Paolo Armati, notaio in Roma; Bruno Assumma, avvocato in Roma; Claudio Berliri, avvocato in Roma; Mario Boidi, dottore commercialista in Torino; Ivo Caraccioli, ordinario di istituzioni di diritto penale nell’università di Torino; Giovanni Chiarion Casoni, dottore commercialista in Roma; Flavio Dezzani, prof. ordinario di ragioneria nell’università di Torino, dottore commercialista; Sergio Gradi, esperto fiscale; Alberto Mastrangelo, dottore commercialista in Roma; Leonardo Milone, notaio in Roma; Leonardo Perrone, ordinario di diritto tributario nell’università di Roma; Antonino C. Ramirez, esperto fiscale; Baldassarre Santamaria, prof. di diritto tributario nell’università di Roma, II; Francesco Schiavon, dottore commercialista in Padova; Francesco Serao, dottore commercialista in Napoli. a Milano Giuseppe Bernoni, dottore commercialista in Milano; Roberto Lunelli, dottore commercialista in Udine; Giuseppe Marra, avvocato tributarista in Varese; Giancarlo Modolo, esperto tributario in Milano; Giorgio Moro Visconti, dottore commercialista in Milano; Giuseppe Piazza, dottore commercialista in Milano; Piergiorgio Valente, dottore commercialista in Milano. Ufficio Studi dello STUDIO DI CONSULENZA SOCIETARIA E TRIBUTARIA “MARINO”: Pasquale Marino, dottore commercialista, Gianluca Caputi, dottore commercialista, dott. Vincenzo De Luca, dott. Giuseppe Marino, Lorenzo Giorgio Mottura, dottore commercialista, Salvatore Petrachi, Francesco Veroi, dottore commercialista; Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma - Tel. 06.321.75.78-06.321.75.38. 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Per i pensionati del Ministero delle finanze e della G. di F., l’abbonamento ai 48 numeri è di L. 368.000, con il Codice Tributario 2000 P. Marino, L. 428.000. Un numero ordinario L. 11.000, Euro 5,68, arretrato L. 14.000, Euro 7,23. Modalità di pagamento: Versamento diretto (con assegno bancario o circolare “non trasferibile” e barrato o con bonifico bancario presso la CARIPLO, 736 Roma, Agenzia n. 14, c/c n. 700/1 ABI: 06070.7 CAB: 03214.4 o vaglia postale) indirizzato a ETI S.p.A., Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma, oppure versamento a mezzo c/c postale n. 61844007 intestato a ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma. L’attestazione del versamento sul c/c postale è valida come documento fiscale di spesa. La decorrenza per l’abbonamento è dall’1.1.2000 al 31.12.2000 con diritto ai numeri arretrati; l’abbonamento s’intende rinnovato nel caso in cui non sia pervenuta alla Editrice ETI S.p.A. lettera raccomandata di disdetta 30 giorni prima della scadenza di detto abbonamento. L’Iva corrisposta dall’editore ai sensi dell’art. 74, lettera c), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del D.M. 29 dicembre 1989 (come sostituito dal D.M. 9 aprile 1993) e del D.M. 12 gennaio 1990, è conglobata nel prezzo di copertina. All’acquirente-abbonato non è consentita la detrazione dell’imposta (circolare ministeriale n. 63/490676 del 7 agosto 1990). I contenuti e i pareri espressi negli articoli sono da considerare opinioni personali degli autori che non impegnano pertanto il direttore e il comitato di redazione. Concessionaria pubblicità: P.I.M. - Pubblicità Italiana Multimedia S.r.l. - Sede legale e presidenza: Milano, Via Tucidide, 56 bis, Torre I 20134 - Centralino Tel. 02.74.82.71 - Presidenza Tel. 02.74.82.69.57 - Fax 02.70.00.19.41 - Direzione Commerciale Tel. 02.74.82.69.78 - Fax 02.70.10.05.88 - Direzione Amministrativa Tel. 02.74.82.79.21 - Fax 02.74.82.79.29. 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Rassegna di fiscalità internazionale Temi di approfondimento il fisco R I V I S T A 2000 Per un aggiornamento tributario sempre più tempestivo (nuove leggi, commenti esplicativi, giurisprudenza, circolari, quesiti, ecc.) seguiamo i tempi moderni! Tre variazioni in tema: 1 il fisco RC 2 il fisco ROL 3 il fisco REM Rivista “il fisco” su Carta, RC 48 numeri settimanali, 12.000 pagine minimo. Inclusi nella quota: 1) Rassegna Tributaria; 2) due Compact Disc semestrali con la raccolta dei 48 numeri (1° gennaio - 31 dicembre 2000) Lire 460.000 Il fisco Rc è anche in edicola ogni settimana a Lire 11.000. Rivista “il fisco” On Line, ROL con aggiornamento giornaliero, un quotidiano fiscale, con due Compact Disc semestrali per conservare la raccolta e consentire la consultazione informatica nel tempo. 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Si allega copia fotostatica dell’attestazione di versamento (o invio per fax) data firma ETI Editore: 00195 Roma - Viale Mazzini, 25 Informazioni 06.32.17.774 - 06.32.17.578 Fax 06.32.17.808 - 06.32.17.466 HOME PAGE “il fisco” http://www.ilfisco.it/ CEDOLA ABBONAMENTI http://www.ilfisco.it/cedolaab.htm E-MAIL: [email protected] Rendite finanziarie - Tassazione non residenti 12/2000 il fisco 3423 1 TEMI DI APPROFONDIMENTO Rendite finanziarie Ipotesi di ricostruzione sistematica in ordine alla tassazione dei non residenti di Patrizio Braccioni (*) il fisco Il D.Lgs. 21 luglio 1999, n. 259 (in G.U. del 4 agosto 1999, n. 181) ha apportato rilevanti modifiche al regime di tassazione dei soggetti non residenti in relazione ad alcune tipologie di redditi di capitale e redditi diversi, modificando di conseguenza alcune norme introdotte dal D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461 di riforma dell’intero sistema di tassazione delle rendite finanziarie (1). Nuove modifiche, ad oggi solo annunciate (cfr. lo schema di decreto legislativo di modifica di questa materia approvato dal Consiglio dei Ministri il 19 novembre e pubblicato su “Il Sole-24 Ore” del 20 novembre 1999), apporteranno ulteriori cambiamenti, utili ai fini di questo lavoro, anche in relazione ai contenuti del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239, in tema di regime fiscale degli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati. In breve, per soffermarci solo sugli aspetti relativi alla tassazione dei non residenti, con effetto dal 1° gennaio 1999 è stata ampliata l’esenzione prevista sugli interessi derivanti da conto corrente bancario e postale per tutti i soggetti non residenti ed indipendentemente dal Paese di residenza. Nel testo precedente alla modifica non subivano ritenute gli interessi di conto corrente percepiti da soggetti residenti in Paesi di white list, cioè tutti i Paesi legati all’Italia da una Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni che preveda lo scambio di informazioni. A partire dalla data indicata non subiranno più alcuna ritenuta fiscale gli interessi di conto corrente pagati anche a soggetti residenti in Paesi di black list, cioè Paesi a fiscalità privilegiata di cui al D.M. 24 marzo 1992. Similmente dicasi per gli interessi pagati a non residenti su certificati di deposito, in relazione ai quali l’unica condizione resta appunto che gli interessi siano pagati nel corso del 1999, indipendentemente dalla data di emissione dei certificati stessi. Inoltre, il regime di favore già previsto dall’art. 20, comma 1, lettera f), del Tuir, è stato esteso anche alle plusvalenze realizzate sulla cessione di obbligazioni, purché quotate nei mercati regolamentati, italiani e/o esteri. Inoltre, nell’ipotesi di obbligazioni convertibili, riteniamo (contrariamente a tesi ministeriali) sia rilevante la quotazione del titolo sottostante. In altri termini potranno beneficiare dell’esenzione sulle plusvalenze quelle obbligazioni che, ancorché non quotate, siano convertibili in azioni quotate. Da ultimo, sono esentati da tassazione i contratti derivati posti in essere da soggetti non residenti purché negoziati in mercati regolamentati, in questo caso indipendentemente dalla circostanza che gli strumenti finanziari sottostanti siano anch’essi quotati. La dottrina ha già ampiamente appuntato la propria attenzione su questi aspetti di novità introdotti dal decreto in oggetto (2); sarebbe quindi difficile affrontare di nuovo questi argomenti senza (*) Responsabile Affari Fiscali Gruppo Unicredito Italiano. (1) Sul tema della riforma dei redditi di capitale e diversi cfr. Ferranti-Arquilla, La tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, Milano, 1998; Guida pratica alla tassazione delle attività finanziarie, a cura di E. Mignarri, Roma, 1999; Girolamo-Rossi-Scarioni, La tassazione delle rendite finanziarie, Bologna, 1999. (2) In particolare si segnalano i lavori di Michelutti, I nuovi presupposti di territorialità per i redditi diversi realizzati da soggetti non residenti; in particolare le plusvalenze da cessione di partecipazioni sociali, in “Riv. Dir. Trib.”, 1999, IV, pagg. 279 e seguenti; Ceccacci, Le nuove fattispecie di redditi diversi esclusi da tassazione nei confronti dei non residenti, ibidem, pagg. 311 e seguenti. RFI - 5 3424 il fisco 12/2000 Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 correre il rischio di ripetere quanto già detto da autorevoli Autori. L’argomento che andiamo a trattare vuole invece cercare di tracciare una ricostruzione sistematica dell’intera materia, la tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi in capo a soggetti non residenti. Questo aspetto, su cui a nostro avviso è efficacemente intervenuto il D.Lgs. n. 259/1999, costituisce la novità più rilevante apportata al testo previgente, ciò indipendentemente dalle singole disposizioni innovative. Il tentativo di delineare un quadro sistematico di riferimento risulterà utile sia de iure condito, sia, forse con maggiore intensità, de iure condendo. Non è del resto nuovo in Italia il desiderio di superare l’eccesso di legislazione in materia tributaria con il fissare dei criteri e dei principi di ordine generale cui si possa fare riferimento per orientarsi nella complessa e variegata normativa, talvolta non coordinata e di difficile comprensione per la stessa Amministrazione finanziaria (3). Il tentativo di cui si fa cenno non vuole peraltro rappresentare un puro sforzo di carattere teorico, bensì di carattere pratico, cioè far discendere dalle diverse fattispecie che andremo ad individuare delle conseguenze specifiche con impatti su aspetti applicativi di rilievo. Con riferimento alle plusvalenze realizzate su azioni quotate in mercati regolamentati ed alla relativa esclusione da imposta di cui al citato art. 20, comma 1, lettera f), del Tuir, tutti gli Autori hanno fatto correttamente rinvio al concetto di extraterritorialità di tali plusvalenze quale ratio della non imposizione del reddito. Ritengo che sia utile in questa sede approfondire ulteriormente questo concetto. Non possono anzitutto non convincere le affermazioni del Ceccacci (4), il quale afferma che il principio che attribuisce la tassazione dei capital gain al Paese di residenza del soggetto che lo ha realizzato è inserito all’art. 13 del Modello di Convenzione OCSE ed è quindi da considerarsi un principio diffuso: fatto ancor più pregnante laddove si constati che questo principio è poi di fatto inserito pressoché in tutte le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate tra loro dai Paesi aderenti all’OCSE. (3) Questa affermazione si rinviene nella relazione dell’On. Marongiu al disegno di legge n. 4818 approvato ad oggi solamente dal Senato, Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente. (4) Ceccacci, Le nuove fattispecie ..., op. cit. RFI - 6 il fisco 1. Il presupposto di territorialità Vorremmo però aggiungere ulteriori riflessioni. Nel prendere le mosse dal pregevole studio del Sacchetto in materia di territorialità dell’imposta (5), va a nostro avviso ribadito che se il presupposto del potere di imposizione dello Stato deve essere individuato in uno stretto rapporto economico fra il soggetto d’imposta ed il territorio in cui si verifica il presupposto, dobbiamo constatare che la regola in argomento non può essere considerata una eccezione alla regola più generale dell’attrazione a tassazione in base al principio della prima parte della lettera f) dell’art. 20 del Tuir (attrazione a tassazione dei redditi diversi derivante da beni che si trovano nel territorio), in quanto le azioni di società quotate, ormai dematerializzate ai sensi del D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213 e delle successive disposizioni attuative del Ministero del tesoro, non sarebbero ad avviso di chi scrive da considerarsi beni che si trovano in Italia. Del resto, pur in diverso ambito, il Ministero delle finanze ha indicato un principio per il quale il deposito di titoli in Italia non attrae quivi a tassazione i redditi di capitale (interessi) pagati su questi titoli se debitore e creditore di detti interessi siano soggetti non residenti. Questa ipotesi è ad esempio riferibile alle obbligazioni emesse dalla Tecnost N.V. (società olandese) nel 1999 e tuttora in circolazione sul mercato: gli interessi pagati dalla società emittente a soggetti non residenti non saranno da assoggettare a ritenuta fiscale ancorché i titoli siano depositati in Italia e gli interessi siano “materialmente” corrisposti da intermediari italiani. In questo senso si esprime la circolare (del Ministero delle finanze) n. 207/E del 26 ottobre 1999 (in “il fisco” n. 41/1999, pag. 12981) emanata a commento del D.Lgs. n. 259/1999 in argomento. In conclusione, la non imponibilità prevista per le sunnominate tipologie di plusvalenze può a nostro avviso rispondere ad un principio di carattere generale piuttosto che essere ritenuta la conseguenza dell’introduzione di una presunzione assoluta di extraterritorialità. Se poi estendiamo l’analisi alle plusvalenze realizzate in relazione a partecipazioni qualificate, la non imponibilità risulta comunque garantita dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia e di cui si è fatto cenno sopra. La vera eccezione diviene quindi il realizzo di plusvalenze su partecipazioni qualificate da parte di soggetti residenti in Paesi non convenzionati con l’Italia, in particolare paradisi fiscali. Questo caso può essere giustificato da finalità diverse, ivi comprese finalità antielusive; del resto, l’attrazione a tassazione in Italia di redditi prodotti (5) Sacchetto, voce Territorialità, “Dir. Trib.”, in “Enciclopedia del Diritto”, Ed. Giuffrè. Rendite finanziarie - Tassazione non residenti (6) Ci riferiamo alle regole meglio conosciute come Controlled Foreign Companies Rules, o più semplicemente CFC Rules, già in vigore in numerosi Paesi OCSE. Segnaliamo inoltre che di recente dette regole sono state modificate nel Regno Unito in ordine agli obblighi di reporting. Sul tema Mongan-Gordan Brown, U.K. self-assessment for controlled foreign companies, in “Tax Planning International Review”, 1999, 9, pagg. 3 e seguenti. (7) Si fa riferimento allo schema di decreto legislativo approvato il 19 novembre 1999 e pubblicato su “Il Sole-24 Ore” del 20 novembre 1999, di cui si fa cenno all’inizio di questo lavoro. La differenza della fattispecie da ultimo descritta con gli interessi di conto corrente risiede nel fatto che, come peraltro già precisato, nel primo caso la non imponibilità è estesa a tutti i non residenti, nel secondo caso solamente ad un gruppo limitato. Last but not least, i contratti derivati conclusi da non residenti in mercati regolamentati non sono soggetti a tassazione in Italia indipendentemente dallo strumento finanziario sottostante. Anche in questo caso, la volatilità, ovvero l’immaterialità del prodotto derivato (si tratta in sostanza di mero scambio di flussi finanziari) rende di fatto impossibile individuare un territorio cui collegare un presupposto impositivo. D’altro canto, come già visto per le azioni, non pare attrarre a tassazione un reddito il luogo in cui si trova il mercato regolamentato in cui avviene l’operazione. 2. Non imponibilità: esclusione od esenzione da imposta? Nell’ambito di questa materia, l’assunto di base da cui muoviamo in ordine alle fattispecie di non applicazione di imposte italiane è che ci pare di poter distinguere fondamentalmente due ipotesi: - casi di esclusione da imposta; - casi di esenzione da imposta. il fisco in paradisi fiscali, pur limitatamente a società collegate direttamente o indirettamente a società italiane, sta per divenire (ad oggi con ragionevole probabilità) una norma di carattere generale nel nostro ordinamento (6). Diverso è invece il caso di non imponibilità degli interessi da conto corrente o da certificati di deposito, corrisposti a non residenti. Ricordiamo ancora una volta che la norma in discussione (art. 26-bis del D.P.R. n. 600/1973) prevedeva la non applicazione della ritenuta solo in relazione agli interessi corrisposti a soggetti residenti in Paesi di white list. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 259/1999, il beneficio della non imponibilità degli interessi è stato esteso a tutti i non residenti. In questo caso trattasi di valori (danaro) ubicati in Italia che maturano redditi di capitale, interessi. Il vincolo che lega il presupposto economico al territorio italiano in questa ipotesi esiste ed è ben evidente: la non applicazione dell’imposta non può quindi che essere giustificata dall’introduzione da parte del legislatore di una presunzione assoluta di non imponibilità nei confronti di qualunque soggetto non residente. A fini che tratteremo nel prosieguo di questo lavoro, si sottolinea l’assoluta generalità della previsione di non imponibilità. Per venire al tema degli interessi corrisposti su obbligazioni emesse dai cosiddetti “Grandi emittenti”, cioè in particolare obbligazioni emesse in Italia dallo Stato, da banche e da società quotate, il D.Lgs. n. 239/1996 prevede l’esenzione da ritenuta sugli interessi corrisposti a soggetti residenti in Paesi di white list. Anche in questo caso gli interessi maturano su valori, in questo caso obbligazioni, legati al territorio italiano in quanto ivi originatisi, a nulla rilevando, di nuovo, il luogo (Italia o estero) in cui questi valori siano depositati. Il concetto di collegamento con il territorio italiano sarà ulteriormente rafforzato quando, come già appare all’orizzonte (7), saranno assoggettate a questa medesima normativa anche le obbligazioni emesse dagli stessi soggetti all’estero. Infatti, nel momento in cui scriviamo queste brevi note le obbligazioni emesse all’estero sono escluse dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 239/1996. 12/2000 il fisco 3425 Senza in questa sede riproporre le opinioni dottrinali sul concetto di esenzione e di esclusione in ambito puramente domestico, per i quali rinviamo ad un nostro vecchio lavoro (8), in ambito internazionale tali concetti possono a nostro avviso assumere connotazioni più marcate. Può ritenersi “escluso” da tassazione il reddito in relazione al quale non vi sia alcun presupposto di territorialità; in altri termini, i presupposti impositivi sono completamente estranei al territorio italiano e quindi al suo ordinamento. Vengono così a mancare quei vincoli di carattere economico con il territorio nazionale che consentono allo Stato di poter esercitare la propria giurisdizione fiscale (9). La non ricorrenza di detti presupposti può anche essere presunta, con presunzione assoluta. Al contrario, l’esenzione può riferirsi a quelle ipotesi in cui, pur in presenza di vincoli economici con il territorio che potrebbero di per sé giustificare l’imposizione fiscale, è il legislatore che sceglie di non esercitare tale potere. (8) Braccioni, Ancora sulla tassabilità dell’indennità integrativa speciale, in “Dir. Prat. Trib”, 1986, II, pagg. 234 e seguenti. (9) Per approfondimenti cfr. Rutsel, The jurisdiction to tax in International Law: theory and practice of legislative fiscal jurisdiction, nella collana “Series” in “International Taxation”, Kluwer, Deventer, 1989; Garbarino, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990; Mann, Studies, in “International Law”, Oxford, 1973, Sacchetto, op. cit. RFI - 7 3426 il fisco 12/2000 Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 RFI - 8 il fisco Riteniamo così che, in base alle considerazioni svolte nel paragrafo dedicato alla territorialità, rientrano nell’ipotesi di esclusione le plusvalenze realizzate su partecipazioni non qualificate in società residenti e di conseguenza su titoli e diritti attraverso i quali possono essere assunte dette partecipazioni, su contratti derivati negoziati su mercati regolamentati e su titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, eccetera [ex art. 81, lettera c-ter), del Tuir). Similmente può dirsi degli interessi di conto corrente e degli interessi di certificati di deposito percepiti da non residenti. L’assenza totale di presupposti impositivi fa a nostro avviso ricadere nell’ambito dell’esclusione anche i redditi di capitale e le plusvalenze relative ai titoli emessi all’estero da società non residenti e collocati in Italia. Abbiamo già visto infatti che il deposito di titoli sul territorio nazionale non è di per sé sufficiente ad attrarre a tassazione in Italia i proventi di detto titolo. Rientrano invece nell’ipotesi dell’esenzione gli interessi pagati sui titoli rientranti nella disciplina del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 (cioè, lo ricordiamo, principalmente titoli di Stato, obbligazioni emesse da banche o società quotate con scadenza superiore a diciotto mesi). In questo caso, in assenza di previsioni normative specifiche, il vincolo economico con il territorio è rappresentato dal titolo italiano e dal valore che esso rappresenta: si tratta semplicemente di un bene italiano, un titolo, emesso da un soggetto italiano e collocato all’estero. Di per sé, quindi, rimanendo sempre su di un piano sistematico, lo Stato avrebbe il diritto di tassare i proventi di tali titoli anche se detenuti da soggetti non residenti. Tale potere viene neutralizzato appunto dalla normativa specifica, che per questo può definirsi come di esenzione e che mantiene per questo un carattere di eccezionalità. Da tale carattere di eccezionalità deriva l’ulteriore conseguenza di una limitazione soggettiva del beneficio. Se fosse infine definitivamente approvata la norma di cui allo schema normativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 19 novembre 1999, di cui si è già fatto cenno, la quale prevede che rientrerebbero nella disciplina del D.Lgs. n. 239/1996 anche i titoli emessi all’estero da banche e società quotate italiane (confermando in via legislativa una tesi già accettata dal Ministero delle finanze), il quadro risulterebbe ulteriormente perfezionato, nel senso che resterebbe pur sempre l’evidente collegamento dell’emittente con il territorio italiano, indipendentemente dal luogo di emissione, restando altresì limitati nel numero i soggetti non residenti che potrebbero beneficiare dell’esenzione (resterebbero infatti esenti i soggetti residenti in Paesi di white list). Ciò rafforzerebbe a nostro avviso le tesi sopra delineate. Fatta questa disamina, la stessa ci induce a ritenere che tale differenziazione si ripercuota anche sulla diversa intensità della prova documentale da rendersi a cura dell’investitore estero in ordine al proprio status di non residente per beneficiare della non applicazione di imposte in Italia. Per ciò che concerne i redditi esclusi diviene sufficiente una autocertificazione: non vi è necessità da parte dell’Amministrazione finanziaria di indagare sul soggetto non residente proprio perché, come abbiamo visto, o per presunzione di legge o per una circostanza materiale, tutti i presupposti impositivi si verificano all’estero. Questo assunto, almeno così ci pare, viene confermato laddove nella relazione governativa al D.Lgs. 259/1999, in relazione ai conti correnti ed ai conti cosiddetti omnibus si richiedono appunto mere autocertificazioni. Per i conti omnibus, cioè i conti detenuti presso intermediari residenti da parte di intermediari non residenti ove sono gestiti indistintamente una pluralità di rapporti relativi a clienti di questi ultimi, si giunge addirittura ad affermare, che sia l’intermediario non residente a poter rilasciare un’unica autocertificazione a nome dei propri clienti. Al contrario, per beneficiare dell’esenzione di cui al D.Lgs. n. 239/1996, occorre presentare una certificazione (Mod. 116/IMP) vistata dalle autorità fiscali estere ove si attesti appunto la residenza all’estero dell’investitore: la prova richiesta è quindi più pregnante (10). 3. Valutazioni de iure condendo: derivati O.T.C. e plusvalenze su azioni estere detenute in Italia da non residenti Va anzitutto premesso che il legislatore non deve perseguire le astrazioni teoriche della dottrina, e non può quindi per nulla essere vincolato da queste nelle proprie scelte. Dobbiamo però sottolineare che l’applicazione dei principi di cui sopra potrebbe rendere più razionale la tassazione delle fattispecie indicate in epigrafe. Per ciò che concerne i contratti derivati O.T.C. (Over The Counter), cioè i contratti derivati non (10) Si precisa in proposito che alcune rigidità interpretative paiono essere state di recente superate a seguito della risoluzione del 26 luglio 1999, n. 126/E (in “il fisco” n. 39/1999, pag. 12542), ove si afferma che il Mod. 111/IMP (ma l’ampiezza della pronuncia ministeriale fa intendere che tale interpretazione sia estensibile anche al Mod. 116/Imp) utilizzato per i rimborsi di tale imposta, può essere sostituito da una diversa certificazione di residenza all’estero purché vistata dalle autorità fiscali estere. Rendite finanziarie - Tassazione non residenti (11) Sul punto e sui contratti derivati in generale cfr. per tutti l’interessante monografia di Caputo, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, Milano, 1997. Cfr. anche Kolb, Financial derivatives, New York, 1993. Per un approfondimento degli aspetti fiscali internazionali, cfr. Tax aspects of derivative financial instruments, in “Cahiers de droit fiscal international”, 1995. delineato nei suoi tratti essenziali (ché per approfondire ulteriormente occorrerebbero ben altre forze!), ci pare di poter sostenere che la plusvalenza realizzata dal non residente sia da considerarsi anch’essa esclusa da imposta. Ciò per due ordini di argomentazioni: - la tesi contraria della tassazione risulterebbe incomprensibilmente discriminatoria nei confronti delle azioni di società non residenti rispetto a quelle di società residenti. Infatti, in base alla normativa già commentata, sarebbero escluse da tassazione in Italia le plusvalenze realizzate dal soggetto non residente su azioni quotate italiane. Non si comprende quindi come, aggiungendo un ulteriore elemento di estraneità alla fattispecie (plusvalenza su azione quotata di società non residente), si giustifichi la tassazione italiana; - non soccorre infine alla tesi della tassabilità, come già visto ripetutamente nel corso del presente lavoro, la circostanza del deposito dei titoli in Italia. il fisco negoziati su mercati regolamentati, resta ferma la natura di scambi di flussi di danaro tra due parti. Se una di queste è un soggetto non residente, non si comprende in effetti la ratio dell’assoggettamento potenziale ad imposta in Italia dei flussi verso l’estero, laddove tale imponibilità non sussiste nell’ipotesi di contratti derivati negoziati in mercati regolamentati. Può essere compresa l’esigenza di tenere sotto controllo questo fenomeno, che ha raggiunto ormai dimensioni abnormi a livello mondiale (11), ma resta difficile comprendere come in questo senso possa apportare utilità l’imposizione fiscale. L’immaterialità della transazione realizzata tra soggetti residenti e soggetti non residenti, anche se O.T.C, dovrebbe condurre a ritenere la fattispecie alla stregua di un’ipotesi di esclusione dall’imposta per difetto del requisito di territorialità. Similmente dicasi per il secondo dei due casi indicati in epigrafe, cioè la tassazione di plusvalenze su azioni estere quotate detenute in Italia da soggetti non residenti. Nel panorama finanziario italiano tale fattispecie si è di recente posta con insistenza in occasione della offerta pubblica di vendita e del collocamento delle azioni in vari Paesi europei (ivi compresa l’Italia) della società tedesca Deutsche Telekom, conseguente alla privatizzazione della stessa. Sul piano pratico il problema è di scarso momento, in quanto nella maggioranza dei casi sono le Convenzioni internazionali ad escludere da tassazione in Italia le plusvalenze realizzate. La fattispecie, che non pare peraltro essere stata esplicitamente regolamentata da disposizioni interpretative ufficiali, diviene in teoria interessante laddove il soggetto estero sia residente in un Paese non legato all’Italia da Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni, ivi compresi i paradisi fiscali. Ora, in base all’interpretazione di carattere sistematico della materia che ci pare di avere almeno 12/2000 il fisco 3427 Si dovrebbe quindi concludere che le plusvalenze realizzate da soggetti non residenti su azioni quotate di società anch’esse non residenti, ancorché depositate in Italia, restino escluse da tassazione. 4. Conclusioni Con la trattazione che precede, ci pare di poter concludere che in ordine alla tassazione dei redditi di capitale e diversi nei confronti di soggetti non residenti, il legislatore ha già in buona parte creato e, con le modifiche in vista, stia seriamente completando, un assetto legislativo che possa definirsi sistematico. Il difficile inquadramento di certe fattispecie in occasione dell’emanazione dei due primi decreti legislativi emanati in questa complessa materia, il D.Lgs n. 239/1996 e il D.Lgs n. 461/1997, si è in buona parte dissolto con la recente legislazione. Ci pare altresì di avere dimostrato che lo sforzo effettuato non è stato di pura teoria, ma consente di superare alcune difficoltà interpretative, oltre a sistematizzare alcuni aspetti formali (certificazioni), che nella prassi quotidiana sono assai rilevanti nei rapporti con gli investitori stranieri. RFI - 9 3428 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 2 TEMI DI APPROFONDIMENTO Internet Il concetto di stabile organizzazione applicato al commercio on-line La proposta dell’OCSE al Forum on Electronic Commerce (*) di Piergiorgio Valente (**) e Franco Roccatagliata (***) (*) Le opinioni espresse nell’articolo non rappresentano che il punto di vista degli autori e non possono essere in alcun modo attribuite alle istituzioni in cui essi operano. (**) Studio Associato Legale Tributario corrispondente di Ernst & Young International. (***) Esperto di fiscalità presso la Commissione europea. (1) Per un maggiore approfondimento di queste tematiche si veda Valente-Roccatagliata, Internet: aspetti giuridici e fiscali del commercio elettronico, Roma, ETI, 1999. RFI - 10 ne del commercio elettronico (2), come, ad esempio, quello della “neutralità”, rimanevano irrisolti gli aspetti di carattere più operativo. Non era, ad esempio, chiaro se e a quali condizioni un server potesse costituire una stabile organizzazione o, ancora, come dovesse essere classificato il reddito derivante da una transazione di commercio elettronico “diretto” (3). Il rapido diffondersi delle nuove forme di commercio e il numero crescente di soggetti coinvolti hanno reso però ora necessario orientare l’analisi nell’approfondimento di fattispecie concrete, al fine di fornire agli operatori on-line riferimenti chiari sui criteri di tassazione da applicare. il fisco Il lungo processo di approfondimento delle problematiche sollevate dalle nuove tecnologie informatiche nel campo della fiscalità ha registrato, alle soglie del terzo millennio, una significativa evoluzione. Fino ad oggi le organizzazioni internazionali e le Amministrazioni finanziarie coinvolte nello studio delle conseguenze fiscali legate al diffondersi del commercio elettronico avevano indirizzato i loro contributi soprattutto nel sottolineare la difficoltà di applicare i tradizionali principi della fiscalità al commercio on-line e nel definire le linee programmatiche delle nuove politiche di tassazione (1). Così le sempre più numerose imprese che, spinte dalle immense potenzialità del commercio elettronico, aprivano un sito web per svolgere transazioni on-line dovevano fronteggiare, oltre alle problematiche di carattere legale, anche le incertezze derivanti dall’agire in un ambito fiscale ancora non interamente definito. Se, infatti, erano stati chiariti sin dall’inizio alcuni principi base della tassazio- 1. L’OCSE Forum on Electronic Commerce Un contributo significativo in questa direzione è stato fornito dall’OCSE in occasione del Forum on Electronic Commerce tenutosi a Parigi il 12 e 13 ottobre scorso. In questo contesto è stato reso pubblico il documento “The application of the permanent establishment definition in the context of electronic commerce: proposed clarification of the commentary on article 5 of the OCSE Model Tax Convention - draft for (2) Si veda a riguardo il documento dell’OCSE, Electronic commerce: taxation framework conditions, presentato alla conferenza di Ottawa del 7-9 ottobre 1998. (3) In proposito si veda Quaranta Cassano, Internet: criteri di classificazione delle operazioni di commercio elettronico diretto, in “il fisco” n. 39/1999, pag. 12486. Internet - Concetto stabile organizzazione comments” (4) predisposto dal “Working Party No. 1 on Tax Conventions and Related Questions” (5) (W.P. n. 1). In particolare il documento approfondisce le problematiche generate dall’applicazione al commercio elettronico del concetto di stabile organizzazione (6), elemento cardine dei moderni ordinamenti tributari e delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, fornendo alcune possibili soluzioni interpretative. Come chiarito nella parte introduttiva del documento (7), il lavoro, già presentato e discusso al meeting del “Technical Advisory Group on Monitoring the Application of Existing Treaty Norms for the Taxation of Business Profits”, costituisce solo una bozza (8), resa pubblica al fine di sollecitare un’analisi critica delle soluzioni proposte e permettere alle parti interessate di inviare i propri commenti entro il 31 dicembre 1999. Sulla base dei commenti pervenuti il W.P. n. 1 rivedrà il documento per proporlo nella versione definitiva al meeting che si terrà a febbraio del 2000. 12/2000 il fisco 3429 non è analizzata la possibilità di cambiare l’art. 5 del citato Modello (9). Questo approccio, che sembra confermare la posizione assunta in precedenza dal CFA (10), ha anche un indubbio vantaggio di ordine pratico; la scelta di mantenere inalterata l’attuale formulazione dell’art. 5 del Modello OCSE e di intervenire soltanto sul Commentario (11) renderebbe la posizione dell’OCSE di natura interpretativa e, quindi, immediatamente applicabile a tutte le Convenzioni in vigore che riprendono dal Modello OCSE la definizione di stabile organizzazione. Occorre però ricordare che il documento non esprime la posizione definitiva dell’OCSE e non è quindi da escludere che, alla fine, si preferisca intervenire sul testo dell’art. 5 del Modello. Infatti, il Business Profits Technical Advisory Group (12), istituito dal CFA al fine di esaminare “how the current treaty rules for the taxation of business profits apply in the context of electronic commerce and examine proposals for alternative rules”, è attualmente impegnato in uno studio che, integrando il lavoro del W.P. n. 1, dovrà indicare se sarà necessario procedere a una modifica del Modello OCSE (13). 2. La modifica proposta al Commentario OCSE (4) Il documento è disponibile sul sito http://www.OCSE. org/daf/fa/e_com/paris99.htm. (5) Il “Working Party” costituisce un sotto-gruppo dell’OCSE Committee on Fiscal Affairs (CFA) ed è responsabile dell’aggiornamento del Modello OCSE contro le doppie imposizioni. (6) Per un’analisi più approfondita di questo tema si vedano i Documenti OCSE Electronic commerce: the challenges to tax authorities and taxpayers (Turku, 18 novembre 1997) e Electronic commerce: a discussion paper on taxation issues (17 settembre 1998) e Valente-Roccatagliata, Internet: aspetti giuridici e fiscali del commercio elettronico, op. cit. il fisco Una prima considerazione, essenziale per valutare le posizioni assunte nel documento, deve riguardare il contenuto del mandato che il W.P. n. 1 ha ricevuto dal CFA. In particolare il compito era quello di chiarire come l’attuale definizione di stabile organizzazione contenuta nell’art. 5 del Modello OCSE contro le doppie imposizioni possa applicarsi al commercio elettronico, prevedendo eventuali modifiche al Commentario OCSE. Nel documento, quindi, (9) “This draft does not, therefore, address the broader and ultimately more important issue of whether any changes should be made to that definition or whether the permanent establishment concept should be abandoned”. The application of the permanent establishment definition in the context of electronic commerce: proposed clarification of the commentary on article 5 of the OCSE Model Tax Convention - draft for comments. (10) In particolare, nel documento Electronic commerce: Taxation framework conditions è detto: “While the OCSE believes that the principles which underlie the international norms that it has developed in the area of tax treaties and transfer pricing (through the Model Tax Convention and the Transfer Pricing Guidelines) are capable of being applied to electronic commerce, there should be a clarification of how the Model Tax Convention applies with respect to some aspects of electronic commerce.”. (11) Identica posizione è stata assunta dal CFA nel Documento Revision of the commentary on article 12 concerning software payments del 29 settembre 1998. La necessità di chiarire la natura dei pagamenti connessi a transazioni di commercio elettronico ha portato il CFA a proporre una modifica al Commentario, mantenendo inalterata la definizione di royalties contenuta nell’art. 12 del Modello contro le doppie imposizioni. (7) Electronic commerce: application of the existing permanent establishment definition. (12) Il Business Profits è uno dei cinque TAGs istituiti dal CFA nel gennaio 1999 per sviluppare specifiche tematiche tecniche concernenti il commercio elettronico. Gli altri TAGs sono: - Technology TAG; - Professional Data Assessment TAG; - Consumption Tax TAG; - Income Characterisation TAG. (8) Infatti “(t)he draft constitutes the outcome of a first discussion of the issue by the Working Party. While it reflects the majority of the views expressed during that discussion, it should not be considered, in this draft form, to constitute the official views of the OCSE nor of any of the OCSE Member countries”. (13) Qualora dovesse prevalere quest’ultima soluzione, si ritiene che il documento predisposto dal W.P., costituendo un draft for comments, non potrà essere tenuto in considerazione per valutare l’applicazione alle transazioni on-line delle Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni che adottano l’attuale definizione di stabile organizzazione. RFI - 11 3430 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 Oltre a quello derivato dal mandato specifico ricevuto dal CFA, un altro importante limite al campo d’azione del W.P. n. 1 è posto dalla divisione dei lavori nell’ambito dell’OCSE. Il documento, pertanto, non affronta il problema della determinazione di quanta parte del reddito prodotto tramite operazioni di commercio elettronico possa essere imputato alla struttura informatica, qualora questa dovesse essere definita stabile organizzazione. Tale compito è infatti di pertinenza dello Steering Group on Transfer Pricing. paragrafo 10 del Commentario che, in passato, era stato fonte di interpretazioni discordanti. In particolare, nel citato paragrafo del Commentario, l’OCSE ammette la possibilità che si configuri una stabile organizzazione anche quando l’attività d’impresa è svolta avvalendosi essenzialmente di apparecchiature automatiche e l’intervento dell’uomo è limitato all’installazione, funzionamento, controllo e manutenzione delle macchine. Così, macchine da gioco, distributrici o simili costituiscono stabile organizzazione se l’impresa svolge un’attività che va oltre l’avviamento delle macchine, arrivando a curarne in proprio (o per mezzo di un agente dipendente) il funzionamento e la manutenzione. Dal testo letterale del Commentario non si evince chiaramente se la presenza del personale costituisca un elemento essenziale per determinare l’esistenza della stabile organizzazione (14). Il W.P. n. 1 assume, al riguardo, una posizione definitiva affermando che “automated equipment that does not require on-site human intervention for its operation may still constitute a permanent establishment”, rendendo, così, l’interpretazione del concetto di stabile organizzazione fornita dal Commentario più adeguata a disciplinare la nuova realtà determinata dall’evoluzione tecnologica. 3. Rilevanza dell’elemento fisico in un Internet web site RFI - 12 il fisco Le modifiche proposte, che potranno costituire un paragrafo unico dedicato al commercio elettronico o integrare i paragrafi esistenti nel rispetto dell’attuale struttura del Commentario, si fondano sulla distinzione tra l’elemento fisico e quello immateriale. L’Internet web site può essere visto come una combinazione di software e dati elettronici immagazzinati e elaborati da un server. A parere del W.P. n. 1 l’intangibilità dei primi due elementi dovrebbe far escludere che questi, da soli, possano individuare una base fissa d’affari, mentre il server, essendo un elemento fisico, potrebbe costituire una stabile organizzazione qualora si realizzassero le altre condizioni richieste. La posizione assunta dal W.P. n. 1 è sicuramente coerente con il dettato letterale dell’attuale Commentario che identifica una “base d’affari” con la presenza di locali o magazzini o, in certi casi, di macchinari e attrezzi. Occorre però sottolineare come lo stesso Commentario ammette che “a place of business may also exist where no premises are available or required for carrying on the business of the enterprise and it simply has a certain amount of space at its disposal”. Ci si chiede allora se, in un contesto come quello del commercio elettronico, nato dall’applicazione delle più moderne tecnologie, il concetto di “spazio a disposizione” non debba intendersi in modo più ampio e più aderente alla realtà informatica, includendo anche lo spazio di memoria su un computer o la pagina web su un server. La necessità di adeguare il concetto di stabile organizzazione all’evoluzione tecnologica, invece, è stata ampiamente considerata dal gruppo di lavoro del CFA con riferimento alle moderne attrezzature che permettono lo sviluppo di un’attività commerciale senza l’intervento e la presenza dell’uomo. Nel documento proposto è infatti chiaramente detto che non ha alcuna rilevanza la circostanza che l’attrezzatura impiegata per il commercio elettronico non richieda personale in loco per il funzionamento e la manutenzione. In questo modo il W.P. n. 1 fornisce un’indicazione essenziale per fare chiarezza sul contenuto del 4. Lo svogimento dell’attività d’impresa su Internet e la gestione del server Individuato il server come l’elemento materiale che può determinare il configurarsi di una stabile organizzazione, il W.P. n. 1 approfondisce l’analisi interpretativa dell’art. 5 del Modello OCSE contro le doppie imposizioni, distinguendo l’attività di gestione del server che ospita il sito web dall’attività commerciale svolta su Internet. Anche questa distinzione assume una rilevanza fondamentale nell’ambito del commercio elettronico se si considera che spesso il sito web con cui l’impresa opera on-line viene ospitato su un server gestito da un Internet Service Provider (15). (14) Tale assunto sembra smentito dalla Sentenza del 30 ottobre 1996, II R 12/92, emessa dalla Corte federale tedesca, secondo cui un oleodotto olandese che, partendo dall’Olanda, serve alcuni clienti in territorio tedesco, costituisce stabile organizzazione, nonostante la presenza dell’oleodotto sul suolo tedesco non sia accompagnata da personale o comunque da altre determinanti attrezzature della società olandese (stazioni di pompaggio o di monitoraggio, depositi, eccetera). I giudici hanno individuato la presenza di una stabile organizzazione partendo dall’assunto che l’oleodotto in sé è strettamente correlato al business tipico dell’impresa olandese: il trasporto di greggio per conto terzi. (15) Già nel documento Electronic commerce: the challenges to tax authorities and taxpayers (Turku, 18 novembre 1997) l’OCSE aveva sottolineato come “(t)he ownership of the web contents and of the server would also be relevant: for instance, the enterprise could own the web site but lease the server from a ser Internet - Concetto stabile organizzazione vice provider, lease both the web site and server from the service provider or lease the web site and server and share various functions with the service provider”. (16) Non importa, a parere del W.P. n. 1, che la società che svolge l’attività di commercio on-line abbia avuto la possibilità di scegliere il server su cui operare attraverso la propria pagina web; questa scelta non comporta la gestione diretta del server, che rimane pienamente affidata all’ISP. (17) A riguardo, nel documento Electronic commerce: the challenges to tax authorities and taxpayers (Turku, 18 novembre 1997) si legge: “for instance, a server may be located in a building situated in a country where the enterprise has no other presence. Alternatively, it could be located on a portable computer used in different places within that building or moved from city to city by an itinerant employee. Further difficulties would arise where a number of mirror web sites on different servers located in different countries would be used so that a customer could be directed to any site for any function depending on electronic traffic. Another possibility would be to have only one web site which is electronically transferred in total every three months to a new server in a different building, city or country”. il fisco La proposta di modifica al Commentario prevede che la base fissa d’affari si realizzi solo quando l’attività d’impresa è svolta dallo stesso soggetto che ha la piena disponibilità del server (in affitto o in proprietà). Pertanto, mentre il configurarsi di una stabile organizzazione dovrebbe essere possibile per l’impresa che prende in affitto un server e vi colloca un sito web per svolgere un’attività commerciale on-line, questo dovrebbe essere escluso nel caso della società che, avendo collocato il proprio sito sul server gestito da un Internet Service Provider, non ha la piena disponibilità del server (16). Naturalmente occorre sottolineare come, in quest’ultima ipotesi, la società che dispone in un Paese di un server (in proprietà o in affitto) e che ospita i siti web di altre società ha sicuramente in quel Paese una stabile organizzazione, realizzandosi la presenza fissa di un elemento fisico (il server) attraverso il quale viene svolta l’attività d’impresa (la vendita dello spazio disponibile). Come detto, la definizione di stabile organizzazione fornita dall’art. 5 del Modello OCSE prevede che la sede d’affari sia fissa, cioè caratterizzata da un certo grado di permanenza in un determinato luogo. Già in precedenti documenti l’OCSE aveva evidenziato la difficoltà di applicare questo concetto a un elemento come il server che può essere facilmente spostato a bassi costi e senza pregiudicare la sua funzionalità (17). Nella proposta di modifica all’attuale Commentario, il W.P. n. 1 sottolinea come, a riguardo, debba considerarsi non tanto il fatto che il server per sua natura possa essere spostato, quanto la circostanza che esso lo sia effettivamente. Un altro elemento essenziale che deve realizzarsi perché si possa parlare di stabile organizzazione è che attraverso l’Internet web site venga 12/2000 il fisco 3431 svolta in tutto o in parte l’attività d’impresa, e non solo l’attività ausiliaria o preparatoria a questa (18). L’analisi di questo aspetto è complessa, tenuto conto della molteplicità e varietà dei servizi che possono essere offerti sul sito; infatti una pagina web può avere un semplice contenuto pubblicitario, dando informazioni sull’impresa e sui prodotti che questa vende, o può consentire anche l’ordinazione e il pagamento, come può, in alcuni casi, fornire il prodotto (o il servizio) richiesto. Inoltre, la stessa novità di alcuni servizi offerti su Internet rende difficile la loro classificazione; è, per esempio, il caso delle banche dati messe a disposizione dei visitatori di un sito. Già nel Documento “Electronic commerce: the challenges to tax authorities and taxpayers” l’OCSE sollevava il dubbio che un archivio informatico potesse essere assimilato a un magazzino di beni fisici che, se usato esclusivamente per lo stoccaggio e la spedizione, non costituisce stabile organizzazione. Naturalmente occorrerebbe in questo caso definire quando la banca dati possa considerarsi ancora un semplice magazzino e quando invece la sua consultazione, unita ad altri servizi accessori, quali, ad esempio, l’utilizzo di motori di ricerca, diventi una prestazione di servizio rientrante nell’attività d’impresa. In proposito il documento del W.P. n. 1 non fornisce maggiori approfondimenti, limitandosi a riconoscere la necessità di esaminare caso per caso, avendo riguardo alle varie attività svolte dall’impresa attraverso gli strumenti informatici. 5. Applicabilità dell’agent clause In diversi lavori dedicati all’approfondimento delle problematiche fiscali del commercio elettronico è spesso ipotizzata l’applicazione del paragrafo 5 dell’art. 5 del Modello OCSE, che tratta dell’ipotesi di stabile organizzazione da agente dipendente. Anche questo aspetto è affrontato nel documento proposto dal gruppo di lavoro del CFA, con riferimento a due distinte fattispecie. Innanzitutto viene analizzata la possibilità di inquadrare il rapporto che intercorre tra l’Internet Service Provider e l’impresa in un rapporto di “agente dipendente”. Conformemente a quanto detto dal Dipartimento del Tesoro americano nel documento “Implicazioni di politica fiscale relati- (18) Nel documento Electronic commerce: a discussion paper on taxation issues si evidenzia come una stabile organizzazione possa configurarsi anche quando l’impresa, pur non usando la pagina web per svolgere la propria attività, affitta ad altre imprese lo spazio residuo sul proprio server. RFI - 13 3432 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 (19) “Presumibilmente la relazione dell’imprenditore estero con un provider locale di servizi di telecomunicazione è tale che quest’ultimo non dovrebbe essere considerato un suo agente. Anche nell’eventualità di una relazione di rappresentanza è molto probabile che il provider sia considerato un agente indipendente. In tal modo non si pone la questione dell’attività d’impresa o della stabile organizzazione statunitense”. Dipartimento del Tesoro americano, Implicazioni di politica fiscale relative al commercio telematico, disponibile sul sito: http://www.finanze.it/bit_tax.htm. RFI - 14 il fisco ve al commercio telematico” (19), l’organismo dell’OCSE afferma che, pur potendosi verificare situazioni particolari, in generale il paragrafo 5 dell’art. 5 non si rende applicabile in quanto la società provider non ha normalmente la facoltà di concludere affari in nome dell’impresa ospitata sul proprio server e, qualora l’avesse, agirebbe comunque in qualità di agente indipendente nell’esercizio della propria attività d’impresa, come è dimostrato dal fatto che ospita i siti web di numerose imprese. Viene, inoltre, analizzata la possibilità di identificare il sito web come agente; l’ipotesi era stata avanzata in considerazione del fatto che i più evoluti programmi informatici permettono ad un computer di svolgere in modo autonomo una serie di attività che includono anche funzioni che potremmo definire “discrezionali”. Anche se nei limiti e nel rigido rispetto delle condizioni imposte dal programma, un computer può “dialogare” con il visitatore della pagina web fino a concludere un contratto che vincola la società padrona del sito. Anche questa ipotesi è esclusa dal documento proposto dal W.P. n. 1 in considerazione del fatto che l’art. 5 del Modello OCSE prevede che agente dipendente sia una “persona” e la definizione di “persona” fornita dall’art. 3 dello stesso Modello non contiene alcun riferimento che possa includere un sito web. Basandosi su una interpretazione aderente al contenuto letterale del Modello OCSE, il documento rifiuta quindi una ipotesi che, anche se suggestiva, nasceva da un errore concettuale basato sulla confusione della basic clause, che privilegia l’aspetto oggettivo della sede di affari, con l’agent clause, imperniata invece sull’aspetto soggettivo (20). Il documento presentato dall’OCSE, pur essendo una proposta finalizzata a stimolare la riflessione dei soggetti coinvolti, contiene un’approfondita analisi dell’attuale definizione di stabile organizzazione e importanti spunti interpretativi. Non è però detto che siano questi gli indirizzi che alla fine prevarranno. Se le soluzioni proposte nel documento aderiscono al dettato letterale dell’art. 5 del Modello è perché questo era il limite del mandato conferito al gruppo di lavoro; in alcuni punti del documento tale limitazione è evidente. Come chiarito nella prima parte del documento, e come evidenziato in altri documenti precedenti, l’OCSE è consapevole che l’evoluzione delle tecnologie di comunicazione permetterà in breve tempo agli operatori economici di sviluppare il commercio elettronico in qualsiasi parte del mondo, indipendentemente dal luogo dove è collocato il server; per questo l’OCSE stessa non esclude che la definizione (o il concetto stesso) di stabile organizzazione potrà in futuro essere sostituita per delineare un sistema impositivo più aderente alla nuova realtà economica. (20) Per un maggiore approfondimento si veda Valente-Roccatagliata, Internet: aspetti giuridici e fiscali del commercio elettronico, op. cit.. Il mutamento di residenza 12/2000 il fisco 3433 3 TEMI DI APPROFONDIMENTO Il mutamento di residenza quale tipica forma di tax planning delle persone fisiche Disamina degli strumenti normativi interni di reazione al fenomeno (con accenni di diritto comparato) di Sergio La Rocca (1) Tra le molteplici pratiche elusive (esempio: Transfer price, utilizzazione fiscale delle holdings, trusts, bandiere di convenienza, eccetera) quella del ricorso ad un paradiso fiscale (tax haven, secondo la nota denominazione anglosassone) è certamente la più proficua, anche perché il paradiso fiscale consente di combinare tra loro mezzi elusivi, facendo conseguire al “viaggiatore fiscale” risultati talora insperati. il fisco Il crescente fenomeno della internazionalizzazione dei movimenti di capitali e la differenziazione del trattamento fiscale dei medesimi capitali tra le diverse realtà nazionali ha contribuito al diffondersi del fenomeno relativo alla utilizzazione dei cosiddetti paradisi fiscali che, da molto tempo, rappresenta prerogativa tipica delle “imprese multinazionali”. Dette imprese, infatti, collocando la propria sede in tali realtà, beneficiano della fiscalità agevolata lì presente, con la quasi certezza di una impunità fiscale, e ciò in quanto è possibile “approfittare” delle lacune esistenti nell’ambito della normativa internazionale e delle disparità tra le disposizioni tributarie dei singoli Paesi, e così “piazzare” i propri capitali in modo da raggiungere un risparmio di imposta di dubbia legittimità (1). Proprio per fronteggiare tali meccanismi elusivi, i legislatori delle nazioni interessate a contrastare il fenomeno hanno da tempo introdotto disposizioni peculiari (si segnalano, ad esempio, l’art. 46 del Code B des Impôts sur le Revenu belga, l’art. 238A del Code Général des Impôts francese, nonché i commi 7-bis e 7-ter dell’art. 76 del D.P.R. n. 917/1986, testo unico delle imposte sui redditi, italiano) (2). Tuttavia, accanto a tale forma di elusione fiscale internazionale, posta in essere da società, ne esiste un’altra, anch’essa molto particolare: si tratta del fenomeno conosciuto come “mutamento di residenza”. Tale fenomeno è attuato esclusivamente dalle persone fisiche che, in modo fittizio, trasferiscono la residenza dal proprio Paese di origine (a fiscalità elevata) in un altro Stato (a fiscalità agevolata o addirittura nulla), anche (od esclusivamente) con lo scopo di acquisire un indebito beneficio, consistente nel più favorevole regime impositivo dello Stato estero e nel sottrarre all’imposizione (2) La normativa italiana, prendendo lo spunto da quella francese, prevede la indeducibilità delle spese e componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e società collocate nei paradisi fiscali, a meno che le imprese residenti in Italia non forniscano la prova che le operazioni effettuate all’estero hanno natura commerciale o che le operazioni svolte abbiano avuto concreta esecuzione, e corrispondono ad un effettivo interesse economico. Il legislatore italiano, inoltre, ha pure previsto una lista ad hoc (cosiddetta black list) con il D.M. 24 aprile 1992, con la quale vengono individuati gli Stati e territori (posti al di fuori dell’Unione europea) con regime fiscale agevolato, nei confronti dei quali è applicabile la normativa anti paradisi fiscali su richiamata. RFI - 15 3434 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 - sulle peculiari e recentissime novità introdotte in sede normativa per contrastare la diffusione di tale strumento [comma 2-bis dell’art. 2 del (3) Quello del trasferimento della residenza anagrafica all’estero da parte di cittadini italiani che svolgono attività artistica, sportiva, professionale o imprenditoriale si è rivelato un fenomeno in crescente aumento, che ha anche avuto rilevanti echi sulla stampa e sui mass media. Anche il Ministero delle finanze ha provveduto ad “attaccare” le residenze di comodo, avviando indagini su circa 300 vip che hanno scelto di trasferire la propria residenza all’estero. Eclatante è stato, poi, il caso conseguente alla decisione della Commissione tributaria di Modena che ha respinto il ricorso di un famoso tenore, ritenendo che la sua residenza monegasca fosse fittizia. RFI - 16 Tuir (4) e comma 2 dell’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973 (5)]; - sulla black list contenente l’indicazione dei Paesi, considerati paradisi fiscali per le persone fisiche dalla normativa italiana (attuata con il D.M. 4 maggio 1999, pubblicato nella G.U. n. 107 del 10 maggio 1999); - nonché sulle conseguenti circolari emanate dal Ministero delle finanze per la disamina del problema “mutamento di residenza” [operata con la circolare del Ministero delle finanze n. 304/E del 2 dicembre 1997 (in “il fisco” n. 46/1997, pag. 13664)] e per la disamina della disciplina de qua [attuata con la ulteriore circolare del Ministero delle finanze n. 140/E, del 24 giugno 1999 (in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9055)]. il fisco progressiva del Paese di origine i redditi complessivi, ovunque prodotti. Per quanto, più propriamente, attiene all’ordinamento nazionale italiano, la diffusione del fenomeno relativo al mutamento di residenza ha assunto negli ultimi tempi una portata nient’affatto secondaria (3), tanto che lo stesso si è imposto, di recente, all’attenzione pure del nostro legislatore. In linea generale, va premesso che il nostro ordinamento giuridico - analogamente alla quasi totalità delle altre legislazioni fiscali più evolute - ricollega al possesso della residenza fiscale la tassazione globale e progressiva dei redditi ovunque prodotti (sulla base del cosiddetto worldwide principle), mentre stabilisce che i non residenti siano tassati su base territoriale, cioè limitatamente ai redditi prodotti nel territorio dello Stato. A tale riguardo - come si vedrà meglio infra l’art. 2 del Tuir fissa una pluralità di possibili relazioni (cosiddetti “criteri di collegamento”), sia personali che reali, con il Paese combinando, in modo alternativo, elementi meramente formali (iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente) con presupposti di natura sostanziale (residenza o domicilio nel territorio dello Stato), tutti accomunati dalla sussistenza del solo requisito temporale (“per la maggior parte del periodo d’imposta”). Il diverso livello di tassazione tra i vari Stati, a parità di reddito complessivo, ha tuttavia indotto un non trascurabile numero di cittadini italiani - più di frequente tra coloro che svolgono attività lavorativa in ambito internazionale ad emigrare fittiziamente - soltanto, cioè, sul piano delle risultanze anagrafiche - in Paesi caratterizzati da un regime fiscale particolarmente favorevole: con ciò ponendo in essere quello che si è già definito come “mutamento di residenza”. Scopo del presente lavoro è, quindi, quello di soffermarsi: Prima di procedere in tale analisi sembra opportuno, però, accennare al concetto di tax planning, con particolare riferimento alla utilizzazione di tale strumento da parte delle persone fisiche nei paradisi fiscali (esaminandone anche alcuni di essi) e, poi, procedere ad una breve disamina della normativa generale in vigore nell’ordinamento italiano in tema di soggetti passivi all’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef), dettata dal menzionato art. 2 del D.P.R. n. 917/1986, anche alla luce dei chiarimenti resi dal Ministero delle finanze, con la circolare n. 304/E del 2 dicembre 1997 (accennando, invero brevemente, ad alcune analoghe disposizioni emanate da altri Stati europei). 1. Il tax planning delle persone fisiche Il tax planning rappresenta l’attività (aziendale e/o di consulenza) mirata a programmare i fatti imponibili di una persona fisica o giuridica e, quin- (4) Il comma 2-bis è stato inserito dall’art. 10, comma 1, della L. 23 dicembre 1998, n. 448 (pubblicata nel supplemento ordinario n. 210/L alla G.U. n. 302 del 29 dicembre 1998). Detto comma così recita: “Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”. Il decreto di cui la norma fa menzione è il citato D.M. 4 maggio 1999, contenente la black list dei Paesi fiscalmente privilegiati per le persone fisiche. (5) Il comma 2, ultimo periodo, dell’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973 è stato integrato dal comma 2 dell’art. 10 della citata L. n. 448/1998. Alla luce di tale integrazione, l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 58 del decreto del Presidente della Repubblica citato, attualmente in vigore, così recita: “I cittadini italiani, che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato”. Il mutamento di residenza (6) In senso analogo, si veda Vecchio, Il tax planning internazionale, in “Commercio Internazionale”, n. 6, 1990, pagg. 379 e seguenti. (7) L’esempio classico in questo caso è il Principato di Monaco, che rappresenta un vero paradiso fiscale per le persone fisiche, poiché non vi esiste nessuna significativa imposta sul reddito. (8) Da tale situazione, periodicamente conseguono controversie insorte fra l’artista (o lo sportivo) e l’Amministrazione finanziaria, incentrate prevalentemente sulla presunzione fiscale che il contribuente fosse di fatto residente in Italia. In questo caso le conseguenze sono assai rilevanti, in quanto i residenti devono scontare l’Irpef del nostro Paese sui redditi ovunque prodotti (anche all’estero) assoggettando gli stessi ad aliquota progressiva. terio per la tassazione preso a base del sistema impositivo. Infatti, è ovvio come ad un soggetto che consegua redditi in più di uno Stato probabilmente convenga spostare la sua residenza in un Paese il cui sistema di tassazione sia improntato al carattere della territorialità: in tal modo verranno assoggettati a tassazione in quello Stato i soli redditi che siano stati prodotti nello stesso territorio; mentre i redditi realizzati all’estero, essendo imputabili ad un non residente, saranno tassabili solo nella misura in cui quel determinato Stato prevede la tassazione del reddito prodotto nel territorio medesimo. È evidente come usufruendo di tali possibilità si realizzi quel risparmio d’imposta desiderato: ma ciò, non sottraendo materia imponibile all’Amministrazione finanziaria di nessuno dei due Stati interessati, quanto piuttosto “eludendo” il principio di progressività dell’imposizione, ritenuto ormai uno dei cardini fondamentali della tassazione di quasi tutti gli Stati (9). 2. Esempi di utilizzazione dei paradisi fiscali delle persone fisiche il fisco di, in generale la sua attività economica, in modo da subire il minor prelievo fiscale possibile (6). La pianificazione fiscale, dunque, rappresenta un processo attento ed elaborato che parte con l’esame di ognuno dei fattori rilevanti al raggiungimento dello scopo ultimo: il risparmio delle imposte. Una delle principali tecniche elusive di tax planning internazionale attiene alla ricerca della più opportuna “collocazione” territoriale del soggetto, attuata attraverso il trasferimento della residenza dell’operatore economico tenuto conto del principio di territorialità accolto nei vari Paesi. Si realizza, così, una forma di elusione internazionale attuata con il trasferimento del contribuente: un contribuente, infatti, può giudicare interessante stabilire il proprio domicilio in un Paese straniero in cui la pressione fiscale risulti più leggera, per le sue attività rispetto a quella del proprio Paese d’origine. Questa forma di pianificazione fiscale “della persona”, rappresenta un sistema messo in pratica anche da diversi nomi celebri, soprattutto nel mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura per attenuare la propria pressione fiscale sulle imposte sui redditi (7). La residenza all’estero è, infatti, una scelta spesso fatta dagli artisti che nell’arco dell’anno si esibiscono in parecchi Stati, tanto da rendere difficile l’individuazione del luogo in cui abbiano stabilito la propria dimora abituale. Di norma, lo Stato in cui viene svolta l’attività artistica applica sul compenso una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Se l’artista, poi, stabilisce la propria residenza in uno Stato che non tassa o tassa in misura ridottissima i redditi delle persone fisiche, riesce così, di fatto, ad appiattire la propria tassazione sul livello delle ritenute d’imposta subite nei vari Stati in cui ha svolto l’attività (8). Nel mutamento di residenza, inoltre, grossa importanza riveste, oltre che l’aliquota o la somma di aliquote applicabili al particolare reddito, il cri- 12/2000 il fisco 3435 Per meglio comprendere il funzionamento dei meccanismi attraverso i quali si realizza l’elusione fiscale internazionale delle persone fisiche è necessario brevemente accennare a quelle giurisdizioni fiscali nelle quali i redditi e la ricchezza dichiarati dalle persone fisiche al loro interno sono esonerati da parte o da tutte le forme di imposta. Tra queste giurisdizioni, che costitituiscono i paradisi fiscali per le persone fisiche, si possono menzionare, Andorra, Monaco, le Bahamas (10), le Bermuda (11), le Isole Cayman (12), la Polinesia francese (13), San Bartolomeo (14). (9) Questo tipo di elusione, può dunque considerarsi sostanzialmente legale, risultando conforme al diritto degli uomini di stabilirsi ove preferiscono. (10) Le Bahamas non presentano più l’imposta sui redditi e sulle successioni. (11) Esistono nelle Bermuda forme minime di imposizione personale: l’aliquota massima dell’imposta di successsione è, ad esempio del 5 per cento, ma l’imposizione è limitata all’asse ereditario esistente nelle Bermuda. (12) Non è possibile ritrovare in tali isole alcune delle classiche forme di imposizione delle persone fisiche. (13) La Polinesia francese non prevede più alcuna tassazione sui redditi, né sulle plusvalenze, né alcuna forma di imposizione sulle successioni e sulle donazioni. (14) San Bartolomeo non presenta alcuna forma di imposizione sui redditi. RFI - 17 3436 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 La determinazione delle regole sulla residenza fiscale, combinate con varie situazioni operanti Stato per Stato, permettono, dunque, alle persone fisiche di sfuggire alle imposte. Per quanto attiene più specificamente ai primi due paradisi fiscali sopra menzionati si può dire che essi sono tra i piu importanti ed essendo anche menzionati nella black list italiana dei paradisi fiscali delle persone fisiche (di cui al D.M. 4 maggio 1999) procederemo ad una loro breve disamina. necessario il possesso di un immobile nel Principato (cosa che stante il costo dei medesimi è certamente riservata ad una vera e propria élite). Le società, invece, scontano un’imposta sugli utili del 35 per cento: detta imposta è di tipo territoriale e, di conseguenza, si applica comunque solamente ai redditi realizzati a Monaco. 3. Qualificazione dei soggetti residenti ai fini delle imposte sui redditi Passando, ora, all’esame della normativa italiana vigente è noto che l’art. 2, comma 2, del Tuir stabilisce che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”. Pertanto, alla luce di tale disposizione, gli elementi che determinano la “residenza fiscale” in Italia sono: 2.1. Andorra (15) Andorra rappresenta un paradiso fiscale soltanto per le persone fisiche per le quali non esistono imposte di alcun tipo che colpiscano i redditi od il patrimonio. Tale Paese, inoltre, funziona come una specie di “porto franco” che abbraccia il coprincipato in tutto il suo insieme. Andorra, inoltre, non ha stipulato alcun trattato sulla doppia imposizione, né alcuna Convenzione in materia fiscale, pertanto non fa parte di alcun sistema amministrativo di assistenza in materia fiscale (16). 2.2. Principato di Monaco (17) (15) Il coprincipato di Andorra è situato nei Pirenei, tra la Francia e la Spagna, ed è circondato da montagne che arrivano a 2.800 m., con una popolazione di circa 30.000 abitanti. La principale fonte di ricchezza è l’afflusso dei turisti che vengono a fare i loro acquisti “esentasse” di alcolici e di sigarette. (16) Per ottenere la residenza ad Andorra è necessario realizzare negozi a titolo oneroso - quali, ad esempio, acquisto di una proprietà - in modo, così, da ottenere un permesso, prima provvisorio e poi definitivo, di residenza. (17) Monaco è situata sulla Costa Azzurra, a sud della Francia, tra Nizza e S. Remo, ha una superficie di 1,5 Km quadrati, per una popolazione di circa 25.000 abitanti. Non esiste agricoltura a causa della piccola estensione del Principato che comporta anche un prezzo talora assurdo del terreno al metro quadrato; la principale risorsa economica è il turismo, ed il costo della vita è certamente tra i più elevati oggi esistenti al mondo. (18) Per quanto attiene all’imposta sulle donazioni o successioni ricordiamo che in linea diretta (tra marito e moglie o tra padre e figlio) non è prevista alcuna imposizione, mentre l’imposta è pari: all’8 per cento del valore dell’asse ereditario tra fratelli e sorelle; al 10 per cento tra zio e nipote; al 13 per cento tra gli altri collaterali; al 16 per cento per tutte le altre ipotesi. Vale ricordare che tali imposte sono riscosse solo sulle attività esistenti nel Principato. RFI - 18 il fisco II Principato di Monaco è un paradiso fiscale delle persone fisiche dato che non esiste alcuna imposta per i residenti sui redditi da lavoro, sugli interessi e i dividendi, sulle plusvalenze e sul patrimonio (18). La struttura giuridica di ricevimento è basata sulla residenza per ottenere la quale è, comunque, a) l’iscrizione nelle anagrafi comunali della popolazione residente; b) la residenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del codice civile; c) il domicilio nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 43, comma 1, del codice civile; d) il requisito temporale. Dal tenore letterale della norma emerge chiaramente che i requisiti sub a), b) e c) sono tra loro alternativi e non concorrenti; è, pertanto, sufficiente il combinarsi di uno solo di essi con il requisito temporale, affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia (19). 3.1. Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente (cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente ed iscrizione all’A.I.R.E.) L’iscrizione nelle anagrafi comunali della popolazione residente è disciplinata dalla L. 24 dicembre 1954, n. 1228 e dal relativo regolamento di attuazione, il D.P.R. n. 223 del 30 maggio 1989. Presupposto per l’iscrizione all’anagrafe è quello di avere nel comune la propria dimora abituale ovvero l’avere stabilito nel comune il proprio domicilio. Si ricorda, infine che non cessano di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti all’estero per l’esercizio di occupazioni stagionali o per cause di durata limitata. Nelle ipotesi che qui ci interessano - trasferimento della residenza anagrafica all’estero da parte di cittadini italiani - va evidenziato che lo stesso (19) In tal senso, oltre l’unanime dottrina, anche il Ministero delle finanze, circolare n. 304/E del 1997 citata. Il mutamento di residenza (20) All’A.I.R.E. (Anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero) - istituita e disciplinata a norma della L. 27 ottobre 1988, n. 470 e del relativo regolamento di attuazione, introdotto con D.P.R. n. 323 del 6 settembre 1989 - devono iscriversi i cittadini italiani che abbiano stabilito la propria dimora abituale all’estero. Tuttavia si segnala che non devono iscriversi all’A.I.R.E.: - i cittadini che si recano all’estero per cause di durata limitata, non superiore ai dodici mesi; - i cittadini che si recano all’estero per l’esercizio di attività stagionali; - i dipendenti di ruolo dello Stato in servizio all’estero e le persone con esse conviventi, i quali siano stati notificati alle autorità locali, ai sensi delle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e sulle relazioni consolari (rispettivamente del 1961 e del 1963) ratificate in Italia con la L. n. 804 del 9 agosto 1967. all’interpretazione che di esse ha fornito la Suprema Corte di Cassazione (21) Appare a questo punto utile una breve disamina dei concetti di “residenza” e “domicilio”, in quanto attraverso la dimostrazione dell’esistenza di uno dei due citati requisiti, l’Amministrazione finanziaria potrà presumere sussistere, in capo ad un soggetto trasferito all’estero, la residenza fiscale. 3.2. Residenza il fisco avviene mediante la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e, di norma, dalla conseguente iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (A.I.R.E.) (20). Pertanto, essendo venuto meno il requisito dell’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente - ma, ovviamente, non quello di cittadino italiano nel qual caso, altrimenti, la normativa in esame non potrebbe essere applicata, dovendosi considerare quel soggetto alla stregua di qualunque straniero - assume fondamentale importanza - al fine della eventuale qualificazione fiscale del soggetto trasferitosi all’estero, come residente in Italia - la verifica della sussistenza di almeno uno dei restanti requisiti (domicilio/residenza) che la norma fiscale pone per determinare l’esistenza della “residenza fiscale” in Italia (con tutti gli obblighi che da tale determinazione conseguirebbero). Al riguardo, infatti, va evidenziato - come pure affermato dalla citata circolare n. 304/E del 1997, del Ministero delle finanze - che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e la conseguente iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (A.I.R.E.) non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato italiano, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici (così, ex plurimis, Cass. 17 luglio 1967, n. 1812; 20 settembre 1971, n. 4829; 24 marzo 1983, n. 2970; 5 febbraio 1985, n. 791). Da ciò discende che l’avere stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l’avere fissato la propria residenza sempre nel territorio dello Stato italiano rappresentano condizioni sufficienti per integrare la fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente. In tal caso, pertanto, al fine di continuare a considerare come residente fiscale in Italia il soggetto trasferito all’estero, occorrere rifarsi alle nozioni civilistiche di residenza e di domicilio - per effetto dell’espresso richiamo operato a tali istituti dal citato art. 2, comma 2, del Tuir - nonché 12/2000 il fisco 3437 Come è noto, la residenza è definita dal codice civile (art. 43, comma 2) come il “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Pertanto, è possibile affermare che essa è determinata dall’abituale, volontaria dimora di una persona in un dato luogo, per cui concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento (così, Cass. 5 febbraio 1985, n. 791). Dottrina e giurisprudenza sono, quindi, concordi nell’affermare che affinché sussista il requisito dell’abitualità della dimora non è necessaria la continuità o la definitività (Cass. 29 aprile 1975, n. 2561; Cass., SS.UU., 28 ottobre 1985, n. 5292) (22). 3.3. Domicilio Secondo quanto previsto dall’art. 43, comma 1, del codice civile, “Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”. Alla luce di tale disposto, la giurisprudenza prevalente sostiene che il domicilio costituisce un rapporto giuridico col centro dei propri affari e prescinde dalla presenza effettiva in un luogo (Cass. 29 dicembre 1960, n. 3322). Esso consiste principalmente in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi (Cass. 21 marzo 1968, n. 884). La locuzione “affari ed interessi” - di cui al citato art. 43, comma 1, del codice civile - deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica, ma anche morali, sociali e familiari (Cass. 26 ottobre 1968, n. 3586, 12 febbraio 1973, n. 435), di guisa che la determinazione del domicilio va desunta alla stre- (21) In tal senso, cfr. circolare n. 304/E del 1997, più volte citata. (22) Pertanto, l’abitualità della dimora permane anche qualora il soggetto lavori o svolga altre attività. RFI - 19 3438 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 gua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti ed il carattere principale che esso ha nella vita della persona (Cass. 5 maggio 1980, n. 2936). Vale evidenziare che tale interpretazione giurisprudenziale è stata concretamente già seguita dall’Amministrazione finanziaria nel caso di un soggetto iscritto all’A.I.R.E. ed esercente attività di lavoro autonomo all’estero. Per tale caso con risoluzione 14 ottobre 1988, n. 8/1329 (in “il fisco” n. 47/1988, pag. 7477), richiamata nella circolare n. 304/E del 1997 - si è affermato che la residenza fiscale in Italia si concretizza qualora “la famiglia dell’interessato abbia mantenuto la dimora in Italia durante l’attività lavorativa all’estero o, comunque, nel caso in cui emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato ha quivi mantenuto il centro dei suoi affari ed interessi”. Per cui, da ciò discende che, per l’Amministrazione finanziaria, deve considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività lavorativa fuori dal territorio nazionale, mantenga il “centro” dei propri interessi familiari e sociali in Italia (23). Altro requisito richiesto dal citato art. 2 del Tuir - al fine della determinazione della residenza fiscale in Italia - è costituito dal requisito temporale (“per la maggior parte del periodo d’imposta”) che opera sia nel caso dell’iscrizione anagrafica che nelle ipotesi di domicilio o di residenza, ai sensi del codice civile. In sostanza, con tale requisito, il legislatore ha inteso richiedere la sussistenza di un legame effettivo e non meramente provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato, tale da legittimare la sussistenza degli obblighi tributari in capo a tale soggetto. Più in particolare, tale requisito temporale - che, come detto, accomuna le tre fattispecie necessarie alla individuazione della “residenza fiscale” (iscrizione anagrafi popolazione residente, domicilio, residenza) previste dall’art. 2 del Tuir in esame viene comunemente interpretato come permanen- (23) Al riguardo, va evidenziato che la rilevanza assunta dall’elemento soggettivo e soprattutto l’estensione dell’inciso “affari ed interessi” ai rapporti di natura non patrimoniale, fa sì che la nozione di domicilio sfugga a criteri di carattere qualitativo. Pertanto, la circostanza che il soggetto abbia mantenuto in Italia i propri legami familiari od il “centro” dei propri interessi patrimoniali e sociali deve ritenersi sufficiente a dimostrare un collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano tale da far ritenere soddisfatto il requisito temporale previsto dalla norma (in tal senso circolare n. 304/E del 1997, citata) RFI - 20 4. Reazione al fenomeno del “mutamento di residenza” - Cenni di diritto comparato Prima di procedere all’esame della normativa italiana, recentemente introdotta per “combattere” il fenomeno in esame, pare opportuno considerare alcune disposizioni normative interne, introdotte all’uopo dalle legislazioni di Paesi comunitari, al fine di potere anche comparare le stesse con le disposizioni italiane. Nella legislazione dei vari Stati non mancano, infatti, disposizioni volte a limitare, quanto meno ai fini fiscali, siffatti trasferimenti (o meglio, abbandono di residenza), posto che ad essi corrisponde in genere una perdita di gettito fiscale. il fisco 3.4. Requisito temporale za, in una delle tre ipotesi su menzionate, per almeno 183 giorni all’anno (184, per gli anni bisestili). Ovviamente, il periodo de quo può anche non essere continuativo: infatti, il Ministero delle finanze ha avuto modo di precisare (24) che il computo dei giorni al fine della verifica della permanenza in Italia - e quindi, per l’assoggettamento ai redditi quivi percepiti - deve essere effettuato tenendo presente il numero complessivo dei giorni di presenza fisica (25). 4.1. Germania In Germania, per esempio, il trasferimento della residenza all’estero da parte di soggetti ivi residenti per 5 anni nel corso degli ultimi 10, i quali conservano interessi economici nel Paese, non esclude la illimitata assoggettabilità ad imposta (per i successivi 10 anni) su tutti i redditi posseduti, che non siano considerati di fonte estera, ai fini dell’appli- (24) Trattasi della circolare 17 agosto 1996, n. 201/E (in “il fisco” n. 32/1996, pag. 7795), emanata in tema di individuazione del regime fiscale applicabile ai redditi di lavoro dipendente percepiti in Italia da soggetti residenti in Paesi con i quali sono in vigore le Convenzioni contro le doppie imposizioni. (25) In particolare devono essere computati non soltanto il periodo di effettivo svolgimento dell’attività in Italia, ma anche le frazioni di giorno, il giorno di arrivo e di partenza, i sabati e le domeniche, i giorni di ferie goduti nel territorio dello Stato prima, durante e dopo l’esercizio dell’attività, nonché le brevi interruzioni dell’attività lavorativa trascorse nel territorio dello Stato. Sono invece esclusi dal computo soltanto la durata - inferiore a 24 ore - del tempo trascorso in Italia in transito tra due località poste al di fuori del territorio dello Stato, nonché i giorni di ferie e le brevi interruzioni delle attività trascorse all’estero. Anche se tale precisazione è stata resa con riferimento a redditi di lavoro dipendente, si deve ritenere che tali criteri di computo abbiano carattere generale e, quindi, possano essere utilizzati per individuare la residenza fiscale in Italia. (In senso conforme, si veda Leo-Monacchi-Schiavo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Giuffrè ed., 1999, pag. 12). Il mutamento di residenza cazione delle disposizioni del Foreign Tax Credit delle persone fisiche. 12/2000 il fisco 3439 ria italiana ha posto già la sua attenzione al fenomeno che qui ci interessa con la citata circolare n. 304/E del 2 dicembre l997. 4.2. Danimarca 5.1. Circolare del Ministero delle finanze n. 304/E del 1997 In Danimarca, il trasferimento di residenza non esclude l’assoggettabilità della persona fisica ad imposta, fino a che la stessa dispone nello Stato di una abitazione ed anche per i quattro anni successivi all’abbandono dell’alloggio. Tale disposizione, peraltro, si applica solamente nell’ipotesi in cui il contribuente non sia in grado di dimostrare di essere assoggettato ad imposizione sul reddito complessivo prodotto in un altro Paese (26). 4.3. Finlandia In Finlandia l’art. 9 dell’Income Tax Act, prevede che i cittadini finlandesi siano considerati fiscalmente residenti nel Paese anche per i tre anni successivi a quello di trasferimento della residenza all’estero. 4.4. Gran Bretagna 5. La normativa italiana anti-paradisi fiscali delle persone fisiche Di recente si è assistito, da parte del legislatore italiano, al tentativo di porre un freno al fenomeno in analisi, stante anche la sua sostanziale estensione a diverse categorie di persone fisiche che, per sfuggire alla elevata imposizione italiana decidono di “tagliare” il collegamento con la nostra legislazione fiscale, trasferendo la propria residenza in Paesi a fiscalità agevolata. Prima però di passare all’esame della nuova normativa (art. 2, comma 2-bis, del Tuir) pare opportuno evidenziare che l’Amministrazione finanzia- il fisco La prima disposizione di legge tesa a limitare l’elusione fiscale internazionale delle persone fisiche è contenuta nella legge delle finanze del 1936, poi divenuta l’art. 478 dell’I.C.T.A.. Tale norma, intitolata “Trasferimento di attività all’estero”, contiene delle disposizioni tese ad evitare che, attraverso il trasferimento dei redditi all’estero, il contribuente sfugga all’imposta sul reddito in Inghilterra. La prima iniziativa intrapresa in tal senso è stata attuata appunto con la più volte menzionata circolare n. 304/E del 1997, con la quale il Ministero delle finanze, partendo dall’esame della situazione normativa esistente (prima ancora, cioè, dell’entrata in vigore del comma 2-bis dell’art. 2 del Tuir) ha cercato di tracciare le guidelines per affrontare la lotta avverso il mutamento di residenza, e, in particolare, per l’accertamento della effettiva residenza fiscale, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche (27). Con la suddetta circolare - al fine di monitorare i fenomeni su esposti di elusione e di porre in essere ogni azione utile per controllarli e contrastarli il Ministero delle finanze ha ritenuto necessario “dare impulso ad attività di tipo investigativo e di intelligence tali da consentire l’individuazione dei casi in cui il trasferimento della residenza anagrafica rappresenta un facile espediente posto in essere da cittadini italiani che di fatto hanno mantenuto la residenza o il domicilio in Italia” ed ha, con ciò fornito “gli strumenti da tenere in considerazione al fine di verificare la sussistenza di elementi certi e concreti ai fini dell’accertamento dell’effettiva residenza fiscale in Italia, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche” (28). In particolare, tra le azioni necessarie da intraprendere per valutare l’effettiva situazione giuridica della persona fisica trasferita, vengono evidenziate le seguenti (29): - reperire notizie certe sulla posizione storicoanagrafica risultante presso il comune dell’ultimo domicilio fiscale in Italia (30); - acquisire tutte le informazioni presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria; (27) L’esempio classico riguarda, quindi, quei cittadini trasferitisi all’estero che si sono iscritti all’A.I.R.E, dopo essersi cancellati dall’anagrafe della popolazione residente. (28) Così circolare n. 304/E del 1997 citata. (29) Secondo quanto riportato nella circolare in esame, tale attività sarà espletata da apposite strutture investigative e di intelligence. (26) Ispirata al medesimo principio di cautela nell’abbandono della residenza fiscale è la disposizione danese che, a talune condizioni, considera l’abbandono di residenza, da parte di società registrate in Danimarca, alla stregua (quanto meno ai fini fiscali) della loro messa in liquidazione, cosicché il trasferimento di beni all’estero, ai fini fiscali, è equivalente alla loro vendita. (30) Il Ministero, all’uopo, ricorda che tali notizie possono essere anche reperite presso gli uffici dell’A.I.R.E., situati presso ciascun comune e presso il Ministero dell’interno nei quali sono tenuti gli schedari che raccolgono le schede individuali e le schede delle famiglie cancellate dall’anagrafe delle popolazioni residenti a causa del trasferimento permanente all’estero. RFI - 21 3440 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 - acquisire copia degli atti concernenti donazioni, compravendite, costituzione di società di persona e/o di capitale anche a stretta base azionaria, conferimenti in società; - valutare attentamente i rapporti intercorrenti con i soggetti cointeressati nei suddetti atti; - acquisire informazioni sulle movimentazioni di somme di denaro da e per l’estero, sul luogo e data di emissione di assegni bancari, sugli investimenti in titoli azionari e obbligazionari italiani. - disponga di una abitazione permanente; - mantenga una famiglia; - accrediti i propri proventi, dovunque conseguiti; - possieda beni, anche mobiliari; - partecipi a riunioni d’affari; - rivesta delle cariche sociali; - sopporti spese alberghiere o di iscrizione a circoli o clubs; - organizzi la propria attività e i propri impegni anche internazionali, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio. In sostanza, il Ministero delle finanze pone in evidenza l’esigenza che, con l’attività investigativa svolta, l’organo accertatore sia in grado di reperire tutti gli elementi concreti di prova in ordine: Passando, poi, all’esame delle tipologie reddituali interessate dai casi di fittizia emigrazione all’estero di persone fisiche residenti, la circolare in esame, opportunamente, evidenzia che gli elementi reddituali sottratti all’imposizione riguardano le seguenti categorie reddituali: - ai legami familiari o comunque affettivi ed all’attaccamento all’Italia; - agli interessi economici in Italia; - all’interesse a tenere o far rientrare in Italia i proventi conseguiti con le prestazioni effettuate all’estero; - all’intenzione di abitare in Italia anche in futuro, intenzione desumibile da fatti e atti concludenti ovvero da pubbliche dichiarazioni (31). - redditi derivanti da attività professionali, sportive ed artistiche; - redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno (royalties, eccetera); - redditi di capitale. Pertanto l’obiettivo più importante da perseguire nella prima fase delle indagini è l’accertamento della simulazione del soggetto che: II Ministero delle finanze, dunque, stabilisce che per tali soggetti trasferitisi all’estero, l’accertamento della qualità di soggetto fiscalmente residente in Italia si desumerà - attraverso le indagini svolte da una “valutazione d’insieme” dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene in Italia. Tale valutazione, indipendentemente dalla presenza fisica e dalla sola attività lavorativa esplicata prevalentemente all’estero consentirà di stabilire che la sede principale degli affari ed interessi è situata nel territorio dello Stato italiano se ed in quanto, ad esempio, in Italia la persona fisica interessata dall’attività di controllo: (31) È molto interessante la precisazione del Ministero delle finanze circa il fatto che detti elementi potranno essere ricavati, oltre che dall’analisi puntuale di tutta la documentazione acquisita, anche da un’attenta ricognizione sulla stampa locale e nazionale, nonché su pubblicazioni biografiche o servizi prodotti dalle reti televisive locali e nazionali. RFI - 22 il fisco - nonostante le risultanze anagrafiche attestanti il trasferimento della residenza all’estero, mantenga il “centro” dei propri interessi rilevanti in Italia; - ovvero, preordinando una “pluralità di centri”, renda difficoltosa l’individuazione della sede principale degli affari ed interessi; - od ancora abbia realizzato una interposizione fittizia, attraverso l’imputazione formale dei proventi, direttamente conseguiti, a soggetti terzi (società). Pertanto, ai fini dell’individuazione dei redditi conseguiti occorrerà fare specificamente ricorso ai seguenti strumenti: - all’istituto dello “scambio di informazioni” con le competenti autorità fiscali estere, avendo cura di evidenziare nella richiesta ogni utile elemento già acquisito ai fini della individuazione dei redditi conseguiti nello Stato estero; - alle indagini bancarie ed alla richiesta di informazioni presso gli intermediari finanziari. Una volta conclusasi l’analisi di tutti gli elementi ricavati ed, eventualmente, individuato in Italia il permanere del domicilio o della residenza da parte del soggetto trasferito - anche alla luce del criterio ermeneutico conseguente alla menzionata giurisprudenza della Corte di Cassazione - lo stesso soggetto sarà, ovviamente, considerato fiscalmente residente in Italia, da ciò conseguendo tutti gli obblighi fiscali a suo carico (32). 5.2. Modifiche normative (art. 2, comma 2-bis, del Tuir - D.M. Finanze 4 maggio 1999) e circolare del Ministero delle finanze n. 140/E del 1999 Con il citato art. 10 della L. 23 dicembre 1998, n. 448, sono state ora introdotte nuove disposi(32) Inoltre, per effetto della modifica del comma 2 dell’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973, il luogo di residenza od in cui si conserva il domicilio è utile anche per indicare a quale ufficio dell’Amministrazione finanziaria competerà l’accertamento nei confronti della persona fisica considerata ancora residente in Italia. Il mutamento di residenza (33) Il termine “Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato”, mutuato dall’esperienza francese (“Etat étranger ou territoire avec un régime fiscale privilégié”, di cui all’art. 238 A del CGI francese, citato) non è nuovo nell’esperienza giuridica italiana. Lo si è, infatti, utilizzato per la prima volta nell’art. 76, comma 7-bis, del Tuir, per indicare la indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con società domiciliate ai fini fiscali in Stati o territori extra-Unione europea (considerati regime fiscale privilegiato), laddove tali società siano legate ad imprese italiane da un rapporto di controllo o di collegamento, ai sensi dell’art. 2359 del codice civile. (34) È opportuno precisare - come meglio si dirà fra breve che i Paesi o territori che costituiscono paradisi fiscali per le persone fisiche non necessariamente coincidono con quelli individuati dal D.M. 24 aprile 1992 (emanato in attuazione dell’art. 76, comma 7-bis, del Tuir) che contiene invece l’elencazione dei paradisi fiscali per le persone giuridiche. rimane a carico dell’Amministrazione finanziaria, la quale dovrà procedere a dimostrare la sussistenza della residenza fiscale, attraverso gli strumenti indicati nella circolare n. 304/E del 1997, prima esaminata. 5.2.1. Presunzione di residenza e inversione dell’onere della prova il fisco zioni volte a contrastare la fittizia emigrazione all’estero, per finalità tributarie, delle persone fisiche. In forza della suddetta norma - che con il comma 1 ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 2 del Tuir, concernente l’individuazione dei soggetti passivi all’Irpef - è stato stabilito che “Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale” (33). In attuazione, poi, di quanto previsto dalla nuova disposizione legislativa, con D.M. 4 maggio 1999, sono stati individuati gli Stati e i territori aventi un regime fiscale privilegiato per le persone fisiche (sono stati, cioè, individuati quegli Stati o territori che costituiscono per il nostro legislatore paradisi fiscali per le persone fisiche) (34). Le nuove disposizioni, sia pure con effetti limitati ai soli “Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato”, consentono di ampliare l’operatività della normativa preesistente, in precedenza esaminata. In pratica, la nuova disposizione normativa introduce una presunzione (relativa) di legge, in base alla quale la residenza fiscale in Italia viene ritenuta sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori e che non riescono a dimostrare la effettività della nuova residenza nel Paese considerato a “fiscalità agevolata” (fornendo, appunto, la prova contraria richiesta dalla legge, per superare la presunzione stessa). Ovviamente, l’inversione dell’onere della prova opera soltanto in relazione a coloro che si sono trasferiti in uno dei Paesi o territori individuati dal citato decreto ministeriale; infatti, per coloro che si sono, invece, trasferiti in Paesi diversi da quelli previsti dal decreto medesimo, l’onere della prova 12/2000 il fisco 3441 Passando all’esame della nuova disposizione normativa va preliminarmente chiarito - come pure indicato dal Ministero delle finanze, nella circolare n. 140/E del 1999 in esame - che la presunzione stabilita dal comma 2-bis dell’art. 2 del Tuir, non crea affatto un ulteriore status di residenza fiscale - i cui presupposti sono già ampiamente regolati dal comma 2 dello stesso art. 2 bensì introduce soltanto un ulteriore criterio rivelativo dell’individuazione della residenza stessa. In sostanza, con l’introduzione del comma 2bis citato, il legislatore, utilizzando lo strumento delle “presunzioni legali relative”, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, in modo da evitare che dati di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti di ordine sostanziale. Molto opportunamente, poi, il Ministero precisa che - per effetto del predetto comma 2-bis citato l’onere della prova contraria riguarda tutti i soggetti che sono emigrati in uno degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, come individuati nel suddetto decreto ministeriale anche quando l’emigrazione sia avvenuta transitando anagraficamente per uno Stato terzo, non ricompreso in tale decreto (35). Per i trasferimenti in Stati o territori diversi da quelli considerati nel D.M. del 4 maggio 1999 l’onere della prova permane, invece come già sopra evidenziato, a carico dell’Amministrazione finanziaria, la quale dovrà fare ricorso ai tradizionali strumenti di indagine ed ai concreti elementi dimostrativi di cui alla pure richiamata circolare n. 304/E. 5.2.2. Individuazione degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato (D.M. 4 maggio 1999) La circolare in esame prosegue con l’analisi dei criteri con i quali sono stati individuati gli Stati e i territori aventi un regime fiscale privilegiato, crite(35) In buona sostanza, appare ampiamente condivisibile l’interpretazione ministeriale della norma in esame, in base alla quale, facendosi prevalere la realtà sull’apparenza, si considera operante l’inversione dell’onus probandi anche nel caso in cui il soggetto sia solo “transitato” in un Paese non ricompreso nella black list italiana, per poi trasferirsi definitivamente in un paradiso fiscale. RFI - 23 3442 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 - al ricorrere di una bassa o inesistente forma di tassazione personale, intesa in termini di effettività e perciò riferita non solo alle aliquote d’imposta nominali, ma anche alla formazione della base imponibile, agli eventuali regimi agevolativi, alle detrazioni d’imposta e alle deduzioni dal reddito complessivo; - al grado di trasparenza e di collaborazione informativa dei vari elementi che concorrono a delineare, con riguardo anche alla situazione bancaria la effettività delle situazioni economicofiscali; - al complesso dei poteri e delle modalità di accertamento esercitati dall’Amministrazione finanziaria locale, come pure al livello delle potestà di controllo previste al riguardo e realmente attuate senza trascurare l’eventuale ricorso a forme individuali di definizione fiscale, improntate a criteri di discrezionalità. (36) L’individuazione di tali Stati e territori è stata indirizzata da un apposito gruppo di lavoro che, allo scopo, ha utilizzato la documentazione e le esperienze disponibili in materia di fiscalità agevolata, con particolare riferimento alle elaborazioni in atto in ambito internazionale, sia comunitario che di cooperazione in sede OCSE RFI - 24 Prova contraria il fisco ri poi trasfusi nel citato D.M. 4 maggio 1999 (in allegato al presente) (36). In sintonia con la relazione illustrativa dell’art. 10 della L. n. 448/1998, è dato rilevare che tale lista, pur ispirandosi a quella prevista dall’art. 76, comma 7-bis, del Tuir (D.M. 24 aprile 1992) - parimenti finalizzata a contrastare l’utilizzazione strumentale dei regimi fiscalmente privilegiati per le imprese - se ne differenzia per la diversità non solo dei presupposti oggettivi ma anche di quelli soggettivi, considerato che la nuova disposizione non si applica alle imprese ma ai soggetti persone fisiche. Infatti, l’individuazione dei Paesi fiscalmente privilegiati per le persone fisiche è svincolata da qualsiasi limite, sia in ordine al livello quantitativo della tassazione degli stessi (mentre, invece, l’art. 76, comma 7-bis, del Tuir, nel definire il regime fiscale privilegiato prevede che in questo sussista l’esclusione dall’imposizione sul reddito o l’assoggettamento delle società ad imposizione in misura inferiore alla metà di quella complessivamente applicata in Italia, sui redditi della stessa natura) e sia per quanto riguarda l’aderenza o meno all’Unione europea dei Paesi stessi (mentre la black list di cui al D.M. 24 aprile 1992 fa esclusivo riferimento a società domiciliate in Paesi o territori extra-Unione europea). I criteri di individuazione di tali regimi di fiscalità agevolata per le persone fisiche innanzitutto fanno riferimento: La norma in esame, quindi, risolve in via presuntiva - con le modalità ed i limiti territoriali innanzi descritti - il problema della dimostrazione della permanenza della residenza fiscale in Italia. Tale presunzione, tuttavia, riveste il carattere di presunzione legale non assoluta, che consente, pertanto, la prova contraria: assume, così, un significato rilevante esaminare la natura, i limiti di ammissibilità e la consistenza dei relativi mezzi ed elementi dimostrativi (37). In sostanza, attraverso la suddetta presunzione relativa - e per il superamento della stessa - il legislatore impone al contribuente (l’onere) di dimostrare l’esistenza di fatti ed atti che suffraghino l’effettività del trasferimento di residenza - situazione formalmente manifestatasi con la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente - e la conseguente assunzione di un reale e duraturo rapporto con lo Stato di immigrazione, nonché l’interruzione di rapporti significativi con lo Stato italiano (38). In merito, poi, allo specifico contenuto dell’onere probatorio da fornire per il superamento della presunzione di “fittizietà” della residenza nel paradiso fiscale - e, quindi, al fine di superare la mera formalità della cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente con la dimostrazione della insussistenza nel nostro Paese della dimora abituale (residenza) ovvero del complesso dei rapporti afferenti gli affari e gli interessi, allargati, oltre che agli aspetti economici, a quelli familiari, sociali e morali (domicilio) - il contribuente interessato potrà utilizzare qualsiasi mez- (37) In merito alla prova contraria che il contribuente deve fornire per dimostrare la “effettività” della residenza nel paradiso fiscale la circolare n. 140/E del 1999, precisa che “il legislatore, nel confermare espressamente l’ammissibilità della prova contraria al fine di contrastare la presunzione legale di residenza fiscale, ha evitato qualsiasi condizionamento o limite per quanto riguarda sia la predeterminazione che il valore delle varie forme in cui tale prova può estrinsecarsi. Ciò significa che viene riconosciuta la più ampia possibilità di esplicazione al concreto esercizio dei diritti di difesa del contribuente anche nella fase extraprocessuale, fermo restando l’esclusione del giuramento e della prova testimoniale”. (Tali mezzi di prova non sono, infatti utilizzabili nel processo tributario, per effetto dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992). (38) Opportunamente la circolare in esame precisa che “in tale contesto di collegamento personale, è appena il caso di segnalare che, qualora il Paese fiscalmente privilegiato sia anche legato al nostro da Convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi, ai fini della conferma o meno della residenza fiscale nazionale occorre ovviamente considerare, oltre ai presupposti interni, anche quelli di cui all’apposita clausola convenzionale (‘residente in uno Stato contraente’) allo scopo di evitare la possibile insorgenza di una doppia residenza fiscale”. Il mutamento di residenza zo di prova (39) di natura documentale o dimostrativa, atto a stabilire, in particolare: In sostanza soltanto la piena dimostrazione, da parte del contribuente, della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e la parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel Paese fiscalmente privilegiato, indipendentemente dall’assolvimento nello stesso Paese di obblighi fiscali, attestano il venire meno della residenza fiscale in Italia e la conseguente legittimità della posizione di non residente. (39) Si tratta, in sostanza, degli stessi strumenti che, in base alla circolare n. 304/E del 1997 devono essere usati dagli uffici per dimostrare la residenza fiscale in Italia del contribuente che, invece, per tale caso, devono essere utilizzati, “in negativo”, dai contribuenti per dimostrare, al contrario appunto, la effettività della residenza all’estero e, di conseguenza, l’inesistenza della residenza/domicilio in Italia. (40) Come precisato dal Ministero delle finanze, nella circolare n. 140/E, “i predetti ed eventuali altri elementi di prova vanno considerati e valutati in una visione globale, atteso che il superamento della prova contraria alla presunzione legale non può che scaturire da una complessiva considerazione della posizione del contibuente”. 5.2.3. Decorrenza della presunzione di residenza fiscale in Italia In merito, poi, alla decorrenza temporale della presunzione legale introdotta dal più volte citato comma 2-bis, opportunamente il Ministero delle Finanze ritiene - stando anche al tenore delle relazioni accompagnatorie dell’art. 10 della L. n. 448 che la stessa operi dalla data di entrata in vigore della legge, cioè solo a decorrere dal 1° gennaio 1999 (41): pertanto, con riferimento ai periodi d’imposta anteriori al 1999, in presenza di una emigrazione anagrafica verso gli Stati o territori individuati nel citato D.M. 4 maggio 1999, l’onere probatorio ai fini della dimostrazione dell’effettiva residenza fiscale continuerà a gravare sull’Amministrazione finanziaria. Ovviamente la nuova disposizione presuntiva trova piena applicazione dal periodo d’imposta 1999 indipendentemente dalla circostanza che l’emigrazione sia avvenuta anteriormente al 1° gennaio 1999 (42). 5.2.4. Domicilio fiscale dei cittadini emigrati in Stati o territori fiscalmente privilegiati il fisco - la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato sia per sé che per l’eventuale nucleo familiare; - l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero; - lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso Paese estero, ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità; - lo svolgimento di un rapporto continuativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso Paese; - la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese di immigrazione; - l’esibizione di fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel Paese estero; - la movimentazione, a qualsiasi titolo, di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero e da e per l’Italia; - l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese di immigrazione, l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, eccetera; - la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo (40). 12/2000 il fisco 3443 Il comma 2 dell’art. 10 della L. n. 448 ha integrato il comma 2 dell’art. 58 del D.P.R. n. 600 del 1973, con l’inserimento, dopo le parole “pubblica amministrazione”, delle parole: “nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’art. 2, comma 2bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”. Per effetto di tale previsione, i cittadini cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in un Paese ricompreso nella lista di cui al D.M. 4 maggio 1999, in quanto considerati fiscalmente residenti in Italia, continuano ad avere il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza anagrafica, al pari dei connazionali “che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione”. (41) Viene, infatti, precisato che “l’inversione dell’onere della prova prevista dalla disposizione in argomento, finisca per produrre effetti non soltanto meramente procedimentali, ma anche sostanziali che, come tali, in mancanza di una espressa previsione normativa, non possono avere carattere retroattivo” (circolare n. 140/E del 1999). (42) Per quanto concerne gli adempimenti dei sostituti d’imposta, la circolare n. 140/E del 1999, precisa che gli stessi non sono in alcun modo influenzati dalla nuova presunzione legale, ma continuano ad essere collegati alla posizione comunicata dal sostituto. Soltanto nel caso in cui quest’ultimo rappresenti l’effettivo status di residente nazionale, indipendentemente dalle proprie risultanze anagrafiche, il sostituto dovrà attenersi alla corrispondente disciplina di prelievo tributario alla fonte (operando in linea di massima, la ritenuta a titolo d’acconto, anzichè a titolo d’imposta). RFI - 25 3444 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 Tale disposizione opera nei confronti di quei soggetti che non hanno fornito la controprova della presunzione di residenza fiscale in Italia e che, pertanto, si presumono fiscalmente residenti in Italia e consente di determinare a quale ufficio dell’Amministrazione finanziaria competerà, territorialmente, l’attività accertativa nei confronti di tali soggetti. 5.3.1. Stati senza Convenzione Dall’esame della nuova lista è individuabile una prima categoria di Stati con i quali l’Italia non ha stipulato Convenzioni fiscali contro le doppie imposizioni; con tali Stati (quali, ad esempio, Alderney, Andorra, Anguilla, Antigua, Aruba) la nostra Amministrazione è praticamente impossibilitata dal “colloquiare” almeno in modo rituale. Ne consegue che, nei confronti del cittadino italiano che decide di trasferire in quegli Stati “a regime fiscale privilegiato” la propria residenza, il Fisco non potrà mai acquisire alcuna informazione dalle Amministrazioni di tali Stati: ed in questo caso viene in soccorso la disposizione introdotta dall’art. 10 della L. n. 448/1998, che consente, come ampiamente chiarito, di considerare residenti in Italia queste persone, salvo che non forniscano prova contraria. 5.3. Breve disamina della black list italiana dei paradisi fiscali delle persone fisiche Con il D.M. 4 maggio 1999, l’Amministrazione finanziaria italiana ha individuato 59 Paesi considerati paradisi fiscali delle persone fisiche, il cui trasferimento di residenza in essi non ha valore ai fini delle imposte sui redditi (43). Prima di tentare un primo esame di tale lista, pare opportuno premettere che con questa sono tre gli elenchi che l’Italia ha emanato contenenti l’indicazione di Stati esteri e precisamente: Per quanto è dato verificare da un confronto tra le due “liste nere”, è possibile affermare che, fatta eccezione per la Giamaica ed il Portorico, inclusi nella lista dei paradisi fiscali per le imprese, tutti gli altri Stati esteri ricompresi in questo elenco sono pure considerati paradisi fiscali delle persone fisiche. Per quanto poi emerge dal confronto di questa nuova black list con la cosiddetta white list (cioè con l’elenco degli Stati considerati “virtuosi”, di cui al D.M. 4 settembre 1996 e successive modificazioni, con i quali l’Italia effettua lo “scambio di informazioni”) è dato rilevare quanto segue. (43) Secondo dati stimati dal Ministero dell’interno, che gestisce insieme ai comuni l’A.I.R.E., i cittadini italiani che hanno trasferito la propria residenza in uno dei 59 Stati menzionati dal decreto in esame sono circa 420.000 (circa 350.000 dei quali risiedono in Svizzera). (44) Lo scambio di informazioni rappresenta uno strumento di cooperazione amministrativa, in genere bilaterale, per combattere le evasioni e le frodi fiscali, conseguente alla stipula tra due Stati di una apposita Convenzione per evitare le doppie imposizioni, e appunto per prevenire le evasioni fiscali. RFI - 26 5.3.2. Stati con Convenzione, ma esclusi dalla white list il fisco 1) la black list dei Paesi a fiscalità agevolata per le imprese (di cui al D.M. 24 aprile 1992, emanato per attuare la citata disposizione di cui ai commi 7-bis e 7-ter dell’art. 2 del Tuir); 2) la white list, di cui al D.M. 4 settembre 1996 e successive modificazioni, cioè l’elenco degli Stati con i quali l’Italia effettua lo “scambio di informazioni” (44); 3) la black list dei Paesi a fiscalità agevolata per le persone fisiche (di cui al D.M. 4 maggio 1999, emanato per attuare la citata disposizione di cui al comma 2-bis dell’art. 2 del Tuir). È poi possibile individuare una seconda categoria di Stati che pur avendo stipulato con l’Italia Convenzioni per evitare le doppie imposizioni non figurano nella lista dei Paesi virtuosi in quanto probabilmente non scambiano informazioni con l’Italia, sebbene ciò sia previsto dalle singole Convenzioni. È questo il caso, ad esempio, di Cipro, della Malaysia e della Confederazione Svizzera. Per questi Stati occorre, peraltro, operare un distinguo: - nella Convenzione con Cipro e Malaysia, viene previsto che le autorità fiscali competenti scambino le informazioni non solo per l’applicazione del contenuto della Convenzione, ma anche per prevenire evasioni fiscali; - per quanto, poi, concerne la Svizzera, va evidenziato che la stessa in sede OCSE ha formulato una espressa riserva sulla propria posizione, delimitando, così, la portata dell’assistenza solamente ai casi necessari per l’attuazione delle norme convenzionali e non anche per la repressione e la prevenzione delle evasioni fiscali. In ogni caso, va rilevato che l’individuazione della effettiva residenza di una persona è elemento, di regola, disciplinato dalle Convenzioni (in genere, all’art. 4): una collaborazione tra le Amministrazioni è comunque, prevista, pena la violazione della stessa Convenzione. Per cui partendo dalla considerazione che tali tre Paesi sono stati inseriti nella black list dei paradisi fiscali delle persone fisiche e, allo stesso tempo, pur avendo stipulato con l’Italia apposite Convenzioni contro le doppie imposizioni, non sono stati inseriti nella white list, in quanto non collabo- Il mutamento di residenza rano, occorre concludere - come fatto per il punto A) - che in tali casi soccorrerà la presunzione di cui al comma 2-bis dell’art. 2 del Tuir. possono andare dai semplici pagamenti “in nero”, alla menzionata possibilità di cedere i diritti per lo sfruttamento della propria immagine ad una società schermo domiciliata nel paradiso fiscale o, ancora, collocare la propria residenza in un Paese che assoggetta a tassazione sulla base della “territorialità” per i redditi lì prodotti, rinunciando a quelli prodotti all’estero o, infine, riorganizzare in modo ottimale il proprio patrimonio, costituendo il centro di direzione dei propri interessi in un territorio favorevole fiscalmente e valutariamente (ad esempio, attraverso un trust retto dal diritto di un paradiso fiscale). Pertanto, ben venga la normativa de qua, ben vengano gli sforzi della nostra Amministrazione finanziaria per la concreta attuazione della normativa esaminata ma la strada maestra da perseguire resta sempre quella degli accordi con gli Stati e le organizzazioni internazionali e soprattutto quella dell’armonizzazione delle legislazioni internazionali (al fine di costituire un “fronte comune” per contrastare il ricorso a tali Paesi a fiscalità agevolata), anche allo scopo di evitare le alterazioni causate dall’utilizzo dei paradisi fiscali che, fino a quando esisteranno, rappresenteranno una delle principali cause delle “distorsioni” nella tassazione dei redditi transnazionali. 5.3.3. Stati con Convenzione ed inclusi nella white list 6. Conclusioni Per concludere questo primo tentativo di esame delle disposizioni italiane ritengo possibile affermare, con ragionevole certezza, che le stesse, oltre a colmare una sostanziale lacuna del nostro ordinamento giuridico, costituiscono un interessantissimo strumento di cui il medesimo si è dotato, allo scopo precipuo di “svelare” i reali criteri di collegamento dai quali consegue la residenza fiscale in Italia. Si può, quindi, affermare che tale normativa consente di verificare la sussistenza (o meno) della effettiva residenza in Italia; tuttavia, la stessa si presenta più cagionevole nel momento in cui occorre procedere alla quantificazione dei redditi non dichiarati in Italia, per effetto della residenza nel paradiso fiscale. È, infatti, sufficientemente agevole per la persona fisica occultare, in tutto o in parte, i proventi delle proprie attività, sfruttando i “meandri reconditi” offerti dal paradiso fiscale (segreto bancario, assenza di controlli valutari, mancanza di Convenzioni contro le doppie imposizioni e conseguente assenza di scambio di informazioni, eccetera). Le modalità con le quali praticamente realizzare detto occultamento possono essere le più varie e il fisco Terza ed ultima categoria di Stati desumibile dal D.M. 4 maggio 1999, è quella dei Paesi che non solo hanno stipulato con l’Italia Convenzioni contro le doppie imposizioni, ma che sono anche inclusi nella white list, in quanto scambiano informazioni con la nostra Amministrazione finanziaria. È, ad esempio, il caso degli Emirati Arabi Uniti, dell’Ecuador, delle Filippine, di Malta, della Repubblica di Mauritius e di Singapore. Per tali Stati, in virtù delle Convenzioni in vigore, i dati relativi ai cittadini italiani residenti potrebbero ben essere desunti ed acquisiti senza richiedere al cittadino stesso la prova dell’effettivo trasferimento. Ed è auspicabile - anche considerando le più attuali disposizioni in tema di rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, in base ai quali nulla deve essere richiesto a quest’ultimo se si tratta di atti o notizie che l’Amministrazione può autonomamente reperire - che prima di procedere alla richiesta dei dati alle persone fisiche interessate, si provveda a cercare di ottenere le informazioni necessarie direttamente dall’Amministrazione finanziaria dello Stato estero. 12/2000 il fisco 3445 Allegato Si riportano di seguito i tre elenchi realizzati dall’Italia e, precisamente: - quello dei Paesi con cui il Fisco italiano scambia informazioni (white list, di cui al D.M. 4 settembre 1996 e successive modificazioni); - quello dei Paesi che hanno un regime privilegiato per le imprese (black list imprese, di cui al D.M. 24 aprile 1992); - e quello dei Paesi che hanno un regime privilegiato per le persone fisiche (black list persone fisiche, di cui al D.M. 4 maggio 1999). A) White list, di cui al D.M. 4 settembre 1996 e successive modificazioni: sono ricompresi in tale lista i Paesi con i quali, per effetto della stipula di apposite Convenzioni contro le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali, la nostra Amministrazione fiscale “scambia informazioni”; in particolare, detta lista annovera i seguenti Stati: Algeria Argentina Armenia Australia Austria RFI - 27 3446 il fisco 12/2000 RFI - 28 Turkmenistan Ucraina Ungheria Uzbekistan Venezuela Zambia B) Black list imprese, di cui al D.M. 24 aprile 1992: si considerano fiscalmente privilegiati, ai fini dell’applicazione dell’art. 76, comma 7-bis, del Tuir, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, i seguenti Stati e territori posti al di fuori dell’Unione europea: il fisco Azerbajan Belgio Bielorussia Brasile Bulgaria Canada Cina Corea del Sud Costa d’Avorio Croazia Danimarca Ecuador Egitto Emirati Arabi Uniti Federazione Russa Filippine Finlandia Francia Georgia Germania Giappone Grecia India Indonesia Irlanda Israele Jugoslavia Kazakistan Kirghistan Kuwait Lussemburgo Macedonia Malta Marocco Mauritius Messico Norvegia Nuova Zelanda Paesi Bassi Pakistan Polonia Portogallo Regno Unito Repubblica Ceca Repubblica Slovacca Romania Singapore Slovenia Spagna Sri Lanka Stati Uniti Svezia Tadzhikistan Tanzania Thailandia Trinidad e Tobago Tunisia Turchia RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 Andorra Anguilla (Isole Leeward) Antigua (Isole Leeward) Antille Olandesi Aruba Bahamas Baharain Barbados Barbuda (Isole Leeward); Bermuda Cipro Costa Rica Dominica Emirati Arabi Uniti Filippine Giamaica Gibuti Grenada Hong Kong Isole del Canale (Guernsey, Jersey e Sark) Isole Cayman Isola di Man Isole Cook Isole Turks e Caicos Isole Vergini Britanniche Libano Liberia Liechtenstein Macao Malaysia Malta Monserrat Nauru (Republic of Nauru) Nevis (Isole Leeward) Oman Panama Portorico Saint Kitts (Isole Leeward) Saint Lucia Saint Vincent Seychelles Singapore Svizzera Uruguay Il mutamento di residenza Vaunatu (Nuove Ebridi) Western Samoa C) Black list delle persone fisiche di cui al D.M. 4 maggio 1999: si considerano fiscalmente privilegiati ai fini dell’applicazione dell’art. 2, comma 2-bis, del Tuir approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, i seguenti Stati e territori: il fisco Alderney (Aurigny) Andorra (Principat d’Andorra) Anguilla Antigua e Barbuda (Antigua and Barbuda) Antille Olandesi (Nedherlandse Antillen) Aruba Bahama (Bahamas) Bahrein (Dawlat al-Bahrain) Barbabos Belize Bermuda Brunei (Negara Brunei Darussalam) Cipro (Kypros) Costa Rica (Repùblica de Costa Rica) Dominica Emirati Arabi Uniti (Al-Imarat al-’Arabya al Muttahida) Ecuador (Repùblica del Ecuador) Filippine (Pilipinas) Gibilterra (Dominion of Gibraltar) Gibuti (Djibouti) Grenada Guernsey (Bailiwick of Guernesey) Hong Kong (Xianggang) Isola di Man (Isle of Man) Isole Cayman (The Cayman Islands) 12/2000 il fisco 3447 Isole Cook Isole Marshall (Republic of the Marshall Islands) Isole Vergini Britanniche (British Virgin Islands) Jersey Libano (Al-Jumhuriya al Lubnaniya) Liberia (Republic of Liberia) Liechtenstein (Furstentum Liechtenstein) Macao (Macau) Malaysia (Persekutuan Tanah Malaysia) Maldive (Divehi) Malta (Republic of Malta) Mauritius (Republic of Mauritius) Monserrat Nauru (Republic of Nauru) Niue Oman (Saltanat ’Oman) Panama (Republic de Panamà) Polinesia Francese (Polynésie Française) Monaco (Principauté de Monaco) San Marino (Repubblica di San Marino) Sark (Sercq) Seicelle (Republic of Seychelles) Singapore (Republic of Singapore) Saint Kitts e Nevis (Federation of Saint Kitts and Nevis) Saint Lucia Saint Vincent e Grenadine (Saint Vincent and the Grenadines) Svizzera (Confederazione Svizzera) Taiwan (Chunghua MinKuo) Tonga (Pule’anga Tonga) Turks e Caicos (The Turks and Caicos Islands) Tuvalu (The Tuvalu Islands) Uruguay (Republica Oriental del Uruguay) Vanuatu (Republic of Vanuatu) Samoa (Indipendent State of Samoa) RFI - 29 3448 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 4 TEMI DI APPROFONDIMENTO La Repubblica di Croazia Sistema tributario, agevolazioni fiscali per gli investitori esteri e rilevanza del Paese ai fini di alcune norme tributarie italiane di Marco Mazzetti di Pietralata (*) 1. Premessa (*) Dottore commercialista in Roma. (1) L’incremento del Pil è stato pari al 5,9 per cento nel 1994, al 6,8 per cento nel 1995, al 6 per cento nel 1996, 6,5 per cento nel 1997, al 2,7 per cento nel 1998. (2) In generale, sulla situazione economica e finanziaria della Croazia e sulle riforme attuate si rinvia a: Vianello-BogoniGarioni, Affari & commercio con: La Croazia, inserto di “Commercio Internazionale”, n. 24, 1996; C.I.S. – Centro Studi Impresa (a cura di), “Croazia - Guida alla perla dell’Adriatico”, Milano, 1997; Guandalini, Guida al business nell’Europa dell’Est, Milano, 1997; C.I.P.A. - Croatian Investment Promotion Agency, Croatia - Economic Outlook 1998, Zagabria, 1998; RFI - 30 il fisco Nell’ampia congerie degli Stati dell’Europa dell’Est sono attualmente in corso processi di transizione dei sistemi economici con modalità e tempi piuttosto differenti a seconda di vari fattori di influenza, quali la posizione geografica, la situazione politica interna, le relazioni internazionali, i settori industriali già sviluppati, la disponibilità di materie prime e manodopera. Un’analisi a parte, tuttavia, deve essere svolta per alcuni Paesi appartenenti all’ex Jugoslavia i quali, nonostante i conflitti che li hanno coinvolti, sono stati comunque caratterizzati da uno sviluppo dell’economia non privo di rilievo. Tra di essi la Repubblica di Croazia, oltre ad avere beneficiato di una crescita piuttosto marcata (1), ha attuato numerose riforme allo scopo di accelerare il processo di trasformazione verso un sistema economico di stampo capitalistico (2). Tale Stato, dunque, e non solo per la sua posizione geografica, può rappresentare un mercato d’interesse per potenziali investitori italiani, sia per l’attenzione con cui è considerata dal nostro legislatore (3), sia per una disciplina fiscale che, come Done, Boland, Croatian Finance and Investment, in “Financial Time Survey” pubblicata su “Financial Times” del 14 dicembre 1998; Cariola, La Croazia e la Slovenia nei rapporti internazionali, in “Il Giornale dei Dottori Commercialisti”, n. 12, 1998; Gruppo Coface (a cura di), Guida al rischio Paese, Milano, 1999; Ragusin (a cura di) Della Corte - Crisci - Castoldi, Obiettivo Paese: Croazia, inserto “Mondo & Mercati” de “Il Sole-24 Ore” del 18 marzo 1999; Istituto del Commercio Estero, La Croazia - Aspetti economici, commerciali, tributari, inserto pubblicato su “il fisco” n. 13/1999; Mazzetti di Pietralata, In Croazia per investire alla pari, in “Commercio Internazionale” n. 11, 1999. (3) È interessante rilevare che, anche se i programmi agevolativi dell’Unione europea non risultano ad oggi ancora applicabili a tale Stato, tuttavia numerose sono le leggi in vigore in Italia che concedono agevolazioni finanziarie ad imprese italiane che investano nell’Europa centrale ed orientale e, di conseguenza, anche in Croazia. Ricordiamo, a mero titolo esemplificativo in quanto non costituiscono oggetto del presente lavoro, la L. 29 luglio 1981, n. 394, recante provvedimenti a sostegno delle esportazioni italiane; la L. 24 aprile 1990, n. 100, che ha istituito la Simest S.p.a., Società Italiana per le Imprese Miste all’Estero; la L. 9 gennaio 1991, n. 19, che ha istituito la Finest S.p.a., Società finanziaria per le Imprese miste all’estero; la L. 26 febbraio 1992, n. 212, recante incentivi per la collaborazione con i Paesi dell’Europa centrale e orientale. Il nostro Paese, inoltre, ha stipulato con la Croazia un accordo per la protezione degli investimenti: cfr. in proposito Monaco, Investimenti all’estero: accordi con l’Italia al 30 giugno 1998, in “Commercio Internazionale” n. 18, 1998. La Repubblica di Croazia: sistema tributario vedremo, è più favorevole di quella italiana, soprattutto per le imprese (4). Quanto detto, peraltro, è confermato dalla diversa ottica con cui il Paese è osservato da parte dell’Unione europea, considerata l’intenzione di contribuire in modo sostanziale allo sviluppo politico ed economico degli Stati balcanici al fine di stabilizzare l’area (5). Il conflitto concluso nel 1999, infatti, sebbene non abbia colpito la Croazia se non in maniera indiretta, ha rappresentato un fattore di destabilizzazione per l’intera regione, intimorendo gli investitori internazionali, rallentando l’afflusso di capitali dall’estero e bloccando alcuni fondamentali corridoi di transito tra l’Europa e le risorse del bacino del Mar Nero (6). In proposito, deve essere rilevato che, con la finalità di restituire sicurezza agli investitori e prevenire il riaccendersi di nuovi focolai, da parte di organismi internazionali sono stati recentemente varati piani di sviluppo, a cui anche l’Italia parteciperà con ingenti risorse umane e finanziarie (7). con particolare attenzione agli aspetti di interesse per gli investitori esteri (8). 2.1. Tassazione del reddito personale L’Imposta sul Reddito Personale (porez na dohodak) è stata introdotta nel 1994 (9) e regola i principi di tassazione dei redditi delle persone fisiche. Tale imposta è basata sul principio di tassazione del reddito mondiale (cosiddetto “worldwide income taxation”), allo stesso modo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche o Irpef, vigente in Italia dal 1973 (10). Ai sensi dell’art. 3 della Legge sull’Imposta sul Reddito Personale, infatti, la base imponibile dei soggetti passivi residenti è costituita dal reddito complessivo realizzato in Croazia e all’estero. Al contrario, i soggetti passivi non residenti sono tassati sul reddito complessivo realizzato in Croazia. 2.1.1. Aliquote 2. Il sistema tributario croato il fisco Con riferimento alla normativa tributaria, oggetto del presente lavoro, deve essere rilevato che dal 1994 ad oggi sono state attuate le riforme sia della tassazione dei redditi personali e d’impresa, sia della imposizione sugli scambi, sia delle agevolazioni fiscali. Esaminiamo, nel prosieguo, le principali caratteristiche dei tributi introdotti con queste riforme, 12/2000 il fisco 3449 Come l’Irpef, anche l’imposta personale croata è progressiva ed è suddivisa in scaglioni. La progressività per scaglioni è però più limitata rispetto a quella che, fin dalla sua entrata in vigore, ha sempre caratterizzato l’Irpef. Ancora oggi, infatti, pur essendo tale aspetto meno accentuato rispetto all’assetto originario del tributo, l’imposta personale italiana è comunque basata su cinque scaglioni di reddito (11). L’imposta personale croata, invece, prevede l’applicazione di due sole aliquote progressive, in misura pari al 20 per cento per i redditi fino ad un importo annuale pari a 36.000 kune (circa lire 9.080.000) ed al 35 per cento per i redditi di ammontare superiore (art. 5, commi 1 e 2). (4) Sui rapporti economici tra Italia e Croazia, cfr. Sganga, Occhio alle opzioni del 2000. Ci attendono i mercati dell’Est, e L’Italia oggi fa buoni affari con la Slovenia e la Croazia, intervista a Lamberto Dini, in “Il Giornale dei Dottori Commercialisti” n. 12, 1998, nonché Perrotta (a cura di), Imprese italiane in Croazia - Esperienze e orientamenti, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze, 1999. Nell’ambito di tale imposta, i redditi sono distinti in tre categorie che comprendono i redditi di (5) In proposito cfr. Centre for European Policy Studies, Working Document n. 131 - A system for post-war South East Europe (plans for reconstruction, openness, development and integration), 3 May 1999, Bruxelles. (8) Quanto riportato nel prosieguo si basa sulle informazioni in possesso al mese di luglio 1999. Il cambio utilizzato per convertire gli importi espressi in kune è quello al 22 dicembre 1999. (6) Per un esame dei cosiddetti “corridoi” cfr. Haushofen, Che cosa è un corridoio ?, in “Limes” n. 3, 1995, pag. 177 e Tuir. Con riferimento ai corridoi dei Balcani cfr. Favaretto, La guerra degli assi e gli interessi italiani nel nuovo Adriatico, in “Limes”, n. 2, 1996, e Adriaticus, Italia-Europa - USA: La grande partita della ricostruzione, in “Limes” n. 2, 1999, pag. 55 e Tuir. (7) Cfr. Sessa, Balcani, pronta la task force, e Ragusin, Bei: gli investimenti internazionali si orientino sulle grandi infrastrutture, entrambi in “Il Sole-24 Ore” dell’8 ottobre 1999; Pelosi, Per i Balcani l’Italia stanzia 400 miliardi, in “Il Sole 24 Ore” del 9 ottobre 1999; Sessa, Balcani, lavori in corso, inserto “Mondo e mercati” de “Il Sole-24 Ore” del 14 ottobre 1999. 2.1.2. Categorie di reddito (9) La legge è stata pubblicata sulla G.U. n. 109/1993 ed è entrata in vigore dal 1° gennaio 1994; successive modificazioni sono contenute nelle G.U. n. 95/1994, 25/1995 e 52/1995. (10) Art. 3 del D.P.R. 22 ottobre 1986, n. 917, Tuir. (11) Si pensi che la tabella allegata al testo originario del D.P.R. 22 settembre 1973, n. 597, poi trasfuso nel Tuir, prevedeva ben 32 scaglioni di reddito soggetti ad aliquote variabili dal 10 per cento, applicabile a redditi fino a 2 milioni, al 72 per cento, applicabile su redditi oltre 500 milioni. Oggi gli scaglioni sono solo 5 e le aliquote variano dal 18,5 per cento applicabile a redditi fino a 15 milioni, al 44,5 per cento applicabile su redditi oltre 150 milioni. RFI - 31 3450 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 lavoro dipendente ed assimilati, i redditi di lavoro autonomo ed i redditi derivanti dai beni di proprietà e da diritti assimilati (art. 3). - I redditi di lavoro dipendente comprendono salari, stipendi e pensioni, nonché i compensi in natura, corrisposti dal datore di lavoro (art. 7); - i redditi di lavoro autonomo comprendono quelli derivanti dall’esercizio di piccole imprese, di attività professionali, di attività agricole e di altre attività di lavoro autonomo (ad esempio, l’attività di amministratore di società) (art. 10); - i redditi derivanti dai beni di proprietà (art. 30) comprendono i redditi degli immobili (sia per l’affitto che per la cessione) e quelli relativi allo sfruttamento temporaneo di brevetti, diritti d’autore ed altri diritti. 2.1.3. Detrazioni e deduzioni Il sistema delle deduzioni previsto dalla normativa fiscale in vigore in Croazia è piuttosto semplificato rispetto a quanto previsto dalla nostra normativa interna. In Italia, infatti, le deduzioni e le detrazioni costituiscono una realtà molto composita e puntuale e rappresentano uno degli strumenti con cui il legislatore della riforma del 1973 ha attuato il principio costituzionale della progressività, recato dall’art. 53 della Carta. Tale criterio è stato poi seguito in misura anche maggiore con la riforma posta in essere nel 1997 (13). Difatti, a fronte dell’incremento il fisco Le categorie di reddito sono, dunque, piuttosto diverse da quelle individuate ai fini Irpef (12), anche se sussistono delle similarità. Il sistema italiano, infatti, oltre a prevedere un maggior numero di categorie, individua all’interno di esse molte più fattispecie imponibili. Nel nostro sistema, inoltre, i redditi d’impresa e quelli di lavoro autonomo costituiscono categorie separate, mentre qui fanno parte della medesima categoria. I redditi derivanti da brevetti o altri diritti, compresi in un’unica categoria nel sistema croato, sono classificati dalla legge italiana tra quelli di lavoro autonomo o tra i redditi diversi se percepiti rispettivamente dall’autore o da altri soggetti. Per quanto riguarda i redditi di capitale, l’art. 6 prevede l’esenzione dall’imposta personale per gli interessi su depositi, conti correnti, prestiti, crediti e titoli, per i dividendi e per le plusvalenze da strumenti finanziari. della misura percentuale delle aliquote Irpef relative agli scaglioni di reddito più bassi contenuto nel D.Lgs. n. 446/1997, è stata intessuta una rete di detrazioni di vari importi, molto più diversificata rispetto al passato, sia con riferimento ai familiari a carico che per quanto attiene ai diversi livelli di reddito (14). Esistono inoltre, come noto, diversi tipi di detrazioni per varie tipologie di spese sostenute (spese mediche, per istruzione universitaria, spese funebri, eccetera), nonché di oneri deducibili dal reddito complessivo (contributi previdenziali ed assistenziali, erogazioni liberali, eccetera) (15). La normativa croata, per quanto riguarda le deduzioni, prevede in primo luogo una deduzione personale annuale pari a 12.000 kune (circa 3.020.000 lire) (art. 34). Per ciascun familiare a carico sono poi previsti oneri deducibili dal reddito: 500 kune (circa 126.000 lire) per la moglie, il medesimo ammontare per il primo figlio, 700 kune (circa 180.000 lire) per il secondo figlio, eccetera (art. 34). Sono, inoltre, deducibili dal reddito i contributi obbligatori previdenziali ed assistenziali resi obbligatori per legge: in particolare, i contributi al fondo per la pensione e per gli infortuni, all’assicurazione per la salute, al fondo per la disoccupazione e per la cura dei bambini (art. 9). 2.1.4. Tassazione dei dividendi Come è stato specificato in precedenza, al fine dell’eliminazione della doppia imposizione economica sui dividendi, a differenza dell’Italia che si avvale del metodo del credito d’imposta (16), la normativa fiscale croata utilizza il metodo dell’esenzione, non tassandoli in capo ai percipienti (art. 6 della legge sull’imposta sul reddito personale). 2.1.5. Imposizione locale Come tassazione a livello locale, è prevista l’applicazione di una soprattassa a carico di coloro che risiedono in determinate città. Essa è determinata in percentuale dell’imposta personale dovuta, con aliquote variabili dal 18 per sione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali”. (14) Art. 13 del Tuir. (12) Art. 6 del del Tuir, che individua sei categorie di reddito costituite da: redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa e diversi. (13) Recata dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 in materia di “Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revi- RFI - 32 (15) Per quanto attiene alle detrazioni si veda l’art. 13-bis del Tuir, mentre per le deduzioni l’art. 10 del Tuir. (16) Da ultimo riformulato con il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 467, recante la nuova disciplina del credito d’imposta e dell’imposta sostitutiva della maggiorazione di conguaglio. La Repubblica di Croazia: sistema tributario cento, in vigore nella capitale Zagabria, al 6 per cento, in vigore a Sebenico in Dalmazia. Non esistono, invece, tributi locali di natura patrimoniale, come la nostra imposta comunale sugli immobili (17). disciplina del reddito d’impresa contenuta nel Capo VI del Tuir è molto più puntuale e restrittiva di quella croata. La convenienza fiscale descritta è peraltro maggiormente percepibile se si considera che in particolari territori della repubblica di Croazia, le cosiddette “zone franche”, l’aliquota d’imposta applicabile è pari al 50 per cento di quella in vigore ed è, dunque, attualmente pari al 17,5 per cento (per maggiori dettagli, si veda più avanti nel paragrafo relativo alle agevolazioni territoriali). 2.2. Tassazione del reddito d’impresa L’Imposta sui Profitti delle Imprese (Porez na dobit) è stata introdotta nel 1994 (18). Tale imposta è applicabile sia a imprese individuali (qualora superino determinati limiti di ricavi, di dipendenti o di immobilizzazioni materiali, o che optino per l’applicazione dell’imposta), sia a società, sia a branch di imprese estere, aventi la sede legale o amministrativa in Croazia. 2.2.2. Base imponibile 2.2.1. Aliquota (17) Introdotta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. (18) Essa è stata introdotta con la medesima legge dell’imposta sul reddito personale; successive modificazioni sono contenute nelle G.U. n. 35/1995 e n. 106/1996. (19) Ai sensi dell’art. 1, comma 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 466. il fisco L’aliquota d’imposta è pari al 35 per cento (articolo 13). Non sussistendo alcuna imposizione sulle imprese a livello locale, l’incidenza fiscale sul reddito delle imprese risulta, ad oggi, inferiore rispetto a quella italiana, caratterizzata dall’Irpeg al 37 per cento e dall’Irap al 4,25 per cento. Solo qualora un’impresa riesca ad ottimizzare il meccanismo della Dual Income Tax, oppure ad avvalersi della disciplina agevolativa temporanea introdotta dal cosiddetto “collegato Visco”, sarebbe possibile ridurre il carico fiscale ad un livello inferiore. Com’è noto, infatti, il meccanismo della Dit consente di ridurre l’incidenza percentuale dell’Irpeg sul relativo reddito imponibile fino ad un’aliquota media minima pari al 27 per cento (19) o al 20 per cento per società quotate (20). Inoltre, per i periodi d’imposta 1999 e 2000, l’aliquota Irpeg ridotta pari al 19 per cento risulta applicabile ad un ammontare della base imponibile Irpeg pari al minore importo tra gli incrementi di patrimonio netto e gli incrementi di investimenti in beni strumentali (21). Anche nel caso di utilizzo ottimale dei regimi citati, però, deve essere considerato che l’Irap si applica su una base imponibile molto più ampia di quella prevista ai fini Irpeg e che, comunque, la 12/2000 il fisco 3451 La base imponibile è determinata come differenza tra i patrimoni netti all’inizio ed alla fine del periodo d’imposta. Tra i componenti negativi deducibili, un particolare elemento è rappresentato dal cosiddetto “interesse protettivo”, una sorta di interesse figurativo maturato sul capitale proprio dell’impresa. Esso è determinato in percentuale del capitale netto dell’impresa all’inizio del periodo d’imposta e delle modifiche che ha subito nel corso dell’esercizio. Dal 1° gennaio 1997, l’aliquota generale dell’interesse protettivo è pari al 5 per cento, aumentato del tasso di crescita dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali, pari all’ 1,55 per cento per l’anno chiuso al 31 dicembre 1997 ed allo 0 per cento per l’anno concluso al 31 dicembre 1998. Tale deduzione si applica anche alle società in perdita nell’anno, ed aumenta l’importo delle perdite fiscali riportabili a nuovo. Nell’ambito dei componenti considerati indeducibili dalla normativa possono essere ravvisate alcune similarità con la disciplina del reddito d’impresa recata dal Tuir. Tra di essi, infatti, figurano: gli ammortamenti che eccedono gli importi massimi ammessi in deduzione, le spese di rappresentanza, multe e sanzioni, spese di viaggi all’estero eccedenti i limiti stabiliti, il 30 per cento dei costi sopportati per l’uso di autoveicoli da parte dell’imprenditore o degli amministratori, ed in generale tutti i costi non direttamente correlati alla realizzazione dei ricavi. 2.2.3. Perdite Per le perdite fiscali è previsto il riporto in avanti non oltre cinque anni (art. 10, comma 2), così come disposto anche dalla normativa italiana (22). 2.2.4. Transfer pricing La normativa della tassazione delle imprese è caratterizzata, a differenza di quella italiana, dal- (20) Art. 6, D.Lgs. n. 466/1997. (21) Art. 2 della L. 13 maggio 1999, n. 133. (22) Art. 102 del Tuir. RFI - 33 3452 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 La normativa è particolarmente di favore in quanto non richiede il rispetto di condizioni particolari per usufruire dell’agevolazione, come, ad esempio, l’assunzione di un determinato numero di lavoratori o l’effettuazione di investimenti di un determinato ammontare. Qualora, però, si realizzino o si partecipi alla realizzazione di infrastrutture (ad esempio, magazzini, strade, linee elettriche, eccetera) per un valore superiore a 1 milione di kune (pari a circa lire 252.000.000), è prevista l’esenzione totale dalle imposte per i primi 5 anni di attività. Le agevolazioni, inoltre, possono essere incrementate in particolari zone o per specifiche attività, laddove sussista l’interesse economico dello Stato o dell’amministrazione locale (ad esempio, in presenza di investimenti di particolare rilievo). Infine, deve essere rilevato che le zone franche sono gestite in base ad una concessione di durata venticinquennale (25). 2.3. Agevolazioni territoriali 2.4. Ritenute su dividendi, interessi e royalties Una particolare disciplina agevolativa è prevista per i soggetti, locali o esteri, che investono in determinate zone del territorio croato, denominate “zone franche”. In particolare, la legge sulle zone franche prevede che le imposte sui redditi siano applicate con aliquote pari alla metà di quelle previste dalle relative leggi (24). Per le imprese, pertanto, l’aliquota scende al 17,5 per cento, misura decisamente inferiore a quella italiana. In tali zone gli investitori possono esercitare tutti i tipi di attività produttive, commerciali o di fornitura di servizi, salvo quella del commercio al dettaglio. Le attività bancarie, finanziarie ed assicurative sono subordinate ad una specifica autorizzazione della banca centrale e non possono essere svolte in via autonoma, ma solo in funzione delle attività produttive o commerciali. La legislazione tributaria croata è caratterizzata dall’assenza di ritenute interne su interessi, dividendi e royalties, sia se pagati a soggetti residenti che non residenti. Esclusivamente con riferimento ai redditi corrisposti a persone fisiche non residenti in relazione a opere scaturenti da attività artistiche, sportive e letterarie, anche nel campo giornalistico e radiotelevisivo, è applicabile una ritenuta pari al 20 per cento (art. 46 della legge sull’imposta sul reddito personale). In proposito, la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con la ex Jugoslavia ed applicabile anche nei rapporti tra Italia e Croazia in virtù dell’esplicito subentro di questo Stato, prevede nell’art. 12, una ritenuta non superiore al 10 per cento. Per completezza, si segnala che le ritenute convenzionali su interessi e dividendi non possono essere superiori al 10 per cento. il fisco l’assenza di disposizioni in materia di transfer pricing applicabili a società residenti (23). L’unico aspetto considerato riguarda l’applicazione del criterio di valutazione del valore normale in relazione agli interessi pagati a soggetti esteri per finanziamenti (art. 6). Con riferimento alle sedi secondarie di società non residenti, invece, è attribuita all’Amministrazione finanziaria la facoltà di controllare i costi sostenuti per l’acquisto di beni e servizi. In particolare, qualora l’Amministrazione giudichi tali transazioni come operazioni di trasferimento di redditi, la differenza tra i prezzi di acquisto e i prezzi medi di mercato sul mercato interno o estero è aggiunta al reddito imponibile della branch (art. 6, commi 4 e 5). Tra le spese soggette a controllo, la norma prende specificamente in considerazione quelle sostenute per la gestione, per servizi di consulenza, nonché per l’acquisto di marchi, brevetti e licenze. 2.5. Convenzioni contro le doppie imposizioni (23) Sul fenomeno del transfer pricing in generale, si rinvia, per tutti, al rapporto dell’OCSE, OECD Guidelines on Transfer Pricing and Multinational Entreprises, 1995. Per quanto riguarda la normativa vigente nel nostro Paese, si rinvia all’art. 76, comma 5, del Tuir, ed alle relative circolari interpretative del Ministero delle finanze n. 9/2267 del 22 settembre 1980 e n. 42 del 12 dicembre 1981 (rispettivamente, in “il fisco” n. 39/1980, pag. 3681 e n. 2/1982, pag. 213). Da ultimo, si segnalano i tentativi dell’Amministrazione finanziaria di estenderne l’applicazione ai rapporti intercorrenti tra imprese italiane appartenenti al medesimo gruppo, situate in zone agevolate e non, contenuti nella circolare del dipartimento delle entrate del 26 febbraio 1999, n. 53/E (in “il fisco” n. 11/1999, pag. 3865). (24) Art. 36 della legge sulle zone franche, pubblicata sulla G.U. n. 44/1996. RFI - 34 La Repubblica Croata ha Convenzioni contro le doppie imposizioni con vari stati dell’Unione europea (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Svezia, Regno Unito), e dell’ex blocco sovietico (Albania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Macedonia, Polonia, Romania, Russia, Repubblica Slovacca, Ungheria, Ucraina). (25) Per ulteriori dettagli, si permetta il rinvio a First, Mazzetti di Pietralata, Croazia, zone franche dietro l’uscio, in “Commercio Internazionale” n. 3, 1999. La Repubblica di Croazia: sistema tributario 12/2000 il fisco 3453 Molte di esse, come pure la Convenzione in vigore con l’Italia, rappresentano i trattati della ex Jugoslavia accettati dalla Croazia. Ciò può comportare delle difficoltà interpretative in relazione alle imposte a cui risulta applicabile, stanti le riforme fiscali citate (26). Molti di questi trattati, tuttavia, sono già stati rinegoziati o sono in corso di negoziazione. In particolare, deve essere segnalato che la nuova Convenzione con l’Italia è stata parafata il 25 settembre 1998 (27). Nella maggior parte dei casi, i soggetti Iva devono presentare mensilmente una dichiarazione Iva (art. 18). I soggetti Iva le cui cessioni non superano annualmente l’ammontare di 300.000 kune (circa 76 milioni di lire) possono scegliere di presentarla ogni trimestre (art. 16). La dichiarazione annuale deve essere presentata entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello a cui si riferisce (art. 18). 2.6. Imposte indirette 2.6.3. Altre imposte indirette 2.6.2. Obblighi di dichiarazione Altri esempi di imposizione indiretta sono costituiti dall’imposta sui trasferimenti di proprietà e dall’imposta sulle successioni e donazioni. L’imposta sui trasferimenti di proprietà è pari al 5 per cento del valore di mercato (o del valore stimato dalle Autorità fiscali) del bene immobile ed è a carico dell’acquirente. L’imposta sulle successioni e donazioni si applica con l’aliquota del 5 per cento sulle persone giuridiche o fisiche che ereditano o ricevono in dono una proprietà situata in Croazia. L’imposta si applica al momento del trasferimento. 2.6.1. Imposta sul valore aggiunto (26) Il problema è stato sollevato da Basilavecchia, Problematiche tributarie nei rapporti tra Italia e Croazia, in “il fisco” n. 23/1999, pagg. 7712 -7715. (27) Cfr. Valente (a cura di), Doppie imposizioni: convenzioni con l’Italia al 31 dicembre 1998, in “Commercio Internazionale” n. 5, 1999. il fisco L’Imposta sul valore Aggiunto (Porez na Dodanu Vrijednost o P.D.V.) è stata introdotta con la relativa legge, originariamente pubblicata il 12 luglio 1995, ed è entrata in vigore nel 1998. La sua struttura, al fine di allineare l’economia ai principi dell’OCSE, è strettamente basata sui principi dell’Iva europea disciplinati dalla VI Direttiva CEE. La sua introduzione peraltro è stata non priva di polemiche, dato l’elevato livello dell’aliquota unica, gravante su tutti i beni e servizi in misura pari al 22 per cento, e non differenziata secondo le tipologie di prodotti. L’Iva si applica a tutte le cessioni di beni e servizi, l’autoconsumo, le importazioni di beni (art. 2). Tra le operazioni esenti sono comprese le locazioni di immobili per uso privato, i servizi resi dalle banche e dalle compagnie di assicurazione, i servizi medici, educativi e culturali (art. 11). A differenza di quanto previsto dalla legislazione italiana in materia (28), l’esenzione per le operazioni di natura finanziaria non è oggettiva, e cioè basata sui “servizi finanziari”, bensì soggettiva, in quanto prende in considerazione i servizi resi dalle banche. Per quanto riguarda le esportazioni di beni, sono operazioni non imponibili, come in Italia, ma per le fatture emesse in relazione ad esportazioni di beni e servizi esiste un limite temporale di 90 giorni entro il quale, in caso di mancato pagamento delle fatture, l’operazione viene considerata soggetta ad imposta (art. 13). 3. Rilevanza della Croazia ai fini di alcune norme tributarie italiane Esaminiamo ora alcuni aspetti della normativa italiana in materia di diritto tributario internazionale che riguardano in particolare la Repubblica di Croazia. Al riguardo, uno degli elementi di maggior interesse è l’esclusione di tale Paese dalle liste degli Stati con regime fiscale privilegiato, o black list, sia ai fini del reddito d’impresa (29) che ai fini della residenza dei cittadini italiani (30), e l’inclusione in quelle recanti gli Stati che consentono lo scambio di informazioni ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, o white list (31). Riportiamo, dunque, nel prosieguo le conseguenze che scaturiscono dalle disposizioni citate. 3.1. Residenza delle persone fisiche con cittadinanza italiana In primo luogo, per quanto attiene alla tassazione delle persone fisiche, di recente è stata introdotta la presunzione relativa di residenza in Italia a carico dei cittadini italiani emigrati in alcuni parti- (29) Contenuta nel D.M. 24 aprile 1992. (30) Contenuta nel D.M. 4 maggio 1999. (28) Art. 10, comma 1, lettera a), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. (31) Contenuta nel D.M. 4 settembre 1996. RFI - 35 3454 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 colari Stati caratterizzati da un regime di tassazione privilegiato (32). Come noto, tale norma, con evidenti finalità antielusive, ha invertito l’onere della prova a carico del contribuente che si è trasferito e che deve, pertanto, dimostrare l’effettività del cambio di residenza (33). Ai cittadini italiani che emigrino in Croazia, invece, non risulta applicabile la citata presunzione e, ai fini dell’individuazione della qualifica di soggetto residente in Italia ai fini fiscali, resta valido il principio generale dell’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente o della presenza del domicilio o della residenza nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta (34). 3.2.2. Dividendi esteri I dividendi distribuiti da una società collegata residente in Croazia sono tassabili in misura pari al 40 per cento del loro ammontare, in quanto dividendi esteri (37). Non opera, infatti, l’esclusione da tale regime di favore (38), posto che la Croazia non fa parte della citata black list. La parte di tali utili che non concorre a formare il reddito rileva, dunque, ai fini della determinazione del credito d’imposta limitato, contenuto nel cosiddetto “canestro B” (39). 3.2.3. Dual Income Tax e conferimenti di soggetti esteri 3.2. Tassazione dei redditi d’impresa 3.2.1. Operazioni con società estere appartenenti al medesimo gruppo il fisco Come noto, ai fini della tassazione del reddito d’impresa in Italia, non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con società facenti parte del medesimo gruppo situate in Stati con regime fiscale privilegiato, a meno che non sia dimostrato l’effettivo svolgimento di un’attività economica da parte di tali società e l’effettivo interesse economico delle transazioni poste in essere (35). Posto che la Croazia non è inclusa tra i Paesi elencati nella black list, alle imprese italiane che operano con società croate dello stesso gruppo non risultano applicabili i limiti di deducibilità indicati. A fronte di operazioni con società residenti in Croazia che controllano in via diretta o indiretta l’impresa italiana, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla tale impresa, si applicano, comunque, le ordinarie disposizioni in materia di transfer pricing (36). La disciplina della Dual Income Tax relativa alle società di capitali ed agli enti commerciali residenti in Italia (40) prende in esame anche i conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti. Le variazioni in aumento del patrimonio netto, infatti, non rilevano fino a concorrenza dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti controllati da soggetti residenti, qualora non sia stato ottenuto il parere favorevole del comitato consultivo competente in materia di cosiddetto “diritto d’interpello” (41) (42). Di conseguenza, nel caso di società croate controllate da residenti in Italia, eventuali conferimenti in denaro devono essere sterilizzati in mancanza del parere favorevole suddetto. Non esistono problemi, invece, in mancanza di rapporti di controllo. Una ulteriore previsione riguarda l’irrilevanza delle variazioni in aumento fino a concorrenza dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti domiciliati in Paesi diversi da quelli elencati nella white list (43). Tale disposizione, però, non risulta (37) Art. 96 del Tuir. (38) Recata dal comma 1-bis dell’art. 96 del Tuir. (32) Art. 2, comma 2-bis, del Tuir, introdotto dall’art. 10, comma 1, della L. 23 dicembre 1998, n. 448. (39) Art. 105, comma 4, del Tuir e circolare 22 gennaio 1998, n. 26/E, par. 4.1. (in “il fisco” n. 45/1998, pag. 1599). (33) Sul punto, si rinvia alla circolare 24 giugno 1999, n. 140/E (in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9055). Per un commento sulla nuova disciplina si rinvia, senza pretesa di esaustività a Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano, 1999, pagg. 68-74. (40) Recata dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 466. Sulla disciplina della Dit si rinvia a Tanno, La Dual Income Tax Milano, 1998. Per un commento sugli aspetti internazionali della Dit si rinvia, per tutti, a Piazza, op. cit., pagg. 511-523. (34) Art. 2, comma 2, del Tuir. (35) Disciplina contenuta nell’art. 76, commi 7-bis e 7-ter, del Tuir. In proposito si rinvia, per tutti, a Maisto, Il regime tributario delle operazioni intercorrenti tra imprese residenti e società estere soggette a regime fiscale privilegiato, in “Riv. Dir. Trib.” n. 11, 1992. (36) Art. 76, comma 5, del Tuir. RFI - 36 (41) Art. 3, comma 3, lettera a), del D.Lgs. n. 466/1997. (42) L’interpello è stato introdotto dall’art. 21 della L. 30 dicembre 1991, n. 413. Sulla disciplina dell’interpello, da ultimo, si rinvia a Pezzuto, I paradisi fiscali e finanziari, Milano, 1999, capitolo 2.9, ed all’abbondante bibliografia citata in nota dall’Autore. (43) Art. 3, comma 3, lettera b), del D.Lgs. n. 466/1997. La Repubblica di Croazia: sistema tributario applicabile perché la Croazia è inclusa tra gli Stati che consentono lo scambio di informazioni. 3.3. Tassazione dei redditi di capitale percepiti da non residenti 3.4. Tassazione dei redditi diversi percepiti da non residenti Con riferimento ai redditi diversi, in linea di principio le plusvalenze e le minusvalenze nonché i redditi e le perdite aventi natura diversa da quelli originati da partecipazioni qualificate non concor(44) Art. 26-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. (45) Si rileva che con la modifica introdotta dall’art. 2, comma 1, lettera a), n. 1, del D.Lgs. 21 luglio 1999, n. 259, all’art. 20, comma 1, lettera b), del Tuir, gli interessi ed altri proventi di depositi e conti correnti bancari e postali sono stati esclusi da imposizione in Italia se percepiti da soggetti non residenti, a prescindere dal regime fiscale dello Stato di residenza. (46) Art. 6 del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239. (47) Modello 116/IMP, regolato dal D.M. 4 dicembre 1996, n. 632. il fisco L’inclusione della Croazia nella white list e la sua esclusione dalla black list permette di applicare un regime di esenzione previsto in relazione ad alcuni tipi di redditi di capitale percepiti da non residenti (44). In particolare, non sono soggetti a tassazione in Italia gli interessi ed altri proventi derivanti da prestiti aventi ad oggetto beni diversi dal denaro, da rendite perpetue e prestazioni annue perpetue, da prestazioni di fideiussioni e di ogni altra garanzia, da operazioni di pronti contro termine e di riporto su titoli e valute, da operazioni di mutuo di titoli garantito (45). L’esenzione è subordinata all’acquisizione, da parte del soggetto erogante, di un attestato di residenza del percipiente rilasciato dalle autorità fiscali del Paese di appartenenza. Inoltre, i soggetti residenti in Croazia non sono soggetti ad imposizione sui proventi delle obbligazioni e titoli similari emessi dai cosiddetti “grandi emittenti”, e cioè banche e società per azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati italiani, e su quelli dei titoli di Stato e dei titoli equiparati, compresi quelli emessi da enti pubblici economici trasformati in società per azioni (46). Per usufruire dell’esenzione il soggetto non residente deve presentare un’attestazione dell’Autorità fiscale del Paese di residenza (47). 12/2000 il fisco 3455 rono a formare il reddito se percepiti da soggetti residenti in Croazia (48). In particolare, sono escluse da tassazione le plusvalenze da cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti in Italia negoziate in mercati regolamentati, le plusvalenze derivanti da cessione a titolo oneroso di titoli (esclusi quelli rappresentativi di merci) e di certificati di massa negoziati in mercati regolamentati, le plusvalenze da cessioni di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti, i redditi derivanti da contratti a termine di tipo traslativo e di tipo differenziale (49) conclusi in mercati regolamentati e le plusvalenze e gli altri proventi derivanti dalla cessione di rapporti produttivi di redditi di capitale e di crediti pecuniari se derivanti da contratti conclusi in mercati regolamentati (50). Inoltre, nel caso in cui le partecipazioni non qualificate, i titoli ed i certificati di massa non siano negoziati in mercati regolamentati, i redditi derivanti dalla eventuale cessione degli stessi sono esenti per effetto della presenza del Paese nella white list (51). La medesima esenzione si applica ai redditi dei contratti a termine ed alle plusvalenze e agli altri proventi derivanti dalla cessione di rapporti produttivi di redditi di capitale e di crediti pecuniari, originati da contratti non conclusi in mercati regolamentati. In tali casi, però, per poter usufruire del regime di esenzione è necessario che l’erogante acquisisca un attestato di residenza del percipiente, rilasciato dalle autorità fiscali del Paese di appartenenza. (48) In particolare, si fa riferimento ai redditi diversi individuati dall’art. 81, comma 1, lettere da c-bis a c-quinquies, del Tuir (in allegato a “il fisco” n. 27/1998). (49) La circolare del 24 giugno 1998, n. 165/E (in allegato a “il fisco” n. 27/1998), nel paragrafo 2.2.4, definisce come “contratti a termine di tipo traslativo” quelli da cui deriva l’obbligo di acquistare o cedere a termine strumenti finanziari, valute estere, metalli preziosi o merci e come “contratti a termine di tipo differenziale” quelli da cui deriva l’obbligo di effettuare o ricevere a termine uno o più pagamenti commisurati a tassi d’interesse, a quotazioni di strumenti finanziari, di valute estere, di metalli preziosi, di merci e ad ogni altro parametro di natura finanziaria. (50) L’esclusione di tutti i redditi elencati è contenuta nell’art. 20, comma 1, lettera f), del Tuir, come modificato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 259/1999. Per un commento alle modifiche al regime d’imposizione dei redditi di capitale e diversi recate dal decreto legislativo citato, si rinvia a Piazza, Fisco leggero sulle operazioni di cambio in perdita, in “Guida Normativa”, 17 agosto 1999, n. 145, pagg. 43 e Tuir. (51) Art. 5, comma 5, del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461. RFI - 37 CONTENITORI per raccogliere la rivista il fisco I contenitori consentono di consultare la raccolta alla stregua di un volume in quanto ciascuna copia della rivista è trattenuta al centro del dorso del raccoglitore da un filo metallico. Colore rosso amaranto, rivestiti in similpelle, scritte in oro. Anno 2000 4 contenitori trimestrali (con fili) L. 120.000 Anno 1999 Anno 1998 Anno 1997 Anno 1996 Anno 1995 Anno 1994 Anno 1993 Anno 1992 Anno 1991 Anno 1990 Anno 1989 Anno 1988 Anno 1987 Anno 1986 Anno 1985 Anno 1984 Anno 1983 Anno 1982 Anno 1981 Anno 1980 Anno 1979 Anno 1978 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 3 3 3 3 3 3 2 2 contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori trimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori quadrimestrali contenitori semestrali contenitori semestrali (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (con fili) (senza fili) (senza fili) (senza fili) (senza fili) L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. L. 120.000 120.000 120.000 120.000 120.000 120.000 120.000 120.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 80.000 80.000 80.000 80.000 80.000 80.000 80.000 80.000 Nel prezzo sono inoltre compresi il costo dell'imballaggio e le spese postali. L'importo deve essere versato su c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario “non trasferibile” intestato a ETI S.p.a. - Viale Mazzini, 25 - 00195 - Roma. Non si spedisce in contrassegno, il pagamento è anticipato. E' indispensabile indicare il proprio codice fiscale. Spedizione entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta. Rassegna di fiscalità internazionale Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale A partire da questo numero, Rassegna di Fiscalità Internazionale dedicherà una nuova sezione ad un corso-teorico pratico di fiscalità internazionale a cura di Gianpaolo Valente Due banche dati giuridiche essenziali e indispensabili! 1 il fiscovideo ® Da tredici anni la più completa banca dati tributaria su CD Contiene: • Legislazione tributaria rilevante, dal 1910 ad oggi • Istruzioni e circolari ministeriali • Giurisprudenza annotata o commentata • Scadenzario-Formulario • Convenzioni internazionali • Commenti esplicativi • Approfondimenti TM TM La legge sono io. *Compatibile sia con interfaccia Windows che Mac 2 OS Certezza e tempestività Il primo multipiattaforma* Nome Cognome Azienda/Ente Compili e spedisca via Fax allo: 068079223 oppure per posta a: De Agostini Giuridica V.le M.llo Pilsudski, 124 - 00197 Roma e-mail: [email protected] Professione Indirizzo CAP Città Prov. Tel. Fax e-mail Con la compilazione del presente questionario acconsento a mettere a disposizione i miei dati, a norma dell’art. 13 della Legge 675/1996, per ricevere, anche tramite Vostri incaricati, ulteriori vantaggiose proposte, informazioni commerciali e scientifiche, campioni gratuiti di prodotti, omaggi e sondaggi d’opinione. Solo se intende rinunciare a tale opportunità barri questa casella ❑ Cod. 7728 Desidero ricevere subito e senza impegno informazioni sulle Banche Dati De Agostini Giuridica Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale 12/2000 il fisco 3459 CORSO TEORICO-PRATICO DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE L’espansione sul mercato estero di Gianpaolo Valente (*) La fase iniziale di espansione all’estero di una società commerciale residente si può realizzare, di regola, attraverso: pio - una espansione “graduale” della società residente verso i mercati esteri. Almeno inizialmente la società opererà all’estero senza costituirvi una stabile organizzazione (ad esempio, mediante agenti indipendenti) e solo successivamente consoliderà la propria presenza all’estero mediante strutture più articolate; occorrerà valutare: - l’utilizzo di una rete di agenti indipendenti; - l’apertura di un ufficio di rappresentanza, con funzioni preparatorie e/o ausiliarie (attività promozionale, di ricerca, di commercializzazione, …); - l’istituzione di una sede secondaria con rappresentanza stabile, ma priva di autonomia giuridica (filiale o branch); - la costituzione di società o enti dotati di completa autonomia giuridica, costituiti e controllati dalla casa madre (società controllata o subsidiary). Agenti indipendenti Italia Stabile organizzazione Società controllata I canali di espansione sopra schematizzati - con problematiche diversamente articolate sia da un punto di vista operativo sia fiscale - devono essere valutati essenzialmente in funzione del consolidamento dell’attività estera. Pare ragionevole ipotizzare - in linea di princi- (*) Gruppo di Studio - Eutekne. il fisco Ufficio di rappresentanza - quali siano le soluzioni più vantaggiose per cogliere le opportunità dei mercati esteri (stabile organizzazione, sede secondaria ovvero costituzione di nuova società); - se possedere direttamente o indirettamente l’investimento nei vari Paesi; - come razionalizzare ed ottimizzare gli investimenti effettuati ed i flussi finanziari (in particolare i flussi di dividendi, interessi e royalties); - come configurare la struttura del gruppo (gruppo a struttura semplice, complessa o a catena); - dove localizzare la holding o le sub holding; - dove localizzare il marchio. 1. Worldwide principle e doppia imposizione Il nostro ordinamento prevede, per i soggetti residenti in Italia, il principio della tassazione dei redditi ovunque prodotti (“tassazione su base mondiale” o worldwide principle); tali soggetti sono pertanto assoggettati ad imposizione diretta ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche (Irpeg) anche per i redditi prodotti all’estero. I soggetti non residenti sono invece assoggettati a tassazione limitatamente ai redditi prodotti nel territorio dello Stato (1). (1) Si veda per tutti Leo-Monacchi-Schiavo, Le imposte sul reddito nel testo unico, Milano, 1999 e Lupi, Diritto Tributario, Parte speciale, Milano, 1998, pag. 46. RFI - 41 3460 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 (2) Il criterio della localizzazione geografica dei redditi è un criterio di collegamento di tipo oggettivo. (3) Per la definizione di “Doppia imposizione internazionale” si veda “Digesto delle Discipline Privatistiche”, sezione commerciale, voce Doppia imposizione internazionale, pagg. 181 e seguenti con commento di Fantozzi e Vogel. Si veda altresì “Enciclopedia del diritto”, voce Doppia imposizione, Milano, pag. 1008 con commento di Vitale, e pag. 1016 con commento di Adonnino; Lovisolo, Il sistema impositivo dei dividendi, Padova, 1980, pag. 107 (con riferimento alla doppia imposizione dei dividendi); Pires, International Juridical Double Taxation of income, Deventer, 1989; Frommel, Taxation of branches and subsidiaries in Western Europe, Canada and USA, Deventer, 1978; Uckmar, La tassazione degli stranieri in Italia, Padova, 1955; Garbarino, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990; Valente Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, Milano, Ipsoa, 1999. (4) In tal senso si veda Lupi, op. cit., pagg. 59-60. (5) In proposito si veda la nota di Garbarino a Comm. trib. di I grado di Roma, 17 ottobre 1983, Adattamento del diritto tributario interno alle convenzioni contro le doppie imposizioni, in “Dir. Prat. Trib.”, 1987, II, pag. 3. (6) In tal senso si veda Fantozzi e Vogel in “Digesto delle Discipline Privatistiche”, sezione commerciale, voce Doppia imposizione internazionale, pagg. 181 e seguenti. RFI - 42 Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni assolvono alla funzione (7) di eliminare la doppia imposizione in materia tributaria; a tal fine è infatti prevista una limitazione del potere impositivo dei singoli Stati contraenti con riferimento alla fonte da cui proviene il reddito ed alla residenza del percettore. Come sopra accennato, la doppia imposizione internazionale può verificarsi per effetto di contrasti tra due ordinamenti che adottano lo stesso criterio di collegamento tra il fatto generatore del reddito e l’ordinamento giuridico dello Stato o criteri di collegamento diversi (8): il fisco La maggior parte degli Stati, al pari dell’Italia, adotta tale principio di tassazione per i soggetti residenti worldwide, caratterizzato da un criterio di collegamento di tipo soggettivo - quale la residenza, la sede o la cittadinanza - tra il fatto generatore del reddito e l’ordinamento giuridico. Altri Stati adottano il principio della “tassazione su base territoriale” (source principle), con relativa applicazione dell’imposta sulla base della localizzazione geografica dei redditi sia per i soggetti non residenti sia per i soggetti residenti, con conseguente esenzione dei redditi prodotti all’estero (2). L’esercizio della potestà impositiva dei singoli Stati su elementi di reddito prodotti o che si verificano al di fuori del territorio dello Stato, si fonda sulla presenza di elementi di collegamento tra l’episodio generatore del reddito e l’ordinamento giuridico dello Stato (la residenza, la sede, la cittadinanza o la localizzazione geografica del reddito) e comporta normalmente una sovrapposizione delle sfere di potestà impositiva - con conseguente rischio di doppie imposizioni (3) in caso di redditi di fonte estera (4) (5), allorquando uno stesso reddito e/o patrimonio è assoggettato ad imposta due o più volte in capo allo stesso soggetto da parte di due o più Stati (6) Il diritto fiscale internazionale non prevede un divieto della doppia imposizione; ogni Stato conserva piena sovranità impositiva in materia tributaria, senza possibilità di limitazioni da parte di autorità o entità superiori, fatta eccezione per i limiti che gli Stati stessi si autoimpongono attraverso i trattati bilaterali o multilaterali ed in particolare attraverso le Convenzioni contro le doppie imposizioni. - un criterio di collegamento di tipo personale (ad esempio, la residenza), per cui lo stesso soggetto è considerato residente da entrambi gli Stati in applicazione delle rispettive legislazioni interne; - un criterio di collegamento oggettivo (ad esempio, il luogo di produzione del reddito), per cui entrambi gli Stati considerano prodotto nel proprio territorio, in base alla legislazione interna, lo stesso reddito; - due criteri di collegamento diversi: rispettivamente, un criterio di collegamento di tipo personale (ad esempio, la residenza) ed un criterio di collegamento oggettivo (ad esempio, il luogo di produzione del reddito). L’art. 127 del Tuir prevede il divieto della doppia imposizione: “La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi”; tale disposizione “riproduce, nella forma e nella sostanza” (9) l’art. 67 del D.P.R. n. 600/1973 (10). Al fine di evitare la doppia imposizione, il nostro ordinamento prevede, per i soggetti resi(7) La maggior parte delle Convenzioni fiscali internazionali assolve altresì al compito di prevenire le evasioni fiscali. (8) Così Vitale, “Enciclopedia del diritto”, voce Doppia imposizione, pagg. 1009-1010. (9) In tal senso Leo-Monacchi-Schiavo, cit., pag. 1657. (10) Leo-Monacchi-Schiavo (op. cit., pag. 1657) rilevano come “la collocazione di tale norma nell’ambito della disciplina riguardante le imposte sui redditi trova la sua giustificazione nel fatto che la norma stessa enuncia un principio di carattere sostanziale e che solo di riflesso attiene all’accertamento, come si afferma nella relativa nota illustrativa ministeriale. La Corte di Cassazione (cfr. sent. 8 settembre 1980, n. 516) ha affermato che il divieto di doppia imposizione diventa operante, per sua natura, non al momento dell’accertamento dei presupposti dell’imposizione, che può avvenire anche nei confronti di soggetti diversi quando quei presupposti siano fra loro comuni, ma al momento successivo della concreta applicazione dell’imposta e cioè al momento della sua liquidazione”. Nello stesso senso si veda anche la relazione governativa allo schema del testo unico sub art. 129. Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale denti, l’applicazione del credito d’imposta ex artt. 15 e 92 del Tuir per i redditi prodotti all’estero ed ivi assoggettati a tassazione a titolo definitivo, che concorrono a formare il reddito complessivo ai fini Irpef o Irpeg; il metodo del credito d’imposta consente la detrazione delle imposte pagate all’estero dall’imposta netta dovuta, fino a concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo (11). Come osservano Leo-Monacchi-Schiavo (12), il principio del divieto della doppia imposizione sancito nell’art. 127 del Tuir “viene garantito anche attraverso lo strumento delle Convenzioni internazionali, fermo restando quanto disposto dal successivo art. 128, in base al quale le disposizioni del Tuir si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga alle suddette Convenzioni”. 12/2000 il fisco 3461 - ovvero hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43, comma 2, del codice civile (14). Le tre condizioni sopra richiamate sono tra loro alternative; sarà pertanto sufficiente il verificarsi di una sola di tali condizioni affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente nel territorio dello Stato (15) (16). L’anagrafe della popolazione residente è il registro nel quale sono annotate le persone che vivono in un determinato comune italiano in un determinato momento. Il trasferimento della residenza fiscale viene, pertanto, suffragato dalla cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente. Il trasferimento della residenza all’estero comporta l’obbligo di iscrizione della persona nella apposita anagrafe degli italiani residenti all’estero (A.I.R.E.). 2. Cenni alla nozione di residenza - sono iscritte nelle anagrafi comunali della popolazione residente; - ovvero hanno il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43, comma 1, del codice civile; (11) Tale metodo, detto del “credito ordinario” si differenzia dal metodo del “pieno credito” che prevede la concessione, da parte dello Stato di residenza, della deduzione dell’importo totale delle imposte pagate nell’altro Stato sul reddito imponibile in tale Stato. (12) Op. cit., pag. 1658. (13) Per approfondimenti si rimanda a Garbarino, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990. il fisco Come sopra accennato, l’esercizio della potestà impositiva dei singoli Stati si fonda sulla presenza di elementi di collegamento tra l’episodio generatore del reddito e l’ordinamento giuridico dello Stato stesso. La maggior parte degli Stati, al pari dell’Italia, adotta il principio della tassazione dei redditi ovunque prodotti (worldwide principle), caratterizzato da un criterio di collegamento di tipo soggettivo - quale la residenza, la sede o la cittadinanza tra il fatto generatore del reddito e l’ordinamento giuridico. Il nostro ordinamento ricollega la tassazione dei redditi su base mondiale al possesso della residenza fiscale nel territorio dello Stato. I soggetti residenti sono, pertanto, assoggettati ad imposizione anche per i redditi prodotti all’estero; i soggetti non residenti sono, invece, assoggettati a tassazione limitatamente ai redditi prodotti nel territorio dello Stato (13). Ai fini delle imposte sui redditi sono considerate residenti le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta: (14) Con riferimento alla nozione di residenza ai fini fiscali, l’art. 10 della L. 23 dicembre 1998, n. 448 ha provveduto ad integrare i criteri fissati dall’art. 2 del Tuir per l’individuazione della residenza nei confronti delle persone fisiche emigrate in Paesi caratterizzati da un “regime fiscale privilegiato”, con conseguente sottrazione di materia imponibile in Italia. Il nuovo comma 2-bis dell’art. 2 dispone che “Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”. Lo stesso art. 10 citato modifica anche l’art. 58, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973 (in tema di domicilio fiscale), aggiungendo dopo le parole “pubblica amministrazione,” le parole “nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, del Tuir”. (15) La legge non specifica quali soggetti si considerino non residenti; la definizione di non residente deve pertanto desumersi argomentando a contrariis. È fiscalmente non residente chi non si trova in nessuna delle ipotesi sopra indicate per individuare i residenti ai fini fiscali; non è invece rilevante il fatto che un soggetto sia residente in altro Paese: questo non impedisce che possa essere considerato residente anche in Italia. (16) Per quanto riguarda inoltre il “domicilio fiscale” delle persone fisiche e dei soggetti diversi dalle persone fisiche si rimanda all’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973 e a Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano, 1999. I commi 2 e 3 dell’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973 così recitano: “Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte. Quelle non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato. I cittadini italiani che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato. I soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa manchi, essi hanno il domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività”. RFI - 43 3462 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 La giurisprudenza civilistica ha avuto modo di rilevare che la cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero non sono sufficienti a determinare l’esclusione della residenza fiscale nel territorio dello Stato (17). Le risultanze anagrafiche hanno solo valore presuntivo (18). La residenza anagrafica, quindi, si presume effettiva. Si tratta di una presunzione semplice, fatto salvo il limite posto a tutela dei terzi all’art. 44 del codice civile. In presenza di dati anagrafici contraddetti da atti e dichiarazioni in senso contrario, spetta all’interessato l’onere della prova (19). Ne deriva che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente è condizione necessaria, ma non sufficiente per non essere assoggettati all’imposta sul reddito delle persone fisiche. L’iscrizione presso l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, pur comportando la cancellazione dai registri anagrafici del comune di residenza, non è sufficiente a provare l’inesistenza della residenza fiscale italiana (20). dicembre 1997 (paragrafo 1) (in “il fisco” n. 46/1997, pag. 13664), deve, pertanto, “considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga, nel senso sopra illustrato, il ‘centro’ dei propri interessi familiari e sociali in Italia”. La permanenza del domicilio di una persona deve essere desunta da tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, provino la presenza del suo centro di interessi sul territorio dello Stato (22). 2.2. La definizione civilistica di “residenza” 2.1. La definizione civilistica di “domicilio” (17) Come osserva Marino (op. cit., pag. 1375), “la giurisprudenza civilistica è costante nel considerare le risultanze delle scritture anagrafiche come mere presunzioni contro le quali è ammissibile la prova contraria anche per mezzo di presunzioni semplici”. L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è disciplinata dalla L. n. 1228/1954 e dal D.P.R. n. 223/1989 che ha sostituito il D.P.R. n. 136/1958. (18) Cass., sent. n. 4829 del 20 settembre 1979, in “Giust. civ. Mass.” 1979, fasc. 9. (19) Cass., sent. n. 4705 dell’8 novembre 1989, in “Giust. civ.” 1990, I, pag. 74. (20) In tal modo si è orientato anche il Ministero delle finanze; si veda la nota del 2 maggio 1995 relativa al caso dei cittadini italiani “emigrati” a Montecarlo e la citata circolare n. 304/E del 2 dicembre 1997. (21) Cass. sent. n. 2936 del 5 maggio 1980, in “Giust. civ. Mass”, 1980, fasc. 5.; Trabucchi (op. cit., sub art. 43) osserva che i connotati essenziali del domicilio sono la stabilità e la principalità. “La stabilità presuppone la intenzionale non-provvisorietà, ma non una particolare durata, anche se questa resta RFI - 44 il fisco La norma fiscale rimanda al codice civile per la definizione di “domicilio”. Ai sensi dell’art. 43, comma 1, del codice civile, il domicilio è il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La nozione di domicilio riguarda la generalità dei rapporti del soggetto, ricomprendendo anche gli interessi di carattere familiare, sociale e morale (21). Come chiarito dalla circolare n. 304/E del 2 La norma fiscale rimanda al codice civile per la definizione di “residenza”; la residenza è definita dall’art. 43, comma 2, del codice civile come il luogo in cui una persona ha la dimora abituale (23). La Cassazione (24) precisa che la nozione di residenza è data “dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento”. Data la rilevanza dell’elemento intenzionale (“abituale e volontaria dimora”), la residenza “sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori dal comune di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali” (25). La stessa Cassazione (26) ha, inoltre, osservato che l’acquisto della residenza non è subordinato al pur sempre un indice significativo”; “la principalità, che non deve necessariamente essere volontaria e consapevole, è concetto relativo ma esclusivo”. (22) Cass. sent. n. 2936 del 5 maggio 1980, cit. (23) Trabucchi, (op. cit., sub art. 43) chiarisce che la nozione di dimora abituale “presuppone l’attualità della presenza fisica del soggetto, in via transitoria, pur non essendo incompatibile con il suo momentaneo allontanamento”; è esclusa peraltro la possibilità di avere “una pluralità di dimore contemporanee” ed inoltre “la dimora non coincide col momentaneo soggiorno ma richiede un minimo di stabilità”. (24) Cass. sent. n. 791 del 5 maggio 1985, in “Giust. civ. Mass.” 1985, fasc. 2. (25) Cass. sent. n. 1738 del 14 marzo 1986, in “Giust. civ. Mass” 1986, fasc. 3. (26) Cass. sent n. 4525 del 6 luglio 1983, in “Giust. civ. Mass” 1983, fasc. 7. Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale decorso di un periodo di tempo: “per determinare il momento in cui può ritenersi acquistata la residenza, non è necessario, peraltro, che la permanenza in un determinato posto si sia già protratta per un tempo più o meno lungo, ma è sufficiente accertare che la persona abbia fissato in quel posto la propria dimora con l’intenzione desumibile da ogni elemento di prova anche con giudizio ex post, di stabilirvisi in modo non temporaneo”. Il concetto di residenza è fondato sull’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e soggettivo dell’intenzione di averci stabile dimora, rilevata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali (27). d), del Tuir, questi soggetti si considerano residenti se “per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”. L’oggetto principale è determinato: - in base all’atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata; - in mancanza, in base all’attività effettivamente esercitata. 2.5. La nozione di “residenza” per le società di capitali Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche, ai sensi dell’art. 87, comma 3, del Tuir, si considerano residenti “le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”. Sull’argomento Leo-Monacchi-Schiavo (30) precisano che è irrilevante la circostanza che la società sia costituita all’estero se la sede legale, o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale sono localizzati nel territorio dello Stato; ai fini fiscali la suddetta società risulterà infatti residente in Italia se anche uno solo degli elementi sopra riportati è localizzato nel territorio dello Stato (31). In sintesi, per stabilire la residenza: 2.3. Il requisito temporale (“per la maggior parte del periodo d’imposta”) 2.4. La nozione di “residenza” per le società di persone Per quanto riguarda le società di persone e i soggetti assimilati, ai sensi dell’art. 5, comma 3, lettera (27) La circolare del Ministero dell’interno del 29 maggio 1995, n. 8 precisa che il soggetto che si trovi in queste condizioni, verificate da appositi accertamenti, ha un diritto soggettivo all’iscrizione all’anagrafe che non può essere vincolato da altri elementi, rilevanti ma non essenziali, quali: 1) la disponibilità di stabile, idonea e regolare abitazione; 2) lo svolgimento di attività lavorativa nello stesso comune; 3) la contemporanea iscrizione di tutti i componenti il nucleo familiare; 4) la mancanza di precedenti penali. (28) Così la circolare n. 304/E del 1997 (cit). (29) Le Convenzioni contro le doppie imposizioni fanno generalmente riferimento all’espressione “183 giorni”. il fisco La definizione fornita dall’art. 2 del Tuir fa riferimento all’espressione “per la maggior parte del periodo d’imposta”, sia nel caso dell’iscrizione anagrafica sia nelle ipotesi di domicilio o di residenza ai sensi del codice civile. In tal modo il legislatore “ha inteso, in effetti, richiedere la sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato, tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione” (28). Tale espressione, a seconda dell’anno solare di 365 o 366 giorni, corrisponderà pertanto ad un periodo di 183 o 184 giorni, anche non continuativo (29). La circolare n. 304/E del 1997 (paragrafo 1) osserva che “la circostanza che il soggetto abbia mantenuto in Italia i propri legami familiari o il ‘centro’ dei propri interessi patrimoniali e sociali deve ritenersi sufficiente a dimostrare un collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano tale da far ritenere soddisfatto il requisito temporale previsto dalla norma”. 12/2000 il fisco 3463 - se dall’atto costitutivo risulta che la sede legale è all’estero, si fa riferimento alla sede legale estera, a patto che non esista nessuno degli altri due elementi nel territorio dello Stato; - occorrerà quindi verificare se la sede amministrativa è situata nel territorio dello Stato (luogo in cui viene svolta l’attività di gestione) (32); - se oltre alla sede legale anche la sede amministrativa non è situata nel territorio dello Stato, si (30) Op. cit., pag. 1341. (31) Ai sensi dell’art. 46 del codice civile, per la residenza o il domicilio delle persone giuridiche si fa riferimento al luogo dove è stabilita la loro sede. Secondo la Cass. n. 3604 del 16 giugno 1984 (in “Giust. civ. Mass.” 1984, fasc. 6) la “sede effettiva” è ravvisabile nel “luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente”. Inoltre: ai sensi dell’art. 2197 del codice civile, l’istituzione nel territorio dello Stato di una sede secondaria con una rappresentanza stabile comporta l’iscrizione all’ufficio del registro delle imprese del luogo ove è la sede principale dell’impresa; l’obbligo riguarda gli imprenditori con sede principale situata sia in Italia che all’estero; ai sensi dell’art. 2505 del codice civile, le società costituite all’estero che hanno la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’impresa nel territorio dello Stato sono soggette alle disposizioni della legge italiana. (32) La sede amministrativa può essere desunta dall’esistenza di uffici amministrativi o dall’indicazione su documenti e fatture. RFI - 45 3464 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 fa riferimento all’oggetto principale dell’attività determinato sulla base dell’atto costitutivo o in base all’attività effettivamente esercitata. - il centro degli interessi vitali è identificabile nel luogo ove il soggetto mantiene le proprie relazioni familiari e sociali; ove ha la propria occupazione, o la sede principale degli affari, ove intrattiene attività politiche, culturali ed interessi diversi; - il soggiorno abituale è il luogo (o i luoghi all’interno del medesimo Stato) ove il soggetto ha dimorato abitualmente (ossia per un periodo di tempo sufficiente a configurare abitualità) (35); - la sede dell’effettiva direzione (per le persone diverse dalle persone fisiche) è data dal luogo ove l’attività viene esercitata effettivamente (diversamente, ad esempio, dal luogo ove ha sede la società o impresa) (36). 2.6. La nozione di residenza secondo il Modello OCSE contro le doppie imposizioni L’art. 4 del Modello OCSE fornisce la definizione del termine “residente”. Tale nozione è di fondamentale importanza per l’individuazione del presupposto soggettivo di cui all’art. 1 e per risolvere i casi di doppia imposizione che nascono in conseguenza del fatto che: - entrambi gli Stati contraenti considerano un soggetto residente nel loro territorio agli effetti della loro legislazione interna (casi di doppia residenza); - la tassazione è consentita nello Stato di residenza del soggetto e nello Stato della fonte; - il concetto di residenza è collegato a differenti criteri, ordinati gerarchicamente. Si tratta di: 3. Cenni alla nozione di domicilio fiscale L’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973 stabilisce, ai fini dell’applicazione dell’imposta, che ogni soggetto si intende domiciliato in un comune dello Stato. Tale principio subisce delle specificazioni a seconda che i soggetti: a) concetto di residenza esistente nelle legislazioni fiscali nazionali; b) (in subordine): ● per le persone fisiche: tenti; ● per le persone diverse dalle persone fisiche: sede dell’effettiva direzione. Le disposizioni dettate dalle singole legislazioni fiscali interne possono essere derogate, in applicazione del paragrafo 2 dell’art. 4, qualora un soggetto sia considerato residente di entrambi gli Stati contraenti ai sensi delle disposizioni convenzionali. In tal caso saranno applicabili i criteri sopra indicati. La sede dell’effettiva direzione - per le persone diverse dalle persone fisiche - è data dal luogo ove l’attività viene esercitata effettivamente (diversamente, ad esempio, dal luogo ove ha sede la società o impresa) (33). Per quanto riguarda i criteri di cui sopra, essi sono così definibili: - il luogo di abitazione permanente è costituito dal luogo che il soggetto ha eletto a propria dimora, destinata ad utilizzo permanente (34); (33) Il luogo ove viene effettivamente esercitata l’attività può essere costituito, altresì, dal luogo ove è situata la stabile organizzazione, ai sensi dell’art. 5. (34) Con riferimento all’abitazione, il commentario OCSE all’art. 4 precisa che l’elemento essenziale è che l’abitazione sia RFI - 46 il fisco 1) luogo di abitazione permanente; 2) centro degli interessi vitali; 3) soggiorno abituale; 4) nazionalità; 5) comune accordo delle autorità compe- - siano persone fisiche ovvero soggetti diversi dalle persone fisiche; - siano o meno residenti nel territorio dello Stato (37) (38). permanente; pertanto non si considera abitazione permanente la disponibilità occasionale, da parte di un individuo, di un’abitazione per un certo periodo di tempo, ad esempio, in occasione di viaggi di piacere, viaggi di lavoro, periodi di soggiorno all’estero frequentando corsi a scuola, eccetera. (35) Il soggiorno abituale rileva nei casi in cui la persona ha un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti o nel caso in cui non possieda abitazioni permanenti nei due Stati contraenti. (36) Il luogo ove viene effettivamente esercitata l’attività può essere costituito, altresì, dal luogo ove è situata la stabile organizzazione, ai sensi dell’ art. 5 del Modello OCSE. (37) Si veda in tal senso la relazione ministeriale allo schema di D.P.R. n. 600/1973 sub art. 58. Come precisa la stessa relazione ministeriale citata, “la nozione di domicilio fiscale non coincide interamente con quella del codice civile come centro di interessi o sede principale dei propri affari (art. 43 del codice civile): essa si avvicina a quella di residenza di diritto comune (art. 43, comma 1, codice civile) in relazione soprattutto alla rilevanza attribuita all’iscrizione anagrafica”. (38) In deroga alle disposizioni dell’art. 58, il successivo art. 59 del D.P.R. n. 600/1973 dispone che l’Amministrazione finanziaria può stabilire il domicilio fiscale nel comune in cui il soggetto svolge “in modo continuativo la principale attività” ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, “nel comune in cui è stabilita la sede amministrativa”, anche se il comune è situato in altra provincia diversa da quella in cui il soggetto svolge l’attività principale o è stabilita la sede amministrativa della società.” Si veda anche la relazione ministeriale allo schema di D.P.R. Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale 3.1. La nozione di domicilio fiscale per le persone fisiche n. 600/1973 sub art. 59, la circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977 e la risoluzione n. 10/1455 del 18 novembre 1976; con riferimento alla decorrenza della variazione del domicilio fiscale, si vedano le risoluzioni n. 11/1116 del 19 giugno 1978, n. 11/498 del 25 settembre 1978 e n. 11/1115 del 1° dicembre 1980 (rispettivamente, in “il fisco” n. 20/1978, pag. 47, n. 19/1978, pag. 75, e n. 3/1981, n. 276). (39) Il Ministero delle finanze ha pubblicato il decreto ministeriale che approva la lista dei Paesi considerati paradisi fiscali ai fini dell’applicazione dell’art. 10 della L. n. 448/1998. La “nuova” black list (D.M. 4 maggio 1999) coincide solo in parte con quella di cui al D.M. 24 aprile 1992, emanata in attuazione dell’art. 76, comma 7-bis, del Tuir; tale disposizione, infatti, è collocata in un diverso contesto normativo - con finalità e destinatari diversi - trovando applicazione con riferimento alle “società domiciliate fiscalmente in Paesi a regime fiscale privilegiato” e colpisce l’utilizzo di società di paradisi fiscali, mentre il citato art. 10 riguarda la residenza delle persone fisiche. La circolare n. 140/E del 1999 (paragrafo 3) precisa che l’individuazione dei paradisi fiscali “è svincolata da qualsiasi limite, sia in ordine al livello quantitativo della tassazione sia per quanto riguarda l’aderenza o meno all’Unione europea dei Paesi stessi”, inoltre, viene ad essere superata “la tradizionale distinzione tra i cosiddetti paradisi fiscali (tax havens) e i Paesi che adottano regimi fiscali preferenziali (harmful preferential tax regimes), operando, con riguardo alle finalità del regime presuntivo appena introdotto, una sostanziale parificazione delle due realtà tipologiche, come peraltro deciso in sede OCSE quanto alle adottande misure di contrasto del fenomeno della concorrenza fiscale ‘nefasta’ ”. Di seguito si riportano i Paesi inclusi nella nuova black list, La circolare n. 140/E del 24 giugno 1999 (paragrafo 6) (in “il fisco” n. 27/1999, pag. 9055) precisa che la modifica si è resa necessaria in considerazione del fatto che i cittadini italiani emigrati in paradisi fiscali “non sono riconducibili in nessuna delle categorie già in precedenza contemplate dal predetto art. 58, che pure già conosceva la categoria delle ‘persone fisiche … non residenti’, nel cui ambito sicuramente rientrano i cittadini realmente emigrati in un Paese estero, avente o meno un regime fiscale privilegiato”. 3.2. La nozione di domicilio fiscale per i soggetti diversi dalle persone fisiche il fisco Ai sensi dell’art. 58 del D.P.R. n. 600/1973, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe civile sono iscritte. Come precisato dalla circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977, tale disposizione è da mettere in relazione con il citato art. 2, comma 2, del Tuir. Ai fini della identificazione del domicilio fiscale delle persone fisiche non residenti, occorre fare riferimento al comune nel quale i redditi sono prodotti. Qualora il reddito venga prodotto in più comuni, occorre fare riferimento - ai sensi dell’art. 58, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973 - al comune in cui si è prodotto il reddito più elevato. Come sopra accennato, l’art. 10, comma 2, della L. n. 448/1998 ha provveduto a modificare anche l’art. 58, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, aggiungendo dopo le parole “pubblica amministrazione,” le parole “nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, del Tuir”. Di conseguenza, per effetto della novità apportata dal citato comma 2 dell’art. 10, i cittadini italiani emigrati in paradisi fiscali continuano ad avere il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza anagrafica (39). 12/2000 il fisco 3465 La relazione ministeriale allo schema di D.P.R. n. 600/1973 chiarisce che con l’espressione “soggetti diversi dalle persone fisiche” si è voluto indicare “non solo le persone giuridiche di qualsiasi tipo, ma ogni soggetto passivo tributario non avente piena soggettività giuridica”. La circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977 precisa, inoltre, che i soggetti residenti nel territorio dello Stato che interessano ai fini della determinazione del domicilio fiscale sono le società commerciali organizzate secondo la forma delle società di capitali, le società di persone, gli enti pubblici e privati di cui all’art. 87 del Tuir. Ai fini della determinazione del domicilio fiscale di tali soggetti occorre fare riferimento, ai sensi dell’art. 58, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973: - al comune in cui si trova la sede legale; - (ovvero) al comune in cui si trova la sede amministrativa; - (ovvero) al comune ove esiste una sede secondaria; - (ovvero) al comune in cui viene esercitata prevalentemente l’attività (40). Con riferimento poi ai soggetti (diversi dalle persone fisiche) non residenti - che non hanno né la sede legale né quella amministrativa nel territorio dello Stato, ma che svolgono attività produttiva di evidenziando l’esistenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con l’Italia e se tali Paesi sono inclusi nella già citata white list. Alderney, Andorra, Anguilla, Antigua e Barbuda, Antille Olandesi, Aruba, Bahama, Bahrein, Barbados, Belize, Bermuda, Brunei, Cipro, Costa Rica, Dominica, Emirati Arabi Uniti, Ecuador, Filippine, Gibilterra, Gibuti, Grenada, Guernsey, Hong Kong, Isola di Man, Isole Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Vergini Brit., Jersey, Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Malaysia, Maldive, Malta, Maurizio, Monserrat, Nauru, Niue, Oman, Panama, Polinesia Francese, Monaco, San Marino, Sark, Seicelle, Singapore, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent, Svizzera, Taiwan, Tonga, Turks e Caicos, Tuvalu, Uruguay, Vanuatu, Samoa. (40) Così anche la circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977. RFI - 47 3466 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 reddito o possiedono redditi imponibili - occorre verificare l’esistenza in Italia di una sede secondaria (41); inoltre, in caso di presenza di più sedi secondarie, occorrerà fare riferimento alla sede che abbia la rappresentanza stabile, regolarmente registrata in conformità al disposto dell’art. 2506 del codice civile (42). nute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, intese a contrastare il fenomeno del cosiddetto treaty shopping, nonché nelle norme antielusione contenute nelle normative interne dei singoli Paesi. 4.1. L’ufficio di rappresentanza all’estero L’ufficio di rappresentanza può essere considerato la forma di presenza minima di una società residente nel territorio di uno Stato estero. Si tratta di una sede fissa sul territorio dello Stato estero con funzioni preparatorie e/o ausiliarie rispetto all’attività della casa madre quali, ad esempio, l’attività promozionale, di informazione, di ricerca di mercato o scientifica; non svolgono, invece, attività produttiva o di vendita in senso proprio. 4. La fase di espansione all’estero Come sopra accennato, l’espansione all’estero di una società commerciale si realizza, di regola, mediante: - una rete di agenti indipendenti; - un ufficio di rappresentanza, per le attività promozionale, di ricerca, di commercializzazione …; - una filiale o branch; - una o più società controllate. - possono consentire di evitare la presenza fiscale all’estero; - comportano costi amministrativi (per tenuta della contabilità, dichiarazione dei redditi) diversi, …. A seconda delle circostanze del caso concreto, le ipotesi di struttura possono essere assai numerose ed articolate; l’imprenditore potrà realizzare direttamente l’investimento attraverso una controllata o una stabile organizzazione, ovvero potrà avvalersi di una struttura societaria più elaborata che preveda l’esistenza di una o più holding intermedie. Tali strutture devono avere una concreta giustificazione economica, prima ancora che fiscale, per evitare di incorrere nelle norme antielusione conte(41) Come precisato dalla circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977, per le società costituite all’estero ai sensi dell’art. 2505 del codice civile con sede nel territorio dello Stato “non sorgono particolari problemi, trattandosi di società che hanno la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale dell’impresa nel territorio medesimo”. (42) Si veda anche la circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977. RFI - 48 Italia Ufficio di rappresentanza il fisco La pianificazione di un investimento in un determinato Paese estero non può prescindere dall’analisi della struttura con cui realizzare il progetto; la definizione della struttura societaria a livello locale e la scelta, ad esempio, tra un controllo diretto o indiretto rappresentano, infatti, fondamentali decisioni del management aziendale al fine verificare quali possono essere le soluzioni più vantaggiose per cogliere le opportunità dei mercati esteri ed ottimizzare l’imposizione sui flussi finanziari necessari per la realizzazione del progetto e sui flussi reddituali da questo derivanti. I canali di espansione sopra esemplificati comportano problematiche diverse sia da un punto di vista operativo sia fiscale quali, ad esempio: Ai fini civilistici, l’esistenza di una sede secondaria richiede la presenza congiunta dei seguenti requisiti: - rappresentanza con preposizione institoria ex art. 2203 del codice civile; - stabili poteri di rappresentanza in capo al preposto; - autonomia di gestione; - obblighi di registrazione in Italia ex art. 2197, ultimo comma, del codice civile (43). Non vi è perfetta coincidenza tra la nozione civilistica di sede secondaria e la nozione fiscale di stabile organizzazione. Come osserva Piazza (44), la disciplina civilistica è, infatti, orientata a garantire l’affidamento dei terzi nei confronti dell’imprenditore, mentre la normativa fiscale è orientata alla corretta determinazione del reddito imponibile; “la nozione di stabile organizzazione prescinde dalla circostanza che vi sia una ‘rappresentanza’ intesa come una possibilità delle persone preposta all’unità locale di impegnare l’imprenditore nei confronti dei terzi in (43) Come precisato dalla Cassazione, con sentenza. n. 341/1969, la sede secondaria richiede la presenza congiunta sia di stabili poteri di rappresentanza in capo al preposto, sia di un’autonomia di gestione della sede stessa. Per un’analisi della differenza tra sede secondaria con rappresentanza stabile ed altre unità locali, si rimanda a Piazza, cit., pagg. 23 e seguenti. (44) Op. cit., pag. 119. Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale modo più o meno ampio. D’altra parte ci sembra possibile - anche se raro - che alcune sedi secondarie con rappresentanza stabile non siano considerate fiscalmente stabili organizzazioni”. Infine, nel caso in cui un’impresa costituisca un “ufficio di direzione” (management office) in Paesi in cui possiede consociate, stabili organizzazioni, agenti o licenziatari, tale ufficio di direzione sarà considerato, in genere, una stabile organizzazione, in quanto svolge funzioni di coordinamento e di supervisione. 4.2. La definizione di ufficio di rappresentanza nel Modello OCSE - una sede fissa di affari avente scopo identico a quello dell’impresa, non può essere considerata esercitare attività preparatoria o ausiliaria; - una sede fissa di affari con funzione di direzione dell’impresa (o di parte dell’impresa o di un gruppo) non può essere ritenuta svolgere attività definibili come preparatorie od ausiliarie, in quanto tali attività direzionali non possono essere considerate attività aventi carattere preliminare, o preparatorio per l’impresa. (45) La “sede di affari” può essere individuata qualora siano disponibili - a qualsiasi titolo - locali, immobili o macchinari, impianti e attrezzature utilizzati per lo svolgimento dell’attività d’impresa. Una sede di affari può essere presente anche nel caso in cui non vi siano locali a disposizione per lo svolgimento di un’attività imprenditoriale, ma l’impresa disponga solamente di un certo spazio. Il commentario infatti precisa che una sede di affari può essere rappresentata da uno spazio in un mercato ovvero da aree impiegate dall’impresa in via permanente in un deposito doganale o, ancora, nella sede di un’altra impresa. (46) La qualificazione della sede di affari come “fissa” deve essere intesa con riferimento sia all’ambito temporale che alla localizzazione. Per quanto concerne l’ambito temporale deve sussistere: - l’elemento soggettivo, vale a dire la volontà di costituire una sede permanente, in via del tutto disgiunta dalla effettiva durata della stessa, oppure - l’elemento oggettivo l’effettiva permanenza. (47) Si veda in tal senso il commentario al Modello OCSE. 4.3. Utilizzo di una rete di agenti (dipendenti o indipendenti) - Ipotesi di stabile organizzazione Il paragrafo 5 dell’art. 5 del Modello OCSE delinea un’ulteriore ipotesi di configurabilità di una stabile organizzazione basata sulla figura dell’agente dipendente e richiede che siano soddisfatti i seguenti requisiti: - l’agente deve operare per conto dell’impresa estera; - deve godere di poteri che gli permettano di concludere nello Stato estero contratti in nome dell’impresa e che ne faccia uso abitualmente. il fisco Ai sensi dell’art. 5 del Modello OCSE, costituisce stabile organizzazione una sede fissa di affari (45) (46) utilizzata per l’impresa ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attività analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliario per l’impresa. Come precisato dal commentario al Modello OCSE, tale sede di affari può contribuire alla produttività globale dell’impresa, ma i servizi resi rivestono carattere preparatorio, non direttamente finalizzati all’ottenimento di un utile d’impresa; ad esempio, le attività utilizzate dall’impresa al solo fine di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o per l’attuazione di contratti di licenza, di brevetti o di know-how. Il criterio distintivo ai fini dell’individuazione delle attività che rivestono carattere preparatorio o ausiliario, deve essere ricercato nel fatto che l’attività della sede di affari di per se stessa rappresenti, o meno, una parte essenziale dell’attività dell’impresa nella sua globalità (47); pertanto: 12/2000 il fisco 3467 Per configurare l’esistenza di una stabile organizzazione, non è pertanto sufficiente la presenza di una qualsiasi persona dipendente; è necessario che le persone che sono distaccate in un particolare Stato vincolino l’impresa in un determinato livello dell’attività propria dell’impresa, in relazione alle finalità della loro autorità o della natura della loro attività. Inoltre, tale autorità va esercitata in via continuativa nell’altro Stato; la persona deve impiegare i propri poteri in modo continuativo e non meramente in casi isolati. Il successivo paragrafo 6 dell’art. 5 del Modello OCSE dispone che non configura ipotesi di stabile organizzazione l’esercizio della propria attività da parte di un’impresa in altro Stato mediante un mediatore, un commissionario generale o di ogni altro intermediario con status indipendente, a condizione che tali intermediari: - agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività; - siano indipendenti rispetto alla casa madre (cosiddetto “status indipendente”). In merito alla prima condizione (48), il commentario al Modello OCSE osserva che un intermediario agisce al di fuori della propria attività ordinaria quando esercita abitualmente un’attività che attiene economicamente alla sfera dell’impresa (48) Tale condizione è considerata necessaria, ma non sufficiente; qualora non sia soddisfatta, si avrà una stabile organizzazione dell’impresa preponente nello Stato di esercizio dell’attività, a meno che l’attività non rientri tra quelle di cui all’art. 5, paragrafo 4, del Modello OCSE (ipotesi particolari che non configurano l’esistenza di una stabile organizzazione). RFI - 49 3468 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 e non alla propria (esempio: vendita di beni dell’impresa e stipula di contratti in via abituale in nome e per conto dell’impresa stessa). Con riferimento al cosiddetto “status indipendente” (49), il commentario al Modello OCSE individua alcuni criteri di riferimento: del Tuir i redditi prodotti nel territorio dello Stato sono assoggettati a tassazione secondo le disposizioni delle singole categorie di reddito (cosiddetto principio del trattamento isolato dei redditi) (50). Qualora, invece, esista una stabile organizzazione, i redditi conseguiti sono attratti alla disciplina del reddito d’impresa ed il trattamento isolato è accordato se i redditi non derivano da attività esercitate mediante stabile organizzazione; tali considerazioni valgono sia nel caso di stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, sia nel caso di stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti. In tale ultimo caso, ai fini delle imposte sui redditi, il reddito prodotto dalla stabile organizzazione all’estero di soggetti residenti viene pertanto: - l’indipendenza dalla casa madre deve essere intesa in senso giuridico ed economico; - il rischio imprenditoriale deve essere proprio dell’agente e non dell’impresa. Lo stesso commentario individua poi natura ed estensione degli obblighi cui deve sottostare l’agente, nonché le istruzioni impartite ed il controllo esercitato dall’impresa. 4.4. Società controllanti e/o controllate - Ipotesi di stabile organizzazione - determinato mediante rilevazione contabile distinta dei fatti di gestione e dei risultati dell’esercizio; - incluso nella base imponibile del soggetto passivo residente a cui la stabile organizzazione fa capo in base al cosiddetto worldwide principle (51) (52). Ai sensi dell’art. 5, paragrafo 7, del Modello OCSE, il fatto che una società: L’esistenza di una consociata non costituisce, di per sé, una stabile organizzazione della società madre. Ai fini impositivi, infatti, la consociata costituisce una entità legale distinta rispetto alla casa madre e non costituisce stabile organizzazione, anche se l’attività imprenditoriale esercitata è diretta dalla casa madre stessa. Viceversa, una consociata può costituire stabile organizzazione della casa madre, qualora: 5. Cenni alla nozione di stabile organizzazione il fisco - controlli una società residente di un altro Stato contraente ovvero - sia da questa controllata, - ovvero svolga un’attività in tale altro Stato (anche a mezzo di una stabile organizzazione), non costituisce, di per sé, motivo sufficiente per far considerare una qualsiasi di dette società una stabile organizzazione dell’altra. La fase iniziale di espansione all’estero da parte di una società commerciale residente può comportare, di regola, oltre ai casi di utilizzo di una rete di agenti indipendenti e/o alla apertura di un ufficio di rappresentanza (ad esempio, per attività promozionale, di ricerca, di commercializzazione, …): - l’istituzione di una sede secondaria con rappresentanza stabile, ma priva di autonomia giuridica (esempio, branch); - la costituzione di società o enti dotati di completa autonomia giuridica, costituiti e controllati dalla casa madre (subsidiary). - non possa essere considerata un agente indipendente; - abbia ed eserciti, in via abituale, il potere di concludere contratti in nome della casa madre. Italia Italia 4.5. La tassazione dei redditi derivanti da attività esercitate mediante stabile organizzazione all’estero di soggetti residenti Foreign branch Foreign subsidiary Nei confronti dei soggetti non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, in base al combinato disposto degli artt. 3, 20 e 113 (50) In tal senso si veda Garbarino, op. cit., pag. 214. (51) Garbarino, op. cit., pagg. 214 e seguenti. (49) Anche tale condizione è necessaria affinché non si abbia stabile organizzazione, ma non sufficiente; un agente indipendente può rientrare nella definizione generale di stabile organizzazione, quale sede fissa di affari in cui l’impresa esercita la propria attività, ma non rispettare il requisito dell’esercizio di un’attività ordinaria. RFI - 50 (52) L’art. 7 del Modello OCSE prevede che “gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata”. Qualora l’impresa svolga l’attività mediante una Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale Il nostro ordinamento non prevede una nozione di “stabile organizzazione”. Una definizione - ritenuta valida dall’Amministrazione finanziaria con la circolare del Ministero delle finanze n. 7/1496 del 30 aprile 1977 e la risoluzione del Ministero delle finanze n. 9/2398 del 1° febbraio 1983 (in “il fisco” n. 8/1983, pag. 1027) (53) - è rinvenibile all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE. In particolare la risoluzione postula il concorso di due elementi costitutivi fondamentali: sa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”. In particolare occorre rilevare che (vd. il paragrafo 2 del commentario OCSE all’art. 5, paragrafo 1): - l’esistenza di una “sede di affari” può essere individuata qualora siano disponibili (a qualsiasi titolo) locali, immobili o macchinari, impianti e attrezzature varie utilizzati per lo svolgimento dell’attività d’impresa; od anche solo qualora l’impresa disponga di determinati spazi a disposizione, in modo permanente; - la qualificazione della sede di affari come “fissa” deve essere intesa con riferimento sia all’ambito temporale che alla localizzazione; - l’attività deve essere svolta attraverso la stabile organizzazione; deve pertanto esistere necessariamente un collegamento tra il requisito oggettivo dell’esistenza della sede e quello dell’esercizio di attività. - l’esistenza di una installazione fissa in senso tecnico (locali, materiale, attrezzature); - e l’esercizio dell’attività da parte dell’impresa per mezzo di tale installazione. La Cassazione 27 novembre 1987, n. 8820, con riferimento alla stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero, ha inoltre enunciato le seguenti caratteristiche fondamentali per l’esistenza di una stabile organizzazione: 5.1. Requisiti generali per l’esistenza di una stabile organizzazione Ai sensi dell’art. 5 del Modello OCSE, “l’espressione ‘stabile organizzazione’ designa una sede fis- stabile organizzazione, gli utili dell’impresa diverranno imponibili nell’altro Stato, ma solamente nella misura in cui siano attribuibili alla stabile organizzazione stessa. Ne consegue che: - un’impresa residente di uno Stato non potrà essere tassata in un altro Stato a motivo dell’attività ivi svolta, a meno che vi operi mediante una stabile organizzazione; - l’attività condotta dall’impresa nell’altro Stato mediante una stabile organizzazione non potrà essere sottoposta a tassazione se non per gli utili direttamente attribuibili alla stabile organizzazione stessa. (53) Come osservato da Piazza (op. cit., pag. 119), non esiste una esatta corrispondenza tra le fattispecie regolate dal codice civile e quelle regolate dalla normativa fiscale; “… la nozione di stabile organizzazione prescinde dalla circostanza che vi sia una ‘rappresentanza’ intesa come una possibilità della persona preposta all’unità locale di impegnare l’imprenditore nei confronti dei terzi in modo più o meno ampio. D’altra parte ci sembra possibile - anche se raro - che alcune sedi secondarie con ‘rappresentanza’ stabile non siano considerate fiscalmente stabili organizzazioni”. 5.2. Ipotesi particolari che configurano l’esistenza di una stabile organizzazione il fisco - l’organizzazione deve essere strumentale ad un’attività svolta abitualmente in Italia da un ente straniero; - l’organizzazione deve essere stabile, tale cioè da poter essere utilizzata in maniera durevole; - sono irrilevanti le dimensioni e l’assetto strutturale dell’organizzazione; - l’attività svolta dalla stabile organizzazione può essere secondaria o strumentale rispetto a quella dell’ente estero e lo scopo può anche non essere economico. 12/2000 il fisco 3469 Accanto alla previsione dei requisiti generali per l’individuazione di una stabile organizzazione, i paragrafi 2 e 3 dell’art. 5 forniscono alcune tipologie che possono configurare l’esistenza di una stabile organizzazione: - una sede di direzione; - una succursale; - un ufficio; - un’officina; - un laboratorio; - una miniera o giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali; - un cantiere di costruzione o di montaggio la cui durata oltrepassa i dodici mesi. Di seguito si cerca di dare una definizione delle tipologie sopra richiamate. La legislazione italiana non prevede una definizione di “sede di direzione”. Sotto il profilo lessicale il termine “direzione” (o management) appare un concetto alquanto astratto, proprio dell’economia d’azienda, e per questo privo di una puntuale ed univoca definizione nel diritto tributario internazionale; in linea di principio, il concetto di sede di direzione sembra individuare un luogo in cui vengono effettivamente prese le decisioni relative agli indirizzi dell’azienda. Il termine “succursale” dovrebbe indicare una “sede secondaria e distaccata di un ufficio, di una società industriale o commerciale di un’azienda”. Come si può notare l’espressione succursale può RFI - 51 3470 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 - non siano considerate stabile organizzazione; - siano considerate stabile organizzazione; - siano considerate stabile organizzazione, qualora tali attività abbiano una durata superiore ad un prefissato periodo temporale. (54) Piazza (op. cit., pag. 140, nota 50) fa riferimento al Documento n. 9 del Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e dei Ragionieri ove i concetti di filiale e succursale vengono fatti rientrare in un’unica categoria fondamentale, vale a dire la sede secondaria in senso civilistico. RFI - 52 il fisco essere, nel linguaggio comune, impiegata in alternativa a filiale (54). Inoltre, si può ritenere che un ufficio rientri nel significato comunemente attribuibile alla succursale. Qualora, in base al disposto di cui al paragrafo 4, l’attività sia condotta ai soli fini di esposizione, di consegna, di acquisto di merci, di raccolta di informazioni o di pubblicità o di attività analoghe di carattere preparatorio od ausiliare per l’impresa, non si ha stabile organizzazione dell’impresa. Con il termine “officina” si intende designare comunemente un impianto nel quale vengono effettuate lavorazioni o si procede all’esecuzione di montaggi, riparazioni, revisioni e manutenzioni. Come si può notare nell’espressione “officina” si riassumono le caratteristiche principali della stabile organizzazione. Per “laboratorio” si intende un locale attrezzato per svolgere attività sperimentali, tecniche o produttive o per eseguire ricerche scientifiche; talvolta può essere annesso ad un negozio di vendita. In base alla lettera c) del paragrafo 2, qualora il laboratorio sia utilizzato per l’impresa ai soli fini di ricerca scientifica, non si considera che vi sia una stabile organizzazione. Tra le fattispecie che possono configurare una stabile organizzazione vi sono le miniere, le cave o altri luoghi di estrazione di risorse naturali. Il paragrafo 14 del commentario al Modello OCSE precisa che l’espressione “ogni altro luogo di estrazione di risorse naturali” deve essere interpretata in modo estensivo in modo da ricomprendervi, ad esempio, i luoghi di estrazione di idrocarburi sia sulla terraferma che offshore. Precisa ancora il commentario (al paragrafo 15), che il testo del modello si riferisce all’ “estrazione di risorse” e non anche all’ “esplorazione” delle stesse; dal momento che non è stato possibile pervenire in sede OCSE ad una comune definizione per la qualificazione del reddito derivante dall’attività esplorativa, nonché per l’attribuzione del diritto a tassare tale reddito, gli Stati contraenti possono accordarsi per inserire specifiche disposizioni nelle Convenzioni bilaterali. In particolare, gli Stati contraenti possono convenire che le attività di esplorazione di risorse naturali svolte in uno dei due Paesi: Per quanto riguarda l’Italia, nessuna delle Convenzioni stipulate dal nostro Paese prevede disposizioni specifiche sul punto (55). In assenza di disposizioni particolari previste dai trattati, ma in presenza di un reddito derivante da tali attività, la verifica dell’esistenza o meno di una stabile organizzazione deve essere effettuata sulla base delle regole generali previste dal paragrafo 1 dell’art. 5 del Modello OCSE (“sede fissa d’affari in cui l’impresa esercita in tutto in parte la sua attività”), come suggerito dal paragrafo 15 del commentario. Secondo il paragrafo 17 del commentario al Modello OCSE, con il termine “cantiere di costruzione o di montaggio” deve intendersi un’installazione volta alla costruzione di edifici, strade, ponti, canali, posa in opera di tubazioni, terrazzamenti e dragaggio. Il paragrafo 19 del commentario rileva che il cantiere inizia ad esistere da quando l’imprenditore comincia l’attività (ivi comprese le attività preparatorie), nello Stato in cui la costruzione deve essere eseguita; ciò avviene, ad esempio, quando l’impresa installa un ufficio per la progettazione. In generale, il cantiere continua ad esistere fino al completamento del lavoro od al suo definitivo abbandono. Interruzioni stagionali, causate da cattivo tempo, e interruzioni temporanee, dovute da indisponibilità di materiali o da difficoltà relative alla manodopera, devono essere computate nel periodo di durata del cantiere. Il paragrafo 3 del Modello OCSE dispone che “un cantiere di costruzione o di montaggio è considerato stabile organizzazione solamente se oltrepassa i dodici mesi”. Sul punto il commentario (al paragrafo 16) avverte che, qualora il cantiere non soddisfi questa condizione, non costituisce di per sé stabile organizzazione, anche se esiste nella sua area un’installazione, un ufficio od un laboratorio, nel senso espresso dal paragrafo 2, connesso con l’attività di costruzione o montaggio. La circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977 riconosce anch’essa la rilevanza del requisito dell’ambito temporale statuendo che “relativamente ai cantieri di costruzione o di montaggio è altresì fissato un limite temporale al di sotto del quale viene negata l’esistenza della stabile organizzazione”. 5.3. Ipotesi particolari che non configurano l’esistenza di una stabile organizzazione Lo stesso art. 5 del Modello OCSE prevede infine, al paragrafo 4, ipotesi per le quali non è configurabile una stabile organizzazione, anche qualora sia configurabile una sede fissa di affari. Tali ulteriori ipotesi, aventi secondo il commentario OCSE (55) Piazza, op. cit., pag. 142. Corso teorico-pratico di fiscalità internazionale la caratteristica fondamentale dell’ausiliarietà rispetto all’attività principale dell’impresa, si verificano qualora: altro intermediario con status indipendente, a condizione che tali persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività. - venga fatto uso di un’installazione al solo scopo del deposito, dell’esposizione o della consegna di merce appartenente all’impresa; - siano immagazzinate merci appartenenti all’impresa al solo scopo di deposito, di esposizione o di consegna; - siano immagazzinate merci appartenenti all’impresa ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa; - sia utilizzata una sede fissa di affari al solo fine di acquistare merci o raccogliere informazioni per l’impresa; - sia utilizzata una sede fissa di affari, per l’impresa, al solo fine di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche e di attività analoghe che abbiamo carattere preparatorio o ausiliario; - sia utilizzata una sede fissa di affari unicamente per qualsiasi combinazione delle attività citate ai punti precedenti, purché l’attività della sede fissa nel suo insieme quale risulta da tale combinazione, sia di carattere preparatorio o ausiliare. I paragrafi 5 e 6 dello stesso art. 5 del Modello OCSE analizzano le ipotesi di utilizzo da parte della casa madre di agenti dipendenti e indipendenti. Il paragrafo 5 delinea un’ulteriore ipotesi di configurabilità di stabile organizzazione basata sulla figura dell’agente dipendente e richiede che siano soddisfatti i seguenti requisiti: - l’agente deve operare per conto dell’impresa estera; - deve godere di poteri che gli permettano di concludere nello Stato estero contratti in nome dell’impresa e deve farne uso abitualmente; - deve svolgere attività diverse da quelle rientranti tra le ipotesi di esclusione di stabile organizzazione di cui al paragrafo 4 dell’art. 5 del Modello OCSE (56). Ai sensi del paragrafo 6 dell’art. 5 non si considera, invece, che un’impresa di uno Stato abbia una stabile organizzazione nell’altro Stato qualora eserciti la propria attività in tale Stato mediante un mediatore, un commissionario generale o di ogni (56) Il paragrafo in esame stabilisce un criterio alternativo circa l’esistenza per l’impresa di una stabile organizzazione in un determinato Stato. Ne deriva che, nel caso in cui si possa dimostrare che l’impresa dispone di una stabile organizzazione in base ai paragrafi 1 e 2, non diviene necessario dimostrare che la persona in carica ricade sotto la disciplina del paragrafo 5. Italia Italia Paese OCSE S.O. S.O. 1. sede di direzione 1. mediatore indipendente 2. succursale indipendente 2. commissionario generale 3. ufficio 3. altro intermediario indipen4. officina dente 5. laboratorio 6. magazzino di vendita 7. miniera, cava, o altro luogo di estrazione di risorse naturali 8. cantiere di costruzione o montaggio o le attività di supervisione di durata superiore a 3 mesi 9. mediatore dipendente 10. commissionario generale dipendente 11. altro intermediario dipendente il fisco 5.4. Agente dipendente e agente indipendente 12/2000 il fisco 3471 5.5. Nozione di stabile organizzazione nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia Attualmente quasi tutte le Convenzioni stipulate dall’Italia riportano il concetto indicato nello schema di Convenzione OCSE che definisce la stabile organizzazione come sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività. La definizione fornita dall’OCSE ha il pregio di indicare - esemplificando - ciò che costituisce e ciò che non costituisce stabile organizzazione. La definizione OCSE può essere utilizzata come riferimento, dall’operatore nazionale, al fine della qualificazione di fattispecie concrete nei casi in cui manchi la Convenzione contro la doppia imposizione tra l’Italia ed un altro Paese. Per converso, in presenza di Convenzione, le disposizioni della stessa entrano a far parte dell’ordinamento giuridico e divengono direttamente applicabili. 5.6. Imputazione di costi e ricavi alla stabile organizzazione Ai sensi del paragrafo 2 dell’art. 7 del Modello OCSE contro le doppie imposizioni, l’attribuzione degli utili ad una stabile organizzazione per le transazioni effettuate con la casa madre viene effettuata in base al principio del dealing at arm’s length (valore normale). RFI - 53 3472 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 RFI - 54 il fisco In base a tale principio possono essere attribuiti alla stabile organizzazione gli utili che si ritiene che la stabile organizzazione avrebbe prodotto se avesse trattato con un soggetto indipendente (impresa distinta e separata), in condizioni di libera concorrenza (condizioni e prezzi vigenti nel mercato ordinario). Tale principio è esteso anche all’attribuzione di utili che la stabile organizzazione può conseguire da transazioni con altre stabili organizzazioni dell’impresa, con società consociate e loro stabili organizzazioni. Il paragrafo 3 dello stesso art. 7 chiarisce che, nel calcolare gli utili di una stabile organizzazione, occorre considerare le spese ovunque sostenute per gli scopi perseguiti dalla stabile organizzazione stessa, comprese le spese di direzione e le spese generali di amministrazione. L’ammontare delle spese potrà essere stimato ovvero calcolato in modo convenzionale; ad esempio, nel caso di spese generali amministrative sostenute dalla casa madre, potrà essere opportuno considerare una parte proporzionale del fatturato della stabile organizzazione (o degli utili lordi) rispetto a quelli dell’impresa nel suo complesso (57). Nel prossimo numero tratteremo de “La costituzione di controllata all’estero di vendita e di produzione”. (57) Per un commento delle posizioni espresse dall’Amministrazione finanziaria si rimanda a Garbarino, op. cit., pagg. 227 e seguenti. Rassegna di fiscalità internazionale Rubrica n. 1/2000 Risposte a quesiti CODICE 2000 TRIBUTARIO X edizione Pasquale Marino PIANO DELL’OPERA 2000 PRIMO VOLUME ❑ Testi normativi annotati ❑ Appendice di aggiornamento ❑ Indice cronologico e analitico Accertamento Agevolazioni tributarie Anagrafe tributaria e codice fiscale Bollo Concessioni governative e regionali Contenzioso tributario Contratti di borsa Delega Riforma Tributaria ICI INVIM Ipotecaria e catastale IRAP IRPEF, IRPEG, ILOR IVA Pubblicità - Tosap - Tarsu Registro Riscossione Successioni e donazioni Violazioni tributarie Codice civile - Bilancio e società Indici SECONDO VOLUME 2000 IN DUE VOLUMI AGGIORNATI AL 5 FEBBRAIO 2000 formato compact cm 19 x 13 pagine 2.944 ❑ Annotazioni e richiami articolo per articolo di: - Disposizioni ministeriali - Giurisprudenza - Attualità con gli estremi per la ricerca su “il fisco”, “Rassegna tributaria” e sulle banche dati “il fiscovvideo” e “fisconline” Prezzo dei due volumi L. 80.000, formato compact cm 19 x 13 (spese postali incluse) Codice Tributario P. Marino 2000, volumi I e II (L. 80.000) + Abbonamento a “il fisco” (L. 460.000) con volume Indici 1999 (L. 30.000) il tutto a L. 520.000, invece di L. 570.000 Per gli abbonati a “il fisco” 2000 L. 60.000 VERSAMENTO CON ASSEGNO NT O SUL C/C POSTALE N. 61844007 INTESTATO A ETI S.p.A. - VIALE MAZZINI, 25 - 00195 ROMA - TEL. 06/32.17.538 - 06/32.17.578 - FAX 06/32.17.808 - 06/32.17.466 LA SPEDIZIONE DEI DUE VOLUMI VERRÀ EFFETTUATA ENTRO APRILE 2000 Risposte a quesiti 12/2000 il fisco 3475 1 RISPOSTE A QUESITI A partire da questo numero “RASSEGNA DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE” dedicherà una nuova sezione ai quesiti dei Lettori. Si invitano, pertanto, i Signori Lettori a formulare quesiti concernenti esclusivamente argomenti di carattere tributario internazionale. La stesura dattiloscritta, possibilmente di un solo argomento, non deve superare una pagina. Le richieste vanno indirizzate a “il fisco”, “Rassegna di fiscalità internazionale”, V.le Mazzini 25, 00195 Roma, esclusivamente per fax 06.32.17.808-06.32.17.466 o per lettera. La Rivista si riserva di pubblicare solamente le risposte ai quesiti, ripetiamo, di natura esclusivamente tributaria e ritenuti di interesse generale. Dette soluzioni, pur elaborate con la massima cura possibile, non impegnano in alcun modo la Rivista. 1 Qual è il trattamento fiscale riservato al compenso percepito da un lavoratore dipendente che presta attività all’stero? il fisco L’art. 3, comma 3, lettera c), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 sancisce l’esclusione da tassazione dei redditi di lavoro dipendente realizzati da contribuenti residenti in Italia che prestano lavoro all’estero “… in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto ”. L’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, ha disposto l’abrogazione del suddetto articolo, tuttavia prevedendo, al comma 2, che questa disposizione abbia effetto a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2000. A decorrere dal 1° gennaio 2001 [data in cui cesserà di avere effetto l’art. 3, comma 3, lettera c), del D.P.R. n. 917/1986], i cittadini residenti in Italia saranno assoggettati a imposizione anche sui redditi di lavoro dipendente “prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto”. Tali redditi saranno pertanto tassati in base al “worldwide principle” e, ove esistenti, potranno essere applicate, come per le altre categorie di reddito prodotte all’estero, le norme convenzionali. È tuttavia il caso di precisare che le Convenzioni stipulate dall’Italia non prevedono, di norma (a meno che non si applichi la regola dei 183 giorni e non si verifichino le condizioni ad essa connesse in dipendenza delle quali il reddito è tassato soltanto nel Paese di residenza), la tassazione esclusiva nel paese della “fonte”, ma prevedono una tassazione sia nello Stato estero che in Italia. La doppia imposizione verrà pertanto eliminata (in alcuni casi soltanto attenuata) mediante il meccanismo del credito d’imposta, in base al quale le imposte pagate all’estero in via definitiva possono essere “scomputate” dalle imposte dovute in Italia (1) Applicando il meccanismo del credito d’imposta il Paese di residenza applica l’imposta su base mondiale (redditi ovunque prodotti) e quindi su tutti i redditi conseguiti dal contribuente, compresi quelli realizzati in Stati esteri. Provvede poi a concedere una detrazione (credito d’imposta) dalle imposte dovute secondo la legislazione nazionale in relazione alle imposte pagate nel Paese estero. Se la detrazione concessa nel Paese di residenza è pari all’intero ammontare delle imposte pagate nel Paese estero si ha un “credito pieno”. Qualora, invece, la detrazione sia limitata alla parte di imposte pagate nel Paese di residenza proporzionalmente corrispondente al reddito conseguito e tassato all’estero, si ha un “credito d’imposta ordinario”. L’art. 15 del D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, al fine di attenuare l’impatto della nuova disciplina prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n. 314/1997, prevede l’attribuzione di un credito d’imposta ai datori di lavoro italiani che inviano i propri dipendenti all’estero. Tale credito d’imposta, concesso a decorrere dal 1° gennaio 2001, è pari all’ammontare delle ritenute operate sui redditi di lavoro prestato all’estero, non concorre alla formazione del reddito imponibile, non ha effetto sul calcolo proporzionale di deducibilità degli interessi passivi e può essere utilizzato in compensazione secondo quanto stabilito dall’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241. (1) Al fine di evitare la doppia imposizione, infatti, il Modello OCSE propone due metodi: “il metodo dell’esenzione” (art. 23A) e il “metodo del credito d’imposta” (art. 23B). RFI - 57 3476 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 2 Nell’ambito delle CFC Legislation adottate nel mondo ad oggi, generalmente al socio residente vengono attribuiti tutti i redditi della società estera o solo alcuni? il fisco Il criterio di attribuzione del reddito varia in ogni Stato che ha recepito il regime della CFC a seconda che lo stesso abbia adottato l’approccio cosiddetto locational (o designated income) o l’approccio cosiddetto transactional (o shopping). L’approccio locational, adottato tra gli altri, da Giappone, Francia e Regno Unito, prevede che i redditi conseguiti dalle partecipate localizzate in Paesi a regime fiscale privilegiato, siano tassati nel Paese di residenza della partecipante a prescindere dalla tipologia di reddito conseguita. Ne consegue che al socio residente in uno di questi (1) L’approccio locational presenta, tuttavia, alcune eccezioni; ad esempio, in Germania e in Spagna vengono generalmente attribuiti i redditi di capitale. 3 Come viene risolto dalla nuova Convenzione tra Italia e Stati Uniti il problema del riconoscimento dell’Irap? RFI - 58 il fisco Con l’introduzione dell’Irap si era inevitabilmente posto il problema del riconoscimento della creditableness della stessa a fronte delle imposte dovute negli Stati Uniti. L’Irap, infatti, non può, in base ai principi della normativa statunitense, essere qualificata come imposta sul reddito in considerazione dei particolari criteri di determinazione della base imponibile. La prevista esclusione dalla base imponibile Irap degli interessi passivi e del costo del lavoro (non rientranti tra i componenti negativi) rappresenta, infatti, una divaricazione tra la base imponibile determinata ai fini delle imposte sul reddito e quella determinata ai fini Irap. La nuova Convenzione, firmata tra l’Italia e gli Stati Uniti il 25 agosto 1999, ha risolto tale pro- Paesi saranno attribuiti tutti gli utili prodotti all’estero (1). L’approccio transactional al contrario assoggetta a tassazione nel Paese di residenza della partecipante solo determinate categorie di reddito: le cosiddette “tipologie di reddito passive”. Rientrano in tali “tipologie di reddito passive” i dividendi, gli interessi, le royalties, i canoni di locazione e i redditi ottenuti dalle società di assicurazione captive. Tale approccio, adottato da Stati Uniti e Canada, prescinde dalla localizzazione della partecipata e non prevede né una definizione di paradiso fiscale, né una lista di Paesi a fiscalità privilegiata. blema qualificando l’Irap come imposta sul reddito, sia pure recante anomalie che hanno comportato rettifiche convenzionali della misura della accreditabilità. A seguito della nuova Convenzione, dunque, è riconosciuta la creditability dell’Irap non in misura integrale ma solo sulla parte “virtuale” che sarebbe dovuta qualora non sussistesse l’indeducibilità delle suddette voci di costo. Ne consegue che il credito di imposta sarà riconosciuto solo per la parte di Irap pagata (o maturata) rettificata con l’applicazione di un coefficiente (1) che non potrà essere di segno negativo. (1) Il coefficiente di rettifica si determina riportando al numeratore la base imponibile Irap effettiva al netto del costo del lavoro e degli interessi passivi (non considerati ai fini della determinazione della base imponibile stessa) e al denominatore la base imponibile totale su cui si calcola l’Irap. Rassegna di fiscalità internazionale Notiziario su fiscalità dei Paesi A cura del Centro Studi (*) Ernst & Young con il coordinamento di Antonino Calabrò e Marco Magenta (*) Ha collaborato Giulia Iacobone Nelle librerie specializzate o con richiesta diretta all’Editore il fisco 1999 Nicolò Pollari Sebastiano Galdino Bilancio di esercizio e reddito fiscale Volume di 576 pagine, lire 45.000 Parte I Parte II Bilancio di esercizio e determinazione del reddito di impresa Analisi civilistica e fiscale delle voci di bilancio CEDOLA RICHIESTA VOLUME “BILANCIO DI ESERCIZIO E REDDITO FISCALE” DI PAGG. 576 Compilare e spedire insieme alla fotocopia del versamento di L. 45.000 sul c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario non trasferibile Spett. ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma Nome Cognome P. Iva Cod. Fisc. Città Firma c.a.p. NO VI TÀ Residente in Via Notiziario su fiscalità dei Paesi Un gruppo multinazionale che intenda costituire una ROHQ nelle Filippine deve avere una disponibilità di almeno 200,000 dollari (o l’equivalente in un’altra valuta) per coprire i costi operativi. Gli incentivi concessi alle ROHQ prevedono, inoltre, una speciale aliquota del 10 per cento sul reddito, in luogo della normale aliquota delle imposte sul reddito del 33 per cento (tale aliquota sarà ridotta al 32 per cento nell’anno 2000). Le ROHQ sono anche esentate da tutte le imposte locali, ad eccezione di quelle sulla proprietà immobiliare e sugli impianti. Una ROHQ è inoltre soggetta all’Iva del 10 per cento. Qualunque reddito prodotto da una ROHQ è assoggettato all’imposta nella misura del 15 per cento all’atto della distribuzione alla casa madre. Incentivi fiscali e non fiscali sono garantiti ai dipendenti espatriati della ROHQ. Gli stranieri impiegati della ROHQ sono soggetti ad una speciale aliquota d’imposta del 15 per cento sul reddito lordo ricevuto sotto forma di salari, rendite annue, compensi (indennizzi). 1 Argentina Le autorità fiscali argentine hanno introdotto, con la “General Resolution” n. 702/99, regole aggiuntive alla disciplina sul transfer pricing. Le più importanti modifiche previste dal citato documento sono le seguenti: - la dichiarazione relativa al transfer pricing deve essere inoltrata alle autorità competenti; - viene fornita una descrizione delle società che devono presentare la dichiarazione ai fini del transfer pricing; - viene fornita una definizione di “zone a tassazione ridotta”; - viene stabilita la documentazione che deve essere preparata e conservata dal contribuente per provare che sono state rispettate le leggi argentine sul transfer pricing; - sono stabiliti nuovi criteri per determinare quando esiste una relazione economica tra le società; - viene definito un “best method” per determinare la correttezza del transfer pricing; - sono stabiliti criteri di comparabilità. 2 Filippine Il Congresso delle Filippine ha introdotto una serie di agevolazioni fiscali, che hanno avuto effetto a partire dal 29 dicembre 1999, per le ROHQ. Le ROHQ sono società operative, con sede nelle Filippine, appartenenti a gruppi multinazionali ed il cui reddito deriva dai servizi resi alle proprie subsidiary, branch o società affiliate. I servizi possono essere solo relativi a: - amministrazione generale e pianificazione; - ricerca di materie prime e componenti; - consulenza finanziaria; - marketing e promozione delle vendite; - gestione del personale; - ricerca e sviluppo; - manutenzione; - elaborazione dati e comunicazione. Le ROHQ non possono, pertanto, intraprendere altre attività, quali, ad esempio, promozione di beni e servizi per conto della società madre, branch, affiliata, subsidiary o di qualunque altra società. 3 Francia: Finanziaria per il 2000 il fisco La data di scadenza della dichiarazione sul transfer pricing per le società che hanno chiuso l’esercizio sociale tra il 31 dicembre 1998 e il 30 settembre 1999 è fissata per il 7 marzo del 2000. Per gli anni successivi la dichiarazione sul trasfer pricing deve essere redatta insieme alla dichiarazione dei redditi annuale. 12/2000 il fisco 3479 Il 31 dicembre 1999 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge Finanziaria francese per il 2000. Si illustrano di seguito le principali novità. - Iva. È stata introdotta la riduzione dell’aliquota Iva dal 20,6 per cento al 5,5 per cento per quanto riguarda le spese relative a lavori di ristrutturazione su abitazioni. Questa riduzione non potrà essere applicata per le spese di costruzione o acquisizione di attrezzature. Tale norma è in linea con la Direttiva comunitaria adottata alla fine del 1999 che permette agli Stati membri di ridurre le aliquote Iva in modo sperimentale per servizi specifici. - Settore immobiliare e avviamento commerciale. È stata introdotta una riduzione al 4,8 per cento dell’imposta di registro per l’acquisizione di qualsiasi proprietà immobiliare e per l’avviamento (quest’ultimo in precedenza era soggetto ad un’aliquota dell’11,4 per cento che rappresentava un deterrente per le compravendite in Francia). Quindi, d’ora in poi, il 4,8 per cento rappresenterà l’aliquota standard per la tassazione dei trasferimenti immobiliari, delle spese di avviamento, delle azioni e dei titoli di società immobiliari non quotate. - Participation exemption (“régime des societés mères et filiales”). La Finanziaria prevede un aumento dal 2,5 per cento al 5 per cento della base imponibile per i dividendi ricevuti da una casa madre francese sotto il regime della participation exemption. Quest’ultima sarà limitata al 95 per RFI - 61 3480 il fisco 12/2000 Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 cento dei dividendi ricevuti, al lordo del credito d’imposta (cosiddetto “avoir fiscal”). Si tratta di una riduzione del beneficio concesso dalle norme previgenti, in base alle quali i dividendi ricevuti da una casa madre francese erano esenti da imposta per il 97,5 per cento. - Tax Credit. È prevista una riduzione dal 45 per cento al 40 per cento del credito d’imposta relativo ai dividendi distribuiti agli azionisti diversi da persone fisiche e da società che abbiano beneficiato del regime della participation exemption. Tale riduzione avrà un impatto diretto sul rimborso del credito d’imposta relativo ai fondi pensione. - Fusioni e conferimenti. È stato ridotto da 5 a 3 anni il periodo di detenzione delle azioni per usufruire della sospensione d’imposta (tassazione differita del capital gain) applicabile solo allo scambio di azioni. - Tassazione delle società. L’aliquota di tassazione delle società, che nel 1999 era del 40 per cento, è divenuta pari al 37,76 per cento. 4.1. Imposte di successione e donazione Per le successioni e donazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 1999 sono state introdotte nuove disposizioni. Le soglie di esenzione sono state incrementate e una singola aliquota del 20 per cento sostituisce le aliquote esistenti. 4.2. Capital gains Il Ministero delle finanze ha fissato un’unica aliquota pari al 20 per cento per tutti i capital gains. 5 Malesia Il Ministro delle finanze della Malesia ha recentemente messo a punto due nuove proposte di legge: la legge Finanziaria per l’anno 2000 e la legge sulle nuove modalità di accertamento del reddito. 5.1. Proposta di legge Finanziaria 2000 4 Irlanda RFI - 62 il fisco Il 1° dicembre 1999 il governo irlandese ha presentato la legge Finanziaria per il 2000. Le proposte sono dirette a modificare radicalmente la tassazione delle persone fisiche in Irlanda nei prossimi tre anni. Altri articoli inclusi nella legge Finanziaria comprendono l’introduzione di un’aliquota del 12,5 per cento per alcune imprese di dimensioni minori, una riduzione delle ritenute d’acconto, variazioni nelle imposte sulle successioni e donazioni e riduzioni di alcune aliquote sui capital gains. Le aliquote delle imposte sui redditi saranno ridotte, a partire dal 6 aprile 2000, rispettivamente la più alta dal 46 per cento al 44 per cento e l’aliquota standard dal 24 per cento al 22 per cento. Inoltre, come già previsto dalla legge Finanziaria 1999, l’aliquota standard d’imposta per il reddito derivante da attività commerciale viene ridotta dal 28 per cento al 24 per cento. A partire dal 1° gennaio 2000 l’imposta sui redditi non derivanti da attività commerciale (si qualificano come tali gli sconti, i redditi prodotti all’estero, gli interessi su titoli di Stato, le royalties passive, e i redditi derivanti da locazioni) è calcolata con un’aliquota del 25 per cento. Inoltre, la stessa aliquota del 25 per cento si applica al reddito derivante dalla lavorazione dei minerali, dalle attività petrolifere e da alcune operazioni di sviluppo dei terreni. Sempre a partire dal 6 aprile 2000 la ritenuta sui dividendi verrà ridotta dal 24 per cento al 22 per cento, in linea con la riduzione dell’aliquota standard sul reddito delle società. Per il secondo anno consecutivo l’obiettivo della politica fiscale perseguito dalla legge Finanziaria è il risanamento del deficit. Si illustrano di seguito i principali temi affrontati: - la necessità di attrarre investimenti di alta qualità per migliorare la competitività; - l’implementazione di misure atte a rafforzare il sistema bancario, i mercati dei capitali e il settore societario; - la trasformazione del settore dei servizi in un settore in forte crescita; - lo sviluppo della capacità e della conoscenza delle risorse umane del Paese. I più importanti cambiamenti fiscali che potrebbero interessare gli investitori stranieri sono i seguenti: - riduzione dell’aliquota d’imposta sul reddito dell’1 per cento, sia per le persone fisiche che per i non residenti (riduzione dell’aliquota di tassazione dal 30 per cento al 29 per cento); - riduzione dell’imposta doganale di importazione sul cibo e su altri prodotti. Estensione dell’esenzione dall’imposta doganale di importazione e dalla “sales tax” fino al 31 dicembre del 2000 sui beni di consumo; - riclassificazione della tassazione sugli impianti e macchinari. Sono state infatti costruite tre categorie di detrazione con tre tassi diversi; - riduzione dell’imposta di bollo e deduzione delle spese inerenti alla ristrutturazione del debito aziendale; - esenzione dal “Real Property capital gain” e dall’imposta di bollo sulle operazioni finanziarie Notiziario su fiscalità dei Paesi eseguite tra il 31 ottobre 1999 e il 31 dicembre 2000 per la fusione delle società broker e sugli strumenti finanziari usati per il trasferimento di attività nel mercato delle obbligazioni (BOND); - per le Venture Capital Companies (VCC) esenzione dalla tassazione su tutte le fonti di reddito percepite nei primi 10 anni o per il corso della loro durata; - deduzione delle spese di Information Technology per i processi di ristrutturazione aziendale. zione degli investimenti (Ley de Promoción y Protección de Inversiones - LPPI). L’emanazione della LPPI risponde all’esigenza del Governo venezuelano di riordinare compiutamente la disciplina degli investimenti di soggetti residenti e non residenti, senza, però, derogare alle disposizioni del Patto Andino. Tra i principali argomenti affrontati dalla legge in esame occorre menzionare: - i contratti di stabilità giuridica; - l’espropriazione degli investimenti stranieri; - le dispute tra investitori esteri e Governo venezuelano; - la natura delle imposte statali e comunali; - il rimpatrio degli investimenti effettuati da soggetti non residenti. In aggiunta alle suddette proposte è stata annunciata un’altra importante modifica per eliminare le precedenti restrizioni sulla distribuzione dei dividendi. Infatti fino ad oggi si potevano distribuire dividendi fino a concorrenza dell’utile netto relativo all’esercizio di competenza o fino a concorrenza della media dei dividendi dichiarati negli ultimi due anni. 5.2. Nuove modalità di accertamento del reddito 6 Messico È stato recentemente firmato un nuovo accordo per favorire le esportazioni europee di componenti per l’industria automobilistica. È infatti prevista una riduzione progressiva, nell’arco di un periodo di sette anni, sui dazi doganali, fino ad arrivare a tariffa zero nell’anno 2007. In particolare l’accordo prevede che, a partire dal 2003, il 60 per cento dei beni industriali europei viaggerà senza pagamento di dazi mentre il restante 40 per cento sarà assoggettato al pagamento di un’imposta con aliquota pari al 5 per cento. 7 Venezuela Il 22 ottobre 1999, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto n. 356 del 3 ottobre 1999 recante disposizioni in materia di promozione e prote- il fisco La riforma fiscale attiene anche alla modalità e ai tempi di presentazione della dichiarazione dei redditi da parte delle società. Secondo le norme in vigore fino ad oggi le società sono tenute a presentare le dichiarazioni dei redditi solitamente 30 giorni dopo la ricezione dell’avviso da parte della Pubblica Amministrazione (IRB). Secondo la nuova proposta, invece, la dichiarazione fornita dalla società sarà considerata come una autovalutazione. La responsabilità sarà a carico del contribuente che dovrà predisporre la propria dichiarazione dei redditi secondo il principio di ragionevolezza per evitare, qualora la dichiarazione stessa risultasse inesatta, multe che comportano anche la reclusione. 12/2000 il fisco 3481 I contratti di stabilità giuridica sono accordi di lungo termine volti a tutelare gli investimenti effettuati da soggetti non residenti. Sono stipulati tra investitori stranieri e determinati enti nazionali per un periodo massimo di 10 anni e garantiscono il mantenimento, per la durata dell’accordo, del regime fiscale vigente al momento della stipulazione del contratto. In tema di esproprio, occorre ricordare che la Costituzione venezuelana riconosce allo Stato il diritto di espropriare beni ed investimenti per motivi di pubblica utilità, senza prevedere alcuna forma di tutela per i proprietari. La LPPI, invece, impone, in caso di espropriazione di investimenti di non residenti, che vengano rispettate appropriate procedure e che l’indennità di espropriazione sia equa, comprensiva degli interessi calcolati al tasso di mercato, e gratuitamente convertibile in valuta straniera. Per quanto attiene alla risoluzione delle dispute tra investitori esteri e governo, la LPPI stabilisce modalità differenti a seconda che l’investitore estero sia o meno residente in uno Stato che ha stipulato con il Venezuela un trattato per la promozione degli investimenti. In assenza di tali trattati, qualora non si giunga ad un accordo per via diplomatica entro 12 mesi dalla presentazione del reclamo da parte dell’investitore estero, il Governo venezuelano deve concordare, con lo Stato di residenza dell’investitore, la nomina di un collegio arbitrale e la ripartizione delle spese ad esso relative. La decisione del collegio è vincolante ed inappellabile. Per gli investitori residenti in Paesi con i quali il Venezuela ha stipulato trattati per la promozione degli investimenti, la risoluzione della controversia può essere demandata direttamente al collegio arbitrale, senza dover precedentemente adire le vie diplomatiche. Relativamente alla natura delle imposte statali e comunali, la LPPI richiede allo Stato e agli enti locaRFI - 63 3482 il fisco 12/2000 Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 li che le imposte gravanti sull’industria e sul commercio non abbiano carattere “confiscatorio” e non siano di ostacolo alla crescita degli investimenti. Infine, la LPPI riconosce agli investitori non residenti il diritto di riportare nello Stato di residenza i capitali investiti ed i frutti da essi derivanti, nonché le royalties e le indennità percepite in RFI - 64 Venezuela. Tuttavia, qualora l’esercizio di tale diritto determini un disequilibrio nella bilancia dei pagamenti o nelle riserve valutarie venezuelane, può essere limitato, nei modi e nei tempi previsti dalla legge e a condizione che non siano danneggiati gli interessi economici degli investitori esteri. Rassegna di fiscalità internazionale Panorama giurisprudenziale A cura di Piergiorgio Valente e Franco Roccatagliata con la collaborazione del Centro Studi Ernst & Young NO VI TÀ Nelle librerie specializzate o con richiesta diretta all’Editore Maurizio Lupoi ROME 2000 Trust Laws of the World A collection of original texts Volumi di 2.080 pagine, lire 120.000 (i.i.) - Abroad - $ 120 (p. and p. included) Volume I Volume II A-J L-W richiesta a: ETI S.p.A. VIALE MAZZINI, 25 - 00195 ROMA versando l’importo di L. 120.000 sul c/c postale n. 61844007 o con assegno bancario non trasferibile Panorama giurisprudenziale 12/2000 il fisco 3485 1 PANORAMA GIURISPRUDENZIALE Sentenza della Corte (Sesta Sezione) 29 settembre 1999: “Direttiva 69/335/CEE - Imposte indirette sulla raccolta di capitali - Onorari richiesti per la redazione di un atto notarile che attesta un aumento di capitale nonché una modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali” Causa C-56/98 tra Modelo sgps sa e Director-Geral dos registos e Notariado, Ministério pù blico il fisco ... 1. Con ordinanza 21 gennaio 1998, pervenuta in cancelleria il 24 febbraio seguente, il Supremo Tribunal Administrativo ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell’art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), quattro questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione degli artt. 4, n. 3, 10 e 12, n. 1, lettera e), della Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, concernente le imposte indiret- te sulla raccolta di capitali (GU L 249, pag. 25), come modificata con Direttiva del Consiglio 10 giugno 1985, 85/303/CEE (GU L 156, pag. 23; in prosieguo: la “Direttiva”). 2. Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra la Modelo SGPS SA (in prosieguo: la “Modelo”) ed il Director-Geral dos Registos e Notariado in merito al pagamento degli onorari notarili richiesti per la redazione di atti RFI - 67 3486 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 pubblici che attestano l’aumento del capitale sociale nonché la modifica della denominazione sociale e della sede della Modelo. dall’imposta sui conferimenti ai quali, in deroga all’art. 10, possono essere sottoposte le società di capitali in occasione delle operazioni contemplate da quest’ultimo articolo (vd. Sentenza 2 febbraio 1988, Causa 36/86, Dansk Sparinvest, “Racc.”, pag. 409, punto 9). L’art. 12 della Direttiva cita, al suo n. 1, lettera e), i “diritti di carattere remunerativo”. La normativa comunitaria 3. Come si evince dal suo preambolo, la Direttiva ha inteso promuovere la libertà di circolazione dei capitali, considerata essenziale alla creazione di un’unione economica che abbia caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno. Il perseguimento di tale obiettivo presuppone, per quanto riguarda la tassazione della raccolta di capitali, la soppressione delle imposte fino ad allora in vigore negli Stati membri e l’applicazione, in luogo di esse, di un’imposta riscossa una sola volta nel mercato comune e di pari livello in tutti gli Stati membri (Sentenza 2 dicembre 1997, Causa C-188/95, Fantask e a., “Racc.”, pag. I-6783, punto 13). 4. L’art. 4, n. 1, della Direttiva dispone che: La normativa nazionale “Sono sottoposte all’imposta sui conferimenti le operazioni seguenti: a) la costituzione di una società di capitali; b) ...; c) l’aumento del capitale sociale di una società di capitali mediante conferimento di beni di qualsiasi natura; ...” “Oltre all’imposta sui conferimenti, gli Stati membri non applicano, per quanto concerne le società, associazioni o persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, nessuna altra imposizione, sotto qualsiasi forma: a) per le operazioni previste all’art. 4; b) per i conferimenti, prestiti o prestazioni, effettuati nel quadro delle operazioni previste all’art. 4; c) per l’immatricolazione o per qualsiasi altra formalità preliminare all’esercizio di un’attività, alla quale una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica”. 8. L’art. 12, n. 1, della Direttiva stabilisce un elenco tassativo delle imposte e dei diritti diversi RFI - 68 il fisco 5. In forza dell’art. 4, n. 3, della Direttiva, non si considera costituzione di società ai sensi del n. 1, lettera a), qualsiasi modifica dell’atto costitutivo o dello statuto di una società di capitali. 6. L’art. 4, n. 2, della Direttiva elenca le diverse operazioni che gli Stati membri possono, a determinate condizioni, sottoporre all’imposta sui conferimenti. 7. La Direttiva prescrive anche, conformemente all’ultimo “considerando”, la soppressione di altre imposte indirette aventi le stesse caratteristiche dell’imposta sui conferimenti. Tali tributi, di cui è vietata la riscossione, sono in particolare elencati nell’art. 10 della Direttiva, ai sensi del quale: 8. Il codice portoghese del notariato, emanato con D.L. 31 marzo 1967, n. 47619, prevede che alcuni negozi debbano formare oggetto di atti pubblici, vale a dire devono essere attestati in un documento redatto da un notaio. Tra tali negozi figurano gli “atti di costituzione, modifica, scioglimento e semplice liquidazione delle società commerciali ... come anche gli atti di modifica dei contratti di società” [art. 89, lettera e), del codice del notariato). 9. L’importo degli onorari dovuti per la redazione di atti notarili è fissato dalla tariffa degli onorari notarili (in prosieguo: la “tariffa”), nella sua versione risultante dall’allegato al D.L. 2 novembre 1983, n. 397/83. 10. L’art. 1, n. 1, della tariffa prevede che il valore degli atti notarili è, in generale, pari a quello dei beni che ne costituiscono l’oggetto. L’art. 2, n. 2, della tariffa precisa il valore di ogni tipo di atto notarile: tale valore equivale, per gli atti di costituzione di società, di modifica del contratto di società o di scioglimento di società, all’importo del capitale [art. 1, n. 2, lettera e)], per gli aumenti di capitale, con o senza modifica del contratto di società, all’importo dell’aumento [art. 1, n. 2, lettera f)] e, per gli aumenti di capitale accompagnati da una modifica parziale di clausole diverse da quelle direttamente interessate dall’aumento, all’importo dell’aumento o quello del capitale modificato, a seconda di quale comporti gli onorari più elevati [art. 1, n. 2, lettera g)]. 11. Ai sensi dell’art. 5 della tariffa, se il negozio che è stato oggetto dell’atto pubblico ha un valore determinato, si devono aggiungere agli onorari fissi, previsti all’art. 4 della tariffa, degli onorari variabili, il cui importo, calcolato sul valore totale dell’atto, è, per ogni taglio da 1.000 ESC, di 10 ESC fino a 200.000 ESC, di 5 ESC tra 200.000 e 1.000.000 ESC, di 4 ESC tra 1.000.000 e 10.000.000 ESC e di 3 ESC per importi superiori a 10.000.000 ESC. 12. L’art. 27, n. 1, lettera c), della tariffa prevede una riduzione della metà degli onorari previsti all’art. 5 per gli atti di modifica parziale del contratto di società, di proroga o continuazione della società. La causa principale 14. La Modelo decideva di aumentare il proprio capitale sociale da 7.240.000.000 ESC a Panorama giurisprudenziale 14.000.000.000 ESC, nonché di modificare la propria denominazione sociale e la propria sede. Il 31 dicembre 1992 essa faceva redigere, a tale scopo, alcuni atti pubblici presso lo studio notarile n. 6 della città di Oporto. A tale titolo, essa veniva invitata a pagare onorari per un importo di 21.006.000 ESC. 15. La Modelo impugnava la liquidazione degli onorari dinanzi al Tribunal Tributário de Primeira Instância do Porto, il quale rigettava il ricorso. Essa ricorreva quindi al Supremo Tribunal Administrativo, facendo valere che gli onorari contestati sono in realtà imposte il cui ammontare, per tale motivo, deve essere determinato dal Parlamento e non dal Governo, che l’importo richiesto è sproporzionato rispetto ai servizi forniti e che la riscossione degli onorari è incompatibile con la Direttiva. 16. Interrogandosi circa la conformità della tariffa alla Direttiva, il Supremo Tribunal Administrativo decideva di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte le questioni pregiudiziali seguenti: Sulle questioni pregiudiziali 17. Con tali questioni il giudice a quo domanda sostanzialmente, in primo luogo, se il pagamento degli onorari notarili possa essere considerato come un’imposta ai sensi della Direttiva. In caso di soluzione affermativa, il giudice a quo chiede di sapere se gli onorari notarili siano colpiti dal divieto previsto all’art. 10 della Direttiva o se si tratti di un diritto avente carattere remunerativo ai sensi dell’art. 12, n. 1, lettera e), della Direttiva. Infine, il giudice a quo domanda se l’art. 10 della Direttiva generi diritti di cui i singoli possono avvalersi dinanzi ai giudici nazionali. Sulla qualifica d’imposta ai sensi della Direttiva il fisco “1) Se l’art. 10 della Direttiva del Consiglio 69/335/CEE possa essere invocato da un singolo nei suoi rapporti con lo Stato, anche se questo non abbia trasposto la stessa Direttiva nel proprio ordinamento giuridico nazionale. 2) Se le operazioni di cui all’art. 4, n. 3, della Direttiva 69/335/CEE debbano considerarsi colpite dal divieto sancito dall’art. 10 della stessa, sicché sia vietata la riscossione, con riferimento ad esse, non solo dell’imposta sul conferimento di capitali, ma pure qualunque altra imposta di qualsiasi natura. 3) Se le disposizioni di cui agli artt. 10 e 12, n. 1, lettera e) della Direttiva 69/335/CEE debbano essere interpretate nel senso che vietano che gli onorari dovuti al notaio per la redazione in forma di atto pubblico (prescritto per legge) delle deliberazioni di aumento di capitale o recanti modifiche statutarie possano variare in funzione, rispettivamente, dell’importo dell’aumento e dell’entità del capitale e non in funzione del costo del servizio prestato. 4) Se, nell’ipotesi di soluzione affermativa, sia ammissibile, in considerazione degli artt. 10 e 12, n. 1, lettera e), della Direttiva 69/335/CEE, che l’importo di detti onorari ecceda manifestamente e illogicamente il costo effettivo del servizio specifico prestato”. 12/2000 il fisco 3487 18. Da una risposta del Governo portoghese ai quesiti posti dalla Corte si evince che in Portogallo, da un lato, i notai sono dipendenti statali soggetti agli stessi diritti e doveri degli altri impiegati pubblici e, dall’altro, la loro remunerazione è costituita da una parte fissa, determinata in base agli stessi criteri applicati a tutti gli altri dipendenti statali, e da una parte variabile, rappresentata da una partecipazione agli onorari riscossi. 19. I notai compilano un riepilogo mensile degli onorari percepiti. Dal totale così ottenuto vengono detratte alcune somme, calcolate in base a determinate percentuali, che spettano al notaio ed ai suoi dipendenti. Il resto è versato alla Cofre dos Conservadores, Notários e Funcionários de Justiça (Cassa dei conservatori, notai ed agenti di giustizia, in prosieguo: la “Cassa”). 20. Secondo il Governo portoghese, la Cassa finanzia il pagamento della parte fissa del salario dei notai e degli altri funzionari, le spese relative alla formazione professionale dei notai, le spese d’acquisto di locali e mobilio necessari per l’insediamento dei notai nonché, previa autorizzazione del Ministero della Giustizia, altre spese in ambito giudiziario. 21. Da ciò discende che una parte degli onorari controversi nella causa principale, dovuti in applicazione di una norma giuridica stabilita dallo Stato, è versata dai privati allo Stato per finanziarne alcune funzioni. 22. Considerati gli obiettivi perseguiti dalla Direttiva, specie la soppressione delle imposte indirette che presentano le stesse caratteristiche dell’imposta sui conferimenti, occorre qualificare come imposte, ai sensi della Direttiva, gli onorari notarili riscossi per un’operazione rientrante nella Direttiva, compiuta da dipendenti statali, ed in parte versati allo Stato per finanziare spese pubbliche. 23. Da ciò che precede discende che la Direttiva deve essere interpretata nel senso che gli onorari riscossi per la redazione di un atto notarile che attesta un’operazione prevista dalla Direttiva, in una situazione caratterizzata dal fatto che i notai sono dipendenti statali e che gli onorari sono in parte versati allo Stato per finanziare talune funzioni di quest’ultimo, costituiscono un’imposta ai sensi della Direttiva. RFI - 69 3488 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 Sul divieto previsto all’art. 10 della Direttiva RFI - 70 il fisco 24. Ai sensi dell’art. 10, lettera c), della Direttiva, oltre all’imposta sui conferimenti, sono vietate le imposte sulla registrazione o su qualsiasi altra formalità preliminare all’esercizio di un’attività alla quale una società può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica. Questo divieto è giustificato dal fatto che, anche se i tributi di cui trattasi non colpiscono i conferimenti di capitali in quanto tali, essi sono tuttavia riscossi per le formalità connesse alla forma giuridica della società, vale a dire a motivo dello strumento usato per raccogliere capitali, per cui il loro mantenimento rischierebbe di mettere in discussione anche gli scopi perseguiti dalla Direttiva (Sentenza 11 giugno 1996, Causa C2/94, Denkavit International e a., “Racc.”, pag. I2827, punto 23). 25. Tale divieto riguarda non solo i diritti versati in occasione dell’iscrizione delle nuove società, ma anche i diritti dovuti per l’iscrizione degli aumenti di capitale effettuati da tali società nel caso siano anch’essi riscossi in ragione di una formalità essenziale connessa alla forma giuridica delle società di cui trattasi. Pur non costituendo formalmente una procedura preliminare all’esercizio dell’attività delle società di capitali, l’iscrizione degli aumenti di capitale è tuttavia condizione per l’esercizio e la prosecuzione di tale attività (Sentenza Fantask e a., già citata, punto 22). 26. Dovendo l’aumento del capitale sociale di una società di capitali, nell’ordinamento portoghese, formare necessariamente l’oggetto di un atto notarile, si deve constatare che tale atto costituisce una formalità essenziale connessa alla forma giuridica della società e che esso è condizione per l’esercizio e la prosecuzione dell’attività di quest’ultima. 27. Inoltre, un’imposta riscossa sotto forma di onorari per la redazione di atti notarili che attestano la modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali deve essere considerata come avente le stesse caratteristiche dell’imposta sui conferimenti, in quanto venga calcolata sulla base del capitale sociale della società. Infatti, se fosse altrimenti, gli Stati membri, pur astenendosi dal tassare le raccolte di capitali in quanto tali, potrebbero colpire gli stessi capitali in occasione di una modifica dello statuto di una società di capitali. L’obiettivo perseguito dalla Direttiva potrebbe così essere aggirato. 28. Ne consegue che occorre risolvere la questione nel senso che gli onorari riscossi per la redazione di atti notarili che attestano l’aumento del capitale nonché la modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali sono, qualora costituiscano un’imposta ai sensi della Direttiva, vietati in linea di principio in forza dell’art. 10, lettera c), della Direttiva. Sulla deroga prevista dall’art. 12, n. 1, lettera e), della Direttiva 29. Si deve a tale riguardo rilevare che la distinzione tra i tributi vietati ai sensi dell’art. 10 della Direttiva e i diritti a carattere remunerativo implica che questi ultimi comprendano soltanto le remunerazioni la cui entità sia calcolata in base al costo del servizio reso. Una remunerazione la cui entità sia priva di qualunque nesso con il costo del servizio concretamente reso ovvero sia calcolata in funzione non del costo dell’operazione di cui essa costituisce il corrispettivo, bensì dell’insieme dei costi di gestione e di investimento del servizio incaricato della detta operazione dev’essere considerata come un tributo che può solo ricadere sotto il divieto di cui all’art. 10 della Direttiva (vd. Sentenza 20 aprile 1993, Cause riunite C-71/91 e C178/91, Ponente Carni, “Racc.”, pag. I-1915, punti 41 e 42). 30. Si deve del pari rilevare che un diritto il cui importo aumenta direttamente e senza limiti in proporzione al capitale nominale sottoscritto non può, di per sé, costituire un’imposta a carattere remunerativo ai sensi della Direttiva. Infatti, pur potendo esistere, in determinati casi, un nesso tra la complessità del servizio reso e l’entità dei capitali sottoscritti, l’importo di tale imposta sarà generalmente privo di correlazione con le spese concretamente affrontate dall’amministrazione che ha prestato il servizio (vd. in tal senso la Sentenza Fantask, citata, punto 31). 31. Nel caso di specie, sebbene l’imposta sia riscossa secondo un tariffario regressivo, l’entità dell’imposta aumenta comunque direttamente in proporzione del capitale nominale sottoscritto. Inoltre, considerato che, al di sopra di 10.000.000 ESC, i diritti riscossi sono pari al tasso non trascurabile dello 0,3 per cento, senza la previsione di alcun limite, gli onorari possono raggiungere un importo rilevante. 32. In tali circostanze occorre risolvere la questione nel senso che un diritto riscosso per la redazione di un atto notarile che attesta l’aumento del capitale sociale nonché la modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali, come gli onorari di cui alla causa principale, il cui importo aumenta direttamente e senza limiti in proporzione al capitale sociale sottoscritto non ha carattere remunerativo ai sensi dell’art. 12, n. 1, lettera e), della Direttiva. Sull’effetto diretto dell’art. 10 della Direttiva 33. Occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, in tutti i casi in cui talune disposizioni di una Direttiva appaiano, sotto il profilo sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i sin- Panorama giurisprudenziale il fisco goli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la Direttiva nel diritto nazionale, sia che l’abbia recepita in modo inadeguato (vd., in particolare, Sentenza 23 febbraio 1994, Causa C-236/92, Comitato di coordinamento per la difesa della cava e a., “Racc.”, pag. I-483, punto 8). 34. Sotto questo profilo, come la Corte ha già avuto occasione di rilevare, il divieto sancito dall’art. 10 della Direttiva è formulato in modo sufficientemente preciso e incondizionato da poter essere invocato dai singoli davanti ai giudici nazionali contro una disposizione di diritto nazionale in contrasto con la detta Direttiva (Sentenza 5 marzo 1998, Causa C347/96, Solred, “Racc.”, pag. I-937, punto 29). 35. Si deve pertanto risolvere la questione nel senso che l’art. 10 della Direttiva attribuisce ai singoli diritti di cui possono avvalersi dinanzi ai giudici nazionali. Sulle spese 36. Le spese sostenute dai Governi portoghese, belga, tedesco, spagnolo, francese ed austriaco, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dare luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. P.Q.M. la Corte, pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Supremo Tribunal Administrativo, con ordinanza 21 gennaio 1998, dichiara: 12/2000 il fisco 3489 1) La Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, come modificata dalla Direttiva del Consiglio 10 giugno 1985, 85/303/CEE, deve essere interpretata nel senso che gli onorari riscossi per la redazione di un atto notarile che attesta un’operazione prevista dalla Direttiva, in una situazione caratterizzata dal fatto che i notai sono dipendenti statali e che gli onorari sono in parte versati allo Stato per finanziare talune funzioni di quest’ultimo, costituiscono un’imposta ai sensi della Direttiva. 2) Gli onorari dovuti per la redazione di un atto notarile che attesta l’aumento del capitale nonché la modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali sono, qualora costituiscano un’imposta ai sensi della Direttiva 69/335, come modificata dalla Direttiva 85/303, vietati in linea di principio in forza dell’art. 10, lettera c), della stessa Direttiva. 3) Un diritto riscosso per la redazione di un atto notarile che attesta l’aumento del capitale sociale nonché la modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali, come gli onorari di cui alla causa principale, il cui importo aumenta direttamente e senza limiti in proporzione al capitale sociale sottoscritto, non ha carattere remunerativo ai sensi dell’art. 12, n. 1, lettera e), della Direttiva 69/335, come modificata dalla Direttiva 85/303. 4) L’art. 10 della Direttiva n. 69/335, come modificata dalla Direttiva n. 85/303, attribuisce ai singoli diritti di cui possono avvalersi dinanzi ai giudici nazionali. Commento (*) Le parcelle notarili hanno natura impositiva? il fisco Oggetto della causa è stato il ricorso di una società portoghese - la Modelo SGPS SA - avverso la liquidazione degli oneri notarili relativi all’atto pubblico con il quale la stessa aveva provveduto ad aumentare il proprio capitale sociale e a modificare il proprio nome e la propria sede sociale. Secondo il codice portoghese del notariato (1), infatti, determinati negozi devono essere attestati in un documento redatto da un notaio. Tra tali atti figurano gli “atti di costituzione, modifica, scioglimento e semplice liquidazione delle società commerciali …. come anche gli atti di modifica dei contratti di società”(2). La SGPS ha sostenuto che gli onorari richiesti fossero in realtà delle imposte il cui ammontare dovesse essere determinato dal Parlamento e non dal Governo e che la loro riscossione fosse incompatibile con la Direttiva n. 69/335/CEE concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali. La questione è stata portata dalla società davanti al Supremo Tribunal Administrativo, il quale ha ritenuto di sospendere il procedimento (*) Ha collaborato di Maria Giuseppina Valente, Dottore commercialista in Roma. (1) D.L. 31 marzo 1967, n. 47619. (2) Art. 89, lettera e), del Codice del Notariato. RFI - 71 3490 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: - se il pagamento degli oneri notarili possa essere considerato come un’imposta ai sensi della Direttiva n. 69/335/CEE e, in caso di risposta affermativa, se tali onorari rientrino nel divieto previsto dall’art. 10 della Direttiva ovvero se possano considerarsi quali “diritti di carattere remunerativo” e pertanto ammessi ai sensi dell’art. 12, n. 1, lettera e), della Direttiva; - se le disposizioni contenute nell’art. 10 della Direttiva n. 69/335/CEE generino diritti di cui i singoli possano avvalersi direttamente davanti ai giudici nazionali. La Direttiva n. 69/335/CEE (3) Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 335 pubblicata in GUCE L 249/25 del 3 ottobre 1969, successivamente modificata ed integrata da: Direttiva 9 aprile 1973, n. 79 pubblicata in GUCE L 103/13 del 18 aprile 1973, Direttiva 9 aprile 1973, n. 80 pubblicata in GUCE L 103/15 del 18 aprile 1973, Direttiva 7 novembre 1974, n. 553 pubblicata in GUCE L 303/9 del 13 novembre 1974 e Direttiva 10 giugno 1985 n. 303 pubblicata in GUCE L 156/23 del 15 giugno 1985. il fisco La Direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 17 luglio 1969, n. 335 (3), concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, mira “ad armonizzare gli elementi che contribuiscono alla fissazione e alla riscossione dell’imposta gravante sui conferimenti di capitali in società nella Comunità, nel contesto dell’eliminazione degli ostacoli fiscali che si frappongono alla libera circolazione dei capitali” (4). Il legislatore comunitario, motivato dall’esigenza di eliminare le disparità che ostacolano la libera circolazione di capitali, è intervenuto con la Direttiva in esame prevedendo una disciplina unitaria per una serie di operazioni, che sono funzionali alla raccolta di capitali da parte delle società di capitali. Il risultato è stato quello della creazione di una “imposta sui conferimenti”, che si sarebbe dovuta sostituire ad ogni altra imposta esistente nei Singoli stati membri, ai quali doveva essere preclusa l’applicazione di altre forme di imposizione diverse da quella disciplinata a livello comunitario, fatte salve poche deroghe espressamente consentite dalla Direttiva stessa (5). La Direttiva si applica dunque ai “conferimenti alle società di capitali”, che il movimento di capitali o di beni sia la principale caratteristica delle operazioni soggette all’imposta sui conferimenti è confermato dall’art. 4, paragrafo (6): per evitare una doppia imposizione, questa disposizione esclude dalla nozione di “costituzione” talune operazioni che, sebbene importanti nell’esistenza giuridica di una società di capitali, non determinano movimenti di capitali. L’art. 10 della Direttiva, inteso alla luce del suo ultimo “considerando” (7), vieta al di fuori dell’imposta sui conferimenti, le imposte indirette aventi le stesse caratteristiche di tale imposta. Si tratta, fra l’altro, dei tributi che, sotto qualsiasi forma, sono dovuti per la costituzione di una società di capitali e l’aumento del suo capitale, ovvero per la sua registrazione o per qualsiasi formalità preliminare all’esercizio di un’attività alla quale una società può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica. Quest’ultimo divieto è giustificato dal fatto che, anche se i tributi di cui trattasi non colpiscono i conferimenti di capitali in quanto tali, essi sono tuttavia riscossi per le formalità connesse alla forma giuridica della società, vale a dire a motivo dello strumento usato per raccogliere capitali, per cui il loro mantenimento rischierebbe di mettere in discussione anche gli scopi perseguiti dalla Direttiva (8). Qualche eccezione al principio di esclusività dell’imposta sui conferimenti è prevista all’art. 12, paragrafo 1, della Direttiva, ai sensi del quale gli Stati membri possono applicare, fra l’altro, diritti aventi carattere remunerativo, ovvero diritti che comprendano soltanto le remunerazioni, riscosse all’atto della registrazione o annualmente, la cui entità sia calcolata in base al costo del servizio reso (9). (6) Art. 4, paragrafo 3: “Non si considera costituzione di società ai sensi del paragrafo 1, lettera a), qualsiasi modifica dell’atto costitutivo o dello statuto di una società di capitali e in particolare: a) la trasformazione di una società di capitali in una società di capitali di tipo diverso; b) il trasferimento da uno Stato membro in un altro Stato membro della sede della direzione effettiva o della sede statutaria di una società, associazione o persona giuridica che è considerata, per l’applicazione dell’imposta sui conferimenti, come società di capitali in ciascuno di detti Stati membri; c) la modifica dell’oggetto sociale di una società di capitali; d) la proroga di una società di capitali”. (7) Il preambolo alla Direttiva n. 69/335/CEE prevede: “… considerando che il mantenimento di altre imposte indirette aventi le stesse caratteristiche dell’imposta sui conferimenti e dell’imposta di bollo sui titoli rischia di rimettere in questione le finalità perseguite dai provvedimenti previste dalla presente Direttiva e che è pertanto necessario sopprimere tali imposizioni ...”. (4) Corte di Giustizia CEE, Sentenza 5 marzo 1998, Causa C347/96, Solred/Administracion General del Estado, punto 3. (8) Sentenze 5 marzo 1998, Causa C-347/96, Solered, punto 21; 11 giugno 1996, Causa C-2/94, Denkavit International, punto 23; 2 dicembre 1997, Causa C-188/95, Fantask, punto 21 e conclusioni dell’Avvocato Generale Jacobs, punto 44, nella Causa Denkavit (C-294). (5) Carmini-Mainardi, Elementi di diritto tributario comunitario, 1996, Padova, pag. 226. (9) Sentenza 20 aprile 1993, procedimenti riuniti C-71/91 e C178/91, Ponente Carni e a., punto 41. RFI - 72 Panorama giurisprudenziale La Sentenza della Corte La Corte, rispondendo ai quesiti posti dal Supremo Tribunal Administrativo, ha affermato che: - gli onorari riscossi per la redazione di un atto notarile che attesta l’aumento del capitale nonché la modifica della denominazione sociale e della sede di una società di capitali costituiscono un’imposta ai sensi della Direttiva; - che i suddetti onorari, qualora costituiscano un’imposta ai sensi della Direttiva, sono in linea di principio, vietati in forza dell’art. 10, lettera c), della stessa. (10) Cfr. nota 17. (11) Cfr. nota 18. (12) Punto 18 della Sentenza. (13) In base alla tariffa che disciplina la misura degli emolumenti notarili, contenuta nell’Allegato al D.L. 2 novembre 1983, n. 397, il valore degli atti notarili è, in via generale, pari a quel- il fisco A tale conclusione la Corte è pervenuta analizzando la natura degli oneri in oggetto in relazione alla normativa portoghese che disciplina la funzione notarile (10). Sulla base dell’indagine fatta dalla Corte, è emerso in primo luogo che tra gli atti che devono essere redatti in forma pubblica, ovvero attestati in un documento redatto da un notaio, rientrano “gli atti di costituzione, modifica, scioglimento e semplice liquidazione delle società commerciali … come anche gli atti di modifica dei contratti di società” (11). Da quanto esposto dal Governo, i notai portoghesi esercitano le loro funzioni nell’ambito di un servizio pubblico, essendo funzionari dello Stato. Essi sono tuttavia personalmente responsabili degli atti da essi redatti e sono tenuti ad indennizzare i soggetti che abbiano subito un danno derivante dal loro comportamento (12). La remunerazione del notaio comprende una parte fissa ed una variabile. La parte fissa è determinata secondo i criteri applicabili a tutti i funzionari pubblici. Quella variabile è fissata in misura percentuale degli onorari percepiti per i loro atti. Infatti, ogni mese i notai compilano un riepilogo mensile degli emolumenti percepiti e gli stessi trattengono delle somme, calcolate in base a determinate percentuali, che spettano al notaio e ai suoi dipendenti. La parte restante è versata alla Cofre dos Conservadores, Notários e Funcionários de Justiça (Cassa dei conservatori, notai ed agenti di giustizia), la quale finanzia il pagamento della parte fissa del salario dei notai e degli altri funzionari, le spese relative alla loro formazione professionale e le altre le spese necessarie per lo svolgimento dell’attività (13). 12/2000 il fisco 3491 L’avere analizzato la natura, secondo il diritto interno, degli oneri notarili in oggetto, non è però sufficiente a risolvere la questione relativa alla loro compatibilità con la Direttiva; occorre infatti che la qualificazione di un’imposta, tassa, dazio o prelievo venga compiuta sulla scorta delle caratteristiche oggettive dell’imposta, indipendentemente dalla qualificazione che le viene attribuita nel diritto nazionale (14) e, soprattutto, alla luce delle disposizioni contenute nella Direttiva. Secondo quanto previsto da quest’ultima, occorre in primo luogo distinguere tra le imposte sui conferimenti di cui agli artt. 2-9 e quelle imposte aventi le stesse caratteristiche dalle imposte sui conferimenti, previste dall’art. 10 (15) e in linea di principio vietate. In particolare, i tributi contemplati alla lettera c) dell’art. 10, anche se non colpiscono gli apporti di capitale in quanto tali, sono riscossi in ragione delle formalità connesse alla forma giuridica della società, vale a dire a motivo dello strumento usato per la raccolta di capitali, per cui il loro mantenimento rischierebbe di mettere in discussione anche gli scopi perseguiti dalla Direttiva (16). Alla luce delle considerazioni svolte, gli “onorari dovuti per la redazione di un atto notarile” rientrano nel divieto stabilito dalla Direttiva all’art. 10, lettera c). Infatti, pur non costituendo formalmente una procedura preliminare all’esercizio dell’attività delle società di capitali, l’iscrizione degli aumenti di capitale è tuttavia condizione per l’esercizio e la prosecuzione della stessa (17). lo dei beni che ne costituiscono l’oggetto. Nel caso specifico, in cui si è provveduto ad aumentare il capitale della società, il valore sarebbe costituito dall’importo dell’aumento. Secondo quanto è previsto dalla tariffa degli oneri notarili, occorre aggiungere agli onorari fissi degli onorari variabili, il cui importo viene calcolato sul valore dell’atto come sopra definito, in misura percentuale del valore del capitale. (14) Sentenza 13 febbraio 1996, procedimenti riuniti C-197 e C-252, Societé Bautiaa e a., punto 39; ma anche Sentenza 27 ottobre 1998, Causa C-4/97, Nonwoven, punto 19. (15) Ai sensi dell’art. 10 della Direttiva “oltre all’imposta sui conferimenti, gli Stati membri non applicano, per quanto concerne la società, associazioni o persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, nessuna altra imposizione, sotto qualsiasi forma: a) per le operazioni previste all’art. 4; b) per i conferimenti, prestiti o prestazioni, effettuati nel quadro delle operazioni previste all’art. 4; c) per l’immatricolazione o per qualsiasi altra formalità preliminare all’esercizio di un’attività, alla quale una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica”. (16) Conclusioni dell’Avvocato Jacobs punto 44 nella Causa C-294, Denkavit e a. e nella Sentenza della Corte dell’11 giugno, punto 23. Allo stesso modo si era espressa la Corte nella Sentenza 2 dicembre 1997, Causa C-188/95, Fantask e a., punto 21 e in quella del 5 marzo 1998, Causa C-347/96, Solered, punto 21. (17) Sentenza Solered, punto 21. RFI - 73 3492 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 (18) Sentenza Fantask, punto 22. (19) La remunerazione così corrisposta al notaio non avrebbe neppure le caratteristiche tipiche di imposta. In via generale, l’imposta è “intesa come prestazione coattiva, di regola pecuniaria, dovuta dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con una particolare attività dell’ente pubblico, e tantomeno a favore del soggetto stesso, il quale è obbligato ad adempiere quella prestazione quando egli si trovi in un dato rapporto con il presupposto di fatto legislativamente stabilito”. Micheli, Corso di Diritto Tributario, 1989, Torino, pag. 18. RFI - 74 sufficiente per differenziare la figura del notaio da quella di un funzionario pubblico in senso proprio. Le somme percepite dal notaio portoghese non sono pertanto differenti da quelle percepite dai notai negli altri ordinamenti, in cui essi sono liberi professionisti e sono pagati in base alle prestazioni effettuate; le remunerazioni ricevute costituiscono un reddito professionale che permette di coprire le spese dell’attività notarile e di mantenere un certo tenore di vita (20). Conferma di quanto detto deriva anche dalla circostanza che il notaio portoghese svolge la propria attività sotto la sua piena responsabilità e che lo stesso è personalmente responsabile degli atti che redige ed è tenuto ad indennizzare le persone che subiscano un danno dagli atti stessi. Effetti della pronuncia della Corte sulla funzione pubblica notarile il fisco La Corte ha però sostenuto che gli onorari dovuti per la redazione di un atto notarile costituiscono un’imposta ai sensi della Direttiva, in quanto i notai sono dipendenti statali e detti onorari sono “in parte” versati allo Stato per finanziare talune funzioni di quest’ultimo. Tale conclusione non può essere condivisa pienamente se si ha riguardo alla duplice composizione della remunerazione percepita dai notai portoghesi: ovvero di compenso erogato in misura fissa e di compenso variabile in funzione degli onorari riscossi. L’affermazione della Corte sarebbe condivisibile qualora gli onorari notarili, in quanto dovuti in applicazione di una norma giuridica stabilita dallo Stato e versati dai privati per finanziarne alcune funzioni, fossero costituiti esclusivamente dalla remunerazione in misura fissa, determinata in base agli stessi criteri applicabili a tutti i dipendenti statali. La riscossione degli onorari così determinati e dovuti in ragione di una formalità essenziale connessa alla forma giuridica della società, sarebbe pertanto vietata ai sensi dell’art. 10, paragrafo 1, lettera c), della Direttiva, alla stessa stregua dei diritti riscossi per qualsiasi “formalità necessaria per l’esercizio di un’attività … in ragione della sua forma giuridica” (18). Inoltre, alla luce dell’art. 12 della Direttiva, la loro riscossione sarebbe potuta rientrare nella deroga prevista dall’articolo citato, nella misura in cui detti diritti avessero avuto carattere remunerativo del servizio reso. Ma il compenso percepito da un notaio portoghese è anche determinato in percentuale agli onorari riscossi per la redazione degli atti. Gli onorari percepiti dal notaio in funzione delle somme percepite non potrebbero pertanto rientrare nelle previsioni della Direttiva, in quanto gli stessi non assumerebbero le caratteristiche di una imposta avente le stesse caratteristiche dell’imposta sui conferimenti statali (19). Sebbene il notaio portoghese riceva, quale compenso per l’attività prestata, degli emolumenti calcolati in misura fissa, tuttavia, egli percepisce anche una somma calcolata in misura percentuale sugli onorari riscossi e tale erogazione attesterebbe lo scopo lucrativo di tale professione, e ciò sarebbe La Corte nella Sentenza in commento, nel considerare gli onorari riscossi per la redazione di un atto notarile un’imposta ai sensi della Direttiva, ha sicuramente esaltato la funzione pubblica della figura notarile, e tale conclusione potrebbe lasciare spazio ad ulteriori controversie da parte di altri Stati membri. Ma, ad evitare equivoci, occorre evidenziare che nella legislazione portoghese la funzione notarile è differente da figure simili presenti negli altri ordinamenti comunitari. Infatti mentre nella maggior parte degli Stati membri di civil law, l’attività del notaio viene configurata come una specie di Giano bifronte, in cui convivono la figura del pubblico ufficiale e quella del professionista indipendente (21), nel sistema portoghese il notaio è un pubblico ufficiale, dipendente dello Stato. Da uno studio effettuato dal Parlamento europeo sulla professione notarile in Europa (22), è emerso che fra i tratti caratteristici e unificanti degli ordinamenti di tradizione latino-germanica, raggruppati nell’Unione Internazionale del Notariato Latino, spiccano l’ampiezza e la delicatezza delle funzioni, certificativa e di assistenza, del notaio, e l’efficacia normalmente attribuita ai suoi atti, la peculiarità di una funzione in cui si sommano l’esercizio di funzioni pubbliche e lo svolgimento di una libera professione privata, il controllo pubblico su di essa, la predeterminazione del numero dei notai e i rigorosi meccanismi di selezione, l’obbligatoria appartenenza dei (20) Conclusioni dell’Avvocato Generale George Cosmas del 20 maggio 1999, punto 83. (21) Cfr. Nigro, Il notaio nel diritto pubblico, in “Riv. not.”, 1979, pag. 1151. (22) Rapporto del 9 dicembre 1993, punti 11-15. Panorama giurisprudenziale il fisco notai ad organizzazioni corporative e la straordinaria importanza che la prassi notarile custodita negli archivi. Intorno a tali caratteristiche, il notariato ha costruito la propria immagine di professione legale tra le più rispettate e prestigiose degli ordinamenti nei quali si è diffuso e consolidato. Va però rilevato come di recente tale immagine è stata al centro dell’attenzione da parte delle istituzioni comunitarie (23), in quanto le limitazioni alla libertà di stabilimento di cui all’art. 55 del Trattato CEE, non potrebbero essere estese all’intera professione se le attività connesse con l’eserci- 12/2000 il fisco 3493 zio di pubblici poteri possono essere scisse dall’insieme dell’attività professionale. La coesistenza del notariato della pubblica funzione e della libera professione esige sicuramente un chiarimento a livello comunitario, ma a questo punto è lecito chiedersi se nella pronuncia della Corte si possa intravedere un orientamento delle istituzioni CEE. (23) Risposta della Commissione europea 19 maggio 1989 ad interrogazione scritta n. 2199/88. RFI - 75 Si avvisano i Signori Lettori che è possibile acquistare in edicola per pochi giorni il fisco o con richiesta all’editore (minimo 5 copie) a lire 6.000 cadauna = lire 30.000 Pagamento anticipato a: ETI S.p.A. Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma versando l’importo sul c/c postale n. 61844007 (copia versamento per fax) o con assegno bancario, N.T. Rassegna di fiscalità internazionale Appendice normativa e documenti il fisco Indici 1999 È in corso di pubblicazione il volume de “il fisco” Indici 1999 • cronologico, per autori, analitico, per materia • editore CEDOLA 1999 DE “il fisco” Spett.le ETI S.p.A. - Viale Mazzini, 25 - 00195 Roma NOME COGNOME P. IVA COD. FISC. RESIDENTE IN VIA CITTÀ C.A.P. Gli abbonati 1999 riceveranno gratuitamente il suddetto volume, mentre i lettori che acquistano la Rivista in edicola possono richiederlo direttamente all’editore al prezzo di L. 30.000 RICHIESTA INDICI Compilare e spedire insieme alla fotocopia del versamento di L. 30.000 sul c/c postale n. 61844007 FIRMA Appendice normativa 12/2000 il fisco 3497 1 APPENDICE NORMATIVA E DOCUMENTI Budget review - South Africa Chapter 6 Revenue issues and tax proposals Introduction Key tax proposals Government strives for a tax system that is fair, efficient, effective and internationally competitive, and that yields sufficient revenue to finance its expenditure commitments. In response to the challenge of globalisation and in line with the strategy for growth, equity and redistribution, a far-reaching reduction in the company tax rate from 35 per cent to 30 per cent is proposed. In terms of personal income tax, Government is able to go beyond eliminating the effects of fiscal drag. The proposed adjustments to the income tax brackets and rates will bring about and across the board cut in the tax burden. Other tax relief measures include a 19 per cent cut in the excise tax on soft drinks and selective reductions in transfer duties aimed at encouraging home ownership. For health reasons, increases in tobacco taxes will again exceed the rate of inflation. The fuel levy is to increase by 4c/litre, and which is below inflation. Specific excises on alcoholic drinks are raised. The Skills Development Levies Bill, due to be tabled shortly, will allow for the introduction of a payroll levy to finance the National Skills Fund and Sectoral Education and Training Authorities. Tax policy and administrative efficiency il fisco The Katz Commission has consistently advised that tax reform and tax policy must move hand in hand with efforts to ensure that the tax authorities have sufficient administrative capacity. Without solid administration, tax law and tax policy cannot be given practical effect. For this reason, the current emphasis is on enhancing the operational effectiveness of the South African Revenue Service (SARS) as a precondition for more fundamental tax reform. The drive to improve administrative performance will continue. Key developments include progress towards establishing new and more effective computer systems, which will enhance collection capacity and help to narrow the tax compliance gap. Taxation and globalisation Demutualisation levy The increasing integration of the world economy encourages global convergence of tax policies and structures. Traditional tax principles are also facing new challenges, such as the growth of electronic commerce. In a rapidly changing commercial environment, continuing to apply the “source principle of taxation” may give rise to a narrowing of the tax base if economic transactions migrate outside the borders of South Africa. Providers of capital and skills increasingly take account of tax policy in their location decisions. South Africa’s tax reform is in part aimed at adapting to international tax practice and minimising the costs to the economy of international tax arbitrage. The 1998 Budget announced Government’s intention to impose a once-off charge on the demutualisation of Sanlam and Old Mutual, at a rate of 2,5 per cent on the free reserves at the date of demutualisation. The proceeds will be used to capitalise the Umsobomvu Fund. RFI - 79 Umsobomvu Fund Proposals for the design and management of the Umsobomvu Fund are currently being finalised. It will be established under section 21 of the Companies Act, of 1973. The Articles of Association will be published shortly. 3498 il fisco 12/2000 RFI - Rassegna di fiscalità internazionale - n. 1-2000 Tax administration Transformation of the South African Revenue Service SARS transformation In June 1998, SARS launched a transformation programme aimed at: - improving operational efficiency and effectiveness; - improving client relationships; - encouraging tax morality; - increasing the level of compliance; - making the organisation demographically representative through affirmative action. Key developments of the transformation programme include: - regionalisation and decentralisation of functions; - the creation of an Advisory Board. Administrative efficiencies Since SARS became autonomous in 1997, it has focused its attention on devising strategies to improve tax collection. Some of the important initiatives introduced thus far include: - improving its audit capacity through the introduction of new computer-aided audit systems; - rationalising head office functions to focus on strategy and policy design; - introducing regional offices to co-ordinate and monitor the 112 local offices where revenue collection and customs control are executed; - enhancing the capacity to investigate and prosecute tax evaders; - improving debt recovery procedures. il fisco Improvements in information technology and systems, including the phased introduction of the New Income Tax System (NITS). In 1999/00, efforts will be made to integrate the Income Tax, VAT and PAYE systems. Revisions to human resource policies and the introduction of a code of conduct for employees, underpinned by basic principles of honesty, human dignity, integrity, excellence and service. Mobilisation of international technical assistance for the Customs Transformation Programme. 760 606 income tax, VAT and PAYE cases, of which about 181.000 proved to be eligible for registration. Tax base broadening goes beyond the campaign to identify and register unregistered taxpayers. It involves cultivating a culture of voluntary compliance. The base broadening efforts also involve changing the adversarial relationship between the tax collector and the taxpayer. SARS is making progress in this regard by being visible, accessible and fair in its dealings with taxpayers. Agreements for the avoidance of double taxation During 1998/99, progress was once again made in reaching agreements with other countries for the avoidance of double taxation in respect of income accruing to South African taxpayers from foreign sources or to foreign taxpayers from South African sources. The present position is as follows. Comprehensive agreements are in place with Austria, Belgium, Botswana, Canada, Croatia, Cyprus, the Czech Republic, Denmark, Egypt, Finland, France, Germany, Hungary, India, Iran, Ireland, Israel, Japan, Korea, Lesotho, Malawi, Malta, Mauritius, Namibia, the Netherlands, Norway, Poland, Romania, Singapore, Swaziland, Sweden, Switzerland, Thailand, the United Kingdom, the United States of America, Zambia and Zimbabwe. The treaty with the United Kingdom also extends to Grenada, the Seychelles and Sierra Leone. Comprehensive agreements have been ratified in South Africa with Algeria, Indonesia, Italy, Namibia, Pakistan, the Russian Federation, the Slovak Republic and Uganda. Comprehensive agreements have been signed but not ratified with Greece, Luxembourg and the Seychelles. Comprehensive agreements have been negotiated or renegotiated, but not signed, with Australia, Botswana, Ethiopia, Gabon, Germany, Malawi, Malaysia, Morocco, Swaziland, Tunisia, Ukraine, Zambia and Zimbabwe. Comprehensive agreements are being negotiated or renegotiated but have not been finalised with Mozambique, the People’s Republic of China, Portugal, Spain and Turkey. Limited sea and air transport agreements exist with Brazil, Greece, Italy, Portugal and Spain. A number of other countries have expressed the desire to negotiate double taxation agreements with South Africa. Administrative agreements Tax base broadening SARS has achieved considerable success in its base-broadening initiative, aimed at registering persons, businesses and employers and reducing the rate of non-compliance with tax legislation. Between October 1997 and December 1998, SARS evaluated RFI - 80 Agreements in respect of administrative assistance cover the exchange of information, technical assistance, surveillance, investigations and visits by officials. During 1998, such agreements were finalised with Algeria and France. It is likely that this network of agreements will be expanded in the future. Appendice normativa VAT administration 12/2000 il fisco 3499 - exports and imports will be more tightly controlled, thereby minimising the loss of revenue and the adverse impact of round-tripping and fictitious exports; - SARS will be able to collect more reliable statistics in respect of the trade that passes through these posts; During 1998/99, measures were implemented to improve the administration of VAT as it relates to the export and import of goods. Exports In last year’s Budget Review, certain measures were announced to curb VAT evasion on fictitious exports to neighbouring countries. These measures, which were limited to liquor and tobacco products and introduced with effect from 11 March 1998, had the effect that the zero-rating of exports to such countries would apply only where the goods were consigned or delivered by a South African vendor to a purchaser outside the Republic, and not where the purchaser took delivery in South Africa. With effect from 16 November 1998, these measures were extended to cover exports of all types of products to the BLNS countries (Botswana, Lesotho, Namibia, Swaziland) and are embodied in a revised VAT Export Incentive Scheme published on 13 November 1998. Tax compliance Imports As far as tax avoidance is concerned, both local and international courts have held that taxpayers have the right to plan their affairs to minimise their tax liability. However, it remains a fact that many aggressive tax-avoidance schemes border on tax evasion. While SARS is committed to improving its services to the taxpaying public, it will also increase its capacity to counter fraud. Over the past year, good progress has been made in this regard. Several convictions were made and over 250 criminal cases are currently proceeding. In addition, approximately R1 billion of additional revenue was generated from concerted in-house forensic investigations. From a tax-avoidance perspective, various initiatives are under way focusing primarily on combating transfer-pricing mechanisms, and on targeting specific categories of high-risk taxpayers and transactions. - Botswana Groblersbrug; Kopfontein; Ramatlabama; Skilpadshek; - Lesotho Caledonspoort; Ficksburg Bridge; Maseru Bridge; Qacha’s Nek; Van Rooyenshek; - Namibia Narogas; Vioolsdrift; - Swaziland Golela; Jeppes Reef; Mahamba; Mananga; Nerston; Oshoek. According to a survey by the Department of Transport, almost 90 per cent of the commercial traffic between South Africa and the BLNS countries passes through these posts. Benefits The benefits flowing from these measures include the following: Tax evasion and tax avoidance Tax fraud is widespread in the areas of VAT, customs and excise, involving the following: - fraudulent claims of input tax; - fictitious exports; - abuse of general rebate facilities; - diversion of goods without payment of duty; - mixing of diesel and paraffin to reduce the fuel levy payment. il fisco Since the introduction of VAT in 1991, it has been the intention that VAT should be paid at designated border posts in respect of the import of goods from the BLNS countries. Unfortunately this was not possible due to the lack of proper facilities at the borders. VAT was collected only at a later stage, which created opportunities for evasion. Since 4 January 1999, the collection of VAT on goods imported from BLNS countries has taken place at the border posts. This brings imports from BLNS countries in line with imports from the rest of the world. The following are the designated border posts between the Republic and the BLNS countries: Despite endeavours to improve tax morality, a range of inappropriate behaviour persists, from downright fraud to aggressive tax avoidance schemes. Year 2000 compliance SARS systems will be Year 2000 compliant well ahead of time. Nevertheless, the Year 2000 problem may have a negative impact on revenue collections. Companies with systems that do not co