22 2014 Giornalino dell’ Associazione Astrofili Agordini “Cieli Dolomitici” Questa spettacolare immagine ritrae un’area di cielo posta nella costellazione di Orione. Tra i bagliori della brillante stella Alnitak (Zeta Orionis), una delle tre che forma la cintura del grande cacciatore, si nascondono due autentici gioielli celesti invernali, NGC 2024, la “Nebulosa Fiamma” e B 33, ovvero la famosissima “Testa di Cavallo”. La prima è una nebulosa ad emissione distante 2000 anni luce mentre la seconda è una nebulosa oscura distante1500 anni luce, osservabile solo perché si proietta davanti alla debole nebulosa ad emissione IC 434. Sono visualmente molto elusive, specie B 33 che rientra a pieno titolo tra i “mitici” oggetti del cielo profondo inseguiti dagli astrofili esperti. La bellissima fotografia è stata scattata da Davide De Col. WWW.CIELIDOLOMITICI.IT WWW.CIELIDOLOMITICI.IT WWW.CIELIDOLOMITICI.IT SOMMARIO PICCOLA STORIA DI UNA GRANDE PASSIONE di Claudio Pra pag. 3 UNA FANTASTICA CONGIUNZIONE PLANETARIA di Nadine De Biasio pag. 5 LE MERIDIANE DI PIETRA di Alvise Tomaselli pag. 6 OSSERVARE IL CIELO CON I PROPRI OCCHI estratto proposto da Tomaso Avoscan pag. 8 SCINTILLA, SCINTILLA, PICCOLA STELLA...di Gianantonio Milani pag. 12 UNO SPETTACOLARE FENOMENO di Claudio Pra pag. 16 ATTIVITA’ DELL’ASSOCIAZIONE pag. 17 IL GIORNALINO CERCA COLLABORATORI Vuoi collaborare con il giornalino della nostra Associazione? Qualsiasi contributo sarà il benvenuto. Articoli (anche molto semplici), domande, fotografie, vignette, disegni, ecc. non potranno che arricchire la nostra pubblicazione. Per contattare il responsabile del giornalino Claudio Pra: e-mail : [email protected] Telefono: 0437/523186 Indirizzo: via Saviner Di Calloneghe 22 32020 Rocca Pietore (Bl) Sito internet dell’Associazione: www.cielidolomitici.it WEBMASTER Andrea De Nardin e-mail [email protected] LA BIBLIOTECA DELL’ASSOCIAZIONE Tra le opportunità offerte agli Associati c’è quella di poter fruire della biblioteca dell’Associazione. La biblioteca è ben fornita (oltre a molti libri e riviste ci sono anche videocassette e DVD) ed è auspicabile che un buon numero di persone se ne servano. Ricordiamo che per accedere alla biblioteca bisogna contattare Claudio al 3493278611 per fissare un appuntamento. 2 PICCOLA STORIA DI UNA GRANDE PASSIONE di Claudio Pra -Come sei diventato astrofilo?- Questa domanda mi viene spesso rivolta da chi conosce la mia passione per il cielo stellato. Ebbene, tutto è cominciato piuttosto improvvisamente, nella primavera del 1998. A quel tempo non ero già più un giovincello avendo 32 anni, un’ età forse insolita per approdare in questo incredibile mondo. Che mi appassionassero le tematiche legate al cielo, sia pur senza “coinvolgimento diretto”, era evidente già da bambino. Ero infatti molto attratto dai film di fantascienza sul tema e comunque l’argomento spazio ha sempre attirato la mia attenzione. Insomma, gli indizi c’erano. Ci voleva però un ”input” per trasformarmi da semplice spettatore L’autore dell’articolo durante una seduta osservativa in…”protagonista”. E l’input arrivò grazie all’uscita di un enciclopedia a fascicoli intitolata “L’universo”, che si avvaleva della collaborazione del noto divulgatore scientifico Piero Angela . Il fatto che già conoscessi lo stile di Angela, capace di spiegare le cose complicate in modo semplice ed efficace, mi convinse a comperare i primi fascicoli. Dopotutto, se l’opera non mi avesse convinto, mi sarei fermato. Mi bastò leggere il primo fascicolo e già ero astrofilo! L’enciclopedia trattava molti argomenti divisi per sezioni. Tra questi l’osservazione del cielo. Che si potessero vedere pianeti, galassie e altro a occhio nudo o con un piccolo binocolo fu per me una rivelazione. Leggendo di questi affascinanti oggetti celesti la voglia di osservarli fu straripante. Già, osservarli, ma dove? Il cielo è grande e orientarsi è un problema. Ci sono le costellazioni che fanno da riferimento ma da novizi non è affatto facile dare forma a queste figure celesti. Credo che molti potenziali astrofili fai da te si perdano per strada proprio in questa fase. Si tratta di superare un ostacolo difficile che per molti diventa invalicabile. Fortunato chi sfrutta un’ amico già esperto o un associazione. Io non ebbi questa possibilità, ma la passione era talmente grande che quell’ostacolo non mi fermò di certo. Con una cartina in mano ho passato ore sotto il cielo a cercare l’ Orsa Maggiore e l’Orsa Minore, il Leone, il Toro, i Gemelli, i Pesci...Dopo questa prima fase di conoscenza del cielo ho potuto finalmente passare al primo strumento, un piccolo binocolo 10x50 piuttosto scassato e di modestissima qualità. Per avere immagini più ferme mi costruii un treppiede traballante ma utile per poter appoggiare lo strumento. Ebbene, con questa semplice attrezzatura ho potuto compiere un gran numero di osservazioni interessanti che a distanza di tempo ricordo con piacere e nostalgia. Tra i primi oggetti del cielo profondo che ho avuto modo di osservare ricordo le Pleiadi, la Galassia di Andromeda e il Grande Ammasso dell’Ercole. Naturalmente anche i pianeti rientravano nei miei interessi, anche se visti al binocolo non si discostavano dalle stelle. Sapere però che quei puntini luminosi erano mondi lontani in orbita attorno al Sole mi dava i brividi. Alcuni di loro poi, qualche soddisfazione, al di là del brivido, la dava. Giove ad esempio mostrava le sue quattro lune principali che, ruotandogli intorno, cambiavano posizione di continuo. Lo spettacolo era quindi assicurato. Lo osservai per la prima volta in una serata dell’agosto 1998. Era il primo pianeta che riuscivo ad identificare e fu davvero emozionante. Stavo per andare a dormire ma prima gettai un ultimo sguardo dal solaio. Guardando verso il Monte Coldai vidi una stella luminosissima che, puntata con il binocolo, era attorniata da alcuni piccoli puntini luminosi. Capii subito che si trattava di Giove e dei suoi Satelliti Medicei!!! In seguito, con molta pazienza, identificai tutti gli altri pianeti. Osservai anche il mio primo asteroide, il più grande e famoso nonché il primo ad essere stato scoperto duecento anni prima della mia osservazione: Cerere. Compii osservazioni sul Sole con la tecnica della proiezione, individuando numerose macchie scure (le macchie solari) che, seguite per diversi giorni si spostavano sulla sua superficie. Insomma, il 1998 fu un anno importante, impegnativo e intenso. La mia passione era davvero grande e ormai l’Astronomia mi era entrata dentro. Oltre a osservare, “divoravo testi sull’argomento, acquisendo così conoscenze sempre più approfondite. Verso la fine di quell’anno mi convinsi a fare il “passo importante”, ovvero comperare il mio primo telescopio. Il momento è certamente di quelli da ricordare. Ogni astrofilo “convinto” arriva prima o poi a questa fatidica decisione. Un telescopio ti apre davvero le porte del cielo ed è irrinunciabile per poter eseguire osservazioni di un certo rilievo. La scelta del modello non fu però facile ma dopo un’ attenta valutazione scelsi un rifrattore acromatico da 12 centimetri di diametro. A distanza di tempo devo dire che scelsi bene. Quel telescopio mi soddisfò infatti pienamente. Lo ordinai poco prima di Natale e quando mi arrivò ci misi un pomeriggio intero a montarlo. Non avendo mai avuto a che fare con questo tipo di strumenti, 3 ci volle pazienza. La montatura equatoriale mi mise in seria difficoltà, ma alla fine l’opera si compì. Lo inaugurai osservando Giove. Ora il gigante del sistema solare non era più solo una stella molto luminosa, bensì un disco piuttosto grande in cui si distinguevano bene due bande trasversali scure, le Bande Equatoriali. Saturno si mostrava in tutto il suo splendore, con gli anelli piuttosto aperti e la sua corte di lune più luminose. Le galassie divenivano visibili a decine così come tanti altri oggetti che con il binocolo erano irraggiungibili. Uno dopo l’altro trovavo gli oggetti del cielo profondo appartenenti al Catalogo Messier. Nella primavera del 1999 potei osservare Marte, anche se il Pianeta Rosso non era certo in una delle sue più favorevoli opposizioni, quei momenti che lo portano a transitare vicino alla Terra mostrando un disco più grande. Tra l’altro la sua osservazione non è comunque agevole per gli esperti, figurarsi per chi non lo ha mai Il mio primo telescopio, un osservato. Ebbene riuscii comunque a distinguere dettagli molti rifrattore da 12 cm. di diametro e elusivi sul suo disco. I miei interessi spaziavano a 360 gradi. Pianeti, deep-sky, asteroidi, comete, Sole, stelle doppie e Luna, mi un metro di focale. Uno interessava tutto. Indimenticabile fu l’eclissi totale di Sole che vidi strumento che mi ha dato da Monaco di Baviera nell’agosto del 1999. Partii alle quattro del parecchie soddisfazioni mattino per poter essere a Monaco cinque ore dopo. Mi ero preparato alla perfezione per quello straordinario evento. Sapevo in dettaglio cosa sarebbe successo e a cosa prestare particolare attenzione. Fui fortunato perché c’erano parecchie nubi al mio arrivo sul luogo dell’osservazione, che minacciavano di rovinare tutto. Durante le prime fasi dovetti anche rifugiarmi in macchina a causa di un acquazzone. Ma proprio nel momento clou il cielo si aprì regalandomi l’indimenticabile emozione della “totalità”. Il buio poco dopo mezzogiorno, con un “Sole nero” circondato da una brillante corona. Indimenticabile!!! Un quarto d’ora dopo le nuvole ripresero il sopravvento, ma ormai era fatta!. Quel giorno compivo gli anni e non poteva esserci miglior regalo. Molti neofiti rimangono delusi per ciò che si vede all’oculare. Le loro aspettative sono troppe, ingigantite dalle splendide fotografie presenti sulle riviste astronomiche. L’osservazione diretta è un altro mondo rispetto alla fotografia anche solo amatoriale. La stragrande maggioranza degli oggetti del cielo profondo ad esempio, si limita a mostrarsi simile a una debole luminescenza in cui starà all’osservatore cercare qualche dettaglio in più. Talvolta la sfida è riuscire solo a percepirli. Ci sono degli oggetti che danno indubbiamente più soddisfazione, ma in tutti i casi ci appariranno molto diversi da come li avevamo visti in fotografia, senza per questo deluderci se ci saremo calati nella parte con la giusta mentalità, provando un brivido per quei pochi fotoni di luce che arrivano dall’abisso. Sotto questo aspetto io nella parte mi ci sono calato alla perfezione e l’osservazione visuale non mi ha mai deluso. Anzi, ho sempre pensato che vedere direttamente con i propri occhi regala più emozioni. Con il tempo capii che il profondo cielo e le comete erano i miei maggiori interessi e lì indirizzai i miei sforzi. Dopo aver quasi consumato il primo telescopio passai quindi ad uno più grande per raggiungere oggetti più deboli. Credevo che questo secondo strumento potesse essere quello definitivo e invece qualche anno dopo ne comperai uno più grande ancora, andando a caccia dell’impossibile; mitici oggetti come la nebulosa oscura “Testa di Cavallo”, le famose cinque galassie denominate “Quintetto di Stephan”, molti ammassi globulari appartenenti alla Grande galassia di Andromeda, i Globulari Palomar... Dopo aver osservato tanto è importante trovare sempre degli stimoli nuovi e non finire mai di stupirsi. Mi è capitato, dopo aver tentato di osservare una debole cometa cercata per ore senza risultati o dopo aver scrutato Giove o Saturno per giorni non riuscendo a cogliere che i “soliti” dettagli, di rientrare a casa stanco e un po’deluso e pensare di aver ormai visto tutto. Probabilmente un attimo di debolezza... Il giorno seguente infatti, l’entusiasmo è sempre tornato e con esso la voglia tornare lassù. Osservare una nuova cometa ad esempio, è per me sempre qualcosa di fantastico. Spesso ha l’aspetto di tante altre comete già viste ma è comunque unica e percepire la sua luce dà sensazioni uniche. E comunque anche riosservare oggetti già visti a distanza di tempo è comunque bello. L’ennesima osservazione della grande nebulosa di Orione, della Nebulosa Anello, di un eclisse. Emozioni, sensazioni... Le ritengo indispensabili. Sono come benzina per un motore. Se mancano credo caschi il presupposto che spinge a dedicarsi a questa passione. Molto altro potrei raccontare. Ad esempio sulle mie esperienze di astrofotografo, campo a cui mi sono dedicato negli ultimi anni. O della mia collaborazione con una prestigiosa rivista astronomica. Oppure...Meglio terminare qui, ci vorrebbero ancora troppe pagine e questo non è un libro, è solo un piccolo parziale riassunto della mia vita sotto il cielo. Un sogno per il futuro? Avere la possibilità di osservare una grande cometa una di quelle ricordare nei secoli dei secoli...Amen. 4 UNA FANTASTICA CONGIUNZIONE PLANETARIA di Nadine De Biasio Venere (in alto) e Giove ripresi dal Laresei il 18/8/2014 Impostare la sveglia sulle 2.30 non rientra nelle mie abitudini e nemmeno nelle c o s e c h e a m o particolarmente fare. No no s t ant e ciò , s o no convinta sia per una buona c a u s a: la s t r et t is s i m a congiunzione Venere-Giove è un evento imperdibile! Domani, 18 agosto 2014, i due pianeti si troveranno infatti vicinissimi, ma solo dal punto di vista prospettico: in realtà la loro distanza ammonterà a quasi 700 milioni di chilometri! Claudio Prà mi ha proposto di salire in quota al Laresei, non lontano da Passo Valles, per immortalare l’evento, ed io ho accettato entusiasta. Verso le 3 del mattino esco quindi da casa, con nello zaino la macchina fotografica e l’abbigliamento adeguato per proteggermi dal freddo. Parto però con ben poche speranze: il cielo è coperto da una spessa coltre di nubi. Salendo in macchina verso Passo Valles la situazione sembra migliorare e migliora ulteriormente dopo la passeggiata di circa 40 minuti che ci porta dal valico sino al Laresei, dove ad accoglierci c’è una meravigliosa volta celeste popolata da costellazioni tipicamente invernali. Consapevoli di essere stati fortunatissimi, fissiamo le nostre macchine fotografiche sul cavalletto ed eseguiamo alcuni scatti di prova per non farci trovare impreparati al momento del sorgere dei due pianeti. Fotografare la notte non è una cosa banale e per portare a casa delle belle immagini è necessario impostare manualmente la fotocamera. Per fortuna c’è Claudio a consigliarmi, io non sono molto pratica. La scelta del luogo si rivela quanto mai azzeccata, con il panorama che spazia dal Mulaz, al Civetta, alle cime dell’Auta, al Costabella, sino al Lagorai. Ma soprattutto è formidabile l’apertura verso est, punto dove sorgeranno i due corpi celesti che aspettiamo. Improvvisamente, ecco spuntare da dietro il Sorapis una luce arancione luminosissima, seguita poco dopo da un’altra, meno intensa. Ci vuole un attimo per capire di cosa si tratta: sono loro, Venere e Giove! Tra uno scatto e l’altro ci fermiamo a riflettere silenziosamente, ammirando questo spettacolo surreale che propone due gemme del firmamento sospese A sinistra Venere, pianeta poco più piccolo della sopra il profilo appena percettibile delle Terra, perennemente coperto da una densa coltre di montagne. nubi. A destra Giove, Il gigante del Sistema Solare In pochi minuti i pianeti si alzano sensibilmente in cielo, mentre l’orizzonte inizia a tingersi di arancione, segno dell’alba imminente. Il freddo è sempre più pungente, tanto che giacca, berretto, guanti e the caldo non bastano più a scaldarmi. Così improvviso qualche breve corsetta e dei saltelli sul posto, che migliorano il mio stato termico. In ogni caso ho avuto la conferma che, in condizioni normali, il momento della giornata in cui la temperatura è più bassa coincide proprio con il sorgere del Sole. Sull’obiettivo della macchina fotografica inizia a formarsi della condensa, che riesco a eliminare riponendola per alcuni minuti nello zaino. La estraggo nuovamente giusto in tempo per catturare i primi raggi solari che fanno capolino dall’Antelao, illuminando i prati imperlati di rugiada. Venere e Giove sono ormai spariti nella luce del nuovo giorno, è ora di tornare verso valle. Ringraziato Claudio, torno a casa stanca, ma soddisfatta e felice. Non riesco a resistere per molto tempo e crollo presto in un sonno profondo, con ancora negli occhi ciò che ho avuto il 5 LE MERIDIANE DI PIETRA di Alvise Tomaselli La Baviera tedesca è un territorio tranquillo. Morfologia collinare, nuclei abitati alternati a laghetti, piste ciclabili per tutte le lunghezze e difficoltà, tracciati attrezzati per passeggiate e attività sportive varie. Località ideale per alcuni giorni di relax, lontano dall’”italico stress”. Bad Bayersoien (vedi immagine sotto) è un tipico paesino bavarese posizionato pochi chilometri a nord dalle più rinomate località di Garmisch e di Oberammergau. Qui è cresciuto Karl Kunert, respirando l’aria tipica di luoghi dove tutti si conoscono e dove la pulizia e l’ordine caratterizzano i paesini della campagna bavarese. Kunert Imparò l’attività di scalpellino presso scuole a Friburgo 35 anni fa e proprio in quel contesto venne a conoscenza dell’esistenza delle meridiane. Ne fu subito conquistato ma la cosa finì lì. Qualche anno fa fu spinto dal desiderio di riscoprire il mondo delle meridiane e i segreti antichi della misura del tempo traendo ispirazione da quelle informazione mai dimenticate che aveva ricevuto a Friburgo. Nel 2008 iniziò a scolpire la prima meridiana di pietra e negli anni successivi seguirono le altre. Mi sono imbattuto quasi casualmente nel giardino dalle “meridiane di pietra” durante una breve vacanza in questi luoghi rilassanti. Al termine di una corsetta serale sono giunto in prossimità di quel luogo dove lo sguardo si è posato immediatamente su alcune sculture in pietra che con grande stupore risultavano essere in tutto e per tutto delle meridiane molto, molto particolari. Le meridiane di pietra sono state realizzate in un arco di tempo compreso fra il 2008 e il 2011, sono tutte scolpite a mano con dovizia di Il giardino delle meridiane di pietra particolari e associate a temi diversi. La prima realizzata è definita “La Meridiana Cubo”. Si tratta di un cubo di granito con 5 quadranti distinti che riprendono temi legati al tempo su tutti i lati verticali e quello orizzontale. Un’altra definita “La Ruota del Carro” (vedi immagine a destra) con riferimento alle attività agricole tipiche di questi luoghi, è montata su un piedistallo di 127 cm. di altezza e la ruota in granito rosso misura 100 cm. di diametro. Si tratta di una meridiana con gnomone inclinato secondo la direzione dell’asse terrestre. Sulla faccia di un lato del piedestallo è inciso l’ analemma, che indica il percorso del Sole durante il suo ciclo annuale. La particolarità di questa meridiana è che sulle facce del piedistallo sono riportate le indicazioni per la corretta interpretazione, realizzate scolpendo a mano circa 1700 lettere. C’è poi il “Globo di pietra”, una meridiana realizzata su un globo di gra6 nito nero svedese con riportato l’orario solare legale e l’ora del meridiano centrale europeo. Lo gnomone è mobile e può essere posto sul meridiano di interesse tramite lo spostamento di una apposita staffa d’acciaio. Il “Ragno Solare”, costruita nel 2011, è una meridiana verticale con gnomone orizzontale realizzata su un disco di granito sul quale è stato stilizzato un ragno sulla sua tela. La meridiana che mi ha colpito più di tutte, è quella chiamata “Tronco Pietrificato”, realizzata su un pezzo di tronco silicizzato (di provenienza australiana) su cui l’artista ha costruito una scure in acciaio inox come gnomone. Il tronco silicizzato è comunemente definito in ambito geologico come legno fossile, formatosi in antiche Il Globo di pietra foreste che in epoche remote (più di 200 milioni di anni fa) furono sepolte in ambiente paludoso e ricco di sostanze silicee. Il silicio con il trascorrere del tempo ha sostituito la componente carboniosa del vegetale fino a farlo divenire una roccia a matrice microcristallina. Che dire, non mi sarei mai aspettato di trovare un angolo di un paesino bavarese dedicato al tempo e alla sua misura tramite un antico strumento. L’originalità dell’idea e la difficoltà nella realizzazione di queste sculture ne fanno effettivamente dei pezzi unici e difficilmente ripetibili. Il Tronco pietrificato PLANETARIO DI S. TOMASO Le serate si tengono ogni venerdì con inizio alle 20.30. Per partecipare occorre prenotarsi telefonando al Comune di S. T o maso in mat t inat a a llo 0437/598004 oppure passare direttamente in Municipio. Il costo è fissato in 5 euro per gli adulti e 3 euro per i minorenni. Non pagano i bambini sotto i cinque anni e i po r t at o r i d i ha nd ic ap. Al r a g g iu ng i me nt o d e l t e t t o massimo di prenotazioni per una serata, si sarà dirottati alla successiva o alla prima dove ci sia posto (se d' accordo). Per le scolaresche sono due le giornate di apertura settimanale, il mercoledì e il giovedì con lezioni alle 9.00 e alle 10.30. La prenotazione va effettuata sempre ai numeri del Municipio e il pagamento (anticipato) è possibile tramite bollettino di c/c. Il costo va dai 2,50 euro a persona per le scuole dell' obbligo ai 3,00 euro per le superiori. Il numero massimo di studenti per lezione non può superare i 25 per le scuole dell' obbligo e i 20 per le superiori (nel numero rientrano gli accompagnatori). 7 OSSERVARE IL CIELO CON I PROPRI OCCHI estratto proposto da Tomaso Avoscan Da astrofilo “visualista” quale sono riporto con piacere (e con sua autorizzazione) un estratto del bellissimo libro di Piero Bianucci “ Storia sentimentale dell’Astronomia – Ed. Longanesi” riguardante l’ antica ma ancora appagante osservazione del cielo stellato fatta ..... AD OCCHIO NUDO…….. Si dice che l’astronomia sia la scienza più antica. Se è così, gli astronomi eserci tano il secondo mestiere più antico al mondo, blasone che la categoria dovrebbe portare con fierezza. A far sorgere l’esigenza di conoscere le stelle furono le prime credenze religiose, poi l’agricoltura e infine la religione. Ma la contemplazione del cielo, accompagnata dalla meraviglia e talvolta dalla paura, precede gli astronomi. Precede anche i sacerdoti, gli agricoltori e i naviganti che tra le stelle cercarono la sede degli dei, un calendario e una bussola. L’ Homo erectus, l’ominide che un milione e mezzo di anni fa si levò in piedi e sollevò gli occhi dal suolo all’orizzonte, fu la prima creatura a fissare lo sguardo sulla notte stellata. Il germoglio dell’astronomia fu estetico, emotivo e quindi sentimentale, perché l’affettività venne coinvolta prima della ragione. Per l’Homo Sapiens la visione del cielo diurno, con l’arco più o meno ampio percorso dal Sole e il trascorrere delle nuvole ora lievi ora minacciose, diventò fonte di informazioni utili alla sopravvivenza, mentre il cielo notturno, con le luci enigmatiche delle stelle e la mutevole Luna, rimase a lungo ispiratore di emozioni indistinte, sentimenti inquieti, turbamenti che poi si sarebbero trasformati in curiosità e domande, dando origine alla Scienza. Nulla sappiamo dell’osservazione del cielo da parte dei nostri antenati fino all’uomo di Neandertal e all’Homo sapiens. L’ipotesi che il primo, stanziale in Europa, sia stato sterminato dal secondo, arrivato dall’Africa quarantamila anni fa, ha solide basi. Ma una ricerca sul genoma dell’Uomo di Neandertal pubblicata da Nature nel 2010 ha dimostrato che parte del suo DNA sopravvive nel nostro. Possono essere frammenti di codice genetico provenienti da un più antico antenato comune. Ma si può anche immaginare che l’Homo neandertalensis e l’Homo sapiens non abbiano avuto solo rapporti brutalmente conflittuali. Forse qualche signorina Neandertal fraternizzò con i più raffinati signori Sapiens, e qualche fanciulla Sapiens apprezzò la rude virilità del popolo Neandertal, tanto da generare una discendenza della quale siamo epigoni. L’occhio, il nudo occhio, è stato fino a quattrocento anni fa, l’unico strumento per scrutare l’universo. Non è però uno strumento da sottovalutare. I modi di dire popolari paragonano alla lince o all’aquila chi ha una vista molto acuta. La biologia ci insegna invece che gli animali hanno occhi specializzati, cioè adatti alle loro esigenze di caccia, difesa, corteggiamento. Il rospo vede bene solo ciò che si muove rapidamente; il suo pasto è fatto di cavallette e insetti volanti. La libellula coglie i movimenti veloci ancora meglio del rospo, pur 8 quattro recettori per la visione a colori, uno più di noi, sensibile alla luce ultravioletta: secondo una ricerca pubblicata nel 2010 da Philip Casey dell’Università di Birmingham (Regno Unito), esso fornisce più sfumature, utili a distinguere uova che a noi sembrano tutte uguali. Il gatto vede bene nell’oscurità ma non distingue i colori, il suo mondo è in bianco e nero. Il cane vede i colori sbiaditi, ha un campo visivo laterale più ampio del nostro ma un ristretto campo visivo in 3D. il coniglio è presbite, vede sfocate le cose vicine, nitide quelle lontane. I serpenti del genere Crotalus hanno sensori per la luce infrarossa. Api farfalle e vari pesci tropicali vedono la luce ultravioletta ma certe farfalle crepuscolari che volano al tramonto del Sole percepiscono l’infrarosso. I ragni hanno otto occhi, due dei quali formano immagini e sei sono sensori di luce laterali. Gli erbivori, prede predestinate, hanno occhi laterali che consentono una visione laterale quasi a 360 gradi. I predatori hanno occhi anteriori : la buona visione stereoscopica li aiuta a puntare la vittima. La talpa “vede” con 25.000 sensori tattili posti sul naso e organizzati in 22 “dita” (zone) per esplorare il buio ambiente sotterraneo. Il calamaro gigante, che vive a mille metri di profondità dove l’ultima luce si estingue, ha occhi larghi 40 cm. Insomma esistono animali con specifiche doti visive, ma in generale non è vero che molti di essi vedano meglio di noi. La vita è aria tessuta con la luce, scrisse il filosofo positivista Jakob Moleschott alludendo alla fotosintesi: 3,5 miliardi di anni fa i primi organismi fotosintetici erano già interessati a “vedere” ma solo 550 milioni di anni fa, in un verme marino, comparve un proto occhio capace di rilevare il ciclo giorno-notte e l’ombra dei predatori. L’evoluzione ha poi sviluppato almeno 40 tipi diversi di occhi. Dopo l’esplosione biologica del cambriano, gli occhi composti, nonostante la loro inefficienza, hanno tenuto il monopolio della visione per 85 milioni di anni prima che comparisse l’occhio dei vertebrati. Una traccia evolutiva si coglie nello sviluppo dell’embrione umano: a 4 settimane dal concepimento abbiamo una sola orbita come i mitici Ciclopi. Poco dopo l’orbita migra sopra il naso e si sdoppia. Alla sesta settimana compaiono le palpebre, che poi per apoptosi (suicidio programmato) delle cellule mediane si dividono in due liberando l’occhio. Tre mesi prima di nascere i feti sono in grado di percepire la luce attraverso il ventre materno, ma appena nati vedono bene solo nella penombra, la luce li abbaglia. Si potrebbe dire che nasciamo per osservare le stelle. Un luogo comune vuole che l’occhio sia simile a una macchina fotografica. E’ qualcosa di enormemente più complesso e raffinato anche se il passaggio dalla pellicola alla camera digitale con sensori elettronici Ccd (Charge compled device), dispositivi ad accoppiamento di carica) ha un poco accorciato la distanza perché la retina, inviando al cervello segnali elettrici, somiglia più ai Ccd che alla pellicola fotosensibile. Soltanto in superficie possiamo trovare qualche somiglianza tra l’occhio umano e la macchina fotografica. La palpebra ricorda il tappo che protegge l’obiettivo della macchina fotografica. Ma funziona anche da tergicristallo lavando la parte anteriore dell’occhio con il liquido lacrimale. La cornea fa da scudo al cristallino, ma provvede a una prima sommaria messa a fuoco fissa. Il cristallino è un tessuto trasparente che corrisponde all’obiettivo della macchina fotografica, ma mentre la lente è rigida e per mettere a fuoco oggetti vicini e lontani bisogna spostarla, il cristallino è una lente deformabile, che di adatta istantaneamente alla distanza. L’iride corrisponde al diaframma della camera, ma in modo automatico si allarga e si restringe a seconda della quantità della luce; e se ce n’è poca può raggiungere un dia9 metro di 7 mm, se ce n’è troppa diventa piccola come una capocchia di spillo. Combinando meccanismi diversi, l’occhio umano si adatta a variazioni di luminosità di un milione di volte, la differenza tra una giornata di sole su montagne coperte di neve e una notte rischiarata da una falce di luna. Tra il cristallino e la retina c’è il corpo vitreo, una gelatina incolore e trasparente che riempie il globo oculare mantenendo la giusta pressione. Com’è inevitabile, assorbe un po’ di luce lungo il tragitto tra il cristallino e la retina e la sua trasparenza si degrada con l’età. A 50 anni metà della luce viene assorbita dal vitreo, da vecchi compaiono anche “mosconi volanti” che disturbano la visione. Sono impurità che fluttuano in un vitreo che tende a liquefarsi. Viviamo in un lento tramonto che dura quanto la nostra esistenza. La retina è una parte del cervello che si è modificata per essere sensibile alla luce. Ha una superficie di sei centimetri quadrati ed è composta da tre strati di cellule nervose diverse. Lo strato superficiale corrisponde al sensore elettronico delle telecamere digitali, ma oggi i migliori Ccd hanno 18 milioni di pixel mentre le cellule della retina sensibili alla luce sono 132 milioni. Ce ne sono di due tipi: 125 milioni hanno una forma allungata e quindi sono chiamati bastoncelli, 7 milioni hanno una forma appuntita, e sono i coni. Colpite dalla luce, queste cellule rilasciano elettricità, ovviamente in dosi minuscole. E’ sorprendente che il loro lato sensibile sia rivolto non verso la pupilla ma verso l’interno: si evitano così fastidiose riflessioni. I bastoncelli sono più sensibili alla luce, per eccitarli bastano pochi fotoni, ma vedono in bianco e nero. I coni funzionano bene solo se c’è una buona illuminazione. In compenso distinguono i colori. Ne abbiamo di tre tipi, per il verde, il blu e il rosso, i tre colori additivi fondamentali. Combinandoli assieme è possibile ottenere sette milioni di sfumature. Solo i mammiferi più evoluti hanno questo dono. Nella fovea, la zona della retina a più alta risoluzione, mancano i coni blu, perché questa luce non viene ben focalizzata (il cristallino non è abbastanza acromatico). Lateralmente la nitidezza cala rapidamente. Eppure per poter vedere meglio le nebulose, che anche al telescopio appaiono come chiarori debolissimi, i dilettanti di astronomia praticano l’astuzia della “visione distolta”, cioè guardano nell’oculare con la coda dell’occhio. La visione laterale, benché meno nitida, è più sensibile perché i bastoncelli, capaci di percepire anche oggetti di minima luminosità, coprono la parte periferica della retina. Recente è la scoperta di un terzo tipo di recettori sensibili alla luce; le cellule gangliari, reliquia di un sistema visivo primitivo, sviluppato prima dei coni e dei bastoncelli. Le cellule gangliari non sono in grado di formare immagini, ricordano l’esposimetro della camera fotografica, che distingue solo diverse gradazioni di luminosità; attivate da un fotopigmento, la melanopsina, modificano l’apertura della pupilla nei passaggi dalla luce al buio e nel ritmo sonno/veglia. Esperimenti sui topi hanno dimostrato che, in mancanza di coni e bastoncelli, esse consentono quantomeno di orientarsi e di evitare grossi ostacoli. Descritte intorno al 1990 da Lawrence Weiskrantz, tali cellule inviano le loro informazioni non alla corteccia visiva ma ai collicoli, strutture cerebrali che così possono dare approssimativa percezione della realtà anche ai ciechi. Attraverso il nervo ottico, un “cavo elettrico” formato da un milione di fibre nervose (meno di un centesimo rispetto al numero dei bastoncelli e dei coni), i segnali elettrici emessi dallo strato sensibile della retina viaggiano fino alla parte posteriore del cervello, la regione occipitale, ed è lì che si realizza la visione. Un bel paradosso: l’immagine di ciò che abbiamo davanti a noi si forma alle nostre spalle e, per via dell’incrocio dei due nervi ottici, l’inquadratura dell’occhio destro va a sinistra e viceversa. Dalle due immagini, il cervello ne elabora una terza, dandoci la visione in 3D. Se non avessimo due occhi la nostra vita sarebbe piatta, e non in senso metaforico. La visione stereoscopica si conquista a un anno di vita: ecco perché i neonati quando cercano di afferrare un oggetto spesso mancano la presa. Vedere è un’attività complessa. Metà della nostra corteccia cerebrale lavora per interpretare le immagini raccolte dalla retina, tanto che nel processo della visione 10 mo il 4% dell’energia fornita dal cibo. Non vediamo con gli occhi ma con il cervello, o meglio con gli occhi della mente. Nell’interpretare le immagini intervengono meccanismi cerebrali e culturali, in parte genetici e in parte appresi. Aspetti essenziali dell’attività visiva ci sfuggono. Vediamo immagini ferme, ma gli occhi si spostano tre volte al secondo per esplorare la scena: sono i movimenti saccadici. Una speciale zona del cervello ha il compito di farci cogliere i contorni. Luci, ombre e deformazioni prospettiche vengono continuamente elaborate dal cervello per dirci se gli oggetti sono concavi o convessi e qual è la loro posizione relativa. Ci sembra di vedere bene l’ambiente intorno a noi ma è solo effetto di una integrazione fatta dal cervello: a 1° dal centro del campo visivo la nitidezza è già dimezzata, a 5° si riduce a un quarto, oltre i 5° non siamo in grado di identificare gli oggetti e a 20° siamo ciechi. Provvede la mente a fornire una visione completa. Le illusioni ottiche sono una spia preziosa di questi meccanismi interpretativi. Come possono le cellule della retina captare i segnali luminosi? Il segreto si chiama rodopsina. Dal moscerino della frutta all’uomo, tutti gli esseri viventi vedono grazie alla rodopsina. E’ una grossa molecola, per farne una occorrono 700 amminoacidi. Funziona come una cella fotovoltaica. Quando riceve un raggio di luce, libera un po' di elettricità. E noi vediamo le stelle. Letteralmente. Derivati da cellule muscolari, i bastoncelli sotto l’azione della rodopsina si contraggono al passaggio della luce. Senza questa molecola non ci sarebbero né astronomia né astronomi. Nel cuore della rodopsina c’è il retinale, una sorta di molecola nella molecola. E’ il retinale ad avviare la serie di reazioni dalle quali scaturisce il segnale elettrico che passerà per il nervo ottico. Nel 2006 la rodopsina ha rivelato il suo meccanismo di funzionamento grazie a simulazioni al computer fatte con una tecnica ideata da Michele Parrinello e Roberto Car del Politecnico di Zurigo. A catturare la luce è un gruppo di 4 atomi (soltanto 4 tra le decine di migliaia che compongono la rodopsina!) e la reazione chimica avviene in 200 milionesimi di miliardesimo di secondo. Il fotone, cioè la particella elementare che costituisce la luce, rompe un legame chimico instabile, che lancia il segnale elettrico al nervo ottico e subito dopo si ricompone per riprendere il ciclo. Con questa scoperta siamo arrivati al centro del segreto della visione notturna. Quattro atomi, messi al punto giusto, ci svelano l’universo. In natura conta la qualità non la quantità; e conta la forma (della molecola), non il contenuto. Con la pupilla dilatata al massimo, 7 mm, come avviene dopo mezz’ora di adattamento all’oscurità, possiamo vedere più di 2000 stelle, nebulose come quella di Orione lontana 1800 anni luce, ammassi globulari come M13, a 25000 anni luce nella costellazione di Ercole, formato da mezzo milione di stelle, la galassia di Andromeda. Questa, a 2,3 milioni anni luce, è l’oggetto più lontano che l’uomo possa scorgere senza l’aiuto di strumenti ottici. Eccezionale fu il lampo di energia gamma (GRB) 080319B registrato dal satellite Swift il 19 marzo 2008: quel collasso di una stella in buco nero avvenne alla distanza di 7,5 miliardi di anni luce, 4000 volte più lontano della galassia di Andromeda, e in teoria la sua emissione nel visibile sarebbe stata percepibile a occhio nudo. Questo fuggevole evento rimane legato al più lontano oggetto che sia stato percepibile dall’uomo senza l’aiuto di strumenti. La luce della galassia di Andromeda che arriva oggi a noi, esemplare di Homo sapiens, partì prima che Homo sapiens incominciasse ad alzare lo sguardo al cielo. Un sottile pennello di luce unisce ogni stella al nostro occhio. I raggi stellari sono un ponte fisico, fatto di fotoni, tra noi e l’universo. Un ponte nello spazio e nel tempo diverso per ogni stella. Vediamo l’universo in differita, ma ogni stella ha la sua: Sirio è la stella di 8 anni fa. Betelgeuse di 600, Rigel 800. Il cielo stellato è una babele di epoche diverse mescolate in una illusione di contemporaneità. E poiché la retina è una parte di cervello, con il loro pennello di luce le stelle, fanno per così dire, il solletico alla nostra intelligenza, alla nostra curiosità. Sotto il cielo incredibilmente buio del paleolitico, quel solletico ha generato l’astronomia e l’astronomia con le sue domande – dove siamo, com’è fatto l’universo, siamo soli o esistono altre forme di vita nello spazio – ha fatto nascere tutte le altre scienze. 11 SCINTILLA, SCINTILLA, PICCOLA STELLA... di Gianantonio Milani Gianantonio Milani abita a Padova e osserva il cielo fin da ragazzo. Dagli anni '70 è appassionato in particolare alle comete. Autore di numerosi articoli scientifici su riviste italiane ed internazionali, coordina la Sezione Comete dell' Unione Astrofili Italiani ed il progetto CARA. Si è occupato di Astronomia a vari livelli, sia osservativa (su comete, pianeti, stelle variabili), che didattica e divulgativa, anche curando per diversi anni l'attività del locale planetario. E' attualmente presidente dell'Associazione Astronomica Euganea che svolge prevalentemente attività di divulgazione con il progetto Parco delle Stelle, sviluppato in collaborazione con il Parco Regionale dei Colli Euganei. Twinkle, twinkle, little star, how I wonder what you are. Up above the world so high, like a diamond in the sky. When the blazing sun is gone, when he nothing shines upon, then you show your little light, twinkle, twinkle, all the night. …… (traduzione) Scintilla, scintilla, piccola stella, Come vorrei sapere cosa tu sei. Lassù così in alto, come un diamante nel cielo. Quando il sole infuocato se n’è andato, quando non risplende più su nulla, allora tu mostri la tua piccola luce, scintilla, scintilla, tutta la notte. Con questi versi inizia la celebre poesia “The Star” (La Stella) composta da Jane Taylor nel 1806 e tratta da The Nursery Rhymes. Una semplice e bella poesia che si ispira allo scintillio delle stelle, un fenomeno che contribuisce a rendere più poetica e misteriosa la contemplazione del cielo stellato in una notte limpida. Per chi ne ha memoria introduceva anche il bel programma televisivo RAI sull’astronomia, “In viaggio tra le stelle”, condotto da Mino Damato nel 1973. Lo scintillio è una caratteristica che rende più affascinante la volta celeste alla visione ad occhio nudo, ma è ben poco gradito dagli astrofili più esperti che si accingono ad effettuare osservazioni al telescopio. Contrariamente a quanto molti immaginano, non si tratta di un fenomeno fisico legato alle stelle, ma piuttosto di un effetto dovuto all’atmosfera che ci circonda. Atmosfera che per noi è vitale ma che ci ostacola nell’osservazione dello spazio esterno. In generale si è propensi a prestare molta attenzione alle caratteristiche e bontà ottica quando ci apprestiamo ad acquistare un telescopio, creandoci delle giuste aspettative su ciò che potremo osservare: ad esempio sui crateri più piccoli che potremo distinguere sulla superficie lunare o sui dettagli che potremo cogliere sugli anelli di Saturno. Tuttavia, per quanto perfetto sia il nostro telescopio, nelle osservazioni sul campo ci scontreremo con i disturbi introdotti dalla nostra atmosfera, mediamente decine di volte peggiori dei difetti di lavorazione di un qualsiasi telescopio di media qualità. Il tremolio o ribollimento dell’immagine, più o meno marcato, che notiamo già nelle nostre prime osservazioni della Luna ad elevati ingrandimenti, è dovuto proprio al degrado introdotto dall’agitazione dell’aria. Non potendo trasferirci con il nostro strumento al di fuori dell’atmosfera o sulla Luna, dovremo imparare a convivere con questi effetti e a cercare di porci nelle condizioni migliori per limitarli. L’aria che ci circonda è una delle componenti che contribuisce a generare i cosiddetti “effetti strumentali”, ovvero tutte quelle alterazioni che modificano la qualità della nostra osservazione dei corpi celesti correlate alla situazione nella quale operiamo. Tratteremo qui solo della turbolenza, ma vi sono molti altri effetti dei quali è necessario tenere conto, come rifrazione ed estinzione, soprattutto per osservazioni di tipo scientifico. Di fatto la nostra atmosfera è parte integrante del nostro strumento. L’aria, come tutti i mezzi che possono essere attraversati dalla luce, ha un proprio indice di rifrazione, devia cioè il cammino dei raggi luminosi che la colpiscono con un angolo che si discosti dalla verticale. La entità deviazione dipende dalla massa d’aria, dall’angolo di incidenza, dalla lunghezza d’onda (colore) della luce, ma anche dalla pressione e temperatura dell’aria stessa. Masse d’aria in movimento a differente temperatura provocano continue modificazioni al percorso dei raggi luminosi, causando lo scintillio delle stelle che percepiamo ad occhio nudo in molte notti. Se potessimo osservare le stelle al di fuori dell’atmosfera potremmo constatare che di fatto esse non scintillano 12 affatto. Ma anche nelle nostre osservazioni notturne possiamo notare che non sempre le stelle scintillano allo stesso modo (a volte non lo fanno per niente), e che lo scintillio stesso varia di sera in sera o con il passare delle ore, anche che in funzione dell’altezza sull’orizzonte. In generale se le stelle scintillano visibilmente è sintomo di atmosfera molto turbolenta e di una situazione non ottimale per l’osservazione. Se invece la loro luce è ferma è in generale indice di aria calma e di un’ottima serata per le osservazioni. Inglesi e americani hanno coniato il termine “seeing” per indicare la qualità delle immagini al telescopio in relazione all’ agitazione dell’atmosfera e questo termine è divenuto di uso abbastanza comune. In lingua italiana si usa definire turbolenza e trasparenza del cielo. Per valutare la turbolenza si adotta una scala empirica stimando la nitidezza delle immagini ad elevati ingrandimenti sia stellari che planetarie. Ad esempio la scala adottata da Pickering definisce il grado 10 come ottimale, con immagini perfettamente ferme e nitide, il grado zero quando l’immagine è pessima. Antoniadi invece definisce la condizione ottimale con il grado zero e il peggiore con il grado 5. Altre scale analoghe definite da altri autori/osservatori sono state usate comunemente dagli astrofili. Ad esempio la scala in figura 1 (vedi sotto) è inversa rispetto a quella di Antoniadi e mostra l’immagine di una stella osservata ad elevati ingrandimenti con un telescopio di 20 cm. di diametro (tratto da Jean Texereau, La contruction du tèlescope d’amateur, II ed.). Come si può capire si tratta di scale qualitative, dove ha un peso sia la valutazione personale sia lo strumento utilizzato. In ambito professionale il “seeing” viene studiato con metodi quantitativi molto più elaborati e precisi, ad esempio misurando di quanto e in che modo vengono deformate le immagini e con che velocità (frequenza di oscillazione). La trasparenza viene invece misurata come estinzione atmosferica in magnitudini e in funzione dell’elevazione al di sopra dell’orizzonte (o della distanza zenitale). Figura 1. Diverso grado di turbolenza valutato osservando l’aspetto di una stella ad elevati ingrandimenti con un piccolo telescopio ( J. Texereau). Abbiamo già accennato al fatto che il problema della turbolenza è causato dalla diversa temperatura dell’aria e dalla sua agitazione. Nell’atmosfera la normale circolazione su larga scala induce correnti a diverse quote, con zone di inversione termica. Ovvero mediamente la temperatura diminuisce con l’altezza sul livello del mare, ma questo non avviene in modo lineare e vi sono zone nelle quali per un certo tratto si possono avere inversioni di temperatura. Sono ad esempio gli strati dove il vapore d’acqua si condensa formando nuvole, o dove si formano strati di nebbia. Ma strati di inversione si hanno anche con cielo sereno. In generale, in presenza di condizioni meteorologiche perturbate o instabili, avremo sempre una turbolenza più o meno marcata a diverse altezze, ed un conseguente deterioramento delle immagini. Il vento, pur non essendo responsabile in prima persona della turbolenza (ricordiamo che sono le differenze di temperatura a provocarla!) contribuisce alla formazione di regioni instabili, anche per l’interazione con gli ostacoli che incontra a bassa quota, siano essi edifici, colline o montagne. La situazione ideale si ha sempre in concomitanza di periodi di alta pressione che portano cielo sereno e assenza di vento, ma anche foschie o nebbie, queste ultime più frequenti nelle stagioni fredde. Il principale motivo che porta a realizzare gli Osservatori astronomici in siti isolati ad alta quota è proprio dettato dal fatto di portarsi al di sopra dei primi strati più turbolenti dell’atmosfera e di poter avere una trasparenza dell’aria migliore possibile per poter raccogliere anche la luce degli oggetti più deboli. A 5000 metri di quota circa metà dell’atmosfera è già sotto di noi. Ad esempio gli osservatori realizzati sui vulcani inattivi delle isole Hawaii, ad oltre 4000 m sul livello del mare, godono di condizioni privilegiate. Alle Canarie e sui deserti altipiani del Chile, la quota è minore, ma questi posti godono di situazioni locali particolarmente favorevoli, con ottima trasparenza, clima secco e grande stabilità dell’aria. Un altro Osservatorio celebre per le osservazioni ad alta risoluzione dei pianeti e del Sole è il Pic Du Midì. Le dimensioni medie apparenti di una stella nelle immagini riprese da questi siti è spesso inferiore ad 1 secondo d’arco, raggiungendo anche 0,5 secondi d’arco o meno nelle nottate migliori. Dovremo quindi rassegnarci a dover salire su alte montagne per portarci sopra gli strati più turbolenti di atmosfera per trovare un cielo che ci permetta di sfruttare a fondo il nostro strumento? Non necessariamente, e 13 prendentemente, potremo avere condizioni particolarmente buone in siti inattesi, anche dietro l’angolo, come pure condizioni pessime ad alta quota. Perché ? Perché abbiamo in realtà analizzato solo una parte del problema. Se è vero che su larga scala, a varie quote, l’atmosfera degrada le immagini, è anche vero che le caratteristiche di microclima e turbolenza locali possono avere un peso assai maggiore. Gli Osservatori citati prima (Hawaii, Canarie, Chile…) sono stati costruiti dopo aver condotto ricerche estremamente accurate in loco. Anche il punto esatto ove piazzare lo strumento è spesso scelto con molta cura perché anche in un buon sito di alta quota non tutti i punti sono uguali. Anche qui la turbolenza locale può agire in modo non trascurabile variando da zona a zona. Oggi viene prestata molta attenzione anche alla costruzione degli edifici e delle cupole, che in molti osservatori di vecchia concezione sono risultati essere la causa princidella turbolenza locale e di una cattiva resa dello strumento. In generale, in buone condizioni, il rimescolamento dell’atmosfera alle alte quote forma delle celle di aria che possiamo definire sufficientemente uniformi per temperatura e pressione e che hanno una dimensione inferiore al mezzo metro. Questo significa che con telescopi di diametro minore rispetto alla dimensione di queste celle potremo avere un visione generalmente nitida, pur notando un continuo spostamento (oscillazione) dell’immagine di una stella o di un pianeta. Osservando la Luna potremo vedere una deformazione su larga scala, ma non una effettiva perdita sui piccoli dettagli. Per questo motivo telescopi di piccola apertura (fino a 8-10 cm di diametro) risentono molto meno della turbolenza atmosferica rispetto ad aperture maggiori. Il guadagno sui dettagli osservabili è marcato fino a 20-30 cm di apertura, ma oltre non è scontato avere sempre un incremento. Anzi non di rado una apertura molto maggiore appare deludente sotto questo punto di vista . Quel che accade è che avremo una visione nitida finché il diametro del nostro telescopio è inferiore alla dimensione media delle celle di turbolenza atmosferica. Oltre avremo un affetto di “intorbidimento” delle immagini, una sorta di sfocatura. In generale possiamo dire che un piccolo telescopio (ad es. 5-6 cm. di diametro) sarà in grado praticamente sempre di rendere con prestazioni prossime al suo limite massimo. Un 810 cm ancora regge molto bene, ma inizierà a risentire di un peggioramento nelle serate meno buone. Un 15-20 cm potrà essere sfruttato al massimo ancora per un buon numero di serate, ma un 30-40 cm inizierà ad avere spesso parecchie difficoltà ad essere ben utilizzato. Soprattutto se ci troviamo in un sito dove la turbolenza locale ha un peso rilevante. Normalmente la turbolenza peggiore si origina entro poche centinaia di metri dall’osservatore e prestando attenzione alla scelta del nostro sito potremo notare differenze enormi. Figura 2. Schema delle deformazioni subite da un fronte d’onda mentre attraversa l’atmosfera. Un telescopio di piccola apertura risente maggiormente della turbolenza su piccola scala e vedremo ad esempio l’immagine di una stella ma continuamente in rapida “oscillazione”. Un grande telescopio abbraccia anche deviazioni su larga scala e forma immagini stellari caotiche (multiple). (figura adattata da www.telescope-optics.net). 14 Le città ad esempio hanno il problema di essere delle “isole di calore”, ovvero zone caratterizzate da un microclima con una temperatura di qualche grado più elevata della zone circostanti. L’eccesso di calore deriva da molti fattori: il riscaldamento delle case, aziende e uffici in inverno. Asfalto, cemento, muratura… accumulano il calore solare e lo rilasciano di notte. come pure gli impianti di condizionamento in estate producono ulteriore calore. Inoltre il traffico e l’utilizzo di qualunque motore o macchinario elettrico/elettronico/meccanico, come pure la semplice presenza umana, produce calore. L’effetto di un’isola di calore è di produrre una larga colonna d’aria ascendente richiamando contemporaneamente aria più fresca dalla periferia formando una vasta zona di turbolenza. Le cose peggiorano in caso di vento perché questo viene frenato al livello del suolo riacquistando la sua massima velocità solo a quote di almeno 500 metri (in caso di suolo privo di ostacoli la quota è comunque intorno a 200-300 metri). Ma le masse d’aria in rimescolamento sui centri urbani hanno una differenza di temperatura maggiore rispetto alle zone rurali. Localmente poi la complessità del terreno legata alla presenza degli edifici peggiora ulteriormente le cose. Ciò non toglie che si possano avere buone serate anche in città. Un sito sul pendio di una collina o di una montagna non è sempre ideale in quanto l’aria più calda che risale della valle o dalla pianura sottostante tende a formare correnti convettive che risalgono lungo il pendio creando turbolenza. In un sito di campagna l’essere circondati da vegetazione è un fatto molto positivo in quanto piante ed erba con foglie verdi riflettono la radiazione infrarossa solare ed evitano un eccessivo riscaldamento del suolo. Ne consegue che dopo il tramonto la temperatura dell’aria tenderà a stabilizzarsi e uniformarsi più rapidamente. Anche in città avere un giardino con un po’ di verde può aiutare un po’in questo senso. Ottime riprese di pianeti sono state effettuate proprio da siti di pianura. Distese di acqua (laghi, lagune, mare aperto) possono avere l’effetto di aiutare a termostatare e uniformare la temperatura dell’aria. La neve invece crea instabilità al livello del suolo e peggiora il seeing. Paradossalmente la nebbia, se non troppo fitta, può garantire un buon seeing, sia perché se c’è nebbia abbiamo una situazione di alta pressione, e quindi atmosfera calma negli alti strati, sia perché anch’essa ha un’ effetto di uniformare la temperatura nello strato vicino a noi. Per contro l’umidità tenderà ad appannare rapidamente le ottiche oltre e penetrare nei nostri indumenti rendendo davvero poco confortevoli le osservazioni! La cima di una montagna è teoricamente il sito ideale, ma il buon seeing non è automaticamente garantito perché dipende molto dall’orografia circostante e dalla turbolenza locale che potrebbe regalarci bruttissime sorprese. Una cima isolata e circondata da territorio omogeneo dovrebbe essere più indicata. Ma le prove sul campo sono le uniche che ci potranno dare un dato certo. Per ultima è da considerare anche la turbolenza che si genera all’interno del telescopio, che può essere ben peggiore di quella intorno a noi. Se teniamo il telescopio in casa è bene portarlo all’esterno molto prima di utilizzarlo per permettere alle sue parti di entrare in equilibrio con la temperatura esterna. In caso contrario si produrranno turbolenze interne davvero disastrose. Il tempo necessario a raggiungere l’equilibrio dipende dalle dimensioni e dal tipo di telescopio. Per un piccolo newtoniano (telescopio a specchio a tubo aperto) può essere sufficiente mezz’ora, per uno Schmidt-Cassegrain o Maksutov (a tubo chiuso) potrebbe occorrere molto di più (2-3 ore se di grande diametro). In molti strumenti vengono a volte montate delle piccole ventole per fare circolare l’aria all’interno e velocizzare il processo. Piccoli rifrattori non hanno invece alcun problema di acclimatamento. In generale spessi tubi metallici impiegano moltissimo a raggiungere un equilibrio termico (e a volte non lo raggiungono mai!), da preferire lamiera sottile (max 1 mm.) o tubi in plastica o legno (generalmente a sezione quadra). Plastica e legno, essendo materiali isolanti, hanno molti meno problemi rispetto ai tubi metallici ed anzi isolano efficacemente le ottiche da piccole variazioni esterne locali. Il metallo, essendo conduttore, può creare problemi, soprattutto nei telescopi più grandi se non ben progettati. Anche gli specchi, se di grandi dimensioni, richiedono un certo tempo per acclimatarsi generando, oltre a tensioni temporanee nel vetro, anche fastidiose correnti convettive vicine alla loro superficie. Pure la struttura di un Osservatorio, come già detto, può essere fonte di problemi. La classica cupola, utilizzata da sempre, è in realtà una pessima soluzione per quanto riguarda la turbolenza locale interna. Per uno strumento di piccole o medie dimensioni, potendo scegliere, è preferibile una struttura a tetto apribile che garantisce una migliore circolazione dell’aria ed è tra l’altro molto più economica. Le cupole dei grandi osservatori professionali sono oggi realizzate con un sistema di pareti apribili e regolabili in modo automatico per garantire una temperatura interna in equilibrio con quella esterna, e di giorno la temperatura viene controllata da un sistema di condizionamento programmato sulla temperatura media prevista per la notte. In questo modo, appena termina il crepuscolo, anche un grande telescopio è pronto per essere operativo al 100% senza dover attendere ore, se non tutta la notte, per raggiungere un possibile equilibrio termico. Infine una considerazione anche sulla qualità del telescopio. La lavorazione delle superfici ottiche e la loro collimazione, ha un peso non marginale sulla sensibilità alla turbolenza. Con un cielo “perfetto”, senza turbolenza, tutti gli strumenti rendono al loro massimo, ma in presenza di condizioni non ottimali i 15 minore qualità mostreranno un deterioramento sensibilmente maggiore nelle immagini. Ugualmente telescopi, anche di buona qualità, ma con un forte ostruzione dovuta allo specchio secondario molto grande, risulteranno maggiormente penalizzati rispetto ad altri poco ostruiti. Una ostruzione massima di 1/6 del diametro dello specchio principale in generale è la massima consigliata per avere una buona resa. Per concludere un piccolo vademecum (indicativo) su come decidere se portare fuori il telescopio oppure no - A seguito di un’ improvvisa schiarita dopo un forte temporale potremo avere un’ottima trasparenza del cielo che invita all’osservazione, ma un’aria molto agitata con forte turbolenza e stelle che scintillano molto. Potremo osservare oggetti deboli a bassi ingrandimenti ma ben poco potrà essere fatto sui pianeti. - Lo stesso avviene in giornate molto ventose, ad esempio nelle nostre zone quando soffia la bora, il cielo è molto limpido ma la turbolenza fortissima e lo scintillio molto forte. - Se anche i pianeti osservati ad occhio nudo scintillano, caso fortunatamente raro, significa che la turbolenza è a livelli altissimi. Inutile in questo caso portare fuori il telescopio! - Importante è valutare anche lo scintillio a diverse altezze sull’orizzonte. Se le stelle scintillano molto all’orizzonte ma poco o nulla allo Zenit significa che la turbolenza è principalmente locale, e probabilmente le condizioni miglioreranno sensibilmente con il passare delle ore. Anche la velocità dello scintillio può essere indicativa, se rapido indica forti correnti in quota, se lento è probabilmente più un disturbo locale che potrebbe attenuarsi. - Se le stelle scintillano poco o nulla all’orizzonte e sono ferme allo Zenit ci aspetta un’ottima serata. - Nuvole sottili e velature che si muovono lentamente non sempre sono sinonimo di forte turbolenza. Soprattutto se l’aria al suolo è calma si possono a volte avere condizioni discretamente buone anche con lievi velature. Se però sono cirri che annunciano l’arrivo di una perturbazione la situazione sicuramente non sarà buona. - Se osserviamo da un poggiolo o terrazzo fare attenzione a chiudere bene porte e finestre senza lasciare spifferi che possono creare correnti d’aria locali. Analogamente troppe persone intorno ad un telescopio possono ge– nerare calore e turbolenza. Anche lo stesso osservatore può creare disturbo se la brezza porta il suo calore e il UNO SPETTACOLARE FENOMENO di Claudio Pra Giovedì 27 agosto, verso le 6.15 del mattino, dalla Valle del Biois si è potuto assistere a un fenomeno incredibile. Nonostante un cielo completamente nuvoloso, da est un esteso fascio luminoso arancionerossastro si proiettava sulle nubi, diffondendosi per buona parte del cielo. Impressionante il contrasto di colori tra l’area interessata dalla proiezione e il resto del cielo. Il fascio è in breve sbiadito e poi scomparso. Da Falcade il fenomeno è stato visto propagarsi da dietro le torri che fanno da satellite al Monte Civetta. Antonella Follador, richiamata dal marito, l’ ha fotografato e in seguito, tramite Laura Busin, ha contattato l’Associazione Astrofili Agordini “Cieli Dolomitici” per chiedere una spiegazione su quell’incredibile visione. La spiegazione è la seguente: A quell'ora il Sole non era ancora sorto trovandosi alcuni gradi sotto l'orizzonte. Quel fascio si propagava quindi da sotto l'orizzonte ed è filtrato da un “buco” presente tra le tante nubi che coprivano il cielo, riflettendosi sulle nubi più distanti. In gergo tecnico si tratta di “raggi crepuscolari”, che si osservano solo in determinate circostanze, quando il Sole sta per sorgere o è appena tramontato. Solitamente quel che si nota sono dei fasci molto più stretti e molto meno evidenti. In questo caso invece il fascio è risultato largo ed evidentissimo. E' molto raro assistere a un fenomeno simile e probabilmente chi ha avuto la fortuna di vedere con i propri occhi quell’alba così insolita non lo scorderà più. In alto un’ immagine del fenomeno (foto Antonella Follador). La foto e la notizia è stata pubblicata 16 anche dal mensile astronomico Coelum. ATTIVITA’ DELL’ ASSOCIAZIONE (luglio-dicembre 2014) Il 19 luglio abbiamo organizzato a Passo Giau “The summer sky full of stars”. Il programma prevedeva una passeggiata per ammirare il tramonto dalla Sella del Pore, seguita dall’osservazione del cielo estivo con alcuni notevoli strumenti. Dopo una settimana di tempo incerto il week end prometteva un rinforzo dell’Anticiclone delle Azzorre anche sul nord Italia, con tempo finalmente stabile. Il cielo si è mantenuto praticamente sgombro da nubi per tutta la giornata. Al momento del ritrovo a Passo Giau però, le condizioni sono purtroppo peggiorate e una cappa di nubi basse ha fatto la sua comparsa. Sperando nel miglioramento la trentina di persone presenti ha raggiunto la Sella del Pore, desiderosa di ammirare un tramonto d’alta quota e di trascorrere in seguito una bella serata sotto il cielo stellato. Le nubi hanno però continuato a persistere e anzi sono aumentate. Così il Sole ha fatto appena capolino. Dopo un frugale picnic si è ridiscesi a Fedare in mezzo alla nebbia, attendendo invano una schiarita. Si è così deciso di provare a scendere più a valle, dove le condizioni meteo parevano migliori. Infatti era proprio così, ma il miglioramento non è stato tale da consentirci lo svolgimento dell’osservazione. Un po’ alla volta, mestamente, la compagnia si è sciolta. Che peccato, che delusione! Sempre più ci convinciamo che la nostra attività è soggetta a talmente tante variabili che programmare eventi all’aperto è praticamente impossibile. Varrebbe forse la pena di cambiare tattica, mandando dei messaggi quasi all’ultimo momento per andare a colpo sicuro. Ovviamente salterebbe ogni tipo di programmazione con tutte le conseguenze del caso. Anche la “Notte delle stelle cadenti”, organizzata per il 10 agosto al Rifugio Bottari e proposta ormai da vari anni in collaborazione con il CAI di Oderzo è stata purtroppo accompagnata da nuvole e nebbie che hanno avvolto montagne e cielo stellato. Davvero un peccato perché il pubblico presente era molto numeroso. In ogni caso l’appuntamento ha riscosso un grande successo grazie all’ ottima cena accompagnata da musica dal vivo. Nell’ intermezzo Tomaso Avoscan, Presidente di “Cieli Dolomitici”, ha portato il saluto della nostra Associazione ed Alvise Tomaselli ha intrattenuto il pubblico presente con qualche informazione riguardante le stelle cadenti ed il cielo estivo. Una schiarita ha permesso almeno l’osservazione della Stazione Spaziale. Sabato 29 settembre il cielo notturno si è finalmente presentato in tutta la sua sfavillante bellezza e quindi la serata osservativa organizzata a Passo Giau per recuperare quella fallita in agosto è finalmente riuscita. Peccato che all’appuntamento si siano presentate solo una dozzina di persone (organizzatori compresi). L’enorme telescopio Dobson da 40 cm. di proprietà dell’Associazione è stato puntato su alcuni tra gli oggetti più famosi del cielo (la Grande Galassia di Andromeda, le nebulose planetarie “Dumbell” e “Anello”, la coppia di galassie M81-82, i globulari M 22 E M 13, la Nebulosa Laguna, il Doppio Ammasso di Perseo, le Pleiadi…) Osservata anche qualche bella stella doppia e la cometa Jacques. Molti degli oggetti sono stati mostrati anche attraverso un binocolone, permettendo un confronto tra le immagini restituite da due strumenti diversi. Seppure il freddo non sia stato particolarmente intenso è stata molto gradita la tisana calda offerta da uno dei partecipanti. Anche nella seconda parte dell’anno è continuato l’invio delle news astronomiche ai Soci che ci hanno fornito la loro mail. Nuovo Orione e Coelum, in edicola tutti i mesi sono le due riviste astronomiche che vi consigliamo. www.coelum.com www.astronomianews.it 17