22
2014
Giornalino dell’ Associazione Astrofili Agordini
“Cieli Dolomitici”
Questa spettacolare immagine ritrae un’area di cielo posta nella costellazione di Orione. Tra i bagliori della brillante
stella Alnitak (Zeta Orionis), una delle tre che forma la cintura del grande cacciatore, si nascondono due autentici gioielli
celesti invernali, NGC 2024, la “Nebulosa Fiamma” e B 33, ovvero la famosissima “Testa di Cavallo”. La prima è una
nebulosa ad emissione distante 2000 anni luce mentre la seconda è una nebulosa oscura distante1500 anni luce,
osservabile solo perché si proietta davanti alla debole nebulosa ad emissione IC 434. Sono visualmente molto elusive,
specie B 33 che rientra a pieno titolo tra i “mitici” oggetti del cielo profondo inseguiti dagli astrofili esperti.
La bellissima fotografia è stata scattata da Davide De Col.
WWW.CIELIDOLOMITICI.IT
WWW.CIELIDOLOMITICI.IT
WWW.CIELIDOLOMITICI.IT
SOMMARIO
PICCOLA STORIA DI UNA GRANDE PASSIONE di Claudio Pra pag. 3
UNA FANTASTICA CONGIUNZIONE PLANETARIA di Nadine De Biasio pag. 5
LE MERIDIANE DI PIETRA di Alvise Tomaselli pag. 6
OSSERVARE IL CIELO CON I PROPRI OCCHI estratto proposto da Tomaso Avoscan pag. 8
SCINTILLA, SCINTILLA, PICCOLA STELLA...di Gianantonio Milani pag. 12
UNO SPETTACOLARE FENOMENO di Claudio Pra pag. 16
ATTIVITA’ DELL’ASSOCIAZIONE pag. 17
IL GIORNALINO CERCA COLLABORATORI
Vuoi collaborare con il giornalino della nostra Associazione? Qualsiasi contributo sarà il benvenuto.
Articoli (anche molto semplici), domande, fotografie, vignette, disegni, ecc. non potranno che arricchire
la nostra pubblicazione.
Per contattare il responsabile del giornalino
Claudio Pra:
e-mail : [email protected]
Telefono: 0437/523186
Indirizzo: via Saviner Di Calloneghe 22
32020 Rocca Pietore (Bl)
Sito internet dell’Associazione:
www.cielidolomitici.it
WEBMASTER Andrea De Nardin
e-mail
[email protected]
LA BIBLIOTECA DELL’ASSOCIAZIONE
Tra le opportunità offerte agli Associati c’è quella di poter fruire della biblioteca dell’Associazione. La
biblioteca è ben fornita (oltre a molti libri e riviste ci sono anche videocassette e DVD) ed è auspicabile
che un buon numero di persone se ne servano. Ricordiamo che per accedere alla biblioteca bisogna
contattare Claudio al 3493278611 per fissare un appuntamento.
2
PICCOLA STORIA DI UNA GRANDE PASSIONE di Claudio Pra
-Come sei diventato astrofilo?- Questa
domanda mi viene spesso rivolta da chi
conosce la mia passione per il cielo stellato.
Ebbene, tutto è cominciato piuttosto
improvvisamente, nella primavera del 1998.
A quel tempo non ero già più un giovincello
avendo 32 anni, un’ età forse insolita per
approdare in questo incredibile mondo. Che
mi appassionassero le tematiche legate al
cielo, sia pur senza “coinvolgimento diretto”,
era evidente già da bambino. Ero infatti
molto attratto dai film di fantascienza sul
tema e comunque l’argomento spazio ha
sempre attirato la mia attenzione. Insomma,
gli indizi c’erano. Ci voleva però un ”input”
per trasformarmi da semplice spettatore
L’autore dell’articolo durante una seduta osservativa
in…”protagonista”. E l’input arrivò grazie
all’uscita di un enciclopedia a fascicoli intitolata “L’universo”, che si avvaleva della collaborazione del
noto divulgatore scientifico Piero Angela . Il fatto che già conoscessi lo stile di Angela, capace di
spiegare le cose complicate in modo semplice ed efficace, mi convinse a comperare i primi fascicoli.
Dopotutto, se l’opera non mi avesse convinto, mi sarei fermato. Mi bastò leggere il primo fascicolo e
già ero astrofilo! L’enciclopedia trattava molti argomenti divisi per sezioni. Tra questi l’osservazione
del cielo. Che si potessero vedere pianeti, galassie e altro a occhio nudo o con un piccolo binocolo fu
per me una rivelazione. Leggendo di questi affascinanti oggetti celesti la voglia di osservarli fu
straripante. Già, osservarli, ma dove? Il cielo è grande e orientarsi è un problema. Ci sono le
costellazioni che fanno da riferimento ma da novizi non è affatto facile dare forma a queste figure
celesti. Credo che molti potenziali astrofili fai da te si perdano per strada proprio in questa fase. Si
tratta di superare un ostacolo difficile che per molti diventa invalicabile. Fortunato chi sfrutta un’
amico già esperto o un associazione. Io non ebbi questa possibilità, ma la passione era talmente
grande che quell’ostacolo non mi fermò di certo. Con una cartina in mano ho passato ore sotto il
cielo a cercare l’ Orsa Maggiore e l’Orsa Minore, il Leone, il Toro, i Gemelli, i Pesci...Dopo questa
prima fase di conoscenza del cielo ho potuto finalmente passare al primo strumento, un piccolo
binocolo 10x50 piuttosto scassato e di modestissima qualità. Per avere immagini più ferme mi
costruii un treppiede traballante ma utile per poter appoggiare lo strumento. Ebbene, con questa
semplice attrezzatura ho potuto compiere un gran numero di osservazioni interessanti che a distanza
di tempo ricordo con piacere e nostalgia. Tra i primi oggetti del cielo profondo che ho avuto modo di
osservare ricordo le Pleiadi, la Galassia di Andromeda e il Grande Ammasso dell’Ercole.
Naturalmente anche i pianeti rientravano nei miei interessi, anche se visti al binocolo non si
discostavano dalle stelle. Sapere però che quei puntini luminosi erano mondi lontani in orbita
attorno al Sole mi dava i brividi. Alcuni di loro poi, qualche soddisfazione, al di là del brivido, la dava.
Giove ad esempio mostrava le sue quattro lune principali che, ruotandogli intorno, cambiavano
posizione di continuo. Lo spettacolo era quindi assicurato. Lo osservai per la prima volta in una
serata dell’agosto 1998. Era il primo pianeta che riuscivo ad identificare e fu davvero emozionante.
Stavo per andare a dormire ma prima gettai un ultimo sguardo dal solaio. Guardando verso il Monte
Coldai vidi una stella luminosissima che, puntata con il binocolo, era attorniata da alcuni piccoli
puntini luminosi. Capii subito che si trattava di Giove e dei suoi Satelliti Medicei!!! In seguito, con
molta pazienza, identificai tutti gli altri pianeti. Osservai anche il mio primo asteroide, il più grande e
famoso nonché il primo ad essere stato scoperto duecento anni prima della mia osservazione:
Cerere. Compii osservazioni sul Sole con la tecnica della proiezione, individuando numerose
macchie scure (le macchie solari) che, seguite per diversi giorni si spostavano sulla sua superficie.
Insomma, il 1998 fu un anno importante, impegnativo e intenso. La mia passione era davvero grande
e ormai l’Astronomia mi era entrata dentro. Oltre a osservare, “divoravo testi sull’argomento,
acquisendo così conoscenze sempre più approfondite. Verso la fine di quell’anno mi convinsi a fare il
“passo importante”, ovvero comperare il mio primo telescopio. Il momento è certamente di quelli da
ricordare. Ogni astrofilo “convinto” arriva prima o poi a questa fatidica decisione. Un telescopio ti
apre davvero le porte del cielo ed è irrinunciabile per poter eseguire osservazioni di un certo rilievo.
La scelta del modello non fu però facile ma dopo un’ attenta valutazione scelsi un rifrattore
acromatico da 12 centimetri di diametro. A distanza di tempo devo dire che scelsi bene. Quel
telescopio mi soddisfò infatti pienamente. Lo ordinai poco prima di Natale e quando mi arrivò ci misi
un pomeriggio intero a montarlo. Non avendo mai avuto a che fare con questo tipo di
strumenti,
3
ci volle pazienza. La montatura equatoriale mi mise in seria
difficoltà, ma alla fine l’opera si compì. Lo inaugurai osservando
Giove. Ora il gigante del sistema solare non era più solo una stella
molto luminosa, bensì un disco piuttosto grande in cui si
distinguevano bene due bande trasversali scure, le Bande
Equatoriali. Saturno si mostrava in tutto il suo splendore, con gli
anelli piuttosto aperti e la sua corte di lune più luminose. Le
galassie divenivano visibili a decine così come tanti altri oggetti
che con il binocolo erano irraggiungibili. Uno dopo l’altro trovavo gli
oggetti del cielo profondo appartenenti al Catalogo Messier. Nella
primavera del 1999 potei osservare Marte, anche se il Pianeta
Rosso non era certo in una delle sue più favorevoli opposizioni,
quei momenti che lo portano a transitare vicino alla Terra
mostrando un disco più grande. Tra l’altro la sua osservazione non
è comunque agevole per gli esperti, figurarsi per chi non lo ha mai
Il mio primo telescopio, un
osservato. Ebbene riuscii comunque a distinguere dettagli molti
rifrattore da 12 cm. di diametro e elusivi sul suo disco. I miei interessi spaziavano a 360 gradi.
Pianeti, deep-sky, asteroidi, comete, Sole, stelle doppie e Luna, mi
un metro di focale. Uno
interessava tutto. Indimenticabile fu l’eclissi totale di Sole che vidi
strumento che mi ha dato
da Monaco di Baviera nell’agosto del 1999. Partii alle quattro del
parecchie soddisfazioni
mattino per poter essere a Monaco cinque ore dopo. Mi ero
preparato alla perfezione per quello straordinario evento. Sapevo in dettaglio cosa sarebbe successo
e a cosa prestare particolare attenzione. Fui fortunato perché c’erano parecchie nubi al mio arrivo sul
luogo dell’osservazione, che minacciavano di rovinare tutto. Durante le prime fasi dovetti anche
rifugiarmi in macchina a causa di un acquazzone. Ma proprio nel momento clou il cielo si aprì
regalandomi l’indimenticabile emozione della “totalità”. Il buio poco dopo mezzogiorno, con un “Sole
nero” circondato da una brillante corona. Indimenticabile!!! Un quarto d’ora dopo le nuvole ripresero il
sopravvento, ma ormai era fatta!. Quel giorno compivo gli anni e non poteva esserci miglior regalo.
Molti neofiti rimangono delusi per ciò che si vede all’oculare. Le loro aspettative sono troppe,
ingigantite dalle splendide fotografie presenti sulle riviste astronomiche. L’osservazione diretta è un
altro mondo rispetto alla fotografia anche solo amatoriale. La stragrande maggioranza degli oggetti
del cielo profondo ad esempio, si limita a mostrarsi simile a una debole luminescenza in cui starà
all’osservatore cercare qualche dettaglio in più. Talvolta la sfida è riuscire solo a percepirli. Ci sono
degli oggetti che danno indubbiamente più soddisfazione, ma in tutti i casi ci appariranno molto
diversi da come li avevamo visti in fotografia, senza per questo deluderci se ci saremo calati nella
parte con la giusta mentalità, provando un brivido per quei pochi fotoni di luce che arrivano
dall’abisso. Sotto questo aspetto io nella parte mi ci sono calato alla perfezione e l’osservazione
visuale non mi ha mai deluso. Anzi, ho sempre pensato che vedere direttamente con i propri occhi
regala più emozioni.
Con il tempo capii che il profondo cielo e le comete erano i miei maggiori interessi e lì indirizzai i miei
sforzi. Dopo aver quasi consumato il primo telescopio passai quindi ad uno più grande per
raggiungere oggetti più deboli. Credevo che questo secondo strumento potesse essere quello
definitivo e invece qualche anno dopo ne comperai uno più grande ancora, andando a caccia
dell’impossibile; mitici oggetti come la nebulosa oscura “Testa di Cavallo”, le famose cinque galassie
denominate “Quintetto di Stephan”, molti ammassi globulari appartenenti alla Grande galassia di
Andromeda, i Globulari Palomar...
Dopo aver osservato tanto è importante trovare sempre degli stimoli nuovi e non finire mai di
stupirsi. Mi è capitato, dopo aver tentato di osservare una debole cometa cercata per ore senza
risultati o dopo aver scrutato Giove o Saturno per giorni non riuscendo a cogliere che i “soliti”
dettagli, di rientrare a casa stanco e un po’deluso e pensare di aver ormai visto tutto. Probabilmente
un attimo di debolezza... Il giorno seguente infatti, l’entusiasmo è sempre tornato e con esso la voglia
tornare lassù. Osservare una nuova cometa ad esempio, è per me sempre qualcosa di fantastico.
Spesso ha l’aspetto di tante altre comete già viste ma è comunque unica e percepire la sua luce dà
sensazioni uniche. E comunque anche riosservare oggetti già visti a distanza di tempo è comunque
bello. L’ennesima osservazione della grande nebulosa di Orione, della Nebulosa Anello, di un
eclisse. Emozioni, sensazioni... Le ritengo indispensabili. Sono come benzina per un motore. Se
mancano credo caschi il presupposto che spinge a dedicarsi a questa passione.
Molto altro potrei raccontare. Ad esempio sulle mie esperienze di astrofotografo, campo a cui mi
sono dedicato negli ultimi anni. O della mia collaborazione con una prestigiosa rivista astronomica.
Oppure...Meglio terminare qui, ci vorrebbero ancora troppe pagine e questo non è un libro, è solo un
piccolo parziale riassunto della mia vita sotto il cielo. Un sogno per il futuro? Avere la possibilità di
osservare una grande cometa una di quelle ricordare nei secoli dei secoli...Amen.
4
UNA FANTASTICA CONGIUNZIONE PLANETARIA di Nadine De Biasio
Venere (in alto) e Giove ripresi dal Laresei il 18/8/2014
Impostare la sveglia sulle 2.30
non rientra nelle mie
abitudini e nemmeno nelle
c o s e
c h e
a m o
particolarmente fare.
No no s t ant e
ciò ,
s o no
convinta sia per una buona
c a u s a:
la
s t r et t is s i m a
congiunzione Venere-Giove è
un evento imperdibile!
Domani, 18 agosto 2014, i
due pianeti si troveranno
infatti vicinissimi, ma solo dal
punto di vista prospettico: in
realtà la loro distanza
ammonterà a quasi 700
milioni di chilometri!
Claudio Prà mi ha proposto di
salire in quota al Laresei, non
lontano da Passo Valles, per
immortalare l’evento, ed io ho accettato entusiasta.
Verso le 3 del mattino esco quindi da casa, con nello zaino la macchina fotografica e
l’abbigliamento adeguato per proteggermi dal freddo. Parto però con ben poche speranze: il
cielo è coperto da una spessa coltre di nubi. Salendo in macchina verso Passo Valles la
situazione sembra migliorare e migliora ulteriormente dopo la passeggiata di circa 40 minuti
che ci porta dal valico sino al Laresei, dove ad accoglierci c’è una meravigliosa volta celeste
popolata da costellazioni tipicamente invernali.
Consapevoli di essere stati fortunatissimi, fissiamo le nostre macchine fotografiche sul
cavalletto ed eseguiamo alcuni scatti di prova per non farci trovare impreparati al momento
del sorgere dei due pianeti. Fotografare la notte non è una cosa banale e per portare a casa
delle belle immagini è necessario impostare manualmente la fotocamera. Per fortuna c’è
Claudio a consigliarmi, io non sono molto pratica. La scelta del luogo si rivela quanto mai
azzeccata, con il panorama che spazia dal Mulaz, al Civetta, alle cime dell’Auta, al Costabella,
sino al Lagorai. Ma soprattutto è formidabile
l’apertura verso est, punto dove sorgeranno i
due corpi celesti che aspettiamo.
Improvvisamente, ecco spuntare da dietro il
Sorapis una luce arancione luminosissima,
seguita poco dopo da un’altra, meno intensa.
Ci vuole un attimo per capire di cosa si tratta:
sono loro, Venere e Giove! Tra uno scatto e
l’altro ci fermiamo a riflettere silenziosamente,
ammirando questo spettacolo surreale che
propone due gemme del firmamento sospese
A sinistra Venere, pianeta poco più piccolo della
sopra il profilo appena percettibile delle
Terra, perennemente coperto da una densa coltre di
montagne.
nubi. A destra Giove, Il gigante del Sistema Solare
In pochi minuti i pianeti si alzano
sensibilmente in cielo, mentre l’orizzonte inizia a tingersi di arancione, segno dell’alba
imminente. Il freddo è sempre più pungente, tanto che giacca, berretto, guanti e the caldo non
bastano più a scaldarmi. Così improvviso qualche breve corsetta e dei saltelli sul posto, che
migliorano il mio stato termico. In ogni caso ho avuto la conferma che, in condizioni normali, il
momento della giornata in cui la temperatura è più bassa coincide proprio con il sorgere del
Sole.
Sull’obiettivo della macchina fotografica inizia a formarsi della condensa, che riesco a
eliminare riponendola per alcuni minuti nello zaino. La estraggo nuovamente giusto in tempo
per catturare i primi raggi solari che fanno capolino dall’Antelao, illuminando i prati imperlati
di rugiada.
Venere e Giove sono ormai spariti nella luce del nuovo giorno, è ora di tornare verso valle.
Ringraziato Claudio, torno a casa stanca, ma soddisfatta e felice. Non riesco a resistere per
molto tempo e crollo presto in un sonno profondo, con ancora negli occhi ciò che ho avuto il
5
LE MERIDIANE DI PIETRA di Alvise Tomaselli
La Baviera tedesca è un territorio tranquillo. Morfologia collinare, nuclei abitati alternati a laghetti,
piste ciclabili per tutte le lunghezze e difficoltà, tracciati attrezzati per passeggiate e attività sportive
varie. Località ideale per alcuni giorni di relax, lontano dall’”italico stress”. Bad Bayersoien (vedi
immagine sotto) è un tipico paesino bavarese posizionato pochi chilometri a nord dalle più rinomate
località di Garmisch e di Oberammergau.
Qui è cresciuto Karl Kunert, respirando l’aria tipica di luoghi dove tutti si conoscono e dove la pulizia
e l’ordine caratterizzano i paesini della campagna bavarese. Kunert Imparò l’attività di scalpellino
presso scuole a Friburgo 35 anni fa e proprio in quel contesto venne a conoscenza dell’esistenza
delle meridiane. Ne fu subito conquistato ma la cosa finì lì. Qualche anno fa fu spinto dal desiderio di
riscoprire il mondo delle meridiane e i segreti antichi della misura del tempo traendo ispirazione da
quelle informazione mai dimenticate che aveva ricevuto a Friburgo. Nel 2008 iniziò a scolpire la
prima meridiana di pietra e negli anni
successivi seguirono le altre.
Mi sono imbattuto quasi casualmente nel
giardino dalle “meridiane di pietra”
durante una breve vacanza in questi
luoghi rilassanti. Al termine di una
corsetta serale sono giunto in prossimità
di quel luogo dove lo sguardo si è posato
immediatamente su alcune sculture in
pietra che con grande stupore risultavano
essere in tutto e per tutto delle meridiane
molto, molto particolari. Le meridiane di
pietra sono state realizzate in un arco di
tempo compreso fra il 2008 e il 2011,
sono tutte scolpite a mano con dovizia di
Il giardino delle meridiane di pietra
particolari e associate a temi diversi.
La prima realizzata è definita “La Meridiana Cubo”. Si tratta di un cubo
di granito con 5 quadranti distinti che riprendono temi legati al tempo su
tutti i lati verticali e quello orizzontale.
Un’altra definita “La Ruota del Carro” (vedi immagine a destra) con
riferimento alle attività agricole tipiche di questi luoghi, è montata su un
piedistallo di 127 cm. di altezza e la ruota in granito rosso misura 100
cm. di diametro. Si tratta di una meridiana con gnomone inclinato
secondo la direzione dell’asse terrestre. Sulla faccia di un lato del
piedestallo è inciso l’ analemma, che indica il percorso del Sole durante
il suo ciclo annuale. La particolarità di questa meridiana è che sulle
facce del piedistallo sono riportate le indicazioni per la corretta
interpretazione, realizzate scolpendo a mano circa 1700 lettere.
C’è poi il “Globo di pietra”, una meridiana realizzata su un globo di gra6
nito nero svedese con riportato l’orario solare legale e l’ora del
meridiano centrale europeo. Lo gnomone è mobile e può
essere posto sul meridiano di interesse tramite lo spostamento
di una apposita staffa d’acciaio.
Il “Ragno Solare”, costruita nel 2011, è una meridiana verticale
con gnomone orizzontale realizzata su un disco di granito sul
quale è stato stilizzato un ragno sulla sua tela. La meridiana
che mi ha colpito più di tutte, è quella chiamata “Tronco
Pietrificato”, realizzata su un pezzo di tronco silicizzato (di
provenienza
australiana) su cui
l’artista ha costruito
una scure in acciaio
inox come gnomone. Il
tronco silicizzato è
comunemente definito
in ambito geologico
come legno fossile,
formatosi in antiche
Il Globo di pietra
foreste che in epoche
remote (più di 200 milioni di anni fa) furono sepolte in
ambiente paludoso e ricco di sostanze silicee. Il silicio con il
trascorrere del tempo ha sostituito la componente
carboniosa del vegetale fino a farlo divenire una roccia a
matrice microcristallina.
Che dire, non mi sarei mai aspettato di trovare un angolo di
un paesino bavarese dedicato al tempo e alla sua misura
tramite un antico strumento. L’originalità dell’idea e la
difficoltà nella realizzazione di queste sculture ne fanno
effettivamente dei pezzi unici e difficilmente ripetibili.
Il Tronco pietrificato
PLANETARIO DI S. TOMASO
Le serate si tengono ogni venerdì
con inizio alle 20.30. Per
partecipare occorre prenotarsi
telefonando al Comune di S.
T o maso in mat t inat a a llo
0437/598004 oppure passare
direttamente in Municipio. Il costo
è fissato in 5 euro per gli adulti e 3
euro per i minorenni. Non pagano i
bambini sotto i cinque anni e i
po r t at o r i d i ha nd ic ap. Al
r a g g iu ng i me nt o d e l t e t t o
massimo di prenotazioni per una
serata, si sarà dirottati
alla
successiva o alla prima dove ci sia
posto (se d' accordo).
Per le scolaresche sono due le giornate di apertura settimanale, il mercoledì e il giovedì con lezioni alle 9.00 e
alle 10.30. La prenotazione va effettuata sempre ai numeri del Municipio e il pagamento (anticipato) è possibile
tramite bollettino di c/c. Il costo va dai 2,50 euro a persona per le scuole dell' obbligo ai 3,00 euro per le
superiori. Il numero massimo di studenti per lezione non può superare i 25 per le scuole dell' obbligo e i 20 per
le superiori (nel numero rientrano gli accompagnatori).
7
OSSERVARE IL CIELO CON I PROPRI OCCHI
estratto proposto da Tomaso Avoscan
Da astrofilo “visualista” quale sono riporto con piacere (e con sua autorizzazione) un
estratto del bellissimo libro di Piero Bianucci “ Storia sentimentale dell’Astronomia – Ed.
Longanesi” riguardante l’ antica ma ancora appagante osservazione del cielo stellato
fatta ..... AD OCCHIO NUDO……..
Si dice che l’astronomia sia
la scienza più antica. Se è
così,
gli
astronomi
eserci tano
il
secondo
mestiere
più
antico al
mondo, blasone che la
categoria dovrebbe portare
con fierezza.
A far sorgere l’esigenza di
conoscere le stelle furono le
prime credenze religiose,
poi l’agricoltura e infine la
religione.
Ma
la
contemplazione del cielo,
accompagnata
dalla
meraviglia e talvolta dalla
paura,
precede
gli
astronomi. Precede anche i sacerdoti, gli agricoltori e i naviganti che tra le stelle
cercarono la sede degli dei, un calendario e una bussola. L’ Homo erectus, l’ominide che
un milione e mezzo di anni fa si levò in piedi e sollevò gli occhi dal suolo all’orizzonte, fu
la prima creatura a fissare lo sguardo sulla notte stellata. Il germoglio dell’astronomia fu
estetico, emotivo e quindi sentimentale, perché l’affettività venne coinvolta prima della
ragione.
Per l’Homo Sapiens la visione del cielo diurno, con l’arco più o meno ampio percorso dal
Sole e il trascorrere delle nuvole ora lievi ora minacciose, diventò fonte di informazioni
utili alla sopravvivenza, mentre il cielo notturno, con le luci enigmatiche delle stelle e la
mutevole Luna, rimase a lungo ispiratore di emozioni indistinte, sentimenti inquieti,
turbamenti che poi si sarebbero trasformati in curiosità e domande, dando origine alla
Scienza.
Nulla sappiamo dell’osservazione del cielo da parte dei nostri antenati fino all’uomo di
Neandertal e all’Homo sapiens. L’ipotesi che il primo, stanziale in Europa, sia stato
sterminato dal secondo, arrivato dall’Africa quarantamila anni fa, ha solide basi. Ma una
ricerca sul genoma dell’Uomo di Neandertal pubblicata da Nature nel 2010 ha
dimostrato che parte del suo DNA sopravvive nel nostro. Possono essere frammenti di
codice genetico provenienti da un più antico antenato comune. Ma si può anche
immaginare che l’Homo neandertalensis e l’Homo sapiens non abbiano avuto solo
rapporti brutalmente conflittuali. Forse qualche signorina Neandertal fraternizzò con i
più raffinati signori Sapiens, e qualche fanciulla Sapiens apprezzò la rude virilità del
popolo Neandertal, tanto da generare una discendenza della quale siamo epigoni.
L’occhio, il nudo occhio, è stato fino a quattrocento anni fa, l’unico strumento per
scrutare l’universo. Non è però uno strumento da sottovalutare. I modi di dire popolari
paragonano alla lince o all’aquila chi ha una vista molto acuta. La biologia ci insegna
invece che gli animali hanno occhi specializzati, cioè adatti alle loro esigenze di caccia,
difesa, corteggiamento.
Il rospo vede bene solo ciò che si muove rapidamente; il suo pasto è fatto di cavallette
e insetti volanti. La libellula coglie i movimenti veloci ancora meglio del rospo, pur
8
quattro recettori per la visione a colori, uno più di noi,
sensibile alla luce ultravioletta: secondo una ricerca
pubblicata nel 2010 da Philip Casey dell’Università di
Birmingham (Regno Unito), esso fornisce più sfumature,
utili a distinguere uova che a noi sembrano tutte uguali.
Il gatto vede bene nell’oscurità ma non distingue i colori,
il suo mondo è in bianco e nero. Il cane vede i colori
sbiaditi, ha un campo visivo laterale più ampio del nostro
ma un ristretto campo visivo in 3D. il coniglio è presbite,
vede sfocate le cose vicine, nitide quelle lontane. I
serpenti del genere Crotalus hanno sensori per la luce
infrarossa. Api farfalle e vari pesci tropicali vedono la
luce ultravioletta ma certe farfalle crepuscolari che
volano al tramonto del Sole percepiscono l’infrarosso. I ragni hanno otto occhi, due dei
quali formano immagini e sei sono sensori di luce laterali.
Gli erbivori, prede predestinate, hanno occhi laterali che consentono una visione laterale
quasi a 360 gradi. I predatori hanno occhi anteriori : la buona visione stereoscopica li
aiuta a puntare la vittima. La talpa “vede” con 25.000 sensori tattili posti sul naso e
organizzati in 22 “dita” (zone) per esplorare il buio ambiente sotterraneo. Il calamaro
gigante, che vive a mille metri di profondità dove l’ultima luce si estingue, ha occhi
larghi 40 cm.
Insomma esistono animali con specifiche doti visive, ma in generale non è vero che
molti di essi vedano meglio di noi.
La vita è aria tessuta con la luce, scrisse il filosofo positivista Jakob Moleschott
alludendo alla fotosintesi: 3,5 miliardi di anni fa i primi organismi fotosintetici erano già
interessati a “vedere” ma solo 550 milioni di anni fa, in un verme marino, comparve un
proto occhio capace di rilevare il ciclo giorno-notte e l’ombra dei predatori.
L’evoluzione ha poi sviluppato almeno 40 tipi diversi di occhi.
Dopo l’esplosione biologica del cambriano, gli occhi composti, nonostante la loro
inefficienza, hanno tenuto il monopolio della visione per 85 milioni di anni prima che
comparisse l’occhio dei vertebrati.
Una traccia evolutiva si coglie nello sviluppo dell’embrione umano: a 4 settimane dal
concepimento abbiamo una sola orbita come i mitici Ciclopi. Poco dopo l’orbita migra
sopra il naso e si sdoppia. Alla sesta settimana compaiono le palpebre, che poi per
apoptosi (suicidio programmato) delle cellule mediane si dividono in due liberando
l’occhio. Tre mesi prima di nascere i feti sono in grado di percepire la luce attraverso il
ventre materno, ma appena nati vedono bene solo nella penombra, la luce li abbaglia.
Si potrebbe dire che nasciamo per osservare le stelle.
Un luogo comune vuole che l’occhio sia simile a una macchina
fotografica. E’ qualcosa di enormemente più complesso e
raffinato anche se il passaggio dalla pellicola alla camera digitale
con sensori elettronici Ccd (Charge compled device), dispositivi
ad accoppiamento di carica) ha un poco accorciato la distanza
perché la retina, inviando al cervello segnali elettrici, somiglia
più ai Ccd che alla pellicola fotosensibile.
Soltanto in superficie possiamo trovare qualche somiglianza tra l’occhio umano e la
macchina fotografica. La palpebra ricorda il tappo che protegge l’obiettivo della
macchina fotografica. Ma funziona anche da tergicristallo lavando la parte anteriore
dell’occhio con il liquido lacrimale. La cornea fa da scudo al cristallino, ma provvede a
una prima sommaria messa a fuoco fissa. Il cristallino è un tessuto trasparente che
corrisponde all’obiettivo della macchina fotografica, ma mentre la lente è rigida e per
mettere a fuoco oggetti vicini e lontani bisogna spostarla, il cristallino è una lente
deformabile, che di adatta istantaneamente alla distanza.
L’iride corrisponde al diaframma della camera, ma in modo automatico si allarga e si
restringe a seconda della quantità della luce; e se ce n’è poca può raggiungere un dia9
metro di 7 mm, se ce n’è troppa diventa piccola come una
capocchia di spillo.
Combinando meccanismi diversi, l’occhio umano si adatta a
variazioni di luminosità di un milione di volte, la differenza
tra una giornata di sole su montagne coperte di neve e una
notte rischiarata da una falce di luna.
Tra il cristallino e la retina c’è il corpo vitreo, una gelatina
incolore e trasparente che riempie il globo oculare
mantenendo la giusta pressione. Com’è inevitabile, assorbe
un po’ di luce lungo il tragitto tra il cristallino e la retina e la
sua trasparenza si degrada con l’età. A 50 anni metà della luce viene assorbita dal
vitreo, da vecchi compaiono anche “mosconi volanti” che disturbano la visione. Sono
impurità che fluttuano in un vitreo che tende a liquefarsi. Viviamo in un lento tramonto
che dura quanto la nostra esistenza. La retina è una parte del cervello che si è
modificata per essere sensibile alla luce. Ha una superficie di sei centimetri quadrati ed
è composta da tre strati di cellule nervose diverse. Lo strato superficiale corrisponde al
sensore elettronico delle telecamere digitali, ma oggi i migliori Ccd hanno 18 milioni di
pixel mentre le cellule della retina sensibili alla luce sono 132 milioni. Ce ne sono di due
tipi: 125 milioni hanno una forma allungata e quindi sono chiamati bastoncelli, 7 milioni
hanno una forma appuntita, e sono i coni. Colpite dalla luce, queste cellule rilasciano
elettricità, ovviamente in dosi minuscole. E’ sorprendente che il loro lato sensibile sia
rivolto non verso la pupilla ma verso l’interno: si evitano così fastidiose riflessioni.
I bastoncelli sono più sensibili alla luce, per eccitarli bastano pochi fotoni, ma vedono in
bianco e nero. I coni funzionano bene solo se c’è una buona illuminazione. In compenso
distinguono i colori. Ne abbiamo di tre tipi, per il verde, il blu e il rosso, i tre colori
additivi fondamentali. Combinandoli assieme è possibile ottenere
sette milioni di
sfumature. Solo i mammiferi più evoluti hanno questo dono.
Nella fovea, la zona della retina a più alta risoluzione, mancano i coni blu, perché questa
luce non viene ben focalizzata (il cristallino non è abbastanza acromatico). Lateralmente
la nitidezza cala rapidamente. Eppure per poter vedere meglio le nebulose, che anche al
telescopio appaiono come chiarori debolissimi, i dilettanti di astronomia praticano
l’astuzia della “visione distolta”, cioè guardano nell’oculare con la coda dell’occhio. La
visione laterale, benché meno nitida, è più sensibile perché i bastoncelli, capaci di
percepire anche oggetti di minima luminosità, coprono la parte periferica della retina.
Recente è la scoperta di un terzo tipo di recettori sensibili alla luce; le cellule gangliari,
reliquia di un sistema visivo primitivo, sviluppato prima dei coni e dei bastoncelli. Le
cellule gangliari non sono in grado di formare immagini, ricordano l’esposimetro della
camera fotografica, che distingue solo diverse gradazioni di luminosità; attivate da un
fotopigmento, la melanopsina, modificano l’apertura della pupilla nei passaggi dalla luce
al buio e nel ritmo sonno/veglia. Esperimenti sui topi hanno dimostrato che, in
mancanza di coni e bastoncelli, esse consentono quantomeno di orientarsi e di evitare
grossi ostacoli. Descritte intorno al 1990 da Lawrence Weiskrantz, tali cellule inviano le
loro informazioni non alla corteccia visiva ma ai collicoli, strutture cerebrali che così
possono dare approssimativa percezione della realtà anche ai ciechi.
Attraverso il nervo ottico, un “cavo elettrico” formato da un milione di fibre nervose
(meno di un centesimo rispetto al numero dei bastoncelli e dei coni), i segnali elettrici
emessi dallo strato sensibile della retina viaggiano fino alla parte posteriore del cervello,
la regione occipitale, ed è lì che si realizza la visione. Un bel paradosso: l’immagine di
ciò che abbiamo davanti a noi si forma alle nostre spalle e, per via dell’incrocio dei due
nervi ottici, l’inquadratura dell’occhio destro va a sinistra e viceversa. Dalle due
immagini, il cervello ne elabora una terza, dandoci la visione in 3D. Se non avessimo
due occhi la nostra vita sarebbe piatta, e non in senso metaforico. La visione
stereoscopica si conquista a un anno di vita: ecco perché i neonati quando cercano di
afferrare un oggetto spesso mancano la presa.
Vedere è un’attività complessa. Metà della nostra corteccia cerebrale
lavora per
interpretare le immagini raccolte dalla retina, tanto che nel processo della visione
10
mo il 4% dell’energia fornita dal cibo. Non vediamo con gli occhi ma con il cervello, o
meglio con gli occhi della mente. Nell’interpretare le immagini intervengono meccanismi
cerebrali e culturali, in parte genetici e in parte appresi. Aspetti essenziali dell’attività
visiva ci sfuggono. Vediamo immagini ferme, ma gli occhi si spostano tre volte al
secondo per esplorare la scena: sono i movimenti saccadici. Una speciale zona del
cervello ha il compito di farci cogliere i contorni. Luci, ombre e deformazioni
prospettiche vengono continuamente elaborate dal cervello per dirci se gli oggetti sono
concavi o convessi e qual è la loro posizione relativa. Ci sembra di vedere bene
l’ambiente intorno a noi ma è solo effetto di una integrazione fatta dal cervello: a 1° dal
centro del campo visivo la nitidezza è già dimezzata, a 5° si riduce a un quarto, oltre i
5° non siamo in grado di identificare gli oggetti e a 20° siamo ciechi. Provvede la mente
a fornire una visione completa. Le illusioni ottiche sono una spia preziosa di questi
meccanismi interpretativi.
Come possono le cellule della retina captare i segnali luminosi? Il segreto si chiama
rodopsina. Dal moscerino della frutta all’uomo, tutti gli esseri viventi vedono grazie alla
rodopsina. E’ una grossa molecola, per farne una occorrono 700 amminoacidi. Funziona
come una cella fotovoltaica. Quando riceve un raggio di luce, libera un po' di elettricità.
E noi vediamo le stelle. Letteralmente.
Derivati da cellule muscolari, i bastoncelli sotto l’azione della rodopsina si contraggono
al passaggio della luce. Senza questa molecola non ci sarebbero né astronomia né
astronomi. Nel cuore della rodopsina c’è il retinale, una sorta di molecola nella molecola.
E’ il retinale ad avviare la serie di reazioni dalle quali scaturisce il segnale elettrico che
passerà per il nervo ottico.
Nel 2006 la rodopsina ha rivelato il suo meccanismo di funzionamento grazie a
simulazioni al computer fatte con una tecnica ideata da Michele Parrinello e Roberto Car
del Politecnico di Zurigo. A catturare la luce è un gruppo di 4 atomi (soltanto 4 tra le
decine di migliaia che compongono la rodopsina!) e la reazione chimica avviene in 200
milionesimi di miliardesimo di secondo. Il fotone, cioè la particella elementare che
costituisce la luce, rompe un legame chimico instabile, che lancia il segnale elettrico al
nervo ottico e subito dopo si ricompone per riprendere il ciclo.
Con questa scoperta siamo arrivati al centro del segreto della visione notturna. Quattro
atomi, messi al punto giusto, ci svelano l’universo. In natura conta la qualità non la
quantità; e conta la forma (della molecola), non il contenuto.
Con la pupilla dilatata al massimo, 7 mm, come avviene dopo mezz’ora di adattamento
all’oscurità, possiamo vedere più di 2000 stelle, nebulose come quella di Orione lontana
1800 anni luce, ammassi globulari come M13, a 25000 anni luce nella costellazione di
Ercole, formato da mezzo milione di stelle, la galassia di Andromeda. Questa, a 2,3
milioni anni luce, è l’oggetto più lontano che l’uomo possa scorgere senza l’aiuto di
strumenti ottici.
Eccezionale fu il lampo di energia gamma (GRB) 080319B registrato dal satellite Swift il
19 marzo 2008: quel collasso di una stella in buco nero avvenne alla distanza di 7,5
miliardi di anni luce, 4000 volte più lontano della galassia di Andromeda, e in teoria la
sua emissione nel visibile sarebbe stata percepibile a occhio nudo. Questo fuggevole
evento rimane legato al più lontano oggetto che sia stato percepibile dall’uomo senza
l’aiuto di strumenti.
La luce della galassia di Andromeda che arriva oggi a noi, esemplare di Homo sapiens,
partì prima che Homo sapiens incominciasse ad alzare lo sguardo al cielo. Un sottile
pennello di luce unisce ogni stella al nostro occhio. I raggi stellari sono un ponte fisico,
fatto di fotoni, tra noi e l’universo.
Un ponte nello spazio e nel tempo diverso per ogni stella. Vediamo l’universo in
differita, ma ogni stella ha la sua: Sirio è la stella di 8 anni fa. Betelgeuse di 600, Rigel
800. Il cielo stellato è una babele di epoche diverse mescolate in una illusione di
contemporaneità. E poiché la retina è una parte di cervello, con il loro pennello di luce le
stelle, fanno per così dire, il solletico alla nostra intelligenza, alla nostra curiosità. Sotto
il cielo incredibilmente buio del paleolitico, quel solletico ha generato l’astronomia e
l’astronomia con le sue domande – dove siamo, com’è fatto l’universo, siamo soli o
esistono altre forme di vita nello spazio – ha fatto nascere tutte le altre scienze.
11
SCINTILLA, SCINTILLA, PICCOLA STELLA... di Gianantonio Milani
Gianantonio Milani abita a Padova e osserva il cielo fin da ragazzo. Dagli anni '70 è
appassionato in particolare alle comete. Autore di numerosi articoli scientifici su riviste
italiane ed internazionali, coordina la Sezione Comete dell' Unione Astrofili Italiani ed il
progetto CARA. Si è occupato di Astronomia a vari livelli, sia osservativa (su comete, pianeti,
stelle variabili), che didattica e divulgativa, anche curando per diversi anni l'attività del locale
planetario. E' attualmente presidente dell'Associazione Astronomica Euganea che svolge
prevalentemente attività di divulgazione con il progetto Parco delle Stelle, sviluppato in
collaborazione con il Parco Regionale dei Colli Euganei.
Twinkle, twinkle, little star,
how I wonder what you are.
Up above the world so high,
like a diamond in the sky.
When the blazing sun is gone,
when he nothing shines upon,
then you show your little light,
twinkle, twinkle, all the night.
……
(traduzione)
Scintilla, scintilla, piccola stella,
Come vorrei sapere cosa tu sei.
Lassù così in alto,
come un diamante nel cielo.
Quando il sole infuocato se n’è andato,
quando non risplende più su nulla,
allora tu mostri la tua piccola luce,
scintilla, scintilla, tutta la notte.
Con questi versi inizia la celebre poesia “The Star” (La Stella) composta da Jane Taylor nel 1806 e tratta da
The Nursery Rhymes. Una semplice e bella poesia che si ispira allo scintillio delle stelle, un fenomeno che
contribuisce a rendere più poetica e misteriosa la contemplazione del cielo stellato in una notte limpida. Per chi
ne ha memoria introduceva anche il bel programma televisivo RAI sull’astronomia, “In viaggio tra le stelle”,
condotto da Mino Damato nel 1973.
Lo scintillio è una caratteristica che rende più affascinante la volta celeste alla visione ad occhio nudo, ma è
ben poco gradito dagli astrofili più esperti che si accingono ad effettuare osservazioni al telescopio.
Contrariamente a quanto molti immaginano, non si tratta di un fenomeno fisico legato alle stelle, ma piuttosto
di un effetto dovuto all’atmosfera che ci circonda. Atmosfera che per noi è vitale ma che ci ostacola
nell’osservazione dello spazio esterno.
In generale si è propensi a prestare molta attenzione alle caratteristiche e bontà ottica quando ci apprestiamo ad
acquistare un telescopio, creandoci delle giuste aspettative su ciò che potremo osservare: ad esempio sui crateri
più piccoli che potremo distinguere sulla superficie lunare o sui dettagli che potremo cogliere sugli anelli di
Saturno. Tuttavia, per quanto perfetto sia il nostro telescopio, nelle osservazioni sul campo ci scontreremo con i
disturbi introdotti dalla nostra atmosfera, mediamente decine di volte peggiori dei difetti di lavorazione di un
qualsiasi telescopio di media qualità. Il tremolio o ribollimento dell’immagine, più o meno marcato, che
notiamo già nelle nostre prime osservazioni della Luna ad elevati ingrandimenti, è dovuto proprio al degrado
introdotto dall’agitazione dell’aria. Non potendo trasferirci con il nostro strumento al di fuori dell’atmosfera o
sulla Luna, dovremo imparare a convivere con questi effetti e a cercare di porci nelle condizioni migliori per
limitarli.
L’aria che ci circonda è una delle componenti che contribuisce a generare i cosiddetti “effetti strumentali”,
ovvero tutte quelle alterazioni che modificano la qualità della nostra osservazione dei corpi celesti correlate alla
situazione nella quale operiamo. Tratteremo qui solo della turbolenza, ma vi sono molti altri effetti dei quali è
necessario tenere conto, come rifrazione ed estinzione, soprattutto per osservazioni di tipo scientifico.
Di fatto la nostra atmosfera è parte integrante del nostro strumento. L’aria, come tutti i mezzi che possono
essere attraversati dalla luce, ha un proprio indice di rifrazione, devia cioè il cammino dei raggi luminosi che la
colpiscono con un angolo che si discosti dalla verticale. La entità deviazione dipende dalla massa d’aria,
dall’angolo di incidenza, dalla lunghezza d’onda (colore) della luce, ma anche dalla pressione e temperatura
dell’aria stessa. Masse d’aria in movimento a differente temperatura provocano continue modificazioni al
percorso dei raggi luminosi, causando lo scintillio delle stelle che percepiamo ad occhio nudo in molte notti.
Se potessimo osservare le stelle al di fuori dell’atmosfera potremmo constatare che di fatto esse non scintillano
12
affatto. Ma anche nelle nostre osservazioni notturne possiamo notare che non sempre le stelle scintillano allo
stesso modo (a volte non lo fanno per niente), e che lo scintillio stesso varia di sera in sera o con il passare
delle ore, anche che in funzione dell’altezza sull’orizzonte. In generale se le stelle scintillano visibilmente è
sintomo di atmosfera molto turbolenta e di una situazione non ottimale per l’osservazione. Se invece la loro
luce è ferma è in generale indice di aria calma e di un’ottima serata per le osservazioni. Inglesi e americani
hanno coniato il termine “seeing” per indicare la qualità delle immagini al telescopio in relazione all’
agitazione dell’atmosfera e questo termine è divenuto di uso abbastanza comune. In lingua italiana si usa
definire turbolenza e trasparenza del cielo. Per valutare la turbolenza si adotta una scala empirica stimando la
nitidezza delle immagini ad elevati ingrandimenti sia stellari che planetarie. Ad esempio la scala adottata da
Pickering definisce il grado 10 come ottimale, con immagini perfettamente ferme e nitide, il grado zero
quando l’immagine è pessima. Antoniadi invece definisce la condizione ottimale con il grado zero e il peggiore
con il grado 5. Altre scale analoghe definite da altri autori/osservatori sono state usate comunemente dagli
astrofili. Ad esempio la scala in figura 1 (vedi sotto) è inversa rispetto a quella di Antoniadi e mostra
l’immagine di una stella osservata ad elevati ingrandimenti con un telescopio di 20 cm. di diametro (tratto da
Jean Texereau, La contruction du tèlescope d’amateur, II ed.).
Come si può capire si tratta di scale qualitative, dove ha un peso sia la valutazione personale sia lo strumento
utilizzato. In ambito professionale il “seeing” viene studiato con metodi quantitativi molto più elaborati e
precisi, ad esempio misurando di quanto e in che modo vengono deformate le immagini e con che velocità
(frequenza di oscillazione). La trasparenza viene invece misurata come estinzione atmosferica in magnitudini e
in funzione dell’elevazione al di sopra dell’orizzonte (o della distanza zenitale).
Figura 1. Diverso grado di turbolenza valutato osservando l’aspetto di una stella ad elevati
ingrandimenti con un piccolo telescopio ( J. Texereau).
Abbiamo già accennato al fatto che il problema della turbolenza è causato dalla diversa temperatura dell’aria e
dalla sua agitazione. Nell’atmosfera la normale circolazione su larga scala induce correnti a diverse quote, con
zone di inversione termica. Ovvero mediamente la temperatura diminuisce con l’altezza sul livello del mare,
ma questo non avviene in modo lineare e vi sono zone nelle quali per un certo tratto si possono avere inversioni
di temperatura. Sono ad esempio gli strati dove il vapore d’acqua si condensa formando nuvole, o dove si
formano strati di nebbia. Ma strati di inversione si hanno anche con cielo sereno.
In generale, in presenza di condizioni meteorologiche perturbate o instabili, avremo sempre una turbolenza più
o meno marcata a diverse altezze, ed un conseguente deterioramento delle immagini. Il vento, pur non essendo
responsabile in prima persona della turbolenza (ricordiamo che sono le differenze di temperatura a provocarla!)
contribuisce alla formazione di regioni instabili, anche per l’interazione con gli ostacoli che incontra a bassa
quota, siano essi edifici, colline o montagne.
La situazione ideale si ha sempre in concomitanza di periodi di alta pressione che portano cielo sereno e
assenza di vento, ma anche foschie o nebbie, queste ultime più frequenti nelle stagioni fredde.
Il principale motivo che porta a realizzare gli Osservatori astronomici in siti isolati ad alta quota è proprio
dettato dal fatto di portarsi al di sopra dei primi strati più turbolenti dell’atmosfera e di poter avere una
trasparenza dell’aria migliore possibile per poter raccogliere anche la luce degli oggetti più deboli. A 5000
metri di quota circa metà dell’atmosfera è già sotto di noi. Ad esempio gli osservatori realizzati sui vulcani
inattivi delle isole Hawaii, ad oltre 4000 m sul livello del mare, godono di condizioni privilegiate. Alle Canarie
e sui deserti altipiani del Chile, la quota è minore, ma questi posti godono di situazioni locali particolarmente
favorevoli, con ottima trasparenza, clima secco e grande stabilità dell’aria. Un altro Osservatorio celebre per le
osservazioni ad alta risoluzione dei pianeti e del Sole è il Pic Du Midì. Le dimensioni medie apparenti di una
stella nelle immagini riprese da questi siti è spesso inferiore ad 1 secondo d’arco, raggiungendo anche 0,5
secondi d’arco o meno nelle nottate migliori.
Dovremo quindi rassegnarci a dover salire su alte montagne per portarci sopra gli strati più turbolenti di
atmosfera per trovare un cielo che ci permetta di sfruttare a fondo il nostro strumento? Non necessariamente, e
13
prendentemente, potremo avere condizioni particolarmente buone in siti inattesi, anche dietro l’angolo, come
pure condizioni pessime ad alta quota. Perché ?
Perché abbiamo in realtà analizzato solo una parte del problema. Se è vero che su larga scala, a varie quote,
l’atmosfera degrada le immagini, è anche vero che le caratteristiche di microclima e turbolenza locali possono
avere un peso assai maggiore.
Gli Osservatori citati prima (Hawaii, Canarie, Chile…) sono stati costruiti dopo aver condotto ricerche
estremamente accurate in loco. Anche il punto esatto ove piazzare lo strumento è spesso scelto con molta cura
perché anche in un buon sito di alta quota non tutti i punti sono uguali. Anche qui la turbolenza locale può agire
in modo non trascurabile variando da zona a zona. Oggi viene prestata molta attenzione anche alla costruzione
degli edifici e delle cupole, che in molti osservatori di vecchia concezione sono risultati essere la causa princidella turbolenza locale e di una cattiva resa dello strumento.
In generale, in buone condizioni, il rimescolamento dell’atmosfera alle alte quote forma delle celle di aria che
possiamo definire sufficientemente uniformi per temperatura e pressione e che hanno una dimensione inferiore
al mezzo metro. Questo significa che con telescopi di diametro minore rispetto alla dimensione di queste celle
potremo avere un visione generalmente nitida, pur notando un continuo spostamento (oscillazione)
dell’immagine di una stella o di un pianeta. Osservando la Luna potremo vedere una deformazione su larga
scala, ma non una effettiva perdita sui piccoli dettagli.
Per questo motivo telescopi di piccola apertura (fino a 8-10 cm di diametro) risentono molto meno della
turbolenza atmosferica rispetto ad aperture maggiori. Il guadagno sui dettagli osservabili è marcato fino a 20-30
cm di apertura, ma oltre non è scontato avere sempre un incremento. Anzi non di rado una apertura molto
maggiore appare deludente sotto questo punto di vista .
Quel che accade è che avremo una visione nitida finché il diametro del nostro telescopio è inferiore alla
dimensione media delle celle di turbolenza atmosferica. Oltre avremo un affetto di “intorbidimento” delle
immagini, una sorta di sfocatura. In generale possiamo dire che un piccolo telescopio (ad es. 5-6 cm. di
diametro) sarà in grado praticamente sempre di rendere con prestazioni prossime al suo limite massimo. Un 810 cm ancora regge molto bene, ma inizierà a risentire di un peggioramento nelle serate meno buone. Un 15-20
cm potrà essere sfruttato al massimo ancora per un buon numero di serate, ma un 30-40 cm inizierà ad avere
spesso parecchie difficoltà ad essere ben utilizzato. Soprattutto se ci troviamo in un sito dove la turbolenza
locale ha un peso rilevante. Normalmente la turbolenza peggiore si origina entro poche centinaia di metri
dall’osservatore e prestando attenzione alla scelta del nostro sito potremo notare differenze enormi.
Figura 2. Schema delle deformazioni subite da un fronte d’onda mentre attraversa l’atmosfera. Un telescopio
di piccola apertura risente maggiormente della turbolenza su piccola scala e vedremo ad esempio l’immagine
di una stella ma continuamente in rapida “oscillazione”. Un grande telescopio abbraccia anche deviazioni su
larga scala e forma immagini stellari caotiche (multiple).
(figura adattata da www.telescope-optics.net).
14
Le città ad esempio hanno il problema di essere delle “isole di calore”, ovvero zone caratterizzate da un
microclima con una temperatura di qualche grado più elevata della zone circostanti.
L’eccesso di calore deriva da molti fattori: il riscaldamento delle case, aziende e uffici in inverno. Asfalto,
cemento, muratura… accumulano il calore solare e lo rilasciano di notte. come pure gli impianti di
condizionamento in estate producono ulteriore calore. Inoltre il traffico e l’utilizzo di qualunque motore o
macchinario elettrico/elettronico/meccanico, come pure la semplice presenza umana, produce calore.
L’effetto di un’isola di calore è di produrre una larga colonna d’aria ascendente richiamando
contemporaneamente aria più fresca dalla periferia formando una vasta zona di turbolenza. Le cose peggiorano
in caso di vento perché questo viene frenato al livello del suolo riacquistando la sua massima velocità solo a
quote di almeno 500 metri (in caso di suolo privo di ostacoli la quota è comunque intorno a 200-300 metri). Ma
le masse d’aria in rimescolamento sui centri urbani hanno una differenza di temperatura maggiore rispetto alle
zone rurali. Localmente poi la complessità del terreno legata alla presenza degli edifici peggiora ulteriormente
le cose. Ciò non toglie che si possano avere buone serate anche in città.
Un sito sul pendio di una collina o di una montagna non è sempre ideale in quanto l’aria più calda che risale
della valle o dalla pianura sottostante tende a formare correnti convettive che risalgono lungo il pendio creando
turbolenza.
In un sito di campagna l’essere circondati da vegetazione è un fatto molto positivo in quanto piante ed erba con
foglie verdi riflettono la radiazione infrarossa solare ed evitano un eccessivo riscaldamento del suolo. Ne
consegue che dopo il tramonto la temperatura dell’aria tenderà a stabilizzarsi e uniformarsi più rapidamente.
Anche in città avere un giardino con un po’ di verde può aiutare un po’in questo senso. Ottime riprese di
pianeti sono state effettuate proprio da siti di pianura.
Distese di acqua (laghi, lagune, mare aperto) possono avere l’effetto di aiutare a termostatare e uniformare la
temperatura dell’aria. La neve invece crea instabilità al livello del suolo e peggiora il seeing.
Paradossalmente la nebbia, se non troppo fitta, può garantire un buon seeing, sia perché se c’è nebbia abbiamo
una situazione di alta pressione, e quindi atmosfera calma negli alti strati, sia perché anch’essa ha un’ effetto di
uniformare la temperatura nello strato vicino a noi. Per contro l’umidità tenderà ad appannare rapidamente le
ottiche oltre e penetrare nei nostri indumenti rendendo davvero poco confortevoli le osservazioni!
La cima di una montagna è teoricamente il sito ideale, ma il buon seeing non è automaticamente garantito
perché dipende molto dall’orografia circostante e dalla turbolenza locale che potrebbe regalarci bruttissime
sorprese. Una cima isolata e circondata da territorio omogeneo dovrebbe essere più indicata. Ma le prove sul
campo sono le uniche che ci potranno dare un dato certo.
Per ultima è da considerare anche la turbolenza che si genera all’interno del telescopio, che può essere ben
peggiore di quella intorno a noi. Se teniamo il telescopio in casa è bene portarlo all’esterno molto prima di
utilizzarlo per permettere alle sue parti di entrare in equilibrio con la temperatura esterna. In caso contrario si
produrranno turbolenze interne davvero disastrose. Il tempo necessario a raggiungere l’equilibrio dipende dalle
dimensioni e dal tipo di telescopio. Per un piccolo newtoniano (telescopio a specchio a tubo aperto) può essere
sufficiente mezz’ora, per uno Schmidt-Cassegrain o Maksutov (a tubo chiuso) potrebbe occorrere molto di più
(2-3 ore se di grande diametro). In molti strumenti vengono a volte montate delle piccole ventole per fare
circolare l’aria all’interno e velocizzare il processo. Piccoli rifrattori non hanno invece alcun problema di
acclimatamento.
In generale spessi tubi metallici impiegano moltissimo a raggiungere un equilibrio termico (e a volte non lo
raggiungono mai!), da preferire lamiera sottile (max 1 mm.) o tubi in plastica o legno (generalmente a sezione
quadra). Plastica e legno, essendo materiali isolanti, hanno molti meno problemi rispetto ai tubi metallici ed
anzi isolano efficacemente le ottiche da piccole variazioni esterne locali. Il metallo, essendo conduttore, può
creare problemi, soprattutto nei telescopi più grandi se non ben progettati.
Anche gli specchi, se di grandi dimensioni, richiedono un certo tempo per acclimatarsi generando, oltre a
tensioni temporanee nel vetro, anche fastidiose correnti convettive vicine alla loro superficie.
Pure la struttura di un Osservatorio, come già detto, può essere fonte di problemi. La classica cupola, utilizzata
da sempre, è in realtà una pessima soluzione per quanto riguarda la turbolenza locale interna. Per uno
strumento di piccole o medie dimensioni, potendo scegliere, è preferibile una struttura a tetto apribile che
garantisce una migliore circolazione dell’aria ed è tra l’altro molto più economica.
Le cupole dei grandi osservatori professionali sono oggi realizzate con un sistema di pareti apribili e regolabili
in modo automatico per garantire una temperatura interna in equilibrio con quella esterna, e di giorno la
temperatura viene controllata da un sistema di condizionamento programmato sulla temperatura media prevista
per la notte. In questo modo, appena termina il crepuscolo, anche un grande telescopio è pronto per essere
operativo al 100% senza dover attendere ore, se non tutta la notte, per raggiungere un possibile equilibrio
termico.
Infine una considerazione anche sulla qualità del telescopio. La lavorazione delle superfici ottiche e la loro
collimazione, ha un peso non marginale sulla sensibilità alla turbolenza. Con un cielo “perfetto”, senza
turbolenza, tutti gli strumenti rendono al loro massimo, ma in presenza di condizioni non ottimali i
15
minore qualità mostreranno un deterioramento sensibilmente maggiore nelle immagini. Ugualmente telescopi,
anche di buona qualità, ma con un forte ostruzione dovuta allo specchio secondario molto grande, risulteranno
maggiormente penalizzati rispetto ad altri poco ostruiti.
Una ostruzione massima di 1/6 del diametro dello specchio principale in generale è la massima consigliata per
avere una buona resa.
Per concludere un piccolo vademecum (indicativo) su come decidere se portare fuori il telescopio oppure no
- A seguito di un’ improvvisa schiarita dopo un forte temporale potremo avere un’ottima trasparenza del cielo
che invita all’osservazione, ma un’aria molto agitata con forte turbolenza e stelle che scintillano molto.
Potremo osservare oggetti deboli a bassi ingrandimenti ma ben poco potrà essere fatto sui pianeti.
- Lo stesso avviene in giornate molto ventose, ad esempio nelle nostre zone quando soffia la bora, il cielo è
molto limpido ma la turbolenza fortissima e lo scintillio molto forte.
- Se anche i pianeti osservati ad occhio nudo scintillano, caso fortunatamente raro, significa che la turbolenza è
a livelli altissimi. Inutile in questo caso portare fuori il telescopio!
- Importante è valutare anche lo scintillio a diverse altezze sull’orizzonte. Se le stelle scintillano molto
all’orizzonte ma poco o nulla allo Zenit significa che la turbolenza è principalmente locale, e probabilmente le
condizioni miglioreranno sensibilmente con il passare delle ore. Anche la velocità dello scintillio può essere
indicativa, se rapido indica forti correnti in quota, se lento è probabilmente più un disturbo locale che potrebbe
attenuarsi.
- Se le stelle scintillano poco o nulla all’orizzonte e sono ferme allo Zenit ci aspetta un’ottima serata.
- Nuvole sottili e velature che si muovono lentamente non sempre sono sinonimo di forte turbolenza.
Soprattutto se l’aria al suolo è calma si possono a volte avere condizioni discretamente buone anche con lievi
velature. Se però sono cirri che annunciano l’arrivo di una perturbazione la situazione sicuramente non sarà
buona.
- Se osserviamo da un poggiolo o terrazzo fare attenzione a chiudere bene porte e finestre senza lasciare spifferi
che possono creare correnti d’aria locali. Analogamente troppe persone intorno ad un telescopio possono ge–
nerare calore e turbolenza. Anche lo stesso osservatore può creare disturbo se la brezza porta il suo calore e il
UNO SPETTACOLARE FENOMENO di Claudio Pra
Giovedì 27 agosto, verso le 6.15 del mattino, dalla
Valle del Biois si è potuto assistere a un fenomeno
incredibile. Nonostante un cielo completamente
nuvoloso, da est un esteso fascio luminoso arancionerossastro si proiettava sulle nubi, diffondendosi per
buona parte del cielo. Impressionante il contrasto di
colori tra l’area interessata dalla proiezione e il resto
del cielo.
Il fascio è in breve sbiadito e poi
scomparso. Da Falcade il fenomeno è stato visto
propagarsi da dietro le torri che fanno da satellite al
Monte Civetta. Antonella Follador, richiamata dal
marito, l’ ha fotografato e in seguito, tramite Laura
Busin, ha contattato l’Associazione Astrofili Agordini
“Cieli Dolomitici” per chiedere una spiegazione su
quell’incredibile visione. La spiegazione è la seguente:
A quell'ora il Sole non era ancora sorto trovandosi alcuni gradi sotto l'orizzonte. Quel fascio si
propagava quindi da sotto l'orizzonte ed è filtrato da un “buco” presente tra le tante nubi che
coprivano il cielo, riflettendosi sulle nubi più distanti. In gergo tecnico si tratta di “raggi crepuscolari”,
che si osservano solo in determinate circostanze, quando il Sole sta per sorgere o è appena
tramontato. Solitamente quel che si nota sono dei fasci molto più stretti e molto meno evidenti. In
questo caso invece il fascio è risultato largo ed evidentissimo. E' molto raro assistere a un fenomeno
simile e probabilmente chi ha avuto la fortuna di vedere con i propri occhi quell’alba così insolita non
lo scorderà più.
In alto un’ immagine del fenomeno (foto Antonella Follador). La foto e la notizia è stata pubblicata
16
anche dal mensile astronomico Coelum.
ATTIVITA’ DELL’ ASSOCIAZIONE (luglio-dicembre 2014)
Il 19 luglio abbiamo organizzato a Passo Giau “The summer sky full of stars”. Il programma
prevedeva una passeggiata per ammirare il tramonto dalla Sella del Pore, seguita dall’osservazione
del cielo estivo con alcuni notevoli strumenti. Dopo una settimana di tempo incerto il week end
prometteva un rinforzo dell’Anticiclone delle Azzorre anche sul nord Italia, con tempo finalmente
stabile. Il cielo si è mantenuto praticamente sgombro da nubi per tutta la giornata. Al momento del
ritrovo a Passo Giau però, le condizioni sono purtroppo peggiorate e una cappa di nubi basse ha
fatto la sua comparsa. Sperando nel miglioramento la trentina di persone presenti ha raggiunto la
Sella del Pore, desiderosa di ammirare un tramonto d’alta quota e di trascorrere in seguito una bella
serata sotto il cielo stellato. Le nubi hanno però continuato a persistere e anzi sono aumentate. Così
il Sole ha fatto appena capolino. Dopo un frugale picnic si è ridiscesi a Fedare in mezzo alla nebbia,
attendendo invano una schiarita. Si è così deciso di provare a scendere più a valle, dove le
condizioni meteo parevano migliori. Infatti era proprio così, ma il miglioramento non è stato tale da
consentirci lo svolgimento dell’osservazione. Un po’ alla volta, mestamente, la compagnia si è
sciolta. Che peccato, che delusione! Sempre più ci convinciamo che la nostra attività è soggetta a
talmente tante variabili che programmare eventi all’aperto è praticamente impossibile. Varrebbe forse
la pena di cambiare tattica, mandando dei messaggi quasi all’ultimo momento per andare a colpo
sicuro. Ovviamente salterebbe ogni tipo di programmazione con tutte le conseguenze del caso.
Anche la “Notte delle stelle cadenti”, organizzata per il 10 agosto al Rifugio Bottari e proposta ormai
da vari anni in collaborazione con il CAI di Oderzo è stata purtroppo accompagnata da nuvole e
nebbie che hanno avvolto montagne e cielo stellato. Davvero un peccato perché il pubblico presente
era molto numeroso. In ogni caso l’appuntamento ha riscosso un grande successo grazie all’ ottima
cena accompagnata da musica dal vivo. Nell’ intermezzo Tomaso Avoscan, Presidente di “Cieli
Dolomitici”, ha portato il saluto della nostra Associazione ed Alvise Tomaselli ha intrattenuto il
pubblico presente con qualche informazione riguardante le stelle cadenti ed il cielo estivo. Una
schiarita ha permesso almeno l’osservazione della Stazione Spaziale.
Sabato 29 settembre il cielo notturno si è finalmente presentato in tutta la sua sfavillante bellezza e
quindi la serata osservativa organizzata a Passo Giau per recuperare quella fallita in agosto è
finalmente riuscita. Peccato che all’appuntamento si siano presentate solo una dozzina di persone
(organizzatori compresi). L’enorme telescopio Dobson da 40 cm. di proprietà dell’Associazione è
stato puntato su alcuni tra gli oggetti più famosi del cielo (la Grande Galassia di Andromeda, le
nebulose planetarie “Dumbell” e “Anello”, la coppia di galassie M81-82, i globulari M 22 E M 13, la
Nebulosa Laguna, il Doppio Ammasso di Perseo, le Pleiadi…) Osservata anche qualche bella stella
doppia e la cometa Jacques. Molti degli oggetti sono stati mostrati anche attraverso un binocolone,
permettendo un confronto tra le immagini restituite da due strumenti diversi. Seppure il freddo non
sia stato particolarmente intenso è stata molto gradita la tisana calda offerta da uno dei partecipanti.
Anche nella seconda parte dell’anno è continuato l’invio delle news astronomiche ai Soci che ci
hanno fornito la loro mail.
Nuovo Orione e Coelum,
in edicola tutti i mesi
sono le due riviste astronomiche che vi consigliamo.
www.coelum.com
www.astronomianews.it
17