la sospensione dell`esecuzione - Padis

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PROCESSUALE
CIVILE - XXII CICLO
Federico Russo
LA SOSPENSIONE DELL'ESECUZIONE
Tesi di dottorato
Coordinatore:
Chiar.mo prof. Lucio Lanfranchi
Tutor:
Chiar.mo prof. Girolamo Bongiorno
i
LA SOSPENSIONE DELL'ESECUZIONE
I. Nascita e storia di un (niente affatto scontato) «istituto»
....................6
I.1. Introduzione
............................................................................................6
I.2. La sospensione dell'esecuzione nel codice Pisanelli del 1865
................8
I.3. La sospensione dell'esecuzione nei progetti di riforma al codice di
procedura civile del 1865
................................................................................10
I.4. I Progetti Catucci del 1867, e Conforti, del 1870.
................................13
I.5. I Progetti Cocco Ortu del 1902, Ronchetti del 1904, Orlando del 1909
.........................................................................................................................15
I.6. Il dopoguerra, il Progetto Chiovenda del 1920 e il Progetto Mortara del
1923.
................................................................................................................18
I.7. Il Progetto della «Sottocommissione C» e il Progetto Carnelutti del
1926
.................................................................................................................23
I.8. I due Progetti Solmi del 1937 e del 1939
.............................................28
I.9. Le codificazioni dell’epoca fascista (qualche breve cenno)
.................33
I.10. La sospensione dell'esecuzione nell'originaria previsione del codice di
procedura civile del 1940
................................................................................38
II. Sulla «sospensione» (o sulle «sospensioni») in generale e sulle
sospensioni dell’esecuzione in particolare.
..................................................41
III. La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione (art. 624 c.p.c.).
.........................................................................................................................47
III.1. Considerazioni introduttive.
...............................................................47
III.2. Sul concetto di opposizione in generale
.............................................50
ii
III.3. Sull’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e sull’opposizione
di terzo ex art. 619 c.p.c. in particolare (cenni).
..............................................53
III.4. La concezione e la prospettiva della sospensione ex art. 624 c.p.c. per
i casi di opposizione ex art. 615 e 619 c.p.c.: verso un modello cautelare
anticipatorio?
...................................................................................................65
III.5. Le riforme del 2005 - 2006 e del 2009: la disciplina e le
problematiche specifiche.
................................................................................70
III.6. I presupposti per la concessione della sospensione ex art. 624 c.p.c.: i
gravi motivi
......................................................................................................76
III.7. L’eventuale «cauzione»
......................................................................79
III.8. La sospensione «parziale».
.................................................................81
III.9. L’estinzione a seguito della stabilizzazione del provvedimento di
sospensione.
.....................................................................................................82
III.10. La sospensione in caso di opposizione a precetto (rinvio).
..............84
III.11. La sospensione in caso di opposizione agli atti esecutivi (artt. 617,
618 e 624 c.p.c.)
...............................................................................................84
IV. La sospensione disposta dal giudice dinanzi al quale è impugnato il
titolo.
...............................................................................................................93
IV.1. In generale: quale disciplina?
.............................................................93
IV.2. La sospensione disposta dal giudice dell’appello ex artt. 283 e 351
c.p.c. (le c.d. «inibitorie processuali»).
.........................................................108
IV.3. La sospensione disposta dal giudice che ha pronunciato la sentenza, in
caso di ricorso per cassazione (art. 373 c.p.c.).
.............................................119
IV.4. La sospensione disposta dal giudice che ha pronunciato la sentenza,
nelle ipotesi di revocazione e opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (art. 401 e
407 c.p.c.).
.....................................................................................................124
iii
IV.5. La sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo (art.
649).
...............................................................................................................126
IV.6. La sospensione dell'ordinanza di convalida di licenza o di sfratto (art.
668);
...............................................................................................................130
IV.7. La sospensione dell'esecuzione del lodo in pendenza
dell'impugnazione di nullità (art. 830).
.........................................................131
IV.8. La sospensione dell'esecuzione nei giudizi cambiari di cognizione o di
opposizione a precetto di pagamento di cambiale (art. 65 R.D. 14 dicembre
1933, n. 1669), di assegno (art. 56 R.D.L. 21 dicembre 1933, n. 1736) e di
certificato di credito (art. 44 e 45 R.D. n. 272/1913).
....................................132
IV.9. La sospensione dell'esecuzione in caso di opposizione a precetto ex
art. 615 comma primo c.p.c.
..........................................................................134
V. La sospensione concordata tra le parti (art. 624 bis c.p.c.).
............141
VI. Le sospensioni «diverse» (i: nel codice di procedura civile)
.........146
VI.1. In generale
........................................................................................146
VI.2. La sospensione in caso di divisione (art. 601 c.p.c.)
........................147
VI.3. La «sospensione» in caso di giudizio di accertamento dell'obbligo del
terzo (artt. 548 e 549 c.p.c.)
...........................................................................148
VI.4. La sospensione (o «le sospensioni») in caso di controversie in sede di
approvazione del progetto di distribuzione (art. 512 c.p.c.)
..........................149
VII. Le sospensioni «diverse» (ii: nelle leggi speciali e nell’elaborazione
giurisprudenziale)
.......................................................................................152
VII.1. La sospensione in materia previdenziale e assistenziale ex d.l. 112
del 25 giugno 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008.
152
VII.2. La sospensione ex art. 20 lege 44 del 23 febbraio 1999
.................154
iv
VII.3. Lo strano caso della «sospensione» dell’esecuzione in caso di
sequestro ex lege n. 575 del 31 maggio 1965, alla luce delle recenti riforme e
della giurisprudenza, tra profili processuali ed occasioni mancate .
.............162
VII.4. La sospensione delle esecuzioni dei concessionari e l'estinzione dei
crediti per confusione
....................................................................................176
VIII. I «reclami» avverso i provvedimenti di sospensione
dell’esecuzione.
............................................................................................182
VIII.1. Sul concetto di reclamo e sul suo utilizzo (ipertrofico) nella
legislazione vigente.
......................................................................................182
VIII.2. Il reclamo ex art. 624 c.p.c.
...........................................................190
VIII.3. Il reclamo avverso il «provvedimento di cui all’art. 512, secondo
comma» c.p.c.
................................................................................................195
VIII.4. Il reclamo avverso i provvedimenti di sospensione emessi in sede di
opposizione ex art. 617 c.p.c.
........................................................................196
VIII.5. Il reclamo avverso i provvedimenti di sospensione disposti dal
giudice dell’impugnazione.
...........................................................................201
VIII.6. Il «reclamo» in caso di opposizione a precetto.
............................211
Bibliografia
...............................................................................................217
v
I. Nascita e storia di un (niente affatto scontato) «istituto»
I.1. Introduzione
L'entrata in vigore, alla data del 4 luglio 2009, della legge n. 69 del 18
giugno 2009, costituisce – o almeno, secondo le intenzioni del legislatore,
dovrebbe costituire – il punto (più o meno interinale) di arrivo di un
complicato percorso evolutivo, iniziato all'indomani dell'Unità d'Italia, con
l'emanazione del codice Pisanelli.
Trait d'union – ed al tempo stesso – ragion d'essere di questo travagliato
percorso è la concezione stessa del processo esecutivo (e, prima ancora del
processo) e le funzioni cui esso deve svolgere, in un moderno sistema
normativo al fine della realizzazione della tutela dei diritti.
È stato sostenuto da alcuni autori che la transizione dall'originario codice
del 1865 al codice attuale sia da imputare, forse, più a ragioni storico
ideologiche1 – su quale fosse, cioè, la concezione da dare, nella tipologia di
1 CIPRIANI, Storie di processualisti e di Oligarchi, 1991, Milano, p.63 ss., ed in part. nt.48;
ID, Prefazione a JUAN MONTERO AROCA, I principi politici del nuovo processo civile
spagnolo, Napoli, 2002, p. 1 ss.; ID., Autoritarismo e garantismo nel processo civile, in Riv.
dir. proc., 1994, p.24 ss.; ID. il codice di procedura civile tra gerarchi e e processualisti,
Napoli, 1992, p.13 ss e p. 38-52; ID., La ribellione degli avvocati al c.p.c. del 1942 e il
silenzio del Consiglio Nazionale Forense, in Ideologie e modelli del processo civile, Napoli,
1997, p. 75 ss.; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, IV. ed, vol I, p.336,
secondo cui l'ideologia immanente all'intero impianto del codice di procedura civile si
traduce nell'esaltazione di «un potere e/o interesse pubblico, che sovrasta i diritti delle parti
e ad esse si impone. Da ciò consegue l'indiscriminato accrescimento dei poteri del giudice,
organo che impersona tale interesse e tale potere»; e Id. «La grande illusione, in Il Giusto
processo civile, 2008, p.621; Id., Il processo societario innanzi alla Corte costituzionale, in
Il giusto processo civile, 2008, p.169; S ATTA , Commemorazioni del codice di procedura
civile del 1865, in I D ., Quaderni del diritto e del processo civile, I, Padova, 1969, p.
94, ove si afferma che «il codice vigente, nato sotto un regime autoritario, è (e non
poteva non essere, anche se gli ispiratori avessero voluto fare altrimenti) un codice
autoritario»; Id. Storia e «pubblicizzazione» del processo in Soliloqui e colloqui di
un giurista, Padova, 1968, p. 211 ss.; Id, Intorno al concetto di verità materiale o
oggettiva. cit. ibidem.
6
Stato dominante all'epoca 2 - a giudice e processo - che dall'esigenza effettiva
ed attuale di dare maggiore efficienza allo strumento processuale, se è vero
che i tempi del processo – complici anche la catastrofe storico sociale che fu
la seconda guerra mondiale e l'esponenziale sviluppo economico indotto dalla
ripresa nel dopoguerra – si dilatarono progressivamente ed inesorabilmente fin
dalla sua entrata in vigore, senza soluzione di continuità, fino ai nostri giorni3 .
È un fatto, ad ogni modo, che a noi pare dimostrato dagli studi statistici
degli ultimi decenni, che sotto la vigenza del codice del 1865, non esisteva – e
comunque non esisteva in proporzioni anche lontanamente paragonabili a
quelle attuali – un problema reale di eccessiva durata del processo4.
Di tale differente contesto storico del processo si deve tenere conto nel
momento in cui si affronta una tematica come quella oggetto della presente
indagine.
Sotto la vigenza del codice Pisanelli – detto in termini più concreti – il
problema della eventuale durata di un giudizio di opposizione e della
2 Senza pretesa di prendere posizione nel vivo di un dibattito tanto accesso, quale è quello
circa la natura «fascista» o meno del codice di procedura civile, ci si limita a segnalare che
tale fu considerato il neoemanato codice dai primi commentatori. Il che, naturalmente, può
apparire privo di reale efficacia euristica, sotto certi aspetti (in piena epoca fascista chi
avrebbe sostenuto il carattere «non fascista» di una legge appena promulgata?). Si rinvia, ad
ogni modo, alla Relazione al Re, ove si legge che: «Se nella preparazione del nuovo
processo civile sono state chiamate a collaborare tutte le forze vive della dottrina italiana, il
Codice che è uscito da questa collaborazione non è un codice dottrinario: esso vuol essere
l’espressione non di una scuola ma di un popolo e di un regime», CIPRIANI –
IMPAGNATIELLO (a cura di), Codice di procedura civile con la relazione al Re, Bari, 2007, p.
278 ss.
3 Cfr. CECCHI, Analisi statistica dei procedimenti civili di cognizione in Italia, Bari, 1975, p.
77 ss.; CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p.132; MONTELEONE,
Manuale di diritto processuale civile., cit. p.331 e nt. 4, ove si evidenzia che, ad esempio, i
tempi per la definizione del giudizio di primo grado davanti al Tribunale passarono dagli
originari tre mesi e mezzo del 1900– sotto la vigenza del codice del 1865 - ai 450 giorni del
1947 ai quasi tre anni del 1974. Per una comparazione ed una analisi dei dati statistici della
durata del processo v. BATTAGLIA, Effetti dell'introduzione del giudice unico in tribunale, in
Il giusto processo civile, 2008, p. 1071 ss.; MONTELEONE, Postilla, in Il giusto processo
civile, ibidem.
4 BATTAGLIA, Effetti dell'introduzione del giudice unico in tribunale, cit., ibidem; CECCHI,
Analisi statistica; cit., p 77 ss.; CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, cit., p.91 ss.;
MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p.331 ; ID, Postilla, in Il giusto
processo civile, ibidem. In questa sede, comunque, non ci si soffermerà sulle possibili cause
della lunghezza del processo di oggi e della brevità di quello di ieri; è sufficiente prendere
atto della differenza di prospettive nelle scelte di politica legislativa tra il legislatore del
diciannovesimo secolo - inizi ventesimo, e della seconda metà del ventesimo secolo e del
ventunesimo.
7
procedura esecutiva nel suo complesso poteva non costituire il bisogno sociale
primario (o comprimario) cui il legislatore e/o il giudice avrebbero dovuto
fare fronte e dare risposta.
Contesto storico diametralmente opposto è quello in cui viviamo oggi,
adottando, ovviamente, un concetto di attualità che deve essere inteso molto
in senso lato: dall'immediato dopoguerra, diciamo, fino ai giorni nostri. Il
legislatore repubblicano ha dovuto vivere e ha dovuto cercare – spesso in
modo inadeguato – di dare risposta ad un differente contesto sociale. Sarebbe
e sarebbe stato del tutto irrealistico – e dunque fallimentare – un intervento
normativo in tema di processo esecutivo (e, per quel che in questa sede rileva,
della sua possibile sospensione) che non tenesse conto della patologica
lentezza della macchina processuale del suo complesso, e del conseguente
disagio sociale che essa ha finora generato.
In questa chiave di lettura – differenti esigenze economiche e sociali,
diverso contesto ideologico, differenti concezioni del processo – ci si deve
necessariamente muovere se si vuole cercare di individuare la ratio del diritto
vigente e dell'istituto della sospensione del processo, e la sua evoluzione,
anche alla luce delle recenti riforme.
I.2. La sospensione dell'esecuzione nel codice Pisanelli del 1865
Il codice del 1865, è stato evidenziato, non conteneva norme generali sulla
sospensione, ma si limitava ad affrontare le singole fattispecie prevedendo,
appunto, solo in taluni casi la sospensione del processo esecutivo 5. Tale
«lacuna (?)» può, a nostro giudizio, essere spiegata non solo con la differente
impostazione del previgente codice, meno dogmatico di quello del 1940, ma
anche con la minore rilevanza sociale del problema della durata del processo e
di quello esecutivo. Non occorreva, si intende sostenere, una troppo analitica
ed organica disciplina della sospensione, per il semplice fatto che essa non
5 Per una disamina, v. FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Varese, 1956, p. 19
ss.; SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p. 877 ss.
8
avrebbe inciso in modo eccessivo sulla durata del processo e, dunque,
sull'effettività della tutela del creditore procedente6.
Venendo ai singoli casi affrontati dal legislatore postunitario7, vale la pena
ricordare che, ai sensi dell'art. 580, l'opposizione all'esecuzione sui beni
mobili non sospendeva «l'esecuzione o la continuazione del pignoramento»,
salvo il caso particolare dell'opposizione alla sentenza pronunciata in
contumacia (che impediva, giusta il disposto degli artt. 475 e 478, l'esecuzione
della sentenza).
Della sospensione dell'esecuzione il legislatore si occupava, poi, all'art.
647, a proposito di domanda di separazione dei beni mobili pignorati. Si
trattava dell'ipotesi del terzo che pretendesse di «avere la proprietà o altro
diritto reale sopra tutti o parte dei beni mobili pignorati». In tal caso era
prevista una «fase cautelare» che si svolgeva davanti al pretore, il quale
avrebbe emesso il provvedimento sulla sospensione e deciso, quindi, il merito
della causa se competente, ovvero rimesso le parti al tribunale8.
Con riguardo all'esecuzione sopra i beni immobili, il codice del 1865 si
occupava, infine, di sospensione dell'esecuzione all'art. 660, prevedendo che
l'opposizione a precetto, se proposta tempestivamente (i.e., nel termine di
trenta giorni dalla notifica del precetto medesimo), avrebbe sospeso
l'esecuzione ovvero, se proposta tempestivamente, lo avrebbe sospeso solo in
presenza di «gravi cause», su provvedimento dell'autorità giudiziaria.
Particolari regole erano, infine, fissate per le opposizioni promosse in forza
di titoli cambiari9 .
6 Per una disamina, v. SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, cit., ibidem.Vale forse la
pena osservare come la necessità di disciplinare e studiare la sospensione sia, in un certo
qual modo, figlia dell'inefficienza congenita del processo: si avverte la necessità di
soffermarvisi più di tanto proprio perché gli effetti della sua concessione o negazione sono
idonei ad incidere più che profondamente sull'effettività della tutela.
7 Per i riferimenti al codice del 1865 si veda: PICARDI–GIULIANI, Codice di procedura civile
del Regno d'Italia 1865, Milano, 2004 con introduzione di MONTELEONE, Il codice di
procedura civile italiano del 1865.
8 Una previsione di ordine generale era contenuta all’art. 645, secondo cui: «la vendita e gli
atti che la devono precedere non possono essere sospesi che per la opposizione del debitore
se non sia ordinato dall’autorità giudiziaria competente».
9 Cfr. MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, V, 5° ed., Torino, 1902, pag.
243 ss.; 353 ss.; 711 ss.; SALETTI, Il processo esecutivo, Note introduttive, in TARZIA –
CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile (1865-1935), tomo II, pag. 989.
9
È stato sottolineato da autorevole dottrina che tale semplicità (assenza di
norme di carattere generale, disciplina scarna ed essenziale demandata a
singole disposizioni riferite a particolari situazioni concrete) era perfettamente
conforme alla ratio dell'istituto, che doveva costituire il naturale contrappeso
dell'azione esecutiva e della sua intrinseca unilateralità che esclude il
contraddittorio 10.
Di contrario avviso chi ha visto nell'insieme di norme delineato dal codice
del 1865 un sistema tendenzialmente disorganico, cui il legislatore del 1940
avrebbe finalmente posto, almeno in parte, rimedio11.
I.3. La sospensione dell'esecuzione nei progetti di riforma al codice di
procedura civile del 1865
I progetti di riforma successivi al codice del 1865, va detto, non
modificarono, tendenzialmente, tale impostazione concettuale «semplice ed
essenziale» - ovvero, a seconda delle prospettive, «scarna e disorganica». Se
si occuparono di sospensione – e se ne occuparono, proponendo soluzioni, a
volte, fortemente innovative – lo fecero avendo a mente, per lo più, specifici
aspetti12 ; senza occuparsi di ridisegnare ex novo l'istituto, né, tanto meno, il
suo inquadramento dogmatico.
In realtà il fatto che la sospensione dell'esecuzione del 1865, pur così
disorganica e frammentaria, non avesse suscitato più di tanto l'interesse dei
conditores dei disegni di legge successivi, potrebbe far pensare ad una
complessiva tenuta del sistema Pisanelli, che – tutto sommato – doveva,
almeno sotto questo aspetto e salva l'opportunità di qualche ritocco funzionare 13.
10 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959 p. 500, il quale
evidenzia che tale esigenza non è mai cambiata, neppure dopo l'avvento del codice del 1940,
che tratta solennemente la materia della sospensione dell'esecuzione un titolo autonomo.
11 FURNO, La sospensione del processo esecutivo, cit., ibidem.; SALETTI, Il processo
esecutivo, cit., ibidem.
12 SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss.
13 Si vedano, però, le osservazioni di cui infra. Ad ogni modo il processo esecutivo secondo
il codice del 1865 qualche problema lo aveva di certo, se è vero che nel 1902, l'Orlando ne
denunciava la «morbosa fiacchezza (...) che ne costituisce il vizio fondamentale»: TARZIA–
CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit., p. 890.
10
È opportuno, ad ogni modo, accennare a questi progetti di riforma che
impegnarono processualisti e commissioni parlamentari negli ottanta anni che
caratterizzarono la vita del codice Pisanelli14 .
Tra il 1865 e l'emanazione del codice oggi vigente vi fu come è noto,
innanzitutto, un gruppo di progetti che proponevano l'integrale riforma del
codice di rito, e segnatamente i progetti elaborati da Mortara, da Chiovenda,
da Carnelutti, da Redenti, dalla c.d. Sottocommissione C, e da Solmi15 .
Accanto a questi progetti di riforma ve ne furono, poi, altri che avevano ad
oggetto esclusivamente talune parti del codice e della legge processuale.
Quindici di essi riguardavano, in tutto o in parte, il processo esecutivo 16. Si
tratta, come è stato evidenziato, di un numero relativamente modesto, specie
se rapportato alla vasta schiera di progetti di riforma che, nello stesso periodo,
ebbero ad oggetto il processo di cognizione17.
Questa relativa tranquillità potrebbe, ancora una volta, far pensare che il
processo esecutivo, sotto la vigenza del codice Pisanelli, godesse, tutto
sommato, di un discreto grado di salute ed efficienza, rapportato almeno al
processo di cognizione. Non fosse, però, che il numero di riforme o di progetti
di riforme è un indizio molto labile e – di certo – non può assurgere al rango
di prova legale, per consentire un giudizio sul come funzionava una
legislazione ormai non più esistente. Non sempre, va detto, l'uomo (e l'uomo
giuridico, che ne è una sottocategoria concettuale) si comporta in modo logico
ed ha come fine primario l'ottimizzazione dei risultati. Le ragioni che possono
spingere un legislatore a focalizzare la propria attenzione su un settore del
diritto e del processo piuttosto che su un altro possono essere numerose, non
tutte possono rispondere al bisogno primario di curare i mali del processo.
14 Per una disamina v. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi., cit.; pag. 1 ss.;
TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit., p.1 ss.
15 CIPRIANI, Storie di processualisti cit., ibidem; SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936
ss.; cfr. CARNELUTTI, Progetto del codice di procedura civile, presentato alla
Sottocommissione Reale per la riforma del Codice di Procedura Civile, parte seconda, Del
Processo di esecuzione, Padova, 1926; ID., Lavori per la riforma del codice di procedura
civile, in Riv. dir. proc. civ., 1924, I, p. 294 ss; COMMISSIONE REALE PER LA RIFORMA DEI
CODICI, SOTTOCOMMISSIONE C, Codice di procedura civile, Progetto, Roma, 1926, con
prefazione scritta da MORTARA; MORTARA, Per il nuovo codice della procedura civile,
riflessioni e proposte, Torino, 1923.
16 SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss.
17 SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss.
11
A volere essere più chiari, un ipotetico studioso che, poniamo, nell'anno
2210, si trovasse ad esaminare le riforme che hanno caratterizzato il nostro
tempo, se pretendesse di valutare l'efficienza dei singoli aspetti del nostro
attuale sistema processuale sulla base delle singole novelle che hanno
caratterizzato le relative parti del codice, potrebbe essere portato a pensare che
il giudizio di appello nel 2010 funzionasse assai meglio del giudizio di primo
grado. E ciò sul rilievo che il giudizio di secondo grado ha superato pressoché
indenne le ultime – absit iniuria verbis - pulsioni riformistiche del legislatore
del 2005-2006 e del 2009; al contrario, appunto, del giudizio di primo grado.
L'esperienza e la statistica ci dicono, invece, che è vero esattamente il
contrario: Nel processo di primo grado – peraltro comunque inefficiente – il
numero di cause che vengono definite ogni anno dai tribunali (comprendendo,
comunque, sia quelle definite con sentenza, che quelle estinte, definite
transattivamente etc.) è leggermente superiore al numero di quelle iscritte a
ruolo. Esattamente opposta è la situazione delle Corti di appello, ove il
numero di cause definite ogni anno è sensibilmente inferiore al numero di
cause iscritte al ruolo, con conseguente aumento dell'arretrato che si va
accumulando di anno in anno. Di qui l'agevole pronostico su le magnifiche
sorti e progressive cui andrà incontro – salvo interventi seri ed incisivi - la
durata dei giudizi18 nei prossimi decenni.
Ad ogni modo, quattro di questi19 progetti di legge, che riguardavano anche
l'esecuzione, si occuparono di aspetti assolutamente specifici e segnatamente
di problemi afferenti la competenza. Sette progetti20 avevano ad oggetto
18 BATTAGLIA, Effetti dell'introduzione del giudice unico in tribunale, cit., ibidem. I dati
statistici sono disponibili sul sito del Ministero della Giustizia, http://www.giustizia.it/
giustizia/it/mg_1_14.wp e, per quanto concerne la Cassazione, sul sito http://
www.cortedicassazione.it/DocumentiPrimaPag/statistiche/Civile/StatisticheCivile.asp . Per
un confronto con la situazione dei processi negli altri paesi europei ed in particolare in
Francia, v. http://www.courdecassation.fr/institution_1/activite_cour_chiffres_58/ per i dati
statistici aggiornati relativi allo stato dei procedimenti civili davanti alla Cassazione
Francese.
19 I ddl Chimirri - Bonacci, divenuto legge 16 giugno 1892; Mortara - Schanzer, Fera e
Fera-Bonomi; per una disamina v. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss.
20 I ddl Catucci del 1867, Conforti, Catucci del 1872, Catucci - Rega - Del Zio ed altri,
Dell'Angelo, Cocco Ortu e Ronchetti; cfr. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss.
12
specificamente e quasi esclusivamente l'esecuzione forzata, altri quattro 21, pur
contenendo al loro interno anche proposte di modifica al processo esecutivo,
si occupavano anche di altri istituti.
I.4. I Progetti Catucci del 1867, e Conforti, del 1870.
All'indomani dell'unità d'Italia (e, per quel che conta ai fini di questo studio,
all'indomani dell'emanazione del primo codice nazionale), il dibattito
parlamentare si dipanò attraverso un riesame – alcune volte critico, ma che a
volte non nascondeva una certa nostalgia - delle legislazioni preunitarie22.
Il 5 aprile 1867 veniva presentato alla Camera dei Deputati il disegno di
legge del Guardasigili Catucci «disposizioni relative alla sentenza dei
conciliatori» 23.
L'Ufficio del conciliatore, si rammenta, era stato introdotto nel codice
Pisanelli sull'esperienza del vecchio istituto del conciliatore, esistente nel
Regno delle Due Sicilie 24. Il Progetto Catucci si proponeva di risparmiare alle
parti le spese derivanti dalla necessità di rivolgersi agli uscieri di pretura per
l'esecuzione delle sentenze dei conciliatori. Prevedeva, nel suo testo
originario, che agli inservienti comunali (incaricati, secondo l'allora vigente
ordinamento giudiziario, di compiere atti giudiziari dinnanzi ai giudici
21 Si tratta dei ddl. Catucci del 1868, Della Rocca – Aguglia, Gallo – Majorana- Massimini,
e Orlando del 1909, che riprendeva, appunto, il precedente progetto dello stesso Orlando del
1908, aggiungendovi, però, la parte sull'esecuzione forzata. Cfr. SALETTI, Il processo
esecutivo, cit., p. 936 ss.
22 E ciò, come si vedrà, particolarmente per quanto concerne i sudditi dell'ex regno delle
Due Sicilie, attraverso un fenomeno che – parafrasando una espressione della storiografia
degli ultimi decenni del XX secolo, a proposito dell'esperienza post riunificazione delle due
Germanie, potrebbe essere definita Sudalgia.
23 TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 993 ss.
24 È utile richiamare, sul punto, le parole dello stesso Pisanelli, nella relazione ministeriale
sul libro primo del progetto di codice di procedura civile «La istituzione de' giudici
conciliatori ha fatto buona prova nelle provincie del mezzogiorno. Il loro uffizio è duplice.
Sono chiamati a giudicare senza l'osservanza delle forme generali del rito giudiziario sulle
controversie di minor valore e di facile soluzione; devono inoltre, sempreché siano richiesti,
interporsi per comporre amichevolmente le controversie. Così, mentre provvedono al
bisogno di una giustizia pronta, non dispendiosa ed essenzialmente locale, esercitano in
ciascun comune un uffizio benefico di conciliazione e di concordia. (...)»: PICARDI –
GIULIANI, Codice di procedura civile del Regno d'Italia 1865, Milano, 2004 con
introduzione di MONTELEONE, Il codice di procedura civile italiano del 1865, p.6 ss.
13
conciliatori) venisse conferito il potere di compiere gli atti di esecuzione delle
sentenze pronunciate dai conciliatori stessi.
Lo schema originario veniva, però, sottoposto a revisione critica in sede di
lavori parlamentari. In particolare nella relazione predisposta dall'Ufficio
centrale del Senato 25 del 24 novembre 1868 si segnalava che la procedura
esecutiva – per come mantenuta dal Progetto Catucci – era troppo complessa
per essere applicata da conciliatori ed inservienti comunali e, in generale,
inadatta alle liti ed alle esecuzioni di modico valore. Invocava, dunque, la
vecchia procedura esecutiva semplificata, già in vigore nel Regno delle Due
Sicilia, dal 1819.
Con specifico riferimento alla sospensione dell'esecuzione veniva, dunque,
proposto di (re)introdurre il vecchio articolo 84 del codice di procedura civile
napoletano, norma che prevedeva la sospensione «in qualunque stato» delle
«misure coattive se persona solvibile promette di pagare fra sei giorni la
somma e le spese del litigio»26.
Tale ipotesi di sospensione dell'esecuzione, prevista dal Codice per lo
Regno delle Due Sicilie, fu recepita dall'art. 9 del Progetto elaborato
dall'Ufficio Centrale del Senato, nelle sessioni 1871-1872, e allegata al
Progetto Catucci27 e dall'art.9 del successivo Progetto Conforti, «Esecuzione
delle sentenze dei giudici conciliatori», presentato al Senato il 7 maggio
1870 28.
25 Relatore Lanzilli: cfr. TARZIA–CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit,
p. 1007. Circa l'identità del senatore Lanzilli, risulta essere Tommaso Antonio Maria
Lanzilli, nato a Benevento – dunque nel Regno delle Due Sicilie - il 25 maggio 1801 e
morto in Avellino il 23 febbraio 1878. Il Lanzilli risulta essere stato senatore durante l'VIII
legislatura, secondo quanto riportato in http://it.wikipedia.org/wiki/
Tommaso_Antonio_Maria_Lanzilli.
26 La promessa di pagamento da parte del terzo veniva trascritta in un verbale formato dal
cancelliere, verbale che sarebbe divenuto esecutivo, decorso il termine di sei giorni sopra
richiamato, «senza intimarsi avviso o precetto e non potrà in verun modo sospendersi la
esecuzione»: PICARDI–GIULIANI, Codice per lo Regno delle Due Sicilie, III. Leggi della
procedura ne' giudizj civili, 1819, con introduzione a cura di CIPRIANI, Le Leggi della
procedura nei giudizi civili del Regno delle Due Sicilie, Milano, 2004, p. 20 ss.; TARZIA–
CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1007.
27 TARZIA–CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, ibidem.
28 TARZIA–CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, ibidem, al quale si
rinvia anche per l'esame dei Progetti Catucci del 1872, Catucci – Rega – Del Zio del 1874 e
Dell'Angelo del 1877.
14
I.5. I Progetti Cocco Ortu del 1902, Ronchetti del 1904, Orlando del 1909
Altre innovazioni interessanti sono quelle proposte dal disegno di legge
Cocco Ortu, presentato al Senato del Regno il 28 aprile 1902 29. Tale testo si
segnala – per quanto concerne l'oggetto della nostra indagine – per l'art. 8, con
il quale veniva introdotta la possibilità, per il debitore, di ottenere la
sospensione del processo esecutivo, per un periodo non superiore a due anni,
29 TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1023. Per quel che
concerne l'autore del progetto, l'avv. Francesco Cocco Ortu, si tratta di una eminente figura
di spicco della classe politica sarda ed italiana, impegnato – tra l'altro – nel giornalismo (nel
1861 collaborava - da studente - al giornale L’imparziale); nel 1862-1863, fondò il giornale
satirico, economico e letterario La Bussola, nel 1866 fondò con altri il giornale La Cronaca.
Nel 1884, infine, ritroviamo l'avv. Francesco Cocco Ortu tra i finanziatori del giornale La
Tribuna, quotidiano che uscì nel 1884. Per quanto concerne la sua carriera politica fu
sindaco di Cagliari f.f. (in quanto consigliere anziano) nel 1868, carica che conservò non
continuativamente sino al 1884. Mantenne l’incarico di Assessore fino al 1888, quando
diede le dimissioni, per dedicarsi completamente alla politica nazionale. Fu anche
consigliere provinciale dal 1875 al 1888. In Parlamento Cocco Ortu fu eletto la prima volta
nel 1876 dopo la caduta della Destra storica, due anni dopo fu segretario generale del
ministero dell' agricoltura nel governo Cairoli, dal 1888 al 1991 ricoprì la carica di
sottosegretario alla giustizia nei due governi Crispi, nel 1897 fu nominato ministro
dall'agricoltura nel terzo governo di Rudinì, dal 1901 al 1903 e dal 1906 al 1909 fu, infine,
ministro della giustizia nel governo Zanardelli e ministro dell'agricoltura nel governo
Giolitti. I discendenti dell'avv. Francesco Cocco Ortu - Alberto Cocco Ortu, anch'egli
avvocato in Cagliari, e Marinella Ferrai Cocco Ortu, direttore dell'Archivio di Stato di
Cagliari - ricordano che l'ottantaduenne avo, il 28 ottobre 1922, nella qualità di Decano della
Camera, tentò, insieme al Presidente del Consiglio Facta, di convincere Vittorio Emanuele
III a proclamare lo stato d'assedio e fermare Mussolini che marciava su Roma.
Successivamente Cocco Ortu fu il solo deputato Giolittiano a votare contro la fiducia al
Governo Mussolini, dimettendosi immediatamente dopo dall'incarico di capogruppo alla
Camera del partito liberale. L'episodio, insieme ai riferimenti biografici, sono menzionati in
L'Unione Sarda - Fondatori Cocco Ortu e Lai Vinelli è il primo direttore - domenica 11
ottobre 2009 (Redazionale); L'Unione Sarda - L 'area è stata di quelle che hanno fatto più a
lungo soffiare sulla città - domenica 28 aprile 1996 (Redazionale); FILIPPINI, Una storia che
abbraccia tre secoli in L'Unione Sarda, domenica 11 ottobre 2009; O RSINA ,
L'organizzazione politica nelle Camere della proporzionale (1920-1924), in http://
docenti.luiss.it/orsina/files/2008/05/riforma_1920.pdf; PIRA, Quel duello nel '25 tra Lussu
ed Endrich in L'Unione Sarda mercoledì 15 novembre 1995; LUSSU, Marcia su Roma e
dintorni, Torino, 1974; cfr. anche http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Cocco-Ortu, http://
www.goceano.it/storia/personaggi_storici/francesco_cocco_ortu.htm.
15
qualora le rendite dei beni assoggettati all'espropriazione fossero sufficienti, in
detto periodo di tempo, ad estinguere il debito30.
Una previsione sostanzialmente analoga si ritrova all'art. 12 del Disegno
Ronchetti, rubricato «Disposizioni sulle piccole espropriazioni», presentato al
Senato del Regno il 20 dicembre 1904 (e ritirato il 27 novembre 1906)31 .
Il disegno di legge nel suo complesso si collocava sulla medesima linea di
pensiero del disegno Cocco Ortu, del quale riprendeva - in massima parte, e
non limitatamente alla sola sospensione – le soluzioni.
All'art. 10, inoltre, il Disegno Ronchetti prevedeva una ipotesi di
sospensione dell'espropriazione, per un massimo di sei mesi, qualora il
debitore, prima del giorno fissato per il primo incanto, avesse pagato «metà
del debito per cui si procede con ogni accessorio». In questo periodo di sei
mesi, appunto, il debitore avrebbe dovuto pagare il debito residuo32.
30 Art.8: «il debitore può anche ottenere la sospensione della procedura per un tempo non
superiore a due anni, qualora provi che le rendite dei beni soggetti all'espropriazione, sono
sufficienti ad estinguere, nel detto periodo di tempo, il credito per il quale si procede, e che
non vi sono sugli stessi beni altri crediti privilegiati o ipotecari prontamente esigibili. In
questo caso il pretore nomina un amministratore provvisorio dei beni, con tutte le
responsabilità del sequestratario giudiziale. Col consenso del debitore può essere nominato
a tale ufficio il creditore, e può essere nominato pure il debitore col consenso del creditore,
o con l'obbligo di prestare cauzione la quale rimane vincolata a pegno a favore del
creditore istante». Quest'ultima previsione - della cauzione, per il caso di nomina del
debitore a custode del bene – ci lascia perplessi: se il debitore ha i soldi e la volontà di
pagare la cauzione, li ha anche per pagare – almeno in parte – il debito ed evitare il
pignoramento sul bene fruttifero. Se non ha i soldi per pagare il creditore – tant'è che si fa
pignorare un bene fruttifero – non li avrà, molto probabilmente, neppure per versare la
cauzione. Così come fu formulata la disposizione non pare sarebbe stata destinata ad un
successo applicativo rilevante.
31 TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1051 ss.
32 TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1080.
Probabilmente un'eco di questo istituto si ritrova nel vigente codice agli artt. 494 e 495
c.p.c., rispettivamente a proposito di pagamento a mani dell'Ufficiale Giudiziario e di
conversione del pignoramento.
16
Di maggiore respiro, se non altro per il maggior numero di settori del
processo civile che avrebbe dovuto riformare, era infine il Progetto Orlando
presentato alla Camera il 24 maggio 1909 33.
Con specifico riguardo alla sospensione dell'esecuzione, il Progetto
Orlando – è stato affermato – si collocava sulla linea concettuale del codice
del 1865, nel senso che non prevedeva una reale rivoluzione metodologicosistematica dell'istituto, ma si limitava a proporre alcune specifiche
innovazioni34 . Prevedeva, in particolare, con una norma di non facilissima
interpretazione - l'art. 33 - che in pendenza del giudizio di opposizione
avrebbero potuto essere «ordinati provvedimenti conservativi» ed avrebbe
potuto «essere autorizzata l'esecuzione con o senza cauzione» 35.
Sulla possibilità di sospendere l'esecuzione forzata, il Progetto Orlando
tornava all'art. 38, a proposito di esecuzione forzata sui beni mobili,
33 Pubblicato integralmente in TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo
civile., cit, p. 929 ss., con nota introduttiva di CAVALLONE, Il progetto Orlando, Note
introduttive. Con la denominazione: «Progetto Orlando» si suole indicare, oltre al progetto
presentato alla Camera il 24 maggio 1909, rubricato: Riforme al codice di procedura civile,
ed oggetto della presente indagine, anche un precedente disegno di legge: «Nuove
disposizioni intorno all'ordine e alla forma dei giudizi», presentato dall'allora Ministro di
Grazia e Giustizia il 16 marzo 1908. Si trattava di un progetto di 29 articoli, essenzialmente
relativi al processo di cognizione (salvo gli ultimi tre articoli, che contenevano una leggedelega). L'originario progetto non venne mai discusso, a causa della fine anticipata della
legislatura. Fu sostituito, il 24 maggio 1909, dal Progetto de quo, che prevedeva - oltre a 26
articoli corrispondenti a quelli del precedente Progetto – altri 51 articoli, relativi anche
all'esecuzione forzata. Per una disamina cfr. CAVALLONE, Il progetto Orlando, Note
introduttive. cit., ibidem; cfr. anche: CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, cit., p.
127 ss., dai quali si apprende che il padre spirituale di questo progetto di riforma fu
Lodovico Mortara.
34 Per la verità di non poco rilievo, con riferimento anche alle altre norme sull'esecuzione
forzata: si pensi, meramente a titolo di esempio, alla abolizione del precetto ed alla
previsione della possibilità di procedere ad esecuzione forzata, in caso di titolo basato su
sentenza esecutiva, omettendo anche la notifica del titolo esecutivo: cfr. TARZIA –
CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 923; cfr. Anche SALETTI, Il
processo esecutivo, cit., p. 951.
Nel senso che tale norma sembrerebbe far pensare ad una efficacia sospensiva
automatica dell'opposizione all'esecuzione v. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 989 ed
in part. nt. 187. Tale soluzione, però, non sembra del tutto compatibile con la lettera della
legge – che pare rimettere la decisione sulla sospensione ad una valutazione discrezionale
del giudice – né allo spirito del Progetto Orlando che era quello di eliminare «quella
morbosa fiacchezza del nostro ordinamento esecutivo che ne costituisce il vizio
fondamentale»del processo esecutivo vigente: v. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., ibidem;
TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 890.
35
17
prevedendo che «il pignoramento e gli atti ulteriori» avrebbero potuto essere
«sospesi per ordine dell'autorità giudiziaria» 36.
I.6. Il dopoguerra, il Progetto Chiovenda del 1920 e il Progetto Mortara
del 1923.
Per quanto riguarda i progetti maggiori – quelli, cioè, che miravano non alla
riforma di uno specifico settore del processo, ma alla elaborazione di un
nuovo codice, nell'immediato dopoguerra veniva presentato il progetto di
riforma di Giuseppe Chiovenda al codice di procedura civile37, che non si
occupava – però – del processo di esecuzione.
Nel 1923 Lodovico Mortara – che era stato da poco epurato dalla
Cassazione, appena unificata, e dalla magistratura38 - presentò, in veste di
senatore del Regno, il suo progetto di riforma per il nuovo codice di procedura
civile39.
36 Si noti come la «sospensione del pignoramento», apparentemente condannata all'oblio
dopo l'abbandono del Progetto Orlando, sia stata riesumata, seppur per breve tempo, dal
legislatore del 2006, che aveva reintrodotto, all'art. 624 c.p.c., la sospensione, appunto, del
pignoramento.
37 CHIOVENDA, Relazione sulla proposta di riforma, in La riforma del procedimento civile
proposta dalla Commissione per il dopo guerra. Redazione e testo annotato per cura di
Giuseppe Chiovenda, Napoli, 1920.
38 Sull'epurazione del sessantottenne Mortara (allora presidente della Cassazione di Roma),
ad opera del nascente regime fascista, v. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi,
Milano, 1991, p.233 ss. Con il r.d. 24 marzo 1923 n. 601, con decorrenza dal successivo
primo novembre, furono soppresse le Corti di cassazione di Firenze, Napoli, Palermo e
Torino. Con successivo r.d. 3 maggio 1923 n. 1028 fu stabilito che i primi presidenti e i
procuratori generali di Corte di Cassazione avrebbero potuto essere collocati a riposo a
domanda o d'ufficio «anche indipendentemente dall'eccedenza di posti nel detto grado». Si
trattò, secondo CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p.236, di una
norma ad personam, diretta ad eliminare proprio il figlio del rabbino, eccessivamente
indipendente e vicino ad ambienti Nittiani.
39 MORTARA, Per il nuovo codice della procedura civile, Riflessioni e proposte, Torino,
1923.
18
L'opera, di amplissimo respiro40, dedicava all'esecuzione forzata il libro
terzo, titoli dal primo al sesto, per un totale di centosedici articoli.
Analogamente al codice del 1865 non dedicava un'apposito capo alla
sospensione del processo esecutivo, ma dettava esclusivamente talune regole
di pratica applicazione.
Di sospensione dell'esecuzione parlava, innanzitutto, a proposito di
esecuzione degli obblighi di fare e non fare. Si stabiliva, al riguardo, che il
debitore potesse chiedere al pretore di sospendere, con provvedimento da
emettersi in contraddittorio e non soggetto ad alcuna impugnazione,
l'esecuzione «per un tempo determinato». E ciò a condizione che, dopo avere
ricevuto l'intimazione ad adempiere ad un facere infungibile, avesse dato
prova di avere iniziato l'esecuzione. Tale sospensione poteva essere prorogata
solamente una volta, e sempre che il debitore dimostrasse la «la continuazione
regolare della opera e la necessità di maggior tempo per condurla a
compimento» 41.
La norma in esame, come detto, era limitata al caso di esecuzione forzata di
un fare infungibile (o, secondo la lettera del testo, di una «obbligazione di fare
di indole strettamente personale»). Ciò induce a ritenere che la sua ratio fosse
non tanto quella di favorire in qualche misura il debitore comunque
adempiente (altrimenti non avrebbe avuto senso escluderne l'applicabilità alle
ipotesi di facere fungibile), ma essenzialmente quella di tutelare l'interesse del
creditore ad ottenere comunque la prestazione infungibile.
A proposito di espropriazione di beni immobili, il Progetto Mortara non
menzionava – tra le norme che regolavano l'esecuzione forzata - la possibilità
di una sospensione per tutta la fase anteriore alla «sentenza che autorizza la
vendita» prevista dall'art. 37.
Tra le numerose modifiche, proposte in tema di esecuzione forzata, ricordiamo:
l'abolizione del precetto (analogamente al Progetto Orlando, v. supra, nota 33)– previsto
invece dall'art. 562 del codice del 1865 – mantenuto, però, nell'esecuzione mobiliare e
sostituito, in caso di esecuzione degli obblighi di fare e non fare, dalla notificazione al
debitore di una intimazione ad eseguire la prestazione in un termine non minore di cinque
giorni (art. 9); l'interessante possibilità, sempre per l'esecuzione degli obblighi di fare e non
fare, di intimare al debitore il pagamento di una somma di denaro alternativa al facere
infungibile (somma che poteva essere prefissata nel titolo, ovvero determinata con
provvedimento del pretore) etc.
40
41 Art. 13.
19
Va però avvertito che il processo per l'espropriazione immobiliare, sia nel
codice del 1865 che nel Progetto Mortara, aveva una struttura
sostanzialmente bifasica. La prima fase realizzava un vero e proprio processo
di cognizione, che iniziava con un atto di citazione per l'autorizzazione a
vendita di beni beni immobili (da notificare al convenuto)42 e si sarebbe
dovuto concludere con una sentenza – suscettibile di formare cosa giudicata –
di autorizzazione, appunto, alla vendita. La seconda fase era più propriamente
esecutiva – almeno secondo gli schemi cui siamo abituati a ragionare oggi - e
culminava con la vendita e la graduazione43.
Il fatto che la prima fase avesse forma e sostanza essenzialmente cognitive,
induce a ritenere che, nelle intenzioni di Mortara, avrebbero potuto trovare
applicazione le norme in materia di sospensione del processo di cognizione.
Una siffatta impostazione pare, a conti fatti – e volendo commettere quel
tipico errore metodologico di chi pretende di giudicare il passato con gli occhi
del presente -, eccessivamente macchinosa. In pratica si costringeva il
creditore, dopo che questi aveva affrontato un primo giudizio di cognizione
diretto ad ottenere la condanna del debitore, e dunque la formazione del titolo
esecutivo, ad imbarcarsi in un nuovo giudizio di cognizione per ottenere
l'autorizzazione alla vendita. Si osservi, oltretutto, che l'azione per
l'autorizzazione alla vendita non poteva essere introdotta cumulativamente a
42 Art. 28. La concezione alla base del Progetto Mortara, comunque, ricalcava la vecchia
impostazione del Codice del 1865, che prevedeva – pure esso – la necessità di avviare (art.
665) un procedimento di cognizione, secondo lo schema del processo sommario, diretto a
far promuovere la vendita. Anche il procedimento di autorizzazione alla vendita, secondo lo
schema del codice Pisanelli, si chiudeva con una sentenza.
43 Osserviamo, secondo una prospettiva marcatamente liberale e privatistica del processo
civile. Il diritto a vendere il bene pignorato, in effetti, non è in alcun modo correlato con il
diritto di credito contenuto nel titolo; non vi è, nella sentenza di condanna, l’accertamento di
un diritto in qualche modo connesso con la proprietà del bene da espropriare. Nella
prospettiva liberale occorreva, pertanto, un provvedimento del giudice che, spogliando il
debitore di alcune facoltà e diritti connessi al suo diritto dominicale, avrebbe avuto
coerentemente natura di sentenza. In particolare, per rimuovere l’ostacolo e procedere alla
vendita di un bene invito domino occorreva l’autorizzazione del giudice, che - in un certo
qual modo - si sostituiva alla volontà del debitore. Si segnala che un’eco di tale concezione
liberale è sopravvissuta nel lessico giuridico attuale: cfr. la rubrica degli attuali artt. 530 e
569 c.p.c., che parla ancora di «autorizzazione alla vendita» (sebbene, nel corpo dei due
articoli, il verbo «autorizza» sia sostituito con quello «dispone», scelta semantica che consapevolmente o inconsapevolmente - sposta il fulcro della vendita dalla parte (che
vende, previa autorizzazione del giudice) al giudice (che ordina la vendita ex auctoritate).
Per una disamina si rinvia a CARNELUTTI, Istituzioni di Diritto processuale civile, vol. III,
Roma, 1956 pp. 25 ss.; SATTA - PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p.745.
20
quella per la formazione del titolo esecutivo giudiziale, stante la necessità di
far precedere alla notifica della citazione per autorizzazione alla vendita la
notifica del titolo esecutivo ex art. 6 del Progetto. L'art. 29 del Progetto
Mortara, sul punto, prevedeva che alla prima udienza il creditore attore
avrebbe dovuto offrire in comunicazione «il titolo esecutivo con la prova della
notificazione» e che, in difetto, il convenuto avrebbe potuto far dichiarare la
domanda inammissibile.
Il disagio eccessivo, del resto, che si sarebbe potuto causare al creditore,
imponendogli – per giungere alla vendita – di instaurare un giudizio a
cognizione piena, era avvertito dallo stesso Mortara. Questi, infatti, pur non
volendo superare la concezione bifasica e, dunque, l'idea stessa che fosse
necessario un giudizio di cognizione, per giungere all'autorizzazione alla
vendita, aveva previsto l'introduzione di alcuni correttivi, ad evitare che
l'azione esecutiva potesse impantanarsi nelle lungaggini di una istruttoria
complicata. All'art. 36 del Progetto fu, così, introdotta una norma
acceleratoria, in forza della quale, se fossero stati necessari atti di istruzione,
questi avrebbero dovuto essere eseguiti «con la massima celerità, esclusa ogni
dilazione o proroga che non sia imposta da forza maggiore» 44.
Vale la pena, a questo punto, segnalare che avendosi a che fare, nella fase
preliminare di autorizzazione alla vendita, con un vero e proprio giudizio di
cognizione, l'assenza di norme ad hoc sulla sospensione, per tutta la prima
fase del processo, non può essere ascritta, a furor celeritatis dell'autore del
Progetto, ma a semplice senso pratico: prima di quella fase processuale la
previsione di una sospensione tipica – diversa, cioè da quelle previste per il
processo di cognizione - non sarebbe stata di alcuna utilità: se vi fosse stata la
necessità di compiere atti di istruzione – per così dire – pregiudiziali alla
vendita, del resto, questa semplicemente non avrebbe potuto essere autorizzata
(e dunque l'esecuzione non avrebbe potuto in alcun modo proseguire, senza
che fosse necessario prevedere una vera e propria sospensione).
Di sospensione vera e propria nell'esecuzione immobiliare il Progetto
Mortara parlava, invece, agli artt. 58, 59 e 60. L'ipotesi regolata era quella del
terzo, titolare di proprietà o diritto reale limitato sui beni posti in vendita, che
44 Art. 36.
21
non avesse fatto valere le proprie ragioni, proponendo intervento nella fase
cognitiva, e dunque prima della sentenza di autorizzazione alla vendita. In
questo caso il terzo poteva proporre domanda di separazione notificando ai
procuratori del creditore, degli intervenuti e del debitore (o a questi
personalmente, qualora non questi non avesse «costituito procuratore»),
apposita domanda. La domanda avrebbe avuto la forma della citazione a
comparire a un'udienza anteriore di almeno dieci giorni a quella stabilita per
l'incanto. L'autorità giudiziaria, in questo caso, avrebbe potuto riconoscere la
necessità di differire o sospendere l'incanto, con o senza cauzione a carico
dell'attore in separazione. Il mancato deposito della cauzione avrebbe
comportato l'inefficacia del differimento o della sospensione.
Non di vera e propria sospensione, ma di mera possibilità di differire la
discussione ad altro giorno, parlava, a proposito di giudizio di graduazione,
l'art. 77. Prevedeva, in particolare, la possibilità che la discussione del
progetto di distribuzione venisse rinviata ad altra data, qualora ciò si fosse
reso necessario a seguito delle osservazioni degli interessati.
Di vera e propria sospensione dell'esecuzione parlava l'art. 87, nel capo III,
rubricato «Limiti e deroghe al diritto di espropriazione». La norma avrebbe
dovuto prevedere la sospensione, su provvedimento del pretore, «senza limite
di tempo» dell'espropriazione su un fondo rustico «che sia coltivato dal
debitore o dalla sua famiglia e produca un reddito non eccedente i bisogni di
chi lo coltiva», ovvero di «un immobile urbano che serva esclusivamente ad
abitazione del debitore e della sua famiglia, nei limiti della più rigorosa
necessità».
Ancorché «senza limiti di tempo», si trattava, pur sempre di una
sospensione e non di una inammissibilità dell'esecuzione o di una
impignorabilità in senso stretto: una volta cessate le predette condizioni,
l'azione di espropriazione avrebbe potuto «essere proseguita, qualunque sia il
tempo decorso dalla citazione per autorizzazione alla vendita».
22
Ratio di tale previsione andava ravvisata – come avverte lo stesso Mortara in «considerazioni di etica sociale (…)», bilanciate, peraltro, dal modico
valore delle esecuzioni de quibus (quelle di competenza del pretore)45.
Un'ultima ipotesi di sospensione dell'esecuzione, prevista dal Progetto
Mortara, era quella dell'art. 109, che prevedeva la sospensione del
pignoramento mobiliare, in caso di consegna all'ufficiale incaricato della
«somma intiera per cui si procede e l'importare delle spese». Analogamente
alla disposizione di cui al vigente art. 494 c.p.c. (che però prevede la
possibilità di una espressa riserva di ripetizione), il pagamento a mani
dell'ufficiale giudiziario non avrebbe pregiudicato l'azione che il debitore
avrebbe potuto esercitare sotto forma di opposizione a precetto. L'avvenuto
pagamento, tuttavia, onerava il debitore a proporre l'opposizione nel termine
perentorio di dieci giorni dal processo verbale dell'avvenuto pagamento.
I.7. Il Progetto della «Sottocommissione C» e il Progetto Carnelutti del
1926
Nel 1926 viene pubblicato il Progetto Carnelutti per la riforma al codice di
procedura civile, comprendente una seconda parte interamente dedicata al
processo di esecuzione46 . Il Progetto costituisce – essenzialmente – uno
45 MORTARA, Per il nuovo codice della procedura civile., cit., p. 142: «va ascritta a questi
ultimi motivi l'interdizione di espropriare, nei confini della competenza data al pretore, cioè
per i più modici valori, la casetta o il poderuccio che il proprietario, con la famiglia, abita
o coltiva. Mi pare che non convenga perseguire idealità filantropiche più larghe, le quali si
risolvono in gratuita generosità del legislatore a danno dei creditori. La regola che le
obbligazioni sono garantite dal patrimonio deve soffrire il minor numero di deroghe».
46 CARNELUTTI, Progetto del Codice di procedura civile, presentato alla Sottocommissione
Reale per la Riforma del Codice di Procedura Civile – Parte seconda del Processo di
Esecuzione, Padova, 1926; per la storia del Progetto cfr. CIPRIANI, Storie di processualisti e
di oligarchi, Milano, 1991, ibidem.
23
sviluppo dell'altro Progetto presentato lo stesso anno, sempre dal Carnelutti,
in senso ai lavori della c.d. Sottocommissione C47.
Una delle tante innovazioni proposte nel Progetto, attiene al (tentativo di)
superare la struttura bifasica nell'esecuzione immobiliare, eliminando la fase
di vera e propria cognizione diretta ad ottenere l'autorizzazione alla vendita.
Per quanto attiene, più specificamente, la sospensione, il Progetto
prevedeva, innanzitutto, una serie di ipotesi tipiche, espressamente
disciplinate dalla legge.
Disponeva, innanzitutto, all'art. 460 del Progetto Carnelutti (462 del
Progetto Sottocommissione C), che l'esecuzione non potesse essere iniziata o
comunque proseguita quando il debitore avesse offerto «di adempiere al suo
obbligo e l'ufficio accerti che l'adempimento è avvenuto o è stato rifiutato
senza giusto motivo».
Faceva da corollario a questo principio l'art. 461 (463 Sottocommissione
C), che prevedeva, appunto una ipotesi di sospensione dell'esecuzione,
rimessa al prudente apprezzamento dell'ufficio («può sospendere, secondo le
circostanze»), per l'ipotesi che, appunto, vi fosse contestazione circa la
sussistenza del giustificato motivo per il rifiuto all'adempimento. Un'ipotesi
tipica di contestazione sulla inesattezza dell'adempimento, era quella del
pagamento parziale, prevista espressamente dalla norma, ma poteva anche
47 Si legge nella «Avvertenza», sottoscritta «F.C.» in calce alla pubblicazione, che il
progetto della seconda parte del codice – quella afferente, appunto, l'esecuzione forzata
«contiene alcuni mutamenti in confronti di quello che fu discusso dalla Sottocommissione
Reale nelle tornate del maggio scorso». Sempre nell'Avvertenza si spiega che ciò fu dovuto
al fatto che Carnelutti, «stretto dal tempo» dovette «presentare alla Sottocommissione un
lavoro ancora in abbozzo». Cfr., sul punto, CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi,
Milano, 1991, p. 286 ss., il quale riferisce che il progetto non fu neppure recensito ed
illustrato né sulla Processuale né sulla Giurisprudenza Italiana, riviste dirette - come è noto
– rispettivamente da Carnelutti (unitamente a Chiovenda) e da Mortara. Il Progetto
Sottocommissione C, sempre a quanto riferisce Cipriani, sarebbe stato messo da parte dallo
stesso guardasigilli Rocco, perché ritenuto non abbastanza «omogeneo, italiano e fascista».
CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p. 290 ss. Per quanto
riguarda il testo del Progetto Sottocommissione C, v. COMMISSIONE REALE PER LA RIFORMA
DEI CODICI, SOTTOCOMMISSIONE C, Codice di procedura civile, Progetto, Roma, 1926, con
prefazione scritta da MORTARA, p. 1. ss.
24
darsi il caso dell'aliud pro alio e tutte quelle altre ipotesi di inesatto
adempimento previste dalla legge48.
Non vera e propria sospensione, ma quasi una condizione di procedibilità
dell'esecuzione forzata era quella prevista dall'art. 474 del Progetto Carnelutti
(art.476 Sottocommissione C), a norma del quale se l'efficacia del titolo
esecutivo era subordinata alla prestazione di una cauzione, l'ufficio non
avrebbe potuto procedere fino a che questa non fosse stata prestata.
Vera e propria sospensione era, invece, quella prevista dall'art. 509,
secondo cui, in caso di esecuzione per consegna di cose indivise, l'esecuzione
avrebbe potuto, appunto, essere sospesa, nell'ipotesi di dissenso tra i terzi
comproprietari e il debitore, in ordine alla separazione della quota del
debitore.
Ancora, il Progetto Carnelutti prevedeva la sospensione della distribuzione
del ricavato, in caso di contestazione, tra i creditori concorrenti, in ordine al
progetto di riparto (art. 538)49.
Altra ipotesi di sospensione era dettata in materia di pignoramento di crediti
(artt. 628 ss. Progetto Carnelutti, 611 ss. Sottocommissione C), e
segnatamente dagli artt. 635 e 639 del Progetto Carnelutti (617 e 621
Sottocommissione C). Secondo i due progetti elaborati da Carnelutti – va
avvertito – il terzo avrebbe dovuto, analogamente a quanto avviene col codice
attuale – essere chiamato a rendere la dichiarazione.
A questo punto il terzo avrebbe potuto: non presentarsi, presentarsi e non
contestare la propria dichiarazione, riconoscere il proprio debito ma
richiedere, al contempo, la corrispettiva controprestazione da parte del
48 Il codice civile del 1865 prevedeva, all'art. 1218: «chi ha contratto una obbligazione, è
tenuto ad adempierla esattamente e in mancanza al risarcimento dei danni», mentre agli
artt. 1245 e 1246 prevedeva che il creditore non era tenuto ad accettare una cosa diversa da
quella dovuta (anche si di valore uguale o maggiore), ovvero un pagamento soltanto
parziale. Cfr. PEPE, Codice civile (1865) Codice di Commercio (1882) del Regno d'Italia,
Napoli, 2008.
49 Art. 522 Sottocommissione C.
25
debitore 50, ovvero contestare la pretesa del terzo. In quest'ultimo caso, ovvero
nell'ipotesi che il terzo affermasse l'esistenza di una controprestazione a carico
del debitore, ma questi contestasse la relativa pretesa, l'esecuzione forzata
sarebbe stata sospesa «fino a che l'esistenza della obbligazione non sia
accertata con sentenza non soggetta a reclamo, salvo diverso accordo del
creditore e del debitore» (art. 639 Progetto Carnelutti, art. 621 Progetto
Sottocommissione C). In caso di contestazione solo parziale, l'esecuzione
sarebbe potuta continuare per la parte incontestata.
Al di là di questo gruppo di ipotesi il Progetto Sottocommissione C ed il
Progetto Carnelutti – la cui impostazione era assai più dogmatica di quella dei
precedenti progetti di riforma e del codice previgente – prevedevano un intero
titolo settimo, rubricato «della sospensione, della interruzione, della
cessazione del processo esecutivo». A ben guardare, anzi, i Progetti
Sottocommissione C e Carnelutti risultano – almeno in parte qua – addirittura
più dogmatici del codice vigente: il capo I, rubricato della sospensione,
constava di ben nove articoli (dal 681 al 690 nel Progetto Carnelutti, dal 664
al 673 del Progetto Sottocommissione C), a fronte dei sei (oggi sette, a seguito
dell'introduzione dell'art. 624 bis) del codice del 194051.
I progetti di norme si snodavano, allora, attraverso una articolazione
assolutamente teorico-dogmatica. Disciplinavano, innanzitutto, talune ipotesi
50 In questo caso il Progetto Sottocommissione C e il Progetto Carnelutti si dilungavano in
una serie di opzioni, a seconda se il creditore avesse deciso di adempiere lui stesso la
controprestazione (ed esercitare, poi, azione di regresso contro il debitore), ovvero ottenere
la prestazione da parte del terzo, e lasciare che questi agisse in executivis contro il debitore
(titolo esecutivo sarebbe stato dato dall'ordinanza apposita emessa dal giudice
dell'esecuzione). Il meccanismo può apparire abbastanza farraginoso, ma va considerato che
il codice civile del 1865, al contrario di quello attuale, pur prevedendo l'istituto della
compensazione, non prevedeva l'eccezione inadimplenti non est adimplendum (se non
all'art. 1469, che prevedeva la possibilità del venditore di non consegnare la cosa, se il
compratore non pagava il prezzo), novità assoluta introdotta con il vigente codice civile. Il
Progetto Carnelutti, quindi, va interpretato per quello che è: un tentativo di limitare – in
modo ingegnoso anche se abbastanza complesso – le distorsioni cui il codice di diritto
sostanziale dava luogo, offrendo un certo grado di tutela al debitor debitoris creditore del
debitore esecutato di una controprestazione. Per una disamina v. BIGLIAZZI GERI,
Risoluzione per inadempimento, Tomo II, in Commentario del Codice Civile Scialoja Branca, Roma Bologna, 1988, p. 1 ss. Cfr. anche artt. 67 ss. del codice di commercio del
1882.
51 Che per la verità – contrariamente ai due Progetti Carnelutti – regola a parte le ipotesi di
inibitoria processuale, per il caso di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo giudiziale,
chiesto dinnanzi al giudice del gravame.
26
di sospensione necessaria, che si sarebbero verificate ogni qualvolta il debitore
avesse proposto rituale e tempestiva opposizione all'esecuzione per contestare
«l'esistenza o la misura dell'obbligo accertato in uno dei titoli esecutivi»
stragiudiziali previsti dall'art. 468 lettera b del Progetto Carnelutti (470 lett. B
del Progetto Sottocommissione C, i.e.: «scritture private sottoscritte»), ovvero
l'efficacia del titolo esecutivo medesimo.
Accanto a questa ipotesi disciplinavano, poi, le ipotesi di sospensione
facoltativa, distinte a seconda che il titolo esecutivo fosse giudiziale o
stragiudiziale e che l'opposizione fosse proposta dal debitore o dal terzo. In
particolare, per le ipotesi di opposizione all'esecuzione del debitore avente ad
oggetto un titolo stragiudiziale diverso da una scrittura privata sottoscritta,
ovvero per quelle di opposizione di terzo dirette «a contestare l'esistenza o la
misura del diritto del debitore sui beni colpiti da esecuzione» l'esecuzione
forzata avrebbe potuto essere sospesa «purché la cognizione sommaria dei
motivi di opposizione» avesse convinto «il giudice che questa ha un serio
fondamento».
Per le ipotesi di opposizione a titolo giudiziale, ovvero di opposizione o
reclamo contro la sentenza, ordinanza o decreto medesimi, il Progetto
richiedeva oltre al serio fondamento dell'opposizione, anche il «serio pericolo
che il danno prodotto dalla esecuzione non possa venire risarcito».
In tutte le ipotesi di sospensione – necessaria o facoltativa – disposta a
seguito di opposizione, il Progetto richiedeva che questa fosse stata proposta
entro il termine (qualificato «di decadenza») di tre giorni «da quello fissato
per la convocazione preliminare» delle parti, ovvero dall'atto esecutivo del
quale si impugnava la validità.
All'art. 683 Progetto Carnelutti) (ed all'art. 666 Progetto Sottocommissione
C) si prevedeva, con una formulazione affine a quella di cui al vigente art. 624
bis, che al di fuori dei casi espressamente previsti, la sospensione avrebbe
potuto essere disposta solo con il consenso del creditore procedente e di tutti
gli intervenuti. Rispetto alla attuale formulazione mancava la – non del tutto
giustificata, se non proprio demagogica – previsione di un limite massimo alla
durata di tale sospensione concordata.
L'art. 684 Progetto Carnelutti (art. 667 Progetto Sottocommissione C)
prevedeva la possibilità che venisse disposta – solamente, però, in caso di
27
sospensione facoltativa e non anche di sospensione necessaria – la
sospensione parziale («rispetto a una parte del credito, per cui si procede,
ovvero rispetto ad alcuni atti esecutivi»).
I successivi articoli (685-688 del Progetto Carnelutti, 668-671
Sottocommissione C) disciplinavano, infine, la possibilità che la sospensione
venisse «in ogni caso»52 subordinata ad una cauzione, e le regole procedurali
vere e proprie per la concessione della sospensione medesima. Dalla
competenza (davanti al giudice dell'opposizione, ovvero davanti a quello ove
era stato impugnato il titolo giudiziale), al procedimento, agli effetti della
sospensione sul procedimento sospeso. Di notevole rilievo la circostanza che
l'ordinanza di sospensione avrebbe potuto contenere e prevedere deroghe al
divieto di compiere atti esecutivi durante la sospensione medesima (art.688
Progetto Carnelutti, art. 671 Sottocommissione C53), ovvero – al contrario –
ordinare la revoca di «atti esecutivi già compiuti» (sic!). Ambedue i
Progetti 54, infine, prevedevano che – qualora l'istanza di sospensione fosse
stata rigettata – la parte istante avrebbe potuto essere condannata, su istanza
del creditore, al pagamento di una pena pecuniaria.
I.8. I due Progetti Solmi del 1937 e del 1939
Nel 1937 e nel 1939 vengono presentati i due progetti a firma dell'allora
Guardasigilli Arrigo Solmi55.
Di sospensione si parla, innanzitutto, all'art. 450 del Progetto del 1939, ove
si prevedeva che l'esecuzione sarebbe potuta proseguire, in caso di morte del
debitore esecutato, contro gli eredi senza che fosse necessario sospenderla o
riassumerla, salva la necessità – qualora la morte fosse avvenuta tra la notifica
del precetto e l'inizio dell'esecuzione forzata – di notificare agli eredi un
nuovo precetto. La prima stesura del Progetto, del 1937, prevedeva invece che
il precetto notificato al debitore originario (art. 435) avrebbe mantenuto la sua
52 Dunque, apparentemente, anche in caso di sospensione necessaria.
53 Formulazione, questa, ripresa in parte dall’attuale art. 626 c.p.c.
54 Artt. 690 Progetto Carnelutti, 673 Sottocommissione C.
55 Cfr. MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto preliminare
e Relazione, Roma, 1937, p. I ss; e MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura
civile. Progetto definitivo e Relazione del Guardasigilli on. Solmi, Roma, 1939, p.110 ss.
28
efficacia contro gli eredi; mentre si sarebbe richiesto un nuovo precetto solo
qualora il creditore avesse voluto procedere su beni propri dell'erede.
Di sospensione, ancora, la prima stesura del Progetto Solmi parlava all'art.
439, a proposito di opposizione del debitore. Conformemente alla sua linea
ispiratrice, nel senso di semplificare le forme dell’esecuzione e predisporre
una rigida disciplina delle opposizioni56 , il Progetto prevedeva che la
proposizione dell'esecuzione, in sé, non avrebbe sospeso l'esecuzione, ferma
restando la facoltà per il giudice «esaminato sommariamente il fondamento
dell'opposizione, di sospendere gli atti esecutivi, ad eccezione del
pignoramento, con cauzione o meno». Vi sarebbe stata, invece, sospensione
necessaria «anche del pignoramento», se il debitore avesse depositato una
somma pari al credito per cui si procede e un ulteriore importo, determinato
dal giudice, corrispondente alle spese presunte del giudizio di opposizione. La
norma venne mantenuta anche nella stesura definitiva del Progetto, all'art.
45157 .
Circa l'approccio generale del Progetto Solmi alla sospensione
dell'esecuzione, va detto che esso – contrariamente, come visto, ai due
Progetti elaborati da Carnelutti – non prevedeva una trattazione generalizzata
ed un inquadramento sistematico del c.d. Istituto. È opportuno, forse,
richiamare le parole della Relazione al progetto preliminare: «Per quanto
riguarda la disciplina delle opposizioni il progetto parte dalla considerazione
che il possesso del titolo esecutivo dà al diritto del creditore un saldo
fondamento di verità, che non può essere scosso da semplici affermazioni del
debitore. Pertanto esso pone come principio generale che le opposizioni del
debitore non sospendono la esecuzione, salvo che il giudice, delibatane la
fondatezza, non ritenga di emanare un ordine di sospensione (art. 439). Il
principio vale così per la esecuzione mobiliare che per quella immobiliare e
per qualsiasi altro procedimento esecutivo»58.
Così MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto
preliminare e Relazione, Roma, 1937, p. XXXVIII.
56
57 In effetti la principale differenza, in materia di opposizioni, tra le due stesure del
Progetto Solmi è data dall'introduzione, all'art. 452 del Progetto definitivo, della possibilità
di proporre opposizione a precetto.
58 MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto preliminare e
Relazione, cit., p. XLVI.
29
Non di una vera e propria sospensione si parlava – a proposito di
esecuzione forzata su beni mobili - nel Progetto preliminare, per il caso di
contestazioni rispettivamente sorte in sede di assegnazione delle cose
pignorate o di «reparto» delle somme (art. 461 e 473 Progetto preliminare).
Che l'assegnazione e/o la distribuzione, comunque, non sarebbero potute
proseguire, fino alla decisione delle controversie, si deduce dall'art. 473
ultimo comma. Tale norma, in particolare, stabiliva che il pretore avrebbe
potuto provvedere ad una assegnazione parziale delle somme, nel caso in cui
essa non fosse impedita dalla contestazione.
In ogni caso nel Progetto definitivo (art. 488, richiamato, per le
assegnazioni, dall'art.474) venne espressamente stabilito che, qualora non
fosse stato competente a decidere sulla controversia sorta in sede di
distribuzione, il pretore avrebbe sospeso «di procedere al reparto», rimettendo
le parti innanzi al tribunale.
Una disposizione sostanzialmente analoga a quella prevista a proposito di
controversie in sede di distribuzione, era quella introdotta, sempre dal
Progetto preliminare Solmi, per il caso di introduzione del giudizio di
accertamento dell'obbligo del terzo, in caso di pignoramento presso terzi.
Anche in questo caso (art. 479 del Progetto preliminare, art. 496 del Progetto
definitivo), il pretore avrebbe dovuto, ove non fosse stato competente,
rimettere le parti davanti al tribunale, previa assegnazione delle eventuali cose
o somme non contestate.
Anche in questo caso il Progetto – stavolta sia nella sua stesura preliminare
che in quella definitiva – non prevedeva alcuna sospensione dell'esecuzione.
Si sarebbe trattato, per la verità, di una previsione, a conti fatti, superflua: se
non fosse esistito alcun credito del debitor debitoris, ovvero questo fosse stato
contestato, il pretore non avrebbe potuto assegnare alcunché.
Il Capo IV delle due stesure del Progetto Solmi era dedicato alle
opposizioni alle esecuzioni mobiliari. Una delle principali differenze tra le due
stesure del Progetto è data dal differente riparto delle competenze: se nel
Progetto preliminare il pretore avrebbe avuto cognizione su tutte,
indistintamente le opposizioni proposte dal debitore (sempre per il caso di
esecuzioni mobiliari o presso terzi), nel Progetto definitivo si adottò una
soluzione più articolata. L'art. 501 prevedeva una prima fase – affine a quella
30
oggi prevista dagli artt. 615 e 617 – cautelare, nel corso della quale il pretore
avrebbe provveduto alla eventuale sospensione dell'esecuzione, fissando – se
incompetente 59 - un termine per la riassunzione della causa davanti al
tribunale. Significativa la norma di cui all'ultimo comma dell'art. 501, secondo
cui le decisioni del pretore in ordine alla competenza ed alla sospensione non
sarebbero state soggette ad impugnazione.
Quanto alle «domande di separazione» sui beni pignorati – a quelle
opposizioni, cioè, con le quali i terzi pretendevano far valere la proprietà o
altro diritto reale su beni mobili pignorati - il Progetto preliminare Solmi
prevedeva, anche in questo caso, una prima fase cautelare, con competenza
generalizzata del pretore.
Nel corso di questa prima fase il pretore avrebbe dovuto decidere sulla
eventuale sospensione. Peculiare il fatto che la sospensione avrebbe dovuto
necessariamente essere subordinata alla prestazione di una cauzione «per le
spese e per i danni, salvo che il terzo sia notoriamente solvibile» (art. 484).
Il carattere obbligatorio della cauzione fu eliminato, invece, nel Progetto
definitivo (art. 502), che rese la la cauzione meramente facoltativa, a
discrezione del giudice.
Superata la fase cautelare, sia nel Progetto preliminare che in quello
definitivo, il pretore avrebbe dovuto decidere il merito della domanda di
separazione, se competente, ovvero rimettere le parti davanti al tribunale.
Un divieto generalizzato di sospendere la vendita era previsto dall'art. 488
del Progetto preliminare e dall'art. 506 del Progetto definitivo, per il caso di
pignoramento di beni (sempre mobili) deteriorabili o su «frutti che non
possono essere conservati». In questo caso veniva però tale restrizione veniva
compensata dalla possibilità di sospendere l'assegnazione del prezzo.
59 Ferma restando la competenza del pretore per la fase cautelare, il Progetto definitivo
Solmi aveva introdotto un riparto di competenze tra pretore e tribunale, a seconda
dell'oggetto dell'opposizione. In particolare accoglieva la distinzione – riproposta in parte
dal codice vigente – tra opposizioni sostanziali, con le quali si contesta il «diritto del
creditore» e opposizioni formali, aventi ad oggetto la validità degli atti esecutivi e la
notificazione del titolo e del precetto. Le opposizioni formali, appunto, sarebbero state
sempre di competenza del pretore, mentre quelle sostanziali sarebbero state, rispettivamente,
di competenza del pretore o del tribunale a seconda del valore. Circa la distinzione tra
opposizioni formali e sostanziali nel Progetto definitivo Solmi cfr. la Relazione in
MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto definitivo e
Relazione del Guardasigilli., cit., p.128.
31
In caso di esecuzioni su beni immobili, il Progetto preliminare attribuiva,
innanzitutto, al giudice dell'esecuzione la competenza su «tutti i giudizi di
opposizione e tutte le altre controversie che hanno relazione con la procedura
esecutiva». Per le opposizioni non erano previste, salvo per quanto si è detto a
proposito della competenza del giudice dell'esecuzione, regole speciali. Si
faceva rinvio, dunque, alle regole generali dettate dal titolo primo.
Competente a decidere sulla eventuale sospensione sarebbe stato, ovviamente,
il giudice dell'esecuzione.
Nella fase di distribuzione il Progetto Solmi, prevedeva la possibilità che
sorgessero contestazioni (art. 520 del Progetto preliminare, art. 546 del
Progetto definitivo). Analogamente a quanto si è detto supra, a proposito delle
esecuzioni mobiliari, anche qui il giudice (dell'esecuzione) avrebbe potuto
procedere ad una assegnazione parziale delle somme, qualora le contestazioni
non fossero state a ciò d'ostacolo. Come logico corollario – sebbene non si
parlasse, qui, di sospensione vera e propria - non vi sarebbe stata alcuna
distribuzione nel caso contrario, qualora, cioè, le contestazioni sul progetto di
distribuzione fossero state «di ostacolo ad una parziale assegnazione». Come
anticipato, qui la previsione di una sospensione in senso stretto non fu
introdotta neppure in sede di Progetto definitivo. Il differente regime si spiega
col fatto che nell'esecuzione mobiliare la sospensione fu introdotta dal
Progetto Solmi per l'ipotesi che il pretore non fosse stato competente a
decidere sul merito della causa. Riassunto il giudizio sul merito davanti ad un
giudice diverso, occorreva porsi il problema delle sorti dell'esecuzione. Di qui
la opportunità di prevedere l'emissione di un provvedimento cautelare vero e
proprio. Di contro nell'esecuzione immobiliare l'intera fase dell'opposizione si
sarebbe svolta dinanzi al medesimo giudice dell'esecuzione. Non vi era alcuna
necessità, dunque, di una sospensione vera e propria: non si sarebbe potuto
procedere all'assegnazione, nelle more che fosse stata pendente la controversia
sul progetto di distribuzione.
Per il caso di domande di separazione 60, in ambedue le stesure del Progetto
era prevista la generale competenza del giudice dell'esecuzione (art. 519 del
Progetto preliminare ed art. 547 del Progetto definitivo). Il giudice avrebbe
60 V. supra, per la definizione.
32
dovuto, innanzitutto, «esaminati sommariamente i motivi» della domanda,
decidere sulla eventuale sospensione, con o senza cauzione. La cauzione, va
precisato, era prevista – al contrario di quanto accadeva per il caso di
esecuzioni mobiliari - come eventuale e a discrezione del giudice, anche nella
stesura preliminare del Progetto.
Ulteriori previsioni in materia di sospensione erano inserite all'art. 548 del
Progetto preliminare. Si prevedeva, in particolare, che l'opposizione proposta
contro il precetto di rilascio non avrebbe sospeso l'esecuzione, fermo restando
che l'autorità giudiziaria avrebbe potuto sospendere la vendita e che, in ogni
caso, prima che l'opposizione fosse stata decisa, non avrebbero potuto
«assegnarsi al creditore le somme ricavate dall'esecuzione».
Il divieto di sospensione, comunque, venne meno nel Progetto definitivo,
con conseguente applicazione delle regole generali.
I.9. Le codificazioni dell’epoca fascista (qualche breve cenno)
Prima di addentrarci nell’esame delle norme sulla sospensione dettate dalla
formulazione «definitiva» del codice del 1940 e dalle successive modifiche
fino ai giorni nostri è opportuna una brevissima riflessione sulla codificazione
fascista in generale.
L’aggettivo «fascista», ovviamente, viene qui utilizzato in senso
esclusivamente storico, per identificare quell’articolata legislazione che venne
prodotta in Italia sotto il governo e la dittatura di Mussolini. Con l’uso del
termine, per contro, non si intende attribuire, per ciò solo, una precisa
colorazione ideologica alle leggi ed alle norme; e ciò per la specifica ragione
che una legislazione può essere figlia di un’idea, ma al contrario dei figli
biologici - che hanno sempre un unico padre, seppure non certo - una
legislazione ne ha sempre più di uno. Il suo concepimento, infatti, trae origine
- oltre che dalla ideologia politica dominante - anche da numerose altre idee,
prime fra tutte quelle provenienti dalla naturale evoluzione della materia che
la legge vuole disciplinare (dunque, la scienza giuridica e, specificamente, la
scienza processuale); ma anche dalle istanze sociali, dall’industrializzazione
di un paese, dalla forza dei gruppi sociali come la Chiesa, ecc. Come per ogni
figlio che si rispetti, inoltre, nulla vieta che la legge possa prendere vita
propria, e possa perfino rispondere o adattarsi ad esigenze e idee assai diverse
33
da quelle che l’avevano partorita; allo stesso modo di come - mutatis mutandis
- un muro può bene essere utilizzato per riparare dal vento o per dare ombra,
anche quando sia stato costruito per proteggere un cortile dai ladri.
Ne è la riprova che proprio i caratteri che, durante il ventennio, furono
qualificati come chiaro indice dell’ideologia fascista - poteri inquisitori del
giudice, pubblicizzazione del processo - furono spesso ripresi dalla
legislazione repubblicana e reinterpretati in chiave costituzionale e sociale.
Fatta questa premessa risulta però assai arduo spingersi a negare ogni ponte
tra il complesso fenomeno della codificazione degli anni ’40 (con i prologhi
degli anni ’30 61) e l’ideologia fascista.
I codici, e questo è un fatto, furono emanati in pieno periodo fascista. Essi,
si dice comunemente, furono il prodotto in realtà di una classe giuridica di
stampo liberale, formatasi attorno al diritto romano, e che si compromise col
regime soltanto fino a un certo punto. Ma dire che vi si compromise «fino a un
certo punto» non vuol dire arrivare a sostenere che non vi si compromise
affatto; se è vero che se si interpreta alla lettera il carattere liberale del
legislatore del 1940 si correrebbe «il rischio di ritenere che il fascismo non sia
esistito» 62.
Se è vero, infatti, che la codificazione fascista non si spinse agli eccessi
della sua omologa tedesca, è vero che essa non lesinò disposizioni - ad
esempio nel codice civile - neppure in materia di leggi razziali63.
L’ispirazione fascista, o meglio: la concezione autoritaria che dal fascismo
fu adottata, è stata ravvisata, dalla dottrina, in parecchi punti della legislazione
civile, al di là dell’art. 1 c.c. sopra citato. Nella legislazione sostanziale essa è
61 Cfr. la legge n. 995 del 10 giugno 1930 sul fallimento; per una disamina si rinvia agli
studi di RONDINONE, Storia inedita della codificazione civile, Milano, 2003, p.5 ss.
62 CIPRIANI, Storie di processualisti e di Oligarchi, cit., p.63 nt.48.
63 Emblematico il caso del terzo comma dell’art. 1 c.c, abrogato dall’art. 1 r.d. 20 gennaio
1944 n. 25 e dall’art. 3 d.lgs. lgt. del 14 settembre 1944 n. 287. La norma in esame, dopo
avere sancito che la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita (comma primo)
e che i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della
nascita, affermava - testualmente - che «Le limitazioni alla capacità giuridica derivanti
dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali», cfr. per una
disamina delle problematiche della codificazione nel suo complesso: RONDINONE, Storia
inedita della codificazione civile, cit., p.5 ss. ed in part. p. 595. Per quanto riguarda il codice
di procedura civile in particolare si rinvia a CIPRIANI, Il codice di procedura civile tra
gerarchi e processualisti, Napoli, 1992, p.13 ss e p. 38-52.
34
stata individuata nella concezione corporativistica, evidente anche nella stessa
architettura del testo normativo: è noto che il codice civile, nella sua versione
attuale, accorpa in un unico libro, rubricato «del lavoro», le attività
professionali, il lavoro autonomo, il lavoro subordinato, l’impresa, l’azienda,
le società ed i consorzi.
Nella legislazione processuale il sottofondo «fascista», secondo parte della
dottrina, è visibile in un certo impianto autoritario, che pone il giudice al
centro del processo e gli attribuisce (precisamente all'istruttore) il potere
intero di direzione ed impulso64.
Volendo, comunque, cercare un trait d’union in tutta la legislazione civile,
sostanziale e processuale, di epoca fascista, è possibile ravvisarlo nella
generale pubblicizzazione del diritto civile, sostanziale e processuale;
deprivatizzazione ravvisata (e quasi sempre lodata) dai primi commentatori. Si
rinvia, per tutti, alle parole di Mariano D’Amelio che, nel 1942, nel
commentare la riforma al codice civile affermava: «la maggiore deduzione,
che si può trarre dalla disposizione di questo codice è il pericolo di morte che
sovrasta al diritto privato. è proprio questa la nota di maggiore interesse che
presenta l’insieme del nuovo codice di diritto civile. Chi scorre attentamente
le sue disposizioni vedrà come siano scarse quelle che non siano d’ordine
pubblico o di pubblico interesse. Norme derogabili vi sono, ma costituiscono
piccole isole nell’oceano delle norme pubblicistiche. È lo Stato autoritario
64 CIPRIANI, Prefazione a JUAN MONTERO AROCA, I principi politici del nuovo processo
civile spagnolo, Napoli, 2002, p. 1 ss.; ID., Autoritarismo e garantismo nel processo civile,
in Riv. dir. proc., 1994, p. 24 ss.; ID. il codice di procedura civile tra gerarchi e e
processualisti, cit., p.13 ss e p. 38-52; ID., I problemi del processo di cognizione tra passato
e presente., cit., ibidem; ID., La ribellione degli avvocati al c.p.c. del 1942., cit., ibidem;
MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, p.336, secondo cui l'ideologia
immanente all'intero impianto del codice di procedura civile si traduce nell'esaltazione di
«un potere e/o interesse pubblico, che sovrasta i diritti delle parti e d esse si impone. Da ciò
consegue l'indiscriminato accrescimento dei poteri del giudice, organo che impersona tale
interesse e tale potere»; e ID. «La grande illusione, in Il Giusto processo civile, 2008, p.621;
ID., Il processo societario innanzi alla Corte costituzionale, in Il giusto processo civile,
2008, p.169; S ATTA , Commemorazioni del codice di procedura civile del 1865, in I D .,
Quaderni del diritto e del processo civile, I, Padova, 1969, p. 94, ove si afferma che
«il codice vigente, nato sotto un regime autoritario, è (e non poteva non essere,
anche se gli ispiratori avessero voluto fare altrimenti) un codice autoritario»; I D .,
Storia e «pubblicizzazione» del processo in Soliloqui e colloqui di un giurista,
Padova, 1968, p. 211 ss.; I D ., Intorno al concetto di verità materiale o oggettiva. cit.
ibidem.
35
che si afferma sempre di più e fissa la disciplina degli istituti. Oggi vi è quasi
una esitazione a nominare soltanto il diritto privato»65.
Una forte pubblicizzazione, del resto, è ravvisabile anche nella legge
fallimentare, approvata con R.D. del 16 marzo 1942 n.267, pubblicato in
Gazzetta Ufficiale n. 81, ed. straord. del 6 aprile 1942, con entrata in vigore
alla data del 21 aprile 1942 (dunque lo stesso giorno del codice civile,
approvato con R.D. 16 marzo 1942 n. 262, pubblicato in gazzetta ufficiale n.
79, ed. straord. del 4 aprile 1942 n. 262). Al di là dell'esistenza di reati
fallimentari, della forte presenza di poteri inquisitori del giudice, del ruolo
preponderante del giudice delegato in tutte le fasi della procedura,
dell’esistenza (nel testo previgente) della dichiarazione di fallimento d’ufficio,
è ravvisabile – nelle scelte del legislatore del 1942 – una direttrice di fondo, di
riconoscere un interesse statuale, distinto da quello dei singoli creditori, alla
65 D’AMELIO, La codificazione italiana e la sua evoluzione storica, conf. del 21 marzo
1942, in CIRCOLO GIURIDICO DI MILANO, Linee fondamentali della nuova legislazione civile
italiana sulla famiglia, la proprietà privata, il lavoro e l’impresa, Milano, 1943, p. 3 ss. Del
resto si rammenta che, nell’immediato dopoguerra, studiosi di area vicina alla sinistra
chiesero l’immediata soppressione del codice civile. Cfr., sul c.d. «caso Mossa»,
RONDINONE, Storia inedita della codificazione civile, cit., p.595 ss.
36
dichiarazione di insolvenza ed alla espulsione dal sistema economico
dell'impresa66.
In questo contesto si inserisce la riforma del codice di procedura civile del
1940, e - per quel che in questa sede interessa - la riforma delle norme sulla
sospensione del processo esecutivo.
66 Si vedano le osservazioni di Satta, secondo cui, nell'impianto normativo del regio decreto
del 1942, «l'impresa nella economia generale trascende la particolarità del soggetto, si
distacca da esso, e ciò si manifesta specialmente quando sopraggiunge lo stato di
insolvenza, rispetto al quale i termini privatistici non hanno più senso»: SATTA, Diritto
fallimentare, 3° ed., Padova, 1996, p.65. Vale la pena, sul punto, di richiamare le parole del
Guardasigilli Dino Grandi, nella Relazione di accompagnamento alla legge fallimentare del
1942 (probabilmente opera dello studioso di diritto commerciale, e convinto sostenitore del
Regime, anche negli anni della Repubblica Sociale Italiana, Alberto Asquini: «Nelle sue
linee generali la presente legge reagisce decisamente alla concezione troppo liberalistica
del codice del 1882, e sviluppa su un piano organico i principi affermati dalla legge rocco
del 1930 nel senso di una più energica tutela degli interessi generali sugli interessi
individuali dei creditori e del debitore. Si suole a questo proposito parlare di una nuova
concezione pubblicistica del fallimento in contrapposto a una tradizionale concezione
privatistica». Ed ancora: «la nuova legge assume la tutela dei creditori come un altissimo
interesse pubblico e pone in essere tutti i mezzi perché la realizzazione di questa tutela non
venga intralciata da alcun interesse particolaristico, sia del debitore sia dei singoli
creditori. Rispondono a questi criteri la nuova disciplina degli organi preposti al fallimento,
con un accrescimento dei poteri del tribunale e del giudice delegato; la concentrazione dei
poteri, assegnati dalla legislazione anteriore alla assemblea dei creditori, nel comitato dei
creditori, nominato dal giudice delegato; l'estensione della procedura monitoria per
l'accertamento del passivo anche all'accertamento dei diritti reali dei terzi sui beni
mobiliari in possesso del fallito; la semplificazione delle norme circa la liquidazione
dell'attivo; le nuove più severe norme circa il fallimento delle società commerciali; la più
spedita disciplina del concordato fallimentare e preventivo; la semplificazione della materia
dei gravami. (…) Consapevole del danno che l'insolvenza dell'impresa reca all'economia
generale, la nuova legge è giustamente severa nelle sue sanzioni, dove vi sono
responsabilità personali da colpire, come risulta dalle norme penali che la integrano, aliene
da ogni malintesa indulgenza. Ma non meno presente è nel sistema della nuova legge il
senso di umanità, come appare dalla posizione fatta al fallito durante il fallimento in
relazione ai beni che costituiscono strumenti essenziali di vita e di lavoro, come appare dal
nuovo istituto della riabilitazione civile del fallito, come appare dalla nuova più larga
disciplina data all'istituto del concordato preventivo, fiancheggiato a sua volta dal nuovo
istituto dell'amministrazione controllata. La nuova legge ha inteso soprattutto uniformarsi
ai principi generali ispiratori della nuova codificazione fascista. Essa va diretta al suo
scopo dovunque è in gioco la tutela di un interesse generale; mantiene una linea di
moderazione, dovunque si tratta di dirimere contrasti tra interessi individuali divergenti. la
nuova legge vuole essere così, anche in tema di fallimento, una legge di giustizia sociale».
Per una disamina v. RUSSO, L'iniziativa per la dichiarazione di fallimento, in APICE (a cura
di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del
fallimento, Torino, 2010, p. 73 ss.
37
I.10. La sospensione dell'esecuzione nell'originaria previsione del codice
di procedura civile del 1940
Contrariamente al legislatore del 1865, come detto, ed alla maggior parte
dei redattori dei progetti che si erano succeduti nei decenni a cavallo tra l'unità
d'Italia e la seconda guerra mondiale, i conditores del 1940 affrontarono il
tema della sospensione dell'esecuzione in modo organico e – sotto certi aspetti
– dogmatico.
Prima ancora, a dire il vero, lo spirito dogmatico - sistematico riguardò
l’intera materia del processo di esecuzione67 : «Il libro terzo del Codice,
dedicato al processo di esecuzione, è quello nel quale più che negli altri si è
sentito il bisogno di dare agli istituti, anche nella formulazione delle norme e
nel loro raggruppamento, una impostazione sistematica più corrispondente ai
progressi della scienza processuale. In questi ultimi decenni la dottrina
italiana si è dedicata con speciale amore all’approfondimento della teoria del
processo esecutivo: e la rinnovazione profonda di tutta questa parte del nuovo
Codice mostra che la nobile fatica degli studiosi non è stata compiuta
invano»68.
Coerentemente con la nuova impostazione, e analogamente a quanto era
stato tentato nel Progetto Sottocommissione C e nel Progetto Carnelutti, sopra
menzionati, il legislatore optò anche per raggruppare le norme generali e
comuni sulle esecuzioni forzate in un titolo introduttivo (Titolo I, rubricato:
«Del titolo esecutivo e del precetto») e nei due titoli finali (Titolo V: «Delle
67 Cfr. CIPRIANI–IMPAGNATIELLO (a cura di), Codice di procedura civile con la relazione al
Re, cit., p.296.
68 È, forse, opportuno ricordare quelli che furono - secondo la Relazione al Re - i caratteri
distintivi della riforma delle esecuzioni forzate: a) affrancamento del processo esecutivo
dalla terminologia e dagli schemi del processo contenzioso (e.g., superamento dello schema
dello schema della citazione e della successiva sentenza di autorizzazione alla vendita, di cui
si è detto supra; Cfr. Relazione al Re, par. 31: «Questo spreco di forme contenziose in un
processo in cui non sussiste contesa derivava dalla mancanza di chiara distinzione teorica
tra i due momenti»); b) distinzione del procedimento esecutivo vero e proprio dalle fasi di
cognizione che eccezionalmente possono incidere suo suo corso (i.e., le opposizioni dei
debitori e dei terzi); c) centralità del giudice dell’esecuzione (secondo una visione autoritaria
dello Stato e del processo, in parallelo alla centralità del giudice istruttore nel processo
civile di cognizione); d) bilanciamento dell’interesse del creditore con quello del debitore; e)
attenzione agli interessi collettivi e statuali, sovraordinati all’interesse delle «parti» private
creditore e debitore. Relazione al Re, par.31, in CIPRIANI–IMPAGNATIELLO (a cura di),
Codice di procedura civile con la relazione al Re, cit., p.298.
38
opposizioni all’esecuzione e Titolo VI «Della sospensione e dell’estinzione
del processo»).
Alla sospensione dell’esecuzione la codificazione del 1940 dedicava,
precisamente, il Capo I del Titolo VI del Libro III, laddove il Capo II era
dedicato all’estinzione. Si tratta(va) di un sistema di sei articoli, ai quali vanno
aggiunte le ulteriori regole dettate a proposito delle opposizioni e
dell’inibitoria processuale.
Tale impianto - o meglio, i sei articoli specificamente compresi nel Capo in
esame - rimase pressoché immutato anche a seguito della riforma del 1950, e
fino alla novella del 2005; ad eccezione di taluni dettagli (quale il termine di
cui all’art. 627c.p.c. per la riassunzione del procedimento esecutivo sospeso,
che fu portato dagli originari tre agli attuali sei mesi).
Sarebbe, tuttavia, inesatto affermare che l’istituto della sospensione non
subì modifiche, negli oltre sessant’anni intercorsi tra la sua entrata in vigore e
la novella del 2005. Vi è, infatti, che la legge n. 581 del 14 luglio 1950 incise
su numerose norme connesse a quelle specificamente regolate nel nel libro
terzo del codice, quali - senza pretese di completezza - l’art. 373 c.p.c. a
proposito di inibitoria in caso di ricorso per cassazione.
I canoni, comunque, che furono seguiti dal legislatore, possono essere, con
una certa approssimazione, così riassunti:
- competenza del giudice dell’esecuzione, ovvero del giudice dinanzi al
quale il titolo esecutivo è impugnato, a pronunciarsi sulla sospensione69;
- tipicità delle ulteriori ipotesi «previste dalla legge»;
- eccezionalità della sospensione in caso di opposizione, concedibile solo in
presenza di «gravi motivi»;
- divieto di compiere atti esecutivi in pendenza di sospensione (divieto,
però, derogabile dal giudice);
69 Per i problemi di coordinamento di detta norma con l’art. 373 c.p.c. (che nella sua stesura
originaria attribuiva alla Cassazione il potere di sospendere l’efficacia esecutiva della
sentenza impugnata), come modificato dalla novella del 1950 (che attribuì, come noto, tale
potere al giudice a quo, v. infra. Per le osservazioni a caldo della riforma del 1950, cfr.
ANDRIOLI, Commento al Codice di Procedura Civile, 2° ediz., Napoli, 1947, vol. III, p. 380;
FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 1956, p. 3 ss. Per l’esegesi storica
dell’art. 623 c.p.c. si rinvia a SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III,
Milano, 1959, p. 472 ss.; SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p. 876 ss.
39
- riassunzione del processo esecutivo sospeso, entro un termine decorrente
dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ovvero dalla
comunicazione della sentenza della corte di appello che rigetta l’opposizione.
Al di là delle specifiche scelte particolari, contenute nelle singole
disposizioni, la scelta «dogmatica» del legislatore - di dettare una disciplina
generale e unitaria, ebbe come conseguenza quella di accentuare - in un certo
senso - il carattere di «istituto autonomo» della sospensione dell’esecuzione.
Come contraltare - stante, anche, l’esistenza di una certa simmetria, nel codice
del 1940, tra il processo di cognizione e quello esecutivo 70 - si affrontò ex
professo il rapporto tra la sospensione del processo di cognizione, disciplinata
dagli artt. 295 ss. c.p.c. e quella del processo esecutivo, oggetto della presente
indagine.
70 Va detto che il legislatore tentò, rispetto al codice del 1865, di affrancare il processo
esecutivo dagli schemi del processo di cognizione: si pensi, a tacer d’altro, all’abbandono,
nel pignoramento immobiliare, della citazione per autorizzazione alla vendita (art. 665) e del
conseguente procedimento di cognizione, che culminava con un atto avente forma di
sentenza (v. supra nt. 42 e nt. 43, anche a proposito del Progetto Mortara). Tuttavia il filo
conduttore della riscrittura del processo esecutivo seguì - come si evince dalla Relazione al
Re - le medesime linee guida della riforma del processo di cognizione: pubblicizzazione del
processo, rafforzamento dell’autorità dello Stato, nella persona del giudice dell’esecuzione
(che finisce con l’assumere un ruolo di direzione accostabile a quello del giudice istruttore
nel processo di cognizione): «La rinnovazione del processo esecutivo è orientata, in ogni
sua parte, agli stessi criteri di rafforzamento dell’autorità dell’organo giudiziario e di
semplificazione formale alla quale è ispirata tutta la riforma. Come il giudice istruttore nel
processo di cognizione, così il giudice dell’esecuzione (art. 484) sta al centro del processo
esecutivo, per dirigere, coordinare, stimolare le attività degli interessi che vi partecipano.
Anche la esecuzione forzata non si inizia senza istanza di parte: ma, mentre nella legge
finora in vigore anche lo svolgimento dell’ulteriore procedimento esecutivo era lasciato
quasi per intero all’iniziativa unilaterale del creditore procedente, l’attiva partecipazione
del giudice dell’esecuzione servirà d’ora innanzi a chiamare attorno a lui i vari interessati
all’esecuzione, e gli darà modo, prima di ordinare i più importanti atti di disposizione, di
ascoltare direttamente le loro voci (art. 485) e di tener conto, informandosi dei vari loro
punti di vista, di tutti gli aspetti del caso concreto»: Relazione al Re, par.31.
40
II. Sulla «sospensione» (o sulle «sospensioni») in generale e sulle
sospensioni dell’esecuzione in particolare.
Si è già evidenziato nel capitolo precedente che il legislatore del 1940,
ponendosi in discontinuità rispetto al suo predecessore postunitario, introdusse
delle norme generali sulla sospensione.
Di sospensione, per l’esattezza, il codice di rito parla a proposito di due
istituti. Innanzitutto nel libro secondo, in tema di processo di cognizione, e
segnatamente al capo settimo del titolo primo (artt. 295-298). Infine, come
detto, nel libro terzo del processo di esecuzione, e segnatamente al capo primo
del titolo sesto.
Notiamo, in primo luogo, la sostanziale identità delle locuzioni adoperate
dal legislatore: tanto a proposito del processo di cognizione, quanto di quello
di esecuzione si parla sempre e comunque di «sospensione del processo».
Ed invero, come fu evidenziato all’indomani dell’entrata in vigore del
codice, la principale differenza tra i due capi è data dal fatto che nel processo
di cognizione a sospensione ed estinzione viene affiancata l’interruzione,
istituto, invece, assente nel capo dedicato al processo esecutivo1. Tale assenza,
si segnalò, era da imputare alla specificità delle ipotesi di interruzione nel
processo di cognizione, che riguardano ipotesi che colpiscono la persona delle
parti, ovvero dei loro difensori, di modo che il contraddittorio viene
«interrotto». Tale esigenza non sussiste, di contro, nel processo esecutivo, ove
l’esigenza del contraddittorio non esiste, almeno non nella sua pienezza,
caratteristica del processo di cognizione.
Preso atto della specularità tra i due capi e tra le locuzioni ivi adoperate, già
i primi commentatori, allora, si interrogarono se il dato linguistico non fosse
indice, al contempo, di una - se non proprio identità - quantomeno omogeneità
e vicinanza concettuale tra le due forme di sospensione; se, in particolare,
entrambe potessero considerarsi differenti species di un unico istituto, con
caratteri comuni.
Il panorama di opinioni, al riguardo, è assai variegato. Secondo un primo
orientamento il parallelismo sarebbe da imputare esclusivamente al «gusto
1 JAEGER, Diritto processuale civile, Torino, 1944, p.660.
41
letterario del legislatore», atteso che le due forme di sospensione non
avrebbero nulla in comune 2. Ed invero, l’esigenza di sospendere il processo di
cognizione sarebbe dettata dall’esigenza di coordinare più giudizi, legati tra
loro da un rapporto di pregiudizialità. Di contro la sospensione del processo
esecutivo sarebbe il naturale contrappeso dell’azione esecutiva, e della «sua
intrinseca unilateralità che esclude il contraddittorio» 3.
La sospensione - in particolare - sarebbe sì coordinata a un giudizio, ma si
tratterebbe comunque di un giudizio sulla legittimità dell’azione esecutiva (di
«impugnazione» lato sensu del titolo esecutivo) e si concreterebbe nella
instaurazione di un contraddittorio, che alla procedura esecutiva sarebbe
estraneo. Non vi sarebbe, dunque, un rapporto di pregiudizialità tra due
giudizi, atteso che nella sospensione dell’esecuzione, il giudizio sarebbe
sempre uno solo 4.
Avverso tale impostazione si è, tuttavia, obiettato che il rapporto che lega,
nella sospensione all’esecuzione, il processo esecutivo da sospendere con
quello di opposizione è riconducibile, comunque, al fenomeno della
pregiudizialità; con la peculiarità, però, che nelle ipotesi di cui agli artt. 623
ss. c.p.c. i due processi non sarebbero omogenei (ma, rispettivamente, uno di
cognizione ed uno di esecuzione)5 , al contrario di quanto avviene nelle ipotesi
di sospensione del processo di cognizione.
Una posizione che si potrebbe considerare intermedia - anche se
concettualmente più vicina alla prima, della quale costituisce, anzi,
un’evoluzione - è quella di chi distingue tra fenomeno in sé ed effetti
conseguenti, da un lato, e funzione dall’altra. In particolare i due fenomeni di
sospensione sarebbero identici, consistendo in una pausa o anche uno «iato»
nel corso del procedimento (sia esso di cognizione o di esecuzione). L’identità
2 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959 p. 499.
SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., ibidem. Si rinvia alle
considerazioni svolte al capitolo I, nel commento alle corrispondenti disposizioni del codice
Pisanelli.
3
4 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., ibidem; nello stesso senso v.
anche MICHELI, L’esecuzione forzata, appunti dalle lezioni di diritto processuale civile,
Anno Accademico 1960-1961, in Corso di diritto processuale civile, Milano, 1961, p. 96 ss.
(appendice).
5 CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. FURNO, La sospensione
del processo esecutivo, Varese, 1956, p. 19 ss.
42
dei fenomeni giustificherebbe, inoltre, la identità di effetti (durante il processo
sospeso non possono compiersi atti del procedimento). Diverse, per contro,
sarebbero le funzioni dei due istituti: esigenza di coordinare due giudizi, nel
caso della sospensione del processo di cognizione, necessità - nella
sospensione dell’esecuzione - di risolvere una controversia che incide
sull’esercizio e sullo svolgimento dell’azione esecutiva stessa «realizzando
appunto un’interferenza fra un processo di cognizione e il processo
esecutivo»6.
Le sospensioni del processo di esecuzione - includendo in questa locuzione
anche le sospensioni disposte dal giudice dell’impugnazione del titolo e quelle
speciali previste dalla legge - del resto presuppongono l’esistenza non di una
pregiudizialità di un accertamento rispetto a un altro, quanto piuttosto
l’esistenza di «gravi motivi». Sebbene detta formula, come si vedrà infra,
subisca delle varianti nelle singole fattispecie, divenendo ora «gravi e fondati
motivi» , ora «grave e irreparabile danno», ora essendo espressamente
tipizzata (è il caso delle sospensioni speciali, come in materia di usura ed
estorsione), la dottrina è solita ricondurla sempre alla coppia fumus boni iuris
e periculum in mora 7. Nella sospensione del processo di cognizione tale
necessità non sembra sussistere; la sospensione è piuttosto lo strumento per
evitare la contraddittorietà dei giudizi, ovvero l’eventualità che il processo
non sospeso possa essere inutilmente proseguito.
La dottrina, al riguardo, nell’evidenziare i punti di contatto e di distacco
delle due sospensioni ha, sul punto, efficacemente evidenziato che la
sospensione del processo in generale costituisce un momento di svolgimento
anomalo del medesimo, e si configura come una situazione «incompatibile
con il compimento di atti ulteriori, sicché non produce cessazione
dell’attività, ma è essa stessa uno stato di inattività. L’espressione
‘sospensione’ si collega, pertanto, più che ad una causa o ad una funzione, ad
un effetto avente le cause e le funzioni più disparate»8. Solo in tal senso dell’identità, cioè, del fenomeno, pur nella diversità delle cause e funzioni 6 PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, Torino, 2010, p. 259 ss.
7 Si rinvia, sul punto, a quanto si dirà infra, nell’esame delle singole fattispecie.
8 LONGO, La sospensione del processo esecutivo, in MICCOLIS - PERAGO, L’esecuzione
forzata riformata, Torino, 2009, p. 643 ss.
43
sarebbe possibile il parallelismo tra sospensione del processo esecutivo e
sospensione del processo di cognizione 9.
Connessa alla questione dei «gravi motivi» è la problematica della natura
della sospensione. Abbandonata o comunque ridimensionata l’idea che essa
abbia, per così dire, uno stretto vincolo di sangue con la sospensione del
processo di cognizione, ci si è domandati se possa essere accostata ai
provvedimenti cautelari.
L’esistenza di un legame tra provvedimenti sulla sospensione
dell’esecuzione (recte: sull’esecuzione provvisoria, stante l’originaria
formulazione dell’art. 282 c.p.c.10 ), e provvedimenti cautelari, del resto, era
stata segnalata nella relazione Grandi, ove si affermava testualmente,
nell’illustrare i procedimenti cautelari, che: «se si mettono in relazione queste
disposizioni con quelle attinenti alla esecuzione provvisoria delle sentenze
(art. 282 e seguenti) ed al potere del giudice di pronunciare in certi casi
condanne provvisionali (art. 278), appare evidente come anche sotto questo
aspetto la dinamica del procedimento è stata notevolmente rinvigorita, in
modo da eliminare in modo assoluto il periculum in mora che potrebbe
derivare a chi cerca giustizia dalla necessaria durata del procedimento
ordinario 11».
La presente tematica verrà affrontata in prosieguo. In questa sede ci si
limita a segnalare che tale affinità - che porta a guardare l’esecuzione da
sospendere come ad un fatto giuridico, portatore di effetti pregiudizievoli (e
non come ad un procedimento legato ad un vicolo di pregiudizialità) - aveva
portato, anteriormente alle riforma del 2005-2006, ad ammettere il ricorso alla
tutela ex art. 700 c.p.c. in talune ipotesi considerate residuali. La
giurisprudenza, infatti, che aveva negato la possibilità di sospendere
l’efficacia esecutiva del titolo per il caso di opposizione a precetto, ammetteva
la concedibilità di un provvedimento ex art. 700 c.p.c., anteriormente
9 Volendo mutuare una distinzione propria delle scienze naturali, potrebbe dirsi che le due
sospensioni sarebbero istituti omologhi e non analoghi, nel senso che essi pur avendo natura
e genesi diverse producono il medesimo effetto (allo stesso modo di come le ali di un
imenottero svolgono la medesima funzione delle ali di un uccello, pur avendo origine
diversa).
10 Su cui infra, al capitolo IV.
11 Relazione al Re, par.32.
44
all’inizio dell’esecuzione forzata, per inibirne l’attivazione 12. Si osservi che
l’ammissibilità di tale rimedio veniva giustificata, sul piano processuale, sotto
il profilo della sua residualità, stante inesistenza di «strumenti cautelari tipici»
con riguardo, ovviamente, a titoli stragiudiziali. Anche se il concetto non
viene chiaramente espresso su un piano teorico, pare evidente che i predetti
«strumenti cautelari» cui si fa riferimento non siano da ricercare negli artt.
669 bis ss. c.p.c., quanto piuttosto negli artt. 624 ss. c.p.c. «Cautelari»,
insomma, erano i provvedimenti disposti dal giudice dell’esecuzione in
materia di sospensione.
Quanto agli effetti delle sospensioni del processo esecutivo, l’art. 626 c.p.c.
detta la regola, abbastanza lineare, secondo cui durante il periodo di
sospensione del processo esecutivo non possono essere compiuti atti esecutivi.
Il principio ha carattere generale ed è, pertanto, ragionevolmente applicabile a
tutte le sospensioni dell’esecuzione richiamate dall’art. 623 c.p.c.; dunque
indipendentemente dal fatto che siano state disposte dal giudice
dell’esecuzione, da quello dell’impugnazione, ovvero previste dalla legge.
La norma, tuttavia, aggiunge che tale effetto preclusivo di ulteriori atti non
costituisce regola inderogabile, ma è valida «salvo diversa disposizione del
giudice». Sugli aspetti problematici della disposizione e di tale precisazione in
particolare, si tornerà, trattando delle sospensioni disposte dal giudice
dell’impugnazione del titolo, atteso che è in tali fattispecie che vengono in
rilievo i principali problemi di tipo pratico applicativo 13.
Parte della dottrina ha, infine, tentato un parallelismo tra sospensione
dell’esecuzione e altre figure proprie di altre branche del diritto, e si è
interrogata sulla configurabilità di una generale cautela sospensiva, non
limitata al campo processualcivilistico ma relativa anche alla sospensione in
genere dell’efficacia di atti collegiali impugnati (ad esempio in materia di
delibere assembleari societarie, ex art. 2378 c.c., ovvero in materia di
comunione ex art. 1109 c.c.), ovvero ancora in materia di sospensione
12 Trib. Mantova, 26 febbraio 2005, in Giur. merito, 2006, p. 316, n. GIORDANO.
13 Par. IV.1.
45
dell’esecutorietà dell’atto amministrativo, della sentenza amministrativa,
dell’esazione delle imposte 14.
Avverso tale inquadramento unificatore si è, comunque, obiettato che non
sarebbe possibile rinvenire - allo stato dell’attuale legislazione - una disciplina
elementare comune a fattispecie tra loro diverse, quali sono quelle sopra
menzionate15. Non pare, in altri termini, che al di là delle ovvie analogie
dovute ad un fattore linguistico (identificabile con l’estensione semantica del
vocabolo sospensione) la legislazione attuale sia così evoluta da concepire un
sistema unitario, applicabile a differenti aree del diritto.
Ai fini della presente indagine, dunque, ci si limiterà alla sospensione
dell’esecuzione civile. A tal riguardo si prenderanno le mosse dal dettato
dell’art. 623 c.p.c., a norma del quale, salvo che la sospensione sia disposta
dalla legge o dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo,
l’esecuzione non può essere sospesa che con provvedimento del giudice
dell’esecuzione. Nel prosieguo, seguendo lo schema concettuale tracciato
dall’art. 623 richiamato, si esamineranno le ipotesi di sospensione disposta dal
giudice dell’esecuzione, le ipotesi di sospensione dell’efficacia esecutiva del
titolo, disposte dal «giudice dell’impugnazione» e infine i casi di «sospensioni
diverse» i.e. quelle che l’art. 623 qualifica come disposte «dalla legge».
14 FALZONE, L’inibitoria giudiziale della operatività degli atti giuridici, Milano, 1967, p. 3
ss.
15 CARPI, Sospensione dell’esecuzione, cit., ibidem; ID., La provvisoria esecutorietà della
sentenza, Milano, 1956, p. 247 ss.
46
III. La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione (art. 624 c.p.c.).
III.1. Considerazioni introduttive.
Nell’architettura del codice l’art. 624 c.p.c. è il secondo articolo del capo I,
rubricato: «della sospensione del processo», del titolo VI, libro III.
Dopo aver affermato, all’art. 623 c.p.c., la regola che - salvi i casi in cui la
sospensione è prevista dalla legge, ovvero disposta dal giudice davanti al
quale è impugnato il titolo - la sospensione è disposta con provvedimento del
giudice dell’esecuzione, il codice disciplina, all’art 624 c.p.c., le ipotesi di
sospensione per opposizione all’esecuzione.
La sospensione in questione presuppone, secondo l’esegesi della norma:
- che sia iniziata l’esecuzione;
- che sia stata proposta opposizione all’esecuzione (o opposizione ex art.
619 c.p.c.1 );
- che vi sia una «istanza di parte»;
- che sussistano «gravi motivi» per sospendere l’esecuzione.
Il primo requisito porta a concludere, come si vedrà, che - su un piano
concettuale - la sospensione disposta in sede di opposizione a precetto
andrebbe inquadrata tra le sospensioni disposte «dal giudice davanti al quale
è impugnato il titolo». Il concetto di «impugnazione», infatti, non va inteso
probabilmente in senso tecnico, ma in senso lato: come attivazione di un
rimedio giurisdizionale per la rimozione di un titolo esecutivo, sia attraverso
una impugnazione in senso proprio, sia attraverso un rimedio qualificabile
come opposizione2.
La sospensione ex art. 624 c.p.c., per contro, è una sospensione disposta dal
«giudice dell’esecuzione», giudice che - a maggior ragione dopo le riforme
del 2005-2006 - è concettualmente distinto da quello che avrà poi cognizione
sul merito della causa di opposizione.
Va anticipato sin d’ora che l’espressa menzione del «giudice
dell’esecuzione», come pure l’originario richiamo da parte della norma al solo
1 Per la sospensione in caso di opposizione ex art. 617 c.p.c. e per il richiamo all’art. 512
c.p.c., diffusamente infra.
2 Infra, capitolo IV.
47
secondo comma dell’art. 615 c.p.c., non comporta, per ciò solo, che,
anteriormente alla novella del 2005-2006, fosse da escludere a priori la
possibilità di sospendere il processo esecutivo in caso di opposizione a
precetto. La scelta normativa, probabilmente, stava semplicemente a
significare che l’inibitoria concessa prima dell’inizio dell’esecuzione esulava oggi come anteriormente al 1° marzo 2006 - dal campo di applicazione
dell’art. 624 c.p.c., destinato, appunto, a regolare, almeno in alcune sue parti,
le ipotesi specifiche di sospensione disposta dal giudice «dell’esecuzione»3.
Tale considerazione, a nostro avviso, è valida tuttora, anche dopo che il
legislatore, a seguito della novella del 2005, ha espressamente previsto la
possibilità di una sospensione in caso di opposizione a precetto.
Le riforme che si sono succedute tra il 2005 ed il 2009 4, come è noto,
hanno modificato sia la sospensione all’esecuzione, oggetto specifico della
presente indagine, che il sistema delle opposizioni in generale. Le modifiche
introdotte alla prima, probabilmente, sono in una certa misura conseguenza
della modifica della seconda. Di più, sempre probabilmente, le riforme del
primo decennio del XXI secolo tradiscono una mutazione della concezione
dell’opposizione e della sospensione, e del collegamento di queste con
l’esecuzione. Se, come si è visto nei precedenti capitoli, all’entrata in vigore
del codice di rito il dibattito dottrinario era tutto incentrato sulla possibilità o
meno di assimilare la sospensione dell’esecuzione a quella del processo di
cognizione, oggi i margini per una analogia si sono probabilmente ridotti.
Questo perché la prospettiva del legislatore - l’ottica, cioè, con la quale è
disciplinata oggi la sospensione - è mutata.
Questo mutamento di prospettiva trova una sua causa efficiente, come
detto, nella trasformazione del processo di opposizione, o, meglio, nella
trasformazione del rapporto tra detto processo e quello esecutivo.
3 Sul punto, diffusamente, infra.
4 Per una disamina v. CARRATTA, Le novità in materia di sospensione del processo di
esecuzione forzata, in MANDRIOLI - CARRATTA, Come cambia il processo civile, Torino,
2009, p. 109 ss.; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Vol. IV, L'esecuzione forzata. I
procedimenti sommari, cautelari e possessori. Il nuovo procedimento sommario cognitorio.
La giurisdizione volontaria., Torino, 2009, p.11 ss. ed in part. p.223 ss.
48
Appare utile anticipare subito, ma sul punto si tornerà tra breve, che il
legislatore pare avere abbandonato - ammesso che l’avesse mai accolta5 l’idea che esecuzione e giudizio di cognizione (opposizione) possano essere
legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità. Dall’esame delle norme pare,
piuttosto, che l’esecuzione venga considerata, dal punto di vista del giudizio
di opposizione, alla stregua di un mero fatto giuridico, idoneo a produrre
effetti pregiudizievoli per la parte opponente, rispetto al diritto dedotto in lite.
Tale lesività giustifica l’emissione di un provvedimento latamente «cautelare»
come la sospensione, idoneo ad anticipare gli effetti della sentenza di
opposizione.
Presupposto della presente indagine è che il legislatore del 2005-2009 abbia
considerato il rapporto sospensione - merito dell’opposizione alla stregua di
quello intercorrente tra provvedimento cautelare - giudizio di merito ex artt.
669 bis ss. c.p.c.
In questo stato di cose la sospensione parrebbe essere stata intesa come il
mezzo latamente cautelare per consentire l’accertamento del diritto
(accertamento demandato al giudizio «di merito», che in questa sede è il
merito dell’opposizione); recte: per evitare che, nelle more dell’accertamento
del diritto, la prosecuzione dell’esecuzione possa dare luogo a conseguenze
irrimediabilmente pregiudizievoli per il debitore.
Una volta compiuto questo primo passaggio - dell’accostamento della
sospensione dell’esecuzione ad un provvedimento cautelare - il legislatore ne
ha, poi, compiuto un altro. Nel dettare la nuova disciplina dell’art. 624 c.p.c.,
le novelle del 2005-2009 hanno finito con l’attribuire una tendenziale e
potenziale «definitività» al provvedimento di sospensione, che determina qualora non venga introdotto «il giudizio di merito», l’estinzione del processo
esecutivo nel suo complesso. Il che ci porta a ritenere che il legislatore abbia
seguito non solo lo schema concettuale dei procedimenti cautelari, ma, in
particolare, quello dei procedimenti c.d. «anticipatori». Analogamente ad un
provvedimento ex art. 700 c.p.c.6 , infatti, la sospensione può costituire, per i
5 Si rinvia alle considerazioni sopra svolte al capitolo II, ed alla dottrina ivi richiamata.
6 Che, non a caso, veniva utilizzato, in passato, per produrre effetti analoghi alla
sospensione, nei casi in cui questa veniva considerata inapplicabile: cfr., a proposito
dell’opposizione a precetto, le considerazioni che verranno svolte infra.
49
suoi effetti estintivi, l’ultimo atto dell’opposizione, e produrre effetti
corrispondenti a quelli cui darebbe luogo l’accoglimento della domanda di
merito.
Legittima o meno che fosse tale nuova o vecchia prospettiva7, essa
costituisce, probabilmente, una scelta del legislatore, che offre lo spunto per
rivedere taluni schemi e concezioni dottrinarie, sviluppatesi in questi anni.
Per cogliere - sulla base del dato normativo - questa prospettiva, è
necessario prendere le mosse dal concetto di opposizione, e dal modello di
opposizione all’esecuzione, emerso a seguito delle riforme.
III.2. Sul concetto di opposizione in generale
Il codice di procedura civile, almeno nel suo impianto originario,
menzionava un istituto denominato opposizione:
- all'art. 404, a proposito dell'opposizione di terzo come mezzo di
impugnazione delle sentenze, nelle due fattispecie dell'opposizione ordinaria e
revocatoria;
- agli artt. 615, 617 e 619 (le opposizioni all'esecuzione);
- all'art. 645, a proposito dell'opposizione a decreto ingiuntivo;
- all'art. 665, a proposito dell'opposizione allo sfratto;
- si parlava di opposizione atipica anche a proposito dell'istituto di cui
all'art. 512 (la c.d. opposizione al progetto di distribuzione, rientrante tra le
opposizioni atipiche; la dottrina le aveva inquadrate tra le c.d. opposizioni di
merito8).
- all'art. 211, che disciplinava (e disponeva) l'opposizione del terzo avverso
l'ordine di esibizione diretto nei suoi confronti9 ;
7 Per una disamina: CARRATTA, Le novità in materia di sospensione del processo di
esecuzione forzata., cit., p. 111.
8 FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, p.
196 ss.
9 Art. 211 - Tutela dei diritti del terzo. Quando l'esibizione è ordinata ad un terzo, il giudice
istruttore deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col
riguardo dovuto ai diritti del terzo, e prima di ordinare l'esibizione può disporre che il terzo
sia citato in giudizio, assegnando alla parte istante un termine per provvedervi. Il terzo può
sempre fare opposizione contro l'ordinanza di esibizione, intervenendo nel giudizio prima
della scadenza del termine assegnatogli.
50
all'art. 483, che disciplina, in caso di cumulo di mezzi di espropriazione,
l'opposizione del debitore diretta a limitare l'espropriazione al mezzo che il
creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina10;
- all'art. 720 che disciplina l'opposizione del terzo al provvedimento di
revoca dell'interdizione o inabilitazione 11;
- all'art.764 , che disciplina l'opposizione alla rimozione dei sigilli12 ;
- all'art. 779, che disciplina l'opposizione all'Istanza di liquidazione
proposta dai creditori e legatari da parte dei creditori13 ;
- all'art. 618 bis, a proposito delle opposizioni in materia di lavoro;
10 Art. 483 - Cumulo dei mezzi di espropriazione. Il creditore può valersi cumulativamente
dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge; ma, su opposizione del
debitore, il giudice dell'esecuzione, con ordinanza non impugnabile, può limitare
l'espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice
stesso determina. Se è iniziata anche l'esecuzione immobiliare, l'ordinanza è pronunciata dal
giudice di quest'ultima.
11 Art. 720 - Revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione. Per la revoca dell'interdizione o
dell'inabilitazione si osservano le norme stabilite per la pronuncia di esse. Coloro che
avevano diritto di promuovere l'interdizione e l'inabilitazione possono intervenire nel
giudizio di revoca per opporsi alla domanda, e possono altresì impugnare la sentenza
pronunciata nel giudizio di revoca, anche se non parteciparono al giudizio. Per una disamina
su tali peculiari opposizioni v. BORDONALI, Il sistema delle opposizioni matrimoniali,
Padova, 1985, p. 7 ss.
12 Art. 764 - Opposizione. Chiunque vi ha interesse può fare opposizione alla rimozione dei
sigilli con dichiarazione inserita nel processo verbale di apposizione o con ricorso al
giudice. Il giudice fissa con decreto una udienza per la comparizione delle parti e stabilisce
il termine perentorio entro il quale il decreto stesso deve essere notificato a cura
dell'opponente. Il giudice provvede con ordinanza non impugnabile, e, se ordina la
rimozione, può disporre che essa sia seguita dall'inventario e può dare le opportune cautele
per la conservazione delle cose che sono oggetto di contestazione.
13 Art. 779 - Istanza di liquidazione proposta dai creditori e legatari. L'istanza dei creditori e
legatari prevista nell'art. 509 del Codice civile si propone con ricorso. Il giudice fissa con
decreto l'udienza di comparizione dell'erede e di coloro che hanno presentato le
dichiarazioni di credito. Il decreto è comunicato alle parti dal cancelliere. Il tribunale
provvede con ordinanza non impugnabile in Camera di consiglio, previa audizione degli
interessati a norma del comma precedente. L'istanza di nomina non può essere accolta e la
nomina avvenuta deve essere revocata in sede di reclamo, se alcuno dei creditori si oppone e
dichiara di voler far valere la decadenza dell'erede dal beneficio d'inventario. Se l'erede
contesta l'esistenza delle condizioni previste nell'art. 509 del codice civile, il giudice
provvede all'istruzione della causa, a norma del libro secondo, disponendo gli opportuni
mezzi conservativi, compresa eventualmente la nomina del curatore.
51
- all'art. 669 septies, che disciplina, nel procedimento cautelare, la
possibilità di proporre opposizione avverso l'ordinanza immediatamente
esecutiva di condanna alle spese14;
- agli artt. 831 e 840 a proposito, rispettivamente, di opposizione di terzo al
lodo arbitrale e di opposizione all'esecutorietà del lodo straniero;
Vi erano, poi, le opposizioni previste dal codice civile:
- all'art. 2797, che prevede, in caso di vendita della cosa data in pegno, la
possibilità che venga proposta «entro cinque giorni dall'intimazione» una
opposizione;
- agli artt. 102-105 (che disciplinano le opposizioni matrimoniali);
- all'art. 2906, che disciplina l'opposizione al pagamento in caso di
sequestro conservativo;
- all'art. 1113, a proposito delle opposizioni alla divisione;
Si parlava, poi, di opposizione anche nelle leggi processuali speciali, prima
fra tutte la legge fallimentare, nel testo approvato con r.d. n. 267 del 16 marzo
1942; ed in particolare con riferimento:
- agli artt. 18 ss., che disciplinavano l'opposizione alla dichiarazione di
fallimento (oggi divenuta reclamo, dopo un breve interregno da «appello»)15;
- all'art. 98, che disciplinava l'opposizione allo stato passivo;
- si parlava di opposizioni anche riguardo al disposto dell'art. 116 (le
contestazioni in sede di approvazione del rendiconto).
Non è questa la sede per una compiuta trattazione sul punto; volendo, però,
individuare un difficile trait d'union – e, dunque, una chiave di lettura - tra le
fattispecie e le disposizioni sopra elencate, è possibile concludere che ogni
14 Art. 669-septies - Provvedimento negativo. L'ordinanza di incompetenza non preclude la
riproposizione della domanda. L'ordinanza di rigetto non preclude la riproposizione
dell'istanza per il provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti delle
circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. Se l'ordinanza di
incompetenza o di rigetto è pronunciata prima dell'inizio della causa di merito, con essa il
giudice provvede definitivamente sulle spese del procedimento cautelare. La condanna alle
spese è immediatamente esecutiva ed è opponibile ai sensi degli articoli 645 e seguenti in
quanto applicabili, nel termine perentorio di venti giorni dalla pronuncia dell'ordinanza se
avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione.
15 Si rinvia, sul punto,a RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce
la procedura prefallimentare, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure
concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 124 ss.
52
qualvolta il legislatore ha introdotto un'opposizione si era, probabilmente, in
presenza:
- di un procedimento privo, almeno nella sua fase iniziale, di un
contraddittorio pieno (o perché si tratta di procedimento non cognitivo ma
esecutivo, o perché la prima fase del procedimento era avvenuta in assenza
della parte medesima);
- ovvero di un procedimento che astrattamente sarebbe stato a
contraddittorio pieno, ma che concretamente si era svolto in assenza della
parte cui la legge attribuisce il diritto di proporre opposizione (emblematico il
caso dell'art. 404 c.p.c., o dell’opposizione tardiva allo sfratto, cui si dirà
infra, al par. IV.6.).
In tutti questi casi, dunque, l'opposizione non ha natura di mezzo di
impugnazione vero e proprio, ma costituisce, piuttosto, lo strumento:
- o per introdurre, appunto, il contraddittorio pieno in un procedimento che,
fino a quel momento, non lo aveva avuto;
- ovvero per introdurre il contraddittorio nei confronti di un terzo soggetto,
che non era stato messo in condizione di contraddire nel procedimento «a
cognizione piena».
Questa chiave di lettura consente meglio di capire il perché di talune scelte
del legislatore, che si sono riverberate nell'introduzione di istituti, spesso,
nella loro successiva evoluzione, e dallo sviamento dall'originaria impalcatura
concettuale.
III.3. Sull’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e sull’opposizione
di terzo ex art. 619 c.p.c. in particolare (cenni).
L’art. 615 disciplina innanzitutto l'opposizione diretta a contestare il diritto
della «parte istante»16 a procedere all'esecuzione forzata, nonché quella (che a
ben vedere costituisce una specificazione della prima categoria) «che riguarda
la pignorabilità dei beni».
16 Per una critica alla locuzione utilizzata dal legislatore v. MONTELEONE, Manuale di
diritto processuale civile, Padova, 2007, p. 252 ss., sull'esatto rilievo che il creditore
procedente, a ben vedere, non chiede nulla, ma si limita ad agire esecutivamente contro
l'obbligato.
53
È stato giustamente rilevato che in ambedue le ipotesi l'opposizione serve
ad impedire il corso dell'esecuzione, «quando essa sia contraria alla legge, in
ciò comprendendosi anche la pretesa di espropriare beni impignorabili» 17.
Quale che sia l'impostazione concettuale corretta da dare all'esecuzione
forzata (se in essa sia escluso un qualsivoglia accertamento del diritto del
creditore ma l'esistenza del titolo sia la sola condizione necessaria e
sufficiente per agire in executivis18, ovvero se il contraddittorio sia comunque
connaturato al processo esecutivo 19) è certo che attraverso l'opposizione si dà
luogo ad un giudizio contenzioso e a contraddittorio pieno, formalmente
distinto dal processo esecutivo, e che attraverso essa il contraddittorio,
«ridotto ai minimi termini proprio perché ci troviamo in sede esecutiva e non
cognitiva, trovi modo di esplicarsi anche in questa fase»20.
Ratio dell'opposizione all'esecuzione è, dunque, introdurre uno strumento di
controllo della legittimità e del fondamento del diritto soggettivo portato nel
titolo.
Sulla base di questa premessa - si è visto - la dottrina ha negato l’esistenza
di una affinità tra la sospensione del processo di cognizione e quella
dell’esecuzione. La prima, infatti, presuppone la necessità di coordinare due
giudizi legati da un rapporto di pregiudizialità; la seconda è lo strumento
tecnico per consentire la definizione di una fase a cognizione e contraddittorio
pieni, nell’ambito di un processo che è sostanzialmente ed intrinsecamente
unilaterale21 . Non può esservi, secondo tale ricostruzione, alcuna
«pregiudizialità» tra giudizio di opposizione ed esecuzione, per il semplice
fatto che non si tratta di due giudizi, ma di uno solo. Attraverso l’opposizione,
17 MONTELEONE, Manuale., ibidem.
18 Ci si riferisce alla c.d. concezione astratta del titolo; per una disamina critica v.
MONTELEONE, Manuale., ibidem.
19 Se non altro per la possibilità del debitore di proporre, appunto, opposizione per impedire
il corso di una esecuzione «ingiusta» e per l'espresso richiamo, nell'art. 474 c.p.c., delle
parole (riferite al titolo esecutivo) «per un diritto certo, liquido ed esigibile» : v.
MONTELEONE, Manuale., ibidem.
20 MONTELEONE, Manuale., ibidem.
21 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959 p. 499; si rinvia alle
considerazioni svolte al capitolo II ed alla bibliografia ivi richiamata.
54
dunque, si concreterebbe nella instaurazione di un contraddittorio, che alla
procedura esecutiva è estraneo 22.
Per quanto concerne i vizi deducibili con l'opposizione ex art. 615 c.p.c. è
opportuno richiamare i risultati dell'indagine dottrinaria e giurisprudenziale
consolidati nei quasi settant'anni di vita del codice.
Se l'esecuzione è fondata su un titolo giudiziale sono da considerare
precluse tutte quelle censure, ragioni o motivi inerenti alla formazione del
titolo medesimo.
Se il creditore, in altri termini, procede in forza di un decreto ingiuntivo o
di una sentenza di condanna per uno scoperto di conto corrente, il debitore
non potrà, in sede di opposizione, tentare di riaprire la questione della
capitalizzazione trimestrale, del rinvio alle condizioni uso su piazza etc. Come
pure non potrà far valere l'esistenza di una transazione anteriore alla
formazione del titolo, né la prescrizione del diritto, l'annullabilità del contratto
etc.23 .
Si tratta, infatti, di accertamenti che sono ormai preclusi dalla formazione
del giudicato o che, comunque (se il provvedimento fosse ancora
impugnabile), dovrebbero costituire oggetto dell'apposito gravame. La
violazione di tale regola, secondo la giurisprudenza, dà luogo ad una causa di
inammissibilità del (motivo di) opposizione e non di una sua infondatezza del
merito. La giurisprudenza si è spinta, al riguardo, fino ad affermare che
22 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., ibidem; nello stesso senso v.
anche MICHELI, L’esecuzione forzata, appunti dalle lezioni di diritto processuale civile,
Anno Accademico 1960-1961, in Corso di diritto processuale civile, Milano, 1961, p. 96 ss.
(appendice).
23 Cass. 7 ottobre 2008, n. 24752, secondo cui «Il potere di cognizione del giudice
dell'opposizione all'esecuzione è limitato all'accertamento della portata esecutiva del titolo
posto a fondamento dell'esecuzione stessa, mentre le eventuali ragioni di merito incidenti
sulla formazione del titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l'impugnazione
della sentenza che costituisce il titolo medesimo (come, nella specie, il prospettato obbligo
dell'assicuratore di pagare, indipendentemente dalla sua "mala gestio", il danno da sinistro
stradale per l'intero, senza il limite del massimale, quale soggetto anticipatario, per la parte
eccedente, dell'obbligo risarcitorio del danneggiante). (Rigetta, App. Roma, 25 settembre
2003)». Conf, per il caso di titolo giudiziale costituito da decreto ingiuntivo: Cass. 25
maggio 2007, n. 12251.
55
siffatta causa di inammissibilità sarebbe rilevabile d'ufficio dal giudice anche
in grado d'appello 24.
È possibile, però, far valere l'inesistenza del titolo giudiziale, nei casi (di
scuola) della sentenza non sottoscritta da alcun giudice, ovvero di quella resa
a non iudice25, ovvero motivi sostanziali sopravvenuti alla formazione del
titolo medesimo (si pensi all'avvenuto pagamento, successivamente alla
sentenza, delle somme per cui è condanna, alla prescrizione del diritto
successiva alla sentenza, alla sopravvenuta transazione, remissione etc.).
Per i titoli stragiudiziali, invece, non sussiste alcuna preclusione quanto ai
vizi deducibili: in sede di opposizione potranno essere dedotti fatti anteriori o
coevi alla formazione del titolo, quanto situazioni successive, come il
pagamento o l'estinzione. In questo caso, infatti, non esiste alcun
provvedimento giurisdizionale.
Qualche dubbio potrebbe permanere a proposito di quei titoli
ontologicamente stragiudiziali per i quali, però, è previsto (improvvidamente
dal legislatore, anche nelle recentissime riforme) un procedimento di
«giurisdizionalizzazione», come l'omologazione.
Ci si riferisce, in particolare, alla conciliazione, già prevista in materia
societaria, agli artt. 38 ss. del d.lgs. 5/2003, ed ora estesa a numerose altre
fattispecie dal d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, in attuazione dell'articolo 60 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali.
L’art. 12 di tale decreto (analogamente all’abrogato art. 40 d.lgs. 5/2003)
attribuisce efficacia di titolo esecutivo al verbale di conciliazione (non solo
per l'espropriazione forzata, ma anche per l'esecuzione in forma specifica e per
24 Cass. 5 settembre 2008, n. 22402; riteniamo, salva la formazione del giudicato interno
sul punto. La portata del principio giurisprudenziale richiamato si comprende ove si tengono
presenti le ben note evoluzioni ermeneutiche circa la deducibilità della violazione del
giudicato c.d. esterno, ammissibile in ogni stato e grado del processo: Cass. 11 settembre
2007, n. 19090, e la possibilità di proporre il rimedio della revocazione della sentenza
contraria ad altra avente autorità di cosa giudicata. Per il caso peculiare delle sentenze dei
giudici amministrativi relative alla giurisdizione v. Cons. Stato 2 luglio 2002 n. 3606, Cons.
Stato 20 giugno 1997 n. 945, e Cons. Stato Ad. Plen. 28 ottobre 1980 n.42, sul presupposto
che la statuizione sulla giurisdizione non sia suscettibile - sempre che non sia intervenuta
una decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - di passare in cosa giudicata e
che, conseguentemente, il difetto di giurisdizione è rilevabile d'ufficio in grado di appello,
anche in caso di statuizione esplicita del giudice di primo grado.
25 MONTELEONE, Manuale ., ibidem
56
l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale). Ma tale efficacia viene subordinata a una
sorta di giudizio di omologazione da parte del «presidente del tribunale nel
cui circondario ha sede l'organismo» di mediazione.
In questi casi la promiscuità e l'incertezza legislativa circa la natura
giudiziale o stragiudiziale del titolo che si viene a formare fanno sorgere
qualche dubbio circa l'effettiva, possibile portata dell'eventuale opposizione.
Riteniamo, comunque, che debba prevalere la natura stragiudiziale del
titolo, con conseguente possibilità di dedurre anche vizi intrinseci ad esso. E
ciò a prescindere da ogni eventuale improvvida giurisdizionalizzazione 26.
Circa i modi di proporre l'opposizione, il codice, come è noto, distingue tra
opposizione a precetto e opposizione all'esecuzione già iniziata.
Nel primo caso essa si propone dinanzi al giudice «competente per materia,
valore e territorio a norma dell'art. 27»; competente, dunque, potrà ben
essere anche il giudice di pace, ovvero una sezione specializzata; fatto, questo,
che pone qualche problema, qualora si ritenga ammissibile - avverso il
provvedimento di sospensione emesso in questa sede - il reclamo 27.
L'atto introduttivo sarà, dunque, nella maggior parte dei casi, una citazione
(a meno che, in ragione del rito, non sia previsto che la domanda introduttiva
dinanzi al giudice competente debba essere proposta con ricorso, giusta la
regola dell’art. 618 bis c.p.c.).
Nel caso, invece, che l'esecuzione sia già iniziata, l'opposizione si propone
con ricorso al giudice dell'esecuzione, che ha competenza funzionale28
(almeno con riguardo alla fase del merito cautelare).
26 A noi pare un grave errore di prospettiva concepire la conciliazione (o mediazione, che
dir si voglia) come una «procedura» davanti ad una sorta di giudice speciale «minore», o
una sorta di anticamera al giudizio. Essa è, in fin dei conti, null’altro che una negoziazione
«assistita», diretta alla formazione di un vincolo contrattuale. Come logica conseguenza
dovrebbe essere studiata inquadrata e regolamentata, anche sul piano dogmatico, secondo
gli schemi del diritto civile sostanziale, più che di quello processuale. Posta questa
premessa, si osserva semplicemente che, se si fosse voluto attribuire efficacia esecutiva al
verbale di conciliazione, la soluzione più logica sarebbe stata abilitare gli organismi di
conciliazione ed i mediatori ad autenticare le sottoscrizioni delle parti. Ciò avrebbe
comportato l’applicazione dell’art. 474 n. 2 c.p.c., per quanto concerne le obbligazioni di
pagamento di una somma di denaro.
27 V. par. VIII.6.
28 Cass. 18 aprile 2001, n. 5685. Per una disamina sul concetto di competenza funzionale si
rinvia a RUSSO, Il tribunale competente, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle
procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p.
52 ss.
57
Legittimato attivamente ad opporsi è il soggetto contro il quale è rivolto il
precetto: di norma il debitore, ma anche il terzo proprietario ex art. 604 c.p.c.
ed il soggetto obbligato ad adempiere quanto è intimato nel precetto.
Si ritiene sia legittimato a proporre opposizione all'esecuzione ex art.615 (e
non opposizione di terzo ex art. 619) anche l'amministratore giudiziario dei
beni sottoposti a misure di prevenzione antimafia. Fino a che non diventi
definitiva la confisca, infatti, l'amministratore giudiziario ovvero il custode
(qualora il sequestro sia stato disposto nel corso di un processo penale, e non
in sede di autonomo procedimento per misure di prevenzione) non riveste la
posizione di terzo proprietario 29.
Legittimato passivamente è, sicuramente, il creditore procedente; è
opportuno, inoltre, che il contraddittorio venga esteso agli altri creditori
intervenuti (l'accoglimento dell'opposizione travolgerebbe anche i diritti di
costoro)30 .
Per quanto riguarda le norme processuali va detto che, per il caso di
opposizione all'esecuzione già iniziata, la formulazione normativa distingue la
fase del merito cautelare, davanti al giudice dell'esecuzione, da quella del
merito dell'opposizione, successivamente alla riassunzione o introduzione del
giudizio di merito. L'estinzione del processo esecutivo comporta la
sopravvenuta carenza di interesse all'opposizione31.
L'accoglimento dell'opposizione fa cessare ad ogni effetto il processo
esecutivo, che non sia stato nel frattempo sospeso, ivi comprese la vendita
forzata o l'assegnazione dei beni, indipendentemente dal dolo del creditore
procedente32.
29 Trib. Palermo, ord. 2 dicembre 2009 nell'esecuzione n. 35/1999, inedita. Si rinvia al par.
VII.3.
30 Nel senso che non sussista un litisconsorzio necessario dei creditori intervenuti che non
abbiano compiuto atti esecutivi v. Cass. 8 maggio 1991 n. 5146; cfr., in dottrina
MONTELEONE, Manuale., ibidem.
31 Si rinvia per una compiuta trattazione a BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att.,
in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p. 420 ss.;
MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo
civile, cit., p.432; ZIINO, Art. 617, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo
civile, cit., p.429.
32 MONTELEONE, Manuale ., ibidem sul rilievo che non si tratta di mera nullità di atti
esecutivi, come prevista dall'art. 2929 c.c., ma di accertamento dell'inesistenza del diritto del
creditore a procedere all'esecuzione forzata: v. Cass. 16 luglio 1992 n. 8665.
58
Si rammenta, inoltre, che la materia tutta delle opposizioni all'esecuzione
rientra tra quelle per le quali l'art. 92 ord.giud. prevede la trattazione nel
periodo feriale. Quindi, giusta il richiamo dell'art.3 del d.lgs. 9 aprile 1948 n.
437 i termini processuali – anche quelli per la vocatio in ius – non vengono
sospesi.
In caso di opposizione all'esecuzione già iniziata il legislatore delle riforme
del 2005-2006 ha accentuato la struttura bifasica dell'opposizione 33, dando
luogo ad un sistema binario articolato:
- in una prima fase (proposizione del ricorso e decisione sul merito
cautelare) riservata al giudice dell'esecuzione, e regolata, giusta il disposto
degli artt. 185 disp.att., dalle norme sui procedimenti camerali, di cui all'art.
737 ss. c.p.c.;
- in una seconda fase (introduzione del giudizio di merito, sua trattazione e
decisione), davanti al giudice dell’opposizione vera e propria, secondo le
regole proprie del rito ordinario (salvo per quanto si dirà infra).
L'art. 616 c.p.c., in particolare, dispone che se competente per la causa è
l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione questi fissa
un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le
modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo,
a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'articolo
163 bis, o altri se previsti, ridotti della metà; altrimenti rimette la causa
dinanzi all'ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio
per la riassunzione della causa. La disposizione, forse, non brilla per chiarezza
concettuale. È stato sostenuto che la norma, nel suo complesso, pare indicare
che il ricorso iniziale, previsto dall'art. 615 secondo comma, non determini la
pendenza del giudizio di merito, ma solo della fase preliminare di natura
camerale34.
Se è corretta questa interpretazione, deve essere considerato improprio
l'utilizzo, da parte del legislatore, del termine «riassunzione», per l'ipotesi che
il giudice competente a conoscere il merito dell'opposizione sia diverso da
33 Si rinvia per una compiuta trattazione a BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att.,
cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, cit., ibidem; ZIINO, Art. 617, cit., ibidem.
34 Cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis,
cit., ibidem.; ID., Manuale., ibidem.
59
quello al quale appartiene il giudice dell'esecuzione. Non di riassunzione si
tratterebbe, ma di vera e propria «introduzione» 35.
La natura bifasica, ovviamente, non comporta necessariamente che il
giudice del merito cautelare, inteso come persona fisica, debba essere diverso
da quello dell'opposizione. Non avendo il giudizio di merito natura di
impugnazione non si vedrebbe il perché di una simile, inutile complicazione.
Specie nei piccoli tribunali, ove non è prevista un'articolazione dell'ufficio in
sezioni, è ben possibile che il giudice persona fisica sia il medesimo in
ambedue le fasi.
Si segnala, sul punto, che il legislatore della riforma del 2009 ha previsto
espressamente, per la sola opposizione agli atti esecutivi (diffusamente, infra)
che il giudice del merito debba essere diverso da quello «che ha conosciuto
degli atti avvero i quali è proposta opposizione» (art. 186 bis disp.att.)36.
Quel che è certo è che i due «giudizi» vanno comunque tenuti distinti, da
un punto di vista concettuale e processuale 37. L’introduzione tardiva del
35 Cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis,
cit., ibidem.
36 Evidentemente il legislatore ha ritenuto che, in caso di opposizione agli atti esecutivi
dove si discorre della regolarità di alcuni atti, sussiste una certa incompatibilità del giudice,
che potrebbe essere chiamato a decidere sulla legittimità di un proprio provvedimento. Tale
incompatibilità non sussisterebbe, invece, nell’opposizione all’esecuzione, che ha ad
oggetto, come si è detto, il diritto a procedere all’esecuzione forzata, e nella quale il
carattere di «impugnazione» di un provvedimento giurisdizionale è, probabilmente, del tutto
assente.
37 Cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis,
cit., ibidem. Avendo chiara la distinzione, però è possibile risolvere i problemi pratici che si
presentano. La procura conferita per la fase del merito cautelare può mantenere, a mio
giudizio, la sua efficacia anche nel giudizio di merito; a meno che non si evinca che essa sia
stata conferita esclusivamente per la fase cautelare. È prudente, in ogni caso, fare espressa
menzione nella procura del potere di difendere la parte «anche nell'eventuale giudizio di
merito», ovvero farsi rilasciare una nuova, autonoma procura. Lo stesso dicasi,
naturalmente, per quanto concerne l'eventuale autorizzazione a stare in giudizio (si pensi al
caso di opposizione proposta da una Curatela fallimentare, o comunque soggetta a speciale
autorizzazione del giudice), ovvero per quanto concerne l'ammissione al gratuito patrocinio.
Occorrerà, comunque, esaminare caso per caso gli atti, e interpretare, secondo buona fede, la
volontà delle parti. Altro problema pratico riguarda l'eventuale fascicolo depositato nel
merito cautelare. Nelle prassi che si stanno delineando in tutta Italia pare che il difensore
non venga autorizzato, prima dell'introduzione del giudizio di merito, a ritirare la propria
produzione (depositata nel fascicolo dell'esecuzione); occorrerà, pertanto, introdotto il
giudizio di merito, chiedere il richiamo. Si tratta, comunque, di difficoltà tutte risolvibili con
un minimo di senso pratico, che possono essere risolte nelle prassi applicative sulla base del
diritto vigente.
60
giudizio di merito comporta, è stato sostenuto, la caducazione
dell'opposizione e le conseguenze di cui all'art. 624 terzo comma.
Si segnala, da ultimo, un interessante principio giurisprudenziale38, secondo
cui il giudice dell'opposizione all'esecuzione, ove ritenga che la corretta
interpretazione del titolo esecutivo giudiziale comporti la riduzione della
pretesa azionata "in executivis" dal creditore, non può pronunciare una
sentenza di condanna del debitore al pagamento della minor somma così
determinata, perché in questo caso si duplicherebbe il titolo esecutivo, ma
deve limitarsi ad accertare quale sia l'esatto ambito oggettivo e soggettivo del
suddetto titolo e, conseguentemente, pronunciarsi sulla legittimità o meno
dell'esecuzione già intrapresa, configurandosi, per l'appunto, siffatto giudizio
38 Cass. 24 aprile 2008, n. 10676 (Cassa e decide nel merito, App. Salerno, 12 Marzo
2003).
61
come causa di accertamento negativo, totale o parziale, dell'azione esecutiva
esercitata39.
L’opposizione di terzo all’esecuzione è, invece, disciplinata dall’art. 619
c.p.c. Per quanto concerne l’oggetto della presente indagine - i.e., ai fini
dell’individuazione della normativa applicabile alla sospensione
all’esecuzione - l’art. 624 c.p.c. detta una disciplina unitaria sia per
39 Altra novità introdotta con la novella del 2005-2006 era la non appellabilità della
sentenza che avrebbe deciso sull'opposizione. La norma era stata dettata, probabilmente,
dalla volontà di risolvere un problema pratico, che si verificava ogniqualvolta il debitore
avesse dedotto, col medesimo atto, sia l'impignorabilità dei beni e/o l'inesistenza del diritto
che, al tempo stesso, irregolarità formali o altri vizi deducibili con l’opposizione ex art. 617
c.p.c. Accadeva, ad esempio, che il debitore, proponendo opposizione, contestasse sia
l'inesistenza del diritto (ad esempio perché prescritto) che, e.g., l'irregolarità della
notificazione del titolo. In questo caso ci si sarebbe trovati in presenza di due opposizioni
riunite, decise in un simultaneus processus. Con la previsione della inappellabilità il
legislatore, probabilmente, aveva voluto evitare la conseguenza della doppia impugnazione
(con appello per quanto riguarda i primi vizi, con ricorso per cassazione per quanto attiene i
secondi) e tutte quelle incertezze connesse ai casi limite, in cui l'individuazione dell'esatta
opposizione avrebbe potuto essere sfuggente. La riforma era stata, però, giustamente
contestata dai commentatori: si era evidenziato che l'opposizione all'esecuzione riguarda
l'inesistenza del diritto; sicché se la medesima domanda fosse stata proposta con autonomo
giudizio ordinario (azione di accertamento negativo del credito ecc.) sarebbe stata soggetta,
regolarmente, a tre gradi di giudizio. La riduzione dei gradi di giudizio, pertanto, sarebbe
stata sospetta di incostituzionalità, trattando fattispecie identiche (specie dopo che si è
affermata la autonomia del merito dalla fase cautelare) in modo diverso. La legge n.
69/2009, pertanto, ha previsto l'abrogazione dell'ultimo periodo dell'art. 616 c.p.c., e la
conseguente reintroduzione, per le opposizioni all'esecuzione, del triplo grado di giudizio.
La reintroduzione dell'appello, giusta la norma transitoria di cui all'art. 58 della medesima
legge 69/2009, deve intendersi applicabile retroattivamente a tutti i giudizi pendenti in
primo grado, alla data del 4 luglio 2009 (quindi, per tutti i giudizi nei quali, alla data del 4
luglio 2009, non è stata ancora depositata la sentenza di primo grado). Conseguentemente al
revirement legislativo potrà farsi riferimento, per i casi dubbi, nuovamente al principio
dell'apparenza, affermato dalla giurisprudenza anteriormente al 2005: se il giudice ha
qualificato l'azione come opposizione all'esecuzione sarà proponibile appello, in caso
contrario lo strumento esperibile sarà il ricorso per cassazione ex art.111 Cost.: Cass. sez.
un. 19 ottobre 2000; in dottrina v. per tutti MONTELEONE, Manuale., ibidem. Per dovere di
cronaca si segnala, però, che il principio dell'apparenza è stato, in passato, contraddetto da
altre pronunce. In particolare quando si è trattato di stabilire se una sentenza del Giudice di
pace, emessa erroneamente secondo equità anziché secondo diritto, debba essere impugnata
con appello o con ricorso per cassazione la Corte afferma un principio sostanzialmente
opposto a quello dell'apparenza. Segnatamente ha ritenuto che debba guardarsi alla domanda
introduttiva del giudizio, mentre sarebbe del tutto irrilevante la circostanza che «in
concreto» il giudice "abbia applicato la regola equitativa, piuttosto che una determinata
norma giuridica". Ciò, a detta della Corte, discenderebbe dai principi generali della tipicità
delle impugnazioni e del giudice naturale precostituito per legge. (Cass. 6492/1998; Cass.
14099/2000; Cass. sez. un. 803/1999). Ed ancora, a detta della Corte, «è appellabile (e non
ricorribile per cassazione) "la sentenza del (…) giudice che, investito di una domanda che
avrebbe dovuto essere decisa secondo diritto (o perché di valore superiore a lire due
milioni, ovvero perché doveva essere decisa secondo diritto ratione materiae) l’abbia decisa
secondo equità» Cass. sez. un. n. 9493/1998.
62
l’opposizione all’esecuzione che per l’opposizione di terzo. In realtà, anche al
di là della regola della sospensione, vi è una forte correlazione tra i due
istituti, se non proprio un rapporto di genere a specie o, quantomeno, di
specialità reciproca.
L’opposizione di terzo, come è noto, è proponibile dal soggetto che
pretende di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. Una
siffatta contestazione, a ben vedere, rientra nel novero delle contestazioni del
«diritto a procedere all’esecuzione forzata»; con la precisazione, però, che il
terzo non intende far valere l’inesistenza del rapporto tra creditore e debitore
pignorato, ma si limita a negare l’appartenenza al debitore di quel bene.
È importante sottolineare che, nell'impianto codicistico, questo strumento è
esperibile solo dal terzo che non abbia assunto la veste di soggetto passivo
dell'esecuzione forzata, ma che abbia subito il pignoramento nell'erroneo
presupposto che il bene appartenga al debitore.
In caso di errore del creditore nell’identificazione della persona del debitore
- se il creditore abbia, attraverso il precetto, intimato il pagamento ad un
soggetto terzo, diverso da quello nei confronti del quale ha titolo - il «terzo»
non sarà affatto tale, ma sarà soggetto passivo dell’esecuzione.
Conseguentemente per dedurre l’inesistenza del diritto a procedere
all’esecuzione forzata nei propri confronti dovrà ricorrere al rimedio di cui
all’art. 615 c.p.c., e non al rimedio in esame.
Si discute se l'opposizione di terzo all'esecuzione sia proponibile in caso di
esecuzione in forma specifica e se con essa il terzo possa fare valere vizi
dell'esecuzione (inclusa la pignorabilità dei beni, l'inesistenza del diritto a
procedere all'esecuzione forzata) diversi dall'esistenza di un proprio diritto
reale sui beni.
Con riguardo al primo problema la giurisprudenza, tradizionalmente,
escludeva la possibilità di proporre opposizione ex art. 619 c.p.c. in esecuzioni
diverse dal pignoramento.
L'argomento muoveva, essenzialmente, dalla lettera delle norme (si parla
espressamente di beni pignorati). Si evidenziava, inoltre, che alla base della
scelta del legislatore vi sarebbe stata la circostanza che le esecuzioni per
consegna, rilascio o di obblighi di fare e non fare erano necessariamente
basate su un titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell'allora vigente
63
formulazione dell'art. 474 c.p.c. Di conseguenza il terzo, per contestare
l'efficacia del titolo giudiziale formatosi inter alios, si sarebbe dovuto avvalere
dell'opposizione di terzo – mezzo di impugnazione di cui all'art. 404 c.p.c.40.
Si era, però, evidenziato che tale soluzione non avrebbe offerto tutela al
terzo, in caso di errore dell'ufficiale giudiziario, che avesse eseguito, e.g., un
rilascio su un bene diverso da quello indicato nella sentenza.
Tale soluzione, inoltre, deve fare i conti con la nuova formulazione dell'art.
474 c.p.c., che considera titolo esecutivo anche per l'esecuzione per consegna
o rilascio «gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato
dalla legge a riceverli».
In tali casi – è evidente – non vi è alcun controllo del giudice sulla
formazione del titolo; sicché precludere al terzo la proposizione del rimedio ex
art. 619 c.p.c. costituirebbe, probabilmente, una violazione dell'art. 24 Cost.
Circa la seconda questione sopra accennata si ritiene che il terzo non possa
far valere alcun vizio della procedura esecutiva (né sotto il profilo della
nullità/irregolarità, né sotto il profilo dell'inesistenza del diritto a procedere
all'esecuzione forzata)41 , ma, come detto, esclusivamente l'esistenza di un
proprio diritto reale, assoluto o limitato, sul bene.
L'opposizione può essere tempestiva o tardiva. Sul punto si riscontra un
difetto di coordinamento tra l'art. 619:
- «prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione dei beni»
- e l'art. 620 che considera tardiva l'opposizione proposta «dopo la
vendita».
L'incertezza linguistica non è priva di rilievo, dal momento che in caso di
opposizione tardiva il terzo potrà far valere il proprio diritto non più sul bene
espropriato ma ma sulla sola somma ricavata. Sicché ci si interroga sulla sorte
delle opposizioni proposte nell'interregno – tutt'altro che breve, nella prassi tra l'ordinanza che dispone la vendita e la vendita effettiva.
Occorre, inoltre, coordinare le (già poco coordinate) norme con l'art. 187
bis disp. att. c.p.c., introdotto dalla novella del 2006, che sancisce la
«Intangibilità nei confronti dei terzi degli effetti degli atti esecutivi compiuti»:
40 Cass. 1 marzo 1988 n. 2145; Cass. 16 febbraio 1976 n. 508; Cass. 25 gennaio 1972 n.
339.
41 Cass. 16 febbraio 1982 n. 167.
64
«In ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo
avvenuta dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o l'assegnazione, restano
fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in forza dell'articolo
632, secondo comma, del codice, gli effetti di tali atti. Dopo il compimento
degli stessi atti, l'istanza di cui all'articolo 495 del codice non è più
procedibile».
Si è sostenuto, in ogni caso, che l'intera questione non riguarderebbe i beni
immobili (e dunque le esecuzioni immobiliari), nelle quali i rapporti tra terzo
e aggiudicatario resterebbero disciplinati dalle regole della trascrizione 42.
Per quanto riguarda la procedura anche qui è prevista una struttura bifasica,
con decisione del merito cautelare regolata dalle norme dei procedimenti
camerali e successiva introduzione del giudizio di merito. L'opposizione di
propone con ricorso al giudice dell'esecuzione. Non è prevista, ovviamente,
una opposizione da proporre con citazione prima che sia iniziata l'esecuzione.
Se il precetto, infatti, viene indirizzato a un soggetto che non è debitore questi,
come detto, potrà avvalersi dell'opposizione ex art. 615, in quanto
contesterebbe in radice il diritto del creditore procedente ad agire in executivis
nei suoi confronti43 .
III.4. La concezione e la prospettiva della sospensione ex art. 624 c.p.c.
per i casi di opposizione ex art. 615 e 619 c.p.c.: verso un modello cautelare
anticipatorio?
L’analisi sviluppata, ai precedenti capitoli, dei nuovi «giudizi di
opposizione», riconduce al punto di partenza di questa riflessione, dello
sviamento dell’originaria concezione dell’opposizione all’esecuzione, come
pensata dal legislatore del 1940. Nell’impianto originario del codice era
dominante nelle opposizioni all’esecuzione il carattere di fase incidentale del
processo esecutivo, che apre e sviluppa un contraddittorio pieno in un
procedimento che ne è privo. In tale prospettiva, seppur con le dovute
differenze, il sistema complessivo esecuzione - opposizione restava
42 MONTELEONE, Manuale., ibidem.
43 Va rammentato, infine, l'art. 621 c.p.c., che introduce limiti alla prova per testi: «Il terzo
opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o
nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla
professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore».
65
sostanzialmente unitario, sebbene venisse aperta, al suo interno, una fase
contenziosa a contraddittorio pieno. Tale carattere unitario era attestato, a ben
vedere, dalla precisa scelta legislativa contenuta agli artt. 616 e 619 c.p.c.,
secondo cui sarebbe stato lo stesso giudice dell’esecuzione a provvedere
«all’istruzione a norma degli art. 175 e seguenti», mentre l’ipotesi di
remissione ad un diverso ufficio giudiziario (e, dunque, la conseguente
necessità di «riassumere» la causa) era limitata al caso in cui il giudice
dell’esecuzione non fosse stato competente, in ragione del valore, a conoscere
del diritto dedotto in opposizione 44. Non si trattava, probabilmente, di una
mera scelta di opportunità e di economia di giudizi, bensì un indice di
prospettiva del legislatore, che poneva al centro del tutto l’esecuzione forzata,
e che vedeva del giudizio di opposizione una sua fase strumentale.
Nell’attuale assetto delle opposizioni tale concezione appare,
probabilmente, mutata. La caratteristica principale delle nuove opposizioni
sembra, piuttosto, quella di aprire un nuovo giudizio a tutti gli effetti avente
ad oggetto la legittimità dell’esecuzione.
Tale differente prospettiva è tradita dalle stesse scelte semantiche del
legislatore, il quale, nella rubrica dell’art. 616 parla di «giudizio di cognizione
introdotto dall’opposizione», mentre nel corpo dell’articolo (cui fa rinvio l’art.
619, per le opposizioni di terzo), afferma esplicitamente che il giudice
dell’esecuzione deve limitarsi a fissare «un termine perentorio per
l’introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione
della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte
interessata»45.
44 Il sistema era chiuso dagli artt. 185 e 186 disp. att., che prevedevano, rispettivamente, che
«all’udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione fissata a norma degli artt.
615, 618 e 619 del codice si applica la disposizione dell’art. 183 del codice» e che «se per
la causa di opposizione è competente un giudice diverso da quello dell’esecuzione, il
cancelliere del giudice davanti al quale la causa è riassunta deve immediatamente
richiedere al cancelliere del giudice dell’esecuzione la trasmissione del ricorso di
opposizione, di copia del processo verbale dell’udienza di comparizione di cui agli artt. 615
e 619 del codice e dei documenti allegati relativi alla causa di opposizione».
45 Si rinvia alle considerazioni svolte al precedente paragrafo, per quanto riguarda il
mancato coordinamento della nuova previsione, con l’ipotesi (mutuata dalla previgente
formulazione) di incompetenza dell’ufficio giudiziario a decidere sull’opposizione (in
questo caso la legge parla non più di introduzione, ma di riassunzione del giudizio).
66
Pare evidente, come si è detto al precedente paragrafo, l’accentuata
bifasicità della nuova opposizione. Se, nelle intenzioni del legislatore del ’40
il sistema esecuzioni - opposizione era sostanzialmente unitario, pur nella
diversità delle fasi, oggi il sistema è marcatamente binario, con separazione,
anche sul piano concettuale, dell’esecuzione dall’opposizione. Conseguenza
di questa mutata concezione è, altresì, un mutamento di prospettiva, sul come
è preordinato il sistema. Se il codice originario si poneva dal punto di vista
dell’esecuzione (rispetto alla quale l’opposizione apriva una fase incidentale)
e, conseguentemente, del creditore procedente l’assetto attuale sembra porre il
punto di vista sul giudizio di opposizione e, conseguentemente, sul debitore
che tale giudizio propone.
Il carattere di fase incidentale pare, oggi, quasi del tutto sparito: si tratta,
giusta la previsione dell’art. 616 c.p.c., di un nuovo giudizio, avente ad
oggetto la legittimità dell’esecuzione. È in tale prospettiva che va letta
l’affermazione con cui si è aperto il ragionamento fin qui seguìto: che
l’esecuzione, oggi, costituisce una sorta di «fatto giuridico», esogeno rispetto
al processo di opposizione e da esso meno legato che in passato. Se ci si
colloca nella prospettiva del debitore, che con l’opposizione chiede venga
accertato un proprio diritto, l’esistenza dell’esecuzione può ben essere vista
come un presupposto di fatto, o - meglio - come il fatto pregiudizievole che
con l’opposizione si chiede venga rimosso.
Se tale è la concezione dell’opposizione e del suo rapporto con
l’esecuzione, può cogliersi meglio l’ulteriore affermazione, presupposta nella
presente indagine, che la sospensione è stata assimilata, consapevolmente o
inconsapevolmente, correttamente o irragionevolmente, ad un provvedimento
cautelare anticipatorio.
Se l’esistenza dell’esecuzione è un fatto giuridico, e segnatamente il fatto la
cui illegittimità deve essere accertata attraverso l’opposizione, allora può ben
darsi che, nelle more di siffatto accertamento, si producano in capo al debitore
effetti irrimediabilmente pregiudizievoli. Da qui l’esigenza di concepire un
provvedimento cautelare - o, se si preferisce, di riconfigurare come cautelare
un provvedimento già esistente (appunto la sospensione all’esecuzione) - e la
67
possibilità logico - sistematica di attribuire ad esso effetti anticipatori
dell’esito del giudizio di merito46.
Questo modello di lettura, probabilmente, spiega adeguatamente il senso
delle riforme alla sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. Alla
concessione, oggi, del provvedimento di sospensione conseguono effetti che,
sotto certi aspetti, sono in grado di anticipare l’esito del giudizio sul merito
dell’opposizione, rendendolo superfluo. In questa linea si colloca, a nostro
giudizio, la previsione dell’estinzione del processo esecutivo, sancita dal
nuovo art. 624 c.p.c., per il caso che le parti, successivamente alla
stabilizzazione del provvedimento di sospensione, non abbiano introdotto il
giudizio di merito.
Sempre in quest’ottica si colloca la scelta del legislatore di disciplinare una
fase cautelare secondo un rito camerale ed un successivo giudizio di merito
con rito ordinario, con ulteriore rafforzamento della opposizione nel suo
complesso come procedimento ad articolazione bifasica47: una prima fase
«cautelare», nelle forme del rito camerale, davanti al giudice dell’esecuzione,
diretta alla statuizione sospensione, una seconda eventuale, davanti al giudice
del merito dell’opposizione.
La superiore ricostruzione pare ulteriormente confermata dall’espressa
previsione che, avverso il provvedimento di sospensione, è proponibile non
genericamente «reclamo», ma precipuamente il «reclamo ai sensi
dell’articolo 669 terdecies» c.p.c., id est quello specifico rimedio che la legge
46 Come si trattasse, mutatis mutandis, di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. Si è parlato in
dottrina di una relazione tra provvedimento di sospensione e causa di opposizione alla
stregua di quella, di c.d. strumentalità attenuata, di cui all’art. 669 octies c.p.c. fra
provvedimento cautelare e successiva causa di merito. Cfr. RECCHIONI, Il processo cautelare
uniforme, in CHIARLONI-CONSOLO, Trattato sui processi speciali, II, Processo cautelare,
Torino 2005, p. 44 ss; ID., I nuovi articoli 616 e 624 c.p.c. fra strumentalità cautelare
"attenuata" ed estinzione del "pignoramento", in Riv. dir. proc., 2006, p.643 ss. Cfr. anche le
osservazioni di ORIANI, La sospensione dell'esecuzione (sul combinato disposto degli artt.
615 e 624 c.p.c.), www.judicium.it, 2006. In senso sostanzialmente analogo alla ricostruzione
prospettata nel testo v. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1268.
Nega, invece, la natura di provvedimento cautelare anticipatorio: LONGO, La sospensione
nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata riformata, Torino, 2009,
p. 739.
47 Cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att., in CIPRIANI - MONTELEONE, La
riforma del processo civile, Padova, 2007, p. 420 ss.; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis,
in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.432; ZIINO, Art. 617, in
CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.429.
68
ha previsto avverso i provvedimenti cautelari disciplinati dagli artt. 669 bis ss.
c.p.c.
Questa strategia legislativa - sia essa giustificata su un piano teorico o
meno, derivi da una incertezza concettuale e da una «navigazione a vista» o
da una precisa scelta dogmatica 48 - è confermata altresì dalla relazione di
accompagnamento alla riforma del 2005: «le modifiche all’art. 624 del codice
di procedura civile si propongono di assicurare una maggiore stabilità
all’ordinanza di sospensione, con effetti dunque di efficacia estintiva del
pignoramento, quando ad essa sia stata fatta acquiescenza dalla parte
opposta, eliminando la necessità di promuovere un giudizio di merito. La
norma è esplicitamente analoga al nuovo regime introdotto anche per i
procedimenti cautelari dalla legge n. 80 del 2005 e dunque è improntata ad
un principio di evidente economicità. Viene fatta salva la possibilità che altri
interessati possano tuttavia promuovere il giudizio di opposizione anche per
la fase di merito» 49.
Da tale, nuova o vecchia, prospettiva derivano, a nostro avviso,
conseguenze di rilievo.
48 Anteriormente alla riforma avevano affrontato la questione della natura cautelare del
provvedimento di sospensione, ex plurimis: DI BENEDETTO, Brevi note sulla ammissibilità
del reclamo contro i provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione emessi ai sensi
dell’art. 624 co. 1 c.p.c. in Giur. merito, 1996, p. 217 ss; ORIANI, L’imparzialità del giudice
l’opposizione agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2001, p.16 ss; PROTO PISANI, Lezioni di
diritto processuale civile, Napoli, 1996, p. 788; STORTO, Note su alcune questioni in tema di
opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2000, p. 249; VITTORIA, Il controllo sugli atti
del processo di esecuzione forzata: l’opposizione agli atti esecutivi e i reclami, in Riv. esec.
forz., 2000, p. 381; contra, tra gli altri: CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur.
Treccani, p. 1 ss. 967, p. 3 ss.; MERLIN, Procedimenti cautelari e urgenti, in Digesto civ.,
XIV, Torino, 1996, p. 431. Si segnala che l’inquadramento concettuale delle inibitorie quali
provvedimenti cautelari aveva avuto importanti conseguenze, prima delle novelle dei
2005-2006. In particolare, si è fatto cenno al capitolo II di come la giurisprudenza che
negava la possibilità di ottenere la sospensione in caso di opposizione a precetto, si fosse
espressa in senso favorevole alla concedibilità, anteriormente all’inizio dell’esecuzione
forzata, a un ricorso ex art. 700 c.p.c. per inibirne l’attivazione: v. Trib. Mantova, 26
febbraio 2005, in Giur. merito, 2006, p. 316, n. GIORDANO. Si osservi che il tribunale
considera un tale rimedio ammissibile, sotto il profilo della residualità del rimedio, stante
inesistenza di «strumenti cautelari tipici» (con riguardo, ovviamente, a titoli stragiudiziali).
Se ne deduce peraltro che, la espressa previsione, ad opera della novella del 2006, della
possibilità per il giudice dell’opposizione a precetto di sospendere l’efficacia esecutiva del
precetto dovrebbe avere reso inammissibile tale rimedio.
49 Relazione alla proposta di legge n. 6232 presentata alla Camera dei deputati il 15
dicembre 2005.
69
Come si è detto al capitolo I e come si è fatto cenno ai paragrafi precedenti,
l'entrata in vigore, alla data del 4 luglio 2009, della legge n. 69 del 18 giugno
2009, ha costituito il punto di arrivo di una marcata evoluzione (o, a seconda
dei punti di vista, involuzione) dell’istituto della sospensione dell’esecuzione.
Si è visto, in particolare, come la sospensione del processo esecutivo - già dal
Progetto Sottocommissione C e dai Progetti Solmi, ma in misura evidente nel
codice definitivo - avesse via via acquisito una sua fisionomia dogmatica,
parallela, sebbene non del tutto coincidente, alla sospensione del processo di
cognizione.
Forzato o naturale che fosse siffatto parallelismo, è certo che, a seguito
delle riforme del 2005-2006 e del 2009, la sospensione all’esecuzione ha
seguito un percorso evolutivo suo proprio, che ha, probabilmente, ridotto
ulteriormente se non proprio annullato i punti di contatto con la disciplina
della sospensione disciplinata dagli artt. 295 ss. c.p.c. Come conseguenza non
sembra ammissibile, oggi ancor meno di ieri, un possibile ricorso, nel
processo esecutivo, alla regola della sospensione per pregiudizialità, dettata,
appunto, dall’art. 295 c.p.c. Mancando o essendosi ulteriormente ridotta
l’eadem ratio tra le due sospensioni, non sembra lecito invocare una
sospensione per pregiudizialità in talune ipotesi specifiche 50.
Preso atto di tale evoluzione - della prospettiva prima ancora che della
disciplina - non resta che esaminare il dettaglio delle riforme e la nuova
disciplina della sospensione ex art. 624 c.p.c., a seguito delle novelle del
2005-2006 e del 2009.
III.5. Le riforme del 2005 - 2006 e del 2009: la disciplina e le problematiche
specifiche.
Si è già detto nei paragrafi precedenti che la fattispecie regolata dall’art.
624 c.p.c., nell’impostazione voluta dal legislatore, riguardava l’ipotesi
ordinaria di sospensione dell’esecuzione, e segnatamente quella disposta dal
giudice dell’esecuzione.
Nel suo testo originario la norma prevedeva che, qualora fosse stata
proposta opposizione a norma degli artt. 615 secondo comma e 619, il giudice
50 Si rinvia a quanto si dirà infra, a proposito della sospensione per il caso di pendenza di
procedimento per misure di prevenzione antimafia, al par. VII.3.
70
dell'esecuzione, concorrendo gravi motivi, avrebbe potuto sospendere «su
istanza di parte, il processo con cauzione o senza». Il secondo comma
prevedeva il caso di sospensione parziale o totale della distribuzione della
somma ricavata, qualora fosse sorta una delle controversie di cui all’art. 512
c.p.c.
La disposizione in parola fu al centro, come è noto e come si è accennato
nei paragrafi precedenti, di un iter legislativo particolarmente travagliato, in
occasione delle riforme introdotte con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito,
con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005 n. 80 e successivamente
modificato dall’art. 18 della legge 24 febbraio 2006 n. 5151.
Nel testo entrato effettivamente in vigore il 1° marzo 2006, al netto delle
varie modifiche intermedie, la norma venne riformulata nei termini seguenti:
«Se è proposta opposizione all'esecuzione a norma degli articoli 615 e 619, il
giudice dell'esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di
parte, il processo con cauzione o senza. Contro l'ordinanza che provvede
sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell'articolo 669terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al
provvedimento di cui all'articolo 512, secondo comma. Nei casi di
sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma e non reclamata,
nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la
sospensione dichiara con ordinanza non impugnabile l'estinzione del
pignoramento, previa eventuale imposizione di cauzione e con salvezza degli
atti compiuti, su istanza dell'opponente alternativa all'instaurazione del
giudizio di merito sull'opposizione, fermo restando in tal caso il suo possibile
promovimento da parte di ogni altro interessato; l'autorità dell'ordinanza di
estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è invocabile in un
diverso processo. La disposizione di cui al terzo comma si applica, in quanto
51 Si ricorda che l’art. 624 c.p.c. è stato dapprima sostituito dall'art. 2, comma 3, lett. e), n.
42), d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n.
80 Successivamente modificato dall'art. 8, comma 1, d.l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito,
con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168 e dall'art. 1, comma 1, d.l. 30
dicembre 2005, n. 271, non convertito in legge (comunicato pubblicato nella G.U. 1° marzo
2006, n. 50), ma le cui modifiche sono state recepite dall'art. 39-quater, comma 1, d.l. 30
dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
Inoltre modificato dall'art. 18, comma 1, lett. a) e b), L. 24 febbraio 2006, n. 52, a decorrere
dal 1° marzo 2006. Per una disamina cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att.,
cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, cit., ibidem; ZIINO, Art. 617, cit., p.429.
71
compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi degli
articoli 618 e 618-bis».
L’articolata e difficile gestazione legislativa e la contraddittorietà delle
istanze emerse in sede di lavori parlamentari avevano indubbiamente dato vita
ad una delle norme più oscure e mal formulate dell'intero codice di procedura
civile52.
Tra i tanti problemi segnalati dalla dottrina53:
- il fatto che la norma sembrasse far dipendere la mancata estinzione «del
pignoramento» dalla sola introduzione del giudizio di merito da parte del
debitore, e non anche da quella del creditore opposto 54 (che, dunque, paresse
accentuare il carattere di definitività della sospensione, attribuendo al solo
debitore la facoltà di scegliere tra estinzione e introduzione del giudizio di
merito);
- la sibillina previsione della «cauzione» prevista per il caso che il giudice
avesse dichiarato l’estinzione del pignoramento (con conseguente oggettiva
difficoltà di stabilirne le sorti, se dovesse essere restituita immediatamente alla
parte, ovvero permanentemente «congelata» in un libretto 55);
- la mancata previsione della reclamabilità dell'ordinanza di estinzione, ai
sensi dell'art. 630 c.p.c.;
- la mancata previsione della possibilità, per il giudice che pronunciava
l’estinzione, di decidere anche sulle spese;
52 Si rinvia a CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, sub
art. 624, che parlano senza mezzi termini di «pessima fattura della norma». Agli stessi si
rinvia per una disamina delle principali problematiche e dubbi interpretativi indotti dalla
complicata formulazione normativa.
53 Per una disamina cfr. CARRATTA, Le novità in materia di sospensione del processo di
esecuzione forzata., cit., p. 108 ss.
54 Cfr. ROMANO, La nuova opposizione all'esecuzione, in www.judicium.it, 2006, par.5.
55 La previsione sarebbe stata un nonsense secondo CONTE, La riforma delle opposizioni e
dell'intervento nelle procedure esecutive, con requiem per il sequestro conservativo, in
www.judicium.it, 2006, stante l’incomprensibilità di una cauzione da concedere in relazione
ad un procedimento estinto. Altra dottrina ha affermato che la cauzione in esame avrebbe
potuto essere spiegata alla stregua di quella prevista dal comma primo dell’art. 624, per il
caso, cioè, di concessione del provvedimento di sospensione. In particolare la cauzione per
il caso estinzione avrebbe avuto la stessa funzione di garantire il creditore opposto; e ciò,
naturalmente, con riferimento ai danni subiti per il caso che, pronunciata l'estinzione del
pignoramento, la causa di opposizione fosse stata poi vinta dal creditore opposto:
RECCHIONI, I nuovi articoli 616 e 624 c.p.c.., cit., p. 665.
72
- la previsione (tautologica o di difficile interpretazione) della efficacia
meramente endoprocessuale dell'estinzione56;
- la difficilmente comprensibile previsione della «salvezza degli atti
compiuti» per il caso che fosse stata dichiarata l’estinzione 57;
- la complessa disciplina dell’estinzione che, pur operando di diritto,
doveva «essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua
difesa» (formulazione, nella migliore delle ipotesi ambigua, tenuto anche
conto che nel processo esecutivo non è detto che ci sia una «prima difesa»);
- la previsione che l’estinzione riguardasse «il pignoramento» e non la
procedura esecutiva 58.
La formulazione normativa del 2006 fu oggetto, fin da subito, di aspre
critiche. A seguito delle osservazioni della dottrina e delle numerose
incertezze interpretative cui la novella aveva dato luogo, il testo dell’art. 624
venne nuovamente modificato dall’art. 49 comma terzo della legge 18 giugno
2009 n. 69. Nel suo testo oggi vigente la norma prevede che «nei casi di
sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma, se l’ordinanza
non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, e il giudizio di
merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi
dell’articolo 616, il giudice dell’esecuzione dichiara, anche d’ufficio, con
ordinanza, l’estinzione del processo e ordina la cancellazione della
trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese. L’ordinanza è
56 In termini fortemente critici: CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato,
cit., ibidem.
57 CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit., ibidem., secondo cui la
norma avrebbe potuto avere un qualche senso con riferimento a taluni atti successivi al
pignoramento (ad esempio, gli atti compiuti nell'espropriazione immobiliare dal custode nei
confronti dei terzi) ovviamente posti in essere prima della sospensione dell'esecuzione. La
regola dell’efficacia endoprocedimentale dell’estinzione, allora, avrebbe inteso derogare a
quanto disposto appunto in tema di estinzione del processo esecutivo dall'art. 632 comma
secondo c.p.c., che distingue le conseguenza dell'estinzione dell'esecuzione a seconda che
essa intervenga prima o dopo la aggiudicazione o l'assegnazione, salvando gli atti compiuti
(ad esempio gli atti di amministrazione, quali la locazione degli immobili pignorati)
legittimamente compiuti durante il processo solo se l'evento patologico si verifichi dopo di
loro: non anche quando maturi prima della aggiudicazione o dell'assegnazione. Altra
dottrina aveva affermato che la norma in esame avrebbe voluto fare riferimento alla
notificazione del titolo esecutivo e al precetto: ROMANO, La nuova opposizione
all'esecuzione, cit., ibidem.
58 Si rinvia al par. I.5., per quanto concerne la sospensione «del pignoramento» prevista dal
Progetto Orlando del 1909.
73
reclamabile ai sensi dell’articolo 630, terzo comma. La disposizione di cui al
terzo comma si applica, in quanto compatibile, anche al caso di sospensione
del processo disposta ai sensi dell’articolo 618».
Tuttavia, giusta il disposto dell'art. 58 della legge 69/2009, le norme
introdotte dalla norma del 2009 trovano applicazione solamente «ai giudizi
instaurati dopo la sua entrata in vigore», e dunque dal 4 luglio 2009. Ne
consegue che tutte le opposizioni introdotte tra il 1° marzo 2006 e il 4 luglio
2009 vengono regolate, anche in parte qua, dalla normativa del 2006, mentre
le regole «nuovissime» si applicano solamente ai giudizi instaurati dopo tale
data di entrata in vigore della legge.
Il testo approvato nel 2009, come si è visto:
- prevede espressamente che l'estinzione dovrà essere dichiarata d'ufficio,
qualora non venga introdotto il giudizio di merito o reclamata l'ordinanza
cautelare (fugando ogni dubbio circa la discrezionalità o meno della scelta);
- ha eliminato la sibillina previsione della cauzione, troncando
gordianamente ogni disputa sulle magnifiche sorti e progressive della
cauzione, una volta pronunciata l'estinzione del processo;
- ha previsto espressamente la reclamabilità dell'ordinanza, ai sensi dell'art.
630 c.p.c. (dunque nel termine di venti giorni dalla sua emissione in udienza o
dalla sua comunicazione; la formula sembra consentire la reclamabilità anche
dell'eventuale provvedimento di rigetto);
- ha espressamente previsto che l'ordinanza che dichiara l'estinzione
deciderà anche sulle spese;
- ha rimosso la previsione (tautologica o difficilmente comprensibile) della
efficacia meramente endoprocessuale dell'estinzione;
- ha eliminato la previsione della «salvezza degli atti compiuti»;
- ha eliminato il riferimento all'art. 618 bis59.
Il meccanismo che viene fuori dal rinovellato art. 624 pare, se non altro, più
lineare.
59 Probabilmente improprio e tautologico, atteso che le opposizioni in materia di lavoro
ricadrebbero comunque nella generale previsione e nel richiamo dell’art. 618 c.p.c. Nello
stesso senso BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento
della legge n. 18 giugno 2009, n. 69), in www.judicium.it.
74
In pratica il legislatore ha adottato, come visto, uno schema
concettualmente accostabile a quello dei procedimenti cautelari anticipatori.
Nel suo testo vigente:
- rende meramente eventuale la fase del merito;
- l'onere della cui proposizione viene espressamente attribuito, in caso di
accoglimento dell'istanza cautelare, al creditore (a meno che non preferisca
subire le conseguenze dell’estinzione)60.
Risolve, insomma, il dubbio amletico del debitore se: introdurre il giudizio
di merito o non introdurlo, in caso di inerzia del creditore, chiarendo, al
contempo, che l’estinzione potrà essere rilevata d’ufficio. Il carattere
«anticipatorio» della sospensione sarebbe ravvisabile nella previsione
dell’estinzione: in caso di mancata introduzione del giudizio di merito il
provvedimento di sospensione determinerà la chiusura non solo del giudizio
di sospensione, ma anche dell’intero processo esecutivo. Per contro il
creditore potrà inibire l’effetto estintivo della sospensione - dunque, lato sensu
anticipatorio dell’esito del giudizio di merito - introducendo egli stesso il
giudizio medesimo.
In definitiva il risultato utile che sembra essere stato perseguito dal
legislatore è quello di rendere meramente eventuale il giudizio di merito. Se la
sospensione viene pronunciata, ad esempio, limitatamente all’esecuzione su
alcuni beni, il creditore potrebbe non avere interesse ad impedire,
limitatamente ad essi, l'estinzione del processo esecutivo (perché, ad esempio,
potrebbero esserci altri beni già venduti o in corso di vendita etc.).
Se questo è il risultato utile, la giustificazione teorica - per come detto risiede probabilmente nella nuova (o vecchia) prospettiva con cui si è
guardato al sistema esecuzione e opposizione (binario e non più unitario) e,
conseguentemente, alla sospensione (latamente cautelare e anticipatoria). Si
rinvia alle considerazioni svolte, sul punto, al paragrafo precedente.
60 Viene, dunque, eliminato il dubbio che il giudice possa dichiarare l’estinzione, per il caso
di giudizio di merito introdotto dal creditore e non anche dal debitore opponente. Cfr.
BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile., cit., ibidem.
75
Sia l’esigenza che il suo fondamento teorico, del resto, come pure l’utilizzo
della struttura dei procedimenti cautelari, sono state espressamente indicate,
come si è detto, nella relazione di accompagnamento alla riforma del 200561.
Un’ultima considerazione di carattere generale merita la questione della
portata applicativa dell’art. 624 c.p.c. Sul punto parte della dottrina ha
affermato che tale disposizione aspirerebbe ad assurgere a generale disciplina
del tema della sospensione dell'esecuzione da parte del giudice
dell’esecuzione a seguito delle opposizioni; con l’ulteriore conseguenza che la
relativa disciplina andrebbe estesa a tutti quegli strumenti riconducibili al
novero delle opposizioni esecutive, tanto sull'an come sul quomodo
dell'esecuzione ed anche di terzo, previsti dalla legislazione speciale (e.g., le
opposizioni esecutive previste dalla legge cambiaria, alla cui trattazione si
rinvia 62).
III.6. I presupposti per la concessione della sospensione ex art. 624 c.p.c.:
i gravi motivi
Si è già fatto cenno, al capitolo II, che le sospensioni dell’esecuzione intendendo tale formula in senso ampio, comprensivo sia delle inibitorie
disposte dai giudici delle impugnazioni che di buona parte delle sospensioni
speciali - presuppongono per la loro concessione l’esistenza di «gravi motivi».
Questa considerazione è probabilmente alla base della linea di pensiero che
considera detti provvedimenti come aventi natura cautelare. Essa, inoltre,
indica in modo sufficientemente preciso il punto di distacco tra sospensione
del processo di cognizione e sospensione del processo esecutivo. La prima
diretta ad evitare la contraddittorietà di giudizi o comunque l’economia
processuale (nella misura in cui il giudizio, ove non fosse sospeso, all’esito di
61 Relazione alla proposta di legge n. 6232 presentata alla Camera dei deputati il 15
dicembre 2005: "le modifiche all’art. 624 del codice di procedura civile si propongono di
assicurare una maggiore stabilità all’ordinanza di sospensione, con effetti dunque di
efficacia estintiva del pignoramento, quando ad essa sia stata fatta acquiescenza dalla parte
opposta, eliminando la necessità di promuovere un giudizio di merito. La norma è
esplicitamente analoga al nuovo regime introdotto anche per i procedimenti cautelari dalla
legge n. 80 del 2005 e dunque è improntata ad un principio di evidente economicità. Viene
fatta salva la possibilità che altri interessati possano tuttavia promuovere il giudizio di
opposizione anche per la fase di merito".
62 BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo, www.judicium.it 2006;
conf. CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato., cit., sub art. 624.
76
quello pregiudiziale diverrebbe inutilmente proseguito), la seconda fondata su
un’esigenza che - quale che sia la natura del provvedimento inibitorio - ha
carattere cautelare: evitare che, nelle more del giudizio di impugnazione 63, il
debitore possa subire un pregiudizio irreparabile.
Tale esigenza è, nel caso dell’art. 624 c.p.c., rappresentata dalla formula dei
«gravi motivi».
Analogamente a quanto si vedrà a proposito delle inibitorie dell’efficacia
esecutiva dei titoli64 , la dottrina fa riferimento alla coppia concettuale del del
fumus boni iuris e del periculum in mora.
In particolare è stato affermato che «i gravi motivi da un canto implicano
una valutazione preventiva e probabilistica del fondamento e della
ammissibilità delle contestazioni mosse con l’opposizione all’esecuzione: ché
se esse fossero già in partenza chiaramente inammissibili e infondate, la
sospensione dovrebbe essere negata. D’altro canto implicano anche una
valutazione preventiva del danno derivante dall’esecuzione illegittima il
quale, pur non dovendo essere grave ed irreparabile, deve pur tuttavia
profilarsi, poiché se esso fosse del tutto inesistente, o comunque eliminabile ex
post in modo pieno e soddisfacente, ancora una volta la sospensione dovrebbe
essere esclusa» 65.
Altra dottrina ha ritenuto che il requisito del periculum possa essere
ravvisato nel fatto stesso della pendenza dell’esecuzione forzata 66, cosicché la
sussistenza o l’insussistenza dei gravi motivi andrebbe ricercata
essenzialmente sotto il profilo della fondatezza, prima facie, dell’opposizione.
O, come nel caso delle sospensioni speciali, nelle more che vengano compiute
determinate attività.
63
64 Infra, cap. IV.
65 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, V ed., vol. II, Padova, 2009, p. 289;
ID., Esecuzione provvisoria, in Digesto IV ed., Disc. priv. Sez. civ., Aggiornamento, Torino,
2000, p. 365 ss. Conf. BALENA - BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 206,
p. 300 ss.; FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Varese, 1956, p. 95 ss.; ORIANI,
Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla legge n. 80 del 2005. Titolo
esecutivo, opposizioni, sospensione dell’esecuzione, in Foro it., 2005, V, p. 109; TOTA, Art.
615 - forma dell’opposizione, in BRIGUGLIO-CAPPONI, Commentario alle riforme del
processo civile, Padova, 2007, p. 545.
66 PETRILLO, Art. 624 - sospensione per opposizione all’esecuzione, in BRIGUGLIO -
CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 625 ss.; cfr. anche
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, p. 895.
77
Analogamente a quanto si dirà a proposito dell’art. 283 c.p.c., da un punto
di vista semantico – linguistico (e il diritto è una creazione linguistica) la
locuzione «gravi motivi» non pare debba essere necessariamente ricondotta
allo schema concettuale della coppia fumus boni iuris - periculum in mora (e,
tanto meno, non nel senso di presupporre una loro necessaria coesistenza).
Ma è, in ogni caso, ragionevole affermare che la fondatezza prima facie
dell’opposizione non possa che avere rilevanza imprescindibile.
Ed invero è innegabile che un certo periculum, nella fattispecie di cui
all’art. 624 c.p.c., possa essere sempre e comunque ravvisato nel fatto stesso
che è pendente un’esecuzione forzata. Anche sul piano sociale, del resto, se
pare logico attribuire al giudice dell’esecuzione il potere di sospendere
l’esecuzione in caso di palese fondatezza dell'opposizione (si pensi all'ipotesi
di manifesta nullità del titolo stragiudiziale, ovvero della palese sussistenza di
fatti impeditivi o estintivi, successivi alla sua formazione), non sembra
altrettanto ragionevole (né, considerati i tempi medi del giudizio di
opposizione, socialmente accettabile) che si possa dare rilievo esclusivo o
prevalente alla sola gravità del pregiudizio, sospendendo l’esecuzione pure in
presenza di una opposizione proposta per manifesti fini dilatori.
Con questo non si vuole negare tout court rilevanza al periculum, ovvero
concludere che esso debba considerarsi presunto. Un minimo fumus di
fondatezza dell’opposizione potrà essere sufficiente a far sospendere
l’esecuzione, qualora venga dedotto un pregiudizio irreparabile, diverso dalle
mere conseguenze dell’opposizione stessa.
Probabilmente anche in questa ipotesi pare ragionevole utilizzare quel
criterio - di buon senso oltre che di diritto - che potrebbe essere definito della
compresenza asimmetrica. Secondo detto criterio, efficacemente descritto
attraverso la metafora dei c.d. vasi comunicanti, al crescere di uno dei due
elementi l'altro potrebbe attenuarsi anche sensibilmente ma mai sparire del
tutto67.
67 CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile.
Il mancato ricompattamento dei riti, in Corriere giur., 2007,12, p. 1757 ss. Sul punto v.
diffusamente, infra par. IV.2.
78
III.7. L’eventuale «cauzione»
In forza dell’art. 624 c.p.c. il giudice dell’esecuzione può sospendere il
processo «con cauzione o senza».
Sulla base del dato letterale della norma, innanzitutto, l’imposizione della
cauzione è facoltativa e non obbligatoria; rimessa, cioè, alla valutazione del
giudice.
È stato giustamente osservato che funzione di questa ipotesi di cauzione
sarebbe stata quella di garantire, per l'ipotesi di successivo rigetto
dell'opposizione, l'eventuale risarcimento dei danni subiti dai creditori,
procedenti o intervenuti, per la detta sospensione dell'esecuzione, disposta su
istanza dell'opponente 68.
Altra dottrina ha evidenziato che funzione della cauzione non sarebbe
anche quella di garantire la pretesa vantata dal debitore, atteso che a
sospensione - come si è accennato - avrebbe potuto ritardare lo svolgimento
dell’esecuzione, ma non pregiudicare gli atti esecutivi già compiuti69 .
Per costante giurisprudenza la cauzione avrebbe potuto essere revocata o
modificata dal giudice dell’esecuzione su istanza del debitore, e comunque
svincolata, sempre dal medesimo giudice dell’esecuzione, a seguito
dell’accoglimento
dell’opposizione70 .
Trattandosi,
comunque,
di
provvedimento afferente la sospensione la sua modifica (ove non si consideri
attratta dalla regola generale della reclamabilità) o svincolo sarebbero di
competenza del giudice dell’esecuzione, e non anche di quello del merito.
Quanto al dies a quo per lo svincolo della cauzione, si dovrà fare
applicazione dei principi in tema di riassunzione del processo sospeso, di cui
all’art. 627 c.p.c. Come logico corollario le somme vincolate potranno essere
restituite al debitore (in caso di accoglimento dell’opposizione) solo con il
passaggio in giudicato della sentenza di primo grado71, ovvero con la
comunicazione della sentenza di appello (a seguito della reintroduzione, ad
68 CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit., sub. art. 624 c.p.c.
69 SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1259, che si spinge, sostanzialmente, a
considerare tale «risarcimento» quello da responsabilità processuale ex art. 96 comma primo
c.p.c.
70 Cass. 11 giugno 1991 n. 6594.
71 CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit., sub. art. 624 c.p.c.
79
opera della novella del 2009, di tale mezzo di gravame avverso le sentenze di
primo grado di opposizione all’esecuzione).
In caso, invece, di rigetto dell’opposizione, il creditore potrà chiedere le
somme solamente con il passaggio in giudicato della relativa sentenza
(contenente la condanna del debitore al risarcimento dei danni).
La cauzione opera come condizione sospensiva dell'efficacia della
sospensione, sicché la sua mancata prestazione comporta la consequenziale
possibilità di prosecuzione dell'esecuzione forzata72 senza alcuna incidenza
sul processo di opposizione, che continua indisturbato, sotto tale profilo, il suo
corso.
Si è già detto che la riforma del 2005-2006, a fianco di questa prima
cauzione, ne aveva introdotto anche una seconda, per il caso di mancata
introduzione del giudizio di merito, dopo la stabilizzazione della sospensione.
In particolare il giudice, nel pronunciare l’estinzione «del pignoramento»,
avrebbe potuto imporre alla parte una cauzione. Per i dubbi interpretativi sorti
a proposito di tale disposizione, come pure sulle possibili sorti di tale
cauzione, una volta dichiarata l’estinzione del pignoramento, si rinvia alle
considerazioni svolte supra73. In questa sede si rammenta semplicemente che
secondo un canone di interpretazione conservativa della norma - a volerle,
cioè, attribuire un significato piuttosto che disapplicarla come un nonsense
legislativo - essa avrebbe dovuto essere interpretata nei seguenti termini. Una
volta stabilizzato il provvedimento di sospensione - o per mancata
proposizione del reclamo, o per sua conferma in detta sede - l’opponente
avrebbe potuto scegliere se introdurre il giudizio di merito, ovvero se chiedere
l’estinzione del processo esecutivo. Il creditore procedente, da parte sua,
avrebbe potuto introdurre egli stesso il giudizio di merito, ma tale
introduzione non avrebbe inibito la possibilità per il debitore di chiedere
ugualmente l’estinzione. In tale ipotesi - nel caso, cioè, di giudizio di merito
72 In giurisprudenza, v. Cass. 11 giugno 1991, n. 6594. Per la dottrina v. BUCOLO, La
sospensione nell'esecuzione. Le opposizioni esecutive, II, Milano 1972, p.1175; CORSAROBOZZI, Manuale dell'esecuzione forzata, Torino, 1996, p. 524; LUISO, Sospensione del
processo civile: processo di esecuzione forzata, in Encicl. Diritto, vol. XLIII, Torino 1990,
p. 65; RECCHIONI, Il processo cautelare uniforme, in CHIARLONI - CONSOLO, Trattato sui
processi speciali, vol. II, Il processo cautelare, Torino 2005, p. 539 ss.
73 Par. III.4.
80
introdotto dal creditore e di istanza di estinzione proposta dal debitore - il
giudice avrebbe potuto subordinare l’efficacia del provvedimento di
estinzione all’imposizione di una cauzione. Questa sarebbe rimasta dunque
vincolata fino alla definizione del giudizio di merito il quale, sia pure nel
silenzio normativo, con la decisione dell’opposizione avrebbe dovuto statuire
anche in merito alle sorti della cauzione: se restituirla al debitore, ovvero se
farla incamerare al creditore, a pagamento del credito74.
Se tale interpretazione fosse corretta, allora anche la previsione della
cauzione di cui al primo comma dell’art. 624 c.p.c. avrebbe potuto essere
reinterpretata. Ambedue le cauzioni avrebbero potuto essere concesse in
funzione della possibile, futura estinzione e dunque - contrariamente a quanto
affermato da giurisprudenza e dottrina sopra citate - proprio a garanzia della
pretesa vantata dal creditore. La questione, tuttavia, salvo per quanto concerne
il diritto transitorio, pare aver perduto importanza, con l’abrogazione, ad opera
della novella del 2009, della cauzione per il caso di estinzione.
Non sembra, infatti, potersi dubitare che, una volta estinto il processo
esecutivo, la cauzione debba essere restituita alla parte.
III.8. La sospensione «parziale».
Generalmente ammessa in dottrina è la possibilità di una sospensione del
processo esecutivo parziale, limitata, cioè, ad alcuni dei beni pignorati.
L’ipotesi de qua potrà verificarsi sia nell’ipotesi di opposizione all’esecuzione,
diretta a far valere l’impignorabilità dei beni, sia in caso di opposizione di
terzo all’esecuzione, qualora - appunto - venga dedotta l’appartenenza a terzi
di un determinato bene 75.
In tutti questi casi pare ragionevole concludere che l’effetto di estinzione
non potrà che essere parziale, e riguardare esclusivamente gli specifici beni, in
relazione ai quali l’esecuzione era stata sospesa.
74 Cfr., sul punto, l’esegesi suggerita da RECCHIONI, I nuovi articoli 616 e 624 c.p.c., cit., p.
665. Si segnala, tuttavia, che anche tale interpretazione non avrebbe salvato la norma da
censure di irragionevolezza. Innanzitutto non si comprenderebbe perché, in tale ipotesi, la
cauzione avrebbe dovuto essere a discrezionalità del giudice, e non prevista ex lege, e in una
misura determinata (pari - poniamo - al credito precettato aumentato delle spese etc.).
75 SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1259.
81
Proprio con riguardo all’ipotesi di pignoramento di più beni e di
opposizione, del debitore o di un terzo, limitata ad alcuni di essi la regola
dell’estinzione può rivelarsi particolarmente utile, sotto il profilo applicativo.
In caso di palese fondatezza dell’opposizione, come pure in caso di
sufficienza dei beni restanti a soddisfare le ragioni del creditore pignorante e
degli eventuali intervenuti, questi potranno trovare conveniente non coltivare
il giudizio di merito, evitando, così, un inutile aggravio di spese.
III.9. L’estinzione a seguito della stabilizzazione del provvedimento di
sospensione.
Si è già detto che, correlata alla modifica dell'art. 624, è anche la modifica
del secondo comma dell'art. 630 c.p.c. (sempre nella novella del 2009), che ha
reso l'estinzione rilevabile realmente d'ufficio.
Rispetto alla novella del 2006 è stata, dunque, eliminata la previsione che
l'estinzione «opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata
prima di ogni altra sua difesa» (formulazione, nella migliore delle ipotesi
ambigua, tenuto anche conto che nel processo esecutivo non è detto che ci sia
una «prima difesa»). È stato, invece, previsto che «l'estinzione opera di diritto
ed è dichiarata anche d'ufficio, con ordinanza del giudice dell'esecuzione, non
oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa».
Il meccanismo delineato dal legislatore, che sanziona la mancata
proposizione del giudizio di merito con l’estinzione, è stato oggetto di decise
critiche dalla dottrina76. Si è giustamente osservato, in particolare, che detto
funzionamento risulta particolarmente gravoso per il creditore, che si trova
costretto, dopo aver subito la sospensione, ad introdurre un giudizio di merito,
a ben vedere contrario al suo interesse, con ulteriori implicazioni, anche in
materia di spese.
Si è già detto che, probabilmente, la scelta del legislatore trova una sua
ratio se la si inquadra, sul piano dogmatico, nell’ambito di una scelta di
campo precisa, circa la natura e la prospettiva della sospensione e del sistema
esecuzione - opposizione nel suo complesso. L’introduzione del meccanismo
76 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit, p. 289 ss.; ID., Art. 615, 624,
624 bis, cit., p.432 ss.; PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, vol. IV, Torino,
2010, p. 259 ss.
82
in parola se da un lato contribuisce a recidere ogni - già di per sé dubbio legame esistente tra sospensione dell’esecuzione e sospensione del processo di
cognizione, per altro verso rafforza la concezione della sospensione come
provvedimento cautelare sui generis. Per siffatte considerazioni, e per le altre
di ordine generale, si rinvia al paragrafo III.4.
Dal punto di vista, invece, applicativo si segnala che la previsione della
perentorietà del termine di cui all’art. 616 c.p.c. comporta che l’estinzione
potrà, probabilmente, essere pronunciata non solo nell’ipotesi in cui il
creditore non abbia introdotto tout court il giudizio di merito, ma anche
nell’ipotesi di tardiva instaurazione77.
Dubbi ermeneutici sussistono, infine, per l’ipotesi di sospensione rigettata
dal giudice dell’esecuzione ma concessa dal giudice del reclamo. Il dato
letterale, infatti, sembrerebbe consentire l’estinzione solamente per il caso di
sospensione pronunciata dal giudice dell’esecuzione e non reclamata, ovvero
confermata in sede di reclamo; non anche per l’ipotesi opposta di sospensione,
come detto, concessa per la prima volta dal giudice del reclamo.
La soluzione negativa potrebbe avere una sua giustificazione78, ove si
consideri che, al momento della decisione del reclamo, potrebbe essere già
ampiamente scaduto il termine per introdurre il giudizio di merito.
Conseguentemente il creditore, anche se vittorioso nella fase cautelare,
potrebbe essere costretto ad introdurre ugualmente il merito dell’opposizione,
pena ritrovarsi sotto la spada di Damocle dell’estinzione, qualora il
provvedimento del giudice dell’esecuzione fosse riformato in sede di
reclamo79.
Qualora prevalesse la tesi estensiva, di contro, in virtù di un criterio di
ragionevolezza, dovrebbe essere consentito al giudice del reclamo, in caso di
accoglimento della sospensione, di rimettere in termini il creditore per
77 SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1272.
78 LONGO, La sospensione nel processo esecutivo., cit., p. 739.
79 Si rammenta che secondo Cass. 13 febbraio 2009, n. 3531, in Giust. civ., 2010, parte
prima, p. 2033 ss., con nota di FARINA, Caducazione del titolo esecutivo e chiusura
anticipata dell’espropriazione: Quali effetti nei confronti dei creditori intervenuti e
dell’acquirente in vendita forzata?, L’eventuale vendita forzata «non può essere fatta salva
se l’evento che ha determinato la chiusura anticipata o l’estinzione del processo esecutivo è
precedente all’aggiudicazione provvisoria».
83
l’introduzione del giudizio di merito. E ciò ad evitare una inutile
complicazione di giudizi, e la dilatazione dei costi processuali80.
III.10. La sospensione in caso di opposizione a precetto (rinvio).
L’espressa previsione, da parte della novella del 2005-2006, della
possibilità di ottenere l’inibitoria dell’efficacia esecutiva del titolo, in caso di
opposizione a precetto è stata, in generale, guardata con favore dalla dottrina,
anche da parte di quegli autori che ne hanno individuato con maggiore
analiticità i punti critici.
Sebbene l’argomento sia concettualmente affine a quello affrontato in
questo capitolo, per una precisa scelta sistematica, che muove dalla lettura
dell’art. 623 c.p.c. qui accolta, la tematica verrà affrontata nel capitolo
dedicato alle sospensioni disposte dal giudice davanti al quale è impugnato il
titolo. A detto capitolo si rinvia.
III.11. La sospensione in caso di opposizione agli atti esecutivi (artt. 617,
618 e 624 c.p.c.)
Uno dei punti critici delle riforme del 2005 e del 2009 è dato dall’estrema
disinvoltura con cui sono state assimilate le opposizioni all’esecuzione a
quelle agli atti esecutivi. Se, come noto, a seguito della novella del 2009 è
venuta meno l’inappellabilità della sentenza che ha deciso sull’opposizione
all’esecuzione, è rimasta, nella disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi,
la struttura bifasica. Tale articolazione, se può avere una sua logica
nell’opposizione ex art. 615 c.p.c., ove si discute dell’esistenza del titolo o
della pignorabilità dei beni, stenta a trovare una sua giustificazione teorica e
pratica nell’ipotesi dell’art. 617 c.p.c., ove oggetto dell’opposizione è la
regolarità di atti esecutivi; in siffatte ipotesi non è ben chiara l’utilità di un
80 Si segnala che la prassi dei tribunali italiani - evidentemente per scongiurare i rischi
anzidetti - sembra essere quella di assegnare un termine per l’introduzione del giudizio di
merito piuttosto lungo, successivo a quello di prevedibile definizione del reclamo.
84
«giudizio sul merito», concettualmente separato dall’esecuzione stessa 81. Si
rammenta, sul punto, che la dottrina tradizionale aveva sempre discusso se
l'opposizione agli atti esecutivi desse luogo ad un processo a cognizione piena
ovvero a un mero procedimento incidentale interno all'esecuzione forzata 82.
Quel che è certo è che se da un lato l'opposizione dà luogo ad un autonomo
rimedio di natura cognitiva, tale autonomia è attenuata (rispetto
all'opposizione all'esecuzione) sia per quanto riguarda la competenza, che
spetta sempre al giudice dell'esecuzione, sia per quanto attiene alla sentenza
conclusiva del giudizio di opposizione che, per scelta normativa espressa
(tenuta ferma nelle varie riforme), non potrà essere appellata (art. 618, comma
3), ma andrà così soggetta immediatamente al ricorso straordinario per
cassazione, ex art. 111, comma 2, Cost. Sul punto si segnala che, su un piano
concettuale, la bifasicità dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. sembra trovare un
suo fondamento più nella tutela dell’imparzialità del giudice, che non nella
possibilità di separare idealmente la fase cautelare dal merito. In tal senso la
modifica degli artt. 617 ss. c.p.c. andrebbe letta in correlazione con il disposto
del nuovo art. 186 bis disp. att. c.p.c., come introdotto dalla legge 69/2009.
Tale norma, si vedrà, sancisce l’incompatibilità del giudice del merito da
«quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione».
Mentre nell’opposizione all’esecuzione, dunque, si sarebbe voluto separare
ciò che è la fase cautelare dal giudizio sull’esistenza del «diritto a procedere
all’esecuzione forzata», nell’opposizione agli atti si sarebbe voluto,
essenzialmente, sottrarre il sindacato sulla regolarità formale di un atto
esecutivo a quel giudice che tale atto aveva conosciuto (o, peggio, posto in
essere).
81 Si suole dire che se l'opposizione all'esecuzione è uno strumento volto al controllo di
legittimità sostanziale dell'esecuzione e del titolo, lo strumento dell'opposizione agli atti
esecutivi è uno strumento volto al controllo della regolarità formale del titolo, del precetto e
dei successivi atti esecutivi; e che se l'opposizione ex art. 615 c.p.c. riguarda l'an
dell'esecuzione, lo strumento di cui all'art. 617 c.p.c. riguarda il suo quomodo. Cfr.
MONTELEONE, Manuale., ibidem. In giurisprudenza v. Cass. 10 dicembre 2001 n. 15561.
82 In tal senso: FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo., cit.,
p. 95 ss; MONTELEONE, Manuale., ibidem; SATTA, Commentario al codice di procedura
civile, vol. III, Milano, 1959, p. 472 ss. V. anche: CARNELUTTI, Istituzioni di Diritto
processuale civile, vol. III, Roma, 1956 pp. 98, secondo cui la stessa sentenza che definisce
il giudizio di opposizione avrebbe natura di atto esecutivo.
85
Se tale ricostruzione fosse corretta sarebbe lecito concludere che la
separazione delle due fasi è «più debole» nell’opposizione agli atti di quanto
non lo sia nelle opposizioni all’esecuzione proposte dal debitore o dal terzo. Il
che, come si vedrà, potrebbe giustificare la minore complessità del
procedimento (e, per come si vedrà, l’esclusione del reclamo, per questo tipo
di sospensione).
Con riguardo alla sospensione dell’esecuzione, a seguito di opposizione ex
art. 617 c.p.c., la stagione delle riforme del 2005-2009, se ha risolto - almeno
nel suo testo provvisoriamente definitivo - taluni problemi sorti in passato ne
ha creati altri. Ed invero, come si vedrà tra breve, se è stata, oggi,
definitivamente ammessa la possibilità per il giudice dell’esecuzione, in
questo tipo di opposizione, di sospendere la procedura, si pongono - a seguito
della riforma degli effetti e del regime della sospensione - nuove delicate
questioni (ci si riferisce, in particolare, agli effetti estintivi), atteso oltretutto
che le regole dettate dal terzo comma dell’art. 624 c.p.c. vengono considerate
applicabili «in quanto compatibili».
Analogamente a quanto si è fatto supra, a proposito delle opposizioni ex
art. 615 e 619 c.p.c., per cogliere gli aspetti problematici dell’argomento
affrontato occorre prendere le mosse dal concetto di opposizione agli atti
esecutivi e da come tale istituto risulta oggi disciplinato dall’ordinamento
positivo.
L’art. 617 c.p.c. prevede il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi,
come noto, quando si contesti la regolarità formale del titolo e del precetto o
della loro notificazione, ovvero quando si oppongano singoli atti di
esecuzione.
Per quanto riguarda il concetto di irregolarità formale, si ritiene
normalmente che esso si sovrapponga con quello di nullità, con la
conseguenza che sarebbero applicabili le norme di cui agli artt. 156 - 162
c.p.c.83 (ivi compresa l'impossibilità di far valere una nullità se l'atto ha
raggiunto il suo scopo, la non rilevabilità della nullità dalla parte che vi ha
dato luogo o che vi ha rinunciato anche tacitamente etc.).
83 MONTELEONE, Manuale., ibidem.
86
È stato sostenuto, tuttavia, che se l'irregolarità è talmente grave da
distruggere l'attitudine del titolo a dare ingresso all'esecuzione forzata essa
sarà denunciabile con l'opposizione all'esecuzione84.
Accanto all'irregolarità formale del titolo e del precetto possono essere
oggetto della opposizione agli atti esecutivi anche la contestazione dei vizi di
notificazione del titolo e del precetto, nonché la contestazione della regolarità
formale degli altri atti del procedimento esecutivo; nonché, secondo la
giurisprudenza, della loro opportunità o congruenza 85.
Anche con riguardo all'opposizione ex art. 617 c.p.c. il legislatore ha
adottato una struttura bifasica, con fase del merito cautelare distinta da quella
del merito.
Nella fase cautelare - che si svolge, giusta il disposto dell’art. 185 disp. att.,
secondo le regole dei procedimenti camerali - è espressamente attribuito, a
seguito della novella del 2006, al giudice dell'esecuzione il potere di
sospendere la procedura.
84 MONTELEONE, Manuale., ibidem.
85 Anche nell'opposizione agli atti esecutivi è prevista una differenza a seconda che essa sia
proposta prima o dopo l'inizio dell'esecuzione. Prima che abbia inizio l'esecuzione
l'opposizione va proposta con citazione, dinanzi al giudice ove la parte che ha notificato
l'atto di precetto ha eletto domicilio (art. 480 c.p.c.). In mancanza di tale elezione di
domicilio, l'opposizione si propone dinanzi al giudice del luogo in cui il precetto è stato
notificato (e le comunicazioni al creditore procedente si fanno presso la cancelleria del
giudice stesso). Sul termine di decadenza è a tutti noto che la novella del 2005 ha elevato
quello originario, iugulatorio di cinque giorni (il legislatore, nel 1940, poteva realmente
essere convinto che il processo si sarebbe chiuso in uno-due mesi) in quello più ampio di
venti. Si è visto sopra, però, che manca, allo stato, un coordinamento con l'opposizione del
debitore alla cosa oggetto del pegno, prevista dall'art. 2797 c.c. (rimasta a 5 giorni). Il
termine per proporre opposizione deducendo vizi del precetto e del titolo decorre dalla
notifica, ma se è stato impossibile rispettare il termine per caso fortuito o forza maggiore,
ovvero se si contesta proprio la validità della notifica tale termine decorre dal primo atto di
esecuzione. Se oggetto dell'opposizione sono i singoli atti esecutivi successivi, il termine
decorre dal loro compimento, o dalla notizia di essi, quando la legge ne prevede la
comunicazione alle parti.
87
Successivamente il giudice dell'esecuzione assegna un termine per iscrivere
la causa al ruolo e «introdurre il giudizio di merito» 86.
Quindi anche qui il semplice deposito del ricorso non determina la
pendenza del giudizio di merito. Solo che qui la scelta del legislatore è più
difficile da comprendere ed anche da applicare, anche tenuto conto che la
proposizione dell'opposizione ex art. 617 è subordinata ad uno stretto termine
di decadenza; sicché possono porsi, in concreto, numerosi problemi
applicativi, connessi alla possibilità per il soggetto convenuto nel giudizio di
merito di dilatare il thema decidendum con eventuali domande riconvenzionali
86 La legge n. 69/2009 (all'art. 53) ha introdotto l’ art. 186 bis nelle disp.att. c.p.c., secondo
cui «i giudizi di merito di cui all'articolo 618, secondo comma, del codice sono trattati da
un magistrato diverso da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta
opposizione». La formula, sebbene inutilmente contorta e involuta, sembra voler dire:
«diverso da quello che ha emesso gli atti in relazione ai quali è dedotta l'irregolarità
formale, la nullità, l'inopportunità, ovvero che ha emesso provvedimenti consequenziali
rispetto all'atto esecutivo che costituisce specifico oggetto dell'opposizione». Solo che
l'espressione «conosciuto degli» potrebbe legittimare una interpretazione molto rigorosa, nel
senso di una incompatibilità generalizzata nei confronti di qualunque giudice che abbia
conosciuto gli atti (anche in altro giudizio di opposizione agli atti esecutivi o all'esecuzione).
Comunque una simile lettura (ma, a ben vedere, la stessa norma, anche se intesa nella sua
accezione meno rigorosa) non pare opportuna. Da come si è visto supra, parlando della
struttura delle opposizioni, le irregolarità denunciate con l’opposizione agli atti esecutivi
sono comunque avvenute in una fase senza contraddittorio; non si comprende perché il
giudice, per dire, dell'opposizione a decreto ingiuntivo non possa essere lo stesso che ha
emesso il decreto. Si rammenta, del resto, che la Consulta, con sentenza successiva alla
modifica dell’art. 111 Cost., aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 617 e 618 c.p.c., nella parte in cui non prevedono
l’obbligo di astensione del giudice dell’esecuzione chiamato a conoscere dell’opposizione
agli atti esecutivi, sull’esatto rilievo che - appunto - l’opposizione non introduce un diverso
grado di giudizio, ma un giudizio a cognizione e a contraddittorio pieni in un procedimento
che, fino a quel momento, tali caratteri non aveva: Corte cost. 28 novembre 2002 n.497, in
Giur. cost., 2002, p.6. Per una disamina v. DEMARCHI, Il nuovo processo civile, Milano,
2009, p.444.
88
(nell’ipotesi che dette domande avrebbero dovuto, a loro volta, costituire
oggetto di autonoma e tempestiva opposizione)87.
In forza dell’art. 618 c.p.c., come oggi novellato dalla legge 24 febbraio
2006 n. 52, il giudice dell’esecuzione potrà «sospendere la procedura».
È noto che, anteriormente alla riforma del 2006, era stato molto discusso in
dottrina e in giurisprudenza se l’opposizione agli atti fosse idonea a
sospendere l’esecuzione88 o se potesse dar luogo ad un provvedimento di
sostanziale inibizione o differimento del compimento di un atto, fino alla
definizione del relativo giudizio 89. La giurisprudenza, sul punto, dopo iniziali
resistenze aveva concluso che i «provvedimenti indilazionabili» previsti
dall’art. 618 c.p.c. avrebbero potuto assumere il contenuto di sospensione del
processo esecutivo, determinandosi in tal caso una situazione analoga, in
87 Dal momento che l’opposizione agli atti esecutivi è, giusta l’espressa previsione dell’art.
512 c.p.c., lo strumento attraverso il quale si debbono impugnare le ordinanze emesse dal
giudice dell’esecuzione in sede di risoluzione delle controversie in sede di distribuzione, la
sua struttura bifasica, correlata alla previsione di un rigido termine di decadenza, genera
delicati problemi applicativi. Non è chiaro, in particolare se, in caso di opposizione proposta
da uno dei creditori avverso l’ordinanza che ha risolto le controversie e dichiarato esecutivo
il progetto di distribuzione, gli altri che non hanno proposto analogo strumento nei termini
di legge possano, nel giudizio di merito «proporre domande riconvenzionali» (ed essere,
sostanzialmente rimessi in termini) ovvero se la introduzione di nuovi temi sia subordinata
alla proposizione di una autonoma opposizione. Si ponga il seguente caso: In un processo
esecutivo proposto da A contro B, interviene C, con un primo credito. Successivamente C
interviene anche per un secondo credito, ma all’udienza per l’approvazione del progetto di
distribuzione il creditore procedente A contesta l'estinzione del diritto di cui al primo
intervento di C. Il giudice, a questo punto, dichiara inammissibile il secondo intervento di C,
mentre approva al tempo stesso il progetto di distribuzione (rigettando, quindi, le doglianze
di A sul primo credito di C). Avverso tali provvedimenti (sia contro il provvedimento che ha
dichiarato inammissibile il suo secondo intervento, sia contro quello che ha approvato il
progetto di distribuzione) solo C propone opposizione. Il creditore procedente A lascia,
invece, decorrere il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi. All'udienza del
merito cautelare, tuttavia, si costituisce per dedurre, nuovamente, l'estinzione del diritto di
cui al primo intervento di C. La stessa domanda viene reiterata, nel giudizio di merito, sotto
forma di riconvenzionale di C. Ci si pone il problema se una sia domanda debba essere
considerata ammissibile. La soluzione dipende, probabilmente, da quanto si considererà
autonoma la fase cautelare da quella di merito. Probabilmente la risposta dovrà essere
negativa, atteso che la lettera dell’art. 617 c.p.c. continua a recitare che l’opposizione «si
propone» nel termine di venti giorni, segno che «il giudizio di merito», nonostante la sua
assimilazione al giudizio di merito dei procedimenti cautelari, è pur sempre una fase di un
unico procedimento.
88 Cfr. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, vol. III, Torino 1997, p. 460; LUISO,
Diritto processuale civile, vol. III, Milano 1999, p. 66; BONSIGNORI L'esecuzione forzata,
Torino 1996, p. 343.
89 ORIANI, Opposizione all'esecuzione, Digesto Italiano, vol. IV civ., XIII, Torino 1995, p.
624.
89
ordine agli effetti, a quella prodotta dall'ordinanza di sospensione ex art. 624
c.p.c.90.
La questione ha, oggi, apparentemente perso rilievo, atteso che il novellato
art. 618 c.p.c. prevede oggi espressamente la possibilità per il giudice
dell’esecuzione, nella fase del c.d. merito cautelare, di sospendere la
procedura. Dico «apparentemente» perché la distinzione tra «sospensione» e
«provvedimenti indilazionabili», proprio nel momento in cui sembra superata
da una precisa scelta normativa, potrebbe riacquisire valore e importanza
tutt’altro che secondaria.
Il quarto comma dell’art. 624 c.p.c. prevede, infatti, genericamente che la
disposizione di cui al terzo comma «si applica, in quanto compatibile, anche
al caso di sospensione del processo disposta ai sensi dell’articolo 618». Il
richiamo al comma citato sembra comportare che venga richiamato anche il
meccanismo dell’estinzione in caso di stabilizzazione nel provvedimento di
sospensione e successiva, mancata introduzione del giudizio di merito. E
tuttavia una tale soluzione, se può avere una sua giustificazione - condivisibile
o meno che sia - per quanto riguarda le opposizioni afferenti la regolarità
formale o la notifica del titolo e del precetto, diviene irragionevole se
l’opposizione riguarda uno specifico atto di esecuzione, successivo all’inizio
della procedura. In tale ipotesi la sanzione dell’estinzione potrebbe risultare
sproporzionata, tenuto anche conto che, vertendosi solo sulla regolarità di un
singolo atto, l’eventuale accoglimento del «giudizio di merito» potrebbe non
avere, neppure in linea astratta e teorica, conseguente tanto nette e definitive.
La soluzione, allora, che sembra più ragionevole è quella di muovere
dall’esegesi della locuzione «in quanto compatibili», di cui al quarto comma
dell’art. 624 c.p.c., e giungere ad una soluzione articolata del seguente tipo.
La possibilità di far dichiarare tout court l’estinzione dell’intero processo
esecutivo, anche per il caso di inattività delle parti e mancata introduzione del
giudizio di merito, dovrebbe essere condizionata alla natura concreta del vizio
dedotto. Se, cioè, questo afferisce ad un atto esecutivo emesso nel corso
dell’esecuzione, ma successivamente al suo inizio, la possibilità di estinguere
la procedura andrebbe esclusa. Ed infatti, come detto, anche l’eventuale
90 Cass. 20 aprile 1991 n.4278; Trib. Torino 4 luglio 2003, in Giur. merito, 2004, p. 70.
90
accoglimento dell’opposizione potrebbe non avere come conseguenza la
caducazione dell’intera esecuzione, ma, probabilmente, dei soli atti
eventualmente compiuti a seguito di quello «irregolare». Di conseguenza,
andando di contrario avviso ed applicando indiscriminatamente la regola
dell’estinzione alla fattispecie, si avrebbe il paradosso di una tutela
«cautelare» - sia o meno tale in senso pieno o solo latamente - assai più
incisiva di quella di merito.
Potrà, per contro, essere pronunciata l’estinzione ogni qualvolta sia stato
dedotto una irregolarità del titolo o del precetto, ovvero della loro notifica.
Altra soluzione potrebbe essere quella di ridare vita alla vecchia distinzione
tra atto indilazionabile, anche a contenuto inibitorio, e sospensione in senso
stretto. La lettera della legge sembra, infatti, subordinare l’estinzione alla sola
ipotesi di «sospensione», restando, dunque, fuori dall’ambito dell’art. 624
comma terzo i casi di mancata riassunzione del giudizio di merito, a seguito di
altro provvedimento «indilazionabile» 91.
Più in generale, comunque, potrebbe criticarsi, sotto il profilo
dell’opportunità, la soluzione dell’estinzione, per il caso di una opposizione quale quella agli atti esecutivi - vertente sulla regolarità formale di atti.
La formulazione normativa porta un ulteriore problema: l’art. 618 c.p.c.,
pur prevedendo la possibilità che l’esecuzione venga sospesa, non menziona i
requisiti per l’emissione di tale provvedimento. Se si riterrà applicabile il
regime di estinzione dettato dall’art. 624, anche nei limiti sopra indicati, dovrà
concludersi per la necessità dei «gravi motivi», secondo le regole sopra
illustrate, a proposito di opposizione all’esecuzione.
La necessità dei gravi motivi, del resto, parrebbe suggerita
dall’accostamento tra le locuzioni «provvedimenti indilazionabili» e
sospensione. Riteniamo che, a maggior ragione se si ammette la possibilità
dell’estinzione a seguito del provvedimento cautelare, la concessione della
sospensione dovrebbe essere subordinata all’accertamento del fumus e del
periculum. Si rinvia, al riguardo, alle considerazioni svolte a proposito
dell’opposizione ex art 615 c.p.c.
91 Siffatti provvedimenti indilazionabili, in caso di mancata introduzione del giudizio di
merito, diverranno dunque tout court inefficaci, posto che l’art. 624 comma quarto c.p.c.
richiama esclusivamente il provvedimento di sospensione. Cfr. MONTELEONE, Manuale., p.
271.
91
La novella del 2009, infine, ha eliminato il riferimento all’art. 618 bis
c.p.c., originariamente introdotto dalla novella del 2005-2006. Sul punto,
tuttavia, non pare che la eliminazione abbia qualche conseguenza sul piano
giuridico. Sembra, infatti, che il legislatore abbia voluto semplicemente
eliminare un refuso normativo, dal momento che l’art. 618 bis c.p.c. non
disciplina alcuna sospensione (che è, invece, prevista dall’art. 618 c.p.c.)92 .
Quanto all’opposizione c.d. preesecutiva, il dato letterale della norma non
pare consentire la applicabilità della sospensione. Ed invero l’art. 618 c.p.c.
menziona espressamente il «giudice dell’esecuzione», la sospensione della
«procedura» e l’assegnazione di un «termine perentorio l’introduzione del
giudizio di merito», istituti e regole che mal si adattano ad una ipotesi di
opposizione antecedente all’inizio dell’esecuzione forzata.
Per altro verso l’esclusione del legislatore pare avere una sua coerenza: con
l’opposizione ex art. 617 primo comma si contesta pur sempre una mera
irregolarità formale del titolo e del precetto e non già il diritto a procedere ad
esecuzione forzata. Pertanto la «sospensione» dell’efficacia esecutiva del
titolo sarebbe una conseguenza ultronea e non del tutto coerente rispetto allo
specifico strumento. Il creditore dovrebbe, pur sempre, essere in condizione di
notificare un nuovo precetto, corretto, e procedere, sulla base del medesimo
titolo, all’esecuzione forzata. L’inibizione dell’efficacia esecutiva del titolo gli
precluderebbe - in assenza di una valida ragione sostanziale - tale facoltà 93.
92 Cfr. BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della
legge n. 18 giugno 2009, n. 69), in www.judicium.it.
93 Nel senso indicato: Trib. Torino, 21 settembre 2007, in www.ilcaso.it.
92
IV. La sospensione disposta dal giudice dinanzi al quale è impugnato il
titolo.
IV.1. In generale: quale disciplina?
Rientrano tra le ipotesi di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo,
innanzitutto, le inibitorie di cui agli artt. 283, 373, 401 e 407 c.p.c.1, id est:
tutti quei provvedimenti emessi dal giudice dinanzi al quale è impugnato
stricto sensu un titolo esecutivo giudiziale. La dottrina, però, include in questa
categoria anche le ipotesi di sospensione disposte nell’ambito
dell’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 649 c.p.c. e di opposizione
tardiva avverso l’ordinanza per la convalida di sfratto ex art. 668 quarto
comma c.p.c.2 . La nozione di «giudice dell’impugnazione» va, allora, intesa in
senso atecnico ed ampio; comprensiva, cioè, non solo dei mezzi di gravame in
senso stretto, ma anche di tutte quelle ipotesi in cui il titolo esecutivo è
rimesso giudizialmente in discussione, o perché - lato sensu - impugnato o
perché comunque opposto 3.
La sospensione di cui si discorre - è stato giustamente osservato - è da
considerarsi esterna al processo esecutivo, atteso che la sua fattispecie
costitutiva (i.e., il provvedimento di inibitoria dell’efficacia esecutiva del
titolo) si realizza interamente al di fuori dal procedimento esecutivo. La
sospensione, infatti, non viene pronunciata dal giudice dell’esecuzione, ma da
quello - appunto - davanti al quale il titolo è impugnato.
Va avvertito, al riguardo, che quando si parla, in questa sede, di esteriorità
rispetto al procedimento esecutivo si prescinde da ogni considerazione di
ordine temporale e cronologico tra l’inibitoria e l’inizio dell’esecuzione. Il
1 LONGO La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata
riformata, Torino, 2009, p. 643 ss.
2 LONGO, La sospensione del processo esecutivo, cit., ibidem.
3 ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in MONTESANO–ARIETA, Trattato di diritto
processuale civile, Vol. III, Tomo II, Padova, 2007, I, 2., p.1543 ss., secondo cui «pur se la
legge parla qui di ‘impugnazione’ del titolo esecutivo, la ratio della norma impone, a parer
nostro, un’interpretazione estensiva, che ricomprenda ogni ipotesi di attribuzione al giudice
della cognizione del potere di incidere sull’efficacia esecutiva del provvedimento costituente
titolo esecutivo, in forza del quale l’esecuzione è stata promossa». Per una disamina, v.
CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. 967, p. 4 ss.
93
provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo può essere
disposto in pendenza di esecuzione forzata, come anteriormente al suo inizio.
Ciò, tuttavia, costituirà un dato assolutamente accidentale e contingente
rispetto alla disciplina dell’istituto. Il punto essenziale è che in tali ipotesi il
provvedimento inibitorio è emesso da un giudice che non è quello
dell’esecuzione (sia o meno questa iniziata) ma dinanzi al quale il titolo è
impugnato.
Accolta questa premessa - ma sul punto si tornerà tra breve - pare corretto
ricondurre in questa categoria anche le sospensioni disposte dal giudice
dell’opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c.: anche in queste ipotesi, infatti, il
provvedimento inibitorio viene emesso da un giudice che non è quello
dell’esecuzione, ma quello della «impugnazione», in senso lato, del titolo. Ciò
è vieppiù evidente nelle ipotesi di esecuzione fondata su titolo stragiudiziale,
ma mantiene tale connotazione, probabilmente, anche per il caso di
opposizione a precetto avverso un titolo giudiziale (nei limiti, ovviamente, in
cui detta opposizione sia ammessa)4 .
Una volta affermato il carattere esogeno dell’inibitoria dell’efficacia
esecutiva del titolo rispetto al processo esecutivo occorre, però, porsi il
problema del raccordo tra la prima e il secondo. In che modo - in altri termini
- il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esplicherà
i suoi effetti nell’esecuzione pendente. E ciò, ovviamente, nell’ipotesi tutt’altro che infrequente - in cui il soggetto (e.g., creditore in forza di una
sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva ed impugnata dalla
controparte, ovvero di un decreto ingiuntivo, anch’esso provvisoriamente
esecutivo, ma in pendenza di opposizione) non abbia atteso la decisione del
giudice sull’inibitoria, ma abbia compiuto atti di esecuzione.
L’effetto pratico fondamentale (a seguito della sospensione dell’efficacia
esecutiva del titolo il processo esecutivo non può proseguire) è - tutto
sommato - abbastanza evidente. Rimane da accertare il modo con il quale tale
risultato possa essere raggiunto: se occorra una specifica opposizione del
debitore, ovvero se detto obiettivo possa essere raggiunto aliunde.
4 Nel senso che la sospensione in caso di opposizione a precetto non rientri nella disciplina
di cui all’art. 623 c.p.c. v. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1249.
94
La questione, va detto, è di grande interesse pratico, sopratutto alla luce
delle riforme del 2005-2006 e del 2009: se si ritenesse necessario lo strumento
dell’opposizione e la conseguente «sospensione» dell’esecuzione in corso,
potrebbe trovare applicazione il novellato disposto dell’art. 624 c.p.c., e la
conseguente possibilità di estinzione del processo esecutivo. Una siffatta
soluzione - in linea teorica - potrebbe pure avere una sua giustificazione di
ordine metagiuridica. Si pensi alla seguente ipotesi: un soggetto asserito
creditore ottiene contro il debitore un decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo. Il debitore propone opposizione ed ottiene, alla prima udienza, la
sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto. Il creditore, tuttavia, prima
ancora che il giudice si pronunzi sulla sospensione notifica un pignoramento
presso terzi, sottoponendo a vincolo tutte le somme - poniamo - esistenti
sull’unico conto corrente bancario del debitore. A questo punto il giudice
dell’opposizione concede la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto.
Quid iuris della procedura esecutiva? Il debitore potrà ottenere lo svincolo
delle somme o queste dovranno rimanere sottoposte a vincolo fino al
passaggio in giudicato della sentenza di opposizione a decreto ingiuntivo?
Potrà il debitore proporre opposizione all’esecuzione (facendo valere il fatto
che l’efficacia esecutiva del titolo è stata sospesa) ed ottenere l’estinzione
della procedura?
Sul piano sociale, va detto, potrebbe non risultare inconcepibile, nel
bilanciamento di interessi tra debitore che ha ottenuto l’inibitoria e creditore
che non ha voluto attendere la decisione di questa, far prevalere le ragioni del
primo. Resta da chiedersi, però, se tale risultato possa essere raggiunto, alla
stregua del diritto positivo, con lo strumento dell’art. 624 c.p.c., o se
sussistano, comunque, altri rimedi per tutelare il debitore contro il creditore
precipitoso. Sul punto si osserva quanto segue.
La giurisprudenza pressoché unanime, innanzitutto, ritiene che il solo fatto
che l’efficacia del titolo sia stata sospesa non comporta, per ciò solo,
l’estinzione della procedura esecutiva e lo svincolo delle somme, ma la sua
semplice sospensione 5. La sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo,
infatti, non ne determina - si è detto - la caducazione, ma solo l’impossibilità
5 Cass. 16 gennaio 2006 n. 709; Cass. 16 ottobre 1992 n. 11342; per una disamina cfr.
ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata., ibidem.
95
di esercitare l’azione esecutiva sino alla conclusione del giudizio di merito,
nel cui ambito essa era stata concessa. Ne deriva che il processo di esecuzione
deve essere semplicemente posto in uno stato di temporanea quiescenza 6,
normativamente disciplinata dalle regole in materia di sospensione.
Detta sospensione dell’esecuzione forzata, inoltre, non ricadrebbe
nell’ambito di applicazione dell’art. 624 c.p.c. (con tutte le conseguenze ad
esso applicabili), atteso che si sarebbe in presenza, appunto, di un caso di
sospensione disposto dal giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo 7,
laddove l’art. 624 citato disciplina la sospensione disposta dal giudice
dell’esecuzione.
Come logico corollario, considerato oltretutto che la stessa norma dell’art.
623 c.p.c. può essere letta nel senso di far derivare dalla sospensione
dell’efficacia esecutiva del titolo la sospensione dell’esecuzione, il giudice
dell’esecuzione (una volta rilevata l’avvenuta inibitoria del titolo) dovrà
limitarsi, ove necessario, ad emettere un provvedimento dichiarativo di una
sospensione già verificatasi. Stante il carattere meramente ricognitivo,
oltretutto, non dovrebbe essere richiesta neppure la proposizione di una
formale opposizione all’esecuzione, essendo sufficiente una mera istanza ex
art. 486 c.p.c 8 . Come ulteriore conseguenza, al provvedimento ricognitivo
6 LONGO, La sospensione del processo esecutivo, cit., p. 663; SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., p. 1247. Cfr. anche le giuste osservazioni di CAPPONI, Appunti
sulle opposizioni esecutive dopo le riforme del 2005-2006, in Riv. es. forz., 2007, p.606 e
ID., Lineamenti del processo esecutivo, Bologna, 2008, p. 378, secondo cui un simile potere
di caducare gli effetti del pignoramento nel frattempo compiuto dovrebbe essere
espressamente attribuito dalla legge, mentre nessun giudice attualmente ne è fornito. Una
tale constatazione sembra precludere il campo ad ogni soluzione alternativa, quale il ricorso
ad un provvedimento ex art. 700 c.p.c., nel corso del giudizio di impugnazione, per ottenere
lo svincolo delle somme o - nel caso di pignoramento immobiliare - la cancellazione della
trascrizione del pignoramento. Per le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza di merito per
aggirare tale problema in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, infra al par. IV.5, a
proposito della c.d. «revoca» dell’efficacia esecutiva
7 Per la medesima soluzione, in caso di sospensione disposta in sede di opposizione a
precetto v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, V ed., vol. II, Padova, 2009,
p. 289 ss.
8 Così: ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem. LONGO, La sospensione del
processo esecutivo, cit., ibidem.; SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1247; in
giurisprudenza v. Cass. 16 gennaio 2006 n. 709; Cass. 16 ottobre 1992, n. 11342; Trib.
Modena, 6 maggio 2009 in Il corriere del merito, 2009, p. 835. Contra, nel senso che
occorra un’opposizione all’esecuzione v. App. Torino, 11 ottobre 2003, in Giur. it., 2004, p.
1867 con nota di CHIARLONI.
96
dell’avvenuta sospensione non seguiranno le conseguenze di cui all’art. 624
c.p.c., limitate al caso di sospensione disposta a seguito di opposizione
all’esecuzione 9.
Una simile soluzione, però, non soddisferà pienamente le esigenze e le
aspettative del debitore: egli si troverà - nell’esempio prospettato - con le
somme nel conto ancora vincolate, e senza realistica prospettiva di ottenerne
lo svincolo in tempi ragionevoli. Il debitore, allora, potrebbe preferire piuttosto che utilizzare una semplice istanza ex art. 486 c.p.c. - proporre, una
volta ottenuta l’inibitoria, anche opposizione all’esecuzione, al fine di tentare
di ottenere l’estinzione della procedura esecutiva.
Per l’applicazione delle conseguenze estintive dell’art. 624 c.p.c. - e prima
ancora per la configurabilità dell’opposizione in parola - si pongono, però,
numerosi problemi teorici e applicativi.
Innanzitutto, sul piano letterale, si pone un problema connesso all’esegesi
dell’art. 624 c.p.c. La norma, come detto, commina l’estinzione della
procedura esecutiva ogni qualvolta, dopo la stabilizzazione del provvedimento
cautelare10, non sia stato introdotto il giudizio di merito.
Nell’ipotesi in esame, tuttavia, il giudizio di merito vero e proprio è già
pendente, atteso che si tratta di quello vertente sull’esistenza del titolo (e
dunque il gravame o l’opposizione, nel corso del cui procedimento è stato
emesso il provvedimento sull’inibitoria).
Consentire o, addirittura, imporre, dunque, al debitore di proporre,
nell’ipotesi prospettata, opposizione all’esecuzione per ottenere la
sospensione dell’esecuzione, comporterebbe l’ulteriore problema di «riempire
di contenuto» il giudizio di merito dell’opposizione. Questo - a seguire una
simile impostazione - dovrebbe essere formulato nei seguenti termini:
«ritenere e dichiarare che non sussiste alcun diritto a procedere
9 In tal senso la dottrina pressoché unanime; cfr. CHIARLONI, Opposizione all’esecuzione a
seguito di sospensione dell’esecuzione provvisoria di decreto ingiuntivo, in Giur. it., 2004, p.
1869; LONGO, La sospensione del processo esecutivo, cit., ibidem.; LUISO, Processo di
esecuzione forzata, in Sospensione del processo civile, in Enciclopedia del diritto, vol.
XLIII, p.59 ss; OLIVIERI, Opposizione all’esecuzione, sospensione interna ed esterna, poteri
officiosi del giudice, in Studi di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Tarzia, II,
Milano, 2005, p. 1271; cfr. anche BUCOLO, La sospensione nell’esecuzione. La sospensione
in generale, Milano, 1972, p. 283; ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem.
10 O per mancata proposizione del reclamo, o per conferma o comunque emissione del
provvedimento di sospensione a seguito del reclamo medesimo.
97
all’esecuzione forzata, atteso che il titolo è stato giudizialmente sospeso e
verrà revocato all’esito della definizione del giudizio di impugnazione».
Poiché, tuttavia, in caso di concessione della sospensione è probabile che il
giudizio di merito venga introdotto dal creditore (proprio per evitare la
conseguenza dell’estinzione) la domanda sarà formulata verosimilmente in
termini esattamente opposti: «ritenere e dichiarare che esiste il diritto a
procedere all’esecuzione forzata, atteso che esiste un titolo giudiziale,
ancorché ad oggi sospeso».
In questo modo non vi sarebbe, probabilmente, sovrapposizione tra giudizio
di impugnazione del titolo e merito dell’opposizione, atteso che il secondo
presupporrebbe, al contrario, la definizione del primo. Sul piano processuale,
anzi, tra il giudizio di impugnazione del titolo e quello sul merito
dell’opposizione si verificherebbe un fenomeno di pregiudizialità necessaria,
con conseguente sospensione del secondo giudizio in attesa della definizione
del primo, giusta l’art. 295 c.p.c.
In conclusione, però, al termine di questo complicato meccanismo di
impugnazioni ed opposizioni nulla sarebbe risolto: il debitore non sarebbe
comunque riuscito ad ottenere l’estinzione del pignoramento e lo svincolo
delle somme pignorate, mentre il creditore sarebbe stato costretto ad
introdurre un giudizio di merito sull’opposizione al solo fine di evitare tale
conseguenza; e ciò pur nella consapevolezza che detto giudizio di merito è,
nella sostanza, ultroneo se non proprio inutile11 e che dovrà essere sospeso
nelle more della definizione del giudizio di impugnazione del titolo.
Come ulteriore conseguenza si pone, probabilmente, un problema di
sussistenza dell’interesse ex art. 100 c.p.c. del debitore a proporre una simile
opposizione, se è vera la tesi secondo cui non può essere concessa la tutela
giurisdizionale ogni qualvolta l'accoglimento della domanda, da parte del
giudice, non sia idoneo a provocare una modificazione sufficientemente utile
al patrimonio giuridico dell'attore 12.
11 La «vera battaglia», per così dire, si combatte infatti in sede di impugnazione del titolo.
12 Per una disamina, v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, vol.I, V ed.,
Padova, 2009, p. 193 ss.; SASSANI, Interesse ad agire, I) Diritto processuale civile, in
Enciclopedia giuridica Treccani, vol XVII, p. 4 ss. In giurisprudenza, v. Trib. Agrigento, 15
- 16 giugno 2009 con nota di RUSSO, Difetto di interesse ad agire nelle azioni di mero
accertamento di diritti di credito, in Il giusto processo civile, 2010, p. 541 ss.
98
Se si è accettata, poi, la tesi che - a seguito di inibitoria del titolo - il giudice
dell’esecuzione potrà limitarsi ad emettere un provvedimento meramente
ricognitivo dell’avvenuta sospensione (salvo emettere i provvedimenti
consequenziali eventualmente necessari per sospendere anche gli eventuali
atti esecutivi comunque in corso13), diventa molto difficile ammettere la
concessione di un ulteriore provvedimento cautelare ex art. 624 c.p.c. Il
giudice dell’esecuzione, probabilmente, una volta preso atto dell’avvenuta
inibitoria del titolo - e ciò, riteniamo, con efficacia retroattiva alla data del
provvedimento del giudice dell’impugnazione - non potrà che rigettare
l’istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c.
In primo luogo, infatti, si porrebbe un profilo della inammissibilità
dell’istanza: l’esecuzione, alla data della presentazione del ricorso ex art. 615
c.p.c. e comunque della decisione sul c.d. merito cautelare, era da considerarsi
già sospesa, e non sembra concepibile la sospensione di un procedimento già
sospeso 14. In secondo luogo mancherebbero, probabilmente, i «gravi motivi»
richiesti dall’art. 624 c.p.c. per la concessione della sospensione a seguito
dell’opposizione. Non, almeno, il requisito del periculum in mora, atteso che
la sospensione dell’esecuzione non inciderebbe in modo significativo sulla
posizione lesa, invocata dal soggetto opponente.
In conclusione riteniamo che la soluzione della dottrina, che non sia
necessaria, dopo l’avvenuta concessione dell’inibitoria dal giudice
dell’impugnazione, una vera e propria opposizione, sia corretta e funzionale
sotto ogni profilo, sia dogmatico che pratico. Se è vero che essa non tutela
adeguatamente il debitore che ha ottenuto l’inibitoria, dalle conseguenze
negative della prosecuzione dell’esecuzione forzata, non pare che la soluzione
opposta costituisca una alternativa «credibile», anche sul piano pratico, posto
che porterebbe - a fronte di benefici trascurabili (se non proprio inesistenti)
per il debitore opponente - una inutile e dispendiosa duplicazione di giudizi.
Si aggiunga, sul punto, che la Consulta è stata in più occasioni chiamata a
pronunciarsi sulla questione se fossero compatibili con la Costituzione le
13 Atti che, a seguire la presente impostazione, sarebbero comunque già inefficaci, giusta
l’art. 626 c.p.c. Un tale provvedimento sarebbe, comunque, utile ad esempio per evitare la
prosecuzione di una eventuale consulenza tecnica di ufficio, etc.
14 Nel senso prospettato nel testo v. Trib. Roma, 15 settembre 2004 in Gius, 2004, p. 3941.
99
norme che introducono sospensioni disposte dal giudice della cognizione,
senza prevedere, al contempo, una causa di estinzione del processo esecutivo
nel frattempo iniziato, ovvero, comunque, la (sopravvenuta) perdita di
efficacia, sin dal suo inizio, del pignoramento connesso a tale processo, da
dichiararsi dal giudice dell’esecuzione appositamente adito. Orbene, in siffatte
occasioni, la Corte ha sempre negato l’esistenza di profili di incostituzionalità
delle norme, richiamando l’esigenza di conservare, per tutto il tempo
necessario alla definizione del giudizio di merito, gli atti esecutivi
eventualmente compiuti prima del provvedimento di sospensione
dell’esecutività del titolo. E ciò al fine di non pregiudicare, nel rispetto del
bilanciamento degli interessi e dei diritti contrapposti, la posizione del
creditore, il cui diritto è stato comunque riconosciuto, sia pure con
provvedimento sommario (come nel caso del decreto ingiuntivo) o comunque
ancora sub iudice e tendenzialmente suscettibile di revoca o riforma 15.
Specifico aspetto della problematica sopra accennata è quello della
sospensione del pignoramento di crediti futuri ed in particolare di assegni
periodici e/o del quinto dello stipendio.
L’ipotesi cui si fa riferimento è sempre quella del creditore in forza di un
titolo provvisoriamente esecutivo (ma impugnato giudizialmente) che abbia
dato inizio all’esecuzione forzata, senza attendere l’esito della decisione
sull’inibitoria. Solo che in tal caso il creditore, anziché sottoporre a vincolo il
saldo del conto, pignora il quinto dello stipendio, o altro assegno periodico
spettante al debitore.
In siffatte ipotesi ci si domanda se - una volta sospesa (e.g., in sede di
opposizione al decreto ingiuntivo, ovvero di appello) l’efficacia esecutiva del
titolo - gli assegni maturandi in epoca successiva e prima della definizione del
giudizio sull’impugnazione del titolo siano sottoposti a vincolo. Se, in
particolare, il terzo debitor debitoris debba continuare ad operare la trattenuta,
in attesa della definizione del giudizio di impugnazione del titolo e dunque del
definitivo provvedimento di assegnazione ovvero della caducazione della
procedura esecutiva.
15 Corte cost. 4 dicembre 2000, n. 546; Corte cost. 8 marzo 1996 n. 65; Corte cost. 17
giugno 1996 n .200; Corte cost. ord. 12 luglio 1996 n. 247.
100
La soluzione appare abbastanza semplice per quanto riguarda i debiti del
terzo, sorti anteriormente alla pronunzia sull’inibitoria (o, in subordine,
qualora si negasse il carattere ricognitivo della successiva sospensione
dell’esecuzione pronunciata dal giudice della procedura, i debiti sorti
anteriormente alla data di tale ultimo provvedimento). L’accoglimento
dell’inibitoria non avrà alcun effetto su questi. Le trattenute operate, e.g., dal
datore di lavoro prima della pronuncia di inibitoria, non potranno essere
caducate, sicché le somme resteranno vincolate fino alla chiusura della
procedura.
Conseguenza, inoltre, del carattere ricognitivo del provvedimento adottato
dal giudice dell’esecuzione ex art. 486 c.p.c. è che - probabilmente - il
processo esecutivo dovrà considerarsi ad ogni effetto sospeso dalla data
dell’inibitoria, e non dalla successiva del provvedimento vero e proprio del
giudice.
Più delicata ed incerta appare la sorte dei debiti che matureranno
successivamente al provvedimento di inibitoria. Secondo una prima
impostazione, strettamente correlata al ragionamento sopra sviluppato,
potrebbe concludersi che per tutta la durata del giudizio di impugnazione del
titolo il debitor debitoris dovrà continuare ad operare le trattenute, fino al
raggiungimento del tetto di cui all’art.546 c.p.c., e dunque delle somme
precettate aumentate della metà. La sospensione, infatti, non pare comportare
la revoca della validità ed efficacia degli atti esecutivi già compiuti. Una
prima soluzione potrebbe essere data dall’interpretare estensivamente l’art.
626 c.p.c., a norma del quale durante la sospensione non può essere compiuto
alcun atto esecutivo «salva diversa disposizione del giudice dell’esecuzione».
La norma, in particolare, potrebbe essere letta in un’accezione ampliativa dei
poteri del giudice, che potrebbe, nel momento in cui dispone la sospensione o
prende atto della inibitoria già disposta in sede di impugnazione, disporre la
revoca di specifici atti esecutivi già compiuti. In tal senso la norma avrebbe un
suo importante precedente storico nell’art. 688 del Progetto Carnelutti e
nell’art. 671 Sottocommissione C, che consentivano, appunto, al giudice di
101
ordinare la revoca di «atti esecutivi già compiuti» 16. Il legislatore del 1940
avrebbe inteso enunciare lo stesso principio dei Progetti Carnelutti,
utilizzando, però, una formulazione più flessibile, idonea ad attribuire i più
ampi poteri al giudice dell’esecuzione: sia nel senso di autorizzare il
compimento di taluni atti esecutivi, nonostante la sospensione, sia nel senso di
revocare taluni atti già compiuti. L’esegesi della norma, dunque, sarebbe la
seguente: «quando il processo è sospeso la sola conseguenza è che nessun
atto esecutivo ulteriore può essere compiuto. Il giudice dell’esecuzione può
tuttavia derogare a tale principio, autorizzando il compimento di taluni atti,
ovvero disponendo la revoca di atti già compiuti».
Tale interpretazione sarebbe confortata dalla prospettiva generale del codice
del 1940 che, ancor più dei Progetti Carnelutti17, si ispiravano ad una
concezione autoritaria del processo ed attribuivano ampi poteri al giudice
dell’esecuzione. Con la norma in esame i conditores dell’art. 626 c.p.c.
avrebbero voluto rafforzare ulteriormente la previsione degli artt. 671
Sottocommissione C e 688 Carnelutti, attribuendo al giudice dell’esecuzione vero centro dell’esecuzione - il più ampio potere di deroga alla regola
generale (i.e.: la sospensione comporta solamente il divieto di porre in essere
atti ulteriori).
Tuttavia, sebbene l’attuale art. 626 c.p.c. abbia un evidente rapporto di
filiazione spirituale dalle norme dei Progetti sopracitati, la formulazione
normativa quale essa è pare, piuttosto, nel senso di limitare e non di estendere
l’efficacia della sospensione. La norma pare dire esclusivamente che il giudice
possa autorizzare il compimento di taluni specifici atti, salva, in questo caso,
la difficoltà di individuare in concreto siffatti atti18 .
16 Sebbene l’attuale art. 626 c.p.c. abbia un evidente rapporto di filiazione dalle norme dei
Progetti sopracitati, non pare che la locuzione «salvo diversa disposizione del giudice
dell’esecuzione» possa essere interpretato in chiave estensiva, e che possa legittimare il
giudice dell’esecuzione ad un provvedimento di «revoca». Per la disamina delle norme
sopracitate dei Progetti Carnelutti e Sottocommissione C si rinvia al par. I.7.
17 Come si è visto al capitolo I (ed ivi alla nota 47), scartati dal Guardasigilli Rocco perché
non abbastanza «fascisti».
18 Cfr. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1959, p. 505 ss.,
secondo cui gli atti che avrebbero potuto essere autorizzati erano esclusivamente quelli
amministrativi o conservativi, e non quelli esecutivi veri e propri.
102
In conclusione, sebbene sia ben possibile che le intenzioni soggettive dei
conditores fossero di attribuire all’art. 626 c.p.c. il medesimo significato che
avevano le corrispondenti norme dei Progetti Carnelutti, il significato
obiettivo della norma non pare autorizzare una simile interpretazione
estensiva.
Le implicazioni negative di tale soluzione sono, però, evidenti. Il debitore
subirebbe - nonostante la sospensione dell’esecuzione - praticamente tutti gli
effetti negativi del pignoramento, nonostante la sospensione della procedura
esecutiva. E non solo con riguardo alle trattenute già effettuate dal terzo, ma
anche a quelle realizzate dopo la sospensione.
Ad una soluzione diversa si potrebbe pervenire laddove si qualificassero le
singole trattenute operate dal terzo atti di esecuzione19. In tal caso dovrebbe
operare il generale disposto di cui all’art. 626 c.p.c., a norma del quale quando
il processo è sospeso, e salva diversa disposizione del giudice dell’esecuzione,
nessun atto esecutivo può essere compiuto. Da ciò si potrebbe far discendere il
corollario che, successivamente al provvedimento di inibitoria, il terzo non
può operare alcuna ulteriore trattenuta, ma deve attendere la prosecuzione
dell’esecuzione, ovvero la definitiva caducazione della procedura, con
conseguente svincolo delle somme. Come ulteriore conseguenza, l’illegittima
trattenuta del terzo, anteriormente al provvedimento di assegnazione, potrebbe
essere contestata dal debitore con il rimedio dell’opposizione ex art. 617 c.p.c.
Si pone, infine, il problema del come opporsi agli atti di esecuzione
eventualmente compiuti dal creditore successivamente al provvedimento di
inibitoria concesso dal giudice dell’impugnazione, nonché dalla presa d’atto
di tale sospensione, da parte del giudice dell’esecuzione.
In linea teorica, va detto, le soluzioni astrattamente ipotizzabili sono due.
Innanzitutto potrebbe sostenersi che, successivamente alla sospensione
dell’efficacia esecutiva del titolo, il creditore non ha più «diritto» a procedere
ad esecuzione forzata, sicché il compimento di atti «abusivi» potrebbe essere
opposto dal debitore con il rimedio dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615
19 Il che pare, tutto sommato, abbastanza ragionevole, tenuto conto che l’eventuale errore
del terzo, che operi - prima dell’ordinanza di assegnazione - una trattenuta di importo
superiore a quello consentito, sarebbe probabilmente opponibile con il rimedio di cui all’art.
617 c.p.c.
103
c.p.c.20 Siffatta soluzione ha l’indubbio vantaggio pratico - decisivo sotto il
profilo della giustizia sostanziale - della mancanza di un termine perentorio,
più o meno iugulatorio, per la sua proponibilità. Su un piano teorico, però,
appare poco aderente alla ratio ed agli effetti della sospensione
dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 626 c.p.c. Questa, infatti, non priva il
creditore del diritto ad agire in executivis, ma - semplicemente - impedisce,
dopo la sua concessione, il compimento di ulteriori atti esecutivi, salva,
peraltro, differente disposizione del giudice dell’esecuzione. La
«prosecuzione» dell’esecuzione da parte del creditore (i.e., il compimento di
ulteriori atti) si profila, allora, non come una esecuzione sine titulo, ma come
un semplice compimento di atti esecutivi, al di fuori dei casi stabiliti dalla
legge. La soluzione, allora, più corretta su un piano formale - e sotto certi
aspetti «naturale» -, sembra quella dell’opposizione agli atti esecutivi ex art.
617 c.p.c21, quale rimedio naturale per contestare la legittimità dei singoli atti
di esecuzione. Non v’è, però, chi non veda come tale soluzione appaia
inadeguata, sotto il profilo della tutela del debitore: questi, pur avendo già
ottenuto la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, avrebbe l’onere di
proporre opposizione in un termine, comunque, ristretto, ancorché lontano
dagli originari cinque giorni previsti dalla vecchia normativa; in caso
contrario l’atto - ancorché illegittimamente posto - diverrebbe incontestabile.
Quale che sia la soluzione adottata, è opportuno analizzarne le conseguenze
ulteriori. Poniamo il caso del debitore che abbia ottenuto l’inibitoria ed abbia
fatto prendere atto di questa al giudice dell’esecuzione, con istanza ex art. 486
c.p.c. Ipotizziamo, tuttavia, che nelle more o anche successivamente al
provvedimento del giudice dell’esecuzione, il creditore abbia compiuto atti
esecutivi. Ritenere esperibile, avverso tale condotta, l’opposizione
all’esecuzione comporterebbe l’applicabilità del meccanismo di cui all’art.
20 In dottrina cfr. ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., p. 1547; VITTORIA, La
sospensione esterna del processo esecutivo. La sospensione disposta dal giudice
dell’esecuzione, in Riv. esec. forz., Torino, 2007, p. 401 ss.
21 Cass. 16 gennaio 2006, n. 709; Cass. 16 ottobre 1992, n. 11342; Trib. Modena, 6 maggio
2009 in Il corriere del merito, 2009, p. 835. Per la dottrina cfr.: CHIARLONI, Opposizione
all’esecuzione., cit., ibidem; FINOCCHIARO, L’esercizio dei poteri cautelari implica
valutazioni di merito, in Guida al diritto, 2006, fasc. 14, p.66; LONGO, La sospensione nel
processo esecutivo., cit., ibidem; LUISO, Processo di esecuzione forzata., cit., ibidem.;
OLIVIERI, Opposizione all’esecuzione, sospensione interna ed esterna., cit., ibidem.; SOLDI,
Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1247.
104
624 c.p.c.: il giudice dovrebbe, dunque, sospendere l’esecuzione e il creditore
avrebbe onere di reclamare detto provvedimento e/o introdurre il giudizio di
merito, pena l’estinzione dell’esecuzione medesima.
Qualora si ritenga applicabile l’opposizione agli atti esecutivi, invece, tale
rischio di estinzione è tutto da dimostrare, posto che - come si è visto nel
capitolo dedicato alla sospensione in caso di opposizione ex art. 617 c.p.c. l’art. 624 c.p.c. ultimo comma, in caso di sospensione ex art. 618 c.p.c.,
richiama a disciplina dell’estinzione solo «in quanto compatibile». Che si
tratti, poi, di un difetto di coordinamento superabile in via interpretativa,
ovvero di una scelta precisa di un legislatore attento, è questione che si
affronterà infra. È certo che l’estinzione disciplinata dall’art. 624 c.p.c. non è,
a prima vista, richiamata per il caso di sospensione in caso di opposizione agli
atti esecutivi.
Altra problematica di grande rilievo, concernente la disciplina delle
sospensioni disposte dal giudice dell’impugnazione del titolo, riguarda la
reclamabilità del provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del
titolo e dei rimedi avverso il conseguente provvedimento - abbia esso o meno
natura ricognitiva ed efficacia retroattiva - del giudice dell’esecuzione.
Della prima delle due questioni si parlerà diffusamente nel capitolo a ciò
dedicato, a proposito dell’impugnazione dei provvedimenti di sospensione.
Con riferimento, invece, al secondo dei due problemi, si osserva quanto segue.
Se si ritiene, innanzitutto, che la sospensione dell’efficacia esecutiva del
titolo debba essere fatta valere davanti al giudice dell’esecuzione, attraverso il
rimedio tecnico dell’opposizione all’esecuzione, dovrà trovare applicazione la
regolamentazione propria di detto istituto (con conseguente sospensione e
successivo reclamo ex art. 624 c.p.c.).
Si è già detto, però, che tale soluzione appare eccessivamente macchinosa
stante, oltretutto, la difficoltà di concepire un «giudizio di merito», distinto da
quello già pendente davanti al giudice dell’impugnazione del titolo 22. Va da sé
che se si accoglie tale soluzione, la mancata introduzione del giudizio di
merito (comunque inteso) a seguito del provvedimento di sospensione non
22 O, meglio, di concepire un giudizio di merito che abbia una sua qualche ragion d’essere,
diversa dalla tautologica domanda: «ritenere e dichiarare che il processo esecutivo non
poteva essere proseguito, stante l’avvenuta sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo».
105
reclamato o confermato in sede di reclamo comporterà l’estinzione della
procedura esecutiva; conseguenza, questa, forse eccessivamente drastica ma probabilmente - inevitabile sulla base delle premesse.
Se si ritiene, per contro, sufficiente che il debitore proponga, ai sensi
dell’art. 486 c.p.c., una semplice istanza al giudice dell’esecuzione, il
provvedimento di questo sfuggirà, probabilmente, in tutto e per tutto alla
disciplina dell’art. 624 c.p.c.
Tale norma, come si vedrà infatti nel capitolo dedicato alla sua esegesi,
disciplina il solo caso di sospensione disposto a seguito di opposizione
all’esecuzione ex artt. 615 e 619 c.p.c., sicché non potrebbe trovare
applicazione nella fattispecie. Del resto, come detto, il provvedimento del
giudice dell’esecuzione avrà natura meramente ricognitiva - e sotto, certi
aspetti, attuativa - di una sospensione già in atto, mentre non costituirà un
«provvedimento di sospensione» in senso tecnico.
Come logico corollario non troverà applicazione la disciplina
dell’estinzione in caso di mancata proposizione del reclamo o di conferma
della sospensione a seguito della decisione del reclamo medesimo23.
Più in generale, come si vedrà, non pare che il provvedimento del giudice
dell’esecuzione, ricognitivo dell’avvenuta sospensione, possa essere
impugnato con reclamo, ma tutt’al più - qualora sia stato emesso o negato al
23 Sia che si affermi che il giudizio di merito è già pendente (i.e.: quello vertente davanti al
giudice dell’impugnazione del titolo), sia che si ritenga più semplicemente estraneo il
giudizio di merito previsto per il caso di opposizione al procedimento che segue l’istanza ex
art. 486 c.p.c. il risultato non cambia.
106
di fuori dei presupposti di legge - con il generale rimedio dell’opposizione
agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c 24.
Peraltro il carattere attuativo e meramente ricognitivo del provvedimento in
questione induce a ritenere ammissibile, anche una volta decorsi i termini per
l’opposizione e/o il reclamo, la proposizione di una semplice istanza, sempre
ai sensi dell’art. 486 c.p.c., per la revoca della sospensione, ovvero la
prosecuzione del processo esecutivo sospeso; e ciò sia nel caso che siano
mutate le situazioni di fatto che avevano determinato la sospensione, sia
nell’ipotesi che si richieda un semplice riesame del provvedimento. Non si
tratta, in fin dei conti, di un provvedimento di sospensione dell’esecuzione in
senso stretto, ma solo di un provvedimento attuativo, come detto, di una
sospensione già concessa da altro giudice.
La predetta soluzione sembra necessaria anche per evidenti ragioni
pratiche. Si pensi all’ipotesi di provvedimento del giudice dell’esecuzione
palesemente errato (e.g., perché il giudice dell’impugnazione non aveva
sospeso l’efficacia esecutiva del titolo). Orbene, in tali casi affermare la
necessità di una impugnazione quale il reclamo o l’opposizione agli atti
esecutivi e negare, al contempo, la modificabilità in ogni tempo del
provvedimento, darebbe luogo a conseguenze disastrose. Ed invero, in caso di
mancata proposizione nei termini dei due rimedi anzidetti, il processo
esecutivo rimarrebbe sine die in uno stato di limbo: non potrebbe applicarsi la
regola dell’estinzione ex art. 624 c.p.c., per i motivi sopra esposti, e tuttavia
non sussisterebbe alcun mezzo ulteriore per impugnare il provvedimento del
giudice dell’esecuzione e consentire la ripartenza del processo esecutivo.
24 SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1247; contra ARIETA - DE SANTIS,
L’esecuzione forzata, cit., ibidem, secondo cui il provvedimento del giudice dell’esecuzione,
pur avendo natura ricognitiva, sarebbe pur sempre un atto esecutivo di sospensione, e
sarebbe impugnabile con il reclamo, quale generale rimedio avverso i provvedimenti tutti di
sospensione dell’esecuzione. Detto reclamo, comunque, potrebbe essere basato solo su vizi
«propri» dell’ordinanza (se rinvenibili), mentre andrebbe dichiarato inammissibile se le
censure investono i presupposti della sospensione, in quanto «non riferibili» al giudice
dell’esecuzione, ma a quello afferente l’impugnazione del titolo. Prima della riforma del
2005-2006 la giurisprudenza aveva affermato la proponibilità, avverso il provvedimento de
quo del giudice dell’esecuzione, dell’opposizione agli atti esecutivi: v. Cass. 14 giugno
1986, n. 3957, secondo cui il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione
individua i limiti e gli effetti della sospensione dell’esecuzione disposta da altro giudice
configura un atto del processo di esecuzione, reso nell’esercizio dei poteri di direzione del
processo stesso, e come tale non impugnabile con ricorso per regolamento di competenza,
ma solo con l’opposizione agli atti esecutivi.
107
IV.2. La sospensione disposta dal giudice dell’appello ex artt. 283 e 351
c.p.c. (le c.d. «inibitorie processuali»).
L’indagine sulle c.d. inibitorie processuali25 si inserisce nel dibattito
legislativo, dottrinario e giurisprudenziale – iniziato all'indomani dell'entrata
in vigore del codice di rito – in ordine alla efficacia della sentenza di primo
25 L’espressione «inibitoria», o meglio «inibitorie» era prevista nel codice del 1865 all’art.
484: «quando sia stata ordinata l’esecuzione provvisoria fuori dei casi dalla legge indicati,
l’appellante può chiedere inibitorie all’autorità giudiziaria d’appello, in via incidentale o
sommaria, che sia già o no pendente il giudizio d’appello». Sull'uso del termine «inibitoria»,
e sulla sua sopravvivenza nel linguaggio giuridico anche dopo la sua «scomparsa» dal
codice di rito del 1940 v. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel
processo civile, Giuffré, 2008, p.19 ss.
108
grado ed alla possibilità del giudice del gravame di incidere sulla eventuale
esecutorietà della decisione26.
È noto che, secondo l'impianto originario del codice del 1940, erano
naturalmente esecutive le sole sentenze di secondo grado mentre, per quanto
riguardava le decisioni di primo grado - analogamente a quanto accadeva nel
codice del 186527 - la concessione della provvisoria esecuzione era
26 Per una trattazione dell'argomento oggetto della presente indagine v. BALENA-BOVE, Le
riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, p 104 ss.; BARBIERI, Sospensione della
sentenza e ricorribilità contro il provvedimento inibitorio, in Immobili & diritto, 2007, p.
112 ss.; BORGHESI, L'anticipazione dell'esecuzione forzata nella riforma del processo civile,
in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, p. 198; BORSELLI, Inibitoria (dir. proc. civ.) in Novissimo
Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 701 ss.; BRUNORI, Sulla inibitoria, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 1956, p. 207 ss.; CARPI, L'inibitoria processuale, in Riv. trim. dir . e proc. civ., 1975, p.
93 ss; Id. La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1979, p.225 ss.; CHIARLONI, in
TARZIA – CIPRIANI, Provvedimenti urgenti per il processo civile, Padova, 1993, p. 162;
COMOGLIO, L'esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado, in TARUFFO, Le riforme
della giustizia civile, Torino, 2000, p. 379 ss.; CONSOLO, in CONSOLO-LUISO-SASSANI,
Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, p. 274 ss.; ID., Il
coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile. Il mancato
ricompattamento dei riti, in Corriere giur., 2007,12, p. 1757 ss.; CONSOLO-LUISO, Codice di
procedura civile commentato, Milano, 2006, p.2219 ss.; CONVERSO, Il processo di appello
dinanzi alla Corte di Appello, in Giur.it., 1999, p.663 ss.; FARINA, in BRIGUGLIO-CAPPONI,
Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 131 ss.; FERRI, In tema di
esecutorietà della sentenza e inibitoria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, p. 565 ss.;
FRIGNANI, Inibitoria (azione), in Enciclopedia del diritto, XXI, Milano, 1971, p. 559 ss;
IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit. ibidem; ID.
in CIPRIANI-MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p.171 ss.; ID.
Provvisoria esecuzione senza inibitoria? in Foro it., 2005, p. 547 ss.; LUISO, Diritto
processuale civile, Milano, 2000, II, p. 379 ss.; MACCARRONE, Per un profilo strutturale
dell'inibitoria processuale, in Riv. dir. proc., 1981, p.274 ss.; MANDRIOLI, Diritto
processuale civile, II, Il processo di cognizione, Torino, 2006, p.308 ss.; MONTELEONE,
Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2007, p. 562 ss.; Id., Esecuzione provvisoria,
in Digesto (civile), VII, Torino, 1992, Aggiornamento, p. 370 ss.; MONTESANO – ARIETA,
Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2001, I, 2., p. 1788 ss.; PROTO PISANI, La
nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p.197 ss; PUNZI, Il processo civile,
Torino, 2008, p. 218 ss.; RUSSO, L'Inibitoria processuale e la sua reclamabilità: problemi
vecchi (e nuovi?) in un travaglio normativo di quasi settant'anni, in Il giusto processo civile,
2009, p 601 ss.; SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 379 ss.;
SIRACUSANO, in VACCARELLA -VERDE, Codice di procedura civile commentato, Torino,
1997, II, p. 525 ss; TARZIA, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2002, p.
320 ss.
27 Per un'indagine sull'acceso dibattito dottrinario sviluppatosi sotto il previgente codice del
1865 v. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p.91 ss.; CHIOVENDA,
Sulle inibitorie alla provvisoria esecuzione delle sentenze civili e commerciali, in Riv. dir.
comm., 1903, II, p.143 ss.; ID. Sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e sulle inibitorie,
in Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), a cura di PROTO PISANI, Milano, 1993, p.
301 ss; ID. Ancora sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e sulle inibitorie, in Saggi.,
cit., ibidem. MORTARA, Qualche osservazione intorno ai poteri del giudice di appello in
tema di esecuzione provvisoria, in Giur. it., 1903, I, 2, p. 469 ss.
109
subordinata all'esistenza di un provvedimento ad hoc nella sentenza di
condanna28. Ed è altresì noto che il legislatore, praticamente all'indomani
dell'entrata in vigore del codice, si trovò a fronteggiare il progressivo dilatarsi
dei tempi del processo civile29 e la conseguente esigenza di ricondurlo entro
termini ragionevoli. In particolare i governi che si succedettero dal dopoguerra
in poi tentarono di rispondere a siffatta esigenza da un lato attraverso la
moltiplicazione dei riti c.d. «speciali» (nel convincimento, probabilmente, che
il rito ordinario di cognizione fosse istituzionalmente inadatto ad assicurare
una definizione del processo in tempi brevi), dall'altro attraverso
l'anticipazione di taluni effetti del sentenza30.
In quest'ultima direzione vanno inquadrate rispettivamente la riforma del
processo del lavoro del 1973, che introdusse la regola dell'esecutorietà della
sentenza di primo grado favorevole al lavoratore (nell'ipotesi che fosse stata
28 Provvedimento che era facoltativo in caso di pericolo nel ritardo o di decisione fondata
su atto scritto, e necessario in caso di condanna al pagamento di provvisionali o prestazioni
alimentari; cfr. PUNZI, Il processo civile., cit., ibidem. Segnatamente la formulazione
originaria della norma era: «Su istanza di parte, la sentenza appellabile può essere
dichiarata provvisoriamente esecutiva tra le parti, con cauzione o senza, se la domanda è
fondata su atto pubblico, scrittura privata riconosciuta o sentenza passata in giudicato,
oppure se vi è pericolo nel ritardo. L'esecuzione provvisoria deve essere concessa, sempre
su istanza di parte, nel caso di sentenze che pronunciano condanna al pagamento di
provvisionali o a prestazioni alimentari, tranne quando ricorrono particolari motivi per
rifiutarla». Per una disamina approfondita dell'istituto sotto la vigenza del previgente codice
di rito cfr. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit.,
p. 39 ss.
29 CECCHI, Analisi statistica dei procedimenti civili di cognizione in Italia, Bari, 1975, p 77
ss.; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p.331 e nt. 4, ove si evidenzia
che, ad esempio, i tempi per la definizione del giudizio di primo grado davanti al Tribunale
passarono dagli originari tre mesi e mezzo del 1900 – sotto la vigenza del codice del 1865 ai 450 giorni del 1947 ai quasi tre anni del 1974. Per quanto concerne le novelle del codice
di rito si rammenta che già con legge n. 581 del 14 luglio 1950 venne introdotta la citazione
a udienza fissa in primo grado.
30 Per una disamina storica v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p.
329 ss. E' significativo che una parallela evoluzione nel senso della progressiva
anticipazione degli effetti della sentenza si è riscontrata anche nella giurisprudenza.
Emblematica, al riguardo, l'interpretazione dell'art. 282 c.p.c.: è noto che dall'originaria –
probabilmente più corretta - opinione che riteneva provvisoriamente esecutive le sole
sentenze di condanna (ex plurimis: Cass. 29 novembre 1975, n. 3988), si è assistito a una
progressiva estensione di tale efficacia anche alle statuizioni di condanna accessorie a una
pronuncia di rigetto, ovvero a una pronuncia costitutiva o di mero accertamento (Cass. 3
settembre 2007, n.18512; per l'ipotesi specifica della condanna alle spese v. Cass. 10
novembre 2004, n. 21367; Cass. 3 agosto 2005, n. 16262) ed alle statuizioni di c.d.
condanna implicita (Cass. 26 gennaio 2005, n.1619). Per una trattazione compiuta sul punto
v. CARNEVALE, Appunti sulla natura giuridica della tutela inibitoria, in Riv. dir. proc.civ.,
2007, p.68 ss.
110
accolta la domanda per crediti relativi ai rapporti di cui all'art. 409 c.p.c.) e la
novella dell'art. 282 c.p.c. introdotta con la legge n. 353 del 26 novembre
1990 31.
Quest'ultima disposizione – applicabile, in forza dell'art. 9 del d.l. n. 347
del 9 agosto 1995, a tutte le sentenze pubblicate successivamente al 19 aprile
1995 32 - modificò radicalmente l'originario impianto dell'art. 282 c.p.c.,
affermando il principio che la sentenza di primo grado fosse provvisoriamente
esecutiva tra le parti33 .
Come logico corollario alla modifica dell'art. 282 c.p.c. si rese necessario
adeguare anche l'art. 283 c.p.c., originariamente rubricato «concessione o
revoca dell'esecuzione provvisoria in appello» 34.
Il codice del 1940, infatti, come contraltare all'effetto naturalmente
sospensivo dell'appello (la cui proposizione, impedendo il passaggio in
giudicato, impediva anche l'esecutorietà della sentenza) ed alla mera
eventualità che la sentenza di primo grado fosse munita di apposito
provvedimento che la rendesse esecutiva, aveva introdotto un meccanismo di
doppio controllo in fase di gravame. Il giudice dell'appello, in particolare,
avrebbe potuto rispettivamente concedere la provvisoria esecuzione
31 Per una disamina v. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel
processo civile, cit., p.79 ss. e p.11, ove osserva che «il nostro processo civile non conosce
quasi più fattispecie nelle quali il provvedimento giudiziale è di per sé privo di efficacia
esecutiva in pendenza del termine per impugnarlo o del giudizio d'impugnazione»; cfr.
anche RUSSO, L'Inibitoria processuale e la sua reclamabilità., cit., ibidem.
32 Per un esame v. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo
civile, cit., p. 146 ss., il quale propone un'indagine storico-comparatistica dell'istituto con gli
omologhi modelli degli stati preunitari e del diritto d'oltralpe, che l'intera problematica del;
MONTELEONE, Esecuzione provvisoria., cit., ibidem.;
33 V. per una disamina IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel
processo civile, cit., ibidem: SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 379.
34 L'art. 283 c.p.c. nel testo originario prevedeva: «Se il giudice di primo grado ha omesso
di pronunciare sull'istanza di esecuzione provvisoria o l'ha rigettata, la parte interessata
può riproporla al giudice d'appello con l'impugnazione principale o con quella incidentale.
Allo stesso giudice e con le stesse forme si può chiedere che revochi la concessione della
provvisoria esecuzione e sospenda l'esecuzione iniziata».
111
(nell'ipotesi in cui non vi avesse già provveduto il giudice di primo grado)
ovvero, al contrario, revocarla, sospendendo l'esecuzione già iniziata 35.
Una volta introdotto, con la novella del 1990, il principio della immediata
esecutività di tutte sentenze di condanna, a prescindere dall'esistenza di uno
specifico provvedimento in tal senso del giudice di primo grado, si rendeva
superflua l'ulteriore attribuzione al giudice dell'appello del potere di
«concedere» la provvisoria esecuzione. Il testo originario dell'art. 283 c.p.c. fu
dunque sostituito da quello vigente fino al 2005, con la previsione della
semplice facoltà di sospendere l'efficacia esecutiva e l'esecuzione della
sentenza. Tale testo è rimasto – come si vedrà infra – sostanzialmente
immutato anche a seguito della novella introdotta con legge n. 263 del 28
dicembre 2005. La rimodulazione dell'art.283 c.p.c., comunque, pare più che
altro un adattamento linguistico alla nuova situazione di diritto, e non una
modifica a contenuto sostanziale, tale da incidere sulla natura del
provvedimento sull'inibitoria.
Vale, invece, la pena di sottolineare – ma sul punto si tornerà tra breve –
che secondo il testo del 1940 la speculare simmetria dei poteri attribuiti,
rispettivamente, al giudice di primo grado (di concedere o meno la provvisoria
esecuzione) e al giudice di secondo grado (di concederla qualora non vi
avesse provveduto l'organo di primo grado, ovvero di revocare l'esecutorietà
da questi concessa) rende evidente una caratteristica fondamentale dei
provvedimenti sulla provvisoria esecuzione. Si trattava, in particolare, di
provvedimenti che trovavano una giustificazione logica e funzionale nel fatto
che l'organo competente ad emanarli fosse lo stesso competente a decidere il
merito della controversia: o per avervi già provveduto, contestualmente
all'emissione della sentenza (nel caso del giudice di primo grado), ovvero per
essere l'organo chiamato a decidere il merito dell'appello. Costituivano,
insomma, un peculiare aspetto e una manifestazione del potere di decidere la
causa nel merito; tant'è che la relativa istanza doveva essere proposta
35 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit, p. 84 ss.
V. anche ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 2° ediz., Napoli, 1947, p. 275
ss secondo cui i provvedimenti di cui all'art. 283 c.p.c. avevano natura di vero e proprio
gravame avverso il capo della sentenza dichiarativo della provvisoria esecutività della
sentenza stessa.
112
rispettivamente davanti al giudice di primo grado ovvero, in sede di gravame,
«con l'impugnazione principale o con quella incidentale».
E anche tale impostazione non pare essere stata modificata a seguito della
novella della norma, posto che, anche secondo il testo vigente, l'istanza
inibitoria deve essere proposta «con l'impugnazione principale o con quella
incidentale» 36.
Per quanto riguarda i presupposti per concedere l'inibitoria, il testo del 1990
prevedeva che il giudice d'appello «su istanza di parte, proposta con
l'impugnazione principale o con quella incidentale», potesse sospendere «in
tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata»,
quando ricorressero «gravi motivi». La formula dei «gravi motivi» era stata
preferita, nel corso dei lavori preparatori alla novella del 1990 – e
precisamente in limine litis, in sede di discussione del disegno di legge alla
Camera -, rispetto a quella originariamente approvata al Senato dei «fondati
motivi»37.
Si era in particolare ritenuto che la locuzione «fondati motivi» fosse troppo
«lata e tale da annacquare all'atto pratico la scelta di anticipare l'esecutività
all'esito del primo grado»38 . Si temeva, in definitiva, che il giudice
dell'appello, in un certo qual modo «compromesso» con la vecchia concezione
della non esecutorietà della sentenza di primo grado, fosse portato ad avallare
una interpretazione sostanzialmente abrogatrice della norma, vanificandone di
fatto la portata ogniqualvolta il gravame non risultasse ictu oculi pretestuoso.
Nel suo testo definitivo, ad ogni modo, la formula adottata dal legislatore
era diretta a «realizzare, sia pure in un sistema contrassegnato
36 È stato sostenuto in dottrina che l'istanza inibitoria potrebbe essere proposta «anche con
atto separato, purché nella fase preliminare del giudizio di appello» (ed a condizione,
ovviamente, che l'appello principale o incidentale sia stato regolarmente proposto):
MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p.564, nt. 77; contra: App. Trieste,
19 febbraio 2003, in Gius, 2003, 7, p. 756. In ogni caso la proponibilità con atto separato
non farebbe venire meno lo stretto collegamento logico – funzionale tra istanza inibitoria e
merito dell'appello (nonché tra decisione sull'inibitoria e potenziale futura decisione sul
merito).
37 CIPRIANI, I problemi del processo di cognizione tra passato e presente, in Riv. dir. civ.,
2003, p.59 nt.83; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato. cit., ibidem;
IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., p. 84 ss.
ID., La riforma del processo civile., cit., ibidem.
38 Per un esame delle contrapposte posizioni v. CONSOLO-LUISO, Codice di procedura
civile commentato. cit., ibidem.
113
dall'esecutorietà ipso iure (persino) della sentenza di primo grado, un punto
di equilibrio non del tutto irragionevole tra aspirazione all'efficienza e tutela
del diritto alla difesa»39 . In concreto il punto di equilibrio tra ragioni della
parte provvisoriamente soccombente (nell'ipotesi dell'eventuale, futura
riforma) con quello della parte provvisoriamente vittoriosa (per il caso
dell'eventuale conferma della decisione impugnata) era stato individuato nella
sussistenza dei profili del fumus boni iuris e del periculum in mora 40. I dubbi
maggiori riguardavano, invero, se fosse necessaria la compresenza di entrambi
i requisiti, ovvero se fosse sufficiente l'esistenza anche di uno solo di essi, e
dunque, alternativamente, del fumus o del periculum41.
L'art. 283 previgente è stato ulteriormente modificato a partire dal 1° marzo
2006 dalla legge n. 263 del 28 dicembre 200542.
È noto, al riguardo, che la novella del 2005 ha sostituito l'originaria
espressione «gravi motivi» con quella «gravi e fondati motivi anche in
relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti» ed ha, al contempo,
previsto espressamente la possibilità che la sospensione dell'esecuzione venga
subordinata al pagamento di una cauzione.
39 Così IMPAGNATIELLO, La riforma del processo civile. cit. ibidem.; v. anche ID., La
provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit, ibidem; CIPRIANI, I problemi del
processo di cognizione. cit. ibidem, il quale evidenzia che l'ampiezza del potere di inibitoria
riconosciuto al giudice di appello era diretto a rendere tollerabile il «giro di vite in chiave
autoritaria», rappresentato dalla previsione della regola dell'esecutorietà ipso iure della
sentenza appellabile.
40 Per la giurisprudenza cfr. Cass. 25 febbraio 2005, n. 4060, in Foro it., 2005, I, p. 2376
con nota di CEA; App. Palermo, 25 agosto 2008; App. Bari, 7 luglio 2004, in Foro It., 2005,
1, 241; App. Roma, 24 gennaio 2003, in Gius, 2003, 5, p. 613; App. Venezia, 3 marzo 2005
in Foro it. 2005, 5, p. 1640; App. Roma, 4 febbraio 2000, in Nuova giur. civ., 2001, I, p. 53
con nota di NEGRINI, La fondatezza dell'impugnazione come motivo di sospensione del lodo
arbitrale; App. Venezia, 26 aprile 1996, in Arch. circolaz., 1998, p. 461 con nota di AGRIZZI,
La sospensione della provvisoria esecuzione delle sentenze di primo grado nelle cause di
risarcimento dei danni da responsabilità civile automobilistica ex lege 24 dicembre 1969 n.
990; App. Firenze, 19 gennaio 1996 in Corr. giur.,1996, p. 779, con nota di CONSOLO,
L'inibitoria in appello nel (lungo) regime transitorio tra forme vecchie (art.351) e sostanza
nuova (art. 283) e nel confronto col c.p.p.; contra App. Firenze, 23 aprile 1997, in Giur. it.,
1998, p. 1408, a detta della quale i «gravi motivi» di cui all'art. 283 c.p.c. non atterrebbero
né al probabile esito positivo dell'appello, né al pericolo che venga proposta l'esecuzione
forzata (conseguenza, questa, derivante ex lege dalla provvisoria esecuzione della sentenza),
ma dovrebbero consistere in un ulteriore effetto pregiudizievole che potrebbe derivare
dall'attesa della pronuncia sull'appello.
41 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit, ibidem;
Id., La riforma del processo civile., cit. ibidem.
42 Per una disamina v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit., ibidem.
114
Le nuove norme, innanzitutto, giusto il complicato gioco di scatole cinesi
di cui all'art.2 comma 4 della legge 263/2005, come modificata, da ultimo,
dall'art. 39 quater d.l. n. 273 del 30 dicembre 2005, convertito in legge n. 51
del 23 febbraio 2006, sono applicabili ai procedimenti instaurati
successivamente al 1° marzo 2006.
Entrando nel merito della riforma, con riferimento alla espressa previsione
del requisito della fondatezza dei motivi, l'effettiva portata innovativa delle
disposizioni è stata immediatamente messa in dubbio dai primi commentatori.
È stato, al riguardo, giustamente evidenziato che l'espressione «gravi e fondati
motivi» sia da considerare, in definitiva, poco più che un'endiade, atteso che
un motivo infondato non può che essere privo di rilievo 43.
È stato tuttavia osservato – sopratutto da chi sosteneva, anche
anteriormente alla modifica, la tesi della necessaria compresenza di fumus e
periculum - che la formulazione sincretistica introdotta con la novella, nel suo
complesso, appaia «suscettibile di rendere più severa la delicata verifica
devoluta in limine gravaminis al giudice di appello 44». In definitiva il
legislatore avrebbe inteso non solo, in un certo qual modo, richiedere
contestualmente sia la presenza del fumus che del periculum, ma anche, in una
certa misura, rafforzarla, prevedendo un'ipotesi tipica di grave e fondato
motivo, e segnatamente «la possibilità di insolvenza di una delle parti»45 .
A seguire questa impostazione concettuale, evidentemente, anche la
seconda novità introdotta dalla riforma (id est: l'espressa menzione della
possibile decozione di una delle parti) non avrebbe una reale portata
innovativa, ma avrebbe, appunto, un mero valore descrittivo (avrebbe, come
43 Cfr. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit., ibidem, il quale evidenzia
giustamente come l'espressione «gravi e fondati motivi» sia da considerare un’endiade,
atteso che un motivo infondato è sicuramente privo di rilievo; nel senso che la riforma non
abbia una portata propriamente innovativa cfr. anche BALENA-BOVE, Le riforme più recenti.,
cit. ibidem.
44 CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile,
cit. ibidem., il quale prosegue: «l'appello, cioè, deve essere serio e, per così dire, di outlook
minaccioso e il pregiudizio non banale e/o normale». Cfr. anche FARINA, in BRIGUGLIOCAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, cit. ibidem.
45 BALENA - BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, cit. ibidem.
115
detto, esclusivamente individuato una ipotesi tipica di motivo grave e
fondato46 per la concessione dell'inibitoria).
Con riferimento al merito della locuzione adottata dal legislatore «anche in
relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti» – abbia essa o meno
portata innovativa - è stato evidenziato che l'espressione «possibilità» deve
essere letta in maniera ragionevolmente restrittiva, nel senso che deve
sussistere la «concreta probabilità» di insolvenza della parte vittoriosa o di
quella soccombente in primo grado, rispettivamente per l'ipotesi di conferma
o riforma della sentenza impugnata 47.
Altra dottrina ha segnalato come la previsione in questione vada
logicamente riferita alle sole sentenze di condanna a contenuto pecuniario e
non anche a quelle statuizioni di condanna non aventi tale contenuto 48 (per le
quali una simile previsione sarebbe priva di significato).
Maggior interesse – oltre che per la sua indiscutibile portata innovativa
anche per i suoi possibili risvolti pratici - desta l'ulteriore innovazione
introdotta con la novella, della possibilità di subordinare la concessione
dell'inibitoria al pagamento di una cauzione.
Sul punto è stato sostenuto che la cauzione potrebbe essere imposta
esclusivamente alla parte che chiede e ottiene l'inibitoria, e mai alla
controparte; con l'ulteriore conseguenza che la cauzione sarebbe stata, a ben
vedere, prevista solo a garanzia del danno da ritardo nell'esecuzione (per il
caso in cui l'inibitoria sia concessa) e non anche del diritto alle restituzioni ed
agli eventuali danni da esecuzione ingiusta (per il caso in cui l'inibitoria sia
negata)49.
In conclusione pare che, anche a seguito dell'ultima novella dell'art. 283
c.p.c., il problema di maggiore rilievo per l'interprete sia quello di stabilire se
46 BALENA-BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, cit. ibidem.
47 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit, ibidem;
ID., La riforma del processo civile, cit., ibidem.
48 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit. ibidem.
49 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., p.46 il
quale evidenzia, oltretutto, che anche la dottrina formatasi sotto il previgente codice del
1865 (ove, all'art. 363 c.p.c., era prevista una cauzione), riteneva che essa potesse essere
imposta solamene al creditore che intendesse procedere esecutivamente; ID., La riforma del
processo civile, cit., ibidem.; ma contra CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed
altre disposizioni sul processo civile, cit. ibidem.
116
l'accoglimento dell'istanza di inibitoria debba essere subordinato
all'accertamento del fumus e del periculum e della eventuale necessaria
compresenza di entrambi.
Sul punto non pare che le modifiche introdotte siano tali da considerare
definitivamente superata la questione in favore della tesi monistica o della
coesistenza dei due requisiti.
Dal punto di vista semantico – linguistico (e il diritto è una creazione
linguistica) la previgente espressione «gravi motivi» non avrebbe dovuto
necessariamente essere ricondotta allo schema concettuale della coppia fumus
boni iuris - periculum in mora (e, tanto meno, non nel senso di presupporre
una loro necessaria coesistenza). Ma è, in ogni caso, ragionevole affermare
che la fondatezza prima facie dell'appello non possa che avere rilevanza
imprescindibile.
Una volta consolidato e recepito, infatti, nel nostro ordinamento il principio
della immediata esecutorietà della sentenza di primo grado, pare logico (oltre
che socialmente accettabile) attribuire al giudice del gravame il potere di
sospendere tale efficacia in caso di palese fondatezza dell'appello (si pensi
all'ipotesi di manifesta erroneità della decisione di primo grado, ovvero alla
sopravvenienza, nei limiti di cui all'art. 345 c.p.c., di nuovi mezzi di prova
«indispensabili 50»); e ciò – si badi bene – anche in assenza di un concreto
pregiudizio (diverso dal rischio di una esecuzione forzata) che potrebbe
derivare alla parte soccombente.
Per converso non sembra altrettanto ragionevole (né, considerati i tempi
medi del giudizio di appello, socialmente accettabile) che si possa dare rilievo
esclusivo o prevalente alla sola gravità del pregiudizio, sospendendo
l'efficacia esecutiva di una sentenza di primo grado palesemente corretta, a
fronte di un appello proposto a manifesti fini dilatori.
Nell'esaminare, però, il diritto positivo, pare che con la novella del 2005 il
legislatore – quali che fossero le sue intenzioni originarie – abbia finito con
l'accentuare forse non del tutto consapevolmente, proprio la rilevanza al
periculum in mora (in ciò, forse, prendendo atto di un orientamento
giurisprudenziale, come visto, già esistente).
50 Sul punto, diffusamente, infra.
117
Al di là di questo limitato aspetto non pare che, a seguito del 2005, la
situazione sia di fatto cambiata, né pare ragionevole supporre che le modifiche
introdotte possano modificare sensibilmente il panorama giurisprudenziale
formatosi sotto il previgente testo normativo.
La prassi delle Corti d'Appello italiane, con l'esclusione di qualche isolata
pronuncia51, si era già infatti già consolidata nel senso di valutare sia la
fondatezza dell'appello, sia il pericolo derivante dall'eventuale esecuzione
della sentenza, dando conto di tale valutazione comparativa nella motivazione
del provvedimento.
La dottrina, da parte sua, ha recentemente ribadito – alla luce delle ultime
riforme – la concezione della necessaria compresenza, efficacemente descritta
attraverso la metafora dei c.d. vasi comunicanti, secondo cui al crescere di uno
dei due elementi l'altro potrebbe attenuarsi anche sensibilmente ma mai
sparire del tutto 52.
Maggiori prospettive evolutive, invece, sono desumibili – più che dalla
novella in sé - dal coordinamento del nuovo (o vecchio) testo dell'art. 283
c.p.c. con il reinterpretato art. 345.
È stato da più parti sottolineato che il giudizio prognostico sulla fondatezza
dell'appello (e dunque sulla sussistenza del fumus) possa essere ancorato agli
eventuali nuovi mezzi di prova introdotti nel giudizio di appello. In tal senso è
stata proposta una rilettura della nozione di «indispensabilità» della prova di
cui all'art. 345 c.p.c., proprio rispetto alla possibilità di concedere l'inibitoria
ex art. 283 c.p.c.53. Il giudice del gravame dovrebbe concedere l'inibitoria se
ritiene che, alla luce dei documenti prodotti, ovvero delle nuove prove
richieste, sia altamente probabile un ribaltamento della decisione di primo
grado.
51 App. Firenze, 23 aprile 1997, in Giur. it., 1998, p. 1408, cit.
52 CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile,
cit. ibidem.
53 CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile,
cit. ibidem.
118
IV.3. La sospensione disposta dal giudice che ha pronunciato la sentenza,
in caso di ricorso per cassazione (art. 373 c.p.c.).
L’art. 373 c.p.c., nel suo testo originario, precedente alle modifiche
apportate dalla legge 14 luglio 1950 n. 581, prevedeva che la Corte di
Cassazione, con ordinanza pronunciata in camera di consiglio su istanza di
parte, sentito il pubblico ministero, avrebbe potuto sospendere l'esecuzione
della sentenza soggetta a ricorso, quando dall'esecuzione stessa potesse
derivare grave o irreparabile danno54.
La sua struttura era, dunque, speculare a quella dell’art. 283 c.p.c., col
potere di pronunciarsi sull’inibitoria attribuito al medesimo giudice
dell’impugnazione, sia pure di legittimità. Tale previsione, inoltre, chiudeva il
sistema dell’esecutorietà delle sentenze, come ipotizzata dal legislatore del
1940, e delle generale efficacia esecutiva delle sole sentenze di appello.
Le differenze, invece, tra la fattispecie di cui all’art. 283 c.p.c. e quella di
cui all’art. 373 citato attenevano (ed, in parte qua, attengono tuttora) ai
presupposti. Si è già detto al paragrafo precedente che la locuzione «gravi e
fondati motivi» prevista dall’art. 283 c.p.c. (analogamente alla previgente
«gravi motivi») viene comunemente ricondotta alla coppia fumus boni iuris e
periculum in mora. Nel caso della sospensione ex art. 373 c.p.c., invece, si
richiede la sussistenza di un «grave e irreparabile danno».
A tal riguardo la dottrina e la giurisprudenza qualificano, generalmente, il
danno come «grave» qualora si verifichi una grande sproporzione tra il
pregiudizio di chi subisce l’esecuzione e il beneficio di chi la ottiene, nella
previsione di un possibile annullamento della sentenza55. Qualificano, invece,
il requisito della irreparabilità quando, in caso di riforma della sentenza,
54 Per una disamina, cfr. JAEGER, Diritto processuale civile, Torino, 1944, p.518.
55 LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano 1999 p.428 s.; in giurisprudenza v. App.
Torino 18 luglio 1995, in Giur. it. 1996, I, 2, p. 242, con nota di. VULLO, Considerazioni in
tema di irreparabilità del danno ai fini della sospensione dell'esecuzione della sentenza
d'appello, in Giur. it., 1996, I, 2, p. 242 ss.
119
sarebbe impossibile la riduzione in pristino della situazione anteriore, nonché
un adeguato ristoro per equivalente 56.
Contrariamente a quanto accade in caso di appello, dunque, il legislatore ha
posto l'accento non solo e non tanto al fumus boni iuris (id est: alla
fondatezza, prima facie, dell'opposizione), ma sopratutto alla gravità del
pregiudizio che potrebbe derivare alla parte 57.
Per quanto concerne il procedimento di sospensione si è già detto che la
formulazione originaria è stata modificata in modo molto incisivo dalla legge
581/1950 58. La formulazione attuale prevede che l’istanza per la sospensione
«dell’esecuzione» vada presentata al giudice che ha pronunciato la decisione
impugnata. L’art. 131 bis disp. att. c.p.c., prevede che il giudice investito della
questione «non può decidere» se l’interessato non provi di avere depositato il
ricorso per cassazione contro la sentenza medesima. Non è, pertanto,
sufficiente la mera notifica del ricorso, ma occorre che questo sia stato anche come vuole la legge - depositato. Tuttavia la formulazione della norma sembra
tale da richiedere l’avvenuto deposito non come condizione di ammissibilità
della domanda, ma come mera condizione dell’azione (recte: del
subprocedimento cautelare), in una accezione, per così dire, chiovendiana:
56 FAZZALARI, Il giudizio civile di cassazione, Milano 1960, p. 115; LUISO, Diritto
processuale civile, cit., ibidem. In giurisprudenza v. Trib. Caltanissetta 27 aprile 2004, in
Foro it., 2005, I, p. 241; App. Torino 28 aprile 1995, in Giur. it. 1995, I, 2, p. 902; Trib.
Sciacca 14 febbraio 1992. Per la dottrina più risalente, v. MICHELI, Corso di diritto
processuale civile, vol. II, Milano, 1961, p. 307 ss., secondo cui ratio della norma sarebbe
stata quella di «evitare al soccombente che ha impugnato per cassazione la sentenza stessa
il danno derivante dalla esecuzione forzata di quest’ultima» in quanto «idonea a produrre
conseguenze difficilmente eliminabili con la restituzione in pristino; la gravità del danno se
ne va perciò commisurata tenendo conto anche della situazione soggettiva della parte, essa
dipende dalla pratica impossibilità di elidere quelle conseguenze pregiudiziali pur con il
ristoro dei danni».
57 La dottrina dominante e la giurisprudenza dominanti sembrano propendere nel senso che
la valutazione del giudice debba dispiegarsi integralmente sul versante del periculum in
mora cui è esposto il ricorrente, senza che possano acquisire rilevanza valutazioni afferenti
al fumus dell'impugnazione proposta: v., per tutti, VULLO, Considerazioni in tema di
irreparabilità del danno., cit., ibidem. In giur. App. Salerno, 21 luglio 2003, in Giur. it.,
2004, p. 310. Contro siffatta impostazione si è, tuttavia, obiettato - probabilmente
correttamente - che il requisito del fumus dovrebbe comunque sussistere, quanto meno come
limite negativo, nel senso che il giudice non dovrebbe sospendere l'esecuzione della
sentenza in presenza di un'opposizione palesemente pretestuosa: CONSOLO, E' sempre grave
ed irreparabile - ex art. 373 c.p.c. - il danno conseguente al rilascio forzato di un immobile
(o di un fondo) adibito ad attività di impresa?, in Giur. it., 1986, I, 2, p. 183.
58 Un’altra modifica, di portata - in proporzione - minore è stata introdotta con la legge 26
novembre 1990 n. 353.
120
essa, dunque, dovrebbe sussistere solo al momento della decisione, mentre
non si richiede anche la sua esistenza al momento della domanda.
Contrariamente alla sua formulazione originaria, inoltre, l’art. 373 non
richiede più che l’istanza di sospensione debba essere contenuta nel ricorso
per cassazione. Il che sembra abbastanza ovvio, tenuto conto che la Corte
Suprema, come detto, non è il giudice dell’inibitoria. Di conseguenza non
pare sia necessaria - ai fini dell’accoglibilità dell’istanza inibitoria - la sua
menzione nel ricorso per cassazione (recte: la menzione nel ricorso
dell’intenzione di proporre l’istanza davanti al giudice competente).
Nel suo testo vigente la norma prevede che l’istanza vada proposta al
conciliatore (oggi giudice di pace), al tribunale o alla corte d’appello. Per la
verità la norma distingue tra «tribunale in composizione monocratica» e
«presidente del collegio», ipotesi quest’ultima che può essere considerata
riferibile sia all’ipotesi di istanza presentata al tribunale in composizione
collegiale che alla corte d’appello (sempre in composizione collegiale).
La procedura segue le regole di un rito camerale, con emissione, da parte
del giudice anzidetto, di un decreto (da apporre in calce al ricorso) con il quale
viene ordinata la comparizione delle parti davanti al giudice stesso
(evidentemente per l’ipotesi che istanza sia stata proposta davanti al giudice di
pace o davanti al tribunale in composizione monocratica) ovvero davanti al
collegio (in caso di proposizione dell’istanza al presidente di un organo
giudicante in composizione collegiale).
Copia del ricorso e del decreto debbono, quindi, essere notificate al
procuratore dell'altra parte, ovvero alla parte stessa, se questa sia stata in
giudizio senza ministero di difensore o non si sia costituita nel giudizio
definito con la sentenza impugnata. Con lo stesso decreto, in caso di
eccezionale urgenza può essere disposta provvisoriamente l'immediata
sospensione dell'esecuzione.
Dal punto di vista dell’inquadramento dogmatico è lecito domandarsi se la
presente fase costituisca un subprocedimento del giudizio in Cassazione
(ancorché dinanzi ad un differente giudice), ovvero una prosecuzione del
giudizio di merito definito, ovvero ancora un procedimento camerale
tendenzialmente autonomo.
121
La questione ha una certa rilevanza sul piano pratico applicativo, con
particolare riguardo al ministero del difensore, ed alla regolarità della
costituzione in giudizio del procuratore privo di apposita procura e non ancora
costituito in Cassazione, ma munito di mandato per la fase di merito (definita).
Sebbene la prassi applicativa sembri avere risolto la questione in senso
liberale, su un piano concettuale sembrerebbe più corretta la tesi rigorosa, nel
senso che il difensore dovrebbe essere già costituito in Cassazione, o
comunque essere munito di procura ad hoc.
La fase della sospensione ex art. 373, infatti, sebbene si svolga davanti al
giudice che ha emesso la sentenza impugnata, attiene - probabilmente - la fase
del ricorso per Cassazione. Ciò si deduce, innanzitutto, dalla lettera della
norma: la disposizione stessa sottolinea il fatto che la precedente fase di
merito è già definita (per la precisione, è stata già definita con la sentenza
impugnata), sicché l’istanza di sospensione afferisce una fase ulteriore e dalla
prima distinta. Sempre l’art. 373, inoltre, richiede l’avvenuto deposito del
ricorso per Cassazione, ai fini della decisione, a conferma ulteriore che si
tratta di una specifica subfase del procedimento di legittimità.
Il fatto che il procedimento ex art. 373, comunque, afferisca la fase di
legittimità, non comporta che siano ad essa applicabili le regole del
procedimento in Cassazione, specialmente per quanto concerne il requisito
dell’iscrizione all’albo dei difensori abilitati presso le giurisdizioni superiori e
le specifiche regole sul mandato.
Trattandosi, infatti, di fase davanti al giudice di merito, non pare
ragionevole imporre né l’iscrizione del difensore all’albo dei cassazionisti ai
sensi dell’art. 365 c.p.c., né l’esistenza di una apposita procura speciale
(prescritta dalla stessa norma). Sarà, dunque, probabilmente valida ed efficace
la procura generale, come pure il mandato conferito ad un avvocato iscritto
all’albo ordinario. Analogamente potrà essere considerato efficace il mandato
conferito, nelle fasi di merito, purché con locuzioni del tipo: «in ogni stato,
fase e grado del presente giudizio».
La soluzione opposta a quella sopra sostenuta - quella secondo cui sarebbe
munito di poteri sempre e comunque anche il procuratore costituito nel
procedimento «definito» - muove, del resto, da comprensibili ragioni di ordine
pratico. Il carattere di urgenza del procedimento comporta che alla parte
122
resistente venga, spesso, assegnato un termine realmente breve per la
«costituzione»; sicché potrebbe non essere per niente agevole per la parte
«resistente» munirsi di una nuova procura (e delle eventuali autorizzazioni
necessarie, per il caso che - ad esempio - la parte sia una curatela
fallimentare). Essa va, pertanto, accolta comunque con favore, sebbene - si
ripete - non appaia probabilmente ineccepibile sotto un profilo strettamente
dogmatico.
Per converso sarà sicuramente legittimato in giudizio il difensore già
costituito nel giudizio in Cassazione, anche se non fosse stato costituito nel
precedente grado di merito59.
In alternativa al provvedimento di inibitoria, il giudice di pace, il tribunale
o la corte territoriale potranno disporre che sia prestata «congrua cauzione».
Anche siffatto provvedimento sarà sempre subordinato all’esistenza del grave
e irreparabile danno, stando almeno all’esegesi letterale della norma.
Autorevole dottrina, tuttavia, ha efficacemente osservato che la previsione di
una cauzione ha una logica solo se il suo incameramento dalla parte vittoriosa
ha la potenzialità di eliminare i danni subiti dalla prosecuzione
dell’esecuzione stessa 60 . Il giudice, dunque, può concedere la cauzione solo
se il danno è eliminabile attraverso il pagamento di una somma di denaro, e,
dunque, non in caso di «irreparabilità», in senso stretto.
Il provvedimento che decide sul ricorso, come si vedrà nel capitolo a ciò
dedicato, è considerato dalla legge non impugnabile. Deve, pertanto,
escludersi l’applicabilità del reclamo. Trattandosi, inoltre, di provvedimento di
natura ordinatoria che non contiene alcuna decisione in senso tecnico, viene
considerato inammissibile, avverso la statuizione che concede o nega la
sospensione, anche il ricorso, ex art. 111 Cost. 61.
59 Cfr. App. Lecce, 16 marzo 1996, in Arch. civ., 1997, p. 297 ss., secondo cui il difensore è
abilitato a richiedere la sospensione dell'esecuzione al giudice che ha pronunciato la
sentenza impugnata in forza della medesima procura a lui rilasciata per la proposizione del
ricorso in cassazione.
60 MICHELI, Corso di diritto processuale civile, cit., ibidem.
61 Cass. sez. un. 18 giugno 2008, n. 16537.
123
È controverso se il giudice che pronunzia sulla sospensione debba o possa
provvedere anche sulle spese, ovvero se su di essa debba provvedere la
Cassazione, con la sentenza 62.
La norma, infine, menziona esclusivamente la sospensione dell’esecuzione
e non anche quella dell’efficacia esecutiva del titolo, sebbene venga
frequentemente adoperata anche per prevenire un’esecuzione non iniziata, e
dunque come vera e propria inibitoria, nel senso indicato nei precedenti
paragrafi63 .
IV.4. La sospensione disposta dal giudice che ha pronunciato la sentenza,
nelle ipotesi di revocazione e opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (art. 401
e 407 c.p.c.).
Gli artt. 401 e 407 c.p.c. disciplinano le ipotesi di «sospensione
dell’esecuzione» rispettivamente nella revocazione e nell’opposizione di terzo
ex art. 404 c.p.c.
Ambedue le norme fanno rinvio al provvedimento di cui all’art. 373 c.p.c.
ed al procedimento in camera di consiglio stabilito per la sospensione
dell’esecuzione concessa in caso ricorso per cassazione.
Si è già detto che la norma di cui all’art. 373 c.p.c. prevedeva, nel suo testo
originario, che il provvedimento di sospensione fosse emesso dalla stessa
Corte di Cassazione Cassazione, con ordinanza da emettersi in camera di
consiglio su istanza di parte, sentito il pubblico ministero, quando
dall'esecuzione stessa potesse derivare grave o irreparabile danno.
62 Nel senso che le spese relative al procedimento di sospensione debbono essere liquidate
dalla Corte di Cassazione insieme con quelle del giudizio di legittimità v. Cass. 31 agosto
2005 n. 17584; contra Cass. 29 settembre 2005 n. 19138. In caso di accoglimento del
ricorso, in ogni caso, la liquidazione anche delle spese del subprocedimento cautelare ricade
nell’applicazione dell’art. 385 c.p.c., con conseguente facoltà per la Corte di Cassazione di
demandare (anche) la relativa statuizione al giudice del rinvio (Cass. 2 aprile 1999 n. 3161).
Secondo Cass. 11 febbraio 2009, n. 3341, infine, salvo il menzionato caso dell’art. 385
c.p.c., la liquidazione delle spese può essere chiesta anche alla Corte di cassazione. Tuttavia,
«affinché sia rispettato il principio del contraddittorio, tale richiesta è esaminabile a
condizione che l'interessato produca, nei termini di cui all'art. 372, secondo comma, cod.
proc. civ., una specifica e documentata istanza, comprensiva dei relativi atti, in modo da
offrire alla controparte la possibilità di interloquire sul punto».
63 Per la tesi favorevole v. VULLO, Considerazioni in tema di irreparabilità del danno., cit.,
ibidem; nello stesso senso, in giur., v. App. Salerno, 21 luglio 2003, in Giur. it., 2004, p. 310.
124
La previsione originaria degli artt. 401 e 407 rinviava, dunque, ai requisiti
ed alla procedura prevista per il provvedimento emesso dal giudice di
legittimità (originariamente competente), con esclusione della necessità di
sentire il pubblico ministero.
Tale esclusione, probabilmente, doveva ritenersi operante anche qualora nel
procedimento definito in fase di merito fosse prescritto l’intervento del P.M.
medesimo, stante l’inequivoco tenore letterale della norma.
La legge 14 luglio 1950 n. 581, come si è visto, ristrutturò integralmente il
procedimento di sospensione ex art. 373 c.p.c., attribuendo - tra l’altro - la
competenza al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in sede di
legittimità.
Le previsioni di cui agli artt. 401 e 407 c.p.c. non furono, tuttavia, ritoccate
dalla medesima legge. È noto, al riguardo, che l’art. 52 della legge 581/1950
previde una generale delega al Governo «ad emanare, non oltre quattro mesi
dalla pubblicazione della presente legge, le disposizioni complementari aventi
carattere transitorio o d'attuazione, e quelle di coordinamento della legge
medesima col Codice di procedura civile e con le altre leggi».
Tale provvedimento delegato fu emanato con D.P.R. 17 ottobre 1950, n.
857, rubricato «Disposizioni di coordinamento e di attuazione della legge 14
luglio 1950, n.581, che ratifica il decreto legislativo 5 maggio 1948 n. 483,
contenente modificazioni e aggiunte al codice di procedura civile e
disposizioni transitorie», pubblicato in Gazzetta Ufficiale 2 novembre 1950,
n. 252, Supplemento Ordinario.
Visti i limiti contenuti nella legge di delega si provvide ad un
aggiustamento solo formale, eliminando il riferimento al pubblico ministero,
divenuto privo di significato, giusta la nuova attribuzione della competenza al
giudice del provvedimento impugnato.
Il testo, dunque, di ambedue le disposizioni è rimasto, pertanto, immutato.
Il giudice della revocazione e/o dell'opposizione di terzo potrà pronunciare
l'ordinanza di inibitoria prevista dall'art. 373 c.p.c., e la relativa istanza verrà
trattata «con lo stesso procedimento in camera di consiglio ivi stabilito».
Ciò sta a significare che, sia nell'opposizione di terzo che nella revocazione,
per quanto concerne i presupposti della sospensione, dovrà aversi riguardo ai
risultati dell'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale a proposito dell'art.
125
373 c.p.c., fermo restando che – contrariamente a quanto accade in caso di
ricorso per cassazione – competente a decidere l'inibitoria sarà il giudice
dell'opposizione o della revocazione stesse e non quello della sentenza
impugnata (il che, a ben vedere, costituisce, oggi, una differenza solo
apparente, ove si consideri che l'opposizione di terzo e la revocazione si
propongono dinnanzi al medesimo giudice che ha pronunciato la sentenza).
Ai sensi del combinato disposto – dunque – degli artt. 373 e 404 c.p.c. la
sentenza opposta può essere sospesa quando vi sia istanza di parte e
«dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno».
Analogamente alla sospensione in caso di ricorso per Cassazione, e
contrariamente a quanto accade in caso di appello, dunque, il legislatore ha
posto l'accento non solo e non tanto al fumus bonis iuris, ma sopratutto alla
gravità del pregiudizio che potrebbe derivare al terzo opponente.
Si rinvia, sul punto a quanto detto supra a proposito della fattispecie di cui
all’art. 373 c.p.c. Al medesimo paragrafo - ed alla trattazione ivi contenuta - si
rinvia anche per le regole procedurali.
IV.5. La sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo
(art. 649).
Ai sensi dell’art. 649 c.p.c. il giudice istruttore, su istanza dell'opponente,
quando ricorrono gravi motivi, può, con ordinanza non impugnabile,
sospendere l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo concessa a norma
dell'art. 642 c.p.c.
La norma, è stato evidenziato 64, è parallela e contraria a quella contenuta
nell’art. 648, che disciplina - come noto - le ipotesi di provvisoria esecuzione
del decreto, concessa in sede di opposizione.
Il rinvio all’intero disposto dell’art. 642 c.p.c. comporta, innanzitutto, che la
sospensione de qua è applicabile sia ai casi di esecuzione provvisoria
necessaria (i.e., le ipotesi di credito fondato su cambiale, assegno bancario,
assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto da
64 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., p. 337 ss.
126
notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato)65 , che alle ipotesi di
sospensione discrezionale, per il caso di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero
se di documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto
valere.
Essa postula, inoltre, la sussistenza di «gravi motivi», analogamente alla
previgente locuzione dell’art. 283 c.p.c., per il caso di inibitoria in appello.
Sebbene, come è stato correttamente osservato, sia rischioso cercare
un’analogia tra opposizione a decreto ingiuntivo ed appello (atteso che, a tacer
d’altro, la prima non è un mezzo di impugnazione 66), è innegabile che la
locuzione adoperata sia identica. Del resto sia nella sospensione in caso
d’appello che di opposizione vi è un riesame, lato sensu, del titolo, che si
trova - sia pure con le dovute differenze - sub iudice. Sicché è ragionevole
adoperare le categorie concettuali e le soluzioni accolte per l’inibitoria in
appello anche per la sospensione ex art. 649 c.p.c.67
Si è già detto, allora, a proposito dell’appello, che la nuova formula
dell’inibitoria, «gravi e fondati motivi», non ha - probabilmente - contenuto
realmente innovativo; sicché non sembra che sussistano significative
differenze tra le due ipotesi di sospensione, anche avuto riguardo al testo
dell’art. 283 c.p.c. oggi vigente. Anche nel caso dell’art. 649 c.p.c, la
valutazione del giudice dovrà riguardare l’eventuale sussistenza del fumus
boni iuris e del periculum in mora; ed anche qui potrà farsi riferimento alla
teoria dei c.d. vasi comunicanti (e, dunque, della necessaria compresenza di
ambedue i requisiti, fermo restando che se l’uno assume rilievo predominante,
65 Si osserva che, sul punto, l’art. 642 non è stato ben coordinato con la modifica dell’art.
474 c.p.c., ad opera delle novelle 2005-2006. Ed invero, ratio delle ipotesi di provvisoria
esecuzione «necessaria» del decreto era che, nei predetti casi, il creditore era già in possesso
di un titolo esecutivo, sicché non aveva alcun senso subordinare l’efficacia esecutiva del
decreto ingiuntivo all’esercizio di un potere valutativo discrezionale del giudice. In questo
stato di cose, l’inserimento, tra i titoli esecutivi, delle scritture private autenticate avrebbe
probabilmente reso opportuno modificare anche l’art. 642, prevedendo - tra le ipotesi nelle
quali il giudice deve concedere la provvisoria esecuzione - anche quella di credito portato da
scrittura privata autenticata. È noto, invece, che la riforma del 2005 si è limitata a prevedere
che il giudice «può» concedere la provvisoria esecuzione, se il credito risulti da scrittura
privata (anche non autenticata), comprovante il credito. Il difetto di coordinamento è da
imputare, probabilmente, all’iter particolarmente travagliato dell’art. 474.
66 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., p. 337 ss.
67 Le quali, oltretutto - la coppia fumus boni iuris e periculum in mora - non sono certo
caratteristiche ed esclusive delle impugnazioni, ricorrendo in numerosi istituti del diritto
processuale (si pensi ai procedimenti cautelari).
127
l’altro può ridursi anche sensibilmente, fermo restando che non potrà mai
svanire del tutto68).
Analogamente a quanto sostenuto a proposito delle inibitorie nelle
impugnazioni in senso stretto, riteniamo che, anche nella fattispecie, debba
avere un ruolo determinante la valutazione sulla sussistenza del fumus, i.e.
sulla fondatezza, prima facie, dell’opposizione.
La dottrina e la giurisprudenza, in talune occasioni, hanno tentato una
distinzione tra sospensione dell’esecuzione provvisoria e sua revoca.
Ricorrerebbe, in particolare, la prima nell’ipotesi tipica, di provvisoria
esecuzione legittimamente concessa, ma di sussistenza di gravi motivi per la
sua sospensione. Si avrebbe, invece, la seconda ipotesi ogniqualvolta la
provvisoria esecuzione fosse stata concessa illegittimamente, al di fuori delle
ipotesi previste dalla norma. In tale seconda ipotesi - si afferma - la revoca
avrebbe efficacia retroattiva, sicché comporterebbe la caducazione, con
efficacia retroattiva, dell’esecuzione eventualmente intrapresa, come pure
dell’eventuale iscrizione di ipoteca giudiziale69.
La tesi in questione trova, probabilmente, una sua giustificazione sociale
nelle gravi lacune di tutela - sopra descritte70 - per quanto concerne la
posizione del debitore. Come si è detto, la semplice sospensione dell’efficacia
esecutiva del titolo non sarà idonea, secondo l’opinione prevalente, a
rimuovere gli effetti di una esecuzione, anche se iniziata in forza di un decreto
ingiuntivo palesemente eccentrico 71. Il meccanismo della sospensione,
tuttavia, comporta che, sebbene tale eccentricità sia stata evidenziata anche
dal giudice dell’opposizione - che ha sospeso immediatamente l’efficacia
esecutiva del decreto - tale provvedimento di sospensione è pressoché inutile,
dal momento che non priva di efficacia gli atti esecutivi già compiuti (e.g., il
saldo del conto resta pignorato, il datore di lavoro, salvo per quanto si è detto
68 Cfr. supra, par. IV.2.
69 Trib. Vercelli, 17 marzo 1993 in Foro it., I, p.1225; contra MONTELEONE, Manuale di
diritto processuale civile., Vol.II, cit., ibidem.
70 V. par. IV.1.
71 Nel codice attuale manca una norma analoga a quella degli artt. 688 del Progetto
Carnelutti e 671 Sottocommissione C, che consentivano al giudice che disponeva la
sospensione di ordinare la revoca di «atti esecutivi già compiuti» . Si rinvia, per la disamina,
al par. I.7 ed al par. IV.1.
128
supra, dovrà continuare ad operare le trattenute, etc.). La «revoca»
dell’efficacia esecutiva del decreto costituisce, probabilmente, un tentativo di
porre rimedio a talune concrete palesi ingiustizie sostanziali, ed evitare le
conseguenze distorsive sopra descritte. Come è stato, tuttavia, efficacemente
osservato, si tratta di una soluzione, comunque, contra legem, che non pare
autorizzata dal diritto positivo72. Anche sotto il profilo del bilanciamento di
interessi, inoltre, non pare opportuno ipertutelare il debitore a danno di un
creditore che, comunque, ha ottenuto un titolo esecutivo (sia pure ad efficacia
sospesa). La revoca della provvisoria esecuzione avrebbe, nei confronti del
secondo, conseguenze disastrose, probabilmente irrimediabili, qualora il
giudice dell’opposizione, decidendo nel merito, confermasse in tutto o in parte
il decreto ingiuntivo 73.
Un’ultima considerazione merita la circostanza che la sospensione
dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo non sembra comportare, per ciò
solo, il venir meno dell’efficacia esecutiva del documento sulla base del quale
il decreto è stato emesso.
Se il decreto ingiuntivo, in altri termini, è stato emesso in forza di un atto
pubblico, o di una scrittura privata autenticata, giusta il novellato testo
dell’art. 474 c.p.c., anche dopo la sospensione dell’efficacia esecutiva del
decreto il creditore potrà sempre procedere ad esecuzione forzata in virtù del
titolo stragiudiziale stesso. Il debitore, in tal caso, non avrà altra scelta che
proporre anche opposizione a precetto o all’esecuzione, avverso il titolo
stragiudiziale.
Il mancato coordinamento dell’art. 474 con l’art. 642, cui si è fatto cenno
supra, comporta, anzi, una curiosa contraddizione: il creditore in forza di
scrittura privata autenticata avrà già un titolo esecutivo, per procedere a
pignoramento. Tuttavia, se richiede un decreto ingiuntivo sulla base di tale
scrittura, la provvisoria esecuzione del decreto sarà solamente eventuale, ed il
creditore potrà dover attendere che il decreto medesimo divenga definitivo.
72 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., ibidem.
73 Si pensi alla cancellazione delle ipoteche, alla caducazione degli effetti del pignoramento
e della sua eventuale trascrizione. Per una disamina v. MONTELEONE, Manuale di diritto
processuale civile., Vol.II, cit., ibidem.
129
IV.6. La sospensione dell'ordinanza di convalida di licenza o di sfratto
(art. 668);
L’art. 668 c.p.c. disciplina il caso di opposizione allo sfratto, dopo la
convalida 74. Prevede, come noto, che se l'intimazione di licenza o di sfratto è
stata convalidata in assenza dell'intimato, questi può farvi opposizione
provando di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della
notificazione o per caso fortuito o forza maggiore, ovvero di averne avuto
conoscenza, ma di non essere potuto comparire all’udienza, sempre per caso
fortuito o forza maggiore75.
L’opposizione va proposta entro dieci giorni dall’esecuzione 76 segue le
forme dell’opposizione a decreto ingiuntivo 77 e - per espressa previsione di
legge - non sospende il processo esecutivo; tuttavia il giudice, con ordinanza
non impugnabile, può disporne la sospensione per gravi motivi, imponendo,
quando lo ritiene opportuno, una cauzione all'opponente.
74 Si discute in dottrina e in giurisprudenza se il rimedio in questione abbia o meno natura
di mezzo di impugnazione. In senso affermativo v. Cass. 29 ottobre 2001 n. 13419 in Foro
it., 2002, I, p. 1467, ed in dottrina, per tutti, MONTESANO-ARIETA, Trattato di diritto
processuale civile, Le tutele sommarie, III, 1, Padova 2005, p. 333; TRIFONE-CARRATO, Il
procedimento per convalida di sfratto, Milano, 2003, p. 354; TRISORIO LIUZZI, I
procedimenti sommari e speciali. Procedimenti sommari, Torino, 2005, p. 751. In senso
contrario - nel senso, cioè che si tratti di opposizione vera e propria, v. ANSELMI BLAAS, Il
procedimento per convalida di licenza o sfratto, Milano, 1966, p. 260; GIUDICEANDREA, Il
procedimento per convalida di sfratto, Torino, 1956, p. 380, e in giur. Trib. Napoli 20
gennaio 1986; Cass. 3 marzo 1995 n. 1327; LAZZARO-PREDEN-VARRONE, Il procedimento
per convalida di sfratto, Milano, 1978, p. 294. A noi pare preferibile la tesi che inquadra
l’istituto in esame - coerentemente con la scelta linguistica voluta dal legislatore - come una
opposizione in senso stretto, più che una vera impugnazione. Si tratta, infatti, di un rimedio
diretto ad aprire una fase a contraddittorio pieno, per opporsi ad una statuizione (i.e.:
l’ordinanza che ha convalidato lo sfatto) che era stata emessa, invece, in una fase che, sia
pure per un motivo contingente ed eccezionale, ne è stata priva. Si rinvia, sul concetto o sui
concetti di opposizioni, a RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce
la procedura prefallimentare, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure
concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 124 ss. V.
anche le considerazioni che verrano svolte infra al capitolo sulle opposizioni.
75 Corte cost., 18 maggio 1972 n. 89.
76 Locuzione da intendersi, secondo la giurisprudenza, non come riferita alla chiusura
dell’esecuzione, ma al suo inizio, ravvisato nel primo accesso dell’ufficiale giudiziario,
«comportando esso la conoscenza dell’ordinanza di convalida esecutiva»: Cass. sez. un. 3
aprile 1989 n. 1610; contra, però, Cass. 5 marzo 1984 n. 1527.
77 Ma, giusta il disposto dell’art. 447 bis c.p.c., seguirà il rito locatizio.
130
Anche con riferimento a siffatta ipotesi si rinvia alla nozione di gravi
motivi, di cui si è discusso a proposito della sospensione dell’efficacia
esecutiva disposta in sede di opposizione a decreto ingiuntivo. Si evidenzia, in
questa ipotesi, che, per espressa previsione di legge, la cauzione potrà essere
imposta solamente all’opponente; e dunque - riteniamo - essa potrà essere
imposta solamente per il caso in cui la sospensione venga concessa, e non,
nell’ipotesi contraria, in cui essa venga rigettata. Il che, tutto sommato, appare
abbastanza ragionevole, tenuto conto che l’esecuzione dello sfratto,
contrariamente alla sua sospensione, avrebbe effetti tendenzialmente
irrimediabili e definitivi.
Il provvedimento di sospensione, per espressa previsione di legge, è
inimpugnabile.
IV.7.
La
sospensione
dell'esecuzione
del
lodo
in
pendenza
dell'impugnazione di nullità (art. 830).
L’art. 830 c.p.c., come modificato dall'art. 22 della legge 5 gennaio 1994, n.
25 e, successivamente, sostituito dall'art. 24, comma 1 del d. lgs.2 febbraio
2006, n. 40, prevede che, in caso di impugnazione del lodo, per nullità davanti
alla corte di appello, questa «Su istanza di parte anche successiva alla
proposizione dell'impugnazione», può sospendere con ordinanza l'efficacia del
lodo, quando ricorrono gravi motivi.
Per quanto concerne i presupposti dei gravi motivi, si rinvia alla trattazione
dell’inibitoria in caso di appello, disciplinata dall’art. 283 c.p.c. Si è già detto,
infatti, che la sostituzione della originaria locuzione «gravi motivi» in «gravi e
fondati motivi», non pare avere avuto reale portata innovativa. Anche in
questo caso, dunque, potrà farsi riferimento al fumus boni iuris, inteso come
fondatezza, prima facie, dell’impugnazione, e dal periculum in mora, inteso
come pregiudizio che deriverebbe alla parte istante dalla esecuzione o dalla
inesecuzione del lodo.
A differenza che in materia di appello, tuttavia, la legge precisa
espressamente che l’istanza inibitoria può essere proposta anche
successivamente all’impugnazione, e non necessariamente in uno con
l’impugnazione. Si tratta, nel complesso, di una previsione ragionevole, che
dovrebbe essere estesa a tutte le inibitorie. I gravi motivi, per vero sopratutto
131
con riguardo al periculum, potrebbero non sussistere al momento della
proposizione dell’impugnazione, ma sopraggiungere nei non brevi tempi di
definizione del giudizio.
IV.8. La sospensione dell'esecuzione nei giudizi cambiari di cognizione o
di opposizione a precetto di pagamento di cambiale (art. 65 R.D. 14
dicembre 1933, n. 1669), di assegno (art. 56 R.D.L. 21 dicembre 1933, n.
1736) e di certificato di credito (art. 44 e 45 R.D. n. 272/1913).
Analogamente alle altre opposizioni proposte avvero un titolo
stragiudiziale, l’opposizione a precetto cambiario e su assegno o integrano
ipotesi di «opposizioni di merito», che possono essere proposte per qualsiasi
vizio, compreso di formazione del titolo esecutivo78. Esse sono disciplinate, in
parte, dagli artt. 64 e 65 del r.d. 14 dicembre 1933 n. 1669 e dall’art. 56 del
r.d.l. 21 dicembre 1933 n. 1736. Le regole sull’opposizione a precetto
cambiario o su assegno trovano applicazione anche all’impugnazione del
certificato di credito di cui agli artt. 44 e 45 del r.d. n. 272 del 1913 da parte
del Comitato degli agenti di cambio.
In tutte queste opposizioni il convenuto-opposto, che mantiene la posizione
sostanziale di creditore procedente, può proporre ogni eccezione diretta a
rimuovere gli ostacoli frapposti alla realizzazione del suo credito, chiedere, in
via riconvenzionale, la condanna del debitore per un titolo diverso da quello
fatto valere, se del caso anche invocando il credito derivante dal rapporto
extracartolare sottostante 79.
Nel caso specifico del precetto cambiario, l’art. 64 della legge cambiaria
(r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669) prevede che l’opposizione al precetto non
sospende l’esecuzione. Tuttavia il giudice dell’opposizione, su ricorso
dell’opponente che disconosca la propria firma o la rappresentanza, oppure
adduca «gravi e fondati motivi», disponga la sospensione in tutto o in parte
degli atti esecutivi, imponendo idonea cauzione.
Il successivo art. 65, nel regolare i giudizi cambiari tanto di cognizione
quanto di opposizione al precetto, oltre a limitare le eccezioni opponibili, e a
78 ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem; MONTELEONE, Manuale di diritto
processuale civile., Vol.II, cit., ibidem.
79 ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem.
132
prevedere che, se queste siano di lunga indagine, il giudice deve emettere
sentenza provvisoria di condanna con cauzione o senza, stabilisce che il
giudice dell’opposizione all’esecuzione può disporre la sospensione
dell’esecuzione stessa imponendo, se lo ritenga opportuno, idonea cauzione, e
può confermare o revocare la sospensione già concessa ex art. 64.
Si tratta di un regime peculiare, che trova - originariamente - fondamento
nella natura cartolare del titolo di credito, e nella sua astrattezza e materialità.
Tuttavia, è stato osservato, esso non appariva coordinato con le regole del
codice di rito civile. Ed invero gli artt. 64 e 65 citati (come pure gli artt. 56 e
57 della legge sull’assegno bancario) prevedono la possibilità per il giudice
dell'opposizione a precetto di sospendere in tutto o in parte gli atti esecutivi.
Più in generale le norme in questione paiono attribuire al precetto lo status di
primo atto dell'esecuzione forzata, e non di mero atto prodromico ad essa.
Conseguentemente, all’indomani dell’entrata in vigore del codice di rito,
taluni commentatori conclusero che le norme anzidette delle leggi speciali,
erano da considerare tacitamente abrogate80.
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti, comunque, avevano sempre
ritenuto che le norme in questione fossero rimaste in vigore; sicché il giudice
dell’opposizione a precetto avrebbe potuto inibire l’inizio dell’esecuzione
forzata81 . Anche chi negava, dunque, che la sospensione dell’efficacia
esecutiva del titolo potesse essere concessa in seguito ad opposizione a
precetto, prendeva atto delle deroghe previste dalle norme speciali in esame.
In particolare, chi negava la possibilità per il giudice dell’opposizione a
precetto ex art. 615 c.p.c. di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo,
evidenziava la forte distonia creata nel sistema dalle norme sul precetto
cambiario. L’opposizione a precetto cambiario, infatti, anche a seguito
dell’entrata in vigore del codice del 1940, sospendeva l’esecuzione.
La questione ha, comunque, perduto importanza, stante il generale potere
espressamente concesso, oggi, al giudice dell’opposizione a precetto di
sospendere l’efficacia esecutiva del titolo.
80 ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3° ediz., Napoli, 1957,vol. III, p.
382.
81 In giurisprudenza, v. Cass. 19 ottobre 1986 n. 5495; Cass. 18 settembre 1980 n. 5299. In
dottrina v. VACCARELLA, Opposizioni all'esecuzione, in Enc. giur. Treccani, vol. XXI,
Roma, 1990, p. 282.
133
Un ulteriore problema di coordinamento tra le norme speciali e quelle
codicistiche era sorto con riguardo all'art. 64 l. camb., nella parte in cui
individua quali giudici dell'opposizione a precetto, soltanto il pretore o il
presidente. Ci si era domandati, allora, se l’opposizione a precetto in parola
avesse potuto essere proposta davanti al giudice di pace, ovvero se le norme
speciali andassero intese come deroga alla competenza per valore dei giudici
di pace82.
IV.9. La sospensione dell'esecuzione in caso di opposizione a precetto ex
art. 615 comma primo c.p.c.
Si è già detto che l’art. 623 c.p.c. distingue tre grandi macrocategorie di
sospensioni dell’esecuzione. La prima categoria, corrispondente all’ipotesi
ordinaria, comprende le sospensioni disposte dal giudice dell’esecuzione. Le
altre due categorie riguardano, rispettivamente, le sospensioni disposte dal
giudice davanti al quale il titolo è impugnato e le sospensioni diverse,
previste, cioè, da svariate disposizioni, codicistiche ed extracodicistiche.
Si è altresì detto che la nozione di giudice dell’impugnazione,
nell’architettura dell’art. 623 citato, deve essere intesa in senso lato: non ad
una nozione di gravame in senso proprio fa riferimento la legge, ma ad un
concetto ampio ed atecnico. Per «giudice dell’impugnazione» deve, in
particolare, intendersi quell’organo giurisdizionale, diverso dal giudice
dell’esecuzione, davanti al quale il titolo è comunque rimesso in discussione:
o per mezzo di una impugnazione in senso stretto o attraverso una
opposizione; attraverso un rimedio diretto, dunque, ad aprire una fase a
contraddittorio pieno in un procedimento che fino ad allora ne è stato privo83.
Seguendo questa impostazione, rientra nella categoria delle sospensioni
disposte dal giudice dell’impugnazione anche la sospensione disposta dal
giudice dell’opposizione a precetto. Questa è una sospensione disposta dal
giudice «dell’impugnazione», per come si è detto: da un giudice, in
82 Nel senso della competenza del giudice di pace, v. Pret. Taranto 26 giugno 1995, in Giur.
it., 1997, I, 2, p.388 ss., con nota di SPADA. Per una disamina v. ARIETA - DE SANTIS,
L’esecuzione forzata, cit., ibidem.
83 Per questa ricostruzione dell’istituto dell’ «opposizione» - o «delle opposizioni» si rinvia
a quanto dedotto al capitolo III, par. III.2.
134
particolare, che non è quello dell’esecuzione, ma dinanzi al quale il titolo è
impugnato.
Con ciò, naturalmente, non si vogliono negare le forti affinità teoriche,
strutturali tra la sospensione in parola e quella disposta dal giudice
dell’esecuzione, nel caso di opposizione ex art. 615 comma secondo c.p.c. Né,
per come si vedrà, si vuole necessariamente negare una certa identità di
disciplina tra le due sospensioni. La questione che si pone - salvo quanto
riguarda gli aspetti applicativi di cui si dirà - rileva su un piano
eminentemente teorico e concettuale.
Tanto premesso, una delle (poche) novità delle riforme del 2005-2006, ad
avere ricevuto un giudizio quasi unanimemente favorevole della dottrina84, è
la modifica dell’art. 615 comma primo c.p.c. Nel testo novellato la norma in
questione prevede espressamente che, in caso di opposizione a precetto ex art.
615 c.p.c., il giudice può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo
«concorrendo gravi motivi».
La configurabilità, sulla base del dato normativo, di una simile sospensione,
prima della novella, pur essendo generalmente respinta dalla giurisprudenza 85
e dalla dottrina prevalenti86 , era stata affermata in più occasioni. In particolare
era stato osservato che l’art. 623 c.p.c. attribuiva un generale potere di
sospensione al giudice davanti al quale il titolo era «impugnato» (nel senso
sopra indicato), dunque anche al giudice dell’opposizione a precetto. A tale
argomento di carattere sistematico se ne aggiungeva, inoltre, uno di carattere
storico. Come si è visto supra al par. I.2., il codice Pisanelli prevedeva
espressamente, all’art. 660, la possibilità che, in caso di opposizione a precetto
immobiliare, l’efficacia esecutiva del titolo potesse essere sospesa. Orbene, se
il legislatore del 1940 avesse voluto realmente eliminare dal sistema
processuale tale facoltà lo avrebbe fatto in modo esplicito, rivendicando
l’innovazione, o comunque dandone quantomeno atto nella relazione.
Ritenere il contrario avrebbe voluto dire ritenere che il legislatore avesse
addirittura «soppresso la sospensione prevista dal codice del 1865 per
84 Per una disamina cfr. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1660 ss.
85 Ex plurimis, Cass. 8 febbraio 2000 n. 1372; Cass. 9 novembre 1973 n. 2496.
86 ALLORIO, Sospensione dell’esecuzione per consegna o rilascio, in Giur. it., 1946, I, p.
111; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile., cit.,vol. III, p. 381.
135
l’opposizione a precetto, e ciò senza una esplicita manifestazione di tale
volontà» 87. Vi era, poi, la distonia del sistema - qualora si fosse accolta la tesi
della non concedibilità - della sospensibilità ex lege in caso di opposizione a
precetto cambiario 88; con conseguente la eccentricità di un sistema che
consentiva la sospensione dell’efficacia esecutiva esclusivamente per quei
titoli che - essendo regolati dai principi della cartolarità e dell’astrattezza avrebbero dovuto essere disciplinati in modo più rigoroso.
La richiamata argomentazione dottrinaria, tuttavia, non aveva trovato il
favore della giurisprudenza, sicché la tesi della inammissibilità si era
consolidata fino a divenire, sostanzialmente, ius receptum.
Va ancora ricordato che tale assetto ermeneutico aveva retto alle reiterate
rimessioni alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 615,
fondate sul vuoto di tutela che si veniva a creare, con lesione del diritto
costituzionale alla difesa.
La Consulta, tuttavia, non si era mai pronunciata sul "merito" delle
questioni, ritenendole esorbitanti dai limiti del sindacato di legittimità
costituzionale, ma correlate a scelte discrezionali del legislatore (come tali
incensurabili)89 .
Va aggiunto che la prassi giudiziaria maturata in oltre sessant’anni di vita
del codice aveva risolto almeno in parte i problemi applicativi.
In primo luogo veniva adottata la soluzione della doppia opposizione (al
precetto, immediatamente dopo la sua notifica, ed all'esecuzione,
successivamente al suo inizio) e della successiva riunione dei due processi.
Sotto altro profilo la giurisprudenza aveva tentato di colmare il «vuoto
normativo» (reale o apparente che fosse) attraverso il ricorso alla tutela
cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. Attraverso un provvedimento di urgenza, in
87 SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p. 876 ss.; SATTA, Commentario
al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1966, p. 500 ss. Cfr. anche MONTELEONE,
Diritto processuale civile, III ed., Padova, 2004, p. 1077 ss.; REDENTI, Diritto processuale
civile, vol. III, Milano, 1957, p. 315 ss.
88 Affrontata nei paragrafi precedenti.
89 Corte cost. 19 marzo 1996, n. 81.
136
particolare, il giudice avrebbe potuto inibire l’attivazione dell’esecuzione
forzata90.
Si osservi che un tale meccanismo aveva comportato complicazioni
eccessive, specialmente nelle ipotesi in cui l'organo giurisdizionale
competente a conoscere l'opposizione a precetto (in ipotesi, anche il giudice di
pace) fosse differente da quello dell'esecuzione. In questi casi, infatti, il
meccanismo applicabile sarebbe stato quello della connessione (ovvero,
secondo alcuni, della sospensione). Inoltre detta prassi risultava poco
funzionale, stante la necessità di dovere attendere l’inizio dell’esecuzione
forzata, per ottenere un provvedimento cautelare. Il che, specialmente nelle
esecuzioni in forma specifica, riduceva di molto l’utilità della tutela.
In definitiva, l’avere negato la tutela inibitoria in sede di opposizione a
precetto, costringeva le parti a complicare inutilmente la fattispecie
processuale, generando due cause - di opposizione a precetto ed
all’esecuzione - oltre ad un eventuale subprocedimento ex art. 700 c.p.c. laddove ve ne sarebbe potuta essere una sola. La necessità di una modifica
normativa, dunque, nel senso di prevedere espressamente la sospensione
dell'efficacia esecutiva del titolo nell’ipotesi di opposizione ex art. 615 comma
primo c.p.c. era, dunque, quantomai avvertita.
La problematica, comunque, salvo per quanto riguarda taluni aspetti
specifici, appare superata dalla nuova formulazione dell’art. 615 comma
primo c.p.c. Oggi, come detto, il giudice dell’opposizione a precetto può
sospendere l’efficacia esecutiva del titolo; sicché è venuta meno la premessa
maggiore, sulla quale si fondava il complicato meccanismo processuale sopra
delineato.
È certo che, innanzitutto, oggi non esiste alcun vuoto di tutela, sicché il
ricorso alla tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. deve, pertanto, ritenersi
tendenzialmente inammissibile.
90 Cass. 8 febbraio 2000, n. 1372; Cass. 23 febbraio 2000, n. 2051; Cass. 19 luglio 2005, n.
15220; Cass. 18 aprile 2001, n. 5683 e n. 5674; Cass. 22 marzo 2001, n. 4107. Per la
giurisprudenza di merito Trib. Mantova, 26 febbraio 2005, in Giur. merito, 2006, p. 316, n.
GIORDANO; Trib. Roma 21 gennaio 2003. Contra, però, per quanto concerne l’esecuzione
fondata su decreto ingiuntivo, Trib. Verona 20 novembre 2001, secondo cui il ricorso alla
tutela ex art. 700 c.p.c. sarebbe stato inammissibile, per difetto del presupposto della
residualità, atteso che il debitore avrebbe dovuto chiedere la sospensione dell’efficacia
esecutiva del titolo giudiziale monitorio.
137
È stato, però, giustamente ravvisato in dottrina91 un difetto di
coordinamento con l'art. 163 bis c.p.c. La nuova formulazione della norma,
infatti, impone all'attore di assegnare un termine di almeno novanta giorni
liberi (durante i quali il creditore può compiere atti esecutivi). Il problema,
però, può essere superato chiedendo una ulteriore abbreviazione del termine di
comparizione, ovvero depositando, dopo la notifica della citazione e
l'iscrizione a ruolo, un ricorso col quale si chiede la fissazione di una udienza
anticipata per l'esame dell'istanza di sospensione. In questo specifico ambito
potrebbe trovare un residuale margine di applicazione il ricorso alla tutela ex
art. 700 c.p.c., per la concessione di un provvedimento inaudita altera parte
che anticipi gli effetti della sospensione.
Resta, comunque, praticabile anche la vecchia prassi della doppia
opposizione (al precetto e all’esecuzione, sopra citata).
L’istanza «inibitoria», allora, può essere inserita nell’atto di citazione
introduttivo del giudizio di opposizione. Nel silenzio normativo, tuttavia, non
pare si possa escludere la proponibilità dell’istanza, con autonomo atto, per
tutto il corso del giudizio di opposizione. È stato, tuttavia, affermato che tale
facoltà - di proporre l’istanza inibitoria con autonomo atto - verrebbe meno
una volta che il creditore abbia dato inizio dell’azione esecutiva. A partire da
tale momento, si è detto, il potere di sospendere il processo esecutivo sarebbe
attribuito alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione92.
Avverso tale impostazione, tuttavia, si potrebbe obiettare che la distinzione
tra sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione e dell’impugnazione
opera e rileva su un piano concettuale e non diacronico. Una volta
riconosciuto, per espressa disposizione di legge, il potere del giudice
dell’opposizione di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, non pare
corretto circoscrivere, in assenza di una precisa norma di legge, l’applicazione
di tale inibitoria. Mutatis mutandis, del resto, non sembra potersi negare che il
potere di inibitoria del giudice dell’appello sussista anche dopo che
l’esecuzione è iniziata. E tale ultrattività del potere di inibitoria, ripetiamo,
dipende non solo e non tanto dal differente campo di applicazione dell’appello
91 MONTELEONE, Diritto processuale civile, vol II, V ed., Padova, 2009, p. 264 ss.
92 ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata., cit., p.1544 ss. In giur. v. Trib. Monza, 18
marzo 2008 in Corriere del Merito, 2008, 11, p.1125 e su www.ilcaso.it.
138
rispetto all’opposizione, ma anche (e sopratutto) dal fatto che non di
ultrattività vera e propria si tratta, ma di una differenza concettuale (e,
ripetesi, non temporale) tra sospensione dell’esecuzione e inibizione
dell’efficacia esecutiva del titolo.
Anche per la sospensione in parola, riteniamo, debbano sussistere i gravi
motivi previsti dall’art. 615 comma secondo, come del resto per la maggior
parte dei provvedimenti inibitori. La differente collocazione dogmatica delle
due sospensioni - in caso di opposizione a precetto e in caso di opposizione
all’esecuzione già iniziata - non impedisce di ravvisare la sostanziale identità
dei provvedimenti richiesti, dei presupposti per la concessione, come anche
delle relative discipline.
Le principali differenze, probabilmente, tra le due sospensioni afferiscono il
differente organo competente a pronunciarle, l’eventuale regime di
impugnazione, e il regime di «estinzione».
Quanto alla prima questione, si affermi o meno la natura cautelare della
sospensione in parola, essa potrebbe essere emessa dal giudice di pace,
qualora detto organo fosse il giudice competente per materia, valore e
territorio, ai sensi dell’art. 615 primo comma c.p.c. Il problema principale, sul
punto, atterrà l’individuazione del giudice del reclamo, sempre che si ammetta
tale strumento avverso il provvedimento di sospensione di cui all’art. 615
primo comma c.p.c. Esso verrà affrontata nel capitolo dedicato appositamente
ai reclami.
L’ultima questione, invece, riguarda l’applicabilità o meno della regola di
cui all’art. 624 terzo comma c.p.c. A noi pare condivisibile l’opinione
dottrinaria, secondo cui tale problema non dovrebbe neppure porsi sul piano
teorico. Nel caso della sospensione in parola, infatti, nessuna estinzione può
esistere, dal momento che l’esecuzione non è iniziata ed è sospesa93.
Un margine di dubbio potrebbe sussistere qualora, nelle more della
decisione della sospensione, il creditore avesse notificato il pignoramento o
dato, comunque, inizio all’esecuzione. Anche in questo caso, tuttavia, non
sembra applicabile la regola dell’estinzione.
93 MONTELEONE, Diritto processuale civile., cit., p. 289.
139
Ed infatti la lettera dell’art. 624 comma terzo c.p.c. fa espressamente
riferimento alla sospensione concessa dal giudice dell’esecuzione, e non a
quella disposta dal giudice della impugnazione, sia pure in senso lato. Ciò si
deduce, innanzitutto, dall’espresso richiamo al «giudice dell’esecuzione».
In secondo luogo la norma, come detto, commina l’estinzione della
procedura esecutiva ogni qualvolta, dopo la stabilizzazione del provvedimento
cautelare94, non sia stato introdotto il giudizio di merito.
Nell’ipotesi in esame, tuttavia, il giudizio di merito vero e proprio è già
pendente: analogamente a quanto detto supra al par.IV.1. per tutte le inibitorie
concesse dal giudice dell’impugnazione, anche nel caso dell’opposizione a
precetto il giudizio di merito è già pendente: è stato introdotto prima che
venisse richiesta la sospensione. Nel caso di opposizione ex art. 615 comma
primo c.p.c., infatti, manca la struttura così marcatamente bipolare fase
dell’esecuzione - fase del merito: tutto si svolge davanti al giudice
dell’opposizione, nell’ambito di un procedimento tendenzialmente unitario.
Analogamente a quanto detto al paragrafo introduttivo del presente
capitolo, in caso di sospensione concessa dal giudice dell’opposizione a
precetto, ma successivamente all’inizio dell’esecuzione forzata 95, il creditore
potrà limitarsi a proporre una semplice istanza ex art. 486 c.p.c. al giudice
dell’esecuzione, perché prenda atto dell’avvenuta sospensione. Si rinvia per le
problematiche connesse, a quanto dedotto in tale sede.
94 O per mancata proposizione del reclamo, o per conferma o comunque emissione del
provvedimento di sospensione a seguito del reclamo medesimo.
95 Ci si riferisce, evidentemente, al caso di sospensione chiesta antecedentemente all’inizio
dell’esecuzione forzata, ma pronunciata successivamente. Diverso sarebbe il caso del
creditore che, nonostante l’avvenuta inibitoria del titolo, inizi ugualmente l’esecuzione
forzata. In tal caso il creditore sarebbe ab ovo privo del diritto a procedere a esecuzione
forzata, sicché sarebbe proponibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c.
140
V. La sospensione concordata tra le parti (art. 624 bis c.p.c.).
La disposizione di cui all’art. 624 bis c.p.c. è stata introdotta dal n. 42 della
lett. e del comma 3 dell'art. 2 d.l. n. 35/2005, convertito nella l. n. 80/2005,
poi modificato sia dalla l. n. 263/2005 che dalla l. n. 52/2006.
La possibilità di una sospensione «concordata», va detto, era già stata
ipotizzata da una parte della dottrina 1 e dalla giurisprudenza.
Nella sua attuale formulazione, sebbene si parli genericamente di
sospensione del processo esecutivo, la norma menziona espressamente istituti
e fattispecie tipiche delle espropriazioni forzate, quali il riferimento alla
pluralità di creditori (quindi al fenomeno del concorso ex art. 2741 c.c. ) o la
comunicazione del provvedimento sospensivo al «custode» (evidentemente,
del bene pignorato). Di qui parte della dottrina ha ritenuto che detta
sospensione concordata sia applicabile ai soli pignoramenti, e non anche alle
esecuzioni in forma specifica2.
Ratio evidente di questa nuova forma di sospensione del processo esecutivo
è facilitare soluzioni conciliative fra creditori e debitore esecutato, su
presupposto che la prosecuzione della procedura e il compimento di ulteriori
atti esecutivi potrebbero aggravare i costi e rendere più ardua, per così dire, la
via della conciliazione.
La ratio e la funzione di tale istituto, come pure la sua collocazione in una
norma diversa dall’art. 624 c.p.c., inducono ad escludere che abbia natura
anche lato sensu cautelare3. Come pure non si applica (naturalmente) il
regime dell’estinzione, né il rito cautelare uniforme per l’emissione del
relativo provvedimento.
Va, al riguardo, detto che se il legislatore ha voluto - in una certa misura incentivare la possibilità di una soluzione conciliativa tra le parti, dall’altro ha
mostrato una certa diffidenza, nella misura in cui ha rigidamente (e forse non
1 BUCOLO, La sospensione nell'esecuzione. Le opposizioni esecutive, vol. II, Milano 1972,
p. 87 s.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano 1959; CARPI,
Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. 967, p. 2. In giurisprudenza cfr.
Trib. Padova 21 dicembre 1969, in Giur. it., 1970, I, 2, p.177 e Trib. Torino 5 dicembre
2002, in Riv. not.,2003, p. 731 ss.
2 CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, sub art. 624 bis.
3 BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo, www.judicium.it 2006, par.
6.
141
del tutto ragionevolmente) predeterminato i presupposti per l’ammissibilità,
fissato un limite massimo di ventiquattro mesi alla durata di detta sospensione
e previsto la non concedibilità di una seconda sospensione, una volta esaurito
il termine della prima.
Tale scelta potrebbe essere indotta dall’esigenza di tutelare i creditori non
muniti di titolo esecutivo - nei limiti in cui essi possono ancora intervenire
nell’esecuzione -, atteso che questi, come si vedrà, non partecipano alla
richiesta concordata 4. Potrebbe, però, essere letta anche in una chiave
maggiormente pubblicistica, nel senso che l’esecuzione forzata, una volta
avviata, non potrebbe essere interamente rimessa alla disponibilità delle parti,
ma il suo naturale decorso, fino alla vendita forzata, risponderebbe comunque
ad un interesse d’ufficio, diverso da quello dei soggetti coinvolti.
Per la concessione del provvedimento di sospensione la legge richiede la
pendenza dell’esecuzione, l'istanza al giudice dell’esecuzione e l’accordo di
tutti i creditori muniti di titolo esecutivo. L’istanza, giusta il disposto dell’art.
486 c.p.c., potrà avere la forma del ricorso, ed essere depositata nella
cancelleria del giudice. In alternativa, sempre giusta il disposto della norma
richiamata, l’istanza congiunta potrà essere proposta anche oralmente, in una
delle udienze dell’esecuzione.
Trattandosi di una mera sospensione - e dunque una richiesta
esclusivamente processuale e interinale - non pare occorra una procura
speciale al difensore, né un’istanza proveniente dalla parte personalmente.
Sebbene ratio legis sia, come detto, quella del favorire un accordo, il
debitore deve essere semplicemente «sentito», mentre non sembra essere
richiesto il suo esplicito consenso. Tale soluzione pare, comunque, abbastanza
ragionevole, atteso che se fosse stato richiesta l’istanza anche del debitore
questi avrebbe dovuto, probabilmente, depositare una memoria con il
ministero di un difensore, con conseguente aumento delle spese e degli oneri.
Essendo richiesta, per espressa volontà legislativa, «l’istanza» di tutti i
creditori muniti di titolo, deve ritenersi insufficiente il loro «silenzio», come
pure la formula più blanda, assai invalsa nelle prassi giudiziarie, della «non
4 Nonché gli offerenti, per quanto concerne la previsione di un termine finale.
142
opposizione»5. Sebbene, infatti, non sia imposta, come detto, una formula
sacramentale, riteniamo debba esservi per lo meno un consenso univoco ed
espresso.
Nonostante il silenzio normativo, inoltre, riteniamo che l’istanza respinta
possa essere riproposta, tenuto anche conto dell'art. 487 che consente al
giudice dell’esecuzione di revocare o modificare i propri provvedimenti, che
non abbiano avuto esecuzione.
Per quanto concerne il termine finale entro il quale è possibile chiedere la
sospensione de qua, la legge detta una disciplina piuttosto articolata, distinta
per tipo di esecuzione. In particolare, nelle espropriazioni mobiliari l'istanza
per la sospensione può essere presentata non oltre la fissazione della data di
asporto dei beni ovvero fino a dieci giorni prima della data della vendita se
questa deve essere espletata nei luoghi in cui essi sono custoditi e, comunque,
prima della effettuazione della pubblicità commerciale ove disposta.
Nelle espropriazioni presso terzi l'istanza di sospensione non può più essere
proposta dopo la dichiarazione del terzo. Il che crea qualche problema, per
quanto concerne l’individuazione, esatta ed a priori, di tale momento: va,
infatti, considerato che, a seguito della riforma del 2006, la dichiarazione del
terzo può essere effettuata a mezzo raccomandata.
Nelle espropriazioni immobiliari l'istanza può essere proposta fino a venti
giorni prima della scadenza del termine per il deposito delle offerte di
acquisto, per il caso di vendita senza incanto, ovvero fino a quindici giorni
prima dell'incanto in caso di vendita all’asta.
Il provvedimento di sospensione è soggetto ad un particolare regime di
pubblicità, affine a quello degli avvisi, per il caso di vendita di cose immobili
o beni mobili registrati per un valore superiore ad euro 25.000,00 (art. 490
comma secondo). Esso, in particolare, nei cinque giorni successivi al deposito
deve essere comunicato al custode e pubblicato sul sito internet sul quale è
pubblicata la relazione di stima.
L'ordinanza è revocabile in qualsiasi momento, anche su richiesta di un
solo creditore e sentito comunque il debitore.
5 CABRINI, in CARPI-TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, sub artt.
615 e 624, Padova, 2010.
143
Entro dieci giorni dalla scadenza del termine la parte interessata deve
presentare istanza per la fissazione dell'udienza in cui il processo deve
proseguire.
Va infine segnalato che l’istituto della sospensione concordata ex art. 624
bis c.p.c. va coordinato con il disposto del novellato art. 161 bis disp. att.,
secondo cui la vendita può essere rinviata se vi è il consenso fra i creditori
muniti di titolo e gli offerenti.
Dal combinato disposto delle due norme si evince che, una volta decorso il
termine ultimo per chiedere la sospensione, o decorso infruttuosamente il
termine di ventiquattro mesi, i creditori potranno avvalersi ancora dello
strumento del rinvio della vendita, salva la necessità, in questo caso, di
ottenere il consenso anche degli offerenti.
Per quanto concerne la riattivazione del processo sospeso, l’art. 624 adotta
un meccanismo riassuntivo diverso da quello dell'art. 627 ed affine, invece, a
quello previsto dall'art. 297, comma secondo, per la riassunzione del processo
di cognizione sospeso ex art. 296 (appunto, su istanza delle parti).
Ogni interessato dovrà dunque presentare l'istanza, nelle forme del ricorso
(sempre secondo il generale disposto dell'art. 487 c.p.c. ) al giudice
dell’esecuzione entro dieci giorni prima della scadenza del termine di
sospensione.
Nel silenzio normativo non è ben chiaro se detto termine debba essere
considerato ordinatorio o perentorio. Le conseguenze dell’una scelta o
dell’altra non sono di poco conto: nel primo caso, in caso di tardiva
riassunzione, non vi sarà alcuna conseguenza negativa, mentre nel secondo
dovrà trovare applicazione la norma di cui all’art. 630 c.p.c., a norma del
quale il processo esecutivo si estingue quando le parti non lo proseguono o
non lo riassumono nel termine perentorio stabilito dalla legge.
Appare, probabilmente, preferibile la prima tesi, tenuto anche conto del
disposto dell’art. 152 comma secondo c.p.c., a norma del quale i termini
stabiliti dalla legge sono ordinatori «tranne che la legge stessa li dichiari
espressamente perentori».
In senso contrario potrebbe affermarsi che il carattere perentorio di tale
termine è ricavabile, comunque, dalla previsione della durata massima, di
ventiquattro mesi, per la durata del periodo di sospensione. Tale previsione
144
rimarrebbe priva di significato e di reale portata precettiva, se le parti avessero
comunque la facoltà di riassumere il processo interrotto, anche mesi dopo il
decorso di detto periodo.
145
VI. Le sospensioni «diverse» (i: nel codice di procedura civile)
VI.1. In generale
Oltre alle ipotesi di sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, e a
quelle dal giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo, l’art. 623 c.p.c.
richiama i casi di «sospensione disposta dalla legge».
Si tratta, secondo consolidata opinione dottrinaria, di ipotesi di sospensione
necessaria e automatica, che ricorrono in ipotesi tassative. Trait d’union delle
fattispecie in esame sarebbe che esse derivano non già da un provvedimento
del giudice, ma dal verificarsi stesso dei presupposti stabiliti dalla legge1.
Con tale affermazione, si badi bene, non si intende sostenere che
l’accertamento dei presupposti debba avvenire, necessariamente, al di fuori di
qualunque procedimento giurisdizionale, ed in assenza del controllo di un
giudice. Solo tale, eventuale, accertamento sarà compiuto «a monte», in un
momento e nell’ambito di un procedimento estranei al processo esecutivo.
Analogamente a quanto detto a proposito dei provvedimenti di inibitoria
disposta dal giudice dell’impugnazione, e del loro rapporto con il processo
esecutivo eventualmente pendente, il giudice dell’esecuzione potrà ben essere
chiamato, con gli strumenti previsti dall’art. 486 c.p.c., ad emettere un
provvedimento di collegamento, che accerti eventualmente il verificarsi dei
presupposti di legge e che consenta alla sospensione diversa di esplicare i suoi
effetti nel procedimento esecutivo. Ma tale provvedimento avrà, anche in
questo caso, natura meramente ricognitiva: si tratterà di accertare il fatto
storico di una sospensione già, in punto di diritto, avvenuta e di emettere i
consequenziali provvedimenti attuativi nel processo esecutivo.
Come logico corollario saranno sottratti, in linea di principio,
all’applicazione dell’art. 624 c.p.c. sia l’eventuale provvedimento «a monte»,
giurisdizionale o amministrativo, che ha determinato il fatto sospensivo, sia
quello ricognitivo, emesso «a valle» del giudice dell’esecuzione.
Anche la disciplina sarà la più varia ed eterogenea, essendo applicabili, in
larga parte, le norme speciali. Troverà, comunque, applicazione, in quanto
1 FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, p.
196 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, vol. III, Il processo esecutivo, Milano. 1999, p.
251; LUISO, Processo di esecuzione forzata, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIII,
Sospensione del processo civile, p.60.
146
compatibile e in quanto non derogata, la disciplina di cui agli artt. 623 ss., ivi
comprese le regole dell’art. 626 c.p.c.
Le singole fonti della sospensione possono essere le più varie e disparate.
Si è preferito, nella rubrica del presente capitolo, adottare la formula
«sospensioni diverse» piuttosto che la tradizionale «altri casi stabiliti dalla
legge» esclusivamente per una ragione descrittiva. Tutte le sospensioni,
infatti, anche quelle tipiche disposte dal giudice dell’esecuzione o
dell’impugnazione, sono ugualmente previste dalla legge, come è normale che
accada in un ordinamento di civil law. La locuzione «sospensioni diverse», di
contro, vuole semplicemente segnalare che non si tratta né di sospensioni
disposte dal giudice dell’esecuzione (il quale sarà, al massimo, chiamato ad
accertare la loro verificazione) né di sospensioni disposte dal giudice davanti
al quale è impugnato il titolo, e correlativamente a tale giudizio di
impugnazione.
Per ragioni di ordine sistematico, inoltre, in questa breve, certamente non
esaustiva, indagine verranno trattate separatamente le ipotesi di sospensioni
diverse previste dal codice da quelle previste dalla legislazione speciale.
Anche tale scelta non risponde ad una precisa ragione dogmatica, ma
semplicemente a motivi di funzionalità espositiva.
VI.2. La sospensione in caso di divisione (art. 601 c.p.c.)
Ai sensi dell’art. 601 c.p.c., se nel corso dell’esecuzione deve procedersi
alla divisione, l'esecuzione è sospesa finché sulla divisione stessa non sia
intervenuto un accordo fra le parti o non sia pronunciata una sentenza avente i
requisiti di cui all'art. 627 c.p.c.
La sospensione in parola, dunque, ha come dies a quo l’inizio del
subprocedimento di divisione, regolato dall’art. 181 disp. att.2 Il termine
finale, giusta il richiamo dell’art. 627 c.p.c., è dato dal passaggio in giudicato
2 Tale norma è stata, a sua volta, novellata dalle riforme del 2005-2006. Nel testo oggi
vigente prevede che «Il giudice dell'esecuzione, quando dispone che si proceda a divisione
del bene indiviso, provvede all'istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti
del codice, se gli interessati sono tutti presenti. Se gli interessati non sono tutti presenti, il
giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza di cui all'articolo 600, secondo comma, del codice,
fissa l'udienza davanti a sé per la comparizione delle parti, concedendo termine alla parte
più diligente fino a sessanta giorni prima per l'integrazione del contraddittorio mediante la
notifica dell'ordinanza».
147
della sentenza di primo grado, ovvero dalla semplice comunicazione della
sentenza di appello che decide sulla divisione.
La sospensione de qua rientra perfettamente nel modello di sospensione ex
lege, sopra delineato: si tratta di una ipotesi di sospensione necessaria (il
giudice non è infatti dotato di alcun potere discrezionale in ordine all'an della
medesima) ed automatica (giacché si produce indipendentemente da un
formale provvedimento che la disponga).
Si è posto in dottrina il problema se la sospensione ex art. 601 trovi
applicazione anche ove, anziché la divisione totale, sia decisa dal giudice la
separazione in natura della quota3.
Il processo esecutivo deve essere riassunto a cura del creditore procedente
nel termine perentorio di sei mesi dalla cessazione della causa sospensiva o in
quello diverso stabilito dal giudice della divisione.
La riassunzione si effettua con ricorso a norma dell’art. 627 c.p.c., se il
processo esecutivo non viene tempestivamente riassunto si estingue.
VI.3. La «sospensione» in caso di giudizio di accertamento dell'obbligo
del terzo (artt. 548 e 549 c.p.c.)
L’art. 548 c.p.c. disciplina, come noto, l’accertamento dell’obbligo del terzo
nel pignoramento dei crediti. La norma in esame non prevede,
apparentemente, alcuna sospensione, limitandosi ad affermare che se il terzo
non compare all'udienza stabilita o, comparendo, rifiuta di fare la
dichiarazione, o se intorno a questa sorgono contestazioni, il giudice, su
istanza di parte, «provvede all'istruzione della causa».
Il successivo art. 549, tuttavia, prevede che con la sentenza che definisce il
giudizio di cui all'art. 548, il giudice, se accerta l'esistenza del diritto del
debitore nei confronti del terzo, «fissa alle parti un termine perentorio per la
prosecuzione del processo esecutivo».
L’espressa menzione ad una «prosecuzione» del processo esecutivo sta a
dimostrare che, a seguito dell'istanza di accertamento dell’obbligo del terzo, il
3 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1959, p. 472 ss.,
sull’esatto rilievo che le due ipotesi avrebbero identica ratio e che la separazione ben
potrebbe risolversi in una divisione parziale.
148
processo esecutivo debba considerarsi sospeso ex lege4. Anche in questo caso,
per la disciplina della sospensione in parola, si rinvia al paragrafo introduttivo
del presente capitolo.
VI.4. La sospensione (o «le sospensioni») in caso di controversie in sede
di approvazione del progetto di distribuzione (art. 512 c.p.c.)
Ai sensi dell’art. 512 c.p.c. se, in sede di distribuzione, sorge controversia
tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato
all'espropriazione, circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o
circa la sussistenza di diritti di prelazione, il giudice dell'esecuzione, sentite le
parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza,
impugnabile nelle forme e nei termini di cui all'art. 617 c.p.c., secondo
comma. Il giudice può, anche con l'ordinanza di cui al primo comma,
sospendere, in tutto o in parte, la distribuzione della somma ricavata.
Nell’ambito delle fattispecie disciplinate, dunque, dalla presente norma
occorre, innanzitutto, distinguere la sospensione, totale o parziale, della
distribuzione, dalla eventuale sospensione dell’esecuzione (ovvero il
differente provvedimento indilazionabile) che può essere emesso nel
successivo giudizio di opposizione agli atti esecutivi.
La seconda delle due sospensioni è emessa in seno ad un’opposizione ex
art.617 c.p.c. Alla trattazione di tale istituto, pertanto, si rinvia.
La sospensione disposta dal giudice con l’ordinanza di cui all’art. 512
c.p.c., invece, riguarda non l’esecuzione ma la distribuzione della somma
ricavata. La norma va poi coordinata con il novellato disposto dell’art. 624
c.p.c., a norma del quale l’ordinanza di sospensione ex art. 512 c.p.c. è
soggetta a reclamo.
Contrariamente alla previgente formulazione, dunque, la «sospensione»
della distribuzione vera e propria, prevista dall’art. 512 c.p.c., non è
automatica, per il fatto solo che è sorta la contestazione, ma è rimessa ad una
valutazione discrezionale del giudice.
Ratio della previsione pare essere quello di consentire la dichiarazione di
esecutività del progetto di distribuzione, prima ancora che vengano definite le
4 BUCOLO, Il processo esecutivo ordinario, Padova, 1994, p. 705; TRAVI, Espropriazione
presso terzi, in Novissimo Digesto It., Vol. VI, Torino 1960, p. 963.
149
controversie
discrezionale
contestazioni
dilatorio di
su esso. Correlativamente, la previsione del carattere
della sospensione mira ad evitare la proposizione di
strumentali e prima facie infondate, dirette al solo scopo
ottenere la sospensione necessaria della fase distributiva
(necessaria, sotto la previgente normativa).
Se tale è la ratio della discrezionalità della sospensione, però, diviene
difficile giustificare l’apparente scelta del legislatore di «collocare» il
provvedimento sulla inibitorio nella stessa ordinanza che decide sulla
controversia. Stando al dato letterale della norma, infatti, pare che il giudice
possa pronunziare la sospensione con la stessa ordinanza con la quale decide
le controversie sorte in sede di distribuzione. Con l’ulteriore conseguenza che
avverso detta ordinanza sarebbero esperibili due rimedi: l’opposizione agli atti
esecutivi, avverso la statuizione che ha deciso sulla controversia, ed il reclamo
avverso la statuizione che decide sulla sospensione5.
Se tale fosse il senso della norma, allora la sospensione della distribuzione
dovrebbe riguardare la fase ricompresa tra l’emissione dell’ordinanza ex art.
512 c.p.c. e l’eventuale proposizione dell’opposizione ex art. 617 c.p.c.,
ovvero il suo esito. Tale lettura sembra confermata dalla considerazione che,
fino alla data di emissione dell’ordinanza suddetta - i.e. fino alla soluzione
delle controversie sorte in sede di distribuzione - pur non essendovi un
formale provvedimento di sospensione il riparto resta comunque paralizzato
fino a tale momento6.
Se tale fosse la chiave di lettura del «nuovo» art. 512 c.p.c. vi sarebbe,
dunque, nel disposto dell’art. 512 c.p.c. una terza «sospensione» necessaria ed
occulta, posto che, analogamente a quanto accadeva col regime previgente,
prima di potere rendere esecutivo il riparto, il giudice dovrà risolvere le
controversie sorte.
Tuttavia, rispetto alla vecchia disciplina, tale sospensione necessaria
risulterebbe, almeno in linea teorica, molto meno onerosa, in termini di tempi
processuali. Ai fini della decisione delle controversie sorte in sede di
distribuzione, infatti, il giudice dell’esecuzione non deve istruire la causa nelle
5 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, V ed., vol. II, Padova, 2009, p. 164.
6 Cfr. ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato, in
www.judicium.it, 2006.
150
forme ordinarie, né dovrà valutare la propria competenza; egli, infatti, dovrà
limitarsi a risolvere, con ordinanza, l’incidente sorto in sede di distribuzione,
qualunque valore essa abbia7.
Per quanto concerne la sospensione «discrezionale» della distribuzione quella, cioè, che potrà essere emessa in uno con l’ordinanza - la legge non
indica le condizioni per il suo rigetto od omissione.
Anche in questo caso, però, potrà farsi riferimento alla coppia fumus boni
iuris e periculum in mora 8. Si rinvia, sul punto, alla compiuta trattazione a
proposito della sospensione in caso di opposizione all’esecuzione. È stato,
peraltro, rilevato che nella valutazione dei due requisiti dovrà assumere
necessariamente preminenza il fumus «non essendovi spazio per una
valutazione in termini di periculum in mora, o comunque di pregiudizio
nascente dalla distribuzione"9 . Un certo spazio per la valutazione del
periculum, comunque, potrà sussistere, verosimilmente, nell’ipotesi di
controversia insorta tra più creditori (uno dei quali, magari, non solvibile).
7 Cfr. ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato., cit.,
ibidem, il quale conclude che le controversie in sede distributiva sono strettamente connesse
alla fase (distributiva) e che l’ordinanza del giudice dell’esecuzione ha natura di mero atto
esecutivo, come, ad esempio, il pignoramento e l’ordinanza di vendita.
8 ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato., cit.,
ibidem.
9 BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo, in www.judicium.it., 2006.
151
VII. Le sospensioni «diverse» (ii: nelle leggi speciali e nell’elaborazione
giurisprudenziale)
VII.1. La sospensione in materia previdenziale e assistenziale ex d.l. 112
del 25 giugno 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008.
Un’altra ipotesi peculiare di sospensione prevista dalla legge speciale è
stata introdotta dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, di conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 «disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria».
L’art. 20 comma settimo della norma in esame stabilisce che nei
procedimenti «relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza
sociale, a fronte di una pluralità di domande o di azioni esecutive1 che
frazionano un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle
somme eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro
accessorio, la riunificazione è disposta d'ufficio dal giudice ai sensi
dell'articolo 151 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura
civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n.
1368».
Al di là dell’imprecisione linguistica nell’utilizzo della locuzione
«riunificazione» in luogo di «riunione», il senso della norma è chiaro: in caso
di frazionamento di azioni di cognizione o esecutive, afferenti il medesimo
rapporto - relativamente, però, alle sole controversie previdenziali, il giudice
deve disporre d’ufficio la riunione. In mancanza, il comma ottavo prevede
l'improcedibilità delle domande successive alla prima, da dichiararsi anche
1 Le parole «o di azioni esecutive» sono state introdotte in sede di conversione.
152
d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento 2. Analogamente, il giudice
dichiara la nullità dei pignoramenti successivi al primo in caso di proposizione
di più azioni esecutive in violazione del comma settimo.
Il comma nono, prevede, appunto, una ipotesi di sospensione dell’efficacia
esecutiva del titolo: «Il giudice, ove abbia notizia che la riunificazione non è
stata osservata, anche sulla base dell'eccezione del convenuto, sospende il
giudizio e l'efficacia esecutiva dei titoli eventualmente già formatisi e fissa
alle parti un termine perentorio per la riunificazione a pena di improcedibilità
della domanda».
Colpisce, al riguardo, la farraginosità della disposizione: al di là della
difficile lettura della locuzione «anche sulla base dell’eccezione del
convenuto», da intendersi, verosimilmente, come perifrasi per «anche
d’ufficio», restano parecchi dubbi sulla sua portata applicativa e sulle sue
conseguenze pratiche3 . Meramente a titolo di esempio non appare molto
chiaro il meccanismo sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo improcedibilità della domanda, per il caso di frazionamento del credito
effettuato dall’INPS e dall’ente preposto alla riscossione attraverso la notifica
di più cartelle (con conseguente proposizione di più giudizi di opposizione).
A rendere più complicate ancora le cose, del resto, è intervenuto il
legislatore, che con legge 18 giugno 2009 n. 69 ha attribuito al giudice di pace
la competenza «per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato
pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali».
2 Non è chiaro se il legislatore abbia inteso - limitando, però, incomprensibilmente il campo
alle sole controversie previdenziali e assistenziali - vietare il c.d. frazionamento della
fattispecie e richiamare la teoria dell’abuso del processo. Per una disamina si rinvia a
COMOGLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, p. 329 ss.;
CORDOPATRI, L'abuso del processo, Padova 2000, p. 3 ss.; DE CRISTOFARO, Doveri di buona
fede ed abuso degli strumenti processuali, in Il giusto processo civile, 2009, p.993 ss. ed in
part. p. 1005-1007; DONDI - GIUSSANI, Appunti sul problema dell’abuso del processo, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 197; GAMBARO, L’abuso del diritto di azione, in Resp. civ.
prev., 1983, p. 821 ss; GHIRGA, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo
studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004, p.205 ss.; RESCIGNO, L’abuso del
diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 205 ss. In giurisprudenza, con riguardo alla non
frazionabilità giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito derivante da un unico
contratto, sotto il profilo dell’abuso del processo, cfr. Cass. 27 maggio 2008, n. 13791; Cass.
11 giugno 2008 n. 15476.
3 Per una disamina, v. DALFINO, Note a prima lettura di alcuni recenti interventi di riforma
del processo del lavoro, in Foro it., 2008, V. p. 307 ss.; LONGO, La sospensione nel processo
esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, p. 646.
153
La disposizione antifrazionistica di cui al d.l. 112/2008 può, quindi, essere
agevolmente elusa proponendo la domanda principale per la sorte capitale
davanti al giudice competente e la sola domanda di interessi davanti al giudice
di pace (con conseguente impossibilità della riunione).
VII.2. La sospensione ex art. 20 lege 44 del 23 febbraio 1999
All'indomani dell'omicidio dell'imprenditore Libero Grassi, avvenuto a
Palermo il 29 agosto 1991, l'opinione pubblica e il legislatore presero
bruscamente coscienza del fenomeno del racket mafioso 4.
Si determinò un clima politico di maggiore attenzione verso un fenomeno
che, fino a quel momento, non era stato oggetto di adeguate attenzioni e che –
sopratutto – non era stato affrontato in modo unitario.
Si comprese, innanzitutto, che il c.d. pizzo non poteva essere ricondotto ad
una pura e semplice estorsione di somme di denaro, ma costituiva una vera e
propria forma di controllo dell'attività di impresa, che si articolava attraverso
svariate modalità di ingerenza: dall'imposizione di fornitori, all'assunzione
forzata di lavoratori vicini ai clan, all'imposizione di paletti sul tipo di attività
esercitabile o sul relativo ambito territoriale (e.g.: divieto di esercitare in una
determinata area, al fine di non fare concorrenza ad un'impresa pagante ecc.).
L'impresa assoggettata al racket diveniva, in molti casi, complice del
mafioso, che ne regolava ogni fase della sua vita economica (fino al caso
estremo della sostituzione dell'imprenditore stesso)5.
Ci si rese conto, dunque, che la lotta al fenomeno dell'estorsione mafiosa,
per tutte le conseguenze sociali ed economiche che da esso derivavano - se
non altro in termini di minaccia alla credibilità dell'Istituzione Stato, -,
presupponeva e richiedeva una serie di interventi in numerose branche del
diritto. Se da un lato, infatti, la lotta alla criminalità organizzata postulava
interventi nella legislazione penale, occorreva, al contempo, incentivare il più
4 cfr. COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA DEL FENOMENO DELLA MAFIA E SULLE
ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI SIMILIARI,
Audizione del Presidente del Comitato del Fondo
di solidarietà per le vittime delle estorsioni, avv. Lorenzo Pallesi, Roma, 20 maggio 1997.
5 BLOCK, La mafia in un villaggio siciliano, 1860-1960, Torino, 1986, p. 1 ss.; DIREZIONE
INVESTIGATIVA ANTIMAFIA, Relazione semestrale (primo semestre 1995), in Per aspera ad
veritatem, n. 3, 1995, p. 1ss.
154
possibile la scelta degli imprenditori che decidessero di denunziare i loro
estortori, prevedendo un sistema di tutele e ombrelli per la loro protezione.
E ciò sia perché – prevedibilmente – l'impresa avrebbe potuto essere portata
a denunziare il mafioso solo in un momento di crisi (quando, cioè, si fosse
trovata pressoché sull'orlo del fallimento e non fosse riuscita più a reggere il
peso dell'estorsione), ma anche – e sopratutto – per una considerazione di
ordine generalpreventivo e di politica criminale: il fenomeno del racket è
impossibile da contrastare senza la collaborazione della vittima. Pertanto
questa deve essere in un primo momento incentivata a denunziare l'estortore,
ed in un secondo tempo protetta dalle ricadute negative della propria scelta di
legalità. L'impresa denunziante, infatti, potrebbe perdere i vecchi fornitori
(che dall'organizzazione criminale erano stati imposti e sono tuttora sotto il
suo controllo), clienti, etc. Di qui la scelta politica di intervenire su numerosi
settori del diritto e del mercato, al fine di consentire – appunto – la ripresa
dell'attività d’impresa e – ove possibile – l'eventuale risanamento.
In quest'ottica vanno letti i primi interventi del legislatore e segnatamente il
d.l. n. 419/19916 , che introduceva, appunto, il principio dell'elargizione di
denaro, da parte dello Stato, a ristoro dei danni patrimoniali subiti dalla
vittima del racket.
La concezione che in favore della vittima del racket dovesse prevedersi
anche una sospensione delle esecuzioni forzate in atto viene introdotta in sede
di conversione, con legge 18 novembre 1993 n.468, del d.l. n. 382 del 27
settembre 1993, in materia di misure urgenti a sostegno delle vittime di
richieste estorsive.
Venne, in particolar modo, introdotta la regola della sospensione, per
trecento giorni, della «esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili e i
termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le
vendite e le assegnazioni forzate», se relative a soggetti che avessero
(semplicemente) chiesto l'elargizione di cui al d.l. 419/1991.
6 Nel cui preambolo testualmente si legge che obiettivo della norma è quello di: «prevenire
e reprimere il grave fenomeno dell'estorsione e di sostenere, con misure di carattere anche
economico, l'attività delle categorie produttive che a causa del rifiuto opposto a richieste
estorsive subiscono un danno patrimoniale». Il d.l. 419 del 31 dicembre 1991 seguì di pochi
mesi il – sotto molti aspetti omologo – d.l. n. 346 del 29 ottobre 1991, non convertito, del
quale riproponeva, peraltro, il medesimo preambolo.
155
La disciplina c.d. antiracket ha trovato, poi, una maggiormente analitica
sistemazione normativa con la legge n.44 del 23 febbraio 1999, che ha –
peraltro, dettato una disciplina tendenzialmente omogenea per le vittime del
racket e dell'usura (oltre che, in parte, per le vittime del terrorismo 7).
Si tratta di una articolata disciplina diretta, in primo luogo, ad elargire «una
somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale
subito» (art.1), in favore delle vittime di estorsioni8. Accanto all'elargizione, la
legge prevede, inoltre, una serie di proroghe di termini sostanziali e
processuali e, per quel che in questa sede rileva, la sospensione delle
esecuzioni forzata 9, in termini simili a quelli di cui all'art. 4 bis del d.l.
382/1993, sopra citato.
La normativa oggi vigente prevede, allora, la sospensione per trecento
giorni della «esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili e i termini
relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e
le assegnazioni forzate», in favore dei soggetti che abbiano richiesto
7 SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2009, p.1251 ss.
8 Così l'art. 3 (Elargizione alle vittime di richieste estorsive): 1. L'elargizione è concessa
agli esercenti un'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica,
ovvero una libera arte o professione, che subiscono un danno a beni mobili o immobili,
ovvero lesioni personali, ovvero un danno sotto forma di mancato guadagno inerente
all'attività esercitata, in conseguenza di delitti commessi allo scopo di costringerli ad
aderire a richieste estorsive, avanzate anche successivamente ai fatti, o per ritorsione alla
mancata adesione a tali richieste, ovvero in conseguenza di situazioni di intimidazione
anche ambientale. 2. Ai soli fini della presente legge sono equiparate alle richieste estorsive
le condotte delittuose che, per circostanze ambientali o modalità del fatto, sono
riconducibili a finalità estorsive, purché non siano emersi elementi indicativi di una diversa
finalità. Se per il delitto al quale è collegato il danno sono in corso le indagini preliminari,
l'elargizione è concessa sentito il pubblico ministero competente, che esprime il proprio
parere entro trenta giorni dalla richiesta. Il procedimento relativo all'elargizione prosegue
comunque nel caso in cui il pubblico ministero non esprima il parere nel termine suddetto
ovvero nel caso in cui il pubblico ministero comunichi che all'espressione del parere osta il
segreto relativo alle indagini.
9 In particolare, ai sensi dell'art. 20 (sospensione di termini): a) la proroga di trecento giorni
a tutti i termini, ricadenti entro un anno dalla data dell'evento lesivo, per compiere gli
adempimenti amministrativi e per il pagamento dei ratei dei mutui bancari e ipotecari,
nonché di ogni altro atto avente efficacia esecutiva; b) la proroga di tre anni del termine per
compiere gli adempimenti fiscali, sempre che si tratti di termini di scadenza, ricadenti entro
un anno dalla data dell'evento lesivo; c) la proroga di trecento giorni per tutti «i termini di
prescrizione e quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti
decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, che sono scaduti o che scadono entro
un anno dalla data dell'evento lesivo»; d) la sospensione della «esecuzione dei
provvedimenti di rilascio di immobili» e dei «termini relativi a processi esecutivi mobiliari
ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate».
156
l'elargizione di cui alla stessa normativa antiracket, ovvero il mutuo senza
interesse previsto dall'art. 14 comma 2 della legge 7 marzo 1996 n. 108 (e
dunque alle vittime dell'usura), ovvero ancora l'elargizione prevista dall'art.1
della legge 20 ottobre 1990 n.302 (in materia di vittime del terrorismo10).
In forza di questa ultima disposizione Il beneficio della sospensione delle
esecuzioni – originariamente previsto per le sole vittime di estorsione, anche
se «ambientale», è stato esteso anche alle vittime dell'usura e del terrorismo,
confermando, così, la scelta normativa di trattare in modo unitario le
fattispecie.
La possibilità di beneficiare della sospensione sulla base della sola richiesta
– senza che sia necessario l'accoglimento dell'istanza – è motivata dalla
comprensibile ragione di non vanificare del tutto la portata della norma, cosa
che accadrebbe se il soggetto vittima del racket (o dell'usura, o del terrorismo)
dovesse attendere la definizione del procedimento amministrativo per il
riconoscimento dei benefici. L'automatismo del beneficio è pero mitigato –
per l'opposta, altrettanto comprensibile ragione, di evitare abusi – dalla
previsione che la sospensione ha effetto a seguito del parere del prefetto
competente per territorio, sentito il presidente del tribunale.
In dottrina, sul punto, si è dubitato se il provvedimento ex art.20 legge
44/1999 abbia natura di vera e propria sospensione dell'esecuzione ex art. 623
c.p.c. e non si tratti, piuttosto, di una mera dilazione della vendita forzata e/o
10 L'elargizione, in particolare, è concessa «a chiunque subisca un'invalidità permanente,
per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello
Stato di atti di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, a condizione che il
soggetto leso non abbia concorso alla commissione degli atti medesimi ovvero di reati a
questi connessi ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale».
157
di determinati atti esecutivi. La prima soluzione sembra, ad ogni modo, quella
recepita dalla giurisprudenza della Consulta, di legittimità e di merito11.
Circa l'efficacia del parere del prefetto, originariamente la legge richiedeva
che esso fosse «favorevole». Ma la norma è stata dichiarata illegittima dalla
Corte Costituzionale, con sentenza 23 dicembre 2005, n. 45712. Con la
medesima decisione la Corte Costituzionale ha anche ribadito il carattere
11 Per una disamina: CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano,
2006, p.2219 SS.; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 1999;
PUCCIARIELLO, Sulla sospensione dei termini del processo esecutivo in favore dei
beneficiari del fondo di cui alla legge n.44/99 in Riv. esec. forz., 2007, p. 372 ss.; SOLDI,
Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem, secondo cui l'istituto in esame, pur avendo
natura di vera e propria sospensione, esulerebbe dalla previsione dell'art. 623 c.p.c., non
trattandosi di sospensione «necessaria», ma rimessa comunque alla discrezionalità del
giudice. Si tratterebbe, in definitiva, di una sospensione distinta da quelle previste dal codice
di procedura civile (assimilabile, sotto certi aspetti, a quella ex artt. 618 e 624) e regolata da
una legge speciale. Per la giurisprudenza v. Corte cost. n. 457/2005 cit.; Cass. 24 gennaio
2007, n. 1496; Cass. 12 marzo 2002, n. 3547; Tribunale Palermo, ord. n. 3705 cron. del 17
settembre 2008, Bolazzi, nella procedura esecutiva n. 534/2004, inedita.
12 È interessante, al riguardo, esaminare la motivazione della decisione della Consulta: «1.-
Il giudice rimettente muove dal presupposto interpretativo - non implausibile, alla stregua
del dato testuale - secondo cui quella attribuita al prefetto dalla norma impugnata non è
una funzione meramente consultiva, atteso che la sospensione dell'esecuzione risulta
espressamente subordinata al solo "parere favorevole" dello stesso prefetto, in presenza del
quale il giudice non può, quindi, che adottare il relativo provvedimento, senza alcuna
possibilità di sindacato riguardo alla sussistenza delle condizioni di legge. Così come,
all'inverso, il "parere" negativo del prefetto di per sé impedisce la concessione del
beneficio. La valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sospensione del
processo esecutivo in favore dei soggetti presi in considerazione dalla norma risulta, in tal
modo, integralmente attribuita (non al giudice dell'esecuzione, bensì) al prefetto, e cioè ad
un organo del potere esecutivo, mentre, rispetto a tale valutazione, l'autorità giudiziaria è
chiamata a svolgere, attraverso la previsione del parere non vincolante del presidente del
tribunale, solo una funzione consultiva. La violazione dei princìpi costituzionali posti a
presidio dell'indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale appare pertanto
palese, considerato che il prefetto viene ad essere investito, dalla norma impugnata, del
potere di decidere in ordine alle istanze di sospensione dei processi esecutivi promossi nei
confronti delle vittime dell'usura; potere che, proprio perché incidente sul processo e,
quindi, giurisdizionale, non può che spettare in via esclusiva all'autorità giudiziaria. 2.2.Se dunque contrasta con i parametri costituzionali invocati dal rimettente l'attribuzione al
prefetto del potere di decidere in merito alla particolare ipotesi di sospensione dei processi
esecutivi prevista dalla norma impugnata, la norma stessa può, tuttavia, essere ricondotta a
legittimità costituzionale mediante l'ablazione della parola «favorevole». Ciò è sufficiente,
infatti, a restituire alla funzione del prefetto un carattere propriamente consultivo, non
vincolante, coerente con la natura - giurisdizionale e non amministrativa - del
provvedimento richiesto, mentre il potere decisorio riguardo alla sussistenza dei presupposti
per la sospensione del processo esecutivo torna ad essere attribuito al giudice, che ne è - in
base ai principi - il naturale ed esclusivo titolare»: Corte cost. 14 dicembre 2005 n. 457, in
Riv. esec. forz., 2006, p. 379 ss., con nota di FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la
sospensione dei termini dei processi esecutivi nei confronti delle vittime di attività estorsive
ed usurarie: il parere prefettizio non può vincolare.
158
giurisdizionale e non amministrativo del provvedimento di sospensione, la cui
emissione resta riservata al giudice dell'esecuzione.
In conclusione, la norma vigente prevede che il soggetto che abbia richiesto
l'elargizione prevista dalla legislazione antiracket o antiterrorismo, ovvero il
mutuo senza interessi previsto dalle norme antiusura, debba proporre apposita
istanza al giudice dell'esecuzione, per ottenere la sospensione di trecento
giorni dell'esecuzione.
Presupposto per la concessione del beneficio è l'esistenza dei pareri ex art.
20 comma 7 legge 44/1999 del prefetto (parere che, come detto, a seguito
della decisione della Consulta del 2005 ha efficacia meramente consultiva e
non vincolante) e del presidente del tribunale.
Una volta accertata l'esistenza dei predetti pareri, resta comunque al giudice
dell'esecuzione il compito di accertare l'esistenza dei presupposti di fatto e di
diritto per la concessione della sospensione.
Circa i limiti del controllo del giudice dell'esecuzione non pare – neppure
dopo l'intervento della Corte Costituzionale – che esso abbia ad oggetto un
sindacato sulla fondatezza – neppure prima facie – della richiesta di
elargizione, ed in particolare sull'esistenza o meno della condotta estorsiva (o
di usura, o di terrorismo). Tale conclusione deriva, oltre che dalla lettera della
legge, anche da considerazioni di ordine sistematico e di opportunità: il
giudice dell'esecuzione non ha né è ragionevole che abbia alcuna cognizione
sulla vicenda storica dell'estorsione, e sugli eventuali reati connessi, dei quali
si assume sia stato vittima il debitore esecutato, e il cui accertamento resta
riservato, a nostro giudizio, alla cognizione del giudice penale 13.
Analogamente non ha neppure alcun sindacato (non certo il giudice
dell'esecuzione civile) sulla concedibilità delle elargizioni previste dalla legge.
Pare, nel complesso, più corretto ritenere che la domanda di elargizione,
unitamente agli ulteriori elementi, rilevino – ai fini dell'emissione del
provvedimento di sospensione – come meri fatti; sottratti, pertanto, ad un vero
e proprio sindacato del giudice, diverso da quello afferente la loro esistenza
formale.
13 Contra, però, FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi
esecutivi., cit., ibidem, secondo cui il sindacato del giudice dovrebbe estendersi ad una
valutazione prognostica circa la sussistenza dei requisiti per l'effettiva assegnazione
dell'elargizione; cfr. anche SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem.
159
È sicuramente compito del giudice dell'esecuzione, invece, determinare il
limite temporale della sospensione.
Al riguardo, se pare corretto affermare che la sospensione non può che
decorrere – per quanto concerne il dies a quo – dal deposito della relativa
istanza14, il termine finale – i.e. il dies ad quem dei trecento giorni, dovrà
essere calcolato a far data dall'evento lesivo e non dall'istanza del soggetto15.
Dal coordinamento di tale regola con i principii del processo (esecutivo)
civile discende, poi, che è onere del soggetto istante fornire gli elementi utili
alla determinazione della data dell'evento lesivo 16.
Appare ragionevole ritenere, inoltre, che in caso di condotta estorsiva
continuata nel tempo, debba farsi riferimento alla data in cui essa è cessata17.
Resta, ancora, di competenza del giudice dell'esecuzione accertare la
legittimità del provvedimento del prefetto, i.e. (anche) l'esistenza dell'istanza
diretta ad ottenere l'elargizione e del parere del presidente del tribunale 18. Non
pare, di contro, ragionevole ipotizzare un controllo giurisdizionale sul merito
del provvedimento amministrativo, diverso – cioè – dalla sua legittimità
formale e dall'esistenza degli ulteriori presupposti sopra richiamati.
Sempre di competenza del giudice dell'esecuzione è ogni altra ulteriore
valutazione sulla concedibilità della sospensione, e.g. l'eventuale possibilità di
14 Cass. n. 1496/2007 cit.
15 Così Trib. Palermo, ord. n. 3705/2008 cit.; conf. Cass. n. 1496/2007 cit.
16 Non pare compatibile con la ratio e la finalità dell'istituto una prova piena – prova che
presupporrebbe l'avvenuto accertamento del fatto con sentenza penale passata in giudicato –
ma sarà comunque necessaria una prova per lo meno indiziaria, che potrà essere raggiunta
attraverso la produzione della richiesta di rinvio a giudizio nel processo penale: cfr. Trib.
Palermo ord. n. 3705/2008, cit.
17 Trib. Palermo ord. n. 3705/2008, cit.; salvo il problema del quid iuris in caso di
estorsione non ancora del tutto cessata al momento dell'emissione del provvedimento.
Sembra aprire alla possibilità di far decorrere i trecento giorni da una data futura – qualora
la condotta estorsiva non sia, al momento della pronuncia del g.es., cessata - Cass. 12 marzo
2002, n. 3547 cit. (che per la verità affronta esclusivamente il problema dell'istanza proposta
durante l'anno dalla cessazione dell'estorsione). Come ulteriore corollario potrebbe dedursi
che la sospensione potrebbe essere disposta per un periodo superiore a trecento giorni: tutto
il periodo in cui la condotta (continuata) viene perpetrata oltre trecento giorni.
18 Cass. n. 1496/2007 cit.; in dottrina v. FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione
dei termini dei processi esecutivi., cit., ibidem; SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.,
ibidem.
160
emettere la sospensione per più di una volta, in favore del medesimo
soggetto 19.
Nel merito di tale ultimo problema, se non paiono sussistere ostacoli alla
possibilità di sospendere più volte l'esecuzione, se diverse sono state le
condotte estorsive subite dalla vittima, deve, probabilmente, escludersi che il
soggetto possa beneficiare di più periodi di sospensione in relazione alla
medesima fattispecie. E ciò sia in ragione della lettera della legge e del suo
carattere eccezionale (il provvedimento di sospensione è limitato a trecento
giorni), sia per la considerazione che con la sospensione si va ad incidere su (e
dunque a comprimere) diritti di terzi, estranei alla condotta estorsiva, usuraria
o terroristica.
Il provvedimento di sospensione assumerà la forma dell'ordinanza, e potrà
essere impugnato – secondo taluni autori20 - con opposizione agli atti
esecutivi. Ed infatti la valutazione del giudice dell'esecuzione ha ad oggetto
non il diritto di procedere all'esecuzione, ma solo il "quomodo", sotto il profilo
della applicazione o meno di un termine dilatorio dell'esecuzione21.
Si esclude, invece, in dottrina che sia esperibile il rimedio del reclamo,
trattandosi di istituto di diritto speciale, sottratto, quindi, al regime generale
della reclamabilità 22.
Si dovrà, per contro, ammettere probabilmente il reclamo, qualora si ritenga
che - specialmente a seguito della novella del 2006 - l’istituto de quo è
19 Che è, poi, il caso che determinò la rimessione degli atti della Consulta, che decise poi
con la sentenza n. 457/2005, cit.
20 v. FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi esecutivi.,
cit., ibidem; SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem.
21 Cass. n. 1496/2007 cit.
22 v. FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi esecutivi.,
cit., ibidem; SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem.
161
diventato un rimedio di ordine generale tendenzialmente esperibile avverso
ogni provvedimento di sospensione dell'esecuzione 23.
VII.3. Lo strano caso della «sospensione» dell’esecuzione in caso di
sequestro ex lege n. 575 del 31 maggio 1965, alla luce delle recenti riforme e
della giurisprudenza, tra profili processuali ed occasioni mancate .
La legge n. 575 del 31 maggio 1965 ha subito, negli ultimi anni, incisive,
quanto attese, modifiche24, che sono intervenute su numerosi aspetti della
disciplina in materia di misure di prevenzione antimafia.
Nessuna norma di legge, innanzitutto, prevede (salvo per quanto riguarda le
esecuzioni dei concessionari pubblici per la riscossione) che, una volta
sottoposto a sequestro un bene pignorato, l’esecuzione forzata debba essere
sospesa o debba cessare in qualunque altro modo. A dire il vero, e più in
generale, nessuna norma si occupa del concorso tra procedimento per misure
di prevenzione ed esecuzione civile, individuale o concorsuale, su beni
23 Cfr. BARBIERI, Sospensione della sentenza e ricorribilità contro il provvedimento
inibitorio, in Immobili & diritto, 2007, p. 112 ss.; CAPONI-MERLIN, Sulla reclamabilità delle
ordinanze sulla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c., in Corr.
giur., 2005 p. 705 ss.; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit. ibidem;
IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, Giuffré, 2008,
p. 393 ss; ID., in CIPRIANI-MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p.
171 ss.; ID. Provvisoria esecuzione senza inibitoria? in Foro it., 2005, p. 547 ss.; PUNZI, Il
processo civile, Torino, 2008, p.222; SPACCAPELO, Brevi note sull'inibitoria in appello della
sentenza di rigetto dell'opposizione d.i., in Giur. it., 2006, p. 1010 ss.
24 La prima con d.l. 23 maggio 2008, n. 92, che ha introdotto (tra l'altro), nell'art. 2 ter della
legge 575/2008 i commi 10, 11, 12, 13 e 14; la seconda con la legge 15 luglio 2009, n. 94,
pubblicata nella G.U. n. 170, 24 luglio 2009, Supplemento Ordinario, Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica, che ha modificato, tra l'altro, le modalità di esecuzione del
sequestro, attraverso la modifica dell'art. 2 quater della legge 575/1965 (e la contestuale
modifica dell'art. 104 disp att. c.p.p.). Nelle more di completamento di questa indagine è
stato approvata un’ultima riforma (ultima, temiamo, solo nel senso di «più recente»),
introdotta con d.l. 4 febbraio 2010 n.4, convertita con modificazioni nella legge 31 marzo
2010 n. 50. A seguito di tali, ulteriori “innesti” all’articolo 2-ter, quinto comma, della legge
575/1965, i seguenti periodi: «Per i beni immobili sequestrati in quota indivisa, o gravati da
diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi possono intervenire nel
procedimento con le medesime modalità al fine dell’accertamento di tali diritti, nonché
della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento nella loro acquisizione. Con la
decisione di confisca, il tribunale può, con il consenso dell’amministrazione interessata,
determinare la somma spettante per la liberazione degli immobili dai gravami ai soggetti
per i quali siano state accertate le predette condizioni. Si applicano le disposizioni per gli
indennizzi relativi alle espropriazioni per pubblica utilità. Le disposizioni di cui al terzo e
quarto periodo trovano applicazione nei limiti delle risorse disponibili per tale finalità a
legislazione vigente».
162
oggetto di misure di prevenzione. La stessa legge 31 marzo 2010 n. 50, di
conversione del d.l. n. 10 del 4 febbraio 2010, pure recependo talune
indicazioni della Cassazione penale e civile in materia, lascia aperti,
riteniamo, parecchi punti critici.
La problematica della tutela dei terzi e dei rapporti tra esecuzione forzata
civile, individuale o concorsuale, e misure di prevenzione è stata ampiamente
163
dibattuta in dottrina25 e in giurisprudenza, ed ha generato un ventaglio di
opinioni, ricostruzioni, inquadramenti dogmatici, (proposte di) soluzioni
applicative assolutamente variegato e contraddittorio. Alla contraddittorietà
delle opinioni, come spesso avviene, corrisponde una incertezza di fondo nella
legislazione; o, meglio sarebbe dire, nelle legislazioni, dal momento che le
normative in materia di procedimento per confisca antimafia ex lege 575/1965
25 AGUGLIA, Misure patrimoniali antimafia ed oppressione dei creditori, in dir. fall., 1990,
II, p. 613; AIELLO, La tutela civilistica dei terzi nel sistema della prevenzione patrimoniale
antimafia, Milano, 2005, p. 1 ss; AJELLO, Le misure di prevenzione patrimoniali di cui alla
legge 575/65 e la sorte dei diritti personali di godimento, in Foro it., I, 2002, p. 291;
BONGIORNO, Misure di prevenzione e procedimenti concorsuali: gli ultimi sviluppi della
giurisprudenza, Riv. cur. fall., 1999, p.19; ID., Tecniche di tutela dei creditori nel sistema
della legge antimafia, in Riv. dir. proc., 1988, p.445; ID., Note a margine di una recente
ordinanza in tema di effetti civili della confisca nel sistema della legge 646/1982,
Fallimento, 1986, p.1136; ID., proposte per una urgente modifica delle norme sul sequestro
e la confisca dei beni dell’imprenditore mafioso, Foro it., 1984, V, p.267; ID.,
L’espropriazione dei beni confiscati, Studi in onore di Carmine Punzi, Vol.1, Torino, 2008;
CASSANO, Azioni esecutive su beni oggetto di sequestro antimafia e buone fede dei creditori,
Fallimento, 2002, p.661; ID., Il fallimento dell’imprenditore mafioso: effettività della
prevenzione patrimoniale e garanzia dei diritti dei terzi in buona fede, ivi, 1999, p.1354;
COSTA, Il fallimento dell’imprenditore sottoposto a misure di prevenzione, in Dir. fall., 1996,
I, p.10; FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell'aggiudicatario nell'espropriazione
dei beni confiscati in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2008, p.493 ss.;
GAITO, Sui rapporti tra fallimento e sequestro antimafia in funzione di confisca, in Riv. dir.
proc., 1996, p.393; ID., Fallimento, sequestro in funzione di confisca e tutela dei terzi nella
repressione del fenomeno mafioso, in Giur. it. 1985, II, p.397; GIALANELLA, Il punto su
misure di prevenzione patrimoniali e tutela dei terzi: nuovi passi della lunga marcia verso
un orizzonte di riforma, in Atti Convegno CSM 24-26 novembre 2003 su Le misure di
prevenzione patrimoniali «Rosario Livatino»; GRIMALDI, Misure patrimoniali antimafia e
tutela dei creditori, in Dir. fall., 2001, II, p.1066; INZERILLO, La tutela dei terzi nelle misure
di prevenzione patrimoniali, in Giur. it., 1999, p.1712; LO CASCIO, Misure di prevenzione
antimafia: lo stato attuale dell’interpretazione normativa, in Fallimento, 1998, p. 437; ID.,
Ancora sulla illegittimità costituzionale della normativa antimafia, ivi, 1995, p. 583;
MAISANO, Misure patrimoniali antimafia e tutela dei creditori, in Giur. comm., 1986, II, p.
889; ID., Profili commercialistici della nuova legge antimafia, in Rivista diritto penale,
1984, p.430; MANGANO, La confisca nella legge Rognoni-La Torre ed i diritti dei terzi, in
Dir. fall., 1988, I, p.684; MOLINARI, Tutela del terzo creditore di un diritto reale di garanzia
nel procedimento di prevenzione con riferimento al sequestro e alla confisca antimafia, in
Cass. pen., 2000, p. 2771 ss.; MONTELEONE, Effetti ultra partes delle misure patrimoniali
antimafia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 574; NORELLI, Misure patrimoniali antimafia,
tutela esecutiva dei creditori e fallimento, in AA.VV., Imprenditori anomali e fallimento,
Padova, 1997, p. 343; RAGUSA MAGGIORE, Confisca penale di beni dei mafiosi e tutela dei
terzi, in Diritto fallimentare, 1994, II, p.869; L.A.RUSSO, La sorte delle imprese sottoposte
al sequestro secondo la legge n. 646/1982: un singolare intervento regionale, in Fallimento,
1986, p.485; ID., La gestione dei patrimoni sequestrati e la tutela dei terzi nel sistema della
legge n.646/1982, in Fallimento, 1985, p. 1008; ID., Confisca antimafia e tutela dei terzi: un
importante revirement della cassazione che smentisce i giudici di merito, in Dir. fall., 2004,
p.1; RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca
antimafia in Rivista dell'esecuzione forzata, 2-3/2008, p. 584 ss; TORRE, Confisca ex legge
Rognoni-La Torre e tutela dei diritti dei terzi, in Dir. fall., 1989, I, p. 404.
164
ed esecuzione forzata civile più che essere scarsamente coordinate tra loro,
paiono ignorarsi reciprocamente26 . Sintomatica, del resto, di tale caos
normativo è la totale incoerenza e contraddittorietà della giurisprudenza, che
tra posizioni di principio, levate di scudi tra opposte fazioni e scuole di
pensiero civilistiche e penalistiche, veri e propri misunderstanding
interpretativi ha affermato letteralmente ogni cosa e il suo contrario27.
Volendo Individuare un'origine comune delle cose, è consuetudine fare
riferimento alla ben nota decisione delle sezioni unite penali n. 9 del 1999,
sentenza pronunciata – è bene ricordarlo – in tema di reato di usura e di pegno
(e dunque in pendenza di un tipo di esecuzione forzata nella quale ridotta al
minimo è la presenza del giudice dell'esecuzione e che è caratterizzata dal
diritto di ritenzione – che connota la garanzia – e dalla vendita in autotutela,
che caratterizza il momento satisfattivo dell'esecuzione medesima 28) su titoli.
Anteriormente a questa data la giurisprudenza penale della Suprema Corte
aveva comunemente affermato che la confisca incontra il limite costituito
dall'appartenenza dei beni a soggetti estranei al reato, dei quali il reo non
abbia la disponibilità diretta o per interposta persona. Si riteneva, in
particolare, che la presunzione di pericolosità che giustifica la confisca
inerisce non alla cosa in sé, ma alla relazione in cui essa si trova con il
criminale, sicché, qualora il diritto di quest'ultimo fosse stato ridotto o
compresso dai diritti che terzi possono vantare sulla cosa, per realizzare il fine
specifico della misura di sicurezza sarebbe stato sufficiente privarlo dei residui
diritti che egli ha sul bene confiscato, senza necessità di sacrificare anche i
diritti che sulla cosa hanno i terzi, «la cui tutela, oltre che in un generale
precetto
dell'ordinamento
giuridico,
trova,
dunque,
una
particolare
26 RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca
antimafia, cit. ibidem.
27 Per una disamina cfr. RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in
materia di confisca antimafia, cit. ibidem.
28 Aspetti, che le Sezioni unite tennero ben presenti per formulare la soluzione ermeneutica.
165
giustificazione nella inutilità del sacrificio dei loro diritti per il perseguimento
dei fini propri della confisca» 29.
Di analoga opinione la giurisprudenza civile, che in materia di confisca
amministrativa, aveva sempre ritenuto che la confisca non potesse sacrificare i
diritti reali costituiti da terzi sulla cosa30.
La richiamata sentenza n.9/1999 delle sezioni unite penali creò una
discontinuità con gli orientamenti precedenti; in particolare la Corte, dopo
avere ribadito il carattere derivativo e non originario dell'acquisto da parte
dello Stato a seguito della confisca 31, affermava che essa non è idonea ad
intaccare i diritti reali di godimento o garanzia vantati da terzi, ma solo a
condizione che essi fossero da considerare estranei al reato32. Sul concetto di
29 Così Cass. pen. 20 dicembre 1962, Stringari; conf. Cass., sez. un. pen., 18 maggio 1994,
Comit Leasing s.p.a. in proc. Longarini; Cass. pen. 15 maggio 1992, Tosarelli; Cass. pen. 8
luglio 1991, Mendella; Cass. pen. 30 novembre 1978, Giorgi; Cass. pen. 9 ottobre 1970,
Cassa Risparmio di Roma; Lo stesso principio era stato affermato, rispetto alla confisca
prevista dall'art. 12-sexies del d. l. n. 306/92, con riferimento all'ipoteca iscritta
sull'immobile confiscato, da Cass. pen. 10 giugno 1994, Moriggi; e, per la confisca ex art.
240 c.p., con riguardo al privilegio automobilistico di cui al r.d. 15 marzo 1927, n. 436 da
Cass. pen. 7 marzo 1985.
30 Cass. sez. un. 30 maggio 1989, n. 2635; Cass. 17 dicembre 1987, n. 9399; Cass. 20
febbraio 1978, n. 811; Cass. 30 maggio 1967, n. 1207. Deve, dunque, riconoscersi che la
giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, era consolidata nel senso che nessuna
forma di confisca potesse determinare l'estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla
cosa, in puntuale sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura
sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche
soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito.
La Corte pone l'accento sulla circostanza che lo Stato – comunque - non può
legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la
titolarità. Tali notazioni trovano inequivoca conferma – sempre a detta della Suprema Corte nella funzione della confisca, la cui causa giuridica non è costituita dall'acquisizione del
bene al patrimonio dello Stato, con il sacrificio dei diritti dei terzi, ma è identificabile,
invece, nell'esigenza, tipicamente preventiva, di interrompere la relazione del bene stesso
con l'autore del reato e di sottrarlo alla sfera di disponibilità di quest'ultimo. Va riconosciuto,
pertanto, che l'acquisizione del bene allo Stato è una conseguenza della sottrazione, non già
l'obiettivo della confisca, il cui "fine primario e immediato è la spoliazione del reo nei diritti
che egli ha sulla cosa (…) e l'acquisto di tali diritti da parte dello Stato costituisce soltanto
una conseguenza necessaria di tale spoliazione" (Cass. sez. un. pen. 8 giugno 1999 n.9;
conf., tra le precedenti, Cass. pen. 20 dicembre 1962, Stringari).
31
32 Sul concetto di estraneità, la Corte, dopo una rapida rassegna degli orientamenti in
materia, fornisce una definizione a contrario dell'estraneità, concludendo che non può
considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità, a meno
che egli non versasse in buona fede, id est che non conoscesse o che - con l'uso della
diligenza richiesta dalla situazione concreta- non fosse in grado di conoscere «il predetto
rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal
condannato».
166
estraneità la Corte formulava, innanzitutto, una definizione sul piano
oggettivo, affermando che può considerarsi estranea al reato la posizione
soggettiva in capo al terzo (diritto reale di godimento, di garanzia) che non
abbia alcun rapporto di derivazione dal reato commesso dal condannato. A
questo punto introduceva, però, un temperamento di tipo soggettivo a tale
nozione di estraneità. Affermava, in particolare, che anche in presenza della
derivazione di un vantaggio dall'altrui attività criminosa, il terzo sarebbe stato
da considerare estraneo al reato, se in buona fede. Buona fede che, a detta
della Corte, era identificabile nella non conoscibilità – in capo al terzo e con
l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - del predetto rapporto
di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal
condannato.
Precisava, infine, che incombe sui terzi l'onere di provare i fatti costitutivi
della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, e dunque l'esistenza di un titolo
documentato da un atto di data certa anteriore al sequestro, come pure la loro
buona fede, id est alla mancanza di collegamento del proprio diritto con
l'altrui condotta delittuosa o, nell'ipotesi in cui un simile nesso fosse invece
configurabile, all'affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di
apparenza che rendeva scusabile l'ignoranza o il difetto di diligenza. Le
sezioni unite affermavano, inoltre, che sarebbe spettato, appunto, al giudice
penale assicurare l’intera tutela al creditore munito di diritto reale di
garanzia33.
Con la sopra richiamata decisione delle sezioni unite, la tutelabilità del
diritto del terzo titolare di un diritto reale di garanzia o godimento veniva,
dunque, veniva subordinata non solo alla sussistenza di un elemento
oggettivo, quale l'anteriorità della trascrizione, ma anche ad uno soggettivo, id
est: l'accertamento della sua buona fede.
A partire dalla sentenza delle Sezioni unite del 1999, ed in particolare a
seguito dell'affermazione della tutela del terzo creditore ipotecario solo se in
buona fede, la giurisprudenza di merito incominciava a porsi il problema delle
sorti delle eventuali esecuzioni forzate, con pignoramento trascritto
anteriormente al sequestro.
33 La fattispecie in esame – va nuovamente ribadito – riguardava però un'ipotesi di pegno
su titoli, e dunque era pressoché inesistente la figura del giudice civile.
167
Dopo alcune pronunzie iniziali, nelle quali cui si era arrivati ad affermare la
totale improseguibilità dell'esecuzione forzata 34 la giurisprudenza di merito
giunse ad elaborare un meccanismo piuttosto articolato; meccanismo che ha
retto, in linea di principio, fino ad oggi. In sintesi se, nel corso dell'esecuzione
forzata, emerge l'esistenza di un provvedimento di sequestro,
all'amministratore giudiziario debbono essere notificati gli avvisi.
L'amministratore, informato dell'esistenza di una procedura esecutiva, ha
facoltà di proporre opposizione all'esecuzione (il discrimine tra opposizione
ex art. 615 e 619 c.p.c. viene individuato nel fatto che, se è già intervenuta la
confisca l'amministratore giudiziario è «terzo», in quanto agisce in nome e per
conto dell'Agenzia delle Entrate, divenuto proprietario dei beni, mentre in
caso contrario agisce come amministratore dei beni – e dunque rappresentante
- del debitore). Nella fase c.d. cautelare, davanti al giudice dell'esecuzione, la
procedura va sospesa, finché il terzo non abbia fatto accertare in sede penale,
attraverso lo strumento dell'incidente di esecuzione, la sua «buona fede»,
fermo restando che, una volta accertata la buona fede del terzo, l'esecuzione
potrà senz'altro proseguire e la vendita sarà (almeno nelle intenzioni dei
tribunali) opponibile all'Erario35. Si accantonino, in questa sede 36, le
problematiche connesse alla buona fede: su cosa essa sia e su quale sia la sede
idonea - se il giudizio di opposizione all’esecuzione civile, ovvero il
procedimento penale - e ci si soffermi un momento sulle sorti della procedura
esecutiva civile «sospesa».
Una prima riflessione merita il fatto che l'opposizione proposta
dall'Amministrazione giudiziaria viene, solitamente, rigettata nel merito, e ciò
– si badi bene – nonostante si sia ribadita la necessità che il giudice
dell'esecuzione, nella fase del c.d. merito cautelare, disponga la sospensione
dell'esecuzione.
34 Trib. Palermo, 23 giugno 2001, in Fallimento, 2002, p. 659; con nota di CASSANO,
Azioni esecutive su beni oggetto di sequestro antimafia e buone fede dei creditori, cit.,
ibidem.
35 V. Trib. Palermo, 4 febbraio 2008, n. 424 in Rivista dell'esecuzione forzata, 2-3/2008, p.
584 ss con nota di RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia
di confisca antimafia.
36 Si rinvia ancora a RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in
materia di confisca antimafia, cit., ibidem.
168
L'apparente contraddittorietà delle decisioni (da un lato si subordina la
sospensione del giudizio al fatto storico della proposizione dell'opposizione da
parte dell'amministratore, dall'altro, però, si rigetta l'opposizione medesima
senza revocare in alcun modo la statuizione di sospensione a suo tempo
adottata) si spiega, probabilmente, con un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo pare che si voglia evitare ogni automatismo della
sospensione (che ben potrebbe essere disposta anche ex officio qualora nel
corso dell'esecuzione venisse rilevata l'esistenza della confisca), che
provocherebbe un non sempre necessario aggravamento dei tempi della
procedura esecutiva, ed al tempo stesso una eccessiva compressione dei diritti
dei creditori procedenti e intervenuti nell'esecuzione.
Si rimette, insomma, all'amministratore giudiziario la scelta se accettare la
possibilità che il bene venga venduto all'incanto, anche in assenza di un
preventivo controllo sulla buona fede dei creditori ipotecari e/o pignoranti,
ovvero se opporsi a tale possibilità e richiedere che il controllo sulla buona
fede dei terzi venga eseguito in sede penale. In tale seconda ipotesi
l'amministratore giudiziario dovrà proporre opposizione all'esecuzione per
ottenere la sospensione della procedura medesima.
L'esigenza e la logica pratiche alla base di questo orientamento sono
evidenti: premesso che l'amministratore giudiziario deve essere messo nelle
condizioni di conoscere l'esistenza della procedura esecutiva (ed infatti, nella
prassi, viene sovente ordinato che gli vengano comunicati e/o notificati gli
avvisi e gli atti del procedimento) e deve – dunque – essere posto in
condizione di richiedere l'accertamento della buona fede dei terzi, la sua
eventuale successiva inerzia non può che essere letta come un assenso tacito
alla prosecuzione del procedimento esecutivo. L'amministratore, del resto,
potrebbe essere già consapevole dello stato soggettivo di buona fede dei
creditori procedenti (in ipotesi, l'autorizzazione a proporre l'opposizione
potrebbe essere stato perfino negato dal giudice penale); di tal che potrebbe
non ritenere necessario un inutile appesantimento della procedura di confisca
(che verrebbe gravata degli incidenti di esecuzione), come di quella di
esecuzione civile (che subirebbe un inutile arresto, nelle more che venga
accertata – in sede penale – la buona fede dei terzi).
169
L'interpretazione giurisprudenziale, però, non sembra ben coordinata con il
testo dell'art. 624 c.p.c., come novellato nel 2005-2006 e nel 2009.
La norma di cui si discorre, come si è visto nei precedenti capitoli, prevede
che, proprio per l’ipotesi di sospensione disposta a seguito dell’opposizione,
l’esecuzione dovrebbe estinguersi (nel caso di stabilizzazione del
provvedimento di sospensione e di mancata introduzione del giudizio di
merito).
Non vi è chi non veda le conseguenze devastanti – e francamente eccessive
– per i creditori procedenti, ipotecari e non. Ci si domanda, francamente,
come si muoveranno i tribunali nell'ipotesi in cui nessuno abbia introdotto il
giudizio di merito e l'amministratore giudiziario depositi, invece, istanza di
estinzione ex art. 624 c.p.c.
Forse sarebbe più ragionevole rinunciare a far ricorso agli schemi
dell'opposizione all'esecuzione forzata, e consentire – invece –
all'amministratore giudiziario di depositare una semplice istanza diretta a far
sospendere il processo esecutivo 37.
Un'alternativa potrebbe essere quella di adoperare l'art. 295 c.p.c. Ma, per
come si è detto, né il dato normativo, né l’analisi delle due fattispecie di
sospensione (del processo di cognizione e del processo esecutivo) autorizzano
tale soluzione.
Ad ogni modo l'esistenza di un accertamento ritenuto – almeno secondo la
giurisprudenza – pregiudiziale alla proseguibilità dell'esecuzione forzata, può
rientrare tra i «gravi motivi» richiesti dagli artt. 615 e 624 c.p.c. Tale
soluzione, però, riporta immancabilmente la fattispecie sotto le forche caudine
dell’art. 624 c.p.c. Se le parti non introducono il giudizio di merito, dopo la
sospensione dell’esecuzione, il processo esecutivo potrà essere dichiarato
estinto.
Per quanto concerne, di contro, i creditori pignoranti non privilegiati, questi
avrebbero perduto ogni tutela, dal momento che sarebbe loro precluso far
valere ogni ragione in sede di misure di prevenzione, mentre dovrebbero
subire comunque le conseguenze della sottoposizione del bene a sequestro.
37 Contra: Cass. civ. n. 14361 del 19 giugno 2009.
170
Una volta, allora, sospesa l’esecuzione, il creditore ipotecario - secondo il
percorso interpretativo fin qui tracciato dalla giurisprudenza di merito - dovrà
fare accertare la propria buona fede in sede penale, attraverso lo strumento
dell’incidente di esecuzione. Ottenuto tale accertamento, potrà far proseguire
il processo esecutivo sospeso, sulla base di una semplice istanza.
L’esecuzione, dunque, procederà per il suo binario, fino alla vendita del bene
(opponibile, dunque, all’erario). A questo punto sorge, però, un’ulteriore
complicazione.
Se la giurisprudenza di merito, infatti, ha delineato in questo decennio i
contorni - invero assai poco nitidi - di una sospensione dell’esecuzione,
sempre a partire dalla decisione delle sezioni unite n. 9/1999, le sezioni penali
e civili della Cassazione hanno intrapreso percorsi ermeneutici sotto certi
aspetti assai diversi.
I giudici penali, innanzitutto, hanno affermato che il bene oggetto di misure
di prevenzione, a seguito dell’avvenuta confisca, viene assoggettato ad un
regime patrimoniale assimilabile a quello del patrimonio indisponibile, di
modo che esso, neppure a seguito di esecuzione forzata civile, può essere
sottratto a tale vincolo di destinazione 38.
La Cassazione civile, per contro, con una prima pronuncia del 2003 39 aveva
affermato che «il provvedimento di confisca pronunciato ai sensi dell'art.2 ter
della legge 575/1965 nei confronti di un indiziato di appartenenza a
consorteria mafiosa, camorristica o similare, non può pregiudicare i diritti
reali di garanzia costituiti sui beni oggetto del provvedimento ablativo, in
epoca anteriore all'instaurazione del procedimento di prevenzione, in favore
di terzi estranei ai fatti che abbiano dato luogo al procedimento medesimo,
senza che possa farsi distinzione in punto di competenza del giudice adito, tra
giudice penale e giudice civile, essendo il diritto reale limitato "de quo" un
diritto che si estingue per le sole cause indicate dall'art.2878 c.c.».
38 Cass. pen. 21 marzo 2003, n. 13081; Cass. pen. 31 marzo 2005; Cass. pen. 12 aprile
2005; Cass. pen., 10 giugno 2005; Cass. pen. 30 marzo 2005.
39 Cass. 29 ottobre 2003, n. 16227, cit.
171
Nel 2007, poi, la Cassazione civile è tornata sull’argomento 40 affermando
tre principi in apparente contraddizione tra loro. Nella motivazione – in uno
dei suoi passaggi più oscuri - la Corte dapprima richiama, affermando di
condividerla, la precedente statuizione della Cassazione civile n. 16227 del 29
ottobre 200341, che aveva escluso la applicabilità dell'incidente di esecuzione
penale, per consentire al terzo creditore ipotecario di fare accertare la propria
buona fede e l'anteriorità del proprio titolo rispetto al sequestro. Subito dopo,
però, la Corte invoca e ritrascrive (affermando di condividere anch'essa) la
decisione della Cassazione penale n. 12317 dell'11 febbraio 2005, che aveva
affermato l'esatto contrario, id est che il terzo ove non fosse potuto intervenire
nel procedimento per misure di prevenzione dovrebbe fare accertare in sede di
esecuzione (penale: e dunque proprio attraverso l'incidente di esecuzione)
«l'esistenza delle condizioni di permanente validità di detti diritti, costituite
essenzialmente dall'anteriorità della trascrizione dei relativi titoli rispetto al
provvedimento di sequestro cui ha fatto seguito la confisca e da una
situazione soggettiva di buona fede»42.
In ogni caso, quale che sia la sede deputata all’accertamento della buona
fede: se il procedimento penale o il giudizio di opposizione civile, la Corte
precisa comunque che gli aggiudicatari nella vendita forzata di un bene
oggetto di sequestro (poco importa se trascritto anteriormente o
successivamente al pignoramento) e successiva confisca conoscono o sono
comunque «in grado di conoscere, l'esistenza del sequestro e della confisca di
prevenzione, essendo stati tali provvedimenti trascritti sui pubblici registri
immobiliari: di talché non può certamente profilarsi a loro favore una
situazione di buona fede e di affidamento incolpevole per il fatto di avere
40 FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell'aggiudicatario nell'espropriazione dei
beni confiscati, cit., ibidem; RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in
materia di confisca antimafia, cit. ibidem.
41 Cfr. L.A.RUSSO, Confisca antimafia e tutela dei terzi: un importante revirement della
cassazione che smentisce i giudici di merito, cit., ibidem.
42 La motivazione della sentenza del 2007 è, sul punto, di così difficile interpretazione da
fare sorgere il dubbio che la Corte abbia voluto proporre una interpretazione additiva di
Cass. pen. 12317/2005, trasformando il concetto di esecuzione esposto dal Giudice penale
(riferito, come detto, all'esecuzione penale) in concetto universale di esecuzione,
comprensivo sia dell'esecuzione penale che di quella civile.
172
erroneamente ritenuto che il trasferimento dell'immobile non fosse
pregiudicato dalla disposta confisca antimafia».
L'affermazione di un siffatto principio pare aprire scenari ben più complessi
ed articolati di quelli che ne sembra trarre la Corte. Innanzitutto il terzo,
qualificato di «mala fede» per avere acquistato un bene sul quale era trascritto
il vincolo di sequestro, non potrà evidentemente fare valere il proprio diritto
nei confronti dell’Erario.
Inoltre, per ciò che maggiormente rileva, la Corte aggiunge che comunque,
anche qualora sia stata accertata, in sede di incidente di esecuzione o in sede
civile, la buona fede del creditore procedente «rimane comunque esclusa la
possibilità che i beni confiscati possano essere oggetto di espropriazione
forzata immobiliare, atteso il loro avvenuto assoggettamento, in conseguenza
della confisca, ad un regime assimilabile a quello dei beni facenti parte del
demanio o del patrimonio indisponibile dello Stato, per cui il credito
garantito di cui i terzi di buona fede sono portatori potrà essere fatto valere
soltanto dinanzi al giudice civile con i residui mezzi di tutela offerti dalla
legge»43.
Anche a seguito di tale, non chiarissima, presa di posizione delle sezioni
unite della Cassazione, comunque, i giudici di merito pare abbiano continuato
a far sospendere le esecuzioni civili, nelle more che venga accertata la buona
fede del creditore ipotecario, in sede di incidente di esecuzione penale.
Ottenuto dal giudice penale il riconoscimento della buona fede il creditore
potrà, finalmente, riassumere il processo sospeso.
Solo che, per come si è visto e stando a quanto affermato dalla Cassazione
civile e penale, non si ha alcuna garanzia che, anche una volta terminato l’iter
sopra descritto, si addivenga ad una vendita forzata e ad una aggiudicazione
opponibile all’Erario, stante l’avvenuto assoggettamento del bene ad un
regime di indisponibilità (abbia carattere originario o derivato).
43 Cass.16 gennaio 2007, n.845, in Rivista dell'esecuzione forzata, 2-3/2008, p. 584 ss. con
nota di RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca
antimafia; e in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2008, p.493 con nota di
FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell'aggiudicatario nell'espropriazione dei beni
confiscati.
173
L’aggiudicatario, allora, dovrebbe fare ricorso ai «residui mezzi di tutela»
offerti dalla legge, come affermato dalla Cassazione civile con la sentenza n.
845/2007 sopra citata, e dalla Cassazione penale, in precedenza44.
Non è chiaro, a dire il vero, quali siano questi «residui mezzi di tutela».
Tutto lascerebbe pensare alla possibilità di proporre azione di ingiustificato
arricchimento o di repetitio indebiti contro l'Erario.
Si osservi semplicemente che qualora si riconoscesse al creditore ipotecario
il diritto di avere rimborsato il proprio credito dall'Erario, le conseguenze
sarebbero paradossali: l'ipoteca originaria concessa dal mafioso verrebbe
sostituita da una sorta di fideiussione statale, con la differenza che mentre con
l'ipoteca, a seguito della vendita forzata, il soggetto potrebbe ben ricavare un
importo inferiore al proprio credito (si pensi all'ipotesi di bene deteriorato, o
in condizioni tali da essere difficilmente vendibile), dallo Stato avrebbe pagato
sempre e comunque l'intero. Non pare che tale soluzione sia socialmente
accettabile. Peraltro nessuna riforma o progetto di riforma paiono interessarsi
delle sorti del creditore chirografario, che potrebbe avere portato avanti per
anni un pignoramento immobiliare, e che dovrebbe - secondo l’interpretazione
oggi dominante - subire in toto le conseguenze della confisca.
Anche la soluzione introdotta dalla legge n. 50/2010, in sede di conversione
del d.l. 10/2010 non pare risolvere i problemi, dal momento che, pur avendo
inserito - al novellato testo dell’art. 2 ter comma 5 della legge n. 575/1965 una sorta di indennizzo statale per l’avvenuta destinazione del bene, da un lato
lo subordina al consenso dell’Amministrazione interessata (nonostante, si
ribadisce, il creditore sia già stato, in quella fase, riconosciuto come in buona
fede), dall’altro ne subordinerà l’effettiva erogazione ai «limiti delle risorse
disponibili per tale finalità a legislazione vigente». Il che pare, francamente,
eccessivo: la tutela del terzo, al quale pure è stata riconosciuta la buona fede,
viene subordinata e limitata sulla base della copertura finanziaria della legge.
De iure condendo una soluzione ragionevole, senza discostarsi troppo dalla
normativa vigente, dovrebbe seguire i seguenti criteri: - il sequestro (con la
conseguente nomina dell'amministratore giudiziario) dovrebbe potere essere
eseguito anche su un bene ipotecato (mentre gli altri diritti reali – quelli di
44 Cass. 16 gennaio 2007 n. del 16 gennaio 2007 cit.; Cass. pen. n. 12317 del 31 marzo
2005.
174
godimento – potrebbero continuare ad essere esercitati, purché non a carattere
fittizio, sui beni confiscati); - una volta perfezionata la confisca, il relativo
provvedimento dovrebbe essere comunicato al creditore ipotecario; - questi
dovrebbe disporre, quindi, di un termine ragionevole per optare tra due
soluzioni; ed in particolare per proseguire il proprio rapporto con il prevenuto,
ottenendo la sostituzione del bene in garanzia con altro non sottoposto a
vincoli, ovvero per risolvere ex lege il rapporto di credito garantito, e
procedere quindi ad esecuzione forzata sul bene. In questo caso la confisca
dovrebbe rimanere sospesa fino al perfezionamento della vendita forzata,
ovvero dell'estinzione, per qualunque motivo, dell'esecuzione civile. Lo Stato,
a questo punto potrebbe soddisfarsi sul residuo e/o invocare la disposizione di
cui all'art. 2 ter comma 10 e d eseguire un nuovo sequestro su un eventuale
altro bene, anche lecitamente acquisito dal mafioso. Ciò, naturalmente, fatta
salva la regola generale che se l'ipoteca risulti fittizia, non potrà essere
opponibile allo Stato 45.
Una simile soluzione avrebbe, probabilmente, il pregio di non rivoluzionare
eccessivamente l'attuale assetto normativo. Sarebbe, comunque, una soluzione
pur sempre di c.d. second best, mentre – probabilmente – per conseguire
l'ottimo paretiano occorrerebbe riscrivere da capo le regole oggi vigenti.
In tal senso la soluzione ideale dovrebbe passare per l'introduzione di una
procedura concorsuale di amministrazione straordinaria dei beni tutti del
mafioso, analoga, sotto certi aspetti, all'amministrazione straordinaria della
grande impresa in crisi. Una tal procedura dovrebbe prevedere il doppio
controllo da parte del giudice penale, per quanto concerne l'accertamento dei
presupposti per la sua dichiarazione e per l'accertamento delle condizioni
soggettive per il soddisfacimento dei creditori (i.e.: carattere non fittizio del
credito o del diritto reale e/o buona fede del creditore / titolare del diritto
medesimo), e del giudice civile per quanto concerne la vera e propria
amministrazione dei beni, la loro assegnazione ai fini di legge, ovvero la
Dovrebbe, inoltre, essere previsto un meccanismo ragionevolmente rapido, per
consentire al creditore ipotecario – qualora ne fosse sprovvisto – di munirsi di un titolo
esecutivo. Ritengo che, in mancanza di soluzioni alternative, potrebbe essere invocata la
tutela monitoria (con il correttivo, eventualmente, della provvisoria esecutorietà ex lege del
l'emittendo decreto), ovvero il ricorso – ove praticabile – a un provvedimento ex art. 700
c.p.c., sempre che si riconosca a tale provvedimento, l'efficacia di titolo esecutivo.
45
175
liquidazione del patrimonio del mafioso ecc. La liquidazione e/o assegnazione
dovrebbe riguardare l'intero patrimonio del mafioso, al quale potrebbero
essere restituiti – solo al termine della procedura e solo dopo avere assegnato i
beni di illecita provenienza e soddisfatti integralmente i creditori – gli
eventuali beni residui.
In caso di mafioso imprenditore, inoltre, dovrebbe essere regolata
l'eventuale successione e/o concorso tra la procedura sopra descritta e
l'eventuale fallimento. In ogni caso l'eventuale prevalenza dell'una o dell'altra
procedura dipenderebbe dalla discrezionalità del legislatore, a seconda della
finalità che il legislatore riterrà – nello specifico momento storico –
prevalente. Resta fermo che il mafioso imprenditore, tornato – per così dire –
in bonis dopo la chiusura della procedura, potrebbe essere sottoposto a
falimento secondo le ordinarie regole.
VII.4. La sospensione delle esecuzioni dei concessionari e l'estinzione dei
crediti per confusione
Un'ultima osservazione meritano due nuove norme aggiunte nel 2009 alla
legge 575/1965, ed in particolare i commi 14 e 15 46.
La prima delle due norme prevede una ipotesi di sospensione - questa volta
tipica – di tutte le procedure esecutive, degli atti di pignoramento e dei
provvedimenti cautelari in corso da parte di Equitalia S.p.A. o di altri
concessionari di riscossione pubblica, nelle ipotesi di «sequestro di aziende o
società disposto ai sensi della presente legge con nomina di un
amministratore giudiziario».
In questo caso, il rapporto tra esecuzione forzata e procedimento per misura
di prevenzione viene risolto ex lege, in favore della seconda.
L'esecuzione, proposta dal concessionario o da Equitalia, verrà, però,
sospesa solo se ad essere sequestrata sia l'azienda o «la società».
46 I commi, introdotti con la legge 15 luglio 2009, n. 94, erano stati numerati inizialmente
come 4 quinquies e 4 sexies. Sono stati mantenuti, sia pure previa rinumerazione dei commi,
anche a seguito della modifica, in sede di conversione in legge del d.l. 10/2010, dell’art. 2
sexies citato (legge n. 50/2010).
176
Non è del tutto chiaro cosa avesse in mente il legislatore quando ha previsto
l'ipotesi del sequestro di società 47. È certo però che la norma – sia pure nella
sua non del tutto felice formulazione - sembra ispirata ad una finalità
condivisibile, i.e. quella di dare un po' di respiro alle amministrazioni
giudiziarie, fornendo loro una sorta di agevolazione fiscale. Agevolazione
comprensibile, ove si consideri del difficile contesto in cui si vengono a
trovare le società ex mafiose e neoamministrate che rischierebbero, altrimenti,
il fallimento immediato 48. Ratio legis, in sintesi, sembra quella di evitare che
l'impresa – non più mafiosa – finisca per schiacciata, per così dire, sotto il
peso della legalità.
La norma si chiude con la previsione – invero di non agevole comprensione
– che, durante la sospensione dell'esecuzione, restano sospesi anche i relativi
termini di prescrizione.
Forse l'introduzione della sospensione di un termine quale quello
prescrizionale che, a norma dell'art. 2943 c.c., è (già) interrotto dall'atto con il
quale è stato iniziato un processo esecutivo, avrebbe meritato una maggiore
ponderazione da parte del legislatore.
Ad ogni modo pare che – almeno in linea teorica – la norma in esame
potrebbe mantenere un limitato campo di applicazione nell'ipotesi in cui, nelle
more o (più probabilmente) successivamente al decorso del periodo di
sospensione, l'esecuzione forzata si estingua49.
In tale caso, infatti, ai sensi dell'art. 2945 c.c. dovrebbe iniziare a decorrere
un nuovo termine di prescrizione, a far data dall'atto interruttivo. La norma di
cui si discorre, però, consentirebbe di far sospendere il (nuovo) termine di
prescrizione, per tutto il periodo in cui l'esecuzione forzata è rimasta sospesa.
47 Non è chiaro se la norma possa essere riferita al sequestro del 100% del capitale sociale,
ovvero della maggioranza delle quote, ovvero ancora al patrimonio sociale; a ben vedere
non sembra potersi escludere neppure che il legislatore abbia voluto introdurre una nuova
fattispecie di reato, e segnatamente il sequestro di persona... giuridica.
48 Si pensi, meramente a titolo di esempio: al venir meno degli introiti illeciti dell'impresa
mafiosa; al venir meno di clientele e commesse correlate al carattere mafioso dell'impresa;
all'impossibilità di avvalersi di lavoro nero; all'impossibilità di adottare condotte elusive o
evasive degli oneri tributari e previdenziali.
49 L'ipotesi che pare più concreta è quella in cui la confisca sia stata revocata, l'esecuzione
forzata sia quindi proseguita ma, successivamente, a seguito di opposizione all'esecuzione
del debitore o di altra causa, sia stata dichiarata estinta.
177
La norma in esame colpisce anche i diritti dei terzi intervenuti (che
subiscono gli effetti della sospensione); si tratta, però, di una soluzione tutto
sommato accettabile, considerato che i terzi decidono liberamente di
intervenire in un'esecuzione proposta da Equitalia, e sono, quindi,
perfettamente in grado di valutare ogni rischio connesso alla loro istanza.
Non è del tutto chiaro, però, che sorte abbia il pignoramento sospeso – e
sopratutto il diritto dei terzi intervenuti - , una volta che la confisca sia
divenuta definitiva.
La formulazione della legge, infine, suggerisce una interpretazione
restrittiva della norma, che non dovrebbe essere ritenuta applicabile a tutte
quelle ipotesi in cui il concessionario o Equitalia siano semplicemente
intervenuti nel processo esecutivo; e ciò anche nell'ipotesi in cui l'originario
creditore procedente avesse rinunziato all'esecuzione forzata, e i singoli atti
esecutivi fossero stati provocati proprio dal concessionario o da Equitalia
medesimi.
Altra novità introdotta con la legge n. 94 del 2009 è quella di cui al
successivo comma 4 sexies dell'art. 2 sexies della legge 575/1965, a norma del
quale nelle ipotesi «di confisca dei beni, aziende o società sequestrati» i
crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell'articolo 1253 del
codice civile.
Se è chiaro, in linea generale, cosa volesse dire il legislatore, un po' più
complicata diventa l'esegesi delle due norme.
La norma, innanzitutto, pare in stretta correlazione con la precedente
disposizione di cui all'art. 4 quinquies, di cui si è detto. Il comma 4 sexies,
però, menziona anche le ipotesi di confisca dei beni, ipotesi non prevista,
invece, dal precedente comma.
Escluso, dunque, che fra le due fattispecie vi sia identità – per così dire, di
parti, petitum e causa petendi - deve però escludersi anche che esse siano in
rapporto di continenza. Se il comma 4 quinquies, infatti, contrariamente al
comma 4 sexies non prevede le ipotesi di confisca di «beni», la seconda
disposizione limita il proprio campo di applicazione ai soli crediti erariali (che
si estingueranno, giusta l'infelice previsione di cui al comma 4 sexies dell'art.
2 ter), laddove le esecuzioni proposte dai concessionari (sospese ai sensi del
comma 4 quinquies) potrebbero avere ad oggetto anche crediti di enti locali
178
(emblematico il caso delle sanzioni amministrative per violazioni del codice
della strada) o comunque di altri soggetti distinti dallo Stato.
Si pone, allora, il problema della sorte delle esecuzioni forzate proposte dai
concessionari, per quanto concerne i crediti non erariali. Tutto lascia
presumere che le procedure esecutive, comunque, potranno proseguire solo in
caso di revoca della misura di prevenzione, mentre non potranno utilmente
essere proseguite, una volta perfezionato l'iter della confisca e aggiudicato il
bene ai sensi della legge 575/196550.
Analogamente deve, a contrario, concludersi che non dovranno essere
sospese le esecuzioni forzate, anche se proposte dai concessionari per la
riscossione, aventi ad oggetto, però, non aziende o «società», ma
semplicemente «beni» del mafioso 51.
La previsione in esame, a ben vedere, potrebbe costituire un argomento, per
così dire, tranchant contro la tesi della sospensione generalizzata delle
esecuzioni forzate in pendenza di sequestro – confisca. Se la legge – si
potrebbe dire – prevede la sospensione per le sole esecuzioni forzate proposte
dai concessionari, deve dedursi, a contrario, che non vi è alcuna sospensione
per tutte le altre esecuzioni, id est: per quelle, sempre proposte dai
concessionari, ma non aventi ad oggetto «aziende o società», e per quelle
ulteriori proposte da soggetti diversi dai concessionari medesimi.
Tale obiezione sarebbe, però, superabile sul rilievo che la sospensione ex
art. 2 sexies comma 4 quinquies opererebbe ex lege e per il solo fatto che è
stato disposto un sequestro, mentre la sospensione di matrice
giurisprudenziale troverebbe origine, pur sempre, nell'art. 624 c.p.c. e nel fatto
che è stata proposta opposizione all'esecuzione, da parte dell'amministratore
giudiziario. Si rinvia, sul punto, a quanto detto supra.
50 Anche l'ente locale, dunque, avrebbe diritto ai residui strumenti di tutela offerti dalla
legge, menzionati da Cass.16 gennaio 2007 n. 845 cit., e da Cass. pen. n. 12317 del 31
marzo 2005.
51 La soluzione è – tutto sommato – logica, ove si consideri che ratio della sospensione è,
come detto, quella di tutelare l'azienda (e, conseguentemente, i rapporti di lavoro etc.)
sottoposta ad amministrazione giudiziaria; sicché non avrebbe alcuna giustificazione la
sospensione di una esecuzione forzata, relativamente a semplici beni, non afferenti
un'azienda.
179
Il vero dubbio che suscita la norma in esame, invece, attiene proprio sulla
opportunità di una estinzione per confusione dei crediti erariali vantati nei
confronti del mafioso.
Premesso, infatti, che ad essere debitore è il mafioso, e non –
evidentemente – il bene, la norma in esame conduce a conseguenze
inaccettabili dal punto di vista sociale.
Innanzitutto la norma non può che riguardare il caso di confisca di tutti
indistintamente i beni del mafioso, e non solo taluni di essi. In caso contrario,
infatti, non si comprenderebbe perché il credito dell'erario dovrebbe
estinguersi per confusione, anziché essere fatto valere attraverso l'escussione
di altri beni, rimasti nella disponibilità del prevenuto.
Addirittura la norma finirebbe per agevolare il mafioso, che beneficerebbe
di un inatteso bonus fiscale.
Per gli stessi motivi l'estinzione dovrebbe verificarsi solo fino a
concorrenza con il valore del bene. Non pare proprio accettabile che un
credito di diversi milioni di euro possa estinguersi per confusione, nel caso di
confisca, ad esempio, di una baracca di legno e lamiera. Solo che – in assenza
di criteri normativamente predeterminati – è prevedibile che la norma
provocherà un non indifferente contenzioso, in ordine al valore del bene, ed ai
criteri per determinarlo (valore venale, valore di stima, valore catastale).
Anche adottando le soprarichiamate cautele ermeneutiche, però, la
previsione non risulta ugualmente felice.
L'estinzione del credito erariale per confusione, infatti, sembra comportare
che lo Stato perderà definitivamente il proprio credito nei confronti del
mafioso; e ciò anche qualora, dopo la confisca, il mafioso conseguisse
lecitamente un bene o una somma di denaro (si pensi all'ipotesi del mafioso
che vinca al superenalotto, ovvero che riceva semplicemente in eredità un
bene).
Lo scopo voluto dalla norma si sarebbe potuto raggiungere con maggiore
razionalità ed efficacia, prevedendo semplicemente l'improponibilità delle
esecuzioni per crediti erariali sui beni oggetto di misure di prevenzione,
lasciando così salva, per l'Erario la possibilità di soddisfarsi sugli eventuali
beni sopravvenuti del mafioso, successivamente alla chiusura delle confische.
180
La disposizione, del tutto inopinatamente, offre al mafioso un inatteso
quanto socialmente inaccettabile condono fiscale, che dovrebbe essere il più
rapidamente possibile eliminato dal legislatore.
181
VIII. I «reclami»
dell’esecuzione.
avverso
i
provvedimenti
di
sospensione
VIII.1. Sul concetto di reclamo e sul suo utilizzo (ipertrofico) nella
legislazione vigente.
Il concetto e la natura del «reclamo» hanno subito una innegabile
evoluzione nei circa settant’anni di vita del codice di rito. Nella sua originaria
impostazione il codice di procedura prevedeva lo strumento del reclamo,
essenzialmente, in due ipotesi. La prima era quella del reclamo avverso talune
ordinanze: si trattava, in particolare, di quei provvedimenti che – pur se
emessi nell'ambito di un procedimento la cui cognizione era riservata, nel suo
complesso, ad un giudice collegiale – erano pronunziati dall'istruttore. Si
pensi, e.g., al reclamo al collegio, previsto in fase di appello, nel codice di rito
fino alla riforma del 1990, avverso il provvedimento dell'istruttore (o del
presidente del collegio) che aveva deciso sull'inibitoria ex artt. 351-357
c.p.c.1.
Una siffatta specie di reclamo, dunque, non costituiva un mezzo di
impugnazione in senso proprio; esso era piuttosto lo strumento con il quale si
richiedeva un controllo, da parte dell'organo (collegiale) demandato della
decisione della causa, sui provvedimenti adottati dal suo componente2. Con la
proposizione del reclamo – in un certo senso – il giudice collegiale si
riappropriava di una sua potestà demandata provvisoriamente a un suo
componente e ribadiva il principio della collegialità della trattazione della
1 Si rinvia a RUSSO, L'Inibitoria processuale e la sua reclamabilità: problemi vecchi (e
nuovi?) in un travaglio normativo di quasi settant'anni, in Il giusto processo civile, 2009, p
601 ss.; RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce la procedura
prefallimentare, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1,
La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 124 ss.
2 Ciò si deduce dalla stretta connessione tra il reclamo di cui alla norma in esame e il
generale potere di controllo del collegio disciplinato dal primo comma dell'art. 178 c.p.c.
(testualmente: «le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al
collegio quando la causa è rimessa a questo a norma dell'art.189»). Esso, almeno
nell'impianto codicistico del 1950, costituiva piuttosto una estrinsecazione di quel principio
di collegialità «spuria» prescelto dal legislatore del 1940, a norma del quale la decisione
della causa avrebbe dovuto essere collegiale, mentre determinate attività sarebbero state
demandate ad un istruttore. Per un esame compiuto sull'evoluzione del rito ordinario di
cognizione dal codice del 1865 ai giorni nostri cfr. MONTELEONE, Manuale di diritto
processuale civile, V ed., vol. II, Padova, 2009, p. 335 ss.
182
causa, principio solo prima facie derogato dall'introduzione della figura
dell'istruttore3.
Il reclamo era, poi, previsto come rimedio generale, giusta l'art. 739 c.p.c.,
per i provvedimenti di giurisdizione volontaria. Nell'ambito, dunque, di quei
procedimenti a carattere non contenzioso, in relazione ai quali il concetto di
impugnazione in senso proprio sarebbe stato non perfettamente adattabile (se
non proprio concettualmente errato).
Dunque, in linea di principio, il reclamo non era uno strumento di
impugnazione, succedaneo dell’appello e distinto da esso per quanto concerne
il rito e la forma, ma un istituto assai diverso sul piano sostanziale: un mezzo
diretto ad ottenere un riesame di un provvedimento ordinatorio e comunque
non decisorio. Sia nell'uno che nell'altro caso, quindi, esulava – probabilmente
– dal concetto di impugnazione in senso stretto.
La coerenza della scelta del legislatore è stata messa in crisi da un certo
disordine legislativo, che ha caratterizzato gli oltre sessant'anni di vita del
codice, e da un utilizzo ipertrofico del mezzo del reclamo, probabilmente
sviato dall’originario impianto concettuale. Che poi tale sviamento sia da
imputare ad una certa - absit iniuria verbis - superficialità del legislatore nel
richiamare ed utilizzare istituti in ambiti nuovi, o sia piuttosto la naturale
evoluzione darwiniana, di una specie giuridica, è questione che non rileva ai
fini della presente indagine. Ciò che qui interessa è prendere atto che l’attuale
«reclamo» (recte: gli attuali «reclami») paiono spesso discostarsi da tale
modello dogmatico, che pertanto, come ogni modello che si rispetti, una volta
che viene smentito (o, a seconda dei punti di vista, superato) dalla prassi, deve
essere anch’esso oggetto di revisione.
Il codice di rito infatti – nel testo oggi vigente a seguito delle numerose
novelle che si sono succedute nei suoi circa settant'anni di vita - menziona
3 In dottrina si veda la definizione di SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, XII ed.,
Padova, 1996, p. 357 secondo cui, con specifico riferimento al reclamo avverso le ordinanze
istruttorie, introdotto con la legge 581/1950 e successivamente abolito con la legge
353/1990, si verificava «un vero e proprio trasferimento dell'istruttoria, per quel dato atto,
al collegio». Anche da un punto di vista etimologico, del resto, la parola reclamo fa pensare
non tanto ad una impugnazione in senso proprio, ma piuttosto a una richiesta di revisione,
da riproporsi al medesimo organo che ha emesso il provvedimento reclamato: dal latino
reclamare: protestare, opporre, obiettare, opporsi gridando.
183
l'istituto del reclamo in venticinque articoli4 ; a queste disposizioni vanno ad
aggiungersi le ulteriori ipotesi di reclamo disciplinate dalle leggi speciali
4 Si tratta degli artt. 91, 177, 178, 179, 308, 534 ter, 591 ter, 624, 630, 669 decies, 669
terdecies, 703, 708, 720 bis, 736 bis, 739, 740, 741, 747, 749, 750, 778, 779, 814, 825 c.p.c.
Le ipotesi di reclamo previste dal codice di procedura civile sono, rispettivamente, i reclami
– decisi nella forma delle correzioni di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. - contro i provvedimenti
di liquidazione delle spese effettuati dal cancelliere e dall'ufficiale giudiziario (art. 91); il
reclamo avverso il provvedimento del giudice istruttore che dichiara l'estinzione del giudizio
(art.178 ed art. 308); il reclamo avverso l'ordinanza di condanna al pagamento di pene
pecuniarie (art.179); il reclamo – abolito a seguito della novella del 1990 – avverso le
ordinanze dell'istruttore in grado di appello (art. 357); il reclamo avverso il decreto del
giudice dell'esecuzione in caso di difficoltà nelle operazioni di vendita (art. 534 ter e art.591
ter); il reclamo avverso gli atti del professionista delegato (art. 534 ter e art.591 ter); il
reclamo avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che provvede sull'istanza di
sospensione del processo esecutivo in caso di opposizione all'esecuzione (art.624); il
reclamo avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che sospende la distribuzione della
somma ricavata (art.624 ed art. 512); il reclamo avverso l'ordinanza che dichiara o rigetta
l'estinzione del processo esecutivo per inattività delle parti (art.630); il reclamo contro le
ordinanze che concedono o negano provvedimenti cautelari (art. 669 terdecies); il reclamo
avverso l'ordinanza che accoglie o respinge la domanda di spoglio e di manutenzione nel
possesso (art. 703); il reclamo avverso i provvedimenti presidenziali nel procedimento di
separazione personale dei coniugi (art.708); il reclamo avverso il decreto del giudice tutelare
in materia di amministrazione di sostegno (art. 720 bis); il reclamo avverso il decreto del
giudice che adotta, rigetta, modifica, conferma revoca l'ordine di protezione contro gli abusi
familiari (art. 736 bis); il reclamo contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di
consiglio (art. 739); il reclamo del pubblico ministero contro i decreti del giudice tutelare e
del tribunale (art. 740); il reclamo avverso il decreto del tribunale di autorizzazione alla
vendita di beni ereditari (art. 747); il reclamo avverso l'ordinanza del giudice che decide
sulla fissazione di un termine , sempre in materia di successioni (art. 749); il reclamo
avverso il provvedimento del presidente del tribunale che impone una cauzione e avverso il
provvedimenti relativi agli esecutori testamentari (art. 750); il reclamo contro lo stato di
graduazione (art. 778); il reclamo avverso l'ordinanza del presidente del tribunale che
determina l'ammontare delle spese e dell'onorario (art. 814); il reclamo avverso il decreto
che nega o concede l'esecutorietà del lodo arbitrale (art. 825).
184
(prime fra tutti la legge fallimentare5 e la legge, ormai abrogata, sul rito
societario 6).
Al riguardo si è detto7 che nelle linee guida delle recenti riforme, già attuate
o incipienti, è dato ravvisare una tendenza alla «sommarizzazione» dei riti,
nella convinzione, probabilmente, che il modello del processo di cognizione
ordinario non sia in grado di assicurare una definizione del giudizio in tempi
ragionevoli.
Questa tendenza ha portato il legislatore da un lato ad attribuire una
maggiore «persistenza» agli effetti, ad esempio, dei provvedimenti cautelari
anticipatori (oggi svincolati dalla necessaria proposizione del giudizio di
merito), dall'altro ad applicare le regole del procedimento camerale –
Approvata con RD n.267 del 16 marzo 1942 e successive modifiche. si tratta,
segnatamente: del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento (art.18; art. 147 per
quanto concerne il fallimento delle società e l'estensione ai soci illimitatamente
responsabili); del reclamo avverso il decreto che respinge il ricorso per dichiarazione di
fallimento (art. 22 (art.18; art. 147 per quanto concerne la domanda di fallimento delle
società e l'estensione ai soci illimitatamente responsabili); dei reclami avverso i
provvedimenti del giudice delegato e del tribunale fallimentare (artt.23, 25, 26); del reclamo
avverso gli atti del curatore e del comitato dei creditori (art. 36); del reclamo avverso il
provvedimento di revoca del curatore (art. 37); del reclamo avverso il decreto del tribunale
fallimentare in caso previsione di insufficiente realizzo (art. 102); del reclamo contro il
progetto di riparto (artt. 110 e 36); del reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento
(artt.119 e 26; art. 153 per l'ipotesi di fallimento del socio); del reclamo avverso la sentenza
che dichiara la riapertura del fallimento (art. 121); della richiesta di omologazione del
concordato fallimentare e della relativa opposizione (che si propongono, giusto il disposto
dell'art. 129, nelle forme del reclamo di cui all'art .26); del reclamo avverso il decreto di
omologazione del concordato (art. 131); del reclamo avverso le sentenze che risolvono o
annullano il concordato e riaprono la procedura di fallimento (artt.137, 138); del reclamo
avverso il decreto di esdebitazione (art. 143); del reclamo avverso i decreti del giudice
delegato nel concordato preventivo (art. 164); del reclamo avverso la sentenza che dichiara
il fallimento in caso di revoca dell'ammissione al concordato preventivo (art. 173); del
reclamo avverso il decreto del tribunale che decide sull'omologazione degli accordi di
ristrutturazione (art.182 bis); del reclamo avverso il decreto che decide sull'omologazione e
avverso l'eventuale sentenza dichiarativa di fallimento, contestualmente pronunciata in caso
di rigetto della proposta di concordato (art.183); del reclamo avverso la sentenza che
dichiara lo stato di insolvenza in caso di liquidazione coatta amministrativa o avverso il
decreto che rigetta il relativo ricorso (art. 195).
5
6 Per quanto riguarda la legislazione speciale si rammentano le ipotesi di reclamo e le
relative regole processuali nel c.d. rito societario introdotto con d.lgs. 5/2003, ed in
particolare il reclamo avverso l'ordinanza del giudice relatore che dichiara l'estinzione del
giudizio (art.12); il reclamo avverso l'ordinanza che decide sull'ammissibilità dell'intervento
(art.14); il reclamo avverso i provvedimenti cautelari (art. 23); il reclamo avverso il decreto
emesso in camera di consiglio (art.27).
7 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit. ibidem; RUSSO, L'inibitoria
processuale e la sua reclamabilità., cit., ibidem.
185
originariamente concepito essenzialmente per procedimenti di giurisdizione
c.d. volontaria – a giudizi in contraddittorio tra le parti ed a carattere
marcatamente contenzioso 8.
Non è questa, evidentemente, la sede per una disamina approfondita di tutte
le ipotesi di reclamo oggi esistenti e per una indagine compita su quali reclami
abbiano natura di mezzo di impugnazione 9 e quali, invece, questa natura non
abbiano. Basti, al momento, osservare che il quadro complessivo della
disciplina dell'istituto rappresenta un insieme non sempre organico di norme e
fattispecie che da tali norme dovrebbero essere regolate. Nell'impianto
concettuale del reclamo, ad oggi, è ravvisabile un'ambiguità di fondo;
incertezza che si ripercuote, inevitabilmente, in oscillazioni interpretative su
specifiche questioni finali.
Per quel che qui rileva, è opportuno prendere atto che la soprarichiamata
tendenza evolutiva del legislatore ha comportato uno sdoppiamento
dell'istituto del reclamo: da un lato vi sono le ipotesi previste dall'art. 178
c.p.c. e dalle altre norme nelle quali esso costituisce esclusivamente (ancora)
un mezzo di raccordo tra istruttore e collegio; dall'altro vi sono talune
differenti fattispecie, in cui esso ha una indiscutibile funzione di mezzo di
impugnazione10.
Non hanno, per i motivi sopra esposti, natura di mezzo di impugnazione ad
esempio le ipotesi di reclamo previste nel codice di rito dagli artt.178 e 308
(reclamo avverso l'ordinanza dell'istruttore che dichiara l'estinzione del
giudizio); dall'abrogato art. 357, dall’art. 630 c.p.c.
Tutte le soprarichiamate fattispecie sono caratterizzate dal fatto che il
reclamo: a) ha ad oggetto un provvedimento non avente natura decisoria (ma,
8 Per un esame sull'evoluzione normativa v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale
civile, cit., ibidem.
9 Per un esame specifico su talune nuove ipotesi di reclamo e sulla sua caratterizzazione
come mezzo di impugnazione, sostitutivo dell'appello, cfr. RASCIO, Note sull'impiego del
reclamo (in luogo dell'appello) come mezzo per impugnare le sentenze con devoluzione
automatica piena, in Riv. dir. proc., 2008, p.955.
10 Cfr. RASCIO, Note sull'impiego del reclamo, cit. ibidem.. In giurisprudenza v., con
riferimento al reclamo avverso i provvedimenti in materia di cessazione degli effetti civili
del matrimonio, Cass. 25.10.2000 n. 14022, in Giur. it. 2001, p.1366 con nota di SABATINI;
in Famiglia e diritto 2001, 4, p. 393 con nota di CARRATTA.
186
appunto, un provvedimento ordinatorio 11) e comunque interinale, i cui effetti
sono da considerare transitori, in attesa della definizione del giudizio: b) viene
proposto davanti a un giudice che non è di grado superiore a quello che ha
emesso il provvedimento, ma che ne costituisce, piuttosto, una differente
composizione (rectius: che costituisce la composizione
quando deciderà la causa). La giurisprudenza, sul punto,
precisare che tali ipotesi di reclamo costituiscono, più
impugnazione, uno strumento (abbia esso natura
giurisdizionale), assimilabile alle opposizioni, diretto
che l'organo avrà
ha avuto modo di
che un mezzo di
amministrativa o
ad impedire la
definitività del provvedimento reclamato, sollecitandone il riesame da parte
dello stesso organo che lo ha emesso 12.
Non sembra avere natura di impugnazione neppure il reclamo previsto
dall'art.179 (reclamo avverso l'ordinanza al pagamento a pene pecuniarie), che
pare avere una natura amministrativa, più che giurisdizionale.
Hanno, invece, probabilmente natura di mezzo di impugnazione le ipotesi
di reclamo disciplinate dall'art. 669 terdecies c.p.c., i reclami avverso i
provvedimenti camerali, qualora detti provvedimenti vertano su diritti
soggettivi e si inseriscano in un procedimento avente natura marcatamente
11 Secondo la definizione che ne viene data: un provvedimento che «dispone per consentire
lo svolgimento del processo in vista di determinati atti processuali»: MONTELEONE,
Manuale di diritto processuale civile., cit., Vol. I, p. 296.
12 Così Cass. 31 marzo 2006, n. 7633.
187
contenziosa 13, il reclamo previsto dall’art. 18 della legge fallimentare14.
Proprio su tali ultime affermazioni è bene soffermarsi un attimo, per il
prosieguo della trattazione.
Al riguardo, pare ravvisarsi, nella legislazione degli ultimi anni, una certa
tendenza a qualificare il reclamo come una sorta di «appello dei procedimenti
camerali», con ciò determinando una discontinuità tra l’istituto attuale e
quello originariamente previsto dal codice.
Ciò si evince, a nostra opinione, dall’estrema disinvoltura con la quale, ad
esempio la riforma alla legge fallimentare del 2007, ha introdotto una ipotesi
di «reclamo» avverso la sentenza dichiarativa di fallimento; probabilmente,
come detto, una vera e propria impugnazione, preferita all’appello solo per
13 Con riferimento al reclamo avverso i provvedimenti cautelari la natura di mezzo di
impugnazione è stata ribadita da Corte cost. 16 maggio 2008 n. 144, in Il giusto processo
civile, 2008, p. 905 con nota di DE LUCA. La Consulta, in particolare, nel dichiarare
l'illegittimità costituzionale dell'art. 669 quaterdecies e 695 c.p.c., nella parte in cui non
prevedono che il rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui
agli artt. 692 e 696 c.p.c. possano essere «impugnati» con reclamo ha affermato che la mera
riproponibilità della domanda cautelare allo stesso giudice non assicura lo stesso livello di
tutela fornita dalla possibilità di impugnare la decisione negativa «innanzi ad un giudice
diverso». Per quanto riguarda l'evoluzione normativa e giurisprudenziale sul reclamo
avverso i provvedimenti ex art. 708 c.p.c. e sulla sua natura di impugnazione v. CIPRIANI, La
nuova disciplina dei provvedimenti nell'interesse dei coniugi e della prole, in Il giusto
processo civile, 2008, p.191 ss. V. anche DANOVI, Reclamo, revoca e modifica dei
provvedimenti sommari nella separazione e nel divorzio, in Il giusto processo civile, 2008,
p.203 ss. il quale, limitando il campo dell'indagine al reclamo dei in materia di separazione e
divorzio afferma testualmente che «dal punto di vista della funzione (…) il reclamo di
regola viene utilizzato alla stregua di (si licet) gravame in senso proprio nei confronti di
determinate classi di provvedimenti» . Per quanto riguarda il reclamo ex art. 26 l.fall.
occorre ricordare che esso viene indifferentemente utilizzato come rimedio contro
provvedimenti gestionali o processuali del giudice delegato e come vera e propria
impugnazione di provvedimenti aventi contenuto decisorio, come in materia di vendita o di
ripartizione dell'attivo, con le ulteriori conseguenze in termini di impugnabilità con ricorso
(straordinario) per cassazione del decreto che decide sul reclamo stesso.
RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce la procedura
prefallimentare, cit., p. 124 ss.
14
188
questioni di rito (camerale, anziché ordinario)15 . Che poi non esistesse
nell'ordinamento – anteriormente al 2007 – alcuna altra ipotesi di reclamo
avverso una sentenza è un problema sul quale il legislatore non sembra essersi
soffermato.
Della scelta operata dal legislatore conviene, dunque, prendere atto e tenere
a mente che – a dispetto del nomen – si è in presenza, in questa come in altre
ipotesi, pur sempre di un appello speciale, che realizza comunque un secondo
grado di giudizio (sebbene con regole diverse dall'appello disciplinato dal
codice di procedura civile).
In tutte le richiamate ipotesi di reclamo mezzo di impugnazione pare
individuarsi un trait d'union nel fatto che: a) esse hanno ad oggetto un
provvedimento avente carattere decisorio, a carattere non interinale e idoneo
ad incidere, comunque, su diritti soggettivi16 ; b) il reclamo viene proposto
dinanzi ad un giudice di grado superiore e comunque diverso da quello che ha
emesso il provvedimento; c) sono previste regole processuali specifiche, quali
la regolamentazione dei motivi sopravvenuti alla proposizione del reclamo,
che accentuano il carattere di impugnazione.
Quando si parla di uno specifico reclamo, nel diritto processuale civile,
occorre dunque stabilire se si è in presenza o meno di un mezzo di
15 Ciò risulta, probabilmente, confermato dal fatto: a) che esso abbia sostituito, rispetto alla
prima novella del 2006, un rimedio qualificato come «appello»; b) che esso venga proposto
dinanzi ad un giudice diverso, di grado superiore, rispetto a quello che ha emesso la
sentenza; c) dalla frequenza con la quale, nell'art.18, ricorre la parola «impugnazione»; d)
dal richiamo dell'art. 327 c.p.c. , in materia di decadenza dalle impugnazioni; e) dalla rigida,
ai limiti del bizantinismo, regolamentazione processuale, inserita dell'art. 18 medesimo; f)
dalle ragioni, indicate nella relazione al decreto correttivo, che hanno indotto alla
sostituzione dell'appello (originariamente previsto nel 2006) col reclamo: cfr. Relazione al
decreto correttivo, sub art. 18: «è coerente con il rito camerale, adottato non solo per la
decisione di primo grado, ma anche per la fase del gravame: il reclamo è, infatti, il mezzo
tipico di impugnazione dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio , quale che ne
sia la forma. La modifica vale ad escludere l'applicabilità della disciplina dell'appello
dettata dal codice di rito ed assicurare l'effetto pienamente devolutivo dell'impugnazione,
com'è necessario, attesi il carattere indisponibile della materia controversa e gli effetti della
sentenza di fallimento, che incide su tutto il patrimonio e sullo status del fallito».
16 Un simile carattere pare oggi ravvisabile in numerosi procedimenti camerali e nei
procedimenti cautelari, considerata la scelta legislativa di svincolare l'efficacia del
provvedimento emesso dalla successiva proposizione del giudizio di merito. Con specifico
riferimento al reclamo avverso i provvedimenti camerali e sui numerosi aspetti problematici
creati dalla nuova disciplina v. CECCHELLA, Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti
provvisori e urgenti nei processi di separazione e divorzio, in Il giusto processo civile, 2008,
p.229 ss.
189
impugnazione. Una importante conseguenza del prendere atto dell'esistenza di
due tipi distinti di reclamo è che nelle ipotesi di reclamo - impugnazione il
giudice che ha emesso il provvedimento non potrà, ovviamente, fare parte del
collegio investito del reclamo. Viceversa ogniqualvolta il reclamo non avrà
tale natura non dovrebbe sussistere alcuna preclusione ad una partecipazione
al collegio da parte dello stesso giudice che ha emesso l’atto
«reclamato» (partecipazione che potrebbe, anzi, essere opportuna).
VIII.2. Il reclamo ex art. 624 c.p.c.
Sulla base di quanto si è detto al paragrafo precedente è possibile ricostruire
la natura del reclamo previsto dall’art. 624 c.p.c., e provare a risolvere i
principali problemi applicativi ed interpretativi che si sono posti nei primi
anni di applicazione dell’istituto.
Il dato normativo, innanzitutto, è abbastanza conciso, in parte qua. Dopo
avere previsto che il giudice dell’esecuzione, in caso di opposizione
all’esecuzione ovvero di terzo concorrendo gravi motivi, può sospendere
l’esecuzione, l’art. 624 prevede, al comma secondo, che «contro l'ordinanza
che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell’art.
669 terdecies c.p.c.».
La scelta del reclamo, innanzitutto, come mezzo per «impugnare» il
provvedimento del giudice dell’esecuzione sulla sospensione può avere, in
astratto, due giustificazioni concettuali.
In primo luogo potrebbe derivare dall’adozione del modello camerale.
L’art. 185 disp. att., come novellato dalla riforma del 2006, infatti, prevede
che per la fase davanti al giudice dell’esecuzione - quella del c.d. merito
cautelare - si seguano le regole dei procedimenti in camera di consiglio.
Una simile considerazione, il reputare, cioè, l’applicazione del reclamo
quale conseguenza meccanica dell’applicazione del rito camerale, potrebbe
trovare conferma in quella tendenza legislativa, cui si è dato atto al precedente
paragrafo, di considerare il reclamo una sorta di mezzo di impugnazione
speciale, sostitutivo dell’appello nei procedimenti in camera di consiglio.
Da tale premessa discende che la reclamabilità del provvedimento
deriverebbe non tanto dal fatto che esso decide sulla sospensione, quanto
piuttosto da un dato formale e di rito: si tratta di un provvedimento che chiude
190
la fase camerale, ed alla stregua di un provvedimento in camera di consiglio è
reclamabile. Come ulteriore corollario il reclamo ex art. 624 c.p.c. non
dovrebbe trovare applicazione analogica in tutti quei casi di provvedimenti di
«sospensione» emessi a seguito di una fase non camerale, ovvero
regolamentata da una disciplina speciale. Non dovrebbe, in altri termini,
aversi luogo a reclamo (sul piano concettuale, e salvo il vaglio di
costituzionalità della norma), ogniqualvolta il provvedimento di sospensione
venisse emesso secondo regole di un rito diverso da quello di cui agli artt. 737
ss.
Si è già detto 17, però, che l’art. 624 c.p.c. non fa un generico riferimento ad
un «reclamo», quale potrebbe essere quello di cui all’art. 739 c.p.c., ma,
specificamente, al «reclamo ai sensi dell’articolo 669 terdecies» c.p.c., id est
a quello specifico rimedio che la legge ha previsto avverso i provvedimenti
cautelari disciplinati dagli artt. 669 bis ss. c.p.c.
Si è già detto, altresì, che tale scelta legislativa - sia essa giustificata su un
piano teorico o meno, derivi da una incertezza concettuale e da una
«navigazione a vista» o da una precisa scelta dogmatica18 - induce ad
17 Supra, par III.4.
18 Anteriormente alla riforma avevano affrontato la questione della natura cautelare del
provvedimento di sospensione, ex plurimis: DI BENEDETTO, Brevi note sulla ammissibilità
del reclamo contro i provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione emessi ai sensi
dell’art. 624 co. 1 c.p.c. in Giur. merito, 1996, p. 217 ss; ORIANI, L’imparzialità del giudice
l’opposizione agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2001, p.16 ss; PROTO PISANI, Lezioni di
diritto processuale civile, Napoli, 1996, p. 788; STORTO, Note su alcune questioni in tema di
opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2000, p. 249; VITTORIA, Il controllo sugli atti
del processo di esecuzione forzata: l’opposizione agli atti esecutivi e i reclami, in Riv. esec.
forz., 2000, p. 381; contra, tra gli altri: CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur.
Treccani, p. 1 ss. 967, p. 3 ss.; MERLIN, Procedimenti cautelari e urgenti, in Digesto civ.,
XIV, Torino, 1996, p. 431. Si segnala che l’inquadramento concettuale delle inibitorie quali
provvedimenti cautelari aveva avuto importanti conseguenze, prima delle novelle dei
2005-2006. In particolare, si è fatto cenno al capitolo II di come la giurisprudenza che
negava la possibilità di ottenere la sospensione in caso di opposizione a precetto, si fosse
espressa in senso favorevole alla concedibilità, anteriormente all’inizio dell’esecuzione
forzata, a un ricorso ex art. 700 c.p.c. per inibirne l’attivazione: v. Trib. Mantova, 26
febbraio 2005, in Giur. merito, 2006, p. 316, n. GIORDANO. Si osservi che il tribunale
considera un tale rimedio ammissibile, sotto il profilo della residualità del rimedio, stante
inesistenza di «strumenti cautelari tipici» (con riguardo, ovviamente, a titoli stragiudiziali).
Se ne deduce peraltro che, la espressa previsione, ad opera della novella del 2006, della
possibilità per il giudice dell’opposizione a precetto di sospendere l’efficacia esecutiva del
precetto dovrebbe avere reso inammissibile tale rimedio.
191
affermare la natura cautelare della sospensione ex art. 624 c.p.c., e del
subprocedimento nel quale essa viene pronunziata.
La natura cautelare, si è detto, è confermata altresì dalla relazione di
accompagnamento alla riforma del 2005: «le modifiche all’art. 624 del codice
di procedura civile si propongono di assicurare una maggiore stabilità
all’ordinanza di sospensione, con effetti dunque di efficacia estintiva del
pignoramento, quando ad essa sia stata fatta acquiescenza dalla parte
opposta, eliminando la necessità di promuovere un giudizio di merito. La
norma è esplicitamente analoga al nuovo regime introdotto anche per i
procedimenti cautelari dalla legge n. 80 del 2005 e dunque è improntata ad
un principio di evidente economicità. Viene fatta salva la possibilità che altri
interessati possano tuttavia promuovere il giudizio di opposizione anche per
la fase di merito» 19.
Tale seconda considerazione, come si vedrà infra, giustificherebbe
un’applicazione estensiva del reclamo ex art. 624 c.p.c., a tutte le ipotesi di
sospensioni qualificabili come «cautelari». Particolarmente problematica, sul
punto, è la questione della reclamabilità del provvedimento di inibitoria in
appello 20. Se causa efficiente di tale rimedio è la natura cautelare del
provvedimento (e non solo o non tanto la sua forma camerale) allora esso
potrebbe essere esteso a tutte le altre ipotesi di sospensione dell’esecuzione,
pena la possibile incostituzionalità della norma.
Tornando al campo di applicazione letterale della norma - al reclamo,
dunque, avverso il provvedimento di sospensione emesso a seguito di
opposizione all’esecuzione o di terzo - anteriormente alla novella del 2005,
parte della dottrina aveva affermato la sua ammissibilità, pure in assenza di
una specifica previsione di legge. E ciò proprio in virtù della natura
asseritamente cautelare della sospensione de qua21.
19 Relazione alla proposta di legge n. 6232 presentata alla Camera dei deputati il 15
dicembre 2005.
20 Su cui infra, par. VIII.5.
21 CECCHELLA, Il reclamo avverso le ordinanze di sospensione dell’esecuzione ex art. 624
c.p.c., in Riv. esec. forz., 2000, p. 351 ss.; DI BENEDETTO, Brevi note sulla ammissibilità del
reclamo contro i provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione emessi ai sensi dell’art.
624 co. 1 c.p.c., cit.,ibidem; ORIANI, L’imparzialità del giudice l’opposizione agli atti
esecutivi, in Riv. esec. forz., 2001, p.16 ss; STORTO, Note su alcune questioni in tema di
opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2000, p. 249.
192
La giurisprudenza quasi unanime, tuttavia, aveva escluso l’applicabilità di
tale rimedio, precisando, di contro, che esso avrebbe potuto essere modificato
o revocato dallo stesso giudice che lo aveva emesso. Si era negata, altresì, la
proponibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto
provvedimento privo di contenuto decisorio, come pure del regolamento di
competenza ex artt. 42 e 43 c.p.c. In conclusione si riteneva esperibile
esclusivamente il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, la cui decisione
sarebbe stata ricorribile per cassazione ex art.111 Cost.22 .
Con l’espressa previsione del reclamo il legislatore ha preso una netta
posizione sul punto, confermando implicitamente, per un verso, la non
esperibilità del regolamento di competenza, come pure del ricorso diretto ex
art. 111 Cost., per altro verso superando la scelta giurisprudenziale della
opposizione agli atti esecutivi.
La scelta del reclamo, come detto, pare avere una doppia, possibile,
giustificazione concettuale. Da un lato costituisce la conseguenza della scelta
camerale del rito, dall’altro della natura almeno latamente cautelare del
provvedimento di sospensione, sotto altro profilo ancora (la conseguenza) di
ambedue le premesse unitamente considerate. Le due spiegazioni, infatti, della
forma camerale e della natura latamente cautelare non vanno considerate
come alternative, ma possono ben coesistere: si è in presenza, in un certo
senso, di un provvedimento cautelare, emesso nell’ambito di un procedimento
in camera di consiglio.
Tornando all’esegesi della norma, nel suo testo attuale, essa prevede la
reclamabilità della «ordinanza che provvede sulla sospensione». Il che porta,
innanzitutto, ad escludere la reclamabilità del decreto emesso inaudita altera
parte, con il quale il giudice ha eventualmente sospeso l’esecuzione23.
Per altro verso la formulazione è tale da consentire il reclamo non solo
avverso l’ordinanza che accoglie l’istanza di sospensione, ma anche contro
22 Stante, anche in questo caso, il suo carattere non decisorio: cfr., ex plurimis, Cass. 11
luglio 2007 n. 15467; Cass. 2 agosto 2000 n. 10121.
23 Il che pare una scelta comprensibile, atteso che si tratta di un provvedimento destinato ad
essere confermato o revocato con l’ordinanza «reclamabile».
193
quella che la rigetta24. Come si è segnalato supra 25, però, il reclamo avverso il
provvedimento che rigetta la sospensione potrebbe avere conseguenze
differenti da quello avverso il provvedimento che la accoglie. È molto dubbio,
in particolare, se l’accoglimento della sospensione, per la prima volta in sede
di reclamo, possa avere come conseguenza l’estinzione del processo
esecutivo. Si rinvia, sul punto, alle considerazioni sopra svolte. La differente
disciplina, come si è detto, potrebbe avere una sua giustificazione26, ove si
consideri che, al momento della decisione del reclamo, potrebbe essere già
ampiamente scaduto il termine per introdurre il giudizio di merito.
Conseguentemente il creditore, anche se vittorioso nella fase cautelare,
potrebbe essere costretto ad introdurre ugualmente il merito dell’opposizione,
per non ritrovarsi sotto la spada di Damocle dell’estinzione, qualora il
provvedimento del giudice dell’esecuzione fosse riformato in sede di reclamo.
Il che darebbe luogo ad una superfetazione processuale: in caso di rigetto
dell’istanza cautelare, infatti, il debitore soccombente potrebbe non avere
alcun interesse ad introdurre il giudizio di merito. A maggior ragione non
avrebbe tale interesse neppure il creditore procedente, che vuole - nella
maggior parte dei casi - esclusivamente portare avanti l’esecuzione forzata.
Costringere il creditore, nonostante il primo rigetto dell’istanza di
sospensione, ad introdurre ugualmente il giudizio di merito, sarebbe alquanto
irrazionale, atteso che comporterebbe l’instaurazione di una fase che può non
interessare a nessuno e che potrebbe, pertanto, essere evitata. Una simile
interpretazione (nel senso, dunque, che la sospensione disposta per la prima
volta in sede di reclamo non abbia effetti estintivi), dunque, pare coerente con
la scelta del legislatore della riforma dei 2005-2009, che è, appunto, quella di
rendere meramente eventuale - e non certo surrettiziamente necessaria - la
fase di merito.
Per quanto concerne le regole processuali del reclamo, la norma rinvia al
reclamo ex art. 669 terdecies e, dunque, ancora una volta alle norme sui
procedimenti camerali.
24 LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione
forzata riformata, Torino, 2009, p. 685.
25 Par. III.9.
26 LONGO, La sospensione nel processo esecutivo., cit., p. 739.
194
Il reclamo non sospende, dunque, l’esecuzione, salva la possibilità per il
presidente del tribunale, di disporre con ordinanza non impugnabile la
sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, quando, per
motivi sopravvenuti, detto provvedimento possa arrecare grave danno; il tutto
con o senza cauzione. Sul punto deve segnalarsi un orientamento della
giurisprudenza di merito, secondo cui, proprio in virtù di tale norma, e del
generale rinvio alle regole dell’art. 669 terdecies, il giudice del reclamo, una
volta che la sospensione sia stata rigettata dal giudice dell’esecuzione, non
avrebbe il potere di disporla egli stesso in via cautelare, ma solo all’esito del
reclamo. E ciò per via del richiamo integrale - senza adattamenti - alla
disciplina del reclamo cautelare. Nel caso di reclamo avverso l’ordinanza di
rigetto della sospensione, infatti, il «provvedimento reclamato» (quello che
potrebbe essere sospeso in sede di reclamo) non è l’esecuzione, ma
l’ordinanza di rigetto medesima emessa dal giudice dell’esecuzione. In sede di
reclamo, dunque, il tribunale potrebbe sospendere solamente il provvedimento
che ha rigettato la sospensione, cosa che non comporterebbe effetti
corrispondenti ad una sospensione dell’esecuzione. Detto risultato sarebbe,
infatti, conseguibile solamente a seguito dell’accoglimento definitivo del
reclamo27.
VIII.3. Il reclamo avverso il «provvedimento di cui all’art. 512, secondo
comma» c.p.c.
L’art. 624 c.p.c. prevede, ancora, la reclamabilità del «provvedimento di cui
all’art. 512 c.p.c.». Si è già visto, nella sezione della presente indagine
dedicata all’esegesi di tale disposizione, che essa pare introdurre tre tipi
sospensione. La prima, più che una sospensione, costituisce uno stato
arresto della procedura, nel senso che il giudice non potrà approvare
progetto di distribuzione, finché non avrà risolto, sia pure con ordinanza,
controversie sorte.
di
di
il
le
La seconda sospensione è quella che dovrebbe disporre il giudice
l’ordinanza medesima, e nelle more che essa venga «impugnata» con
l’opposizione agli atti esecutivi (qualora si accolga tale interpretazione della
27 Trib. Belluno, 12 febbraio 2010, G.I. dott. Zanon, inedito.
195
non chiara formulazione dell’art. 512 c.p.c.). La terza è quella che potrebbe
essere disposta in seno all’opposizione agli atti esecutivi medesima. Avverso
la prima delle «sospensioni» - posto che non di sospensione in senso stretto si
tratta - non pare proponibile alcun reclamo: non vi è, a ben vedere, alcun
provvedimento, ma il semplice sviluppo di una fase processuale, che preclude
in radice l’approvazione del progetto di distribuzione.
Avverso la terza sospensione saranno applicabili, giusta il rinvio alle norme
dell’opposizione agli atti, le regole proprie di detto strumento, alla cui
trattazione si rinvia.
Avverso la seconda sospensione, quella, cioè, pronunziata dal giudice nel
definire le controversie sorte in sede di distribuzione, è proponibile, per
espressa previsione di legge, il reclamo ex art. 624 c.p.c.
Si è già detto che tale soluzione ermeneutica sembra postulare la
proponibilità di due distinti rimedi contro l’ordinanza in questione:
l’opposizione agli atti esecutivi, per quanto concerne la statuizione che decide
sulla controversia, ed il reclamo, relativamente al capo sulla sospensione28.
Per la disciplina di tale reclamo e per i problemi connessi, si rinvia al
paragrafo precedente.
VIII.4. Il reclamo avverso i provvedimenti di sospensione emessi in sede
di opposizione ex art. 617 c.p.c.
Nel richiamare, in materia di opposizione agli atti esecutivi, le regole
dell’art. 624 c.p.c., il terzo comma della norma medesima, rinvia alla
«disposizione di cui al terzo comma», in quanto compatibile.
La formulazione prescelta dal legislatore presenta qualche aspetto
problematico. In primo luogo ad essere richiamata, sul piano letterale, non è come detto - l’intero gruppo di regole dell’art. 624 c.p.c., ma esclusivamente
«la previsione di cui al terzo comma», e, dunque, la regola dell’estinzione.
Per altro verso, il primo comma dell’art. 624 c.p.c. fa esclusivo riferimento
alla sospensione disposta in caso di opposizione all’esecuzione o di terzo.
Conseguentemente il secondo comma della norma, nella parte in cui prevede
il reclamo avverso «ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione», pare
28 ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato, in
www.judicium.it..
196
fare riferimento alla istanza menzionata nel comma precedente e, dunque,
ancora una volta, alla sola istanza di sospensione in caso di opposizione ex
artt. 615 e 619 c.p.c. (oltre che ai provvedimenti di cui all’art. 512 c.p.c.
secondo comma).
Sul piano letterale, pertanto, l’articolo sembra avere la seguente struttura: il
primo comma prevede la sospensione dell’esecuzione, ad opera del giudice
della stessa procedura, per il caso in cui sia stata proposta opposizione
all’esecuzione o di terzo; il secondo comma prevede, per le medesime ipotesi,
la proponibilità del reclamo (rimedio che, giusta la disposizione medesima,
viene esteso anche al provvedimento ex art. 512 comma secondo); il terzo
comma detta, per le sole sospensioni in caso di opposizione all’esecuzione o
di terzo (con esclusione, quindi, delle sospensioni alla distribuzione), la regola
dell’estinzione; l’ultimo comma rende applicabili le disposizioni
sull’estinzione, «in quanto compatibili», al caso di «sospensione del processo
disposta ai sensi dell’articolo 618».
Ad un’esegesi letterale, pertanto, paiono esulare dal campo di applicazione
dell’art. 624 c.p.c. sia le sospensioni disposte in sede di opposizione a precetto
(non previste dall’art. 624, ma dall’art. 615 comma primo; sul punto,
diffusamente, infra), sia le sospensioni di cui all’art. 618. Le sospensioni in
caso di opposizioni agli atti, dunque, sembrerebbero regolate: dall’art. 618,
per quanto concerne il procedimento, dall’art. 624 comma terzo, per quanto
riguarda le conseguenze (estinzione, in caso di mancata introduzione del
giudizio di merito).
La lettura sopra proposta porterebbe ad escludere - salvo il vaglio di
compatibilità della norma con la costituzione - che il «reclamo» previsto dal
secondo comma dell’art. 624 c.p.c. possa essere sic et sempliciter applicato
alla sospensione ex art. 618 c.p.c. La stessa lettera dell’art. 624 ultimo comma:
«si applica (…) anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi
dell’art. 618», parrebbe confermare che la sospensione in caso di opposizione
agli atti esula dal campo di applicazione dell’art. 624, per quanto non
espressamente richiamata.
A risultati opposti, naturalmente, si potrebbe giungere qualora, anche sul
piano letterale, si ritenesse la disposizione di cui all’art. 624 secondo comma
espressione di una regola generale, nel senso che sarebbe reclamabile ogni
197
istanza di sospensione, e non solo di quella prevista dal primo comma della
stessa disposizione.
La dottrina e la giurisprudenza, per altro verso, sembrano orientate a dare
una lettura estensiva del richiamo operato dall’art. 624 ultimo comma al
«terzo comma» della medesima disposizione. Detta norma, si osserva,
commina l’estinzione della procedura esecutiva, per il caso che il
provvedimento di sospensione non sia stato reclamato o sia stato confermato
in sede di reclamo (e, naturalmente, non sia stato introdotto il giudizio di
merito)29. Dal che si deduce che il legislatore avrebbe implicitamente voluto
richiamare anche la regola del reclamo, dal momento che, appunto,
l’estinzione della procedura esecutiva, è subordinata alla conferma della
sospensione in sede di reclamo, ovvero alla mancata proposizione di siffatto
rimedio. Siffatta soluzione estensiva sarebbe, secondo tale seconda
impostazione, preferibile sotto il profilo sistematico, oltre che autorizzata dalla
lettera della legge. Si sarebbe in presenza, pur sempre, di una sospensione
dell’esecuzione disposta dal giudice della procedura medesima; sicché non vi
sarebbe una valida ragione per applicare a fattispecie analoghe regole diverse.
Avverso una simile soluzione, tuttavia, sono astrattamente opponibili
diversi ordini di argomenti. In primo luogo, sul piano letterale, il quarto
comma dell’art. 624 c.p.c., nel dettare le regole della sospensione ex art. 618,
non utilizza una formula ampia del tipo: «le disposizioni di cui al presente
articolo», bensì quella «la disposizione di cui al terzo comma». La norma pare
volere, dunque, limitare le disposizioni applicabili alla sospensione in parola,
e non richiamare in blocco l’intero sistema di regole dell’art. 624 c.p.c.
Il comma che prevede il reclamo, in particolare, non è espressamente
richiamato, di modo che la sua esclusione pare indice di una precisa scelta
legislativa, piuttosto che di una incerta formulazione della norma.
Anche l’espresso riferimento al reclamo, contenuto nel terzo comma
dell’art. 624 c.p.c., potrebbe non risultare, a ben vedere, del tutto dirimente.
29 Cfr., per tutti, ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in MONTESANO – ARIETA,
Trattato di diritto processuale civile, Vol. III, Tomo II, Padova, 2007, I, 2., p.1866 ss.;
LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata
riformata, Torino, 2009, p. 688 ss; PETRILLO, Art. 624 - sospensione per opposizione
all’esecuzione, in BRIGUGLIO - CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile,
Padova, 2007, p. 622 ss.; PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, Vol. IV, Torino,
2010, p. 262. In giurisprudenza v. Trib. Pavia, 23 marzo 2007, in www.ilcaso.it..
198
La regola dell’estinzione, infatti, viene richiamata e trova applicazione alla
sospensione ex art. 618 c.p.c. solamente «in quanto compatibile». La
valutazione sulla «compatibilità», allora, potrebbe avere un significato proprio
in relazione alla mancata previsione del reclamo. Sicché il significato della
norma potrebbe essere: nel caso venga concessa la sospensione ex art. 618
c.p.c. il creditore dovrà necessariamente, per evitare l’estinzione, introdurre il
giudizio di merito, atteso che non può proporre reclamo avverso tale
provvedimento.
Quanto alle ragioni di sistematicità, la lettura restrittiva della disposizione
potrebbe trovare una sua giustificazione teorica nella differente natura e
disciplina dell’opposizione agli atti.
Essa, a ben vedere, ha ad oggetto per lo più contestazioni formali che nella maggior parte dei casi - non dovrebbero richiedere una istruttoria
particolarmente complessa (al contrario dell’opposizione all’esecuzione o di
terzo, nelle quali viene messa in discussione l’esistenza del diritto, la
pignorabilità del bene, ovvero ancora l’appartenenza di quest’ultimo al
debitore); di modo che anche la prognosi sulla fondatezza o infondatezza
dell’opposizione dovrebbe potere essere valutata con un certo grado di
attendibilità anche nella fase cautelare (sia pure nell’ambito di una valutazione
sommaria).
Peraltro la sentenza che decide sull’opposizione agli atti, al contrario di
quella che chiude i giudizi di opposizione ex artt. 61530 e 619 c.p.c., non è
soggetta ad appello. Sicché la dimidiazione dei mezzi di «gravame» nella fase
cautelare troverebbe riscontro speculare nella fase di merito. Nell’opposizione
agli atti si sarebbe sempre in presenza, tanto nella fase cautelare che in quella
di merito, di un provvedimento non impugnabile31 (salva, per quanto concerne
il secondo, stante il suo carattere decisorio, l’esperibilità del ricorso per
cassazione ex art. 111 Cost.).
Va poi ribadito che, concettualmente, la bifasicità dell’opposizione ex art.
617 c.p.c. appare più debole di quella delle opposizioni all’esecuzione e
30 Divenuta inappellabile nel breve interregno tra il 1° marzo 2006 e il 4° luglio 2009.
31 Inimpugnabilità che avrebbe, dunque, in ambedue i provvedimenti il medesimo
fondamento: da un lato muoverebbe dalla natura maggiormente endoprocedimentale
dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., dall’altro avrebbe una sua giustificazione nel carattere
tendenzialmente documentale dell’accertamento.
199
poggia, probabilmente, su premesse dogmatiche almeno in parte diverse.
Nelle opposizioni ex art. 615 e 619 c.p.c. è, in particolare, possibile, anche sul
piano teorico, separare l’esecuzione dal giudizio di accertamento del diritto
che con l’opposizione si introduce32. L’opposizione ex art. 617 c.p.c. ha,
invece, ad oggetto la regolarità formale di un determinato atto
dell’esecuzione; sicché il giudizio di merito non è perfettamente distinguibile
dall’esecuzione stessa. La struttura bifasica dell’opposizione agli atti è, in un
certo senso, lo strumento tutelare l’imparzialità del giudice; per evitare che il
giudice che ha posto in essere o conosciuto un atto irregolare sia poi lo stesso
chiamato a decidere su tale irregolarità. Si rinvia, sul punto, alle
considerazioni sopra svolte, circa le probabili correlazioni tra l’attuale
struttura dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. e il nuovo art. 186 bis disp.att33.
In questa sede è sufficiente osservare che le due opposizioni - alle
esecuzioni e agli atti - pur essendo disciplinate, sotto certi aspetti, in modo
affine, sono tuttora molto diverse sul piano concettuale. Ne deriva che una
differente regolamentazione, anche sotto il profilo della reclamabilità del
provvedimento di sospensione, potrebbe rientrare nei margini di
discrezionalità del legislatore, senza comportare significativi dubbi di
costituzionalità delle norme.
Il differente regime di impugnazione delle sospensioni corrisponderebbe
alle diversità esistenti tra le due opposizioni, diversità che permangono anche
ove è stata data loro una disciplina apparentemente analoga.
In ogni caso resta il problema della reclamabilità degli altri «provvedimenti
indilazionabili» previsti dall’art. 618 c.p.c., e diversi dalla sospensione in
senso stretto. Se si esclude, ovviamente, la reclamabilità del provvedimento di
sospensione ex art. 618 c.p.c. dovrà a maggior ragione escludersi quella
avverso i provvedimenti de quibus.
32 Specialmente qualora si accolgano le premesse di questa indagine, e segnatamente che il
legislatore delle riforme dei 2005-2006 e 2009 si sia collocato nel punto di vista del debitore
che propone l’opposizione (piuttosto che, come il legislatore del 1940, in quella del
creditore procedente), che abbia conseguentemente configurato l’esecuzione, rispetto al
giudizio di opposizione, come un mero fatto giuridico, che abbia, quindi, come ulteriore
corollario elaborato un modello di sospensione - opposizione concettualmente affine a
quello intercorrente tra provvedimento cautelare anticipatorio - giudizio di merito. Si rinvia,
per siffatta ricostruzione, al par. III.4.
33 Par. III.11.
200
Qualora si aderisse alla tesi contraria, maggioritaria, e si ammettesse il
reclamo avverso il provvedimento di sospensione ex art. 618 c.p.c., tuttavia, la
soluzione non sarebbe altrettanto agevole. Ed invero la lettera dell’art. 624
c.p.c. pare limitare espressamente il reclamo ai soli provvedimenti di
sospensione; gli unici che, come detto, possono dar luogo ad estinzione. La
correlazione, che si è ravvisata tra esperibilità del reclamo ed estinzione porta
a preferire la tesi restrittiva, che non sia, cioè, proponibile alcun reclamo
avverso i provvedimenti «indilazionabili» diversi dall’estinzione34.
VIII.5. Il reclamo avverso i provvedimenti di sospensione disposti dal
giudice dell’impugnazione.
Seguendo la sistematica adottata nella presente indagine, sono state
qualificate «sospensioni disposte dal giudice dell’impugnazione» tutte quelle
sospensioni che siano state disposte in seno ad una impugnazione in senso lato
(i.e., nel corso di un giudizio che - abbia o meno natura di impugnazione vera
e propria - sia diretto a mettere in discussione l’esistenza del titolo) da un
giudice diverso da quello dell’esecuzione stessa.
Si è già detto che tutte queste ipotesi di sospensione esulano da almeno
parte delle regole dell’art. 624 c.p.c. Non si ha, nel caso delle sospensioni de
quibus, alcuna stabilizzazione del provvedimento inibitorio, che non potrà
dare luogo ad alcuna estinzione del processo esecutivo, laddove iniziato.
Ancora, in tutte queste ipotesi, il giudizio «di merito» - quello, cioè,
sull’esistenza, lato sensu, del titolo - preesiste al provvedimento inibitorio, il
quale non è un giudizio separato da quello «cautelare». Non vi è, nelle
inibitorie, una fase da trattarsi dinanzi al giudice dell’esecuzione, ma tutto si
svolge davanti al giudice della «impugnazione».
Tanto premesso il codice di rito, in talune fattispecie di inibitoria disposta
dal giudice «dell’impugnazione» (nel senso sopra indicato), aveva
espressamente escluso la reclamabilità dei relativi provvedimenti. È il caso
della sospensione dell’esecuzione provvisoria disposta dall’art. 649 c.p.c., per
il caso di opposizione a decreto ingiuntivo, della sospensione ex art. 669
c.p.c., per l’ipotesi di opposizione allo sfratto dopo la convalida.
34 In tal senso v. Trib. Brindisi, 12 luglio 2006, in Giur. merito, 2006, 12, p. 2673.
201
In ambedue le ipotesi la «non impugnabilità» dell’ordinanza di sospensione
è espressamente prevista dalla legge. Essa discende, probabilmente,
innanzitutto dal carattere sommario del rito, che suggerisce di sacrificare
sull’altare delle garanzie un ulteriore controllo del collegio sul provvedimento
cautelare. Dall’altro esso dipende probabilmente dallo stretto nesso funzionale
che lega la statuizione sull’inibitoria a quella sul merito della causa; di modo
che non deve essere parso conveniente attribuire ad un giudice diverso da
quello della decisione finale il controllo sul provvedimento cautelare.
In altre fattispecie, al contrario, il legislatore aveva originariamente previsto
la esperibilità, avverso il provvedimento inibitorio, di un reclamo.
È il caso dell’inibitoria in appello, oggetto di un recentemente ravvivato
dibattito dottrinario 35.
È noto che il codice di rito, nel testo in vigore dal 1950 fino alla riforma del
1990, disponeva (all'art.351) che sull'istanza inibitoria provvedesse l'istruttore
alla prima udienza, ovvero, nel caso di «giusti motivi di urgenza», il
presidente del collegio36 o il pretore37, anteriormente alla prima udienza.
L'art.357 prevedeva, inoltre, che le ordinanze con le quali l'istruttore avesse
dichiarato a norma dell'art. 350 secondo comma l'inammissibilità o
l'improcedibilità dell'appello ovvero l'estinzione del procedimento d'appello, e
le ordinanze sulla esecuzione provvisoria previste dall'art 351, potessero
essere impugnate con reclamo al collegio nel termine perentorio di dieci
giorni dalla notificazione.
35 BARBIERI, Sospensione della sentenza e ricorribilità contro il provvedimento inibitorio,
in Immobili & diritto, 2007, p. 112 ss.; CAPONI-MERLIN, Sulla reclamabilità delle ordinanze
sulla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c., in Corr. giur., 2005 p.
705 ss.; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, sub art.
283; IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, Milano,
2008, p .19 ss. e 393 ss.; IMPAGNATIELLO, in CIPRIANI -MONTELEONE, La riforma del
processo civile, Padova, 2007, p.171 ss.; ID. Provvisoria esecuzione senza inibitoria? in
Foro it., 2005, p. 547 ss.; PUNZI, Il processo civile, cit., p.222.; SPACCAPELO, Brevi note
sull'inibitoria in appello della sentenza di rigetto dell'opposizione d.i., in Giur. it., 2006, p.
1010 ss.
36 Rispettivamente del tribunale, che decideva in composizione collegiale, in caso di
appello avverso le sentenze del pretore, ovvero della corte di appello, in caso di
impugnazione delle sentenze decise in primo grado dal tribunale.
37 Che a norma dell'art. 341 era competente in caso di appello avverso le sentenze emesse
dal conciliatore e che era organo monocratico.
202
La reclamabilità era innanzitutto – sulla base del dato letterale della norma limitata alle sole ordinanze dell'istruttore e non anche a quelle del pretore; non
erano mancati tuttavia, sia nella prassi applicativa che in dottrina, tentativi di
interpretare estensivamente la disposizione38. Si riteneva, in particolare, che
fosse possibile riproporre dinanzi allo stesso pretore una sorta di istanza di
revoca-reclamo dell'ordinanza precedentemente adottata.
La novella del 1990 riformò profondamente il rito dell'appello,
introducendo (testo del 1990) il principio della collegialità della trattazione in
appello. Nel breve interregno, dunque, compreso tra l'entrata in vigore della
riforma del 1990 (30 aprile 1995) e l'ulteriore riforma introdotta con il d.lgs.
n.51 del 19 febbraio 1998 (2 giugno 1999) gli appelli proposti avverso le
sentenze del giudice di pace e del pretore andavano proposti davanti al
tribunale che decideva in composizione collegiale; gli appelli avverso le
sentenze emesse dal tribunale venivano decisi dalla corte d'appello, anch'essa
in composizione collegiale «piena», senza, cioè, la figura dell'istruttore. Il
pretore, a far data dall'istituzione del giudice di pace, avvenuta con legge n.
399 del 30 luglio 1984, aveva perduto la sua residua funzione di giudice di
appello (avverso le sentenze del conciliatore), attribuitagli dalla previgente
normativa.
Per quel che in questa sede rileva, il risultato di questo articolato restyling
del giudizio di secondo grado fu che (dall'entrata in vigore della legge del
1990 e prima degli ulteriori ritocchi del 1998) la trattazione dell'appello venne
riservata al collegio, mentre scomparve la figura dell'istruttore. Il
provvedimento sull'inibitoria, in particolare, venne attribuito direttamente al
collegio che avrebbe dovuto provvedere nel corso della prima udienza a
decidere sulla sospensione ovvero a confermare, modificare o revocare «con
ordinanza non impugnabile» il decreto precedente emesso dal presidente del
collegio in caso di «giusti motivi di urgenza».
Eliminata la competenza dell'istruttore a decidere sull'inibitoria, e attribuita
siffatta potestà direttamente al collegio (del tribunale o della corte di appello)
38 VELLANI, Appello (dir. proc. civ.), in ANDRIOLI, Commentario, II, p. 488, sosteneva che il
reclamo fosse comunque proponibile al medesimo pretore che aveva emesso il
provvedimento; cfr. anche CARPI - COLESANTI - TARUFFO, Commentario breve al codice di
procedura civile, Padova, 1984, p.498. Si noti sin d'ora che si trattava comunque di una
riproposizione incompatibile con una presunta natura di mezzo di impugnazione.
203
sembrò logico ai compilatori della novella del 1990 abrogare il precedente art.
357. Ed infatti la potestà di decidere sulla sospensione era stata già prima
facie attribuita al collegio, id est all'organo che avrebbe successivamente
deciso il merito della causa39. Non si rendeva pertanto necessario un ulteriore
momento di collegamento tra istruttore – organo che aveva deciso l'inibitoria e
collegio – organo che avrebbe successivamente deciso il merito.
La situazione rimase sostanzialmente immutata con il d.lgs. n.51 del 19
febbraio 1998, entrato in vigore il 2 giugno 1999. Con l'ennesima novella
venne istituito il giudice unico di primo grado. Contestualmente venne anche
abrogato l'art. 48 dell'ordinamento giudiziario (che disciplinava
compiutamente la composizione dell'organo giudicante) e introdotto nel
codice di procedura civile la sezione VI bis (artt. 50 bis ss.) rubricata: della
composizione del tribunale; venne, ancora, introdotta una disciplina organica
del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (capo III
bis, artt. 281 bis ss.) e abrogata la vecchia figura del pretore.
Per quel che in questa sede rileva la novella del 1998 eliminò la riserva di
collegialità – originariamente prevista dal citato art. 48 ord.giud. - per le cause
che il tribunale avrebbe dovuto decidere in grado di appello. Allo stesso tempo
venne novellato l'art. 350 c.p.c., con la previsione che la trattazione dei giudizi
di appello sarebbe stata collegiale davanti alle
davanti al tribunale.
In conseguenza a questo travagliato
dell'abolizione del pretore, dell'introduzione
dell'abrogazione dell'art.48 ord.giud. e della
corti di appello e monocratica
iter normativo (a seguito
degli artt. 50 bis ss. c.p.c.,
novella dell'art. 350 c.p.c.) i
giudizi di appello avverso le sentenze del giudice di pace vengono oggi decisi
dal tribunale in composizione monocratica. Permane, invece, la composizione
collegiale per i procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli artt. 737
ss c.p.c. Con l'ulteriore conseguenza che i reclami avverso i provvedimenti
camerali vengono tuttora trattati dal collegio.
Dal punto di vista della disciplina dell'inibitoria, e della sua (non)
reclamabilità, la novella del 1998 non introdusse cambiamenti significativi,
39 Il che costituisce un'ulteriore riprova del fatto che il potere di inibitoria attribuito al
giudice dell'appello è funzionalmente connesso al potere (recte: ne costituisce una
manifestazione) di decidere la causa nel merito. La scelta del legislatore di abrogare il
reclamo è perfettamente logica, se interpretata in questa chiave.
204
salvo i necessari aggiustamenti linguistici dovuti al fatto che il giudice
dell'appello, contrariamente a quanto accadeva con il codice novellato nel
1990, non era più necessariamente un organo collegiale40. L'organo che
provvedeva sull'inibitoria, in ogni caso, rimaneva lo stesso giudice che
avrebbe deciso sul merito dell'appello. La sola differenza rispetto al testo del
1990 era che – situazione, questa rimasta immutata a tutt'oggi – si sarebbe
potuto trattare anche un giudice unico di tribunale (monocratico sia al
momento della decisione sull'inibitoria che al momento della emissione della
sentenza) e non necessariamente di un organo collegiale (di una collegialità,
comunque, che permaneva sia in fase di provvedimenti sull'inibitoria che nella
successiva fase di trattazione della causa e di decisione).
Questa breve indagine storica consente di trarre alcune importanti
conclusioni. Il reclamo al collegio, previsto dal codice di rito fino alla riforma
del 1990, avverso il provvedimento dell'istruttore (o del presidente del
collegio) che aveva deciso sull'inibitoria non costituiva un mezzo di
impugnazione in senso proprio; esso era piuttosto lo strumento con il quale si
richiedeva un controllo, da parte dell'organo (collegiale) demandato della
decisione della causa, sui provvedimenti adottati dal suo componente.
Tale controllo era stato, invece, escluso, verosimilmente per via della
sommarietà del rito, nelle ipotesi di sospensioni ex art. 649 e 668 c.p.c., sopra
richiamate. In ogni caso la ratio che aveva indotto ad introdurre la
sospensione nell’un caso era la stessa che ne aveva consentito l’esclusione
negli altri. Non di un mezzo di impugnazione si trattava, ma di un raccordo tra
istruttore e collegio, di modo che la garanzia del reclamo poteva essere
esclusa in forza della sommarietà del rito.
Si rinvia, per ogni altra considerazione, al paragrafo introduttivo del
presente capitolo.
Conseguenza di quanto si è detto è che proprio perché il reclamo avverso i
provvedimenti ordinatori non costituisce mezzo di impugnazione, ma
40 Si rese necessario esclusivamente prevedere: che competente a decidere sull'istanza
inibitoria fosse «il giudice» genericamente inteso e non «il collegio»; che, in caso di
urgenza, il decreto di comparizione delle parti in camera di consiglio fosse emesso «dal
presidente del collegio» o dal «tribunale» (e non necessariamente dal presidente del
collegio); che, appunto, la camera di consiglio si sarebbe potuta svolgesse davanti al
collegio o davanti al tribunale in composizione monocratica («davanti a sé»).
205
piuttosto manifestazione della riespansione del principio di collegialità, esso è
concettualmente incompatibile con la trattazione della causa dinnanzi al
giudice unico (e non dinnanzi al giudice istruttore di un tribunale in
composizione collegiale). Coerentemente, infatti, il legislatore del 1998 aveva
escluso la reclamabilità dei provvedimenti sull'inibitoria emessi dal giudice
unico, anche quando questi agiva come giudice dell'appello 41.
In maniera del tutto speculare dovrebbe concludersi che il reclamo sia
altrettanto incompatibile con il vigente sistema processuale, che prevede – nel
rito davanti alla corte di appello - una collegialità piena durante tutta la fase
della trattazione – e non limitatamente alla fase della decisione, come
avveniva anteriormente al 1990 42.
Le superiori premesse consentono di superare le obiezioni dottrinarie che
ritengono applicabile estensivamente il reclamo di cui all'art. 669 terdecies
c.p.c. al provvedimento sull'inibitoria adottato dalla corte di appello o dal
tribunale in sede di giudizio di secondo grado 43.
Va innanzitutto considerato che la giurisprudenza pressoché unanime,
successivamente all'abrogazione dell'art. 357 c.p.c. ha sempre correttamente
escluso la reclamabilità dell'ordinanza sull'inibitoria, come pure la sua
41 Esclusione, questa, che non avrebbe alcuna ragion d'essere se il reclamo avesse avuto,
invece, natura di mezzo di impugnazione in senso proprio. La soluzione del legislatore
sembrerebbe quindi escludere la correttezza della soluzione sopra richiamata – invalsa nella
prassi formatasi anteriormente alla riforma del 1990, con riferimento ai giudizi di appello
trattati dinanzi al pretore – della proponibilità del reclamo dinanzi allo stesso giudice (unico
o collegiale) che si era pronunciato sull'inibitoria.
42 L'organo che decide l'inibitoria e, dunque, già in prima battuta quello deputato a decidere
il merito della causa. È questa, infatti, come si è visto, la scelta adottata dal legislatore nel
1990 e ribadita nel 1998.
43 Cfr. BARBIERI, Sospensione della sentenza., cit., p. 112 ss.; CAPONI-MERLIN, Sulla
reclamabilità delle ordinanze., cit., ibidem; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile
commentato, cit. ibidem; IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel
processo civile, cit., p. 393 ss; ID., La riforma del processo civile, cit. p.178 ss.; PUNZI, Il
processo civile, cit., p.222; SPACCAPELO, Brevi note sull'inibitoria in appello della sentenza
di rigetto dell'opposizione d.i., in Giur. it., 2006, p. 1010 ss.
206
impugnabilità per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost.44 . Avverso tale
orientamento giurisprudenziale è stato obiettato: che il provvedimento
sull'inibitoria, adottato dal giudice del gravame, avrebbe natura «latamente
cautelare» - circostanza, questa, riconosciuta dalla stessa giurisprudenza 45;
che avverso il provvedimento di sospensione del processo esecutivo sarebbe
esperibile, giusto il novellato disposto di cui all'art. 624 c.p.c., il reclamo ex
art. 669 terdecies; che, per converso, tanto le ordinanze che decidono sulla
inibitoria della sentenza impugnata, tanto quelle emesse dal giudice
dell'esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c. sarebbero sostanzialmente analoghe
sotto il profilo strutturale e funzionale, avendo in particolare entrambe lo
scopo di «mediare tra le contrapposte ragioni delle parti in relazione all'inizio
o alla prosecuzione dell'attività esecutiva»46 .
L'assunto pare non considerare che il potere di decidere sull'inibitoria
costituisce, come detto, una estrinsecazione del potere del giudice del giudice
dell'appello di decidere sul merito del gravame; analogamente il reclamo
originariamente previsto dal legislatore avverso l'ordinanza che decideva
sull'inibitoria – al contrario del reclamo previsto dall'art. 624 c.p.c. - non
aveva natura di mezzo di impugnazione ma, come si è detto, costituiva la
logica conseguenza della collegialità con istruttore prevista dal codice del
1940. Da un lato, insomma, veniva attribuito al giudice competente a decidere
il merito dell'appello il potere di sospendere l'efficacia esecutiva della
sentenza impugnata; dall'altro questo stretto collegamento funzionale veniva
ulteriormente rafforzato assicurando che l'organo deputato a pronunziarsi – in
44 Cass. 25 febbraio 2005 n. 4060, sul rilievo che si tratterebbe «di provvedimento
endoprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, destinato ad essere
assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena che definisce il giudizio,
dovendosi peraltro estendere a questa ordinanza il disposto di cui all'ultimo comma del
citato art. 351, che esclude espressamente l'impugnabilità del provvedimento collegiale di
conferma, revoca o modifica del decreto con il quale il Presidente abbia concesso in via di
urgenza l'inibitoria prima dell'udienza di comparizione, così come l'art. 431, c.p.c., con
riferimento alle sentenze di condanna a favore del datore di lavoro, nel richiamare l'art. 283
c.p.c. stabilisce che l'ordinanza concessiva dell'inibitoria non è impugnabile»; App. Catania,
10 novembre 2003 (ord.) in Giur. merito, 2004, 2, I; App. Palermo, 5 agosto 1999.
45 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile., cit., p. 404
ss; ID., La riforma del processo civile, cit. p.178 ss.
46 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, Milano,
2008, ibidem; ID. ,La riforma del processo civile, cit., ibidem.
207
ultima battuta – sull'inibitoria avesse la stessa composizione che avrebbe
assunto al momento della decisione del merito.
Del resto, si aggiunga, non sembra opportuno incastonare un giudizio di
impugnazione (sulla sussistenza dei presupposti dell'inibitoria) all'interno di
un altro giudizio di impugnazione (sulla sussistenza dei presupposti
dell'appello). Innanzitutto per evidenti ragioni di ordine funzionale. Il
reclamo, infatti, ai sensi dell'art. 669 terdecies, dovrebbe essere proposto
davanti a un'altra sezione della corte di appello o, in mancanza, alla corte
d'appello più vicina. Orbene, atteso che il giudizio sui presupposti
dell'inibitoria altro non è, come si è visto, che un giudizio sulla fondatezza
prima facie dell'appello (fumus boni iuris e periculum in mora) ammettendo la
reclamabilità dell'ordinanza ex art. 283 c.p.c. si verrebbe a creare una
duplicazione di giudizi, che avrebbero entrambi il medesimo oggetto (con la
sola differenza che gli effetti del provvedimento sul reclamo sarebbero
destinati a cadere una volta emessa la sentenza di merito). Va ancora
considerato che la decisione sull'inibitoria interviene in una fase in cui vi è già
stato un accertamento pieno del diritto, a cognizione piena, da parte di un
giudice di primo grado e deve ancora pronunciato un secondo giudizio da
parte del giudice del gravame47 . L'introduzione – in assenza di univoche
disposizioni in tal senso - di un ulteriore grado di giudizio sulla fondatezza
dell'inibitoria (id est: sul fumus di fondatezza dell'appello, su cui l'inibitoria si
fonda) costituirebbe probabilmente un'inutile ipertrofia della tutela, non
necessaria né opportuna, tenuto anche conto dei ben prevedibili disagi e
aporie che si verrebbero a creare nel sistema48.
Dal punto di vista sistematico, del resto, l'esame dell'inibitoria in fase di
appello è, come detto, strettamente connesso all'esame del merito del
gravame49, circostanza, questa, che lo rende di per sé indissolubilmente
collegato al giudice che il merito della causa dovrà decidere. Andando di
47 CAPONI-MERLIN, Sulla reclamabilità delle ordinanze., cit., p. 705 ss.; CONSOLO-LUISO,
Codice di procedura civile commentato, cit. ibidem.
48 A tacer d'altro i fascicoli di causa dovrebbero viaggiare da una sezione all'altra o, peggio,
da un distretto di corte di appello all'altro, nell'ipotesi – tutt'altro che infrequente – che nel
distretto di corte di appello vi sia un'unica sezione civile.
49 Tant'è che, come si è detto, ai sensi dell'art 283 c.p.c. l'istanza di sospensione deve essere
proposta «con l'impugnazione principale o con quella incidentale».
208
contrario avviso, invece, e ammettendo la reclamabilità del provvedimento
sulla sospensione adottato in sede di appello, ci si verrebbe a trovare in
presenza di un giudice del reclamo la cui cognizione sarebbe del tutto
svincolata dal potere di decidere il merito della causa (ma dovrebbe arrestarsi
al controllo sommario sulla fondatezza del gravame). Con l'ennesima aporia
che tale giudice – almeno nel caso di reclamo avverso ordinanza inibitoria
pronunciata dalla corte di appello – non avrebbe mai – neppure nell'eventuale,
ulteriore (terzo) grado di giudizio – il potere di decidere sul merito della
causa50.
In caso di reclamo avverso il provvedimento cautelare deciso in sede di
opposizione all'esecuzione (ma un discorso analogo potrebbe essere fatto
anche in caso di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.), viceversa, specialmente
a seguito della novella del 2005, tale connessione funzionale tra decisione del
merito e decisione della sospensione non sussiste. Ed infatti il vigente codice
prevede una netta divisione tra giudizio sul c.d. merito cautelare, riservato al
giudice dell'esecuzione, e giudizio, eventuale e successivo, sul merito
dell'opposizione di competenza del giudice dell'opposizione51.
Si aggiunga ancora che la sospensione dell'esecuzione disposta in caso di
opposizione ha conseguenze tendenzialmente definitive, in grado di incidere
su diritti soggettivi, e non ordinatorie ed interinali52 ; e ciò diversamente
dall'inibitoria in fase di gravame, i cui effetti sono transitori e destinati a
cessare o ad essere assorbiti dalla sentenza di appello.
Le distinzioni sopra evidenziate consentono, probabilmente, di superare
anche il sospetto di incostituzionalità dell'art. 351 c.p.c., intravisto da taluni
50 Al contrario di quanto avviene, ad esempio, nel processo amministrativo, ove il
provvedimento del TAR che decide sulla sospensiva, ai sensi della legge n. 1034/1971 come
modificata dalla legge n. 205/2000, è impugnabile dinnanzi al Consiglio di Stato che è
l'organo competente a decidere, nell'ulteriore grado di giudizio, anche il merito della causa.
E ciò, naturalmente, anche a non tenere conto delle differenze sostanziali esistenti tra
processo civile e processo amministrativo e dell'ulteriore considerazione che il TAR decide
sulla sospensiva in prima istanza (e non in sede di gravame) e prima ancora che vi sia stata
qualsivoglia statuizione sul merito.
51 Cfr. gli artt. 615 ss. c.p.c.
Non fosse altro per la criptica previsione dell'art. 624 c.p.c. che fa derivare la
conseguenza della estinzione del pignoramento.
52
209
autori53 in relazione al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della
costituzione. Non pare, al riguardo, che nel caso di specie ad essere
diversamente trattate siano situazioni eguali o anche soltanto assimilabili54 ,
tenuto conto delle differenti impostazioni concettuali e sostanziali esistenti tra
i differenti tipi di «reclami».
Per quanto riguarda il provvedimento di sospensione in caso di ricorso per
Cassazione la questione è leggermente diversa. Si è visto che l’art. 373 c.p.c.
fu oggetto di una sostanziale modifica con la riforma del 1950. Nel suo testo
originario la norma prevedeva che l’istanza inibitoria dovesse essere proposta
dinanzi alla Corte di Cassazione stessa55, che avrebbe deciso in camera di
consiglio. Coerentemente, per le medesime ragioni illustrate a proposito
dell’appello, la legge non prevedeva alcuna forma di reclamo: l’inibitoria era,
per un verso, disposta dallo stesso giudice che avrebbe dovuto decidere il
grado di giudizio, organo che, per altro verso, manteneva la sua forma
collegiale in ambedue le fasi.
La riforma del 1950 modificò la norma in questione, prevedendo che il
provvedimento inibitorio sarebbe stato pronunciato dalgiudice che aveva
emesso la sentenza impugnata. Nell’introdurre questa modifica, tuttavia,
precisò espressamente che tale provvedimento non sarebbe stato impugnabile.
Il che è coerente, a ben vedere, con la concezione del reclamo sopra
evidenziata: non vi era, in questo caso, alcuna collegialità spuria che attraverso il rimedio del reclamo - avrebbe dovuto riespandersi.
53 E, trahit sua quemque voluptas, rimbalzato immediatamente in reiterate eccezioni di
incostituzionalità proposte dalle parti nella prassi processuale.
54 App. Palermo, 5 agosto 1999, inedita, che ha evidenziato come i due provvedimenti
«quello di cui all'art. 351 e l'ordinanza di cui all'art. 624 c.p.c. hanno una diversa funzione,
l'ordinanza di cui all'art. 624 c.p.c. incidendo sull'intero processo esecutivo, a differenza del
provvedimento del giudice dell'appello che, invece, quale rimedio interno al processo di
cognizione, riguarda l'esecutorietà della decisione impugnata (sentenza di primo grado) ed
interviene eccezionalmente e in via sommaria su una situazione giuridica oggetto di
accertamento giurisdizionale già completo perché frutto, per l'appunto, di una sentenza resa
all'esito di un procedimento a cognizione piena; (...) pertanto non è ravvisabile
un'ingiustificata disparità di trattamento, trattandosi di due situazioni sostanzialmente
diverse e perciò, a ragione, diversamente disciplinate (...) la disciplina dettata dall'art. 351
c.p.c. appare, pertanto, in linea con il principio della ragionevole durata del processo (art.
111 cost.), atteso il rischio, opportunamente sottolineato da taluno (v. App. Bari, ord. 11
settembre 2006), in caso di reclamabilità del provvedimento che provvede sull'inibitoria, di
un'eccessiva frammentazione del processo e di una conseguente dilatazione dei suoi tempi».
55 Par. IV.3.
210
La regola della espressa non reclamabilità, si aggiunga, è rimasta anche
nell’attuale formulazione normativa ed è applicabile, giusta i richiami ex artt.
401 e 407 c.p.c., alle ipotesi di revocazione ed opposizione di terzo.
VIII.6. Il «reclamo» in caso di opposizione a precetto.
Nell’affrontare ex professo la tematica della sospensione dell’esecuzione
(recte: «dell’efficacia esecutiva del titolo») in caso di opposizione ex art. 615
comma primo c.p.c. si è dato conto delle ragioni di ordine sistematico, che ci
hanno portato a trattare l’argomento in questione tra le sospensioni disposte
dal «giudice dell’impugnazione», e non in uno a quella ex art. 615 comma
primo c.p.c.
Si è, altresì, segnalato che, a seguito della introduzione espressa, ad opera
della riforma del 2005, della sospensione in parola, le problematiche
applicative principali attengono, essenzialmente, tre aspetti. In primo luogo, ci
si interroga sulla applicabilità del regime di cui all’art. 624 c.p.c., ed in
particolare della regola dell’estinzione di cui al secondo comma, e se esso sia
compatibile con la sospensione disposta in sede di opposizione a precetto. In
secondo luogo viene in rilievo la questione del limite temporale di siffatta
tutela inibitoria, se essa sia utilizzabile anche dopo che l’esecuzione sia già
iniziata, ovvero se occorra, in tal caso, proporre anche opposizione
all’esecuzione e rivolgere l’istanza al giudice della procedura stessa. Di
ambedue le questioni si è parlato diffusamente trattando della sospensione in
parola, argomento al quale si rinvia56.
La terza questione riguarda la reclamabilità del provvedimento di
sospensione disposto dal giudice dell’opposizione a precetto.
Trattando, ai paragrafi precedenti, la fattispecie delle inibitorie in sede di
impugnazione, non si è nascosto un certo sfavor verso le interpretazioni
estensive. Si è detto che la reclamabilità del provvedimento cautelare può
trovare una sua giustificazione concettuale nella ideale divisione
dell’opposizione ex art. 615 comma secondo c.p.c. in giudizio cautelare e
giudizio di merito. Nel caso dell’opposizione all’esecuzione iniziata si è in
presenza di un provvedimento cautelare, che viene emesso da un giudice -
56 Supra, par. IV.9.
211
quello dell’esecuzione stessa - diverso da quello che dovrà decidere il merito
della lite. Nella fattispecie di cui all’art. 615 comma secondo si ha una fase
cautelare, che si svolge davanti al giudice dell’esecuzione e che costituisce,
sotto certi aspetti, una specifica fase della procedura stessa. La fase del merito
si svolge, invece, dinanzi ad un giudice diverso, che dovrà poi decidere sulla
fondatezza o meno dell’opposizione (e dunque: sull’esistenza del diritto, sulla
pignorabilità del bene, ovvero, nel caso di opposizione di terzo, sulla sua
appartenenza al debitore). Da una parte c’è il giudice dell’esecuzione, il cui
sindacato è limitato all’esistenza dei gravi motivi, dall’altra il giudice del
merito, che dovrà dirimere la lite sull’esistenza del diritto.
Sotto altro profilo, poi, la configurabilità del reclamo in caso di opposizione
all’esecuzione «già iniziata» è, probabilmente, strettamente correlata agli
effetti lato sensu «anticipatori» del provvedimento di sospensione. Secondo la
strategia legislativa seguita nel 2005-2009 il provvedimento di sospensione
potrebbe definire l’opposizione e l’esecuzione, dal momento che, se nessuno
introduce il giudizio di merito, la procedura esecutiva dovrà essere dichiarata
estinta, anche d’ufficio. L’esperibilità del reclamo, probabilmente, costituisce
il contrappeso alla stabilità potenziale del provvedimento di sospensione, il
quale - ben potendo determinare la chiusura tanto dell’opposizione quanto
dell’esecuzione stessa - è stato ragionevolmente assoggettato ad uno specifico
mezzo di controllo, se non proprio di impugnazione.
L’opportunità di un reclamo avverso il provvedimento di sospensione - la
necessità, dunque, che detta ordinanza sia oggetto di revisione - trova,
pertanto, un duplice fondamento ideologico. Da un lato, come detto, la
potenziale stabilità del provvedimento medesimo, che potrebbe chiudere non
solo l’opposizione e la stessa procedura esecutiva; dall’altro l’autonomia del
subprocedimento di sospensione rispetto al giudizio di merito, che deve
ancora iniziare. Il giudice chiamato a decidere sulla sospensione, come si
diceva, è diverso da quello che dovrà decidere la lite.
Ambedue i presupposti mancano nel caso dell’opposizione a precetto. Da
un lato si è, infatti, in presenza di un procedimento complessivamente unitario
(e non bifasico), mentre dall’altro al provvedimento inibitorio non possono far
seguito gli effetti estintivi dell’esecuzione.
212
Sotto altro profilo, riteniamo, analogamente a quanto detto a proposito
dell’inibitoria in appello, che il potere del giudice dell’opposizione a precetto
di sospendere l’esecuzione sia intrinsecamente connesso con il suo potere di
decidere la lite. Un reclamo sarebbe, pertanto, teoricamente configurabile solo
nel caso di opposizione a precetto proposta dinanzi ad un giudice collegiale,
con provvedimento di sospensione demandato al giudice istruttore. Si
tratterebbe, tuttavia, non del reclamo previsto dall’art. 624 c.p.c., ma di uno
strumento affine a quello di cui all’art. 178 c.p.c., di controllo, dunque, da
parte del collegio, sui provvedimenti adottati dal giudice singolo.
Anche su un piano letterale il reclamo previsto dall’art. 624 c.p.c. sembra
essere riferito alla sola sospensione disposta quando l’esecuzione è iniziata. È
stato, al riguardo, affermato che l'art. 624 c.p.c., nel disciplinare la
sospensione dell’esecuzione in caso di opposizione ex art. 615 c.p.c., parrebbe
fare riferimento alle sole ordinanze di sospensione emesse dal «giudice
dell'esecuzione». Conseguentemente anche il reclamo disciplinato dal comma
secondo sembra fare riferimento alle sole ipotesi di ordinanze di sospensione
emesse nell'ambito di opposizione all'esecuzione di cui al comma secondo
dell’art. 615c.p.c., dal momento che un «giudice dell'esecuzione» non vi è
ancora quando si propone l'opposizione al precetto. Dunque non sarebbe
soggetta a reclamo ex art. 624 c.p.c. la sospensione dell’efficacia esecutiva del
titolo disposta dal giudice dell’opposizione a precetto57.
Un volta esclusa l’applicabilità della norma speciale, la giurisprudenza si è
chiesta se possa trovare applicazione il reclamo generale ex art. 669 terdecies
c.p.c., considerato, oltretutto, che continua ad affermarsi la natura cautelare
del provvedimento inibitorio. Anche in questo caso è stata data risposta
negativa al quesito, sul rilievo che troverebbe piena applicazione la
regolamentazione imposta dall'art. 669 quaterdecies c.p.c., ai sensi del quale
l'applicazione del regime cautelare uniforme (ivi compreso il meccanismo di
reclamo) è espressamente limitato ai provvedimenti previsti nelle sezioni II,
III e V del capo III del Libro IV del codice di procedura58.
57 Trib. Milano, 28 maggio 2008, in Riv. Esec. Forzata, 2009, p.2 nota di PUCCIARIELLO;
Trib. Milano, 5 ottobre 2006 in Giur. it., 2007, 5, p. 1214 con nota di CONTE.
58 Trib. Milano, 28 maggio 2008, cit.
213
Avverso tali considerazioni, tuttavia, è stato osservato che il primo comma
dell’art.624 c.p.c., nella sua vigente formulazione, richiama l’intero art. 615 e
non solo, come in passato, il comma secondo. Di modo che emergerebbe una
esplicita volontà del legislatore di dettare una disciplina unitaria della
sospensione nel suo complesso (ivi compreso, dunque, il reclamo). Negare
l’applicabilità del reclamo, sotto tale profilo, significherebbe svuotare di
significato la novella del primo comma dell’art. 624 c.p.c.: se il legislatore ha
voluto espressamente eliminare il riferimento al solo «comma secondo»
dell’art. 615, e richiamare l’intera disciplina dell’opposizione all’esecuzione
nel suo complesso, tale scelta non può che avere un significato ben preciso 59.
Se si accoglie la tesi dell’ammissibilità del reclamo, però, sorgono
immancabilmente dei problemi di coordinamento, correlati alla difficoltà di
individuare - in talune fattispecie - il giudice competente.
L’opposizione a precetto, infatti, va proposta, come noto, al giudice
competente per materia, valore e territorio; conseguentemente detto giudice
potrebbe ben essere il giudice di pace o un organo necessariamente collegiale,
come una sezione specializzata agraria o la sezione specializzata sulla
proprietà industriale60.
Nessuno dei predetti casi, però, è contemplato dal reclamo ex art. 669
terdecies c.p.c., sicché - a meno che non si escluda in radice, per come sopra
sostenuto, la proponibilità del reclamo - risulta quanto mai complicato
individuare il giudice competente. Sul punto sarebbe quanto mai opportuno un
intervento del legislatore.
59 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, vol. II, V. ed., cit., p. 291; ID., Art.
615, 624, 624 bis, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.438,
ove si segnala che escludere la reclamabilità dell’ordinanza in questione esporrebbe la
norma ad un sospetto di incostituzionalità ex artt. 3 e 24 Cost.; lo stesso provvedimento,
infatti, pur essendo basato su identici presupposti, sarebbe reclamabile se emesso
successivamente all’inizio dell’esecuzione forzata, irreclamabile nel caso contrario. Conf.
PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, cit., p. 262. Per una disamina cfr.
LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, cit., p. 691.
60 Per la configurabilità delle sezioni sulla proprietà industriale quali sezioni specializzate
in senso proprio, analogamente a quelle agrarie, cfr. Trib. Milano 13 luglio 2006; Trib.
Milano, 3 giugno 2004 in Giur. dir. ind., 2005, p.349; Cass. 9 novembre 2006, n. 23891;
Cass. sez. un. 16 luglio 2008, n. 19512; in dottrina cfr. per una disamina: CASABURI, Il
giudice della proprietà industriale (ed intellettuale). Sezioni specializzate: competenza e rito
dal d.leg. n. 168 del 2003 al codice, in Riv. dir. ind., 2005, I, p.201.
214
Sulla base del diritto positivo, il reclamo avverso i provvedimenti del
giudice di pace potrebbe essere proposto al tribunale, analogamente a quanto
accadeva, giusta la previgente formulazione dell’art. 669 terdecies61, per i
provvedimenti del pretore.
Per quanto riguarda, invece, i provvedimenti delle sezioni specializzate
potrebbe essere applicato, in via analogica, quanto previsto per il caso di
provvedimento cautelare emesso dalla corte di appello. Il reclamo,
segnatamente, potrebbe essere proposto dinanzi ad altra sezione dello stesso
tribunale o, più probabilmente, trattandosi di sezioni specializzate, davanti alla
sezione specializzata più vicina.
In alternativa potrebbe trovare applicazione, sempre in via analogica, il
disposto dell’art. 739 c.p.c., secondo cui contro i provvedimenti pronunciati
dal tribunale in camera di consiglio può essere proposto reclamo alla corte di
appello.
Tutte le soluzioni sopra proposte, va detto, sono assolutamente praeter
legem, se non proprio contra legem. Esse, peraltro, comporterebbero
probabilmente complicazioni eccessive, atteso che - analogamente a quanto si
è detto in materia di inibitoria in appello - darebbero luogo ad una
duplicazione dei giudizi: l’uno sul merito cautelare ed uno sul merito
dell’opposizione. Si realizzerebbe, dunque, anche nell’opposizione a precetto
una marcata separazione delle fasi, analoga a quella prevista nel caso di
opposizione all’esecuzione già iniziata. Solo che nella fattispecie la
distinzione delle due fasi non sarebbe del tutto giustificata sul piano
concettuale, posto che non vi è, nell’opposizione a precetto, una fase dinanzi
al giudice dell’esecuzione, ma tutto si svolge davanti al giudice chiamato a
decidere il merito dell’opposizione medesima 62.
61 Anteriormente alla modifica con art. 108 del d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51, recante
l’istituzione del giudice unico.
62 Anche il sospetto di incostituzionalità della norma, sotto il profilo della differente
regolamentazione di fattispecie analoghe - sospensione in caso di opposizione a precetto e
all’esecuzione iniziata - potrebbe essere superato sulla sua linea di minore resistenza. Non si
sarebbe in presenza di fattispecie omologhe, atteso che solo la sospensione in caso di
opposizione all’esecuzione iniziata darebbe luogo, come detto, a quegli effetti
tendenzialmente stabili e latamente anticipatori (i.e., possibile estinzione dell’esecuzione),
che hanno giustificato l’introduzione del reclamo.
215
Peraltro una disciplina del reclamo come quella sopra proposta
accosterebbe tale rimedio ai mezzi di impugnazione in senso proprio63,
conseguenza, questa, non del tutto giustificabile (tenuto conto che, ripetesi, la
sospensione del giudice dell’opposizione a precetto è, probabilmente,
funzionalmente connessa al potere del giudice medesimo di decidere la lite).
L’impasse di disciplina, anzi, costituisce probabilmente un ulteriore
argomento per escludere la reclamabilità dell’ordinanza di sospensione in caso
di opposizione a precetto.
63 V. supra, par. VIII.1.
216
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