UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - XXII CICLO Federico Russo LA SOSPENSIONE DELL'ESECUZIONE Tesi di dottorato Coordinatore: Chiar.mo prof. Lucio Lanfranchi Tutor: Chiar.mo prof. Girolamo Bongiorno i LA SOSPENSIONE DELL'ESECUZIONE I. Nascita e storia di un (niente affatto scontato) «istituto» ....................6 I.1. Introduzione ............................................................................................6 I.2. La sospensione dell'esecuzione nel codice Pisanelli del 1865 ................8 I.3. La sospensione dell'esecuzione nei progetti di riforma al codice di procedura civile del 1865 ................................................................................10 I.4. I Progetti Catucci del 1867, e Conforti, del 1870. ................................13 I.5. I Progetti Cocco Ortu del 1902, Ronchetti del 1904, Orlando del 1909 .........................................................................................................................15 I.6. Il dopoguerra, il Progetto Chiovenda del 1920 e il Progetto Mortara del 1923. ................................................................................................................18 I.7. Il Progetto della «Sottocommissione C» e il Progetto Carnelutti del 1926 .................................................................................................................23 I.8. I due Progetti Solmi del 1937 e del 1939 .............................................28 I.9. Le codificazioni dell’epoca fascista (qualche breve cenno) .................33 I.10. La sospensione dell'esecuzione nell'originaria previsione del codice di procedura civile del 1940 ................................................................................38 II. Sulla «sospensione» (o sulle «sospensioni») in generale e sulle sospensioni dell’esecuzione in particolare. ..................................................41 III. La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione (art. 624 c.p.c.). .........................................................................................................................47 III.1. Considerazioni introduttive. ...............................................................47 III.2. Sul concetto di opposizione in generale .............................................50 ii III.3. Sull’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e sull’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. in particolare (cenni). ..............................................53 III.4. La concezione e la prospettiva della sospensione ex art. 624 c.p.c. per i casi di opposizione ex art. 615 e 619 c.p.c.: verso un modello cautelare anticipatorio? ...................................................................................................65 III.5. Le riforme del 2005 - 2006 e del 2009: la disciplina e le problematiche specifiche. ................................................................................70 III.6. I presupposti per la concessione della sospensione ex art. 624 c.p.c.: i gravi motivi ......................................................................................................76 III.7. L’eventuale «cauzione» ......................................................................79 III.8. La sospensione «parziale». .................................................................81 III.9. L’estinzione a seguito della stabilizzazione del provvedimento di sospensione. .....................................................................................................82 III.10. La sospensione in caso di opposizione a precetto (rinvio). ..............84 III.11. La sospensione in caso di opposizione agli atti esecutivi (artt. 617, 618 e 624 c.p.c.) ...............................................................................................84 IV. La sospensione disposta dal giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo. ...............................................................................................................93 IV.1. In generale: quale disciplina? .............................................................93 IV.2. La sospensione disposta dal giudice dell’appello ex artt. 283 e 351 c.p.c. (le c.d. «inibitorie processuali»). .........................................................108 IV.3. La sospensione disposta dal giudice che ha pronunciato la sentenza, in caso di ricorso per cassazione (art. 373 c.p.c.). .............................................119 IV.4. La sospensione disposta dal giudice che ha pronunciato la sentenza, nelle ipotesi di revocazione e opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (art. 401 e 407 c.p.c.). .....................................................................................................124 iii IV.5. La sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo (art. 649). ...............................................................................................................126 IV.6. La sospensione dell'ordinanza di convalida di licenza o di sfratto (art. 668); ...............................................................................................................130 IV.7. La sospensione dell'esecuzione del lodo in pendenza dell'impugnazione di nullità (art. 830). .........................................................131 IV.8. La sospensione dell'esecuzione nei giudizi cambiari di cognizione o di opposizione a precetto di pagamento di cambiale (art. 65 R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669), di assegno (art. 56 R.D.L. 21 dicembre 1933, n. 1736) e di certificato di credito (art. 44 e 45 R.D. n. 272/1913). ....................................132 IV.9. La sospensione dell'esecuzione in caso di opposizione a precetto ex art. 615 comma primo c.p.c. ..........................................................................134 V. La sospensione concordata tra le parti (art. 624 bis c.p.c.). ............141 VI. Le sospensioni «diverse» (i: nel codice di procedura civile) .........146 VI.1. In generale ........................................................................................146 VI.2. La sospensione in caso di divisione (art. 601 c.p.c.) ........................147 VI.3. La «sospensione» in caso di giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo (artt. 548 e 549 c.p.c.) ...........................................................................148 VI.4. La sospensione (o «le sospensioni») in caso di controversie in sede di approvazione del progetto di distribuzione (art. 512 c.p.c.) ..........................149 VII. Le sospensioni «diverse» (ii: nelle leggi speciali e nell’elaborazione giurisprudenziale) .......................................................................................152 VII.1. La sospensione in materia previdenziale e assistenziale ex d.l. 112 del 25 giugno 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008. 152 VII.2. La sospensione ex art. 20 lege 44 del 23 febbraio 1999 .................154 iv VII.3. Lo strano caso della «sospensione» dell’esecuzione in caso di sequestro ex lege n. 575 del 31 maggio 1965, alla luce delle recenti riforme e della giurisprudenza, tra profili processuali ed occasioni mancate . .............162 VII.4. La sospensione delle esecuzioni dei concessionari e l'estinzione dei crediti per confusione ....................................................................................176 VIII. I «reclami» avverso i provvedimenti di sospensione dell’esecuzione. ............................................................................................182 VIII.1. Sul concetto di reclamo e sul suo utilizzo (ipertrofico) nella legislazione vigente. ......................................................................................182 VIII.2. Il reclamo ex art. 624 c.p.c. ...........................................................190 VIII.3. Il reclamo avverso il «provvedimento di cui all’art. 512, secondo comma» c.p.c. ................................................................................................195 VIII.4. Il reclamo avverso i provvedimenti di sospensione emessi in sede di opposizione ex art. 617 c.p.c. ........................................................................196 VIII.5. Il reclamo avverso i provvedimenti di sospensione disposti dal giudice dell’impugnazione. ...........................................................................201 VIII.6. Il «reclamo» in caso di opposizione a precetto. ............................211 Bibliografia ...............................................................................................217 v I. Nascita e storia di un (niente affatto scontato) «istituto» I.1. Introduzione L'entrata in vigore, alla data del 4 luglio 2009, della legge n. 69 del 18 giugno 2009, costituisce – o almeno, secondo le intenzioni del legislatore, dovrebbe costituire – il punto (più o meno interinale) di arrivo di un complicato percorso evolutivo, iniziato all'indomani dell'Unità d'Italia, con l'emanazione del codice Pisanelli. Trait d'union – ed al tempo stesso – ragion d'essere di questo travagliato percorso è la concezione stessa del processo esecutivo (e, prima ancora del processo) e le funzioni cui esso deve svolgere, in un moderno sistema normativo al fine della realizzazione della tutela dei diritti. È stato sostenuto da alcuni autori che la transizione dall'originario codice del 1865 al codice attuale sia da imputare, forse, più a ragioni storico ideologiche1 – su quale fosse, cioè, la concezione da dare, nella tipologia di 1 CIPRIANI, Storie di processualisti e di Oligarchi, 1991, Milano, p.63 ss., ed in part. nt.48; ID, Prefazione a JUAN MONTERO AROCA, I principi politici del nuovo processo civile spagnolo, Napoli, 2002, p. 1 ss.; ID., Autoritarismo e garantismo nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1994, p.24 ss.; ID. il codice di procedura civile tra gerarchi e e processualisti, Napoli, 1992, p.13 ss e p. 38-52; ID., La ribellione degli avvocati al c.p.c. del 1942 e il silenzio del Consiglio Nazionale Forense, in Ideologie e modelli del processo civile, Napoli, 1997, p. 75 ss.; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, IV. ed, vol I, p.336, secondo cui l'ideologia immanente all'intero impianto del codice di procedura civile si traduce nell'esaltazione di «un potere e/o interesse pubblico, che sovrasta i diritti delle parti e ad esse si impone. Da ciò consegue l'indiscriminato accrescimento dei poteri del giudice, organo che impersona tale interesse e tale potere»; e Id. «La grande illusione, in Il Giusto processo civile, 2008, p.621; Id., Il processo societario innanzi alla Corte costituzionale, in Il giusto processo civile, 2008, p.169; S ATTA , Commemorazioni del codice di procedura civile del 1865, in I D ., Quaderni del diritto e del processo civile, I, Padova, 1969, p. 94, ove si afferma che «il codice vigente, nato sotto un regime autoritario, è (e non poteva non essere, anche se gli ispiratori avessero voluto fare altrimenti) un codice autoritario»; Id. Storia e «pubblicizzazione» del processo in Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova, 1968, p. 211 ss.; Id, Intorno al concetto di verità materiale o oggettiva. cit. ibidem. 6 Stato dominante all'epoca 2 - a giudice e processo - che dall'esigenza effettiva ed attuale di dare maggiore efficienza allo strumento processuale, se è vero che i tempi del processo – complici anche la catastrofe storico sociale che fu la seconda guerra mondiale e l'esponenziale sviluppo economico indotto dalla ripresa nel dopoguerra – si dilatarono progressivamente ed inesorabilmente fin dalla sua entrata in vigore, senza soluzione di continuità, fino ai nostri giorni3 . È un fatto, ad ogni modo, che a noi pare dimostrato dagli studi statistici degli ultimi decenni, che sotto la vigenza del codice del 1865, non esisteva – e comunque non esisteva in proporzioni anche lontanamente paragonabili a quelle attuali – un problema reale di eccessiva durata del processo4. Di tale differente contesto storico del processo si deve tenere conto nel momento in cui si affronta una tematica come quella oggetto della presente indagine. Sotto la vigenza del codice Pisanelli – detto in termini più concreti – il problema della eventuale durata di un giudizio di opposizione e della 2 Senza pretesa di prendere posizione nel vivo di un dibattito tanto accesso, quale è quello circa la natura «fascista» o meno del codice di procedura civile, ci si limita a segnalare che tale fu considerato il neoemanato codice dai primi commentatori. Il che, naturalmente, può apparire privo di reale efficacia euristica, sotto certi aspetti (in piena epoca fascista chi avrebbe sostenuto il carattere «non fascista» di una legge appena promulgata?). Si rinvia, ad ogni modo, alla Relazione al Re, ove si legge che: «Se nella preparazione del nuovo processo civile sono state chiamate a collaborare tutte le forze vive della dottrina italiana, il Codice che è uscito da questa collaborazione non è un codice dottrinario: esso vuol essere l’espressione non di una scuola ma di un popolo e di un regime», CIPRIANI – IMPAGNATIELLO (a cura di), Codice di procedura civile con la relazione al Re, Bari, 2007, p. 278 ss. 3 Cfr. CECCHI, Analisi statistica dei procedimenti civili di cognizione in Italia, Bari, 1975, p. 77 ss.; CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p.132; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p.331 e nt. 4, ove si evidenzia che, ad esempio, i tempi per la definizione del giudizio di primo grado davanti al Tribunale passarono dagli originari tre mesi e mezzo del 1900– sotto la vigenza del codice del 1865 - ai 450 giorni del 1947 ai quasi tre anni del 1974. Per una comparazione ed una analisi dei dati statistici della durata del processo v. BATTAGLIA, Effetti dell'introduzione del giudice unico in tribunale, in Il giusto processo civile, 2008, p. 1071 ss.; MONTELEONE, Postilla, in Il giusto processo civile, ibidem. 4 BATTAGLIA, Effetti dell'introduzione del giudice unico in tribunale, cit., ibidem; CECCHI, Analisi statistica; cit., p 77 ss.; CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, cit., p.91 ss.; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p.331 ; ID, Postilla, in Il giusto processo civile, ibidem. In questa sede, comunque, non ci si soffermerà sulle possibili cause della lunghezza del processo di oggi e della brevità di quello di ieri; è sufficiente prendere atto della differenza di prospettive nelle scelte di politica legislativa tra il legislatore del diciannovesimo secolo - inizi ventesimo, e della seconda metà del ventesimo secolo e del ventunesimo. 7 procedura esecutiva nel suo complesso poteva non costituire il bisogno sociale primario (o comprimario) cui il legislatore e/o il giudice avrebbero dovuto fare fronte e dare risposta. Contesto storico diametralmente opposto è quello in cui viviamo oggi, adottando, ovviamente, un concetto di attualità che deve essere inteso molto in senso lato: dall'immediato dopoguerra, diciamo, fino ai giorni nostri. Il legislatore repubblicano ha dovuto vivere e ha dovuto cercare – spesso in modo inadeguato – di dare risposta ad un differente contesto sociale. Sarebbe e sarebbe stato del tutto irrealistico – e dunque fallimentare – un intervento normativo in tema di processo esecutivo (e, per quel che in questa sede rileva, della sua possibile sospensione) che non tenesse conto della patologica lentezza della macchina processuale del suo complesso, e del conseguente disagio sociale che essa ha finora generato. In questa chiave di lettura – differenti esigenze economiche e sociali, diverso contesto ideologico, differenti concezioni del processo – ci si deve necessariamente muovere se si vuole cercare di individuare la ratio del diritto vigente e dell'istituto della sospensione del processo, e la sua evoluzione, anche alla luce delle recenti riforme. I.2. La sospensione dell'esecuzione nel codice Pisanelli del 1865 Il codice del 1865, è stato evidenziato, non conteneva norme generali sulla sospensione, ma si limitava ad affrontare le singole fattispecie prevedendo, appunto, solo in taluni casi la sospensione del processo esecutivo 5. Tale «lacuna (?)» può, a nostro giudizio, essere spiegata non solo con la differente impostazione del previgente codice, meno dogmatico di quello del 1940, ma anche con la minore rilevanza sociale del problema della durata del processo e di quello esecutivo. Non occorreva, si intende sostenere, una troppo analitica ed organica disciplina della sospensione, per il semplice fatto che essa non 5 Per una disamina, v. FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Varese, 1956, p. 19 ss.; SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p. 877 ss. 8 avrebbe inciso in modo eccessivo sulla durata del processo e, dunque, sull'effettività della tutela del creditore procedente6. Venendo ai singoli casi affrontati dal legislatore postunitario7, vale la pena ricordare che, ai sensi dell'art. 580, l'opposizione all'esecuzione sui beni mobili non sospendeva «l'esecuzione o la continuazione del pignoramento», salvo il caso particolare dell'opposizione alla sentenza pronunciata in contumacia (che impediva, giusta il disposto degli artt. 475 e 478, l'esecuzione della sentenza). Della sospensione dell'esecuzione il legislatore si occupava, poi, all'art. 647, a proposito di domanda di separazione dei beni mobili pignorati. Si trattava dell'ipotesi del terzo che pretendesse di «avere la proprietà o altro diritto reale sopra tutti o parte dei beni mobili pignorati». In tal caso era prevista una «fase cautelare» che si svolgeva davanti al pretore, il quale avrebbe emesso il provvedimento sulla sospensione e deciso, quindi, il merito della causa se competente, ovvero rimesso le parti al tribunale8. Con riguardo all'esecuzione sopra i beni immobili, il codice del 1865 si occupava, infine, di sospensione dell'esecuzione all'art. 660, prevedendo che l'opposizione a precetto, se proposta tempestivamente (i.e., nel termine di trenta giorni dalla notifica del precetto medesimo), avrebbe sospeso l'esecuzione ovvero, se proposta tempestivamente, lo avrebbe sospeso solo in presenza di «gravi cause», su provvedimento dell'autorità giudiziaria. Particolari regole erano, infine, fissate per le opposizioni promosse in forza di titoli cambiari9 . 6 Per una disamina, v. SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, cit., ibidem.Vale forse la pena osservare come la necessità di disciplinare e studiare la sospensione sia, in un certo qual modo, figlia dell'inefficienza congenita del processo: si avverte la necessità di soffermarvisi più di tanto proprio perché gli effetti della sua concessione o negazione sono idonei ad incidere più che profondamente sull'effettività della tutela. 7 Per i riferimenti al codice del 1865 si veda: PICARDI–GIULIANI, Codice di procedura civile del Regno d'Italia 1865, Milano, 2004 con introduzione di MONTELEONE, Il codice di procedura civile italiano del 1865. 8 Una previsione di ordine generale era contenuta all’art. 645, secondo cui: «la vendita e gli atti che la devono precedere non possono essere sospesi che per la opposizione del debitore se non sia ordinato dall’autorità giudiziaria competente». 9 Cfr. MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, V, 5° ed., Torino, 1902, pag. 243 ss.; 353 ss.; 711 ss.; SALETTI, Il processo esecutivo, Note introduttive, in TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile (1865-1935), tomo II, pag. 989. 9 È stato sottolineato da autorevole dottrina che tale semplicità (assenza di norme di carattere generale, disciplina scarna ed essenziale demandata a singole disposizioni riferite a particolari situazioni concrete) era perfettamente conforme alla ratio dell'istituto, che doveva costituire il naturale contrappeso dell'azione esecutiva e della sua intrinseca unilateralità che esclude il contraddittorio 10. Di contrario avviso chi ha visto nell'insieme di norme delineato dal codice del 1865 un sistema tendenzialmente disorganico, cui il legislatore del 1940 avrebbe finalmente posto, almeno in parte, rimedio11. I.3. La sospensione dell'esecuzione nei progetti di riforma al codice di procedura civile del 1865 I progetti di riforma successivi al codice del 1865, va detto, non modificarono, tendenzialmente, tale impostazione concettuale «semplice ed essenziale» - ovvero, a seconda delle prospettive, «scarna e disorganica». Se si occuparono di sospensione – e se ne occuparono, proponendo soluzioni, a volte, fortemente innovative – lo fecero avendo a mente, per lo più, specifici aspetti12 ; senza occuparsi di ridisegnare ex novo l'istituto, né, tanto meno, il suo inquadramento dogmatico. In realtà il fatto che la sospensione dell'esecuzione del 1865, pur così disorganica e frammentaria, non avesse suscitato più di tanto l'interesse dei conditores dei disegni di legge successivi, potrebbe far pensare ad una complessiva tenuta del sistema Pisanelli, che – tutto sommato – doveva, almeno sotto questo aspetto e salva l'opportunità di qualche ritocco funzionare 13. 10 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959 p. 500, il quale evidenzia che tale esigenza non è mai cambiata, neppure dopo l'avvento del codice del 1940, che tratta solennemente la materia della sospensione dell'esecuzione un titolo autonomo. 11 FURNO, La sospensione del processo esecutivo, cit., ibidem.; SALETTI, Il processo esecutivo, cit., ibidem. 12 SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss. 13 Si vedano, però, le osservazioni di cui infra. Ad ogni modo il processo esecutivo secondo il codice del 1865 qualche problema lo aveva di certo, se è vero che nel 1902, l'Orlando ne denunciava la «morbosa fiacchezza (...) che ne costituisce il vizio fondamentale»: TARZIA– CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit., p. 890. 10 È opportuno, ad ogni modo, accennare a questi progetti di riforma che impegnarono processualisti e commissioni parlamentari negli ottanta anni che caratterizzarono la vita del codice Pisanelli14 . Tra il 1865 e l'emanazione del codice oggi vigente vi fu come è noto, innanzitutto, un gruppo di progetti che proponevano l'integrale riforma del codice di rito, e segnatamente i progetti elaborati da Mortara, da Chiovenda, da Carnelutti, da Redenti, dalla c.d. Sottocommissione C, e da Solmi15 . Accanto a questi progetti di riforma ve ne furono, poi, altri che avevano ad oggetto esclusivamente talune parti del codice e della legge processuale. Quindici di essi riguardavano, in tutto o in parte, il processo esecutivo 16. Si tratta, come è stato evidenziato, di un numero relativamente modesto, specie se rapportato alla vasta schiera di progetti di riforma che, nello stesso periodo, ebbero ad oggetto il processo di cognizione17. Questa relativa tranquillità potrebbe, ancora una volta, far pensare che il processo esecutivo, sotto la vigenza del codice Pisanelli, godesse, tutto sommato, di un discreto grado di salute ed efficienza, rapportato almeno al processo di cognizione. Non fosse, però, che il numero di riforme o di progetti di riforme è un indizio molto labile e – di certo – non può assurgere al rango di prova legale, per consentire un giudizio sul come funzionava una legislazione ormai non più esistente. Non sempre, va detto, l'uomo (e l'uomo giuridico, che ne è una sottocategoria concettuale) si comporta in modo logico ed ha come fine primario l'ottimizzazione dei risultati. Le ragioni che possono spingere un legislatore a focalizzare la propria attenzione su un settore del diritto e del processo piuttosto che su un altro possono essere numerose, non tutte possono rispondere al bisogno primario di curare i mali del processo. 14 Per una disamina v. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi., cit.; pag. 1 ss.; TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit., p.1 ss. 15 CIPRIANI, Storie di processualisti cit., ibidem; SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss.; cfr. CARNELUTTI, Progetto del codice di procedura civile, presentato alla Sottocommissione Reale per la riforma del Codice di Procedura Civile, parte seconda, Del Processo di esecuzione, Padova, 1926; ID., Lavori per la riforma del codice di procedura civile, in Riv. dir. proc. civ., 1924, I, p. 294 ss; COMMISSIONE REALE PER LA RIFORMA DEI CODICI, SOTTOCOMMISSIONE C, Codice di procedura civile, Progetto, Roma, 1926, con prefazione scritta da MORTARA; MORTARA, Per il nuovo codice della procedura civile, riflessioni e proposte, Torino, 1923. 16 SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss. 17 SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss. 11 A volere essere più chiari, un ipotetico studioso che, poniamo, nell'anno 2210, si trovasse ad esaminare le riforme che hanno caratterizzato il nostro tempo, se pretendesse di valutare l'efficienza dei singoli aspetti del nostro attuale sistema processuale sulla base delle singole novelle che hanno caratterizzato le relative parti del codice, potrebbe essere portato a pensare che il giudizio di appello nel 2010 funzionasse assai meglio del giudizio di primo grado. E ciò sul rilievo che il giudizio di secondo grado ha superato pressoché indenne le ultime – absit iniuria verbis - pulsioni riformistiche del legislatore del 2005-2006 e del 2009; al contrario, appunto, del giudizio di primo grado. L'esperienza e la statistica ci dicono, invece, che è vero esattamente il contrario: Nel processo di primo grado – peraltro comunque inefficiente – il numero di cause che vengono definite ogni anno dai tribunali (comprendendo, comunque, sia quelle definite con sentenza, che quelle estinte, definite transattivamente etc.) è leggermente superiore al numero di quelle iscritte a ruolo. Esattamente opposta è la situazione delle Corti di appello, ove il numero di cause definite ogni anno è sensibilmente inferiore al numero di cause iscritte al ruolo, con conseguente aumento dell'arretrato che si va accumulando di anno in anno. Di qui l'agevole pronostico su le magnifiche sorti e progressive cui andrà incontro – salvo interventi seri ed incisivi - la durata dei giudizi18 nei prossimi decenni. Ad ogni modo, quattro di questi19 progetti di legge, che riguardavano anche l'esecuzione, si occuparono di aspetti assolutamente specifici e segnatamente di problemi afferenti la competenza. Sette progetti20 avevano ad oggetto 18 BATTAGLIA, Effetti dell'introduzione del giudice unico in tribunale, cit., ibidem. I dati statistici sono disponibili sul sito del Ministero della Giustizia, http://www.giustizia.it/ giustizia/it/mg_1_14.wp e, per quanto concerne la Cassazione, sul sito http:// www.cortedicassazione.it/DocumentiPrimaPag/statistiche/Civile/StatisticheCivile.asp . Per un confronto con la situazione dei processi negli altri paesi europei ed in particolare in Francia, v. http://www.courdecassation.fr/institution_1/activite_cour_chiffres_58/ per i dati statistici aggiornati relativi allo stato dei procedimenti civili davanti alla Cassazione Francese. 19 I ddl Chimirri - Bonacci, divenuto legge 16 giugno 1892; Mortara - Schanzer, Fera e Fera-Bonomi; per una disamina v. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss. 20 I ddl Catucci del 1867, Conforti, Catucci del 1872, Catucci - Rega - Del Zio ed altri, Dell'Angelo, Cocco Ortu e Ronchetti; cfr. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss. 12 specificamente e quasi esclusivamente l'esecuzione forzata, altri quattro 21, pur contenendo al loro interno anche proposte di modifica al processo esecutivo, si occupavano anche di altri istituti. I.4. I Progetti Catucci del 1867, e Conforti, del 1870. All'indomani dell'unità d'Italia (e, per quel che conta ai fini di questo studio, all'indomani dell'emanazione del primo codice nazionale), il dibattito parlamentare si dipanò attraverso un riesame – alcune volte critico, ma che a volte non nascondeva una certa nostalgia - delle legislazioni preunitarie22. Il 5 aprile 1867 veniva presentato alla Camera dei Deputati il disegno di legge del Guardasigili Catucci «disposizioni relative alla sentenza dei conciliatori» 23. L'Ufficio del conciliatore, si rammenta, era stato introdotto nel codice Pisanelli sull'esperienza del vecchio istituto del conciliatore, esistente nel Regno delle Due Sicilie 24. Il Progetto Catucci si proponeva di risparmiare alle parti le spese derivanti dalla necessità di rivolgersi agli uscieri di pretura per l'esecuzione delle sentenze dei conciliatori. Prevedeva, nel suo testo originario, che agli inservienti comunali (incaricati, secondo l'allora vigente ordinamento giudiziario, di compiere atti giudiziari dinnanzi ai giudici 21 Si tratta dei ddl. Catucci del 1868, Della Rocca – Aguglia, Gallo – Majorana- Massimini, e Orlando del 1909, che riprendeva, appunto, il precedente progetto dello stesso Orlando del 1908, aggiungendovi, però, la parte sull'esecuzione forzata. Cfr. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 936 ss. 22 E ciò, come si vedrà, particolarmente per quanto concerne i sudditi dell'ex regno delle Due Sicilie, attraverso un fenomeno che – parafrasando una espressione della storiografia degli ultimi decenni del XX secolo, a proposito dell'esperienza post riunificazione delle due Germanie, potrebbe essere definita Sudalgia. 23 TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 993 ss. 24 È utile richiamare, sul punto, le parole dello stesso Pisanelli, nella relazione ministeriale sul libro primo del progetto di codice di procedura civile «La istituzione de' giudici conciliatori ha fatto buona prova nelle provincie del mezzogiorno. Il loro uffizio è duplice. Sono chiamati a giudicare senza l'osservanza delle forme generali del rito giudiziario sulle controversie di minor valore e di facile soluzione; devono inoltre, sempreché siano richiesti, interporsi per comporre amichevolmente le controversie. Così, mentre provvedono al bisogno di una giustizia pronta, non dispendiosa ed essenzialmente locale, esercitano in ciascun comune un uffizio benefico di conciliazione e di concordia. (...)»: PICARDI – GIULIANI, Codice di procedura civile del Regno d'Italia 1865, Milano, 2004 con introduzione di MONTELEONE, Il codice di procedura civile italiano del 1865, p.6 ss. 13 conciliatori) venisse conferito il potere di compiere gli atti di esecuzione delle sentenze pronunciate dai conciliatori stessi. Lo schema originario veniva, però, sottoposto a revisione critica in sede di lavori parlamentari. In particolare nella relazione predisposta dall'Ufficio centrale del Senato 25 del 24 novembre 1868 si segnalava che la procedura esecutiva – per come mantenuta dal Progetto Catucci – era troppo complessa per essere applicata da conciliatori ed inservienti comunali e, in generale, inadatta alle liti ed alle esecuzioni di modico valore. Invocava, dunque, la vecchia procedura esecutiva semplificata, già in vigore nel Regno delle Due Sicilia, dal 1819. Con specifico riferimento alla sospensione dell'esecuzione veniva, dunque, proposto di (re)introdurre il vecchio articolo 84 del codice di procedura civile napoletano, norma che prevedeva la sospensione «in qualunque stato» delle «misure coattive se persona solvibile promette di pagare fra sei giorni la somma e le spese del litigio»26. Tale ipotesi di sospensione dell'esecuzione, prevista dal Codice per lo Regno delle Due Sicilie, fu recepita dall'art. 9 del Progetto elaborato dall'Ufficio Centrale del Senato, nelle sessioni 1871-1872, e allegata al Progetto Catucci27 e dall'art.9 del successivo Progetto Conforti, «Esecuzione delle sentenze dei giudici conciliatori», presentato al Senato il 7 maggio 1870 28. 25 Relatore Lanzilli: cfr. TARZIA–CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1007. Circa l'identità del senatore Lanzilli, risulta essere Tommaso Antonio Maria Lanzilli, nato a Benevento – dunque nel Regno delle Due Sicilie - il 25 maggio 1801 e morto in Avellino il 23 febbraio 1878. Il Lanzilli risulta essere stato senatore durante l'VIII legislatura, secondo quanto riportato in http://it.wikipedia.org/wiki/ Tommaso_Antonio_Maria_Lanzilli. 26 La promessa di pagamento da parte del terzo veniva trascritta in un verbale formato dal cancelliere, verbale che sarebbe divenuto esecutivo, decorso il termine di sei giorni sopra richiamato, «senza intimarsi avviso o precetto e non potrà in verun modo sospendersi la esecuzione»: PICARDI–GIULIANI, Codice per lo Regno delle Due Sicilie, III. Leggi della procedura ne' giudizj civili, 1819, con introduzione a cura di CIPRIANI, Le Leggi della procedura nei giudizi civili del Regno delle Due Sicilie, Milano, 2004, p. 20 ss.; TARZIA– CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1007. 27 TARZIA–CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, ibidem. 28 TARZIA–CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, ibidem, al quale si rinvia anche per l'esame dei Progetti Catucci del 1872, Catucci – Rega – Del Zio del 1874 e Dell'Angelo del 1877. 14 I.5. I Progetti Cocco Ortu del 1902, Ronchetti del 1904, Orlando del 1909 Altre innovazioni interessanti sono quelle proposte dal disegno di legge Cocco Ortu, presentato al Senato del Regno il 28 aprile 1902 29. Tale testo si segnala – per quanto concerne l'oggetto della nostra indagine – per l'art. 8, con il quale veniva introdotta la possibilità, per il debitore, di ottenere la sospensione del processo esecutivo, per un periodo non superiore a due anni, 29 TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1023. Per quel che concerne l'autore del progetto, l'avv. Francesco Cocco Ortu, si tratta di una eminente figura di spicco della classe politica sarda ed italiana, impegnato – tra l'altro – nel giornalismo (nel 1861 collaborava - da studente - al giornale L’imparziale); nel 1862-1863, fondò il giornale satirico, economico e letterario La Bussola, nel 1866 fondò con altri il giornale La Cronaca. Nel 1884, infine, ritroviamo l'avv. Francesco Cocco Ortu tra i finanziatori del giornale La Tribuna, quotidiano che uscì nel 1884. Per quanto concerne la sua carriera politica fu sindaco di Cagliari f.f. (in quanto consigliere anziano) nel 1868, carica che conservò non continuativamente sino al 1884. Mantenne l’incarico di Assessore fino al 1888, quando diede le dimissioni, per dedicarsi completamente alla politica nazionale. Fu anche consigliere provinciale dal 1875 al 1888. In Parlamento Cocco Ortu fu eletto la prima volta nel 1876 dopo la caduta della Destra storica, due anni dopo fu segretario generale del ministero dell' agricoltura nel governo Cairoli, dal 1888 al 1991 ricoprì la carica di sottosegretario alla giustizia nei due governi Crispi, nel 1897 fu nominato ministro dall'agricoltura nel terzo governo di Rudinì, dal 1901 al 1903 e dal 1906 al 1909 fu, infine, ministro della giustizia nel governo Zanardelli e ministro dell'agricoltura nel governo Giolitti. I discendenti dell'avv. Francesco Cocco Ortu - Alberto Cocco Ortu, anch'egli avvocato in Cagliari, e Marinella Ferrai Cocco Ortu, direttore dell'Archivio di Stato di Cagliari - ricordano che l'ottantaduenne avo, il 28 ottobre 1922, nella qualità di Decano della Camera, tentò, insieme al Presidente del Consiglio Facta, di convincere Vittorio Emanuele III a proclamare lo stato d'assedio e fermare Mussolini che marciava su Roma. Successivamente Cocco Ortu fu il solo deputato Giolittiano a votare contro la fiducia al Governo Mussolini, dimettendosi immediatamente dopo dall'incarico di capogruppo alla Camera del partito liberale. L'episodio, insieme ai riferimenti biografici, sono menzionati in L'Unione Sarda - Fondatori Cocco Ortu e Lai Vinelli è il primo direttore - domenica 11 ottobre 2009 (Redazionale); L'Unione Sarda - L 'area è stata di quelle che hanno fatto più a lungo soffiare sulla città - domenica 28 aprile 1996 (Redazionale); FILIPPINI, Una storia che abbraccia tre secoli in L'Unione Sarda, domenica 11 ottobre 2009; O RSINA , L'organizzazione politica nelle Camere della proporzionale (1920-1924), in http:// docenti.luiss.it/orsina/files/2008/05/riforma_1920.pdf; PIRA, Quel duello nel '25 tra Lussu ed Endrich in L'Unione Sarda mercoledì 15 novembre 1995; LUSSU, Marcia su Roma e dintorni, Torino, 1974; cfr. anche http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Cocco-Ortu, http:// www.goceano.it/storia/personaggi_storici/francesco_cocco_ortu.htm. 15 qualora le rendite dei beni assoggettati all'espropriazione fossero sufficienti, in detto periodo di tempo, ad estinguere il debito30. Una previsione sostanzialmente analoga si ritrova all'art. 12 del Disegno Ronchetti, rubricato «Disposizioni sulle piccole espropriazioni», presentato al Senato del Regno il 20 dicembre 1904 (e ritirato il 27 novembre 1906)31 . Il disegno di legge nel suo complesso si collocava sulla medesima linea di pensiero del disegno Cocco Ortu, del quale riprendeva - in massima parte, e non limitatamente alla sola sospensione – le soluzioni. All'art. 10, inoltre, il Disegno Ronchetti prevedeva una ipotesi di sospensione dell'espropriazione, per un massimo di sei mesi, qualora il debitore, prima del giorno fissato per il primo incanto, avesse pagato «metà del debito per cui si procede con ogni accessorio». In questo periodo di sei mesi, appunto, il debitore avrebbe dovuto pagare il debito residuo32. 30 Art.8: «il debitore può anche ottenere la sospensione della procedura per un tempo non superiore a due anni, qualora provi che le rendite dei beni soggetti all'espropriazione, sono sufficienti ad estinguere, nel detto periodo di tempo, il credito per il quale si procede, e che non vi sono sugli stessi beni altri crediti privilegiati o ipotecari prontamente esigibili. In questo caso il pretore nomina un amministratore provvisorio dei beni, con tutte le responsabilità del sequestratario giudiziale. Col consenso del debitore può essere nominato a tale ufficio il creditore, e può essere nominato pure il debitore col consenso del creditore, o con l'obbligo di prestare cauzione la quale rimane vincolata a pegno a favore del creditore istante». Quest'ultima previsione - della cauzione, per il caso di nomina del debitore a custode del bene – ci lascia perplessi: se il debitore ha i soldi e la volontà di pagare la cauzione, li ha anche per pagare – almeno in parte – il debito ed evitare il pignoramento sul bene fruttifero. Se non ha i soldi per pagare il creditore – tant'è che si fa pignorare un bene fruttifero – non li avrà, molto probabilmente, neppure per versare la cauzione. Così come fu formulata la disposizione non pare sarebbe stata destinata ad un successo applicativo rilevante. 31 TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1051 ss. 32 TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 1080. Probabilmente un'eco di questo istituto si ritrova nel vigente codice agli artt. 494 e 495 c.p.c., rispettivamente a proposito di pagamento a mani dell'Ufficiale Giudiziario e di conversione del pignoramento. 16 Di maggiore respiro, se non altro per il maggior numero di settori del processo civile che avrebbe dovuto riformare, era infine il Progetto Orlando presentato alla Camera il 24 maggio 1909 33. Con specifico riguardo alla sospensione dell'esecuzione, il Progetto Orlando – è stato affermato – si collocava sulla linea concettuale del codice del 1865, nel senso che non prevedeva una reale rivoluzione metodologicosistematica dell'istituto, ma si limitava a proporre alcune specifiche innovazioni34 . Prevedeva, in particolare, con una norma di non facilissima interpretazione - l'art. 33 - che in pendenza del giudizio di opposizione avrebbero potuto essere «ordinati provvedimenti conservativi» ed avrebbe potuto «essere autorizzata l'esecuzione con o senza cauzione» 35. Sulla possibilità di sospendere l'esecuzione forzata, il Progetto Orlando tornava all'art. 38, a proposito di esecuzione forzata sui beni mobili, 33 Pubblicato integralmente in TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 929 ss., con nota introduttiva di CAVALLONE, Il progetto Orlando, Note introduttive. Con la denominazione: «Progetto Orlando» si suole indicare, oltre al progetto presentato alla Camera il 24 maggio 1909, rubricato: Riforme al codice di procedura civile, ed oggetto della presente indagine, anche un precedente disegno di legge: «Nuove disposizioni intorno all'ordine e alla forma dei giudizi», presentato dall'allora Ministro di Grazia e Giustizia il 16 marzo 1908. Si trattava di un progetto di 29 articoli, essenzialmente relativi al processo di cognizione (salvo gli ultimi tre articoli, che contenevano una leggedelega). L'originario progetto non venne mai discusso, a causa della fine anticipata della legislatura. Fu sostituito, il 24 maggio 1909, dal Progetto de quo, che prevedeva - oltre a 26 articoli corrispondenti a quelli del precedente Progetto – altri 51 articoli, relativi anche all'esecuzione forzata. Per una disamina cfr. CAVALLONE, Il progetto Orlando, Note introduttive. cit., ibidem; cfr. anche: CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, cit., p. 127 ss., dai quali si apprende che il padre spirituale di questo progetto di riforma fu Lodovico Mortara. 34 Per la verità di non poco rilievo, con riferimento anche alle altre norme sull'esecuzione forzata: si pensi, meramente a titolo di esempio, alla abolizione del precetto ed alla previsione della possibilità di procedere ad esecuzione forzata, in caso di titolo basato su sentenza esecutiva, omettendo anche la notifica del titolo esecutivo: cfr. TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 923; cfr. Anche SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 951. Nel senso che tale norma sembrerebbe far pensare ad una efficacia sospensiva automatica dell'opposizione all'esecuzione v. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., p. 989 ed in part. nt. 187. Tale soluzione, però, non sembra del tutto compatibile con la lettera della legge – che pare rimettere la decisione sulla sospensione ad una valutazione discrezionale del giudice – né allo spirito del Progetto Orlando che era quello di eliminare «quella morbosa fiacchezza del nostro ordinamento esecutivo che ne costituisce il vizio fondamentale»del processo esecutivo vigente: v. SALETTI, Il processo esecutivo, cit., ibidem; TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 890. 35 17 prevedendo che «il pignoramento e gli atti ulteriori» avrebbero potuto essere «sospesi per ordine dell'autorità giudiziaria» 36. I.6. Il dopoguerra, il Progetto Chiovenda del 1920 e il Progetto Mortara del 1923. Per quanto riguarda i progetti maggiori – quelli, cioè, che miravano non alla riforma di uno specifico settore del processo, ma alla elaborazione di un nuovo codice, nell'immediato dopoguerra veniva presentato il progetto di riforma di Giuseppe Chiovenda al codice di procedura civile37, che non si occupava – però – del processo di esecuzione. Nel 1923 Lodovico Mortara – che era stato da poco epurato dalla Cassazione, appena unificata, e dalla magistratura38 - presentò, in veste di senatore del Regno, il suo progetto di riforma per il nuovo codice di procedura civile39. 36 Si noti come la «sospensione del pignoramento», apparentemente condannata all'oblio dopo l'abbandono del Progetto Orlando, sia stata riesumata, seppur per breve tempo, dal legislatore del 2006, che aveva reintrodotto, all'art. 624 c.p.c., la sospensione, appunto, del pignoramento. 37 CHIOVENDA, Relazione sulla proposta di riforma, in La riforma del procedimento civile proposta dalla Commissione per il dopo guerra. Redazione e testo annotato per cura di Giuseppe Chiovenda, Napoli, 1920. 38 Sull'epurazione del sessantottenne Mortara (allora presidente della Cassazione di Roma), ad opera del nascente regime fascista, v. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p.233 ss. Con il r.d. 24 marzo 1923 n. 601, con decorrenza dal successivo primo novembre, furono soppresse le Corti di cassazione di Firenze, Napoli, Palermo e Torino. Con successivo r.d. 3 maggio 1923 n. 1028 fu stabilito che i primi presidenti e i procuratori generali di Corte di Cassazione avrebbero potuto essere collocati a riposo a domanda o d'ufficio «anche indipendentemente dall'eccedenza di posti nel detto grado». Si trattò, secondo CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p.236, di una norma ad personam, diretta ad eliminare proprio il figlio del rabbino, eccessivamente indipendente e vicino ad ambienti Nittiani. 39 MORTARA, Per il nuovo codice della procedura civile, Riflessioni e proposte, Torino, 1923. 18 L'opera, di amplissimo respiro40, dedicava all'esecuzione forzata il libro terzo, titoli dal primo al sesto, per un totale di centosedici articoli. Analogamente al codice del 1865 non dedicava un'apposito capo alla sospensione del processo esecutivo, ma dettava esclusivamente talune regole di pratica applicazione. Di sospensione dell'esecuzione parlava, innanzitutto, a proposito di esecuzione degli obblighi di fare e non fare. Si stabiliva, al riguardo, che il debitore potesse chiedere al pretore di sospendere, con provvedimento da emettersi in contraddittorio e non soggetto ad alcuna impugnazione, l'esecuzione «per un tempo determinato». E ciò a condizione che, dopo avere ricevuto l'intimazione ad adempiere ad un facere infungibile, avesse dato prova di avere iniziato l'esecuzione. Tale sospensione poteva essere prorogata solamente una volta, e sempre che il debitore dimostrasse la «la continuazione regolare della opera e la necessità di maggior tempo per condurla a compimento» 41. La norma in esame, come detto, era limitata al caso di esecuzione forzata di un fare infungibile (o, secondo la lettera del testo, di una «obbligazione di fare di indole strettamente personale»). Ciò induce a ritenere che la sua ratio fosse non tanto quella di favorire in qualche misura il debitore comunque adempiente (altrimenti non avrebbe avuto senso escluderne l'applicabilità alle ipotesi di facere fungibile), ma essenzialmente quella di tutelare l'interesse del creditore ad ottenere comunque la prestazione infungibile. A proposito di espropriazione di beni immobili, il Progetto Mortara non menzionava – tra le norme che regolavano l'esecuzione forzata - la possibilità di una sospensione per tutta la fase anteriore alla «sentenza che autorizza la vendita» prevista dall'art. 37. Tra le numerose modifiche, proposte in tema di esecuzione forzata, ricordiamo: l'abolizione del precetto (analogamente al Progetto Orlando, v. supra, nota 33)– previsto invece dall'art. 562 del codice del 1865 – mantenuto, però, nell'esecuzione mobiliare e sostituito, in caso di esecuzione degli obblighi di fare e non fare, dalla notificazione al debitore di una intimazione ad eseguire la prestazione in un termine non minore di cinque giorni (art. 9); l'interessante possibilità, sempre per l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, di intimare al debitore il pagamento di una somma di denaro alternativa al facere infungibile (somma che poteva essere prefissata nel titolo, ovvero determinata con provvedimento del pretore) etc. 40 41 Art. 13. 19 Va però avvertito che il processo per l'espropriazione immobiliare, sia nel codice del 1865 che nel Progetto Mortara, aveva una struttura sostanzialmente bifasica. La prima fase realizzava un vero e proprio processo di cognizione, che iniziava con un atto di citazione per l'autorizzazione a vendita di beni beni immobili (da notificare al convenuto)42 e si sarebbe dovuto concludere con una sentenza – suscettibile di formare cosa giudicata – di autorizzazione, appunto, alla vendita. La seconda fase era più propriamente esecutiva – almeno secondo gli schemi cui siamo abituati a ragionare oggi - e culminava con la vendita e la graduazione43. Il fatto che la prima fase avesse forma e sostanza essenzialmente cognitive, induce a ritenere che, nelle intenzioni di Mortara, avrebbero potuto trovare applicazione le norme in materia di sospensione del processo di cognizione. Una siffatta impostazione pare, a conti fatti – e volendo commettere quel tipico errore metodologico di chi pretende di giudicare il passato con gli occhi del presente -, eccessivamente macchinosa. In pratica si costringeva il creditore, dopo che questi aveva affrontato un primo giudizio di cognizione diretto ad ottenere la condanna del debitore, e dunque la formazione del titolo esecutivo, ad imbarcarsi in un nuovo giudizio di cognizione per ottenere l'autorizzazione alla vendita. Si osservi, oltretutto, che l'azione per l'autorizzazione alla vendita non poteva essere introdotta cumulativamente a 42 Art. 28. La concezione alla base del Progetto Mortara, comunque, ricalcava la vecchia impostazione del Codice del 1865, che prevedeva – pure esso – la necessità di avviare (art. 665) un procedimento di cognizione, secondo lo schema del processo sommario, diretto a far promuovere la vendita. Anche il procedimento di autorizzazione alla vendita, secondo lo schema del codice Pisanelli, si chiudeva con una sentenza. 43 Osserviamo, secondo una prospettiva marcatamente liberale e privatistica del processo civile. Il diritto a vendere il bene pignorato, in effetti, non è in alcun modo correlato con il diritto di credito contenuto nel titolo; non vi è, nella sentenza di condanna, l’accertamento di un diritto in qualche modo connesso con la proprietà del bene da espropriare. Nella prospettiva liberale occorreva, pertanto, un provvedimento del giudice che, spogliando il debitore di alcune facoltà e diritti connessi al suo diritto dominicale, avrebbe avuto coerentemente natura di sentenza. In particolare, per rimuovere l’ostacolo e procedere alla vendita di un bene invito domino occorreva l’autorizzazione del giudice, che - in un certo qual modo - si sostituiva alla volontà del debitore. Si segnala che un’eco di tale concezione liberale è sopravvissuta nel lessico giuridico attuale: cfr. la rubrica degli attuali artt. 530 e 569 c.p.c., che parla ancora di «autorizzazione alla vendita» (sebbene, nel corpo dei due articoli, il verbo «autorizza» sia sostituito con quello «dispone», scelta semantica che consapevolmente o inconsapevolmente - sposta il fulcro della vendita dalla parte (che vende, previa autorizzazione del giudice) al giudice (che ordina la vendita ex auctoritate). Per una disamina si rinvia a CARNELUTTI, Istituzioni di Diritto processuale civile, vol. III, Roma, 1956 pp. 25 ss.; SATTA - PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p.745. 20 quella per la formazione del titolo esecutivo giudiziale, stante la necessità di far precedere alla notifica della citazione per autorizzazione alla vendita la notifica del titolo esecutivo ex art. 6 del Progetto. L'art. 29 del Progetto Mortara, sul punto, prevedeva che alla prima udienza il creditore attore avrebbe dovuto offrire in comunicazione «il titolo esecutivo con la prova della notificazione» e che, in difetto, il convenuto avrebbe potuto far dichiarare la domanda inammissibile. Il disagio eccessivo, del resto, che si sarebbe potuto causare al creditore, imponendogli – per giungere alla vendita – di instaurare un giudizio a cognizione piena, era avvertito dallo stesso Mortara. Questi, infatti, pur non volendo superare la concezione bifasica e, dunque, l'idea stessa che fosse necessario un giudizio di cognizione, per giungere all'autorizzazione alla vendita, aveva previsto l'introduzione di alcuni correttivi, ad evitare che l'azione esecutiva potesse impantanarsi nelle lungaggini di una istruttoria complicata. All'art. 36 del Progetto fu, così, introdotta una norma acceleratoria, in forza della quale, se fossero stati necessari atti di istruzione, questi avrebbero dovuto essere eseguiti «con la massima celerità, esclusa ogni dilazione o proroga che non sia imposta da forza maggiore» 44. Vale la pena, a questo punto, segnalare che avendosi a che fare, nella fase preliminare di autorizzazione alla vendita, con un vero e proprio giudizio di cognizione, l'assenza di norme ad hoc sulla sospensione, per tutta la prima fase del processo, non può essere ascritta, a furor celeritatis dell'autore del Progetto, ma a semplice senso pratico: prima di quella fase processuale la previsione di una sospensione tipica – diversa, cioè da quelle previste per il processo di cognizione - non sarebbe stata di alcuna utilità: se vi fosse stata la necessità di compiere atti di istruzione – per così dire – pregiudiziali alla vendita, del resto, questa semplicemente non avrebbe potuto essere autorizzata (e dunque l'esecuzione non avrebbe potuto in alcun modo proseguire, senza che fosse necessario prevedere una vera e propria sospensione). Di sospensione vera e propria nell'esecuzione immobiliare il Progetto Mortara parlava, invece, agli artt. 58, 59 e 60. L'ipotesi regolata era quella del terzo, titolare di proprietà o diritto reale limitato sui beni posti in vendita, che 44 Art. 36. 21 non avesse fatto valere le proprie ragioni, proponendo intervento nella fase cognitiva, e dunque prima della sentenza di autorizzazione alla vendita. In questo caso il terzo poteva proporre domanda di separazione notificando ai procuratori del creditore, degli intervenuti e del debitore (o a questi personalmente, qualora non questi non avesse «costituito procuratore»), apposita domanda. La domanda avrebbe avuto la forma della citazione a comparire a un'udienza anteriore di almeno dieci giorni a quella stabilita per l'incanto. L'autorità giudiziaria, in questo caso, avrebbe potuto riconoscere la necessità di differire o sospendere l'incanto, con o senza cauzione a carico dell'attore in separazione. Il mancato deposito della cauzione avrebbe comportato l'inefficacia del differimento o della sospensione. Non di vera e propria sospensione, ma di mera possibilità di differire la discussione ad altro giorno, parlava, a proposito di giudizio di graduazione, l'art. 77. Prevedeva, in particolare, la possibilità che la discussione del progetto di distribuzione venisse rinviata ad altra data, qualora ciò si fosse reso necessario a seguito delle osservazioni degli interessati. Di vera e propria sospensione dell'esecuzione parlava l'art. 87, nel capo III, rubricato «Limiti e deroghe al diritto di espropriazione». La norma avrebbe dovuto prevedere la sospensione, su provvedimento del pretore, «senza limite di tempo» dell'espropriazione su un fondo rustico «che sia coltivato dal debitore o dalla sua famiglia e produca un reddito non eccedente i bisogni di chi lo coltiva», ovvero di «un immobile urbano che serva esclusivamente ad abitazione del debitore e della sua famiglia, nei limiti della più rigorosa necessità». Ancorché «senza limiti di tempo», si trattava, pur sempre di una sospensione e non di una inammissibilità dell'esecuzione o di una impignorabilità in senso stretto: una volta cessate le predette condizioni, l'azione di espropriazione avrebbe potuto «essere proseguita, qualunque sia il tempo decorso dalla citazione per autorizzazione alla vendita». 22 Ratio di tale previsione andava ravvisata – come avverte lo stesso Mortara in «considerazioni di etica sociale (…)», bilanciate, peraltro, dal modico valore delle esecuzioni de quibus (quelle di competenza del pretore)45. Un'ultima ipotesi di sospensione dell'esecuzione, prevista dal Progetto Mortara, era quella dell'art. 109, che prevedeva la sospensione del pignoramento mobiliare, in caso di consegna all'ufficiale incaricato della «somma intiera per cui si procede e l'importare delle spese». Analogamente alla disposizione di cui al vigente art. 494 c.p.c. (che però prevede la possibilità di una espressa riserva di ripetizione), il pagamento a mani dell'ufficiale giudiziario non avrebbe pregiudicato l'azione che il debitore avrebbe potuto esercitare sotto forma di opposizione a precetto. L'avvenuto pagamento, tuttavia, onerava il debitore a proporre l'opposizione nel termine perentorio di dieci giorni dal processo verbale dell'avvenuto pagamento. I.7. Il Progetto della «Sottocommissione C» e il Progetto Carnelutti del 1926 Nel 1926 viene pubblicato il Progetto Carnelutti per la riforma al codice di procedura civile, comprendente una seconda parte interamente dedicata al processo di esecuzione46 . Il Progetto costituisce – essenzialmente – uno 45 MORTARA, Per il nuovo codice della procedura civile., cit., p. 142: «va ascritta a questi ultimi motivi l'interdizione di espropriare, nei confini della competenza data al pretore, cioè per i più modici valori, la casetta o il poderuccio che il proprietario, con la famiglia, abita o coltiva. Mi pare che non convenga perseguire idealità filantropiche più larghe, le quali si risolvono in gratuita generosità del legislatore a danno dei creditori. La regola che le obbligazioni sono garantite dal patrimonio deve soffrire il minor numero di deroghe». 46 CARNELUTTI, Progetto del Codice di procedura civile, presentato alla Sottocommissione Reale per la Riforma del Codice di Procedura Civile – Parte seconda del Processo di Esecuzione, Padova, 1926; per la storia del Progetto cfr. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, ibidem. 23 sviluppo dell'altro Progetto presentato lo stesso anno, sempre dal Carnelutti, in senso ai lavori della c.d. Sottocommissione C47. Una delle tante innovazioni proposte nel Progetto, attiene al (tentativo di) superare la struttura bifasica nell'esecuzione immobiliare, eliminando la fase di vera e propria cognizione diretta ad ottenere l'autorizzazione alla vendita. Per quanto attiene, più specificamente, la sospensione, il Progetto prevedeva, innanzitutto, una serie di ipotesi tipiche, espressamente disciplinate dalla legge. Disponeva, innanzitutto, all'art. 460 del Progetto Carnelutti (462 del Progetto Sottocommissione C), che l'esecuzione non potesse essere iniziata o comunque proseguita quando il debitore avesse offerto «di adempiere al suo obbligo e l'ufficio accerti che l'adempimento è avvenuto o è stato rifiutato senza giusto motivo». Faceva da corollario a questo principio l'art. 461 (463 Sottocommissione C), che prevedeva, appunto una ipotesi di sospensione dell'esecuzione, rimessa al prudente apprezzamento dell'ufficio («può sospendere, secondo le circostanze»), per l'ipotesi che, appunto, vi fosse contestazione circa la sussistenza del giustificato motivo per il rifiuto all'adempimento. Un'ipotesi tipica di contestazione sulla inesattezza dell'adempimento, era quella del pagamento parziale, prevista espressamente dalla norma, ma poteva anche 47 Si legge nella «Avvertenza», sottoscritta «F.C.» in calce alla pubblicazione, che il progetto della seconda parte del codice – quella afferente, appunto, l'esecuzione forzata «contiene alcuni mutamenti in confronti di quello che fu discusso dalla Sottocommissione Reale nelle tornate del maggio scorso». Sempre nell'Avvertenza si spiega che ciò fu dovuto al fatto che Carnelutti, «stretto dal tempo» dovette «presentare alla Sottocommissione un lavoro ancora in abbozzo». Cfr., sul punto, CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p. 286 ss., il quale riferisce che il progetto non fu neppure recensito ed illustrato né sulla Processuale né sulla Giurisprudenza Italiana, riviste dirette - come è noto – rispettivamente da Carnelutti (unitamente a Chiovenda) e da Mortara. Il Progetto Sottocommissione C, sempre a quanto riferisce Cipriani, sarebbe stato messo da parte dallo stesso guardasigilli Rocco, perché ritenuto non abbastanza «omogeneo, italiano e fascista». CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p. 290 ss. Per quanto riguarda il testo del Progetto Sottocommissione C, v. COMMISSIONE REALE PER LA RIFORMA DEI CODICI, SOTTOCOMMISSIONE C, Codice di procedura civile, Progetto, Roma, 1926, con prefazione scritta da MORTARA, p. 1. ss. 24 darsi il caso dell'aliud pro alio e tutte quelle altre ipotesi di inesatto adempimento previste dalla legge48. Non vera e propria sospensione, ma quasi una condizione di procedibilità dell'esecuzione forzata era quella prevista dall'art. 474 del Progetto Carnelutti (art.476 Sottocommissione C), a norma del quale se l'efficacia del titolo esecutivo era subordinata alla prestazione di una cauzione, l'ufficio non avrebbe potuto procedere fino a che questa non fosse stata prestata. Vera e propria sospensione era, invece, quella prevista dall'art. 509, secondo cui, in caso di esecuzione per consegna di cose indivise, l'esecuzione avrebbe potuto, appunto, essere sospesa, nell'ipotesi di dissenso tra i terzi comproprietari e il debitore, in ordine alla separazione della quota del debitore. Ancora, il Progetto Carnelutti prevedeva la sospensione della distribuzione del ricavato, in caso di contestazione, tra i creditori concorrenti, in ordine al progetto di riparto (art. 538)49. Altra ipotesi di sospensione era dettata in materia di pignoramento di crediti (artt. 628 ss. Progetto Carnelutti, 611 ss. Sottocommissione C), e segnatamente dagli artt. 635 e 639 del Progetto Carnelutti (617 e 621 Sottocommissione C). Secondo i due progetti elaborati da Carnelutti – va avvertito – il terzo avrebbe dovuto, analogamente a quanto avviene col codice attuale – essere chiamato a rendere la dichiarazione. A questo punto il terzo avrebbe potuto: non presentarsi, presentarsi e non contestare la propria dichiarazione, riconoscere il proprio debito ma richiedere, al contempo, la corrispettiva controprestazione da parte del 48 Il codice civile del 1865 prevedeva, all'art. 1218: «chi ha contratto una obbligazione, è tenuto ad adempierla esattamente e in mancanza al risarcimento dei danni», mentre agli artt. 1245 e 1246 prevedeva che il creditore non era tenuto ad accettare una cosa diversa da quella dovuta (anche si di valore uguale o maggiore), ovvero un pagamento soltanto parziale. Cfr. PEPE, Codice civile (1865) Codice di Commercio (1882) del Regno d'Italia, Napoli, 2008. 49 Art. 522 Sottocommissione C. 25 debitore 50, ovvero contestare la pretesa del terzo. In quest'ultimo caso, ovvero nell'ipotesi che il terzo affermasse l'esistenza di una controprestazione a carico del debitore, ma questi contestasse la relativa pretesa, l'esecuzione forzata sarebbe stata sospesa «fino a che l'esistenza della obbligazione non sia accertata con sentenza non soggetta a reclamo, salvo diverso accordo del creditore e del debitore» (art. 639 Progetto Carnelutti, art. 621 Progetto Sottocommissione C). In caso di contestazione solo parziale, l'esecuzione sarebbe potuta continuare per la parte incontestata. Al di là di questo gruppo di ipotesi il Progetto Sottocommissione C ed il Progetto Carnelutti – la cui impostazione era assai più dogmatica di quella dei precedenti progetti di riforma e del codice previgente – prevedevano un intero titolo settimo, rubricato «della sospensione, della interruzione, della cessazione del processo esecutivo». A ben guardare, anzi, i Progetti Sottocommissione C e Carnelutti risultano – almeno in parte qua – addirittura più dogmatici del codice vigente: il capo I, rubricato della sospensione, constava di ben nove articoli (dal 681 al 690 nel Progetto Carnelutti, dal 664 al 673 del Progetto Sottocommissione C), a fronte dei sei (oggi sette, a seguito dell'introduzione dell'art. 624 bis) del codice del 194051. I progetti di norme si snodavano, allora, attraverso una articolazione assolutamente teorico-dogmatica. Disciplinavano, innanzitutto, talune ipotesi 50 In questo caso il Progetto Sottocommissione C e il Progetto Carnelutti si dilungavano in una serie di opzioni, a seconda se il creditore avesse deciso di adempiere lui stesso la controprestazione (ed esercitare, poi, azione di regresso contro il debitore), ovvero ottenere la prestazione da parte del terzo, e lasciare che questi agisse in executivis contro il debitore (titolo esecutivo sarebbe stato dato dall'ordinanza apposita emessa dal giudice dell'esecuzione). Il meccanismo può apparire abbastanza farraginoso, ma va considerato che il codice civile del 1865, al contrario di quello attuale, pur prevedendo l'istituto della compensazione, non prevedeva l'eccezione inadimplenti non est adimplendum (se non all'art. 1469, che prevedeva la possibilità del venditore di non consegnare la cosa, se il compratore non pagava il prezzo), novità assoluta introdotta con il vigente codice civile. Il Progetto Carnelutti, quindi, va interpretato per quello che è: un tentativo di limitare – in modo ingegnoso anche se abbastanza complesso – le distorsioni cui il codice di diritto sostanziale dava luogo, offrendo un certo grado di tutela al debitor debitoris creditore del debitore esecutato di una controprestazione. Per una disamina v. BIGLIAZZI GERI, Risoluzione per inadempimento, Tomo II, in Commentario del Codice Civile Scialoja Branca, Roma Bologna, 1988, p. 1 ss. Cfr. anche artt. 67 ss. del codice di commercio del 1882. 51 Che per la verità – contrariamente ai due Progetti Carnelutti – regola a parte le ipotesi di inibitoria processuale, per il caso di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo giudiziale, chiesto dinnanzi al giudice del gravame. 26 di sospensione necessaria, che si sarebbero verificate ogni qualvolta il debitore avesse proposto rituale e tempestiva opposizione all'esecuzione per contestare «l'esistenza o la misura dell'obbligo accertato in uno dei titoli esecutivi» stragiudiziali previsti dall'art. 468 lettera b del Progetto Carnelutti (470 lett. B del Progetto Sottocommissione C, i.e.: «scritture private sottoscritte»), ovvero l'efficacia del titolo esecutivo medesimo. Accanto a questa ipotesi disciplinavano, poi, le ipotesi di sospensione facoltativa, distinte a seconda che il titolo esecutivo fosse giudiziale o stragiudiziale e che l'opposizione fosse proposta dal debitore o dal terzo. In particolare, per le ipotesi di opposizione all'esecuzione del debitore avente ad oggetto un titolo stragiudiziale diverso da una scrittura privata sottoscritta, ovvero per quelle di opposizione di terzo dirette «a contestare l'esistenza o la misura del diritto del debitore sui beni colpiti da esecuzione» l'esecuzione forzata avrebbe potuto essere sospesa «purché la cognizione sommaria dei motivi di opposizione» avesse convinto «il giudice che questa ha un serio fondamento». Per le ipotesi di opposizione a titolo giudiziale, ovvero di opposizione o reclamo contro la sentenza, ordinanza o decreto medesimi, il Progetto richiedeva oltre al serio fondamento dell'opposizione, anche il «serio pericolo che il danno prodotto dalla esecuzione non possa venire risarcito». In tutte le ipotesi di sospensione – necessaria o facoltativa – disposta a seguito di opposizione, il Progetto richiedeva che questa fosse stata proposta entro il termine (qualificato «di decadenza») di tre giorni «da quello fissato per la convocazione preliminare» delle parti, ovvero dall'atto esecutivo del quale si impugnava la validità. All'art. 683 Progetto Carnelutti) (ed all'art. 666 Progetto Sottocommissione C) si prevedeva, con una formulazione affine a quella di cui al vigente art. 624 bis, che al di fuori dei casi espressamente previsti, la sospensione avrebbe potuto essere disposta solo con il consenso del creditore procedente e di tutti gli intervenuti. Rispetto alla attuale formulazione mancava la – non del tutto giustificata, se non proprio demagogica – previsione di un limite massimo alla durata di tale sospensione concordata. L'art. 684 Progetto Carnelutti (art. 667 Progetto Sottocommissione C) prevedeva la possibilità che venisse disposta – solamente, però, in caso di 27 sospensione facoltativa e non anche di sospensione necessaria – la sospensione parziale («rispetto a una parte del credito, per cui si procede, ovvero rispetto ad alcuni atti esecutivi»). I successivi articoli (685-688 del Progetto Carnelutti, 668-671 Sottocommissione C) disciplinavano, infine, la possibilità che la sospensione venisse «in ogni caso»52 subordinata ad una cauzione, e le regole procedurali vere e proprie per la concessione della sospensione medesima. Dalla competenza (davanti al giudice dell'opposizione, ovvero davanti a quello ove era stato impugnato il titolo giudiziale), al procedimento, agli effetti della sospensione sul procedimento sospeso. Di notevole rilievo la circostanza che l'ordinanza di sospensione avrebbe potuto contenere e prevedere deroghe al divieto di compiere atti esecutivi durante la sospensione medesima (art.688 Progetto Carnelutti, art. 671 Sottocommissione C53), ovvero – al contrario – ordinare la revoca di «atti esecutivi già compiuti» (sic!). Ambedue i Progetti 54, infine, prevedevano che – qualora l'istanza di sospensione fosse stata rigettata – la parte istante avrebbe potuto essere condannata, su istanza del creditore, al pagamento di una pena pecuniaria. I.8. I due Progetti Solmi del 1937 e del 1939 Nel 1937 e nel 1939 vengono presentati i due progetti a firma dell'allora Guardasigilli Arrigo Solmi55. Di sospensione si parla, innanzitutto, all'art. 450 del Progetto del 1939, ove si prevedeva che l'esecuzione sarebbe potuta proseguire, in caso di morte del debitore esecutato, contro gli eredi senza che fosse necessario sospenderla o riassumerla, salva la necessità – qualora la morte fosse avvenuta tra la notifica del precetto e l'inizio dell'esecuzione forzata – di notificare agli eredi un nuovo precetto. La prima stesura del Progetto, del 1937, prevedeva invece che il precetto notificato al debitore originario (art. 435) avrebbe mantenuto la sua 52 Dunque, apparentemente, anche in caso di sospensione necessaria. 53 Formulazione, questa, ripresa in parte dall’attuale art. 626 c.p.c. 54 Artt. 690 Progetto Carnelutti, 673 Sottocommissione C. 55 Cfr. MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto preliminare e Relazione, Roma, 1937, p. I ss; e MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto definitivo e Relazione del Guardasigilli on. Solmi, Roma, 1939, p.110 ss. 28 efficacia contro gli eredi; mentre si sarebbe richiesto un nuovo precetto solo qualora il creditore avesse voluto procedere su beni propri dell'erede. Di sospensione, ancora, la prima stesura del Progetto Solmi parlava all'art. 439, a proposito di opposizione del debitore. Conformemente alla sua linea ispiratrice, nel senso di semplificare le forme dell’esecuzione e predisporre una rigida disciplina delle opposizioni56 , il Progetto prevedeva che la proposizione dell'esecuzione, in sé, non avrebbe sospeso l'esecuzione, ferma restando la facoltà per il giudice «esaminato sommariamente il fondamento dell'opposizione, di sospendere gli atti esecutivi, ad eccezione del pignoramento, con cauzione o meno». Vi sarebbe stata, invece, sospensione necessaria «anche del pignoramento», se il debitore avesse depositato una somma pari al credito per cui si procede e un ulteriore importo, determinato dal giudice, corrispondente alle spese presunte del giudizio di opposizione. La norma venne mantenuta anche nella stesura definitiva del Progetto, all'art. 45157 . Circa l'approccio generale del Progetto Solmi alla sospensione dell'esecuzione, va detto che esso – contrariamente, come visto, ai due Progetti elaborati da Carnelutti – non prevedeva una trattazione generalizzata ed un inquadramento sistematico del c.d. Istituto. È opportuno, forse, richiamare le parole della Relazione al progetto preliminare: «Per quanto riguarda la disciplina delle opposizioni il progetto parte dalla considerazione che il possesso del titolo esecutivo dà al diritto del creditore un saldo fondamento di verità, che non può essere scosso da semplici affermazioni del debitore. Pertanto esso pone come principio generale che le opposizioni del debitore non sospendono la esecuzione, salvo che il giudice, delibatane la fondatezza, non ritenga di emanare un ordine di sospensione (art. 439). Il principio vale così per la esecuzione mobiliare che per quella immobiliare e per qualsiasi altro procedimento esecutivo»58. Così MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto preliminare e Relazione, Roma, 1937, p. XXXVIII. 56 57 In effetti la principale differenza, in materia di opposizioni, tra le due stesure del Progetto Solmi è data dall'introduzione, all'art. 452 del Progetto definitivo, della possibilità di proporre opposizione a precetto. 58 MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto preliminare e Relazione, cit., p. XLVI. 29 Non di una vera e propria sospensione si parlava – a proposito di esecuzione forzata su beni mobili - nel Progetto preliminare, per il caso di contestazioni rispettivamente sorte in sede di assegnazione delle cose pignorate o di «reparto» delle somme (art. 461 e 473 Progetto preliminare). Che l'assegnazione e/o la distribuzione, comunque, non sarebbero potute proseguire, fino alla decisione delle controversie, si deduce dall'art. 473 ultimo comma. Tale norma, in particolare, stabiliva che il pretore avrebbe potuto provvedere ad una assegnazione parziale delle somme, nel caso in cui essa non fosse impedita dalla contestazione. In ogni caso nel Progetto definitivo (art. 488, richiamato, per le assegnazioni, dall'art.474) venne espressamente stabilito che, qualora non fosse stato competente a decidere sulla controversia sorta in sede di distribuzione, il pretore avrebbe sospeso «di procedere al reparto», rimettendo le parti innanzi al tribunale. Una disposizione sostanzialmente analoga a quella prevista a proposito di controversie in sede di distribuzione, era quella introdotta, sempre dal Progetto preliminare Solmi, per il caso di introduzione del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, in caso di pignoramento presso terzi. Anche in questo caso (art. 479 del Progetto preliminare, art. 496 del Progetto definitivo), il pretore avrebbe dovuto, ove non fosse stato competente, rimettere le parti davanti al tribunale, previa assegnazione delle eventuali cose o somme non contestate. Anche in questo caso il Progetto – stavolta sia nella sua stesura preliminare che in quella definitiva – non prevedeva alcuna sospensione dell'esecuzione. Si sarebbe trattato, per la verità, di una previsione, a conti fatti, superflua: se non fosse esistito alcun credito del debitor debitoris, ovvero questo fosse stato contestato, il pretore non avrebbe potuto assegnare alcunché. Il Capo IV delle due stesure del Progetto Solmi era dedicato alle opposizioni alle esecuzioni mobiliari. Una delle principali differenze tra le due stesure del Progetto è data dal differente riparto delle competenze: se nel Progetto preliminare il pretore avrebbe avuto cognizione su tutte, indistintamente le opposizioni proposte dal debitore (sempre per il caso di esecuzioni mobiliari o presso terzi), nel Progetto definitivo si adottò una soluzione più articolata. L'art. 501 prevedeva una prima fase – affine a quella 30 oggi prevista dagli artt. 615 e 617 – cautelare, nel corso della quale il pretore avrebbe provveduto alla eventuale sospensione dell'esecuzione, fissando – se incompetente 59 - un termine per la riassunzione della causa davanti al tribunale. Significativa la norma di cui all'ultimo comma dell'art. 501, secondo cui le decisioni del pretore in ordine alla competenza ed alla sospensione non sarebbero state soggette ad impugnazione. Quanto alle «domande di separazione» sui beni pignorati – a quelle opposizioni, cioè, con le quali i terzi pretendevano far valere la proprietà o altro diritto reale su beni mobili pignorati - il Progetto preliminare Solmi prevedeva, anche in questo caso, una prima fase cautelare, con competenza generalizzata del pretore. Nel corso di questa prima fase il pretore avrebbe dovuto decidere sulla eventuale sospensione. Peculiare il fatto che la sospensione avrebbe dovuto necessariamente essere subordinata alla prestazione di una cauzione «per le spese e per i danni, salvo che il terzo sia notoriamente solvibile» (art. 484). Il carattere obbligatorio della cauzione fu eliminato, invece, nel Progetto definitivo (art. 502), che rese la la cauzione meramente facoltativa, a discrezione del giudice. Superata la fase cautelare, sia nel Progetto preliminare che in quello definitivo, il pretore avrebbe dovuto decidere il merito della domanda di separazione, se competente, ovvero rimettere le parti davanti al tribunale. Un divieto generalizzato di sospendere la vendita era previsto dall'art. 488 del Progetto preliminare e dall'art. 506 del Progetto definitivo, per il caso di pignoramento di beni (sempre mobili) deteriorabili o su «frutti che non possono essere conservati». In questo caso veniva però tale restrizione veniva compensata dalla possibilità di sospendere l'assegnazione del prezzo. 59 Ferma restando la competenza del pretore per la fase cautelare, il Progetto definitivo Solmi aveva introdotto un riparto di competenze tra pretore e tribunale, a seconda dell'oggetto dell'opposizione. In particolare accoglieva la distinzione – riproposta in parte dal codice vigente – tra opposizioni sostanziali, con le quali si contesta il «diritto del creditore» e opposizioni formali, aventi ad oggetto la validità degli atti esecutivi e la notificazione del titolo e del precetto. Le opposizioni formali, appunto, sarebbero state sempre di competenza del pretore, mentre quelle sostanziali sarebbero state, rispettivamente, di competenza del pretore o del tribunale a seconda del valore. Circa la distinzione tra opposizioni formali e sostanziali nel Progetto definitivo Solmi cfr. la Relazione in MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto definitivo e Relazione del Guardasigilli., cit., p.128. 31 In caso di esecuzioni su beni immobili, il Progetto preliminare attribuiva, innanzitutto, al giudice dell'esecuzione la competenza su «tutti i giudizi di opposizione e tutte le altre controversie che hanno relazione con la procedura esecutiva». Per le opposizioni non erano previste, salvo per quanto si è detto a proposito della competenza del giudice dell'esecuzione, regole speciali. Si faceva rinvio, dunque, alle regole generali dettate dal titolo primo. Competente a decidere sulla eventuale sospensione sarebbe stato, ovviamente, il giudice dell'esecuzione. Nella fase di distribuzione il Progetto Solmi, prevedeva la possibilità che sorgessero contestazioni (art. 520 del Progetto preliminare, art. 546 del Progetto definitivo). Analogamente a quanto si è detto supra, a proposito delle esecuzioni mobiliari, anche qui il giudice (dell'esecuzione) avrebbe potuto procedere ad una assegnazione parziale delle somme, qualora le contestazioni non fossero state a ciò d'ostacolo. Come logico corollario – sebbene non si parlasse, qui, di sospensione vera e propria - non vi sarebbe stata alcuna distribuzione nel caso contrario, qualora, cioè, le contestazioni sul progetto di distribuzione fossero state «di ostacolo ad una parziale assegnazione». Come anticipato, qui la previsione di una sospensione in senso stretto non fu introdotta neppure in sede di Progetto definitivo. Il differente regime si spiega col fatto che nell'esecuzione mobiliare la sospensione fu introdotta dal Progetto Solmi per l'ipotesi che il pretore non fosse stato competente a decidere sul merito della causa. Riassunto il giudizio sul merito davanti ad un giudice diverso, occorreva porsi il problema delle sorti dell'esecuzione. Di qui la opportunità di prevedere l'emissione di un provvedimento cautelare vero e proprio. Di contro nell'esecuzione immobiliare l'intera fase dell'opposizione si sarebbe svolta dinanzi al medesimo giudice dell'esecuzione. Non vi era alcuna necessità, dunque, di una sospensione vera e propria: non si sarebbe potuto procedere all'assegnazione, nelle more che fosse stata pendente la controversia sul progetto di distribuzione. Per il caso di domande di separazione 60, in ambedue le stesure del Progetto era prevista la generale competenza del giudice dell'esecuzione (art. 519 del Progetto preliminare ed art. 547 del Progetto definitivo). Il giudice avrebbe 60 V. supra, per la definizione. 32 dovuto, innanzitutto, «esaminati sommariamente i motivi» della domanda, decidere sulla eventuale sospensione, con o senza cauzione. La cauzione, va precisato, era prevista – al contrario di quanto accadeva per il caso di esecuzioni mobiliari - come eventuale e a discrezione del giudice, anche nella stesura preliminare del Progetto. Ulteriori previsioni in materia di sospensione erano inserite all'art. 548 del Progetto preliminare. Si prevedeva, in particolare, che l'opposizione proposta contro il precetto di rilascio non avrebbe sospeso l'esecuzione, fermo restando che l'autorità giudiziaria avrebbe potuto sospendere la vendita e che, in ogni caso, prima che l'opposizione fosse stata decisa, non avrebbero potuto «assegnarsi al creditore le somme ricavate dall'esecuzione». Il divieto di sospensione, comunque, venne meno nel Progetto definitivo, con conseguente applicazione delle regole generali. I.9. Le codificazioni dell’epoca fascista (qualche breve cenno) Prima di addentrarci nell’esame delle norme sulla sospensione dettate dalla formulazione «definitiva» del codice del 1940 e dalle successive modifiche fino ai giorni nostri è opportuna una brevissima riflessione sulla codificazione fascista in generale. L’aggettivo «fascista», ovviamente, viene qui utilizzato in senso esclusivamente storico, per identificare quell’articolata legislazione che venne prodotta in Italia sotto il governo e la dittatura di Mussolini. Con l’uso del termine, per contro, non si intende attribuire, per ciò solo, una precisa colorazione ideologica alle leggi ed alle norme; e ciò per la specifica ragione che una legislazione può essere figlia di un’idea, ma al contrario dei figli biologici - che hanno sempre un unico padre, seppure non certo - una legislazione ne ha sempre più di uno. Il suo concepimento, infatti, trae origine - oltre che dalla ideologia politica dominante - anche da numerose altre idee, prime fra tutte quelle provenienti dalla naturale evoluzione della materia che la legge vuole disciplinare (dunque, la scienza giuridica e, specificamente, la scienza processuale); ma anche dalle istanze sociali, dall’industrializzazione di un paese, dalla forza dei gruppi sociali come la Chiesa, ecc. Come per ogni figlio che si rispetti, inoltre, nulla vieta che la legge possa prendere vita propria, e possa perfino rispondere o adattarsi ad esigenze e idee assai diverse 33 da quelle che l’avevano partorita; allo stesso modo di come - mutatis mutandis - un muro può bene essere utilizzato per riparare dal vento o per dare ombra, anche quando sia stato costruito per proteggere un cortile dai ladri. Ne è la riprova che proprio i caratteri che, durante il ventennio, furono qualificati come chiaro indice dell’ideologia fascista - poteri inquisitori del giudice, pubblicizzazione del processo - furono spesso ripresi dalla legislazione repubblicana e reinterpretati in chiave costituzionale e sociale. Fatta questa premessa risulta però assai arduo spingersi a negare ogni ponte tra il complesso fenomeno della codificazione degli anni ’40 (con i prologhi degli anni ’30 61) e l’ideologia fascista. I codici, e questo è un fatto, furono emanati in pieno periodo fascista. Essi, si dice comunemente, furono il prodotto in realtà di una classe giuridica di stampo liberale, formatasi attorno al diritto romano, e che si compromise col regime soltanto fino a un certo punto. Ma dire che vi si compromise «fino a un certo punto» non vuol dire arrivare a sostenere che non vi si compromise affatto; se è vero che se si interpreta alla lettera il carattere liberale del legislatore del 1940 si correrebbe «il rischio di ritenere che il fascismo non sia esistito» 62. Se è vero, infatti, che la codificazione fascista non si spinse agli eccessi della sua omologa tedesca, è vero che essa non lesinò disposizioni - ad esempio nel codice civile - neppure in materia di leggi razziali63. L’ispirazione fascista, o meglio: la concezione autoritaria che dal fascismo fu adottata, è stata ravvisata, dalla dottrina, in parecchi punti della legislazione civile, al di là dell’art. 1 c.c. sopra citato. Nella legislazione sostanziale essa è 61 Cfr. la legge n. 995 del 10 giugno 1930 sul fallimento; per una disamina si rinvia agli studi di RONDINONE, Storia inedita della codificazione civile, Milano, 2003, p.5 ss. 62 CIPRIANI, Storie di processualisti e di Oligarchi, cit., p.63 nt.48. 63 Emblematico il caso del terzo comma dell’art. 1 c.c, abrogato dall’art. 1 r.d. 20 gennaio 1944 n. 25 e dall’art. 3 d.lgs. lgt. del 14 settembre 1944 n. 287. La norma in esame, dopo avere sancito che la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita (comma primo) e che i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita, affermava - testualmente - che «Le limitazioni alla capacità giuridica derivanti dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali», cfr. per una disamina delle problematiche della codificazione nel suo complesso: RONDINONE, Storia inedita della codificazione civile, cit., p.5 ss. ed in part. p. 595. Per quanto riguarda il codice di procedura civile in particolare si rinvia a CIPRIANI, Il codice di procedura civile tra gerarchi e processualisti, Napoli, 1992, p.13 ss e p. 38-52. 34 stata individuata nella concezione corporativistica, evidente anche nella stessa architettura del testo normativo: è noto che il codice civile, nella sua versione attuale, accorpa in un unico libro, rubricato «del lavoro», le attività professionali, il lavoro autonomo, il lavoro subordinato, l’impresa, l’azienda, le società ed i consorzi. Nella legislazione processuale il sottofondo «fascista», secondo parte della dottrina, è visibile in un certo impianto autoritario, che pone il giudice al centro del processo e gli attribuisce (precisamente all'istruttore) il potere intero di direzione ed impulso64. Volendo, comunque, cercare un trait d’union in tutta la legislazione civile, sostanziale e processuale, di epoca fascista, è possibile ravvisarlo nella generale pubblicizzazione del diritto civile, sostanziale e processuale; deprivatizzazione ravvisata (e quasi sempre lodata) dai primi commentatori. Si rinvia, per tutti, alle parole di Mariano D’Amelio che, nel 1942, nel commentare la riforma al codice civile affermava: «la maggiore deduzione, che si può trarre dalla disposizione di questo codice è il pericolo di morte che sovrasta al diritto privato. è proprio questa la nota di maggiore interesse che presenta l’insieme del nuovo codice di diritto civile. Chi scorre attentamente le sue disposizioni vedrà come siano scarse quelle che non siano d’ordine pubblico o di pubblico interesse. Norme derogabili vi sono, ma costituiscono piccole isole nell’oceano delle norme pubblicistiche. È lo Stato autoritario 64 CIPRIANI, Prefazione a JUAN MONTERO AROCA, I principi politici del nuovo processo civile spagnolo, Napoli, 2002, p. 1 ss.; ID., Autoritarismo e garantismo nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1994, p. 24 ss.; ID. il codice di procedura civile tra gerarchi e e processualisti, cit., p.13 ss e p. 38-52; ID., I problemi del processo di cognizione tra passato e presente., cit., ibidem; ID., La ribellione degli avvocati al c.p.c. del 1942., cit., ibidem; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, p.336, secondo cui l'ideologia immanente all'intero impianto del codice di procedura civile si traduce nell'esaltazione di «un potere e/o interesse pubblico, che sovrasta i diritti delle parti e d esse si impone. Da ciò consegue l'indiscriminato accrescimento dei poteri del giudice, organo che impersona tale interesse e tale potere»; e ID. «La grande illusione, in Il Giusto processo civile, 2008, p.621; ID., Il processo societario innanzi alla Corte costituzionale, in Il giusto processo civile, 2008, p.169; S ATTA , Commemorazioni del codice di procedura civile del 1865, in I D ., Quaderni del diritto e del processo civile, I, Padova, 1969, p. 94, ove si afferma che «il codice vigente, nato sotto un regime autoritario, è (e non poteva non essere, anche se gli ispiratori avessero voluto fare altrimenti) un codice autoritario»; I D ., Storia e «pubblicizzazione» del processo in Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova, 1968, p. 211 ss.; I D ., Intorno al concetto di verità materiale o oggettiva. cit. ibidem. 35 che si afferma sempre di più e fissa la disciplina degli istituti. Oggi vi è quasi una esitazione a nominare soltanto il diritto privato»65. Una forte pubblicizzazione, del resto, è ravvisabile anche nella legge fallimentare, approvata con R.D. del 16 marzo 1942 n.267, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 81, ed. straord. del 6 aprile 1942, con entrata in vigore alla data del 21 aprile 1942 (dunque lo stesso giorno del codice civile, approvato con R.D. 16 marzo 1942 n. 262, pubblicato in gazzetta ufficiale n. 79, ed. straord. del 4 aprile 1942 n. 262). Al di là dell'esistenza di reati fallimentari, della forte presenza di poteri inquisitori del giudice, del ruolo preponderante del giudice delegato in tutte le fasi della procedura, dell’esistenza (nel testo previgente) della dichiarazione di fallimento d’ufficio, è ravvisabile – nelle scelte del legislatore del 1942 – una direttrice di fondo, di riconoscere un interesse statuale, distinto da quello dei singoli creditori, alla 65 D’AMELIO, La codificazione italiana e la sua evoluzione storica, conf. del 21 marzo 1942, in CIRCOLO GIURIDICO DI MILANO, Linee fondamentali della nuova legislazione civile italiana sulla famiglia, la proprietà privata, il lavoro e l’impresa, Milano, 1943, p. 3 ss. Del resto si rammenta che, nell’immediato dopoguerra, studiosi di area vicina alla sinistra chiesero l’immediata soppressione del codice civile. Cfr., sul c.d. «caso Mossa», RONDINONE, Storia inedita della codificazione civile, cit., p.595 ss. 36 dichiarazione di insolvenza ed alla espulsione dal sistema economico dell'impresa66. In questo contesto si inserisce la riforma del codice di procedura civile del 1940, e - per quel che in questa sede interessa - la riforma delle norme sulla sospensione del processo esecutivo. 66 Si vedano le osservazioni di Satta, secondo cui, nell'impianto normativo del regio decreto del 1942, «l'impresa nella economia generale trascende la particolarità del soggetto, si distacca da esso, e ciò si manifesta specialmente quando sopraggiunge lo stato di insolvenza, rispetto al quale i termini privatistici non hanno più senso»: SATTA, Diritto fallimentare, 3° ed., Padova, 1996, p.65. Vale la pena, sul punto, di richiamare le parole del Guardasigilli Dino Grandi, nella Relazione di accompagnamento alla legge fallimentare del 1942 (probabilmente opera dello studioso di diritto commerciale, e convinto sostenitore del Regime, anche negli anni della Repubblica Sociale Italiana, Alberto Asquini: «Nelle sue linee generali la presente legge reagisce decisamente alla concezione troppo liberalistica del codice del 1882, e sviluppa su un piano organico i principi affermati dalla legge rocco del 1930 nel senso di una più energica tutela degli interessi generali sugli interessi individuali dei creditori e del debitore. Si suole a questo proposito parlare di una nuova concezione pubblicistica del fallimento in contrapposto a una tradizionale concezione privatistica». Ed ancora: «la nuova legge assume la tutela dei creditori come un altissimo interesse pubblico e pone in essere tutti i mezzi perché la realizzazione di questa tutela non venga intralciata da alcun interesse particolaristico, sia del debitore sia dei singoli creditori. Rispondono a questi criteri la nuova disciplina degli organi preposti al fallimento, con un accrescimento dei poteri del tribunale e del giudice delegato; la concentrazione dei poteri, assegnati dalla legislazione anteriore alla assemblea dei creditori, nel comitato dei creditori, nominato dal giudice delegato; l'estensione della procedura monitoria per l'accertamento del passivo anche all'accertamento dei diritti reali dei terzi sui beni mobiliari in possesso del fallito; la semplificazione delle norme circa la liquidazione dell'attivo; le nuove più severe norme circa il fallimento delle società commerciali; la più spedita disciplina del concordato fallimentare e preventivo; la semplificazione della materia dei gravami. (…) Consapevole del danno che l'insolvenza dell'impresa reca all'economia generale, la nuova legge è giustamente severa nelle sue sanzioni, dove vi sono responsabilità personali da colpire, come risulta dalle norme penali che la integrano, aliene da ogni malintesa indulgenza. Ma non meno presente è nel sistema della nuova legge il senso di umanità, come appare dalla posizione fatta al fallito durante il fallimento in relazione ai beni che costituiscono strumenti essenziali di vita e di lavoro, come appare dal nuovo istituto della riabilitazione civile del fallito, come appare dalla nuova più larga disciplina data all'istituto del concordato preventivo, fiancheggiato a sua volta dal nuovo istituto dell'amministrazione controllata. La nuova legge ha inteso soprattutto uniformarsi ai principi generali ispiratori della nuova codificazione fascista. Essa va diretta al suo scopo dovunque è in gioco la tutela di un interesse generale; mantiene una linea di moderazione, dovunque si tratta di dirimere contrasti tra interessi individuali divergenti. la nuova legge vuole essere così, anche in tema di fallimento, una legge di giustizia sociale». Per una disamina v. RUSSO, L'iniziativa per la dichiarazione di fallimento, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 73 ss. 37 I.10. La sospensione dell'esecuzione nell'originaria previsione del codice di procedura civile del 1940 Contrariamente al legislatore del 1865, come detto, ed alla maggior parte dei redattori dei progetti che si erano succeduti nei decenni a cavallo tra l'unità d'Italia e la seconda guerra mondiale, i conditores del 1940 affrontarono il tema della sospensione dell'esecuzione in modo organico e – sotto certi aspetti – dogmatico. Prima ancora, a dire il vero, lo spirito dogmatico - sistematico riguardò l’intera materia del processo di esecuzione67 : «Il libro terzo del Codice, dedicato al processo di esecuzione, è quello nel quale più che negli altri si è sentito il bisogno di dare agli istituti, anche nella formulazione delle norme e nel loro raggruppamento, una impostazione sistematica più corrispondente ai progressi della scienza processuale. In questi ultimi decenni la dottrina italiana si è dedicata con speciale amore all’approfondimento della teoria del processo esecutivo: e la rinnovazione profonda di tutta questa parte del nuovo Codice mostra che la nobile fatica degli studiosi non è stata compiuta invano»68. Coerentemente con la nuova impostazione, e analogamente a quanto era stato tentato nel Progetto Sottocommissione C e nel Progetto Carnelutti, sopra menzionati, il legislatore optò anche per raggruppare le norme generali e comuni sulle esecuzioni forzate in un titolo introduttivo (Titolo I, rubricato: «Del titolo esecutivo e del precetto») e nei due titoli finali (Titolo V: «Delle 67 Cfr. CIPRIANI–IMPAGNATIELLO (a cura di), Codice di procedura civile con la relazione al Re, cit., p.296. 68 È, forse, opportuno ricordare quelli che furono - secondo la Relazione al Re - i caratteri distintivi della riforma delle esecuzioni forzate: a) affrancamento del processo esecutivo dalla terminologia e dagli schemi del processo contenzioso (e.g., superamento dello schema dello schema della citazione e della successiva sentenza di autorizzazione alla vendita, di cui si è detto supra; Cfr. Relazione al Re, par. 31: «Questo spreco di forme contenziose in un processo in cui non sussiste contesa derivava dalla mancanza di chiara distinzione teorica tra i due momenti»); b) distinzione del procedimento esecutivo vero e proprio dalle fasi di cognizione che eccezionalmente possono incidere suo suo corso (i.e., le opposizioni dei debitori e dei terzi); c) centralità del giudice dell’esecuzione (secondo una visione autoritaria dello Stato e del processo, in parallelo alla centralità del giudice istruttore nel processo civile di cognizione); d) bilanciamento dell’interesse del creditore con quello del debitore; e) attenzione agli interessi collettivi e statuali, sovraordinati all’interesse delle «parti» private creditore e debitore. Relazione al Re, par.31, in CIPRIANI–IMPAGNATIELLO (a cura di), Codice di procedura civile con la relazione al Re, cit., p.298. 38 opposizioni all’esecuzione e Titolo VI «Della sospensione e dell’estinzione del processo»). Alla sospensione dell’esecuzione la codificazione del 1940 dedicava, precisamente, il Capo I del Titolo VI del Libro III, laddove il Capo II era dedicato all’estinzione. Si tratta(va) di un sistema di sei articoli, ai quali vanno aggiunte le ulteriori regole dettate a proposito delle opposizioni e dell’inibitoria processuale. Tale impianto - o meglio, i sei articoli specificamente compresi nel Capo in esame - rimase pressoché immutato anche a seguito della riforma del 1950, e fino alla novella del 2005; ad eccezione di taluni dettagli (quale il termine di cui all’art. 627c.p.c. per la riassunzione del procedimento esecutivo sospeso, che fu portato dagli originari tre agli attuali sei mesi). Sarebbe, tuttavia, inesatto affermare che l’istituto della sospensione non subì modifiche, negli oltre sessant’anni intercorsi tra la sua entrata in vigore e la novella del 2005. Vi è, infatti, che la legge n. 581 del 14 luglio 1950 incise su numerose norme connesse a quelle specificamente regolate nel nel libro terzo del codice, quali - senza pretese di completezza - l’art. 373 c.p.c. a proposito di inibitoria in caso di ricorso per cassazione. I canoni, comunque, che furono seguiti dal legislatore, possono essere, con una certa approssimazione, così riassunti: - competenza del giudice dell’esecuzione, ovvero del giudice dinanzi al quale il titolo esecutivo è impugnato, a pronunciarsi sulla sospensione69; - tipicità delle ulteriori ipotesi «previste dalla legge»; - eccezionalità della sospensione in caso di opposizione, concedibile solo in presenza di «gravi motivi»; - divieto di compiere atti esecutivi in pendenza di sospensione (divieto, però, derogabile dal giudice); 69 Per i problemi di coordinamento di detta norma con l’art. 373 c.p.c. (che nella sua stesura originaria attribuiva alla Cassazione il potere di sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata), come modificato dalla novella del 1950 (che attribuì, come noto, tale potere al giudice a quo, v. infra. Per le osservazioni a caldo della riforma del 1950, cfr. ANDRIOLI, Commento al Codice di Procedura Civile, 2° ediz., Napoli, 1947, vol. III, p. 380; FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 1956, p. 3 ss. Per l’esegesi storica dell’art. 623 c.p.c. si rinvia a SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1959, p. 472 ss.; SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p. 876 ss. 39 - riassunzione del processo esecutivo sospeso, entro un termine decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ovvero dalla comunicazione della sentenza della corte di appello che rigetta l’opposizione. Al di là delle specifiche scelte particolari, contenute nelle singole disposizioni, la scelta «dogmatica» del legislatore - di dettare una disciplina generale e unitaria, ebbe come conseguenza quella di accentuare - in un certo senso - il carattere di «istituto autonomo» della sospensione dell’esecuzione. Come contraltare - stante, anche, l’esistenza di una certa simmetria, nel codice del 1940, tra il processo di cognizione e quello esecutivo 70 - si affrontò ex professo il rapporto tra la sospensione del processo di cognizione, disciplinata dagli artt. 295 ss. c.p.c. e quella del processo esecutivo, oggetto della presente indagine. 70 Va detto che il legislatore tentò, rispetto al codice del 1865, di affrancare il processo esecutivo dagli schemi del processo di cognizione: si pensi, a tacer d’altro, all’abbandono, nel pignoramento immobiliare, della citazione per autorizzazione alla vendita (art. 665) e del conseguente procedimento di cognizione, che culminava con un atto avente forma di sentenza (v. supra nt. 42 e nt. 43, anche a proposito del Progetto Mortara). Tuttavia il filo conduttore della riscrittura del processo esecutivo seguì - come si evince dalla Relazione al Re - le medesime linee guida della riforma del processo di cognizione: pubblicizzazione del processo, rafforzamento dell’autorità dello Stato, nella persona del giudice dell’esecuzione (che finisce con l’assumere un ruolo di direzione accostabile a quello del giudice istruttore nel processo di cognizione): «La rinnovazione del processo esecutivo è orientata, in ogni sua parte, agli stessi criteri di rafforzamento dell’autorità dell’organo giudiziario e di semplificazione formale alla quale è ispirata tutta la riforma. Come il giudice istruttore nel processo di cognizione, così il giudice dell’esecuzione (art. 484) sta al centro del processo esecutivo, per dirigere, coordinare, stimolare le attività degli interessi che vi partecipano. Anche la esecuzione forzata non si inizia senza istanza di parte: ma, mentre nella legge finora in vigore anche lo svolgimento dell’ulteriore procedimento esecutivo era lasciato quasi per intero all’iniziativa unilaterale del creditore procedente, l’attiva partecipazione del giudice dell’esecuzione servirà d’ora innanzi a chiamare attorno a lui i vari interessati all’esecuzione, e gli darà modo, prima di ordinare i più importanti atti di disposizione, di ascoltare direttamente le loro voci (art. 485) e di tener conto, informandosi dei vari loro punti di vista, di tutti gli aspetti del caso concreto»: Relazione al Re, par.31. 40 II. Sulla «sospensione» (o sulle «sospensioni») in generale e sulle sospensioni dell’esecuzione in particolare. Si è già evidenziato nel capitolo precedente che il legislatore del 1940, ponendosi in discontinuità rispetto al suo predecessore postunitario, introdusse delle norme generali sulla sospensione. Di sospensione, per l’esattezza, il codice di rito parla a proposito di due istituti. Innanzitutto nel libro secondo, in tema di processo di cognizione, e segnatamente al capo settimo del titolo primo (artt. 295-298). Infine, come detto, nel libro terzo del processo di esecuzione, e segnatamente al capo primo del titolo sesto. Notiamo, in primo luogo, la sostanziale identità delle locuzioni adoperate dal legislatore: tanto a proposito del processo di cognizione, quanto di quello di esecuzione si parla sempre e comunque di «sospensione del processo». Ed invero, come fu evidenziato all’indomani dell’entrata in vigore del codice, la principale differenza tra i due capi è data dal fatto che nel processo di cognizione a sospensione ed estinzione viene affiancata l’interruzione, istituto, invece, assente nel capo dedicato al processo esecutivo1. Tale assenza, si segnalò, era da imputare alla specificità delle ipotesi di interruzione nel processo di cognizione, che riguardano ipotesi che colpiscono la persona delle parti, ovvero dei loro difensori, di modo che il contraddittorio viene «interrotto». Tale esigenza non sussiste, di contro, nel processo esecutivo, ove l’esigenza del contraddittorio non esiste, almeno non nella sua pienezza, caratteristica del processo di cognizione. Preso atto della specularità tra i due capi e tra le locuzioni ivi adoperate, già i primi commentatori, allora, si interrogarono se il dato linguistico non fosse indice, al contempo, di una - se non proprio identità - quantomeno omogeneità e vicinanza concettuale tra le due forme di sospensione; se, in particolare, entrambe potessero considerarsi differenti species di un unico istituto, con caratteri comuni. Il panorama di opinioni, al riguardo, è assai variegato. Secondo un primo orientamento il parallelismo sarebbe da imputare esclusivamente al «gusto 1 JAEGER, Diritto processuale civile, Torino, 1944, p.660. 41 letterario del legislatore», atteso che le due forme di sospensione non avrebbero nulla in comune 2. Ed invero, l’esigenza di sospendere il processo di cognizione sarebbe dettata dall’esigenza di coordinare più giudizi, legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità. Di contro la sospensione del processo esecutivo sarebbe il naturale contrappeso dell’azione esecutiva, e della «sua intrinseca unilateralità che esclude il contraddittorio» 3. La sospensione - in particolare - sarebbe sì coordinata a un giudizio, ma si tratterebbe comunque di un giudizio sulla legittimità dell’azione esecutiva (di «impugnazione» lato sensu del titolo esecutivo) e si concreterebbe nella instaurazione di un contraddittorio, che alla procedura esecutiva sarebbe estraneo. Non vi sarebbe, dunque, un rapporto di pregiudizialità tra due giudizi, atteso che nella sospensione dell’esecuzione, il giudizio sarebbe sempre uno solo 4. Avverso tale impostazione si è, tuttavia, obiettato che il rapporto che lega, nella sospensione all’esecuzione, il processo esecutivo da sospendere con quello di opposizione è riconducibile, comunque, al fenomeno della pregiudizialità; con la peculiarità, però, che nelle ipotesi di cui agli artt. 623 ss. c.p.c. i due processi non sarebbero omogenei (ma, rispettivamente, uno di cognizione ed uno di esecuzione)5 , al contrario di quanto avviene nelle ipotesi di sospensione del processo di cognizione. Una posizione che si potrebbe considerare intermedia - anche se concettualmente più vicina alla prima, della quale costituisce, anzi, un’evoluzione - è quella di chi distingue tra fenomeno in sé ed effetti conseguenti, da un lato, e funzione dall’altra. In particolare i due fenomeni di sospensione sarebbero identici, consistendo in una pausa o anche uno «iato» nel corso del procedimento (sia esso di cognizione o di esecuzione). L’identità 2 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959 p. 499. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., ibidem. Si rinvia alle considerazioni svolte al capitolo I, nel commento alle corrispondenti disposizioni del codice Pisanelli. 3 4 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., ibidem; nello stesso senso v. anche MICHELI, L’esecuzione forzata, appunti dalle lezioni di diritto processuale civile, Anno Accademico 1960-1961, in Corso di diritto processuale civile, Milano, 1961, p. 96 ss. (appendice). 5 CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Varese, 1956, p. 19 ss. 42 dei fenomeni giustificherebbe, inoltre, la identità di effetti (durante il processo sospeso non possono compiersi atti del procedimento). Diverse, per contro, sarebbero le funzioni dei due istituti: esigenza di coordinare due giudizi, nel caso della sospensione del processo di cognizione, necessità - nella sospensione dell’esecuzione - di risolvere una controversia che incide sull’esercizio e sullo svolgimento dell’azione esecutiva stessa «realizzando appunto un’interferenza fra un processo di cognizione e il processo esecutivo»6. Le sospensioni del processo di esecuzione - includendo in questa locuzione anche le sospensioni disposte dal giudice dell’impugnazione del titolo e quelle speciali previste dalla legge - del resto presuppongono l’esistenza non di una pregiudizialità di un accertamento rispetto a un altro, quanto piuttosto l’esistenza di «gravi motivi». Sebbene detta formula, come si vedrà infra, subisca delle varianti nelle singole fattispecie, divenendo ora «gravi e fondati motivi» , ora «grave e irreparabile danno», ora essendo espressamente tipizzata (è il caso delle sospensioni speciali, come in materia di usura ed estorsione), la dottrina è solita ricondurla sempre alla coppia fumus boni iuris e periculum in mora 7. Nella sospensione del processo di cognizione tale necessità non sembra sussistere; la sospensione è piuttosto lo strumento per evitare la contraddittorietà dei giudizi, ovvero l’eventualità che il processo non sospeso possa essere inutilmente proseguito. La dottrina, al riguardo, nell’evidenziare i punti di contatto e di distacco delle due sospensioni ha, sul punto, efficacemente evidenziato che la sospensione del processo in generale costituisce un momento di svolgimento anomalo del medesimo, e si configura come una situazione «incompatibile con il compimento di atti ulteriori, sicché non produce cessazione dell’attività, ma è essa stessa uno stato di inattività. L’espressione ‘sospensione’ si collega, pertanto, più che ad una causa o ad una funzione, ad un effetto avente le cause e le funzioni più disparate»8. Solo in tal senso dell’identità, cioè, del fenomeno, pur nella diversità delle cause e funzioni 6 PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, Torino, 2010, p. 259 ss. 7 Si rinvia, sul punto, a quanto si dirà infra, nell’esame delle singole fattispecie. 8 LONGO, La sospensione del processo esecutivo, in MICCOLIS - PERAGO, L’esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, p. 643 ss. 43 sarebbe possibile il parallelismo tra sospensione del processo esecutivo e sospensione del processo di cognizione 9. Connessa alla questione dei «gravi motivi» è la problematica della natura della sospensione. Abbandonata o comunque ridimensionata l’idea che essa abbia, per così dire, uno stretto vincolo di sangue con la sospensione del processo di cognizione, ci si è domandati se possa essere accostata ai provvedimenti cautelari. L’esistenza di un legame tra provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione (recte: sull’esecuzione provvisoria, stante l’originaria formulazione dell’art. 282 c.p.c.10 ), e provvedimenti cautelari, del resto, era stata segnalata nella relazione Grandi, ove si affermava testualmente, nell’illustrare i procedimenti cautelari, che: «se si mettono in relazione queste disposizioni con quelle attinenti alla esecuzione provvisoria delle sentenze (art. 282 e seguenti) ed al potere del giudice di pronunciare in certi casi condanne provvisionali (art. 278), appare evidente come anche sotto questo aspetto la dinamica del procedimento è stata notevolmente rinvigorita, in modo da eliminare in modo assoluto il periculum in mora che potrebbe derivare a chi cerca giustizia dalla necessaria durata del procedimento ordinario 11». La presente tematica verrà affrontata in prosieguo. In questa sede ci si limita a segnalare che tale affinità - che porta a guardare l’esecuzione da sospendere come ad un fatto giuridico, portatore di effetti pregiudizievoli (e non come ad un procedimento legato ad un vicolo di pregiudizialità) - aveva portato, anteriormente alle riforma del 2005-2006, ad ammettere il ricorso alla tutela ex art. 700 c.p.c. in talune ipotesi considerate residuali. La giurisprudenza, infatti, che aveva negato la possibilità di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo per il caso di opposizione a precetto, ammetteva la concedibilità di un provvedimento ex art. 700 c.p.c., anteriormente 9 Volendo mutuare una distinzione propria delle scienze naturali, potrebbe dirsi che le due sospensioni sarebbero istituti omologhi e non analoghi, nel senso che essi pur avendo natura e genesi diverse producono il medesimo effetto (allo stesso modo di come le ali di un imenottero svolgono la medesima funzione delle ali di un uccello, pur avendo origine diversa). 10 Su cui infra, al capitolo IV. 11 Relazione al Re, par.32. 44 all’inizio dell’esecuzione forzata, per inibirne l’attivazione 12. Si osservi che l’ammissibilità di tale rimedio veniva giustificata, sul piano processuale, sotto il profilo della sua residualità, stante inesistenza di «strumenti cautelari tipici» con riguardo, ovviamente, a titoli stragiudiziali. Anche se il concetto non viene chiaramente espresso su un piano teorico, pare evidente che i predetti «strumenti cautelari» cui si fa riferimento non siano da ricercare negli artt. 669 bis ss. c.p.c., quanto piuttosto negli artt. 624 ss. c.p.c. «Cautelari», insomma, erano i provvedimenti disposti dal giudice dell’esecuzione in materia di sospensione. Quanto agli effetti delle sospensioni del processo esecutivo, l’art. 626 c.p.c. detta la regola, abbastanza lineare, secondo cui durante il periodo di sospensione del processo esecutivo non possono essere compiuti atti esecutivi. Il principio ha carattere generale ed è, pertanto, ragionevolmente applicabile a tutte le sospensioni dell’esecuzione richiamate dall’art. 623 c.p.c.; dunque indipendentemente dal fatto che siano state disposte dal giudice dell’esecuzione, da quello dell’impugnazione, ovvero previste dalla legge. La norma, tuttavia, aggiunge che tale effetto preclusivo di ulteriori atti non costituisce regola inderogabile, ma è valida «salvo diversa disposizione del giudice». Sugli aspetti problematici della disposizione e di tale precisazione in particolare, si tornerà, trattando delle sospensioni disposte dal giudice dell’impugnazione del titolo, atteso che è in tali fattispecie che vengono in rilievo i principali problemi di tipo pratico applicativo 13. Parte della dottrina ha, infine, tentato un parallelismo tra sospensione dell’esecuzione e altre figure proprie di altre branche del diritto, e si è interrogata sulla configurabilità di una generale cautela sospensiva, non limitata al campo processualcivilistico ma relativa anche alla sospensione in genere dell’efficacia di atti collegiali impugnati (ad esempio in materia di delibere assembleari societarie, ex art. 2378 c.c., ovvero in materia di comunione ex art. 1109 c.c.), ovvero ancora in materia di sospensione 12 Trib. Mantova, 26 febbraio 2005, in Giur. merito, 2006, p. 316, n. GIORDANO. 13 Par. IV.1. 45 dell’esecutorietà dell’atto amministrativo, della sentenza amministrativa, dell’esazione delle imposte 14. Avverso tale inquadramento unificatore si è, comunque, obiettato che non sarebbe possibile rinvenire - allo stato dell’attuale legislazione - una disciplina elementare comune a fattispecie tra loro diverse, quali sono quelle sopra menzionate15. Non pare, in altri termini, che al di là delle ovvie analogie dovute ad un fattore linguistico (identificabile con l’estensione semantica del vocabolo sospensione) la legislazione attuale sia così evoluta da concepire un sistema unitario, applicabile a differenti aree del diritto. Ai fini della presente indagine, dunque, ci si limiterà alla sospensione dell’esecuzione civile. A tal riguardo si prenderanno le mosse dal dettato dell’art. 623 c.p.c., a norma del quale, salvo che la sospensione sia disposta dalla legge o dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo, l’esecuzione non può essere sospesa che con provvedimento del giudice dell’esecuzione. Nel prosieguo, seguendo lo schema concettuale tracciato dall’art. 623 richiamato, si esamineranno le ipotesi di sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, le ipotesi di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, disposte dal «giudice dell’impugnazione» e infine i casi di «sospensioni diverse» i.e. quelle che l’art. 623 qualifica come disposte «dalla legge». 14 FALZONE, L’inibitoria giudiziale della operatività degli atti giuridici, Milano, 1967, p. 3 ss. 15 CARPI, Sospensione dell’esecuzione, cit., ibidem; ID., La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1956, p. 247 ss. 46 III. La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione (art. 624 c.p.c.). III.1. Considerazioni introduttive. Nell’architettura del codice l’art. 624 c.p.c. è il secondo articolo del capo I, rubricato: «della sospensione del processo», del titolo VI, libro III. Dopo aver affermato, all’art. 623 c.p.c., la regola che - salvi i casi in cui la sospensione è prevista dalla legge, ovvero disposta dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo - la sospensione è disposta con provvedimento del giudice dell’esecuzione, il codice disciplina, all’art 624 c.p.c., le ipotesi di sospensione per opposizione all’esecuzione. La sospensione in questione presuppone, secondo l’esegesi della norma: - che sia iniziata l’esecuzione; - che sia stata proposta opposizione all’esecuzione (o opposizione ex art. 619 c.p.c.1 ); - che vi sia una «istanza di parte»; - che sussistano «gravi motivi» per sospendere l’esecuzione. Il primo requisito porta a concludere, come si vedrà, che - su un piano concettuale - la sospensione disposta in sede di opposizione a precetto andrebbe inquadrata tra le sospensioni disposte «dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo». Il concetto di «impugnazione», infatti, non va inteso probabilmente in senso tecnico, ma in senso lato: come attivazione di un rimedio giurisdizionale per la rimozione di un titolo esecutivo, sia attraverso una impugnazione in senso proprio, sia attraverso un rimedio qualificabile come opposizione2. La sospensione ex art. 624 c.p.c., per contro, è una sospensione disposta dal «giudice dell’esecuzione», giudice che - a maggior ragione dopo le riforme del 2005-2006 - è concettualmente distinto da quello che avrà poi cognizione sul merito della causa di opposizione. Va anticipato sin d’ora che l’espressa menzione del «giudice dell’esecuzione», come pure l’originario richiamo da parte della norma al solo 1 Per la sospensione in caso di opposizione ex art. 617 c.p.c. e per il richiamo all’art. 512 c.p.c., diffusamente infra. 2 Infra, capitolo IV. 47 secondo comma dell’art. 615 c.p.c., non comporta, per ciò solo, che, anteriormente alla novella del 2005-2006, fosse da escludere a priori la possibilità di sospendere il processo esecutivo in caso di opposizione a precetto. La scelta normativa, probabilmente, stava semplicemente a significare che l’inibitoria concessa prima dell’inizio dell’esecuzione esulava oggi come anteriormente al 1° marzo 2006 - dal campo di applicazione dell’art. 624 c.p.c., destinato, appunto, a regolare, almeno in alcune sue parti, le ipotesi specifiche di sospensione disposta dal giudice «dell’esecuzione»3. Tale considerazione, a nostro avviso, è valida tuttora, anche dopo che il legislatore, a seguito della novella del 2005, ha espressamente previsto la possibilità di una sospensione in caso di opposizione a precetto. Le riforme che si sono succedute tra il 2005 ed il 2009 4, come è noto, hanno modificato sia la sospensione all’esecuzione, oggetto specifico della presente indagine, che il sistema delle opposizioni in generale. Le modifiche introdotte alla prima, probabilmente, sono in una certa misura conseguenza della modifica della seconda. Di più, sempre probabilmente, le riforme del primo decennio del XXI secolo tradiscono una mutazione della concezione dell’opposizione e della sospensione, e del collegamento di queste con l’esecuzione. Se, come si è visto nei precedenti capitoli, all’entrata in vigore del codice di rito il dibattito dottrinario era tutto incentrato sulla possibilità o meno di assimilare la sospensione dell’esecuzione a quella del processo di cognizione, oggi i margini per una analogia si sono probabilmente ridotti. Questo perché la prospettiva del legislatore - l’ottica, cioè, con la quale è disciplinata oggi la sospensione - è mutata. Questo mutamento di prospettiva trova una sua causa efficiente, come detto, nella trasformazione del processo di opposizione, o, meglio, nella trasformazione del rapporto tra detto processo e quello esecutivo. 3 Sul punto, diffusamente, infra. 4 Per una disamina v. CARRATTA, Le novità in materia di sospensione del processo di esecuzione forzata, in MANDRIOLI - CARRATTA, Come cambia il processo civile, Torino, 2009, p. 109 ss.; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Vol. IV, L'esecuzione forzata. I procedimenti sommari, cautelari e possessori. Il nuovo procedimento sommario cognitorio. La giurisdizione volontaria., Torino, 2009, p.11 ss. ed in part. p.223 ss. 48 Appare utile anticipare subito, ma sul punto si tornerà tra breve, che il legislatore pare avere abbandonato - ammesso che l’avesse mai accolta5 l’idea che esecuzione e giudizio di cognizione (opposizione) possano essere legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità. Dall’esame delle norme pare, piuttosto, che l’esecuzione venga considerata, dal punto di vista del giudizio di opposizione, alla stregua di un mero fatto giuridico, idoneo a produrre effetti pregiudizievoli per la parte opponente, rispetto al diritto dedotto in lite. Tale lesività giustifica l’emissione di un provvedimento latamente «cautelare» come la sospensione, idoneo ad anticipare gli effetti della sentenza di opposizione. Presupposto della presente indagine è che il legislatore del 2005-2009 abbia considerato il rapporto sospensione - merito dell’opposizione alla stregua di quello intercorrente tra provvedimento cautelare - giudizio di merito ex artt. 669 bis ss. c.p.c. In questo stato di cose la sospensione parrebbe essere stata intesa come il mezzo latamente cautelare per consentire l’accertamento del diritto (accertamento demandato al giudizio «di merito», che in questa sede è il merito dell’opposizione); recte: per evitare che, nelle more dell’accertamento del diritto, la prosecuzione dell’esecuzione possa dare luogo a conseguenze irrimediabilmente pregiudizievoli per il debitore. Una volta compiuto questo primo passaggio - dell’accostamento della sospensione dell’esecuzione ad un provvedimento cautelare - il legislatore ne ha, poi, compiuto un altro. Nel dettare la nuova disciplina dell’art. 624 c.p.c., le novelle del 2005-2009 hanno finito con l’attribuire una tendenziale e potenziale «definitività» al provvedimento di sospensione, che determina qualora non venga introdotto «il giudizio di merito», l’estinzione del processo esecutivo nel suo complesso. Il che ci porta a ritenere che il legislatore abbia seguito non solo lo schema concettuale dei procedimenti cautelari, ma, in particolare, quello dei procedimenti c.d. «anticipatori». Analogamente ad un provvedimento ex art. 700 c.p.c.6 , infatti, la sospensione può costituire, per i 5 Si rinvia alle considerazioni sopra svolte al capitolo II, ed alla dottrina ivi richiamata. 6 Che, non a caso, veniva utilizzato, in passato, per produrre effetti analoghi alla sospensione, nei casi in cui questa veniva considerata inapplicabile: cfr., a proposito dell’opposizione a precetto, le considerazioni che verranno svolte infra. 49 suoi effetti estintivi, l’ultimo atto dell’opposizione, e produrre effetti corrispondenti a quelli cui darebbe luogo l’accoglimento della domanda di merito. Legittima o meno che fosse tale nuova o vecchia prospettiva7, essa costituisce, probabilmente, una scelta del legislatore, che offre lo spunto per rivedere taluni schemi e concezioni dottrinarie, sviluppatesi in questi anni. Per cogliere - sulla base del dato normativo - questa prospettiva, è necessario prendere le mosse dal concetto di opposizione, e dal modello di opposizione all’esecuzione, emerso a seguito delle riforme. III.2. Sul concetto di opposizione in generale Il codice di procedura civile, almeno nel suo impianto originario, menzionava un istituto denominato opposizione: - all'art. 404, a proposito dell'opposizione di terzo come mezzo di impugnazione delle sentenze, nelle due fattispecie dell'opposizione ordinaria e revocatoria; - agli artt. 615, 617 e 619 (le opposizioni all'esecuzione); - all'art. 645, a proposito dell'opposizione a decreto ingiuntivo; - all'art. 665, a proposito dell'opposizione allo sfratto; - si parlava di opposizione atipica anche a proposito dell'istituto di cui all'art. 512 (la c.d. opposizione al progetto di distribuzione, rientrante tra le opposizioni atipiche; la dottrina le aveva inquadrate tra le c.d. opposizioni di merito8). - all'art. 211, che disciplinava (e disponeva) l'opposizione del terzo avverso l'ordine di esibizione diretto nei suoi confronti9 ; 7 Per una disamina: CARRATTA, Le novità in materia di sospensione del processo di esecuzione forzata., cit., p. 111. 8 FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, p. 196 ss. 9 Art. 211 - Tutela dei diritti del terzo. Quando l'esibizione è ordinata ad un terzo, il giudice istruttore deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo, e prima di ordinare l'esibizione può disporre che il terzo sia citato in giudizio, assegnando alla parte istante un termine per provvedervi. Il terzo può sempre fare opposizione contro l'ordinanza di esibizione, intervenendo nel giudizio prima della scadenza del termine assegnatogli. 50 all'art. 483, che disciplina, in caso di cumulo di mezzi di espropriazione, l'opposizione del debitore diretta a limitare l'espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina10; - all'art. 720 che disciplina l'opposizione del terzo al provvedimento di revoca dell'interdizione o inabilitazione 11; - all'art.764 , che disciplina l'opposizione alla rimozione dei sigilli12 ; - all'art. 779, che disciplina l'opposizione all'Istanza di liquidazione proposta dai creditori e legatari da parte dei creditori13 ; - all'art. 618 bis, a proposito delle opposizioni in materia di lavoro; 10 Art. 483 - Cumulo dei mezzi di espropriazione. Il creditore può valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge; ma, su opposizione del debitore, il giudice dell'esecuzione, con ordinanza non impugnabile, può limitare l'espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina. Se è iniziata anche l'esecuzione immobiliare, l'ordinanza è pronunciata dal giudice di quest'ultima. 11 Art. 720 - Revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione. Per la revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione si osservano le norme stabilite per la pronuncia di esse. Coloro che avevano diritto di promuovere l'interdizione e l'inabilitazione possono intervenire nel giudizio di revoca per opporsi alla domanda, e possono altresì impugnare la sentenza pronunciata nel giudizio di revoca, anche se non parteciparono al giudizio. Per una disamina su tali peculiari opposizioni v. BORDONALI, Il sistema delle opposizioni matrimoniali, Padova, 1985, p. 7 ss. 12 Art. 764 - Opposizione. Chiunque vi ha interesse può fare opposizione alla rimozione dei sigilli con dichiarazione inserita nel processo verbale di apposizione o con ricorso al giudice. Il giudice fissa con decreto una udienza per la comparizione delle parti e stabilisce il termine perentorio entro il quale il decreto stesso deve essere notificato a cura dell'opponente. Il giudice provvede con ordinanza non impugnabile, e, se ordina la rimozione, può disporre che essa sia seguita dall'inventario e può dare le opportune cautele per la conservazione delle cose che sono oggetto di contestazione. 13 Art. 779 - Istanza di liquidazione proposta dai creditori e legatari. L'istanza dei creditori e legatari prevista nell'art. 509 del Codice civile si propone con ricorso. Il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione dell'erede e di coloro che hanno presentato le dichiarazioni di credito. Il decreto è comunicato alle parti dal cancelliere. Il tribunale provvede con ordinanza non impugnabile in Camera di consiglio, previa audizione degli interessati a norma del comma precedente. L'istanza di nomina non può essere accolta e la nomina avvenuta deve essere revocata in sede di reclamo, se alcuno dei creditori si oppone e dichiara di voler far valere la decadenza dell'erede dal beneficio d'inventario. Se l'erede contesta l'esistenza delle condizioni previste nell'art. 509 del codice civile, il giudice provvede all'istruzione della causa, a norma del libro secondo, disponendo gli opportuni mezzi conservativi, compresa eventualmente la nomina del curatore. 51 - all'art. 669 septies, che disciplina, nel procedimento cautelare, la possibilità di proporre opposizione avverso l'ordinanza immediatamente esecutiva di condanna alle spese14; - agli artt. 831 e 840 a proposito, rispettivamente, di opposizione di terzo al lodo arbitrale e di opposizione all'esecutorietà del lodo straniero; Vi erano, poi, le opposizioni previste dal codice civile: - all'art. 2797, che prevede, in caso di vendita della cosa data in pegno, la possibilità che venga proposta «entro cinque giorni dall'intimazione» una opposizione; - agli artt. 102-105 (che disciplinano le opposizioni matrimoniali); - all'art. 2906, che disciplina l'opposizione al pagamento in caso di sequestro conservativo; - all'art. 1113, a proposito delle opposizioni alla divisione; Si parlava, poi, di opposizione anche nelle leggi processuali speciali, prima fra tutte la legge fallimentare, nel testo approvato con r.d. n. 267 del 16 marzo 1942; ed in particolare con riferimento: - agli artt. 18 ss., che disciplinavano l'opposizione alla dichiarazione di fallimento (oggi divenuta reclamo, dopo un breve interregno da «appello»)15; - all'art. 98, che disciplinava l'opposizione allo stato passivo; - si parlava di opposizioni anche riguardo al disposto dell'art. 116 (le contestazioni in sede di approvazione del rendiconto). Non è questa la sede per una compiuta trattazione sul punto; volendo, però, individuare un difficile trait d'union – e, dunque, una chiave di lettura - tra le fattispecie e le disposizioni sopra elencate, è possibile concludere che ogni 14 Art. 669-septies - Provvedimento negativo. L'ordinanza di incompetenza non preclude la riproposizione della domanda. L'ordinanza di rigetto non preclude la riproposizione dell'istanza per il provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. Se l'ordinanza di incompetenza o di rigetto è pronunciata prima dell'inizio della causa di merito, con essa il giudice provvede definitivamente sulle spese del procedimento cautelare. La condanna alle spese è immediatamente esecutiva ed è opponibile ai sensi degli articoli 645 e seguenti in quanto applicabili, nel termine perentorio di venti giorni dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione. 15 Si rinvia, sul punto,a RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce la procedura prefallimentare, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 124 ss. 52 qualvolta il legislatore ha introdotto un'opposizione si era, probabilmente, in presenza: - di un procedimento privo, almeno nella sua fase iniziale, di un contraddittorio pieno (o perché si tratta di procedimento non cognitivo ma esecutivo, o perché la prima fase del procedimento era avvenuta in assenza della parte medesima); - ovvero di un procedimento che astrattamente sarebbe stato a contraddittorio pieno, ma che concretamente si era svolto in assenza della parte cui la legge attribuisce il diritto di proporre opposizione (emblematico il caso dell'art. 404 c.p.c., o dell’opposizione tardiva allo sfratto, cui si dirà infra, al par. IV.6.). In tutti questi casi, dunque, l'opposizione non ha natura di mezzo di impugnazione vero e proprio, ma costituisce, piuttosto, lo strumento: - o per introdurre, appunto, il contraddittorio pieno in un procedimento che, fino a quel momento, non lo aveva avuto; - ovvero per introdurre il contraddittorio nei confronti di un terzo soggetto, che non era stato messo in condizione di contraddire nel procedimento «a cognizione piena». Questa chiave di lettura consente meglio di capire il perché di talune scelte del legislatore, che si sono riverberate nell'introduzione di istituti, spesso, nella loro successiva evoluzione, e dallo sviamento dall'originaria impalcatura concettuale. III.3. Sull’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e sull’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. in particolare (cenni). L’art. 615 disciplina innanzitutto l'opposizione diretta a contestare il diritto della «parte istante»16 a procedere all'esecuzione forzata, nonché quella (che a ben vedere costituisce una specificazione della prima categoria) «che riguarda la pignorabilità dei beni». 16 Per una critica alla locuzione utilizzata dal legislatore v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2007, p. 252 ss., sull'esatto rilievo che il creditore procedente, a ben vedere, non chiede nulla, ma si limita ad agire esecutivamente contro l'obbligato. 53 È stato giustamente rilevato che in ambedue le ipotesi l'opposizione serve ad impedire il corso dell'esecuzione, «quando essa sia contraria alla legge, in ciò comprendendosi anche la pretesa di espropriare beni impignorabili» 17. Quale che sia l'impostazione concettuale corretta da dare all'esecuzione forzata (se in essa sia escluso un qualsivoglia accertamento del diritto del creditore ma l'esistenza del titolo sia la sola condizione necessaria e sufficiente per agire in executivis18, ovvero se il contraddittorio sia comunque connaturato al processo esecutivo 19) è certo che attraverso l'opposizione si dà luogo ad un giudizio contenzioso e a contraddittorio pieno, formalmente distinto dal processo esecutivo, e che attraverso essa il contraddittorio, «ridotto ai minimi termini proprio perché ci troviamo in sede esecutiva e non cognitiva, trovi modo di esplicarsi anche in questa fase»20. Ratio dell'opposizione all'esecuzione è, dunque, introdurre uno strumento di controllo della legittimità e del fondamento del diritto soggettivo portato nel titolo. Sulla base di questa premessa - si è visto - la dottrina ha negato l’esistenza di una affinità tra la sospensione del processo di cognizione e quella dell’esecuzione. La prima, infatti, presuppone la necessità di coordinare due giudizi legati da un rapporto di pregiudizialità; la seconda è lo strumento tecnico per consentire la definizione di una fase a cognizione e contraddittorio pieni, nell’ambito di un processo che è sostanzialmente ed intrinsecamente unilaterale21 . Non può esservi, secondo tale ricostruzione, alcuna «pregiudizialità» tra giudizio di opposizione ed esecuzione, per il semplice fatto che non si tratta di due giudizi, ma di uno solo. Attraverso l’opposizione, 17 MONTELEONE, Manuale., ibidem. 18 Ci si riferisce alla c.d. concezione astratta del titolo; per una disamina critica v. MONTELEONE, Manuale., ibidem. 19 Se non altro per la possibilità del debitore di proporre, appunto, opposizione per impedire il corso di una esecuzione «ingiusta» e per l'espresso richiamo, nell'art. 474 c.p.c., delle parole (riferite al titolo esecutivo) «per un diritto certo, liquido ed esigibile» : v. MONTELEONE, Manuale., ibidem. 20 MONTELEONE, Manuale., ibidem. 21 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959 p. 499; si rinvia alle considerazioni svolte al capitolo II ed alla bibliografia ivi richiamata. 54 dunque, si concreterebbe nella instaurazione di un contraddittorio, che alla procedura esecutiva è estraneo 22. Per quanto concerne i vizi deducibili con l'opposizione ex art. 615 c.p.c. è opportuno richiamare i risultati dell'indagine dottrinaria e giurisprudenziale consolidati nei quasi settant'anni di vita del codice. Se l'esecuzione è fondata su un titolo giudiziale sono da considerare precluse tutte quelle censure, ragioni o motivi inerenti alla formazione del titolo medesimo. Se il creditore, in altri termini, procede in forza di un decreto ingiuntivo o di una sentenza di condanna per uno scoperto di conto corrente, il debitore non potrà, in sede di opposizione, tentare di riaprire la questione della capitalizzazione trimestrale, del rinvio alle condizioni uso su piazza etc. Come pure non potrà far valere l'esistenza di una transazione anteriore alla formazione del titolo, né la prescrizione del diritto, l'annullabilità del contratto etc.23 . Si tratta, infatti, di accertamenti che sono ormai preclusi dalla formazione del giudicato o che, comunque (se il provvedimento fosse ancora impugnabile), dovrebbero costituire oggetto dell'apposito gravame. La violazione di tale regola, secondo la giurisprudenza, dà luogo ad una causa di inammissibilità del (motivo di) opposizione e non di una sua infondatezza del merito. La giurisprudenza si è spinta, al riguardo, fino ad affermare che 22 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., ibidem; nello stesso senso v. anche MICHELI, L’esecuzione forzata, appunti dalle lezioni di diritto processuale civile, Anno Accademico 1960-1961, in Corso di diritto processuale civile, Milano, 1961, p. 96 ss. (appendice). 23 Cass. 7 ottobre 2008, n. 24752, secondo cui «Il potere di cognizione del giudice dell'opposizione all'esecuzione è limitato all'accertamento della portata esecutiva del titolo posto a fondamento dell'esecuzione stessa, mentre le eventuali ragioni di merito incidenti sulla formazione del titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l'impugnazione della sentenza che costituisce il titolo medesimo (come, nella specie, il prospettato obbligo dell'assicuratore di pagare, indipendentemente dalla sua "mala gestio", il danno da sinistro stradale per l'intero, senza il limite del massimale, quale soggetto anticipatario, per la parte eccedente, dell'obbligo risarcitorio del danneggiante). (Rigetta, App. Roma, 25 settembre 2003)». Conf, per il caso di titolo giudiziale costituito da decreto ingiuntivo: Cass. 25 maggio 2007, n. 12251. 55 siffatta causa di inammissibilità sarebbe rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado d'appello 24. È possibile, però, far valere l'inesistenza del titolo giudiziale, nei casi (di scuola) della sentenza non sottoscritta da alcun giudice, ovvero di quella resa a non iudice25, ovvero motivi sostanziali sopravvenuti alla formazione del titolo medesimo (si pensi all'avvenuto pagamento, successivamente alla sentenza, delle somme per cui è condanna, alla prescrizione del diritto successiva alla sentenza, alla sopravvenuta transazione, remissione etc.). Per i titoli stragiudiziali, invece, non sussiste alcuna preclusione quanto ai vizi deducibili: in sede di opposizione potranno essere dedotti fatti anteriori o coevi alla formazione del titolo, quanto situazioni successive, come il pagamento o l'estinzione. In questo caso, infatti, non esiste alcun provvedimento giurisdizionale. Qualche dubbio potrebbe permanere a proposito di quei titoli ontologicamente stragiudiziali per i quali, però, è previsto (improvvidamente dal legislatore, anche nelle recentissime riforme) un procedimento di «giurisdizionalizzazione», come l'omologazione. Ci si riferisce, in particolare, alla conciliazione, già prevista in materia societaria, agli artt. 38 ss. del d.lgs. 5/2003, ed ora estesa a numerose altre fattispecie dal d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, in attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. L’art. 12 di tale decreto (analogamente all’abrogato art. 40 d.lgs. 5/2003) attribuisce efficacia di titolo esecutivo al verbale di conciliazione (non solo per l'espropriazione forzata, ma anche per l'esecuzione in forma specifica e per 24 Cass. 5 settembre 2008, n. 22402; riteniamo, salva la formazione del giudicato interno sul punto. La portata del principio giurisprudenziale richiamato si comprende ove si tengono presenti le ben note evoluzioni ermeneutiche circa la deducibilità della violazione del giudicato c.d. esterno, ammissibile in ogni stato e grado del processo: Cass. 11 settembre 2007, n. 19090, e la possibilità di proporre il rimedio della revocazione della sentenza contraria ad altra avente autorità di cosa giudicata. Per il caso peculiare delle sentenze dei giudici amministrativi relative alla giurisdizione v. Cons. Stato 2 luglio 2002 n. 3606, Cons. Stato 20 giugno 1997 n. 945, e Cons. Stato Ad. Plen. 28 ottobre 1980 n.42, sul presupposto che la statuizione sulla giurisdizione non sia suscettibile - sempre che non sia intervenuta una decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - di passare in cosa giudicata e che, conseguentemente, il difetto di giurisdizione è rilevabile d'ufficio in grado di appello, anche in caso di statuizione esplicita del giudice di primo grado. 25 MONTELEONE, Manuale ., ibidem 56 l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale). Ma tale efficacia viene subordinata a una sorta di giudizio di omologazione da parte del «presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo» di mediazione. In questi casi la promiscuità e l'incertezza legislativa circa la natura giudiziale o stragiudiziale del titolo che si viene a formare fanno sorgere qualche dubbio circa l'effettiva, possibile portata dell'eventuale opposizione. Riteniamo, comunque, che debba prevalere la natura stragiudiziale del titolo, con conseguente possibilità di dedurre anche vizi intrinseci ad esso. E ciò a prescindere da ogni eventuale improvvida giurisdizionalizzazione 26. Circa i modi di proporre l'opposizione, il codice, come è noto, distingue tra opposizione a precetto e opposizione all'esecuzione già iniziata. Nel primo caso essa si propone dinanzi al giudice «competente per materia, valore e territorio a norma dell'art. 27»; competente, dunque, potrà ben essere anche il giudice di pace, ovvero una sezione specializzata; fatto, questo, che pone qualche problema, qualora si ritenga ammissibile - avverso il provvedimento di sospensione emesso in questa sede - il reclamo 27. L'atto introduttivo sarà, dunque, nella maggior parte dei casi, una citazione (a meno che, in ragione del rito, non sia previsto che la domanda introduttiva dinanzi al giudice competente debba essere proposta con ricorso, giusta la regola dell’art. 618 bis c.p.c.). Nel caso, invece, che l'esecuzione sia già iniziata, l'opposizione si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione, che ha competenza funzionale28 (almeno con riguardo alla fase del merito cautelare). 26 A noi pare un grave errore di prospettiva concepire la conciliazione (o mediazione, che dir si voglia) come una «procedura» davanti ad una sorta di giudice speciale «minore», o una sorta di anticamera al giudizio. Essa è, in fin dei conti, null’altro che una negoziazione «assistita», diretta alla formazione di un vincolo contrattuale. Come logica conseguenza dovrebbe essere studiata inquadrata e regolamentata, anche sul piano dogmatico, secondo gli schemi del diritto civile sostanziale, più che di quello processuale. Posta questa premessa, si osserva semplicemente che, se si fosse voluto attribuire efficacia esecutiva al verbale di conciliazione, la soluzione più logica sarebbe stata abilitare gli organismi di conciliazione ed i mediatori ad autenticare le sottoscrizioni delle parti. Ciò avrebbe comportato l’applicazione dell’art. 474 n. 2 c.p.c., per quanto concerne le obbligazioni di pagamento di una somma di denaro. 27 V. par. VIII.6. 28 Cass. 18 aprile 2001, n. 5685. Per una disamina sul concetto di competenza funzionale si rinvia a RUSSO, Il tribunale competente, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 52 ss. 57 Legittimato attivamente ad opporsi è il soggetto contro il quale è rivolto il precetto: di norma il debitore, ma anche il terzo proprietario ex art. 604 c.p.c. ed il soggetto obbligato ad adempiere quanto è intimato nel precetto. Si ritiene sia legittimato a proporre opposizione all'esecuzione ex art.615 (e non opposizione di terzo ex art. 619) anche l'amministratore giudiziario dei beni sottoposti a misure di prevenzione antimafia. Fino a che non diventi definitiva la confisca, infatti, l'amministratore giudiziario ovvero il custode (qualora il sequestro sia stato disposto nel corso di un processo penale, e non in sede di autonomo procedimento per misure di prevenzione) non riveste la posizione di terzo proprietario 29. Legittimato passivamente è, sicuramente, il creditore procedente; è opportuno, inoltre, che il contraddittorio venga esteso agli altri creditori intervenuti (l'accoglimento dell'opposizione travolgerebbe anche i diritti di costoro)30 . Per quanto riguarda le norme processuali va detto che, per il caso di opposizione all'esecuzione già iniziata, la formulazione normativa distingue la fase del merito cautelare, davanti al giudice dell'esecuzione, da quella del merito dell'opposizione, successivamente alla riassunzione o introduzione del giudizio di merito. L'estinzione del processo esecutivo comporta la sopravvenuta carenza di interesse all'opposizione31. L'accoglimento dell'opposizione fa cessare ad ogni effetto il processo esecutivo, che non sia stato nel frattempo sospeso, ivi comprese la vendita forzata o l'assegnazione dei beni, indipendentemente dal dolo del creditore procedente32. 29 Trib. Palermo, ord. 2 dicembre 2009 nell'esecuzione n. 35/1999, inedita. Si rinvia al par. VII.3. 30 Nel senso che non sussista un litisconsorzio necessario dei creditori intervenuti che non abbiano compiuto atti esecutivi v. Cass. 8 maggio 1991 n. 5146; cfr., in dottrina MONTELEONE, Manuale., ibidem. 31 Si rinvia per una compiuta trattazione a BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att., in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p. 420 ss.; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.432; ZIINO, Art. 617, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.429. 32 MONTELEONE, Manuale ., ibidem sul rilievo che non si tratta di mera nullità di atti esecutivi, come prevista dall'art. 2929 c.c., ma di accertamento dell'inesistenza del diritto del creditore a procedere all'esecuzione forzata: v. Cass. 16 luglio 1992 n. 8665. 58 Si rammenta, inoltre, che la materia tutta delle opposizioni all'esecuzione rientra tra quelle per le quali l'art. 92 ord.giud. prevede la trattazione nel periodo feriale. Quindi, giusta il richiamo dell'art.3 del d.lgs. 9 aprile 1948 n. 437 i termini processuali – anche quelli per la vocatio in ius – non vengono sospesi. In caso di opposizione all'esecuzione già iniziata il legislatore delle riforme del 2005-2006 ha accentuato la struttura bifasica dell'opposizione 33, dando luogo ad un sistema binario articolato: - in una prima fase (proposizione del ricorso e decisione sul merito cautelare) riservata al giudice dell'esecuzione, e regolata, giusta il disposto degli artt. 185 disp.att., dalle norme sui procedimenti camerali, di cui all'art. 737 ss. c.p.c.; - in una seconda fase (introduzione del giudizio di merito, sua trattazione e decisione), davanti al giudice dell’opposizione vera e propria, secondo le regole proprie del rito ordinario (salvo per quanto si dirà infra). L'art. 616 c.p.c., in particolare, dispone che se competente per la causa è l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione questi fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'articolo 163 bis, o altri se previsti, ridotti della metà; altrimenti rimette la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa. La disposizione, forse, non brilla per chiarezza concettuale. È stato sostenuto che la norma, nel suo complesso, pare indicare che il ricorso iniziale, previsto dall'art. 615 secondo comma, non determini la pendenza del giudizio di merito, ma solo della fase preliminare di natura camerale34. Se è corretta questa interpretazione, deve essere considerato improprio l'utilizzo, da parte del legislatore, del termine «riassunzione», per l'ipotesi che il giudice competente a conoscere il merito dell'opposizione sia diverso da 33 Si rinvia per una compiuta trattazione a BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att., cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, cit., ibidem; ZIINO, Art. 617, cit., ibidem. 34 Cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, cit., ibidem.; ID., Manuale., ibidem. 59 quello al quale appartiene il giudice dell'esecuzione. Non di riassunzione si tratterebbe, ma di vera e propria «introduzione» 35. La natura bifasica, ovviamente, non comporta necessariamente che il giudice del merito cautelare, inteso come persona fisica, debba essere diverso da quello dell'opposizione. Non avendo il giudizio di merito natura di impugnazione non si vedrebbe il perché di una simile, inutile complicazione. Specie nei piccoli tribunali, ove non è prevista un'articolazione dell'ufficio in sezioni, è ben possibile che il giudice persona fisica sia il medesimo in ambedue le fasi. Si segnala, sul punto, che il legislatore della riforma del 2009 ha previsto espressamente, per la sola opposizione agli atti esecutivi (diffusamente, infra) che il giudice del merito debba essere diverso da quello «che ha conosciuto degli atti avvero i quali è proposta opposizione» (art. 186 bis disp.att.)36. Quel che è certo è che i due «giudizi» vanno comunque tenuti distinti, da un punto di vista concettuale e processuale 37. L’introduzione tardiva del 35 Cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, cit., ibidem. 36 Evidentemente il legislatore ha ritenuto che, in caso di opposizione agli atti esecutivi dove si discorre della regolarità di alcuni atti, sussiste una certa incompatibilità del giudice, che potrebbe essere chiamato a decidere sulla legittimità di un proprio provvedimento. Tale incompatibilità non sussisterebbe, invece, nell’opposizione all’esecuzione, che ha ad oggetto, come si è detto, il diritto a procedere all’esecuzione forzata, e nella quale il carattere di «impugnazione» di un provvedimento giurisdizionale è, probabilmente, del tutto assente. 37 Cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, cit., ibidem. Avendo chiara la distinzione, però è possibile risolvere i problemi pratici che si presentano. La procura conferita per la fase del merito cautelare può mantenere, a mio giudizio, la sua efficacia anche nel giudizio di merito; a meno che non si evinca che essa sia stata conferita esclusivamente per la fase cautelare. È prudente, in ogni caso, fare espressa menzione nella procura del potere di difendere la parte «anche nell'eventuale giudizio di merito», ovvero farsi rilasciare una nuova, autonoma procura. Lo stesso dicasi, naturalmente, per quanto concerne l'eventuale autorizzazione a stare in giudizio (si pensi al caso di opposizione proposta da una Curatela fallimentare, o comunque soggetta a speciale autorizzazione del giudice), ovvero per quanto concerne l'ammissione al gratuito patrocinio. Occorrerà, comunque, esaminare caso per caso gli atti, e interpretare, secondo buona fede, la volontà delle parti. Altro problema pratico riguarda l'eventuale fascicolo depositato nel merito cautelare. Nelle prassi che si stanno delineando in tutta Italia pare che il difensore non venga autorizzato, prima dell'introduzione del giudizio di merito, a ritirare la propria produzione (depositata nel fascicolo dell'esecuzione); occorrerà, pertanto, introdotto il giudizio di merito, chiedere il richiamo. Si tratta, comunque, di difficoltà tutte risolvibili con un minimo di senso pratico, che possono essere risolte nelle prassi applicative sulla base del diritto vigente. 60 giudizio di merito comporta, è stato sostenuto, la caducazione dell'opposizione e le conseguenze di cui all'art. 624 terzo comma. Si segnala, da ultimo, un interessante principio giurisprudenziale38, secondo cui il giudice dell'opposizione all'esecuzione, ove ritenga che la corretta interpretazione del titolo esecutivo giudiziale comporti la riduzione della pretesa azionata "in executivis" dal creditore, non può pronunciare una sentenza di condanna del debitore al pagamento della minor somma così determinata, perché in questo caso si duplicherebbe il titolo esecutivo, ma deve limitarsi ad accertare quale sia l'esatto ambito oggettivo e soggettivo del suddetto titolo e, conseguentemente, pronunciarsi sulla legittimità o meno dell'esecuzione già intrapresa, configurandosi, per l'appunto, siffatto giudizio 38 Cass. 24 aprile 2008, n. 10676 (Cassa e decide nel merito, App. Salerno, 12 Marzo 2003). 61 come causa di accertamento negativo, totale o parziale, dell'azione esecutiva esercitata39. L’opposizione di terzo all’esecuzione è, invece, disciplinata dall’art. 619 c.p.c. Per quanto concerne l’oggetto della presente indagine - i.e., ai fini dell’individuazione della normativa applicabile alla sospensione all’esecuzione - l’art. 624 c.p.c. detta una disciplina unitaria sia per 39 Altra novità introdotta con la novella del 2005-2006 era la non appellabilità della sentenza che avrebbe deciso sull'opposizione. La norma era stata dettata, probabilmente, dalla volontà di risolvere un problema pratico, che si verificava ogniqualvolta il debitore avesse dedotto, col medesimo atto, sia l'impignorabilità dei beni e/o l'inesistenza del diritto che, al tempo stesso, irregolarità formali o altri vizi deducibili con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. Accadeva, ad esempio, che il debitore, proponendo opposizione, contestasse sia l'inesistenza del diritto (ad esempio perché prescritto) che, e.g., l'irregolarità della notificazione del titolo. In questo caso ci si sarebbe trovati in presenza di due opposizioni riunite, decise in un simultaneus processus. Con la previsione della inappellabilità il legislatore, probabilmente, aveva voluto evitare la conseguenza della doppia impugnazione (con appello per quanto riguarda i primi vizi, con ricorso per cassazione per quanto attiene i secondi) e tutte quelle incertezze connesse ai casi limite, in cui l'individuazione dell'esatta opposizione avrebbe potuto essere sfuggente. La riforma era stata, però, giustamente contestata dai commentatori: si era evidenziato che l'opposizione all'esecuzione riguarda l'inesistenza del diritto; sicché se la medesima domanda fosse stata proposta con autonomo giudizio ordinario (azione di accertamento negativo del credito ecc.) sarebbe stata soggetta, regolarmente, a tre gradi di giudizio. La riduzione dei gradi di giudizio, pertanto, sarebbe stata sospetta di incostituzionalità, trattando fattispecie identiche (specie dopo che si è affermata la autonomia del merito dalla fase cautelare) in modo diverso. La legge n. 69/2009, pertanto, ha previsto l'abrogazione dell'ultimo periodo dell'art. 616 c.p.c., e la conseguente reintroduzione, per le opposizioni all'esecuzione, del triplo grado di giudizio. La reintroduzione dell'appello, giusta la norma transitoria di cui all'art. 58 della medesima legge 69/2009, deve intendersi applicabile retroattivamente a tutti i giudizi pendenti in primo grado, alla data del 4 luglio 2009 (quindi, per tutti i giudizi nei quali, alla data del 4 luglio 2009, non è stata ancora depositata la sentenza di primo grado). Conseguentemente al revirement legislativo potrà farsi riferimento, per i casi dubbi, nuovamente al principio dell'apparenza, affermato dalla giurisprudenza anteriormente al 2005: se il giudice ha qualificato l'azione come opposizione all'esecuzione sarà proponibile appello, in caso contrario lo strumento esperibile sarà il ricorso per cassazione ex art.111 Cost.: Cass. sez. un. 19 ottobre 2000; in dottrina v. per tutti MONTELEONE, Manuale., ibidem. Per dovere di cronaca si segnala, però, che il principio dell'apparenza è stato, in passato, contraddetto da altre pronunce. In particolare quando si è trattato di stabilire se una sentenza del Giudice di pace, emessa erroneamente secondo equità anziché secondo diritto, debba essere impugnata con appello o con ricorso per cassazione la Corte afferma un principio sostanzialmente opposto a quello dell'apparenza. Segnatamente ha ritenuto che debba guardarsi alla domanda introduttiva del giudizio, mentre sarebbe del tutto irrilevante la circostanza che «in concreto» il giudice "abbia applicato la regola equitativa, piuttosto che una determinata norma giuridica". Ciò, a detta della Corte, discenderebbe dai principi generali della tipicità delle impugnazioni e del giudice naturale precostituito per legge. (Cass. 6492/1998; Cass. 14099/2000; Cass. sez. un. 803/1999). Ed ancora, a detta della Corte, «è appellabile (e non ricorribile per cassazione) "la sentenza del (…) giudice che, investito di una domanda che avrebbe dovuto essere decisa secondo diritto (o perché di valore superiore a lire due milioni, ovvero perché doveva essere decisa secondo diritto ratione materiae) l’abbia decisa secondo equità» Cass. sez. un. n. 9493/1998. 62 l’opposizione all’esecuzione che per l’opposizione di terzo. In realtà, anche al di là della regola della sospensione, vi è una forte correlazione tra i due istituti, se non proprio un rapporto di genere a specie o, quantomeno, di specialità reciproca. L’opposizione di terzo, come è noto, è proponibile dal soggetto che pretende di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. Una siffatta contestazione, a ben vedere, rientra nel novero delle contestazioni del «diritto a procedere all’esecuzione forzata»; con la precisazione, però, che il terzo non intende far valere l’inesistenza del rapporto tra creditore e debitore pignorato, ma si limita a negare l’appartenenza al debitore di quel bene. È importante sottolineare che, nell'impianto codicistico, questo strumento è esperibile solo dal terzo che non abbia assunto la veste di soggetto passivo dell'esecuzione forzata, ma che abbia subito il pignoramento nell'erroneo presupposto che il bene appartenga al debitore. In caso di errore del creditore nell’identificazione della persona del debitore - se il creditore abbia, attraverso il precetto, intimato il pagamento ad un soggetto terzo, diverso da quello nei confronti del quale ha titolo - il «terzo» non sarà affatto tale, ma sarà soggetto passivo dell’esecuzione. Conseguentemente per dedurre l’inesistenza del diritto a procedere all’esecuzione forzata nei propri confronti dovrà ricorrere al rimedio di cui all’art. 615 c.p.c., e non al rimedio in esame. Si discute se l'opposizione di terzo all'esecuzione sia proponibile in caso di esecuzione in forma specifica e se con essa il terzo possa fare valere vizi dell'esecuzione (inclusa la pignorabilità dei beni, l'inesistenza del diritto a procedere all'esecuzione forzata) diversi dall'esistenza di un proprio diritto reale sui beni. Con riguardo al primo problema la giurisprudenza, tradizionalmente, escludeva la possibilità di proporre opposizione ex art. 619 c.p.c. in esecuzioni diverse dal pignoramento. L'argomento muoveva, essenzialmente, dalla lettera delle norme (si parla espressamente di beni pignorati). Si evidenziava, inoltre, che alla base della scelta del legislatore vi sarebbe stata la circostanza che le esecuzioni per consegna, rilascio o di obblighi di fare e non fare erano necessariamente basate su un titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell'allora vigente 63 formulazione dell'art. 474 c.p.c. Di conseguenza il terzo, per contestare l'efficacia del titolo giudiziale formatosi inter alios, si sarebbe dovuto avvalere dell'opposizione di terzo – mezzo di impugnazione di cui all'art. 404 c.p.c.40. Si era, però, evidenziato che tale soluzione non avrebbe offerto tutela al terzo, in caso di errore dell'ufficiale giudiziario, che avesse eseguito, e.g., un rilascio su un bene diverso da quello indicato nella sentenza. Tale soluzione, inoltre, deve fare i conti con la nuova formulazione dell'art. 474 c.p.c., che considera titolo esecutivo anche per l'esecuzione per consegna o rilascio «gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli». In tali casi – è evidente – non vi è alcun controllo del giudice sulla formazione del titolo; sicché precludere al terzo la proposizione del rimedio ex art. 619 c.p.c. costituirebbe, probabilmente, una violazione dell'art. 24 Cost. Circa la seconda questione sopra accennata si ritiene che il terzo non possa far valere alcun vizio della procedura esecutiva (né sotto il profilo della nullità/irregolarità, né sotto il profilo dell'inesistenza del diritto a procedere all'esecuzione forzata)41 , ma, come detto, esclusivamente l'esistenza di un proprio diritto reale, assoluto o limitato, sul bene. L'opposizione può essere tempestiva o tardiva. Sul punto si riscontra un difetto di coordinamento tra l'art. 619: - «prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione dei beni» - e l'art. 620 che considera tardiva l'opposizione proposta «dopo la vendita». L'incertezza linguistica non è priva di rilievo, dal momento che in caso di opposizione tardiva il terzo potrà far valere il proprio diritto non più sul bene espropriato ma ma sulla sola somma ricavata. Sicché ci si interroga sulla sorte delle opposizioni proposte nell'interregno – tutt'altro che breve, nella prassi tra l'ordinanza che dispone la vendita e la vendita effettiva. Occorre, inoltre, coordinare le (già poco coordinate) norme con l'art. 187 bis disp. att. c.p.c., introdotto dalla novella del 2006, che sancisce la «Intangibilità nei confronti dei terzi degli effetti degli atti esecutivi compiuti»: 40 Cass. 1 marzo 1988 n. 2145; Cass. 16 febbraio 1976 n. 508; Cass. 25 gennaio 1972 n. 339. 41 Cass. 16 febbraio 1982 n. 167. 64 «In ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o l'assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in forza dell'articolo 632, secondo comma, del codice, gli effetti di tali atti. Dopo il compimento degli stessi atti, l'istanza di cui all'articolo 495 del codice non è più procedibile». Si è sostenuto, in ogni caso, che l'intera questione non riguarderebbe i beni immobili (e dunque le esecuzioni immobiliari), nelle quali i rapporti tra terzo e aggiudicatario resterebbero disciplinati dalle regole della trascrizione 42. Per quanto riguarda la procedura anche qui è prevista una struttura bifasica, con decisione del merito cautelare regolata dalle norme dei procedimenti camerali e successiva introduzione del giudizio di merito. L'opposizione di propone con ricorso al giudice dell'esecuzione. Non è prevista, ovviamente, una opposizione da proporre con citazione prima che sia iniziata l'esecuzione. Se il precetto, infatti, viene indirizzato a un soggetto che non è debitore questi, come detto, potrà avvalersi dell'opposizione ex art. 615, in quanto contesterebbe in radice il diritto del creditore procedente ad agire in executivis nei suoi confronti43 . III.4. La concezione e la prospettiva della sospensione ex art. 624 c.p.c. per i casi di opposizione ex art. 615 e 619 c.p.c.: verso un modello cautelare anticipatorio? L’analisi sviluppata, ai precedenti capitoli, dei nuovi «giudizi di opposizione», riconduce al punto di partenza di questa riflessione, dello sviamento dell’originaria concezione dell’opposizione all’esecuzione, come pensata dal legislatore del 1940. Nell’impianto originario del codice era dominante nelle opposizioni all’esecuzione il carattere di fase incidentale del processo esecutivo, che apre e sviluppa un contraddittorio pieno in un procedimento che ne è privo. In tale prospettiva, seppur con le dovute differenze, il sistema complessivo esecuzione - opposizione restava 42 MONTELEONE, Manuale., ibidem. 43 Va rammentato, infine, l'art. 621 c.p.c., che introduce limiti alla prova per testi: «Il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore». 65 sostanzialmente unitario, sebbene venisse aperta, al suo interno, una fase contenziosa a contraddittorio pieno. Tale carattere unitario era attestato, a ben vedere, dalla precisa scelta legislativa contenuta agli artt. 616 e 619 c.p.c., secondo cui sarebbe stato lo stesso giudice dell’esecuzione a provvedere «all’istruzione a norma degli art. 175 e seguenti», mentre l’ipotesi di remissione ad un diverso ufficio giudiziario (e, dunque, la conseguente necessità di «riassumere» la causa) era limitata al caso in cui il giudice dell’esecuzione non fosse stato competente, in ragione del valore, a conoscere del diritto dedotto in opposizione 44. Non si trattava, probabilmente, di una mera scelta di opportunità e di economia di giudizi, bensì un indice di prospettiva del legislatore, che poneva al centro del tutto l’esecuzione forzata, e che vedeva del giudizio di opposizione una sua fase strumentale. Nell’attuale assetto delle opposizioni tale concezione appare, probabilmente, mutata. La caratteristica principale delle nuove opposizioni sembra, piuttosto, quella di aprire un nuovo giudizio a tutti gli effetti avente ad oggetto la legittimità dell’esecuzione. Tale differente prospettiva è tradita dalle stesse scelte semantiche del legislatore, il quale, nella rubrica dell’art. 616 parla di «giudizio di cognizione introdotto dall’opposizione», mentre nel corpo dell’articolo (cui fa rinvio l’art. 619, per le opposizioni di terzo), afferma esplicitamente che il giudice dell’esecuzione deve limitarsi a fissare «un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata»45. 44 Il sistema era chiuso dagli artt. 185 e 186 disp. att., che prevedevano, rispettivamente, che «all’udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione fissata a norma degli artt. 615, 618 e 619 del codice si applica la disposizione dell’art. 183 del codice» e che «se per la causa di opposizione è competente un giudice diverso da quello dell’esecuzione, il cancelliere del giudice davanti al quale la causa è riassunta deve immediatamente richiedere al cancelliere del giudice dell’esecuzione la trasmissione del ricorso di opposizione, di copia del processo verbale dell’udienza di comparizione di cui agli artt. 615 e 619 del codice e dei documenti allegati relativi alla causa di opposizione». 45 Si rinvia alle considerazioni svolte al precedente paragrafo, per quanto riguarda il mancato coordinamento della nuova previsione, con l’ipotesi (mutuata dalla previgente formulazione) di incompetenza dell’ufficio giudiziario a decidere sull’opposizione (in questo caso la legge parla non più di introduzione, ma di riassunzione del giudizio). 66 Pare evidente, come si è detto al precedente paragrafo, l’accentuata bifasicità della nuova opposizione. Se, nelle intenzioni del legislatore del ’40 il sistema esecuzioni - opposizione era sostanzialmente unitario, pur nella diversità delle fasi, oggi il sistema è marcatamente binario, con separazione, anche sul piano concettuale, dell’esecuzione dall’opposizione. Conseguenza di questa mutata concezione è, altresì, un mutamento di prospettiva, sul come è preordinato il sistema. Se il codice originario si poneva dal punto di vista dell’esecuzione (rispetto alla quale l’opposizione apriva una fase incidentale) e, conseguentemente, del creditore procedente l’assetto attuale sembra porre il punto di vista sul giudizio di opposizione e, conseguentemente, sul debitore che tale giudizio propone. Il carattere di fase incidentale pare, oggi, quasi del tutto sparito: si tratta, giusta la previsione dell’art. 616 c.p.c., di un nuovo giudizio, avente ad oggetto la legittimità dell’esecuzione. È in tale prospettiva che va letta l’affermazione con cui si è aperto il ragionamento fin qui seguìto: che l’esecuzione, oggi, costituisce una sorta di «fatto giuridico», esogeno rispetto al processo di opposizione e da esso meno legato che in passato. Se ci si colloca nella prospettiva del debitore, che con l’opposizione chiede venga accertato un proprio diritto, l’esistenza dell’esecuzione può ben essere vista come un presupposto di fatto, o - meglio - come il fatto pregiudizievole che con l’opposizione si chiede venga rimosso. Se tale è la concezione dell’opposizione e del suo rapporto con l’esecuzione, può cogliersi meglio l’ulteriore affermazione, presupposta nella presente indagine, che la sospensione è stata assimilata, consapevolmente o inconsapevolmente, correttamente o irragionevolmente, ad un provvedimento cautelare anticipatorio. Se l’esistenza dell’esecuzione è un fatto giuridico, e segnatamente il fatto la cui illegittimità deve essere accertata attraverso l’opposizione, allora può ben darsi che, nelle more di siffatto accertamento, si producano in capo al debitore effetti irrimediabilmente pregiudizievoli. Da qui l’esigenza di concepire un provvedimento cautelare - o, se si preferisce, di riconfigurare come cautelare un provvedimento già esistente (appunto la sospensione all’esecuzione) - e la 67 possibilità logico - sistematica di attribuire ad esso effetti anticipatori dell’esito del giudizio di merito46. Questo modello di lettura, probabilmente, spiega adeguatamente il senso delle riforme alla sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. Alla concessione, oggi, del provvedimento di sospensione conseguono effetti che, sotto certi aspetti, sono in grado di anticipare l’esito del giudizio sul merito dell’opposizione, rendendolo superfluo. In questa linea si colloca, a nostro giudizio, la previsione dell’estinzione del processo esecutivo, sancita dal nuovo art. 624 c.p.c., per il caso che le parti, successivamente alla stabilizzazione del provvedimento di sospensione, non abbiano introdotto il giudizio di merito. Sempre in quest’ottica si colloca la scelta del legislatore di disciplinare una fase cautelare secondo un rito camerale ed un successivo giudizio di merito con rito ordinario, con ulteriore rafforzamento della opposizione nel suo complesso come procedimento ad articolazione bifasica47: una prima fase «cautelare», nelle forme del rito camerale, davanti al giudice dell’esecuzione, diretta alla statuizione sospensione, una seconda eventuale, davanti al giudice del merito dell’opposizione. La superiore ricostruzione pare ulteriormente confermata dall’espressa previsione che, avverso il provvedimento di sospensione, è proponibile non genericamente «reclamo», ma precipuamente il «reclamo ai sensi dell’articolo 669 terdecies» c.p.c., id est quello specifico rimedio che la legge 46 Come si trattasse, mutatis mutandis, di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. Si è parlato in dottrina di una relazione tra provvedimento di sospensione e causa di opposizione alla stregua di quella, di c.d. strumentalità attenuata, di cui all’art. 669 octies c.p.c. fra provvedimento cautelare e successiva causa di merito. Cfr. RECCHIONI, Il processo cautelare uniforme, in CHIARLONI-CONSOLO, Trattato sui processi speciali, II, Processo cautelare, Torino 2005, p. 44 ss; ID., I nuovi articoli 616 e 624 c.p.c. fra strumentalità cautelare "attenuata" ed estinzione del "pignoramento", in Riv. dir. proc., 2006, p.643 ss. Cfr. anche le osservazioni di ORIANI, La sospensione dell'esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), www.judicium.it, 2006. In senso sostanzialmente analogo alla ricostruzione prospettata nel testo v. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1268. Nega, invece, la natura di provvedimento cautelare anticipatorio: LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, p. 739. 47 Cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att., in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p. 420 ss.; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.432; ZIINO, Art. 617, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.429. 68 ha previsto avverso i provvedimenti cautelari disciplinati dagli artt. 669 bis ss. c.p.c. Questa strategia legislativa - sia essa giustificata su un piano teorico o meno, derivi da una incertezza concettuale e da una «navigazione a vista» o da una precisa scelta dogmatica 48 - è confermata altresì dalla relazione di accompagnamento alla riforma del 2005: «le modifiche all’art. 624 del codice di procedura civile si propongono di assicurare una maggiore stabilità all’ordinanza di sospensione, con effetti dunque di efficacia estintiva del pignoramento, quando ad essa sia stata fatta acquiescenza dalla parte opposta, eliminando la necessità di promuovere un giudizio di merito. La norma è esplicitamente analoga al nuovo regime introdotto anche per i procedimenti cautelari dalla legge n. 80 del 2005 e dunque è improntata ad un principio di evidente economicità. Viene fatta salva la possibilità che altri interessati possano tuttavia promuovere il giudizio di opposizione anche per la fase di merito» 49. Da tale, nuova o vecchia, prospettiva derivano, a nostro avviso, conseguenze di rilievo. 48 Anteriormente alla riforma avevano affrontato la questione della natura cautelare del provvedimento di sospensione, ex plurimis: DI BENEDETTO, Brevi note sulla ammissibilità del reclamo contro i provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione emessi ai sensi dell’art. 624 co. 1 c.p.c. in Giur. merito, 1996, p. 217 ss; ORIANI, L’imparzialità del giudice l’opposizione agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2001, p.16 ss; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, p. 788; STORTO, Note su alcune questioni in tema di opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2000, p. 249; VITTORIA, Il controllo sugli atti del processo di esecuzione forzata: l’opposizione agli atti esecutivi e i reclami, in Riv. esec. forz., 2000, p. 381; contra, tra gli altri: CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. 967, p. 3 ss.; MERLIN, Procedimenti cautelari e urgenti, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, p. 431. Si segnala che l’inquadramento concettuale delle inibitorie quali provvedimenti cautelari aveva avuto importanti conseguenze, prima delle novelle dei 2005-2006. In particolare, si è fatto cenno al capitolo II di come la giurisprudenza che negava la possibilità di ottenere la sospensione in caso di opposizione a precetto, si fosse espressa in senso favorevole alla concedibilità, anteriormente all’inizio dell’esecuzione forzata, a un ricorso ex art. 700 c.p.c. per inibirne l’attivazione: v. Trib. Mantova, 26 febbraio 2005, in Giur. merito, 2006, p. 316, n. GIORDANO. Si osservi che il tribunale considera un tale rimedio ammissibile, sotto il profilo della residualità del rimedio, stante inesistenza di «strumenti cautelari tipici» (con riguardo, ovviamente, a titoli stragiudiziali). Se ne deduce peraltro che, la espressa previsione, ad opera della novella del 2006, della possibilità per il giudice dell’opposizione a precetto di sospendere l’efficacia esecutiva del precetto dovrebbe avere reso inammissibile tale rimedio. 49 Relazione alla proposta di legge n. 6232 presentata alla Camera dei deputati il 15 dicembre 2005. 69 Come si è detto al capitolo I e come si è fatto cenno ai paragrafi precedenti, l'entrata in vigore, alla data del 4 luglio 2009, della legge n. 69 del 18 giugno 2009, ha costituito il punto di arrivo di una marcata evoluzione (o, a seconda dei punti di vista, involuzione) dell’istituto della sospensione dell’esecuzione. Si è visto, in particolare, come la sospensione del processo esecutivo - già dal Progetto Sottocommissione C e dai Progetti Solmi, ma in misura evidente nel codice definitivo - avesse via via acquisito una sua fisionomia dogmatica, parallela, sebbene non del tutto coincidente, alla sospensione del processo di cognizione. Forzato o naturale che fosse siffatto parallelismo, è certo che, a seguito delle riforme del 2005-2006 e del 2009, la sospensione all’esecuzione ha seguito un percorso evolutivo suo proprio, che ha, probabilmente, ridotto ulteriormente se non proprio annullato i punti di contatto con la disciplina della sospensione disciplinata dagli artt. 295 ss. c.p.c. Come conseguenza non sembra ammissibile, oggi ancor meno di ieri, un possibile ricorso, nel processo esecutivo, alla regola della sospensione per pregiudizialità, dettata, appunto, dall’art. 295 c.p.c. Mancando o essendosi ulteriormente ridotta l’eadem ratio tra le due sospensioni, non sembra lecito invocare una sospensione per pregiudizialità in talune ipotesi specifiche 50. Preso atto di tale evoluzione - della prospettiva prima ancora che della disciplina - non resta che esaminare il dettaglio delle riforme e la nuova disciplina della sospensione ex art. 624 c.p.c., a seguito delle novelle del 2005-2006 e del 2009. III.5. Le riforme del 2005 - 2006 e del 2009: la disciplina e le problematiche specifiche. Si è già detto nei paragrafi precedenti che la fattispecie regolata dall’art. 624 c.p.c., nell’impostazione voluta dal legislatore, riguardava l’ipotesi ordinaria di sospensione dell’esecuzione, e segnatamente quella disposta dal giudice dell’esecuzione. Nel suo testo originario la norma prevedeva che, qualora fosse stata proposta opposizione a norma degli artt. 615 secondo comma e 619, il giudice 50 Si rinvia a quanto si dirà infra, a proposito della sospensione per il caso di pendenza di procedimento per misure di prevenzione antimafia, al par. VII.3. 70 dell'esecuzione, concorrendo gravi motivi, avrebbe potuto sospendere «su istanza di parte, il processo con cauzione o senza». Il secondo comma prevedeva il caso di sospensione parziale o totale della distribuzione della somma ricavata, qualora fosse sorta una delle controversie di cui all’art. 512 c.p.c. La disposizione in parola fu al centro, come è noto e come si è accennato nei paragrafi precedenti, di un iter legislativo particolarmente travagliato, in occasione delle riforme introdotte con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005 n. 80 e successivamente modificato dall’art. 18 della legge 24 febbraio 2006 n. 5151. Nel testo entrato effettivamente in vigore il 1° marzo 2006, al netto delle varie modifiche intermedie, la norma venne riformulata nei termini seguenti: «Se è proposta opposizione all'esecuzione a norma degli articoli 615 e 619, il giudice dell'esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza. Contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell'articolo 669terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al provvedimento di cui all'articolo 512, secondo comma. Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma e non reclamata, nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione dichiara con ordinanza non impugnabile l'estinzione del pignoramento, previa eventuale imposizione di cauzione e con salvezza degli atti compiuti, su istanza dell'opponente alternativa all'instaurazione del giudizio di merito sull'opposizione, fermo restando in tal caso il suo possibile promovimento da parte di ogni altro interessato; l'autorità dell'ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è invocabile in un diverso processo. La disposizione di cui al terzo comma si applica, in quanto 51 Si ricorda che l’art. 624 c.p.c. è stato dapprima sostituito dall'art. 2, comma 3, lett. e), n. 42), d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 Successivamente modificato dall'art. 8, comma 1, d.l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168 e dall'art. 1, comma 1, d.l. 30 dicembre 2005, n. 271, non convertito in legge (comunicato pubblicato nella G.U. 1° marzo 2006, n. 50), ma le cui modifiche sono state recepite dall'art. 39-quater, comma 1, d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51. Inoltre modificato dall'art. 18, comma 1, lett. a) e b), L. 24 febbraio 2006, n. 52, a decorrere dal 1° marzo 2006. Per una disamina cfr. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att., cit., ibidem; MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, cit., ibidem; ZIINO, Art. 617, cit., p.429. 71 compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi degli articoli 618 e 618-bis». L’articolata e difficile gestazione legislativa e la contraddittorietà delle istanze emerse in sede di lavori parlamentari avevano indubbiamente dato vita ad una delle norme più oscure e mal formulate dell'intero codice di procedura civile52. Tra i tanti problemi segnalati dalla dottrina53: - il fatto che la norma sembrasse far dipendere la mancata estinzione «del pignoramento» dalla sola introduzione del giudizio di merito da parte del debitore, e non anche da quella del creditore opposto 54 (che, dunque, paresse accentuare il carattere di definitività della sospensione, attribuendo al solo debitore la facoltà di scegliere tra estinzione e introduzione del giudizio di merito); - la sibillina previsione della «cauzione» prevista per il caso che il giudice avesse dichiarato l’estinzione del pignoramento (con conseguente oggettiva difficoltà di stabilirne le sorti, se dovesse essere restituita immediatamente alla parte, ovvero permanentemente «congelata» in un libretto 55); - la mancata previsione della reclamabilità dell'ordinanza di estinzione, ai sensi dell'art. 630 c.p.c.; - la mancata previsione della possibilità, per il giudice che pronunciava l’estinzione, di decidere anche sulle spese; 52 Si rinvia a CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, sub art. 624, che parlano senza mezzi termini di «pessima fattura della norma». Agli stessi si rinvia per una disamina delle principali problematiche e dubbi interpretativi indotti dalla complicata formulazione normativa. 53 Per una disamina cfr. CARRATTA, Le novità in materia di sospensione del processo di esecuzione forzata., cit., p. 108 ss. 54 Cfr. ROMANO, La nuova opposizione all'esecuzione, in www.judicium.it, 2006, par.5. 55 La previsione sarebbe stata un nonsense secondo CONTE, La riforma delle opposizioni e dell'intervento nelle procedure esecutive, con requiem per il sequestro conservativo, in www.judicium.it, 2006, stante l’incomprensibilità di una cauzione da concedere in relazione ad un procedimento estinto. Altra dottrina ha affermato che la cauzione in esame avrebbe potuto essere spiegata alla stregua di quella prevista dal comma primo dell’art. 624, per il caso, cioè, di concessione del provvedimento di sospensione. In particolare la cauzione per il caso estinzione avrebbe avuto la stessa funzione di garantire il creditore opposto; e ciò, naturalmente, con riferimento ai danni subiti per il caso che, pronunciata l'estinzione del pignoramento, la causa di opposizione fosse stata poi vinta dal creditore opposto: RECCHIONI, I nuovi articoli 616 e 624 c.p.c.., cit., p. 665. 72 - la previsione (tautologica o di difficile interpretazione) della efficacia meramente endoprocessuale dell'estinzione56; - la difficilmente comprensibile previsione della «salvezza degli atti compiuti» per il caso che fosse stata dichiarata l’estinzione 57; - la complessa disciplina dell’estinzione che, pur operando di diritto, doveva «essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa» (formulazione, nella migliore delle ipotesi ambigua, tenuto anche conto che nel processo esecutivo non è detto che ci sia una «prima difesa»); - la previsione che l’estinzione riguardasse «il pignoramento» e non la procedura esecutiva 58. La formulazione normativa del 2006 fu oggetto, fin da subito, di aspre critiche. A seguito delle osservazioni della dottrina e delle numerose incertezze interpretative cui la novella aveva dato luogo, il testo dell’art. 624 venne nuovamente modificato dall’art. 49 comma terzo della legge 18 giugno 2009 n. 69. Nel suo testo oggi vigente la norma prevede che «nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma, se l’ordinanza non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi dell’articolo 616, il giudice dell’esecuzione dichiara, anche d’ufficio, con ordinanza, l’estinzione del processo e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese. L’ordinanza è 56 In termini fortemente critici: CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit., ibidem. 57 CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit., ibidem., secondo cui la norma avrebbe potuto avere un qualche senso con riferimento a taluni atti successivi al pignoramento (ad esempio, gli atti compiuti nell'espropriazione immobiliare dal custode nei confronti dei terzi) ovviamente posti in essere prima della sospensione dell'esecuzione. La regola dell’efficacia endoprocedimentale dell’estinzione, allora, avrebbe inteso derogare a quanto disposto appunto in tema di estinzione del processo esecutivo dall'art. 632 comma secondo c.p.c., che distingue le conseguenza dell'estinzione dell'esecuzione a seconda che essa intervenga prima o dopo la aggiudicazione o l'assegnazione, salvando gli atti compiuti (ad esempio gli atti di amministrazione, quali la locazione degli immobili pignorati) legittimamente compiuti durante il processo solo se l'evento patologico si verifichi dopo di loro: non anche quando maturi prima della aggiudicazione o dell'assegnazione. Altra dottrina aveva affermato che la norma in esame avrebbe voluto fare riferimento alla notificazione del titolo esecutivo e al precetto: ROMANO, La nuova opposizione all'esecuzione, cit., ibidem. 58 Si rinvia al par. I.5., per quanto concerne la sospensione «del pignoramento» prevista dal Progetto Orlando del 1909. 73 reclamabile ai sensi dell’articolo 630, terzo comma. La disposizione di cui al terzo comma si applica, in quanto compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi dell’articolo 618». Tuttavia, giusta il disposto dell'art. 58 della legge 69/2009, le norme introdotte dalla norma del 2009 trovano applicazione solamente «ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore», e dunque dal 4 luglio 2009. Ne consegue che tutte le opposizioni introdotte tra il 1° marzo 2006 e il 4 luglio 2009 vengono regolate, anche in parte qua, dalla normativa del 2006, mentre le regole «nuovissime» si applicano solamente ai giudizi instaurati dopo tale data di entrata in vigore della legge. Il testo approvato nel 2009, come si è visto: - prevede espressamente che l'estinzione dovrà essere dichiarata d'ufficio, qualora non venga introdotto il giudizio di merito o reclamata l'ordinanza cautelare (fugando ogni dubbio circa la discrezionalità o meno della scelta); - ha eliminato la sibillina previsione della cauzione, troncando gordianamente ogni disputa sulle magnifiche sorti e progressive della cauzione, una volta pronunciata l'estinzione del processo; - ha previsto espressamente la reclamabilità dell'ordinanza, ai sensi dell'art. 630 c.p.c. (dunque nel termine di venti giorni dalla sua emissione in udienza o dalla sua comunicazione; la formula sembra consentire la reclamabilità anche dell'eventuale provvedimento di rigetto); - ha espressamente previsto che l'ordinanza che dichiara l'estinzione deciderà anche sulle spese; - ha rimosso la previsione (tautologica o difficilmente comprensibile) della efficacia meramente endoprocessuale dell'estinzione; - ha eliminato la previsione della «salvezza degli atti compiuti»; - ha eliminato il riferimento all'art. 618 bis59. Il meccanismo che viene fuori dal rinovellato art. 624 pare, se non altro, più lineare. 59 Probabilmente improprio e tautologico, atteso che le opposizioni in materia di lavoro ricadrebbero comunque nella generale previsione e nel richiamo dell’art. 618 c.p.c. Nello stesso senso BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della legge n. 18 giugno 2009, n. 69), in www.judicium.it. 74 In pratica il legislatore ha adottato, come visto, uno schema concettualmente accostabile a quello dei procedimenti cautelari anticipatori. Nel suo testo vigente: - rende meramente eventuale la fase del merito; - l'onere della cui proposizione viene espressamente attribuito, in caso di accoglimento dell'istanza cautelare, al creditore (a meno che non preferisca subire le conseguenze dell’estinzione)60. Risolve, insomma, il dubbio amletico del debitore se: introdurre il giudizio di merito o non introdurlo, in caso di inerzia del creditore, chiarendo, al contempo, che l’estinzione potrà essere rilevata d’ufficio. Il carattere «anticipatorio» della sospensione sarebbe ravvisabile nella previsione dell’estinzione: in caso di mancata introduzione del giudizio di merito il provvedimento di sospensione determinerà la chiusura non solo del giudizio di sospensione, ma anche dell’intero processo esecutivo. Per contro il creditore potrà inibire l’effetto estintivo della sospensione - dunque, lato sensu anticipatorio dell’esito del giudizio di merito - introducendo egli stesso il giudizio medesimo. In definitiva il risultato utile che sembra essere stato perseguito dal legislatore è quello di rendere meramente eventuale il giudizio di merito. Se la sospensione viene pronunciata, ad esempio, limitatamente all’esecuzione su alcuni beni, il creditore potrebbe non avere interesse ad impedire, limitatamente ad essi, l'estinzione del processo esecutivo (perché, ad esempio, potrebbero esserci altri beni già venduti o in corso di vendita etc.). Se questo è il risultato utile, la giustificazione teorica - per come detto risiede probabilmente nella nuova (o vecchia) prospettiva con cui si è guardato al sistema esecuzione e opposizione (binario e non più unitario) e, conseguentemente, alla sospensione (latamente cautelare e anticipatoria). Si rinvia alle considerazioni svolte, sul punto, al paragrafo precedente. 60 Viene, dunque, eliminato il dubbio che il giudice possa dichiarare l’estinzione, per il caso di giudizio di merito introdotto dal creditore e non anche dal debitore opponente. Cfr. BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile., cit., ibidem. 75 Sia l’esigenza che il suo fondamento teorico, del resto, come pure l’utilizzo della struttura dei procedimenti cautelari, sono state espressamente indicate, come si è detto, nella relazione di accompagnamento alla riforma del 200561. Un’ultima considerazione di carattere generale merita la questione della portata applicativa dell’art. 624 c.p.c. Sul punto parte della dottrina ha affermato che tale disposizione aspirerebbe ad assurgere a generale disciplina del tema della sospensione dell'esecuzione da parte del giudice dell’esecuzione a seguito delle opposizioni; con l’ulteriore conseguenza che la relativa disciplina andrebbe estesa a tutti quegli strumenti riconducibili al novero delle opposizioni esecutive, tanto sull'an come sul quomodo dell'esecuzione ed anche di terzo, previsti dalla legislazione speciale (e.g., le opposizioni esecutive previste dalla legge cambiaria, alla cui trattazione si rinvia 62). III.6. I presupposti per la concessione della sospensione ex art. 624 c.p.c.: i gravi motivi Si è già fatto cenno, al capitolo II, che le sospensioni dell’esecuzione intendendo tale formula in senso ampio, comprensivo sia delle inibitorie disposte dai giudici delle impugnazioni che di buona parte delle sospensioni speciali - presuppongono per la loro concessione l’esistenza di «gravi motivi». Questa considerazione è probabilmente alla base della linea di pensiero che considera detti provvedimenti come aventi natura cautelare. Essa, inoltre, indica in modo sufficientemente preciso il punto di distacco tra sospensione del processo di cognizione e sospensione del processo esecutivo. La prima diretta ad evitare la contraddittorietà di giudizi o comunque l’economia processuale (nella misura in cui il giudizio, ove non fosse sospeso, all’esito di 61 Relazione alla proposta di legge n. 6232 presentata alla Camera dei deputati il 15 dicembre 2005: "le modifiche all’art. 624 del codice di procedura civile si propongono di assicurare una maggiore stabilità all’ordinanza di sospensione, con effetti dunque di efficacia estintiva del pignoramento, quando ad essa sia stata fatta acquiescenza dalla parte opposta, eliminando la necessità di promuovere un giudizio di merito. La norma è esplicitamente analoga al nuovo regime introdotto anche per i procedimenti cautelari dalla legge n. 80 del 2005 e dunque è improntata ad un principio di evidente economicità. Viene fatta salva la possibilità che altri interessati possano tuttavia promuovere il giudizio di opposizione anche per la fase di merito". 62 BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo, www.judicium.it 2006; conf. CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato., cit., sub art. 624. 76 quello pregiudiziale diverrebbe inutilmente proseguito), la seconda fondata su un’esigenza che - quale che sia la natura del provvedimento inibitorio - ha carattere cautelare: evitare che, nelle more del giudizio di impugnazione 63, il debitore possa subire un pregiudizio irreparabile. Tale esigenza è, nel caso dell’art. 624 c.p.c., rappresentata dalla formula dei «gravi motivi». Analogamente a quanto si vedrà a proposito delle inibitorie dell’efficacia esecutiva dei titoli64 , la dottrina fa riferimento alla coppia concettuale del del fumus boni iuris e del periculum in mora. In particolare è stato affermato che «i gravi motivi da un canto implicano una valutazione preventiva e probabilistica del fondamento e della ammissibilità delle contestazioni mosse con l’opposizione all’esecuzione: ché se esse fossero già in partenza chiaramente inammissibili e infondate, la sospensione dovrebbe essere negata. D’altro canto implicano anche una valutazione preventiva del danno derivante dall’esecuzione illegittima il quale, pur non dovendo essere grave ed irreparabile, deve pur tuttavia profilarsi, poiché se esso fosse del tutto inesistente, o comunque eliminabile ex post in modo pieno e soddisfacente, ancora una volta la sospensione dovrebbe essere esclusa» 65. Altra dottrina ha ritenuto che il requisito del periculum possa essere ravvisato nel fatto stesso della pendenza dell’esecuzione forzata 66, cosicché la sussistenza o l’insussistenza dei gravi motivi andrebbe ricercata essenzialmente sotto il profilo della fondatezza, prima facie, dell’opposizione. O, come nel caso delle sospensioni speciali, nelle more che vengano compiute determinate attività. 63 64 Infra, cap. IV. 65 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, V ed., vol. II, Padova, 2009, p. 289; ID., Esecuzione provvisoria, in Digesto IV ed., Disc. priv. Sez. civ., Aggiornamento, Torino, 2000, p. 365 ss. Conf. BALENA - BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 206, p. 300 ss.; FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Varese, 1956, p. 95 ss.; ORIANI, Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla legge n. 80 del 2005. Titolo esecutivo, opposizioni, sospensione dell’esecuzione, in Foro it., 2005, V, p. 109; TOTA, Art. 615 - forma dell’opposizione, in BRIGUGLIO-CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 545. 66 PETRILLO, Art. 624 - sospensione per opposizione all’esecuzione, in BRIGUGLIO - CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 625 ss.; cfr. anche CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, p. 895. 77 Analogamente a quanto si dirà a proposito dell’art. 283 c.p.c., da un punto di vista semantico – linguistico (e il diritto è una creazione linguistica) la locuzione «gravi motivi» non pare debba essere necessariamente ricondotta allo schema concettuale della coppia fumus boni iuris - periculum in mora (e, tanto meno, non nel senso di presupporre una loro necessaria coesistenza). Ma è, in ogni caso, ragionevole affermare che la fondatezza prima facie dell’opposizione non possa che avere rilevanza imprescindibile. Ed invero è innegabile che un certo periculum, nella fattispecie di cui all’art. 624 c.p.c., possa essere sempre e comunque ravvisato nel fatto stesso che è pendente un’esecuzione forzata. Anche sul piano sociale, del resto, se pare logico attribuire al giudice dell’esecuzione il potere di sospendere l’esecuzione in caso di palese fondatezza dell'opposizione (si pensi all'ipotesi di manifesta nullità del titolo stragiudiziale, ovvero della palese sussistenza di fatti impeditivi o estintivi, successivi alla sua formazione), non sembra altrettanto ragionevole (né, considerati i tempi medi del giudizio di opposizione, socialmente accettabile) che si possa dare rilievo esclusivo o prevalente alla sola gravità del pregiudizio, sospendendo l’esecuzione pure in presenza di una opposizione proposta per manifesti fini dilatori. Con questo non si vuole negare tout court rilevanza al periculum, ovvero concludere che esso debba considerarsi presunto. Un minimo fumus di fondatezza dell’opposizione potrà essere sufficiente a far sospendere l’esecuzione, qualora venga dedotto un pregiudizio irreparabile, diverso dalle mere conseguenze dell’opposizione stessa. Probabilmente anche in questa ipotesi pare ragionevole utilizzare quel criterio - di buon senso oltre che di diritto - che potrebbe essere definito della compresenza asimmetrica. Secondo detto criterio, efficacemente descritto attraverso la metafora dei c.d. vasi comunicanti, al crescere di uno dei due elementi l'altro potrebbe attenuarsi anche sensibilmente ma mai sparire del tutto67. 67 CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile. Il mancato ricompattamento dei riti, in Corriere giur., 2007,12, p. 1757 ss. Sul punto v. diffusamente, infra par. IV.2. 78 III.7. L’eventuale «cauzione» In forza dell’art. 624 c.p.c. il giudice dell’esecuzione può sospendere il processo «con cauzione o senza». Sulla base del dato letterale della norma, innanzitutto, l’imposizione della cauzione è facoltativa e non obbligatoria; rimessa, cioè, alla valutazione del giudice. È stato giustamente osservato che funzione di questa ipotesi di cauzione sarebbe stata quella di garantire, per l'ipotesi di successivo rigetto dell'opposizione, l'eventuale risarcimento dei danni subiti dai creditori, procedenti o intervenuti, per la detta sospensione dell'esecuzione, disposta su istanza dell'opponente 68. Altra dottrina ha evidenziato che funzione della cauzione non sarebbe anche quella di garantire la pretesa vantata dal debitore, atteso che a sospensione - come si è accennato - avrebbe potuto ritardare lo svolgimento dell’esecuzione, ma non pregiudicare gli atti esecutivi già compiuti69 . Per costante giurisprudenza la cauzione avrebbe potuto essere revocata o modificata dal giudice dell’esecuzione su istanza del debitore, e comunque svincolata, sempre dal medesimo giudice dell’esecuzione, a seguito dell’accoglimento dell’opposizione70 . Trattandosi, comunque, di provvedimento afferente la sospensione la sua modifica (ove non si consideri attratta dalla regola generale della reclamabilità) o svincolo sarebbero di competenza del giudice dell’esecuzione, e non anche di quello del merito. Quanto al dies a quo per lo svincolo della cauzione, si dovrà fare applicazione dei principi in tema di riassunzione del processo sospeso, di cui all’art. 627 c.p.c. Come logico corollario le somme vincolate potranno essere restituite al debitore (in caso di accoglimento dell’opposizione) solo con il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado71, ovvero con la comunicazione della sentenza di appello (a seguito della reintroduzione, ad 68 CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit., sub. art. 624 c.p.c. 69 SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1259, che si spinge, sostanzialmente, a considerare tale «risarcimento» quello da responsabilità processuale ex art. 96 comma primo c.p.c. 70 Cass. 11 giugno 1991 n. 6594. 71 CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit., sub. art. 624 c.p.c. 79 opera della novella del 2009, di tale mezzo di gravame avverso le sentenze di primo grado di opposizione all’esecuzione). In caso, invece, di rigetto dell’opposizione, il creditore potrà chiedere le somme solamente con il passaggio in giudicato della relativa sentenza (contenente la condanna del debitore al risarcimento dei danni). La cauzione opera come condizione sospensiva dell'efficacia della sospensione, sicché la sua mancata prestazione comporta la consequenziale possibilità di prosecuzione dell'esecuzione forzata72 senza alcuna incidenza sul processo di opposizione, che continua indisturbato, sotto tale profilo, il suo corso. Si è già detto che la riforma del 2005-2006, a fianco di questa prima cauzione, ne aveva introdotto anche una seconda, per il caso di mancata introduzione del giudizio di merito, dopo la stabilizzazione della sospensione. In particolare il giudice, nel pronunciare l’estinzione «del pignoramento», avrebbe potuto imporre alla parte una cauzione. Per i dubbi interpretativi sorti a proposito di tale disposizione, come pure sulle possibili sorti di tale cauzione, una volta dichiarata l’estinzione del pignoramento, si rinvia alle considerazioni svolte supra73. In questa sede si rammenta semplicemente che secondo un canone di interpretazione conservativa della norma - a volerle, cioè, attribuire un significato piuttosto che disapplicarla come un nonsense legislativo - essa avrebbe dovuto essere interpretata nei seguenti termini. Una volta stabilizzato il provvedimento di sospensione - o per mancata proposizione del reclamo, o per sua conferma in detta sede - l’opponente avrebbe potuto scegliere se introdurre il giudizio di merito, ovvero se chiedere l’estinzione del processo esecutivo. Il creditore procedente, da parte sua, avrebbe potuto introdurre egli stesso il giudizio di merito, ma tale introduzione non avrebbe inibito la possibilità per il debitore di chiedere ugualmente l’estinzione. In tale ipotesi - nel caso, cioè, di giudizio di merito 72 In giurisprudenza, v. Cass. 11 giugno 1991, n. 6594. Per la dottrina v. BUCOLO, La sospensione nell'esecuzione. Le opposizioni esecutive, II, Milano 1972, p.1175; CORSAROBOZZI, Manuale dell'esecuzione forzata, Torino, 1996, p. 524; LUISO, Sospensione del processo civile: processo di esecuzione forzata, in Encicl. Diritto, vol. XLIII, Torino 1990, p. 65; RECCHIONI, Il processo cautelare uniforme, in CHIARLONI - CONSOLO, Trattato sui processi speciali, vol. II, Il processo cautelare, Torino 2005, p. 539 ss. 73 Par. III.4. 80 introdotto dal creditore e di istanza di estinzione proposta dal debitore - il giudice avrebbe potuto subordinare l’efficacia del provvedimento di estinzione all’imposizione di una cauzione. Questa sarebbe rimasta dunque vincolata fino alla definizione del giudizio di merito il quale, sia pure nel silenzio normativo, con la decisione dell’opposizione avrebbe dovuto statuire anche in merito alle sorti della cauzione: se restituirla al debitore, ovvero se farla incamerare al creditore, a pagamento del credito74. Se tale interpretazione fosse corretta, allora anche la previsione della cauzione di cui al primo comma dell’art. 624 c.p.c. avrebbe potuto essere reinterpretata. Ambedue le cauzioni avrebbero potuto essere concesse in funzione della possibile, futura estinzione e dunque - contrariamente a quanto affermato da giurisprudenza e dottrina sopra citate - proprio a garanzia della pretesa vantata dal creditore. La questione, tuttavia, salvo per quanto concerne il diritto transitorio, pare aver perduto importanza, con l’abrogazione, ad opera della novella del 2009, della cauzione per il caso di estinzione. Non sembra, infatti, potersi dubitare che, una volta estinto il processo esecutivo, la cauzione debba essere restituita alla parte. III.8. La sospensione «parziale». Generalmente ammessa in dottrina è la possibilità di una sospensione del processo esecutivo parziale, limitata, cioè, ad alcuni dei beni pignorati. L’ipotesi de qua potrà verificarsi sia nell’ipotesi di opposizione all’esecuzione, diretta a far valere l’impignorabilità dei beni, sia in caso di opposizione di terzo all’esecuzione, qualora - appunto - venga dedotta l’appartenenza a terzi di un determinato bene 75. In tutti questi casi pare ragionevole concludere che l’effetto di estinzione non potrà che essere parziale, e riguardare esclusivamente gli specifici beni, in relazione ai quali l’esecuzione era stata sospesa. 74 Cfr., sul punto, l’esegesi suggerita da RECCHIONI, I nuovi articoli 616 e 624 c.p.c., cit., p. 665. Si segnala, tuttavia, che anche tale interpretazione non avrebbe salvato la norma da censure di irragionevolezza. Innanzitutto non si comprenderebbe perché, in tale ipotesi, la cauzione avrebbe dovuto essere a discrezionalità del giudice, e non prevista ex lege, e in una misura determinata (pari - poniamo - al credito precettato aumentato delle spese etc.). 75 SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1259. 81 Proprio con riguardo all’ipotesi di pignoramento di più beni e di opposizione, del debitore o di un terzo, limitata ad alcuni di essi la regola dell’estinzione può rivelarsi particolarmente utile, sotto il profilo applicativo. In caso di palese fondatezza dell’opposizione, come pure in caso di sufficienza dei beni restanti a soddisfare le ragioni del creditore pignorante e degli eventuali intervenuti, questi potranno trovare conveniente non coltivare il giudizio di merito, evitando, così, un inutile aggravio di spese. III.9. L’estinzione a seguito della stabilizzazione del provvedimento di sospensione. Si è già detto che, correlata alla modifica dell'art. 624, è anche la modifica del secondo comma dell'art. 630 c.p.c. (sempre nella novella del 2009), che ha reso l'estinzione rilevabile realmente d'ufficio. Rispetto alla novella del 2006 è stata, dunque, eliminata la previsione che l'estinzione «opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa» (formulazione, nella migliore delle ipotesi ambigua, tenuto anche conto che nel processo esecutivo non è detto che ci sia una «prima difesa»). È stato, invece, previsto che «l'estinzione opera di diritto ed è dichiarata anche d'ufficio, con ordinanza del giudice dell'esecuzione, non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa». Il meccanismo delineato dal legislatore, che sanziona la mancata proposizione del giudizio di merito con l’estinzione, è stato oggetto di decise critiche dalla dottrina76. Si è giustamente osservato, in particolare, che detto funzionamento risulta particolarmente gravoso per il creditore, che si trova costretto, dopo aver subito la sospensione, ad introdurre un giudizio di merito, a ben vedere contrario al suo interesse, con ulteriori implicazioni, anche in materia di spese. Si è già detto che, probabilmente, la scelta del legislatore trova una sua ratio se la si inquadra, sul piano dogmatico, nell’ambito di una scelta di campo precisa, circa la natura e la prospettiva della sospensione e del sistema esecuzione - opposizione nel suo complesso. L’introduzione del meccanismo 76 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit, p. 289 ss.; ID., Art. 615, 624, 624 bis, cit., p.432 ss.; PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, vol. IV, Torino, 2010, p. 259 ss. 82 in parola se da un lato contribuisce a recidere ogni - già di per sé dubbio legame esistente tra sospensione dell’esecuzione e sospensione del processo di cognizione, per altro verso rafforza la concezione della sospensione come provvedimento cautelare sui generis. Per siffatte considerazioni, e per le altre di ordine generale, si rinvia al paragrafo III.4. Dal punto di vista, invece, applicativo si segnala che la previsione della perentorietà del termine di cui all’art. 616 c.p.c. comporta che l’estinzione potrà, probabilmente, essere pronunciata non solo nell’ipotesi in cui il creditore non abbia introdotto tout court il giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi di tardiva instaurazione77. Dubbi ermeneutici sussistono, infine, per l’ipotesi di sospensione rigettata dal giudice dell’esecuzione ma concessa dal giudice del reclamo. Il dato letterale, infatti, sembrerebbe consentire l’estinzione solamente per il caso di sospensione pronunciata dal giudice dell’esecuzione e non reclamata, ovvero confermata in sede di reclamo; non anche per l’ipotesi opposta di sospensione, come detto, concessa per la prima volta dal giudice del reclamo. La soluzione negativa potrebbe avere una sua giustificazione78, ove si consideri che, al momento della decisione del reclamo, potrebbe essere già ampiamente scaduto il termine per introdurre il giudizio di merito. Conseguentemente il creditore, anche se vittorioso nella fase cautelare, potrebbe essere costretto ad introdurre ugualmente il merito dell’opposizione, pena ritrovarsi sotto la spada di Damocle dell’estinzione, qualora il provvedimento del giudice dell’esecuzione fosse riformato in sede di reclamo79. Qualora prevalesse la tesi estensiva, di contro, in virtù di un criterio di ragionevolezza, dovrebbe essere consentito al giudice del reclamo, in caso di accoglimento della sospensione, di rimettere in termini il creditore per 77 SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1272. 78 LONGO, La sospensione nel processo esecutivo., cit., p. 739. 79 Si rammenta che secondo Cass. 13 febbraio 2009, n. 3531, in Giust. civ., 2010, parte prima, p. 2033 ss., con nota di FARINA, Caducazione del titolo esecutivo e chiusura anticipata dell’espropriazione: Quali effetti nei confronti dei creditori intervenuti e dell’acquirente in vendita forzata?, L’eventuale vendita forzata «non può essere fatta salva se l’evento che ha determinato la chiusura anticipata o l’estinzione del processo esecutivo è precedente all’aggiudicazione provvisoria». 83 l’introduzione del giudizio di merito. E ciò ad evitare una inutile complicazione di giudizi, e la dilatazione dei costi processuali80. III.10. La sospensione in caso di opposizione a precetto (rinvio). L’espressa previsione, da parte della novella del 2005-2006, della possibilità di ottenere l’inibitoria dell’efficacia esecutiva del titolo, in caso di opposizione a precetto è stata, in generale, guardata con favore dalla dottrina, anche da parte di quegli autori che ne hanno individuato con maggiore analiticità i punti critici. Sebbene l’argomento sia concettualmente affine a quello affrontato in questo capitolo, per una precisa scelta sistematica, che muove dalla lettura dell’art. 623 c.p.c. qui accolta, la tematica verrà affrontata nel capitolo dedicato alle sospensioni disposte dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo. A detto capitolo si rinvia. III.11. La sospensione in caso di opposizione agli atti esecutivi (artt. 617, 618 e 624 c.p.c.) Uno dei punti critici delle riforme del 2005 e del 2009 è dato dall’estrema disinvoltura con cui sono state assimilate le opposizioni all’esecuzione a quelle agli atti esecutivi. Se, come noto, a seguito della novella del 2009 è venuta meno l’inappellabilità della sentenza che ha deciso sull’opposizione all’esecuzione, è rimasta, nella disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi, la struttura bifasica. Tale articolazione, se può avere una sua logica nell’opposizione ex art. 615 c.p.c., ove si discute dell’esistenza del titolo o della pignorabilità dei beni, stenta a trovare una sua giustificazione teorica e pratica nell’ipotesi dell’art. 617 c.p.c., ove oggetto dell’opposizione è la regolarità di atti esecutivi; in siffatte ipotesi non è ben chiara l’utilità di un 80 Si segnala che la prassi dei tribunali italiani - evidentemente per scongiurare i rischi anzidetti - sembra essere quella di assegnare un termine per l’introduzione del giudizio di merito piuttosto lungo, successivo a quello di prevedibile definizione del reclamo. 84 «giudizio sul merito», concettualmente separato dall’esecuzione stessa 81. Si rammenta, sul punto, che la dottrina tradizionale aveva sempre discusso se l'opposizione agli atti esecutivi desse luogo ad un processo a cognizione piena ovvero a un mero procedimento incidentale interno all'esecuzione forzata 82. Quel che è certo è che se da un lato l'opposizione dà luogo ad un autonomo rimedio di natura cognitiva, tale autonomia è attenuata (rispetto all'opposizione all'esecuzione) sia per quanto riguarda la competenza, che spetta sempre al giudice dell'esecuzione, sia per quanto attiene alla sentenza conclusiva del giudizio di opposizione che, per scelta normativa espressa (tenuta ferma nelle varie riforme), non potrà essere appellata (art. 618, comma 3), ma andrà così soggetta immediatamente al ricorso straordinario per cassazione, ex art. 111, comma 2, Cost. Sul punto si segnala che, su un piano concettuale, la bifasicità dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. sembra trovare un suo fondamento più nella tutela dell’imparzialità del giudice, che non nella possibilità di separare idealmente la fase cautelare dal merito. In tal senso la modifica degli artt. 617 ss. c.p.c. andrebbe letta in correlazione con il disposto del nuovo art. 186 bis disp. att. c.p.c., come introdotto dalla legge 69/2009. Tale norma, si vedrà, sancisce l’incompatibilità del giudice del merito da «quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione». Mentre nell’opposizione all’esecuzione, dunque, si sarebbe voluto separare ciò che è la fase cautelare dal giudizio sull’esistenza del «diritto a procedere all’esecuzione forzata», nell’opposizione agli atti si sarebbe voluto, essenzialmente, sottrarre il sindacato sulla regolarità formale di un atto esecutivo a quel giudice che tale atto aveva conosciuto (o, peggio, posto in essere). 81 Si suole dire che se l'opposizione all'esecuzione è uno strumento volto al controllo di legittimità sostanziale dell'esecuzione e del titolo, lo strumento dell'opposizione agli atti esecutivi è uno strumento volto al controllo della regolarità formale del titolo, del precetto e dei successivi atti esecutivi; e che se l'opposizione ex art. 615 c.p.c. riguarda l'an dell'esecuzione, lo strumento di cui all'art. 617 c.p.c. riguarda il suo quomodo. Cfr. MONTELEONE, Manuale., ibidem. In giurisprudenza v. Cass. 10 dicembre 2001 n. 15561. 82 In tal senso: FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo., cit., p. 95 ss; MONTELEONE, Manuale., ibidem; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1959, p. 472 ss. V. anche: CARNELUTTI, Istituzioni di Diritto processuale civile, vol. III, Roma, 1956 pp. 98, secondo cui la stessa sentenza che definisce il giudizio di opposizione avrebbe natura di atto esecutivo. 85 Se tale ricostruzione fosse corretta sarebbe lecito concludere che la separazione delle due fasi è «più debole» nell’opposizione agli atti di quanto non lo sia nelle opposizioni all’esecuzione proposte dal debitore o dal terzo. Il che, come si vedrà, potrebbe giustificare la minore complessità del procedimento (e, per come si vedrà, l’esclusione del reclamo, per questo tipo di sospensione). Con riguardo alla sospensione dell’esecuzione, a seguito di opposizione ex art. 617 c.p.c., la stagione delle riforme del 2005-2009, se ha risolto - almeno nel suo testo provvisoriamente definitivo - taluni problemi sorti in passato ne ha creati altri. Ed invero, come si vedrà tra breve, se è stata, oggi, definitivamente ammessa la possibilità per il giudice dell’esecuzione, in questo tipo di opposizione, di sospendere la procedura, si pongono - a seguito della riforma degli effetti e del regime della sospensione - nuove delicate questioni (ci si riferisce, in particolare, agli effetti estintivi), atteso oltretutto che le regole dettate dal terzo comma dell’art. 624 c.p.c. vengono considerate applicabili «in quanto compatibili». Analogamente a quanto si è fatto supra, a proposito delle opposizioni ex art. 615 e 619 c.p.c., per cogliere gli aspetti problematici dell’argomento affrontato occorre prendere le mosse dal concetto di opposizione agli atti esecutivi e da come tale istituto risulta oggi disciplinato dall’ordinamento positivo. L’art. 617 c.p.c. prevede il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, come noto, quando si contesti la regolarità formale del titolo e del precetto o della loro notificazione, ovvero quando si oppongano singoli atti di esecuzione. Per quanto riguarda il concetto di irregolarità formale, si ritiene normalmente che esso si sovrapponga con quello di nullità, con la conseguenza che sarebbero applicabili le norme di cui agli artt. 156 - 162 c.p.c.83 (ivi compresa l'impossibilità di far valere una nullità se l'atto ha raggiunto il suo scopo, la non rilevabilità della nullità dalla parte che vi ha dato luogo o che vi ha rinunciato anche tacitamente etc.). 83 MONTELEONE, Manuale., ibidem. 86 È stato sostenuto, tuttavia, che se l'irregolarità è talmente grave da distruggere l'attitudine del titolo a dare ingresso all'esecuzione forzata essa sarà denunciabile con l'opposizione all'esecuzione84. Accanto all'irregolarità formale del titolo e del precetto possono essere oggetto della opposizione agli atti esecutivi anche la contestazione dei vizi di notificazione del titolo e del precetto, nonché la contestazione della regolarità formale degli altri atti del procedimento esecutivo; nonché, secondo la giurisprudenza, della loro opportunità o congruenza 85. Anche con riguardo all'opposizione ex art. 617 c.p.c. il legislatore ha adottato una struttura bifasica, con fase del merito cautelare distinta da quella del merito. Nella fase cautelare - che si svolge, giusta il disposto dell’art. 185 disp. att., secondo le regole dei procedimenti camerali - è espressamente attribuito, a seguito della novella del 2006, al giudice dell'esecuzione il potere di sospendere la procedura. 84 MONTELEONE, Manuale., ibidem. 85 Anche nell'opposizione agli atti esecutivi è prevista una differenza a seconda che essa sia proposta prima o dopo l'inizio dell'esecuzione. Prima che abbia inizio l'esecuzione l'opposizione va proposta con citazione, dinanzi al giudice ove la parte che ha notificato l'atto di precetto ha eletto domicilio (art. 480 c.p.c.). In mancanza di tale elezione di domicilio, l'opposizione si propone dinanzi al giudice del luogo in cui il precetto è stato notificato (e le comunicazioni al creditore procedente si fanno presso la cancelleria del giudice stesso). Sul termine di decadenza è a tutti noto che la novella del 2005 ha elevato quello originario, iugulatorio di cinque giorni (il legislatore, nel 1940, poteva realmente essere convinto che il processo si sarebbe chiuso in uno-due mesi) in quello più ampio di venti. Si è visto sopra, però, che manca, allo stato, un coordinamento con l'opposizione del debitore alla cosa oggetto del pegno, prevista dall'art. 2797 c.c. (rimasta a 5 giorni). Il termine per proporre opposizione deducendo vizi del precetto e del titolo decorre dalla notifica, ma se è stato impossibile rispettare il termine per caso fortuito o forza maggiore, ovvero se si contesta proprio la validità della notifica tale termine decorre dal primo atto di esecuzione. Se oggetto dell'opposizione sono i singoli atti esecutivi successivi, il termine decorre dal loro compimento, o dalla notizia di essi, quando la legge ne prevede la comunicazione alle parti. 87 Successivamente il giudice dell'esecuzione assegna un termine per iscrivere la causa al ruolo e «introdurre il giudizio di merito» 86. Quindi anche qui il semplice deposito del ricorso non determina la pendenza del giudizio di merito. Solo che qui la scelta del legislatore è più difficile da comprendere ed anche da applicare, anche tenuto conto che la proposizione dell'opposizione ex art. 617 è subordinata ad uno stretto termine di decadenza; sicché possono porsi, in concreto, numerosi problemi applicativi, connessi alla possibilità per il soggetto convenuto nel giudizio di merito di dilatare il thema decidendum con eventuali domande riconvenzionali 86 La legge n. 69/2009 (all'art. 53) ha introdotto l’ art. 186 bis nelle disp.att. c.p.c., secondo cui «i giudizi di merito di cui all'articolo 618, secondo comma, del codice sono trattati da un magistrato diverso da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione». La formula, sebbene inutilmente contorta e involuta, sembra voler dire: «diverso da quello che ha emesso gli atti in relazione ai quali è dedotta l'irregolarità formale, la nullità, l'inopportunità, ovvero che ha emesso provvedimenti consequenziali rispetto all'atto esecutivo che costituisce specifico oggetto dell'opposizione». Solo che l'espressione «conosciuto degli» potrebbe legittimare una interpretazione molto rigorosa, nel senso di una incompatibilità generalizzata nei confronti di qualunque giudice che abbia conosciuto gli atti (anche in altro giudizio di opposizione agli atti esecutivi o all'esecuzione). Comunque una simile lettura (ma, a ben vedere, la stessa norma, anche se intesa nella sua accezione meno rigorosa) non pare opportuna. Da come si è visto supra, parlando della struttura delle opposizioni, le irregolarità denunciate con l’opposizione agli atti esecutivi sono comunque avvenute in una fase senza contraddittorio; non si comprende perché il giudice, per dire, dell'opposizione a decreto ingiuntivo non possa essere lo stesso che ha emesso il decreto. Si rammenta, del resto, che la Consulta, con sentenza successiva alla modifica dell’art. 111 Cost., aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 617 e 618 c.p.c., nella parte in cui non prevedono l’obbligo di astensione del giudice dell’esecuzione chiamato a conoscere dell’opposizione agli atti esecutivi, sull’esatto rilievo che - appunto - l’opposizione non introduce un diverso grado di giudizio, ma un giudizio a cognizione e a contraddittorio pieni in un procedimento che, fino a quel momento, tali caratteri non aveva: Corte cost. 28 novembre 2002 n.497, in Giur. cost., 2002, p.6. Per una disamina v. DEMARCHI, Il nuovo processo civile, Milano, 2009, p.444. 88 (nell’ipotesi che dette domande avrebbero dovuto, a loro volta, costituire oggetto di autonoma e tempestiva opposizione)87. In forza dell’art. 618 c.p.c., come oggi novellato dalla legge 24 febbraio 2006 n. 52, il giudice dell’esecuzione potrà «sospendere la procedura». È noto che, anteriormente alla riforma del 2006, era stato molto discusso in dottrina e in giurisprudenza se l’opposizione agli atti fosse idonea a sospendere l’esecuzione88 o se potesse dar luogo ad un provvedimento di sostanziale inibizione o differimento del compimento di un atto, fino alla definizione del relativo giudizio 89. La giurisprudenza, sul punto, dopo iniziali resistenze aveva concluso che i «provvedimenti indilazionabili» previsti dall’art. 618 c.p.c. avrebbero potuto assumere il contenuto di sospensione del processo esecutivo, determinandosi in tal caso una situazione analoga, in 87 Dal momento che l’opposizione agli atti esecutivi è, giusta l’espressa previsione dell’art. 512 c.p.c., lo strumento attraverso il quale si debbono impugnare le ordinanze emesse dal giudice dell’esecuzione in sede di risoluzione delle controversie in sede di distribuzione, la sua struttura bifasica, correlata alla previsione di un rigido termine di decadenza, genera delicati problemi applicativi. Non è chiaro, in particolare se, in caso di opposizione proposta da uno dei creditori avverso l’ordinanza che ha risolto le controversie e dichiarato esecutivo il progetto di distribuzione, gli altri che non hanno proposto analogo strumento nei termini di legge possano, nel giudizio di merito «proporre domande riconvenzionali» (ed essere, sostanzialmente rimessi in termini) ovvero se la introduzione di nuovi temi sia subordinata alla proposizione di una autonoma opposizione. Si ponga il seguente caso: In un processo esecutivo proposto da A contro B, interviene C, con un primo credito. Successivamente C interviene anche per un secondo credito, ma all’udienza per l’approvazione del progetto di distribuzione il creditore procedente A contesta l'estinzione del diritto di cui al primo intervento di C. Il giudice, a questo punto, dichiara inammissibile il secondo intervento di C, mentre approva al tempo stesso il progetto di distribuzione (rigettando, quindi, le doglianze di A sul primo credito di C). Avverso tali provvedimenti (sia contro il provvedimento che ha dichiarato inammissibile il suo secondo intervento, sia contro quello che ha approvato il progetto di distribuzione) solo C propone opposizione. Il creditore procedente A lascia, invece, decorrere il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi. All'udienza del merito cautelare, tuttavia, si costituisce per dedurre, nuovamente, l'estinzione del diritto di cui al primo intervento di C. La stessa domanda viene reiterata, nel giudizio di merito, sotto forma di riconvenzionale di C. Ci si pone il problema se una sia domanda debba essere considerata ammissibile. La soluzione dipende, probabilmente, da quanto si considererà autonoma la fase cautelare da quella di merito. Probabilmente la risposta dovrà essere negativa, atteso che la lettera dell’art. 617 c.p.c. continua a recitare che l’opposizione «si propone» nel termine di venti giorni, segno che «il giudizio di merito», nonostante la sua assimilazione al giudizio di merito dei procedimenti cautelari, è pur sempre una fase di un unico procedimento. 88 Cfr. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, vol. III, Torino 1997, p. 460; LUISO, Diritto processuale civile, vol. III, Milano 1999, p. 66; BONSIGNORI L'esecuzione forzata, Torino 1996, p. 343. 89 ORIANI, Opposizione all'esecuzione, Digesto Italiano, vol. IV civ., XIII, Torino 1995, p. 624. 89 ordine agli effetti, a quella prodotta dall'ordinanza di sospensione ex art. 624 c.p.c.90. La questione ha, oggi, apparentemente perso rilievo, atteso che il novellato art. 618 c.p.c. prevede oggi espressamente la possibilità per il giudice dell’esecuzione, nella fase del c.d. merito cautelare, di sospendere la procedura. Dico «apparentemente» perché la distinzione tra «sospensione» e «provvedimenti indilazionabili», proprio nel momento in cui sembra superata da una precisa scelta normativa, potrebbe riacquisire valore e importanza tutt’altro che secondaria. Il quarto comma dell’art. 624 c.p.c. prevede, infatti, genericamente che la disposizione di cui al terzo comma «si applica, in quanto compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi dell’articolo 618». Il richiamo al comma citato sembra comportare che venga richiamato anche il meccanismo dell’estinzione in caso di stabilizzazione nel provvedimento di sospensione e successiva, mancata introduzione del giudizio di merito. E tuttavia una tale soluzione, se può avere una sua giustificazione - condivisibile o meno che sia - per quanto riguarda le opposizioni afferenti la regolarità formale o la notifica del titolo e del precetto, diviene irragionevole se l’opposizione riguarda uno specifico atto di esecuzione, successivo all’inizio della procedura. In tale ipotesi la sanzione dell’estinzione potrebbe risultare sproporzionata, tenuto anche conto che, vertendosi solo sulla regolarità di un singolo atto, l’eventuale accoglimento del «giudizio di merito» potrebbe non avere, neppure in linea astratta e teorica, conseguente tanto nette e definitive. La soluzione, allora, che sembra più ragionevole è quella di muovere dall’esegesi della locuzione «in quanto compatibili», di cui al quarto comma dell’art. 624 c.p.c., e giungere ad una soluzione articolata del seguente tipo. La possibilità di far dichiarare tout court l’estinzione dell’intero processo esecutivo, anche per il caso di inattività delle parti e mancata introduzione del giudizio di merito, dovrebbe essere condizionata alla natura concreta del vizio dedotto. Se, cioè, questo afferisce ad un atto esecutivo emesso nel corso dell’esecuzione, ma successivamente al suo inizio, la possibilità di estinguere la procedura andrebbe esclusa. Ed infatti, come detto, anche l’eventuale 90 Cass. 20 aprile 1991 n.4278; Trib. Torino 4 luglio 2003, in Giur. merito, 2004, p. 70. 90 accoglimento dell’opposizione potrebbe non avere come conseguenza la caducazione dell’intera esecuzione, ma, probabilmente, dei soli atti eventualmente compiuti a seguito di quello «irregolare». Di conseguenza, andando di contrario avviso ed applicando indiscriminatamente la regola dell’estinzione alla fattispecie, si avrebbe il paradosso di una tutela «cautelare» - sia o meno tale in senso pieno o solo latamente - assai più incisiva di quella di merito. Potrà, per contro, essere pronunciata l’estinzione ogni qualvolta sia stato dedotto una irregolarità del titolo o del precetto, ovvero della loro notifica. Altra soluzione potrebbe essere quella di ridare vita alla vecchia distinzione tra atto indilazionabile, anche a contenuto inibitorio, e sospensione in senso stretto. La lettera della legge sembra, infatti, subordinare l’estinzione alla sola ipotesi di «sospensione», restando, dunque, fuori dall’ambito dell’art. 624 comma terzo i casi di mancata riassunzione del giudizio di merito, a seguito di altro provvedimento «indilazionabile» 91. Più in generale, comunque, potrebbe criticarsi, sotto il profilo dell’opportunità, la soluzione dell’estinzione, per il caso di una opposizione quale quella agli atti esecutivi - vertente sulla regolarità formale di atti. La formulazione normativa porta un ulteriore problema: l’art. 618 c.p.c., pur prevedendo la possibilità che l’esecuzione venga sospesa, non menziona i requisiti per l’emissione di tale provvedimento. Se si riterrà applicabile il regime di estinzione dettato dall’art. 624, anche nei limiti sopra indicati, dovrà concludersi per la necessità dei «gravi motivi», secondo le regole sopra illustrate, a proposito di opposizione all’esecuzione. La necessità dei gravi motivi, del resto, parrebbe suggerita dall’accostamento tra le locuzioni «provvedimenti indilazionabili» e sospensione. Riteniamo che, a maggior ragione se si ammette la possibilità dell’estinzione a seguito del provvedimento cautelare, la concessione della sospensione dovrebbe essere subordinata all’accertamento del fumus e del periculum. Si rinvia, al riguardo, alle considerazioni svolte a proposito dell’opposizione ex art 615 c.p.c. 91 Siffatti provvedimenti indilazionabili, in caso di mancata introduzione del giudizio di merito, diverranno dunque tout court inefficaci, posto che l’art. 624 comma quarto c.p.c. richiama esclusivamente il provvedimento di sospensione. Cfr. MONTELEONE, Manuale., p. 271. 91 La novella del 2009, infine, ha eliminato il riferimento all’art. 618 bis c.p.c., originariamente introdotto dalla novella del 2005-2006. Sul punto, tuttavia, non pare che la eliminazione abbia qualche conseguenza sul piano giuridico. Sembra, infatti, che il legislatore abbia voluto semplicemente eliminare un refuso normativo, dal momento che l’art. 618 bis c.p.c. non disciplina alcuna sospensione (che è, invece, prevista dall’art. 618 c.p.c.)92 . Quanto all’opposizione c.d. preesecutiva, il dato letterale della norma non pare consentire la applicabilità della sospensione. Ed invero l’art. 618 c.p.c. menziona espressamente il «giudice dell’esecuzione», la sospensione della «procedura» e l’assegnazione di un «termine perentorio l’introduzione del giudizio di merito», istituti e regole che mal si adattano ad una ipotesi di opposizione antecedente all’inizio dell’esecuzione forzata. Per altro verso l’esclusione del legislatore pare avere una sua coerenza: con l’opposizione ex art. 617 primo comma si contesta pur sempre una mera irregolarità formale del titolo e del precetto e non già il diritto a procedere ad esecuzione forzata. Pertanto la «sospensione» dell’efficacia esecutiva del titolo sarebbe una conseguenza ultronea e non del tutto coerente rispetto allo specifico strumento. Il creditore dovrebbe, pur sempre, essere in condizione di notificare un nuovo precetto, corretto, e procedere, sulla base del medesimo titolo, all’esecuzione forzata. L’inibizione dell’efficacia esecutiva del titolo gli precluderebbe - in assenza di una valida ragione sostanziale - tale facoltà 93. 92 Cfr. BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della legge n. 18 giugno 2009, n. 69), in www.judicium.it. 93 Nel senso indicato: Trib. Torino, 21 settembre 2007, in www.ilcaso.it. 92 IV. La sospensione disposta dal giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo. IV.1. In generale: quale disciplina? Rientrano tra le ipotesi di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, innanzitutto, le inibitorie di cui agli artt. 283, 373, 401 e 407 c.p.c.1, id est: tutti quei provvedimenti emessi dal giudice dinanzi al quale è impugnato stricto sensu un titolo esecutivo giudiziale. La dottrina, però, include in questa categoria anche le ipotesi di sospensione disposte nell’ambito dell’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 649 c.p.c. e di opposizione tardiva avverso l’ordinanza per la convalida di sfratto ex art. 668 quarto comma c.p.c.2 . La nozione di «giudice dell’impugnazione» va, allora, intesa in senso atecnico ed ampio; comprensiva, cioè, non solo dei mezzi di gravame in senso stretto, ma anche di tutte quelle ipotesi in cui il titolo esecutivo è rimesso giudizialmente in discussione, o perché - lato sensu - impugnato o perché comunque opposto 3. La sospensione di cui si discorre - è stato giustamente osservato - è da considerarsi esterna al processo esecutivo, atteso che la sua fattispecie costitutiva (i.e., il provvedimento di inibitoria dell’efficacia esecutiva del titolo) si realizza interamente al di fuori dal procedimento esecutivo. La sospensione, infatti, non viene pronunciata dal giudice dell’esecuzione, ma da quello - appunto - davanti al quale il titolo è impugnato. Va avvertito, al riguardo, che quando si parla, in questa sede, di esteriorità rispetto al procedimento esecutivo si prescinde da ogni considerazione di ordine temporale e cronologico tra l’inibitoria e l’inizio dell’esecuzione. Il 1 LONGO La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, p. 643 ss. 2 LONGO, La sospensione del processo esecutivo, cit., ibidem. 3 ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in MONTESANO–ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Vol. III, Tomo II, Padova, 2007, I, 2., p.1543 ss., secondo cui «pur se la legge parla qui di ‘impugnazione’ del titolo esecutivo, la ratio della norma impone, a parer nostro, un’interpretazione estensiva, che ricomprenda ogni ipotesi di attribuzione al giudice della cognizione del potere di incidere sull’efficacia esecutiva del provvedimento costituente titolo esecutivo, in forza del quale l’esecuzione è stata promossa». Per una disamina, v. CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. 967, p. 4 ss. 93 provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo può essere disposto in pendenza di esecuzione forzata, come anteriormente al suo inizio. Ciò, tuttavia, costituirà un dato assolutamente accidentale e contingente rispetto alla disciplina dell’istituto. Il punto essenziale è che in tali ipotesi il provvedimento inibitorio è emesso da un giudice che non è quello dell’esecuzione (sia o meno questa iniziata) ma dinanzi al quale il titolo è impugnato. Accolta questa premessa - ma sul punto si tornerà tra breve - pare corretto ricondurre in questa categoria anche le sospensioni disposte dal giudice dell’opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c.: anche in queste ipotesi, infatti, il provvedimento inibitorio viene emesso da un giudice che non è quello dell’esecuzione, ma quello della «impugnazione», in senso lato, del titolo. Ciò è vieppiù evidente nelle ipotesi di esecuzione fondata su titolo stragiudiziale, ma mantiene tale connotazione, probabilmente, anche per il caso di opposizione a precetto avverso un titolo giudiziale (nei limiti, ovviamente, in cui detta opposizione sia ammessa)4 . Una volta affermato il carattere esogeno dell’inibitoria dell’efficacia esecutiva del titolo rispetto al processo esecutivo occorre, però, porsi il problema del raccordo tra la prima e il secondo. In che modo - in altri termini - il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esplicherà i suoi effetti nell’esecuzione pendente. E ciò, ovviamente, nell’ipotesi tutt’altro che infrequente - in cui il soggetto (e.g., creditore in forza di una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva ed impugnata dalla controparte, ovvero di un decreto ingiuntivo, anch’esso provvisoriamente esecutivo, ma in pendenza di opposizione) non abbia atteso la decisione del giudice sull’inibitoria, ma abbia compiuto atti di esecuzione. L’effetto pratico fondamentale (a seguito della sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo il processo esecutivo non può proseguire) è - tutto sommato - abbastanza evidente. Rimane da accertare il modo con il quale tale risultato possa essere raggiunto: se occorra una specifica opposizione del debitore, ovvero se detto obiettivo possa essere raggiunto aliunde. 4 Nel senso che la sospensione in caso di opposizione a precetto non rientri nella disciplina di cui all’art. 623 c.p.c. v. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1249. 94 La questione, va detto, è di grande interesse pratico, sopratutto alla luce delle riforme del 2005-2006 e del 2009: se si ritenesse necessario lo strumento dell’opposizione e la conseguente «sospensione» dell’esecuzione in corso, potrebbe trovare applicazione il novellato disposto dell’art. 624 c.p.c., e la conseguente possibilità di estinzione del processo esecutivo. Una siffatta soluzione - in linea teorica - potrebbe pure avere una sua giustificazione di ordine metagiuridica. Si pensi alla seguente ipotesi: un soggetto asserito creditore ottiene contro il debitore un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Il debitore propone opposizione ed ottiene, alla prima udienza, la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto. Il creditore, tuttavia, prima ancora che il giudice si pronunzi sulla sospensione notifica un pignoramento presso terzi, sottoponendo a vincolo tutte le somme - poniamo - esistenti sull’unico conto corrente bancario del debitore. A questo punto il giudice dell’opposizione concede la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto. Quid iuris della procedura esecutiva? Il debitore potrà ottenere lo svincolo delle somme o queste dovranno rimanere sottoposte a vincolo fino al passaggio in giudicato della sentenza di opposizione a decreto ingiuntivo? Potrà il debitore proporre opposizione all’esecuzione (facendo valere il fatto che l’efficacia esecutiva del titolo è stata sospesa) ed ottenere l’estinzione della procedura? Sul piano sociale, va detto, potrebbe non risultare inconcepibile, nel bilanciamento di interessi tra debitore che ha ottenuto l’inibitoria e creditore che non ha voluto attendere la decisione di questa, far prevalere le ragioni del primo. Resta da chiedersi, però, se tale risultato possa essere raggiunto, alla stregua del diritto positivo, con lo strumento dell’art. 624 c.p.c., o se sussistano, comunque, altri rimedi per tutelare il debitore contro il creditore precipitoso. Sul punto si osserva quanto segue. La giurisprudenza pressoché unanime, innanzitutto, ritiene che il solo fatto che l’efficacia del titolo sia stata sospesa non comporta, per ciò solo, l’estinzione della procedura esecutiva e lo svincolo delle somme, ma la sua semplice sospensione 5. La sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, infatti, non ne determina - si è detto - la caducazione, ma solo l’impossibilità 5 Cass. 16 gennaio 2006 n. 709; Cass. 16 ottobre 1992 n. 11342; per una disamina cfr. ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata., ibidem. 95 di esercitare l’azione esecutiva sino alla conclusione del giudizio di merito, nel cui ambito essa era stata concessa. Ne deriva che il processo di esecuzione deve essere semplicemente posto in uno stato di temporanea quiescenza 6, normativamente disciplinata dalle regole in materia di sospensione. Detta sospensione dell’esecuzione forzata, inoltre, non ricadrebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 624 c.p.c. (con tutte le conseguenze ad esso applicabili), atteso che si sarebbe in presenza, appunto, di un caso di sospensione disposto dal giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo 7, laddove l’art. 624 citato disciplina la sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione. Come logico corollario, considerato oltretutto che la stessa norma dell’art. 623 c.p.c. può essere letta nel senso di far derivare dalla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo la sospensione dell’esecuzione, il giudice dell’esecuzione (una volta rilevata l’avvenuta inibitoria del titolo) dovrà limitarsi, ove necessario, ad emettere un provvedimento dichiarativo di una sospensione già verificatasi. Stante il carattere meramente ricognitivo, oltretutto, non dovrebbe essere richiesta neppure la proposizione di una formale opposizione all’esecuzione, essendo sufficiente una mera istanza ex art. 486 c.p.c 8 . Come ulteriore conseguenza, al provvedimento ricognitivo 6 LONGO, La sospensione del processo esecutivo, cit., p. 663; SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., p. 1247. Cfr. anche le giuste osservazioni di CAPPONI, Appunti sulle opposizioni esecutive dopo le riforme del 2005-2006, in Riv. es. forz., 2007, p.606 e ID., Lineamenti del processo esecutivo, Bologna, 2008, p. 378, secondo cui un simile potere di caducare gli effetti del pignoramento nel frattempo compiuto dovrebbe essere espressamente attribuito dalla legge, mentre nessun giudice attualmente ne è fornito. Una tale constatazione sembra precludere il campo ad ogni soluzione alternativa, quale il ricorso ad un provvedimento ex art. 700 c.p.c., nel corso del giudizio di impugnazione, per ottenere lo svincolo delle somme o - nel caso di pignoramento immobiliare - la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Per le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza di merito per aggirare tale problema in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, infra al par. IV.5, a proposito della c.d. «revoca» dell’efficacia esecutiva 7 Per la medesima soluzione, in caso di sospensione disposta in sede di opposizione a precetto v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, V ed., vol. II, Padova, 2009, p. 289 ss. 8 Così: ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem. LONGO, La sospensione del processo esecutivo, cit., ibidem.; SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1247; in giurisprudenza v. Cass. 16 gennaio 2006 n. 709; Cass. 16 ottobre 1992, n. 11342; Trib. Modena, 6 maggio 2009 in Il corriere del merito, 2009, p. 835. Contra, nel senso che occorra un’opposizione all’esecuzione v. App. Torino, 11 ottobre 2003, in Giur. it., 2004, p. 1867 con nota di CHIARLONI. 96 dell’avvenuta sospensione non seguiranno le conseguenze di cui all’art. 624 c.p.c., limitate al caso di sospensione disposta a seguito di opposizione all’esecuzione 9. Una simile soluzione, però, non soddisferà pienamente le esigenze e le aspettative del debitore: egli si troverà - nell’esempio prospettato - con le somme nel conto ancora vincolate, e senza realistica prospettiva di ottenerne lo svincolo in tempi ragionevoli. Il debitore, allora, potrebbe preferire piuttosto che utilizzare una semplice istanza ex art. 486 c.p.c. - proporre, una volta ottenuta l’inibitoria, anche opposizione all’esecuzione, al fine di tentare di ottenere l’estinzione della procedura esecutiva. Per l’applicazione delle conseguenze estintive dell’art. 624 c.p.c. - e prima ancora per la configurabilità dell’opposizione in parola - si pongono, però, numerosi problemi teorici e applicativi. Innanzitutto, sul piano letterale, si pone un problema connesso all’esegesi dell’art. 624 c.p.c. La norma, come detto, commina l’estinzione della procedura esecutiva ogni qualvolta, dopo la stabilizzazione del provvedimento cautelare10, non sia stato introdotto il giudizio di merito. Nell’ipotesi in esame, tuttavia, il giudizio di merito vero e proprio è già pendente, atteso che si tratta di quello vertente sull’esistenza del titolo (e dunque il gravame o l’opposizione, nel corso del cui procedimento è stato emesso il provvedimento sull’inibitoria). Consentire o, addirittura, imporre, dunque, al debitore di proporre, nell’ipotesi prospettata, opposizione all’esecuzione per ottenere la sospensione dell’esecuzione, comporterebbe l’ulteriore problema di «riempire di contenuto» il giudizio di merito dell’opposizione. Questo - a seguire una simile impostazione - dovrebbe essere formulato nei seguenti termini: «ritenere e dichiarare che non sussiste alcun diritto a procedere 9 In tal senso la dottrina pressoché unanime; cfr. CHIARLONI, Opposizione all’esecuzione a seguito di sospensione dell’esecuzione provvisoria di decreto ingiuntivo, in Giur. it., 2004, p. 1869; LONGO, La sospensione del processo esecutivo, cit., ibidem.; LUISO, Processo di esecuzione forzata, in Sospensione del processo civile, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIII, p.59 ss; OLIVIERI, Opposizione all’esecuzione, sospensione interna ed esterna, poteri officiosi del giudice, in Studi di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Tarzia, II, Milano, 2005, p. 1271; cfr. anche BUCOLO, La sospensione nell’esecuzione. La sospensione in generale, Milano, 1972, p. 283; ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem. 10 O per mancata proposizione del reclamo, o per conferma o comunque emissione del provvedimento di sospensione a seguito del reclamo medesimo. 97 all’esecuzione forzata, atteso che il titolo è stato giudizialmente sospeso e verrà revocato all’esito della definizione del giudizio di impugnazione». Poiché, tuttavia, in caso di concessione della sospensione è probabile che il giudizio di merito venga introdotto dal creditore (proprio per evitare la conseguenza dell’estinzione) la domanda sarà formulata verosimilmente in termini esattamente opposti: «ritenere e dichiarare che esiste il diritto a procedere all’esecuzione forzata, atteso che esiste un titolo giudiziale, ancorché ad oggi sospeso». In questo modo non vi sarebbe, probabilmente, sovrapposizione tra giudizio di impugnazione del titolo e merito dell’opposizione, atteso che il secondo presupporrebbe, al contrario, la definizione del primo. Sul piano processuale, anzi, tra il giudizio di impugnazione del titolo e quello sul merito dell’opposizione si verificherebbe un fenomeno di pregiudizialità necessaria, con conseguente sospensione del secondo giudizio in attesa della definizione del primo, giusta l’art. 295 c.p.c. In conclusione, però, al termine di questo complicato meccanismo di impugnazioni ed opposizioni nulla sarebbe risolto: il debitore non sarebbe comunque riuscito ad ottenere l’estinzione del pignoramento e lo svincolo delle somme pignorate, mentre il creditore sarebbe stato costretto ad introdurre un giudizio di merito sull’opposizione al solo fine di evitare tale conseguenza; e ciò pur nella consapevolezza che detto giudizio di merito è, nella sostanza, ultroneo se non proprio inutile11 e che dovrà essere sospeso nelle more della definizione del giudizio di impugnazione del titolo. Come ulteriore conseguenza si pone, probabilmente, un problema di sussistenza dell’interesse ex art. 100 c.p.c. del debitore a proporre una simile opposizione, se è vera la tesi secondo cui non può essere concessa la tutela giurisdizionale ogni qualvolta l'accoglimento della domanda, da parte del giudice, non sia idoneo a provocare una modificazione sufficientemente utile al patrimonio giuridico dell'attore 12. 11 La «vera battaglia», per così dire, si combatte infatti in sede di impugnazione del titolo. 12 Per una disamina, v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, vol.I, V ed., Padova, 2009, p. 193 ss.; SASSANI, Interesse ad agire, I) Diritto processuale civile, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol XVII, p. 4 ss. In giurisprudenza, v. Trib. Agrigento, 15 - 16 giugno 2009 con nota di RUSSO, Difetto di interesse ad agire nelle azioni di mero accertamento di diritti di credito, in Il giusto processo civile, 2010, p. 541 ss. 98 Se si è accettata, poi, la tesi che - a seguito di inibitoria del titolo - il giudice dell’esecuzione potrà limitarsi ad emettere un provvedimento meramente ricognitivo dell’avvenuta sospensione (salvo emettere i provvedimenti consequenziali eventualmente necessari per sospendere anche gli eventuali atti esecutivi comunque in corso13), diventa molto difficile ammettere la concessione di un ulteriore provvedimento cautelare ex art. 624 c.p.c. Il giudice dell’esecuzione, probabilmente, una volta preso atto dell’avvenuta inibitoria del titolo - e ciò, riteniamo, con efficacia retroattiva alla data del provvedimento del giudice dell’impugnazione - non potrà che rigettare l’istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c. In primo luogo, infatti, si porrebbe un profilo della inammissibilità dell’istanza: l’esecuzione, alla data della presentazione del ricorso ex art. 615 c.p.c. e comunque della decisione sul c.d. merito cautelare, era da considerarsi già sospesa, e non sembra concepibile la sospensione di un procedimento già sospeso 14. In secondo luogo mancherebbero, probabilmente, i «gravi motivi» richiesti dall’art. 624 c.p.c. per la concessione della sospensione a seguito dell’opposizione. Non, almeno, il requisito del periculum in mora, atteso che la sospensione dell’esecuzione non inciderebbe in modo significativo sulla posizione lesa, invocata dal soggetto opponente. In conclusione riteniamo che la soluzione della dottrina, che non sia necessaria, dopo l’avvenuta concessione dell’inibitoria dal giudice dell’impugnazione, una vera e propria opposizione, sia corretta e funzionale sotto ogni profilo, sia dogmatico che pratico. Se è vero che essa non tutela adeguatamente il debitore che ha ottenuto l’inibitoria, dalle conseguenze negative della prosecuzione dell’esecuzione forzata, non pare che la soluzione opposta costituisca una alternativa «credibile», anche sul piano pratico, posto che porterebbe - a fronte di benefici trascurabili (se non proprio inesistenti) per il debitore opponente - una inutile e dispendiosa duplicazione di giudizi. Si aggiunga, sul punto, che la Consulta è stata in più occasioni chiamata a pronunciarsi sulla questione se fossero compatibili con la Costituzione le 13 Atti che, a seguire la presente impostazione, sarebbero comunque già inefficaci, giusta l’art. 626 c.p.c. Un tale provvedimento sarebbe, comunque, utile ad esempio per evitare la prosecuzione di una eventuale consulenza tecnica di ufficio, etc. 14 Nel senso prospettato nel testo v. Trib. Roma, 15 settembre 2004 in Gius, 2004, p. 3941. 99 norme che introducono sospensioni disposte dal giudice della cognizione, senza prevedere, al contempo, una causa di estinzione del processo esecutivo nel frattempo iniziato, ovvero, comunque, la (sopravvenuta) perdita di efficacia, sin dal suo inizio, del pignoramento connesso a tale processo, da dichiararsi dal giudice dell’esecuzione appositamente adito. Orbene, in siffatte occasioni, la Corte ha sempre negato l’esistenza di profili di incostituzionalità delle norme, richiamando l’esigenza di conservare, per tutto il tempo necessario alla definizione del giudizio di merito, gli atti esecutivi eventualmente compiuti prima del provvedimento di sospensione dell’esecutività del titolo. E ciò al fine di non pregiudicare, nel rispetto del bilanciamento degli interessi e dei diritti contrapposti, la posizione del creditore, il cui diritto è stato comunque riconosciuto, sia pure con provvedimento sommario (come nel caso del decreto ingiuntivo) o comunque ancora sub iudice e tendenzialmente suscettibile di revoca o riforma 15. Specifico aspetto della problematica sopra accennata è quello della sospensione del pignoramento di crediti futuri ed in particolare di assegni periodici e/o del quinto dello stipendio. L’ipotesi cui si fa riferimento è sempre quella del creditore in forza di un titolo provvisoriamente esecutivo (ma impugnato giudizialmente) che abbia dato inizio all’esecuzione forzata, senza attendere l’esito della decisione sull’inibitoria. Solo che in tal caso il creditore, anziché sottoporre a vincolo il saldo del conto, pignora il quinto dello stipendio, o altro assegno periodico spettante al debitore. In siffatte ipotesi ci si domanda se - una volta sospesa (e.g., in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, ovvero di appello) l’efficacia esecutiva del titolo - gli assegni maturandi in epoca successiva e prima della definizione del giudizio sull’impugnazione del titolo siano sottoposti a vincolo. Se, in particolare, il terzo debitor debitoris debba continuare ad operare la trattenuta, in attesa della definizione del giudizio di impugnazione del titolo e dunque del definitivo provvedimento di assegnazione ovvero della caducazione della procedura esecutiva. 15 Corte cost. 4 dicembre 2000, n. 546; Corte cost. 8 marzo 1996 n. 65; Corte cost. 17 giugno 1996 n .200; Corte cost. ord. 12 luglio 1996 n. 247. 100 La soluzione appare abbastanza semplice per quanto riguarda i debiti del terzo, sorti anteriormente alla pronunzia sull’inibitoria (o, in subordine, qualora si negasse il carattere ricognitivo della successiva sospensione dell’esecuzione pronunciata dal giudice della procedura, i debiti sorti anteriormente alla data di tale ultimo provvedimento). L’accoglimento dell’inibitoria non avrà alcun effetto su questi. Le trattenute operate, e.g., dal datore di lavoro prima della pronuncia di inibitoria, non potranno essere caducate, sicché le somme resteranno vincolate fino alla chiusura della procedura. Conseguenza, inoltre, del carattere ricognitivo del provvedimento adottato dal giudice dell’esecuzione ex art. 486 c.p.c. è che - probabilmente - il processo esecutivo dovrà considerarsi ad ogni effetto sospeso dalla data dell’inibitoria, e non dalla successiva del provvedimento vero e proprio del giudice. Più delicata ed incerta appare la sorte dei debiti che matureranno successivamente al provvedimento di inibitoria. Secondo una prima impostazione, strettamente correlata al ragionamento sopra sviluppato, potrebbe concludersi che per tutta la durata del giudizio di impugnazione del titolo il debitor debitoris dovrà continuare ad operare le trattenute, fino al raggiungimento del tetto di cui all’art.546 c.p.c., e dunque delle somme precettate aumentate della metà. La sospensione, infatti, non pare comportare la revoca della validità ed efficacia degli atti esecutivi già compiuti. Una prima soluzione potrebbe essere data dall’interpretare estensivamente l’art. 626 c.p.c., a norma del quale durante la sospensione non può essere compiuto alcun atto esecutivo «salva diversa disposizione del giudice dell’esecuzione». La norma, in particolare, potrebbe essere letta in un’accezione ampliativa dei poteri del giudice, che potrebbe, nel momento in cui dispone la sospensione o prende atto della inibitoria già disposta in sede di impugnazione, disporre la revoca di specifici atti esecutivi già compiuti. In tal senso la norma avrebbe un suo importante precedente storico nell’art. 688 del Progetto Carnelutti e nell’art. 671 Sottocommissione C, che consentivano, appunto, al giudice di 101 ordinare la revoca di «atti esecutivi già compiuti» 16. Il legislatore del 1940 avrebbe inteso enunciare lo stesso principio dei Progetti Carnelutti, utilizzando, però, una formulazione più flessibile, idonea ad attribuire i più ampi poteri al giudice dell’esecuzione: sia nel senso di autorizzare il compimento di taluni atti esecutivi, nonostante la sospensione, sia nel senso di revocare taluni atti già compiuti. L’esegesi della norma, dunque, sarebbe la seguente: «quando il processo è sospeso la sola conseguenza è che nessun atto esecutivo ulteriore può essere compiuto. Il giudice dell’esecuzione può tuttavia derogare a tale principio, autorizzando il compimento di taluni atti, ovvero disponendo la revoca di atti già compiuti». Tale interpretazione sarebbe confortata dalla prospettiva generale del codice del 1940 che, ancor più dei Progetti Carnelutti17, si ispiravano ad una concezione autoritaria del processo ed attribuivano ampi poteri al giudice dell’esecuzione. Con la norma in esame i conditores dell’art. 626 c.p.c. avrebbero voluto rafforzare ulteriormente la previsione degli artt. 671 Sottocommissione C e 688 Carnelutti, attribuendo al giudice dell’esecuzione vero centro dell’esecuzione - il più ampio potere di deroga alla regola generale (i.e.: la sospensione comporta solamente il divieto di porre in essere atti ulteriori). Tuttavia, sebbene l’attuale art. 626 c.p.c. abbia un evidente rapporto di filiazione spirituale dalle norme dei Progetti sopracitati, la formulazione normativa quale essa è pare, piuttosto, nel senso di limitare e non di estendere l’efficacia della sospensione. La norma pare dire esclusivamente che il giudice possa autorizzare il compimento di taluni specifici atti, salva, in questo caso, la difficoltà di individuare in concreto siffatti atti18 . 16 Sebbene l’attuale art. 626 c.p.c. abbia un evidente rapporto di filiazione dalle norme dei Progetti sopracitati, non pare che la locuzione «salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione» possa essere interpretato in chiave estensiva, e che possa legittimare il giudice dell’esecuzione ad un provvedimento di «revoca». Per la disamina delle norme sopracitate dei Progetti Carnelutti e Sottocommissione C si rinvia al par. I.7. 17 Come si è visto al capitolo I (ed ivi alla nota 47), scartati dal Guardasigilli Rocco perché non abbastanza «fascisti». 18 Cfr. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1959, p. 505 ss., secondo cui gli atti che avrebbero potuto essere autorizzati erano esclusivamente quelli amministrativi o conservativi, e non quelli esecutivi veri e propri. 102 In conclusione, sebbene sia ben possibile che le intenzioni soggettive dei conditores fossero di attribuire all’art. 626 c.p.c. il medesimo significato che avevano le corrispondenti norme dei Progetti Carnelutti, il significato obiettivo della norma non pare autorizzare una simile interpretazione estensiva. Le implicazioni negative di tale soluzione sono, però, evidenti. Il debitore subirebbe - nonostante la sospensione dell’esecuzione - praticamente tutti gli effetti negativi del pignoramento, nonostante la sospensione della procedura esecutiva. E non solo con riguardo alle trattenute già effettuate dal terzo, ma anche a quelle realizzate dopo la sospensione. Ad una soluzione diversa si potrebbe pervenire laddove si qualificassero le singole trattenute operate dal terzo atti di esecuzione19. In tal caso dovrebbe operare il generale disposto di cui all’art. 626 c.p.c., a norma del quale quando il processo è sospeso, e salva diversa disposizione del giudice dell’esecuzione, nessun atto esecutivo può essere compiuto. Da ciò si potrebbe far discendere il corollario che, successivamente al provvedimento di inibitoria, il terzo non può operare alcuna ulteriore trattenuta, ma deve attendere la prosecuzione dell’esecuzione, ovvero la definitiva caducazione della procedura, con conseguente svincolo delle somme. Come ulteriore conseguenza, l’illegittima trattenuta del terzo, anteriormente al provvedimento di assegnazione, potrebbe essere contestata dal debitore con il rimedio dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. Si pone, infine, il problema del come opporsi agli atti di esecuzione eventualmente compiuti dal creditore successivamente al provvedimento di inibitoria concesso dal giudice dell’impugnazione, nonché dalla presa d’atto di tale sospensione, da parte del giudice dell’esecuzione. In linea teorica, va detto, le soluzioni astrattamente ipotizzabili sono due. Innanzitutto potrebbe sostenersi che, successivamente alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, il creditore non ha più «diritto» a procedere ad esecuzione forzata, sicché il compimento di atti «abusivi» potrebbe essere opposto dal debitore con il rimedio dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 19 Il che pare, tutto sommato, abbastanza ragionevole, tenuto conto che l’eventuale errore del terzo, che operi - prima dell’ordinanza di assegnazione - una trattenuta di importo superiore a quello consentito, sarebbe probabilmente opponibile con il rimedio di cui all’art. 617 c.p.c. 103 c.p.c.20 Siffatta soluzione ha l’indubbio vantaggio pratico - decisivo sotto il profilo della giustizia sostanziale - della mancanza di un termine perentorio, più o meno iugulatorio, per la sua proponibilità. Su un piano teorico, però, appare poco aderente alla ratio ed agli effetti della sospensione dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 626 c.p.c. Questa, infatti, non priva il creditore del diritto ad agire in executivis, ma - semplicemente - impedisce, dopo la sua concessione, il compimento di ulteriori atti esecutivi, salva, peraltro, differente disposizione del giudice dell’esecuzione. La «prosecuzione» dell’esecuzione da parte del creditore (i.e., il compimento di ulteriori atti) si profila, allora, non come una esecuzione sine titulo, ma come un semplice compimento di atti esecutivi, al di fuori dei casi stabiliti dalla legge. La soluzione, allora, più corretta su un piano formale - e sotto certi aspetti «naturale» -, sembra quella dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c21, quale rimedio naturale per contestare la legittimità dei singoli atti di esecuzione. Non v’è, però, chi non veda come tale soluzione appaia inadeguata, sotto il profilo della tutela del debitore: questi, pur avendo già ottenuto la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, avrebbe l’onere di proporre opposizione in un termine, comunque, ristretto, ancorché lontano dagli originari cinque giorni previsti dalla vecchia normativa; in caso contrario l’atto - ancorché illegittimamente posto - diverrebbe incontestabile. Quale che sia la soluzione adottata, è opportuno analizzarne le conseguenze ulteriori. Poniamo il caso del debitore che abbia ottenuto l’inibitoria ed abbia fatto prendere atto di questa al giudice dell’esecuzione, con istanza ex art. 486 c.p.c. Ipotizziamo, tuttavia, che nelle more o anche successivamente al provvedimento del giudice dell’esecuzione, il creditore abbia compiuto atti esecutivi. Ritenere esperibile, avverso tale condotta, l’opposizione all’esecuzione comporterebbe l’applicabilità del meccanismo di cui all’art. 20 In dottrina cfr. ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., p. 1547; VITTORIA, La sospensione esterna del processo esecutivo. La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, in Riv. esec. forz., Torino, 2007, p. 401 ss. 21 Cass. 16 gennaio 2006, n. 709; Cass. 16 ottobre 1992, n. 11342; Trib. Modena, 6 maggio 2009 in Il corriere del merito, 2009, p. 835. Per la dottrina cfr.: CHIARLONI, Opposizione all’esecuzione., cit., ibidem; FINOCCHIARO, L’esercizio dei poteri cautelari implica valutazioni di merito, in Guida al diritto, 2006, fasc. 14, p.66; LONGO, La sospensione nel processo esecutivo., cit., ibidem; LUISO, Processo di esecuzione forzata., cit., ibidem.; OLIVIERI, Opposizione all’esecuzione, sospensione interna ed esterna., cit., ibidem.; SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1247. 104 624 c.p.c.: il giudice dovrebbe, dunque, sospendere l’esecuzione e il creditore avrebbe onere di reclamare detto provvedimento e/o introdurre il giudizio di merito, pena l’estinzione dell’esecuzione medesima. Qualora si ritenga applicabile l’opposizione agli atti esecutivi, invece, tale rischio di estinzione è tutto da dimostrare, posto che - come si è visto nel capitolo dedicato alla sospensione in caso di opposizione ex art. 617 c.p.c. l’art. 624 c.p.c. ultimo comma, in caso di sospensione ex art. 618 c.p.c., richiama a disciplina dell’estinzione solo «in quanto compatibile». Che si tratti, poi, di un difetto di coordinamento superabile in via interpretativa, ovvero di una scelta precisa di un legislatore attento, è questione che si affronterà infra. È certo che l’estinzione disciplinata dall’art. 624 c.p.c. non è, a prima vista, richiamata per il caso di sospensione in caso di opposizione agli atti esecutivi. Altra problematica di grande rilievo, concernente la disciplina delle sospensioni disposte dal giudice dell’impugnazione del titolo, riguarda la reclamabilità del provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e dei rimedi avverso il conseguente provvedimento - abbia esso o meno natura ricognitiva ed efficacia retroattiva - del giudice dell’esecuzione. Della prima delle due questioni si parlerà diffusamente nel capitolo a ciò dedicato, a proposito dell’impugnazione dei provvedimenti di sospensione. Con riferimento, invece, al secondo dei due problemi, si osserva quanto segue. Se si ritiene, innanzitutto, che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo debba essere fatta valere davanti al giudice dell’esecuzione, attraverso il rimedio tecnico dell’opposizione all’esecuzione, dovrà trovare applicazione la regolamentazione propria di detto istituto (con conseguente sospensione e successivo reclamo ex art. 624 c.p.c.). Si è già detto, però, che tale soluzione appare eccessivamente macchinosa stante, oltretutto, la difficoltà di concepire un «giudizio di merito», distinto da quello già pendente davanti al giudice dell’impugnazione del titolo 22. Va da sé che se si accoglie tale soluzione, la mancata introduzione del giudizio di merito (comunque inteso) a seguito del provvedimento di sospensione non 22 O, meglio, di concepire un giudizio di merito che abbia una sua qualche ragion d’essere, diversa dalla tautologica domanda: «ritenere e dichiarare che il processo esecutivo non poteva essere proseguito, stante l’avvenuta sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo». 105 reclamato o confermato in sede di reclamo comporterà l’estinzione della procedura esecutiva; conseguenza, questa, forse eccessivamente drastica ma probabilmente - inevitabile sulla base delle premesse. Se si ritiene, per contro, sufficiente che il debitore proponga, ai sensi dell’art. 486 c.p.c., una semplice istanza al giudice dell’esecuzione, il provvedimento di questo sfuggirà, probabilmente, in tutto e per tutto alla disciplina dell’art. 624 c.p.c. Tale norma, come si vedrà infatti nel capitolo dedicato alla sua esegesi, disciplina il solo caso di sospensione disposto a seguito di opposizione all’esecuzione ex artt. 615 e 619 c.p.c., sicché non potrebbe trovare applicazione nella fattispecie. Del resto, come detto, il provvedimento del giudice dell’esecuzione avrà natura meramente ricognitiva - e sotto, certi aspetti, attuativa - di una sospensione già in atto, mentre non costituirà un «provvedimento di sospensione» in senso tecnico. Come logico corollario non troverà applicazione la disciplina dell’estinzione in caso di mancata proposizione del reclamo o di conferma della sospensione a seguito della decisione del reclamo medesimo23. Più in generale, come si vedrà, non pare che il provvedimento del giudice dell’esecuzione, ricognitivo dell’avvenuta sospensione, possa essere impugnato con reclamo, ma tutt’al più - qualora sia stato emesso o negato al 23 Sia che si affermi che il giudizio di merito è già pendente (i.e.: quello vertente davanti al giudice dell’impugnazione del titolo), sia che si ritenga più semplicemente estraneo il giudizio di merito previsto per il caso di opposizione al procedimento che segue l’istanza ex art. 486 c.p.c. il risultato non cambia. 106 di fuori dei presupposti di legge - con il generale rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c 24. Peraltro il carattere attuativo e meramente ricognitivo del provvedimento in questione induce a ritenere ammissibile, anche una volta decorsi i termini per l’opposizione e/o il reclamo, la proposizione di una semplice istanza, sempre ai sensi dell’art. 486 c.p.c., per la revoca della sospensione, ovvero la prosecuzione del processo esecutivo sospeso; e ciò sia nel caso che siano mutate le situazioni di fatto che avevano determinato la sospensione, sia nell’ipotesi che si richieda un semplice riesame del provvedimento. Non si tratta, in fin dei conti, di un provvedimento di sospensione dell’esecuzione in senso stretto, ma solo di un provvedimento attuativo, come detto, di una sospensione già concessa da altro giudice. La predetta soluzione sembra necessaria anche per evidenti ragioni pratiche. Si pensi all’ipotesi di provvedimento del giudice dell’esecuzione palesemente errato (e.g., perché il giudice dell’impugnazione non aveva sospeso l’efficacia esecutiva del titolo). Orbene, in tali casi affermare la necessità di una impugnazione quale il reclamo o l’opposizione agli atti esecutivi e negare, al contempo, la modificabilità in ogni tempo del provvedimento, darebbe luogo a conseguenze disastrose. Ed invero, in caso di mancata proposizione nei termini dei due rimedi anzidetti, il processo esecutivo rimarrebbe sine die in uno stato di limbo: non potrebbe applicarsi la regola dell’estinzione ex art. 624 c.p.c., per i motivi sopra esposti, e tuttavia non sussisterebbe alcun mezzo ulteriore per impugnare il provvedimento del giudice dell’esecuzione e consentire la ripartenza del processo esecutivo. 24 SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1247; contra ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem, secondo cui il provvedimento del giudice dell’esecuzione, pur avendo natura ricognitiva, sarebbe pur sempre un atto esecutivo di sospensione, e sarebbe impugnabile con il reclamo, quale generale rimedio avverso i provvedimenti tutti di sospensione dell’esecuzione. Detto reclamo, comunque, potrebbe essere basato solo su vizi «propri» dell’ordinanza (se rinvenibili), mentre andrebbe dichiarato inammissibile se le censure investono i presupposti della sospensione, in quanto «non riferibili» al giudice dell’esecuzione, ma a quello afferente l’impugnazione del titolo. Prima della riforma del 2005-2006 la giurisprudenza aveva affermato la proponibilità, avverso il provvedimento de quo del giudice dell’esecuzione, dell’opposizione agli atti esecutivi: v. Cass. 14 giugno 1986, n. 3957, secondo cui il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione individua i limiti e gli effetti della sospensione dell’esecuzione disposta da altro giudice configura un atto del processo di esecuzione, reso nell’esercizio dei poteri di direzione del processo stesso, e come tale non impugnabile con ricorso per regolamento di competenza, ma solo con l’opposizione agli atti esecutivi. 107 IV.2. La sospensione disposta dal giudice dell’appello ex artt. 283 e 351 c.p.c. (le c.d. «inibitorie processuali»). L’indagine sulle c.d. inibitorie processuali25 si inserisce nel dibattito legislativo, dottrinario e giurisprudenziale – iniziato all'indomani dell'entrata in vigore del codice di rito – in ordine alla efficacia della sentenza di primo 25 L’espressione «inibitoria», o meglio «inibitorie» era prevista nel codice del 1865 all’art. 484: «quando sia stata ordinata l’esecuzione provvisoria fuori dei casi dalla legge indicati, l’appellante può chiedere inibitorie all’autorità giudiziaria d’appello, in via incidentale o sommaria, che sia già o no pendente il giudizio d’appello». Sull'uso del termine «inibitoria», e sulla sua sopravvivenza nel linguaggio giuridico anche dopo la sua «scomparsa» dal codice di rito del 1940 v. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, Giuffré, 2008, p.19 ss. 108 grado ed alla possibilità del giudice del gravame di incidere sulla eventuale esecutorietà della decisione26. È noto che, secondo l'impianto originario del codice del 1940, erano naturalmente esecutive le sole sentenze di secondo grado mentre, per quanto riguardava le decisioni di primo grado - analogamente a quanto accadeva nel codice del 186527 - la concessione della provvisoria esecuzione era 26 Per una trattazione dell'argomento oggetto della presente indagine v. BALENA-BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, p 104 ss.; BARBIERI, Sospensione della sentenza e ricorribilità contro il provvedimento inibitorio, in Immobili & diritto, 2007, p. 112 ss.; BORGHESI, L'anticipazione dell'esecuzione forzata nella riforma del processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, p. 198; BORSELLI, Inibitoria (dir. proc. civ.) in Novissimo Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 701 ss.; BRUNORI, Sulla inibitoria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1956, p. 207 ss.; CARPI, L'inibitoria processuale, in Riv. trim. dir . e proc. civ., 1975, p. 93 ss; Id. La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1979, p.225 ss.; CHIARLONI, in TARZIA – CIPRIANI, Provvedimenti urgenti per il processo civile, Padova, 1993, p. 162; COMOGLIO, L'esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado, in TARUFFO, Le riforme della giustizia civile, Torino, 2000, p. 379 ss.; CONSOLO, in CONSOLO-LUISO-SASSANI, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, p. 274 ss.; ID., Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile. Il mancato ricompattamento dei riti, in Corriere giur., 2007,12, p. 1757 ss.; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, p.2219 ss.; CONVERSO, Il processo di appello dinanzi alla Corte di Appello, in Giur.it., 1999, p.663 ss.; FARINA, in BRIGUGLIO-CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 131 ss.; FERRI, In tema di esecutorietà della sentenza e inibitoria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, p. 565 ss.; FRIGNANI, Inibitoria (azione), in Enciclopedia del diritto, XXI, Milano, 1971, p. 559 ss; IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit. ibidem; ID. in CIPRIANI-MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p.171 ss.; ID. Provvisoria esecuzione senza inibitoria? in Foro it., 2005, p. 547 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2000, II, p. 379 ss.; MACCARRONE, Per un profilo strutturale dell'inibitoria processuale, in Riv. dir. proc., 1981, p.274 ss.; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, Torino, 2006, p.308 ss.; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2007, p. 562 ss.; Id., Esecuzione provvisoria, in Digesto (civile), VII, Torino, 1992, Aggiornamento, p. 370 ss.; MONTESANO – ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2001, I, 2., p. 1788 ss.; PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p.197 ss; PUNZI, Il processo civile, Torino, 2008, p. 218 ss.; RUSSO, L'Inibitoria processuale e la sua reclamabilità: problemi vecchi (e nuovi?) in un travaglio normativo di quasi settant'anni, in Il giusto processo civile, 2009, p 601 ss.; SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 379 ss.; SIRACUSANO, in VACCARELLA -VERDE, Codice di procedura civile commentato, Torino, 1997, II, p. 525 ss; TARZIA, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2002, p. 320 ss. 27 Per un'indagine sull'acceso dibattito dottrinario sviluppatosi sotto il previgente codice del 1865 v. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p.91 ss.; CHIOVENDA, Sulle inibitorie alla provvisoria esecuzione delle sentenze civili e commerciali, in Riv. dir. comm., 1903, II, p.143 ss.; ID. Sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e sulle inibitorie, in Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), a cura di PROTO PISANI, Milano, 1993, p. 301 ss; ID. Ancora sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e sulle inibitorie, in Saggi., cit., ibidem. MORTARA, Qualche osservazione intorno ai poteri del giudice di appello in tema di esecuzione provvisoria, in Giur. it., 1903, I, 2, p. 469 ss. 109 subordinata all'esistenza di un provvedimento ad hoc nella sentenza di condanna28. Ed è altresì noto che il legislatore, praticamente all'indomani dell'entrata in vigore del codice, si trovò a fronteggiare il progressivo dilatarsi dei tempi del processo civile29 e la conseguente esigenza di ricondurlo entro termini ragionevoli. In particolare i governi che si succedettero dal dopoguerra in poi tentarono di rispondere a siffatta esigenza da un lato attraverso la moltiplicazione dei riti c.d. «speciali» (nel convincimento, probabilmente, che il rito ordinario di cognizione fosse istituzionalmente inadatto ad assicurare una definizione del processo in tempi brevi), dall'altro attraverso l'anticipazione di taluni effetti del sentenza30. In quest'ultima direzione vanno inquadrate rispettivamente la riforma del processo del lavoro del 1973, che introdusse la regola dell'esecutorietà della sentenza di primo grado favorevole al lavoratore (nell'ipotesi che fosse stata 28 Provvedimento che era facoltativo in caso di pericolo nel ritardo o di decisione fondata su atto scritto, e necessario in caso di condanna al pagamento di provvisionali o prestazioni alimentari; cfr. PUNZI, Il processo civile., cit., ibidem. Segnatamente la formulazione originaria della norma era: «Su istanza di parte, la sentenza appellabile può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva tra le parti, con cauzione o senza, se la domanda è fondata su atto pubblico, scrittura privata riconosciuta o sentenza passata in giudicato, oppure se vi è pericolo nel ritardo. L'esecuzione provvisoria deve essere concessa, sempre su istanza di parte, nel caso di sentenze che pronunciano condanna al pagamento di provvisionali o a prestazioni alimentari, tranne quando ricorrono particolari motivi per rifiutarla». Per una disamina approfondita dell'istituto sotto la vigenza del previgente codice di rito cfr. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., p. 39 ss. 29 CECCHI, Analisi statistica dei procedimenti civili di cognizione in Italia, Bari, 1975, p 77 ss.; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p.331 e nt. 4, ove si evidenzia che, ad esempio, i tempi per la definizione del giudizio di primo grado davanti al Tribunale passarono dagli originari tre mesi e mezzo del 1900 – sotto la vigenza del codice del 1865 ai 450 giorni del 1947 ai quasi tre anni del 1974. Per quanto concerne le novelle del codice di rito si rammenta che già con legge n. 581 del 14 luglio 1950 venne introdotta la citazione a udienza fissa in primo grado. 30 Per una disamina storica v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p. 329 ss. E' significativo che una parallela evoluzione nel senso della progressiva anticipazione degli effetti della sentenza si è riscontrata anche nella giurisprudenza. Emblematica, al riguardo, l'interpretazione dell'art. 282 c.p.c.: è noto che dall'originaria – probabilmente più corretta - opinione che riteneva provvisoriamente esecutive le sole sentenze di condanna (ex plurimis: Cass. 29 novembre 1975, n. 3988), si è assistito a una progressiva estensione di tale efficacia anche alle statuizioni di condanna accessorie a una pronuncia di rigetto, ovvero a una pronuncia costitutiva o di mero accertamento (Cass. 3 settembre 2007, n.18512; per l'ipotesi specifica della condanna alle spese v. Cass. 10 novembre 2004, n. 21367; Cass. 3 agosto 2005, n. 16262) ed alle statuizioni di c.d. condanna implicita (Cass. 26 gennaio 2005, n.1619). Per una trattazione compiuta sul punto v. CARNEVALE, Appunti sulla natura giuridica della tutela inibitoria, in Riv. dir. proc.civ., 2007, p.68 ss. 110 accolta la domanda per crediti relativi ai rapporti di cui all'art. 409 c.p.c.) e la novella dell'art. 282 c.p.c. introdotta con la legge n. 353 del 26 novembre 1990 31. Quest'ultima disposizione – applicabile, in forza dell'art. 9 del d.l. n. 347 del 9 agosto 1995, a tutte le sentenze pubblicate successivamente al 19 aprile 1995 32 - modificò radicalmente l'originario impianto dell'art. 282 c.p.c., affermando il principio che la sentenza di primo grado fosse provvisoriamente esecutiva tra le parti33 . Come logico corollario alla modifica dell'art. 282 c.p.c. si rese necessario adeguare anche l'art. 283 c.p.c., originariamente rubricato «concessione o revoca dell'esecuzione provvisoria in appello» 34. Il codice del 1940, infatti, come contraltare all'effetto naturalmente sospensivo dell'appello (la cui proposizione, impedendo il passaggio in giudicato, impediva anche l'esecutorietà della sentenza) ed alla mera eventualità che la sentenza di primo grado fosse munita di apposito provvedimento che la rendesse esecutiva, aveva introdotto un meccanismo di doppio controllo in fase di gravame. Il giudice dell'appello, in particolare, avrebbe potuto rispettivamente concedere la provvisoria esecuzione 31 Per una disamina v. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., p.79 ss. e p.11, ove osserva che «il nostro processo civile non conosce quasi più fattispecie nelle quali il provvedimento giudiziale è di per sé privo di efficacia esecutiva in pendenza del termine per impugnarlo o del giudizio d'impugnazione»; cfr. anche RUSSO, L'Inibitoria processuale e la sua reclamabilità., cit., ibidem. 32 Per un esame v. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., p. 146 ss., il quale propone un'indagine storico-comparatistica dell'istituto con gli omologhi modelli degli stati preunitari e del diritto d'oltralpe, che l'intera problematica del; MONTELEONE, Esecuzione provvisoria., cit., ibidem.; 33 V. per una disamina IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., ibidem: SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 379. 34 L'art. 283 c.p.c. nel testo originario prevedeva: «Se il giudice di primo grado ha omesso di pronunciare sull'istanza di esecuzione provvisoria o l'ha rigettata, la parte interessata può riproporla al giudice d'appello con l'impugnazione principale o con quella incidentale. Allo stesso giudice e con le stesse forme si può chiedere che revochi la concessione della provvisoria esecuzione e sospenda l'esecuzione iniziata». 111 (nell'ipotesi in cui non vi avesse già provveduto il giudice di primo grado) ovvero, al contrario, revocarla, sospendendo l'esecuzione già iniziata 35. Una volta introdotto, con la novella del 1990, il principio della immediata esecutività di tutte sentenze di condanna, a prescindere dall'esistenza di uno specifico provvedimento in tal senso del giudice di primo grado, si rendeva superflua l'ulteriore attribuzione al giudice dell'appello del potere di «concedere» la provvisoria esecuzione. Il testo originario dell'art. 283 c.p.c. fu dunque sostituito da quello vigente fino al 2005, con la previsione della semplice facoltà di sospendere l'efficacia esecutiva e l'esecuzione della sentenza. Tale testo è rimasto – come si vedrà infra – sostanzialmente immutato anche a seguito della novella introdotta con legge n. 263 del 28 dicembre 2005. La rimodulazione dell'art.283 c.p.c., comunque, pare più che altro un adattamento linguistico alla nuova situazione di diritto, e non una modifica a contenuto sostanziale, tale da incidere sulla natura del provvedimento sull'inibitoria. Vale, invece, la pena di sottolineare – ma sul punto si tornerà tra breve – che secondo il testo del 1940 la speculare simmetria dei poteri attribuiti, rispettivamente, al giudice di primo grado (di concedere o meno la provvisoria esecuzione) e al giudice di secondo grado (di concederla qualora non vi avesse provveduto l'organo di primo grado, ovvero di revocare l'esecutorietà da questi concessa) rende evidente una caratteristica fondamentale dei provvedimenti sulla provvisoria esecuzione. Si trattava, in particolare, di provvedimenti che trovavano una giustificazione logica e funzionale nel fatto che l'organo competente ad emanarli fosse lo stesso competente a decidere il merito della controversia: o per avervi già provveduto, contestualmente all'emissione della sentenza (nel caso del giudice di primo grado), ovvero per essere l'organo chiamato a decidere il merito dell'appello. Costituivano, insomma, un peculiare aspetto e una manifestazione del potere di decidere la causa nel merito; tant'è che la relativa istanza doveva essere proposta 35 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit, p. 84 ss. V. anche ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 2° ediz., Napoli, 1947, p. 275 ss secondo cui i provvedimenti di cui all'art. 283 c.p.c. avevano natura di vero e proprio gravame avverso il capo della sentenza dichiarativo della provvisoria esecutività della sentenza stessa. 112 rispettivamente davanti al giudice di primo grado ovvero, in sede di gravame, «con l'impugnazione principale o con quella incidentale». E anche tale impostazione non pare essere stata modificata a seguito della novella della norma, posto che, anche secondo il testo vigente, l'istanza inibitoria deve essere proposta «con l'impugnazione principale o con quella incidentale» 36. Per quanto riguarda i presupposti per concedere l'inibitoria, il testo del 1990 prevedeva che il giudice d'appello «su istanza di parte, proposta con l'impugnazione principale o con quella incidentale», potesse sospendere «in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata», quando ricorressero «gravi motivi». La formula dei «gravi motivi» era stata preferita, nel corso dei lavori preparatori alla novella del 1990 – e precisamente in limine litis, in sede di discussione del disegno di legge alla Camera -, rispetto a quella originariamente approvata al Senato dei «fondati motivi»37. Si era in particolare ritenuto che la locuzione «fondati motivi» fosse troppo «lata e tale da annacquare all'atto pratico la scelta di anticipare l'esecutività all'esito del primo grado»38 . Si temeva, in definitiva, che il giudice dell'appello, in un certo qual modo «compromesso» con la vecchia concezione della non esecutorietà della sentenza di primo grado, fosse portato ad avallare una interpretazione sostanzialmente abrogatrice della norma, vanificandone di fatto la portata ogniqualvolta il gravame non risultasse ictu oculi pretestuoso. Nel suo testo definitivo, ad ogni modo, la formula adottata dal legislatore era diretta a «realizzare, sia pure in un sistema contrassegnato 36 È stato sostenuto in dottrina che l'istanza inibitoria potrebbe essere proposta «anche con atto separato, purché nella fase preliminare del giudizio di appello» (ed a condizione, ovviamente, che l'appello principale o incidentale sia stato regolarmente proposto): MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit. p.564, nt. 77; contra: App. Trieste, 19 febbraio 2003, in Gius, 2003, 7, p. 756. In ogni caso la proponibilità con atto separato non farebbe venire meno lo stretto collegamento logico – funzionale tra istanza inibitoria e merito dell'appello (nonché tra decisione sull'inibitoria e potenziale futura decisione sul merito). 37 CIPRIANI, I problemi del processo di cognizione tra passato e presente, in Riv. dir. civ., 2003, p.59 nt.83; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato. cit., ibidem; IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., p. 84 ss. ID., La riforma del processo civile., cit., ibidem. 38 Per un esame delle contrapposte posizioni v. CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato. cit., ibidem. 113 dall'esecutorietà ipso iure (persino) della sentenza di primo grado, un punto di equilibrio non del tutto irragionevole tra aspirazione all'efficienza e tutela del diritto alla difesa»39 . In concreto il punto di equilibrio tra ragioni della parte provvisoriamente soccombente (nell'ipotesi dell'eventuale, futura riforma) con quello della parte provvisoriamente vittoriosa (per il caso dell'eventuale conferma della decisione impugnata) era stato individuato nella sussistenza dei profili del fumus boni iuris e del periculum in mora 40. I dubbi maggiori riguardavano, invero, se fosse necessaria la compresenza di entrambi i requisiti, ovvero se fosse sufficiente l'esistenza anche di uno solo di essi, e dunque, alternativamente, del fumus o del periculum41. L'art. 283 previgente è stato ulteriormente modificato a partire dal 1° marzo 2006 dalla legge n. 263 del 28 dicembre 200542. È noto, al riguardo, che la novella del 2005 ha sostituito l'originaria espressione «gravi motivi» con quella «gravi e fondati motivi anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti» ed ha, al contempo, previsto espressamente la possibilità che la sospensione dell'esecuzione venga subordinata al pagamento di una cauzione. 39 Così IMPAGNATIELLO, La riforma del processo civile. cit. ibidem.; v. anche ID., La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit, ibidem; CIPRIANI, I problemi del processo di cognizione. cit. ibidem, il quale evidenzia che l'ampiezza del potere di inibitoria riconosciuto al giudice di appello era diretto a rendere tollerabile il «giro di vite in chiave autoritaria», rappresentato dalla previsione della regola dell'esecutorietà ipso iure della sentenza appellabile. 40 Per la giurisprudenza cfr. Cass. 25 febbraio 2005, n. 4060, in Foro it., 2005, I, p. 2376 con nota di CEA; App. Palermo, 25 agosto 2008; App. Bari, 7 luglio 2004, in Foro It., 2005, 1, 241; App. Roma, 24 gennaio 2003, in Gius, 2003, 5, p. 613; App. Venezia, 3 marzo 2005 in Foro it. 2005, 5, p. 1640; App. Roma, 4 febbraio 2000, in Nuova giur. civ., 2001, I, p. 53 con nota di NEGRINI, La fondatezza dell'impugnazione come motivo di sospensione del lodo arbitrale; App. Venezia, 26 aprile 1996, in Arch. circolaz., 1998, p. 461 con nota di AGRIZZI, La sospensione della provvisoria esecuzione delle sentenze di primo grado nelle cause di risarcimento dei danni da responsabilità civile automobilistica ex lege 24 dicembre 1969 n. 990; App. Firenze, 19 gennaio 1996 in Corr. giur.,1996, p. 779, con nota di CONSOLO, L'inibitoria in appello nel (lungo) regime transitorio tra forme vecchie (art.351) e sostanza nuova (art. 283) e nel confronto col c.p.p.; contra App. Firenze, 23 aprile 1997, in Giur. it., 1998, p. 1408, a detta della quale i «gravi motivi» di cui all'art. 283 c.p.c. non atterrebbero né al probabile esito positivo dell'appello, né al pericolo che venga proposta l'esecuzione forzata (conseguenza, questa, derivante ex lege dalla provvisoria esecuzione della sentenza), ma dovrebbero consistere in un ulteriore effetto pregiudizievole che potrebbe derivare dall'attesa della pronuncia sull'appello. 41 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit, ibidem; Id., La riforma del processo civile., cit. ibidem. 42 Per una disamina v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit., ibidem. 114 Le nuove norme, innanzitutto, giusto il complicato gioco di scatole cinesi di cui all'art.2 comma 4 della legge 263/2005, come modificata, da ultimo, dall'art. 39 quater d.l. n. 273 del 30 dicembre 2005, convertito in legge n. 51 del 23 febbraio 2006, sono applicabili ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Entrando nel merito della riforma, con riferimento alla espressa previsione del requisito della fondatezza dei motivi, l'effettiva portata innovativa delle disposizioni è stata immediatamente messa in dubbio dai primi commentatori. È stato, al riguardo, giustamente evidenziato che l'espressione «gravi e fondati motivi» sia da considerare, in definitiva, poco più che un'endiade, atteso che un motivo infondato non può che essere privo di rilievo 43. È stato tuttavia osservato – sopratutto da chi sosteneva, anche anteriormente alla modifica, la tesi della necessaria compresenza di fumus e periculum - che la formulazione sincretistica introdotta con la novella, nel suo complesso, appaia «suscettibile di rendere più severa la delicata verifica devoluta in limine gravaminis al giudice di appello 44». In definitiva il legislatore avrebbe inteso non solo, in un certo qual modo, richiedere contestualmente sia la presenza del fumus che del periculum, ma anche, in una certa misura, rafforzarla, prevedendo un'ipotesi tipica di grave e fondato motivo, e segnatamente «la possibilità di insolvenza di una delle parti»45 . A seguire questa impostazione concettuale, evidentemente, anche la seconda novità introdotta dalla riforma (id est: l'espressa menzione della possibile decozione di una delle parti) non avrebbe una reale portata innovativa, ma avrebbe, appunto, un mero valore descrittivo (avrebbe, come 43 Cfr. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit., ibidem, il quale evidenzia giustamente come l'espressione «gravi e fondati motivi» sia da considerare un’endiade, atteso che un motivo infondato è sicuramente privo di rilievo; nel senso che la riforma non abbia una portata propriamente innovativa cfr. anche BALENA-BOVE, Le riforme più recenti., cit. ibidem. 44 CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile, cit. ibidem., il quale prosegue: «l'appello, cioè, deve essere serio e, per così dire, di outlook minaccioso e il pregiudizio non banale e/o normale». Cfr. anche FARINA, in BRIGUGLIOCAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, cit. ibidem. 45 BALENA - BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, cit. ibidem. 115 detto, esclusivamente individuato una ipotesi tipica di motivo grave e fondato46 per la concessione dell'inibitoria). Con riferimento al merito della locuzione adottata dal legislatore «anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti» – abbia essa o meno portata innovativa - è stato evidenziato che l'espressione «possibilità» deve essere letta in maniera ragionevolmente restrittiva, nel senso che deve sussistere la «concreta probabilità» di insolvenza della parte vittoriosa o di quella soccombente in primo grado, rispettivamente per l'ipotesi di conferma o riforma della sentenza impugnata 47. Altra dottrina ha segnalato come la previsione in questione vada logicamente riferita alle sole sentenze di condanna a contenuto pecuniario e non anche a quelle statuizioni di condanna non aventi tale contenuto 48 (per le quali una simile previsione sarebbe priva di significato). Maggior interesse – oltre che per la sua indiscutibile portata innovativa anche per i suoi possibili risvolti pratici - desta l'ulteriore innovazione introdotta con la novella, della possibilità di subordinare la concessione dell'inibitoria al pagamento di una cauzione. Sul punto è stato sostenuto che la cauzione potrebbe essere imposta esclusivamente alla parte che chiede e ottiene l'inibitoria, e mai alla controparte; con l'ulteriore conseguenza che la cauzione sarebbe stata, a ben vedere, prevista solo a garanzia del danno da ritardo nell'esecuzione (per il caso in cui l'inibitoria sia concessa) e non anche del diritto alle restituzioni ed agli eventuali danni da esecuzione ingiusta (per il caso in cui l'inibitoria sia negata)49. In conclusione pare che, anche a seguito dell'ultima novella dell'art. 283 c.p.c., il problema di maggiore rilievo per l'interprete sia quello di stabilire se 46 BALENA-BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, cit. ibidem. 47 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit, ibidem; ID., La riforma del processo civile, cit., ibidem. 48 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit. ibidem. 49 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., p.46 il quale evidenzia, oltretutto, che anche la dottrina formatasi sotto il previgente codice del 1865 (ove, all'art. 363 c.p.c., era prevista una cauzione), riteneva che essa potesse essere imposta solamene al creditore che intendesse procedere esecutivamente; ID., La riforma del processo civile, cit., ibidem.; ma contra CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile, cit. ibidem. 116 l'accoglimento dell'istanza di inibitoria debba essere subordinato all'accertamento del fumus e del periculum e della eventuale necessaria compresenza di entrambi. Sul punto non pare che le modifiche introdotte siano tali da considerare definitivamente superata la questione in favore della tesi monistica o della coesistenza dei due requisiti. Dal punto di vista semantico – linguistico (e il diritto è una creazione linguistica) la previgente espressione «gravi motivi» non avrebbe dovuto necessariamente essere ricondotta allo schema concettuale della coppia fumus boni iuris - periculum in mora (e, tanto meno, non nel senso di presupporre una loro necessaria coesistenza). Ma è, in ogni caso, ragionevole affermare che la fondatezza prima facie dell'appello non possa che avere rilevanza imprescindibile. Una volta consolidato e recepito, infatti, nel nostro ordinamento il principio della immediata esecutorietà della sentenza di primo grado, pare logico (oltre che socialmente accettabile) attribuire al giudice del gravame il potere di sospendere tale efficacia in caso di palese fondatezza dell'appello (si pensi all'ipotesi di manifesta erroneità della decisione di primo grado, ovvero alla sopravvenienza, nei limiti di cui all'art. 345 c.p.c., di nuovi mezzi di prova «indispensabili 50»); e ciò – si badi bene – anche in assenza di un concreto pregiudizio (diverso dal rischio di una esecuzione forzata) che potrebbe derivare alla parte soccombente. Per converso non sembra altrettanto ragionevole (né, considerati i tempi medi del giudizio di appello, socialmente accettabile) che si possa dare rilievo esclusivo o prevalente alla sola gravità del pregiudizio, sospendendo l'efficacia esecutiva di una sentenza di primo grado palesemente corretta, a fronte di un appello proposto a manifesti fini dilatori. Nell'esaminare, però, il diritto positivo, pare che con la novella del 2005 il legislatore – quali che fossero le sue intenzioni originarie – abbia finito con l'accentuare forse non del tutto consapevolmente, proprio la rilevanza al periculum in mora (in ciò, forse, prendendo atto di un orientamento giurisprudenziale, come visto, già esistente). 50 Sul punto, diffusamente, infra. 117 Al di là di questo limitato aspetto non pare che, a seguito del 2005, la situazione sia di fatto cambiata, né pare ragionevole supporre che le modifiche introdotte possano modificare sensibilmente il panorama giurisprudenziale formatosi sotto il previgente testo normativo. La prassi delle Corti d'Appello italiane, con l'esclusione di qualche isolata pronuncia51, si era già infatti già consolidata nel senso di valutare sia la fondatezza dell'appello, sia il pericolo derivante dall'eventuale esecuzione della sentenza, dando conto di tale valutazione comparativa nella motivazione del provvedimento. La dottrina, da parte sua, ha recentemente ribadito – alla luce delle ultime riforme – la concezione della necessaria compresenza, efficacemente descritta attraverso la metafora dei c.d. vasi comunicanti, secondo cui al crescere di uno dei due elementi l'altro potrebbe attenuarsi anche sensibilmente ma mai sparire del tutto 52. Maggiori prospettive evolutive, invece, sono desumibili – più che dalla novella in sé - dal coordinamento del nuovo (o vecchio) testo dell'art. 283 c.p.c. con il reinterpretato art. 345. È stato da più parti sottolineato che il giudizio prognostico sulla fondatezza dell'appello (e dunque sulla sussistenza del fumus) possa essere ancorato agli eventuali nuovi mezzi di prova introdotti nel giudizio di appello. In tal senso è stata proposta una rilettura della nozione di «indispensabilità» della prova di cui all'art. 345 c.p.c., proprio rispetto alla possibilità di concedere l'inibitoria ex art. 283 c.p.c.53. Il giudice del gravame dovrebbe concedere l'inibitoria se ritiene che, alla luce dei documenti prodotti, ovvero delle nuove prove richieste, sia altamente probabile un ribaltamento della decisione di primo grado. 51 App. Firenze, 23 aprile 1997, in Giur. it., 1998, p. 1408, cit. 52 CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile, cit. ibidem. 53 CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile, cit. ibidem. 118 IV.3. La sospensione disposta dal giudice che ha pronunciato la sentenza, in caso di ricorso per cassazione (art. 373 c.p.c.). L’art. 373 c.p.c., nel suo testo originario, precedente alle modifiche apportate dalla legge 14 luglio 1950 n. 581, prevedeva che la Corte di Cassazione, con ordinanza pronunciata in camera di consiglio su istanza di parte, sentito il pubblico ministero, avrebbe potuto sospendere l'esecuzione della sentenza soggetta a ricorso, quando dall'esecuzione stessa potesse derivare grave o irreparabile danno54. La sua struttura era, dunque, speculare a quella dell’art. 283 c.p.c., col potere di pronunciarsi sull’inibitoria attribuito al medesimo giudice dell’impugnazione, sia pure di legittimità. Tale previsione, inoltre, chiudeva il sistema dell’esecutorietà delle sentenze, come ipotizzata dal legislatore del 1940, e delle generale efficacia esecutiva delle sole sentenze di appello. Le differenze, invece, tra la fattispecie di cui all’art. 283 c.p.c. e quella di cui all’art. 373 citato attenevano (ed, in parte qua, attengono tuttora) ai presupposti. Si è già detto al paragrafo precedente che la locuzione «gravi e fondati motivi» prevista dall’art. 283 c.p.c. (analogamente alla previgente «gravi motivi») viene comunemente ricondotta alla coppia fumus boni iuris e periculum in mora. Nel caso della sospensione ex art. 373 c.p.c., invece, si richiede la sussistenza di un «grave e irreparabile danno». A tal riguardo la dottrina e la giurisprudenza qualificano, generalmente, il danno come «grave» qualora si verifichi una grande sproporzione tra il pregiudizio di chi subisce l’esecuzione e il beneficio di chi la ottiene, nella previsione di un possibile annullamento della sentenza55. Qualificano, invece, il requisito della irreparabilità quando, in caso di riforma della sentenza, 54 Per una disamina, cfr. JAEGER, Diritto processuale civile, Torino, 1944, p.518. 55 LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano 1999 p.428 s.; in giurisprudenza v. App. Torino 18 luglio 1995, in Giur. it. 1996, I, 2, p. 242, con nota di. VULLO, Considerazioni in tema di irreparabilità del danno ai fini della sospensione dell'esecuzione della sentenza d'appello, in Giur. it., 1996, I, 2, p. 242 ss. 119 sarebbe impossibile la riduzione in pristino della situazione anteriore, nonché un adeguato ristoro per equivalente 56. Contrariamente a quanto accade in caso di appello, dunque, il legislatore ha posto l'accento non solo e non tanto al fumus boni iuris (id est: alla fondatezza, prima facie, dell'opposizione), ma sopratutto alla gravità del pregiudizio che potrebbe derivare alla parte 57. Per quanto concerne il procedimento di sospensione si è già detto che la formulazione originaria è stata modificata in modo molto incisivo dalla legge 581/1950 58. La formulazione attuale prevede che l’istanza per la sospensione «dell’esecuzione» vada presentata al giudice che ha pronunciato la decisione impugnata. L’art. 131 bis disp. att. c.p.c., prevede che il giudice investito della questione «non può decidere» se l’interessato non provi di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza medesima. Non è, pertanto, sufficiente la mera notifica del ricorso, ma occorre che questo sia stato anche come vuole la legge - depositato. Tuttavia la formulazione della norma sembra tale da richiedere l’avvenuto deposito non come condizione di ammissibilità della domanda, ma come mera condizione dell’azione (recte: del subprocedimento cautelare), in una accezione, per così dire, chiovendiana: 56 FAZZALARI, Il giudizio civile di cassazione, Milano 1960, p. 115; LUISO, Diritto processuale civile, cit., ibidem. In giurisprudenza v. Trib. Caltanissetta 27 aprile 2004, in Foro it., 2005, I, p. 241; App. Torino 28 aprile 1995, in Giur. it. 1995, I, 2, p. 902; Trib. Sciacca 14 febbraio 1992. Per la dottrina più risalente, v. MICHELI, Corso di diritto processuale civile, vol. II, Milano, 1961, p. 307 ss., secondo cui ratio della norma sarebbe stata quella di «evitare al soccombente che ha impugnato per cassazione la sentenza stessa il danno derivante dalla esecuzione forzata di quest’ultima» in quanto «idonea a produrre conseguenze difficilmente eliminabili con la restituzione in pristino; la gravità del danno se ne va perciò commisurata tenendo conto anche della situazione soggettiva della parte, essa dipende dalla pratica impossibilità di elidere quelle conseguenze pregiudiziali pur con il ristoro dei danni». 57 La dottrina dominante e la giurisprudenza dominanti sembrano propendere nel senso che la valutazione del giudice debba dispiegarsi integralmente sul versante del periculum in mora cui è esposto il ricorrente, senza che possano acquisire rilevanza valutazioni afferenti al fumus dell'impugnazione proposta: v., per tutti, VULLO, Considerazioni in tema di irreparabilità del danno., cit., ibidem. In giur. App. Salerno, 21 luglio 2003, in Giur. it., 2004, p. 310. Contro siffatta impostazione si è, tuttavia, obiettato - probabilmente correttamente - che il requisito del fumus dovrebbe comunque sussistere, quanto meno come limite negativo, nel senso che il giudice non dovrebbe sospendere l'esecuzione della sentenza in presenza di un'opposizione palesemente pretestuosa: CONSOLO, E' sempre grave ed irreparabile - ex art. 373 c.p.c. - il danno conseguente al rilascio forzato di un immobile (o di un fondo) adibito ad attività di impresa?, in Giur. it., 1986, I, 2, p. 183. 58 Un’altra modifica, di portata - in proporzione - minore è stata introdotta con la legge 26 novembre 1990 n. 353. 120 essa, dunque, dovrebbe sussistere solo al momento della decisione, mentre non si richiede anche la sua esistenza al momento della domanda. Contrariamente alla sua formulazione originaria, inoltre, l’art. 373 non richiede più che l’istanza di sospensione debba essere contenuta nel ricorso per cassazione. Il che sembra abbastanza ovvio, tenuto conto che la Corte Suprema, come detto, non è il giudice dell’inibitoria. Di conseguenza non pare sia necessaria - ai fini dell’accoglibilità dell’istanza inibitoria - la sua menzione nel ricorso per cassazione (recte: la menzione nel ricorso dell’intenzione di proporre l’istanza davanti al giudice competente). Nel suo testo vigente la norma prevede che l’istanza vada proposta al conciliatore (oggi giudice di pace), al tribunale o alla corte d’appello. Per la verità la norma distingue tra «tribunale in composizione monocratica» e «presidente del collegio», ipotesi quest’ultima che può essere considerata riferibile sia all’ipotesi di istanza presentata al tribunale in composizione collegiale che alla corte d’appello (sempre in composizione collegiale). La procedura segue le regole di un rito camerale, con emissione, da parte del giudice anzidetto, di un decreto (da apporre in calce al ricorso) con il quale viene ordinata la comparizione delle parti davanti al giudice stesso (evidentemente per l’ipotesi che istanza sia stata proposta davanti al giudice di pace o davanti al tribunale in composizione monocratica) ovvero davanti al collegio (in caso di proposizione dell’istanza al presidente di un organo giudicante in composizione collegiale). Copia del ricorso e del decreto debbono, quindi, essere notificate al procuratore dell'altra parte, ovvero alla parte stessa, se questa sia stata in giudizio senza ministero di difensore o non si sia costituita nel giudizio definito con la sentenza impugnata. Con lo stesso decreto, in caso di eccezionale urgenza può essere disposta provvisoriamente l'immediata sospensione dell'esecuzione. Dal punto di vista dell’inquadramento dogmatico è lecito domandarsi se la presente fase costituisca un subprocedimento del giudizio in Cassazione (ancorché dinanzi ad un differente giudice), ovvero una prosecuzione del giudizio di merito definito, ovvero ancora un procedimento camerale tendenzialmente autonomo. 121 La questione ha una certa rilevanza sul piano pratico applicativo, con particolare riguardo al ministero del difensore, ed alla regolarità della costituzione in giudizio del procuratore privo di apposita procura e non ancora costituito in Cassazione, ma munito di mandato per la fase di merito (definita). Sebbene la prassi applicativa sembri avere risolto la questione in senso liberale, su un piano concettuale sembrerebbe più corretta la tesi rigorosa, nel senso che il difensore dovrebbe essere già costituito in Cassazione, o comunque essere munito di procura ad hoc. La fase della sospensione ex art. 373, infatti, sebbene si svolga davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata, attiene - probabilmente - la fase del ricorso per Cassazione. Ciò si deduce, innanzitutto, dalla lettera della norma: la disposizione stessa sottolinea il fatto che la precedente fase di merito è già definita (per la precisione, è stata già definita con la sentenza impugnata), sicché l’istanza di sospensione afferisce una fase ulteriore e dalla prima distinta. Sempre l’art. 373, inoltre, richiede l’avvenuto deposito del ricorso per Cassazione, ai fini della decisione, a conferma ulteriore che si tratta di una specifica subfase del procedimento di legittimità. Il fatto che il procedimento ex art. 373, comunque, afferisca la fase di legittimità, non comporta che siano ad essa applicabili le regole del procedimento in Cassazione, specialmente per quanto concerne il requisito dell’iscrizione all’albo dei difensori abilitati presso le giurisdizioni superiori e le specifiche regole sul mandato. Trattandosi, infatti, di fase davanti al giudice di merito, non pare ragionevole imporre né l’iscrizione del difensore all’albo dei cassazionisti ai sensi dell’art. 365 c.p.c., né l’esistenza di una apposita procura speciale (prescritta dalla stessa norma). Sarà, dunque, probabilmente valida ed efficace la procura generale, come pure il mandato conferito ad un avvocato iscritto all’albo ordinario. Analogamente potrà essere considerato efficace il mandato conferito, nelle fasi di merito, purché con locuzioni del tipo: «in ogni stato, fase e grado del presente giudizio». La soluzione opposta a quella sopra sostenuta - quella secondo cui sarebbe munito di poteri sempre e comunque anche il procuratore costituito nel procedimento «definito» - muove, del resto, da comprensibili ragioni di ordine pratico. Il carattere di urgenza del procedimento comporta che alla parte 122 resistente venga, spesso, assegnato un termine realmente breve per la «costituzione»; sicché potrebbe non essere per niente agevole per la parte «resistente» munirsi di una nuova procura (e delle eventuali autorizzazioni necessarie, per il caso che - ad esempio - la parte sia una curatela fallimentare). Essa va, pertanto, accolta comunque con favore, sebbene - si ripete - non appaia probabilmente ineccepibile sotto un profilo strettamente dogmatico. Per converso sarà sicuramente legittimato in giudizio il difensore già costituito nel giudizio in Cassazione, anche se non fosse stato costituito nel precedente grado di merito59. In alternativa al provvedimento di inibitoria, il giudice di pace, il tribunale o la corte territoriale potranno disporre che sia prestata «congrua cauzione». Anche siffatto provvedimento sarà sempre subordinato all’esistenza del grave e irreparabile danno, stando almeno all’esegesi letterale della norma. Autorevole dottrina, tuttavia, ha efficacemente osservato che la previsione di una cauzione ha una logica solo se il suo incameramento dalla parte vittoriosa ha la potenzialità di eliminare i danni subiti dalla prosecuzione dell’esecuzione stessa 60 . Il giudice, dunque, può concedere la cauzione solo se il danno è eliminabile attraverso il pagamento di una somma di denaro, e, dunque, non in caso di «irreparabilità», in senso stretto. Il provvedimento che decide sul ricorso, come si vedrà nel capitolo a ciò dedicato, è considerato dalla legge non impugnabile. Deve, pertanto, escludersi l’applicabilità del reclamo. Trattandosi, inoltre, di provvedimento di natura ordinatoria che non contiene alcuna decisione in senso tecnico, viene considerato inammissibile, avverso la statuizione che concede o nega la sospensione, anche il ricorso, ex art. 111 Cost. 61. 59 Cfr. App. Lecce, 16 marzo 1996, in Arch. civ., 1997, p. 297 ss., secondo cui il difensore è abilitato a richiedere la sospensione dell'esecuzione al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata in forza della medesima procura a lui rilasciata per la proposizione del ricorso in cassazione. 60 MICHELI, Corso di diritto processuale civile, cit., ibidem. 61 Cass. sez. un. 18 giugno 2008, n. 16537. 123 È controverso se il giudice che pronunzia sulla sospensione debba o possa provvedere anche sulle spese, ovvero se su di essa debba provvedere la Cassazione, con la sentenza 62. La norma, infine, menziona esclusivamente la sospensione dell’esecuzione e non anche quella dell’efficacia esecutiva del titolo, sebbene venga frequentemente adoperata anche per prevenire un’esecuzione non iniziata, e dunque come vera e propria inibitoria, nel senso indicato nei precedenti paragrafi63 . IV.4. La sospensione disposta dal giudice che ha pronunciato la sentenza, nelle ipotesi di revocazione e opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (art. 401 e 407 c.p.c.). Gli artt. 401 e 407 c.p.c. disciplinano le ipotesi di «sospensione dell’esecuzione» rispettivamente nella revocazione e nell’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. Ambedue le norme fanno rinvio al provvedimento di cui all’art. 373 c.p.c. ed al procedimento in camera di consiglio stabilito per la sospensione dell’esecuzione concessa in caso ricorso per cassazione. Si è già detto che la norma di cui all’art. 373 c.p.c. prevedeva, nel suo testo originario, che il provvedimento di sospensione fosse emesso dalla stessa Corte di Cassazione Cassazione, con ordinanza da emettersi in camera di consiglio su istanza di parte, sentito il pubblico ministero, quando dall'esecuzione stessa potesse derivare grave o irreparabile danno. 62 Nel senso che le spese relative al procedimento di sospensione debbono essere liquidate dalla Corte di Cassazione insieme con quelle del giudizio di legittimità v. Cass. 31 agosto 2005 n. 17584; contra Cass. 29 settembre 2005 n. 19138. In caso di accoglimento del ricorso, in ogni caso, la liquidazione anche delle spese del subprocedimento cautelare ricade nell’applicazione dell’art. 385 c.p.c., con conseguente facoltà per la Corte di Cassazione di demandare (anche) la relativa statuizione al giudice del rinvio (Cass. 2 aprile 1999 n. 3161). Secondo Cass. 11 febbraio 2009, n. 3341, infine, salvo il menzionato caso dell’art. 385 c.p.c., la liquidazione delle spese può essere chiesta anche alla Corte di cassazione. Tuttavia, «affinché sia rispettato il principio del contraddittorio, tale richiesta è esaminabile a condizione che l'interessato produca, nei termini di cui all'art. 372, secondo comma, cod. proc. civ., una specifica e documentata istanza, comprensiva dei relativi atti, in modo da offrire alla controparte la possibilità di interloquire sul punto». 63 Per la tesi favorevole v. VULLO, Considerazioni in tema di irreparabilità del danno., cit., ibidem; nello stesso senso, in giur., v. App. Salerno, 21 luglio 2003, in Giur. it., 2004, p. 310. 124 La previsione originaria degli artt. 401 e 407 rinviava, dunque, ai requisiti ed alla procedura prevista per il provvedimento emesso dal giudice di legittimità (originariamente competente), con esclusione della necessità di sentire il pubblico ministero. Tale esclusione, probabilmente, doveva ritenersi operante anche qualora nel procedimento definito in fase di merito fosse prescritto l’intervento del P.M. medesimo, stante l’inequivoco tenore letterale della norma. La legge 14 luglio 1950 n. 581, come si è visto, ristrutturò integralmente il procedimento di sospensione ex art. 373 c.p.c., attribuendo - tra l’altro - la competenza al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in sede di legittimità. Le previsioni di cui agli artt. 401 e 407 c.p.c. non furono, tuttavia, ritoccate dalla medesima legge. È noto, al riguardo, che l’art. 52 della legge 581/1950 previde una generale delega al Governo «ad emanare, non oltre quattro mesi dalla pubblicazione della presente legge, le disposizioni complementari aventi carattere transitorio o d'attuazione, e quelle di coordinamento della legge medesima col Codice di procedura civile e con le altre leggi». Tale provvedimento delegato fu emanato con D.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857, rubricato «Disposizioni di coordinamento e di attuazione della legge 14 luglio 1950, n.581, che ratifica il decreto legislativo 5 maggio 1948 n. 483, contenente modificazioni e aggiunte al codice di procedura civile e disposizioni transitorie», pubblicato in Gazzetta Ufficiale 2 novembre 1950, n. 252, Supplemento Ordinario. Visti i limiti contenuti nella legge di delega si provvide ad un aggiustamento solo formale, eliminando il riferimento al pubblico ministero, divenuto privo di significato, giusta la nuova attribuzione della competenza al giudice del provvedimento impugnato. Il testo, dunque, di ambedue le disposizioni è rimasto, pertanto, immutato. Il giudice della revocazione e/o dell'opposizione di terzo potrà pronunciare l'ordinanza di inibitoria prevista dall'art. 373 c.p.c., e la relativa istanza verrà trattata «con lo stesso procedimento in camera di consiglio ivi stabilito». Ciò sta a significare che, sia nell'opposizione di terzo che nella revocazione, per quanto concerne i presupposti della sospensione, dovrà aversi riguardo ai risultati dell'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale a proposito dell'art. 125 373 c.p.c., fermo restando che – contrariamente a quanto accade in caso di ricorso per cassazione – competente a decidere l'inibitoria sarà il giudice dell'opposizione o della revocazione stesse e non quello della sentenza impugnata (il che, a ben vedere, costituisce, oggi, una differenza solo apparente, ove si consideri che l'opposizione di terzo e la revocazione si propongono dinnanzi al medesimo giudice che ha pronunciato la sentenza). Ai sensi del combinato disposto – dunque – degli artt. 373 e 404 c.p.c. la sentenza opposta può essere sospesa quando vi sia istanza di parte e «dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno». Analogamente alla sospensione in caso di ricorso per Cassazione, e contrariamente a quanto accade in caso di appello, dunque, il legislatore ha posto l'accento non solo e non tanto al fumus bonis iuris, ma sopratutto alla gravità del pregiudizio che potrebbe derivare al terzo opponente. Si rinvia, sul punto a quanto detto supra a proposito della fattispecie di cui all’art. 373 c.p.c. Al medesimo paragrafo - ed alla trattazione ivi contenuta - si rinvia anche per le regole procedurali. IV.5. La sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo (art. 649). Ai sensi dell’art. 649 c.p.c. il giudice istruttore, su istanza dell'opponente, quando ricorrono gravi motivi, può, con ordinanza non impugnabile, sospendere l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo concessa a norma dell'art. 642 c.p.c. La norma, è stato evidenziato 64, è parallela e contraria a quella contenuta nell’art. 648, che disciplina - come noto - le ipotesi di provvisoria esecuzione del decreto, concessa in sede di opposizione. Il rinvio all’intero disposto dell’art. 642 c.p.c. comporta, innanzitutto, che la sospensione de qua è applicabile sia ai casi di esecuzione provvisoria necessaria (i.e., le ipotesi di credito fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto da 64 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., p. 337 ss. 126 notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato)65 , che alle ipotesi di sospensione discrezionale, per il caso di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se di documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere. Essa postula, inoltre, la sussistenza di «gravi motivi», analogamente alla previgente locuzione dell’art. 283 c.p.c., per il caso di inibitoria in appello. Sebbene, come è stato correttamente osservato, sia rischioso cercare un’analogia tra opposizione a decreto ingiuntivo ed appello (atteso che, a tacer d’altro, la prima non è un mezzo di impugnazione 66), è innegabile che la locuzione adoperata sia identica. Del resto sia nella sospensione in caso d’appello che di opposizione vi è un riesame, lato sensu, del titolo, che si trova - sia pure con le dovute differenze - sub iudice. Sicché è ragionevole adoperare le categorie concettuali e le soluzioni accolte per l’inibitoria in appello anche per la sospensione ex art. 649 c.p.c.67 Si è già detto, allora, a proposito dell’appello, che la nuova formula dell’inibitoria, «gravi e fondati motivi», non ha - probabilmente - contenuto realmente innovativo; sicché non sembra che sussistano significative differenze tra le due ipotesi di sospensione, anche avuto riguardo al testo dell’art. 283 c.p.c. oggi vigente. Anche nel caso dell’art. 649 c.p.c, la valutazione del giudice dovrà riguardare l’eventuale sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora; ed anche qui potrà farsi riferimento alla teoria dei c.d. vasi comunicanti (e, dunque, della necessaria compresenza di ambedue i requisiti, fermo restando che se l’uno assume rilievo predominante, 65 Si osserva che, sul punto, l’art. 642 non è stato ben coordinato con la modifica dell’art. 474 c.p.c., ad opera delle novelle 2005-2006. Ed invero, ratio delle ipotesi di provvisoria esecuzione «necessaria» del decreto era che, nei predetti casi, il creditore era già in possesso di un titolo esecutivo, sicché non aveva alcun senso subordinare l’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo all’esercizio di un potere valutativo discrezionale del giudice. In questo stato di cose, l’inserimento, tra i titoli esecutivi, delle scritture private autenticate avrebbe probabilmente reso opportuno modificare anche l’art. 642, prevedendo - tra le ipotesi nelle quali il giudice deve concedere la provvisoria esecuzione - anche quella di credito portato da scrittura privata autenticata. È noto, invece, che la riforma del 2005 si è limitata a prevedere che il giudice «può» concedere la provvisoria esecuzione, se il credito risulti da scrittura privata (anche non autenticata), comprovante il credito. Il difetto di coordinamento è da imputare, probabilmente, all’iter particolarmente travagliato dell’art. 474. 66 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., p. 337 ss. 67 Le quali, oltretutto - la coppia fumus boni iuris e periculum in mora - non sono certo caratteristiche ed esclusive delle impugnazioni, ricorrendo in numerosi istituti del diritto processuale (si pensi ai procedimenti cautelari). 127 l’altro può ridursi anche sensibilmente, fermo restando che non potrà mai svanire del tutto68). Analogamente a quanto sostenuto a proposito delle inibitorie nelle impugnazioni in senso stretto, riteniamo che, anche nella fattispecie, debba avere un ruolo determinante la valutazione sulla sussistenza del fumus, i.e. sulla fondatezza, prima facie, dell’opposizione. La dottrina e la giurisprudenza, in talune occasioni, hanno tentato una distinzione tra sospensione dell’esecuzione provvisoria e sua revoca. Ricorrerebbe, in particolare, la prima nell’ipotesi tipica, di provvisoria esecuzione legittimamente concessa, ma di sussistenza di gravi motivi per la sua sospensione. Si avrebbe, invece, la seconda ipotesi ogniqualvolta la provvisoria esecuzione fosse stata concessa illegittimamente, al di fuori delle ipotesi previste dalla norma. In tale seconda ipotesi - si afferma - la revoca avrebbe efficacia retroattiva, sicché comporterebbe la caducazione, con efficacia retroattiva, dell’esecuzione eventualmente intrapresa, come pure dell’eventuale iscrizione di ipoteca giudiziale69. La tesi in questione trova, probabilmente, una sua giustificazione sociale nelle gravi lacune di tutela - sopra descritte70 - per quanto concerne la posizione del debitore. Come si è detto, la semplice sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo non sarà idonea, secondo l’opinione prevalente, a rimuovere gli effetti di una esecuzione, anche se iniziata in forza di un decreto ingiuntivo palesemente eccentrico 71. Il meccanismo della sospensione, tuttavia, comporta che, sebbene tale eccentricità sia stata evidenziata anche dal giudice dell’opposizione - che ha sospeso immediatamente l’efficacia esecutiva del decreto - tale provvedimento di sospensione è pressoché inutile, dal momento che non priva di efficacia gli atti esecutivi già compiuti (e.g., il saldo del conto resta pignorato, il datore di lavoro, salvo per quanto si è detto 68 Cfr. supra, par. IV.2. 69 Trib. Vercelli, 17 marzo 1993 in Foro it., I, p.1225; contra MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., ibidem. 70 V. par. IV.1. 71 Nel codice attuale manca una norma analoga a quella degli artt. 688 del Progetto Carnelutti e 671 Sottocommissione C, che consentivano al giudice che disponeva la sospensione di ordinare la revoca di «atti esecutivi già compiuti» . Si rinvia, per la disamina, al par. I.7 ed al par. IV.1. 128 supra, dovrà continuare ad operare le trattenute, etc.). La «revoca» dell’efficacia esecutiva del decreto costituisce, probabilmente, un tentativo di porre rimedio a talune concrete palesi ingiustizie sostanziali, ed evitare le conseguenze distorsive sopra descritte. Come è stato, tuttavia, efficacemente osservato, si tratta di una soluzione, comunque, contra legem, che non pare autorizzata dal diritto positivo72. Anche sotto il profilo del bilanciamento di interessi, inoltre, non pare opportuno ipertutelare il debitore a danno di un creditore che, comunque, ha ottenuto un titolo esecutivo (sia pure ad efficacia sospesa). La revoca della provvisoria esecuzione avrebbe, nei confronti del secondo, conseguenze disastrose, probabilmente irrimediabili, qualora il giudice dell’opposizione, decidendo nel merito, confermasse in tutto o in parte il decreto ingiuntivo 73. Un’ultima considerazione merita la circostanza che la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo non sembra comportare, per ciò solo, il venir meno dell’efficacia esecutiva del documento sulla base del quale il decreto è stato emesso. Se il decreto ingiuntivo, in altri termini, è stato emesso in forza di un atto pubblico, o di una scrittura privata autenticata, giusta il novellato testo dell’art. 474 c.p.c., anche dopo la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto il creditore potrà sempre procedere ad esecuzione forzata in virtù del titolo stragiudiziale stesso. Il debitore, in tal caso, non avrà altra scelta che proporre anche opposizione a precetto o all’esecuzione, avverso il titolo stragiudiziale. Il mancato coordinamento dell’art. 474 con l’art. 642, cui si è fatto cenno supra, comporta, anzi, una curiosa contraddizione: il creditore in forza di scrittura privata autenticata avrà già un titolo esecutivo, per procedere a pignoramento. Tuttavia, se richiede un decreto ingiuntivo sulla base di tale scrittura, la provvisoria esecuzione del decreto sarà solamente eventuale, ed il creditore potrà dover attendere che il decreto medesimo divenga definitivo. 72 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., ibidem. 73 Si pensi alla cancellazione delle ipoteche, alla caducazione degli effetti del pignoramento e della sua eventuale trascrizione. Per una disamina v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., ibidem. 129 IV.6. La sospensione dell'ordinanza di convalida di licenza o di sfratto (art. 668); L’art. 668 c.p.c. disciplina il caso di opposizione allo sfratto, dopo la convalida 74. Prevede, come noto, che se l'intimazione di licenza o di sfratto è stata convalidata in assenza dell'intimato, questi può farvi opposizione provando di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore, ovvero di averne avuto conoscenza, ma di non essere potuto comparire all’udienza, sempre per caso fortuito o forza maggiore75. L’opposizione va proposta entro dieci giorni dall’esecuzione 76 segue le forme dell’opposizione a decreto ingiuntivo 77 e - per espressa previsione di legge - non sospende il processo esecutivo; tuttavia il giudice, con ordinanza non impugnabile, può disporne la sospensione per gravi motivi, imponendo, quando lo ritiene opportuno, una cauzione all'opponente. 74 Si discute in dottrina e in giurisprudenza se il rimedio in questione abbia o meno natura di mezzo di impugnazione. In senso affermativo v. Cass. 29 ottobre 2001 n. 13419 in Foro it., 2002, I, p. 1467, ed in dottrina, per tutti, MONTESANO-ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Le tutele sommarie, III, 1, Padova 2005, p. 333; TRIFONE-CARRATO, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 2003, p. 354; TRISORIO LIUZZI, I procedimenti sommari e speciali. Procedimenti sommari, Torino, 2005, p. 751. In senso contrario - nel senso, cioè che si tratti di opposizione vera e propria, v. ANSELMI BLAAS, Il procedimento per convalida di licenza o sfratto, Milano, 1966, p. 260; GIUDICEANDREA, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 1956, p. 380, e in giur. Trib. Napoli 20 gennaio 1986; Cass. 3 marzo 1995 n. 1327; LAZZARO-PREDEN-VARRONE, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1978, p. 294. A noi pare preferibile la tesi che inquadra l’istituto in esame - coerentemente con la scelta linguistica voluta dal legislatore - come una opposizione in senso stretto, più che una vera impugnazione. Si tratta, infatti, di un rimedio diretto ad aprire una fase a contraddittorio pieno, per opporsi ad una statuizione (i.e.: l’ordinanza che ha convalidato lo sfatto) che era stata emessa, invece, in una fase che, sia pure per un motivo contingente ed eccezionale, ne è stata priva. Si rinvia, sul concetto o sui concetti di opposizioni, a RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce la procedura prefallimentare, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 124 ss. V. anche le considerazioni che verrano svolte infra al capitolo sulle opposizioni. 75 Corte cost., 18 maggio 1972 n. 89. 76 Locuzione da intendersi, secondo la giurisprudenza, non come riferita alla chiusura dell’esecuzione, ma al suo inizio, ravvisato nel primo accesso dell’ufficiale giudiziario, «comportando esso la conoscenza dell’ordinanza di convalida esecutiva»: Cass. sez. un. 3 aprile 1989 n. 1610; contra, però, Cass. 5 marzo 1984 n. 1527. 77 Ma, giusta il disposto dell’art. 447 bis c.p.c., seguirà il rito locatizio. 130 Anche con riferimento a siffatta ipotesi si rinvia alla nozione di gravi motivi, di cui si è discusso a proposito della sospensione dell’efficacia esecutiva disposta in sede di opposizione a decreto ingiuntivo. Si evidenzia, in questa ipotesi, che, per espressa previsione di legge, la cauzione potrà essere imposta solamente all’opponente; e dunque - riteniamo - essa potrà essere imposta solamente per il caso in cui la sospensione venga concessa, e non, nell’ipotesi contraria, in cui essa venga rigettata. Il che, tutto sommato, appare abbastanza ragionevole, tenuto conto che l’esecuzione dello sfratto, contrariamente alla sua sospensione, avrebbe effetti tendenzialmente irrimediabili e definitivi. Il provvedimento di sospensione, per espressa previsione di legge, è inimpugnabile. IV.7. La sospensione dell'esecuzione del lodo in pendenza dell'impugnazione di nullità (art. 830). L’art. 830 c.p.c., come modificato dall'art. 22 della legge 5 gennaio 1994, n. 25 e, successivamente, sostituito dall'art. 24, comma 1 del d. lgs.2 febbraio 2006, n. 40, prevede che, in caso di impugnazione del lodo, per nullità davanti alla corte di appello, questa «Su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell'impugnazione», può sospendere con ordinanza l'efficacia del lodo, quando ricorrono gravi motivi. Per quanto concerne i presupposti dei gravi motivi, si rinvia alla trattazione dell’inibitoria in caso di appello, disciplinata dall’art. 283 c.p.c. Si è già detto, infatti, che la sostituzione della originaria locuzione «gravi motivi» in «gravi e fondati motivi», non pare avere avuto reale portata innovativa. Anche in questo caso, dunque, potrà farsi riferimento al fumus boni iuris, inteso come fondatezza, prima facie, dell’impugnazione, e dal periculum in mora, inteso come pregiudizio che deriverebbe alla parte istante dalla esecuzione o dalla inesecuzione del lodo. A differenza che in materia di appello, tuttavia, la legge precisa espressamente che l’istanza inibitoria può essere proposta anche successivamente all’impugnazione, e non necessariamente in uno con l’impugnazione. Si tratta, nel complesso, di una previsione ragionevole, che dovrebbe essere estesa a tutte le inibitorie. I gravi motivi, per vero sopratutto 131 con riguardo al periculum, potrebbero non sussistere al momento della proposizione dell’impugnazione, ma sopraggiungere nei non brevi tempi di definizione del giudizio. IV.8. La sospensione dell'esecuzione nei giudizi cambiari di cognizione o di opposizione a precetto di pagamento di cambiale (art. 65 R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669), di assegno (art. 56 R.D.L. 21 dicembre 1933, n. 1736) e di certificato di credito (art. 44 e 45 R.D. n. 272/1913). Analogamente alle altre opposizioni proposte avvero un titolo stragiudiziale, l’opposizione a precetto cambiario e su assegno o integrano ipotesi di «opposizioni di merito», che possono essere proposte per qualsiasi vizio, compreso di formazione del titolo esecutivo78. Esse sono disciplinate, in parte, dagli artt. 64 e 65 del r.d. 14 dicembre 1933 n. 1669 e dall’art. 56 del r.d.l. 21 dicembre 1933 n. 1736. Le regole sull’opposizione a precetto cambiario o su assegno trovano applicazione anche all’impugnazione del certificato di credito di cui agli artt. 44 e 45 del r.d. n. 272 del 1913 da parte del Comitato degli agenti di cambio. In tutte queste opposizioni il convenuto-opposto, che mantiene la posizione sostanziale di creditore procedente, può proporre ogni eccezione diretta a rimuovere gli ostacoli frapposti alla realizzazione del suo credito, chiedere, in via riconvenzionale, la condanna del debitore per un titolo diverso da quello fatto valere, se del caso anche invocando il credito derivante dal rapporto extracartolare sottostante 79. Nel caso specifico del precetto cambiario, l’art. 64 della legge cambiaria (r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669) prevede che l’opposizione al precetto non sospende l’esecuzione. Tuttavia il giudice dell’opposizione, su ricorso dell’opponente che disconosca la propria firma o la rappresentanza, oppure adduca «gravi e fondati motivi», disponga la sospensione in tutto o in parte degli atti esecutivi, imponendo idonea cauzione. Il successivo art. 65, nel regolare i giudizi cambiari tanto di cognizione quanto di opposizione al precetto, oltre a limitare le eccezioni opponibili, e a 78 ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., Vol.II, cit., ibidem. 79 ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem. 132 prevedere che, se queste siano di lunga indagine, il giudice deve emettere sentenza provvisoria di condanna con cauzione o senza, stabilisce che il giudice dell’opposizione all’esecuzione può disporre la sospensione dell’esecuzione stessa imponendo, se lo ritenga opportuno, idonea cauzione, e può confermare o revocare la sospensione già concessa ex art. 64. Si tratta di un regime peculiare, che trova - originariamente - fondamento nella natura cartolare del titolo di credito, e nella sua astrattezza e materialità. Tuttavia, è stato osservato, esso non appariva coordinato con le regole del codice di rito civile. Ed invero gli artt. 64 e 65 citati (come pure gli artt. 56 e 57 della legge sull’assegno bancario) prevedono la possibilità per il giudice dell'opposizione a precetto di sospendere in tutto o in parte gli atti esecutivi. Più in generale le norme in questione paiono attribuire al precetto lo status di primo atto dell'esecuzione forzata, e non di mero atto prodromico ad essa. Conseguentemente, all’indomani dell’entrata in vigore del codice di rito, taluni commentatori conclusero che le norme anzidette delle leggi speciali, erano da considerare tacitamente abrogate80. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti, comunque, avevano sempre ritenuto che le norme in questione fossero rimaste in vigore; sicché il giudice dell’opposizione a precetto avrebbe potuto inibire l’inizio dell’esecuzione forzata81 . Anche chi negava, dunque, che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo potesse essere concessa in seguito ad opposizione a precetto, prendeva atto delle deroghe previste dalle norme speciali in esame. In particolare, chi negava la possibilità per il giudice dell’opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c. di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, evidenziava la forte distonia creata nel sistema dalle norme sul precetto cambiario. L’opposizione a precetto cambiario, infatti, anche a seguito dell’entrata in vigore del codice del 1940, sospendeva l’esecuzione. La questione ha, comunque, perduto importanza, stante il generale potere espressamente concesso, oggi, al giudice dell’opposizione a precetto di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo. 80 ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3° ediz., Napoli, 1957,vol. III, p. 382. 81 In giurisprudenza, v. Cass. 19 ottobre 1986 n. 5495; Cass. 18 settembre 1980 n. 5299. In dottrina v. VACCARELLA, Opposizioni all'esecuzione, in Enc. giur. Treccani, vol. XXI, Roma, 1990, p. 282. 133 Un ulteriore problema di coordinamento tra le norme speciali e quelle codicistiche era sorto con riguardo all'art. 64 l. camb., nella parte in cui individua quali giudici dell'opposizione a precetto, soltanto il pretore o il presidente. Ci si era domandati, allora, se l’opposizione a precetto in parola avesse potuto essere proposta davanti al giudice di pace, ovvero se le norme speciali andassero intese come deroga alla competenza per valore dei giudici di pace82. IV.9. La sospensione dell'esecuzione in caso di opposizione a precetto ex art. 615 comma primo c.p.c. Si è già detto che l’art. 623 c.p.c. distingue tre grandi macrocategorie di sospensioni dell’esecuzione. La prima categoria, corrispondente all’ipotesi ordinaria, comprende le sospensioni disposte dal giudice dell’esecuzione. Le altre due categorie riguardano, rispettivamente, le sospensioni disposte dal giudice davanti al quale il titolo è impugnato e le sospensioni diverse, previste, cioè, da svariate disposizioni, codicistiche ed extracodicistiche. Si è altresì detto che la nozione di giudice dell’impugnazione, nell’architettura dell’art. 623 citato, deve essere intesa in senso lato: non ad una nozione di gravame in senso proprio fa riferimento la legge, ma ad un concetto ampio ed atecnico. Per «giudice dell’impugnazione» deve, in particolare, intendersi quell’organo giurisdizionale, diverso dal giudice dell’esecuzione, davanti al quale il titolo è comunque rimesso in discussione: o per mezzo di una impugnazione in senso stretto o attraverso una opposizione; attraverso un rimedio diretto, dunque, ad aprire una fase a contraddittorio pieno in un procedimento che fino ad allora ne è stato privo83. Seguendo questa impostazione, rientra nella categoria delle sospensioni disposte dal giudice dell’impugnazione anche la sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto. Questa è una sospensione disposta dal giudice «dell’impugnazione», per come si è detto: da un giudice, in 82 Nel senso della competenza del giudice di pace, v. Pret. Taranto 26 giugno 1995, in Giur. it., 1997, I, 2, p.388 ss., con nota di SPADA. Per una disamina v. ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, cit., ibidem. 83 Per questa ricostruzione dell’istituto dell’ «opposizione» - o «delle opposizioni» si rinvia a quanto dedotto al capitolo III, par. III.2. 134 particolare, che non è quello dell’esecuzione, ma dinanzi al quale il titolo è impugnato. Con ciò, naturalmente, non si vogliono negare le forti affinità teoriche, strutturali tra la sospensione in parola e quella disposta dal giudice dell’esecuzione, nel caso di opposizione ex art. 615 comma secondo c.p.c. Né, per come si vedrà, si vuole necessariamente negare una certa identità di disciplina tra le due sospensioni. La questione che si pone - salvo quanto riguarda gli aspetti applicativi di cui si dirà - rileva su un piano eminentemente teorico e concettuale. Tanto premesso, una delle (poche) novità delle riforme del 2005-2006, ad avere ricevuto un giudizio quasi unanimemente favorevole della dottrina84, è la modifica dell’art. 615 comma primo c.p.c. Nel testo novellato la norma in questione prevede espressamente che, in caso di opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c., il giudice può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo «concorrendo gravi motivi». La configurabilità, sulla base del dato normativo, di una simile sospensione, prima della novella, pur essendo generalmente respinta dalla giurisprudenza 85 e dalla dottrina prevalenti86 , era stata affermata in più occasioni. In particolare era stato osservato che l’art. 623 c.p.c. attribuiva un generale potere di sospensione al giudice davanti al quale il titolo era «impugnato» (nel senso sopra indicato), dunque anche al giudice dell’opposizione a precetto. A tale argomento di carattere sistematico se ne aggiungeva, inoltre, uno di carattere storico. Come si è visto supra al par. I.2., il codice Pisanelli prevedeva espressamente, all’art. 660, la possibilità che, in caso di opposizione a precetto immobiliare, l’efficacia esecutiva del titolo potesse essere sospesa. Orbene, se il legislatore del 1940 avesse voluto realmente eliminare dal sistema processuale tale facoltà lo avrebbe fatto in modo esplicito, rivendicando l’innovazione, o comunque dandone quantomeno atto nella relazione. Ritenere il contrario avrebbe voluto dire ritenere che il legislatore avesse addirittura «soppresso la sospensione prevista dal codice del 1865 per 84 Per una disamina cfr. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata., cit., p. 1660 ss. 85 Ex plurimis, Cass. 8 febbraio 2000 n. 1372; Cass. 9 novembre 1973 n. 2496. 86 ALLORIO, Sospensione dell’esecuzione per consegna o rilascio, in Giur. it., 1946, I, p. 111; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile., cit.,vol. III, p. 381. 135 l’opposizione a precetto, e ciò senza una esplicita manifestazione di tale volontà» 87. Vi era, poi, la distonia del sistema - qualora si fosse accolta la tesi della non concedibilità - della sospensibilità ex lege in caso di opposizione a precetto cambiario 88; con conseguente la eccentricità di un sistema che consentiva la sospensione dell’efficacia esecutiva esclusivamente per quei titoli che - essendo regolati dai principi della cartolarità e dell’astrattezza avrebbero dovuto essere disciplinati in modo più rigoroso. La richiamata argomentazione dottrinaria, tuttavia, non aveva trovato il favore della giurisprudenza, sicché la tesi della inammissibilità si era consolidata fino a divenire, sostanzialmente, ius receptum. Va ancora ricordato che tale assetto ermeneutico aveva retto alle reiterate rimessioni alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 615, fondate sul vuoto di tutela che si veniva a creare, con lesione del diritto costituzionale alla difesa. La Consulta, tuttavia, non si era mai pronunciata sul "merito" delle questioni, ritenendole esorbitanti dai limiti del sindacato di legittimità costituzionale, ma correlate a scelte discrezionali del legislatore (come tali incensurabili)89 . Va aggiunto che la prassi giudiziaria maturata in oltre sessant’anni di vita del codice aveva risolto almeno in parte i problemi applicativi. In primo luogo veniva adottata la soluzione della doppia opposizione (al precetto, immediatamente dopo la sua notifica, ed all'esecuzione, successivamente al suo inizio) e della successiva riunione dei due processi. Sotto altro profilo la giurisprudenza aveva tentato di colmare il «vuoto normativo» (reale o apparente che fosse) attraverso il ricorso alla tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. Attraverso un provvedimento di urgenza, in 87 SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p. 876 ss.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1966, p. 500 ss. Cfr. anche MONTELEONE, Diritto processuale civile, III ed., Padova, 2004, p. 1077 ss.; REDENTI, Diritto processuale civile, vol. III, Milano, 1957, p. 315 ss. 88 Affrontata nei paragrafi precedenti. 89 Corte cost. 19 marzo 1996, n. 81. 136 particolare, il giudice avrebbe potuto inibire l’attivazione dell’esecuzione forzata90. Si osservi che un tale meccanismo aveva comportato complicazioni eccessive, specialmente nelle ipotesi in cui l'organo giurisdizionale competente a conoscere l'opposizione a precetto (in ipotesi, anche il giudice di pace) fosse differente da quello dell'esecuzione. In questi casi, infatti, il meccanismo applicabile sarebbe stato quello della connessione (ovvero, secondo alcuni, della sospensione). Inoltre detta prassi risultava poco funzionale, stante la necessità di dovere attendere l’inizio dell’esecuzione forzata, per ottenere un provvedimento cautelare. Il che, specialmente nelle esecuzioni in forma specifica, riduceva di molto l’utilità della tutela. In definitiva, l’avere negato la tutela inibitoria in sede di opposizione a precetto, costringeva le parti a complicare inutilmente la fattispecie processuale, generando due cause - di opposizione a precetto ed all’esecuzione - oltre ad un eventuale subprocedimento ex art. 700 c.p.c. laddove ve ne sarebbe potuta essere una sola. La necessità di una modifica normativa, dunque, nel senso di prevedere espressamente la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo nell’ipotesi di opposizione ex art. 615 comma primo c.p.c. era, dunque, quantomai avvertita. La problematica, comunque, salvo per quanto riguarda taluni aspetti specifici, appare superata dalla nuova formulazione dell’art. 615 comma primo c.p.c. Oggi, come detto, il giudice dell’opposizione a precetto può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo; sicché è venuta meno la premessa maggiore, sulla quale si fondava il complicato meccanismo processuale sopra delineato. È certo che, innanzitutto, oggi non esiste alcun vuoto di tutela, sicché il ricorso alla tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. deve, pertanto, ritenersi tendenzialmente inammissibile. 90 Cass. 8 febbraio 2000, n. 1372; Cass. 23 febbraio 2000, n. 2051; Cass. 19 luglio 2005, n. 15220; Cass. 18 aprile 2001, n. 5683 e n. 5674; Cass. 22 marzo 2001, n. 4107. Per la giurisprudenza di merito Trib. Mantova, 26 febbraio 2005, in Giur. merito, 2006, p. 316, n. GIORDANO; Trib. Roma 21 gennaio 2003. Contra, però, per quanto concerne l’esecuzione fondata su decreto ingiuntivo, Trib. Verona 20 novembre 2001, secondo cui il ricorso alla tutela ex art. 700 c.p.c. sarebbe stato inammissibile, per difetto del presupposto della residualità, atteso che il debitore avrebbe dovuto chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo giudiziale monitorio. 137 È stato, però, giustamente ravvisato in dottrina91 un difetto di coordinamento con l'art. 163 bis c.p.c. La nuova formulazione della norma, infatti, impone all'attore di assegnare un termine di almeno novanta giorni liberi (durante i quali il creditore può compiere atti esecutivi). Il problema, però, può essere superato chiedendo una ulteriore abbreviazione del termine di comparizione, ovvero depositando, dopo la notifica della citazione e l'iscrizione a ruolo, un ricorso col quale si chiede la fissazione di una udienza anticipata per l'esame dell'istanza di sospensione. In questo specifico ambito potrebbe trovare un residuale margine di applicazione il ricorso alla tutela ex art. 700 c.p.c., per la concessione di un provvedimento inaudita altera parte che anticipi gli effetti della sospensione. Resta, comunque, praticabile anche la vecchia prassi della doppia opposizione (al precetto e all’esecuzione, sopra citata). L’istanza «inibitoria», allora, può essere inserita nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di opposizione. Nel silenzio normativo, tuttavia, non pare si possa escludere la proponibilità dell’istanza, con autonomo atto, per tutto il corso del giudizio di opposizione. È stato, tuttavia, affermato che tale facoltà - di proporre l’istanza inibitoria con autonomo atto - verrebbe meno una volta che il creditore abbia dato inizio dell’azione esecutiva. A partire da tale momento, si è detto, il potere di sospendere il processo esecutivo sarebbe attribuito alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione92. Avverso tale impostazione, tuttavia, si potrebbe obiettare che la distinzione tra sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione e dell’impugnazione opera e rileva su un piano concettuale e non diacronico. Una volta riconosciuto, per espressa disposizione di legge, il potere del giudice dell’opposizione di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, non pare corretto circoscrivere, in assenza di una precisa norma di legge, l’applicazione di tale inibitoria. Mutatis mutandis, del resto, non sembra potersi negare che il potere di inibitoria del giudice dell’appello sussista anche dopo che l’esecuzione è iniziata. E tale ultrattività del potere di inibitoria, ripetiamo, dipende non solo e non tanto dal differente campo di applicazione dell’appello 91 MONTELEONE, Diritto processuale civile, vol II, V ed., Padova, 2009, p. 264 ss. 92 ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata., cit., p.1544 ss. In giur. v. Trib. Monza, 18 marzo 2008 in Corriere del Merito, 2008, 11, p.1125 e su www.ilcaso.it. 138 rispetto all’opposizione, ma anche (e sopratutto) dal fatto che non di ultrattività vera e propria si tratta, ma di una differenza concettuale (e, ripetesi, non temporale) tra sospensione dell’esecuzione e inibizione dell’efficacia esecutiva del titolo. Anche per la sospensione in parola, riteniamo, debbano sussistere i gravi motivi previsti dall’art. 615 comma secondo, come del resto per la maggior parte dei provvedimenti inibitori. La differente collocazione dogmatica delle due sospensioni - in caso di opposizione a precetto e in caso di opposizione all’esecuzione già iniziata - non impedisce di ravvisare la sostanziale identità dei provvedimenti richiesti, dei presupposti per la concessione, come anche delle relative discipline. Le principali differenze, probabilmente, tra le due sospensioni afferiscono il differente organo competente a pronunciarle, l’eventuale regime di impugnazione, e il regime di «estinzione». Quanto alla prima questione, si affermi o meno la natura cautelare della sospensione in parola, essa potrebbe essere emessa dal giudice di pace, qualora detto organo fosse il giudice competente per materia, valore e territorio, ai sensi dell’art. 615 primo comma c.p.c. Il problema principale, sul punto, atterrà l’individuazione del giudice del reclamo, sempre che si ammetta tale strumento avverso il provvedimento di sospensione di cui all’art. 615 primo comma c.p.c. Esso verrà affrontata nel capitolo dedicato appositamente ai reclami. L’ultima questione, invece, riguarda l’applicabilità o meno della regola di cui all’art. 624 terzo comma c.p.c. A noi pare condivisibile l’opinione dottrinaria, secondo cui tale problema non dovrebbe neppure porsi sul piano teorico. Nel caso della sospensione in parola, infatti, nessuna estinzione può esistere, dal momento che l’esecuzione non è iniziata ed è sospesa93. Un margine di dubbio potrebbe sussistere qualora, nelle more della decisione della sospensione, il creditore avesse notificato il pignoramento o dato, comunque, inizio all’esecuzione. Anche in questo caso, tuttavia, non sembra applicabile la regola dell’estinzione. 93 MONTELEONE, Diritto processuale civile., cit., p. 289. 139 Ed infatti la lettera dell’art. 624 comma terzo c.p.c. fa espressamente riferimento alla sospensione concessa dal giudice dell’esecuzione, e non a quella disposta dal giudice della impugnazione, sia pure in senso lato. Ciò si deduce, innanzitutto, dall’espresso richiamo al «giudice dell’esecuzione». In secondo luogo la norma, come detto, commina l’estinzione della procedura esecutiva ogni qualvolta, dopo la stabilizzazione del provvedimento cautelare94, non sia stato introdotto il giudizio di merito. Nell’ipotesi in esame, tuttavia, il giudizio di merito vero e proprio è già pendente: analogamente a quanto detto supra al par.IV.1. per tutte le inibitorie concesse dal giudice dell’impugnazione, anche nel caso dell’opposizione a precetto il giudizio di merito è già pendente: è stato introdotto prima che venisse richiesta la sospensione. Nel caso di opposizione ex art. 615 comma primo c.p.c., infatti, manca la struttura così marcatamente bipolare fase dell’esecuzione - fase del merito: tutto si svolge davanti al giudice dell’opposizione, nell’ambito di un procedimento tendenzialmente unitario. Analogamente a quanto detto al paragrafo introduttivo del presente capitolo, in caso di sospensione concessa dal giudice dell’opposizione a precetto, ma successivamente all’inizio dell’esecuzione forzata 95, il creditore potrà limitarsi a proporre una semplice istanza ex art. 486 c.p.c. al giudice dell’esecuzione, perché prenda atto dell’avvenuta sospensione. Si rinvia per le problematiche connesse, a quanto dedotto in tale sede. 94 O per mancata proposizione del reclamo, o per conferma o comunque emissione del provvedimento di sospensione a seguito del reclamo medesimo. 95 Ci si riferisce, evidentemente, al caso di sospensione chiesta antecedentemente all’inizio dell’esecuzione forzata, ma pronunciata successivamente. Diverso sarebbe il caso del creditore che, nonostante l’avvenuta inibitoria del titolo, inizi ugualmente l’esecuzione forzata. In tal caso il creditore sarebbe ab ovo privo del diritto a procedere a esecuzione forzata, sicché sarebbe proponibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c. 140 V. La sospensione concordata tra le parti (art. 624 bis c.p.c.). La disposizione di cui all’art. 624 bis c.p.c. è stata introdotta dal n. 42 della lett. e del comma 3 dell'art. 2 d.l. n. 35/2005, convertito nella l. n. 80/2005, poi modificato sia dalla l. n. 263/2005 che dalla l. n. 52/2006. La possibilità di una sospensione «concordata», va detto, era già stata ipotizzata da una parte della dottrina 1 e dalla giurisprudenza. Nella sua attuale formulazione, sebbene si parli genericamente di sospensione del processo esecutivo, la norma menziona espressamente istituti e fattispecie tipiche delle espropriazioni forzate, quali il riferimento alla pluralità di creditori (quindi al fenomeno del concorso ex art. 2741 c.c. ) o la comunicazione del provvedimento sospensivo al «custode» (evidentemente, del bene pignorato). Di qui parte della dottrina ha ritenuto che detta sospensione concordata sia applicabile ai soli pignoramenti, e non anche alle esecuzioni in forma specifica2. Ratio evidente di questa nuova forma di sospensione del processo esecutivo è facilitare soluzioni conciliative fra creditori e debitore esecutato, su presupposto che la prosecuzione della procedura e il compimento di ulteriori atti esecutivi potrebbero aggravare i costi e rendere più ardua, per così dire, la via della conciliazione. La ratio e la funzione di tale istituto, come pure la sua collocazione in una norma diversa dall’art. 624 c.p.c., inducono ad escludere che abbia natura anche lato sensu cautelare3. Come pure non si applica (naturalmente) il regime dell’estinzione, né il rito cautelare uniforme per l’emissione del relativo provvedimento. Va, al riguardo, detto che se il legislatore ha voluto - in una certa misura incentivare la possibilità di una soluzione conciliativa tra le parti, dall’altro ha mostrato una certa diffidenza, nella misura in cui ha rigidamente (e forse non 1 BUCOLO, La sospensione nell'esecuzione. Le opposizioni esecutive, vol. II, Milano 1972, p. 87 s.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano 1959; CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. 967, p. 2. In giurisprudenza cfr. Trib. Padova 21 dicembre 1969, in Giur. it., 1970, I, 2, p.177 e Trib. Torino 5 dicembre 2002, in Riv. not.,2003, p. 731 ss. 2 CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, sub art. 624 bis. 3 BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo, www.judicium.it 2006, par. 6. 141 del tutto ragionevolmente) predeterminato i presupposti per l’ammissibilità, fissato un limite massimo di ventiquattro mesi alla durata di detta sospensione e previsto la non concedibilità di una seconda sospensione, una volta esaurito il termine della prima. Tale scelta potrebbe essere indotta dall’esigenza di tutelare i creditori non muniti di titolo esecutivo - nei limiti in cui essi possono ancora intervenire nell’esecuzione -, atteso che questi, come si vedrà, non partecipano alla richiesta concordata 4. Potrebbe, però, essere letta anche in una chiave maggiormente pubblicistica, nel senso che l’esecuzione forzata, una volta avviata, non potrebbe essere interamente rimessa alla disponibilità delle parti, ma il suo naturale decorso, fino alla vendita forzata, risponderebbe comunque ad un interesse d’ufficio, diverso da quello dei soggetti coinvolti. Per la concessione del provvedimento di sospensione la legge richiede la pendenza dell’esecuzione, l'istanza al giudice dell’esecuzione e l’accordo di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo. L’istanza, giusta il disposto dell’art. 486 c.p.c., potrà avere la forma del ricorso, ed essere depositata nella cancelleria del giudice. In alternativa, sempre giusta il disposto della norma richiamata, l’istanza congiunta potrà essere proposta anche oralmente, in una delle udienze dell’esecuzione. Trattandosi di una mera sospensione - e dunque una richiesta esclusivamente processuale e interinale - non pare occorra una procura speciale al difensore, né un’istanza proveniente dalla parte personalmente. Sebbene ratio legis sia, come detto, quella del favorire un accordo, il debitore deve essere semplicemente «sentito», mentre non sembra essere richiesto il suo esplicito consenso. Tale soluzione pare, comunque, abbastanza ragionevole, atteso che se fosse stato richiesta l’istanza anche del debitore questi avrebbe dovuto, probabilmente, depositare una memoria con il ministero di un difensore, con conseguente aumento delle spese e degli oneri. Essendo richiesta, per espressa volontà legislativa, «l’istanza» di tutti i creditori muniti di titolo, deve ritenersi insufficiente il loro «silenzio», come pure la formula più blanda, assai invalsa nelle prassi giudiziarie, della «non 4 Nonché gli offerenti, per quanto concerne la previsione di un termine finale. 142 opposizione»5. Sebbene, infatti, non sia imposta, come detto, una formula sacramentale, riteniamo debba esservi per lo meno un consenso univoco ed espresso. Nonostante il silenzio normativo, inoltre, riteniamo che l’istanza respinta possa essere riproposta, tenuto anche conto dell'art. 487 che consente al giudice dell’esecuzione di revocare o modificare i propri provvedimenti, che non abbiano avuto esecuzione. Per quanto concerne il termine finale entro il quale è possibile chiedere la sospensione de qua, la legge detta una disciplina piuttosto articolata, distinta per tipo di esecuzione. In particolare, nelle espropriazioni mobiliari l'istanza per la sospensione può essere presentata non oltre la fissazione della data di asporto dei beni ovvero fino a dieci giorni prima della data della vendita se questa deve essere espletata nei luoghi in cui essi sono custoditi e, comunque, prima della effettuazione della pubblicità commerciale ove disposta. Nelle espropriazioni presso terzi l'istanza di sospensione non può più essere proposta dopo la dichiarazione del terzo. Il che crea qualche problema, per quanto concerne l’individuazione, esatta ed a priori, di tale momento: va, infatti, considerato che, a seguito della riforma del 2006, la dichiarazione del terzo può essere effettuata a mezzo raccomandata. Nelle espropriazioni immobiliari l'istanza può essere proposta fino a venti giorni prima della scadenza del termine per il deposito delle offerte di acquisto, per il caso di vendita senza incanto, ovvero fino a quindici giorni prima dell'incanto in caso di vendita all’asta. Il provvedimento di sospensione è soggetto ad un particolare regime di pubblicità, affine a quello degli avvisi, per il caso di vendita di cose immobili o beni mobili registrati per un valore superiore ad euro 25.000,00 (art. 490 comma secondo). Esso, in particolare, nei cinque giorni successivi al deposito deve essere comunicato al custode e pubblicato sul sito internet sul quale è pubblicata la relazione di stima. L'ordinanza è revocabile in qualsiasi momento, anche su richiesta di un solo creditore e sentito comunque il debitore. 5 CABRINI, in CARPI-TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, sub artt. 615 e 624, Padova, 2010. 143 Entro dieci giorni dalla scadenza del termine la parte interessata deve presentare istanza per la fissazione dell'udienza in cui il processo deve proseguire. Va infine segnalato che l’istituto della sospensione concordata ex art. 624 bis c.p.c. va coordinato con il disposto del novellato art. 161 bis disp. att., secondo cui la vendita può essere rinviata se vi è il consenso fra i creditori muniti di titolo e gli offerenti. Dal combinato disposto delle due norme si evince che, una volta decorso il termine ultimo per chiedere la sospensione, o decorso infruttuosamente il termine di ventiquattro mesi, i creditori potranno avvalersi ancora dello strumento del rinvio della vendita, salva la necessità, in questo caso, di ottenere il consenso anche degli offerenti. Per quanto concerne la riattivazione del processo sospeso, l’art. 624 adotta un meccanismo riassuntivo diverso da quello dell'art. 627 ed affine, invece, a quello previsto dall'art. 297, comma secondo, per la riassunzione del processo di cognizione sospeso ex art. 296 (appunto, su istanza delle parti). Ogni interessato dovrà dunque presentare l'istanza, nelle forme del ricorso (sempre secondo il generale disposto dell'art. 487 c.p.c. ) al giudice dell’esecuzione entro dieci giorni prima della scadenza del termine di sospensione. Nel silenzio normativo non è ben chiaro se detto termine debba essere considerato ordinatorio o perentorio. Le conseguenze dell’una scelta o dell’altra non sono di poco conto: nel primo caso, in caso di tardiva riassunzione, non vi sarà alcuna conseguenza negativa, mentre nel secondo dovrà trovare applicazione la norma di cui all’art. 630 c.p.c., a norma del quale il processo esecutivo si estingue quando le parti non lo proseguono o non lo riassumono nel termine perentorio stabilito dalla legge. Appare, probabilmente, preferibile la prima tesi, tenuto anche conto del disposto dell’art. 152 comma secondo c.p.c., a norma del quale i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori «tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori». In senso contrario potrebbe affermarsi che il carattere perentorio di tale termine è ricavabile, comunque, dalla previsione della durata massima, di ventiquattro mesi, per la durata del periodo di sospensione. Tale previsione 144 rimarrebbe priva di significato e di reale portata precettiva, se le parti avessero comunque la facoltà di riassumere il processo interrotto, anche mesi dopo il decorso di detto periodo. 145 VI. Le sospensioni «diverse» (i: nel codice di procedura civile) VI.1. In generale Oltre alle ipotesi di sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, e a quelle dal giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo, l’art. 623 c.p.c. richiama i casi di «sospensione disposta dalla legge». Si tratta, secondo consolidata opinione dottrinaria, di ipotesi di sospensione necessaria e automatica, che ricorrono in ipotesi tassative. Trait d’union delle fattispecie in esame sarebbe che esse derivano non già da un provvedimento del giudice, ma dal verificarsi stesso dei presupposti stabiliti dalla legge1. Con tale affermazione, si badi bene, non si intende sostenere che l’accertamento dei presupposti debba avvenire, necessariamente, al di fuori di qualunque procedimento giurisdizionale, ed in assenza del controllo di un giudice. Solo tale, eventuale, accertamento sarà compiuto «a monte», in un momento e nell’ambito di un procedimento estranei al processo esecutivo. Analogamente a quanto detto a proposito dei provvedimenti di inibitoria disposta dal giudice dell’impugnazione, e del loro rapporto con il processo esecutivo eventualmente pendente, il giudice dell’esecuzione potrà ben essere chiamato, con gli strumenti previsti dall’art. 486 c.p.c., ad emettere un provvedimento di collegamento, che accerti eventualmente il verificarsi dei presupposti di legge e che consenta alla sospensione diversa di esplicare i suoi effetti nel procedimento esecutivo. Ma tale provvedimento avrà, anche in questo caso, natura meramente ricognitiva: si tratterà di accertare il fatto storico di una sospensione già, in punto di diritto, avvenuta e di emettere i consequenziali provvedimenti attuativi nel processo esecutivo. Come logico corollario saranno sottratti, in linea di principio, all’applicazione dell’art. 624 c.p.c. sia l’eventuale provvedimento «a monte», giurisdizionale o amministrativo, che ha determinato il fatto sospensivo, sia quello ricognitivo, emesso «a valle» del giudice dell’esecuzione. Anche la disciplina sarà la più varia ed eterogenea, essendo applicabili, in larga parte, le norme speciali. Troverà, comunque, applicazione, in quanto 1 FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, p. 196 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, vol. III, Il processo esecutivo, Milano. 1999, p. 251; LUISO, Processo di esecuzione forzata, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIII, Sospensione del processo civile, p.60. 146 compatibile e in quanto non derogata, la disciplina di cui agli artt. 623 ss., ivi comprese le regole dell’art. 626 c.p.c. Le singole fonti della sospensione possono essere le più varie e disparate. Si è preferito, nella rubrica del presente capitolo, adottare la formula «sospensioni diverse» piuttosto che la tradizionale «altri casi stabiliti dalla legge» esclusivamente per una ragione descrittiva. Tutte le sospensioni, infatti, anche quelle tipiche disposte dal giudice dell’esecuzione o dell’impugnazione, sono ugualmente previste dalla legge, come è normale che accada in un ordinamento di civil law. La locuzione «sospensioni diverse», di contro, vuole semplicemente segnalare che non si tratta né di sospensioni disposte dal giudice dell’esecuzione (il quale sarà, al massimo, chiamato ad accertare la loro verificazione) né di sospensioni disposte dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo, e correlativamente a tale giudizio di impugnazione. Per ragioni di ordine sistematico, inoltre, in questa breve, certamente non esaustiva, indagine verranno trattate separatamente le ipotesi di sospensioni diverse previste dal codice da quelle previste dalla legislazione speciale. Anche tale scelta non risponde ad una precisa ragione dogmatica, ma semplicemente a motivi di funzionalità espositiva. VI.2. La sospensione in caso di divisione (art. 601 c.p.c.) Ai sensi dell’art. 601 c.p.c., se nel corso dell’esecuzione deve procedersi alla divisione, l'esecuzione è sospesa finché sulla divisione stessa non sia intervenuto un accordo fra le parti o non sia pronunciata una sentenza avente i requisiti di cui all'art. 627 c.p.c. La sospensione in parola, dunque, ha come dies a quo l’inizio del subprocedimento di divisione, regolato dall’art. 181 disp. att.2 Il termine finale, giusta il richiamo dell’art. 627 c.p.c., è dato dal passaggio in giudicato 2 Tale norma è stata, a sua volta, novellata dalle riforme del 2005-2006. Nel testo oggi vigente prevede che «Il giudice dell'esecuzione, quando dispone che si proceda a divisione del bene indiviso, provvede all'istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti del codice, se gli interessati sono tutti presenti. Se gli interessati non sono tutti presenti, il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza di cui all'articolo 600, secondo comma, del codice, fissa l'udienza davanti a sé per la comparizione delle parti, concedendo termine alla parte più diligente fino a sessanta giorni prima per l'integrazione del contraddittorio mediante la notifica dell'ordinanza». 147 della sentenza di primo grado, ovvero dalla semplice comunicazione della sentenza di appello che decide sulla divisione. La sospensione de qua rientra perfettamente nel modello di sospensione ex lege, sopra delineato: si tratta di una ipotesi di sospensione necessaria (il giudice non è infatti dotato di alcun potere discrezionale in ordine all'an della medesima) ed automatica (giacché si produce indipendentemente da un formale provvedimento che la disponga). Si è posto in dottrina il problema se la sospensione ex art. 601 trovi applicazione anche ove, anziché la divisione totale, sia decisa dal giudice la separazione in natura della quota3. Il processo esecutivo deve essere riassunto a cura del creditore procedente nel termine perentorio di sei mesi dalla cessazione della causa sospensiva o in quello diverso stabilito dal giudice della divisione. La riassunzione si effettua con ricorso a norma dell’art. 627 c.p.c., se il processo esecutivo non viene tempestivamente riassunto si estingue. VI.3. La «sospensione» in caso di giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo (artt. 548 e 549 c.p.c.) L’art. 548 c.p.c. disciplina, come noto, l’accertamento dell’obbligo del terzo nel pignoramento dei crediti. La norma in esame non prevede, apparentemente, alcuna sospensione, limitandosi ad affermare che se il terzo non compare all'udienza stabilita o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, o se intorno a questa sorgono contestazioni, il giudice, su istanza di parte, «provvede all'istruzione della causa». Il successivo art. 549, tuttavia, prevede che con la sentenza che definisce il giudizio di cui all'art. 548, il giudice, se accerta l'esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo, «fissa alle parti un termine perentorio per la prosecuzione del processo esecutivo». L’espressa menzione ad una «prosecuzione» del processo esecutivo sta a dimostrare che, a seguito dell'istanza di accertamento dell’obbligo del terzo, il 3 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1959, p. 472 ss., sull’esatto rilievo che le due ipotesi avrebbero identica ratio e che la separazione ben potrebbe risolversi in una divisione parziale. 148 processo esecutivo debba considerarsi sospeso ex lege4. Anche in questo caso, per la disciplina della sospensione in parola, si rinvia al paragrafo introduttivo del presente capitolo. VI.4. La sospensione (o «le sospensioni») in caso di controversie in sede di approvazione del progetto di distribuzione (art. 512 c.p.c.) Ai sensi dell’art. 512 c.p.c. se, in sede di distribuzione, sorge controversia tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all'espropriazione, circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, il giudice dell'esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza, impugnabile nelle forme e nei termini di cui all'art. 617 c.p.c., secondo comma. Il giudice può, anche con l'ordinanza di cui al primo comma, sospendere, in tutto o in parte, la distribuzione della somma ricavata. Nell’ambito delle fattispecie disciplinate, dunque, dalla presente norma occorre, innanzitutto, distinguere la sospensione, totale o parziale, della distribuzione, dalla eventuale sospensione dell’esecuzione (ovvero il differente provvedimento indilazionabile) che può essere emesso nel successivo giudizio di opposizione agli atti esecutivi. La seconda delle due sospensioni è emessa in seno ad un’opposizione ex art.617 c.p.c. Alla trattazione di tale istituto, pertanto, si rinvia. La sospensione disposta dal giudice con l’ordinanza di cui all’art. 512 c.p.c., invece, riguarda non l’esecuzione ma la distribuzione della somma ricavata. La norma va poi coordinata con il novellato disposto dell’art. 624 c.p.c., a norma del quale l’ordinanza di sospensione ex art. 512 c.p.c. è soggetta a reclamo. Contrariamente alla previgente formulazione, dunque, la «sospensione» della distribuzione vera e propria, prevista dall’art. 512 c.p.c., non è automatica, per il fatto solo che è sorta la contestazione, ma è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice. Ratio della previsione pare essere quello di consentire la dichiarazione di esecutività del progetto di distribuzione, prima ancora che vengano definite le 4 BUCOLO, Il processo esecutivo ordinario, Padova, 1994, p. 705; TRAVI, Espropriazione presso terzi, in Novissimo Digesto It., Vol. VI, Torino 1960, p. 963. 149 controversie discrezionale contestazioni dilatorio di su esso. Correlativamente, la previsione del carattere della sospensione mira ad evitare la proposizione di strumentali e prima facie infondate, dirette al solo scopo ottenere la sospensione necessaria della fase distributiva (necessaria, sotto la previgente normativa). Se tale è la ratio della discrezionalità della sospensione, però, diviene difficile giustificare l’apparente scelta del legislatore di «collocare» il provvedimento sulla inibitorio nella stessa ordinanza che decide sulla controversia. Stando al dato letterale della norma, infatti, pare che il giudice possa pronunziare la sospensione con la stessa ordinanza con la quale decide le controversie sorte in sede di distribuzione. Con l’ulteriore conseguenza che avverso detta ordinanza sarebbero esperibili due rimedi: l’opposizione agli atti esecutivi, avverso la statuizione che ha deciso sulla controversia, ed il reclamo avverso la statuizione che decide sulla sospensione5. Se tale fosse il senso della norma, allora la sospensione della distribuzione dovrebbe riguardare la fase ricompresa tra l’emissione dell’ordinanza ex art. 512 c.p.c. e l’eventuale proposizione dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., ovvero il suo esito. Tale lettura sembra confermata dalla considerazione che, fino alla data di emissione dell’ordinanza suddetta - i.e. fino alla soluzione delle controversie sorte in sede di distribuzione - pur non essendovi un formale provvedimento di sospensione il riparto resta comunque paralizzato fino a tale momento6. Se tale fosse la chiave di lettura del «nuovo» art. 512 c.p.c. vi sarebbe, dunque, nel disposto dell’art. 512 c.p.c. una terza «sospensione» necessaria ed occulta, posto che, analogamente a quanto accadeva col regime previgente, prima di potere rendere esecutivo il riparto, il giudice dovrà risolvere le controversie sorte. Tuttavia, rispetto alla vecchia disciplina, tale sospensione necessaria risulterebbe, almeno in linea teorica, molto meno onerosa, in termini di tempi processuali. Ai fini della decisione delle controversie sorte in sede di distribuzione, infatti, il giudice dell’esecuzione non deve istruire la causa nelle 5 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, V ed., vol. II, Padova, 2009, p. 164. 6 Cfr. ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato, in www.judicium.it, 2006. 150 forme ordinarie, né dovrà valutare la propria competenza; egli, infatti, dovrà limitarsi a risolvere, con ordinanza, l’incidente sorto in sede di distribuzione, qualunque valore essa abbia7. Per quanto concerne la sospensione «discrezionale» della distribuzione quella, cioè, che potrà essere emessa in uno con l’ordinanza - la legge non indica le condizioni per il suo rigetto od omissione. Anche in questo caso, però, potrà farsi riferimento alla coppia fumus boni iuris e periculum in mora 8. Si rinvia, sul punto, alla compiuta trattazione a proposito della sospensione in caso di opposizione all’esecuzione. È stato, peraltro, rilevato che nella valutazione dei due requisiti dovrà assumere necessariamente preminenza il fumus «non essendovi spazio per una valutazione in termini di periculum in mora, o comunque di pregiudizio nascente dalla distribuzione"9 . Un certo spazio per la valutazione del periculum, comunque, potrà sussistere, verosimilmente, nell’ipotesi di controversia insorta tra più creditori (uno dei quali, magari, non solvibile). 7 Cfr. ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato., cit., ibidem, il quale conclude che le controversie in sede distributiva sono strettamente connesse alla fase (distributiva) e che l’ordinanza del giudice dell’esecuzione ha natura di mero atto esecutivo, come, ad esempio, il pignoramento e l’ordinanza di vendita. 8 ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato., cit., ibidem. 9 BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo, in www.judicium.it., 2006. 151 VII. Le sospensioni «diverse» (ii: nelle leggi speciali e nell’elaborazione giurisprudenziale) VII.1. La sospensione in materia previdenziale e assistenziale ex d.l. 112 del 25 giugno 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008. Un’altra ipotesi peculiare di sospensione prevista dalla legge speciale è stata introdotta dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, di conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 «disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria». L’art. 20 comma settimo della norma in esame stabilisce che nei procedimenti «relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza sociale, a fronte di una pluralità di domande o di azioni esecutive1 che frazionano un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle somme eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro accessorio, la riunificazione è disposta d'ufficio dal giudice ai sensi dell'articolo 151 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368». Al di là dell’imprecisione linguistica nell’utilizzo della locuzione «riunificazione» in luogo di «riunione», il senso della norma è chiaro: in caso di frazionamento di azioni di cognizione o esecutive, afferenti il medesimo rapporto - relativamente, però, alle sole controversie previdenziali, il giudice deve disporre d’ufficio la riunione. In mancanza, il comma ottavo prevede l'improcedibilità delle domande successive alla prima, da dichiararsi anche 1 Le parole «o di azioni esecutive» sono state introdotte in sede di conversione. 152 d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento 2. Analogamente, il giudice dichiara la nullità dei pignoramenti successivi al primo in caso di proposizione di più azioni esecutive in violazione del comma settimo. Il comma nono, prevede, appunto, una ipotesi di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo: «Il giudice, ove abbia notizia che la riunificazione non è stata osservata, anche sulla base dell'eccezione del convenuto, sospende il giudizio e l'efficacia esecutiva dei titoli eventualmente già formatisi e fissa alle parti un termine perentorio per la riunificazione a pena di improcedibilità della domanda». Colpisce, al riguardo, la farraginosità della disposizione: al di là della difficile lettura della locuzione «anche sulla base dell’eccezione del convenuto», da intendersi, verosimilmente, come perifrasi per «anche d’ufficio», restano parecchi dubbi sulla sua portata applicativa e sulle sue conseguenze pratiche3 . Meramente a titolo di esempio non appare molto chiaro il meccanismo sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo improcedibilità della domanda, per il caso di frazionamento del credito effettuato dall’INPS e dall’ente preposto alla riscossione attraverso la notifica di più cartelle (con conseguente proposizione di più giudizi di opposizione). A rendere più complicate ancora le cose, del resto, è intervenuto il legislatore, che con legge 18 giugno 2009 n. 69 ha attribuito al giudice di pace la competenza «per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali». 2 Non è chiaro se il legislatore abbia inteso - limitando, però, incomprensibilmente il campo alle sole controversie previdenziali e assistenziali - vietare il c.d. frazionamento della fattispecie e richiamare la teoria dell’abuso del processo. Per una disamina si rinvia a COMOGLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, p. 329 ss.; CORDOPATRI, L'abuso del processo, Padova 2000, p. 3 ss.; DE CRISTOFARO, Doveri di buona fede ed abuso degli strumenti processuali, in Il giusto processo civile, 2009, p.993 ss. ed in part. p. 1005-1007; DONDI - GIUSSANI, Appunti sul problema dell’abuso del processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 197; GAMBARO, L’abuso del diritto di azione, in Resp. civ. prev., 1983, p. 821 ss; GHIRGA, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004, p.205 ss.; RESCIGNO, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 205 ss. In giurisprudenza, con riguardo alla non frazionabilità giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito derivante da un unico contratto, sotto il profilo dell’abuso del processo, cfr. Cass. 27 maggio 2008, n. 13791; Cass. 11 giugno 2008 n. 15476. 3 Per una disamina, v. DALFINO, Note a prima lettura di alcuni recenti interventi di riforma del processo del lavoro, in Foro it., 2008, V. p. 307 ss.; LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, p. 646. 153 La disposizione antifrazionistica di cui al d.l. 112/2008 può, quindi, essere agevolmente elusa proponendo la domanda principale per la sorte capitale davanti al giudice competente e la sola domanda di interessi davanti al giudice di pace (con conseguente impossibilità della riunione). VII.2. La sospensione ex art. 20 lege 44 del 23 febbraio 1999 All'indomani dell'omicidio dell'imprenditore Libero Grassi, avvenuto a Palermo il 29 agosto 1991, l'opinione pubblica e il legislatore presero bruscamente coscienza del fenomeno del racket mafioso 4. Si determinò un clima politico di maggiore attenzione verso un fenomeno che, fino a quel momento, non era stato oggetto di adeguate attenzioni e che – sopratutto – non era stato affrontato in modo unitario. Si comprese, innanzitutto, che il c.d. pizzo non poteva essere ricondotto ad una pura e semplice estorsione di somme di denaro, ma costituiva una vera e propria forma di controllo dell'attività di impresa, che si articolava attraverso svariate modalità di ingerenza: dall'imposizione di fornitori, all'assunzione forzata di lavoratori vicini ai clan, all'imposizione di paletti sul tipo di attività esercitabile o sul relativo ambito territoriale (e.g.: divieto di esercitare in una determinata area, al fine di non fare concorrenza ad un'impresa pagante ecc.). L'impresa assoggettata al racket diveniva, in molti casi, complice del mafioso, che ne regolava ogni fase della sua vita economica (fino al caso estremo della sostituzione dell'imprenditore stesso)5. Ci si rese conto, dunque, che la lotta al fenomeno dell'estorsione mafiosa, per tutte le conseguenze sociali ed economiche che da esso derivavano - se non altro in termini di minaccia alla credibilità dell'Istituzione Stato, -, presupponeva e richiedeva una serie di interventi in numerose branche del diritto. Se da un lato, infatti, la lotta alla criminalità organizzata postulava interventi nella legislazione penale, occorreva, al contempo, incentivare il più 4 cfr. COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA DEL FENOMENO DELLA MAFIA E SULLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI SIMILIARI, Audizione del Presidente del Comitato del Fondo di solidarietà per le vittime delle estorsioni, avv. Lorenzo Pallesi, Roma, 20 maggio 1997. 5 BLOCK, La mafia in un villaggio siciliano, 1860-1960, Torino, 1986, p. 1 ss.; DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA, Relazione semestrale (primo semestre 1995), in Per aspera ad veritatem, n. 3, 1995, p. 1ss. 154 possibile la scelta degli imprenditori che decidessero di denunziare i loro estortori, prevedendo un sistema di tutele e ombrelli per la loro protezione. E ciò sia perché – prevedibilmente – l'impresa avrebbe potuto essere portata a denunziare il mafioso solo in un momento di crisi (quando, cioè, si fosse trovata pressoché sull'orlo del fallimento e non fosse riuscita più a reggere il peso dell'estorsione), ma anche – e sopratutto – per una considerazione di ordine generalpreventivo e di politica criminale: il fenomeno del racket è impossibile da contrastare senza la collaborazione della vittima. Pertanto questa deve essere in un primo momento incentivata a denunziare l'estortore, ed in un secondo tempo protetta dalle ricadute negative della propria scelta di legalità. L'impresa denunziante, infatti, potrebbe perdere i vecchi fornitori (che dall'organizzazione criminale erano stati imposti e sono tuttora sotto il suo controllo), clienti, etc. Di qui la scelta politica di intervenire su numerosi settori del diritto e del mercato, al fine di consentire – appunto – la ripresa dell'attività d’impresa e – ove possibile – l'eventuale risanamento. In quest'ottica vanno letti i primi interventi del legislatore e segnatamente il d.l. n. 419/19916 , che introduceva, appunto, il principio dell'elargizione di denaro, da parte dello Stato, a ristoro dei danni patrimoniali subiti dalla vittima del racket. La concezione che in favore della vittima del racket dovesse prevedersi anche una sospensione delle esecuzioni forzate in atto viene introdotta in sede di conversione, con legge 18 novembre 1993 n.468, del d.l. n. 382 del 27 settembre 1993, in materia di misure urgenti a sostegno delle vittime di richieste estorsive. Venne, in particolar modo, introdotta la regola della sospensione, per trecento giorni, della «esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili e i termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate», se relative a soggetti che avessero (semplicemente) chiesto l'elargizione di cui al d.l. 419/1991. 6 Nel cui preambolo testualmente si legge che obiettivo della norma è quello di: «prevenire e reprimere il grave fenomeno dell'estorsione e di sostenere, con misure di carattere anche economico, l'attività delle categorie produttive che a causa del rifiuto opposto a richieste estorsive subiscono un danno patrimoniale». Il d.l. 419 del 31 dicembre 1991 seguì di pochi mesi il – sotto molti aspetti omologo – d.l. n. 346 del 29 ottobre 1991, non convertito, del quale riproponeva, peraltro, il medesimo preambolo. 155 La disciplina c.d. antiracket ha trovato, poi, una maggiormente analitica sistemazione normativa con la legge n.44 del 23 febbraio 1999, che ha – peraltro, dettato una disciplina tendenzialmente omogenea per le vittime del racket e dell'usura (oltre che, in parte, per le vittime del terrorismo 7). Si tratta di una articolata disciplina diretta, in primo luogo, ad elargire «una somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale subito» (art.1), in favore delle vittime di estorsioni8. Accanto all'elargizione, la legge prevede, inoltre, una serie di proroghe di termini sostanziali e processuali e, per quel che in questa sede rileva, la sospensione delle esecuzioni forzata 9, in termini simili a quelli di cui all'art. 4 bis del d.l. 382/1993, sopra citato. La normativa oggi vigente prevede, allora, la sospensione per trecento giorni della «esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili e i termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate», in favore dei soggetti che abbiano richiesto 7 SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2009, p.1251 ss. 8 Così l'art. 3 (Elargizione alle vittime di richieste estorsive): 1. L'elargizione è concessa agli esercenti un'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero una libera arte o professione, che subiscono un danno a beni mobili o immobili, ovvero lesioni personali, ovvero un danno sotto forma di mancato guadagno inerente all'attività esercitata, in conseguenza di delitti commessi allo scopo di costringerli ad aderire a richieste estorsive, avanzate anche successivamente ai fatti, o per ritorsione alla mancata adesione a tali richieste, ovvero in conseguenza di situazioni di intimidazione anche ambientale. 2. Ai soli fini della presente legge sono equiparate alle richieste estorsive le condotte delittuose che, per circostanze ambientali o modalità del fatto, sono riconducibili a finalità estorsive, purché non siano emersi elementi indicativi di una diversa finalità. Se per il delitto al quale è collegato il danno sono in corso le indagini preliminari, l'elargizione è concessa sentito il pubblico ministero competente, che esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla richiesta. Il procedimento relativo all'elargizione prosegue comunque nel caso in cui il pubblico ministero non esprima il parere nel termine suddetto ovvero nel caso in cui il pubblico ministero comunichi che all'espressione del parere osta il segreto relativo alle indagini. 9 In particolare, ai sensi dell'art. 20 (sospensione di termini): a) la proroga di trecento giorni a tutti i termini, ricadenti entro un anno dalla data dell'evento lesivo, per compiere gli adempimenti amministrativi e per il pagamento dei ratei dei mutui bancari e ipotecari, nonché di ogni altro atto avente efficacia esecutiva; b) la proroga di tre anni del termine per compiere gli adempimenti fiscali, sempre che si tratti di termini di scadenza, ricadenti entro un anno dalla data dell'evento lesivo; c) la proroga di trecento giorni per tutti «i termini di prescrizione e quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, che sono scaduti o che scadono entro un anno dalla data dell'evento lesivo»; d) la sospensione della «esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili» e dei «termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate». 156 l'elargizione di cui alla stessa normativa antiracket, ovvero il mutuo senza interesse previsto dall'art. 14 comma 2 della legge 7 marzo 1996 n. 108 (e dunque alle vittime dell'usura), ovvero ancora l'elargizione prevista dall'art.1 della legge 20 ottobre 1990 n.302 (in materia di vittime del terrorismo10). In forza di questa ultima disposizione Il beneficio della sospensione delle esecuzioni – originariamente previsto per le sole vittime di estorsione, anche se «ambientale», è stato esteso anche alle vittime dell'usura e del terrorismo, confermando, così, la scelta normativa di trattare in modo unitario le fattispecie. La possibilità di beneficiare della sospensione sulla base della sola richiesta – senza che sia necessario l'accoglimento dell'istanza – è motivata dalla comprensibile ragione di non vanificare del tutto la portata della norma, cosa che accadrebbe se il soggetto vittima del racket (o dell'usura, o del terrorismo) dovesse attendere la definizione del procedimento amministrativo per il riconoscimento dei benefici. L'automatismo del beneficio è pero mitigato – per l'opposta, altrettanto comprensibile ragione, di evitare abusi – dalla previsione che la sospensione ha effetto a seguito del parere del prefetto competente per territorio, sentito il presidente del tribunale. In dottrina, sul punto, si è dubitato se il provvedimento ex art.20 legge 44/1999 abbia natura di vera e propria sospensione dell'esecuzione ex art. 623 c.p.c. e non si tratti, piuttosto, di una mera dilazione della vendita forzata e/o 10 L'elargizione, in particolare, è concessa «a chiunque subisca un'invalidità permanente, per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di atti di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, a condizione che il soggetto leso non abbia concorso alla commissione degli atti medesimi ovvero di reati a questi connessi ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale». 157 di determinati atti esecutivi. La prima soluzione sembra, ad ogni modo, quella recepita dalla giurisprudenza della Consulta, di legittimità e di merito11. Circa l'efficacia del parere del prefetto, originariamente la legge richiedeva che esso fosse «favorevole». Ma la norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, con sentenza 23 dicembre 2005, n. 45712. Con la medesima decisione la Corte Costituzionale ha anche ribadito il carattere 11 Per una disamina: CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, p.2219 SS.; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 1999; PUCCIARIELLO, Sulla sospensione dei termini del processo esecutivo in favore dei beneficiari del fondo di cui alla legge n.44/99 in Riv. esec. forz., 2007, p. 372 ss.; SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem, secondo cui l'istituto in esame, pur avendo natura di vera e propria sospensione, esulerebbe dalla previsione dell'art. 623 c.p.c., non trattandosi di sospensione «necessaria», ma rimessa comunque alla discrezionalità del giudice. Si tratterebbe, in definitiva, di una sospensione distinta da quelle previste dal codice di procedura civile (assimilabile, sotto certi aspetti, a quella ex artt. 618 e 624) e regolata da una legge speciale. Per la giurisprudenza v. Corte cost. n. 457/2005 cit.; Cass. 24 gennaio 2007, n. 1496; Cass. 12 marzo 2002, n. 3547; Tribunale Palermo, ord. n. 3705 cron. del 17 settembre 2008, Bolazzi, nella procedura esecutiva n. 534/2004, inedita. 12 È interessante, al riguardo, esaminare la motivazione della decisione della Consulta: «1.- Il giudice rimettente muove dal presupposto interpretativo - non implausibile, alla stregua del dato testuale - secondo cui quella attribuita al prefetto dalla norma impugnata non è una funzione meramente consultiva, atteso che la sospensione dell'esecuzione risulta espressamente subordinata al solo "parere favorevole" dello stesso prefetto, in presenza del quale il giudice non può, quindi, che adottare il relativo provvedimento, senza alcuna possibilità di sindacato riguardo alla sussistenza delle condizioni di legge. Così come, all'inverso, il "parere" negativo del prefetto di per sé impedisce la concessione del beneficio. La valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sospensione del processo esecutivo in favore dei soggetti presi in considerazione dalla norma risulta, in tal modo, integralmente attribuita (non al giudice dell'esecuzione, bensì) al prefetto, e cioè ad un organo del potere esecutivo, mentre, rispetto a tale valutazione, l'autorità giudiziaria è chiamata a svolgere, attraverso la previsione del parere non vincolante del presidente del tribunale, solo una funzione consultiva. La violazione dei princìpi costituzionali posti a presidio dell'indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale appare pertanto palese, considerato che il prefetto viene ad essere investito, dalla norma impugnata, del potere di decidere in ordine alle istanze di sospensione dei processi esecutivi promossi nei confronti delle vittime dell'usura; potere che, proprio perché incidente sul processo e, quindi, giurisdizionale, non può che spettare in via esclusiva all'autorità giudiziaria. 2.2.Se dunque contrasta con i parametri costituzionali invocati dal rimettente l'attribuzione al prefetto del potere di decidere in merito alla particolare ipotesi di sospensione dei processi esecutivi prevista dalla norma impugnata, la norma stessa può, tuttavia, essere ricondotta a legittimità costituzionale mediante l'ablazione della parola «favorevole». Ciò è sufficiente, infatti, a restituire alla funzione del prefetto un carattere propriamente consultivo, non vincolante, coerente con la natura - giurisdizionale e non amministrativa - del provvedimento richiesto, mentre il potere decisorio riguardo alla sussistenza dei presupposti per la sospensione del processo esecutivo torna ad essere attribuito al giudice, che ne è - in base ai principi - il naturale ed esclusivo titolare»: Corte cost. 14 dicembre 2005 n. 457, in Riv. esec. forz., 2006, p. 379 ss., con nota di FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi esecutivi nei confronti delle vittime di attività estorsive ed usurarie: il parere prefettizio non può vincolare. 158 giurisdizionale e non amministrativo del provvedimento di sospensione, la cui emissione resta riservata al giudice dell'esecuzione. In conclusione, la norma vigente prevede che il soggetto che abbia richiesto l'elargizione prevista dalla legislazione antiracket o antiterrorismo, ovvero il mutuo senza interessi previsto dalle norme antiusura, debba proporre apposita istanza al giudice dell'esecuzione, per ottenere la sospensione di trecento giorni dell'esecuzione. Presupposto per la concessione del beneficio è l'esistenza dei pareri ex art. 20 comma 7 legge 44/1999 del prefetto (parere che, come detto, a seguito della decisione della Consulta del 2005 ha efficacia meramente consultiva e non vincolante) e del presidente del tribunale. Una volta accertata l'esistenza dei predetti pareri, resta comunque al giudice dell'esecuzione il compito di accertare l'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto per la concessione della sospensione. Circa i limiti del controllo del giudice dell'esecuzione non pare – neppure dopo l'intervento della Corte Costituzionale – che esso abbia ad oggetto un sindacato sulla fondatezza – neppure prima facie – della richiesta di elargizione, ed in particolare sull'esistenza o meno della condotta estorsiva (o di usura, o di terrorismo). Tale conclusione deriva, oltre che dalla lettera della legge, anche da considerazioni di ordine sistematico e di opportunità: il giudice dell'esecuzione non ha né è ragionevole che abbia alcuna cognizione sulla vicenda storica dell'estorsione, e sugli eventuali reati connessi, dei quali si assume sia stato vittima il debitore esecutato, e il cui accertamento resta riservato, a nostro giudizio, alla cognizione del giudice penale 13. Analogamente non ha neppure alcun sindacato (non certo il giudice dell'esecuzione civile) sulla concedibilità delle elargizioni previste dalla legge. Pare, nel complesso, più corretto ritenere che la domanda di elargizione, unitamente agli ulteriori elementi, rilevino – ai fini dell'emissione del provvedimento di sospensione – come meri fatti; sottratti, pertanto, ad un vero e proprio sindacato del giudice, diverso da quello afferente la loro esistenza formale. 13 Contra, però, FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi esecutivi., cit., ibidem, secondo cui il sindacato del giudice dovrebbe estendersi ad una valutazione prognostica circa la sussistenza dei requisiti per l'effettiva assegnazione dell'elargizione; cfr. anche SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem. 159 È sicuramente compito del giudice dell'esecuzione, invece, determinare il limite temporale della sospensione. Al riguardo, se pare corretto affermare che la sospensione non può che decorrere – per quanto concerne il dies a quo – dal deposito della relativa istanza14, il termine finale – i.e. il dies ad quem dei trecento giorni, dovrà essere calcolato a far data dall'evento lesivo e non dall'istanza del soggetto15. Dal coordinamento di tale regola con i principii del processo (esecutivo) civile discende, poi, che è onere del soggetto istante fornire gli elementi utili alla determinazione della data dell'evento lesivo 16. Appare ragionevole ritenere, inoltre, che in caso di condotta estorsiva continuata nel tempo, debba farsi riferimento alla data in cui essa è cessata17. Resta, ancora, di competenza del giudice dell'esecuzione accertare la legittimità del provvedimento del prefetto, i.e. (anche) l'esistenza dell'istanza diretta ad ottenere l'elargizione e del parere del presidente del tribunale 18. Non pare, di contro, ragionevole ipotizzare un controllo giurisdizionale sul merito del provvedimento amministrativo, diverso – cioè – dalla sua legittimità formale e dall'esistenza degli ulteriori presupposti sopra richiamati. Sempre di competenza del giudice dell'esecuzione è ogni altra ulteriore valutazione sulla concedibilità della sospensione, e.g. l'eventuale possibilità di 14 Cass. n. 1496/2007 cit. 15 Così Trib. Palermo, ord. n. 3705/2008 cit.; conf. Cass. n. 1496/2007 cit. 16 Non pare compatibile con la ratio e la finalità dell'istituto una prova piena – prova che presupporrebbe l'avvenuto accertamento del fatto con sentenza penale passata in giudicato – ma sarà comunque necessaria una prova per lo meno indiziaria, che potrà essere raggiunta attraverso la produzione della richiesta di rinvio a giudizio nel processo penale: cfr. Trib. Palermo ord. n. 3705/2008, cit. 17 Trib. Palermo ord. n. 3705/2008, cit.; salvo il problema del quid iuris in caso di estorsione non ancora del tutto cessata al momento dell'emissione del provvedimento. Sembra aprire alla possibilità di far decorrere i trecento giorni da una data futura – qualora la condotta estorsiva non sia, al momento della pronuncia del g.es., cessata - Cass. 12 marzo 2002, n. 3547 cit. (che per la verità affronta esclusivamente il problema dell'istanza proposta durante l'anno dalla cessazione dell'estorsione). Come ulteriore corollario potrebbe dedursi che la sospensione potrebbe essere disposta per un periodo superiore a trecento giorni: tutto il periodo in cui la condotta (continuata) viene perpetrata oltre trecento giorni. 18 Cass. n. 1496/2007 cit.; in dottrina v. FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi esecutivi., cit., ibidem; SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem. 160 emettere la sospensione per più di una volta, in favore del medesimo soggetto 19. Nel merito di tale ultimo problema, se non paiono sussistere ostacoli alla possibilità di sospendere più volte l'esecuzione, se diverse sono state le condotte estorsive subite dalla vittima, deve, probabilmente, escludersi che il soggetto possa beneficiare di più periodi di sospensione in relazione alla medesima fattispecie. E ciò sia in ragione della lettera della legge e del suo carattere eccezionale (il provvedimento di sospensione è limitato a trecento giorni), sia per la considerazione che con la sospensione si va ad incidere su (e dunque a comprimere) diritti di terzi, estranei alla condotta estorsiva, usuraria o terroristica. Il provvedimento di sospensione assumerà la forma dell'ordinanza, e potrà essere impugnato – secondo taluni autori20 - con opposizione agli atti esecutivi. Ed infatti la valutazione del giudice dell'esecuzione ha ad oggetto non il diritto di procedere all'esecuzione, ma solo il "quomodo", sotto il profilo della applicazione o meno di un termine dilatorio dell'esecuzione21. Si esclude, invece, in dottrina che sia esperibile il rimedio del reclamo, trattandosi di istituto di diritto speciale, sottratto, quindi, al regime generale della reclamabilità 22. Si dovrà, per contro, ammettere probabilmente il reclamo, qualora si ritenga che - specialmente a seguito della novella del 2006 - l’istituto de quo è 19 Che è, poi, il caso che determinò la rimessione degli atti della Consulta, che decise poi con la sentenza n. 457/2005, cit. 20 v. FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi esecutivi., cit., ibidem; SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem. 21 Cass. n. 1496/2007 cit. 22 v. FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi esecutivi., cit., ibidem; SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., ibidem. 161 diventato un rimedio di ordine generale tendenzialmente esperibile avverso ogni provvedimento di sospensione dell'esecuzione 23. VII.3. Lo strano caso della «sospensione» dell’esecuzione in caso di sequestro ex lege n. 575 del 31 maggio 1965, alla luce delle recenti riforme e della giurisprudenza, tra profili processuali ed occasioni mancate . La legge n. 575 del 31 maggio 1965 ha subito, negli ultimi anni, incisive, quanto attese, modifiche24, che sono intervenute su numerosi aspetti della disciplina in materia di misure di prevenzione antimafia. Nessuna norma di legge, innanzitutto, prevede (salvo per quanto riguarda le esecuzioni dei concessionari pubblici per la riscossione) che, una volta sottoposto a sequestro un bene pignorato, l’esecuzione forzata debba essere sospesa o debba cessare in qualunque altro modo. A dire il vero, e più in generale, nessuna norma si occupa del concorso tra procedimento per misure di prevenzione ed esecuzione civile, individuale o concorsuale, su beni 23 Cfr. BARBIERI, Sospensione della sentenza e ricorribilità contro il provvedimento inibitorio, in Immobili & diritto, 2007, p. 112 ss.; CAPONI-MERLIN, Sulla reclamabilità delle ordinanze sulla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c., in Corr. giur., 2005 p. 705 ss.; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit. ibidem; IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, Giuffré, 2008, p. 393 ss; ID., in CIPRIANI-MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p. 171 ss.; ID. Provvisoria esecuzione senza inibitoria? in Foro it., 2005, p. 547 ss.; PUNZI, Il processo civile, Torino, 2008, p.222; SPACCAPELO, Brevi note sull'inibitoria in appello della sentenza di rigetto dell'opposizione d.i., in Giur. it., 2006, p. 1010 ss. 24 La prima con d.l. 23 maggio 2008, n. 92, che ha introdotto (tra l'altro), nell'art. 2 ter della legge 575/2008 i commi 10, 11, 12, 13 e 14; la seconda con la legge 15 luglio 2009, n. 94, pubblicata nella G.U. n. 170, 24 luglio 2009, Supplemento Ordinario, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, che ha modificato, tra l'altro, le modalità di esecuzione del sequestro, attraverso la modifica dell'art. 2 quater della legge 575/1965 (e la contestuale modifica dell'art. 104 disp att. c.p.p.). Nelle more di completamento di questa indagine è stato approvata un’ultima riforma (ultima, temiamo, solo nel senso di «più recente»), introdotta con d.l. 4 febbraio 2010 n.4, convertita con modificazioni nella legge 31 marzo 2010 n. 50. A seguito di tali, ulteriori “innesti” all’articolo 2-ter, quinto comma, della legge 575/1965, i seguenti periodi: «Per i beni immobili sequestrati in quota indivisa, o gravati da diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi possono intervenire nel procedimento con le medesime modalità al fine dell’accertamento di tali diritti, nonché della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento nella loro acquisizione. Con la decisione di confisca, il tribunale può, con il consenso dell’amministrazione interessata, determinare la somma spettante per la liberazione degli immobili dai gravami ai soggetti per i quali siano state accertate le predette condizioni. Si applicano le disposizioni per gli indennizzi relativi alle espropriazioni per pubblica utilità. Le disposizioni di cui al terzo e quarto periodo trovano applicazione nei limiti delle risorse disponibili per tale finalità a legislazione vigente». 162 oggetto di misure di prevenzione. La stessa legge 31 marzo 2010 n. 50, di conversione del d.l. n. 10 del 4 febbraio 2010, pure recependo talune indicazioni della Cassazione penale e civile in materia, lascia aperti, riteniamo, parecchi punti critici. La problematica della tutela dei terzi e dei rapporti tra esecuzione forzata civile, individuale o concorsuale, e misure di prevenzione è stata ampiamente 163 dibattuta in dottrina25 e in giurisprudenza, ed ha generato un ventaglio di opinioni, ricostruzioni, inquadramenti dogmatici, (proposte di) soluzioni applicative assolutamente variegato e contraddittorio. Alla contraddittorietà delle opinioni, come spesso avviene, corrisponde una incertezza di fondo nella legislazione; o, meglio sarebbe dire, nelle legislazioni, dal momento che le normative in materia di procedimento per confisca antimafia ex lege 575/1965 25 AGUGLIA, Misure patrimoniali antimafia ed oppressione dei creditori, in dir. fall., 1990, II, p. 613; AIELLO, La tutela civilistica dei terzi nel sistema della prevenzione patrimoniale antimafia, Milano, 2005, p. 1 ss; AJELLO, Le misure di prevenzione patrimoniali di cui alla legge 575/65 e la sorte dei diritti personali di godimento, in Foro it., I, 2002, p. 291; BONGIORNO, Misure di prevenzione e procedimenti concorsuali: gli ultimi sviluppi della giurisprudenza, Riv. cur. fall., 1999, p.19; ID., Tecniche di tutela dei creditori nel sistema della legge antimafia, in Riv. dir. proc., 1988, p.445; ID., Note a margine di una recente ordinanza in tema di effetti civili della confisca nel sistema della legge 646/1982, Fallimento, 1986, p.1136; ID., proposte per una urgente modifica delle norme sul sequestro e la confisca dei beni dell’imprenditore mafioso, Foro it., 1984, V, p.267; ID., L’espropriazione dei beni confiscati, Studi in onore di Carmine Punzi, Vol.1, Torino, 2008; CASSANO, Azioni esecutive su beni oggetto di sequestro antimafia e buone fede dei creditori, Fallimento, 2002, p.661; ID., Il fallimento dell’imprenditore mafioso: effettività della prevenzione patrimoniale e garanzia dei diritti dei terzi in buona fede, ivi, 1999, p.1354; COSTA, Il fallimento dell’imprenditore sottoposto a misure di prevenzione, in Dir. fall., 1996, I, p.10; FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell'aggiudicatario nell'espropriazione dei beni confiscati in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2008, p.493 ss.; GAITO, Sui rapporti tra fallimento e sequestro antimafia in funzione di confisca, in Riv. dir. proc., 1996, p.393; ID., Fallimento, sequestro in funzione di confisca e tutela dei terzi nella repressione del fenomeno mafioso, in Giur. it. 1985, II, p.397; GIALANELLA, Il punto su misure di prevenzione patrimoniali e tutela dei terzi: nuovi passi della lunga marcia verso un orizzonte di riforma, in Atti Convegno CSM 24-26 novembre 2003 su Le misure di prevenzione patrimoniali «Rosario Livatino»; GRIMALDI, Misure patrimoniali antimafia e tutela dei creditori, in Dir. fall., 2001, II, p.1066; INZERILLO, La tutela dei terzi nelle misure di prevenzione patrimoniali, in Giur. it., 1999, p.1712; LO CASCIO, Misure di prevenzione antimafia: lo stato attuale dell’interpretazione normativa, in Fallimento, 1998, p. 437; ID., Ancora sulla illegittimità costituzionale della normativa antimafia, ivi, 1995, p. 583; MAISANO, Misure patrimoniali antimafia e tutela dei creditori, in Giur. comm., 1986, II, p. 889; ID., Profili commercialistici della nuova legge antimafia, in Rivista diritto penale, 1984, p.430; MANGANO, La confisca nella legge Rognoni-La Torre ed i diritti dei terzi, in Dir. fall., 1988, I, p.684; MOLINARI, Tutela del terzo creditore di un diritto reale di garanzia nel procedimento di prevenzione con riferimento al sequestro e alla confisca antimafia, in Cass. pen., 2000, p. 2771 ss.; MONTELEONE, Effetti ultra partes delle misure patrimoniali antimafia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 574; NORELLI, Misure patrimoniali antimafia, tutela esecutiva dei creditori e fallimento, in AA.VV., Imprenditori anomali e fallimento, Padova, 1997, p. 343; RAGUSA MAGGIORE, Confisca penale di beni dei mafiosi e tutela dei terzi, in Diritto fallimentare, 1994, II, p.869; L.A.RUSSO, La sorte delle imprese sottoposte al sequestro secondo la legge n. 646/1982: un singolare intervento regionale, in Fallimento, 1986, p.485; ID., La gestione dei patrimoni sequestrati e la tutela dei terzi nel sistema della legge n.646/1982, in Fallimento, 1985, p. 1008; ID., Confisca antimafia e tutela dei terzi: un importante revirement della cassazione che smentisce i giudici di merito, in Dir. fall., 2004, p.1; RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca antimafia in Rivista dell'esecuzione forzata, 2-3/2008, p. 584 ss; TORRE, Confisca ex legge Rognoni-La Torre e tutela dei diritti dei terzi, in Dir. fall., 1989, I, p. 404. 164 ed esecuzione forzata civile più che essere scarsamente coordinate tra loro, paiono ignorarsi reciprocamente26 . Sintomatica, del resto, di tale caos normativo è la totale incoerenza e contraddittorietà della giurisprudenza, che tra posizioni di principio, levate di scudi tra opposte fazioni e scuole di pensiero civilistiche e penalistiche, veri e propri misunderstanding interpretativi ha affermato letteralmente ogni cosa e il suo contrario27. Volendo Individuare un'origine comune delle cose, è consuetudine fare riferimento alla ben nota decisione delle sezioni unite penali n. 9 del 1999, sentenza pronunciata – è bene ricordarlo – in tema di reato di usura e di pegno (e dunque in pendenza di un tipo di esecuzione forzata nella quale ridotta al minimo è la presenza del giudice dell'esecuzione e che è caratterizzata dal diritto di ritenzione – che connota la garanzia – e dalla vendita in autotutela, che caratterizza il momento satisfattivo dell'esecuzione medesima 28) su titoli. Anteriormente a questa data la giurisprudenza penale della Suprema Corte aveva comunemente affermato che la confisca incontra il limite costituito dall'appartenenza dei beni a soggetti estranei al reato, dei quali il reo non abbia la disponibilità diretta o per interposta persona. Si riteneva, in particolare, che la presunzione di pericolosità che giustifica la confisca inerisce non alla cosa in sé, ma alla relazione in cui essa si trova con il criminale, sicché, qualora il diritto di quest'ultimo fosse stato ridotto o compresso dai diritti che terzi possono vantare sulla cosa, per realizzare il fine specifico della misura di sicurezza sarebbe stato sufficiente privarlo dei residui diritti che egli ha sul bene confiscato, senza necessità di sacrificare anche i diritti che sulla cosa hanno i terzi, «la cui tutela, oltre che in un generale precetto dell'ordinamento giuridico, trova, dunque, una particolare 26 RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca antimafia, cit. ibidem. 27 Per una disamina cfr. RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca antimafia, cit. ibidem. 28 Aspetti, che le Sezioni unite tennero ben presenti per formulare la soluzione ermeneutica. 165 giustificazione nella inutilità del sacrificio dei loro diritti per il perseguimento dei fini propri della confisca» 29. Di analoga opinione la giurisprudenza civile, che in materia di confisca amministrativa, aveva sempre ritenuto che la confisca non potesse sacrificare i diritti reali costituiti da terzi sulla cosa30. La richiamata sentenza n.9/1999 delle sezioni unite penali creò una discontinuità con gli orientamenti precedenti; in particolare la Corte, dopo avere ribadito il carattere derivativo e non originario dell'acquisto da parte dello Stato a seguito della confisca 31, affermava che essa non è idonea ad intaccare i diritti reali di godimento o garanzia vantati da terzi, ma solo a condizione che essi fossero da considerare estranei al reato32. Sul concetto di 29 Così Cass. pen. 20 dicembre 1962, Stringari; conf. Cass., sez. un. pen., 18 maggio 1994, Comit Leasing s.p.a. in proc. Longarini; Cass. pen. 15 maggio 1992, Tosarelli; Cass. pen. 8 luglio 1991, Mendella; Cass. pen. 30 novembre 1978, Giorgi; Cass. pen. 9 ottobre 1970, Cassa Risparmio di Roma; Lo stesso principio era stato affermato, rispetto alla confisca prevista dall'art. 12-sexies del d. l. n. 306/92, con riferimento all'ipoteca iscritta sull'immobile confiscato, da Cass. pen. 10 giugno 1994, Moriggi; e, per la confisca ex art. 240 c.p., con riguardo al privilegio automobilistico di cui al r.d. 15 marzo 1927, n. 436 da Cass. pen. 7 marzo 1985. 30 Cass. sez. un. 30 maggio 1989, n. 2635; Cass. 17 dicembre 1987, n. 9399; Cass. 20 febbraio 1978, n. 811; Cass. 30 maggio 1967, n. 1207. Deve, dunque, riconoscersi che la giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, era consolidata nel senso che nessuna forma di confisca potesse determinare l'estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, in puntuale sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito. La Corte pone l'accento sulla circostanza che lo Stato – comunque - non può legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la titolarità. Tali notazioni trovano inequivoca conferma – sempre a detta della Suprema Corte nella funzione della confisca, la cui causa giuridica non è costituita dall'acquisizione del bene al patrimonio dello Stato, con il sacrificio dei diritti dei terzi, ma è identificabile, invece, nell'esigenza, tipicamente preventiva, di interrompere la relazione del bene stesso con l'autore del reato e di sottrarlo alla sfera di disponibilità di quest'ultimo. Va riconosciuto, pertanto, che l'acquisizione del bene allo Stato è una conseguenza della sottrazione, non già l'obiettivo della confisca, il cui "fine primario e immediato è la spoliazione del reo nei diritti che egli ha sulla cosa (…) e l'acquisto di tali diritti da parte dello Stato costituisce soltanto una conseguenza necessaria di tale spoliazione" (Cass. sez. un. pen. 8 giugno 1999 n.9; conf., tra le precedenti, Cass. pen. 20 dicembre 1962, Stringari). 31 32 Sul concetto di estraneità, la Corte, dopo una rapida rassegna degli orientamenti in materia, fornisce una definizione a contrario dell'estraneità, concludendo che non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità, a meno che egli non versasse in buona fede, id est che non conoscesse o che - con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta- non fosse in grado di conoscere «il predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato». 166 estraneità la Corte formulava, innanzitutto, una definizione sul piano oggettivo, affermando che può considerarsi estranea al reato la posizione soggettiva in capo al terzo (diritto reale di godimento, di garanzia) che non abbia alcun rapporto di derivazione dal reato commesso dal condannato. A questo punto introduceva, però, un temperamento di tipo soggettivo a tale nozione di estraneità. Affermava, in particolare, che anche in presenza della derivazione di un vantaggio dall'altrui attività criminosa, il terzo sarebbe stato da considerare estraneo al reato, se in buona fede. Buona fede che, a detta della Corte, era identificabile nella non conoscibilità – in capo al terzo e con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato. Precisava, infine, che incombe sui terzi l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, e dunque l'esistenza di un titolo documentato da un atto di data certa anteriore al sequestro, come pure la loro buona fede, id est alla mancanza di collegamento del proprio diritto con l'altrui condotta delittuosa o, nell'ipotesi in cui un simile nesso fosse invece configurabile, all'affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l'ignoranza o il difetto di diligenza. Le sezioni unite affermavano, inoltre, che sarebbe spettato, appunto, al giudice penale assicurare l’intera tutela al creditore munito di diritto reale di garanzia33. Con la sopra richiamata decisione delle sezioni unite, la tutelabilità del diritto del terzo titolare di un diritto reale di garanzia o godimento veniva, dunque, veniva subordinata non solo alla sussistenza di un elemento oggettivo, quale l'anteriorità della trascrizione, ma anche ad uno soggettivo, id est: l'accertamento della sua buona fede. A partire dalla sentenza delle Sezioni unite del 1999, ed in particolare a seguito dell'affermazione della tutela del terzo creditore ipotecario solo se in buona fede, la giurisprudenza di merito incominciava a porsi il problema delle sorti delle eventuali esecuzioni forzate, con pignoramento trascritto anteriormente al sequestro. 33 La fattispecie in esame – va nuovamente ribadito – riguardava però un'ipotesi di pegno su titoli, e dunque era pressoché inesistente la figura del giudice civile. 167 Dopo alcune pronunzie iniziali, nelle quali cui si era arrivati ad affermare la totale improseguibilità dell'esecuzione forzata 34 la giurisprudenza di merito giunse ad elaborare un meccanismo piuttosto articolato; meccanismo che ha retto, in linea di principio, fino ad oggi. In sintesi se, nel corso dell'esecuzione forzata, emerge l'esistenza di un provvedimento di sequestro, all'amministratore giudiziario debbono essere notificati gli avvisi. L'amministratore, informato dell'esistenza di una procedura esecutiva, ha facoltà di proporre opposizione all'esecuzione (il discrimine tra opposizione ex art. 615 e 619 c.p.c. viene individuato nel fatto che, se è già intervenuta la confisca l'amministratore giudiziario è «terzo», in quanto agisce in nome e per conto dell'Agenzia delle Entrate, divenuto proprietario dei beni, mentre in caso contrario agisce come amministratore dei beni – e dunque rappresentante - del debitore). Nella fase c.d. cautelare, davanti al giudice dell'esecuzione, la procedura va sospesa, finché il terzo non abbia fatto accertare in sede penale, attraverso lo strumento dell'incidente di esecuzione, la sua «buona fede», fermo restando che, una volta accertata la buona fede del terzo, l'esecuzione potrà senz'altro proseguire e la vendita sarà (almeno nelle intenzioni dei tribunali) opponibile all'Erario35. Si accantonino, in questa sede 36, le problematiche connesse alla buona fede: su cosa essa sia e su quale sia la sede idonea - se il giudizio di opposizione all’esecuzione civile, ovvero il procedimento penale - e ci si soffermi un momento sulle sorti della procedura esecutiva civile «sospesa». Una prima riflessione merita il fatto che l'opposizione proposta dall'Amministrazione giudiziaria viene, solitamente, rigettata nel merito, e ciò – si badi bene – nonostante si sia ribadita la necessità che il giudice dell'esecuzione, nella fase del c.d. merito cautelare, disponga la sospensione dell'esecuzione. 34 Trib. Palermo, 23 giugno 2001, in Fallimento, 2002, p. 659; con nota di CASSANO, Azioni esecutive su beni oggetto di sequestro antimafia e buone fede dei creditori, cit., ibidem. 35 V. Trib. Palermo, 4 febbraio 2008, n. 424 in Rivista dell'esecuzione forzata, 2-3/2008, p. 584 ss con nota di RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca antimafia. 36 Si rinvia ancora a RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca antimafia, cit., ibidem. 168 L'apparente contraddittorietà delle decisioni (da un lato si subordina la sospensione del giudizio al fatto storico della proposizione dell'opposizione da parte dell'amministratore, dall'altro, però, si rigetta l'opposizione medesima senza revocare in alcun modo la statuizione di sospensione a suo tempo adottata) si spiega, probabilmente, con un duplice ordine di ragioni. In primo luogo pare che si voglia evitare ogni automatismo della sospensione (che ben potrebbe essere disposta anche ex officio qualora nel corso dell'esecuzione venisse rilevata l'esistenza della confisca), che provocherebbe un non sempre necessario aggravamento dei tempi della procedura esecutiva, ed al tempo stesso una eccessiva compressione dei diritti dei creditori procedenti e intervenuti nell'esecuzione. Si rimette, insomma, all'amministratore giudiziario la scelta se accettare la possibilità che il bene venga venduto all'incanto, anche in assenza di un preventivo controllo sulla buona fede dei creditori ipotecari e/o pignoranti, ovvero se opporsi a tale possibilità e richiedere che il controllo sulla buona fede dei terzi venga eseguito in sede penale. In tale seconda ipotesi l'amministratore giudiziario dovrà proporre opposizione all'esecuzione per ottenere la sospensione della procedura medesima. L'esigenza e la logica pratiche alla base di questo orientamento sono evidenti: premesso che l'amministratore giudiziario deve essere messo nelle condizioni di conoscere l'esistenza della procedura esecutiva (ed infatti, nella prassi, viene sovente ordinato che gli vengano comunicati e/o notificati gli avvisi e gli atti del procedimento) e deve – dunque – essere posto in condizione di richiedere l'accertamento della buona fede dei terzi, la sua eventuale successiva inerzia non può che essere letta come un assenso tacito alla prosecuzione del procedimento esecutivo. L'amministratore, del resto, potrebbe essere già consapevole dello stato soggettivo di buona fede dei creditori procedenti (in ipotesi, l'autorizzazione a proporre l'opposizione potrebbe essere stato perfino negato dal giudice penale); di tal che potrebbe non ritenere necessario un inutile appesantimento della procedura di confisca (che verrebbe gravata degli incidenti di esecuzione), come di quella di esecuzione civile (che subirebbe un inutile arresto, nelle more che venga accertata – in sede penale – la buona fede dei terzi). 169 L'interpretazione giurisprudenziale, però, non sembra ben coordinata con il testo dell'art. 624 c.p.c., come novellato nel 2005-2006 e nel 2009. La norma di cui si discorre, come si è visto nei precedenti capitoli, prevede che, proprio per l’ipotesi di sospensione disposta a seguito dell’opposizione, l’esecuzione dovrebbe estinguersi (nel caso di stabilizzazione del provvedimento di sospensione e di mancata introduzione del giudizio di merito). Non vi è chi non veda le conseguenze devastanti – e francamente eccessive – per i creditori procedenti, ipotecari e non. Ci si domanda, francamente, come si muoveranno i tribunali nell'ipotesi in cui nessuno abbia introdotto il giudizio di merito e l'amministratore giudiziario depositi, invece, istanza di estinzione ex art. 624 c.p.c. Forse sarebbe più ragionevole rinunciare a far ricorso agli schemi dell'opposizione all'esecuzione forzata, e consentire – invece – all'amministratore giudiziario di depositare una semplice istanza diretta a far sospendere il processo esecutivo 37. Un'alternativa potrebbe essere quella di adoperare l'art. 295 c.p.c. Ma, per come si è detto, né il dato normativo, né l’analisi delle due fattispecie di sospensione (del processo di cognizione e del processo esecutivo) autorizzano tale soluzione. Ad ogni modo l'esistenza di un accertamento ritenuto – almeno secondo la giurisprudenza – pregiudiziale alla proseguibilità dell'esecuzione forzata, può rientrare tra i «gravi motivi» richiesti dagli artt. 615 e 624 c.p.c. Tale soluzione, però, riporta immancabilmente la fattispecie sotto le forche caudine dell’art. 624 c.p.c. Se le parti non introducono il giudizio di merito, dopo la sospensione dell’esecuzione, il processo esecutivo potrà essere dichiarato estinto. Per quanto concerne, di contro, i creditori pignoranti non privilegiati, questi avrebbero perduto ogni tutela, dal momento che sarebbe loro precluso far valere ogni ragione in sede di misure di prevenzione, mentre dovrebbero subire comunque le conseguenze della sottoposizione del bene a sequestro. 37 Contra: Cass. civ. n. 14361 del 19 giugno 2009. 170 Una volta, allora, sospesa l’esecuzione, il creditore ipotecario - secondo il percorso interpretativo fin qui tracciato dalla giurisprudenza di merito - dovrà fare accertare la propria buona fede in sede penale, attraverso lo strumento dell’incidente di esecuzione. Ottenuto tale accertamento, potrà far proseguire il processo esecutivo sospeso, sulla base di una semplice istanza. L’esecuzione, dunque, procederà per il suo binario, fino alla vendita del bene (opponibile, dunque, all’erario). A questo punto sorge, però, un’ulteriore complicazione. Se la giurisprudenza di merito, infatti, ha delineato in questo decennio i contorni - invero assai poco nitidi - di una sospensione dell’esecuzione, sempre a partire dalla decisione delle sezioni unite n. 9/1999, le sezioni penali e civili della Cassazione hanno intrapreso percorsi ermeneutici sotto certi aspetti assai diversi. I giudici penali, innanzitutto, hanno affermato che il bene oggetto di misure di prevenzione, a seguito dell’avvenuta confisca, viene assoggettato ad un regime patrimoniale assimilabile a quello del patrimonio indisponibile, di modo che esso, neppure a seguito di esecuzione forzata civile, può essere sottratto a tale vincolo di destinazione 38. La Cassazione civile, per contro, con una prima pronuncia del 2003 39 aveva affermato che «il provvedimento di confisca pronunciato ai sensi dell'art.2 ter della legge 575/1965 nei confronti di un indiziato di appartenenza a consorteria mafiosa, camorristica o similare, non può pregiudicare i diritti reali di garanzia costituiti sui beni oggetto del provvedimento ablativo, in epoca anteriore all'instaurazione del procedimento di prevenzione, in favore di terzi estranei ai fatti che abbiano dato luogo al procedimento medesimo, senza che possa farsi distinzione in punto di competenza del giudice adito, tra giudice penale e giudice civile, essendo il diritto reale limitato "de quo" un diritto che si estingue per le sole cause indicate dall'art.2878 c.c.». 38 Cass. pen. 21 marzo 2003, n. 13081; Cass. pen. 31 marzo 2005; Cass. pen. 12 aprile 2005; Cass. pen., 10 giugno 2005; Cass. pen. 30 marzo 2005. 39 Cass. 29 ottobre 2003, n. 16227, cit. 171 Nel 2007, poi, la Cassazione civile è tornata sull’argomento 40 affermando tre principi in apparente contraddizione tra loro. Nella motivazione – in uno dei suoi passaggi più oscuri - la Corte dapprima richiama, affermando di condividerla, la precedente statuizione della Cassazione civile n. 16227 del 29 ottobre 200341, che aveva escluso la applicabilità dell'incidente di esecuzione penale, per consentire al terzo creditore ipotecario di fare accertare la propria buona fede e l'anteriorità del proprio titolo rispetto al sequestro. Subito dopo, però, la Corte invoca e ritrascrive (affermando di condividere anch'essa) la decisione della Cassazione penale n. 12317 dell'11 febbraio 2005, che aveva affermato l'esatto contrario, id est che il terzo ove non fosse potuto intervenire nel procedimento per misure di prevenzione dovrebbe fare accertare in sede di esecuzione (penale: e dunque proprio attraverso l'incidente di esecuzione) «l'esistenza delle condizioni di permanente validità di detti diritti, costituite essenzialmente dall'anteriorità della trascrizione dei relativi titoli rispetto al provvedimento di sequestro cui ha fatto seguito la confisca e da una situazione soggettiva di buona fede»42. In ogni caso, quale che sia la sede deputata all’accertamento della buona fede: se il procedimento penale o il giudizio di opposizione civile, la Corte precisa comunque che gli aggiudicatari nella vendita forzata di un bene oggetto di sequestro (poco importa se trascritto anteriormente o successivamente al pignoramento) e successiva confisca conoscono o sono comunque «in grado di conoscere, l'esistenza del sequestro e della confisca di prevenzione, essendo stati tali provvedimenti trascritti sui pubblici registri immobiliari: di talché non può certamente profilarsi a loro favore una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole per il fatto di avere 40 FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell'aggiudicatario nell'espropriazione dei beni confiscati, cit., ibidem; RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca antimafia, cit. ibidem. 41 Cfr. L.A.RUSSO, Confisca antimafia e tutela dei terzi: un importante revirement della cassazione che smentisce i giudici di merito, cit., ibidem. 42 La motivazione della sentenza del 2007 è, sul punto, di così difficile interpretazione da fare sorgere il dubbio che la Corte abbia voluto proporre una interpretazione additiva di Cass. pen. 12317/2005, trasformando il concetto di esecuzione esposto dal Giudice penale (riferito, come detto, all'esecuzione penale) in concetto universale di esecuzione, comprensivo sia dell'esecuzione penale che di quella civile. 172 erroneamente ritenuto che il trasferimento dell'immobile non fosse pregiudicato dalla disposta confisca antimafia». L'affermazione di un siffatto principio pare aprire scenari ben più complessi ed articolati di quelli che ne sembra trarre la Corte. Innanzitutto il terzo, qualificato di «mala fede» per avere acquistato un bene sul quale era trascritto il vincolo di sequestro, non potrà evidentemente fare valere il proprio diritto nei confronti dell’Erario. Inoltre, per ciò che maggiormente rileva, la Corte aggiunge che comunque, anche qualora sia stata accertata, in sede di incidente di esecuzione o in sede civile, la buona fede del creditore procedente «rimane comunque esclusa la possibilità che i beni confiscati possano essere oggetto di espropriazione forzata immobiliare, atteso il loro avvenuto assoggettamento, in conseguenza della confisca, ad un regime assimilabile a quello dei beni facenti parte del demanio o del patrimonio indisponibile dello Stato, per cui il credito garantito di cui i terzi di buona fede sono portatori potrà essere fatto valere soltanto dinanzi al giudice civile con i residui mezzi di tutela offerti dalla legge»43. Anche a seguito di tale, non chiarissima, presa di posizione delle sezioni unite della Cassazione, comunque, i giudici di merito pare abbiano continuato a far sospendere le esecuzioni civili, nelle more che venga accertata la buona fede del creditore ipotecario, in sede di incidente di esecuzione penale. Ottenuto dal giudice penale il riconoscimento della buona fede il creditore potrà, finalmente, riassumere il processo sospeso. Solo che, per come si è visto e stando a quanto affermato dalla Cassazione civile e penale, non si ha alcuna garanzia che, anche una volta terminato l’iter sopra descritto, si addivenga ad una vendita forzata e ad una aggiudicazione opponibile all’Erario, stante l’avvenuto assoggettamento del bene ad un regime di indisponibilità (abbia carattere originario o derivato). 43 Cass.16 gennaio 2007, n.845, in Rivista dell'esecuzione forzata, 2-3/2008, p. 584 ss. con nota di RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca antimafia; e in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2008, p.493 con nota di FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell'aggiudicatario nell'espropriazione dei beni confiscati. 173 L’aggiudicatario, allora, dovrebbe fare ricorso ai «residui mezzi di tutela» offerti dalla legge, come affermato dalla Cassazione civile con la sentenza n. 845/2007 sopra citata, e dalla Cassazione penale, in precedenza44. Non è chiaro, a dire il vero, quali siano questi «residui mezzi di tutela». Tutto lascerebbe pensare alla possibilità di proporre azione di ingiustificato arricchimento o di repetitio indebiti contro l'Erario. Si osservi semplicemente che qualora si riconoscesse al creditore ipotecario il diritto di avere rimborsato il proprio credito dall'Erario, le conseguenze sarebbero paradossali: l'ipoteca originaria concessa dal mafioso verrebbe sostituita da una sorta di fideiussione statale, con la differenza che mentre con l'ipoteca, a seguito della vendita forzata, il soggetto potrebbe ben ricavare un importo inferiore al proprio credito (si pensi all'ipotesi di bene deteriorato, o in condizioni tali da essere difficilmente vendibile), dallo Stato avrebbe pagato sempre e comunque l'intero. Non pare che tale soluzione sia socialmente accettabile. Peraltro nessuna riforma o progetto di riforma paiono interessarsi delle sorti del creditore chirografario, che potrebbe avere portato avanti per anni un pignoramento immobiliare, e che dovrebbe - secondo l’interpretazione oggi dominante - subire in toto le conseguenze della confisca. Anche la soluzione introdotta dalla legge n. 50/2010, in sede di conversione del d.l. 10/2010 non pare risolvere i problemi, dal momento che, pur avendo inserito - al novellato testo dell’art. 2 ter comma 5 della legge n. 575/1965 una sorta di indennizzo statale per l’avvenuta destinazione del bene, da un lato lo subordina al consenso dell’Amministrazione interessata (nonostante, si ribadisce, il creditore sia già stato, in quella fase, riconosciuto come in buona fede), dall’altro ne subordinerà l’effettiva erogazione ai «limiti delle risorse disponibili per tale finalità a legislazione vigente». Il che pare, francamente, eccessivo: la tutela del terzo, al quale pure è stata riconosciuta la buona fede, viene subordinata e limitata sulla base della copertura finanziaria della legge. De iure condendo una soluzione ragionevole, senza discostarsi troppo dalla normativa vigente, dovrebbe seguire i seguenti criteri: - il sequestro (con la conseguente nomina dell'amministratore giudiziario) dovrebbe potere essere eseguito anche su un bene ipotecato (mentre gli altri diritti reali – quelli di 44 Cass. 16 gennaio 2007 n. del 16 gennaio 2007 cit.; Cass. pen. n. 12317 del 31 marzo 2005. 174 godimento – potrebbero continuare ad essere esercitati, purché non a carattere fittizio, sui beni confiscati); - una volta perfezionata la confisca, il relativo provvedimento dovrebbe essere comunicato al creditore ipotecario; - questi dovrebbe disporre, quindi, di un termine ragionevole per optare tra due soluzioni; ed in particolare per proseguire il proprio rapporto con il prevenuto, ottenendo la sostituzione del bene in garanzia con altro non sottoposto a vincoli, ovvero per risolvere ex lege il rapporto di credito garantito, e procedere quindi ad esecuzione forzata sul bene. In questo caso la confisca dovrebbe rimanere sospesa fino al perfezionamento della vendita forzata, ovvero dell'estinzione, per qualunque motivo, dell'esecuzione civile. Lo Stato, a questo punto potrebbe soddisfarsi sul residuo e/o invocare la disposizione di cui all'art. 2 ter comma 10 e d eseguire un nuovo sequestro su un eventuale altro bene, anche lecitamente acquisito dal mafioso. Ciò, naturalmente, fatta salva la regola generale che se l'ipoteca risulti fittizia, non potrà essere opponibile allo Stato 45. Una simile soluzione avrebbe, probabilmente, il pregio di non rivoluzionare eccessivamente l'attuale assetto normativo. Sarebbe, comunque, una soluzione pur sempre di c.d. second best, mentre – probabilmente – per conseguire l'ottimo paretiano occorrerebbe riscrivere da capo le regole oggi vigenti. In tal senso la soluzione ideale dovrebbe passare per l'introduzione di una procedura concorsuale di amministrazione straordinaria dei beni tutti del mafioso, analoga, sotto certi aspetti, all'amministrazione straordinaria della grande impresa in crisi. Una tal procedura dovrebbe prevedere il doppio controllo da parte del giudice penale, per quanto concerne l'accertamento dei presupposti per la sua dichiarazione e per l'accertamento delle condizioni soggettive per il soddisfacimento dei creditori (i.e.: carattere non fittizio del credito o del diritto reale e/o buona fede del creditore / titolare del diritto medesimo), e del giudice civile per quanto concerne la vera e propria amministrazione dei beni, la loro assegnazione ai fini di legge, ovvero la Dovrebbe, inoltre, essere previsto un meccanismo ragionevolmente rapido, per consentire al creditore ipotecario – qualora ne fosse sprovvisto – di munirsi di un titolo esecutivo. Ritengo che, in mancanza di soluzioni alternative, potrebbe essere invocata la tutela monitoria (con il correttivo, eventualmente, della provvisoria esecutorietà ex lege del l'emittendo decreto), ovvero il ricorso – ove praticabile – a un provvedimento ex art. 700 c.p.c., sempre che si riconosca a tale provvedimento, l'efficacia di titolo esecutivo. 45 175 liquidazione del patrimonio del mafioso ecc. La liquidazione e/o assegnazione dovrebbe riguardare l'intero patrimonio del mafioso, al quale potrebbero essere restituiti – solo al termine della procedura e solo dopo avere assegnato i beni di illecita provenienza e soddisfatti integralmente i creditori – gli eventuali beni residui. In caso di mafioso imprenditore, inoltre, dovrebbe essere regolata l'eventuale successione e/o concorso tra la procedura sopra descritta e l'eventuale fallimento. In ogni caso l'eventuale prevalenza dell'una o dell'altra procedura dipenderebbe dalla discrezionalità del legislatore, a seconda della finalità che il legislatore riterrà – nello specifico momento storico – prevalente. Resta fermo che il mafioso imprenditore, tornato – per così dire – in bonis dopo la chiusura della procedura, potrebbe essere sottoposto a falimento secondo le ordinarie regole. VII.4. La sospensione delle esecuzioni dei concessionari e l'estinzione dei crediti per confusione Un'ultima osservazione meritano due nuove norme aggiunte nel 2009 alla legge 575/1965, ed in particolare i commi 14 e 15 46. La prima delle due norme prevede una ipotesi di sospensione - questa volta tipica – di tutte le procedure esecutive, degli atti di pignoramento e dei provvedimenti cautelari in corso da parte di Equitalia S.p.A. o di altri concessionari di riscossione pubblica, nelle ipotesi di «sequestro di aziende o società disposto ai sensi della presente legge con nomina di un amministratore giudiziario». In questo caso, il rapporto tra esecuzione forzata e procedimento per misura di prevenzione viene risolto ex lege, in favore della seconda. L'esecuzione, proposta dal concessionario o da Equitalia, verrà, però, sospesa solo se ad essere sequestrata sia l'azienda o «la società». 46 I commi, introdotti con la legge 15 luglio 2009, n. 94, erano stati numerati inizialmente come 4 quinquies e 4 sexies. Sono stati mantenuti, sia pure previa rinumerazione dei commi, anche a seguito della modifica, in sede di conversione in legge del d.l. 10/2010, dell’art. 2 sexies citato (legge n. 50/2010). 176 Non è del tutto chiaro cosa avesse in mente il legislatore quando ha previsto l'ipotesi del sequestro di società 47. È certo però che la norma – sia pure nella sua non del tutto felice formulazione - sembra ispirata ad una finalità condivisibile, i.e. quella di dare un po' di respiro alle amministrazioni giudiziarie, fornendo loro una sorta di agevolazione fiscale. Agevolazione comprensibile, ove si consideri del difficile contesto in cui si vengono a trovare le società ex mafiose e neoamministrate che rischierebbero, altrimenti, il fallimento immediato 48. Ratio legis, in sintesi, sembra quella di evitare che l'impresa – non più mafiosa – finisca per schiacciata, per così dire, sotto il peso della legalità. La norma si chiude con la previsione – invero di non agevole comprensione – che, durante la sospensione dell'esecuzione, restano sospesi anche i relativi termini di prescrizione. Forse l'introduzione della sospensione di un termine quale quello prescrizionale che, a norma dell'art. 2943 c.c., è (già) interrotto dall'atto con il quale è stato iniziato un processo esecutivo, avrebbe meritato una maggiore ponderazione da parte del legislatore. Ad ogni modo pare che – almeno in linea teorica – la norma in esame potrebbe mantenere un limitato campo di applicazione nell'ipotesi in cui, nelle more o (più probabilmente) successivamente al decorso del periodo di sospensione, l'esecuzione forzata si estingua49. In tale caso, infatti, ai sensi dell'art. 2945 c.c. dovrebbe iniziare a decorrere un nuovo termine di prescrizione, a far data dall'atto interruttivo. La norma di cui si discorre, però, consentirebbe di far sospendere il (nuovo) termine di prescrizione, per tutto il periodo in cui l'esecuzione forzata è rimasta sospesa. 47 Non è chiaro se la norma possa essere riferita al sequestro del 100% del capitale sociale, ovvero della maggioranza delle quote, ovvero ancora al patrimonio sociale; a ben vedere non sembra potersi escludere neppure che il legislatore abbia voluto introdurre una nuova fattispecie di reato, e segnatamente il sequestro di persona... giuridica. 48 Si pensi, meramente a titolo di esempio: al venir meno degli introiti illeciti dell'impresa mafiosa; al venir meno di clientele e commesse correlate al carattere mafioso dell'impresa; all'impossibilità di avvalersi di lavoro nero; all'impossibilità di adottare condotte elusive o evasive degli oneri tributari e previdenziali. 49 L'ipotesi che pare più concreta è quella in cui la confisca sia stata revocata, l'esecuzione forzata sia quindi proseguita ma, successivamente, a seguito di opposizione all'esecuzione del debitore o di altra causa, sia stata dichiarata estinta. 177 La norma in esame colpisce anche i diritti dei terzi intervenuti (che subiscono gli effetti della sospensione); si tratta, però, di una soluzione tutto sommato accettabile, considerato che i terzi decidono liberamente di intervenire in un'esecuzione proposta da Equitalia, e sono, quindi, perfettamente in grado di valutare ogni rischio connesso alla loro istanza. Non è del tutto chiaro, però, che sorte abbia il pignoramento sospeso – e sopratutto il diritto dei terzi intervenuti - , una volta che la confisca sia divenuta definitiva. La formulazione della legge, infine, suggerisce una interpretazione restrittiva della norma, che non dovrebbe essere ritenuta applicabile a tutte quelle ipotesi in cui il concessionario o Equitalia siano semplicemente intervenuti nel processo esecutivo; e ciò anche nell'ipotesi in cui l'originario creditore procedente avesse rinunziato all'esecuzione forzata, e i singoli atti esecutivi fossero stati provocati proprio dal concessionario o da Equitalia medesimi. Altra novità introdotta con la legge n. 94 del 2009 è quella di cui al successivo comma 4 sexies dell'art. 2 sexies della legge 575/1965, a norma del quale nelle ipotesi «di confisca dei beni, aziende o società sequestrati» i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell'articolo 1253 del codice civile. Se è chiaro, in linea generale, cosa volesse dire il legislatore, un po' più complicata diventa l'esegesi delle due norme. La norma, innanzitutto, pare in stretta correlazione con la precedente disposizione di cui all'art. 4 quinquies, di cui si è detto. Il comma 4 sexies, però, menziona anche le ipotesi di confisca dei beni, ipotesi non prevista, invece, dal precedente comma. Escluso, dunque, che fra le due fattispecie vi sia identità – per così dire, di parti, petitum e causa petendi - deve però escludersi anche che esse siano in rapporto di continenza. Se il comma 4 quinquies, infatti, contrariamente al comma 4 sexies non prevede le ipotesi di confisca di «beni», la seconda disposizione limita il proprio campo di applicazione ai soli crediti erariali (che si estingueranno, giusta l'infelice previsione di cui al comma 4 sexies dell'art. 2 ter), laddove le esecuzioni proposte dai concessionari (sospese ai sensi del comma 4 quinquies) potrebbero avere ad oggetto anche crediti di enti locali 178 (emblematico il caso delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada) o comunque di altri soggetti distinti dallo Stato. Si pone, allora, il problema della sorte delle esecuzioni forzate proposte dai concessionari, per quanto concerne i crediti non erariali. Tutto lascia presumere che le procedure esecutive, comunque, potranno proseguire solo in caso di revoca della misura di prevenzione, mentre non potranno utilmente essere proseguite, una volta perfezionato l'iter della confisca e aggiudicato il bene ai sensi della legge 575/196550. Analogamente deve, a contrario, concludersi che non dovranno essere sospese le esecuzioni forzate, anche se proposte dai concessionari per la riscossione, aventi ad oggetto, però, non aziende o «società», ma semplicemente «beni» del mafioso 51. La previsione in esame, a ben vedere, potrebbe costituire un argomento, per così dire, tranchant contro la tesi della sospensione generalizzata delle esecuzioni forzate in pendenza di sequestro – confisca. Se la legge – si potrebbe dire – prevede la sospensione per le sole esecuzioni forzate proposte dai concessionari, deve dedursi, a contrario, che non vi è alcuna sospensione per tutte le altre esecuzioni, id est: per quelle, sempre proposte dai concessionari, ma non aventi ad oggetto «aziende o società», e per quelle ulteriori proposte da soggetti diversi dai concessionari medesimi. Tale obiezione sarebbe, però, superabile sul rilievo che la sospensione ex art. 2 sexies comma 4 quinquies opererebbe ex lege e per il solo fatto che è stato disposto un sequestro, mentre la sospensione di matrice giurisprudenziale troverebbe origine, pur sempre, nell'art. 624 c.p.c. e nel fatto che è stata proposta opposizione all'esecuzione, da parte dell'amministratore giudiziario. Si rinvia, sul punto, a quanto detto supra. 50 Anche l'ente locale, dunque, avrebbe diritto ai residui strumenti di tutela offerti dalla legge, menzionati da Cass.16 gennaio 2007 n. 845 cit., e da Cass. pen. n. 12317 del 31 marzo 2005. 51 La soluzione è – tutto sommato – logica, ove si consideri che ratio della sospensione è, come detto, quella di tutelare l'azienda (e, conseguentemente, i rapporti di lavoro etc.) sottoposta ad amministrazione giudiziaria; sicché non avrebbe alcuna giustificazione la sospensione di una esecuzione forzata, relativamente a semplici beni, non afferenti un'azienda. 179 Il vero dubbio che suscita la norma in esame, invece, attiene proprio sulla opportunità di una estinzione per confusione dei crediti erariali vantati nei confronti del mafioso. Premesso, infatti, che ad essere debitore è il mafioso, e non – evidentemente – il bene, la norma in esame conduce a conseguenze inaccettabili dal punto di vista sociale. Innanzitutto la norma non può che riguardare il caso di confisca di tutti indistintamente i beni del mafioso, e non solo taluni di essi. In caso contrario, infatti, non si comprenderebbe perché il credito dell'erario dovrebbe estinguersi per confusione, anziché essere fatto valere attraverso l'escussione di altri beni, rimasti nella disponibilità del prevenuto. Addirittura la norma finirebbe per agevolare il mafioso, che beneficerebbe di un inatteso bonus fiscale. Per gli stessi motivi l'estinzione dovrebbe verificarsi solo fino a concorrenza con il valore del bene. Non pare proprio accettabile che un credito di diversi milioni di euro possa estinguersi per confusione, nel caso di confisca, ad esempio, di una baracca di legno e lamiera. Solo che – in assenza di criteri normativamente predeterminati – è prevedibile che la norma provocherà un non indifferente contenzioso, in ordine al valore del bene, ed ai criteri per determinarlo (valore venale, valore di stima, valore catastale). Anche adottando le soprarichiamate cautele ermeneutiche, però, la previsione non risulta ugualmente felice. L'estinzione del credito erariale per confusione, infatti, sembra comportare che lo Stato perderà definitivamente il proprio credito nei confronti del mafioso; e ciò anche qualora, dopo la confisca, il mafioso conseguisse lecitamente un bene o una somma di denaro (si pensi all'ipotesi del mafioso che vinca al superenalotto, ovvero che riceva semplicemente in eredità un bene). Lo scopo voluto dalla norma si sarebbe potuto raggiungere con maggiore razionalità ed efficacia, prevedendo semplicemente l'improponibilità delle esecuzioni per crediti erariali sui beni oggetto di misure di prevenzione, lasciando così salva, per l'Erario la possibilità di soddisfarsi sugli eventuali beni sopravvenuti del mafioso, successivamente alla chiusura delle confische. 180 La disposizione, del tutto inopinatamente, offre al mafioso un inatteso quanto socialmente inaccettabile condono fiscale, che dovrebbe essere il più rapidamente possibile eliminato dal legislatore. 181 VIII. I «reclami» dell’esecuzione. avverso i provvedimenti di sospensione VIII.1. Sul concetto di reclamo e sul suo utilizzo (ipertrofico) nella legislazione vigente. Il concetto e la natura del «reclamo» hanno subito una innegabile evoluzione nei circa settant’anni di vita del codice di rito. Nella sua originaria impostazione il codice di procedura prevedeva lo strumento del reclamo, essenzialmente, in due ipotesi. La prima era quella del reclamo avverso talune ordinanze: si trattava, in particolare, di quei provvedimenti che – pur se emessi nell'ambito di un procedimento la cui cognizione era riservata, nel suo complesso, ad un giudice collegiale – erano pronunziati dall'istruttore. Si pensi, e.g., al reclamo al collegio, previsto in fase di appello, nel codice di rito fino alla riforma del 1990, avverso il provvedimento dell'istruttore (o del presidente del collegio) che aveva deciso sull'inibitoria ex artt. 351-357 c.p.c.1. Una siffatta specie di reclamo, dunque, non costituiva un mezzo di impugnazione in senso proprio; esso era piuttosto lo strumento con il quale si richiedeva un controllo, da parte dell'organo (collegiale) demandato della decisione della causa, sui provvedimenti adottati dal suo componente2. Con la proposizione del reclamo – in un certo senso – il giudice collegiale si riappropriava di una sua potestà demandata provvisoriamente a un suo componente e ribadiva il principio della collegialità della trattazione della 1 Si rinvia a RUSSO, L'Inibitoria processuale e la sua reclamabilità: problemi vecchi (e nuovi?) in un travaglio normativo di quasi settant'anni, in Il giusto processo civile, 2009, p 601 ss.; RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce la procedura prefallimentare, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 124 ss. 2 Ciò si deduce dalla stretta connessione tra il reclamo di cui alla norma in esame e il generale potere di controllo del collegio disciplinato dal primo comma dell'art. 178 c.p.c. (testualmente: «le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio quando la causa è rimessa a questo a norma dell'art.189»). Esso, almeno nell'impianto codicistico del 1950, costituiva piuttosto una estrinsecazione di quel principio di collegialità «spuria» prescelto dal legislatore del 1940, a norma del quale la decisione della causa avrebbe dovuto essere collegiale, mentre determinate attività sarebbero state demandate ad un istruttore. Per un esame compiuto sull'evoluzione del rito ordinario di cognizione dal codice del 1865 ai giorni nostri cfr. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, V ed., vol. II, Padova, 2009, p. 335 ss. 182 causa, principio solo prima facie derogato dall'introduzione della figura dell'istruttore3. Il reclamo era, poi, previsto come rimedio generale, giusta l'art. 739 c.p.c., per i provvedimenti di giurisdizione volontaria. Nell'ambito, dunque, di quei procedimenti a carattere non contenzioso, in relazione ai quali il concetto di impugnazione in senso proprio sarebbe stato non perfettamente adattabile (se non proprio concettualmente errato). Dunque, in linea di principio, il reclamo non era uno strumento di impugnazione, succedaneo dell’appello e distinto da esso per quanto concerne il rito e la forma, ma un istituto assai diverso sul piano sostanziale: un mezzo diretto ad ottenere un riesame di un provvedimento ordinatorio e comunque non decisorio. Sia nell'uno che nell'altro caso, quindi, esulava – probabilmente – dal concetto di impugnazione in senso stretto. La coerenza della scelta del legislatore è stata messa in crisi da un certo disordine legislativo, che ha caratterizzato gli oltre sessant'anni di vita del codice, e da un utilizzo ipertrofico del mezzo del reclamo, probabilmente sviato dall’originario impianto concettuale. Che poi tale sviamento sia da imputare ad una certa - absit iniuria verbis - superficialità del legislatore nel richiamare ed utilizzare istituti in ambiti nuovi, o sia piuttosto la naturale evoluzione darwiniana, di una specie giuridica, è questione che non rileva ai fini della presente indagine. Ciò che qui interessa è prendere atto che l’attuale «reclamo» (recte: gli attuali «reclami») paiono spesso discostarsi da tale modello dogmatico, che pertanto, come ogni modello che si rispetti, una volta che viene smentito (o, a seconda dei punti di vista, superato) dalla prassi, deve essere anch’esso oggetto di revisione. Il codice di rito infatti – nel testo oggi vigente a seguito delle numerose novelle che si sono succedute nei suoi circa settant'anni di vita - menziona 3 In dottrina si veda la definizione di SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, XII ed., Padova, 1996, p. 357 secondo cui, con specifico riferimento al reclamo avverso le ordinanze istruttorie, introdotto con la legge 581/1950 e successivamente abolito con la legge 353/1990, si verificava «un vero e proprio trasferimento dell'istruttoria, per quel dato atto, al collegio». Anche da un punto di vista etimologico, del resto, la parola reclamo fa pensare non tanto ad una impugnazione in senso proprio, ma piuttosto a una richiesta di revisione, da riproporsi al medesimo organo che ha emesso il provvedimento reclamato: dal latino reclamare: protestare, opporre, obiettare, opporsi gridando. 183 l'istituto del reclamo in venticinque articoli4 ; a queste disposizioni vanno ad aggiungersi le ulteriori ipotesi di reclamo disciplinate dalle leggi speciali 4 Si tratta degli artt. 91, 177, 178, 179, 308, 534 ter, 591 ter, 624, 630, 669 decies, 669 terdecies, 703, 708, 720 bis, 736 bis, 739, 740, 741, 747, 749, 750, 778, 779, 814, 825 c.p.c. Le ipotesi di reclamo previste dal codice di procedura civile sono, rispettivamente, i reclami – decisi nella forma delle correzioni di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. - contro i provvedimenti di liquidazione delle spese effettuati dal cancelliere e dall'ufficiale giudiziario (art. 91); il reclamo avverso il provvedimento del giudice istruttore che dichiara l'estinzione del giudizio (art.178 ed art. 308); il reclamo avverso l'ordinanza di condanna al pagamento di pene pecuniarie (art.179); il reclamo – abolito a seguito della novella del 1990 – avverso le ordinanze dell'istruttore in grado di appello (art. 357); il reclamo avverso il decreto del giudice dell'esecuzione in caso di difficoltà nelle operazioni di vendita (art. 534 ter e art.591 ter); il reclamo avverso gli atti del professionista delegato (art. 534 ter e art.591 ter); il reclamo avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che provvede sull'istanza di sospensione del processo esecutivo in caso di opposizione all'esecuzione (art.624); il reclamo avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che sospende la distribuzione della somma ricavata (art.624 ed art. 512); il reclamo avverso l'ordinanza che dichiara o rigetta l'estinzione del processo esecutivo per inattività delle parti (art.630); il reclamo contro le ordinanze che concedono o negano provvedimenti cautelari (art. 669 terdecies); il reclamo avverso l'ordinanza che accoglie o respinge la domanda di spoglio e di manutenzione nel possesso (art. 703); il reclamo avverso i provvedimenti presidenziali nel procedimento di separazione personale dei coniugi (art.708); il reclamo avverso il decreto del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno (art. 720 bis); il reclamo avverso il decreto del giudice che adotta, rigetta, modifica, conferma revoca l'ordine di protezione contro gli abusi familiari (art. 736 bis); il reclamo contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio (art. 739); il reclamo del pubblico ministero contro i decreti del giudice tutelare e del tribunale (art. 740); il reclamo avverso il decreto del tribunale di autorizzazione alla vendita di beni ereditari (art. 747); il reclamo avverso l'ordinanza del giudice che decide sulla fissazione di un termine , sempre in materia di successioni (art. 749); il reclamo avverso il provvedimento del presidente del tribunale che impone una cauzione e avverso il provvedimenti relativi agli esecutori testamentari (art. 750); il reclamo contro lo stato di graduazione (art. 778); il reclamo avverso l'ordinanza del presidente del tribunale che determina l'ammontare delle spese e dell'onorario (art. 814); il reclamo avverso il decreto che nega o concede l'esecutorietà del lodo arbitrale (art. 825). 184 (prime fra tutti la legge fallimentare5 e la legge, ormai abrogata, sul rito societario 6). Al riguardo si è detto7 che nelle linee guida delle recenti riforme, già attuate o incipienti, è dato ravvisare una tendenza alla «sommarizzazione» dei riti, nella convinzione, probabilmente, che il modello del processo di cognizione ordinario non sia in grado di assicurare una definizione del giudizio in tempi ragionevoli. Questa tendenza ha portato il legislatore da un lato ad attribuire una maggiore «persistenza» agli effetti, ad esempio, dei provvedimenti cautelari anticipatori (oggi svincolati dalla necessaria proposizione del giudizio di merito), dall'altro ad applicare le regole del procedimento camerale – Approvata con RD n.267 del 16 marzo 1942 e successive modifiche. si tratta, segnatamente: del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento (art.18; art. 147 per quanto concerne il fallimento delle società e l'estensione ai soci illimitatamente responsabili); del reclamo avverso il decreto che respinge il ricorso per dichiarazione di fallimento (art. 22 (art.18; art. 147 per quanto concerne la domanda di fallimento delle società e l'estensione ai soci illimitatamente responsabili); dei reclami avverso i provvedimenti del giudice delegato e del tribunale fallimentare (artt.23, 25, 26); del reclamo avverso gli atti del curatore e del comitato dei creditori (art. 36); del reclamo avverso il provvedimento di revoca del curatore (art. 37); del reclamo avverso il decreto del tribunale fallimentare in caso previsione di insufficiente realizzo (art. 102); del reclamo contro il progetto di riparto (artt. 110 e 36); del reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento (artt.119 e 26; art. 153 per l'ipotesi di fallimento del socio); del reclamo avverso la sentenza che dichiara la riapertura del fallimento (art. 121); della richiesta di omologazione del concordato fallimentare e della relativa opposizione (che si propongono, giusto il disposto dell'art. 129, nelle forme del reclamo di cui all'art .26); del reclamo avverso il decreto di omologazione del concordato (art. 131); del reclamo avverso le sentenze che risolvono o annullano il concordato e riaprono la procedura di fallimento (artt.137, 138); del reclamo avverso il decreto di esdebitazione (art. 143); del reclamo avverso i decreti del giudice delegato nel concordato preventivo (art. 164); del reclamo avverso la sentenza che dichiara il fallimento in caso di revoca dell'ammissione al concordato preventivo (art. 173); del reclamo avverso il decreto del tribunale che decide sull'omologazione degli accordi di ristrutturazione (art.182 bis); del reclamo avverso il decreto che decide sull'omologazione e avverso l'eventuale sentenza dichiarativa di fallimento, contestualmente pronunciata in caso di rigetto della proposta di concordato (art.183); del reclamo avverso la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza in caso di liquidazione coatta amministrativa o avverso il decreto che rigetta il relativo ricorso (art. 195). 5 6 Per quanto riguarda la legislazione speciale si rammentano le ipotesi di reclamo e le relative regole processuali nel c.d. rito societario introdotto con d.lgs. 5/2003, ed in particolare il reclamo avverso l'ordinanza del giudice relatore che dichiara l'estinzione del giudizio (art.12); il reclamo avverso l'ordinanza che decide sull'ammissibilità dell'intervento (art.14); il reclamo avverso i provvedimenti cautelari (art. 23); il reclamo avverso il decreto emesso in camera di consiglio (art.27). 7 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit. ibidem; RUSSO, L'inibitoria processuale e la sua reclamabilità., cit., ibidem. 185 originariamente concepito essenzialmente per procedimenti di giurisdizione c.d. volontaria – a giudizi in contraddittorio tra le parti ed a carattere marcatamente contenzioso 8. Non è questa, evidentemente, la sede per una disamina approfondita di tutte le ipotesi di reclamo oggi esistenti e per una indagine compita su quali reclami abbiano natura di mezzo di impugnazione 9 e quali, invece, questa natura non abbiano. Basti, al momento, osservare che il quadro complessivo della disciplina dell'istituto rappresenta un insieme non sempre organico di norme e fattispecie che da tali norme dovrebbero essere regolate. Nell'impianto concettuale del reclamo, ad oggi, è ravvisabile un'ambiguità di fondo; incertezza che si ripercuote, inevitabilmente, in oscillazioni interpretative su specifiche questioni finali. Per quel che qui rileva, è opportuno prendere atto che la soprarichiamata tendenza evolutiva del legislatore ha comportato uno sdoppiamento dell'istituto del reclamo: da un lato vi sono le ipotesi previste dall'art. 178 c.p.c. e dalle altre norme nelle quali esso costituisce esclusivamente (ancora) un mezzo di raccordo tra istruttore e collegio; dall'altro vi sono talune differenti fattispecie, in cui esso ha una indiscutibile funzione di mezzo di impugnazione10. Non hanno, per i motivi sopra esposti, natura di mezzo di impugnazione ad esempio le ipotesi di reclamo previste nel codice di rito dagli artt.178 e 308 (reclamo avverso l'ordinanza dell'istruttore che dichiara l'estinzione del giudizio); dall'abrogato art. 357, dall’art. 630 c.p.c. Tutte le soprarichiamate fattispecie sono caratterizzate dal fatto che il reclamo: a) ha ad oggetto un provvedimento non avente natura decisoria (ma, 8 Per un esame sull'evoluzione normativa v. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, cit., ibidem. 9 Per un esame specifico su talune nuove ipotesi di reclamo e sulla sua caratterizzazione come mezzo di impugnazione, sostitutivo dell'appello, cfr. RASCIO, Note sull'impiego del reclamo (in luogo dell'appello) come mezzo per impugnare le sentenze con devoluzione automatica piena, in Riv. dir. proc., 2008, p.955. 10 Cfr. RASCIO, Note sull'impiego del reclamo, cit. ibidem.. In giurisprudenza v., con riferimento al reclamo avverso i provvedimenti in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, Cass. 25.10.2000 n. 14022, in Giur. it. 2001, p.1366 con nota di SABATINI; in Famiglia e diritto 2001, 4, p. 393 con nota di CARRATTA. 186 appunto, un provvedimento ordinatorio 11) e comunque interinale, i cui effetti sono da considerare transitori, in attesa della definizione del giudizio: b) viene proposto davanti a un giudice che non è di grado superiore a quello che ha emesso il provvedimento, ma che ne costituisce, piuttosto, una differente composizione (rectius: che costituisce la composizione quando deciderà la causa). La giurisprudenza, sul punto, precisare che tali ipotesi di reclamo costituiscono, più impugnazione, uno strumento (abbia esso natura giurisdizionale), assimilabile alle opposizioni, diretto che l'organo avrà ha avuto modo di che un mezzo di amministrativa o ad impedire la definitività del provvedimento reclamato, sollecitandone il riesame da parte dello stesso organo che lo ha emesso 12. Non sembra avere natura di impugnazione neppure il reclamo previsto dall'art.179 (reclamo avverso l'ordinanza al pagamento a pene pecuniarie), che pare avere una natura amministrativa, più che giurisdizionale. Hanno, invece, probabilmente natura di mezzo di impugnazione le ipotesi di reclamo disciplinate dall'art. 669 terdecies c.p.c., i reclami avverso i provvedimenti camerali, qualora detti provvedimenti vertano su diritti soggettivi e si inseriscano in un procedimento avente natura marcatamente 11 Secondo la definizione che ne viene data: un provvedimento che «dispone per consentire lo svolgimento del processo in vista di determinati atti processuali»: MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile., cit., Vol. I, p. 296. 12 Così Cass. 31 marzo 2006, n. 7633. 187 contenziosa 13, il reclamo previsto dall’art. 18 della legge fallimentare14. Proprio su tali ultime affermazioni è bene soffermarsi un attimo, per il prosieguo della trattazione. Al riguardo, pare ravvisarsi, nella legislazione degli ultimi anni, una certa tendenza a qualificare il reclamo come una sorta di «appello dei procedimenti camerali», con ciò determinando una discontinuità tra l’istituto attuale e quello originariamente previsto dal codice. Ciò si evince, a nostra opinione, dall’estrema disinvoltura con la quale, ad esempio la riforma alla legge fallimentare del 2007, ha introdotto una ipotesi di «reclamo» avverso la sentenza dichiarativa di fallimento; probabilmente, come detto, una vera e propria impugnazione, preferita all’appello solo per 13 Con riferimento al reclamo avverso i provvedimenti cautelari la natura di mezzo di impugnazione è stata ribadita da Corte cost. 16 maggio 2008 n. 144, in Il giusto processo civile, 2008, p. 905 con nota di DE LUCA. La Consulta, in particolare, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 669 quaterdecies e 695 c.p.c., nella parte in cui non prevedono che il rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 c.p.c. possano essere «impugnati» con reclamo ha affermato che la mera riproponibilità della domanda cautelare allo stesso giudice non assicura lo stesso livello di tutela fornita dalla possibilità di impugnare la decisione negativa «innanzi ad un giudice diverso». Per quanto riguarda l'evoluzione normativa e giurisprudenziale sul reclamo avverso i provvedimenti ex art. 708 c.p.c. e sulla sua natura di impugnazione v. CIPRIANI, La nuova disciplina dei provvedimenti nell'interesse dei coniugi e della prole, in Il giusto processo civile, 2008, p.191 ss. V. anche DANOVI, Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti sommari nella separazione e nel divorzio, in Il giusto processo civile, 2008, p.203 ss. il quale, limitando il campo dell'indagine al reclamo dei in materia di separazione e divorzio afferma testualmente che «dal punto di vista della funzione (…) il reclamo di regola viene utilizzato alla stregua di (si licet) gravame in senso proprio nei confronti di determinate classi di provvedimenti» . Per quanto riguarda il reclamo ex art. 26 l.fall. occorre ricordare che esso viene indifferentemente utilizzato come rimedio contro provvedimenti gestionali o processuali del giudice delegato e come vera e propria impugnazione di provvedimenti aventi contenuto decisorio, come in materia di vendita o di ripartizione dell'attivo, con le ulteriori conseguenze in termini di impugnabilità con ricorso (straordinario) per cassazione del decreto che decide sul reclamo stesso. RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce la procedura prefallimentare, cit., p. 124 ss. 14 188 questioni di rito (camerale, anziché ordinario)15 . Che poi non esistesse nell'ordinamento – anteriormente al 2007 – alcuna altra ipotesi di reclamo avverso una sentenza è un problema sul quale il legislatore non sembra essersi soffermato. Della scelta operata dal legislatore conviene, dunque, prendere atto e tenere a mente che – a dispetto del nomen – si è in presenza, in questa come in altre ipotesi, pur sempre di un appello speciale, che realizza comunque un secondo grado di giudizio (sebbene con regole diverse dall'appello disciplinato dal codice di procedura civile). In tutte le richiamate ipotesi di reclamo mezzo di impugnazione pare individuarsi un trait d'union nel fatto che: a) esse hanno ad oggetto un provvedimento avente carattere decisorio, a carattere non interinale e idoneo ad incidere, comunque, su diritti soggettivi16 ; b) il reclamo viene proposto dinanzi ad un giudice di grado superiore e comunque diverso da quello che ha emesso il provvedimento; c) sono previste regole processuali specifiche, quali la regolamentazione dei motivi sopravvenuti alla proposizione del reclamo, che accentuano il carattere di impugnazione. Quando si parla di uno specifico reclamo, nel diritto processuale civile, occorre dunque stabilire se si è in presenza o meno di un mezzo di 15 Ciò risulta, probabilmente, confermato dal fatto: a) che esso abbia sostituito, rispetto alla prima novella del 2006, un rimedio qualificato come «appello»; b) che esso venga proposto dinanzi ad un giudice diverso, di grado superiore, rispetto a quello che ha emesso la sentenza; c) dalla frequenza con la quale, nell'art.18, ricorre la parola «impugnazione»; d) dal richiamo dell'art. 327 c.p.c. , in materia di decadenza dalle impugnazioni; e) dalla rigida, ai limiti del bizantinismo, regolamentazione processuale, inserita dell'art. 18 medesimo; f) dalle ragioni, indicate nella relazione al decreto correttivo, che hanno indotto alla sostituzione dell'appello (originariamente previsto nel 2006) col reclamo: cfr. Relazione al decreto correttivo, sub art. 18: «è coerente con il rito camerale, adottato non solo per la decisione di primo grado, ma anche per la fase del gravame: il reclamo è, infatti, il mezzo tipico di impugnazione dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio , quale che ne sia la forma. La modifica vale ad escludere l'applicabilità della disciplina dell'appello dettata dal codice di rito ed assicurare l'effetto pienamente devolutivo dell'impugnazione, com'è necessario, attesi il carattere indisponibile della materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che incide su tutto il patrimonio e sullo status del fallito». 16 Un simile carattere pare oggi ravvisabile in numerosi procedimenti camerali e nei procedimenti cautelari, considerata la scelta legislativa di svincolare l'efficacia del provvedimento emesso dalla successiva proposizione del giudizio di merito. Con specifico riferimento al reclamo avverso i provvedimenti camerali e sui numerosi aspetti problematici creati dalla nuova disciplina v. CECCHELLA, Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti provvisori e urgenti nei processi di separazione e divorzio, in Il giusto processo civile, 2008, p.229 ss. 189 impugnazione. Una importante conseguenza del prendere atto dell'esistenza di due tipi distinti di reclamo è che nelle ipotesi di reclamo - impugnazione il giudice che ha emesso il provvedimento non potrà, ovviamente, fare parte del collegio investito del reclamo. Viceversa ogniqualvolta il reclamo non avrà tale natura non dovrebbe sussistere alcuna preclusione ad una partecipazione al collegio da parte dello stesso giudice che ha emesso l’atto «reclamato» (partecipazione che potrebbe, anzi, essere opportuna). VIII.2. Il reclamo ex art. 624 c.p.c. Sulla base di quanto si è detto al paragrafo precedente è possibile ricostruire la natura del reclamo previsto dall’art. 624 c.p.c., e provare a risolvere i principali problemi applicativi ed interpretativi che si sono posti nei primi anni di applicazione dell’istituto. Il dato normativo, innanzitutto, è abbastanza conciso, in parte qua. Dopo avere previsto che il giudice dell’esecuzione, in caso di opposizione all’esecuzione ovvero di terzo concorrendo gravi motivi, può sospendere l’esecuzione, l’art. 624 prevede, al comma secondo, che «contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.». La scelta del reclamo, innanzitutto, come mezzo per «impugnare» il provvedimento del giudice dell’esecuzione sulla sospensione può avere, in astratto, due giustificazioni concettuali. In primo luogo potrebbe derivare dall’adozione del modello camerale. L’art. 185 disp. att., come novellato dalla riforma del 2006, infatti, prevede che per la fase davanti al giudice dell’esecuzione - quella del c.d. merito cautelare - si seguano le regole dei procedimenti in camera di consiglio. Una simile considerazione, il reputare, cioè, l’applicazione del reclamo quale conseguenza meccanica dell’applicazione del rito camerale, potrebbe trovare conferma in quella tendenza legislativa, cui si è dato atto al precedente paragrafo, di considerare il reclamo una sorta di mezzo di impugnazione speciale, sostitutivo dell’appello nei procedimenti in camera di consiglio. Da tale premessa discende che la reclamabilità del provvedimento deriverebbe non tanto dal fatto che esso decide sulla sospensione, quanto piuttosto da un dato formale e di rito: si tratta di un provvedimento che chiude 190 la fase camerale, ed alla stregua di un provvedimento in camera di consiglio è reclamabile. Come ulteriore corollario il reclamo ex art. 624 c.p.c. non dovrebbe trovare applicazione analogica in tutti quei casi di provvedimenti di «sospensione» emessi a seguito di una fase non camerale, ovvero regolamentata da una disciplina speciale. Non dovrebbe, in altri termini, aversi luogo a reclamo (sul piano concettuale, e salvo il vaglio di costituzionalità della norma), ogniqualvolta il provvedimento di sospensione venisse emesso secondo regole di un rito diverso da quello di cui agli artt. 737 ss. Si è già detto 17, però, che l’art. 624 c.p.c. non fa un generico riferimento ad un «reclamo», quale potrebbe essere quello di cui all’art. 739 c.p.c., ma, specificamente, al «reclamo ai sensi dell’articolo 669 terdecies» c.p.c., id est a quello specifico rimedio che la legge ha previsto avverso i provvedimenti cautelari disciplinati dagli artt. 669 bis ss. c.p.c. Si è già detto, altresì, che tale scelta legislativa - sia essa giustificata su un piano teorico o meno, derivi da una incertezza concettuale e da una «navigazione a vista» o da una precisa scelta dogmatica18 - induce ad 17 Supra, par III.4. 18 Anteriormente alla riforma avevano affrontato la questione della natura cautelare del provvedimento di sospensione, ex plurimis: DI BENEDETTO, Brevi note sulla ammissibilità del reclamo contro i provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione emessi ai sensi dell’art. 624 co. 1 c.p.c. in Giur. merito, 1996, p. 217 ss; ORIANI, L’imparzialità del giudice l’opposizione agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2001, p.16 ss; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, p. 788; STORTO, Note su alcune questioni in tema di opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2000, p. 249; VITTORIA, Il controllo sugli atti del processo di esecuzione forzata: l’opposizione agli atti esecutivi e i reclami, in Riv. esec. forz., 2000, p. 381; contra, tra gli altri: CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. 967, p. 3 ss.; MERLIN, Procedimenti cautelari e urgenti, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, p. 431. Si segnala che l’inquadramento concettuale delle inibitorie quali provvedimenti cautelari aveva avuto importanti conseguenze, prima delle novelle dei 2005-2006. In particolare, si è fatto cenno al capitolo II di come la giurisprudenza che negava la possibilità di ottenere la sospensione in caso di opposizione a precetto, si fosse espressa in senso favorevole alla concedibilità, anteriormente all’inizio dell’esecuzione forzata, a un ricorso ex art. 700 c.p.c. per inibirne l’attivazione: v. Trib. Mantova, 26 febbraio 2005, in Giur. merito, 2006, p. 316, n. GIORDANO. Si osservi che il tribunale considera un tale rimedio ammissibile, sotto il profilo della residualità del rimedio, stante inesistenza di «strumenti cautelari tipici» (con riguardo, ovviamente, a titoli stragiudiziali). Se ne deduce peraltro che, la espressa previsione, ad opera della novella del 2006, della possibilità per il giudice dell’opposizione a precetto di sospendere l’efficacia esecutiva del precetto dovrebbe avere reso inammissibile tale rimedio. 191 affermare la natura cautelare della sospensione ex art. 624 c.p.c., e del subprocedimento nel quale essa viene pronunziata. La natura cautelare, si è detto, è confermata altresì dalla relazione di accompagnamento alla riforma del 2005: «le modifiche all’art. 624 del codice di procedura civile si propongono di assicurare una maggiore stabilità all’ordinanza di sospensione, con effetti dunque di efficacia estintiva del pignoramento, quando ad essa sia stata fatta acquiescenza dalla parte opposta, eliminando la necessità di promuovere un giudizio di merito. La norma è esplicitamente analoga al nuovo regime introdotto anche per i procedimenti cautelari dalla legge n. 80 del 2005 e dunque è improntata ad un principio di evidente economicità. Viene fatta salva la possibilità che altri interessati possano tuttavia promuovere il giudizio di opposizione anche per la fase di merito» 19. Tale seconda considerazione, come si vedrà infra, giustificherebbe un’applicazione estensiva del reclamo ex art. 624 c.p.c., a tutte le ipotesi di sospensioni qualificabili come «cautelari». Particolarmente problematica, sul punto, è la questione della reclamabilità del provvedimento di inibitoria in appello 20. Se causa efficiente di tale rimedio è la natura cautelare del provvedimento (e non solo o non tanto la sua forma camerale) allora esso potrebbe essere esteso a tutte le altre ipotesi di sospensione dell’esecuzione, pena la possibile incostituzionalità della norma. Tornando al campo di applicazione letterale della norma - al reclamo, dunque, avverso il provvedimento di sospensione emesso a seguito di opposizione all’esecuzione o di terzo - anteriormente alla novella del 2005, parte della dottrina aveva affermato la sua ammissibilità, pure in assenza di una specifica previsione di legge. E ciò proprio in virtù della natura asseritamente cautelare della sospensione de qua21. 19 Relazione alla proposta di legge n. 6232 presentata alla Camera dei deputati il 15 dicembre 2005. 20 Su cui infra, par. VIII.5. 21 CECCHELLA, Il reclamo avverso le ordinanze di sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., in Riv. esec. forz., 2000, p. 351 ss.; DI BENEDETTO, Brevi note sulla ammissibilità del reclamo contro i provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione emessi ai sensi dell’art. 624 co. 1 c.p.c., cit.,ibidem; ORIANI, L’imparzialità del giudice l’opposizione agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2001, p.16 ss; STORTO, Note su alcune questioni in tema di opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2000, p. 249. 192 La giurisprudenza quasi unanime, tuttavia, aveva escluso l’applicabilità di tale rimedio, precisando, di contro, che esso avrebbe potuto essere modificato o revocato dallo stesso giudice che lo aveva emesso. Si era negata, altresì, la proponibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto provvedimento privo di contenuto decisorio, come pure del regolamento di competenza ex artt. 42 e 43 c.p.c. In conclusione si riteneva esperibile esclusivamente il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, la cui decisione sarebbe stata ricorribile per cassazione ex art.111 Cost.22 . Con l’espressa previsione del reclamo il legislatore ha preso una netta posizione sul punto, confermando implicitamente, per un verso, la non esperibilità del regolamento di competenza, come pure del ricorso diretto ex art. 111 Cost., per altro verso superando la scelta giurisprudenziale della opposizione agli atti esecutivi. La scelta del reclamo, come detto, pare avere una doppia, possibile, giustificazione concettuale. Da un lato costituisce la conseguenza della scelta camerale del rito, dall’altro della natura almeno latamente cautelare del provvedimento di sospensione, sotto altro profilo ancora (la conseguenza) di ambedue le premesse unitamente considerate. Le due spiegazioni, infatti, della forma camerale e della natura latamente cautelare non vanno considerate come alternative, ma possono ben coesistere: si è in presenza, in un certo senso, di un provvedimento cautelare, emesso nell’ambito di un procedimento in camera di consiglio. Tornando all’esegesi della norma, nel suo testo attuale, essa prevede la reclamabilità della «ordinanza che provvede sulla sospensione». Il che porta, innanzitutto, ad escludere la reclamabilità del decreto emesso inaudita altera parte, con il quale il giudice ha eventualmente sospeso l’esecuzione23. Per altro verso la formulazione è tale da consentire il reclamo non solo avverso l’ordinanza che accoglie l’istanza di sospensione, ma anche contro 22 Stante, anche in questo caso, il suo carattere non decisorio: cfr., ex plurimis, Cass. 11 luglio 2007 n. 15467; Cass. 2 agosto 2000 n. 10121. 23 Il che pare una scelta comprensibile, atteso che si tratta di un provvedimento destinato ad essere confermato o revocato con l’ordinanza «reclamabile». 193 quella che la rigetta24. Come si è segnalato supra 25, però, il reclamo avverso il provvedimento che rigetta la sospensione potrebbe avere conseguenze differenti da quello avverso il provvedimento che la accoglie. È molto dubbio, in particolare, se l’accoglimento della sospensione, per la prima volta in sede di reclamo, possa avere come conseguenza l’estinzione del processo esecutivo. Si rinvia, sul punto, alle considerazioni sopra svolte. La differente disciplina, come si è detto, potrebbe avere una sua giustificazione26, ove si consideri che, al momento della decisione del reclamo, potrebbe essere già ampiamente scaduto il termine per introdurre il giudizio di merito. Conseguentemente il creditore, anche se vittorioso nella fase cautelare, potrebbe essere costretto ad introdurre ugualmente il merito dell’opposizione, per non ritrovarsi sotto la spada di Damocle dell’estinzione, qualora il provvedimento del giudice dell’esecuzione fosse riformato in sede di reclamo. Il che darebbe luogo ad una superfetazione processuale: in caso di rigetto dell’istanza cautelare, infatti, il debitore soccombente potrebbe non avere alcun interesse ad introdurre il giudizio di merito. A maggior ragione non avrebbe tale interesse neppure il creditore procedente, che vuole - nella maggior parte dei casi - esclusivamente portare avanti l’esecuzione forzata. Costringere il creditore, nonostante il primo rigetto dell’istanza di sospensione, ad introdurre ugualmente il giudizio di merito, sarebbe alquanto irrazionale, atteso che comporterebbe l’instaurazione di una fase che può non interessare a nessuno e che potrebbe, pertanto, essere evitata. Una simile interpretazione (nel senso, dunque, che la sospensione disposta per la prima volta in sede di reclamo non abbia effetti estintivi), dunque, pare coerente con la scelta del legislatore della riforma dei 2005-2009, che è, appunto, quella di rendere meramente eventuale - e non certo surrettiziamente necessaria - la fase di merito. Per quanto concerne le regole processuali del reclamo, la norma rinvia al reclamo ex art. 669 terdecies e, dunque, ancora una volta alle norme sui procedimenti camerali. 24 LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, p. 685. 25 Par. III.9. 26 LONGO, La sospensione nel processo esecutivo., cit., p. 739. 194 Il reclamo non sospende, dunque, l’esecuzione, salva la possibilità per il presidente del tribunale, di disporre con ordinanza non impugnabile la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, quando, per motivi sopravvenuti, detto provvedimento possa arrecare grave danno; il tutto con o senza cauzione. Sul punto deve segnalarsi un orientamento della giurisprudenza di merito, secondo cui, proprio in virtù di tale norma, e del generale rinvio alle regole dell’art. 669 terdecies, il giudice del reclamo, una volta che la sospensione sia stata rigettata dal giudice dell’esecuzione, non avrebbe il potere di disporla egli stesso in via cautelare, ma solo all’esito del reclamo. E ciò per via del richiamo integrale - senza adattamenti - alla disciplina del reclamo cautelare. Nel caso di reclamo avverso l’ordinanza di rigetto della sospensione, infatti, il «provvedimento reclamato» (quello che potrebbe essere sospeso in sede di reclamo) non è l’esecuzione, ma l’ordinanza di rigetto medesima emessa dal giudice dell’esecuzione. In sede di reclamo, dunque, il tribunale potrebbe sospendere solamente il provvedimento che ha rigettato la sospensione, cosa che non comporterebbe effetti corrispondenti ad una sospensione dell’esecuzione. Detto risultato sarebbe, infatti, conseguibile solamente a seguito dell’accoglimento definitivo del reclamo27. VIII.3. Il reclamo avverso il «provvedimento di cui all’art. 512, secondo comma» c.p.c. L’art. 624 c.p.c. prevede, ancora, la reclamabilità del «provvedimento di cui all’art. 512 c.p.c.». Si è già visto, nella sezione della presente indagine dedicata all’esegesi di tale disposizione, che essa pare introdurre tre tipi sospensione. La prima, più che una sospensione, costituisce uno stato arresto della procedura, nel senso che il giudice non potrà approvare progetto di distribuzione, finché non avrà risolto, sia pure con ordinanza, controversie sorte. di di il le La seconda sospensione è quella che dovrebbe disporre il giudice l’ordinanza medesima, e nelle more che essa venga «impugnata» con l’opposizione agli atti esecutivi (qualora si accolga tale interpretazione della 27 Trib. Belluno, 12 febbraio 2010, G.I. dott. Zanon, inedito. 195 non chiara formulazione dell’art. 512 c.p.c.). La terza è quella che potrebbe essere disposta in seno all’opposizione agli atti esecutivi medesima. Avverso la prima delle «sospensioni» - posto che non di sospensione in senso stretto si tratta - non pare proponibile alcun reclamo: non vi è, a ben vedere, alcun provvedimento, ma il semplice sviluppo di una fase processuale, che preclude in radice l’approvazione del progetto di distribuzione. Avverso la terza sospensione saranno applicabili, giusta il rinvio alle norme dell’opposizione agli atti, le regole proprie di detto strumento, alla cui trattazione si rinvia. Avverso la seconda sospensione, quella, cioè, pronunziata dal giudice nel definire le controversie sorte in sede di distribuzione, è proponibile, per espressa previsione di legge, il reclamo ex art. 624 c.p.c. Si è già detto che tale soluzione ermeneutica sembra postulare la proponibilità di due distinti rimedi contro l’ordinanza in questione: l’opposizione agli atti esecutivi, per quanto concerne la statuizione che decide sulla controversia, ed il reclamo, relativamente al capo sulla sospensione28. Per la disciplina di tale reclamo e per i problemi connessi, si rinvia al paragrafo precedente. VIII.4. Il reclamo avverso i provvedimenti di sospensione emessi in sede di opposizione ex art. 617 c.p.c. Nel richiamare, in materia di opposizione agli atti esecutivi, le regole dell’art. 624 c.p.c., il terzo comma della norma medesima, rinvia alla «disposizione di cui al terzo comma», in quanto compatibile. La formulazione prescelta dal legislatore presenta qualche aspetto problematico. In primo luogo ad essere richiamata, sul piano letterale, non è come detto - l’intero gruppo di regole dell’art. 624 c.p.c., ma esclusivamente «la previsione di cui al terzo comma», e, dunque, la regola dell’estinzione. Per altro verso, il primo comma dell’art. 624 c.p.c. fa esclusivo riferimento alla sospensione disposta in caso di opposizione all’esecuzione o di terzo. Conseguentemente il secondo comma della norma, nella parte in cui prevede il reclamo avverso «ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione», pare 28 ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato, in www.judicium.it.. 196 fare riferimento alla istanza menzionata nel comma precedente e, dunque, ancora una volta, alla sola istanza di sospensione in caso di opposizione ex artt. 615 e 619 c.p.c. (oltre che ai provvedimenti di cui all’art. 512 c.p.c. secondo comma). Sul piano letterale, pertanto, l’articolo sembra avere la seguente struttura: il primo comma prevede la sospensione dell’esecuzione, ad opera del giudice della stessa procedura, per il caso in cui sia stata proposta opposizione all’esecuzione o di terzo; il secondo comma prevede, per le medesime ipotesi, la proponibilità del reclamo (rimedio che, giusta la disposizione medesima, viene esteso anche al provvedimento ex art. 512 comma secondo); il terzo comma detta, per le sole sospensioni in caso di opposizione all’esecuzione o di terzo (con esclusione, quindi, delle sospensioni alla distribuzione), la regola dell’estinzione; l’ultimo comma rende applicabili le disposizioni sull’estinzione, «in quanto compatibili», al caso di «sospensione del processo disposta ai sensi dell’articolo 618». Ad un’esegesi letterale, pertanto, paiono esulare dal campo di applicazione dell’art. 624 c.p.c. sia le sospensioni disposte in sede di opposizione a precetto (non previste dall’art. 624, ma dall’art. 615 comma primo; sul punto, diffusamente, infra), sia le sospensioni di cui all’art. 618. Le sospensioni in caso di opposizioni agli atti, dunque, sembrerebbero regolate: dall’art. 618, per quanto concerne il procedimento, dall’art. 624 comma terzo, per quanto riguarda le conseguenze (estinzione, in caso di mancata introduzione del giudizio di merito). La lettura sopra proposta porterebbe ad escludere - salvo il vaglio di compatibilità della norma con la costituzione - che il «reclamo» previsto dal secondo comma dell’art. 624 c.p.c. possa essere sic et sempliciter applicato alla sospensione ex art. 618 c.p.c. La stessa lettera dell’art. 624 ultimo comma: «si applica (…) anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi dell’art. 618», parrebbe confermare che la sospensione in caso di opposizione agli atti esula dal campo di applicazione dell’art. 624, per quanto non espressamente richiamata. A risultati opposti, naturalmente, si potrebbe giungere qualora, anche sul piano letterale, si ritenesse la disposizione di cui all’art. 624 secondo comma espressione di una regola generale, nel senso che sarebbe reclamabile ogni 197 istanza di sospensione, e non solo di quella prevista dal primo comma della stessa disposizione. La dottrina e la giurisprudenza, per altro verso, sembrano orientate a dare una lettura estensiva del richiamo operato dall’art. 624 ultimo comma al «terzo comma» della medesima disposizione. Detta norma, si osserva, commina l’estinzione della procedura esecutiva, per il caso che il provvedimento di sospensione non sia stato reclamato o sia stato confermato in sede di reclamo (e, naturalmente, non sia stato introdotto il giudizio di merito)29. Dal che si deduce che il legislatore avrebbe implicitamente voluto richiamare anche la regola del reclamo, dal momento che, appunto, l’estinzione della procedura esecutiva, è subordinata alla conferma della sospensione in sede di reclamo, ovvero alla mancata proposizione di siffatto rimedio. Siffatta soluzione estensiva sarebbe, secondo tale seconda impostazione, preferibile sotto il profilo sistematico, oltre che autorizzata dalla lettera della legge. Si sarebbe in presenza, pur sempre, di una sospensione dell’esecuzione disposta dal giudice della procedura medesima; sicché non vi sarebbe una valida ragione per applicare a fattispecie analoghe regole diverse. Avverso una simile soluzione, tuttavia, sono astrattamente opponibili diversi ordini di argomenti. In primo luogo, sul piano letterale, il quarto comma dell’art. 624 c.p.c., nel dettare le regole della sospensione ex art. 618, non utilizza una formula ampia del tipo: «le disposizioni di cui al presente articolo», bensì quella «la disposizione di cui al terzo comma». La norma pare volere, dunque, limitare le disposizioni applicabili alla sospensione in parola, e non richiamare in blocco l’intero sistema di regole dell’art. 624 c.p.c. Il comma che prevede il reclamo, in particolare, non è espressamente richiamato, di modo che la sua esclusione pare indice di una precisa scelta legislativa, piuttosto che di una incerta formulazione della norma. Anche l’espresso riferimento al reclamo, contenuto nel terzo comma dell’art. 624 c.p.c., potrebbe non risultare, a ben vedere, del tutto dirimente. 29 Cfr., per tutti, ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in MONTESANO – ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Vol. III, Tomo II, Padova, 2007, I, 2., p.1866 ss.; LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, p. 688 ss; PETRILLO, Art. 624 - sospensione per opposizione all’esecuzione, in BRIGUGLIO - CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 622 ss.; PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, Vol. IV, Torino, 2010, p. 262. In giurisprudenza v. Trib. Pavia, 23 marzo 2007, in www.ilcaso.it.. 198 La regola dell’estinzione, infatti, viene richiamata e trova applicazione alla sospensione ex art. 618 c.p.c. solamente «in quanto compatibile». La valutazione sulla «compatibilità», allora, potrebbe avere un significato proprio in relazione alla mancata previsione del reclamo. Sicché il significato della norma potrebbe essere: nel caso venga concessa la sospensione ex art. 618 c.p.c. il creditore dovrà necessariamente, per evitare l’estinzione, introdurre il giudizio di merito, atteso che non può proporre reclamo avverso tale provvedimento. Quanto alle ragioni di sistematicità, la lettura restrittiva della disposizione potrebbe trovare una sua giustificazione teorica nella differente natura e disciplina dell’opposizione agli atti. Essa, a ben vedere, ha ad oggetto per lo più contestazioni formali che nella maggior parte dei casi - non dovrebbero richiedere una istruttoria particolarmente complessa (al contrario dell’opposizione all’esecuzione o di terzo, nelle quali viene messa in discussione l’esistenza del diritto, la pignorabilità del bene, ovvero ancora l’appartenenza di quest’ultimo al debitore); di modo che anche la prognosi sulla fondatezza o infondatezza dell’opposizione dovrebbe potere essere valutata con un certo grado di attendibilità anche nella fase cautelare (sia pure nell’ambito di una valutazione sommaria). Peraltro la sentenza che decide sull’opposizione agli atti, al contrario di quella che chiude i giudizi di opposizione ex artt. 61530 e 619 c.p.c., non è soggetta ad appello. Sicché la dimidiazione dei mezzi di «gravame» nella fase cautelare troverebbe riscontro speculare nella fase di merito. Nell’opposizione agli atti si sarebbe sempre in presenza, tanto nella fase cautelare che in quella di merito, di un provvedimento non impugnabile31 (salva, per quanto concerne il secondo, stante il suo carattere decisorio, l’esperibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.). Va poi ribadito che, concettualmente, la bifasicità dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. appare più debole di quella delle opposizioni all’esecuzione e 30 Divenuta inappellabile nel breve interregno tra il 1° marzo 2006 e il 4° luglio 2009. 31 Inimpugnabilità che avrebbe, dunque, in ambedue i provvedimenti il medesimo fondamento: da un lato muoverebbe dalla natura maggiormente endoprocedimentale dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., dall’altro avrebbe una sua giustificazione nel carattere tendenzialmente documentale dell’accertamento. 199 poggia, probabilmente, su premesse dogmatiche almeno in parte diverse. Nelle opposizioni ex art. 615 e 619 c.p.c. è, in particolare, possibile, anche sul piano teorico, separare l’esecuzione dal giudizio di accertamento del diritto che con l’opposizione si introduce32. L’opposizione ex art. 617 c.p.c. ha, invece, ad oggetto la regolarità formale di un determinato atto dell’esecuzione; sicché il giudizio di merito non è perfettamente distinguibile dall’esecuzione stessa. La struttura bifasica dell’opposizione agli atti è, in un certo senso, lo strumento tutelare l’imparzialità del giudice; per evitare che il giudice che ha posto in essere o conosciuto un atto irregolare sia poi lo stesso chiamato a decidere su tale irregolarità. Si rinvia, sul punto, alle considerazioni sopra svolte, circa le probabili correlazioni tra l’attuale struttura dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. e il nuovo art. 186 bis disp.att33. In questa sede è sufficiente osservare che le due opposizioni - alle esecuzioni e agli atti - pur essendo disciplinate, sotto certi aspetti, in modo affine, sono tuttora molto diverse sul piano concettuale. Ne deriva che una differente regolamentazione, anche sotto il profilo della reclamabilità del provvedimento di sospensione, potrebbe rientrare nei margini di discrezionalità del legislatore, senza comportare significativi dubbi di costituzionalità delle norme. Il differente regime di impugnazione delle sospensioni corrisponderebbe alle diversità esistenti tra le due opposizioni, diversità che permangono anche ove è stata data loro una disciplina apparentemente analoga. In ogni caso resta il problema della reclamabilità degli altri «provvedimenti indilazionabili» previsti dall’art. 618 c.p.c., e diversi dalla sospensione in senso stretto. Se si esclude, ovviamente, la reclamabilità del provvedimento di sospensione ex art. 618 c.p.c. dovrà a maggior ragione escludersi quella avverso i provvedimenti de quibus. 32 Specialmente qualora si accolgano le premesse di questa indagine, e segnatamente che il legislatore delle riforme dei 2005-2006 e 2009 si sia collocato nel punto di vista del debitore che propone l’opposizione (piuttosto che, come il legislatore del 1940, in quella del creditore procedente), che abbia conseguentemente configurato l’esecuzione, rispetto al giudizio di opposizione, come un mero fatto giuridico, che abbia, quindi, come ulteriore corollario elaborato un modello di sospensione - opposizione concettualmente affine a quello intercorrente tra provvedimento cautelare anticipatorio - giudizio di merito. Si rinvia, per siffatta ricostruzione, al par. III.4. 33 Par. III.11. 200 Qualora si aderisse alla tesi contraria, maggioritaria, e si ammettesse il reclamo avverso il provvedimento di sospensione ex art. 618 c.p.c., tuttavia, la soluzione non sarebbe altrettanto agevole. Ed invero la lettera dell’art. 624 c.p.c. pare limitare espressamente il reclamo ai soli provvedimenti di sospensione; gli unici che, come detto, possono dar luogo ad estinzione. La correlazione, che si è ravvisata tra esperibilità del reclamo ed estinzione porta a preferire la tesi restrittiva, che non sia, cioè, proponibile alcun reclamo avverso i provvedimenti «indilazionabili» diversi dall’estinzione34. VIII.5. Il reclamo avverso i provvedimenti di sospensione disposti dal giudice dell’impugnazione. Seguendo la sistematica adottata nella presente indagine, sono state qualificate «sospensioni disposte dal giudice dell’impugnazione» tutte quelle sospensioni che siano state disposte in seno ad una impugnazione in senso lato (i.e., nel corso di un giudizio che - abbia o meno natura di impugnazione vera e propria - sia diretto a mettere in discussione l’esistenza del titolo) da un giudice diverso da quello dell’esecuzione stessa. Si è già detto che tutte queste ipotesi di sospensione esulano da almeno parte delle regole dell’art. 624 c.p.c. Non si ha, nel caso delle sospensioni de quibus, alcuna stabilizzazione del provvedimento inibitorio, che non potrà dare luogo ad alcuna estinzione del processo esecutivo, laddove iniziato. Ancora, in tutte queste ipotesi, il giudizio «di merito» - quello, cioè, sull’esistenza, lato sensu, del titolo - preesiste al provvedimento inibitorio, il quale non è un giudizio separato da quello «cautelare». Non vi è, nelle inibitorie, una fase da trattarsi dinanzi al giudice dell’esecuzione, ma tutto si svolge davanti al giudice della «impugnazione». Tanto premesso il codice di rito, in talune fattispecie di inibitoria disposta dal giudice «dell’impugnazione» (nel senso sopra indicato), aveva espressamente escluso la reclamabilità dei relativi provvedimenti. È il caso della sospensione dell’esecuzione provvisoria disposta dall’art. 649 c.p.c., per il caso di opposizione a decreto ingiuntivo, della sospensione ex art. 669 c.p.c., per l’ipotesi di opposizione allo sfratto dopo la convalida. 34 In tal senso v. Trib. Brindisi, 12 luglio 2006, in Giur. merito, 2006, 12, p. 2673. 201 In ambedue le ipotesi la «non impugnabilità» dell’ordinanza di sospensione è espressamente prevista dalla legge. Essa discende, probabilmente, innanzitutto dal carattere sommario del rito, che suggerisce di sacrificare sull’altare delle garanzie un ulteriore controllo del collegio sul provvedimento cautelare. Dall’altro esso dipende probabilmente dallo stretto nesso funzionale che lega la statuizione sull’inibitoria a quella sul merito della causa; di modo che non deve essere parso conveniente attribuire ad un giudice diverso da quello della decisione finale il controllo sul provvedimento cautelare. In altre fattispecie, al contrario, il legislatore aveva originariamente previsto la esperibilità, avverso il provvedimento inibitorio, di un reclamo. È il caso dell’inibitoria in appello, oggetto di un recentemente ravvivato dibattito dottrinario 35. È noto che il codice di rito, nel testo in vigore dal 1950 fino alla riforma del 1990, disponeva (all'art.351) che sull'istanza inibitoria provvedesse l'istruttore alla prima udienza, ovvero, nel caso di «giusti motivi di urgenza», il presidente del collegio36 o il pretore37, anteriormente alla prima udienza. L'art.357 prevedeva, inoltre, che le ordinanze con le quali l'istruttore avesse dichiarato a norma dell'art. 350 secondo comma l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello ovvero l'estinzione del procedimento d'appello, e le ordinanze sulla esecuzione provvisoria previste dall'art 351, potessero essere impugnate con reclamo al collegio nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione. 35 BARBIERI, Sospensione della sentenza e ricorribilità contro il provvedimento inibitorio, in Immobili & diritto, 2007, p. 112 ss.; CAPONI-MERLIN, Sulla reclamabilità delle ordinanze sulla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c., in Corr. giur., 2005 p. 705 ss.; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, sub art. 283; IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, Milano, 2008, p .19 ss. e 393 ss.; IMPAGNATIELLO, in CIPRIANI -MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p.171 ss.; ID. Provvisoria esecuzione senza inibitoria? in Foro it., 2005, p. 547 ss.; PUNZI, Il processo civile, cit., p.222.; SPACCAPELO, Brevi note sull'inibitoria in appello della sentenza di rigetto dell'opposizione d.i., in Giur. it., 2006, p. 1010 ss. 36 Rispettivamente del tribunale, che decideva in composizione collegiale, in caso di appello avverso le sentenze del pretore, ovvero della corte di appello, in caso di impugnazione delle sentenze decise in primo grado dal tribunale. 37 Che a norma dell'art. 341 era competente in caso di appello avverso le sentenze emesse dal conciliatore e che era organo monocratico. 202 La reclamabilità era innanzitutto – sulla base del dato letterale della norma limitata alle sole ordinanze dell'istruttore e non anche a quelle del pretore; non erano mancati tuttavia, sia nella prassi applicativa che in dottrina, tentativi di interpretare estensivamente la disposizione38. Si riteneva, in particolare, che fosse possibile riproporre dinanzi allo stesso pretore una sorta di istanza di revoca-reclamo dell'ordinanza precedentemente adottata. La novella del 1990 riformò profondamente il rito dell'appello, introducendo (testo del 1990) il principio della collegialità della trattazione in appello. Nel breve interregno, dunque, compreso tra l'entrata in vigore della riforma del 1990 (30 aprile 1995) e l'ulteriore riforma introdotta con il d.lgs. n.51 del 19 febbraio 1998 (2 giugno 1999) gli appelli proposti avverso le sentenze del giudice di pace e del pretore andavano proposti davanti al tribunale che decideva in composizione collegiale; gli appelli avverso le sentenze emesse dal tribunale venivano decisi dalla corte d'appello, anch'essa in composizione collegiale «piena», senza, cioè, la figura dell'istruttore. Il pretore, a far data dall'istituzione del giudice di pace, avvenuta con legge n. 399 del 30 luglio 1984, aveva perduto la sua residua funzione di giudice di appello (avverso le sentenze del conciliatore), attribuitagli dalla previgente normativa. Per quel che in questa sede rileva, il risultato di questo articolato restyling del giudizio di secondo grado fu che (dall'entrata in vigore della legge del 1990 e prima degli ulteriori ritocchi del 1998) la trattazione dell'appello venne riservata al collegio, mentre scomparve la figura dell'istruttore. Il provvedimento sull'inibitoria, in particolare, venne attribuito direttamente al collegio che avrebbe dovuto provvedere nel corso della prima udienza a decidere sulla sospensione ovvero a confermare, modificare o revocare «con ordinanza non impugnabile» il decreto precedente emesso dal presidente del collegio in caso di «giusti motivi di urgenza». Eliminata la competenza dell'istruttore a decidere sull'inibitoria, e attribuita siffatta potestà direttamente al collegio (del tribunale o della corte di appello) 38 VELLANI, Appello (dir. proc. civ.), in ANDRIOLI, Commentario, II, p. 488, sosteneva che il reclamo fosse comunque proponibile al medesimo pretore che aveva emesso il provvedimento; cfr. anche CARPI - COLESANTI - TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 1984, p.498. Si noti sin d'ora che si trattava comunque di una riproposizione incompatibile con una presunta natura di mezzo di impugnazione. 203 sembrò logico ai compilatori della novella del 1990 abrogare il precedente art. 357. Ed infatti la potestà di decidere sulla sospensione era stata già prima facie attribuita al collegio, id est all'organo che avrebbe successivamente deciso il merito della causa39. Non si rendeva pertanto necessario un ulteriore momento di collegamento tra istruttore – organo che aveva deciso l'inibitoria e collegio – organo che avrebbe successivamente deciso il merito. La situazione rimase sostanzialmente immutata con il d.lgs. n.51 del 19 febbraio 1998, entrato in vigore il 2 giugno 1999. Con l'ennesima novella venne istituito il giudice unico di primo grado. Contestualmente venne anche abrogato l'art. 48 dell'ordinamento giudiziario (che disciplinava compiutamente la composizione dell'organo giudicante) e introdotto nel codice di procedura civile la sezione VI bis (artt. 50 bis ss.) rubricata: della composizione del tribunale; venne, ancora, introdotta una disciplina organica del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (capo III bis, artt. 281 bis ss.) e abrogata la vecchia figura del pretore. Per quel che in questa sede rileva la novella del 1998 eliminò la riserva di collegialità – originariamente prevista dal citato art. 48 ord.giud. - per le cause che il tribunale avrebbe dovuto decidere in grado di appello. Allo stesso tempo venne novellato l'art. 350 c.p.c., con la previsione che la trattazione dei giudizi di appello sarebbe stata collegiale davanti alle davanti al tribunale. In conseguenza a questo travagliato dell'abolizione del pretore, dell'introduzione dell'abrogazione dell'art.48 ord.giud. e della corti di appello e monocratica iter normativo (a seguito degli artt. 50 bis ss. c.p.c., novella dell'art. 350 c.p.c.) i giudizi di appello avverso le sentenze del giudice di pace vengono oggi decisi dal tribunale in composizione monocratica. Permane, invece, la composizione collegiale per i procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli artt. 737 ss c.p.c. Con l'ulteriore conseguenza che i reclami avverso i provvedimenti camerali vengono tuttora trattati dal collegio. Dal punto di vista della disciplina dell'inibitoria, e della sua (non) reclamabilità, la novella del 1998 non introdusse cambiamenti significativi, 39 Il che costituisce un'ulteriore riprova del fatto che il potere di inibitoria attribuito al giudice dell'appello è funzionalmente connesso al potere (recte: ne costituisce una manifestazione) di decidere la causa nel merito. La scelta del legislatore di abrogare il reclamo è perfettamente logica, se interpretata in questa chiave. 204 salvo i necessari aggiustamenti linguistici dovuti al fatto che il giudice dell'appello, contrariamente a quanto accadeva con il codice novellato nel 1990, non era più necessariamente un organo collegiale40. L'organo che provvedeva sull'inibitoria, in ogni caso, rimaneva lo stesso giudice che avrebbe deciso sul merito dell'appello. La sola differenza rispetto al testo del 1990 era che – situazione, questa rimasta immutata a tutt'oggi – si sarebbe potuto trattare anche un giudice unico di tribunale (monocratico sia al momento della decisione sull'inibitoria che al momento della emissione della sentenza) e non necessariamente di un organo collegiale (di una collegialità, comunque, che permaneva sia in fase di provvedimenti sull'inibitoria che nella successiva fase di trattazione della causa e di decisione). Questa breve indagine storica consente di trarre alcune importanti conclusioni. Il reclamo al collegio, previsto dal codice di rito fino alla riforma del 1990, avverso il provvedimento dell'istruttore (o del presidente del collegio) che aveva deciso sull'inibitoria non costituiva un mezzo di impugnazione in senso proprio; esso era piuttosto lo strumento con il quale si richiedeva un controllo, da parte dell'organo (collegiale) demandato della decisione della causa, sui provvedimenti adottati dal suo componente. Tale controllo era stato, invece, escluso, verosimilmente per via della sommarietà del rito, nelle ipotesi di sospensioni ex art. 649 e 668 c.p.c., sopra richiamate. In ogni caso la ratio che aveva indotto ad introdurre la sospensione nell’un caso era la stessa che ne aveva consentito l’esclusione negli altri. Non di un mezzo di impugnazione si trattava, ma di un raccordo tra istruttore e collegio, di modo che la garanzia del reclamo poteva essere esclusa in forza della sommarietà del rito. Si rinvia, per ogni altra considerazione, al paragrafo introduttivo del presente capitolo. Conseguenza di quanto si è detto è che proprio perché il reclamo avverso i provvedimenti ordinatori non costituisce mezzo di impugnazione, ma 40 Si rese necessario esclusivamente prevedere: che competente a decidere sull'istanza inibitoria fosse «il giudice» genericamente inteso e non «il collegio»; che, in caso di urgenza, il decreto di comparizione delle parti in camera di consiglio fosse emesso «dal presidente del collegio» o dal «tribunale» (e non necessariamente dal presidente del collegio); che, appunto, la camera di consiglio si sarebbe potuta svolgesse davanti al collegio o davanti al tribunale in composizione monocratica («davanti a sé»). 205 piuttosto manifestazione della riespansione del principio di collegialità, esso è concettualmente incompatibile con la trattazione della causa dinnanzi al giudice unico (e non dinnanzi al giudice istruttore di un tribunale in composizione collegiale). Coerentemente, infatti, il legislatore del 1998 aveva escluso la reclamabilità dei provvedimenti sull'inibitoria emessi dal giudice unico, anche quando questi agiva come giudice dell'appello 41. In maniera del tutto speculare dovrebbe concludersi che il reclamo sia altrettanto incompatibile con il vigente sistema processuale, che prevede – nel rito davanti alla corte di appello - una collegialità piena durante tutta la fase della trattazione – e non limitatamente alla fase della decisione, come avveniva anteriormente al 1990 42. Le superiori premesse consentono di superare le obiezioni dottrinarie che ritengono applicabile estensivamente il reclamo di cui all'art. 669 terdecies c.p.c. al provvedimento sull'inibitoria adottato dalla corte di appello o dal tribunale in sede di giudizio di secondo grado 43. Va innanzitutto considerato che la giurisprudenza pressoché unanime, successivamente all'abrogazione dell'art. 357 c.p.c. ha sempre correttamente escluso la reclamabilità dell'ordinanza sull'inibitoria, come pure la sua 41 Esclusione, questa, che non avrebbe alcuna ragion d'essere se il reclamo avesse avuto, invece, natura di mezzo di impugnazione in senso proprio. La soluzione del legislatore sembrerebbe quindi escludere la correttezza della soluzione sopra richiamata – invalsa nella prassi formatasi anteriormente alla riforma del 1990, con riferimento ai giudizi di appello trattati dinanzi al pretore – della proponibilità del reclamo dinanzi allo stesso giudice (unico o collegiale) che si era pronunciato sull'inibitoria. 42 L'organo che decide l'inibitoria e, dunque, già in prima battuta quello deputato a decidere il merito della causa. È questa, infatti, come si è visto, la scelta adottata dal legislatore nel 1990 e ribadita nel 1998. 43 Cfr. BARBIERI, Sospensione della sentenza., cit., p. 112 ss.; CAPONI-MERLIN, Sulla reclamabilità delle ordinanze., cit., ibidem; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit. ibidem; IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, cit., p. 393 ss; ID., La riforma del processo civile, cit. p.178 ss.; PUNZI, Il processo civile, cit., p.222; SPACCAPELO, Brevi note sull'inibitoria in appello della sentenza di rigetto dell'opposizione d.i., in Giur. it., 2006, p. 1010 ss. 206 impugnabilità per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost.44 . Avverso tale orientamento giurisprudenziale è stato obiettato: che il provvedimento sull'inibitoria, adottato dal giudice del gravame, avrebbe natura «latamente cautelare» - circostanza, questa, riconosciuta dalla stessa giurisprudenza 45; che avverso il provvedimento di sospensione del processo esecutivo sarebbe esperibile, giusto il novellato disposto di cui all'art. 624 c.p.c., il reclamo ex art. 669 terdecies; che, per converso, tanto le ordinanze che decidono sulla inibitoria della sentenza impugnata, tanto quelle emesse dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c. sarebbero sostanzialmente analoghe sotto il profilo strutturale e funzionale, avendo in particolare entrambe lo scopo di «mediare tra le contrapposte ragioni delle parti in relazione all'inizio o alla prosecuzione dell'attività esecutiva»46 . L'assunto pare non considerare che il potere di decidere sull'inibitoria costituisce, come detto, una estrinsecazione del potere del giudice del giudice dell'appello di decidere sul merito del gravame; analogamente il reclamo originariamente previsto dal legislatore avverso l'ordinanza che decideva sull'inibitoria – al contrario del reclamo previsto dall'art. 624 c.p.c. - non aveva natura di mezzo di impugnazione ma, come si è detto, costituiva la logica conseguenza della collegialità con istruttore prevista dal codice del 1940. Da un lato, insomma, veniva attribuito al giudice competente a decidere il merito dell'appello il potere di sospendere l'efficacia esecutiva della sentenza impugnata; dall'altro questo stretto collegamento funzionale veniva ulteriormente rafforzato assicurando che l'organo deputato a pronunziarsi – in 44 Cass. 25 febbraio 2005 n. 4060, sul rilievo che si tratterebbe «di provvedimento endoprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, destinato ad essere assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena che definisce il giudizio, dovendosi peraltro estendere a questa ordinanza il disposto di cui all'ultimo comma del citato art. 351, che esclude espressamente l'impugnabilità del provvedimento collegiale di conferma, revoca o modifica del decreto con il quale il Presidente abbia concesso in via di urgenza l'inibitoria prima dell'udienza di comparizione, così come l'art. 431, c.p.c., con riferimento alle sentenze di condanna a favore del datore di lavoro, nel richiamare l'art. 283 c.p.c. stabilisce che l'ordinanza concessiva dell'inibitoria non è impugnabile»; App. Catania, 10 novembre 2003 (ord.) in Giur. merito, 2004, 2, I; App. Palermo, 5 agosto 1999. 45 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile., cit., p. 404 ss; ID., La riforma del processo civile, cit. p.178 ss. 46 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, Milano, 2008, ibidem; ID. ,La riforma del processo civile, cit., ibidem. 207 ultima battuta – sull'inibitoria avesse la stessa composizione che avrebbe assunto al momento della decisione del merito. Del resto, si aggiunga, non sembra opportuno incastonare un giudizio di impugnazione (sulla sussistenza dei presupposti dell'inibitoria) all'interno di un altro giudizio di impugnazione (sulla sussistenza dei presupposti dell'appello). Innanzitutto per evidenti ragioni di ordine funzionale. Il reclamo, infatti, ai sensi dell'art. 669 terdecies, dovrebbe essere proposto davanti a un'altra sezione della corte di appello o, in mancanza, alla corte d'appello più vicina. Orbene, atteso che il giudizio sui presupposti dell'inibitoria altro non è, come si è visto, che un giudizio sulla fondatezza prima facie dell'appello (fumus boni iuris e periculum in mora) ammettendo la reclamabilità dell'ordinanza ex art. 283 c.p.c. si verrebbe a creare una duplicazione di giudizi, che avrebbero entrambi il medesimo oggetto (con la sola differenza che gli effetti del provvedimento sul reclamo sarebbero destinati a cadere una volta emessa la sentenza di merito). Va ancora considerato che la decisione sull'inibitoria interviene in una fase in cui vi è già stato un accertamento pieno del diritto, a cognizione piena, da parte di un giudice di primo grado e deve ancora pronunciato un secondo giudizio da parte del giudice del gravame47 . L'introduzione – in assenza di univoche disposizioni in tal senso - di un ulteriore grado di giudizio sulla fondatezza dell'inibitoria (id est: sul fumus di fondatezza dell'appello, su cui l'inibitoria si fonda) costituirebbe probabilmente un'inutile ipertrofia della tutela, non necessaria né opportuna, tenuto anche conto dei ben prevedibili disagi e aporie che si verrebbero a creare nel sistema48. Dal punto di vista sistematico, del resto, l'esame dell'inibitoria in fase di appello è, come detto, strettamente connesso all'esame del merito del gravame49, circostanza, questa, che lo rende di per sé indissolubilmente collegato al giudice che il merito della causa dovrà decidere. Andando di 47 CAPONI-MERLIN, Sulla reclamabilità delle ordinanze., cit., p. 705 ss.; CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, cit. ibidem. 48 A tacer d'altro i fascicoli di causa dovrebbero viaggiare da una sezione all'altra o, peggio, da un distretto di corte di appello all'altro, nell'ipotesi – tutt'altro che infrequente – che nel distretto di corte di appello vi sia un'unica sezione civile. 49 Tant'è che, come si è detto, ai sensi dell'art 283 c.p.c. l'istanza di sospensione deve essere proposta «con l'impugnazione principale o con quella incidentale». 208 contrario avviso, invece, e ammettendo la reclamabilità del provvedimento sulla sospensione adottato in sede di appello, ci si verrebbe a trovare in presenza di un giudice del reclamo la cui cognizione sarebbe del tutto svincolata dal potere di decidere il merito della causa (ma dovrebbe arrestarsi al controllo sommario sulla fondatezza del gravame). Con l'ennesima aporia che tale giudice – almeno nel caso di reclamo avverso ordinanza inibitoria pronunciata dalla corte di appello – non avrebbe mai – neppure nell'eventuale, ulteriore (terzo) grado di giudizio – il potere di decidere sul merito della causa50. In caso di reclamo avverso il provvedimento cautelare deciso in sede di opposizione all'esecuzione (ma un discorso analogo potrebbe essere fatto anche in caso di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.), viceversa, specialmente a seguito della novella del 2005, tale connessione funzionale tra decisione del merito e decisione della sospensione non sussiste. Ed infatti il vigente codice prevede una netta divisione tra giudizio sul c.d. merito cautelare, riservato al giudice dell'esecuzione, e giudizio, eventuale e successivo, sul merito dell'opposizione di competenza del giudice dell'opposizione51. Si aggiunga ancora che la sospensione dell'esecuzione disposta in caso di opposizione ha conseguenze tendenzialmente definitive, in grado di incidere su diritti soggettivi, e non ordinatorie ed interinali52 ; e ciò diversamente dall'inibitoria in fase di gravame, i cui effetti sono transitori e destinati a cessare o ad essere assorbiti dalla sentenza di appello. Le distinzioni sopra evidenziate consentono, probabilmente, di superare anche il sospetto di incostituzionalità dell'art. 351 c.p.c., intravisto da taluni 50 Al contrario di quanto avviene, ad esempio, nel processo amministrativo, ove il provvedimento del TAR che decide sulla sospensiva, ai sensi della legge n. 1034/1971 come modificata dalla legge n. 205/2000, è impugnabile dinnanzi al Consiglio di Stato che è l'organo competente a decidere, nell'ulteriore grado di giudizio, anche il merito della causa. E ciò, naturalmente, anche a non tenere conto delle differenze sostanziali esistenti tra processo civile e processo amministrativo e dell'ulteriore considerazione che il TAR decide sulla sospensiva in prima istanza (e non in sede di gravame) e prima ancora che vi sia stata qualsivoglia statuizione sul merito. 51 Cfr. gli artt. 615 ss. c.p.c. Non fosse altro per la criptica previsione dell'art. 624 c.p.c. che fa derivare la conseguenza della estinzione del pignoramento. 52 209 autori53 in relazione al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della costituzione. Non pare, al riguardo, che nel caso di specie ad essere diversamente trattate siano situazioni eguali o anche soltanto assimilabili54 , tenuto conto delle differenti impostazioni concettuali e sostanziali esistenti tra i differenti tipi di «reclami». Per quanto riguarda il provvedimento di sospensione in caso di ricorso per Cassazione la questione è leggermente diversa. Si è visto che l’art. 373 c.p.c. fu oggetto di una sostanziale modifica con la riforma del 1950. Nel suo testo originario la norma prevedeva che l’istanza inibitoria dovesse essere proposta dinanzi alla Corte di Cassazione stessa55, che avrebbe deciso in camera di consiglio. Coerentemente, per le medesime ragioni illustrate a proposito dell’appello, la legge non prevedeva alcuna forma di reclamo: l’inibitoria era, per un verso, disposta dallo stesso giudice che avrebbe dovuto decidere il grado di giudizio, organo che, per altro verso, manteneva la sua forma collegiale in ambedue le fasi. La riforma del 1950 modificò la norma in questione, prevedendo che il provvedimento inibitorio sarebbe stato pronunciato dalgiudice che aveva emesso la sentenza impugnata. Nell’introdurre questa modifica, tuttavia, precisò espressamente che tale provvedimento non sarebbe stato impugnabile. Il che è coerente, a ben vedere, con la concezione del reclamo sopra evidenziata: non vi era, in questo caso, alcuna collegialità spuria che attraverso il rimedio del reclamo - avrebbe dovuto riespandersi. 53 E, trahit sua quemque voluptas, rimbalzato immediatamente in reiterate eccezioni di incostituzionalità proposte dalle parti nella prassi processuale. 54 App. Palermo, 5 agosto 1999, inedita, che ha evidenziato come i due provvedimenti «quello di cui all'art. 351 e l'ordinanza di cui all'art. 624 c.p.c. hanno una diversa funzione, l'ordinanza di cui all'art. 624 c.p.c. incidendo sull'intero processo esecutivo, a differenza del provvedimento del giudice dell'appello che, invece, quale rimedio interno al processo di cognizione, riguarda l'esecutorietà della decisione impugnata (sentenza di primo grado) ed interviene eccezionalmente e in via sommaria su una situazione giuridica oggetto di accertamento giurisdizionale già completo perché frutto, per l'appunto, di una sentenza resa all'esito di un procedimento a cognizione piena; (...) pertanto non è ravvisabile un'ingiustificata disparità di trattamento, trattandosi di due situazioni sostanzialmente diverse e perciò, a ragione, diversamente disciplinate (...) la disciplina dettata dall'art. 351 c.p.c. appare, pertanto, in linea con il principio della ragionevole durata del processo (art. 111 cost.), atteso il rischio, opportunamente sottolineato da taluno (v. App. Bari, ord. 11 settembre 2006), in caso di reclamabilità del provvedimento che provvede sull'inibitoria, di un'eccessiva frammentazione del processo e di una conseguente dilatazione dei suoi tempi». 55 Par. IV.3. 210 La regola della espressa non reclamabilità, si aggiunga, è rimasta anche nell’attuale formulazione normativa ed è applicabile, giusta i richiami ex artt. 401 e 407 c.p.c., alle ipotesi di revocazione ed opposizione di terzo. VIII.6. Il «reclamo» in caso di opposizione a precetto. Nell’affrontare ex professo la tematica della sospensione dell’esecuzione (recte: «dell’efficacia esecutiva del titolo») in caso di opposizione ex art. 615 comma primo c.p.c. si è dato conto delle ragioni di ordine sistematico, che ci hanno portato a trattare l’argomento in questione tra le sospensioni disposte dal «giudice dell’impugnazione», e non in uno a quella ex art. 615 comma primo c.p.c. Si è, altresì, segnalato che, a seguito della introduzione espressa, ad opera della riforma del 2005, della sospensione in parola, le problematiche applicative principali attengono, essenzialmente, tre aspetti. In primo luogo, ci si interroga sulla applicabilità del regime di cui all’art. 624 c.p.c., ed in particolare della regola dell’estinzione di cui al secondo comma, e se esso sia compatibile con la sospensione disposta in sede di opposizione a precetto. In secondo luogo viene in rilievo la questione del limite temporale di siffatta tutela inibitoria, se essa sia utilizzabile anche dopo che l’esecuzione sia già iniziata, ovvero se occorra, in tal caso, proporre anche opposizione all’esecuzione e rivolgere l’istanza al giudice della procedura stessa. Di ambedue le questioni si è parlato diffusamente trattando della sospensione in parola, argomento al quale si rinvia56. La terza questione riguarda la reclamabilità del provvedimento di sospensione disposto dal giudice dell’opposizione a precetto. Trattando, ai paragrafi precedenti, la fattispecie delle inibitorie in sede di impugnazione, non si è nascosto un certo sfavor verso le interpretazioni estensive. Si è detto che la reclamabilità del provvedimento cautelare può trovare una sua giustificazione concettuale nella ideale divisione dell’opposizione ex art. 615 comma secondo c.p.c. in giudizio cautelare e giudizio di merito. Nel caso dell’opposizione all’esecuzione iniziata si è in presenza di un provvedimento cautelare, che viene emesso da un giudice - 56 Supra, par. IV.9. 211 quello dell’esecuzione stessa - diverso da quello che dovrà decidere il merito della lite. Nella fattispecie di cui all’art. 615 comma secondo si ha una fase cautelare, che si svolge davanti al giudice dell’esecuzione e che costituisce, sotto certi aspetti, una specifica fase della procedura stessa. La fase del merito si svolge, invece, dinanzi ad un giudice diverso, che dovrà poi decidere sulla fondatezza o meno dell’opposizione (e dunque: sull’esistenza del diritto, sulla pignorabilità del bene, ovvero, nel caso di opposizione di terzo, sulla sua appartenenza al debitore). Da una parte c’è il giudice dell’esecuzione, il cui sindacato è limitato all’esistenza dei gravi motivi, dall’altra il giudice del merito, che dovrà dirimere la lite sull’esistenza del diritto. Sotto altro profilo, poi, la configurabilità del reclamo in caso di opposizione all’esecuzione «già iniziata» è, probabilmente, strettamente correlata agli effetti lato sensu «anticipatori» del provvedimento di sospensione. Secondo la strategia legislativa seguita nel 2005-2009 il provvedimento di sospensione potrebbe definire l’opposizione e l’esecuzione, dal momento che, se nessuno introduce il giudizio di merito, la procedura esecutiva dovrà essere dichiarata estinta, anche d’ufficio. L’esperibilità del reclamo, probabilmente, costituisce il contrappeso alla stabilità potenziale del provvedimento di sospensione, il quale - ben potendo determinare la chiusura tanto dell’opposizione quanto dell’esecuzione stessa - è stato ragionevolmente assoggettato ad uno specifico mezzo di controllo, se non proprio di impugnazione. L’opportunità di un reclamo avverso il provvedimento di sospensione - la necessità, dunque, che detta ordinanza sia oggetto di revisione - trova, pertanto, un duplice fondamento ideologico. Da un lato, come detto, la potenziale stabilità del provvedimento medesimo, che potrebbe chiudere non solo l’opposizione e la stessa procedura esecutiva; dall’altro l’autonomia del subprocedimento di sospensione rispetto al giudizio di merito, che deve ancora iniziare. Il giudice chiamato a decidere sulla sospensione, come si diceva, è diverso da quello che dovrà decidere la lite. Ambedue i presupposti mancano nel caso dell’opposizione a precetto. Da un lato si è, infatti, in presenza di un procedimento complessivamente unitario (e non bifasico), mentre dall’altro al provvedimento inibitorio non possono far seguito gli effetti estintivi dell’esecuzione. 212 Sotto altro profilo, riteniamo, analogamente a quanto detto a proposito dell’inibitoria in appello, che il potere del giudice dell’opposizione a precetto di sospendere l’esecuzione sia intrinsecamente connesso con il suo potere di decidere la lite. Un reclamo sarebbe, pertanto, teoricamente configurabile solo nel caso di opposizione a precetto proposta dinanzi ad un giudice collegiale, con provvedimento di sospensione demandato al giudice istruttore. Si tratterebbe, tuttavia, non del reclamo previsto dall’art. 624 c.p.c., ma di uno strumento affine a quello di cui all’art. 178 c.p.c., di controllo, dunque, da parte del collegio, sui provvedimenti adottati dal giudice singolo. Anche su un piano letterale il reclamo previsto dall’art. 624 c.p.c. sembra essere riferito alla sola sospensione disposta quando l’esecuzione è iniziata. È stato, al riguardo, affermato che l'art. 624 c.p.c., nel disciplinare la sospensione dell’esecuzione in caso di opposizione ex art. 615 c.p.c., parrebbe fare riferimento alle sole ordinanze di sospensione emesse dal «giudice dell'esecuzione». Conseguentemente anche il reclamo disciplinato dal comma secondo sembra fare riferimento alle sole ipotesi di ordinanze di sospensione emesse nell'ambito di opposizione all'esecuzione di cui al comma secondo dell’art. 615c.p.c., dal momento che un «giudice dell'esecuzione» non vi è ancora quando si propone l'opposizione al precetto. Dunque non sarebbe soggetta a reclamo ex art. 624 c.p.c. la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo disposta dal giudice dell’opposizione a precetto57. Un volta esclusa l’applicabilità della norma speciale, la giurisprudenza si è chiesta se possa trovare applicazione il reclamo generale ex art. 669 terdecies c.p.c., considerato, oltretutto, che continua ad affermarsi la natura cautelare del provvedimento inibitorio. Anche in questo caso è stata data risposta negativa al quesito, sul rilievo che troverebbe piena applicazione la regolamentazione imposta dall'art. 669 quaterdecies c.p.c., ai sensi del quale l'applicazione del regime cautelare uniforme (ivi compreso il meccanismo di reclamo) è espressamente limitato ai provvedimenti previsti nelle sezioni II, III e V del capo III del Libro IV del codice di procedura58. 57 Trib. Milano, 28 maggio 2008, in Riv. Esec. Forzata, 2009, p.2 nota di PUCCIARIELLO; Trib. Milano, 5 ottobre 2006 in Giur. it., 2007, 5, p. 1214 con nota di CONTE. 58 Trib. Milano, 28 maggio 2008, cit. 213 Avverso tali considerazioni, tuttavia, è stato osservato che il primo comma dell’art.624 c.p.c., nella sua vigente formulazione, richiama l’intero art. 615 e non solo, come in passato, il comma secondo. Di modo che emergerebbe una esplicita volontà del legislatore di dettare una disciplina unitaria della sospensione nel suo complesso (ivi compreso, dunque, il reclamo). Negare l’applicabilità del reclamo, sotto tale profilo, significherebbe svuotare di significato la novella del primo comma dell’art. 624 c.p.c.: se il legislatore ha voluto espressamente eliminare il riferimento al solo «comma secondo» dell’art. 615, e richiamare l’intera disciplina dell’opposizione all’esecuzione nel suo complesso, tale scelta non può che avere un significato ben preciso 59. Se si accoglie la tesi dell’ammissibilità del reclamo, però, sorgono immancabilmente dei problemi di coordinamento, correlati alla difficoltà di individuare - in talune fattispecie - il giudice competente. L’opposizione a precetto, infatti, va proposta, come noto, al giudice competente per materia, valore e territorio; conseguentemente detto giudice potrebbe ben essere il giudice di pace o un organo necessariamente collegiale, come una sezione specializzata agraria o la sezione specializzata sulla proprietà industriale60. Nessuno dei predetti casi, però, è contemplato dal reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., sicché - a meno che non si escluda in radice, per come sopra sostenuto, la proponibilità del reclamo - risulta quanto mai complicato individuare il giudice competente. Sul punto sarebbe quanto mai opportuno un intervento del legislatore. 59 MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, vol. II, V. ed., cit., p. 291; ID., Art. 615, 624, 624 bis, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.438, ove si segnala che escludere la reclamabilità dell’ordinanza in questione esporrebbe la norma ad un sospetto di incostituzionalità ex artt. 3 e 24 Cost.; lo stesso provvedimento, infatti, pur essendo basato su identici presupposti, sarebbe reclamabile se emesso successivamente all’inizio dell’esecuzione forzata, irreclamabile nel caso contrario. Conf. PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, cit., p. 262. Per una disamina cfr. LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, cit., p. 691. 60 Per la configurabilità delle sezioni sulla proprietà industriale quali sezioni specializzate in senso proprio, analogamente a quelle agrarie, cfr. Trib. Milano 13 luglio 2006; Trib. Milano, 3 giugno 2004 in Giur. dir. ind., 2005, p.349; Cass. 9 novembre 2006, n. 23891; Cass. sez. un. 16 luglio 2008, n. 19512; in dottrina cfr. per una disamina: CASABURI, Il giudice della proprietà industriale (ed intellettuale). Sezioni specializzate: competenza e rito dal d.leg. n. 168 del 2003 al codice, in Riv. dir. ind., 2005, I, p.201. 214 Sulla base del diritto positivo, il reclamo avverso i provvedimenti del giudice di pace potrebbe essere proposto al tribunale, analogamente a quanto accadeva, giusta la previgente formulazione dell’art. 669 terdecies61, per i provvedimenti del pretore. Per quanto riguarda, invece, i provvedimenti delle sezioni specializzate potrebbe essere applicato, in via analogica, quanto previsto per il caso di provvedimento cautelare emesso dalla corte di appello. Il reclamo, segnatamente, potrebbe essere proposto dinanzi ad altra sezione dello stesso tribunale o, più probabilmente, trattandosi di sezioni specializzate, davanti alla sezione specializzata più vicina. In alternativa potrebbe trovare applicazione, sempre in via analogica, il disposto dell’art. 739 c.p.c., secondo cui contro i provvedimenti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio può essere proposto reclamo alla corte di appello. Tutte le soluzioni sopra proposte, va detto, sono assolutamente praeter legem, se non proprio contra legem. Esse, peraltro, comporterebbero probabilmente complicazioni eccessive, atteso che - analogamente a quanto si è detto in materia di inibitoria in appello - darebbero luogo ad una duplicazione dei giudizi: l’uno sul merito cautelare ed uno sul merito dell’opposizione. Si realizzerebbe, dunque, anche nell’opposizione a precetto una marcata separazione delle fasi, analoga a quella prevista nel caso di opposizione all’esecuzione già iniziata. Solo che nella fattispecie la distinzione delle due fasi non sarebbe del tutto giustificata sul piano concettuale, posto che non vi è, nell’opposizione a precetto, una fase dinanzi al giudice dell’esecuzione, ma tutto si svolge davanti al giudice chiamato a decidere il merito dell’opposizione medesima 62. 61 Anteriormente alla modifica con art. 108 del d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51, recante l’istituzione del giudice unico. 62 Anche il sospetto di incostituzionalità della norma, sotto il profilo della differente regolamentazione di fattispecie analoghe - sospensione in caso di opposizione a precetto e all’esecuzione iniziata - potrebbe essere superato sulla sua linea di minore resistenza. Non si sarebbe in presenza di fattispecie omologhe, atteso che solo la sospensione in caso di opposizione all’esecuzione iniziata darebbe luogo, come detto, a quegli effetti tendenzialmente stabili e latamente anticipatori (i.e., possibile estinzione dell’esecuzione), che hanno giustificato l’introduzione del reclamo. 215 Peraltro una disciplina del reclamo come quella sopra proposta accosterebbe tale rimedio ai mezzi di impugnazione in senso proprio63, conseguenza, questa, non del tutto giustificabile (tenuto conto che, ripetesi, la sospensione del giudice dell’opposizione a precetto è, probabilmente, funzionalmente connessa al potere del giudice medesimo di decidere la lite). L’impasse di disciplina, anzi, costituisce probabilmente un ulteriore argomento per escludere la reclamabilità dell’ordinanza di sospensione in caso di opposizione a precetto. 63 V. supra, par. VIII.1. 216 Bibliografia AGRIZZI, La sospensione della provvisoria esecuzione delle sentenze di primo grado nelle cause di risarcimento dei danni da responsabilità civile automobilistica ex lege 24 dicembre 1969 n.990, in Arch. circolaz., 1998, p. 461 ss. AGUGLIA, Misure patrimoniali antimafia ed oppressione dei creditori, dir. fall., 1990, II, p. 613. AIELLO, La tutela civilistica dei terzi nel sistema della prevenzione patrimoniale antimafia, Milano, 2005, p. 1 ss. AJELLO, Le misure di prevenzione patrimoniali di cui alla legge 575/65 e la sorte dei diritti personali di godimento, in Foro it., I, 2002, p. 291. ALLORIO, Sospensione dell’esecuzione per consegna o rilascio, in Giur. it., 1946, I, p. 111. ANDRIOLI, Commento al Codice di Procedura Civile, 2° ediz., Napoli, 1947, vol. III. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3° ediz., Napoli, 1957,vol. III, p. 382. ANSELMI BLAAS, Il procedimento per convalida di licenza o sfratto, Milano, 1966, p. 260. ARIETA - DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in MONTESANO – ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Vol. III, Tomo II, Padova, 2007, p.1544 ss. 217 BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della legge n. 18 giugno 2009, n. 69), in www.judicium.it. BALENA - BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 206, p. 300 ss. BARBIERI, Sospensione della sentenza e ricorribilità provvedimento inibitorio, in Immobili & diritto, 2007, p. 112 ss. contro il BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo, www.judicium.it 2006. BATTAGLIA, Effetti dell'introduzione del giudice unico in tribunale, in Il giusto processo civile, 2008, p. 1071 ss.. BATTAGLIA, Artt. 615 - 619 c.p.c., 185 disp. att., in CIPRIANI MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p. 420 ss. BIGLIAZZI GERI, Risoluzione per inadempimento, Tomo II, in Commentario del Codice Civile Scialoja - Branca, Roma Bologna, 1988, p. 1 ss. BLOCK, La mafia in un villaggio siciliano, 1860-1960, Torino, 1986, p. 1 ss. BONGIORNO, Misure di prevenzione e procedimenti concorsuali: gli ultimi sviluppi della giurisprudenza, Riv. cur. fall., 1999, p.19. BONGIORNO, Tecniche d i tutela dei creditori nel sistema della legge antimafia, in Riv. dir. proc., 1988, p.445. BONGIORNO, Note a margine di una recente ordinanza in tema di effetti civili della confisca nel sistema della legge 646/1982, Fallimento, 1986, p. 1136. 218 BONGIORNO, proposte per una urgente modifica delle norme sul sequestro e la confisca dei beni dell’imprenditore mafioso, Foro it., 1984, V, p.267; BONGIORNO, L’espropriazione dei beni confiscati, Studi in onore di Carmine Punzi, Vol.1, Torino, 2008. BONSIGNORI L'esecuzione forzata, Torino 1996, p. 343. BORDONALI, Il sistema delle opposizioni matrimoniali, Padova, 1985. BORGHESI, L'anticipazione dell'esecuzione forzata nella riforma del processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, p. 198. BORSELLI, Inibitoria (dir. proc. civ.) in Novissimo Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 701 ss. BRUNORI, Sulla inibitoria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1956, p. 207 ss. BUCOLO, La sospensione nell’esecuzione. La sospensione in generale, Milano, 1972, p. 283. BUCOLO, La sospensione nell'esecuzione. Le opposizioni esecutive, II, Milano 1972, p.1175. BUCOLO, Il processo esecutivo ordinario, Padova, 1994, p. 705. CABRINI, in CARPI - TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, sub artt. 615 e 624, Padova, 2010. CAPONI-MERLIN, Sulla reclamabilità delle ordinanze sulla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c., in Corr. giur., 2005 p. 705 ss. 219 CAPPONI, Appunti sulle opposizioni esecutive dopo le riforme del 2005-2006, in Riv. esec. forz., 2007, p.606. CAPPONI, Lineamenti del processo esecutivo, Bologna, 2008, p. 378, CARNELUTTI, Progetto del codice di procedura civile, presentato alla Sottocommissione Reale per la riforma del Codice di Procedura Civile, parte seconda, Del Processo di esecuzione, Padova, 1926. CARNELUTTI, Lavori per la riforma del codice di procedura civile, in Riv. dir. proc. civ., 1924, I, p. 294 ss. CARNELUTTI, Istituzioni di Diritto processuale civile, vol. III, Roma, 1956 pp. 98. CARNEVALE, Appunti sulla natura giuridica della tutela inibitoria, in Riv. dir. proc.civ., 2007, p.68 ss. CARPI, Sospensione dell’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, p. 1 ss. 967, p. 3 ss. CARPI, La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1979, p. 225 ss. CARPI, L'inibitoria processuale, in Riv. trim. dir . e proc. civ., 1975, p.93 ss. CARPI - COLESANTI - TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 1984, p.498. CARRATTA, Le novità in materia di sospensione del processo di esecuzione forzata, in MANDRIOLI - CARRATTA, Come cambia il processo civile, Torino, 2009, p. 109 ss. 220 CASABURI, Il giudice della proprietà industriale (ed intellettuale). Sezioni specializzate: competenza e rito dal d.leg. n. 168 del 2003 al codice, in Riv. dir. ind., 2005, I, p.201. CASSANO, Azioni esecutive su beni oggetto di sequestro antimafia e buone fede dei creditori, Fallimento, 2002, p.661. CASSANO, Il fallimento dell’imprenditore mafioso: effettività della prevenzione patrimoniale e garanzia dei diritti dei terzi in buona fede, ivi, 1999, p.1354. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, p. 895. CAVALLONE, Il progetto Orlando, Note introduttive; in TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile., cit, p. 829 ss. CECCHELLA, Il reclamo avverso le ordinanze di sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., in Riv. esec. forz., 2000, p. 351 ss. CECCHI, Analisi statistica dei procedimenti civili di cognizione in Italia, Bari, 1975, p 77 ss. CHIARLONI, Opposizione all’esecuzione a seguito di sospensione dell’esecuzione provvisoria di decreto ingiuntivo, in Giur. it., 2004, p. 1869. CHIARLONI, in TARZIA – CIPRIANI, Provvedimenti urgenti per il processo civile, Padova, 1993, p. 162. CHIOVENDA, Sulle inibitorie alla provvisoria esecuzione delle sentenze civili e commerciali, in Riv. dir. comm., 1903, II, p.143 ss. 221 CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e sulle inibitorie, in Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), a cura di PROTO PISANI, Milano, 1993, p.301 ss. CHIOVENDA, Ancora sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e sulle inibitorie, in Saggi.,Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), a cura di PROTO PISANI, Milano, 1993, p.301 ss. CHIOVENDA, Relazione sulla proposta di riforma, in La riforma del procedimento civile proposta dalla Commissione per il dopo guerra. Redazione e testo annotato per cura di Giuseppe Chiovenda, Napoli, 1920. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991, p.91 ss. CIPRIANI, Prefazione a JUAN MONTERO AROCA, I principi politici del nuovo processo civile spagnolo, Napoli, 2002, p. 1 ss. CIPRIANI, Autoritarismo e garantismo nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1994, p.24 ss. CIPRIANI, il codice di procedura civile tra gerarchi e e processualisti, Napoli, 1992, p.13 ss e p. 38-52. CIPRIANI, I problemi del processo di cognizione tra passato e presente, in Riv. dir. civ., 2003, p. 59 ss. CIPRIANI, La ribellione degli avvocati al c.p.c. del 1942 e il silenzio del Consiglio Nazionale Forense, in Ideologie e modelli del processo civile, Napoli, 1997. CIPRIANI – IMPAGNATIELLO (a cura di), Codice di procedura civile con la relazione al Re, Bari, 2007, p.278 ss. COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA DEL FENOMENO DELLA MAFIA 222 E SULLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI SIMILIARI, Audizione del Presidente del Comitato del Fondo di solidarietà per le vittime delle estorsioni, avv. Lorenzo Pallesi, Roma, 20 maggio 1997. COMMISSIONE REALE PER LA RIFORMA DEI CODICI, SOTTOCOMMISSIONE C, Codice di procedura civile, Progetto, Roma, 1926, con prefazione scritta da MORTARA. COMOGLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, p. 329 ss. COMOGLIO, L'esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado, in TARUFFO, Le riforme della giustizia civile, Torino, 2000, p. 379 ss. CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art.183 ed altre disposizioni sul processo civile. Il mancato ricompattamento dei riti, in Corriere giur., 2007,12, p. 1757 ss. CONSOLO, E' sempre grave ed irreparabile - ex art. 373 c.p.c. - il danno conseguente al rilascio forzato di un immobile (o di un fondo) adibito ad attività di impresa?, in Giur. it., 1986, I, 2, p. 183. CONSOLO, L'inibitoria in appello nel (lungo) regime transitorio tra forme vecchie (art.351) e sostanza nuova (art. 283) e nel confronto col c.p.p., in Corr. giur.,1996, p. 779. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Profili generali, Padova, 2006, p. 61. CONSOLO, in CONSOLO-LUISO-SASSANI, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, p. 274 ss. CONSOLO-LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2006, p. 2219 ss. 223 CONVERSO, Il processo di appello dinanzi alla Corte di Appello, in Giur.it., 1999, p.663 ss. CONTE, La riforma delle opposizioni e dell'intervento nelle procedure esecutive, con requiem per il sequestro conservativo, in www.judicium.it, 2006. CORDOPATRI, L'abuso del processo, Padova 2000, p. 3 ss. CORSARO-BOZZI, Manuale dell'esecuzione forzata, Torino, 1996, p. 524. COSTA, Il fallimento dell’imprenditore sottoposto a misure di prevenzione, in Dir. fall., 1996, I, p.10. D’AMELIO, La codificazione italiana e la sua evoluzione storica, conf. del 21 marzo 1942, in CIRCOLO GIURIDICO DI MILANO, Linee fondamentali della nuova legislazione civile italiana sulla famiglia, la proprietà privata, il lavoro e l’impresa, Milano, 1943, p. 3 ss. DALFINO, Note a prima lettura di alcuni recenti interventi di riforma del processo del lavoro, in Foro it., 2008, V. p. 307 ss. DANOVI, Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti sommari nella separazione e nel divorzio, in Il giusto processo civile, 2008, p.203 ss. DE CRISTOFARO, Doveri di buona fede ed abuso degli strumenti processuali, in Il giusto processo civile, 2009, p.993 ss. ed in part. p. 1005-1007; DE LUCA, Sul reclamo avverso i provvedimenti di istruzione preventiva, in Il giusto processo civile, 2008, p.406 ss. DEMARCHI, Il nuovo processo civile, Milano, 2009, p.444. 224 DI BENEDETTO, Brevi note sulla ammissibilità del reclamo contro i provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione emessi ai sensi dell’art. 624 co. 1 c.p.c. in Giur. merito, 1996, p. 217 ss. DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA, Relazione semestrale (primo semestre 1995), in Per aspera ad veritatem, n. 3, 1995, p. 1 ss. DONDI - GIUSSANI, Appunti sul problema dell’abuso del processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 197. FALZONE, L’inibitoria giudiziale della operatività degli atti giuridici, Milano, 1967, p. 3 ss. FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell'aggiudicatario nell'espropriazione dei beni confiscati in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2008, p.493 ss. FARINA, in BRIGUGLIO-CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 131 ss. FARINA, Caducazione del titolo esecutivo e chiusura anticipata dell’espropriazione: Quali effetti nei confronti dei creditori intervenuti e dell’acquirente in vendita forzata?, in Giust. civ., 2010, parte prima, 2033. FAZZALARI, Il giudizio civile di cassazione, Milano 1960, p. 115. FERRI, In tema di esecutorietà della sentenza e inibitoria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, p. 565 ss. FINOCCHIARO, L’esercizio dei poteri cautelari implica valutazioni di merito, in Guida al diritto, 2006, fasc. 14, p.66. 225 FRANCAVILLA, L'art.20 l. n. 44/99 e la sospensione dei termini dei processi esecutivi nei confronti delle vittime di attività estorsive ed usurarie: il parere prefettizio non può vincolare, in Riv. esec. forz., 2006, p. 379 ss. FRIGNANI, Inibitoria (azione), in Enciclopedia del diritto, XXI, Milano, 1971, p. 559 ss. FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Varese, 1956, p. 19 ss. FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, p. 196 ss. GAITO, Sui rapporti tra fallimento e sequestro antimafia in funzione di confisca, in Riv. dir. proc., 1996, p.393. GAITO, Fallimento, sequestro in funzione di confisca e tutela dei terzi nella repressione del fenomeno mafioso, in Giur. it. 1985, II, p.397; GIALANELLA, Il punto su misure di prevenzione patrimoniali e tutela dei terzi: nuovi passi della lunga marcia verso un orizzonte di riforma, in Atti Convegno CSM 24-26 novembre 2003 su Le misure di prevenzione patrimoniali “Rosario Livatino”. GAMBARO, L’abuso del diritto di azione, in Resp. civ. prev., 1983, p. 821 ss; GHIRGA, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004, p.205 ss. GIUDICEANDREA, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 1956, p. 380. GRIMALDI, Misure patrimoniali antimafia e tutela dei creditori, in Dir. fall., 2001, II, p.1066. 226 IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, Milano, 2008. IMPAGNATIELLO, in CIPRIANI -MONTELEONE, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p.171 ss. IMPAGNATIELLO, Provvisoria esecuzione senza inibitoria? in Foro it., 2005, p. 547 ss. INZERILLO, La tutela dei terzi nelle misure di prevenzione patrimoniali, in Giur. it., 1999, p.1712. JAEGER, Diritto processuale civile, Torino, 1944, p.518. LAZZARO-PREDEN-VARRONE, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1978, p. 294. LO CASCIO, Misure di prevenzione antimafia: lo dell’interpretazione normativa, in Fallimento, 1998, p. 437. stato attuale LO CASCIO, Ancora sulla illegittimità costituzionale della normativa antimafia, ivi, 1995, p. 583. LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L'esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, p. 643 ss. LUISO, Processo di esecuzione forzata, in Sospensione del processo civile, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIII, p.59 ss. LUISO, Diritto processuale civile, vol. II, Milano 1999 p.428 ss. LUISO, Diritto processuale civile, vol. III, Milano 1999, p. 66. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2000, II, p. 379 ss. 227 MACCARRONE, Per un profilo strutturale dell'inibitoria processuale, in Riv. dir. proc., 1981, p.274 ss. MAISANO, Misure patrimoniali antimafia e tutela dei creditori, in Giur. comm., 1986, II, p.889. MAISANO, Profili commercialistici della nuova legge antimafia, in Rivista diritto penale, 1984, p.430. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Vol. III, Torino 1997, p. 460. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Vol. II, Il processo di cognizione, Torino, 2006, p.308 ss. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Vol. IV, L'esecuzione forzata. I procedimenti sommari, cautelari e possessori. Il nuovo procedimento sommario cognitorio. La giurisdizione volontaria., Torino, 2009, p.223 ss. MANGANO, La confisca nella legge Rognoni-La Torre ed i diritti dei terzi, in Dir. fall., 1988, I, p.684. MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, V, 5° ed., Torino, 1902, pag. 243 ss.; 353 ss.; 711 ss. MERLIN, Procedimenti cautelari e urgenti, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, p. 431. MICHELI, Corso di diritto processuale civile, vol. II, Milano, 1961, p. 307 ss. 228 MICHELI, L’esecuzione forzata, appunti dalle lezioni di diritto processuale civile, Anno Accademico 1960-1961, in Corso di diritto processuale civile, Milano, 1961, p. 96 ss. (appendice). MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto preliminare e Relazione, Roma, 1937, p. I ss. MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile. Progetto definitivo e Relazione del Guardasigilli on. Solmi, Roma, 1939, p.110 ss. MOLINARI, Tutela del terzo creditore di un diritto reale di garanzia nel procedimento di prevenzione con riferimento al sequestro e alla confisca antimafia, in Cass. pen., 2000, p. 2771 ss. MONTELEONE, Effetti ultra partes delle misure patrimoniali antimafia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 574. MONTELEONE, Diritto processuale civile, III ed., Padova, 2004, p. 1077 ss.. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2007, p. 562 ss. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, vol.I, V ed., Padova, 2009, p. 193 ss. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, vol. II, V. ed., Padova, 2009, p. 289 ss. MONTELEONE, A proposito di una incipiente riforma del processo civile, in Il giusto processo civile, 2008, p.1105. MONTELEONE, “La grande illusione, in Il Giusto processo civile, 2008, p. 621; 229 MONTELEONE,, Il processo societario innanzi alla Corte costituzionale, in Il giusto processo civile, 2008, p.169. MONTELEONE, Postilla, in Il giusto processo civile, 2008, p. 169 ss. MONTELEONE, Il codice di procedura civile italiano del 1865, in Codice di procedura civile del Regno d'Italia 1865, a cura di PICARDI – GIULIANI, Milano, 2004. MONTELEONE, Intorno al concetto di verità materiale o oggettiva nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1 ss. MONTELEONE, Esecuzione provvisoria, in Digesto IV ed., Disc. priv. Sez. civ., Aggiornamento, Torino, 2000, p. 365 ss. MONTELEONE, Art. 615, 624, 624 bis, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.432. MONTESANO-ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Le tutele sommarie, III, 1, Padova 2005, p. 333. MORTARA, Per il nuovo codice della procedura civile, riflessioni e proposte, Torino, 1923. MORTARA, Qualche osservazione intorno ai poteri del giudice di appello in tema di esecuzione provvisoria, in Giur. it., 1903, I, 2, p. 469 ss. NEGRINI, La fondatezza dell'impugnazione come motivo di sospensione del lodo arbitrale, in Nuova giur. civ., 2001, I, p. 53. NEGRINI, in CHIARLONI, Le recenti riforme del processo civile, Bologna, 2007. 230 NORELLI, Misure patrimoniali antimafia, tutela esecutiva dei creditori e fallimento, in AA.VV., Imprenditori anomali e fallimento, Padova, 1997, p. 343. OLIVIERI, Opposizione all’esecuzione, sospensione interna ed esterna, poteri officiosi del giudice, in Studi di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Tarzia, II, Milano, 2005, p. 1271. ORIANI, La sospensione dell'esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), www.judicium.it, 2006. ORIANI, Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla legge n. 80 del 2005. Titolo esecutivo, opposizioni, sospensione dell’esecuzione, in Foro it., 2005, V, p. 109. ORIANI, L’imparzialità del giudice l’opposizione agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2001, p.16 ss. ORIANI, Opposizione all'esecuzione, Digesto Italiano, vol. IV civ., XIII, Torino 1995, p. 624. PEPE, Codice civile (1865) Codice di Commercio (1882) del Regno d'Italia, Napoli, 2008. PETRILLO, Art. 624 - sospensione per opposizione all’esecuzione, in BRIGUGLIO - CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 625 ss. PICARDI – GIULIANI, Il codice di procedura civile del Regno d'Italia, 1865, con introduzione a cura di MONTELEONE, Il codice di procedura civile italiano del 1865, Milano, 2004. PICARDI – GIULIANI, Codice per lo Regno delle Due Sicilie, III. Leggi della procedura ne' giudizj civili, 1819, con introduzione a cura di CIPRIANI, Le 231 Leggi della procedura nei giudizi civili del Regno delle Due Sicilie, Milano, 2004. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, p. 788. PROTO PISANi, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p.197 ss. PUCCIARIELLO, Sulla sospensione dei termini del processo esecutivo in favore dei beneficiari del fondo di cui alla legge n.44/99 in Riv. esec. forz., 2007, p. 372 ss. PUNZI, Il processo civile, Torino, 2008, p. 218 ss. PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, Torino, 2010, p. 259 ss. RAGUSA MAGGIORE, Confisca penale di beni dei mafiosi e tutela dei terzi, in Diritto fallimentare, 1994, II, p.869. RASCIO, Note sull'impiego del reclamo (in luogo dell'appello) come mezzo per impugnare le sentenze con devoluzione automatica piena, in Riv. dir. proc., 2008, p.955. RECCHIONI, Il processo cautelare uniforme, in CHIARLONI-CONSOLO, Trattato sui processi speciali, II, Processo cautelare, Torino 2005, p. 44 ss. RECCHIONI, I nuovi articoli 616 e 624 c.p.c. fra strumentalità cautelare "attenuata" ed estinzione del "pignoramento", in Riv. dir. proc., 2006, p.643 ss. REDENTI, Diritto processuale civile, vol. III, Milano, 1957, p. 315 ss. RESCIGNO, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 205 ss. 232 ROMANO, La nuova opposizione all'esecuzione, www.judicium.it, 2006. RONDINONE, Storia inedita della codificazione civile, Milano, 2003, p.686. L.A.RUSSO, La sorte delle imprese sottoposte al sequestro secondo la legge n. 646/1982: un singolare intervento regionale, in Fallimento, 1986, p.485. L.A.RUSSO, La gestione dei patrimoni sequestrati e la tutela dei terzi nel sistema della legge n.646/1982, in Fallimento, 1985, p. 1008. L.A.RUSSO, Confisca antimafia e tutela dei terzi: un importante revirement della cassazione che smentisce i giudici di merito, in Dir. fall., 2004, p.1. RUSSO, Il processo di esecuzione e le interpretazioni additive in materia di confisca antimafia in Rivista dell'esecuzione forzata, 2-3/2008, p. 584 ss. RUSSO, L'Inibitoria processuale e la sua reclamabilità: problemi vecchi (e nuovi?) in un travaglio normativo di quasi settant'anni, in Il giusto processo civile, 2009, p 601 ss. RUSSO, L’iniziativa per la dichiarazione di fallimento, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 73 ss. RUSSO, Le "impugnazioni" avverso il provvedimento che definisce la procedura prefallimentare, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 124 ss. RUSSO, Il tribunale competente, in APICE (a cura di), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. 1, La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, p. 52 ss. 233 RUSSO, Difetto di interesse ad agire nelle azioni di mero accertamento di diritti di credito, in Il giusto processo civile, 2010, p. 541 ss. SALETTI, Il processo esecutivo, Note introduttive, in TARZIA – CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile (1865-1935), tomo II, p. 989. SASSANI, Interesse ad agire, I) Diritto processuale civile, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol XVII, p. 4 ss. SATTA-PUNZI, , Diritto processuale civile, Padova, 1996, p. 357 ss. SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 379 ss. SATTA, Commemorazioni del codice di procedura civile del 1865, in ID., Quaderni del diritto e del processo civile, I, Padova, 1969, p. 94. SATTA, Storia e “pubblicizzazione” del processo in Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova, 1968, p. 211 ss. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959 p. 3 ss. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano, 1959, p. 472 ss. SIRACUSANO, in VACCARELLA -VERDE, Codice di procedura civile commentato, Torino, 1997, II, p. 525 ss. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, p. 1247. SPACCAPELO, Brevi note sull'inibitoria in appello della sentenza di rigetto dell'opposizione d.i., in Giur. it., 2006, p. 1010 ss. STORTO, Note su alcune questioni in tema di opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2000, p. 249; 2000, p. 381. 234 TARZIA, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2002, p. 320 ss. TORRE, Confisca ex legge Rognoni-La Torre e tutela dei diritti dei terzi, in Dir. fall., 1989, I, p. 404. TOTA, Art. 615 - forma dell’opposizione, in BRIGUGLIO - CAPPONI, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 545. TRAVI, Espropriazione presso terzi, in Novissimo Digesto It., Vol. VI, Torino 1960, p. 963. TRIFONE-CARRATO, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 2003, p. 354. TRISORIO LIUZZI, I procedimenti sommari e speciali. Procedimenti sommari, Torino, 2005, p. 751. VACCARELLA, Opposizioni all'esecuzione, in Enc. giur. Treccani, vol. XXI, Roma 1990. VELLANI, Appello (dir. proc. civ.), in ANDRIOLI, Commentario, II, p. 488. VITTORIA, La sospensione esterna del processo esecutivo. La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, in Riv. esec. forz., Torino, 2007, p. 401 ss. VITTORIA, Il controllo sugli atti del processo di esecuzione forzata: l’opposizione agli atti esecutivi e i reclami, in Riv. esec. forz. VULLO, Considerazioni in tema di irreparabilità del danno ai fini della sospensione dell'esecuzione della sentenza d'appello, in Giur. it., 1996, I, 2, p. 242 ss. 235 ZIINO, Art. 617, in CIPRIANI - MONTELEONE, La riforma del processo civile, cit., p.429. ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e di distribuzione del ricavato, in www.judicium.it. 236