Aνδρομάχη, colei che combatte gli uomini. Una delle figure femminili più note nei poemi epici greci è quella di Andromaca, figlia di Eezìone, re di Tebe Ipoplacia. In giovane età viene rapita e costretta a sposare l’eroe troiano Ettore, dalla cui unione nasce Astianatte; con il tempo si innamora di suo marito, che vedrà morire durante la Guerra di Troia insieme al padre e ai fratelli. Dopo la distruzione della città, diventa schiava e concubina di Pirro, re dell’Epiro, che però continua a rifiutare, non avendo dimenticato l’amato Ettore. L’uomo, dopo aver ucciso il piccolo Astianatte, abbandona la donna; Andromaca torna finalmente a Troia, sposando in terze nozze Eleno, fratello del marito defunto, a cui diede un figlio. Viene presentata nel libro IV dell’Iliade, quando suo marito si allontana dal combattimento per salutarla un’ultima volta, prima dello scontro con il greco Achille. “E quando, attraversata la gran città, giunse alle porte Scee, da cui doveva uscir nella piana, qui la sposa ricchi doni gli venne incontro correndo, Andromaca, figliuola d'Eezione magnanimo, Eezione, che sotto il Placo selvoso abitava Tebe Ipoplacia, signore di genti cilicie; la sua figlia appartiene ad Ettore elmo di bronzo.” Quella che segue l’introduzione di Andromaca nelle vicende iliache, è una scena commovente in cui questo personaggio viene in qualche modo delineato, prendendo le sembianze di una donna forte ma sensibile, legata al consorte da un grande amore e una profonda fedeltà. Andromaca prega Ettore di combattere gli Achei da dietro le mura di Troia, cosicché non si esponga troppo al pericolo, ma la vendetta e l’onore che ne consegue sono sentimenti troppo importanti per la società dell’epoca e Ettore si sente in dovere di combattere. Andromaca, piangendo, torna al palazzo con il figlio e la nutrice. “[..] Dunque gli venne incontro, e con lei andava l'ancella, portando in braccio il bimbo, cuore ingenuo, piccino, il figlio d'Ettore amato, simile a vaga stella. [..] Egli, guardando il bambino, sorrise in silenzio: ma Andromaca gli si fece vicino piangendo, e gli prese la mano, disse parole, parlò così: "Misero, il tuo coraggio t'ucciderà, tu non hai compassione del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto sarò, presto t'uccideranno gli Achei, balzandoti contro tutti: oh, meglio per me scendere sotto terra, priva di te; perché nessun'altra dolcezza, se tu soccombi al destino, avrò mai, solo pene! Il padre non l'ho, non ho la nobile madre. Il padre mio Achille glorioso l'ha ucciso, e la città ben fatta dei Cilici ha atterrato Tebe alte porte; egli uccise Eezione, ma non lo spogliò, ché n'ebbe tema in cuore; e lo fece bruciare con le sue armi belle, e gli versò la terra del tumulo sopra; piantarono olmi intorno le ninfe montane, figlie di Zeus egioco. Erano sette i miei fratelli dentro il palazzo: ed essi tutti in un giorno scesero all'Ade di freccia, tutti li uccise Achille glorioso rapido piede, accanto ai buoi gambe storte, alle pecore candide. La madre - che regnava - sotto il Placo selvoso poi che qui la condusse con tutte le ricchezze, la liberò, accettando infinito riscatto, ma là in casa del padre, la colpì Artemide arciera. Ettore, tu sei per me padre e nobile madre e fratello, tu sei il mio sposo fiorente; ah, dunque, abbi pietà, rimani qui sulla torre, non fare orfano il figlio, vedova la sposa; ferma l'esercito presso il caprifico, là dove è molto facile assalir la città, più accessibile il muro” Andromaca ha perso tutta la sua famiglia per mano degli Achei ed Ettore è tutto ciò che ha e per cui vive; lo supplica di non rischiare, di non rendere lei vedova e suo figlio orfano: preferirebbe morire piuttosto che perdere suo marito. “ [..] E allora Ettore grande, elmo abbagliante, le disse: "Donna, anch'io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo, se resto come un vile lontano dalla guerra. Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani, al padre procurando grande gloria e a me stesso. Io lo so bene questo dentro l'anima e il cuore: giorno verrà che Ilio sacra perisca, e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia: ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri, non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo, e non per i fratelli, che molti e gagliardi cadranno nella polvere per mano dei nemici, quanto per te, che qualche acheo chitone di bronzo, trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti: allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela, e portar acqua di Messeide o Iperea, costretta a tutto: grave destino sarà su di te. E dirà qualcuno che ti vedrà lacrimosa: "Ecco la sposa d'Ettore, ch'era il più forte a combattere fra i Troiani domatori di cavalli, quando lottavan per Ilio!" Così dirà allora qualcuno, sarà strazio nuovo per te, priva dell'uomo che schiavo giorno avrebbe potuto tenerti lontano. Morto, però m'imprigioni la terra su me riversata, prima ch'io le tue grida, il tuo rapimento conosca!" Ettore sa che combattere e affrontare i nemici è il suo dovere, ma confessa ad Andromaca che il dolore più grande sarebbe quello di vederla prigioniera, piangente, costretta a servire un qualche re; spera di essere già morto prima che si sentano le grida della moglie, rapita. Poi, prega Zeus di far crescere il piccolo Astianatte forte più del padre, emergente tra tutti i Troiani, cosicché possa vendicare il suo popolo e dare gioie alla madre. Infine, Ettore si rivolge alla moglie, dicendole di non affliggersi troppo il cuore, poiché nessun uomo può sfuggire al destino. “[..] Parlando così, Ettore illustre riprese l'elmo chiomato; si mosse la sposa sua verso casa, ma voltandosi indietro, versando molte lacrime; e quando giunse alla comoda casa d'Ettore massacratore, trovò dentro le molte ancelle, e ad esse tutte provocò il pianto: piangevano Ettore ancor vivo nella sua casa, non speravano più che indietro dalla battaglia sarebbe tornato, sfuggendo alle mani, al furore dei Danai.” La scena termina con il pianto commovente della sposa, che torna a casa con il pensiero dell’imminente morte del marito. La morte di Ettore, che la sorprende mentre sta tessendo, le provoca un dolore straziante che non la abbandonerà mai. La figura di Andromaca è quella di una moglie devota e di una madre premurosa, che tenta di proteggere la sua famiglia fino alla fine, ed è una delle più commoventi della mitologia greca, poiché rappresenta gli aspetti più importanti, negativi o positivi che siano, dell’essere donna. Eternamente perseguitata, impotente di fronte ai doveri del marito e alle imposizioni della società, privata del suo unico figlio (che viene ucciso) e fatta schiava, affronta le difficoltà di una vita che, in fondo, non si è scelta, per trovare finalmente pace con il ritorno a Troia. Andromaca cerca di trattenere Ettore. Isabella Motta, 1AC.