Politecnico di Milano Dipartimento di Fisica G. Valentini Meccanica I INDICE 1 LA FISICA ED IL METODO SPERIMENTALE 1.1 1.2 2 INTRODUZIONE IL METODO SPERIMENTALE GRANDEZZE FISICHE ED INDICI DI STATO 2.1 2.1.1 2.1.2 2.2 2.3 2.3.2 2.4 2.4.1 3 CINEMATICA DEL PUNTO 3.1 3.1.1 3.1.2 3.1.3 3.2 3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 3.3 3.3.1 3.3.2 3.4 3.4.1 3.4.2 3.4.3 3.5 3.5.1 4 DEFINIZIONE DI GRANDEZZE FISICHE LIMITI DELLA DEFINIZIONE DI GRANDEZZA FISICA ERRORI DI MISURA DEFINIZIONE DI INDICE DI STATO FISICO PROCEDIMENTI DIRETTI E INDIRETTI DI MISURA DEFINIZIONI DELLE UNITÀ FONDAMENTALI DEL SISTEMA INTERNAZIONALE PRINCIPIO DI OMOGENEITÀ REGOLA DI OMOGENEITÀ MOTO DI UN PUNTO MATERIALE LUNGO UNA LINEA GEOMETRICA VELOCITÀ SCALARE MEDIA VELOCITÀ SCALARE ISTANTANEA ACCELERAZIONE SCALARE DESCRIZIONE GENERALE DEL MOTO DI UN PUNTO MATERIALE VETTORE POSIZIONE VELOCITÀ VETTORIALE INTERPRETAZIONE GEOMETRICA DELLA VELOCITÀ VETTORIALE RICERCA DELLA LEGGE ORARIA ACCELERAZIONE INTERPRETAZIONE GEOMETRICA DELL’ACCELERAZIONE VETTORIALE RICERCA DELLE LEGGE ORARIA NOTA L’ACCELERAZIONE MOTI SEMPLICI MOTO RETTILINEO MOTO CIRCOLARE MOTO ARMONICO SEMPLICE MOTO PIANO IN COORDINATE POLARI LEGAME TRA MOTO ARMONICO E MOTO CIRCOLARE DINAMICA DEL PUNTO 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7 4.8 4.8.1 4.8.2 DEFINIZIONE DI SISTEMA INERZIALE DEFINIZIONE DI MASSA DEFINIZIONE DI QUANTITÀ DI MOTO DEFINIZIONE DI FORZA E II LEGGE DELLA DINAMICA III LEGGE DELLA DINAMICA STATICA DEL PUNTO MATERIALE REAZIONI VINCOLARI CLASSIFICAZIONE DELLE FORZE FORZA GRAVITAZIONALE FORZA ELETTROSTATICA 1 1 2 4 4 5 6 6 6 9 9 10 12 13 14 15 17 18 19 20 21 22 23 24 26 27 27 28 30 33 34 36 36 38 40 40 42 44 45 46 46 47 II 4.8.3 FORZA MAGNETICA (FORZA DI LORENTZ) 4.8.4 FORZA NUCLEARE 4.8.5 FORZE DI ATTRITO 4.8.6 FORZE ELASTICHE 4.9 FORZE DI ATTRITO 4.9.1 ATTRITO RADENTE 4.9.2 ATTRITO DEL MEZZO (ATTRITO VISCOSO) 4.9.3 DENSITÀ E PESO SPECIFICO 4.10 IMPULSO DI UNA FORZA 4.11 PROBLEMA GENERALE DELLA DINAMICA 4.11.1 MOTO SOTTO L’EFFETTO DI UNA FORZA COSTANTE 4.11.2 MOTO LUNGO UN PIANO INCLINATO 4.11.3 MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO AD UNA MOLLA ELASTICA 4.11.4 MOTO DI UN PENDOLO SEMPLICE 4.11.5 MOTO DI UN PUNTO MATERIALE IN UN FLUIDO VISCOSO 47 48 48 48 49 49 51 51 52 53 54 55 56 57 58 5 60 CINEMATICA DEI MOTI RELATIVI 5.1 COMPOSIZIONE DEGLI SPOSTAMENTI 5.2 LEGGE DI COMPOSIZIONE DELLE VELOCITÀ 5.2.1 MOTO TRASLATORIO 5.2.2 MOTO ROTATORIO 5.3 LEGGE DI COMPOSIZIONE DELLE ACCELERAZIONI 60 61 63 64 65 6 67 DINAMICA DEI MOTI RELATIVI 6.1 6.2 6.3 6.4 7 MOTO DI UN CORPO NON SOGGETTO AD INTERAZIONI SISTEMI DI RIFERIMENTO IN MOTO TRASLATORIO SISTEMI DI RIFERIMENTO IN MOTO ROTATORIO MOTO DI CADUTA DEI GRAVI MOTO IN UN CAMPO DI FORZE CENTRALI 7.1 7.1.1 7.1.2 7.2 7.2.1 7.3 7.4 8 8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6 8.7 8.8 MOMENTO DI UN VETTORE MOMENTO DI UNA FORZA MOMENTO DELLA QUANTITÀ DI MOTO II EQUAZIONE CARDINALE CAMBIAMENTO DI POLO CAMPO DI FORZE CENTRALI FORZE ASSIALI LAVORO ED ENERGIA LAVORO ELEMENTARE DI UNA FORZA LAVORO LUNGO UN TRATTO FINITO POTENZA DI UNA FORZA ENERGIA CINETICA E TEOREMA DELLE FORZE VIVE LAVORO DI UNA FORZA COSTANTE ENERGIA POTENZIALE CAMPI DI FORZE CONSERVATIVI ESEMPI DI CALCOLO DELL’ENERGIA POTENZIALE 68 69 70 72 76 76 76 77 78 79 80 82 84 84 85 86 87 88 89 90 90 III 8.8.1 ENERGIA POTENZIALE DELLA FORZA PESO 8.8.2 ENERGIA POTENZIALE DELLE FORZE ELASTICHE 8.8.3 ENERGIA POTENZIALE DELLE FORZE CENTRALI 8.8.4 ENERGIA POTENZIALE DELLA FORZA CENTRIFUGA 8.9 SUPERFICI EQUIPOTENZIALI E LINEE DI FORZA 8.10 GRADIENTE DELL’ENERGIA POTENZIALE 8.10.1 INTERPRETAZIONE GEOMETRICA DEL GRADIENTE 8.11 CONDIZIONE AFFINCHÉ UN CAMPO DI FORZE SIA CONSERVATIVO 8.12 EQUILIBRIO DI UN CORPO IN UN CAMPO DI FORZE CONSERVATIVO 8.13 TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA 8.13.1 APPLICAZIONE DEL TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA 91 91 91 92 93 93 95 96 97 97 98 9 99 DINAMICA DEI SISTEMI DI PUNTI 9.1 9.2 9.3 9.4 9.4.1 9.5 9.5.1 9.5.2 9.6 9.7 I EQUAZIONE CARDINALE CENTRO DI MASSA SISTEMA DI DUE PUNTI MATERIALI MOMENTO DELLA QUANTITÀ DI MOTO DI UN SISTEMA DI PUNTI MATERIALI II EQUAZIONE CARDINALE ENERGIA CINETICA DI UN SISTEMA DI PUNTI MATERIALI TEOREMA DI KÖNIG TEOREMA DELL’ENERGIA CINETICA CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA IN UN SISTEMA DI PUNTI SISTEMI CONTINUI (CENNI) 100 100 101 104 104 105 105 106 107 109 10 LEGGE DI GRAVITAZIONE UNIVERSALE 111 10.1 10.1.1 10.1.2 10.1.3 10.1.4 10.2 10.3 10.4 10.4.1 10.4.2 10.5 10.5.1 10.5.2 10.5.3 10.6 10.7 10.8 11 INTRODUZIONE STORICA SISTEMA TOLEMAICO SISTEMA COPERNICANO LEGGI DI KEPLERO LEGGI DI KEPLERO E LEGGE DI GRAVITAZIONE LEGGE DI GRAVITAZIONE UNIVERSALE CAMPO DI FORZE GRAVITAZIONALI POTENZIALE DEL CAMPO GRAVITAZIONALE POTENZIALE DI N MASSE PUNTIFORMI POTENZIALE DI UN CORPO ESTESO ESEMPI DI CAMPI GRAVITAZIONALI CAMPO GRAVITAZIONALE DI N MASSE PUNTIFORMI CAMPO GRAVITAZIONALE DI UNA MASSA ESTESA FLUSSO DI UN VETTORE E TEOREMA DI GAUSS MOTO DI UN PUNTO MATERIALE IN UN CAMPO GRAVITAZIONALE ENERGIA POTENZIALE EFFICACE IN UN CAMPO DI FORZE CENTRALI MASSA INERZIALE E MASSA GRAVITAZIONALE MECCANICA DELL’URTO 11.1 URTI NEL SISTEMA DEL CENTRO DI MASSA 11.1.1 URTO ELASTICO IN UNA DIMENSIONE 11.1.2 URTO PERFETTAMENTE ANELASTICO IN UNA DIMENSIONE 11.1.3 URTO ANELASTICO IN UNA DIMENSIONE 11.1.4 RIEPILOGO URTI NEL SISTEMA DEL CENTRO DI MASSA 111 111 111 111 112 113 114 114 115 115 116 116 116 117 120 121 123 125 127 127 128 128 128 IV 11.2 URTI NEL SISTEMA DI RIFERIMENTO DEL LABORATORIO 11.2.1 URTI CENTRALI 128 128 V 1 La Fisica ed il metodo sperimentale 1.1 Introduzione La parola Fisica deriva dal greco φυσισ1 che significa Natura. Nel mondo occidentale i primi studi sistematici delle scienze naturali sono da attribuire alla scuola ionica che ebbe in Talete di Mileto (624-546 a.c.) il suo primo rappresentante. Studiando il moto del sole e della luna, egli riuscì a predire le eclissi e gli equinozi. In geometria, oltre al teorema che porta il suo nome, fece importanti scoperte che gli permisero di calcolare l’altezza delle piramidi misurandone l’ombra. Nel campo della cosmogenesi, Talete riconosceva nell’acqua il principio primo, dando inizio a quella ricerca di elementi di unificazione nella molteplicità dei fenomeni che ha pervaso il pensiero occidentale fino ai giorni nostri. Lo sviluppo della Fisica greca continuò grazie a filosofi e naturalisti quali Pitagora e Archimede fino a Democrito, della scuola degli atomisti che vide tra i suoi assertori anche il filosofo Epicuro. Il culmine delle conoscenze scientifiche nel mondo antico si ebbe con Aristotele che riunì le conoscenze in un grande compendio allo scopo di organizzarle secondo un modello prefissato (sistema) su cui costruire una teoria2 generale. L’importanza attribuita da Aristotele al metodo deduttivo a scapito del metodo induttivo, che è riconosciuto alla base della scienza moderna, dette origine ad una formulazione dogmatica delle scienze che rallentò il progresso delle conoscenze dall’antichità fino alla fine del medio evo. Si deve a Galileo il riconoscimento della grande importanza del metodo sperimentale e l’inizio della rinascita della scienza. Il rapido progresso delle scienze naturali negli ultimi secoli è cominciato da quando si è separato il momento della ricerca scientifica da quello della ricerca filosofica, cioè da quando gli scienziati lasciarono per lo più ad altri il compito di rispondere alla domanda “a che scopo?”, e si limitarono a chiedersi “in che modo?”. Dunque occuparsi di scienza significa studiare i fenomeni naturali, individuando i rapporti di causa ed effetto che li regolano, senza pretendere di comprendere le ragioni prime per cui tali fenomeni accadono. Fino alla fine del ‘700 la Fisica comprendeva tutte le scienze naturali (in inglese physician significa ancora oggi medico). In seguito lo studio della natura venne diviso in due parti principali, costituenti le scienze fisiche e le scienze biologiche. A sua volta le due più importanti scienze fisiche sono la Fisica propriamente detta e la Chimica. La Fisica secondo la definizione moderna è una scienza sperimentale che studia i costituenti della materia e le loro interazioni. Scopo della Fisica è di costruire delle teorie basate su leggi fondamentali, espresse in forma matematica, in grado di predire i risultati degli esperimenti. In un certo senso la Fisica, riappropriandosi del significato originale di studio della nascita delle cose (cosmogonia), va alla ricerca delle poche leggi fondamentali che regolano l’universo3, lasciando alle altre scienze, in particolare alle scienze biologiche, lo studio dei fenomeni complessi che non potrebbero essere interpretati in modo quantitativo. La Fisica viene tradizionalmente divisa in Fisica classica, e Fisica moderna. La Fisica classica può essere a sua volta divisa nelle seguenti discipline, di cui sono indicati i più illustri scienziati che hanno contribuito a svilupparle: 1 La parola φυσισ ha la stessa radice del verbo φυω (sanscrito bhu = essere) che significa nascere. Analogamente la parola latina natura deriva da verbo nascor. Dunque studiare la fisica, cioè la natura, significa indagare sull'origine delle cose. 2 Teoria significa visione divina 3 Da molti anni un grande sforzo viene dedicato alla costruzione di una teoria unificata delle interazioni fondamentali. 1 i) Meccanica - Galileo (1564 - 1642) - Keplero (1571 - 1630) - Newton (1642 - 1727) ii) cinematica del moto leggi empiriche del moto dei pianeti dinamica del moto e legge di gravitazione universale Termodinamica - Joule (1818 - 1889) - Kelvin (1824 - 1907) - Carnot (1796 -1832) teoria dinamica del calore secondo principio della termodinamica teoria delle macchine termiche iii) Acustica ed Ottica - Fermat (1601 - 1665) Huygens (1629 - 1695) Newton (1642 - 1727) Helmholtz (1821 - 1894) principio di stazionarietà del cammino ottico teoria ondulatoria della luce teoria corpuscolare della luce ed ottica geometrica ottica fisiologica e acustica iv) Elettromagnetismo - Coulomb (1736 - 1806) Ampère (1775 - 1836) Faraday (1791 - 1867) Maxwell (1831 - 1879) elettrostatica e magnetostatica elettrodinamica induzione elettrostatica ed elettromagnetica teoria unificata dei fenomeni elettrici e magnetici La Fisica moderna riguarda gli sviluppi più recenti e comprende: i) Teoria della relatività - Einstein (1879 - 1955) ii) teoria delle relatività speciale e generale Fisica quantistica - Planck (1858 - 1947) Bohr (1885 - 1962) Schrödinger (1887 –1961) Heisenberg (1901 - 1976) ipotesi dei quanti modello dell’atomo meccanica ondulatoria principio di indeterminazione iii) Fisica atomica, Fisica nucleare e Fisica delle particelle 1.2 Il Metodo sperimentale Il metodo sperimentale consiste nell’osservazione dei fenomeni naturali, nella realizzazione di opportuni modelli semplificati in cui sia possibile riprodurre tali fenomeni in condizioni controllate e nella costruzione di una teoria in grado di spiegare gli accadimenti. Una teoria fisica deve avere un valore predittivo, deve cioè consentire di prevedere il risultato di esperimenti diversi da quello che è stato utilizzato per la sua formulazione. Il valore di una teoria fisica risiede proprio nella sua generalità. Ad esempio, una teoria che preveda il moto di caduta di un particolare oggetto da una particolare posizione iniziale è di scarsa utilità anche se è in grado di fornire previsioni molto accurate, mentre la legge di gravitazione universale che governa la caduta di tutti i gravi sulla terra e, più in generale, l’attrazione reciproca tra due masse ha un valore ben superiore, anche se non tiene conto di effetti perturbativi, quali l’attrito con l’aria, che influenzano il fenomeno. Una teoria fisica non è mai considerata definitiva, ma ha validità finché consente di interpretare i risultati delle osservazioni. Esistono vari esempi in cui una teoria fisica ben consolidata ha dovuto lasciare il posto ad una teoria più generale, che comprende la precedente come caso particolare. Ad esempio, la Meccanica Newtoniana è stata superata dalla Teoria della 2 Relatività Ristretta per lo studio dei fenomeni in cui la velocità dei corpi non è trascurabile rispetto alla velocità della luce e dalla Meccanica Quantistica per lo studio dei fenomeni atomici e nucleari. La Fisica si avvale della matematica per esprimere in modo quantitativo le relazioni tra le grandezze che costituiscono gli osservabili. Definizione: Una legge fisica è una relazione quantitativa tra grandezze, tradotta in una equazione tra le misure delle grandezze considerate. La formulazione di una teoria fisica mediante equazioni matematiche ci consente di applicare i metodi del calcolo per prevedere il risultato degli esperimenti. Nonostante il grande contributo che la matematica fornisce alla fisica, non bisogna dimenticare che la prima è una scienza astratta, mentre la seconda è una scienza sperimentale. Così, le misure della fisica sono sempre affette da errori, e molti operatori della matematica costituiscono una idealizzazione di alcuni procedimenti fisicamente realizzabili. Ad esempio, in fisica non esistono né quantità infinite ne infinitesime, ma solo quantità molto grandi o molto piccole. Gli operatori di derivazione o di integrazione corrispondono all’esecuzione di rapporti o di somme di quantità elementari, ma finite e comunque misurabili. 3 2 Grandezze fisiche ed indici di stato Lo studio di un qualunque fenomeno fisico si traduce nella determinazione delle modificazioni a cui è andato incontro lo stato fisico del sistema in osservazione. Queste modificazioni possono essere espresse mediante relazioni quantitative tra le grandezze fisiche che concorrono a determinare lo stato del sistema. Esempio: Consideriamo un punto materiale dotato di velocità v che in un intervallo di tempo ∆t si sposta dalla posizione A alla posizione B, percorrendo un tratto di lunghezza l. Lo studio del moto del punto comporta la determinazione degli stati iniziale (posizione A) e finale (posizione B) e delle grandezze fisiche che descrivono il movimento: distanza l, intervallo di tempo ∆t e velocità v. Si noti la differenza tra grandezza fisica e stato fisico. Il concetto di grandezza fisica è associato al concetto di estensione: come vedremo meglio in seguito, tra due grandezze della stessa classe è sempre possibile eseguire operazioni di confronto che conducono a relazioni di < = >. Il concetto di stato fisico corrisponde alla localizzazione entro un determinato ordinamento. Gli stati fisici vengono individuati mediante un insieme di parametri, detti indici di stato fisico, Due stati fisici possono essere confrontati solo in relazione alla loro identità o non identità. Ad esempio, non si può dire che una posizione sia maggiore o minore di un’altra. Esempi di grandezze fisiche: Lunghezza Massa Forza Lavoro Esempi di indici di stato fisici: Posizione Istante di tempo Energia Temperatura 2.1 Definizione di grandezze fisiche Ha senso parlare di grandezze fisiche quando è possibile stabilire canoni di confronto tra enti omogenei. Definizione: Un insieme di enti costituisce una classe di grandezze fisiche quando tra gli enti è possibile stabilire relazioni di confronto (uguale, maggiore e minore) ed effettuare le operazioni di somma e differenza (e quindi di prodotto per un numero e di rapporto). La definizione di una grandezza fisica è intrinsecamente legata al concetto di misura. Si consideri una classe di grandezze, per esempio quella delle lunghezze. Si fissi una grandezza arbitraria e la si definisca unità di misura U. Data una generica grandezza G della stessa classe, G si può dimostrare che il rapporto x = , che si dice misura della grandezza G rispetto all’unità U U, è un numero reale positivo. Il numero x rappresenta ‘quante volte U è contenuta in G’ e viene talvolta fatto seguire dall’indicazione simbolica dell’unità scelta. Ad esempio, dire che un’asta è lunga 1.2 m, significa che l’asta in questione contiene l’unità campione (il metro) una volta più due decimi. Il rapporto tra due grandezze della stessa classe è sempre un numero reale positivo. Per l’arbitrarietà dell’unità di misura, è possibile stabilire in una semplice infinità di maniere diverse 4 una corrispondenza biunivoca tra le grandezze di una classe e l’insieme dei numeri reali positivi. In una tale corrispondenza a numeri uguali (minori, maggiori) devono corrispondere grandezze uguali (minori, maggiori) ed alla somma (differenza, quoziente) di numeri deve corrispondere la somma (differenza, rapporto) delle grandezze. Le corrispondenze che godono di queste proprietà si dicono metriche e si ottengono facendo corrispondere ad ogni grandezza il numero che ne esprime il rapporto (detto misura) rispetto ad una grandezza di riferimento, appartenente alla medesima classe (detta unità di misura), e viceversa. Le corrispondenze considerate costituisco un isomorfismo. Le corrispondenze metriche rendono le grandezze isomorfe ai numeri reali positivi (le loro misure) e viceversa. Si scelga arbitrariamente una seconda unità di misura U’. La misura x’ della grandezza G rispetto a questa nuova unità sarà diversa dalla misura x, tuttavia esiste una legame tra esse: x′ = G G U G U U = ⋅ = ⋅ =x⋅ U ′ U′ U U U ′ U′ (2.1) La relazione precedente consente di passare dalla misura di una grandezza secondo una unità (U) alla misura della stessa grandezza rispetto ad un’altra unità (U’). Dette x ed x’ tali misure si ha dunque: x′ = x ⋅ U U′ (2.2) ed analogamente: x = x′ ⋅ U′ U (2.3) I rapporti U/U’ e U’/U si dicono fattori di ragguaglio. Ad esempio, se come unità di misura delle lunghezze si scelgono il centimetro (U) ed il pollice (U’), i fattori di ragguaglio sono rispettivamente: U/U’=(cm/in)=0.3937 2.1.1 U’/U=(in/cm)=2.54 (2.4) Limiti della definizione di grandezza fisica La definizione di grandezza fisica espressa nel paragrafo precedente trae la sua giustificazione dal concetto di estensione che trova nella geometria la sua naturale collocazione. Così, quando si parla di confrontare o misurare la lunghezza di un’asta con quella di un’altra asta, si presuppone che, almeno idealmente, le due lunghezze siano definibili come veri enti geometrici. Tra le ipotesi imposte da questa visione geometrica delle grandezze fisiche si ha che: • • • ogni classe di grandezze deve formare un insieme continuo ed illimitato di enti lo spazio fisico ed i corpi materiali devono immaginarsi come continui costituiti di punti euclidei. la medesima ipotesi di continuità deve essere attribuita a tutte le proprietà dei corpi materiali: massa, carica elettrica etc. Queste ipotesi contrastano con l’esperienza in due importanti aspetti. i) Alcune grandezze fisiche sono quantizzate, cioè si presentano solo come multipli di quantità piccole, ma finite. Questo vale ad esempio per la carica elettrica. ii) Anche rimuovendo la quantizzazione esistono ragioni pratiche (errori) che impediscono la conduzione di una misura con un grado illimitato di precisione. Pertanto la misura di una grandezza fisica risulta sempre espressa da un numero razionale con un numero finito di cifre significative. 5 Nella traduzione del concetto di grandezza dalla geometria alla fisica è talvolta necessario aggiungere degli attributi estranei a quello di estensione che è l’unico rilevante per le grandezze scalari. Ad esempio, i concetti di direzione e verso danno luogo alle grandezze vettoriali ed il concetto di ordinamento porta ad assegnare alle misure un segno positivo o negativo. In altri casi il segno “meno” che accompagna la misura di una grandezza fisica scalare è frutto di convenzioni. Ad esempio, le cariche elettriche sono indicate con i simboli (+) e (-) per rappresentare la loro diversa natura, ma l’uso dei segni matematici +/- è frutto solo di una convenzione giustificata dalla comodità di applicare le regole del calcolo algebrico per determinare la carica totale e gli effetti che si esprimono tra cariche di segno uguale ed opposto. 2.1.2 Errori di misura La misura di una grandezza fisica risulta sempre affetta da errori che possono essere classificati come errori sistematici ed errori accidentali. Gli errori sistematici modificano il risultato di una misura in modo deterministico e possono essere dovuti ad alterazioni permanenti dell’apparato sperimentale o ad una conduzione errata del processo di misura. Ad esempio l’uso di un “metro” troppo lungo o troppo corto porta ad un errore sistematico nella misurazione delle lunghezze. Analogamente, la misurazione di una massa con una bilancia (a bracci uguali) in presenza di aria causa un errore sistematico, seppur piccolo, per la presenza della spinta di Archimede sulla massa da misurare. Se una misura affetta da errori sistematici viene ripetuta più volte si ottengono valori sbagliati, ma coerenti, L’eliminazione degli errori sistematici può essere ottenuta con una attenta taratura degli strumenti e con un’analisi del processo di misura al fine di individuare ed eliminare gli effetti perturbativi. Una misura nella quale gli errori sistematici siano stati ridotti al minimo si dice accurata. Gli errori accidentali sono dovuti a fluttuazioni statistiche insite negli strumenti di misura e nelle procedure adottate dall’operatore e portano alla dispersione dei valori ottenuti in misure ripetute nell’intorno di un valore centrale che assume il significato di valore più probabile della grandezza da misurare. Tale valore può essere calcolato come media aritmetica dei valori ottenuti in un numero elevato di misure condotte con la medesima cura. Una misura poco affetta da errori accidentali si dice precisa. 2.2 Definizione di indice di stato fisico Definizione: per individuare univocamente uno stato fisico possiamo avvalerci della misura di opportune grandezze che ne definiscono la “distanza” da uno stato di riferimento. Le misure di tali grandezze costituiscono gli indici di stato fisici. Ad esempio, per individuare la posizione di un punto materiale possiamo fare uso delle sue coordinate (indici di stato) che ne costituiscono le distanze geometriche da un opportuno sistema di riferimento, alla cui origine attribuiamo per definizione coordinate nulle. Da quanto detto si capisce immediatamente che, contrariamente a quanto avviene per una grandezza fisica, un indice di stato fisico dipende dallo stato di riferimento. Dalla definizione di indice di stato discende che il valore assoluto della differenza di due indici di stato omogenei costituisce sempre la misura di una grandezza fisica. Ad esempio, il valore assoluto della differenza tra le coordinate posizionali lungo un asse costituisce la misura di una lunghezza. 2.3 Procedimenti diretti e indiretti di misura Le classi di grandezze fisiche sono dettate dall’esperienza. Oltre alle grandezze geometriche come lunghezze, aree, volumi, angoli (piani, diedri e solidi), si hanno grandezze meccaniche (velocità, masse, forze, etc.), termodinamiche, elettriche, etc. Le misure di queste grandezze vengono effettuate usando metodi diversi che appartengono a due categorie: i procedimenti diretti ed indiretti di misura. La misura descritta nel paragrafo 2.1 viene effettuata per confronto diretto delle grandezze della classe considerata con la grandezza unitaria. Un procedimento diretto di misura richiede la scelta di una unità di misura indipendente ed arbitraria: ad esempio il metro per la misura delle 6 lunghezze. Una classe di grandezze definita mediante un procedimento diretto di misura e l’unità corrispondente si dicono fondamentali. In fisica la maggior parte delle misure si effettuano mediante procedimenti più complessi che vengono detti indiretti. In questo caso la misura della grandezza dipende dalla misura di altre grandezze ausiliarie di classi diverse, legate alla grandezza da misurare di una ben determinata legge fisica4, che spesso costituisce la definizione stessa della grandezza. Ad esempio, nella pratica comune, la misura di una velocità (media) non si effettua per confronto con una velocità campione (benché questo sia teoricamente possibile), ma si basa sulla ben nota relazione che lega la velocità media allo spazio percorso in un certo tempo. v media = distanza percorsa ∆s = tempo ∆t (2.5) Supponendo ∆s = 1000 m e ∆t = 25 s la velocità vale: v media = ∆S 1000 m = ⋅ = 40 m s ∆t 25 s (2.6) In questo modo la misura della velocità media è stata ricondotta alla misura di uno spazio percorso e di un intervallo di tempo. Il procedimento descritto (indiretto) definisce una classe di grandezze derivate: la classe delle velocità scalari5. L’unità di misura corrispondente dipende 4 Si ricorda che una legge fisica è una relazione quantitativa tra grandezze, tradotta in una equazione tra le misure delle grandezze considerate (§ 1.2). 5 Più rigorosamente, si consideri la classe delle lunghezze L e quella degli intervalli di tempo T per definire la classe delle velocità medie scalari V. Poiché, assegnato un cammino percorso da un punto materiale ed il tempo impiegato a percorrerlo, la velocità media è univocamente determinata, si può istituire la seguente corrispondenza F: presi comunque un intervallo di tempo ed una lunghezza, si assuma come velocità media corrispondente quella posseduta da un corpo puntiforme che percorra un cammino avente la lunghezza considerata nel tempo considerato. Dall'esperienza si deduce che la corrispondenza F è una proporzionalità di ragione semplice e diretta rispetto alle lunghezze e di ragione semplice ed inversa rispetto agli intervalli di tempo. Siano L1, L2 e T1, T2 una coppia di lunghezze ed una coppia di intervalli di tempo scelti arbitrariamente, e V1, V2 le velocità determinate secondo F, rispettivamente da L1, T1 e da L2, T2. Si ha: V1 L1 = V2 L2 1 T ⋅ 1 T2 −1 . (i) Se scegliamo L2 = UL (unità di misura delle lunghezze) e T2 = UT (unità di misura degli intervalli di tempo), si ha allora: V1 L T = 1 ⋅ 1 VU U L U T −1 , (ii) dove VU è la velocità posseduta da un punto mobile che percorra l'unità di spazio nell'unità di tempo. Se si assume VU come unità di misura delle velocità, questa risulta univocamente determinata. e la relazione precedente costituisce la definizione operativa di misura delle velocità. In generale è possibile definire arbitrariamente l'unità di misura della grandezza derivata pur ricorrendo ad un procedimento indiretto di misura. Ad esempio, definendo l'unità di misura delle velocità come UV, dalla (ii) si ottiene: V1 U V L T ⋅ = 1 ⋅ 1 VU U V U L U T −1 (iii) 7 da due unità di misura fondamentali, quella usata per la misura delle lunghezze (metro) e quella usata per la misura degli intervalli di tempo (secondo). La velocità unitaria è pertanto il “metro al secondo” che si scrive m/s o ms-1. Come si è già accennato in precedenza, un procedimento diretto di misura presuppone l’esistenza di una unità fondamentale. Le unità di misura per avere validità pratica devono possedere alcune caratteristiche essenziali: 1) Universalità 2) Inalterabilità 3) Facilità ad essere riprodotte Poiché non è facile costruire unità che soddisfino le condizioni precedenti, è conveniente definire un numero minimo di grandezze fondamentali e ricorrere a definizioni di grandezze derivate6 per tutte le altre. In questo modo ogni misura di una grandezza è espressa mediante relazioni tra le misure di poche grandezze fondamentali ed è indicata con riferimento alle rispettive unità campione. Ad esempio, la misura di un’accelerazione è espressa in “metri al secondo quadrato”, che si scrive m/s2 o ms-2, la misura di una forza è espressa in “metri per kilogrammo al secondo quadrato”, che si indica comunemente con il simbolo N (newton). Un Sistema di Unità di Misura7 consiste in una particolare scelta di un insieme di grandezze fondamentali e delle loro unità campione. Tale scelta è largamente arbitraria8, tuttavia hanno importanza pratica solo pochi sistemi di unità, considerati brevemente nel seguito: 2.3.1.1 Sistema Internazionale o MKS Grandezze fondamentali: Lunghezza Massa Tempo 2.3.1.2 Unità di misura Metro Chilogrammo Secondo Simbolo m kg s Unità di misura Centimetro Grammo Secondo Simbolo cm g s Sistema CGS Grandezze fondamentali: Lunghezza Massa Tempo V1 U V L T ⋅ = 1 ⋅ 1 U V VU U L U T −1 . (iv) Passando alla relazione tra le misure delle grandezze si ottiene: v = ⋅ t −1 ⋅ VU . UV (v) Il fattore VU/UV si dice equivalente di conversione e scompare se si sceglie l'unità di misura della grandezza derivata pari a UV = UL/UT = VU. 6 La definizione di una classe di grandezze mediante un procedimento indiretto non impedisce che per essa si definisca una unità di misura arbitraria, e pertanto fondamentale. Vd. nota 5 e “Polvani, Elementi di Metrologia Teoretica, pag. 131 punto 2”. 7 A rigore la scelta delle grandezze fondamentali corrisponde alla definizione di un'Organizzazione Metrica, nella quale possono coesistere diversi Sistemi di Unità di Misura, che corrispondono a scelte differenti delle unità fondamentali. 8 Ad esempio, è possibile definire un'Organizzazione Metrica nella quale l'unica classe di grandezze fondamentali è costituita dagli angoli piani. Vd. “Polvani, Elementi di Metrologia Teoretica, pag. 136”. 8 2.3.1.3 Sistema Pratico (o Tecnico) Grandezze fondamentali: Lunghezza Forza Tempo Unità di misura Metro Chilogrammo peso Secondo Simbolo m kgp s Le unità campione necessarie in un sistema metrico possono essere costruite artificialmente, oppure ricercate in natura. La seconda alternativa è da preferirsi in quanto le unità così definite non sono soggette a deperimento e possono essere riprodotte in ogni parte del mondo. 2.3.2 Definizioni delle unità fondamentali del Sistema Internazionale Metro Fino al 1960 il metro era definito come la distanza alla temperatura di 0 °C tra due sottili incisioni praticate su una barra di platino-iridio conservata nel Museo di Pesi e Misure di Sèvres. Tale distanza è approssimativamente uguale alla 40,000,000ma parte del meridiano terrestre, secondo quanto concordato in un trattato internazionale del 1875. Dall’ottobre 1983 il metro è definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un tempo pari a 1/299,792,458 secondi. Si è pertanto stabilito che la velocità della luce nel vuoto è 299,792,458 m/s. Chilogrammo Massa di un cilindro di platino-iridio conservato a Sèvres. Essa corrisponde approssimativamente alla massa di un dm3 di acqua alla massima densità (3.98 °C). A tutt’oggi non esiste un campione naturale di massa definito come multiplo di qualche massa atomica, in quanto la precisione che si può ottenere nella realizzazione delle copie della massa campione è superiore a quella della misura delle masse atomiche. Secondo Storicamente il secondo è stato definito come la 86,400ma parte del giorno solare medio dell’anno 1900. Il giorno solare medio è 1/365.242 dell’anno solare medio. L’anno solare è il tempo che intercorre tra due passaggi successivi della terra attraverso l’equinozio di primavera. A causa del moto delle maree il periodo di rotazione della terra decresce progressivamente, pertanto è stato necessario precisare un particolare anno (1900) per la definizione di secondo. Attualmente il secondo è definito come il multiplo di ordine 9,192,671,770 del periodo della radiazione emessa nella transizione tra due particolari livelli iperfini di un isotopo del cesio 133 Cs. 55 2.4 Principio di omogeneità Le leggi fisiche, per comodità, vengono espresse da relazioni matematiche che riguardano le misure delle grandezze che sono legate dalle leggi stesse, tuttavia l’uso delle misure al posto delle corrispondenti grandezze è puramente strumentale. È ovvio che la legge in sé riguarda le grandezze e non dipende da come sono scelte le unità per misurarle. Per conciliare l’assolutezza delle leggi naturali con l’arbitrarietà della definizione delle unità di misura, la formulazione di una legge fisica deve rispettare il principio di omogeneità: Le equazioni che traducono leggi fisiche quantitative devono essere scritte in modo da risultare indipendenti dalle unità di misura. La verifica della rispondenza di una equazione che esprime una legge fisica al principio di omogeneità può essere effettuata ricorrendo ad una regola pratica che prende il nome di regola di omogeneità. 9 2.4.1 Regola di omogeneità Prima di enunciare la regola di omogeneità è necessario premettere alcune definizioni. Definizione: Il simbolo dimensionale di una grandezza è il simbolo della grandezza tra parentesi [ ]. Definizione: Per una classe di grandezze derivate G, gli esponenti a cui risultano elevate le misure delle grandezze fondamentali nella legge fisica che determina il procedimento indiretto di misura si dicono dimensioni della classe di grandezze G rispetto alle classi delle grandezze fondamentali9. Ad esempio, la classe delle velocità ha dimensioni 1 nella classe delle lunghezze e -1 nella classe degli intervalli di tempo. Definizione: Un’equazione dimensionale è una relazione tra simboli dimensionali. Si scrive pertanto: V = L 1 T −1 (2.7) Possiamo ora esprimere la regola di omogeneità: Condizione necessaria e sufficiente perché, stabilita l’organizzazione metrica alla quale si riferiscono le misure delle grandezze, l’equazione: (2.8) f(g, g1, g2 ...) = 0 che esprime una legge fisica10, soddisfi al principio di omogeneità, è che, moltiplicate formalmente tutte le g per le espressioni dimensionali in fattori primi delle rispettive grandezze di cui sono misure, e trattati i simboli dimensionali come fossero quantità algebriche, la (2.8) sia identicamente soddisfatta. In altre parole, la regola di omogeneità si esprime dicendo che le equazioni che rappresentano le leggi fisiche devono essere dimensionalmente omogenee. Come esempio di applicazione della regola di omogeneità verifichiamo la correttezza dimensionale dell’equazione: s= 1 v2 , 2 µg (2.9) che esprime il minimo spazio di arresto di un’auto in funzione del coefficiente di attrito statico delle gomme µ (grandezza adimensionale), della velocità dell’auto v e dell’accelerazione di gravità g. In termini dimesionali l’equazione (2.9) diviene: [L] = [V]2 ⋅ [A]−1 (2.10) e quindi11: [L] = [L]2 [T ]−2 ⋅ [L]−1 [T]2 9 [L] = [L] . (2.11) Le dimensioni sono, evidentemente, gli esponenti che compaiono nel secondo membro dell'equazione (i) nella nota 5. 10 L’espressione (2.8) costituisce la forma più generale con cui si possa esprimere un legame matematico the le misure delle grandezze g. 11 Si noti l’assenza del coefficiente adimensionale µ nell’equazione precedente. 10 L’espressione (2.9) è dimensionalmente corretta poiché l’equazione (2.11) è identicamente soddisfatta. La regola di omogeneità, oltre a consentire la verifica della validità formale di una relazione tra grandezze, permette talvolta di ricavare la forma di una legge fisica quando si conoscano tutte le grandezze che influenzano un certo fenomeno. Ad esempio, con il metodo dimensionale è possibile determinare come il tempo t di caduta di un grave dipende dalla sua massa m, dalla accelerazione di gravità g e dall’altezza di caduta d. Scriviamo l’equazione che esprime tale dipendenza attribuendo esponenti incogniti , e alle misure delle grandezze m, g e d rispettivamente. t = k ⋅ mα g β d γ , (2.12) dove k è una costante arbitraria. Le dimensioni delle grandezze coinvolte nella formula precedente sono: t = L 0 m = L M 0 0 T 1 M 1 T 0 −2 g = L 1 M 0 T d = L 1 M 0 T . 0 L’equazione dimensionale corrispondente è: T = M 1 α β+γ L T −2 β , (2.13) che per la regola di omogeneità si traduce nel sistema di equazioni: 1 = −2β β = −1 2 0=α α=0 0 =β+ γ γ =1 2 Assegnando ad , dalla relazione t=k e . (2.14) I valori calcolati si ottiene che il tempo di caduta di un grave è espresso d . g (2.15) Il fattore k si ricava sperimentalmente ed è k = 2. (2.16) Si osserva che, contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente, il tempo di caduta di un grave non dipende dalla sua massa. Tale dipendenza, spesso radicata nel senso comune, può manifestarsi solo a causa di effetti perturbativi, quali quelli prodotti dalla resistenza dell’aria. 11 3 Cinematica del Punto La Cinematica12 descrive il moto di un corpo, nel caso più semplice di un punto materiale, senza prestare attenzione alle cause che lo determinano. Per individuare la posizione di un corpo à necessario considerarne la distanza da altri corpi che costituiscono un riferimento. Inoltre, per descrivere il moto è necessario disporre di un orologio. In generale, si assume come sistema di riferimento una terna di assi cartesiani, cioè tre rette immaginarie nello spazio che si intersecano in un punto O e formano angoli di 90°. Un tale sistema di riferimento è rappresentato nella Figura 1; la disposizione degli assi e la loro orientazione corrisponde alla scelta di una terna destra, con riferimento all’allineamento di pollice, indice e medio della mano destra lungo gli assi, secondo un ordine prestabilito. L’inversione di uno qualunque dei tre assi trasforma la terna destra in una terna sinistra, del tutto equivalente alla precedente, ma usata meno frequentemente in fisica. Per concretezza, supporremo di materializzare un simile sistema di riferimento e di vincolarlo ad uno o più oggetti fisici. Ad esempio, per studiare il moto di un corpo in un laboratorio sarà conveniente assumere come riferimento le pareti della stanza, facendo coincidere gli assi con tre spigoli di queste. Benché il sistema di riferimento sia a priori arbitrario, è conveniente sceglierlo in modo opportuno: per studiare il moto di caduta di un grave è comodo assume come sistema di riferimento una terna di assi vincolata alla terra, per studiare il moto dei pianeti risulterà più conveniente un sistema solidale con il sole. Lo stato di moto o di quiete di un corpo dipende dal sistema di riferimento. Ad esempio, un passeggero seduto su un treno è fermo rispetto a questo ma è in moto rispetto alla terra. Un punto materiale è un oggetto fisico avente dimensioni piccole rispetto alle lunghezze considerate nell’esperimento e privo di una struttura interna13. Ad esempio possono essere considerate buone approssimazioni di punto materiale sia una pallina che si muova in una stanza che un pianeta in rotazione intorno al sole. Scelta una terna di assi di riferimento O, la descrizione quantitativa del moto di un punto P si ottiene studiando come le sue coordinate x,y,z variano nel tempo. L’insieme delle relazioni: x=x(t) y=y(t) z=z(t) (3.1) costituisce la legge oraria del moto del punto P. La traiettoria percorsa dal punto P è la linea costituita dall’insieme dei punti occupati successivamente da P nel suo moto. Una prima classificazione del moto può essere fatta in base alla traiettoria: Moto Moto rettilineo Moto circolare Moto ellittico Moto curvilineo Traiettoria Linea retta Circonferenza Ellisse Linea generica In alcuni casi è possibile ottenere l’equazione della traiettoria eliminando t nelle equazioni parametriche della legge oraria (3.1). Ad esempio, nel piano xy, la traiettoria può essere espressa come funzione y=y(x) o f(x,y)=0. 12 In greco κινεµα significa movimento. 13 La struttura interna potrebbe anche essere presente ma non deve essere coinvolta nel fenomeno osservato. 12 z 0 y x Figura 1 3.1 Moto di un punto materiale lungo una linea geometrica Se la traiettoria è nota14, la posizione di P può essere determinata univocamente definendo un sistema di ascisse curvilinee s. La funzione: s=s(t) (3.2) che descrive in funzione del tempo la distanza della posizione di P dall’origine delle ascisse curvilinee costituisce la legge oraria del moto. La completa conoscenza del moto è pertanto Figura 2 subordinata alla conoscenza della traiettoria e della legge oraria15. L’ascissa curvilinea s è positiva se la posizione di P rispetto all’origine è nel verso convenzionale individuato dalla freccia, negativa in caso contrario. La coordinata so rappresenta la posizione di P nell’istante to di inizio dell’osservazione. La funzione s=s(t) può essere rappresentata in un diagramma cartesiano. Con riferimento alla Figura 3, il punto P, all’istante t=0 si trova ad una distanza so dall’origine; successivamente se ne allontana nel verso delle s positive fino a raggiungere la massima distanza s’ (t = t’), dopodiché inverte il verso del moto, oltrepassa l’origine O e si arresta nella posizione s” (t = t”). Il diagramma rappresentato in Figura 3 fornisce una conoscenza completa del moto di P. Poiché in esso non è possibile individuare una qualche regolarità, il moto si dice vario. 14 Ad esempio lo è nel moto di un treno lungo un binario 15 L’ascissa curvilinea s può essere utilizzata anche per scrivere le equazioni parametriche della traiettoria: x = x(s) y = y(s) z = z(s) 13 3.1.1 Velocità scalare media Un concetto intuitivo legato al moto è la rapidità con cui esso avviene. Per dare un significato quantitativo a questo concetto consideriamo due istanti di tempo t1 e t2, con t1 < t2, e le ascisse s1 ed s2 occupate da P in tali istanti. Figura 3 Per definizione, si dice velocità scalare media del punto P nell’intervallo di tempo t1t2 la quantità: v m ( t1 , t 2 ) = s 2 − s1 ∆s = , t 2 − t 1 ∆t (3.3) cioè il rapporto tra lo spostamento ∆s subito dal punto nell’intervallo di tempo considerato e l’intervallo di tempo ∆t stesso. L’unità di misura della velocità nel Sistema Internazionale è il ms-1. La velocità scalare media rappresenta la pendenza della retta che congiunge i due punti (t1,s1) e (t2,s2) nel grafico della legge oraria (Figura 4). tgα = s 2 − s1 ∆s = . t 2 − t 1 ∆t (3.4) α Figura 4 Se il valore della velocità scalare media non varia comunque si scelgano gli istanti t1 e t2, il moto si dice uniforme e la velocità scalare v è semplicemente: 14 v= s 2 − s1 ∆s = t 2 − t 1 ∆t (3.5) Se scegliamo come istante di inizio dell’osservazione l’istante t1=0 e come istante finale il generico istante t abbiamo: v= s( t ) − s 0 t s( t ) = s 0 + vt (3.6) Nel caso di moto uniforme la legge oraria s=s(t) assume una forma particolarmente semplice ed il diagramma spazio-tempo è rappresentato da una retta. 3.1.2 Velocità scalare istantanea Se il moto non è uniforme nello stesso intervallo di tempo il punto P percorrerà spazi diversi a seconda della posizione lungo la traiettoria. Questo significa che la velocità, che rappresenta intuitivamente la rapidità del movimento, muta nel tempo. Per definire in modo rigoroso questa grandezza consideriamo un moto vario del tipo di quello rappresentato in Figura 5. La velocità scalare media, rappresentata dalla pendenza della retta in figura, dipende dalla particolare scelta dell’intervallo di tempo. Supponiamo ora di tenere fisso il primo istante di tempo t e di scegliere una sequenza di istanti t2 sempre più vicini a t. La retta che congiunge i punti (s,t) e (s2,t2) tende alla tangente alla curva nel punto considerato, fino a coincidere praticamente con essa quando l’intervallo di tempo t2t tende a zero. In queste condizioni la tangente dell’angolo α definisce una grandezza che chiamiamo velocità istantanea (o semplicemente velocità) del punto P all’istante t. Dal punto di vista matematico il procedimento considerato corrisponde al calcolo del limite di un rapporto incrementale: s2 − s ∆s = lim t2 →t t − t ∆t →0 ∆t 2 v ( t ) = lim (3.7) α Figura 5 Tale limite si dice derivata di s rispetto a t, pertanto la velocità istantanea è data dalla derivata dell’ascissa curvilinea s rispetto al tempo: v( t ) = ds . dt (3.8) 15 Deve tuttavia essere chiaro che la rappresentazione della velocità come derivata è una astrazione matematica. Dal punto di vista fisico non esistono grandezze infinitesime, pertanto calcolare la velocità istantanea corrisponde a calcolare il rapporto (3.7) per istanti di tempo t2 sempre più vicini a t, fino a che tale rapporto assume un valore stabile entro gli errori di misura. A questo punto una ulteriore riduzione dell’intervallo ∆t è priva di significato. Se la legge oraria del moto è nota in modo analitico, come avviene ad esempio nel caso del moto di caduta di un grave trascurando l’attrito con l’aria, la velocità può essere calcolata mediante il calcolo differenziale. s( t ) = 1 2 gt 2 (3.9) v( t ) = ds = gt . dt (3.10) In tale moto la velocità cresce uniformemente nel tempo. Se in un particolare moto è nota la velocità scalare del punto P in funzione del tempo, è possibile calcolare lo spazio percorso da P in un generico intervallo di tempo t1t2. A questo scopo si rappresenti la velocità in un diagramma (v,t). Considerato un intervallo di tempo t1t2, lo si divida in n intervallini. Lo spazio percorso da P in un generico intervallino ∆ti vale approssimativamente: ∆si ≅ vi∆ti , (3.11) dove vi è la velocità nell’intervallino ∆ti, ivi considerata costante. (b) (a) Figura 6 Lo spazio s2-s1 percorso in tutto l’intervallo t2t1 sarà la somma estesa a tutti gli intervallini (Figura 6a): n i =1 v i ∆t i ≅ s 2 − s1 . (3.12) Si può verificare che il risultato della somma precedente dipende dalla scelta degli intervalli ∆ti e da come è stata assegnata la velocità vi entro questi, tuttavia se consideriamo intervalli di tempo sempre più piccoli e numerosi, otteniamo un valore che non dipende da tali scelte entro la precisione delle misure. Assumeremo tale valore come misura dello spazio percorso dal punto P nell’intervallo di tempo t1t2. In termini matematici questo procedimento corrisponde a calcolare l’integrale definito della velocità da t2 a t1. Lo spazio percorso vale dunque: 16 s 2 − s1 = t2 t1 v( t )dt . (3.13) Dal procedimento descritto e dal significato geometrico di integrale discende che lo spazio percorso è dato dall’area tratteggiata in Figura 6b. Per quanto riguarda la relazione esistente tra l’operatore matematico di integrale definito ed il calcolo dello spazio percorso, valgono le stesse considerazioni fatte in merito alla definizione di velocità istantanea. Nota la velocità v(t), dal procedimento di calcolo dello spazio percorso in un qualunque intervallo di tempo, discende immediatamente il calcolo della legge oraria. Sostituendo nella (3.13) all’istante t1 l’istante iniziale di osservazione del moto to, in cui il punto P si trova nella posizione so, e all’istante t2 il generico istante t, otteniamo: s( t ) − s 0 = t t0 v( t ′)dt ′ s( t ) = s 0 + t t0 v( t ′)dt ′ . (3.14) Si noti la sostituzione della variabile di integrazione con la variabile ausiliaria t’. Nel caso in cui la funzione v=v(t) sia espressa in forma analitica, il calcolo della legge oraria s=s(t) è riconducibile alla ricerca di una funzione primitiva h(t) + C della funzione v(t): s( t ) = v( t )dt + C s( t ) = h ( t ) + C (3.15) con C costante arbitraria. Per determinare la costante C, ed individuare completamente la legge oraria è necessario conoscere la posizione di P in un qualunque istante. Supponendo ancora nota la posizione so all’istante t=0 si ha: s 0 = h (0 ) + C C = s 0 − h (0) (3.16) Sostituendo l’espressione di C nella (3.15) si ottiene la legge oraria. Consideriamo il seguente esempio; la velocità in funzione del tempo sia data dall’espressione: v( t ) = 2at + 3bt 2 (3.17) e all’istante iniziale to=0 sia so=a. Si ha allora: h( t) = (2at + 3bt )dt = at 2 C =a−0=a 2 + bt 3 (3.18) (3.19) e la legge oraria è: ( ) s( t ) = bt 3 + a t 2 + 1 3.1.3 (3.20) Accelerazione scalare Analogamente a quanto è stato fatto per la definizione della velocità scalare, è possibile definire l’accelerazione scalare che rappresenta la rapidità con cui varia la velocità scalare di P. Consideriamo due istanti di tempo t1 e t2 con t1 < t2 e le velocità scalari v1 e v2 possedute da P in tali istanti. 17 Per definizione si dice accelerazione scalare media del punto P nell’intervallo di tempo t1t2 la quantità: a m ( t1 , t 2 ) = v 2 − v 1 ∆v = , t 2 − t1 ∆t (3.21) cioè il rapporto tra la variazione di velocità ∆v subita dal punto nell’intervallo di tempo considerato e l’intervallo di tempo ∆t stesso. Se il valore della accelerazione scalare media non varia comunque si scelgano gli istanti t1 e t2, il moto si dice uniformemente accelerato. In generale, per definire l’accelerazione scalare istantanea (o più semplicemente l’accelerazione scalare) in un generico istante t, calcoliamo l’accelerazione media tenendo fisso il primo istante di tempo t e scegliendo una sequenza di istanti t2 sempre più vicini a t fino a che il valore calcolato non cambia più entro le cifre significative. Tale valore viene assunto come accelerazione scalare all’istante t. Dal punto di vista matematico il procedimento considerato corrisponde al calcolo del limite del rapporto incrementale: a ( t ) = lim t2 →t v2 − v ∆v = lim . ∆ t → 0 t2 − t ∆t (3.22) Tale limite è la derivata di v rispetto a t, pertanto l’accelerazione scalare è data dalla derivata dello velocità scalare rispetto al tempo t: a(t) = dv . dt (3.23) Le dimensioni della accelerazione sono quelle di una velocità diviso un tempo: A = V T −1 = L T −2 . (3.24) Nel Sistema Internazionale l’accelerazione si misura in ms-2. È bene osservare che l’accelerazione scalare ha pieno significato solo nel caso di un moto rettilineo, infatti essa non tiene conto delle variazioni della direzione del moto che avvengono quando il punto P percorre una traiettoria curva. Per una descrizione generale del moto di un punto è necessario abbandonare le grandezze scalari e considerare le grandezze vettoriali r (vettore posizione), v (velocità vettoriale) ed a (accelerazione vettoriale). 3.2 Descrizione generale del moto di un punto materiale Il problema generale della cinematica del punto consiste nella determinazione della posizione di un punto P nel tempo. Finora abbiamo considerato il moto lungo una traiettoria ben definita, descritto mediante una coordinata curvilinea. Vogliamo ora affrontare il caso generale della descrizione del moto di un punto materiale nello spazio. A questo scopo consideriamo un sistema di riferimento costituito da una terna di assi cartesiani. La posizione del punto P è individuata dalle tre coordinate x,y,z. L conoscenza della legge oraria del moto richiede la determinazione delle tre funzioni: x=x(t) y=y(t) z=z(t) (3.25) che individuano le tre coordinate del punto in funzione del tempo. 18 3.2.1 Vettore posizione Un modo equivalente di descrivere la posizione di P è di definire un vettore r costituito dal segmento orientato che congiunge l’origine degli assi alla posizione occupata dal punto materiale nello spazio (Figura 7). Tale vettore si dice vettore posizione ed è un vettore applicato. Esso si indica anche il simbolo OP. Il modulo del vettore posizione è dato da: r = x2 + y2 + z2 (3.26) e rappresenta la distanza di P dall’origine degli assi. Il vettore posizione può essere scomposto nei suoi tre vettori componenti rispetto agli assi: r = rx + ry + rz . (3.27) Le componenti del vettore posizione sono costituite dalla tre coordinate x,y,z: rx = r cos α = x ry = r cos β = y . (3.28) ry = r cos γ = z Dove α, β e γ sono gli angoli formati dal vettore posizione con gli assi. I coseni cosα, cosβ e cosγ si dicono coseni direttori di r e si ha: cos 2 α + cos 2 β + cos 2 γ = 1. (3.29) Figura 7 Se definiamo tre vettori ux, uy, uz, detti versori, di modulo unitario, paralleli agli assi, ed aventi lo stesso verso, il vettore r può essere scritto come: r = xu x + yu y + zu z (3.30) 19 3.2.2 Velocità vettoriale Indichiamo con P1 la posizione del punto materiale all’istante t1. Tale posizione è individuata dal vettore r1. Sia P2 (r2) la posizione ad un istante successivo t2. Lo spostamento del punto P è dato dal vettore: ∆r = r2 − r1 , (3.31) differenza dei due vettori posizione nei punti P2 e P1 (Figura 8). Si faccia attenzione a non confondere il vettore spostamento ∆r con lo spostamento del punto P lungo l’arco di traiettoria P1P2. Si definisce velocità vettoriale media nell’intervallo t1t2 il vettore: v m (t 1 , t 2 ) = r2 − r1 ∆r = t 2 − t 1 ∆t (3.32) P1 ∆ P2 Figura 8 La velocità media è un vettore diretto come lo spostamento ∆r. L’equazione vettoriale precedente corrisponde a tre equazioni scalari nelle componenti del vettore ∆r; Infatti: ∆r = ∆x ⋅ u x + ∆y ⋅ u y + ∆z ⋅ u z . (3.33) Sostituendo ∆r nella (3.32) e separando le componenti scalari si ha: x 2 − x 1 ∆x = ∆t t 2 − t1 y − y1 ∆y . v m y (t 1 , t 2 ) = 2 = t 2 − t1 ∆t z −z ∆z v mz (t 1 , t 2 ) = 2 1 = t 2 − t 1 ∆t v m x (t 1 , t 2 ) = (3.34) Risulta pertanto: v m = v m x u x + v my u y + v mz u z (3.35) ∆x ∆y ∆z ux + uy + uz ∆t ∆t ∆t (3.36) vm = 20 In modo analogo a quanto fatto nella definizione di velocità scalare (istantanea), fissiamo un istante t generico e consideriamo istanti t2 sempre più vicini a t fino che il rapporto ∆r/∆t assume un valore che non dipende dalla scelta di t2 entro gli errori di misura. Tale valore è, per definizione, la velocità vettoriale del punto P all’istante t. Dal punto di vista matematico questo procedimento corrisponde a calcolare la derivata del vettore posizione r rispetto al tempo: r2 − r ∆r dr = lim = . t2 →t t − t ∆t → 0 ∆t dt 2 v ( t ) = lim (3.37) Analogamente a quanto scritto per la velocità media, l’espressione di v nelle sue componenti è: v= dx dy dz ux + uy + uz. dt dt dt (3.38) Se le equazioni della legge oraria x=x(t), y=y(t) e z=z(t) sono note in modo analitico, è possibile determinare la velocità vettoriale calcolando le sue componenti con tre operazioni di derivazione: vx = 3.2.3 dx dt vy = dy dt vz = dz . dt (3.39) Interpretazione geometrica della velocità vettoriale Al tendere di t2 a t, P2 tende al punto P e la direzione dello spostamento ∆r tende a quella della tangente alla traiettoria in P. Poiché la direzione di vm è la stessa di quella di ∆r la direzione della velocità vettoriale ( v = lim v m ) in un punto P è quella della tangente alla ∆t → 0 traiettoria nel punto considerato. P1 uT v ∆r P2 vm r1 r2 Figura 9 Ci chiediamo se esiste un legame tra la velocità vettoriale v e la velocità scalare v. Definiamo un’ascissa curvilinea s lungo la traiettoria ed un versore uT tangente ad essa e con verso concorde a quello dell’ascissa curvilinea. Si ha: v = lim ∆t → 0 ∆r ds = uT = v uT . ∆t dt (3.40) 21 Infatti al tendere di ∆t a zero, |∆r| tende a |∆s| e la sua direzione tende a quella del versore tangente; il verso di v sarà concorde con quello di uT o discorde a seconda del segno della velocità scalare. Dunque: la velocità vettoriale posseduta da un punto materiale nella posizione P ha modulo uguale al valore assoluto della velocità scalare, direzione data dal versore tangente alla traiettoria in P e verso concorde o discorde ad uT a seconda del segno di ds/dt. 3.2.4 Ricerca della legge oraria Se è nota la velocità vettoriale di un punto mobile in funzione del tempo ed è nota la sua posizione r0 in un determinato istante to, è possibile ricavare la legge oraria del moto r=r(t). Per determinare la posizione r del punto materiale in un generico istante t dividiamo l’intervallo di tempo tot in tanti intervallini e consideriamo la somma vettoriale ∆r degli spostamenti ∆ri ottenuti dalla relazione: ∆ri ≅ v i ∆t i , (3.41) dove vi è la velocità nell’i-esimo intervallino, ivi considerata costante. Si osserva che al crescere del numero degli intervallini somma: ∆ri ≅ ∆r (3.42) i approssima con precisione crescente il valore dello spostamento ∆r, fino a che si stabilizza ad un valore prossimo a quello effettivo (Figura 10). Dal punto di vista matematico questo procedimento corrisponde a calcolare ∆r mediante un integrale: ∆r = r ( t ) − r0 = t t0 v( t ′)dt ′ . (3.43) z P0 ∆r ∆ri r r0 P y x Figura 10 Esplicitando l’equazione vettoriale (3.43) nelle tre equazioni scalari corrispondenti si ottiene: x (t) = x 0 + y( t ) = y 0 + z( t ) = z 0 + t t0 t t0 t t0 v x ( t ′)dt ′ v y ( t ′)dt ′ . (3.44) v z ( t ′)dt ′ 22 3.3 Accelerazione In generale, nel moto di un punto materiale la velocità muta sia in modulo che in direzione. Abbiamo già visto che l’accelerazione scalare misura la rapidità di variazione del modulo di v (velocità scalare); vedremo che l’accelerazione vettoriale tiene conto delle variazioni sia del modulo che della direzione di v. Siano P1e P2 le posizioni del punto materiale agli istanti di tempo t1 e t2, e v1 e v2 le corrispondenti velocità. Si definisce accelerazione vettoriale media nell’intervallo t1t2 il vettore: a m (t 1 , t 2 ) = v 2 − v1 ∆v = t 2 − t1 ∆t (3.45) che, espresso mediante le componenti cartesiane, si scrive: am = ∆v y ∆v x ∆v z ux + uy + u z. ∆t ∆t ∆t (3.46) Per ∆t tendente a zero si ottiene l’accelerazione vettoriale istantanea: ∆v dv = , ∆t → 0 ∆t dt a ( t ) = lim (3.47) con le relative componenti cartesiane: a= dv y dv dv x ux + u y + z u z. dt dt dt P1 (3.48) V1 P2 v1 v2 r1 ∆v v2 r2 Figura 11 Ricordando che la velocità è la derivata del vettore posizione rispetto al tempo si può scrivere anche: d dr d 2r = 2 a= dt dt dt a= d2x d2y d2z u + u + u z. x y dt 2 dt 2 dt 2 (3.49) (3.50) 23 3.3.1 Interpretazione geometrica dell’accelerazione vettoriale L’accelerazione ha la stessa direzione e verso della variazione della velocità ∆v; dalla Figura 11 si osserva che essa è sempre diretta verso la concavità della traiettoria, ma in generale non è né tangente né ortogonale ad essa. Consideriamo l’espressione della velocità: v = v uT (3.51) Per la definizione di accelerazione: a= du dv dv = uT + v T dt dt dt (3.52) Il primo termine dell’espressione precedente dipende dalla variazione del modulo della velocità ed è tangente alla traiettoria, il secondo termine contiene la derivata del versore uT e tiene conto della variazione nella direzione di v. Dimostriamo che esso è normale alla traiettoria. In generale, il prodotto scalare di un versore con se stesso vale 1: u ⋅ u = 1. (3.53) Derivando tale prodotto rispetto al tempo si ottiene: d (u ⋅ u) du = 2u = 0. dt dt (3.54) Se il prodotto scalare di due vettori (non nulli) è uguale a zero, i due vettori sono ortogonali, pertanto duT/dt è ⊥ uT; inoltre, dalla Figura 12, si osserva che duT e orientato verso la concavità della traiettoria. Consideriamo ora due punti P e P2 occupati dal punto materiale in due istanti successivi. Sia O l’intersezione delle normali alla traiettoria nei punti considerati. Al tendere di P2 verso P, il punto O diviene il centro del cerchio osculatore della traiettoria nel punto P. Nell’intorno di P, un tratto ds di traiettoria può essere confuso con un arco infinitesimo del cerchio osculatore di lunghezza ρdϑ, dove ρ è il raggio del cerchio e dϑ è l’angolo al centro corrispondente al tratto ds considerato. Calcoliamo ora l’espressione duT/dt. Dalla figura 12 si deduce che l’angolo compreso tra i versori uT in due posizioni successive vale anch’esso dϑ. Poiché tale quantità è infinitesima, il modulo |duT| vale, a meno di infinitesimi di ordine superiore: du T = u T dϑ = 1 dϑ = dϑ P1 (3.55) uT uT P2 u’T un dϑ duT u’T dϑ ρ s O Figura 12 24 Si ha dunque: v du T dϑ 1 ds = = = . dt dt ρ dt ρ (3.56) Introducendo un versore uN, ortogonale alla traiettoria e orientato verso la concavità otteniamo16: v du T = uN . ρ dt (3.57) Sostituendo nella (3.52) abbiamo infine: a= dv v2 uT + uN = aT + aN dt ρ (3.58) a = a 2T + a 2N . (3.59) Pertanto l’accelerazione in un moto vario può essere scomposta in un componente tangente alla traiettoria ed in un componente normale alla traiettoria (Figura 13). Vedremo in seguito l’espressione dell’accelerazione in alcuni casi particolari di moto. In alcuni moti semplici viene a mancare uno dei componenti dell’accelerazione: Moto rettilineo Moto uniforme ρ=∞ v=costante aN=0 aT=0 aT an a Figura 13 16 In generale, la derivata temporale di un versore u è espressa dalla relazione: du dϑ = n, dt dt dove n è un versore che giace nel piano π contenente u(t) ed u(t+dt), è perpendicolare ad u ed è orientato dalla parte di u(t+dt). È possibile dare una espressione equivalente di du/dt introducendo il vettore che ha modulo dϑ/dt, direzione ⊥ a π e verso tale da vedere avvenire la rotazione di u(t) su u(t+dt) in senso antiorario. Si ha allora: du = dt ×u . 25 3.3.2 Ricerca delle legge oraria nota l’accelerazione A causa del legame differenziale tra velocità e accelerazione, nota quest’ultima, è possibile ricavare il vettore velocità con un’operazione di integrazione come si era fatto per il calcolo di r nota v [vd. equazione (3.43)(3.43)]. Anche in questo caso l’integrazione dell’accelerazione non è sufficiente a determinare completamente la velocità all’istante generico t. A questo scopo è necessario conoscere anche la velocità in un qualunque altro istante; ad esempio, all’istante to di inizio nell’osservazione sia v(to)=vo. Si ha allora: v( t ) = v 0 + t t0 a( t ′)dt ′ . (3.60) A sua volta, noto il vettore posizione ro all’istante iniziale, la velocità v(t) può essere integrata per ottenere la legge oraria r=r(t). Consideriamo il caso semplice in cui l’accelerazione sia costante. Questo, ad esempio è quanto accade nel moto di un grave nel campo di attrazione terrestre. Sia: a =g =cost (3.61) e sia vo il vettore velocità iniziale all’istante t=0. Consideriamo un sistema di riferimento avente l’origine coincidente con il punto iniziale del moto, l’asse y parallelo ed opposto al vettore g (asse verticale orientato verso l’alto) e l’asse x nel piano individuato dai due vettori g e vo. Si osserva immediatamente che non si ha componente del moto lungo l’asse z, infatti la componente vz è nulla all’istante iniziale e tale rimane in quanto az=0. Dunque si tratta di studiare un moto nel piano xy. ax =0 ay = 0 a = −gu y (3.62) x0 = 0 Per t = 0 (3.63) y0 = 0 Il vettore velocità iniziale vo può essere scomposto nei suoi componenti lungo gli assi x ed y: v 0 x = v 0 cos α v 0 = v 0 x u x + v 0 yu y (3.64) v 0 y = v 0 sin α Possiamo considerare due moti indipendenti lungo x e lungo y. Il moto lungo x è uniforme in quanto la componente x dell’accelerazione è nulla, il moto lungo y è un moto uniformemente accelerato. y g V0 V0y O V0x x Figura 14 26 Le equazioni corrispondenti sono: d2x =0 dt 2 d2y = −g dt 2 (3.65) t v x ( t ) = v 0 x + 0dt ′ = v 0 cos α 0 t v y ( t ) = v 0 y + − gdt ′ = v 0 sin α − gt (3.66) 0 x (t) = x 0 + y( t ) = x 0 + t 0 t 0 v x ( t )dt ′ = v y ( t )dt ′ = t 0 t (v 0 cos α )dt ′ (v 0 sin α − gt )dt ′ 0 (3.67) La legge oraria si ottiene eseguendo le semplici integrazioni indicate nelle equazioni precedenti: x ( t ) = v 0 cos αt y( t ) = v 0 sin αt − 1 2 gt 2 (3.68) L’equazione della traiettoria si ottiene eliminando il parametro t dalle equazioni (3.68): y = tgα x − g x2 2 v cos 2 α 2 0 (3.69) Si tratta di una parabola con l’asse parallelo all’asse y. Da un semplice studio sulla funzione (3.69) si ottengono informazioni sulla massima quota raggiunta dal grave e sulla distanza dall’origine del punto di caduta, in funzione della velocità iniziale e dell’angolo α. Tali studi vennero condotti già in epoca antica per prevedere il punto di impatto dei proiettili di artiglieria. 3.4 Moti semplici Consideriamo ora alcuni esempi di moto particolarmente semplici. 3.4.1 Moto rettilineo Si definisce moto rettilineo un moto la cui traiettoria sia una linea retta. In questo caso l’accelerazione ha solo la componente tangenziale (aN=0). Con un’opportuna scelta del sistema di riferimento in cui l’asse x coincida con la retta del moto, il problema diviene monodimensionale e si semplifica notevolmente. Sia il vettore velocità che il vettore accelerazione avranno solo la componente x: a = a ( t )u x v = v( t )u x (3.70) e la legge oraria è rappresentata dalla sola equazione x=x(t). 27 y v s r O P ϑ x R Figura 15 3.4.2 Moto circolare Consideriamo un punto materiale che percorra una circonferenza di raggio R avente il centro coincidente con l’origine degli assi. Fissiamo una coordinata curvilinea s sulla circonferenza ed indichiamo con ϑ l’angolo al centro formato dal raggio vettore con l’asse x. La velocità v è tangente alla traiettoria, ed è pertanto ortogonale al raggio vettore r. Il suo modulo è dato dalla velocità scalare: v= ds dϑ =R dt dt (3.71) Si definisce velocità angolare la grandezza: ω= dϑ dt (3.72) La velocità angolare ha le dimensioni di [T]-1 e si misura in rad s-1. In generale, tale grandezza è suscettibile di una rappresentazione vettoriale. Consideriamo il piano del moto definito come il piano del cerchio osculatore alla traiettoria nel punto P in cui si vuole calcolare la velocità angolare; detto ϑ l'angolo al centro corrispondente al tratto ds in Figura 12, si definisce velocità angolare il vettore che ha per modulo la derivata (3.72), per direzione quella della normale al piano del moto e per verso quello dal quale si vede avvenire la rotazione in senso antiorario17. 17 Si osserva che non è un vettore come v o a in quanto il suo verso è frutto di una convenzione. Esistono altri esempi di vettori definiti con argomentazioni analoghe che hanno origine nella convenzione della “mano destra” o della “rotazione antioraria” utilizzata per definire il prodotto vettore. Tali vettori, ad esempio il momento di una forza o il momento angolare, si dicono vettori assiali o pseudovettori per distinguerli dai vettori propriamente detti che si chiamano anche vettori polari. Le componenti dei vettori assiali e dei vettori polari si comportano diversamente passando da una terna destra ad una terna sinistra. 28 Se il punto P si muove su una circonferenza di raggio R con centro nell'origine degli assi, cosicché r è in ogni istante perpendicolare alla traiettoria, dalla definizione precedente discende che: v= ×r. (3.73) v ω r Figura 16 Infatti il vettore v così definito è tangente alla traiettoria, in quanto è ortogonale sia ad che a r, ed ha modulo R dϑ/dt. In generale la relazione precedente vale se r è un vettore che congiunge il punto P ad un qualunque punto dell'asse di rotazione. 3.4.2.1 Moto circolare uniforme Se il moto è uniforme ω e v sono costanti e l’accelerazione ha solo la componente normale. Pertanto essa è diretta verso il centro della circonferenza ed ha modulo: a = aN = v2 . R (3.74) Il moto circolare uniforme è un moto periodico. Si dice periodo il tempo impiegato dal punto a percorrere un giro18: T= 2 πR 2 π = . v ω (3.75) La frequenza è per definizione l’inverso del periodo: ν= 1 ω = , T 2π (3.76) ha le dimensioni di [T]-1 e si misura in Hz (Hertz). Nel moto circolare uniforme la legge oraria può essere espressa come: ϑ = ϑ0 + ω t s = s0 + v t 3.4.2.2 . (3.77) Moto circolare non uniforme Se la velocità angolare cambia nel tempo si può definire un’accelerazione angolare nel seguente modo: 18 In generale un moto periodico è un moto in cui il punto mobile ritorna nella stessa posizione dopo un tempo fisso T. In questo caso la legge oraria è una funzione periodica del tempo: r( t ) = r ( t + T ) ∀ t. 29 = d dt (3.78) Poiché il moto circolare è un moto piano e la velocità angolare non cambia direzione nel tempo si ha: α= dω d 2 ϑ = 2 . dt dt (3.79) In questo caso i componenti normale e tangenziale dell’accelerazione sono: dv dω uT = R u T = αR u T dt dt , ω2 R 2 v2 2 aN = uN = u N = ω Ru N R R aT = (3.80) dove al solito uT ed uN sono i versori tangente e normale alla traiettoria. Se centro del moto coincide con l’origine degli assi, usando la relazione (3.73) possiamo scrivere l’accelerazione come: a= dv d ( × r ) d = = ×r + dt dt dt × dr . dt (3.81) Se il moto è uniforme dω/dt=0 e si ottiene: a= × dr = dt ×v = × ( × r) . (3.82) Quest’ultima relazione ci sarà utile nello studio del moto di un punto materiale rispetto a due sistemi di riferimento in moto relativo. 3.4.3 Moto armonico semplice Un tipo di moto molto frequente in natura è il moto oscillatorio. Come vedremo nel seguito del corso il moto di un pendolo, il moto di una massa legata ad una molla, ed in generale tutti i moti di vibrazione appartengono a questa categoria. Un generico moto oscillatorio è di trattazione relativamente complessa, tuttavia, in molti casi è possibile approssimare un moto oscillatorio con un moto semplificato, trattabile matematicamente in forma chiusa, che prende il nome di moto armonico semplice. -A 0 A x Figura 17 Limitiamoci a considerare il moto di un punto materiale lungo un asse. Per definizione si dice armonico (semplice) un moto in cui la legge oraria sia espressa mediante l’equazione: x ( t ) = A sin (ωt + φ) (3.83) 30 Consideriamo ora i vari termini di questa equazione: A Ampiezza di oscillazione. Rappresenta la massima distanza dall’origine raggiunta da P durante il moto. (ωt+φ) Fase dell’oscillazione. È l’argomento delle funzione sinusoidale (seno o coseno) che rappresenta il moto armonico. φ si dice costante di fase ed è la fase per t=0. ω Pulsazione. Misura la velocità di variazione della fase espressa in rad s-1. Può essere messa in relazione con la velocità angolare di un moto circolare uniforme da cui può essere dedotto il moto armonico considerato. Dimostriamo che un moto armonico è periodico di periodo T=2π/ω. Affinché ciò accada deve essere: A sin (ωt + φ) = A sin[ω(t + T ) + φ] ∀t (3.84) ∀ n intero . (3.85) quindi: (ωt + φ) + 2nπ = [ω(t + T ) + φ] Semplificando l’equazione precedente si ottiene: 2nπ = ωT T= 2 nπ ω (3.86) (3.87) 31 1 Posizione 1 x( t ) 0 1 1 0 0 1 1.57 3.14 4.71 6.28 7.85 9.42 11 12.57 4 .π 7.85 9.42 11 12.57 4 .π 9.42 11 12.57 4 .π t Velocità 1 v( t ) 0 1 1 0 0 1 1.57 3.14 4.71 6.28 t Accelerazione 1 a ( t) 0 1 1 0 0 1.57 3.14 4.71 6.28 t 7.85 Figura 18 Il generico periodo è multiplo del periodo fondamentale T=2π/ω. Come in tutti i fenomeni periodici, si dice frequenza l’inverso del periodo. ν=1/T. Supponiamo che la costante di fase φ sia nulla. La legge oraria è (Figura 18): x( t ) = A sin ωt (3.88) La velocità scalare è: v( t ) = dx = Aω cos ωt dt (3.89) e l’accelerazione vale: dv d 2 x a(t) = = 2 = − Aω 2 sin ωt = − ω 2 x dt dt (3.90) 32 Dunque l’accelerazione è in ogni istante proporzionale ed opposta allo spostamento. L’equazione: d2x + ω2x = 0 2 dt (3.91) è l’equazione caratteristica del moto armonico. 3.5 Moto piano in coordinate polari Consideriamo il moto di un punto materiale in un piano xy, La posizione P del punto, oltre che mediante le coordinate cartesiane può essere individuata mediante la distanza del punto dall’origine degli assi (raggio vettore r) e mediante l’angolo che il vettore posizione r forma con un asse di riferimento, per convenzione l’asse x (anomalia ϑ). Tali coordinate si dicono coordinate polari e sono legate alle coordinate cartesiane dalle relazioni (Figura 19): r = x 2 + y2 y ϑ = ± tg −1 x (3.92) e dalle relazioni inverse: x = r cos ϑ y = r sin ϑ . (3.93) Si osserva che la coordinata r è uno scalare ed è ovviamente pari al modulo del vettore posizione. In coordinate polari la legge oraria è data dalle funzioni del tempo: ϑ=ϑ(t) r=r(t) (3.94) e l’equazione della traiettoria può essere espressa come: r=r(ϑ) oppure ϑ=ϑ(r) (3.95) Il moto in coordinate polari dà luogo ad una interessante scomposizione della velocità. Definiamo due versori ured uϑ rispettivamente parallelo e ortogonale al vettore posizione nel punto considerato (Figura 20). La velocità può essere espressa come: y P y r ϑ x x Figura 19 33 v= du dr d(ru r ) dr = = ur + r r . dt dt dt dt (3.96) Ricordando l’espressione generale della derivata di un versore (nota 16) si ha poi: du r dϑ = uϑ = ω × u r . dt dt (3.97) Quindi: v= dr dϑ dr ur + r uϑ = u r + r ω uϑ dt dt dt y uϑ r (3.98) ur P ur v u’r dϑ dϑ dur u’r P’ x Figura 20 Con una operazione di derivazione analoga alla precedente, si calcola l’accelerazione, che può anch’essa essere scomposta nelle componenti secondo uϑ ed ur: d 2r dϑ a= −r 2 dt dt 2 d 2ϑ dr dϑ ur + r 2 + 2 uϑ dt dt dt (3.99) Ha particolare significato il caso in cui aϑ=0. In questo caso l’accelerazione è sempre diretta verso l’origine degli assi ed il moto si dice centrale. 3.5.1 Legame tra moto armonico e moto circolare Come applicazione delle coordinate polari, consideriamo la relazione che intercorre tra un moto armonico di pulsazione ed un moto circolare uniforme avente la medesima velocità angolare. Sia A il raggio della circonferenza (Figura 21). Le equazioni parametriche del moto in coordinate polari sono: r=A ϑ = ωt . (3.100) Applicando le formule di trasformazione in coordinate cartesiane otteniamo: 34 x = A cos ωt y = A sin ωt . (3.101) Pertanto il moto circolare uniforme può essere considerato come la composizione, lungo due direzioni ortogonali, di due moti armonici con la stessa ampiezza (A), la stessa pulsazione ω ed uno sfasamento relativo di π/2. y ω = costante A y(t) O P ϑ(t) x(t) x Figura 21 35 4 Dinamica del punto La dinamica19 riguarda lo studio del moto di un corpo in relazione alle cause che lo producono. Seguendo una semplificazione già considerata per la cinematica, supporremo che il corpo sia di dimensioni piccole rispetto ai suoi spostamenti e non sia dotato di struttura interna. Ci occuperemo dunque, per il momento, della dinamica del punto materiale. Mentre nello studio della cinematica il punto materiale non era dotato di alcuna proprietà, nello studio della dinamica esso è caratterizzato da una grandezza fisica che ne influenza il comportamento in modo determinante: la massa. L’altra entità essenziale per lo studio della dinamica è costituita dalla forza, che traduce in termini fisici quantitativi il concetto di interazione. La dinamica studia il moto di corpi dotati di massa sotto l’effetto delle interazioni reciproche. La realtà fisica ci mostra una grande varietà di fenomeni in cui interviene il concetto intuitivo di forza. Questo trae origine dalla sensazione di sforzo muscolare e si estende, evidentemente, a tutti i casi in cui un corpo agisce nei confronti di un altro mediante un contatto di qualunque tipo. Tuttavia, il significato di forza è molto più generale e comprende tutte le possibili interazioni tra corpi, comprese quelle che si esplicano a distanza. Nel seguito classificheremo le forze più importanti in famiglie secondo un approccio fenomenologico. Si deve inoltre osservare che da un’analisi più approfondita risulta che tutte le forze esistenti in natura possono essere ricondotte a quattro interazioni fondamentali. Poiché nell’organizzazione metrica del Sistema Internazionale la massa è una grandezza fondamentale, mentre la forza è una grandezza derivata, definiremo prima la massa ed in seguito la forza (metodo di Mach). Nella definizione delle due grandezze è anche possibile seguire la sequenza logica inversa, come potrebbe sembrare più naturale (metodo di Eulero). Prima di procedere dobbiamo chiarire la classe di sistemi di riferimento in cui ricaveremo le leggi della dinamica. 4.1 Definizione di sistema inerziale Consideriamo il caso ideale di un corpo non soggetto ad interazioni con altri corpi. Ben sappiamo che questa condizione non si può realizzare sulla terra in quanto la forza peso agirà comunque sul corpo in esame, tuttavia non è difficile equilibrare tale forza con una uguale ed opposta in ogni istante (reazione vincolare). Ad esempio, possiamo considerare un cubetto di ghiaccio che scivola su un piano ben levigato; in questo caso, avendo eliminato per quanto possibile gli attriti, la superficie del piano eserciterà sul cubetto solo una forza verticale, uguale ed opposta al suo peso, in modo da annullarne gli effetti. Dall’esperienza si osserva che il cubetto o sta fermo o si muove di moto rettilineo uniforme rispetto alla terra. Tuttavia, se gli esperimenti vengono ripetuti su percorsi sufficientemente lunghi con un sistema più sofisticato in grado di eliminare quasi completamente gli attriti (ad esempio mediante un corpo sostenuto da un cuscino d’aria) si osserva una lieve deviazione dal moto rettilineo uniforme. Poiché è ben noto che la terra ruota intorno al sole e soprattutto intorno al suo asse, è ragionevole attribuire alla rotazione terrestre questa lieve deviazione dal moto rettilineo uniforme. Con una astrazione si può facilmente immaginare che un corpo non soggetto ad interazioni si muova di moto rettilineo uniforme in un sistema di riferimento che non partecipi alla rotazione terrestre20. L’affermazione precedente individua un sistema di riferimento privilegiato, che prende il nome di sistema di riferimento inerziale. Nella sua formulazione generale la definizione di sistema inerziale perde il collegamento con i sistemi solidali con la terra e viene espressa sotto forma di 19 In greco δυναµισ significa forza. 20 Sistemi simili, detti “piattaforme inerziali”, sono realizzati dagli astronomi con opportuni servomeccanismi per mantenere i telescopi puntati verso la direzione di una stella o di una galassia. 36 principio: un sistema di riferimento inerziale è un sistema rispetto al quale vale il principio di inerzia. Principio di inerzia (primo principio della dinamica): in un sistema di riferimento inerziale un corpo non soggetto ad interazioni con altri corpi permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Il principio di inerzia è fondamentale in quanto è alla base della scelta del sistema di riferimento, che deve precedere qualunque esperimento di dinamica. Ci si può chiedere se la scelta di un sistema inerziale sia obbligata. In verità non lo è: si può studiare qualunque fenomeno “dinamico” rinunciando al principio d’inerzia, ma a prezzo di notevoli complicazioni. Il più semplice atto di moto è il moto rettilineo uniforme e averlo associato ad un corpo non soggetto ad interazioni corrisponde alla massima semplificazione possibile. Sulla base di queste considerazioni, il principio di inerzia può essere riformulato anche come segue: principio di inerzia: per un osservatore inerziale le leggi della dinamica assumono la forma più semplice. Dal punto di vista operativo un sistema inerziale è costituito da un sistema solidale con un corpo che, nei limiti del possibile, appaia non soggetto ad interazioni. Come già detto, un sistema con gli assi orientati secondo le stelle, cioè un sistema che non partecipa alla rotazione della terra, è inerziale con ottima approssimazione; tuttavia, in molte esperienze di laboratorio anche un sistema solidale con la terra può essere considerato inerziale. Non è invece inerziale un sistema solidale con un’auto che percorre una traiettoria curva. È importante osservare che tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme rispetto ad un sistema inerziale sono a loro volta inerziali. Se consideriamo due sistemi di riferimento inerziali ed un punto materiale in moto sotto l’effetto di alcune interazioni, le coordinate e la velocità del punto risulteranno diverse nei due sistemi, ma il suo comportamento dinamico, ed in particolare le misure dell’accelerazione e della forza a cui è sottoposto risulteranno le stesse. L’osservazione precedente venne fatta da Galileo21 e prende il nome di principio di relatività galileiana: 21 Da Galileo, "Dialogo sopra i due massimi sistemi": Salviati. Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi dè pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua, benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al com pagno, non con più forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con più fatica noteranno verso la precedente che verso la susseguente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le parti, ne mai accaderà che si riduchino verso la parte che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo trattenendosi per aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lagrima d'incenso si farà un poco di fumo, vedrassi 37 principio di relatività galileiana: Le leggi della meccanica sono le stesse per tutti gli osservatori inerziali. Si è detto che tutti i sistemi inerziali sono equivalenti ai fini dello studio della dinamica. Ci si può chiedere se esiste un sistema di riferimento assoluto, cioè un sistema di riferimento coincidente (solidale) con lo spazio in sé, rispetto al quale misurare la velocità di tutti gli altri sistemi inerziali. Il principio di relatività galileiana esclude la possibilità di individuare questo osservatore preferenziale con mezzi meccanici, in quanto tutti gli esperimenti di meccanica che si possono approntare danno lo stesso risultato in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Alla fine ‘800 si credeva fermamente all’esistenza di un sistema assoluto pervaso da un’entità non meglio identificata che veniva detta “etere”. Si supponeva che tutti i corpi, tra cui anche la terra, si muovessero entro l’etere che doveva costituire anche il mezzo entro il quale propagavano le onde elettromagnetiche, la cui trasmissione, come è noto, non richiede la presenza di un mezzo materiale. Vari esperimenti vennero condotti al fine di misurare la velocità della terra rispetto all’etere, cioè rispetto al sistema assoluto, ma tutti ebbero esito negativo. Questa constatazione suggerì al grande matematico e fisico Poincaré che il sistema assoluto non esiste, aprendo la strada verso la teoria della relatività di Einstein che sancì definitivamente la rinuncia alla ricerca del sistema assoluto. Torneremo su questo argomento nel seguito del corso. 4.2 Definizione di massa L’interazione tra due corpi determina l’alterazione del loro stato naturale di quiete o di moto rettilineo uniforme a causa della nascita di una accelerazione. Ha senso chiedersi in quale misura questa accelerazione dipende dalla natura dei due corpi. a1 a2 2 1 Figura 1 Consideriamo due corpi soggetti solo alla loro interazione in un sistema di riferimento inerziale. Ad esempio, si abbiano due carrelli scorrevoli su un piano privo di attrito, collegati da una molla. In una fase iniziale la molla sia trattenuta da una fune, successivamente questa venga tagliata in modo che i due carrelli, inizialmente fermi, si mettano in movimento. È possibile misurare le accelerazioni a1 e a2 acquistate dai carrelli durante l’interazione. Eseguendo l’esperimento più volte, con diverse compressioni della molla, si verifica che il rapporto tra le accelerazioni a1 e a2 rimane costante. Esso non dipende dall’entità dell’interazione ma è una caratteristica dei corpi considerati che indichiamo con c21. a 1( 2) a 2(1) = c 21 . (4.1) Si osservi che le accelerazioni sono state rappresentare mediante due pedici per indicare i carrelli che interagiscono. Le considerazioni precedenti sono il frutto di una osservazione sperimentale, e come tali devono essere accettate. ascender in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non più verso questa che quea parte. 38 La costante c21 è relativa alla coppia di corpi considerata e non rappresenta, almeno per il momento, alcuna proprietà dei singoli corpi. Per attribuire generalità al procedimento e definire una nuova classe di grandezze fisiche dobbiamo considerare un terzo carrello e farlo interagire con i precedenti. In questo caso i rapporti delle accelerazioni valgono rispettivamente: a 1(3) a 3(1) = c 31 a 3( 2 ) a 2 ( 3) = c 23 . (4.2) Si verifica sperimentalmente che i rapporti c21, c31 e c23 non sono indipendenti, ma sono legati dalla relazione: c 23 = c 21 c 31 . (4.3) La relazione (4.3) può essere interpretata come legame tra le misure di una grandezza fisica rispetto a due diverse unità di misura. Infatti, le quantità c23 e c21 possono essere assunte come misure di una grandezza caratteristica del corpo 2 rispetto alla medesima grandezza dei corpi 3 e 1. Tali misure devono essere legate da un fattore di ragguaglio costituito dalla misura della nuova unità rispetto alla vecchia (c31). Questo legame è costituito dalla relazione (4.3). Tale relazione che, ripetiamo, deriva da un’osservazione sperimentale ci permette di affermare l’esperimento descritto istituisce un procedimento di misura con il quale definiamo una nuova classe di grandezze fisiche di natura scalare che chiamiamo classe delle masse inerziali. Si osserva che senza la relazione (4.3), le relazioni (4.1) e (4.2) individuerebbe solo una proprietà caratteristica delle coppie di corpi e quindi di scarso significato fisico. Il procedimento descritto è un procedimento diretto di misura poiché consente di misurare una massa rispetto ad una massa di riferimento. Infatti, benchè nell’esperimento si effettuino misure di accelerazione, questa grandezza ha solo una funzione accessoria, mentre il vero confronto è effettuato con la massa campione (carrello 1 o 3) di cui è necessaria la disponibilità fisica. Allo stesso modo, la misura di un intervallo di tempo con un cronometro si riduce alla misura di un angolo (posizione della lancetta del cronometro) ma il vero confronto è effettuato tra l’intervallo di tempo da misurare (angolo spazzato dalla lancetta) e l’intervallo di tempo campione (angolo tra due tacche sul cronometro). In definitiva, dette M1, M2 ed M3 le masse dei carrelli 1, 2 e 3 rispettivamente, abbiamo: c 21 = M2 = m 2(1) M1 c 23 = M2 = m 2 ( 3) M3 c 31 = M3 = m 3(1) , M1 (4.4) dove si sono indicate le grandezze con le lettere maiuscole e le loro misure con le minuscole. La grandezza così definita è inversamente proporzionale all’accelerazione subita da un corpo durante un’interazione e pertanto misura l’opposizione dei corpi al cambiamento di velocità; per questo essa viene detta massa inerziale. Nel Sistema Internazionale la massa è una grandezza fondamentale, la sua unità di misura è la massa campione di 1 kg depositata al museo di Sèvres. Se due corpi vengono uniti a formarne uno solo, la massa del corpo risultante è la somma delle singole masse: m1 + m 2 = m 3 (4.5) Il confronto tra due masse si può facilmente effettuare misurando le accelerazioni conseguenti ad una medesima interazione, quindi la massa soddisfa a tutte le proprietà essenziali di una grandezza fisica. Nell’esperimento dei due carrelli si osserva inoltre che la direzione delle accelerazioni a1 e a2 è la stessa, mentre il loro verso è opposto. Pertanto la relazione (4.1) che esprime il legame tra masse e accelerazioni di due corpi interagenti si scrive più correttamente: 39 m 1a 1 = − m 2 a 2 . (4.6) Torneremo su questa relazione nel prossimo paragrafo. 4.3 Definizione di quantità di moto Si definisce quantità di moto p di un punto materiale la grandezza vettoriale che si ottiene come prodotto della sua massa m per la sua velocità v. p = mv . (4.7) L’esperimento dei carrelli descritto in precedenza ci permette di osservare che la variazione della quantità di moto di due corpi soggetti solo alla mutua interazione è uguale ed opposta. Infatti, integrando la relazione (4.6) dall’istante iniziale all’istante finale si ottiene: m1 ∆v 1 = − m 2 ∆v 2 (4.8) Se supponiamo che la massa sia costante, come è naturale in fisica classica, abbiamo: ∆p 1 = − ∆p 2 (4.9) ∆p 1 + ∆p 2 = 0 . (4.10) Indicando con p1, p2 le quantità di moto dei due corpi prima dell’interazione e con p1’, p2’ le medesime grandezze dopo l’interazione si ottiene: (p1′ − p1 ) + (p′2 − p 2 ) = 0 (4.11) p1 + p 2 = p1′ + p′2 (4.12) La quantità di moto totale di un sistema di due punti materiali soggetti esclusivamente alla mutua interazione rimane costante. L’affermazione precedente costituisce il principio di conservazione della quantità di moto. Esso vale in un sistema inerziale e verrà esteso ad un sistema isolato costituito da un numero qualunque di punti materiali nel seguito del corso. 4.4 Definizione di forza e II legge della Dinamica In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale non soggetto ad interazioni si muove di moto rettilineo uniforme, pertanto la sua velocità è costante. Se, come è ragionevole assumere, la sua massa è costante, lo è anche la quantità di moto: p = mv = cost (4.13) Se la condizione precedente non è soddisfatta, il moto del corpo non sarà rettilineo uniforme, ma sarà caratterizzato da una variazione della velocità v e quindi da una variazione della quantità di moto p. Tale variazione è tanto più rapida quanto più intensa è l’interazione. Per definizione chiamiamo forza la quantità vettoriale: F= dp dt (4.14) 40 P1 P1 P2 dP P2 Figura 2 che costituisce una misura dell’entità dell’interazione22. Ogniqualvolta la quantità di moto di un punto materiale varia nel tempo diremo che esso è soggetto ad una forza di intensità pari al modulo della derivata temporale della quantità di moto. La forza è una grandezza vettoriale che ha la stessa direzione e lo stesso verso della variazione della quantità di moto. Le forze sono vettori applicati, cioè oltre a possedere le caratteristiche essenziali dei vettori (modulo, direzione e verso) esse sono caratterizzate dal punto nel quale esplicano la loro azione. Nella dinamica del punto le forze sono applicate ai punti materiali. Dalla definizione di quantità di moto (4.7), assumendo costante la massa si ottiene: F= dp d (mv ) dv = =m = ma . dt dt dt (4.15) La relazione F = ma costituisce la II legge della dinamica (o legge di Newton) ed è una diretta conseguenza delle definizioni di forza e di quantità di moto. Nella meccanica classica è concettualmente equivalente definire la forza mediante la (4.14) e derivare da questa la II legge della dinamica, anziché attribuire valore di principio23 alla legge di Newton, come avviene in alcuni libri di testo. Il procedimento seguito in questo corso di meccanica ha il vantaggio di definire la forza mediante una legge che mantiene la sua validità anche in fisica relativistica. La legge di Newton costituisce un caso particolare valido in condizioni non relativistiche, nelle quali si suppone che la massa rimanga costante. L’equazione (4.15) costituisce il legame tra la grandezza cinematica (a) che descrive la variazione dello stato di moto di un corpo e la causa (F) che determina tale variazione. Dato un sistema di due corpi, se si conosce il tipo di interazione che agisce tra essi, è possibile in alcuni casi esprimere la forza in forma analitica in funzione del tempo e dei parametri che individuano lo stato del sistema. In questo caso, sotto opportune condizioni, la matematica integrando la legge (4.15) consente di calcolare l’evoluzione del sistema nel tempo, attuando il fondamentale significato predittivo di una legge fisica. La forza è una grandezza derivata in quanto è stata definita mediante un procedimento indiretto di misura. Infatti, dalla relazione (4.14) segue che la misura di una forza richiede la misura della variazione di una quantità di moto e la misura di un intervallo di tempo. Con riferimento alla (4.15) è più usuale misurare una forza come prodotto di una massa per l’accelerazione che essa produce sulla massa. Nel Sistema Internazionale, l’unità di misura delle forze è il newton (N). Un newton è la forza che, applicata ad un corpo di massa 1kg, gli impartisce un’accelerazione di 1ms-2 22 Sul significato fisico dell'operazione di derivazione valgono le stesse considerazioni già fatte in corrispondenza della definizione di velocità e di accelerazione. 23 Si dice “principio” una legge fisica di validità generale e di particolare importanza. 41 Il procedimento di misura corrispondente alla descrizione precedente si dice misura dinamica delle forze. Le dimensioni della forza rispetto alla grandezze fondamentali sono: −2 F = M A = L M T (4.16) 4.5 III Legge della dinamica Consideriamo due corpi soggetti alla sola interazione reciproca, come abbiamo fatto nel paragrafo 4.3. Poiché la quantità di moto di un sistema isolato si conserva, dette p1 e p2 le quantità di moto dei due corpi, è in ogni istante: p 1 + p 2 = cost (4.17) m2 F21 F12 m1 Figura 3 Derivando rispetto al tempo la relazione precedente, si ha: dp 1 dp 2 + =0 dt dt (4.18) dp 1 dp =− 2. dt dt (4.19) Usando la definizione di forza (4.14), si ottiene F1 = − F2 (4.20) Nell’interazione di due corpi, la forza che il primo corpo esercita sul secondo è uguale ed opposta a quella che il secondo esercita sul primo. L’enunciato precedente costituisce la III legge della dinamica, detta anche legge di azione e reazione. La III legge della dinamica può anche essere ricavata come legge sperimentale ricorrendo alla (4.6). Consideriamo ora un sistema di n punti materiali interagenti (Figura 4): per ciascuna coppia di punti la direzione delle forze che esprimono l’interazione è quella della congiungente, mentre i versi delle forze sono opposti come stabilito dalla (4.20). Supponiamo che l’interazione tra ogni coppia di punti sia indipendente dalla presenza degli altri punti. Questa ipotesi e la linearità del legame tra forza ed accelerazione espresso dalla (4.15) ci consentono di applicare il principio di sovrapposizione24 per prevedere gli effetti che risultano dall’applicazione 24 Il principio di sovrapposizione costituisce un importante strumento che si può applicare in molti campi della fisica e dell’ingegneria per prevedere gli effetti su un sistema determinati da più cause 42 simultanea di più forze su un punto materiale. A questo scopo consideriamo l’interazione di un punto con ciascuno degli altri come se la forza corrispondente fosse la sola ad agire, calcoliamone gli effetti e sommiamoli per ottenere l’effetto complessivo. F21 m2 F12 m1 F13 F31 m3 Figura 4 In pratica, fissiamo l’attenzione su un generico punto i del sistema ed applichiamo la II legge della dinamica tante volte quante sono i punti interagenti -1: dp i1 = Fi1 dt dp i 2 = Fi2 dt .... dp in = Fin dt (interazione del punto i con il punto 1) (interazione del punto i con il punto 2) (4.21) (interazione del punto i con il punto n) Applicando la sovrapposizione degli effetti, la variazione complessiva della quantità di moto del punto i sarà data dalla somma: 1.. n dp dp dp i dp i1 dp i 2 ij = + + ... + in = dt dt dt dt dt j (4.22) ( j≠i ) dp i = Fi1 + Fi 2 + ... + Fin = dt 1..n Fij (4.23) j ( j≠ i ) La somma vettoriale a secondo membro della (4.23) costituisce il risultante (o la forza risultante) di tutte le forze agenti sul punto i-esimo. Dette quindi F1, F2, ... , Fn le forze agenti su un punto materiale si dice risultante delle forze il vettore R somma delle singole forze. Per l’indipendenza delle azioni simultanee, stabilita in precedenza, l’equazione (4.14), che è alla base della definizione di forza, e l’equazione (4.15), sua diretta conseguenza, devono essere più propriamente riferite al vettore risultante anziché ad una singola forza F. concomitanti. Esso è applicabile ogniqualvolta le cause agiscono in modo indipendente ed il legame tra causa ed effetto è lineare, cioè sia alla prima potenza. Il principio di sovrapposizione consente di calcolare l’effetto complessivo sommando gli effetti che ciascuna causa provocherebbe sul sistema se agisse da sola. 43 dp =R dt R = ma (4.24) Dalla relazioni precedenti si può osservare che se (e solo se) il risultante delle forze agenti su un punto materiale è nullo, la quantità di moto del punto si conserva, v è costante ed esso si muove di moto rettilineo uniforme. Il primo principio della dinamica può essere ottenuto come caso particolare della II legge della dinamica, tuttavia il primo principio mantiene la sua validità come definizione di sistema di riferimento inerziale. 4.6 Statica del punto materiale Se, in un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale si trova in una certa posizione con velocità nulla ed il risultante delle forze applicate è nullo (R=0), dalle relazioni (4.24) si deduce che la sua accelerazione è pure nulla, pertanto il punto permane nello stato di quiete. Viceversa, se un punto è fermo in una certa posizione, deve essere nulla la sua accelerazione e quindi deve esserlo anche il risultante delle forze applicate. Si può quindi enunciare la legge fondamentale della statica del punto: Condizione necessaria e sufficiente affinché un punto materiale resti in quiete in una certa posizione è che sia nulla la sua velocità nell’istante iniziale considerato e che il risultante delle forze sia zero. Dette F1, F2, ... , Fn le forze applicate ad un punto materiale, il risultante può essere determinato con la regola del parallelogramma, valida per la somma di vettori. La condizione R=0 si traduce in tre equazioni scalari nelle componenti x,y,z: F1x + F2 x + ... + Fnx = 0 F1y + F2 y + ... + Fny = 0 (4.25) F1z + F2z + ... + Fnz = 0 Se sul punto agiscono solo due forze, queste devono essere uguali ed opposte. In generale, quando più forze agiscono su un punto, l’equilibrio del punto richiede che i segmenti orientati che le rappresentano, disposti in sequenza, formino un poligono: F2 F2 F3 F1 F4 F1 F5 Figura 5 Infatti, in questo caso (poligono chiuso), il vettore somma che congiunge il primo e l’ultimo estremo della spezzata che rappresenta le forze è il vettore nullo. La statica consente una misura delle forze alternativa alla misura dinamica. Infatti, si può misurare una forza applicandola ad un apposito strumento che fornisca una forza nota in grado di equilibrare la forza da misurare. Nel seguito studieremo il funzionamento del dinamometro che è uno strumento basato su questo principio. Anche le bilance funzionano applicando i principi della statica. Consideriamo la bilancia a bracci uguali rappresentata in Figura 6. L’equilibrio si raggiunge quando il peso delle masse m1 ed m2 poste sui due piatti è lo stesso. In questa condizione si ha: 44 L L m1 m2 Figura 6 m1 g = m 2 g (4.26) e, poiché l’accelerazione di gravità è la stessa per entrambe le masse, si ottiene: m1 = m 2 . (4.27) Quindi la bilancia a bracci uguali fornisce la misura della massa m1 per confronto con una massa m2, ottenuta sommando alcune masse calibrate. Si noti che la bilancia a bracci uguali è un misuratore di massa, benché la condizione di equilibrio si raggiunga per un’uguaglianza di forze. 4.7 Reazioni vincolari La forza peso è sempre applicata ad ogni corpo sulla terra, pertanto non è possibile considerare un corpo non soggetto ad alcuna interazione. Dunque, viene spontaneo chiedersi come sia possibile che un oggetto appoggiato in una certa posizione, vi rimanga pur essendo soggetto al suo peso che dovrebbe farlo cadere lungo la verticale con accelerazione g. T R w w Figura 7 La risposta deve essere cercata nelle forze che la superficie di appoggio esercita sul corpo considerato. Queste forze si dicono reazioni vincolari per distinguerle dalle forze attive. Esse sono distribuite su tutta le superficie di appoggio e la direzione e la intensità della loro risultante sono esattamente quelle richieste per equilibrare le forze attive agenti sul corpo. Il verso dipende dal tipo di vincolo ed è comunque sempre opposto a quello delle forze attive. Talvolta i vincoli sono monodirezionali; ad esempio, un piano di appoggio può esercitare solo forze orientate come la normale uscente, mentre una corda può esercitare solo forze di trazione. Detto w il peso del corpo rappresentato in Figura 7 ed R la reazione vincolare è: 45 w+R =0 R = −w (4.28) Ogniqualvolta il moto di un corpo sotto l’azione delle forze attive è limitato in una certa direzione, questo avviene ad opera delle reazioni vincolari. Vedremo nel seguito il contributo che le forze di attrito danno alle reazioni vincolari. Osserviamo infine che non è necessario un sostegno materiale affinché un corpo sia sottratto alla forza peso; Ad esempio, da svariati anni intensi studi sono dedicati alla possibilità di sostenere i treni mediante forze di natura magnetica. 4.8 Classificazione delle forze Come già anticipato, tutte le forze esistenti in natura possono essere ricondotte a quattro interazioni fondamentali e precisamente: • Interazione gravitazionale: Costituisce la forza di attrazione tra le masse scoperta e studiata da Newton. • Interazione elettromagnetica: Dà luogo a tutti gli effetti di natura elettrica o magnetica, tra cui la luce. In pratica è l’interazione che domina tutti i fenomeni della realtà quotidiana, compresi i fenomeni biologici. • Interazione nucleare forte: È la forza che tiene uniti neutroni e protoni nei nuclei atomici. • Interazione nucleare debole: È la forza che presiede ad alcuni decadimenti nucleari. Nella tabella seguente sono riportate le intensità relative ed i raggi d’azione delle interazioni fondamentali Interazione Gravitazionale Elettromagnetica Raggio d’azione Infinito Infinito Intensità relativa 10-39 10-2 Nucleare forte 10-15 1 m Nucleare debole <<10-16 m 10-5 Già dai primi anni successivi alla individuazione di queste interazioni sono in corso studi teorici e sperimentali per trovare una base comune alle quattro forze fondamentali. Gran parte degli esperimenti di fisica delle particelle che vengono eseguiti nei centri di fisica nucleare come il CERN di Ginevra sono volti alla verifica sperimentale delle previsione teoriche relative alla costruzione di un modello unificato. Allo stato attuale l’interazione elettromagnetica e l’interazione debole sono state unificate in un’unica interazione detta elettrodebole. L’unificazione dell’interazione nucleare forte sarà il prossimo passo, che appare tuttavia non prossimo, perlomeno per quanto riguarda le verifiche sperimentali. Ancora più lontana è poi l’unificazione con l’interazione gravitazionale. Lasciando da parte questi studi di fisica fondamentale, occupiamoci di una classificazione delle forze più utile per il corso di Fisica I. Questa si basa su un approccio fenomenologico, cioè sull’osservazione delle caratteristiche comuni ai più importanti tipi di forze che intervengono nella realtà quotidiana. 4.8.1 Forza gravitazionale Ogni punto materiale attira ogni altro punto materiale con una forza diretta come la congiungente e di modulo pari a: F= γ m1 m 2 r122 (4.29) 46 dove m1 ed m2 sono le masse dei due corpi considerati, r12 è la loro distanza e γ è la costante di gravitazione universale. Studieremo più in dettaglio questo tipo di interazione nel seguito del corso. Forza peso La forza peso è l’espressione della forza di attrazione gravitazionale che la terra esercita su tutti i corpi. Supponiamo che la terra sia costituita da una sfera omogenea di raggio RT e massa MT. In questa approssimazione si può dimostrare che per calcolare la forza w che essa esercita su un corpo di massa m, ad altezza h dalla sua superficie, si può supporre che tutta la sua massa sia concentrata nel centro ed applicare la (4.29). w=γ MT m (R T + h )2 (4.30) In tutti i casi di interesse pratico, escluso lo studio del moto di missili e satelliti si ha h << RT, pertanto la relazione precedente si può approssimare con: w=γ MT m = g0m R 2T (4.31) La forza peso di un corpo di massa m è proporzionale alla massa del corpo, avendo indicato con go la costante di proporzionalità, ed è indipendente dalla quota h. Dal confronto della (4.31) con la II legge delle dinamica nella forma F = ma si osserva che tutti i corpi liberi di muoversi cadono lungo la retta che congiunge del punto considerato con il centro della terra con una accelerazione pari all’accelerazione di gravità: g0 = γ MT . R 2T (4.32) Tale accelerazione non dipende dal corpo ed, in prima approssimazione, non dipende dalla sua posizione sulla terra. Le considerazioni precedenti, relative all’accelerazione di gravità ed al moto di caduta dei gravi, verranno approfondite nel seguito del corso. 4.8.2 Forza elettrostatica Due cariche elettriche puntiformi q1 e q2, nel vuoto, interagiscono con una forza diretta secondo la congiungente e di modulo: F = 1 q 1q 2 . 4 πε 0 r122 (4.33) La forza elettrica è repulsiva o attrattiva a seconda che i segni delle cariche siano concordi o discordi. Questo fatto costituisce la fondamentale differenza tra le forze elettriche e le forze gravitazionali. La sostanziale neutralità elettrica della materia fa si che l’interazione gravitazionale prevalga tra i corpi macroscopici, benché l’intensità normalizzata della forza elettrostatica sia molto superiore. 4.8.3 Forza magnetica (forza di Lorentz) Una carica elettrica in moto con velocità v in un campo magnetico, la cui intensità è rappresentata dal vettore B, è soggetta ad una forza pari a: F = qv×B (4.34) 47 Dalla relazione precedente si osserva che la forza magnetica, detta forza di Lorentz è in ogni punto ortogonale sia alla velocità della carica che al campo magnetico. 4.8.4 Forza nucleare Le Forze nucleari tengono unite le particelle che costituiscono i nuclei degli atomi. Poiché il meccanismo responsabile di tale forze è ancora oggetto di studio, non è possibile darne una espressione analitica precisa. Le particelle nucleari sono costituite da neutroni e protoni. Questi ultimi sono dotati di carica elettrica positiva, quindi tendono a respingersi per la (4.33), tuttavia essi restano confinati nel nucleo in quanto le forze nucleari sono molto più intense delle forze elettriche. Le forze nucleari sono forze a corto raggio ed il loro effetto è limitato ai nuclei atomici (10-15 m). 4.8.5 Forze di attrito Le forze di attrito sono forze che si manifestano quando i corpi giungono in contatto. Esse si oppongono al movimento relativo dei corpi. Si distinguono quattro tipi principali di attrito a seconda che l’interazione avvenga tra due solidi, tra un solido e un fluido e all’interno di un fluido omogeneo. • attrito radente: È la più comune forma di attrito. Si manifesta tra le superficie di due corpi solidi in contatto. Si oppone allo scorrimento relativo. • attrito volvente: Si manifesta quando un corpo di forma sferica o cilindrica rotola sopra una superficie piana. Tale attrito dipende dalla non perfetta elasticità dei materiali in contatto. • attrito del mezzo: Costituisce la resistenza opposta da un fluido al moto di un corpo. • attrito interno: Agisce tra i diversi strati (filetti) di un fluido viscoso in moto relativo. 4.8.6 Forze elastiche Quando un corpo viene deformato esso reagisce con una forza che tende ad opporsi alla deformazione. Se la deformazione si mantiene entro certi limiti (regione di comportamento elastico del materiale di cui il corpo è costituito), la forza ha intensità proporzionale all’entità della deformazione. L m L F x Figura 8 Consideriamo ad esempio una molla avente lunghezza di riposo Figura 8 . Se applichiamo una forza all’estremo libero della molla in modo da produrre una deformazione di ampiezza x, la molla reagisce esercitando una forza proporzionale ad x: F = − kx (4.35) La costante k di proporzionalità si dice costante elastica della molla. 48 La relazione lineare tra forza e deformazione, caratteristica di tutti i materiali elastici si dice legge di Hooke. Il dinamometro è uno strumento per la misura statica delle forze che costituisce un’applicazione della legge di Hooke. Consideriamo una molla disposta lungo un asse verticale. Se applichiamo alla molla un punto materiale di massa m, sotto l’azione della forza peso, questa si deforma fino a che la forza elastica uguaglia il peso del corpo. In questa condizione, se si ha l’accortezza di arrestare il moto oscillatorio del punto, questo rimane nella posizione di equilibrio in quanto la sua accelerazione è nulla essendo nullo il risultante delle forze: R = mg − kx = 0 (4.36) mg = kx (4.37) Nota la costante elastica della molla, dalla deformazione x è possibile risalire al peso mg del corpo considerato. È possibile tarare un dinamometro con una forza nota in modo da ottenere direttamente la lettura su una scala graduata in termini di forze, anziché di deformazioni. Se è nota l’accelerazione di gravità del luogo o se la taratura è stata effettuata con dei campioni di massa, il dinamometro fornisce direttamente una misura delle masse. 4.9 Forze di attrito Abbiamo visto in precedenza cosa sono le forze di attrito. Nel seguito studieremo le caratteristiche dell’attrito radente e dell’attrito viscoso. 4.9.1 Attrito radente Consideriamo un corpo di massa m avente una superficie di area S poggiata su un piano orizzontale. Applicando una debole forza F in direzione orizzontale si osserva che il corpo non si sposta dalla sua posizione a causa della reazione vincolare fornita dalla superficie di appoggio che fa equilibrio ad F. Aumentando progressivamente F si osserva che per un certo valore FMAX l’equilibrio si rompe ed il corpo inizia a muoversi. F R w Figura 9 Ripetendo l’esperimento quando il corpo è appoggiato su una superficie di area diversa si osserva che la forza limite FMAX rimane inalterata; invece, variando il peso w del corpo la forza limite FMAX risulta proporzionale a w. Si scrive pertanto: FMAX = µ s w , (4.38) avendo indicato con µs il coefficiente di proporzionalità, detto coefficiente di attrito statico. L’origine delle forze di attrito deve essere cercata nel fatto che, anche in presenza di superfici ben levigate, i corpi presentano delle asperità microscopiche. Quando due corpi sono spinti in contatto con una forza F, a causa delle asperità, alcuni punti delle loro superfici giungono a distanza di pochi raggi atomici. L’area di contatto aumenta fintantoché le forze di repulsione impediscono un ulteriore avvicinamento. Nei punti di contatto la pressione è così intensa che tra i due corpi si possono creare delle “microfusioni” simili a deboli legami chimici. 49 Le forze di attrito nascono quando si cerca di rompere tali legami mediante il movimento. Poiché l’area della superficie di contatto non dipende dalla superficie di appoggio (molto maggiore), ma piuttosto dalla forza che tende ad avvicinare i due corpi, si comprende l’origine della (4.38). Questa può essere riscritta con riferimento alle componenti della reazione vincolare R esercitata dalla superficie di appoggio: RT ≤ µs RN . (4.39) A causa della condizione (4.39), la reazione vincolare deve essere contenuta entro una superficie conica (cono di attrito), la cui semiapertura è data da (Figura 10): α = tg −1 µ s (4.40) Se si considera un corpo poggiato su un piano inclinato, questo rimane in equilibrio fintantoché l’angolo di inclinazione γ del piano inclinato è minore della semiapertura α del cono di attrito. Consideriamo il caso rappresentato in Figura 10: quando la forza tangente F supera FMAX, il corpo si mette in movimento. In questo caso la forza di attrito che la superficie esercita su di esso è ancora proporzionale al peso del corpo ed è, in prima approssimazione, indipendente dalla velocità. Si ha dunque: RT = µd RN , (4.41) avendo indicato con µd il coefficiente di attrito dinamico. I coefficienti di attrito statico e dinamico dipendono dai materiali di cui sono costituite le superficie di contatto. Si osserva che, per una generica coppia di materiali, il coefficiente di α R F w Figura 10 attrito statico è sempre maggiore del corrispondente coefficiente di attrito dinamico. Alcuni valori tipici di µs e µd sono: Materiali Acciaio su acciaio Piombo su acciaio Rame su acciaio Teflon su teflon µs 0.78 0.95 0.53 0.04 µd 0.42 0.95 0.36 0.04 50 4.9.2 Attrito del mezzo (attrito viscoso) Quando un oggetto si muove in un fluido, questo oppone una resistenza al suo avanzamento che si manifesta mediante una forza diretta come la velocità, e di verso opposto25. Se la velocità del corpo rispetto al fluido è relativamente bassa, il modulo della forza di attrito viscoso è proporzionale alla velocità stessa: Fv = − kηv (4.42) La relazione precedente vale fintantoché il fluido scorre intorno al corpo senza creare vortici o turbolenze. Ad alta velocità la forza di attrito viscoso cresce con le potenze di v (v2, v3, etc.). Nella relazione (4.42) il parametro k dipende dal corpo. Per una sfera di raggio r esso vale k = 6π r (4.43) La costante η dipende dalla natura del fluido e si dice coefficiente di attrito viscoso. Le sue dimensioni nel Sistema Internazionale sono: η = F k η = L −1 −1 M V 1 −1 T −1 (4.44) L’unità di misura di η nel Sistema Internazionale è il kg m-1 s-1. tuttavia, l’unità di misura più usata è il poise (P) [P=g cm-1 s-1]. 4.9.3 Densità e peso specifico L’esperienza quotidiana ci insegna che esistono corpi che danno la sensazione di essere più massicci di altri, in particolare questo vale per gli oggetti metallici. La grandezza fisica che descrive in modo quantitativo questo concetto è la densità specifica o densità. Si definisce densità media di un corpo il rapporto tra la sua massa ed il suo volume: ρm = m . V (4.45) Per un corpo omogeneo, la densità media ne descrive completamente le caratteristiche. Per un corpo eterogeneo è possibile definire una densità funzione della posizione all’interno del corpo. A questo scopo, consideriamo il generico volumetto ∆V, la cui posizione sia individuata dal raggio vettore r, e sia ∆m la massa contenuta entro tale volumetto (Figura 11). Si definisce densità ρ(r) il limite: ∆m . ∆V →0 ∆V ρ( r ) = lim (4.46) Moltiplicando la densità per l’accelerazione di gravità del luogo in cui il corpo si trova si ottiene il peso dell’unità di volume del corpo. Questo si dice peso specifico ed è definito come: w m = ρm g w = ρg (4.47) Il peso specifico non è una caratteristica propria dei corpi come lo è la densità, ma dipende dalla loro posizione sulla terra. 25 In generale l'attrito del mezzo dà luogo ad una forza ed una coppia. Solo nel caso di corpi di forma simmetrica la coppia si annulla. 51 z ∆V r y x Figura 11 4.10 Impulso di una forza Consideriamo una forza F agente su un punto materiale P. Moltiplicando formalmente entrambi i membri dell’equazione (4.14) per dt otteniamo: dp = Fdt . (4.48) Integrando la (4.48) dall’istante iniziale to al generico istante t, si ha: p p0 dp = t t0 F ( t ′)dt ′ . (4.49) L’integrale a secondo membro della (4.49) si dice impulso della forza F. Si ha quindi: p( t ) − p( t 0 ) = t t0 F ( t ′)dt ′ (4.50) La variazione della quantità di moto del punto P dall’istante iniziale all’istante finale è pari all’impulso di F tra i medesimi istanti. Se due o più forze F1, F2...Fn agiscono su P, per la linearità dell’operatore integrale, l’impulso della forza risultante è la somma degli impulsi delle forze applicate a P. Teorema dell’impulso: se F è la risultante delle forze che agiscono su un punto materiale, la variazione della quantità di moto dall’istante iniziale al generico istante t è data dall’impulso di F tra i medesimi istanti. p( t ) − p( t 0 ) = I t 0 → t (4.51) Il concetto di impulso è molto importante in tutti i casi in cui le forze si manifestano per un tempo molto breve e con un andamento nel tempo estremamente irregolare. Questo avviene, ad esempio, quando due corpi si urtano violentemente. In questo caso lo studio del moto si limita al calcolo della variazione della velocità, e quindi delle quantità di moto, dei due corpi tra prima e dopo l’interazione. Questa variazione è determinata dall’impulso della forza di repulsione che nasce durante l’urto in accordo con la (4.51). 52 4.11 Problema generale della dinamica Il problema generale della dinamica del punto consiste nella ricerca della legge oraria di un punto materiale in moto sotto l’azione della risultante F delle forze applicate. ma ( t ) = F ( t ) m (4.52) dv ( t ) = F( t) . dt (4.53) Integrando la relazione precedente si ottiene: m dv( t ′) dt ′ = t0 dt t t t0 F ( t ′)dt ′ = I t 0 → t (4.54) Eseguendo l’integrazione si ha infine: v(t ) − v(t 0 ) = 1 I t →t m 0 (4.55) La legge oraria r(t) si ottiene integrando la (4.55): r(t) = r(t 0 ) + v 0 (t − t 0 ) + 1 m t t0 I ( t ′)dt ′ . (4.56) L’utilità pratica dell’equazione (4.56) è limitata dalla necessità di conoscere la dipendenza temporale della forza F(t). Infatti questa condizione è essenziale per poter calcolare l’impulso di F e quindi il suo integrale. Purtroppo è molto raro che questa condizione sia soddisfatta. Infatti, in generale, la risultante F delle forze applicate ad un punto materiale dipende dalla posizione del punto, dalla sua velocità ed eventualmente dal tempo in modo esplicito. Pertanto, è più opportuno riscrivere la (4.56) esplicitando in modo completo la dipendenza di F: m d 2r dr = F r, ; t . 2 dt dt (4.57) L’equazione vettoriale (4.57) rappresenta un sistema di tre equazioni differenziali nelle incognite x(t), y(t) e z(t): dx dy dz d2x m 2 = Fx x , y, z, , , ; t dt dt dt dt 2 dx dy dz d y m 2 = Fy x, y, z, , , ; t dt dt dt dt 2 d z dx dy dz m 2 = Fz x, y, z, , , ; t dt dt dt dt (4.58) La soluzione può essere cercata per via analitica se si conoscono le condizioni iniziali, cioè la posizione e la velocità all’istante to, tuttavia solo in casi particolari il sistema precedente può essere integrato in forma chiusa, in quanto la matematica sa risolvere solo alcune equazioni differenziali relativamente semplici. 53 È invece molto interessante il significato concettuale del legame tra forze e grandezze cinematiche espresso dalla II legge della dinamica ed esplicitato nelle equazioni (4.57). Nel periodo storico che prese il nome di Illuminismo, agli albori della rivoluzione industriale ed in seguito alle prime grandi scoperte scientifiche, autorevoli fisici ritenevano che la conoscenza di tutte le interazioni e delle condizioni iniziali relative a tutte le particelle che compongono l’universo avrebbe consentito una completa previsione della sua evoluzione futura26. Sarebbe solo l’umana incapacità di determinare lo stato iniziale e la totalità delle interazioni che impedirebbe tale previsione; fondandosi su cognizioni parziali, la conoscenza umana è solo probabilistica, tuttavia l’evoluzione futura dell’universo sarebbe già insita nello stato presente. Tale visione del mondo prese il nome di determinismo; la fisica moderna ha mostrato che esistono delle limitazioni di principio, oltreché pratiche, alla conoscenza completa dello stato cinematico di un sistema. Pertanto, essendo impossibile determinare lo stato iniziale dell’universo, si deve ritenere che esso non esista nel senso espresso dalla dinamica di Newton, e quindi che il futuro non sia determinato dal presente. Benché questa visione moderna sia ben più accreditata della visione deterministica, il dibattito è ancora lontano dall’essere concluso. Tornando alla equazioni (4.57), in generale sarà possibile solo una soluzione numerica mediante il metodo di integrazione alle differenze finite. Questo si basa sulla trasformazione degli incrementi infinitesimi delle grandezze fisiche (differenziali) in incrementi piccoli, ma finiti, e nell’applicazione iterativa del procedimento descritto nel seguito: Si divide l’intervallo di tempo t0 tf in cui interessa calcolare il moto del punto materiale P in N intervallini di durata ∆t. Note la posizione r0=r(t0), la velocità v0=v(t0) e l’accelerazione a0 = a(t0 ) = 1 F ( r0 , v 0 ; t 0 ) m (4.59) del punto P all’istante iniziale t0, le corrispondenti grandezze all’istante t1=t0+∆t si ottengono dalle relazioni: v 1 = v ( t 0 + ∆t ) = v 0 + a 0 ∆t 1 r1 = r ( t 0 + ∆t ) = r0 + v 0 ∆t + a 0 ∆t 2 2 (4.60) In generale, la conoscenza di ri, vi ed ai all’istante ti permette di ricavare ri+1, vi+1 ed ai+1 all’istante ti+1 mediante l’applicazione iterativa delle formule (4.59) e (4.60). Con questo metodo la legge oraria del punto può essere calcolata in modo approssimato dall’istante iniziale t0, fino all’estremo tf dell’intervallo di integrazione. La precisione con cui la legge oraria calcolata approssima quella reale dipende dal numero degli intervallini in cui è stato diviso l’intervallo di tempo t0 tf. Consideriamo ora alcuni casi particolarmente semplici in cui sia possibile una soluzione analitica dell’equazione della dinamica. 4.11.1 Moto sotto l’effetto di una forza costante Questo caso è già stato studiato nel paragrafo 3.3.2 considerando il moto di caduta di un grave. Il moto è uniformemente accelerato ed avviene nel piano individuato dal vettore accelerazione e dal vettore velocità iniziale. La traiettoria è una parabola. 26 Laplace (1749-1827) "Saggio filosofico sulle probabilità" in Laplace "Opere", U.T.E.T. Torino 1967, p. 243. Un'intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze di cui è animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e dell'atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi. 54 4.11.2 Moto lungo un piano inclinato Consideriamo un corpo di massa m libero di muoversi senza attrito lungo un piano inclinato di altezza h ed inclinazione α. Per studiare il moto del corpo possiamo considerare un sistema di riferimento solidale con il piano inclinato, avente l’asse x parallelo alla superficie obliqua e lasse y ortogonale, come in Figura 12. Sia nulla la velocità iniziale v0. La forza peso w può essere scomposta nelle componenti lungo x e lungo y. w x = mgsin α (4.61) w y = mgcos α Il componente wy della forza peso non contribuisce al moto in quanto è in ogni istante bilanciato dalla reazione vincolare R. Il componente wx costituisce la forza attiva. L’equazione della dinamica dà luogo alle due equazioni scalari: R − mgcos α = 0 d2x mgsin α = m 2 dt (4.62) y R h w α x Figura 12 La prima equazione è sostanzialmente una equazione di equilibrio, la seconda equazione ci permette di affermare che il moto è uniformemente accelerato poiché la forza lungo x è costante. Poiché v0 è nulla, supponendo che all’istante iniziale il punto si trovi nell’origine degli assi si ha: x( t ) = 1 ( g sin α ) t 2 . 2 (4.63) La lunghezza del piano inclinato è h/sin ϑ, pertanto il tempo impiegato dal punto materiale a giungere all’estremità è: 1 h = ( g sin α ) t 2 sin ϑ 2 T= 2h . g sin 2 ϑ (4.64) La velocità finale è: v f = g sin α T = 2gh . (4.65) 55 Si osservi che la velocità finale è la stessa che si otterrebbe nel caso di caduta libera di un grave dalla medesima altezza h. 4.11.3 Moto di un punto vincolato ad una molla elastica Consideriamo un punto materiale vincolato a muoversi lungo un asse e trattenuto da una molla di costante elastica k. Il problema è monodimensionale e l’equazione del moto è: d2x m 2 = − kx dt (4.66) Questa può essere riscritta nella forma: F L x Figura 13 d2x + ω2 x = 0 dt 2 con ω= k m (4.67) Essa corrisponde all’equazione di un moto armonico lungo x con pulsazione ω. La soluzione è del tipo: x ( t ) = A sin (ωt + φ) v( t ) = (4.68) dx = Aω cos(ωt + φ ) . dt (4.69) Le costanti A e φ possono essere determinate dalle condizioni iniziali per to=0: x (0 ) = x 0 (4.70) v (0 ) = v 0 che, inserite nelle equazioni (4.68) e (4.69), e assumendo vo= 0, danno: x 0 = A sin φ v 0 = Aω cos φ π 2 . A = x0 φ= (4.71) La legge oraria è quindi: 56 x = x 0 sin (ωt + π 2) = A cos(ωt ) . (4.72) 4.11.4 Moto di un pendolo semplice Consideriamo una massa m soggetta alla forza peso mg e vincolata ad una fune di lunghezza L. Il sistema è in equilibrio solo se la fune è disposta lungo la verticale ed il punto materiale ha velocità nulla, in caso contrario la massa oscillerà intorno alla posizione centrale secondo una legge del moto ricavabile dall’equazione della dinamica. Studiamo il moto in coordinate polari. Dalle condizioni di vincolo e dalla direzione e verso della forza attiva (peso), si deduce che la traiettoria deve essere un arco di circonferenza con centro in O e raggio L. Scomponiamo la forza peso secondo le componenti tangente e normale alla traiettoria: O ϑ L T wN wT s w Figura 14 w T = mg sin ϑ w N = −mg cos ϑ (4.73) Sia T la reazione vincolare, le equazioni del moto in forma scalare sono: w T = ma T T − w N = ma N . (4.74) La prima equazione ci permette di calcolare la legge oraria scalare, mentre la seconda equazione ci permette di determinare la reazione vincolare T. Indicando con s = Lϑ l’ascissa curvilinea lungo la circonferenza descritta dal punto P otteniamo27. 27 d 2s m 2 − mg sin ϑ = 0 dt (4.75) d 2ϑ g − sin ϑ = 0 . dt 2 L (4.76) È anche possibile ricavare direttamente l’equazione (4.76) dalla componente uϑ dell’equazione (3.99), ponendo r = L e dr/dt = 0. 57 L’equazione (4.76) non ammette una soluzione analitica, tuttavia se ci limitiamo a considerare angoli piccoli possiamo scrivere sinϑ≈ϑ e, ponendo g/L=ω 2 otteniamo l’equazione: d2ϑ = ω2ϑ . 2 dt (4.77) L’equazione precedente è l’equazione del moto armonico, pertanto, nell’approssimazione considerata, il punto P si muove di moto oscillatorio con legge oraria: ϑ( t ) = A sin (ωt + φ) . (4.78) Come nel caso del moto sotto l’azione di una forza elastica, le costanti A e φ possono essere determinate a partire dalle condizioni iniziali del moto. La reazione vincolare T deve essere tale che, in ogni istante, la risultante FN delle forze lungo la normale diviso la massa sia uguale all’accelerazione centripeta. Dall’equazione (4.74) si ottiene: T(t ) = w N + m v 2 (t) . L dϑ T ( t ) = mgcos ϑ + mL dt (4.79) 2 . (4.80) Si osserva che il periodo di oscillazione: T= 2π L = 2π ω g (4.81) non dipende dalla massa del corpo, e soprattutto, dall’ampiezza dell’oscillazione. Su questa proprietà sono basati gli orologi a pendolo, che fino a non molti anni fa costituivano i più precisi misuratori di tempo esistenti. 4.11.5 Moto di un punto materiale in un fluido viscoso Consideriamo una pallina che, per effetto del suo peso, cade in un fluido viscoso (Figura 15). L’attrito esercitato dal fluido si esprime con una forza resistente proporzionale alla velocità. L’equazione del moto è pertanto: mg − k ηv = m dv . dt (4.82) kηv w Figura 15 58 Invece di integrare l’equazione precedente, operazione che richiede conoscenze di analisi matematica superiori a quelle disponibili, calcoliamo la velocità di regime, cioè la velocità raggiunta dalla pallina dopo un tempo sufficientemente lungo affinché il moto possa essere considerato stazionario. Tale velocità si ottiene imponendo dv/dt = 0 nell’equazione (4.82): kηv ∞ = mg v ∞ = mg , 6πη (4.83) dove alla costante k è stata sostituita la sua espressione per i corpi di forma sferica. La risoluzione dell’equazione (4.82) ci permette di osservare che la pallina accelera con legge esponenziale verso la velocità di regime. La costante di tempo caratteristica del moto è: τ= 6πη . m (4.84) La costante di tempo rappresenta il tempo necessario affinché la pallina raggiunga una velocità pari al 63 % della velocità di regime. Questa quantità costituisce un indice della rapidità con cui si raggiunge la condizione di moto stazionario. Se la velocità iniziale è superiore alla velocità di regime, la pallina rallenta, se la velocità iniziale è inferiore, il moto è accelerato (Figura 16). Se la velocità iniziale coincide con la velocità di regime, il moto è uniforme. v(t) v∞ v0 t Figura 16 59 5 Cinematica dei moti relativi Si è visto in precedenza che per descrivere il moto di un punto materiale è necessario fissare un sistema di riferimento, tuttavia tale scelta non è univoca. È interessante determinare le relazioni che intercorrono tra le grandezze cinematiche (velocità e accelerazione) di un punto materiale misurate rispetto a due sistemi di riferimento diversi, in moto l’uno rispetto all’altro. Tale problema è studiato della cinematica dei moti relativi. Z z P Y ρ x O O’ y X Figura 1 5.1 Composizione degli spostamenti Consideriamo due sistemi di riferimento Oxyz e O’XYZ (Figura 1). Il primo sia detto assoluto in quanto viene considerato fisso per definizione, il secondo sia detto relativo (o mobile); si dice moto di trascinamento il moto del sistema relativo rispetto a quello assoluto. Supponiamo che il moto di trascinamento sia puramente traslatorio28. Lo spostamento di un punto P rispetto al sistema assoluto (so) è dato dalla somma dello spostamento di P nel sistema relativo (sr)29 e del vettore traslazione dello spostamento rigido del sistema relativo rispetto al sistema assoluto (Figura 2). Quest’ultimo vettore si dice spostamento di trascinamento (st)29. s0 = s r + s t . (5.1) Supponiamo ora che il moto di trascinamento sia rotatorio, o in generale rototraslatorio30. In questo caso non è più possibile scomporre lo spostamento di un punto P nel sistema assoluto 28 Uno spostamento di un sistema di punti si dice rigido quando le mutue distanze dei punti del sistema rimangono inalterate passando dalla configurazione iniziale a quella finale. Si dice spostamento traslatorio un particolare spostamento rigido nel quale tutti i punti subiscono lo stesso spostamento Uno spostamento traslatorio, finito o infinitesimo, può essere rappresentato mediante il vettore traslazione, che è dato dello spostamento di un qualunque punto del sistema. La composizione di due spostamenti traslatori, (finiti o infinitesimi) è una operazione che gode della proprietà commutativa; il vettore traslazione risultante è la somma dei vettori traslazione componenti. 29Uno spostamento è un vettore e come tale non dipende dal sistema di riferimento anche se le sue componenti dipendono dal sistema di riferimento 30 Si dice spostamento rotatorio un particolare spostamento rigido nel quale tutti i punti di una retta AB, detta asse di rotazione, restano fissi. 60 (vettore) nello spostamento relativo (vettore) più un vettore rappresentativo dello spostamento di trascinamento in quanto viene a mancare una rappresentazione vettoriale degli spostamenti rotatori finiti. Tuttavia, se ci limitiamo a considerare spostamenti infinitesimi, lo spostamento assoluto può ancora essere espresso come somma di uno spostamento relativo più uno spostamento di trascinamento31: ds0 = ds r + ds t . (5.2) Y y Y P’ S0 Sr P St O’ X O’ X O x Figura 2 5.2 Legge di composizione delle velocità Supponiamo che gli spostamenti infinitesimi considerati nel paragrafo precedente avvengano in un tempo infinitesimo dt, in questo caso ha senso definire le velocità assoluta, relativa e di trascinamento come derivate degli spostamenti rispetto al tempo: ds0 ds r ds t = + dt dt dt (5.3) v0 = vr + vt . (5.4) Il primo termine dell’espressione precedente rappresenta la velocità di un punto materiale come è misurata da un osservatore che viene assunto fisso per definizione, il secondo termine Si dice spostamento rototraslatorio lo spostamento rigido composto da uno spostamento rotatorio e da uno spostamento traslatorio. Uno spostamento rotatorio infinitesimo può essere rappresentato mediante un vettore rotazione che è un vettore ortogonale al piano di rotazione, orientato nel verso dal quale si vede avvenire la rotazione in senso antiorario e di modulo pari all'angolo di rotazione dϑ. Uno spostamento rotatorio finito non può essere rappresentato mediante un vettore in quanto la composizione di due spostamenti rotatori finiti non gode della proprietà commutativa. dϑ l'angolo di rotazione infinitesimo del sistema relativo rispetto al sistema assoluto, e dλ λ la sua traslazione infinitesima, lo spostamento di trascinamento dipende dal particolare punto P (geometrico) considerato e può essere espresso come: 31 Detto ds t = dϑu ϑ × r ′ + dλ (i) dove uϑ è un versore ortogonale al piano di rotazione ed r' è un vettore che congiunge il punto P ad un qualunque punto dell'asse di rotazione. 61 rappresenta la velocità misurata da un osservatore in moto rispetto al sistema fisso ed il terzo termine è la velocità che la posizione occupata dal punto P nel sistema mobile, pensato come un corpo rigido, ha rispetto al sistema fisso. La relazione precedente esprime la legge di composizione delle velocità, per primo ricavata da Galileo. Essa implica l’assunzione dello stesso indice di stato temporale per tutti i sistemi di riferimento (tempo assoluto). Per secoli la sua validità è stata ritenuta indiscutibile; tuttavia alla fine dell’800 l’osservazione che il principio di relatività galileiana, espresso dalla (5.4), non vale per i fenomeni elettromagnetici ha dato luogo ad una intensa attività di ricerca che è sfociata nella alla teoria della relatività ristretta di Albert Einstein. Ricaviamo ora una espressione significativa della velocità di trascinamento. Detti ro, rr e ρ rispettivamente il vettore posizione di un punto P nel sistema assoluto, il vettore posizione di P nel sistema relativo ed il vettore congiungente l’origine del sistema relativo all’origine del sistema assoluto, vale l’uguaglianza: r0 = rr + ρ (5.5) Z z •P r0 rr ρ x O Y O’ y X Figura 3 Il vettore rr può essere scomposto nei suoi componenti cartesiani rispetto al sistema relativo. rr = Xu X + Yu Y + Zu Z (5.6) derivando l’espressione (5.5) con la sostituzione (5.6) si ottiene: du du du dr0 dX dY dZ dρ uX + uY + uZ + = +X X +Y Y +Z Z dt dt dt dt dt dt dt dt (5.7) che può essere riscritta nella consueta forma: v0 = v r + v t. (5.8) Il primo termine tra parentesi nella (5.7) rappresenta la velocità del punto P misurata dall’osservatore mobile (si veda la relazione [3.38]), il secondo termine rappresenta una componente di velocità che tiene conto della traslazione dell’origine del sistema relativo (dρ ρ/dt) e della rotazione dei suoi assi (dux/dt, …) e della traslazione della sua origine; tale componente si dice velocità di trascinamento, secondo la definizione già data. Quest’ultimo termine può essere espresso nella forma: 62 vt = dρ + ω × rr , dt (5.9) dove ω è il vettore velocità angolare del sistema mobile rispetto al sistema fisso32. La relazione (5.9) verrà dimostrata nel seguito. 5.2.1 Moto traslatorio Se il sistema relativo si muove di moto traslatorio rispetto al sistema fisso, la velocità di trascinamento è la stessa per tutti i punti del sistema mobile ed è data, per esempio, dalla velocità dell’origine del sistema mobile. vt = dρ = v 0′ dt (5.10) Esempio: Un uomo vuole attraversare un fiume di larghezza h in cui la corrente ha velocità vc. L’uomo nuota ad una velocità (in acqua ferma) vn > vc. Determinare l’angolo α rispetto alla perpendicolare alla sponda con cui egli deve nuotare se desidera attraversare il fiume in modo che, per effetto della corrente, il suo moto risulti perpendicolare alla sponda stessa. Determinare inoltre il tempo impiegato ad attraversare il fiume. vc vn α V 0 vc Figura 4 Dalla legge di composizione delle velocità si ha: v0 = vc + vn (5.11) (5.7), a meno del termine dρ ρ/dt, è scritta rispetto ai versori del sistema relativo (O’XYZ), tuttavia, proprio per la sua natura vettoriale, essa non dipende dal sistema di riferimento. Le espressioni dei versori del sistema assoluto rispetto al sistema relativo possono essere ottenute dalla trasformazione lineare: 32 L’espressione a 11 uX u Y = a 21 a 31 uZ a 12 a 22 a 32 a 13 u x a 23 ⋅ u y a 33 u z (i) Pertanto, è possibile riscrivere la (5.7) cambiando sistema di riferimento. I coefficienti ai,j, in generale dipendenti dal tempo, sono rappresentati dai coseni direttori dei versori degli assi del sistema relativo nel sistema assoluto: a 1,1 = u X ⋅ u x a 1, 2 = u X ⋅ u y (ii) Applicando la trasformazione (i) alla (5.7), è possibile rappresentare i vettori vr e vt mediante i loro componenti rispetto al sistema assoluto. 63 Dalla Figura 4 si ha poi. sin α = vc vn α = sin −1 vc . vn (5.12) Il modulo della velocità assoluta è infine: v 0 = v 2n − v c2 . (5.13) Da cui si deduce il tempo necessario per attraversare il fiume: ∆t = h v 0 5.2.2 (5.14) Moto rotatorio Consideriamo due sistemi di riferimento (sistema mobile e sistema fisso) con l’asse z coincidente. Il sistema mobile ruoti rispetto al sistema fisso intorno all’asse z con velocità angolare ω. In questo caso particolare33 usando la relazione (5.7) ed osservando la Figura 5 è facile verificare che la velocità di trascinamento è data da: du X du +Y Y dt dt dϑ dϑ = X uY − Y u X dt dt = −ωYu X + ωXu Y vt = X (5.15) = ω× r In accordo con la relazione (5.9). z≡ Z ω ux x≡X dux dϑ y uy duy y≡ Y x Figura 5 Infatti: du y du x dϑ = = =ω dt dt dt 33 Per una (5.16) dimostrazione generale vedi Mazzoldi Pag. 92. 64 5.3 Legge di composizione delle accelerazioni Derivando l’espressione (5.7) rispetto al tempo si ottiene la legge di composizione delle accelerazioni per un sistema in moto rototraslatorio rispetto ad un sistema fisso: d 2r0 d 2X d 2Y d2Z dX du X dY du Y dZ du Z = + + + + u u uZ + 2 X Y 2 2 2 2 dt dt dt dt dt dt dt dt dt dt (5.17) d 2ρ d 2u X d 2u Y d 2u Z X + + + + Y Z dt 2 dt 2 dt 2 dt 2 Il primo termine tra parentesi rappresenta l’accelerazione di P nel sistema relativo. Il secondo termine si dice accelerazione di Coriolis e può essere scritto nella forma: a c = 2ω × v r (5.18) Il terzo termine si dice accelerazione di trascinamento e rappresenta l’accelerazione che il punto P avrebbe se fosse solidale con la terna mobile. Detta a0’ l’accelerazione dell’origine O’ del sistema mobile rispetto al sistema fisso (d2ρ/dt2) l’accelerazione di trascinamento è data dall’espressione: at = dω × rr + a 0′ +ω × (ω × rr ) , dt (5.19) di cui non diamo la dimostrazione. Il primo termine dell’espressione precedente si annulla se ω è costante. La legge di composizione delle accelerazioni (5.17) si scrive in forma sintetica: a0 = ar + at + ac (5.20) L’accelerazione di un punto materiale P rispetto al sistema assoluto (ao) è la somma dell’accelerazione di P nel sistema relativo (ar), dell’accelerazione che compete al punto occupato da P nel sistema relativo rispetto al sistema assoluto (at) e dell’accelerazione di Coriolis (ac). La giustificazione dell’esistenza dell’accelerazione di Coriolis e le sue implicazioni in alcuni fenomeni naturali verranno trattate nel prossimo capitolo dedicato alla dinamica relativa. L’accelerazione di Coriolis scompare se il moto di trascinamento è puramente traslatorio o se la velocità relativa vr è parallela alla velocità angolare ω . Consideriamo ora un esempio di descrizione del moto di un punto materiale rispetto a due sistemi di riferimento, in moto rotatorio uno rispetto all’altro. Esempio: Descrivere il moto di un albero come è visto da un bambino su una giostra che ruota con velocità angolare ω rispetto alla terra. Sia d la distanza dell’albero dall’asse di rotazione. 65 ω ur Figura 6 Assumiamo come sistema fisso un sistema di riferimento solidale con la terra e come sistema relativo il sistema della giostra. La relazione (5.20) può essere risolta rispetto all’accelerazione relativa ar. a r = a0 − a t − ac (5.21) a0 = 0 (5.22) a t = − ω2d uR (diretta verso il centro della giostra) (5.23) a c = 2ω v u R = 2 ω 2 d u R (diretta verso l’esterno della giostra) (5.24) sostituendo le (5.22) (5.23) e (5.24) nella (5.21) si ottiene: ar = 0 + ( 2 d−2 2 ) d uR = − 2 du R (5.25) Per l’osservatore relativo l’albero si muove di moto circolare uniforme con velocità angolare ω opposta alla velocità con cui ruota la giostra, pertanto la sua accelerazione avrà solo la componente centripeta che vale ω 2d = v2/d, come indicato nella (5.25). 66 6 Dinamica dei moti relativi Si è visto in precedenza che la validità della legge della dinamica è limitata ai sistemi inerziali, tuttavia esistono innumerevoli casi in cui è importante studiare il moto di un corpo in un sistema non inerziale. Poiché, come si è già detto, la terra non costituisce un sistema inerziale a causa della sua rivoluzione intorno al sole e soprattutto a causa della rotazione intorno al suo asse, si capisce l’importanza di questo problema. Nonostante nella maggior parte dei casi pratici gli effetti della rotazione terrestre possano essere trascurati, esistono numerosi fenomeni naturali che traggono origine da questa condizione di moto. Ad esempio, il moto a spirale dei venti intorno ad una zona di anticiclone, la deviazione delle correnti oceaniche ed altri importanti fenomeni geofisici dipendono dalla rotazione terrestre. Z z P Y F O’ x O y X Figura 1 In altri casi è importante studiare la dinamica dei corpi in sistemi costruiti dall’uomo che risultano ben lontani dall’essere inerziali. Ad esempio, i passeggeri all’interno di un’automobile che percorre una curva, i bambini su una giostra etc. si trovano in questa condizione e le sensazioni che essi sperimentano sono giustificabili solo tenendo conto dello stato di moto del sistema di riferimento in cui si trovano. Essi costituiscono quindi degli esempi di osservatori non inerziali. Si abbia un punto materiale P in moto sotto l’effetto della risultante F delle interazioni a cui è sottoposto. In un sistema inerziale vale la legge della dinamica: F = ma 0 , (6.1) avendo indicato con ao l’accelerazione misurata da un osservatore inerziale che, arbitrariamente, assumiamo anche assoluto (nell’accezione che questo termine ha assunto nello studio della cinematica relativa). Le caratteristiche del corpo (massa, carica elettrica…), lo studio del suo moto e l’osservazione dei fenomeni a cui è soggetto, ci conducono alla completa conoscenza delle forze F di interazione. Consideriamo ora il moto dello stesso corpo rispetto ad un sistema non inerziale, che diremo anche relativo. Poiché le interazioni non dipendono dall’osservatore, e quindi dal sistema di riferimento, assumiamo che la risultante delle forze che agisce sul corpo sia ancora F. Con riferimento alla cinematica dei moti relativi sappiamo che, per questo secondo osservatore in moto accelerato rispetto al primo, l’accelerazione misurata non sarà più ao, ma sarà ar: a r = a0 − a t − ac , (6.2) essendo at l’accelerazione di trascinamento e ac l’accelerazione di Coriolis. Per la diversità delle accelerazioni ao e ar stabilita dalla (6.2), siamo costretti ad ammettere che per un osservatore non inerziale non vale la legge della dinamica. 67 Moltiplichiamo la (6.2) per m: ma r = ma 0 − ma t − ma c (6.3) Sostituendo al termine ma0 la forza F otteniamo: F − ma t − ma c = ma r (6.4) Pertanto, se assumiamo che nel sistema relativo (non inerziale) oltre alle interazioni di risultante F siano presenti delle forze Fa, dette apparenti pari a: Fa = − ma t − ma c (6.5) la legge della dinamica mantiene la sua validità: F + Fa = ma r (6.6) Le forze apparenti vengono così chiamate in quanto non fanno capo ad una interazione tra due corpi, infatti esse non rispettano la III legge della dinamica. Tuttavia per un osservatore non inerziale che volesse continuare ad usare la II legge della dinamica, esse hanno la stessa validità e consistenza delle forze reali. Ad esempio, è una forza apparente la “forza centrifuga” che spinge gli occupanti di un’auto verso l’esterno della curva. La sensazione di spinta che si percepisce in questo caso è in realtà l’effetto della reazione vincolare che il sedile dell’auto impartisce al nostro corpo. La forza che viene percepita (reale) è esercitata dall’auto che, dotata di accelerazione centripeta verso l’interno della curva, trascina con sé i passeggeri. Dunque, non veniamo spinti verso l’esterno della curva, ma è l’auto che ci anticipa nel suo moto verso l’interno; tuttavia, poiché il nostro riferimento è l’auto stessa, riteniamo di subire una forza in verso opposto. F ac Figura 2 6.1 Moto di un corpo non soggetto ad interazioni In un sistema non inerziale non vale la legge di inerzia. Un corpo non soggetto ad interazioni si muove di moto accelerato. Posto F = 0 nella (6.4) si ottiene: a r = −a t −a c ≠ 0. (6.7) Alternativamente, si può dire che esso si muove sotto l’effetto delle forze apparenti: ma r = Fa . (6.8) 68 6.2 Sistemi di riferimento in moto traslatorio Consideriamo un sistema di riferimento relativo SR in moto traslatorio rispetto al sistema assoluto SA (inerziale) con accelerazione di trascinamento at. Ad esempio, assumendo con ragionevole approssimazione come inerziale un sistema solidale con la terra, studiamo le forze che agiscono su una persona entro un ascensore che accelera nel suo moto di discesa verso il piano terra. Sia at =-auy l’accelerazione dell’ascensore rispetto al sistema assoluto, poiché il passeggero entro l’ascensore è fermo rispetto alla cabina ar=0; inoltre essendo nulla la velocità angolare ω e la velocità relativa v è nulla l’accelerazione di Coriolis ac = 2ω ω x v, quindi ao = at. Le forze reali agenti sul corpo sono la forza peso w = mg, a reazione vincolare R e la forza apparente di trascinamento. Nel sistema relativo ar = 0, pertanto: F + Fa = 0 (6.9) w + R − ma t − ma c = 0 . (6.10) y R w g a’ x Figura 3 Con riferimento alle componenti rispetto all’asse y orientato verso l’alto si ottiene: − mg + R + ma = 0 (6.11) da cui si ottiene: R = m(g − a ) . (6.12) È come se l’accelerazione di gravità all’interno dell’ascensore fosse pari a (g-a), minore di g. Al limite, se fosse a=g, cioè se l’ascensore fosse in caduta libera, il passeggero avrebbe la sensazione di essere privo di peso. Infatti gli addestramenti degli astronauti all’assenza di gravità si effettuano in aerei in moto lungo una traiettoria parabolica, cioè in condizioni che simulano il moto di caduta libera di un grave. La forza in grado di annullare la sensazione di peso è la forza apparente: Fa = − ma t (6.13) diretta verso l’alto, in quanto at è diretta verso il basso. L’effetto di questa forza consiste nella sensazione che si può sperimentare in aereo durante un vuoto d’aria o su un otto-volante. Ciò 69 che si percepisce in realtà è la “mancanza” di parte della reazione vincolare che sostiene il nostro corpo, alla quale siamo abituati. 6.3 Sistemi di riferimento in moto rotatorio Consideriamo un punto materiale di massa m vincolato ad una piattaforma rotante a distanza r dall’asse di rotazione. Sia ω la velocità angolare della piattaforma (Figura 4). Rispetto ad un sistema di riferimento inerziale il punto materiale si muove di moto circolare uniforme lungo una circonferenza di raggio r. Le forze a cui è soggetto sono la forza peso mg e la reazione vincolare R, che presenta due componenti, una normale in grado di equilibrare la forza peso: R N = mg (6.14) l’altra tangente alla superficie, diretta verso l’asse di rotazione e di modulo tale da impartire al corpo una accelerazione centripeta pari a ω 2r: R T = mω 2 r (6.15) ω m RT Fcentr Figura 4 Rispetto ad un osservatore solidale con la piattaforma, il corpo è fermo, pertanto deve essere nulla la risultante di tutte le forze reali ed apparenti applicate ad esso: F + Fa = 0 (6.16) w + R − (ma t + ma c ) = 0 (6.17) mg + R − [mω × (ω × r ) + 2mω × v ] = 0 (6.18) Il primo termine tra parentesi quadre rappresenta una forza apparente dovuta all’accelerazione di trascinamento. Essa vale: (mω r )u 2 (6.19) r è diretta verso l’esterno e prende il nome di “forza centrifuga”. Il secondo termine tra parentesi quadre nella (6.18) rappresenta la forza di Coriolis ed è nullo in quanto v=0. L’equilibrio delle forze nella (6.18) lungo la direzione ur è dato dall’uguaglianza della componente tangenziale della reazione vincolare (6.15) e dalla forza centrifuga: (mω r )u − (mω r )u 2 2 r r =0 (6.20) 70 Se ora supponiamo che il corpo si stacchi dalla piattaforma, un osservatore inerziale lo vedrà fuggire lungo la tangente, mentre un osservatore solidale con la piattaforma lo vedrà muoversi lungo una traiettoria curva sotto l’azione della forza centrifuga e della forza di Coriolis (Figura 5). In particolare, per quest’ultimo osservatore, il corpo partirà lungo la direzione radiale per l’effetto della forza centrifuga, poi piegherà in verso opposto al senso di rotazione del disco a causa della forza di Coriolis. La traiettoria di Figura 5b può essere ottenuta combinando il moto rettilineo rappresentato in Figura 5a con il moto circolare di trascinamento del disco. a) b) ω ω Osservatore inerziale Osservatore non inerziale Figura 5 Nel semplice caso di un disco in rotazione sul quale un punto materiale si muove in direzione radiale (nel sistema relativo), l’origine dell’accelerazione di Coriolis può essere ricercata nella diversa velocità tangenziale (velocità di trascinamento) che compete ai punti del disco a diversa distanza dall’asse di rotazione (Figura 6). Se supponiamo che il punto materiale mantenga la componente tangenziale di velocità (attrito nullo), allontanandosi dall’asse di rotazione esso incontrerà punti del disco con velocità tangenziale maggiore; pertanto, ad un osservatore solidale con il disco sembrerà che il punto proceda in verso opposto a quello di rotazione, come indicato in Figura 5b. Questo comportamento può essere giustificato dall’osservatore relativo introducendo una forza apparente di Coriolis in direzione tangenziale e in verso opposto al senso di rotazione. Y vt vr ω X Fc Figura 6 Consideriamo ora il caso di moto in direzione tangenziale, anziché radiale, nel sistema relativo. Ad esempio, supponiamo che un punto materiale legato ad una fune di lunghezza R ruoti con velocità angolare ω r sopra un disco, anch’esso in rotazione con velocità angolare ω t (Figura 7). Rispetto ad un osservatore assoluto, per la legge di composizione delle velocità, il punto materiale ruoterà con velocità angolare: 71 ω0 = ω t + ωr . (6.21) Consideriamo ora l’accelerazione normale misurata dall’osservatore assoluto. In un moto circolare l’accelerazione normale è: a n = ω2 r (6.22) R ωt ωr Figura 7 Pertanto, sostituendo la (6.21) nella (6.22), si ottiene (per l’osservatore assoluto): ( ) a 0 = ω 2t + ω 2r + 2ω t ω r R . (6.23) I tre termini entro la parentesi possono essere interpretati come l’accelerazione di trascinamento (ω2t R), l’accelerazione relativa (ω2r R) e l’accelerazione di Coriolis (2ω t ωr R = 2 ωt vr). Dunque, nel caso di un moto relativo in direzione tangenziale, l’accelerazione di Coriolis trae origine dalla legge di composizione delle velocità (v0 = vt + vr) e dalla relazione quadratica tra velocità ed accelerazione normale. 6.4 Moto di caduta dei gravi Si è detto più volte che un sistema di riferimento solidale con la terra non è inerziale, vediamo quali sono le più importanti implicazioni di questo circostanza. Come sistema di riferimento inerziale assumiamo un sistema avente l’origine nel centro della terra, ma che non partecipa del suo moto di rotazione. Per un osservatore solidale con questo sistema, l’accelerazione con cui si muove un grave in caduta libera (trascurando l’attrito dell’aria) è dovuta alla sola attrazione gravitazionale: F=− γ MT m u r = g0 m , R 2T (6.24) avendo indicato con RT e con MT il raggio e la massa della terra rispettivamente e con ur il versore radiale. Pertanto l’accelerazione misurata da un osservatore inerziale è diretta verso il centro della terra e vale: a 0 = g0 = γ MT . R 2T (6.25) Per un osservatore solidale con la terra, facendo uso della legge di composizione delle accelerazioni, si ottiene: ar = a0 − at − ac (6.26) 72 Se supponiamo per il momento che il corpo sia fermo nel sistema relativo, l’accelerazione di Coriolis ac è nulla. L’accelerazione di trascinamento at, per la scelta dei sistemi di riferimento, è costituita dalla sola componente rotatoria e dipende dalla località geografica considerata secondo la relazione: ( ) a t = ω × (ω × r ) = − ω2 R T cos λ u z , (6.27) dove λ indica l’angolo di latitudine. Questa componente si somma vettorialmente con go e dà luogo al vettore accelerazione di gravità nel punto della terra considerato: g = g 0 − ω × (ω × r ) . (6.28) A causa del termine centrifugo ω x (ω ω x r), la direzione della verticale, indicata ad esempio da un filo a piombo, non coincide con la direzione della congiungente il punto considerato con il centro della terra. Inoltre il modulo di g è minore del modulo di go e dipende dalla latitudine λ. Poiché nell’emisfero boreale la direzione di g punta lievemente verso sud anziché rigorosamente verso il centro della terra, questo effetto viene talvolta indicato come “deviazione dei gravi verso sud”. Si osserva poi che l’accelerazione di gravità è massima ai poli e minima all’equatore. Figura 8 Consideriamo ora cosa avviene quando un corpo cade effettivamente verso la terra. Poiché in questo caso il corpo si muove nel sistema di riferimento relativo con una velocità v≠0, ac non è più nulla. Nasce pertanto una forza apparente di Coriolis in grado di produrre una accelerazione uguale ed apposta ad ac: Fc = −mac = −2mω × v (6.29) Poiché in prima approssimazione il moto avviene lungo la verticale (v//g), l’accelerazione cui è soggetto il corpo è ortogonale sia alla verticale che all’asse di rotazione della terra; pertanto essa è normale al piano meridiano passante per il punto considerato e dà luogo ad una deviazione dei gravi verso oriente sia nell’emisfero boreale che nell’emisfero australe (Figura 9). Il suo modulo vale: a c = 2ωv sin (π 2 + λ ) = 2ωv cos λ (6.30) 73 Figura 9 La forza di Coriolis provoca uno scostamento dalla verticale della direzione di caduta dei gravi. Per valutare l’entità di questo fenomeno studiamo il moto di caduta di un corpo da una torre di altezza h. Consideriamo un osservatore inerziale e facciamo riferimento alla Figura 10. A causa della rotazione della terra il corpo sulla torre possiede una velocità iniziale diretta verso est pari a: v 0 = ω(R T + h ) cos λ . (6.31) Il tempo impiegato dal corpo a cadere a terra è T= 2h . g (6.32) Durante la caduta il moto verso est è uniforme e lo spazio percorso è: s = v 0T . (6.33) v0 h v’0 Figura 10 Nello stesso tempo la base della torre si muove con una velocità vo’: v 0′ = ω R T cos φ (6.34) Pertanto il punto di impatto del corpo sulla terra dista dalla base della torre di: ∆s = ( v 0 − v ′0 )T = ω h cos φ 2h g (6.35) 74 Il valore ottenuto è solo approssimato, in quanto non si è tenuto conto della curvatura terrestre, tuttavia il procedimento seguito consente di dare una stima quantitativa del fenomeno. Poiché si suppone che la torre sia disposta lungo la verticale, un osservatore solidale con la terra vedrà il grave cadere più ad est della verticale ed attribuirà alla forza di Coriolis la causa di questa deflessione. La forza di Coriolis è presente ogniqualvolta nel sistema relativo un corpo si muove con direzione non parallela ad ω . Il moto dei venti e delle correnti marine è influenzato dalla forza di Coriolis. Analogamente, la sponda destra dei fiumi è maggiormente erosa nell’emisfero boreale, mentre lo è la sinistra nell’emisfero australe. 75 7 Moto in un campo di forze centrali 7.1 Momento di un vettore Dato un vettore applicato a, ed un punto O detto polo, si definisce momento del vettore a rispetto ad O il vettore: M = r × a, (7.1) dove r è il vettore congiungente il polo O con il punto di applicazione di a. a α M r d Figura 1 Secondo la definizione di prodotto vettore, M ha direzione ortogonale al piano in cui giacciono il vettore a ed il polo O, verso dal quale si vede avvenire in senso antiorario la rotazione che porta r su a secondo l’angolo minore e modulo pari a: M = r a sin α = a d , (7.2) essendo α l’angolo compreso tra i due vettori r ed a, e d la distanza della retta di applicazione di a dal polo O. Si osserva immediatamente che, traslando a lungo la sua retta di applicazione, il suo momento non cambia. M 2 = r2 × a = (r1 + r12 ) × a = r1 × a = M 1 . a M r2 a 0 (7.3) r12 r1 Figura 2 7.1.1 Momento di una forza Data una forza F si definisce momento della forza F rispetto al polo O, il vettore: 76 = r×F . (7.4) Le dimensioni di τ sono: τ = L F = L 7.1.2 2 M 1 T −2 . (7.5) Momento della quantità di moto Dato un punto materiale P avente quantità di moto p ed un polo O, si definisce momento della quantità di moto (o momento angolare) L del punto P rispetto al polo O, il vettore: L = r × p. (7.6) Le dimensioni di L sono: [L] = [L][P] = [L]2 [M]1 [T ]−1 . (7.7) Il vettore L risulta ortogonale al piano individuato dal vettore v e dal punto O. In generale L varia in modulo direzione e verso, tuttavia, nel caso di un moto piano, se il polo O giace nel piano, il momento della quantità di moto L si mantiene ortogonale al piano del moto. Viceversa, se il momento della quantità di moto è costante rispetto ad un polo O, il moto avviene in un piano passante per il polo. L p 0 r Figura 3 Consideriamo il moto lungo una circonferenza di raggio r. Il momento della quantità di moto rispetto al centro della circonferenza vale: L = m r v = m r 2ω , (7.8) poiché in tale moto la velocità è in ogni punto ortogonale al raggio. In termini vettoriali si ha: L = mr 2ω . (7.9) Dunque L ha la stessa direzione e lo stesso verso di ω . In generale, nel piano, è possibile descrivere il moto di un punto P mediante le coordinate polari. La velocità ha allora le componenti: vr = dr dt (7.10) 77 vϑ = r dϑ = r ω. dt (7.11) Il momento della quantità di moto è dato da: L = r × m(v ru r + v ϑu ϑ ) = mr 2ω . y (7.12) vr v vϑ r ϑ x Figura 4 In questo caso, pur mantenendosi ortogonale al piano del moto, L varia in modulo (ed eventualmente verso) da istante ad istante. In un moto non piano è possibile definire il piano del moto in ogni istante come il piano a cui appartiene il cerchio osculatore alla traiettoria nel punto considerato. Si definisce velocità angolare ω il vettore ortogonale al piano istantaneo di moto, di verso tale da rispettare la regola della rotazione antioraria con riferimento al raggio vettore r e di modulo pari a: ω= dγ , dt (7.13) essendo dγ l’angolo descritto dal raggio vettore nell’intervallo di tempo infinitesimo dt. Con la definizione precedente la (7.9) vale in generale, tuttavia L ed ω variano in modulo direzione e verso. 7.2 II Equazione cardinale34 Derivando rispetto al tempo il momento della quantità di moto rispetto ad un polo O si ottiene: dL dr dp = ×p + r× dt dt dt . dL = v×p + r×F = dt (7.14) Infatti il termine v x p nell’equazione precedente è nullo essendo i due vettori paralleli. II equazione cardinale: la derivata rispetto al tempo del momento della quantità di moto rispetto ad un polo O è uguale al momento della risultante delle forze applicate al punto P rispetto allo stesso polo O. 34 La I equazione cardinale per un punto materiale concide con la legge che definisce la forza: F=dp/dt 78 Se τ=0 si ha: dL =0 dt L = cost . (7.15) Se il momento delle forze applicate ad un punto rispetto ad un polo è nullo, il momento della quantità di moto rispetto allo stesso polo è costante. In questo caso il moto è necessariamente piano per quanto detto prima. 7.2.1 Cambiamento di polo Noto il momento della quantità di moto di un punto rispetto ad un polo O si chiede quanto vale il momento della quantità di moto rispetto ad un polo O’. Si supponga che entrambi i poli siano fissi (Figura 5). L 0′ = r ′ × p = (r + r0′0 ) × p = r × p + r0′0 × p (7.16) = L 0 + r0′0 × p Derivando rispetto al tempo si ottiene la II equazione cardinale rispetto al polo O’: dL 0′ dL 0 dp dL 0 = + r0′0 × = + r0′0 × F = dt dt dt dt 0 + r0′0 × F (7.17) p 0 r r0’0 0’ r’ Figura 5 Se anziché un polo fisso consideriamo un polo mobile O in moto con velocità v0 nel sistema di riferimento inerziale considerato, abbiamo (Figura 6): L0 = r × p r = rP − r0 (7.18) Derivando la seconda equazione rispetto al tempo si ha: dr drP dr0 = − = vP − v0 dt dt dt (7.19) Derivando poi la prima delle (7.18) e sostituendo l’equazione (7.19) si ottiene: dL 0 dr = × p + r × F = (v P × p − v 0 × p ) + τ 0 dt dt (7.20) dL 0 + v 0 × p = τ0 dt (7.21) 79 dL 0 = τ0 − v0 × p . dt (7.22) La derivata temporale del momento angolare di un punto materiale rispetto ad un polo mobile O è pari alla risultante dei momenti delle forze applicate al punto calcolata rispetto al polo O meno il termine v0 x p. La (7.22) verrà richiamata nel capitolo 9, dedicato alla dinamica dei sistemi di particelle. vp z rp r 0 v0 r0 y x Figura 6 7.3 Campo di forze centrali Finora abbiamo considerato le forze come interazioni tra due corpi ben definiti A e B. In tutti i casi in cui la forza tra A e B dipende, oltre che dai corpi, solo dalla posizione reciproca (forze posizionali), è possibile immaginare che uno dei due corpi, ad esempio A generi una “alterazione” in una regione di spazio per cui, posto il secondo corpo (B) nella regione considerata, questo risulta soggetto ad una forza che è funzione solo della sua posizione. Tale “alterazione” dello spazio prende il nome di campo di forze per il corpo B generato dal corpo A e consiste nella corrispondenza che si stabilisce tra i punti della regione di spazio considerata e la forza di interazione. È importante osservare che, mentre il concetto di interazione non privilegia nessuno dei due corpi, il concetto di campo di forze è basato sull’assunzione che uno dei due corpi generi il campo e l’altro ne risenta gli effetti. Esiste una fondamentale differenza tra questa interpretazione della forza ed il semplice concetto di interazione considerato finora. L’interazione corrisponde ad un’azione a distanza che si esplica istantaneamente tra due corpi, invece il campo di forze generato da un corpo manifesta i sui effetti su un altro corpo solo dopo un tempo di propagazione che cresce proporzionalmente alla distanza dei corpi. Esistono inequivocabile evidenze sperimentali che fanno preferire l’interpretazione delle forze fondamentali come effetto di campi piuttosto che di azioni a distanza. Osserviamo inoltre che in alcuni casi il concetto di campo è altrettanto intuitivo quanto quello di interazione. Ad esempio, se consideriamo la forza peso con cui la terra attrae i corpi, ci è naturale pensare che sia la terra l’elemento attivo ed il corpo attratto quello passivo, benché, per la III legge della dinamica, anche il corpo attragga la terra con una forza uguale e contraria. Più in generale, in fisica un campo è una corrispondenza tra i punti di una regione di spazio ed il valore di una grandezza che può essere sia scalare (campo di temperatura, di pressione, etc.) sia vettoriale (campo di forza, di velocità, etc.). A conclusione di queste osservazioni definiamo un campo di forze come segue: Dato un punto materiale P, se, posto P in ogni punto di una regione di spazio C, esso è soggetto ad una forza F funzione solo del punto considerato, si dice che la regione di spazio C è sede di un campo di forze F per il punto P. Si dice campo di forze centrali un campo di forze che soddisfa le seguenti proprietà: 80 a) in ogni punto Q della regione di spazio considerata la forza F è diretta come la congiungente il punto Q con un punto fisso O detto centro di forze. b) il modulo della forza F è funzione solo della distanza del punto Q considerato dal centro O. Pertanto |F|=f(r). Q Q’ F F’ 0 Figura 7 In un campo di forze centrali la derivata temporale del momento della quantità di moto di un punto materiale P rispetto al centro O è nulla: dL = r × F = 0. dt (7.23) Infatti, il momento della forza F rispetto ad O è sempre nullo, essendo F parallela ad r. Pertanto, in un campo di forze centrali il momento della quantità di moto si conserva. Viceversa se il momento della quantità di moto di un punto P rispetto ad un polo O si conserva, si danno due casi: a) il punto P non è soggetto ad alcuna interazione, pertanto P si muove di moto rettilineo uniforme ed il suo momento della quantità di moto si conserva rispetto a qualunque polo b) il punto P si muove in un campo di forze centrali di centro O. In natura esistono notevoli esempi di forze centrali; ad esempio sono forze centrali la forza gravitazionale e la forza elettrica. Consideriamo ora le caratteristiche del moto di un punto P per il quale L sia costante rispetto ad un polo O. a) Il moto di P è piano. Infatti, se si assume come origine del sistema di riferimento il polo rispetto a cui L è costante, i vettori r e v devono giacere nel piano passante per O e normale alla direzione di L. b) la velocità areolare, cioè la derivata temporale dell’area spazzata dal raggio vettore, è costante. Dimostriamo il punto b). Consideriamo il legame tra L ed ω : L = mr 2 ω = cost (7.24) Dalla definizione di ω 81 ω= dϑ , dt (7.25) si ha quindi: r2 dϑ L = = cost . dt m (7.26) Con riferimento alla Figura 8 si ha: dA = 1 1 r ( rdϑ ) = r 2 dϑ . 2 2 (7.27) Quindi: dA 1 2 dϑ 1 L ≅ r = = cost . dt 2 dt 2 m (7.28) Il risultato precedente corrisponde alla II legge di Keplero per il moto dei pianeti. v dΑ P r dϑ Figura 8 7.4 Forze assiali Si definisce momento di una forza F rispetto ad un asse z il vettore componente rispetto a z del momento di F rispetto ad un polo O appartenente all’asse z (Figura 9): z = (r × F ) ⋅ u z (7.29) Per capire il significato di momento rispetto ad un asse consideriamo una porta vincolata a due cardini e chiediamoci come dobbiamo applicata una forza aprire o chiudere la porta con minimo sforzo. La risposta è semplicemente che la forza deve essere applicata lungo una retta che passa il più lontano possibile dall’asse dei cardini ed è ortogonale a tale asse, come dire che bisogna tirate o spingere la porta poggiano la mano sulla maniglia. Una forza siffatta ha il massimo momento assiale. Viceversa, una forza la cui retta d’azione passa per l’asse dei cardini non è in grado di aprire la porta in quanto ha momento assiale nullo. In generale, si definisce forza assiale (Figura 10) una forza la cui retta d’azione passa sempre per un asse fisso (z). In tal caso il momento di F rispetto a z risulta sempre nullo. Infatti: 82 z = (r × F ) ⋅ u z = 0 , (7.30) poiché il momento rispetto ad un punto dell’asse è sempre normale all’asse stesso. z τz τ 0 F r y x Figura 9 Se, in un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale P si muove in un campo di forze assiali, la componente del momento della quantità di moto di P lungo l’asse del campo si conserva. Infatti si ha: dL z dL = ⋅ u z = (r × F ) ⋅ u z = dt dt z = 0, (7.31) pertanto: L z = cost . (7.32) z P’ F’ P F r 0 y x Figura 10 Un tipico esempio di forza assiale è dato dalla forza di natura elettrica con cui l’elettrone di + una molecola di H 2.è attratto dai due protoni. F1 1 F F2 2 + + Figura 11 83 8 Lavoro ed energia I concetti di lavoro ed energia sono tra i più importanti della fisica. Quando un punto materiale, a cui sia applicata una forza, compie uno spostamento, si dice che la forza compie un lavoro. Analogamente, poiché le forze sono vettori applicati, si dice che una forza compie un lavoro quando il suo punto di applicazione si sposta. In generale, il lavoro compiuto da una forza su un punto materiale determina un aumento della sua velocità che corrisponde all’incremento di una funzione scalare che viene detta energia cinetica del punto materiale. In altri casi il lavoro compiuto su un corpo determina un cambiamento della sua posizione in relazione ai campi di forze in cui il corpo è inserito, o provoca un cambiamento nella sua configurazione, ad esempio una deformazione del corpo. Anche in questi casi è possibile mettere in evidenza l’aumento di alcune forme di energia associate al corpo considerato (energia potenziale). Si osserva infine che il concetto di energia è estremamente generale ed interessa tutte le settori della fisica. Infatti, oltre all’energia meccanica, esistono forme di energia associate ai fenomeni termici, elettrici, magnetici, nucleari etc. Una proprietà fondamentale dell’energia è quella di trasformarsi da una forma all’altra; tuttavia, in un sistema isolato la somma di tutte le forme di energia è costante. Infatti, l’energia si conserva sempre35. Per i nostri studi di meccanica, l’energia è un indice che rappresenta il lavoro che un corpo (o un sistema) è in grado di compiere in virtù del suo stato di moto e della sua posizione in relazione ai campi di forza che agiscono sul corpo. 8.1 Lavoro elementare di una forza Consideriamo un punto materiale P che percorra una data traiettoria sotto l’azione di una forza F. In un intervallo di tempo infinitesimo, il punto P compirà lo spostamento dr; si definisce lavoro elementare della forza F durante lo spostamento dr il prodotto scalare: dL = F ⋅ dr . (8.1) Dalla regola di esecuzione del prodotto scalare si ottiene: dL = F dr cos ϑ , (8.2) essendo ϑ l’angolo compreso tra la direzione della forza e quella dello spostamento. y dr r F ϑ x z Figura 1 35 Questa affermazione è corretta se si include tra le forme di energia la massa delle particella che in una visione relativistamente corretta costituisce la loro energia a riposo. 84 Assumendo che dr cosϑ rappresenti la proiezione dello spostamento nella direzione della forza si può affermare che il lavoro è dato dal prodotto del modulo della forza per la proiezione dello spostamento nella direzione della forza, se poi i versi di F e di dr sono concordi, cosϑ risulta > 0 ed il lavoro è positivo, viceversa se il verso è discorde, risulta cosϑ < 0 ed il lavoro è negativo. Una espressione equivalente del lavoro elementare può essere ricavata scomponendo la forza F nelle componenti parallela e normale alla traiettoria: F = FT u T + FN u N . (8.3) Lo spostamento dr si scrive: dr = ds u T , (8.4) pertanto il lavoro elementare vale: dL = ( FT u T + FN u N ) ⋅ ds u T = FT ds . (8.5) Scomponendo infine forza e spostamento secondo le componenti cartesiane, il prodotto scalare nella (8.1) diviene: dL = Fx dx + Fy dy + Fz dz . (8.6) Dalla (8.2) si osserva che, se la forza e lo spostamento sono ortogonali, il lavoro è nullo. Ad esempio, se consideriamo un corpo in moto circolare uniforme, il punto di applicazione della forza centripeta agente sul corpo si sposta, ma il lavoro compiuto è nullo in quanto la forza è sempre ortogonale allo spostamento. 8.2 Lavoro lungo un tratto finito Finora abbiamo considerato uno spostamento infinitesimo; per determinare il lavoro compiuto da una forza nello spostamento dalla posizione iniziale A alla posizione finale B lungo la traiettoria γ (Figura 2) calcoliamo l’integrale della (8.1) per spostamenti elementari che avvengano lungo la linea γ: L = F ⋅ dr , γ (8.7) intendendo con ciò che lo spostamento dr che compare nella (8.7) deve essere sempre tangente alla traiettoria γ. Il calcolo dell’integrale (8.7) può essere effettuato se si conoscono, ad esempio, le equazioni parametriche della traiettoria, ovvero la legge oraria del moto, e se si conosce la forza F in funzione della posizione: L = Fx ( x, y, z)dx + Fy ( x, y, z)dy + Fz ( x, y, z)dz , (8.8) γ con γ data da: γ={x=x(t), y=y(t), z=z(t)}, avendo usato come parametro il tempo. Alternativamente si può calcolare il lavoro se si conosce la componente tangente della forza in ogni punto della traiettoria. Dalla (8.5) si ottiene in questo caso: L = FT ( s) ds . (8.9) γ 85 La variabile di integrazione è l’ascissa curvilinea, mentre la curva γ deve essere espressa in funzione di questo parametro. y .• A B r .• F z γ x Figura 2 Se più forze F1, F2,...,Fn agiscono sul punto materiale P, la somma dei lavori delle singole forze lungo uno spostamento dr, per la proprietà associativa del prodotto scalare, è data dal lavoro della forza risultante F lungo il medesimo spostamento. dL = F1 ⋅ dr + F2 ⋅ dr + + Fn ⋅ dr = (F1 + F2 + +Fn ) ⋅ dr = F ⋅ dr (8.10) Il lavoro è una grandezza scalare, le sue dimensioni sono: Lav = F L = L 2 M 1 T −2 . (8.11) Nel Sistema Internazionale l’unità di misura del lavoro è il joule (J), pari a 1 newton x 1 metro. Il lavoro di 1 J è il lavoro compiuto da una forza di 1 N quando il punto materiale a cui essa è applicata si sposta di 1 m in direzione della forza. 8.3 Potenza di una forza Per definizione chiamiamo potenza di una forza F la derivata rispetto al tempo del lavoro compiuto dalla forza F durante lo spostamento dr: W= dL . dt (8.12) Essa rappresenta la rapidità con cui una forza compie un lavoro. Se dividiamo formalmente per dt entrambi i membri dell’equazione (8.1) otteniamo: W= dL dr = F⋅ = F⋅v, dt dt (8.13) dove v rappresenta la velocità con cui si muove il punto materiale a cui la forza F è applicata. La potenza è la grandezza fisica con cui si misura la capacità di una macchina di compiere un lavoro in un certo tempo. Nella pratica, le forze che una macchina può esercitare possono essere modificate a piacere, ad esempio mediante l’uso di leve, riduttori o ingranaggi, tuttavia la sua potenza non può essere aumentata. Se una macchina sviluppa una potenza W, il lavoro che essa compie tra gli istanti di tempo t1 e t2 è: 86 L= t2 W ( t ′)dt ′ . t1 (8.14) Le dimensioni della potenza sono: W = F V = L 2 M 1 T −3 . (8.15) Nel Sistema Internazionale l’unità di misura della potenza è il watt (W). Si dice che una macchina sviluppa una potenza di 1 W se essa compie un lavoro di 1 J in 1 s. 8.4 Energia cinetica e teorema delle forze vive Sia F la risultante delle forze applicate ad un punto materiale P di massa m e sia dr lo spostamento di P nell’intervallo di tempo dt. Se moltiplichiamo scalarmente entrambi i membri dell’equazione della dinamica F = ma per dr otteniamo: F ⋅ dr = m 1 1 dv ⋅ dr = mdv ⋅ v = md(v ⋅ v ) = d mv2 2 2 dt (8.16)36 poiché dL=F·dr la (8.16) diviene: dL = d 1 mv 2 . 2 (8.17) Integrando la (8.17) tra i punti A e B lungo la generica traiettoria γ si ottiene: L A→ B = B A d 1 1 1 mv 2 = mv 2B − mv A2 . 2 2 2 (8.18) Definiamo l’indice di stato energia cinetica del punto P nelle posizioni A e B come: E cA = 1 mvA2 + k 2 E cB = 1 mv2B + k , 2 (8.19) dove k è una costante arbitraria. Possiamo allora esprimere il lavoro compiuto dalla forza F tra i punti A e B in termini della variazione dell’energia cinetica posseduta da P nei medesimi punti. LA → B = E c B − E cA = ∆E c . (8.20) L’energia cinetica è un indice di stato, mentre la grandezza fisica effettivamente misurabile è il lavoro che viene compiuto dalla forza F quando la posizione del punto P a cui è applicata, cambia da A a B e di conseguenza la velocità di P cambia da vA a vB. Per definire l’energia cinetica di un punto P in un certo stato, dobbiamo stabilire arbitrariamente l’energia cinetica di uno stato di riferimento e calcolare il lavoro necessario per portare il punto P dallo stato di riferimento allo stato considerato. L’energia cinetica di un punto P dipende dalle grandezze massa e velocità, supponendo che la massa rimanga costante, assumiamo come stato di riferimento, a cui attribuiamo energia cinetica nulla, lo stato in cui P si trova a riposo nel 36 d(v ⋅ v ) = dv ⋅ v + v ⋅ dv = 2dv ⋅ v 87 sistema di riferimento considerato37. Con l’assunzione precedente, d’ora innanzi supporremo sempre nulla la costante k che compare nella (8.19); pertanto, l’energia cinetica di un punto materiale di massa m e velocità v, è: Ec = 1 mv 2 . 2 (8.21) Poiché la differenza di due energie cinetiche è omogenea con il lavoro, l’unità di misura dell’energia cinetica è il Joule. In generale, l’energia di un corpo rappresenta il lavoro che il corpo può compiere in virtù del suo stato di moto. La (8.18) ha validità del tutto generale e costituisce il: Teorema dell’energia cinetica o il teorema delle forze vive: Il lavoro compiuto dalla risultante delle forze agenti su un punto materiale quando questo passa dalla posizione A alla posizione B, è uguale alla differenza delle energie cinetiche possedute dal punto nelle posizioni B ed A, rispettivamente. Il teorema dell’energia cinetica vale in qualunque sistema di riferimento, qualsiasi siano le forze applicate al punto P. Nel caso di un sistema non inerziale, concorre alla variazione dell’energia cinetica anche il lavoro delle forze apparenti. 8.5 Lavoro di una forza costante Con riferimento Figura 3, consideriamo un punto materiale P di massa m soggetto ad una forza costante F ed eventualmente ad altre forze. Supponiamo che, per effetto della risultante R delle forze applicate, esso descriva una generica traiettoria γ tra i punti A e B. Il lavoro compiuto dalla sola forza F quando P si sposta da A a B vale: L= B Aγ F ⋅ dr = F ⋅ B A dr = F ⋅ (rB − rA ) = F ⋅ ∆r . (8.22) A y .• rA ∆r B F .• rB x z Figura 3 Infatti, nella relazione precedente la forza F può essere portata fuori dall’integrale, che diviene così indipendente dal cammino di integrazione. Pertanto, il lavoro di una forza costante 37 In meccanica relativistica la massa di una particella non è costante, ma dipende dalla velocità. In questo caso si assume che l’energia a riposo della particella non sia nulla, ma sia data da m0c2 essendo m0 la massa a riposo e c la velocità della luce. 88 è indipendente dalla traiettoria seguita dal punto P ed è dato dal prodotto del modulo della forza per la proiezione dello spostamento di P nella direzione della forza. Ad esempio, consideriamo la forza peso w = mg = − mg u y (8.23) in un sistema di riferimento con l’asse y orientato lungo la verticale dal basso verso l’alto. Con riferimento ancora alla figura Figura 3, il lavoro della forza peso per uno spostamento dalla posizione A alla posizione B è: L A→ B = F ⋅ ∆r = Fx ∆x + Fy ∆y = − mg( y B − y A ) = mgy A − mgy B . (8.24) Il lavoro dipende solo dalle ordinate dei punti A e B, non dipende dal particolare cammino seguito. 8.6 Energia potenziale Per una forza costante il lavoro compiuto nello spostamento da A e B non dipende dal cammino percorso, ma solamente dai punti iniziale e finale dello spostamento. Ad esempio per la forza peso si ha: L= B A mg ⋅ dr = mgy A − mgy B . (8.25) In virtù di questa indipendenza e in accordo con la definizione di energia data nel paragrafo precedente, possiamo definire l’indice di stato energia potenziale della forza peso nei punti A e B come: E p A = mgy A + k E pB = mgy B + k , (8.26) dove k è ancora una costante arbitraria. Con la definizione precedente il lavoro della forza peso tra i punti A e B può essere espresso in termini della variazione della funzione scalare energia potenziale di P nei medesimi punti. L A→ B = E p A − E pB = −∆E p . (8.27) In termini infinitesimi, il lavoro elementare è dato dal differenziale della funzione energia potenziale cambiato di segno: dL = F ⋅ dr = − dE p . (8.28) Nel caso dell’energia potenziale, il carattere di indice di stato, ed il significato della costante k sono ancora più evidenti di quanto non fossero per l’energia cinetica. Per comodità, assumiamo come stato di riferimento a cui attribuire energia potenziale nulla, lo stato in cui P si trova a ordinata nulla (y = 0) nel sistema di riferimento considerato. Con l’assunzione precedente, la costante k è uguale a zero, e l’energia potenziale di un punto materiale di massa m nella posizione (x,y) vale: E p ( x , y) = mgy , (8.29) ed è pari al lavoro che la forza peso compie quando il corpo si sposta dal punto considerato al punto di riferimento. 89 8.7 Campi di forze conservativi Oltre alla forza peso esistono altre forze, o meglio altri campi di forze che ammettono energia potenziale. Una condizione essenziale affinché questo accada è che la forza sia posizionale, cioè che essa dipenda solo dalla posizione del punto materiale a cui è applicata. Un campo di forze che ammette energia potenziale si dice conservativo. Vedremo in seguito una condizione “matematica” a cui deve soddisfare un campo di forze per essere conservativo, per il momento limitiamoci ad osservare che: In un campo di forze conservativo il lavoro fatto dalla forza del campo quando il suo punto di applicazione si sposta da un punto A ad un punto B non dipende dal particolare cammino seguito, ma solo dai punti A e B. Consideriamo il lavoro lungo un percorso chiuso; dall’equazione (8.22), ponendo A = B poiché in un cammino chiuso i punti iniziale e finale coincidono, si ottiene L = F ⋅ dr = 0 (8.30) In un campo di forze conservativo il lavoro fatto dalla forza del campo lungo un generico percorso chiuso è nullo. • B • A Figura 4 In generale, se il lavoro di una forza calcolato lungo un qualunque cammino γ dipende solo dagli estremi di integrazione e non dal cammino, deve esistere una funzione delle sole coordinate spaziali tale che il lavoro elementare possa essere espresso come differenziale di tale funzione, che prende il nome di energia potenziale: dL = F ⋅ dr = − dE p . (8.31) Lungo un percorso finito si avrà pertanto: L A→B = B F ⋅ dr = − Aγ B A dE p = E p (A) − E p ( B) . (8.32) Non sono conservative tutte le forze che dipendono dalla velocità del punto materiale a cui sono applicate. Non sono conservative tutte le forze di attrito, comprese quelle di attrito viscoso. Per queste forze il lavoro lungo un cammino chiuso è diverso da zero e corrisponde ad una trasformazione di energia cinetica in energia “termica”. 8.8 Esempi di calcolo dell’energia potenziale Dato un campo di forze conservativo, l’energia potenziale in un generico punto del campo si determina calcolando il lavoro che la forza del campo compie quando il corpo a cui è applicata si sposta dal punto considerato al punto di riferimento, al quale si attribuisce energia potenziale nulla. Consideriamo alcuni esempi. 90 8.8.1 Energia potenziale della forza peso Abbiamo già visto che l’energia potenziale di un corpo di massa m a quota h rispetto al suolo vale: E p = mgh , (8.33) avendo assunto nulla l’energia potenziale per y=0. 8.8.2 Energia potenziale delle forze elastiche L’espressione della forza elastica lungo un asse x (equazione scalare riferita ad una componente cartesiana) è: F = − kx . (8.34) Il lavoro tra i punti x1 e x2 vale: L= x2 x1 F dx = − x2 x1 kx dx = 1 2 1 2 kx − kx 2 1 2 2 (8.35) da cui si deduce la forma dell’energia potenziale: E p ( x) = 1 2 kx . 2 (8.36) Con l’assunzione (8.36) risulta Ep(0) = 0, come è naturale porre. 8.8.3 Energia potenziale delle forze centrali L’espressione di una forza centrale, assumendo l’origine del sistema di riferimento nel centro della forza, è: F = f (r) ur . (8.37) Il lavoro compiuto dalla forza del campo da A a B vale: L= B A f ( r ) u r ⋅ dr . (8.38) Lo spostamento dr può essere scomposto in una componente lungo ur ed in una componente ortogonale (Figura 5). dr = dr u r + comp. trasversa. (8.39) Poiché solo la prima componente compie lavoro si ha: L= 8.8.3.1 B A f (r )dr = E pA ( rA ) − E pB (rB ) . (8.40) Energia potenziale della forza gravitazionale Come caso particolare di forza centrale consideriamo il campo gravitazionale. Data una massa m nel campo gravitazionale generato dalla massa M la forza di attrazione è: 91 F = −γ Mm ur . r2 (8.41) y dr ur dr r r’ x z Figura 5 Il lavoro che la forza del campo compie quando m si sposta da A a B vale: Mm Mm L = − γ 2 dr = γ A r r B rB rA =γ Mm Mm −γ , rB rA (8.42) da cui risulta che l’energia potenziale di una massa m in un punto a distanza r dalla massa M è: E p ( r ) = −γ Mm r E p (∞) = 0 . (8.43) Dalla relazione (8.43) si osserva che l’energia potenziale del punto all’infinito è nulla, come è usuale porre per i campi di forze in cui la dipendenza della forza dal raggio è del tipo 1/r2. 8.8.3.2 Energia potenziale della forza elettrica Come nel caso della forza gravitazionale, l’energia potenziale di una carica q in un campo di forze elettriche è: Ep (r) = 1 Qq 4 πε 0 r E p (∞) = 0 , (8.44) dove Q è la carica che genera il campo. Se le cariche sono di segno opposto la forza è attrattiva e l’energia potenziale è negativa. In caso contrario, la forza è repulsiva e l’energia potenziale è positiva. 8.8.4 Energia potenziale della forza centrifuga Consideriamo un sistema di riferimento non inerziale in moto rotatorio con velocità angolare ω costante rispetto ad un sistema inerziale. Un punto materiale di massa m a distanza r dall’asse di rotazione è sottoposto ad una forza (apparente) pari a: F = mω 2 r u r (8.45) Tale forza è posizionale ed ammette energia potenziale pari a: 92 Ep = 0 r 1 F ⋅ dr = mω2 r 2 , 2 avendo posto pari a zero l’energia potenziale nell’origine degli assi (r = 0). 8.9 Superfici equipotenziali e linee di forza In un campo di forze conservativo, si dice superficie equipotenziale il luogo geometrico dei punti nei quali l’energia potenziale assume valore costante. Le superfici equipotenziali costituiscono una famiglia di superfici che soddisfano l’equazione: E p ( x, y, z) = cost . (8.46) Per uno spostamento infinitesimo lungo una tale superficie: dL = F ⋅ dr = − dE p = 0. (8.47) Per l’arbitrarietà della scelta dello spostamento dr, dalla equazione (8.47) si deduce che la forza F è sempre ortogonale alle superfici equipotenziali. Generalmente si rappresenta un campo di forze disegnando delle linee che in ogni punto hanno la direzione ed il verso della forza. Esse si dicono linee di forza e, per quanto asserito sono ortogonali alle superfici equipotenziali. Ad esempio, in Figura 6 sono rappresentate qualitativamente le superfici equipotenziali e le linee di forza di un campo centrale repulsivo (campo di una carica elettrica positiva). Le superfici equipotenziali sono tracciate con una densità maggiore dove il campo è più intenso. Analogamente, le linee di forza si concentrano nelle regioni di maggiore intensità. Figura 6 8.10 Gradiente dell’energia potenziale Abbiamo visto in precedenza che, se il campo è conservativo, nota l’espressione della forza, è possibile calcolare l’energia potenziale con un procedimento di integrazione. Viceversa, si chiede come si possa dedurre l’espressione della forza del campo se è nota l’energia potenziale Ep(x,y,z) in ogni punto. Consideriamo il lavoro di una forza conservativa applicata ad un punto materiale che, dalla posizione P(x,y,z), compia uno spostamento infinitesimo dr parallelo all’asse x: dL = Fx dx = E p ( x, y , z) − E p ( x + dx, y , z). (8.48) 93 Dalla relazione precedente si ottiene: Fx = E p ( x, y, z) − E p ( x + dx, y, z) dx =− ∂E p ∂x . (8.49) Cioè la componente secondo x della forza è uguale alla derivata parziale dell’energia potenziale rispetto ad x, cambiata di segno. Analogamente, considerando spostamenti infinitesimi paralleli agli assi y e z, si ottengono le componenti Fy e Fz. In definitiva la relazione cercata è: Fx = − Fy = − Fz = − ∂E p ∂x ∂E p (8.50) ∂y ∂E p ∂z Si ha poi: F = Fxu x + Fy u y + Fz u z (8.51) e quindi: F=− ∂E p ∂x ux + ∂E p ∂y uy + ∂E p ∂z uz . (8.52) L’equazione (8.52) si può scrivere in modo sintetico introducendo l’operatore differenziale gradiente: F = −gradE p = −∇E p . (8.53) L’operatore ∇ equivale all’operatore gradiente, si dice “nabla” e si scrive formalmente come: ∇= ∂ ∂ ∂ ux + uy + uz. ∂x ∂y ∂z (8.54) Il gradiente è un operatore che trasforma un campo scalare (Ep) in un campo vettoriale (F). L’operatore gradiente, o il suo equivalente nabla considerati in precedenza sono riferiti ad un sistema di coordinate cartesiane. Se si considera un altro sistema di coordinate il gradiente avrà una diversa espressione, ma continuerà a rappresentare il legame tra l’energia potenziale e la forza del campo. Consideriamo ad esempio un sistema di coordinate polari piane. Per uno spostamento infinitesimo lungo ur: dL = Fr dr = E p (r, ϑ) − E p (r + dr, ϑ) (8.55) pertanto: Fr = − ∂E p ∂r (8.56) 94 Per uno spostamento lungo uϑ si ha invece: dL = Fϑ r dϑ = E p (r, ϑ) − E p (r , ϑ + dϑ) Fϑ = − (8.57) 1 ∂E p . r ∂ϑ (8.58) Vale ancora la relazione (8.53), tuttavia il gradiente ha ora la seguente espressione: ∇= ∂ 1 ∂ ur + uϑ . ∂r r ∂ϑ (8.59) 8.10.1 Interpretazione geometrica del gradiente Dato un generico campo scale ϕ, il vettore gradiente, in un punto P, è ortogonale alla superficie di livello [ϕ(P) = costante] passante per P, ha come modulo la derivata normale della funzione ϕ e come verso quello nel quale ϕ aumenta. gradϕ = ∂ϕ un , ∂n (8.60) dove un è la normale alla superficie di livello passante per il punto considerato. Si ricorda che la derivata normale è il limite del rapporto incrementale calcolato considerando i valori assunti dalla funzione ϕ lungo la direzione normale alla superficie ϕ (P) = costante. P1 dn ϑ dk P0 Figura 7 ϕ(P1 ) − ϕ(P0 ) ∂ϕ = lim ∂n P1 → P0 P1 − P0 (8.61) In generale, la derivata di ϕ lungo una generica direzione individuata dal versore uk è data da: ∂ϕ = grad ϕ ⋅ u k ∂k (8.62) ed è minore di ∂ϕ/∂n. Infatti: 95 ∂ϕ dϕ dn = = grad ϕ cos ϑ , ∂k dn dk (8.63) essendo dn = dk cosϑ. Per uk = un la derivata di ϕ assume il valore massimo, in accordo con il fatto che la direzione del gradiente è quella di massimo incremento della funzione ϕ. Per uno spostamento infinitesimo dk lungo la direzione uk si ha infine: dϕ = grad ϕ ⋅ u k dk . (8.64) Supponiamo ora che la funzione ϕ rappresenti l’energia potenziale Ep di un campo di forze conservative. La direzione di grad Ep è quella di massimo incremento dell’energia potenziale ed il suo modulo è pari all’aumento di Ep per uno spostamento unitario lungo tale direzione. Poiché la variazione di energia potenziale si ottiene per effetto del lavoro compiuto dalla forza del campo, e poiché una forza compie il massimo lavoro quando la sua direzione coincide con quella dello spostamento (L = Fdr), risulta chiaro che il vettore grad Ep ha la direzione ed il modulo della forza del campo nel punto considerato. Il verso è invece opposto in quanto il legame tra la variazione dell’energia potenziale ed il lavoro infinitesimo è dL = - dEp. 8.11 Condizione affinché un campo di forze sia conservativo Affinché un campo di forze sia conservativo è necessario che il lavoro elementare delle forze del campo possa essere espresso come differenziale di una funzione scalare che, per definizione, abbiamo chiamato energia potenziale dL = Fx dx + Fy dy + Fzdz = − dE p . (8.65) Condizione necessaria e sufficiente affinché tale funzione esista è che, tra le componenti della forza F del campo, valgano identicamente le relazioni: ∂Fx ∂Fy − =0 ∂y ∂x ∂Fx ∂Fz =0 − ∂x ∂z ∂Fy ∂Fz =0 − ∂y ∂z ∂Fr ∂ (r Fr ) =0 − ∂ϑ ∂ϑ (8.66) riferite ad un campo espresso rispettivamente in coordinate cartesiane ed in coordinate polari piane. Si può dimostrare che le componenti a primo membro delle (8.66) si trasformano, per una rotazione del sistema di riferimento, come le componenti di un vettore. Si definisce pertanto un operatore, detto rotore, che trasforma il campo vettoriale F in un altro campo vettoriale G: G = rot F = ∂A y ∂A x ∂A z ∂A y ∂A x ∂A z − ux + − uy + − u z . (8.67) ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z ∂x Le condizioni differenziali (8.66) si esprimono sinteticamente dicendo che: condizione necessaria e sufficiente affinché il campo di forze F sia conservativo è che il suo rotore sia nullo: rot F = 0 . (8.68) 96 8.12 Equilibrio di un corpo in un campo di forze conservativo Nel paragrafo 5.6 si è detto che: condizione necessaria affinché un corpo sia in equilibrio in una certa posizione è che la risultante delle forze applicate sia nulla. Consideriamo un corpo in un campo di forze conservative, per semplicità consideriamo il caso monodimensionale. Sia: E p (x) = f (x) (8.69) l’energia potenziale lungo l’asse x. Dalle equazioni (8.50) o (8.53) si ottiene che, affinché sia nulla la risultante delle forze in un punto di ascissa x–, deve essere: dE p dx =0, (8.70) x=x cioè il punto considerato deve essere un punto di stazionarietà per la funzione Ep(x). Ep Ep Ep dx F F dx – x x – x x – x x Figura 8 Se in –x Ep(x) ha un minimo, l’equilibrio si dice stabile; infatti, se diamo ad x un incremento dx positivo, il corpo diviene soggetto ad una forza nella direzione delle x negative, tale quindi da riportarlo nella posizione di equilibrio. Tuttavia, il corpo giungerà nuovamente nella posizione di equilibrio con velocità non nulla, pertanto la attraverserà e diventerà soggetto ad una forza di verso opposto. A causa dello smorzamento dovuto agli inevitabili attriti, il corpo oscillare nell’intorno della posizione di equilibrio fino ad arrestarsi nel fondo della “buca di potenziale”. Viceversa, se in x– Ep(x) ha un massimo, l’equilibrio si dice instabile. Diamo infatti ad x un incremento dx positivo, in questo caso la forza agente sul corpo è rivolta verso le x positive, cioè è tale da allontanare ulteriormente il corpo dal punto x– e da rompere definitivamente l’equilibrio. Si supponga ora che la (8.70) valga in tutti i punti in un intorno di x–. In questo caso l’equilibrio si dice indifferente in quanto si mantiene spostando il corpo in un qualunque punto dell’intorno considerato. 8.13 Teorema di conservazione dell’energia meccanica Siano F1, F2,…Fn le forze che agiscono su un punto materiale P. Nel paragrafo 8.4 si è visto che il lavoro di tutte le forze lungo uno spostamento tra i punti A e B conduce alla variazione di un indice di stato che abbiamo chiamato energia cinetica: LA→B = E c B − E cA (8.71) 97 Se le forze F1, F2,…Fn sono conservative, è possibile definire una energia potenziale Ep1, Ep2,…Εpn per ciascuna di esse, pertanto il lavoro che compare nella (8.71) può essere espresso come somma delle variazioni delle energie potenziali tra i punti considerati: L A → B = −∆E p1 − ∆E p 2 − − ∆E pn = −∆E p (8.72) dove con ∆Ep si è indicata la variazione dell’energia potenziale totale. Dalle relazioni (8.71) e (8.72) si può scrivere: ∆E c = − ∆E p (8.73) ovvero: E c A + E pA = E cB + E pB (8.74) Quindi la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale è costante tra i punti A e B. Il risultato trovato è generale fintantoché tutte le forze sono conservative. Tale somma prende il nome di energia meccanica E. Teorema di conservazione dell’energia meccanica: se su un punto materiale P agiscono solo forze conservative, la sua energia meccanica si conserva: E = E c + E p = cost . (8.75) Ciò significa che una variazione dell’energia cinetica può avvenire a scapito dell’energia potenziale e viceversa. Se solo alcune delle forze che agiscono sul punto P sono conservative, la variazione dell’energia meccanica tra i punti A e B è data dal lavoro delle forze non conservative tra i medesimi punti: ∆E A → B = L non cons.. (8.76) Poiché il lavoro delle forze non conservative dipende dal percorso seguito, anche la variazione dell’energia meccanica rispecchierà questa dipendenza. In genere le forze non conservative sono costituite dalle forze di attrito che compiono sempre un lavoro negativo, pertanto sarà: ∆E < 0. (8.77) Il teorema di conservazione dell’energia meccanica è parte di un teorema più generale che afferma che l’energia totale di un sistema isolato si conserva. Infatti il lavoro delle forze non conservative va generalmente ad incrementare l’energia termica del sistema considerato. 8.13.1 Applicazione del teorema di conservazione dell’energia meccanica Il teorema di conservazione dell’energia meccanica può essere impiegato per dedurre alcune importanti caratteristiche del moto di un corpo quando siano note le condizioni iniziali in un certo istante (ad esempio posizione e velocità) e l’espressione dell’energia potenziale del campo di forze in cui il corpo si muove. Mediante il teorema di conservazione dell’energia meccanica si possono dedurre informazioni solo su quantità scalari, in particolare sul modulo della velocità del corpo. Pertanto la sua applicazione è utile quando si conosce la traiettoria del moto. In un certo senso esso è meno “efficace” della risoluzione dell’equazione della dinamica, ma spesso la sua applicazione risulta molto più semplice. 98 9 Dinamica dei sistemi di punti Consideriamo un insieme di punti materiali P1, P2,…,PN soggetti ad interazioni reciproche e con il mondo esterno. Il problema generale della dinamica consiste nella determinazione della legge oraria del moto di ciascun punto, tuttavia appare subito evidente che tale obbiettivo è difficilmente raggiungibile per un numero di punti appena superiore a 2. Tuttavia la dinamica ci consente di determinare alcune grandezze globali che caratterizzano il comportamento dei sistemi di punti nella loro totalità. Mediante queste grandezze potremo descrivere in modo sintetico l’evoluzione del sistema, rinunciando ad una completa conoscenza del moto dei punti che lo compongono. Anche se la descrizione è solo parziale potremo ottenere utili informazioni applicando procedimenti estremamente semplici. F21 m2 F23 F(E)2 F12 m1 F32 F13 F31 F(E)1 m3 Figura 1 Consideriamo la risultante Fi delle forze che agiscono sul punto i-esimo. Tale risultante può ed in quella delle forze interne F(I) essere scomposta nella risultante delle forze esterne F(E) i i Fi = Fi( E ) + Fi( I) i = 1, 2, , N. (9.1) Facendo riferimento alle mutue interazioni che ciascun punto esercita su tutti gli altri, la risultante delle forze interne può essere scritta come: Fi( I ) = N j=1 Fi , j i = 1, 2, ,N, (9.2) ( i ≠ j) avendo indicato con Fi,j la forza che il punto j-esimo esercita sul punto i-esimo. Per la terza legge della dinamica si ha: Fi , j = − Fj,i . (9.3) Pertanto la risultante di tutte le forze interne F(I) è nulla F (I) = N i =1 Fi = N N i =1 j=1 ( i ≠ j) Fi , j = 0 . (9.4) Dalle equazioni (9.1) e (9.4) si ha infine: 99 N i =1 N Fi = i =1 Fi( E ) = F ( E ) , (9.5) cioè la somma di tutte le forze che agiscono sul sistema è pari alla risultante delle sole forze esterne. 9.1 I Equazione cardinale Applicando la II legge della dinamica, il moto di ciascun punto del sistema è determinabile mediante l’equazione: Fi = Fi( E ) + Fi(I) = mi a i . (9.6) Sommando le equazioni (9.6) sull’indice i ed usando la (9.4) si ottiene: F ( E) = N i =1 Fi = N i =1 mi a i . (9.7) Poiché si ha: mi a i = mi dv i dp i = . dt dt (9.8) Dall’equazione (9.7) si ottiene il fondamentale risultato: F ( E) = N i =1 dove con P = dp i d = dt dt pi = N i =1 pi = dP , dt (9.9) m i v i si è indicata la quantità di moto totale del sistema. I Equazione cardinale: la derivata rispetto al tempo della quantità di moto totale di un sistema di punti è uguale alla risultante delle forze esterne applicate ai punti del sistema. dP = F (E) . dt (9.10) Se il sistema è isolato, pertanto non è soggetto a forze esterne, la sua quantità di moto si conserva: F ( E) = 0 P = cost . (9.11) Lo stesso accade se è nulla la risultante delle forze esterne. Se la risultante delle forze esterne ha componente nulla rispetto ad un asse z, si conserva la componente della quantità di moto rispetto allo stesso asse: Fz( E ) = 0 Pz = cost . (9.12) 9.2 Centro di massa Quando si conosce la risultante delle forze esterne applicate ad un sistema in funzione del tempo, la I equazione cardinale permette di determinare il moto di un particolare punto 100 geometrico in cui possiamo pensare che sia concentrata tutta la massa del sistema. Tale punto, in generale, non coincide con un punto materiale, ma costituisce una comoda astrazione. Esso si dice centro di massa ed ha coordinate: N N x CM = mi x i y CM = i =1 N i =1 mi N mi y i i =1 N i =1 mi z CM = mi z i i =1 N i =1 (9.13) mi dove N i =1 mi = M (9.14) rappresenta la massa totale del sistema. In un’unica equazione vettoriale si scrive: N rCM = mi ri i =1 N i =1 . (9.15) mi La posizione del centro di massa è data dalla media ponderata delle posizioni dei singoli punti del sistema pesate sulle masse dei medesimi. Se deriviamo l’equazione (9.15) rispetto al tempo, otteniamo: N v CM = mi v i i =1 M = P M (9.16) ovvero: P = M v CM . (9.17) La quantità di moto del sistema è data dal prodotto della massa per la velocità del centro di massa. Dall’equazione (9.10), con la sostituzione (9.16) si ottiene: F (E) = d( M v CM ) = M a CM . dt (9.18) Teorema del centro di massa: il centro di massa di un sistema si muove come un punto materiale di massa pari alla massa totale del sistema e soggetto alla risultante delle forze esterne applicate al sistema. In un sistema isolato, il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme. 9.3 Sistema di due punti materiali Per descrivere il moto di due punti materiali P1 e P2 soggetti soltanto alla mutua interazione può essere più conveniente, anziché riferirsi direttamente ai due punti, considerare il moto 101 relativo di un punto rispetto all’altro ed il moto del centro di massa in un sistema di riferimento inerziale. Si può verificare che questa descrizione equivale a calcolare separatamente le leggi orarie del moto dei due punti. Siano F12 ed F21 le forze che il punto 2 esercita sul punto 1 e viceversa, per la III legge della dinamica si ha: F21 = − F12 . (9.19) Le equazioni del moto di P1 e P2 in un sistema di riferimento inerziale sono: d 2 r1 F12 = m1 2 = m1a 1 dt . d 2 r2 F21 = m 2 2 = m2 a 2 dt (9.20) m F21 • 2 F12 • CM m1 Figura 2 Dividiamo la prima equazione per m1, la seconda per m2 e sottraiamo la seconda equazione dalla prima. Facendo uso della (9.19) si ottiene: d 2 (r1 − r2 ) 1 1 = + F . 2 dt m1 m 2 12 (9.21) Definiamo massa ridotta la quantità: 1 1 1 = + µ m1 m2 µ= m1 m2 . m1 + m2 (9.22) Indicando con r12 il vettore posizione del punto P1 rispetto al punto P2 ed effettuando la sostituzione (9.22), l’equazione (9.21) diviene: F12 = µ d 2 r12 = µa 12 dt (9.23) Il moto relativo di due punti soggetti solo alla mutua interazione equivale al moto di un punto di massa pari alla massa ridotta soggetto ad una forza uguale a quella con cui i punti interagiscono. Il procedimento descritto corrisponde ad una trasposizione in cui si sostituiscono ai due punti reali, due “punti virtuali”: il primo coincide con il centro di massa, pertanto, avendo escluso forze esterne, o è fermo, o si muove di moto rettilineo uniforme, il secondo “punto” descrive il moto relativo sotto l’effetto dell’interazione tra i due punti reali. 102 La conoscenza completa del moto di P1 e P2 richiede il calcolo di due leggi orarie, analogamente la conoscenza completa del moto del sistema trasposto richiede il calcolo della legge oraria dei due punti virtuali. Poiché il moto del centro di massa [rCM(t)] non può essere ricavato dalla legge di interazione, la sua posizione e velocità devono essere note per altra via, il moto relativo, invece può essere ricavato dall’equazione (9.23). Consideriamo ora le relazioni che consentono di passare dal sistema trasposto [rCM, r12] al sistema reale [r1, r2]: m1 m2 r1 + r m1 + m 2 m1 + m 2 2 r12 = r1 − r2 rCM = (9.24) Le equazioni (9.24) possono essere invertite rispetto ad r1 ed r2: m2 µ r12 = r m1 + m2 m1 12 µ m1 − r12 = r m1 + m 2 m 2 12 r1 = rCM + r2 = rCM (9.25) Quindi, come si è già detto, la conoscenza dei moti dei moto relativo e del moto del centro di massa è equivalente alla conoscenza di r1 ed r2. L’utilità del concetto di massa ridotta consiste nella possibilità di studiare il moto relativo di due particelle come se si trattasse del moto di una sola particella interagente con un punto fisso. Consideriamo due casi particolari: a) Interazione di due particelle di uguale massa m. La massa ridotta vale: µ= mm 1 = m m+m 2 (9.26) 1 m R F12 2 R • F12 CM m Figura 3 Come esempio, in Figura 3 si considera il caso di due masse uguali che, in un sistema di riferimento assoluto, ruotano intorno al centro di massa descrivendo (entrambe) un’orbita circolare di raggio R. Nel sistema di riferimento (relativo) di un corpo si vede l’altro ruotare lungo un’orbita di raggio doppio, poiché, essendo la massa ridotta pari ad ½ m, alla stessa forza corrisponde un’accelerazione centripeta doppia: F = ma 0 = µa r a r = 2a 0 . Dovendo poi essere ω identica si ha: 103 b) a r = ω2 R rel = 2 a 0 = 2 ω2 R ass (9.27) R rel = 2R ass . (9.28) Interazione di due particelle di masse m1 ed m2 con m1 << m2. La massa ridotta è: m m1 m 2 m1 = ≅ m1 1 − 1 ≈ m1 . m2 m1 + m 2 1 + m1 m2 µ= (9.29) Pertanto la massa ridotta è approssimativamente uguale a quella della particella più leggera. 9.4 Momento della quantità di moto di un sistema di punti materiali Consideriamo ancora un sistema di N punti materiali P1, P2,…,PN soggetti ad interazioni reciproche e con il mondo esterno. Sia τi il momento risultante delle forze che agiscono sul punto i-esimo rispetto ad un qualunque polo O. Tale momento può essere scomposto nel ed in quello delle forze interne τ(I) risultante dei momenti delle forze esterne τ(E) i i i = (E) i + ( I) i i = 1, 2, ,N. (9.30) Sommando sull’indice i le equazioni (9.30) si verifica facilmente che il risultante dei momenti di tutte le forze interne rispetto a qualunque polo è nullo: (I ) = N i =1 ri × Fi(I ) = 0 . (9.31) Infatti, le forze interne, oltre ad essere a due a due uguali ed opposte, hanno la stessa retta d’azione. Fj,i Pj d Pi Fi,j 0 Figura 4 Pertanto risulta: = (E ) = N i =1 ri × Fi(E ) , (9.32) cioè il momento risultante di tutte le forze agenti su un sistema di punti materiali rispetto ad un qualunque polo è pari al momento risultante delle sole forze esterne. 9.4.1 II Equazione cardinale Il momento della quantità di moto di un generico punto del sistema rispetto ad un polo O è: 104 L i = ri × p i . (9.33) Si definisce momento della quantità di moto del sistema la somma delle (9.33): L= N i =1 N Li = i =1 ri × p i . (9.34) Per ogni punto materiale: dL i = dt i (I ) = i + (E ) i . (9.35) Sommando le equazioni (9.34) e usando la definizione (9.33) si ottiene: dL = τ = τ (I ) + τ (E ) . dt (9.36) Poiché il momento risultante delle forze interne è nullo, si ottiene infine: dL = τ (E ) dt (9.37) II Equazione cardinale: la derivata rispetto al tempo del momento della quantità di moto di un sistema di punti rispetto ad un polo è uguale al momento risultante, rispetto allo stesso polo, delle forze esterne applicate al sistema. Se il sistema è isolato o se il momento delle forze esterne rispetto ad un polo O è nullo, il momento della quantità di moto del sistema si conserva. La seconda equazione cardinale scritta rispetto ad un polo mobile O’ diviene: dL 0′ = dt (E ) 0′ − v 0′ × P . (9.38) Se il polo mobile coincide con il centro di massa si ha v CM × P = v CM × Mv CM = 0 , pertanto: dL CM = dt CM . (9.39) 9.5 Energia cinetica di un sistema di punti materiali L’energia cinetica di un sistema di punti rispetto ad un sistema di riferimento è data dalla somma delle energie cinetiche di tutti i punti rispetto allo stesso sistema Ec = 9.5.1 N i =1 1 mi v 2i . 2 (9.40) Teorema di König Consideriamo ora un sistema solidale con il centro di massa, ma con orientazione invariabile rispetto al sistema inerziale considerato prima. Tra i due sistemi vale la legge di composizione delle velocità: 105 v i = v CM + v′i , (9.41) avendo indicato con vCM la velocità del centro di massa e con v´i la velocità del punto i-esimo relativa al centro di massa. Sostituendo nella (9.40) si ottiene: N Ec = i =1 N = i =1 i =1 1 m v ⋅v = 2 i i i N i =1 1 m ( v + v ′i ) ⋅ ( v CM + v i′ ) 2 i CM 1 m ( v 2 + v ′i 2 + 2 v CM ⋅ v ′i ) 2 i CM 1 M v 2CM + 2 = N 1 m i v 2i = 2 N 1 m v ′ 2 + v CM ⋅ 2 i i i =1 (9.42) N i =1 mi v ′i Si osserva che: N i =1 mi v ′i = 0 (9.43) poiché la sommatoria nella (9.43) è proporzionale alla velocità del centro di massa calcolata nel sistema di riferimento del centro di massa38. Pertanto si ottiene: Ec = 1 2 + M v CM 2 N i =1 1 mi v ′i 2 . 2 (9.44) Teorema di König: l’energia cinetica di un sistema materiale rispetto ad un sistema di riferimento (inerziale) è uguale alla somma dell’energia cinetica di un punto avente massa uguale alla massa totale del sistema e velocità uguale a quella del centro di massa e dell’energia cinetica posseduta dal sistema materiale rispetto ad un riferimento solidale con il centro di massa e con orientazione invariabile rispetto al primo sistema di riferimento. Il teorema di König consente di scomporre l’energia cinetica di un sistema di punti in due termini. Il primo termine rappresenta l’energia cinetica associata al moto “coordinato” delle particelle del sistema ed è pari all’energia cinetica del centro di massa. Il secondo termine rappresenta l’energia cinetica “interna” del sistema. Se il sistema di punti considerato soddisfa le condizione per essere trattato con i metodi della termodinamica, quest’ultimo termine ha un’importante interpretazione. Ad esempio, consideriamo le molecole di un gas contenuto in un recipiente come punti di un sistema. L’energia cinetica totale del gas dipende sia dalla stato di moto del recipiente (I termine del teorema di König) sia dall’agitazione termica delle molecole (II termine del teorema di König), tuttavia la temperatura del gas dipende solo dall’energia cinetica media delle molecole nel sistema del centro di massa (II termine del teorema di König). Infatti, se alteriamo lo stato di moto del recipiente, l’energia cinetica complessiva del gas varia, ma la sua temperatura resta costante. 9.5.2 Teorema dell’energia cinetica Per ciascun punto del sistema vale il teorema dell’energia cinetica: 38 Per definizione v CM = 1 M di centro di massa si ha: N i =1 mi v i = 1 M N i =1 ( ) m i v CM + v ′i = v CM + 1 M N i =1 m i v ′i 106 B Li = A Fi ⋅ dri = ∆ 1 m v2 , 2 i i (9.45) dove A e B sono le posizioni iniziale e finale e Fi è la risultante delle forze interne ed esterne applicate al punto i-esimo Fi = Fi( E ) + Fi( I ) . (9.46) Sommando rispetto all’indice i le equazioni (9.45), si ottiene il teorema dell’energia cinetica per un sistema di punti materiali: L TOT = N i =1 Li = ∆ N i =1 1 mi v i2 = ∆ E c = E cB − E cA . 2 (9.47) Teorema dell’energia cinetica: se un sistema di punti, sotto l’azione di forze interne ed esterne cambia il proprio stato da A a B, il lavoro di tutte le forze applicate è pari alla variazione dell’energia cinetica tra i medesimi stati. 9.6 Conservazione dell’energia in un sistema di punti Consideriamo il caso particolare in cui le forze interne siano conservative. Limitiamoci per semplicità a considerare 2 particelle che interagiscono tra loro e con il resto del mondo: F12 = − F21 F1 = F1( E ) + F12 (9.48) F2 = F2(E ) + F21 . Il lavoro delle forze F1 ed F2 è pari a: L= = B A B A (F1 ⋅ dr1 + F2 ⋅ dr2 ) (F (E ) 1 (E ) ) ⋅ dr1 + F2 ⋅ dr2 + B A (F12 ⋅ dr1 + F21 ⋅ dr2 ) = L (E ) (I ) +L (9.49) dove L(E) rappresenta il lavoro delle forze esterne ed L(I) quello delle forze interne: L(12I ) = (F12 ⋅ dr1 − F12 ⋅ dr2 ) = A B B A F12 ⋅ dr12 . (9.50) In generale, per N particelle il lavoro delle forze interne è rappresentato dalla somma di CN2 termini del tipo (9.50), dove con CN2 si è indicato il numero di combinazioni di N oggetti della classe 2 [C22 = 1, C23 = 3, C42 = 6,...]. Se la forza interna è conservativa si può scrivere: L(12I ) = B A F12 ⋅ dr12 = E p12 ( A) − E p12 ( B) . (9.51) Per una generica coppia di punti del sistema si ha analogamente: 107 L(ijI ) = B A Fij ⋅ drij = E pij (A) − E pij (B) . (9.52) Il lavoro complessivo delle forze interne può pertanto esprimersi come: L(I ) = − 1 2 N N i =1 j=1 j≠ i ∆E pij = −∆ 1 2 N N i =1 j=1 j≠ i E pij = −∆E p,int , (9.53) avendo indicato con Ep,int l’energia potenziale interna del sistema. Dal teorema dell’energia cinetica si ha: L(E ) + L(I ) = ∆E c , (9.54) dove Ec è l’energia cinetica totale del sistema. Pertanto dalle (9.54) e (9.53) si ottiene: L(E ) = ∆E c − L(I ) = ∆ E c + ∆ E p ,int . (9.55) Definiamo energia propria del sistema la somma: U = E c + E p,int . (9.56) Dalla (9.55) si ha infine: L(E ) = ∆U . (9.57) Il lavoro delle forze esterne è uguale alla variazione dell’energia propria del sistema. Se il sistema è isolato o è soggetto a forze esterne di risultante nulla, l’energia propria si conserva. Se le forze esterne sono tutte conservative, il lavoro delle forze esterne può essere espresso come differenza dell’energia potenziale esterna: L(E ) = E p,ext (A) − E p,ext ( B) = −∆E p ,ext . (9.58) In questo caso, definiamo energia totale del sistema la quantità: E = U + E p,ext . (9.59) Pertanto, dalle equazioni (9.57), (9.58) e (9.59) otteniamo: ∆E = 0 (9.60) l’energia totale di un sistema di punti soggetto solo a forze conservative, sia interne che esterne, rimane costante nel tempo. Ad esempio, consideriamo il caso di due masse m1 ed m2 unite da una molla di costante elastica k, lanciate in aria nel campo gravitazionale terrestre. L’energia cinetica rispetto al sistema di riferimento della terra è: Ec = ( ) 1 m1 v12 + m 2 v 22 . 2 (9.61) 108 L’energia potenziale interna è: 1 2 k r12 . 2 E p,int = (9.62) L’energia potenziale esterna è: E p,est = g(m1 y1 + m 2 y 2 ) . (9.63) L’energia propria è U= ( ) 1 1 m1v12 + m 2 v 22 + k r122 . 2 2 (9.64) y m1 V1 V2 m2 x z Figura 5 Ed infine l’energia totale è: E= ( ) 1 1 m1v12 + m 2 v 22 + k r122 + g(m1 y1 + m 2 y 2 ) . 2 2 (9.65) L’energia propria di un sistema di punti materiali dipende dal sistema di riferimento in cui esso si muove. In alcuni casi è interessante studiare lo stato di un sistema prescindendo dal moto del suo centro di massa rispetto ad un riferimento fisso. A questo proposito si può considerare la scomposizione dell’energia cinetica offerta dal teorema di König e definire energia interna di un sistema la somma dell’energia cinetica relativa al centro di massa Ec,CM e dell’energia potenziale interna: U int = E c,CM + E p,int (9.66) L’energia interna ha un’importante interpretazione termodinamica. 9.7 Sistemi continui (cenni) Lo studio dinamico del moto di un corpo può essere condotto sotto l’approssimazione di punto materiale quando le dimensioni del corpo sono trascurabili rispetto alle lunghezza degli spostamenti subiti dal corpo e quando la sua struttura interna è irrilevante. Quando questa approssimazione vale per un insieme di corpi interagenti, questo può essere trattato come un sistema di punti materiali. In molti casi l’approssimazione di punto materiale non può essere considerata valida; tuttavia, poiché un corpo è comunque composto di atomi, si può sempre, in linea di principio, 109 ricorrere all’approssimazione di sistema di punti materiali. Una tale approssimazione è assolutamente priva di significato pratico, ma è suscettibile di una significativa estensione. Supponiamo infatti di poter considerare infinito il numero di particelle che compongono un corpo materiale e che queste particelle siano distribuite con continuità. In questa approssimazione il corpo diviene un sistema continuo, le cui proprietà sono rappresentate dalla funzione densità: ρ( r ) = dm . dv (9.67) Per semplicità, supporremo che la densità sia funzione della posizione all’interno del corpo, ma sia costante nel tempo. Un tale corpo si dice corpo rigido. La trattazione dinamica del corpo rigido si effettua sostituendo alle Σ che compaiono nella dinamica dei sistemi, degli in ρ(r) dV. Massa del corpo M = dm = ρ(r )dV . C (9.68) C Centro di massa rCM = C rdm M = C rρdV M . (9.69) Quantità di moto P= C dp = vdm = C C vρdV . (9.70) Momento della quantità di moto L= C r × dp = r × vdm = C C r × vρdV . (9.71) Energia cinetica Ec = C 1 2 1 2 v ρdV . v dm = C 2 2 (9.72) Per un sistema continuo continuano a valere, con le opportune sostituzioni, le equazioni cardinali, il teorema del centro di massa ed i teoremi dell’energia enunciati per un sistema di punti materiali. 110 10 Legge di gravitazione universale La legge di gravitazionale universale venne ricavata da Newton nel 1686. La fondamentale importanza dell’opera di Newton in merito alla legge di gravitazione non fu tanto la formulazione della sua espressione matematica, che peraltro era già implicitamente contenuta nelle leggi di Keplero, quanto l’aver compreso la natura comune dei fenomeni celesti e dei fenomeni terrestri. Si può dire che la teoria della gravitazione nasce dal crollo del pregiudizio aristotelico, che già Galileo aveva messo in dubbio, secondo il quale l’universo era diviso in due sfere tra loro nettamente differenti: da un lato il mondo sublunare corrotto ed imperfetto, dall’altro il mondo celeste perfetto. La legge di gravitazione fu la prima espressione di una legge fisica di validità generale. In questo senso l’aggettivo universale che viene associato a tale legge deve far riflettere sul fatto ormai largamente acquisito che le leggi più importanti della fisica sono leggi valide in tutto l’universo conosciuto. Questo è uno dei fondamenti sui quali si basa lo studio moderno della fisica. La scoperta della violazione di una legge generale non è mai accettato come un’eccezione dovuta al verificarsi di condizioni particolari, ma comporta sempre un profondo mutamento nelle teorie fisiche corrispondenti, che devono essere ampliate fino a comprendere la spiegazione dei nuovi fenomeni osservati. In questo senso devono essere interpretate le formulazioni della teoria della relatività e della teoria dei quanti che costituiscono delle estensioni della meccanica di Newton. 10.1 Introduzione storica 10.1.1 Sistema tolemaico Nel II sec. d.c. Tolomeo di Alessandria (Egitto) propose un modello dell’universo allora conosciuto con al centro la terra e con il sole e gli altri pianeti in moto intorno ad essa secondo orbite complicate (epicicloidi). Benché fosse piuttosto complesso, il sistema tolemaico riusciva a prevedere in modo ragionevolmente accurato la posizione dei pianeti e avvalorava la convinzione radicata presso tutti i popoli antichi secondo la quale la terra costituiva il centro dell’universo. 10.1.2 Sistema copernicano Nel 1510 l’astronomo polacco Nicolaus Copernicus propose un rivoluzionario modello secondo il quale il sole costituisce il centro del sistema solare ed i pianeti, tra i quali la terra, ruotano intorno ad esso con periodi variabili. In un’epoca in cui prevaleva una visione dogmatica della conoscenza, tale sistema incontrò subito l’opposizione delle autorità, soprattutto religiose, in quanto contrastava con la pretesa di mantenere l’uomo, e quindi la terra, al centro dell’universo. É curioso osservare che il sistema eliocentrico era già stato proposto dall’astronomo greco Aristarco di Samo nel III secolo a.c. 10.1.3 Leggi di Keplero Per dirimere la fondamentale questione l’astronomo danese Tycho Brahe fece una accurata serie di osservazioni del moto dei pianeti. Dai dati di Brahe, l’astronomo tedesco Keplero formulò tre leggi empiriche: I. Rispetto al sole ogni pianeta descrive un’orbita ellittica di cui il sole occupa uno dei fuochi II. Il vettore posizione di ogni pianeta rispetto al sole descrive aree uguali in tempi uguali. III. Il quadrato del periodo di rivoluzione di ciascun pianeta è proporzionale al cubo del semiasse maggiore dell’orbita ellittica. T2 = kr3. 111 Le tre leggi di Keplero si limitano a formulare una descrizione cinematica del moto dei pianeti. 10.1.4 Leggi di Keplero e legge di gravitazione Dalle leggi di Keplero è possibile dedurre l’espressione della forza di attrazione gravitazionale che lega i pianeti al sole. Dalla I legge di Keplero, con una ragionevole approssimazione, assumiamo che le orbite dei pianeti siano circolari, con il sole al centro. In questo caso, essendo r costante, dalla II legge di Keplero otteniamo che anche la velocità angolare è costante: dA 1 2 dϑ = r = cost dt 2 dt dϑ = ω = cost . dt (10.1) Sempre dalla II legge di Keplero si deduce che la forza che il sole esercita sui pianeti è una forza centrale. Nelle ipotesi fatte non si ha pertanto accelerazione tangenziale. Detto F il modulo della forza che il sole esercita su un pianeta di massa m, applichiamo la II legge della dinamica al moto di quest’ultimo39. F = ma N = m v2 = mω 2 r . r (10.2) Dalla III legge di Keplero si ha: T 2 = kr 3 (10.3) 4π2 = kr 3 2 ω (10.4) ω2 = k′ , r3 (10.5) avendo posto k’=k/4π2. Dalle equazioni (10.2) e (10.5) si ottiene infine: F = k′ m . r2 (10.6) Pertanto, la forza di attrazione risulta proporzionale alla massa del pianeta ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza dal sole. Ripetendo lo stesso calcolo per un secondo pianeta si ottiene la medesima costante k´, che quindi non dipende dal particolare pianeta scelto. Per la III legge della dinamica il pianeta esercita sul sole una forza uguale ed opposta, pertanto è ragionevole ritenere che l’espressione della forza debba essere simmetrica rispetto ai corpi interagenti. Questo si ottiene imponendo che la costante k´ contenga nella sua espressione la massa MS del sole. Con questa ipotesi ed introducendo la costante di gravitazione universale γ già incontrata in precedenza, si ottiene la forza che il sole esercita su un generico pianeta: F=γ MS m . r2 (10.7) 39 A rigore, per studiare il moto relativo, si dovrebbe usare la massa ridotta, tuttavia poiché la massa del sole è molto maggiore di quella di tutti i pianeti, l'approssimazione µ=m è pienamente giustificata. 112 10.2 Legge di gravitazione universale Come è ben noto l’espressione (10.7) ha validità estremamente generale. Dati due corpi di masse m1 ed m2 posti a distanza r, la forza F con cui si attraggono si scrive in forma vettoriale: F = −γ m1m2 ur . r2 (10.8) L’equazione (10.8) costituisce la: Legge di gravitazione universale: dati due corpi qualsiasi, di dimensioni trascurabili rispetto alla loro distanza, questi si attirano con una forza diretta lungo la congiungente e di intensità proporzionale al prodotto delle masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza. La prima verifica della validità della legge di gravitazione universale venne fatta da Newton confrontando la caduta dei gravi sulla terra con il moto della luna. Detta g l’accelerazione di gravità con cui la terra attrae i corpi, dall’espressione (10.8) si ottiene: g=γ MT , R 2T (10.9) dove MT rappresenta la massa della terra e RT il suo raggio. L’accelerazione centripeta con cui la luna ruota intorno alla terra è: aL = γ MT , R 2L (10.10) dove RL rappresenta il raggio dell’orbita lunare. Il valore di g può essere facilmente ricavato dal moto di caduta dei gravi, il valore di aL è ricavabile da osservazioni astronomiche. Il rapporto g/aL non dipende dalla costante di gravitazione universale, né dalla massa della terra, ma solo dal rapporto dei raggi della terra e dell’orbita lunare: R2 g = L2 . aL RT (10.11) Il raggio della terra era già noto dall’antichità. Infatti esso è ricavabile dalla curvatura della superficie terrestre. Viceversa il raggio dell’orbita lunare era noto solo in modo approssimativo all’epoca di Newton. Ciò nonostante il calcolo del rapporto (10.11) costituì la prima verifica sperimentale dell’universalità della legge di gravitazione. Una più accurata verifica venne effettuata dal fisico Cavendish che, mediante una bilancia di torsione (Figura 1) riuscì a misurare direttamente la costante γ. La bilancia di Cavendish è costituita da un equipaggio mobile, comprendente due masse m, sospeso mediante un filo e da un manubrio fisso a cui sono collegate due masse M >> m. Inizialmente le masse M sono lontane dalle masse m. Si dà una lieve spinta all’equipaggio mobile e si determina la costante di torsione del filo misurando il periodo delle piccole oscillazioni. Successivamente, quando le masse m hanno raggiunto una condizione di equilibrio, si avvicinano le masse M e si misura l’angolo di rotazione dell’equipaggio mobile. Dalla conoscenza dell’angolo di rotazione, delle distanze relative delle masse M ed m e della costante di torsione del filo si può ricavare γ. γ = 6. 67 ⋅ 10−11 Nm2 kg 2 . (10.12) 113 Figura 1 10.3 Campo di forze gravitazionali In accordo con la definizione di campo già data in precedenza, invece di considerare la forza gravitazionale come una interazione tra due corpi, possiamo introdurre il concetto di campo di forze gravitazionali. Data una massa puntiforme M la definizione operativa del campo di forze che essa genera si fa considerando la forza che, per l’azione di M, agisce sulla massa unitaria in ciascun punto dello spazio. Dalla (10.8), posto m1 = M ed m2 = 1, si ottiene: G = −γ M ur , r2 (10.13) dove r è la distanza del generico punto P dalla massa M ed ur è il versore radiale. Le dimensioni del vettore intensità del campo gravitazionale sono quelle di una accelerazione. Se in un punto qualsiasi del campo considerato poniamo una massa m, questa risulta soggetta ad una forza: F = mG . (10.14) 10.4 Potenziale del campo gravitazionale Il campo di forze gravitazionale generato da una massa puntiforme M è un campo di forze centrali. Si è visto che un campo siffatto è conservativo. Data una massa m in un campo conservativo, il lavoro della forza cui la massa m risulta soggetta non dipende dal percorso, ma può essere espresso come differenza dell’energia potenziale per la massa m nelle posizioni iniziale e finale. Si è visto che, per un campo di forze la cui intensità dipende inversamente dal quadrato della distanza, è conveniente assumere come riferimento a cui attribuire energia potenziale nulla il punto all’infinito. Con questa ipotesi, l’energia potenziale della massa m a distanza r dalla sorgente del campo è: E p = −γ mM , r (10.15) pari al lavoro che la forza del campo compie quando la massa m si sposta dal punto considerato al punto di riferimento (infinito). Dall’equazione (10.15) si osserva che l’energia potenziale dipende dalla massa m. Seguendo un principio analogo a quello che ci ha condotto a definire un campo di forze indipendente dalla massa m, espresso dall’equazione (10.13), possiamo definire in ogni punto dello spazio la funzione potenziale gravitazionale, che rappresenta l’energia potenziale posseduta dalla massa unitaria posta nel punto considerato: 114 V = −γ M . r (10.16) Dalla definizione (10.15), l’energia potenziale di una massa m nel campo gravitazionale generato dalla massa M risulta data dal prodotto: E p = Vm . (10.17) Si osserva che l’energia potenziale di un campo gravitazionale è negativa. Questo, da una parte ha un significato puramente convenzionale, dipendendo dalla scelta del punto di riferimento già ricordata, dall’altra sta a significare che un punto materiale in un campo gravitazionale è vincolato a rimanervi a meno che non possieda una energia cinetica (positiva) maggiore del valore assoluto dell’energia potenziale, cosicché l’energia totale sia > 0. Infatti, l’energia potenziale all’infinito è nulla, pertanto un corpo che sia trovi a distanza infinita dalla massa M deve avere energia totale ≥ 0, non potendo essere negativa la sua energia cinetica. Poiché in un campo gravitazionale l’energia meccanica si conserva, per una particella si danno due casi: se la somma dell’energia potenziale e dell’energia cinetica è > 0, questa può allontanarsi indefinitamente dalla massa M e costituisce una particella libera, viceversa se l’energia meccanica è < 0, la particella è costretta a rimanere entro il campo gravitazionale e si dice legata. 10.4.1 Potenziale di N masse puntiformi Date N masse puntiformi M1, M2,..., MN, per la linearità del legame tra massa e potenziale espresso dall’equazione (10.16), il potenziale in un punto è la somma dei potenziali generati dalle singole masse: V (r ) = V1 + V2 + + VN = − γ M1 M2 + + r − r1 r − r2 + MN r − rN . (10.18) dove r rappresenta il vettore posizione del punto P in cui si calcola il potenziale ed r1, r2, … rN sono i vettori posizione delle masse M1, M1, … MN. Vale pertanto il principio di sovrapposizione. 10.4.2 Potenziale di un corpo esteso z P |r-r’| r r’ y x Figura 2 Il potenziale generato da un corpo di densità ρ(r’) in un punto di posizione r si ottiene integrando i contributi che ciascun elemento di massa ρ(r’) dx’dy’dz’, pensato puntiforme, produce nel punto considerato: 115 dV = − γ ρ(r ′) dx ' dy' dz' r − r′ V (r ) = − γ Vol (10.19) ρ(r ′) dx ' dy' dz' , r − r′ (10.20) dove r rappresenta la generica coordinata del punto P in cui si calcola il potenziale, ed r’ è la coordinata corrente lungo il volume occupato dal corpo considerato. 10.5 Esempi di campi gravitazionali 10.5.1 Campo gravitazionale di N masse puntiformi Se in una regione di spazio sono presenti più masse M1, M2,..., MN, l’intensità del campo gravitazionale in un punto P è data dalla somma vettoriale dei campi generati da ciascuna massa nel punto considerato. Infatti: F = mG 1 + mG 2 + + mG N = m(G 1 + G 2 + + G N ) = mG (10.21) Il campo vettoriale può essere rappresentato mediante le linee di forze. Queste sono delle linee tangenti in ogni punto alla direzione della forza ed orientate come questa. La rappresentazione delle linee di forza secondo il criterio di Faraday richiede che queste, in ciascuna regione dello spazio, siano tanto più fitte quanto maggiore è l’intensità del vettore del campo in quella regione. In questo modo le linee di forza danno un valutazione quantitativa del modulo del vettore oltreché la direzione ed il verso. In alternativa un campo può essere rappresentato mediante le superfici equipotenziali. Ad esempio, in Figura 3 sono rappresentate le superfici equipotenziali del campo gravitazionale generato da due corpi puntiformi di uguale massa. Figura 3 10.5.2 Campo gravitazionale di una massa estesa Il campo gravitazionale di una massa estesa può essere ottenuto mediante un’integrazione simile a quella espressa dall’equazione (10.20), tuttavia, in questo caso l’integrale assume una forma più complessa in quanto la funzione integranda (campo gravitazionale elementare dG) è un vettore, anziché uno scalare. Più semplicemente è possibile calcolare prima il potenziale mediante l’integrale scalare (10.20) e successivamente il campo ricorrendo al legame che, per un campo conservativo, esiste tra il potenziale ed il vettore del campo. Tale legame è analogo a quello già considerato nel paragrafo 8.10 che lega l’energia potenziale alla forza: G = − grad V . (10.22) 116 In alcuni casi in cui il problema presenta particolari simmetrie è possibile calcolare il campo G applicando un procedimento diretto che si avvale di un importante teorema della teoria dei campi. 10.5.3 Flusso di un vettore e teorema di Gauss Dopo aver introdotto il concetto di campo vettoriale e, conseguentemente quello di linee di forza, definiamo una quantità significativa che deriva da un parallelo idrodinamico e prende il nome di flusso di un vettore attraverso una superficie. Con riferimento alla Figura 4, dato un campo vettoriale v si definisce flusso elementare del vettore v attraverso la superficie infinitesima dS il prodotto: dφ v = v ⋅ u n dS , (10.23) essendo uN la normale alla superficie dS. Detto ϑ l’angolo tra la normale alla superficie ed il vettore v nel punto considerato, il flusso risulta pari al prodotto dell’area della superficie elementare per la proiezione di v sulla normale un dφ v = v cos ϑ dS . (10.24) Il flusso attraverso una superficie estesa S è dato dall’integrale: φ v = v ⋅ u n dS (10.25) S Data una superficie chiusa S, si dice flusso uscente del vettore v l’integrale esteso alla superficie: φ v = v ⋅ u n dS (10.26) S dove uN rappresenta la normale alla superficie orientata verso l’esterno. v ϑ un dS Figura 4 Consideriamo una massa puntiforme M ed una superficie sferica con centro in m e raggio R (Figura 5). Il flusso uscente del vettore intensità del campo gravitazionale attraverso la superficie considerata vale: φ = G ⋅ u n dS = − G dS = − γ S S ( ) M 4πR 2 = −4πγ M , 2 R (10.27) poiché il campo G è costante in modulo lungo tutti i punti della superficie ed è normale alla stessa. Pertanto il flusso non dipende da R, ma solo dalla massa contenuta entro la superficie considerata. Il risultato ottenuto ha validità generale, non solo per una superficie di forma sferica, ma per qualunque superficie chiusa (Figura 6). Consideriamo infatti una generica superficie chiusa 117 che contenga una massa puntiforme m al suo interno. L’elemento di superficie dS può essere scritto come: dS = dΩr 2 , cos ϑ (10.28) dove dΩ rappresenta l’angolo solido sotto il quale la superficie infinitesima dS è vista dal punto P in cui la massa m è localizzata, ed r è la distanza dell’elemento di superficie da tale punto. G R G M G Figura 5 Calcoliamo il flusso di G applicando la definizione (10.26) ed utilizzando la sostituzione (10.28): dS cos ϑ M = u r ⋅ u n dS = − γ M 2 S S r S r2 cos ϑ r 2 = −γ M ⋅ dΩ = − γ M dΩ 4π r 2 4π cos ϑ φ = G ⋅ u n dS = − γ (10.29) Osservando che l’integrazione di dS lungo una superficie chiusa si traduce in un integrale in dΩ su 4π si ottiene ancora: φ = -4πγM. (10.30) un dω ϑ ur ds M Figura 6 Il teorema di Gauss può essere applicato anche in presenza di masse estese aventi una densità ρ; in questo caso il flusso del campo G attraverso una superficie chiusa è pari all’integrale della densità esteso al volume racchiuso dalla superficie: φ = −4πγ Vol ρ dxdydz . (10.31) 118 Oltre al suo significato teorico, il teorema di Gauss costituisce un comodo strumento matematico per calcolare l’andamento del campo gravitazionale in tutti i casi in cui il sistema considerato presenta particolari simmetrie. 10.5.3.1 Campo gravitazionale di una sfera omogenea di densità ρ e raggio R Consideriamo una sfera omogenea di massa M, densità ρ e raggio R. Le linee di forza del campo, per simmetria, devono essere radiali; inoltre il campo G deve avere lo stesso valore in tutti i punti di una qualunque superficie sferica concentrica con la massa M. Applichiamo il teorema di Gauss ad una generica superficie sferica di raggio r. Per r < R si ha: φ = −4πγ ρ dxdydz = −4πγ τ φ = −4πr 2 G 4πr 2 G = 4πγ G = 4 3 πr ρ 3 (Th. di Gauss) (10.32) (Simmetria) (10.33) 4 3 πr ρ 3 (10.34) 4 γM πγρ r = 3 r 3 R (10.35) Dunque, all’interno della sfera il campo cresce linearmente con il raggio. Per r > R 4π r 2 G = 4πγ M G = (10.36) γM . r2 G( r ) (10.37) 1 ∝ 2 r ∝r R V( r ) ∝ ∝r 2 r R 1 r r Figura 7 Dall’equazione (10.37) si osserva che il campo gravitazionale generato da una distribuzione sferica di massa m è uguale al campo che la stessa massa genererebbe se fosse tutta concentrata nel centro. Quanto poi alla direzione ed al verso di G questi sono rispettivamente ortogonale alla superficie ed entrante. Il potenziale si ottiene integrando il campo rispetto ad r ed imponendo la condizione V(∞) = 0. 119 10.5.3.2 Campo gravitazionale di un filo indefinito di densità lineare λ Dato un filo indefinito di densità lineare λ, consideriamo il flusso attraverso il cilindro di altezza h e raggio r rappresentato in Figura 8; il campo deve avere simmetria cilindrica, pertanto il flusso attraverso le basi è nullo. Il flusso totale attraverso il cilindro è: φ = −4πγλ h (Th. di Gauss) (10.38) φ = −2πrh G (Simmetria) (10.39) Quindi: G = 2γ λ . r (10.40) La direzione del campo è quella della normale al filo nel punto considerato, mentre il verso è entrante come sempre. G r G Figura 8 10.6 Moto di un punto materiale in un campo gravitazionale Consideriamo il moto di una particella di massa m nel campo gravitazionale generato da una massa M >> m. Il sistema di riferimento abbia l’origine coincidente con il centro delle forze. Poiché M >> m, possiamo supporre che M coincida con il centro di massa e che la massa ridotta sia µ ≅ m. Supponiamo che il moto avvenga lungo una traiettoria circolare. Applicando la II legge della dinamica otteniamo: F = ma v= γ γ Mm v2 = m r2 r M . r (10.41) (10.42) L’energia potenziale e l’energia cinetica della particella sono rispettivamente: E p = −γ Ec = Mm r 1 1 Mm mv2 = γ . 2 2 r (10.43) (10.44) 120 Si osserva che l’energia potenziale è, in modulo, pari al doppio dell’energia cinetica e di segno opposto. In conseguenza di ciò, l’energia totale è negativa: 1 Mm Et = − γ = −Ec. 2 r (10.45) Questo significa che la particella non può sfuggire dal campo gravitazionale in cui si trova in quanto il suo allontanamento fino a distanza infinita, dove l’energia potenziale è nulla, richiederebbe che la sua energia cinetica divenisse negativa. Questo contrasterebbe con la convenzione scelta per l’energia cinetica in cui si è fatta corrispondere energia cinetica nulla ad una particella ferma nel sistema di riferimento considerato. In generale, si dimostra che in tutti i casi in cui l’energia totale di una particella in un campo gravitazionale è negativa l’orbita è chiusa ed è ellittica. Il centro delle forze del campo (massa M) coincide con uno dei fuochi dell’ellisse e l’eccentricità dipende dalla condizioni iniziali del moto che determinano, oltre all’energia totale, il momento della quantità di moto della particella, entrambi costanti del moto. Al contrario, se l’energia totale è positiva, la particella descrive un’orbita aperta di forma iperbolica. Per la conservazione del momento della quantità di moto, la velocità della particella è massima quando essa raggiunge il punto di minima distanza dal centro delle forze. Per la conservazione dell’energia, quando la particella esce dal campo gravitazionale (idealmente questo avviene solo a distanza infinita), la sua velocità vale: V∞ = 2 E t m . (10.46) Nel caso limite tra i due precedenti l’energia totale della particella è nulla ed il moto avviene lungo un’orbita aperta di forma parabolica. Questo caso corrisponde alla condizione in cui una particella viene abbandonata in un punto del campo gravitazionale con velocità tale che la sua energia cinetica sia uguale alla sua energia potenziale. Se il punto iniziale del moto si trova sulla superficie della terra, la velocità corrispondente ad energia totale nulla assume un significato particolare e si dice velocità di fuga. La velocità di fuga è la velocità con cui deve essere lanciato un oggetto affinché possa sfuggire al campo gravitazionale della terra, supponendo nulli gli attriti con l’aria. Anche se la condizione richiesta è ben lontana dall’essere verificata nella realtà, calcoliamo la velocità di fuga: Et = −γ vf = Mm 1 + mv 2f = 0 RT 2 2γ M . RT (10.47) (10.48) Si osserva che la velocità di fuga è la stessa in tutte le direzioni. A conferma di questo fatto si può notare che essa è stata calcolata sulla base di considerazioni energetiche di natura scalare. 10.7 Energia potenziale efficace in un campo di forze centrali Consideriamo ancora l’energia totale di una corpo di massa m nel campo di forze gravitazionali generato dalla massa M >> m. Et = 1 mM mv 2 − γ 2 r (10.49) Come nel paragrafo precedente, l’ipotesi M >> m ci consente di considerare fissa la massa M e di evitare la massa ridotta. Poiché il moto di una particella in un campo di forze centrali 121 avviene in un piano, esso può essere descritto mediante le coordinate polari (r,ϑ). La velocità espressa in tali coordinate è: v= dr dϑ ur + r uϑ . dt dt (10.50) Sostituendo nella (10.49) si ottiene: 1 dr Et = m 2 dt 2 1 dϑ + mr 2 2 dt 2 −γ mM . r (10.51) Il momento della quantità di moto di una particella rispetto al centro delle forze è: dϑ , dt L = mvr = mr 2 (10.52) pertanto il secondo termine che compare nella (10.51) può essere riscritto come: 1 2 dϑ mr dt 2 2 = L2 . 2mr 2 (10.53) Sostituendo nella (10.51) si ottiene: dr 1 Et = m dt 2 2 + L2 mM −γ . 2 r 2mr Ecentr E grav ( r ) E centr ( r ) E eff( r ) E 1( r ) (10.54) E2 r3 • Eeff r1 • r2 • E1 E 2( r ) Egrav r Figura 9 Il termine L2/2mr2 può essere interpretato come un termine di energia potenziale poiché non dipende dalla velocità del corpo, ma solo dalla sua posizione (L è una costante). Esso prende il nome di energia potenziale centrifuga. Il suo effetto è quello di modificare l’energia potenziale delle forze gravitazionali come indicato in Figura 9. La somma dell’energia potenziale centrifuga Ecentr e dell’energia potenziale gravitazionale Egra si dice energia potenziale efficace e presenta un minimo. L’energia potenziale centrifuga è l’energia potenziale della forza centrifuga presente in un sistema di riferimento non inerziale con l’asse z parallelo all’asse di rotazione e che ruoti con velocità angolare (istantanea) pari alla velocità angolare (non costante) del corpo considerato (Figura 10). In questo sistema di riferimento, il moto della particella avviene lungo l’asse r (problema monodimensionale). La scomparsa della dipendenza 122 dalla coordinata ϑ comporta la trasformazione dell’energia cinetica corrispondente in energia potenziale della forza apparente. L’energia potenziale gravitazionale è fissata una volta che siano note le masse m ed M. L’energia potenziale centrifuga dipende invece dalla massa m (nell’ipotesi M >> m) e dal momento della quantità di moto della massa m. In un campo di forze centrali il momento della quantità di moto è costante e dipende dalle condizioni iniziali. A seconda del valore del momento della quantità di moto posseduto dalla particella la curva Ecentr in Figura 9 è più o meno ripida. Momento della quantità di moto ed energia totale della massa m possono essere fissati in modo indipendente e determinano la forma dell’orbita. Il primo concorre all’andamento del potenziale totale, la seconda corrisponde ad una linea parallela all’asse r ad ordinata Et. Ad esempio, consideriamo il moto di una particella la cui energia abbia il valore E1 in Figura 9; ovviamente possiamo analizzare solo il moto lungo l’asse r. L’energia cinetica della particella è rappresentata dalla differenza tra l’energia totale e l’energia potenziale. Poiché essa non può divenire negativa, la particella è confinata ad oscillare entro una buca di potenziale. I punti di inversione del moto sono i punti r1 ed r2. Tali punti si dicono perielio ed afelio rispettivamente (con riferimento al moto di un pianeta intorno al sole) e sono la minima e massima distanza dal centro delle forze che la particella raggiunge nel suo moto. Nel sistema di riferimento non inerziale considerato, in corrispondenza dell’afelio e del perielio l’energia cinetica della particella è nulla, ma questo non significa che la particella si arresti nel suo moto intorno alla massa M. Infatti, essa mantiene una componente di velocità in direzione tangenziale. Questa componente è percepibile solo da un osservatore inerziale solidale con in centro di attrazione Per questo osservatore la velocità della particella è ortogonale al raggio vettore. Supponiamo ora che la medesima particella abbia una energia E2. In questo caso l’energia totale è positiva e la particella è libera di sfuggire dal campo di forze. Il punto r3 fornisce la distanza di massimo avvicinamento al centro della forza, mentre non esiste l’omologo di r2. Se, mantenendo costante l’energia totale, si variano le condizioni iniziali del moto (diverso momento della quantità di moto), si ottengono ancora moti confinati per energia totale negativa o particelle libere per energia totale positiva, tuttavia cambiano i valori del perielio e dell’eventuale afelio, oltreché le altre caratteristiche del moto non considerate in questo studio. y r ω m M x Figura 10 10.8 Massa inerziale e massa gravitazionale Il concetto di massa è stato introdotto all’inizio della dinamica per esprimere la costante di proporzionalità tra la forza applicata ad un corpo e l’accelerazione che ne deriva. Questa grandezza è stata definita “massa inerziale” per esprimere la resistenza dei corpi a mutare il loro stato di moto o di quiete. Successivamente, la stessa grandezza è stata usata per rappresentare l’intensità della forza con cui due corpi si attraggono secondo la legge di gravitazione universale. In questa accezione la massa viene ad assumere un significato completamente diverso: rappresenta la sorgente di un campo di forze, di cui un’altra massa risente gli effetti. Questo significato è simile a quello che viene attribuito alla carica elettrica come sorgente del 123 campo elettrico. Apparentemente non c’è alcun legame tra i due concetti di massa descritti sopra. Tuttavia si è verificato sperimentalmente che, in un qualsiasi punto della terra, trascurando gli attriti, tutti i corpi cadono lungo la verticale con la medesima accelerazione g. Questo fatto corrisponde alla rigorosa proporzionalità tra la massa inerziale e la massa gravitazionale di un qualsiasi corpo. Infatti, la forza di attrazione cui un corpo è soggetto è: F=γ mg M T R T2 = min a . (10.55) L’indipendenza dell’accelerazione a dalla massa inerziale min del corpo considerato si ottiene solo a condizione che sia: a=γ mg M T = cost m in R T2 ⇔ mg m in = cost (10.56) Numerosi e raffinati esperimenti sono stati condotti per verificare tale proporzionalità. Essi hanno sempre avuto esito positivo, pertanto è legittimo imporre l’uguaglianza tra le due grandezze considerate e, corrispondentemente, usare la stessa unità di misura (kg) per misurarle. L’uguaglianza tra massa inerziale e gravitazionale ha costituito un “accidente” fisico per secoli ed ha trovato una collocazione solo nell’ambito della teoria generale della relatività. Principio di equivalenza: non è possibile distinguere gli effetti di un campo gravitazionale dagli effetti di un sistema non inerziale. In sostanza il principio di equivalenza estende ad un qualunque sistema di riferimento il principio di relatività enunciato per i sistemi inerziali. Le leggi della fisica restano le stesse quando si passa da un sistema di riferimento ad un altro, comunque in moto rispetto al primo, purché nel secondo sistema venga introdotto un campo gravitazionale opportunamente distribuito. 124 11 Meccanica dell’urto Si dice urto un evento impulsivo in cui due corpi interagiscono fortemente per un breve intervallo di tempo. Una prima distinzione tra i fenomeni d’urto si fa considerando i corpi che interagiscono. Nel caso di urti tra corpi macroscopici (ad esempio l’urto di due palle da biliardo) le superfici dei due oggetti giungono in contato o meglio raggiungono una distanza valutabile su scale atomiche e quindi molto minore della dimensione dei corpi. Per effetto delle interazioni elettrostatiche le superfici sviluppano forze repulsive di breve durata che allontano i due corpi. Nel caso di urti tra atomi o particelle elementari (urti microscopici) le due particelle, di cui non è possibile individuare una superficie, raggiungono una distanza minima, detta parametro d’urto, alla quale si esercitano delle forze a corto raggio molto intense che fanno variare le traiettorie delle due particelle. Molti dei fenomeni della fisica elementare possono essere analizzati con i concetti relativi ai fenomeni d’urto. Nel seguito considereremo solo gli urti macroscopici. Durante il processo d’urto, al contatto delle due superfici segue un processo di compressione con conseguente deformazione dei corpi che interagiscono. Durante questo processo di deformazione, una parte dell’energia cinetica delle particelle viene trasformata in energia potenziale di deformazione dei corpi considerati ed una parte viene trasformata in calore, onde sonore ed altri effetti dissipativi (deformazioni permanenti). Successivamente la frazione di energia accumulata sotto forma di energia potenziale di deformazione dei corpi che interagiscono viene trasformata nuovamente in energia cinetica mediante un processo di distensione delle superfici durante il quale tra i due corpi si esercitano violente forze di repulsione. Sulla base delle considerazioni precedenti gli urti vengono classificati in: i) Elastici: quando durante l’urto si conserva l’energia cinetica del sistema; idealmente non si hanno dissipazioni. ii) Anelastici: quando una frazione dell’energia cinetica viene dissipata durante l’urto. In questo caso ovviamente l’energia cinetica non si conserva. iii) Perfettamente anelastici: quando, per effetto dell’urto, si ha totale compenetrazione tra i due corpi che perdono la loro identità dal punto di vista cinematico. Dopo l’urto si ha pertanto un solo corpo. Durante un urto, tra i corpi che interagiscono, si sprigionano delle forze di elevata intensità, ma di breve durata (Figura 1). Inoltre è pressoché impossibile determinare l’effettiva evoluzione temporale di queste forze che dipendono in modo imprevedibile dalla rugosità superficiale dei corpi che vengono in contatto. Pertanto è impossibile, ed è in definitiva inutile, uno studio dinamico completo dell’urto in cui si voglia determinare l’accelerazione istantanea dei corpi che interagiscono. Ciò che è importante nello studio degli urti è la variazione delle velocità (in modulo direzione e verso) delle particelle coinvolte. Se le masse delle particelle si conservano: vf = pf m vi = pi , m (11.1) avendo indicato con l’indice f la velocità e la quantità di moto finali e con l’indice i le medesime grandezze nello stato iniziale. Pertanto, lo studio dell’urto si riduce al calcolo della variazione della quantità di moto delle particelle che si urtano. 125 F(t) int F est F t Figura 1 In generale: F= dP dt ∆P = dP = F dt tf ti Fdt = p f − p i . (11.2) (11.3) Dal teorema dell’impulso: tf ti Fdt = I t i → t f . (11.4) Pertanto: ∆p = I . (11.5) In un processo d’urto non è importante l’andamento temporale della forza di interazione, ma il suo integrale rappresentato dall’area sottesa dalla curva Fint nella Figura 1. Tale integrale costituisce l’impulso della forza di interazione ed è pari alla variazione della quantità di moto delle particelle considerate. Durante il breve intervallo di tempo in cui avviene l’urto, le forze esterne, anche se presenti, hanno una intensità trascurabile rispetto a quella delle forze interne (Figura 1). Pertanto, la quantità di moto del sistema delle particelle interagenti si conserva sempre. Nel caso dell’urto tra due corpi, le variazioni delle quantità di moto sono uguali e contrarie. ∆p = 0 ∆p1 = −∆p 2 . (11.6) Nel caso di un urto elastico si conserva anche l’energia cinetica. Un urto si dice centrale se le velocità delle particelle che si urtano sono dirette lungo la stessa linea. Se le particelle hanno simmetria sferica le velocità dopo l’urto sono ancora dirette lungo la stessa linea. Nello studio dei fenomeni d’urto il sistema del centro di massa costituisce un sistema privilegiato in quanto la quantità di moto rispetto a tale sistema è sempre nulla. 126 11.1 Urti nel sistema del centro di massa 11.1.1 Urto elastico in una dimensione Consideriamo due particelle 1 e 2 ed indichiamo con il pedice i le grandezze prima dell’urto e con il pedice f quelle dopo l’urto. La quantità di moto del sistema è nulla prima e dopo l’urto p=0 (11.7) Pertanto si ha: p1,i + p 2 ,i = 0 p1,i = −p 2 ,i (11.8) p1,f + p 2, f = 0 p1,f = −p 2 ,f (11.9) Nel sistema del centro di massa le due particelle, prima e dopo l’urto si muovono con quantità di moto uguali ed opposte. Durante l’urto i due corpi sono pressoché fermi nel centro di massa e tutta l’energia cinetica si è trasformata in energia potenziale di deformazione. Se la deformazione non è permanente l’energia potenziale si ritrasforma in energia cinetica e i corpi invertono il movimento. Se questo avviene senza dissipazioni, l’urto è elastico e l’energia cinetica si conserva: E c ,i = 2 2 1 1 1 p1,i 1 p 2 ,i 1 1 1 m1 v12,i + m 2 v 22 ,i = p12,i + = + 2 2 2 m1 2 m 2 2 m1 m 2 (11.10) essendo p1,i = p 2 ,i . (11.11) L’energia cinetica dopo l’urto è analogamente: E c ,f = 1 1 1 2 p1,i . + 2 m1 m 2 (11.12) Per la conservazione dell’energia cinetica si ha: E c ,i = E c , f P12,f = p12,i (11.13) p1,i = p1,f (11.14) e conseguentemente p 2 ,i = p 2 , f . (11.15) In un urto elastico nel sistema del centro di massa i corpi, se le loro masse non mutano, conservano il modulo della velocità prima e dopo l’urto: v 1,i = v 1, f v 2 ,i = v 2 , f . (11.16) Il verso delle velocità, invece, si inverte. 127 Le considerazioni precedenti si applicano anche al caso di urti non centrali in cui i corpi dopo l’urto si muovono in una direzione diversa da quella lungo la quale si muovevano prima dell’urto. Anche nel caso di urti non centrali, se l’urto è elastico, l’energia cinetica si conserva ed i corpi mantengono la stessa velocità (in modulo). 11.1.2 Urto perfettamente anelastico in una dimensione Nel caso di urto perfettamente anelastico, dopo l’urto i due corpi si identificano con un solo corpo fermo nel centro di massa. Tutta l’energia cinetica viene convertita in calore e nell’energia di deformazione permanente dei corpi. E c ,i = 1 1 1 2 + p1,i 2 m1 m 2 E c ,f = 0 (11.17) 11.1.3 Urto anelastico in una dimensione Nel caso generale di un urto anelastico, la determinazione dello stato di moto delle particelle dopo l’urto richiede la conoscenza della frazione di energia cinetica dissipata durante l’urto. In genere questo dato non è noto a priori. 11.1.4 Riepilogo urti nel sistema del centro di massa p 2 ,i = −p1,i per definizione di centro di massa p 2 ,f = −p1,f per la conservazione della quantità di moto Urto elastico E c ,i = E c , f Urto perfettam. anelastico p1,i = p1,f E c,f = 0 p1, f = p 2, f = 0 p 2 ,i = p 2 , f pf = 0 vf = 0 11.2 Urti nel sistema di riferimento del laboratorio Lo studio degli urti nel sistema del laboratorio si esegue facendo uso delle relazioni precedenti e della legge di trasformazione delle velocità. 11.2.1 Urti centrali Per definizione di centro di massa: v CM = m1 v1,i + m2 v 2 ,i m1 + m2 (11.18) le velocità delle due particelle prima e dopo l’urto, relativamente al centro di massa sono: v1′,i = v1,i − v CM v′2 ,i = v 2 ,i − v CM (11.19) v1′,f = v1,f − v CM v′2 ,f = v 2 ,f − v CM (11.20) per un urto elastico in cui si abbia la conservazione delle masse. 128