Politecnico di Milano
Dipartimento di Fisica
G. Valentini
Meccanica
I
INDICE
1
LA FISICA ED IL METODO SPERIMENTALE
1.1
1.2
2
INTRODUZIONE
IL METODO SPERIMENTALE
GRANDEZZE FISICHE ED INDICI DI STATO
2.1
2.1.1
2.1.2
2.2
2.3
2.3.2
2.4
2.4.1
3
CINEMATICA DEL PUNTO
3.1
3.1.1
3.1.2
3.1.3
3.2
3.2.1
3.2.2
3.2.3
3.2.4
3.3
3.3.1
3.3.2
3.4
3.4.1
3.4.2
3.4.3
3.5
3.5.1
4
DEFINIZIONE DI GRANDEZZE FISICHE
LIMITI DELLA DEFINIZIONE DI GRANDEZZA FISICA
ERRORI DI MISURA
DEFINIZIONE DI INDICE DI STATO FISICO
PROCEDIMENTI DIRETTI E INDIRETTI DI MISURA
DEFINIZIONI DELLE UNITÀ FONDAMENTALI DEL SISTEMA INTERNAZIONALE
PRINCIPIO DI OMOGENEITÀ
REGOLA DI OMOGENEITÀ
MOTO DI UN PUNTO MATERIALE LUNGO UNA LINEA GEOMETRICA
VELOCITÀ SCALARE MEDIA
VELOCITÀ SCALARE ISTANTANEA
ACCELERAZIONE SCALARE
DESCRIZIONE GENERALE DEL MOTO DI UN PUNTO MATERIALE
VETTORE POSIZIONE
VELOCITÀ VETTORIALE
INTERPRETAZIONE GEOMETRICA DELLA VELOCITÀ VETTORIALE
RICERCA DELLA LEGGE ORARIA
ACCELERAZIONE
INTERPRETAZIONE GEOMETRICA DELL’ACCELERAZIONE VETTORIALE
RICERCA DELLE LEGGE ORARIA NOTA L’ACCELERAZIONE
MOTI SEMPLICI
MOTO RETTILINEO
MOTO CIRCOLARE
MOTO ARMONICO SEMPLICE
MOTO PIANO IN COORDINATE POLARI
LEGAME TRA MOTO ARMONICO E MOTO CIRCOLARE
DINAMICA DEL PUNTO
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
4.8
4.8.1
4.8.2
DEFINIZIONE DI SISTEMA INERZIALE
DEFINIZIONE DI MASSA
DEFINIZIONE DI QUANTITÀ DI MOTO
DEFINIZIONE DI FORZA E II LEGGE DELLA DINAMICA
III LEGGE DELLA DINAMICA
STATICA DEL PUNTO MATERIALE
REAZIONI VINCOLARI
CLASSIFICAZIONE DELLE FORZE
FORZA GRAVITAZIONALE
FORZA ELETTROSTATICA
1
1
2
4
4
5
6
6
6
9
9
10
12
13
14
15
17
18
19
20
21
22
23
24
26
27
27
28
30
33
34
36
36
38
40
40
42
44
45
46
46
47
II
4.8.3 FORZA MAGNETICA (FORZA DI LORENTZ)
4.8.4 FORZA NUCLEARE
4.8.5 FORZE DI ATTRITO
4.8.6 FORZE ELASTICHE
4.9 FORZE DI ATTRITO
4.9.1 ATTRITO RADENTE
4.9.2 ATTRITO DEL MEZZO (ATTRITO VISCOSO)
4.9.3 DENSITÀ E PESO SPECIFICO
4.10 IMPULSO DI UNA FORZA
4.11 PROBLEMA GENERALE DELLA DINAMICA
4.11.1 MOTO SOTTO L’EFFETTO DI UNA FORZA COSTANTE
4.11.2 MOTO LUNGO UN PIANO INCLINATO
4.11.3 MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO AD UNA MOLLA ELASTICA
4.11.4 MOTO DI UN PENDOLO SEMPLICE
4.11.5 MOTO DI UN PUNTO MATERIALE IN UN FLUIDO VISCOSO
47
48
48
48
49
49
51
51
52
53
54
55
56
57
58
5
60
CINEMATICA DEI MOTI RELATIVI
5.1 COMPOSIZIONE DEGLI SPOSTAMENTI
5.2 LEGGE DI COMPOSIZIONE DELLE VELOCITÀ
5.2.1 MOTO TRASLATORIO
5.2.2 MOTO ROTATORIO
5.3 LEGGE DI COMPOSIZIONE DELLE ACCELERAZIONI
60
61
63
64
65
6
67
DINAMICA DEI MOTI RELATIVI
6.1
6.2
6.3
6.4
7
MOTO DI UN CORPO NON SOGGETTO AD INTERAZIONI
SISTEMI DI RIFERIMENTO IN MOTO TRASLATORIO
SISTEMI DI RIFERIMENTO IN MOTO ROTATORIO
MOTO DI CADUTA DEI GRAVI
MOTO IN UN CAMPO DI FORZE CENTRALI
7.1
7.1.1
7.1.2
7.2
7.2.1
7.3
7.4
8
8.1
8.2
8.3
8.4
8.5
8.6
8.7
8.8
MOMENTO DI UN VETTORE
MOMENTO DI UNA FORZA
MOMENTO DELLA QUANTITÀ DI MOTO
II EQUAZIONE CARDINALE
CAMBIAMENTO DI POLO
CAMPO DI FORZE CENTRALI
FORZE ASSIALI
LAVORO ED ENERGIA
LAVORO ELEMENTARE DI UNA FORZA
LAVORO LUNGO UN TRATTO FINITO
POTENZA DI UNA FORZA
ENERGIA CINETICA E TEOREMA DELLE FORZE VIVE
LAVORO DI UNA FORZA COSTANTE
ENERGIA POTENZIALE
CAMPI DI FORZE CONSERVATIVI
ESEMPI DI CALCOLO DELL’ENERGIA POTENZIALE
68
69
70
72
76
76
76
77
78
79
80
82
84
84
85
86
87
88
89
90
90
III
8.8.1 ENERGIA POTENZIALE DELLA FORZA PESO
8.8.2 ENERGIA POTENZIALE DELLE FORZE ELASTICHE
8.8.3 ENERGIA POTENZIALE DELLE FORZE CENTRALI
8.8.4 ENERGIA POTENZIALE DELLA FORZA CENTRIFUGA
8.9 SUPERFICI EQUIPOTENZIALI E LINEE DI FORZA
8.10 GRADIENTE DELL’ENERGIA POTENZIALE
8.10.1 INTERPRETAZIONE GEOMETRICA DEL GRADIENTE
8.11 CONDIZIONE AFFINCHÉ UN CAMPO DI FORZE SIA CONSERVATIVO
8.12 EQUILIBRIO DI UN CORPO IN UN CAMPO DI FORZE CONSERVATIVO
8.13 TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA
8.13.1 APPLICAZIONE DEL TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA
91
91
91
92
93
93
95
96
97
97
98
9
99
DINAMICA DEI SISTEMI DI PUNTI
9.1
9.2
9.3
9.4
9.4.1
9.5
9.5.1
9.5.2
9.6
9.7
I EQUAZIONE CARDINALE
CENTRO DI MASSA
SISTEMA DI DUE PUNTI MATERIALI
MOMENTO DELLA QUANTITÀ DI MOTO DI UN SISTEMA DI PUNTI MATERIALI
II EQUAZIONE CARDINALE
ENERGIA CINETICA DI UN SISTEMA DI PUNTI MATERIALI
TEOREMA DI KÖNIG
TEOREMA DELL’ENERGIA CINETICA
CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA IN UN SISTEMA DI PUNTI
SISTEMI CONTINUI (CENNI)
100
100
101
104
104
105
105
106
107
109
10
LEGGE DI GRAVITAZIONE UNIVERSALE
111
10.1
10.1.1
10.1.2
10.1.3
10.1.4
10.2
10.3
10.4
10.4.1
10.4.2
10.5
10.5.1
10.5.2
10.5.3
10.6
10.7
10.8
11
INTRODUZIONE STORICA
SISTEMA TOLEMAICO
SISTEMA COPERNICANO
LEGGI DI KEPLERO
LEGGI DI KEPLERO E LEGGE DI GRAVITAZIONE
LEGGE DI GRAVITAZIONE UNIVERSALE
CAMPO DI FORZE GRAVITAZIONALI
POTENZIALE DEL CAMPO GRAVITAZIONALE
POTENZIALE DI N MASSE PUNTIFORMI
POTENZIALE DI UN CORPO ESTESO
ESEMPI DI CAMPI GRAVITAZIONALI
CAMPO GRAVITAZIONALE DI N MASSE PUNTIFORMI
CAMPO GRAVITAZIONALE DI UNA MASSA ESTESA
FLUSSO DI UN VETTORE E TEOREMA DI GAUSS
MOTO DI UN PUNTO MATERIALE IN UN CAMPO GRAVITAZIONALE
ENERGIA POTENZIALE EFFICACE IN UN CAMPO DI FORZE CENTRALI
MASSA INERZIALE E MASSA GRAVITAZIONALE
MECCANICA DELL’URTO
11.1 URTI NEL SISTEMA DEL CENTRO DI MASSA
11.1.1 URTO ELASTICO IN UNA DIMENSIONE
11.1.2 URTO PERFETTAMENTE ANELASTICO IN UNA DIMENSIONE
11.1.3 URTO ANELASTICO IN UNA DIMENSIONE
11.1.4 RIEPILOGO URTI NEL SISTEMA DEL CENTRO DI MASSA
111
111
111
111
112
113
114
114
115
115
116
116
116
117
120
121
123
125
127
127
128
128
128
IV
11.2 URTI NEL SISTEMA DI RIFERIMENTO DEL LABORATORIO
11.2.1 URTI CENTRALI
128
128
V
1
La Fisica ed il metodo sperimentale
1.1 Introduzione
La parola Fisica deriva dal greco φυσισ1 che significa Natura. Nel mondo occidentale i
primi studi sistematici delle scienze naturali sono da attribuire alla scuola ionica che ebbe in
Talete di Mileto (624-546 a.c.) il suo primo rappresentante. Studiando il moto del sole e della
luna, egli riuscì a predire le eclissi e gli equinozi. In geometria, oltre al teorema che porta il suo
nome, fece importanti scoperte che gli permisero di calcolare l’altezza delle piramidi
misurandone l’ombra. Nel campo della cosmogenesi, Talete riconosceva nell’acqua il principio
primo, dando inizio a quella ricerca di elementi di unificazione nella molteplicità dei fenomeni
che ha pervaso il pensiero occidentale fino ai giorni nostri.
Lo sviluppo della Fisica greca continuò grazie a filosofi e naturalisti quali Pitagora e
Archimede fino a Democrito, della scuola degli atomisti che vide tra i suoi assertori anche il
filosofo Epicuro. Il culmine delle conoscenze scientifiche nel mondo antico si ebbe con
Aristotele che riunì le conoscenze in un grande compendio allo scopo di organizzarle secondo
un modello prefissato (sistema) su cui costruire una teoria2 generale. L’importanza attribuita da
Aristotele al metodo deduttivo a scapito del metodo induttivo, che è riconosciuto alla base della
scienza moderna, dette origine ad una formulazione dogmatica delle scienze che rallentò il
progresso delle conoscenze dall’antichità fino alla fine del medio evo. Si deve a Galileo il
riconoscimento della grande importanza del metodo sperimentale e l’inizio della rinascita della
scienza.
Il rapido progresso delle scienze naturali negli ultimi secoli è cominciato da quando si è
separato il momento della ricerca scientifica da quello della ricerca filosofica, cioè da quando
gli scienziati lasciarono per lo più ad altri il compito di rispondere alla domanda “a che scopo?”,
e si limitarono a chiedersi “in che modo?”. Dunque occuparsi di scienza significa studiare i
fenomeni naturali, individuando i rapporti di causa ed effetto che li regolano, senza pretendere
di comprendere le ragioni prime per cui tali fenomeni accadono.
Fino alla fine del ‘700 la Fisica comprendeva tutte le scienze naturali (in inglese physician
significa ancora oggi medico). In seguito lo studio della natura venne diviso in due parti
principali, costituenti le scienze fisiche e le scienze biologiche. A sua volta le due più importanti
scienze fisiche sono la Fisica propriamente detta e la Chimica.
La Fisica secondo la definizione moderna è una scienza sperimentale che studia i
costituenti della materia e le loro interazioni. Scopo della Fisica è di costruire delle teorie basate
su leggi fondamentali, espresse in forma matematica, in grado di predire i risultati degli
esperimenti. In un certo senso la Fisica, riappropriandosi del significato originale di studio della
nascita delle cose (cosmogonia), va alla ricerca delle poche leggi fondamentali che regolano
l’universo3, lasciando alle altre scienze, in particolare alle scienze biologiche, lo studio dei
fenomeni complessi che non potrebbero essere interpretati in modo quantitativo.
La Fisica viene tradizionalmente divisa in Fisica classica, e Fisica moderna. La Fisica
classica può essere a sua volta divisa nelle seguenti discipline, di cui sono indicati i più illustri
scienziati che hanno contribuito a svilupparle:
1
La parola φυσισ ha la stessa radice del verbo φυω (sanscrito bhu = essere) che significa nascere.
Analogamente la parola latina natura deriva da verbo nascor. Dunque studiare la fisica, cioè la natura,
significa indagare sull'origine delle cose.
2
Teoria significa visione divina
3
Da molti anni un grande sforzo viene dedicato alla costruzione di una teoria unificata delle interazioni
fondamentali.
1
i)
Meccanica
- Galileo (1564 - 1642)
- Keplero (1571 - 1630)
- Newton (1642 - 1727)
ii)
cinematica del moto
leggi empiriche del moto dei pianeti
dinamica del moto e legge di gravitazione
universale
Termodinamica
- Joule (1818 - 1889)
- Kelvin (1824 - 1907)
- Carnot (1796 -1832)
teoria dinamica del calore
secondo principio della termodinamica
teoria delle macchine termiche
iii) Acustica ed Ottica
-
Fermat (1601 - 1665)
Huygens (1629 - 1695)
Newton (1642 - 1727)
Helmholtz (1821 - 1894)
principio di stazionarietà del cammino ottico
teoria ondulatoria della luce
teoria corpuscolare della luce ed ottica geometrica
ottica fisiologica e acustica
iv) Elettromagnetismo
-
Coulomb (1736 - 1806)
Ampère (1775 - 1836)
Faraday (1791 - 1867)
Maxwell (1831 - 1879)
elettrostatica e magnetostatica
elettrodinamica
induzione elettrostatica ed elettromagnetica
teoria unificata dei fenomeni elettrici e magnetici
La Fisica moderna riguarda gli sviluppi più recenti e comprende:
i)
Teoria della relatività
- Einstein (1879 - 1955)
ii)
teoria delle relatività speciale e generale
Fisica quantistica
-
Planck (1858 - 1947)
Bohr (1885 - 1962)
Schrödinger (1887 –1961)
Heisenberg (1901 - 1976)
ipotesi dei quanti
modello dell’atomo
meccanica ondulatoria
principio di indeterminazione
iii) Fisica atomica, Fisica nucleare e Fisica delle particelle
1.2 Il Metodo sperimentale
Il metodo sperimentale consiste nell’osservazione dei fenomeni naturali, nella realizzazione
di opportuni modelli semplificati in cui sia possibile riprodurre tali fenomeni in condizioni
controllate e nella costruzione di una teoria in grado di spiegare gli accadimenti. Una teoria
fisica deve avere un valore predittivo, deve cioè consentire di prevedere il risultato di
esperimenti diversi da quello che è stato utilizzato per la sua formulazione. Il valore di una
teoria fisica risiede proprio nella sua generalità. Ad esempio, una teoria che preveda il moto di
caduta di un particolare oggetto da una particolare posizione iniziale è di scarsa utilità anche se
è in grado di fornire previsioni molto accurate, mentre la legge di gravitazione universale che
governa la caduta di tutti i gravi sulla terra e, più in generale, l’attrazione reciproca tra due
masse ha un valore ben superiore, anche se non tiene conto di effetti perturbativi, quali l’attrito
con l’aria, che influenzano il fenomeno.
Una teoria fisica non è mai considerata definitiva, ma ha validità finché consente di
interpretare i risultati delle osservazioni. Esistono vari esempi in cui una teoria fisica ben
consolidata ha dovuto lasciare il posto ad una teoria più generale, che comprende la precedente
come caso particolare. Ad esempio, la Meccanica Newtoniana è stata superata dalla Teoria della
2
Relatività Ristretta per lo studio dei fenomeni in cui la velocità dei corpi non è trascurabile
rispetto alla velocità della luce e dalla Meccanica Quantistica per lo studio dei fenomeni atomici
e nucleari.
La Fisica si avvale della matematica per esprimere in modo quantitativo le relazioni tra le
grandezze che costituiscono gli osservabili.
Definizione: Una legge fisica è una relazione quantitativa tra grandezze, tradotta in una
equazione tra le misure delle grandezze considerate.
La formulazione di una teoria fisica mediante equazioni matematiche ci consente di
applicare i metodi del calcolo per prevedere il risultato degli esperimenti. Nonostante il grande
contributo che la matematica fornisce alla fisica, non bisogna dimenticare che la prima è una
scienza astratta, mentre la seconda è una scienza sperimentale. Così, le misure della fisica sono
sempre affette da errori, e molti operatori della matematica costituiscono una idealizzazione di
alcuni procedimenti fisicamente realizzabili. Ad esempio, in fisica non esistono né quantità
infinite ne infinitesime, ma solo quantità molto grandi o molto piccole. Gli operatori di
derivazione o di integrazione corrispondono all’esecuzione di rapporti o di somme di quantità
elementari, ma finite e comunque misurabili.
3
2
Grandezze fisiche ed indici di stato
Lo studio di un qualunque fenomeno fisico si traduce nella determinazione delle
modificazioni a cui è andato incontro lo stato fisico del sistema in osservazione. Queste
modificazioni possono essere espresse mediante relazioni quantitative tra le grandezze fisiche
che concorrono a determinare lo stato del sistema.
Esempio:
Consideriamo un punto materiale dotato di velocità v che in un intervallo di tempo ∆t si
sposta dalla posizione A alla posizione B, percorrendo un tratto di lunghezza l. Lo studio del
moto del punto comporta la determinazione degli stati iniziale (posizione A) e finale (posizione
B) e delle grandezze fisiche che descrivono il movimento: distanza l, intervallo di tempo ∆t e
velocità v.
Si noti la differenza tra grandezza fisica e stato fisico. Il concetto di grandezza fisica è
associato al concetto di estensione: come vedremo meglio in seguito, tra due grandezze della
stessa classe è sempre possibile eseguire operazioni di confronto che conducono a relazioni di <
= >. Il concetto di stato fisico corrisponde alla localizzazione entro un determinato
ordinamento. Gli stati fisici vengono individuati mediante un insieme di parametri, detti indici
di stato fisico, Due stati fisici possono essere confrontati solo in relazione alla loro identità o
non identità. Ad esempio, non si può dire che una posizione sia maggiore o minore di un’altra.
Esempi di grandezze fisiche:
Lunghezza
Massa
Forza
Lavoro
Esempi di indici di stato fisici:
Posizione
Istante di tempo
Energia
Temperatura
2.1 Definizione di grandezze fisiche
Ha senso parlare di grandezze fisiche quando è possibile stabilire canoni di confronto tra
enti omogenei.
Definizione: Un insieme di enti costituisce una classe di grandezze fisiche quando tra gli enti è
possibile stabilire relazioni di confronto (uguale, maggiore e minore) ed effettuare le
operazioni di somma e differenza (e quindi di prodotto per un numero e di rapporto).
La definizione di una grandezza fisica è intrinsecamente legata al concetto di misura. Si
consideri una classe di grandezze, per esempio quella delle lunghezze. Si fissi una grandezza
arbitraria e la si definisca unità di misura U. Data una generica grandezza G della stessa classe,
G
si può dimostrare che il rapporto x = , che si dice misura della grandezza G rispetto all’unità
U
U, è un numero reale positivo.
Il numero x rappresenta ‘quante volte U è contenuta in G’ e viene talvolta fatto seguire
dall’indicazione simbolica dell’unità scelta. Ad esempio, dire che un’asta è lunga 1.2 m,
significa che l’asta in questione contiene l’unità campione (il metro) una volta più due decimi.
Il rapporto tra due grandezze della stessa classe è sempre un numero reale positivo. Per
l’arbitrarietà dell’unità di misura, è possibile stabilire in una semplice infinità di maniere diverse
4
una corrispondenza biunivoca tra le grandezze di una classe e l’insieme dei numeri reali
positivi. In una tale corrispondenza a numeri uguali (minori, maggiori) devono corrispondere
grandezze uguali (minori, maggiori) ed alla somma (differenza, quoziente) di numeri deve
corrispondere la somma (differenza, rapporto) delle grandezze. Le corrispondenze che godono
di queste proprietà si dicono metriche e si ottengono facendo corrispondere ad ogni grandezza
il numero che ne esprime il rapporto (detto misura) rispetto ad una grandezza di riferimento,
appartenente alla medesima classe (detta unità di misura), e viceversa. Le corrispondenze
considerate costituisco un isomorfismo. Le corrispondenze metriche rendono le grandezze
isomorfe ai numeri reali positivi (le loro misure) e viceversa.
Si scelga arbitrariamente una seconda unità di misura U’. La misura x’ della grandezza G
rispetto a questa nuova unità sarà diversa dalla misura x, tuttavia esiste una legame tra esse:
x′ =
G
G U G U
U
=
⋅ = ⋅
=x⋅
U ′ U′ U U U ′
U′
(2.1)
La relazione precedente consente di passare dalla misura di una grandezza secondo una
unità (U) alla misura della stessa grandezza rispetto ad un’altra unità (U’). Dette x ed x’ tali
misure si ha dunque:
x′ = x ⋅
U
U′
(2.2)
ed analogamente:
x = x′ ⋅
U′
U
(2.3)
I rapporti U/U’ e U’/U si dicono fattori di ragguaglio.
Ad esempio, se come unità di misura delle lunghezze si scelgono il centimetro (U) ed il
pollice (U’), i fattori di ragguaglio sono rispettivamente:
U/U’=(cm/in)=0.3937
2.1.1
U’/U=(in/cm)=2.54
(2.4)
Limiti della definizione di grandezza fisica
La definizione di grandezza fisica espressa nel paragrafo precedente trae la sua
giustificazione dal concetto di estensione che trova nella geometria la sua naturale collocazione.
Così, quando si parla di confrontare o misurare la lunghezza di un’asta con quella di un’altra
asta, si presuppone che, almeno idealmente, le due lunghezze siano definibili come veri enti
geometrici. Tra le ipotesi imposte da questa visione geometrica delle grandezze fisiche si ha
che:
•
•
•
ogni classe di grandezze deve formare un insieme continuo ed illimitato di enti
lo spazio fisico ed i corpi materiali devono immaginarsi come continui costituiti di punti
euclidei.
la medesima ipotesi di continuità deve essere attribuita a tutte le proprietà dei corpi
materiali: massa, carica elettrica etc.
Queste ipotesi contrastano con l’esperienza in due importanti aspetti. i) Alcune grandezze
fisiche sono quantizzate, cioè si presentano solo come multipli di quantità piccole, ma finite.
Questo vale ad esempio per la carica elettrica. ii) Anche rimuovendo la quantizzazione esistono
ragioni pratiche (errori) che impediscono la conduzione di una misura con un grado illimitato di
precisione. Pertanto la misura di una grandezza fisica risulta sempre espressa da un numero
razionale con un numero finito di cifre significative.
5
Nella traduzione del concetto di grandezza dalla geometria alla fisica è talvolta necessario
aggiungere degli attributi estranei a quello di estensione che è l’unico rilevante per le grandezze
scalari. Ad esempio, i concetti di direzione e verso danno luogo alle grandezze vettoriali ed il
concetto di ordinamento porta ad assegnare alle misure un segno positivo o negativo. In altri
casi il segno “meno” che accompagna la misura di una grandezza fisica scalare è frutto di
convenzioni. Ad esempio, le cariche elettriche sono indicate con i simboli (+) e (-) per
rappresentare la loro diversa natura, ma l’uso dei segni matematici +/- è frutto solo di una
convenzione giustificata dalla comodità di applicare le regole del calcolo algebrico per
determinare la carica totale e gli effetti che si esprimono tra cariche di segno uguale ed opposto.
2.1.2
Errori di misura
La misura di una grandezza fisica risulta sempre affetta da errori che possono essere
classificati come errori sistematici ed errori accidentali.
Gli errori sistematici modificano il risultato di una misura in modo deterministico e
possono essere dovuti ad alterazioni permanenti dell’apparato sperimentale o ad una conduzione
errata del processo di misura. Ad esempio l’uso di un “metro” troppo lungo o troppo corto porta
ad un errore sistematico nella misurazione delle lunghezze. Analogamente, la misurazione di
una massa con una bilancia (a bracci uguali) in presenza di aria causa un errore sistematico,
seppur piccolo, per la presenza della spinta di Archimede sulla massa da misurare. Se una
misura affetta da errori sistematici viene ripetuta più volte si ottengono valori sbagliati, ma
coerenti, L’eliminazione degli errori sistematici può essere ottenuta con una attenta taratura
degli strumenti e con un’analisi del processo di misura al fine di individuare ed eliminare gli
effetti perturbativi. Una misura nella quale gli errori sistematici siano stati ridotti al minimo si
dice accurata.
Gli errori accidentali sono dovuti a fluttuazioni statistiche insite negli strumenti di misura e
nelle procedure adottate dall’operatore e portano alla dispersione dei valori ottenuti in misure
ripetute nell’intorno di un valore centrale che assume il significato di valore più probabile della
grandezza da misurare. Tale valore può essere calcolato come media aritmetica dei valori
ottenuti in un numero elevato di misure condotte con la medesima cura. Una misura poco affetta
da errori accidentali si dice precisa.
2.2 Definizione di indice di stato fisico
Definizione: per individuare univocamente uno stato fisico possiamo avvalerci della misura di
opportune grandezze che ne definiscono la “distanza” da uno stato di riferimento. Le misure di
tali grandezze costituiscono gli indici di stato fisici.
Ad esempio, per individuare la posizione di un punto materiale possiamo fare uso delle sue
coordinate (indici di stato) che ne costituiscono le distanze geometriche da un opportuno
sistema di riferimento, alla cui origine attribuiamo per definizione coordinate nulle.
Da quanto detto si capisce immediatamente che, contrariamente a quanto avviene per una
grandezza fisica, un indice di stato fisico dipende dallo stato di riferimento. Dalla definizione di
indice di stato discende che il valore assoluto della differenza di due indici di stato omogenei
costituisce sempre la misura di una grandezza fisica. Ad esempio, il valore assoluto della
differenza tra le coordinate posizionali lungo un asse costituisce la misura di una lunghezza.
2.3 Procedimenti diretti e indiretti di misura
Le classi di grandezze fisiche sono dettate dall’esperienza. Oltre alle grandezze
geometriche come lunghezze, aree, volumi, angoli (piani, diedri e solidi), si hanno grandezze
meccaniche (velocità, masse, forze, etc.), termodinamiche, elettriche, etc. Le misure di queste
grandezze vengono effettuate usando metodi diversi che appartengono a due categorie: i
procedimenti diretti ed indiretti di misura.
La misura descritta nel paragrafo 2.1 viene effettuata per confronto diretto delle grandezze
della classe considerata con la grandezza unitaria. Un procedimento diretto di misura richiede la
scelta di una unità di misura indipendente ed arbitraria: ad esempio il metro per la misura delle
6
lunghezze. Una classe di grandezze definita mediante un procedimento diretto di misura e
l’unità corrispondente si dicono fondamentali. In fisica la maggior parte delle misure si
effettuano mediante procedimenti più complessi che vengono detti indiretti. In questo caso la
misura della grandezza dipende dalla misura di altre grandezze ausiliarie di classi diverse, legate
alla grandezza da misurare di una ben determinata legge fisica4, che spesso costituisce la
definizione stessa della grandezza.
Ad esempio, nella pratica comune, la misura di una velocità (media) non si effettua per
confronto con una velocità campione (benché questo sia teoricamente possibile), ma si basa
sulla ben nota relazione che lega la velocità media allo spazio percorso in un certo tempo.
v media =
distanza percorsa ∆s
=
tempo
∆t
(2.5)
Supponendo ∆s = 1000 m e ∆t = 25 s la velocità vale:
v media =
∆S 1000 m
=
⋅ = 40 m s
∆t
25 s
(2.6)
In questo modo la misura della velocità media è stata ricondotta alla misura di uno spazio
percorso e di un intervallo di tempo. Il procedimento descritto (indiretto) definisce una classe di
grandezze derivate: la classe delle velocità scalari5. L’unità di misura corrispondente dipende
4
Si ricorda che una legge fisica è una relazione quantitativa tra grandezze, tradotta in una equazione tra
le misure delle grandezze considerate (§ 1.2).
5
Più rigorosamente, si consideri la classe delle lunghezze L e quella degli intervalli di tempo T per
definire la classe delle velocità medie scalari V.
Poiché, assegnato un cammino percorso da un punto materiale ed il tempo impiegato a percorrerlo, la
velocità media è univocamente determinata, si può istituire la seguente corrispondenza F: presi
comunque un intervallo di tempo ed una lunghezza, si assuma come velocità media corrispondente
quella posseduta da un corpo puntiforme che percorra un cammino avente la lunghezza considerata nel
tempo considerato. Dall'esperienza si deduce che la corrispondenza F è una proporzionalità di ragione
semplice e diretta rispetto alle lunghezze e di ragione semplice ed inversa rispetto agli intervalli di
tempo.
Siano L1, L2 e T1, T2 una coppia di lunghezze ed una coppia di intervalli di tempo scelti
arbitrariamente, e V1, V2 le velocità determinate secondo F, rispettivamente da L1, T1 e da L2, T2. Si
ha:
V1
L1
=
V2
L2
1
T
⋅ 1
T2
−1
.
(i)
Se scegliamo L2 = UL (unità di misura delle lunghezze) e T2 = UT (unità di misura degli intervalli di
tempo), si ha allora:
V1
L
T
= 1 ⋅ 1
VU U L U T
−1
,
(ii)
dove VU è la velocità posseduta da un punto mobile che percorra l'unità di spazio nell'unità di tempo.
Se si assume VU come unità di misura delle velocità, questa risulta univocamente determinata. e la
relazione precedente costituisce la definizione operativa di misura delle velocità. In generale è possibile
definire arbitrariamente l'unità di misura della grandezza derivata pur ricorrendo ad un procedimento
indiretto di misura. Ad esempio, definendo l'unità di misura delle velocità come UV, dalla (ii) si
ottiene:
V1 U V
L
T
⋅
= 1 ⋅ 1
VU U V U L U T
−1
(iii)
7
da due unità di misura fondamentali, quella usata per la misura delle lunghezze (metro) e quella
usata per la misura degli intervalli di tempo (secondo). La velocità unitaria è pertanto il “metro
al secondo” che si scrive m/s o ms-1.
Come si è già accennato in precedenza, un procedimento diretto di misura presuppone
l’esistenza di una unità fondamentale. Le unità di misura per avere validità pratica devono
possedere alcune caratteristiche essenziali:
1) Universalità
2) Inalterabilità
3) Facilità ad essere riprodotte
Poiché non è facile costruire unità che soddisfino le condizioni precedenti, è conveniente
definire un numero minimo di grandezze fondamentali e ricorrere a definizioni di grandezze
derivate6 per tutte le altre. In questo modo ogni misura di una grandezza è espressa mediante
relazioni tra le misure di poche grandezze fondamentali ed è indicata con riferimento alle
rispettive unità campione. Ad esempio, la misura di un’accelerazione è espressa in “metri al
secondo quadrato”, che si scrive m/s2 o ms-2, la misura di una forza è espressa in “metri per
kilogrammo al secondo quadrato”, che si indica comunemente con il simbolo N (newton).
Un Sistema di Unità di Misura7 consiste in una particolare scelta di un insieme di
grandezze fondamentali e delle loro unità campione. Tale scelta è largamente arbitraria8,
tuttavia hanno importanza pratica solo pochi sistemi di unità, considerati brevemente nel
seguito:
2.3.1.1
Sistema Internazionale o MKS
Grandezze fondamentali:
Lunghezza
Massa
Tempo
2.3.1.2
Unità di misura
Metro
Chilogrammo
Secondo
Simbolo
m
kg
s
Unità di misura
Centimetro
Grammo
Secondo
Simbolo
cm
g
s
Sistema CGS
Grandezze fondamentali:
Lunghezza
Massa
Tempo
V1 U V
L
T
⋅
= 1 ⋅ 1
U V VU U L U T
−1
.
(iv)
Passando alla relazione tra le misure delle grandezze si ottiene:
v = ⋅ t −1 ⋅
VU
.
UV
(v)
Il fattore VU/UV si dice equivalente di conversione e scompare se si sceglie l'unità di misura della
grandezza derivata pari a UV = UL/UT = VU.
6
La definizione di una classe di grandezze mediante un procedimento indiretto non impedisce che per
essa si definisca una unità di misura arbitraria, e pertanto fondamentale. Vd. nota 5 e “Polvani,
Elementi di Metrologia Teoretica, pag. 131 punto 2”.
7
A rigore la scelta delle grandezze fondamentali corrisponde alla definizione di un'Organizzazione
Metrica, nella quale possono coesistere diversi Sistemi di Unità di Misura, che corrispondono a
scelte differenti delle unità fondamentali.
8
Ad esempio, è possibile definire un'Organizzazione Metrica nella quale l'unica classe di grandezze
fondamentali è costituita dagli angoli piani. Vd. “Polvani, Elementi di Metrologia Teoretica, pag. 136”.
8
2.3.1.3
Sistema Pratico (o Tecnico)
Grandezze fondamentali:
Lunghezza
Forza
Tempo
Unità di misura
Metro
Chilogrammo peso
Secondo
Simbolo
m
kgp
s
Le unità campione necessarie in un sistema metrico possono essere costruite artificialmente,
oppure ricercate in natura. La seconda alternativa è da preferirsi in quanto le unità così definite
non sono soggette a deperimento e possono essere riprodotte in ogni parte del mondo.
2.3.2
Definizioni delle unità fondamentali del Sistema Internazionale
Metro
Fino al 1960 il metro era definito come la distanza alla temperatura di 0 °C tra
due sottili incisioni praticate su una barra di platino-iridio conservata nel
Museo di Pesi e Misure di Sèvres. Tale distanza è approssimativamente
uguale alla 40,000,000ma parte del meridiano terrestre, secondo quanto
concordato in un trattato internazionale del 1875. Dall’ottobre 1983 il metro è
definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un tempo pari a
1/299,792,458 secondi. Si è pertanto stabilito che la velocità della luce nel
vuoto è 299,792,458 m/s.
Chilogrammo
Massa di un cilindro di platino-iridio conservato a Sèvres. Essa corrisponde
approssimativamente alla massa di un dm3 di acqua alla massima densità
(3.98 °C). A tutt’oggi non esiste un campione naturale di massa definito come
multiplo di qualche massa atomica, in quanto la precisione che si può ottenere
nella realizzazione delle copie della massa campione è superiore a quella della
misura delle masse atomiche.
Secondo
Storicamente il secondo è stato definito come la 86,400ma parte del giorno
solare medio dell’anno 1900. Il giorno solare medio è 1/365.242 dell’anno
solare medio. L’anno solare è il tempo che intercorre tra due passaggi
successivi della terra attraverso l’equinozio di primavera. A causa del moto
delle maree il periodo di rotazione della terra decresce progressivamente,
pertanto è stato necessario precisare un particolare anno (1900) per la
definizione di secondo. Attualmente il secondo è definito come il multiplo di
ordine 9,192,671,770 del periodo della radiazione emessa nella transizione tra
due particolari livelli iperfini di un isotopo del cesio 133
Cs.
55
2.4 Principio di omogeneità
Le leggi fisiche, per comodità, vengono espresse da relazioni matematiche che riguardano
le misure delle grandezze che sono legate dalle leggi stesse, tuttavia l’uso delle misure al posto
delle corrispondenti grandezze è puramente strumentale. È ovvio che la legge in sé riguarda le
grandezze e non dipende da come sono scelte le unità per misurarle. Per conciliare l’assolutezza
delle leggi naturali con l’arbitrarietà della definizione delle unità di misura, la formulazione di
una legge fisica deve rispettare il principio di omogeneità:
Le equazioni che traducono leggi fisiche quantitative devono essere scritte in modo da
risultare indipendenti dalle unità di misura.
La verifica della rispondenza di una equazione che esprime una legge fisica al principio di
omogeneità può essere effettuata ricorrendo ad una regola pratica che prende il nome di regola
di omogeneità.
9
2.4.1
Regola di omogeneità
Prima di enunciare la regola di omogeneità è necessario premettere alcune definizioni.
Definizione: Il simbolo dimensionale di una grandezza è il simbolo della grandezza tra
parentesi [ ].
Definizione: Per una classe di grandezze derivate G, gli esponenti a cui risultano elevate le
misure delle grandezze fondamentali nella legge fisica che determina il procedimento indiretto
di misura si dicono dimensioni della classe di grandezze G rispetto alle classi delle grandezze
fondamentali9. Ad esempio, la classe delle velocità ha dimensioni 1 nella classe delle lunghezze
e -1 nella classe degli intervalli di tempo.
Definizione: Un’equazione dimensionale è una relazione tra simboli dimensionali. Si scrive
pertanto:
V = L
1
T
−1
(2.7)
Possiamo ora esprimere la regola di omogeneità:
Condizione necessaria e sufficiente perché, stabilita l’organizzazione metrica alla quale si
riferiscono le misure delle grandezze, l’equazione:
(2.8)
f(g, g1, g2 ...) = 0
che esprime una legge fisica10, soddisfi al principio di omogeneità, è che, moltiplicate
formalmente tutte le g per le espressioni dimensionali in fattori primi delle rispettive
grandezze di cui sono misure, e trattati i simboli dimensionali come fossero quantità
algebriche, la (2.8) sia identicamente soddisfatta.
In altre parole, la regola di omogeneità si esprime dicendo che le equazioni che rappresentano le
leggi fisiche devono essere dimensionalmente omogenee. Come esempio di applicazione della
regola di omogeneità verifichiamo la correttezza dimensionale dell’equazione:
s=
1 v2
,
2 µg
(2.9)
che esprime il minimo spazio di arresto di un’auto in funzione del coefficiente di attrito statico
delle gomme µ (grandezza adimensionale), della velocità dell’auto v e dell’accelerazione di
gravità g. In termini dimesionali l’equazione (2.9) diviene:
[L] = [V]2 ⋅ [A]−1
(2.10)
e quindi11:
[L] = [L]2 [T ]−2 ⋅ [L]−1 [T]2
9
[L] = [L] .
(2.11)
Le dimensioni sono, evidentemente, gli esponenti che compaiono nel secondo membro dell'equazione
(i) nella nota 5.
10 L’espressione
(2.8) costituisce la forma più generale con cui si possa esprimere un legame matematico
the le misure delle grandezze g.
11 Si
noti l’assenza del coefficiente adimensionale µ nell’equazione precedente.
10
L’espressione (2.9) è dimensionalmente corretta poiché l’equazione (2.11) è identicamente
soddisfatta.
La regola di omogeneità, oltre a consentire la verifica della validità formale di una
relazione tra grandezze, permette talvolta di ricavare la forma di una legge fisica quando si
conoscano tutte le grandezze che influenzano un certo fenomeno.
Ad esempio, con il metodo dimensionale è possibile determinare come il tempo t di caduta
di un grave dipende dalla sua massa m, dalla accelerazione di gravità g e dall’altezza di caduta
d. Scriviamo l’equazione che esprime tale dipendenza attribuendo esponenti incogniti , e
alle misure delle grandezze m, g e d rispettivamente.
t = k ⋅ mα g β d γ ,
(2.12)
dove k è una costante arbitraria. Le dimensioni delle grandezze coinvolte nella formula
precedente sono:
t = L
0
m = L
M
0
0
T
1
M
1
T
0
−2
g = L
1
M
0
T
d = L
1
M
0
T .
0
L’equazione dimensionale corrispondente è:
T = M
1
α
β+γ
L
T
−2 β
,
(2.13)
che per la regola di omogeneità si traduce nel sistema di equazioni:
1 = −2β
β = −1 2
0=α
α=0
0 =β+ γ
γ =1 2
Assegnando ad ,
dalla relazione
t=k
e
.
(2.14)
I valori calcolati si ottiene che il tempo di caduta di un grave è espresso
d
.
g
(2.15)
Il fattore k si ricava sperimentalmente ed è
k = 2.
(2.16)
Si osserva che, contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente, il tempo di caduta di un
grave non dipende dalla sua massa. Tale dipendenza, spesso radicata nel senso comune, può
manifestarsi solo a causa di effetti perturbativi, quali quelli prodotti dalla resistenza dell’aria.
11
3
Cinematica del Punto
La Cinematica12 descrive il moto di un corpo, nel caso più semplice di un punto materiale,
senza prestare attenzione alle cause che lo determinano.
Per individuare la posizione di un corpo à necessario considerarne la distanza da altri corpi
che costituiscono un riferimento. Inoltre, per descrivere il moto è necessario disporre di un
orologio. In generale, si assume come sistema di riferimento una terna di assi cartesiani, cioè tre
rette immaginarie nello spazio che si intersecano in un punto O e formano angoli di 90°. Un tale
sistema di riferimento è rappresentato nella Figura 1; la disposizione degli assi e la loro
orientazione corrisponde alla scelta di una terna destra, con riferimento all’allineamento di
pollice, indice e medio della mano destra lungo gli assi, secondo un ordine prestabilito.
L’inversione di uno qualunque dei tre assi trasforma la terna destra in una terna sinistra, del
tutto equivalente alla precedente, ma usata meno frequentemente in fisica. Per concretezza,
supporremo di materializzare un simile sistema di riferimento e di vincolarlo ad uno o più
oggetti fisici. Ad esempio, per studiare il moto di un corpo in un laboratorio sarà conveniente
assumere come riferimento le pareti della stanza, facendo coincidere gli assi con tre spigoli di
queste.
Benché il sistema di riferimento sia a priori arbitrario, è conveniente sceglierlo in modo
opportuno: per studiare il moto di caduta di un grave è comodo assume come sistema di
riferimento una terna di assi vincolata alla terra, per studiare il moto dei pianeti risulterà più
conveniente un sistema solidale con il sole.
Lo stato di moto o di quiete di un corpo dipende dal sistema di riferimento. Ad esempio, un
passeggero seduto su un treno è fermo rispetto a questo ma è in moto rispetto alla terra.
Un punto materiale è un oggetto fisico avente dimensioni piccole rispetto alle lunghezze
considerate nell’esperimento e privo di una struttura interna13. Ad esempio possono essere
considerate buone approssimazioni di punto materiale sia una pallina che si muova in una stanza
che un pianeta in rotazione intorno al sole. Scelta una terna di assi di riferimento O, la
descrizione quantitativa del moto di un punto P si ottiene studiando come le sue coordinate x,y,z
variano nel tempo. L’insieme delle relazioni:
x=x(t)
y=y(t)
z=z(t)
(3.1)
costituisce la legge oraria del moto del punto P.
La traiettoria percorsa dal punto P è la linea costituita dall’insieme dei punti occupati
successivamente da P nel suo moto. Una prima classificazione del moto può essere fatta in base
alla traiettoria:
Moto
Moto rettilineo
Moto circolare
Moto ellittico
Moto curvilineo
Traiettoria
Linea retta
Circonferenza
Ellisse
Linea generica
In alcuni casi è possibile ottenere l’equazione della traiettoria eliminando t nelle equazioni
parametriche della legge oraria (3.1). Ad esempio, nel piano xy, la traiettoria può essere
espressa come funzione y=y(x) o f(x,y)=0.
12 In
greco κινεµα significa movimento.
13 La
struttura interna potrebbe anche essere presente ma non deve essere coinvolta nel fenomeno
osservato.
12
z
0
y
x
Figura 1
3.1 Moto di un punto materiale lungo una linea geometrica
Se la traiettoria è nota14, la posizione di P può essere determinata univocamente definendo un
sistema di ascisse curvilinee s. La funzione:
s=s(t)
(3.2)
che descrive in funzione del tempo la distanza della posizione di P dall’origine delle ascisse
curvilinee costituisce la legge oraria del moto. La completa conoscenza del moto è pertanto
Figura 2
subordinata alla conoscenza della traiettoria e della legge oraria15.
L’ascissa curvilinea s è positiva se la posizione di P rispetto all’origine è nel verso
convenzionale individuato dalla freccia, negativa in caso contrario. La coordinata so rappresenta
la posizione di P nell’istante to di inizio dell’osservazione.
La funzione s=s(t) può essere rappresentata in un diagramma cartesiano. Con riferimento
alla Figura 3, il punto P, all’istante t=0 si trova ad una distanza so dall’origine; successivamente
se ne allontana nel verso delle s positive fino a raggiungere la massima distanza s’ (t = t’),
dopodiché inverte il verso del moto, oltrepassa l’origine O e si arresta nella posizione s” (t = t”).
Il diagramma rappresentato in Figura 3 fornisce una conoscenza completa del moto di P.
Poiché in esso non è possibile individuare una qualche regolarità, il moto si dice vario.
14 Ad
esempio lo è nel moto di un treno lungo un binario
15 L’ascissa
curvilinea s può essere utilizzata anche per scrivere le equazioni parametriche della
traiettoria:
x = x(s)
y = y(s)
z = z(s)
13
3.1.1
Velocità scalare media
Un concetto intuitivo legato al moto è la rapidità con cui esso avviene. Per dare un
significato quantitativo a questo concetto consideriamo due istanti di tempo t1 e t2, con t1 < t2, e
le ascisse s1 ed s2 occupate da P in tali istanti.
Figura 3
Per definizione, si dice velocità scalare media del punto P nell’intervallo di tempo t1t2 la
quantità:
v m ( t1 , t 2 ) =
s 2 − s1 ∆s
= ,
t 2 − t 1 ∆t
(3.3)
cioè il rapporto tra lo spostamento ∆s subito dal punto nell’intervallo di tempo considerato e
l’intervallo di tempo ∆t stesso.
L’unità di misura della velocità nel Sistema Internazionale è il ms-1. La velocità scalare media
rappresenta la pendenza della retta che congiunge i due punti (t1,s1) e (t2,s2) nel grafico della
legge oraria (Figura 4).
tgα =
s 2 − s1 ∆s
=
.
t 2 − t 1 ∆t
(3.4)
α
Figura 4
Se il valore della velocità scalare media non varia comunque si scelgano gli istanti t1 e t2, il
moto si dice uniforme e la velocità scalare v è semplicemente:
14
v=
s 2 − s1 ∆s
=
t 2 − t 1 ∆t
(3.5)
Se scegliamo come istante di inizio dell’osservazione l’istante t1=0 e come istante finale il
generico istante t abbiamo:
v=
s( t ) − s 0
t
s( t ) = s 0 + vt
(3.6)
Nel caso di moto uniforme la legge oraria s=s(t) assume una forma particolarmente semplice ed
il diagramma spazio-tempo è rappresentato da una retta.
3.1.2
Velocità scalare istantanea
Se il moto non è uniforme nello stesso intervallo di tempo il punto P percorrerà spazi
diversi a seconda della posizione lungo la traiettoria. Questo significa che la velocità, che
rappresenta intuitivamente la rapidità del movimento, muta nel tempo. Per definire in modo
rigoroso questa grandezza consideriamo un moto vario del tipo di quello rappresentato in Figura
5.
La velocità scalare media, rappresentata dalla pendenza della retta in figura, dipende dalla
particolare scelta dell’intervallo di tempo. Supponiamo ora di tenere fisso il primo istante di
tempo t e di scegliere una sequenza di istanti t2 sempre più vicini a t. La retta che congiunge i
punti (s,t) e (s2,t2) tende alla tangente alla curva nel punto considerato, fino a coincidere
praticamente con essa quando l’intervallo di tempo t2t tende a zero.
In queste condizioni la tangente dell’angolo α definisce una grandezza che chiamiamo velocità
istantanea (o semplicemente velocità) del punto P all’istante t.
Dal punto di vista matematico il procedimento considerato corrisponde al calcolo del limite
di un rapporto incrementale:
s2 − s
∆s
= lim
t2 →t t − t
∆t →0 ∆t
2
v ( t ) = lim
(3.7)
α
Figura 5
Tale limite si dice derivata di s rispetto a t, pertanto la velocità istantanea è data dalla
derivata dell’ascissa curvilinea s rispetto al tempo:
v( t ) =
ds
.
dt
(3.8)
15
Deve tuttavia essere chiaro che la rappresentazione della velocità come derivata è una
astrazione matematica. Dal punto di vista fisico non esistono grandezze infinitesime, pertanto
calcolare la velocità istantanea corrisponde a calcolare il rapporto (3.7) per istanti di tempo t2
sempre più vicini a t, fino a che tale rapporto assume un valore stabile entro gli errori di misura.
A questo punto una ulteriore riduzione dell’intervallo ∆t è priva di significato.
Se la legge oraria del moto è nota in modo analitico, come avviene ad esempio nel caso del
moto di caduta di un grave trascurando l’attrito con l’aria, la velocità può essere calcolata
mediante il calcolo differenziale.
s( t ) =
1 2
gt
2
(3.9)
v( t ) =
ds
= gt .
dt
(3.10)
In tale moto la velocità cresce uniformemente nel tempo.
Se in un particolare moto è nota la velocità scalare del punto P in funzione del tempo, è
possibile calcolare lo spazio percorso da P in un generico intervallo di tempo t1t2. A questo
scopo si rappresenti la velocità in un diagramma (v,t).
Considerato un intervallo di tempo t1t2, lo si divida in n intervallini. Lo spazio percorso da
P in un generico intervallino ∆ti vale approssimativamente:
∆si ≅ vi∆ti ,
(3.11)
dove vi è la velocità nell’intervallino ∆ti, ivi considerata costante.
(b)
(a)
Figura 6
Lo spazio s2-s1 percorso in tutto l’intervallo t2t1 sarà la somma estesa a tutti gli intervallini
(Figura 6a):
n
i =1
v i ∆t i ≅ s 2 − s1 .
(3.12)
Si può verificare che il risultato della somma precedente dipende dalla scelta degli intervalli
∆ti e da come è stata assegnata la velocità vi entro questi, tuttavia se consideriamo intervalli di
tempo sempre più piccoli e numerosi, otteniamo un valore che non dipende da tali scelte entro la
precisione delle misure. Assumeremo tale valore come misura dello spazio percorso dal punto P
nell’intervallo di tempo t1t2. In termini matematici questo procedimento corrisponde a calcolare
l’integrale definito della velocità da t2 a t1.
Lo spazio percorso vale dunque:
16
s 2 − s1 =
t2
t1
v( t )dt .
(3.13)
Dal procedimento descritto e dal significato geometrico di integrale discende che lo spazio
percorso è dato dall’area tratteggiata in Figura 6b.
Per quanto riguarda la relazione esistente tra l’operatore matematico di integrale definito ed
il calcolo dello spazio percorso, valgono le stesse considerazioni fatte in merito alla definizione
di velocità istantanea.
Nota la velocità v(t), dal procedimento di calcolo dello spazio percorso in un qualunque
intervallo di tempo, discende immediatamente il calcolo della legge oraria. Sostituendo nella
(3.13) all’istante t1 l’istante iniziale di osservazione del moto to, in cui il punto P si trova nella
posizione so, e all’istante t2 il generico istante t, otteniamo:
s( t ) − s 0 =
t
t0
v( t ′)dt ′
s( t ) = s 0 +
t
t0
v( t ′)dt ′ .
(3.14)
Si noti la sostituzione della variabile di integrazione con la variabile ausiliaria t’.
Nel caso in cui la funzione v=v(t) sia espressa in forma analitica, il calcolo della legge
oraria s=s(t) è riconducibile alla ricerca di una funzione primitiva h(t) + C della funzione v(t):
s( t ) = v( t )dt + C
s( t ) = h ( t ) + C
(3.15)
con C costante arbitraria.
Per determinare la costante C, ed individuare completamente la legge oraria è necessario
conoscere la posizione di P in un qualunque istante. Supponendo ancora nota la posizione so
all’istante t=0 si ha:
s 0 = h (0 ) + C
C = s 0 − h (0)
(3.16)
Sostituendo l’espressione di C nella (3.15) si ottiene la legge oraria.
Consideriamo il seguente esempio; la velocità in funzione del tempo sia data
dall’espressione:
v( t ) = 2at + 3bt 2
(3.17)
e all’istante iniziale to=0 sia so=a. Si ha allora:
h( t) =
(2at + 3bt )dt = at
2
C =a−0=a
2
+ bt 3
(3.18)
(3.19)
e la legge oraria è:
(
)
s( t ) = bt 3 + a t 2 + 1
3.1.3
(3.20)
Accelerazione scalare
Analogamente a quanto è stato fatto per la definizione della velocità scalare, è possibile
definire l’accelerazione scalare che rappresenta la rapidità con cui varia la velocità scalare di P.
Consideriamo due istanti di tempo t1 e t2 con t1 < t2 e le velocità scalari v1 e v2 possedute da
P in tali istanti.
17
Per definizione si dice accelerazione scalare media del punto P nell’intervallo di tempo t1t2 la
quantità:
a m ( t1 , t 2 ) =
v 2 − v 1 ∆v
=
,
t 2 − t1
∆t
(3.21)
cioè il rapporto tra la variazione di velocità ∆v subita dal punto nell’intervallo di tempo
considerato e l’intervallo di tempo ∆t stesso.
Se il valore della accelerazione scalare media non varia comunque si scelgano gli istanti t1 e t2,
il moto si dice uniformemente accelerato.
In generale, per definire l’accelerazione scalare istantanea (o più semplicemente
l’accelerazione scalare) in un generico istante t, calcoliamo l’accelerazione media tenendo
fisso il primo istante di tempo t e scegliendo una sequenza di istanti t2 sempre più vicini a t fino
a che il valore calcolato non cambia più entro le cifre significative. Tale valore viene assunto
come accelerazione scalare all’istante t. Dal punto di vista matematico il procedimento
considerato corrisponde al calcolo del limite del rapporto incrementale:
a ( t ) = lim
t2 →t
v2 − v
∆v
= lim
.
∆
t
→
0
t2 − t
∆t
(3.22)
Tale limite è la derivata di v rispetto a t, pertanto l’accelerazione scalare è data dalla derivata
dello velocità scalare rispetto al tempo t:
a(t) =
dv
.
dt
(3.23)
Le dimensioni della accelerazione sono quelle di una velocità diviso un tempo:
A = V T
−1
= L T
−2
.
(3.24)
Nel Sistema Internazionale l’accelerazione si misura in ms-2.
È bene osservare che l’accelerazione scalare ha pieno significato solo nel caso di un moto
rettilineo, infatti essa non tiene conto delle variazioni della direzione del moto che
avvengono quando il punto P percorre una traiettoria curva. Per una descrizione generale del
moto di un punto è necessario abbandonare le grandezze scalari e considerare le grandezze
vettoriali r (vettore posizione), v (velocità vettoriale) ed a (accelerazione vettoriale).
3.2 Descrizione generale del moto di un punto materiale
Il problema generale della cinematica del punto consiste nella determinazione della
posizione di un punto P nel tempo. Finora abbiamo considerato il moto lungo una traiettoria ben
definita, descritto mediante una coordinata curvilinea.
Vogliamo ora affrontare il caso generale della descrizione del moto di un punto materiale
nello spazio. A questo scopo consideriamo un sistema di riferimento costituito da una terna di
assi cartesiani. La posizione del punto P è individuata dalle tre coordinate x,y,z. L conoscenza
della legge oraria del moto richiede la determinazione delle tre funzioni:
x=x(t)
y=y(t)
z=z(t)
(3.25)
che individuano le tre coordinate del punto in funzione del tempo.
18
3.2.1
Vettore posizione
Un modo equivalente di descrivere la posizione di P è di definire un vettore r costituito dal
segmento orientato che congiunge l’origine degli assi alla posizione occupata dal punto
materiale nello spazio (Figura 7). Tale vettore si dice vettore posizione ed è un vettore
applicato. Esso si indica anche il simbolo OP.
Il modulo del vettore posizione è dato da:
r = x2 + y2 + z2
(3.26)
e rappresenta la distanza di P dall’origine degli assi.
Il vettore posizione può essere scomposto nei suoi tre vettori componenti rispetto agli assi:
r = rx + ry + rz .
(3.27)
Le componenti del vettore posizione sono costituite dalla tre coordinate x,y,z:
rx = r cos α = x
ry = r cos β = y .
(3.28)
ry = r cos γ = z
Dove α, β e γ sono gli angoli formati dal vettore posizione con gli assi. I coseni cosα, cosβ e
cosγ si dicono coseni direttori di r e si ha:
cos 2 α + cos 2 β + cos 2 γ = 1.
(3.29)
Figura 7
Se definiamo tre vettori ux, uy, uz, detti versori, di modulo unitario, paralleli agli assi, ed aventi
lo stesso verso, il vettore r può essere scritto come:
r = xu x + yu y + zu z
(3.30)
19
3.2.2
Velocità vettoriale
Indichiamo con P1 la posizione del punto materiale all’istante t1. Tale posizione è
individuata dal vettore r1. Sia P2 (r2) la posizione ad un istante successivo t2. Lo spostamento
del punto P è dato dal vettore:
∆r = r2 − r1 ,
(3.31)
differenza dei due vettori posizione nei punti P2 e P1 (Figura 8). Si faccia attenzione a non
confondere il vettore spostamento ∆r con lo spostamento del punto P lungo l’arco di traiettoria
P1P2.
Si definisce velocità vettoriale media nell’intervallo t1t2 il vettore:
v m (t 1 , t 2 ) =
r2 − r1 ∆r
=
t 2 − t 1 ∆t
(3.32)
P1
∆
P2
Figura 8
La velocità media è un vettore diretto come lo spostamento ∆r.
L’equazione vettoriale precedente corrisponde a tre equazioni scalari nelle componenti del
vettore ∆r; Infatti:
∆r = ∆x ⋅ u x + ∆y ⋅ u y + ∆z ⋅ u z .
(3.33)
Sostituendo ∆r nella (3.32) e separando le componenti scalari si ha:
x 2 − x 1 ∆x
=
∆t
t 2 − t1
y − y1 ∆y
.
v m y (t 1 , t 2 ) = 2
=
t 2 − t1
∆t
z −z
∆z
v mz (t 1 , t 2 ) = 2 1 =
t 2 − t 1 ∆t
v m x (t 1 , t 2 ) =
(3.34)
Risulta pertanto:
v m = v m x u x + v my u y + v mz u z
(3.35)
∆x
∆y
∆z
ux +
uy +
uz
∆t
∆t
∆t
(3.36)
vm =
20
In modo analogo a quanto fatto nella definizione di velocità scalare (istantanea), fissiamo
un istante t generico e consideriamo istanti t2 sempre più vicini a t fino che il rapporto ∆r/∆t
assume un valore che non dipende dalla scelta di t2 entro gli errori di misura. Tale valore è, per
definizione, la velocità vettoriale del punto P all’istante t.
Dal punto di vista matematico questo procedimento corrisponde a calcolare la derivata del
vettore posizione r rispetto al tempo:
r2 − r
∆r dr
= lim
= .
t2 →t t − t
∆t → 0 ∆t
dt
2
v ( t ) = lim
(3.37)
Analogamente a quanto scritto per la velocità media, l’espressione di v nelle sue componenti è:
v=
dx
dy
dz
ux + uy + uz.
dt
dt
dt
(3.38)
Se le equazioni della legge oraria x=x(t), y=y(t) e z=z(t) sono note in modo analitico, è
possibile determinare la velocità vettoriale calcolando le sue componenti con tre operazioni di
derivazione:
vx =
3.2.3
dx
dt
vy =
dy
dt
vz =
dz
.
dt
(3.39)
Interpretazione geometrica della velocità vettoriale
Al tendere di t2 a t, P2 tende al punto P e la direzione dello spostamento ∆r tende a quella
della tangente alla traiettoria in P. Poiché la direzione di vm è la stessa di quella di ∆r la
direzione della velocità vettoriale ( v = lim v m ) in un punto P è quella della tangente alla
∆t → 0
traiettoria nel punto considerato.
P1 uT
v
∆r
P2
vm
r1
r2
Figura 9
Ci chiediamo se esiste un legame tra la velocità vettoriale v e la velocità scalare v.
Definiamo un’ascissa curvilinea s lungo la traiettoria ed un versore uT tangente ad essa e con
verso concorde a quello dell’ascissa curvilinea. Si ha:
v = lim
∆t → 0
∆r ds
= uT = v uT .
∆t dt
(3.40)
21
Infatti al tendere di ∆t a zero, |∆r| tende a |∆s| e la sua direzione tende a quella del versore
tangente; il verso di v sarà concorde con quello di uT o discorde a seconda del segno della
velocità scalare. Dunque:
la velocità vettoriale posseduta da un punto materiale nella posizione P ha modulo uguale al
valore assoluto della velocità scalare, direzione data dal versore tangente alla traiettoria in P e
verso concorde o discorde ad uT a seconda del segno di ds/dt.
3.2.4
Ricerca della legge oraria
Se è nota la velocità vettoriale di un punto mobile in funzione del tempo ed è nota la sua
posizione r0 in un determinato istante to, è possibile ricavare la legge oraria del moto r=r(t).
Per determinare la posizione r del punto materiale in un generico istante t dividiamo
l’intervallo di tempo tot in tanti intervallini e consideriamo la somma vettoriale ∆r degli
spostamenti ∆ri ottenuti dalla relazione:
∆ri ≅ v i ∆t i ,
(3.41)
dove vi è la velocità nell’i-esimo intervallino, ivi considerata costante. Si osserva che al crescere
del numero degli intervallini somma:
∆ri ≅ ∆r
(3.42)
i
approssima con precisione crescente il valore dello spostamento ∆r, fino a che si stabilizza ad
un valore prossimo a quello effettivo (Figura 10). Dal punto di vista matematico questo
procedimento corrisponde a calcolare ∆r mediante un integrale:
∆r = r ( t ) − r0 =
t
t0
v( t ′)dt ′ .
(3.43)
z
P0
∆r
∆ri
r
r0
P
y
x
Figura 10
Esplicitando l’equazione vettoriale (3.43) nelle tre equazioni scalari corrispondenti si
ottiene:
x (t) = x 0 +
y( t ) = y 0 +
z( t ) = z 0 +
t
t0
t
t0
t
t0
v x ( t ′)dt ′
v y ( t ′)dt ′ .
(3.44)
v z ( t ′)dt ′
22
3.3 Accelerazione
In generale, nel moto di un punto materiale la velocità muta sia in modulo che in direzione.
Abbiamo già visto che l’accelerazione scalare misura la rapidità di variazione del modulo di v
(velocità scalare); vedremo che l’accelerazione vettoriale tiene conto delle variazioni sia del
modulo che della direzione di v.
Siano P1e P2 le posizioni del punto materiale agli istanti di tempo t1 e t2, e v1 e v2 le
corrispondenti velocità.
Si definisce accelerazione vettoriale media nell’intervallo t1t2 il vettore:
a m (t 1 , t 2 ) =
v 2 − v1 ∆v
=
t 2 − t1
∆t
(3.45)
che, espresso mediante le componenti cartesiane, si scrive:
am =
∆v y
∆v x
∆v z
ux +
uy +
u z.
∆t
∆t
∆t
(3.46)
Per ∆t tendente a zero si ottiene l’accelerazione vettoriale istantanea:
∆v dv
=
,
∆t → 0 ∆t
dt
a ( t ) = lim
(3.47)
con le relative componenti cartesiane:
a=
dv y
dv
dv x
ux +
u y + z u z.
dt
dt
dt
P1
(3.48)
V1
P2
v1
v2
r1
∆v
v2
r2
Figura 11
Ricordando che la velocità è la derivata del vettore posizione rispetto al tempo si può scrivere
anche:
d dr
d 2r
= 2
a=
dt dt
dt
a=
d2x
d2y
d2z
u
+
u
+
u z.
x
y
dt 2
dt 2
dt 2
(3.49)
(3.50)
23
3.3.1
Interpretazione geometrica dell’accelerazione vettoriale
L’accelerazione ha la stessa direzione e verso della variazione della velocità ∆v; dalla
Figura 11 si osserva che essa è sempre diretta verso la concavità della traiettoria, ma in generale
non è né tangente né ortogonale ad essa.
Consideriamo l’espressione della velocità:
v = v uT
(3.51)
Per la definizione di accelerazione:
a=
du
dv dv
=
uT + v T
dt dt
dt
(3.52)
Il primo termine dell’espressione precedente dipende dalla variazione del modulo della velocità
ed è tangente alla traiettoria, il secondo termine contiene la derivata del versore uT e tiene conto
della variazione nella direzione di v. Dimostriamo che esso è normale alla traiettoria.
In generale, il prodotto scalare di un versore con se stesso vale 1:
u ⋅ u = 1.
(3.53)
Derivando tale prodotto rispetto al tempo si ottiene:
d (u ⋅ u)
du
= 2u
= 0.
dt
dt
(3.54)
Se il prodotto scalare di due vettori (non nulli) è uguale a zero, i due vettori sono ortogonali,
pertanto duT/dt è ⊥ uT; inoltre, dalla Figura 12, si osserva che duT e orientato verso la concavità
della traiettoria.
Consideriamo ora due punti P e P2 occupati dal punto materiale in due istanti successivi.
Sia O l’intersezione delle normali alla traiettoria nei punti considerati. Al tendere di P2 verso P,
il punto O diviene il centro del cerchio osculatore della traiettoria nel punto P. Nell’intorno di P,
un tratto ds di traiettoria può essere confuso con un arco infinitesimo del cerchio osculatore di
lunghezza ρdϑ, dove ρ è il raggio del cerchio e dϑ è l’angolo al centro corrispondente al tratto
ds considerato.
Calcoliamo ora l’espressione duT/dt. Dalla figura 12 si deduce che l’angolo compreso tra i
versori uT in due posizioni successive vale anch’esso dϑ. Poiché tale quantità è infinitesima, il
modulo |duT| vale, a meno di infinitesimi di ordine superiore:
du T = u T dϑ = 1 dϑ = dϑ
P1
(3.55)
uT
uT
P2
u’T
un
dϑ
duT
u’T
dϑ
ρ
s
O
Figura 12
24
Si ha dunque:
v
du T
dϑ 1 ds
=
=
= .
dt
dt
ρ dt
ρ
(3.56)
Introducendo un versore uN, ortogonale alla traiettoria e orientato verso la concavità
otteniamo16:
v
du T
= uN .
ρ
dt
(3.57)
Sostituendo nella (3.52) abbiamo infine:
a=
dv
v2
uT +
uN = aT + aN
dt
ρ
(3.58)
a = a 2T + a 2N .
(3.59)
Pertanto l’accelerazione in un moto vario può essere scomposta in un componente tangente
alla traiettoria ed in un componente normale alla traiettoria (Figura 13). Vedremo in seguito
l’espressione dell’accelerazione in alcuni casi particolari di moto. In alcuni moti semplici viene
a mancare uno dei componenti dell’accelerazione:
Moto rettilineo
Moto uniforme
ρ=∞
v=costante
aN=0
aT=0
aT
an
a
Figura 13
16 In
generale, la derivata temporale di un versore u è espressa dalla relazione:
du dϑ
=
n,
dt
dt
dove n è un versore che giace nel piano π contenente u(t) ed u(t+dt), è perpendicolare ad u ed è
orientato dalla parte di u(t+dt). È possibile dare una espressione equivalente di du/dt introducendo il
vettore che ha modulo dϑ/dt, direzione ⊥ a π e verso tale da vedere avvenire la rotazione di u(t) su
u(t+dt) in senso antiorario. Si ha allora:
du
=
dt
×u .
25
3.3.2
Ricerca delle legge oraria nota l’accelerazione
A causa del legame differenziale tra velocità e accelerazione, nota quest’ultima, è possibile
ricavare il vettore velocità con un’operazione di integrazione come si era fatto per il calcolo di r
nota v [vd. equazione (3.43)(3.43)]. Anche in questo caso l’integrazione dell’accelerazione non
è sufficiente a determinare completamente la velocità all’istante generico t. A questo scopo è
necessario conoscere anche la velocità in un qualunque altro istante; ad esempio, all’istante to di
inizio nell’osservazione sia v(to)=vo. Si ha allora:
v( t ) = v 0 +
t
t0
a( t ′)dt ′ .
(3.60)
A sua volta, noto il vettore posizione ro all’istante iniziale, la velocità v(t) può essere integrata
per ottenere la legge oraria r=r(t).
Consideriamo il caso semplice in cui l’accelerazione sia costante. Questo, ad esempio è
quanto accade nel moto di un grave nel campo di attrazione terrestre. Sia:
a =g =cost
(3.61)
e sia vo il vettore velocità iniziale all’istante t=0.
Consideriamo un sistema di riferimento avente l’origine coincidente con il punto iniziale
del moto, l’asse y parallelo ed opposto al vettore g (asse verticale orientato verso l’alto) e l’asse
x nel piano individuato dai due vettori g e vo. Si osserva immediatamente che non si ha
componente del moto lungo l’asse z, infatti la componente vz è nulla all’istante iniziale e tale
rimane in quanto az=0. Dunque si tratta di studiare un moto nel piano xy.
ax =0
ay = 0
a = −gu y
(3.62)
x0 = 0
Per t = 0
(3.63)
y0 = 0
Il vettore velocità iniziale vo può essere scomposto nei suoi componenti lungo gli assi x ed
y:
v 0 x = v 0 cos α
v 0 = v 0 x u x + v 0 yu y
(3.64)
v 0 y = v 0 sin α
Possiamo considerare due moti indipendenti lungo x e lungo y. Il moto lungo x è uniforme
in quanto la componente x dell’accelerazione è nulla, il moto lungo y è un moto uniformemente
accelerato.
y
g
V0
V0y
O
V0x
x
Figura 14
26
Le equazioni corrispondenti sono:
d2x
=0
dt 2
d2y
= −g
dt 2
(3.65)
t
v x ( t ) = v 0 x + 0dt ′ = v 0 cos α
0
t
v y ( t ) = v 0 y + − gdt ′ = v 0 sin α − gt
(3.66)
0
x (t) = x 0 +
y( t ) = x 0 +
t
0
t
0
v x ( t )dt ′ =
v y ( t )dt ′ =
t
0
t
(v 0 cos α )dt ′
(v 0 sin α − gt )dt ′
0
(3.67)
La legge oraria si ottiene eseguendo le semplici integrazioni indicate nelle equazioni precedenti:
x ( t ) = v 0 cos αt
y( t ) = v 0 sin αt −
1 2
gt
2
(3.68)
L’equazione della traiettoria si ottiene eliminando il parametro t dalle equazioni (3.68):
y = tgα x −
g
x2
2 v cos 2 α
2
0
(3.69)
Si tratta di una parabola con l’asse parallelo all’asse y. Da un semplice studio sulla funzione
(3.69) si ottengono informazioni sulla massima quota raggiunta dal grave e sulla distanza
dall’origine del punto di caduta, in funzione della velocità iniziale e dell’angolo α. Tali studi
vennero condotti già in epoca antica per prevedere il punto di impatto dei proiettili di artiglieria.
3.4 Moti semplici
Consideriamo ora alcuni esempi di moto particolarmente semplici.
3.4.1
Moto rettilineo
Si definisce moto rettilineo un moto la cui traiettoria sia una linea retta. In questo caso
l’accelerazione ha solo la componente tangenziale (aN=0). Con un’opportuna scelta del sistema
di riferimento in cui l’asse x coincida con la retta del moto, il problema diviene
monodimensionale e si semplifica notevolmente.
Sia il vettore velocità che il vettore accelerazione avranno solo la componente x:
a = a ( t )u x
v = v( t )u x
(3.70)
e la legge oraria è rappresentata dalla sola equazione x=x(t).
27
y
v
s
r
O
P
ϑ
x
R
Figura 15
3.4.2
Moto circolare
Consideriamo un punto materiale che percorra una circonferenza di raggio R avente il
centro coincidente con l’origine degli assi. Fissiamo una coordinata curvilinea s sulla
circonferenza ed indichiamo con ϑ l’angolo al centro formato dal raggio vettore con l’asse x. La
velocità v è tangente alla traiettoria, ed è pertanto ortogonale al raggio vettore r. Il suo modulo è
dato dalla velocità scalare:
v=
ds
dϑ
=R
dt
dt
(3.71)
Si definisce velocità angolare la grandezza:
ω=
dϑ
dt
(3.72)
La velocità angolare ha le dimensioni di [T]-1 e si misura in rad s-1.
In generale, tale grandezza è suscettibile di una rappresentazione vettoriale. Consideriamo
il piano del moto definito come il piano del cerchio osculatore alla traiettoria nel punto P in cui
si vuole calcolare la velocità angolare; detto ϑ l'angolo al centro corrispondente al tratto ds in
Figura 12, si definisce velocità angolare il vettore che ha per modulo la derivata (3.72), per
direzione quella della normale al piano del moto e per verso quello dal quale si vede avvenire la
rotazione in senso antiorario17.
17 Si
osserva che
non è un vettore come v o a in quanto il suo verso è frutto di una convenzione.
Esistono altri esempi di vettori definiti con argomentazioni analoghe che hanno origine nella
convenzione della “mano destra” o della “rotazione antioraria” utilizzata per definire il prodotto
vettore. Tali vettori, ad esempio il momento di una forza o il momento angolare, si dicono vettori
assiali o pseudovettori per distinguerli dai vettori propriamente detti che si chiamano anche vettori
polari. Le componenti dei vettori assiali e dei vettori polari si comportano diversamente passando da
una terna destra ad una terna sinistra.
28
Se il punto P si muove su una circonferenza di raggio R con centro nell'origine degli assi,
cosicché r è in ogni istante perpendicolare alla traiettoria, dalla definizione precedente discende
che:
v=
×r.
(3.73)
v
ω
r
Figura 16
Infatti il vettore v così definito è tangente alla traiettoria, in quanto è ortogonale sia ad che a
r, ed ha modulo R dϑ/dt. In generale la relazione precedente vale se r è un vettore che
congiunge il punto P ad un qualunque punto dell'asse di rotazione.
3.4.2.1
Moto circolare uniforme
Se il moto è uniforme ω e v sono costanti e l’accelerazione ha solo la componente normale.
Pertanto essa è diretta verso il centro della circonferenza ed ha modulo:
a = aN =
v2
.
R
(3.74)
Il moto circolare uniforme è un moto periodico. Si dice periodo il tempo impiegato dal
punto a percorrere un giro18:
T=
2 πR 2 π
=
.
v
ω
(3.75)
La frequenza è per definizione l’inverso del periodo:
ν=
1
ω
=
,
T 2π
(3.76)
ha le dimensioni di [T]-1 e si misura in Hz (Hertz).
Nel moto circolare uniforme la legge oraria può essere espressa come:
ϑ = ϑ0 + ω t
s = s0 + v t
3.4.2.2
.
(3.77)
Moto circolare non uniforme
Se la velocità angolare cambia nel tempo si può definire un’accelerazione angolare nel
seguente modo:
18 In
generale un moto periodico è un moto in cui il punto mobile ritorna nella stessa posizione dopo un
tempo fisso T. In questo caso la legge oraria è una funzione periodica del tempo:
r( t ) = r ( t + T )
∀ t.
29
=
d
dt
(3.78)
Poiché il moto circolare è un moto piano e la velocità angolare non cambia direzione nel tempo
si ha:
α=
dω d 2 ϑ
= 2 .
dt
dt
(3.79)
In questo caso i componenti normale e tangenziale dell’accelerazione sono:
dv
dω
uT = R
u T = αR u T
dt
dt
,
ω2 R 2
v2
2
aN =
uN =
u N = ω Ru N
R
R
aT =
(3.80)
dove al solito uT ed uN sono i versori tangente e normale alla traiettoria.
Se centro del moto coincide con l’origine degli assi, usando la relazione (3.73) possiamo
scrivere l’accelerazione come:
a=
dv d ( × r ) d
=
=
×r +
dt
dt
dt
×
dr
.
dt
(3.81)
Se il moto è uniforme dω/dt=0 e si ottiene:
a=
×
dr
=
dt
×v =
× ( × r) .
(3.82)
Quest’ultima relazione ci sarà utile nello studio del moto di un punto materiale rispetto a due
sistemi di riferimento in moto relativo.
3.4.3
Moto armonico semplice
Un tipo di moto molto frequente in natura è il moto oscillatorio. Come vedremo nel
seguito del corso il moto di un pendolo, il moto di una massa legata ad una molla, ed in generale
tutti i moti di vibrazione appartengono a questa categoria. Un generico moto oscillatorio è di
trattazione relativamente complessa, tuttavia, in molti casi è possibile approssimare un moto
oscillatorio con un moto semplificato, trattabile matematicamente in forma chiusa, che prende il
nome di moto armonico semplice.
-A
0
A
x
Figura 17
Limitiamoci a considerare il moto di un punto materiale lungo un asse.
Per definizione si dice armonico (semplice) un moto in cui la legge oraria sia espressa
mediante l’equazione:
x ( t ) = A sin (ωt + φ)
(3.83)
30
Consideriamo ora i vari termini di questa equazione:
A
Ampiezza di oscillazione. Rappresenta la massima distanza dall’origine
raggiunta da P durante il moto.
(ωt+φ)
Fase dell’oscillazione. È l’argomento delle funzione sinusoidale (seno o coseno)
che rappresenta il moto armonico. φ si dice costante di fase ed è la fase per t=0.
ω
Pulsazione. Misura la velocità di variazione della fase espressa in rad s-1. Può
essere messa in relazione con la velocità angolare di un moto circolare uniforme
da cui può essere dedotto il moto armonico considerato.
Dimostriamo che un moto armonico è periodico di periodo T=2π/ω. Affinché ciò accada
deve essere:
A sin (ωt + φ) = A sin[ω(t + T ) + φ]
∀t
(3.84)
∀ n intero .
(3.85)
quindi:
(ωt + φ) + 2nπ = [ω(t + T ) + φ]
Semplificando l’equazione precedente si ottiene:
2nπ = ωT
T=
2 nπ
ω
(3.86)
(3.87)
31
1
Posizione
1
x( t )
0
1
1
0
0
1
1.57
3.14
4.71
6.28
7.85
9.42
11
12.57
4 .π
7.85
9.42
11
12.57
4 .π
9.42
11
12.57
4 .π
t
Velocità
1
v( t )
0
1
1
0
0
1
1.57
3.14
4.71
6.28
t
Accelerazione
1
a ( t)
0
1
1
0
0
1.57
3.14
4.71
6.28
t
7.85
Figura 18
Il generico periodo è multiplo del periodo fondamentale T=2π/ω. Come in tutti i fenomeni
periodici, si dice frequenza l’inverso del periodo. ν=1/T.
Supponiamo che la costante di fase φ sia nulla. La legge oraria è (Figura 18):
x( t ) = A sin ωt
(3.88)
La velocità scalare è:
v( t ) =
dx
= Aω cos ωt
dt
(3.89)
e l’accelerazione vale:
dv d 2 x
a(t) =
= 2 = − Aω 2 sin ωt = − ω 2 x
dt dt
(3.90)
32
Dunque l’accelerazione è in ogni istante proporzionale ed opposta allo spostamento.
L’equazione:
d2x
+ ω2x = 0
2
dt
(3.91)
è l’equazione caratteristica del moto armonico.
3.5 Moto piano in coordinate polari
Consideriamo il moto di un punto materiale in un piano xy, La posizione P del punto, oltre
che mediante le coordinate cartesiane può essere individuata mediante la distanza del punto
dall’origine degli assi (raggio vettore r) e mediante l’angolo che il vettore posizione r forma con
un asse di riferimento, per convenzione l’asse x (anomalia ϑ).
Tali coordinate si dicono coordinate polari e sono legate alle coordinate cartesiane dalle
relazioni (Figura 19):
r = x 2 + y2
y
ϑ = ± tg −1
x
(3.92)
e dalle relazioni inverse:
x = r cos ϑ
y = r sin ϑ
.
(3.93)
Si osserva che la coordinata r è uno scalare ed è ovviamente pari al modulo del vettore
posizione.
In coordinate polari la legge oraria è data dalle funzioni del tempo:
ϑ=ϑ(t)
r=r(t)
(3.94)
e l’equazione della traiettoria può essere espressa come:
r=r(ϑ)
oppure
ϑ=ϑ(r)
(3.95)
Il moto in coordinate polari dà luogo ad una interessante scomposizione della velocità.
Definiamo due versori ured uϑ rispettivamente parallelo e ortogonale al vettore posizione nel
punto considerato (Figura 20). La velocità può essere espressa come:
y
P
y
r
ϑ
x
x
Figura 19
33
v=
du
dr d(ru r ) dr
=
= ur + r r .
dt
dt
dt
dt
(3.96)
Ricordando l’espressione generale della derivata di un versore (nota 16) si ha poi:
du r dϑ
=
uϑ = ω × u r .
dt
dt
(3.97)
Quindi:
v=
dr
dϑ
dr
ur + r
uϑ = u r + r ω uϑ
dt
dt
dt
y
uϑ
r
(3.98)
ur
P
ur
v
u’r
dϑ
dϑ
dur
u’r
P’
x
Figura 20
Con una operazione di derivazione analoga alla precedente, si calcola l’accelerazione, che
può anch’essa essere scomposta nelle componenti secondo uϑ ed ur:
d 2r
dϑ
a=
−r
2
dt
dt
2
d 2ϑ
dr dϑ
ur + r 2 + 2
uϑ
dt
dt dt
(3.99)
Ha particolare significato il caso in cui aϑ=0. In questo caso l’accelerazione è sempre diretta
verso l’origine degli assi ed il moto si dice centrale.
3.5.1
Legame tra moto armonico e moto circolare
Come applicazione delle coordinate polari, consideriamo la relazione che intercorre tra un
moto armonico di pulsazione ed un moto circolare uniforme avente la medesima velocità
angolare.
Sia A il raggio della circonferenza (Figura 21). Le equazioni parametriche del moto in
coordinate polari sono:
r=A
ϑ = ωt
.
(3.100)
Applicando le formule di trasformazione in coordinate cartesiane otteniamo:
34
x = A cos ωt
y = A sin ωt
.
(3.101)
Pertanto il moto circolare uniforme può essere considerato come la composizione, lungo
due direzioni ortogonali, di due moti armonici con la stessa ampiezza (A), la stessa pulsazione
ω ed uno sfasamento relativo di π/2.
y
ω = costante
A
y(t)
O
P
ϑ(t)
x(t)
x
Figura 21
35
4
Dinamica del punto
La dinamica19 riguarda lo studio del moto di un corpo in relazione alle cause che lo
producono. Seguendo una semplificazione già considerata per la cinematica, supporremo che il
corpo sia di dimensioni piccole rispetto ai suoi spostamenti e non sia dotato di struttura interna.
Ci occuperemo dunque, per il momento, della dinamica del punto materiale.
Mentre nello studio della cinematica il punto materiale non era dotato di alcuna proprietà,
nello studio della dinamica esso è caratterizzato da una grandezza fisica che ne influenza il
comportamento in modo determinante: la massa. L’altra entità essenziale per lo studio della
dinamica è costituita dalla forza, che traduce in termini fisici quantitativi il concetto di
interazione.
La dinamica studia il moto di corpi dotati di massa sotto l’effetto delle interazioni reciproche.
La realtà fisica ci mostra una grande varietà di fenomeni in cui interviene il concetto
intuitivo di forza. Questo trae origine dalla sensazione di sforzo muscolare e si estende,
evidentemente, a tutti i casi in cui un corpo agisce nei confronti di un altro mediante un contatto
di qualunque tipo. Tuttavia, il significato di forza è molto più generale e comprende tutte le
possibili interazioni tra corpi, comprese quelle che si esplicano a distanza. Nel seguito
classificheremo le forze più importanti in famiglie secondo un approccio fenomenologico. Si
deve inoltre osservare che da un’analisi più approfondita risulta che tutte le forze esistenti in
natura possono essere ricondotte a quattro interazioni fondamentali.
Poiché nell’organizzazione metrica del Sistema Internazionale la massa è una grandezza
fondamentale, mentre la forza è una grandezza derivata, definiremo prima la massa ed in
seguito la forza (metodo di Mach). Nella definizione delle due grandezze è anche possibile
seguire la sequenza logica inversa, come potrebbe sembrare più naturale (metodo di Eulero).
Prima di procedere dobbiamo chiarire la classe di sistemi di riferimento in cui ricaveremo le
leggi della dinamica.
4.1 Definizione di sistema inerziale
Consideriamo il caso ideale di un corpo non soggetto ad interazioni con altri corpi. Ben
sappiamo che questa condizione non si può realizzare sulla terra in quanto la forza peso agirà
comunque sul corpo in esame, tuttavia non è difficile equilibrare tale forza con una uguale ed
opposta in ogni istante (reazione vincolare). Ad esempio, possiamo considerare un cubetto di
ghiaccio che scivola su un piano ben levigato; in questo caso, avendo eliminato per quanto
possibile gli attriti, la superficie del piano eserciterà sul cubetto solo una forza verticale, uguale
ed opposta al suo peso, in modo da annullarne gli effetti. Dall’esperienza si osserva che il
cubetto o sta fermo o si muove di moto rettilineo uniforme rispetto alla terra. Tuttavia, se gli
esperimenti vengono ripetuti su percorsi sufficientemente lunghi con un sistema più sofisticato
in grado di eliminare quasi completamente gli attriti (ad esempio mediante un corpo sostenuto
da un cuscino d’aria) si osserva una lieve deviazione dal moto rettilineo uniforme. Poiché è ben
noto che la terra ruota intorno al sole e soprattutto intorno al suo asse, è ragionevole attribuire
alla rotazione terrestre questa lieve deviazione dal moto rettilineo uniforme. Con una astrazione
si può facilmente immaginare che un corpo non soggetto ad interazioni si muova di moto
rettilineo uniforme in un sistema di riferimento che non partecipi alla rotazione terrestre20.
L’affermazione precedente individua un sistema di riferimento privilegiato, che prende il nome
di sistema di riferimento inerziale. Nella sua formulazione generale la definizione di sistema
inerziale perde il collegamento con i sistemi solidali con la terra e viene espressa sotto forma di
19 In
greco δυναµισ significa forza.
20 Sistemi
simili, detti “piattaforme inerziali”, sono realizzati dagli astronomi con opportuni
servomeccanismi per mantenere i telescopi puntati verso la direzione di una stella o di una galassia.
36
principio: un sistema di riferimento inerziale è un sistema rispetto al quale vale il principio di
inerzia.
Principio di inerzia (primo principio della dinamica): in un sistema di riferimento inerziale un
corpo non soggetto ad interazioni con altri corpi permane nel suo stato di quiete o di moto
rettilineo uniforme.
Il principio di inerzia è fondamentale in quanto è alla base della scelta del sistema di
riferimento, che deve precedere qualunque esperimento di dinamica. Ci si può chiedere se la
scelta di un sistema inerziale sia obbligata. In verità non lo è: si può studiare qualunque
fenomeno “dinamico” rinunciando al principio d’inerzia, ma a prezzo di notevoli complicazioni.
Il più semplice atto di moto è il moto rettilineo uniforme e averlo associato ad un corpo non
soggetto ad interazioni corrisponde alla massima semplificazione possibile. Sulla base di queste
considerazioni, il principio di inerzia può essere riformulato anche come segue:
principio di inerzia: per un osservatore inerziale le leggi della dinamica assumono la forma
più semplice.
Dal punto di vista operativo un sistema inerziale è costituito da un sistema solidale con un
corpo che, nei limiti del possibile, appaia non soggetto ad interazioni. Come già detto, un
sistema con gli assi orientati secondo le stelle, cioè un sistema che non partecipa alla rotazione
della terra, è inerziale con ottima approssimazione; tuttavia, in molte esperienze di laboratorio
anche un sistema solidale con la terra può essere considerato inerziale. Non è invece inerziale
un sistema solidale con un’auto che percorre una traiettoria curva.
È importante osservare che tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme rispetto
ad un sistema inerziale sono a loro volta inerziali. Se consideriamo due sistemi di riferimento
inerziali ed un punto materiale in moto sotto l’effetto di alcune interazioni, le coordinate e la
velocità del punto risulteranno diverse nei due sistemi, ma il suo comportamento dinamico, ed
in particolare le misure dell’accelerazione e della forza a cui è sottoposto risulteranno le stesse.
L’osservazione precedente venne fatta da Galileo21 e prende il nome di principio di relatività
galileiana:
21 Da
Galileo, "Dialogo sopra i due massimi sistemi":
Salviati. Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran
navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua,
e dentrovi dè pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando
dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate
diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i
pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel
vaso sottoposto; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso
quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè
giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose,
benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la
nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi
non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete
comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii
che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso
la prua, benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al
vostro salto; e gettando alcuna cosa al com pagno, non con più forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se
egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l'opposito; le gocciole cadranno
come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per
aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con più fatica noteranno verso la precedente
che verso la susseguente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia
luogo dell'orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente
verso tutte le parti, ne mai accaderà che si riduchino verso la parte che riguarda la poppa, quasi che
fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo trattenendosi per
aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lagrima d'incenso si farà un poco di fumo, vedrassi
37
principio di relatività galileiana: Le leggi della meccanica sono le stesse per tutti gli
osservatori inerziali.
Si è detto che tutti i sistemi inerziali sono equivalenti ai fini dello studio della dinamica. Ci
si può chiedere se esiste un sistema di riferimento assoluto, cioè un sistema di riferimento
coincidente (solidale) con lo spazio in sé, rispetto al quale misurare la velocità di tutti gli altri
sistemi inerziali. Il principio di relatività galileiana esclude la possibilità di individuare questo
osservatore preferenziale con mezzi meccanici, in quanto tutti gli esperimenti di meccanica che
si possono approntare danno lo stesso risultato in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
Alla fine ‘800 si credeva fermamente all’esistenza di un sistema assoluto pervaso da
un’entità non meglio identificata che veniva detta “etere”. Si supponeva che tutti i corpi, tra cui
anche la terra, si muovessero entro l’etere che doveva costituire anche il mezzo entro il quale
propagavano le onde elettromagnetiche, la cui trasmissione, come è noto, non richiede la
presenza di un mezzo materiale.
Vari esperimenti vennero condotti al fine di misurare la velocità della terra rispetto
all’etere, cioè rispetto al sistema assoluto, ma tutti ebbero esito negativo. Questa constatazione
suggerì al grande matematico e fisico Poincaré che il sistema assoluto non esiste, aprendo la
strada verso la teoria della relatività di Einstein che sancì definitivamente la rinuncia alla ricerca
del sistema assoluto.
Torneremo su questo argomento nel seguito del corso.
4.2 Definizione di massa
L’interazione tra due corpi determina l’alterazione del loro stato naturale di quiete o di
moto rettilineo uniforme a causa della nascita di una accelerazione. Ha senso chiedersi in quale
misura questa accelerazione dipende dalla natura dei due corpi.
a1
a2
2
1
Figura 1
Consideriamo due corpi soggetti solo alla loro interazione in un sistema di riferimento
inerziale. Ad esempio, si abbiano due carrelli scorrevoli su un piano privo di attrito, collegati da
una molla.
In una fase iniziale la molla sia trattenuta da una fune, successivamente questa venga
tagliata in modo che i due carrelli, inizialmente fermi, si mettano in movimento. È possibile
misurare le accelerazioni a1 e a2 acquistate dai carrelli durante l’interazione. Eseguendo
l’esperimento più volte, con diverse compressioni della molla, si verifica che il rapporto tra le
accelerazioni a1 e a2 rimane costante. Esso non dipende dall’entità dell’interazione ma è una
caratteristica dei corpi considerati che indichiamo con c21.
a 1( 2)
a 2(1)
= c 21 .
(4.1)
Si osservi che le accelerazioni sono state rappresentare mediante due pedici per indicare i
carrelli che interagiscono. Le considerazioni precedenti sono il frutto di una osservazione
sperimentale, e come tali devono essere accettate.
ascender in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non più verso questa
che quea parte.
38
La costante c21 è relativa alla coppia di corpi considerata e non rappresenta, almeno per il
momento, alcuna proprietà dei singoli corpi. Per attribuire generalità al procedimento e definire
una nuova classe di grandezze fisiche dobbiamo considerare un terzo carrello e farlo interagire
con i precedenti. In questo caso i rapporti delle accelerazioni valgono rispettivamente:
a 1(3)
a 3(1)
= c 31
a 3( 2 )
a 2 ( 3)
= c 23 .
(4.2)
Si verifica sperimentalmente che i rapporti c21, c31 e c23 non sono indipendenti, ma sono legati
dalla relazione:
c 23 = c 21 c 31 .
(4.3)
La relazione (4.3) può essere interpretata come legame tra le misure di una grandezza fisica
rispetto a due diverse unità di misura. Infatti, le quantità c23 e c21 possono essere assunte come
misure di una grandezza caratteristica del corpo 2 rispetto alla medesima grandezza dei corpi 3 e
1. Tali misure devono essere legate da un fattore di ragguaglio costituito dalla misura della
nuova unità rispetto alla vecchia (c31). Questo legame è costituito dalla relazione (4.3). Tale
relazione che, ripetiamo, deriva da un’osservazione sperimentale ci permette di affermare
l’esperimento descritto istituisce un procedimento di misura con il quale definiamo una nuova
classe di grandezze fisiche di natura scalare che chiamiamo classe delle masse inerziali. Si
osserva che senza la relazione (4.3), le relazioni (4.1) e (4.2) individuerebbe solo una proprietà
caratteristica delle coppie di corpi e quindi di scarso significato fisico. Il procedimento descritto
è un procedimento diretto di misura poiché consente di misurare una massa rispetto ad una
massa di riferimento. Infatti, benchè nell’esperimento si effettuino misure di accelerazione,
questa grandezza ha solo una funzione accessoria, mentre il vero confronto è effettuato con la
massa campione (carrello 1 o 3) di cui è necessaria la disponibilità fisica. Allo stesso modo, la
misura di un intervallo di tempo con un cronometro si riduce alla misura di un angolo
(posizione della lancetta del cronometro) ma il vero confronto è effettuato tra l’intervallo di
tempo da misurare (angolo spazzato dalla lancetta) e l’intervallo di tempo campione (angolo tra
due tacche sul cronometro).
In definitiva, dette M1, M2 ed M3 le masse dei carrelli 1, 2 e 3 rispettivamente, abbiamo:
c 21 =
M2
= m 2(1)
M1
c 23 =
M2
= m 2 ( 3)
M3
c 31 =
M3
= m 3(1) ,
M1
(4.4)
dove si sono indicate le grandezze con le lettere maiuscole e le loro misure con le minuscole.
La grandezza così definita è inversamente proporzionale all’accelerazione subita da un
corpo durante un’interazione e pertanto misura l’opposizione dei corpi al cambiamento di
velocità; per questo essa viene detta massa inerziale. Nel Sistema Internazionale la massa è una
grandezza fondamentale, la sua unità di misura è la massa campione di 1 kg depositata al
museo di Sèvres.
Se due corpi vengono uniti a formarne uno solo, la massa del corpo risultante è la somma
delle singole masse:
m1 + m 2 = m 3
(4.5)
Il confronto tra due masse si può facilmente effettuare misurando le accelerazioni conseguenti
ad una medesima interazione, quindi la massa soddisfa a tutte le proprietà essenziali di una
grandezza fisica.
Nell’esperimento dei due carrelli si osserva inoltre che la direzione delle accelerazioni a1 e
a2 è la stessa, mentre il loro verso è opposto. Pertanto la relazione (4.1) che esprime il legame
tra masse e accelerazioni di due corpi interagenti si scrive più correttamente:
39
m 1a 1 = − m 2 a 2 .
(4.6)
Torneremo su questa relazione nel prossimo paragrafo.
4.3 Definizione di quantità di moto
Si definisce quantità di moto p di un punto materiale la grandezza vettoriale che si ottiene come
prodotto della sua massa m per la sua velocità v.
p = mv .
(4.7)
L’esperimento dei carrelli descritto in precedenza ci permette di osservare che la variazione
della quantità di moto di due corpi soggetti solo alla mutua interazione è uguale ed opposta.
Infatti, integrando la relazione (4.6) dall’istante iniziale all’istante finale si ottiene:
m1 ∆v 1 = − m 2 ∆v 2
(4.8)
Se supponiamo che la massa sia costante, come è naturale in fisica classica, abbiamo:
∆p 1 = − ∆p 2
(4.9)
∆p 1 + ∆p 2 = 0 .
(4.10)
Indicando con p1, p2 le quantità di moto dei due corpi prima dell’interazione e con p1’, p2’ le
medesime grandezze dopo l’interazione si ottiene:
(p1′ − p1 ) + (p′2 − p 2 ) = 0
(4.11)
p1 + p 2 = p1′ + p′2
(4.12)
La quantità di moto totale di un sistema di due punti materiali soggetti esclusivamente alla
mutua interazione rimane costante.
L’affermazione precedente costituisce il principio di conservazione della quantità di
moto. Esso vale in un sistema inerziale e verrà esteso ad un sistema isolato costituito da un
numero qualunque di punti materiali nel seguito del corso.
4.4 Definizione di forza e II legge della Dinamica
In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale non soggetto ad interazioni si
muove di moto rettilineo uniforme, pertanto la sua velocità è costante. Se, come è ragionevole
assumere, la sua massa è costante, lo è anche la quantità di moto:
p = mv = cost
(4.13)
Se la condizione precedente non è soddisfatta, il moto del corpo non sarà rettilineo
uniforme, ma sarà caratterizzato da una variazione della velocità v e quindi da una variazione
della quantità di moto p. Tale variazione è tanto più rapida quanto più intensa è l’interazione.
Per definizione chiamiamo forza la quantità vettoriale:
F=
dp
dt
(4.14)
40
P1
P1
P2
dP
P2
Figura 2
che costituisce una misura dell’entità dell’interazione22.
Ogniqualvolta la quantità di moto di un punto materiale varia nel tempo diremo che esso è
soggetto ad una forza di intensità pari al modulo della derivata temporale della quantità di moto.
La forza è una grandezza vettoriale che ha la stessa direzione e lo stesso verso della
variazione della quantità di moto. Le forze sono vettori applicati, cioè oltre a possedere le
caratteristiche essenziali dei vettori (modulo, direzione e verso) esse sono caratterizzate dal
punto nel quale esplicano la loro azione. Nella dinamica del punto le forze sono applicate ai
punti materiali. Dalla definizione di quantità di moto (4.7), assumendo costante la massa si
ottiene:
F=
dp d (mv )
dv
=
=m
= ma .
dt
dt
dt
(4.15)
La relazione F = ma costituisce la II legge della dinamica (o legge di Newton) ed è una diretta
conseguenza delle definizioni di forza e di quantità di moto.
Nella meccanica classica è concettualmente equivalente definire la forza mediante la (4.14)
e derivare da questa la II legge della dinamica, anziché attribuire valore di principio23 alla legge
di Newton, come avviene in alcuni libri di testo. Il procedimento seguito in questo corso di
meccanica ha il vantaggio di definire la forza mediante una legge che mantiene la sua validità
anche in fisica relativistica. La legge di Newton costituisce un caso particolare valido in
condizioni non relativistiche, nelle quali si suppone che la massa rimanga costante.
L’equazione (4.15) costituisce il legame tra la grandezza cinematica (a) che descrive la
variazione dello stato di moto di un corpo e la causa (F) che determina tale variazione. Dato un
sistema di due corpi, se si conosce il tipo di interazione che agisce tra essi, è possibile in alcuni
casi esprimere la forza in forma analitica in funzione del tempo e dei parametri che individuano
lo stato del sistema. In questo caso, sotto opportune condizioni, la matematica integrando la
legge (4.15) consente di calcolare l’evoluzione del sistema nel tempo, attuando il fondamentale
significato predittivo di una legge fisica.
La forza è una grandezza derivata in quanto è stata definita mediante un procedimento
indiretto di misura. Infatti, dalla relazione (4.14) segue che la misura di una forza richiede la
misura della variazione di una quantità di moto e la misura di un intervallo di tempo. Con
riferimento alla (4.15) è più usuale misurare una forza come prodotto di una massa per
l’accelerazione che essa produce sulla massa. Nel Sistema Internazionale, l’unità di misura delle
forze è il newton (N).
Un newton è la forza che, applicata ad un corpo di massa 1kg, gli impartisce un’accelerazione
di 1ms-2
22 Sul
significato fisico dell'operazione di derivazione valgono le stesse considerazioni già fatte in
corrispondenza della definizione di velocità e di accelerazione.
23 Si
dice “principio” una legge fisica di validità generale e di particolare importanza.
41
Il procedimento di misura corrispondente alla descrizione precedente si dice misura
dinamica delle forze. Le dimensioni della forza rispetto alla grandezze fondamentali sono:
−2
F = M A = L M T
(4.16)
4.5 III Legge della dinamica
Consideriamo due corpi soggetti alla sola interazione reciproca, come abbiamo fatto nel
paragrafo 4.3. Poiché la quantità di moto di un sistema isolato si conserva, dette p1 e p2 le
quantità di moto dei due corpi, è in ogni istante:
p 1 + p 2 = cost
(4.17)
m2
F21
F12
m1
Figura 3
Derivando rispetto al tempo la relazione precedente, si ha:
dp 1 dp 2
+
=0
dt
dt
(4.18)
dp 1
dp
=− 2.
dt
dt
(4.19)
Usando la definizione di forza (4.14), si ottiene
F1 = − F2
(4.20)
Nell’interazione di due corpi, la forza che il primo corpo esercita sul secondo è uguale ed
opposta a quella che il secondo esercita sul primo. L’enunciato precedente costituisce la III
legge della dinamica, detta anche legge di azione e reazione.
La III legge della dinamica può anche essere ricavata come legge sperimentale ricorrendo
alla (4.6).
Consideriamo ora un sistema di n punti materiali interagenti (Figura 4): per ciascuna coppia
di punti la direzione delle forze che esprimono l’interazione è quella della congiungente, mentre
i versi delle forze sono opposti come stabilito dalla (4.20). Supponiamo che l’interazione tra
ogni coppia di punti sia indipendente dalla presenza degli altri punti. Questa ipotesi e la linearità
del legame tra forza ed accelerazione espresso dalla (4.15) ci consentono di applicare il
principio di sovrapposizione24 per prevedere gli effetti che risultano dall’applicazione
24 Il
principio di sovrapposizione costituisce un importante strumento che si può applicare in molti campi
della fisica e dell’ingegneria per prevedere gli effetti su un sistema determinati da più cause
42
simultanea di più forze su un punto materiale. A questo scopo consideriamo l’interazione di un
punto con ciascuno degli altri come se la forza corrispondente fosse la sola ad agire,
calcoliamone gli effetti e sommiamoli per ottenere l’effetto complessivo.
F21
m2
F12
m1
F13
F31
m3
Figura 4
In pratica, fissiamo l’attenzione su un generico punto i del sistema ed applichiamo la II
legge della dinamica tante volte quante sono i punti interagenti -1:
dp i1
= Fi1
dt
dp i 2
= Fi2
dt
....
dp in
= Fin
dt
(interazione del punto i con il punto 1)
(interazione del punto i con il punto 2)
(4.21)
(interazione del punto i con il punto n)
Applicando la sovrapposizione degli effetti, la variazione complessiva della quantità di moto del
punto i sarà data dalla somma:
1.. n dp
dp
dp i dp i1 dp i 2
ij
=
+
+ ... + in =
dt
dt
dt
dt
dt
j
(4.22)
( j≠i )
dp i
= Fi1 + Fi 2 + ... + Fin =
dt
1..n
Fij
(4.23)
j
( j≠ i )
La somma vettoriale a secondo membro della (4.23) costituisce il risultante (o la forza
risultante) di tutte le forze agenti sul punto i-esimo.
Dette quindi F1, F2, ... , Fn le forze agenti su un punto materiale si dice risultante delle forze il
vettore R somma delle singole forze.
Per l’indipendenza delle azioni simultanee, stabilita in precedenza, l’equazione (4.14), che
è alla base della definizione di forza, e l’equazione (4.15), sua diretta conseguenza, devono
essere più propriamente riferite al vettore risultante anziché ad una singola forza F.
concomitanti. Esso è applicabile ogniqualvolta le cause agiscono in modo indipendente ed il legame tra
causa ed effetto è lineare, cioè sia alla prima potenza. Il principio di sovrapposizione consente di
calcolare l’effetto complessivo sommando gli effetti che ciascuna causa provocherebbe sul sistema se
agisse da sola.
43
dp
=R
dt
R = ma
(4.24)
Dalla relazioni precedenti si può osservare che se (e solo se) il risultante delle forze agenti
su un punto materiale è nullo, la quantità di moto del punto si conserva, v è costante ed esso si
muove di moto rettilineo uniforme.
Il primo principio della dinamica può essere ottenuto come caso particolare della II legge
della dinamica, tuttavia il primo principio mantiene la sua validità come definizione di sistema
di riferimento inerziale.
4.6 Statica del punto materiale
Se, in un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale si trova in una certa posizione
con velocità nulla ed il risultante delle forze applicate è nullo (R=0), dalle relazioni (4.24) si
deduce che la sua accelerazione è pure nulla, pertanto il punto permane nello stato di quiete.
Viceversa, se un punto è fermo in una certa posizione, deve essere nulla la sua accelerazione e
quindi deve esserlo anche il risultante delle forze applicate. Si può quindi enunciare la legge
fondamentale della statica del punto:
Condizione necessaria e sufficiente affinché un punto materiale resti in quiete in una certa
posizione è che sia nulla la sua velocità nell’istante iniziale considerato e che il risultante
delle forze sia zero.
Dette F1, F2, ... , Fn le forze applicate ad un punto materiale, il risultante può essere
determinato con la regola del parallelogramma, valida per la somma di vettori. La condizione
R=0 si traduce in tre equazioni scalari nelle componenti x,y,z:
F1x + F2 x + ... + Fnx = 0
F1y + F2 y + ... + Fny = 0
(4.25)
F1z + F2z + ... + Fnz = 0
Se sul punto agiscono solo due forze, queste devono essere uguali ed opposte. In generale,
quando più forze agiscono su un punto, l’equilibrio del punto richiede che i segmenti orientati
che le rappresentano, disposti in sequenza, formino un poligono:
F2
F2
F3
F1
F4
F1
F5
Figura 5
Infatti, in questo caso (poligono chiuso), il vettore somma che congiunge il primo e l’ultimo
estremo della spezzata che rappresenta le forze è il vettore nullo.
La statica consente una misura delle forze alternativa alla misura dinamica. Infatti, si può
misurare una forza applicandola ad un apposito strumento che fornisca una forza nota in grado
di equilibrare la forza da misurare. Nel seguito studieremo il funzionamento del dinamometro
che è uno strumento basato su questo principio.
Anche le bilance funzionano applicando i principi della statica. Consideriamo la bilancia a
bracci uguali rappresentata in Figura 6. L’equilibrio si raggiunge quando il peso delle masse m1
ed m2 poste sui due piatti è lo stesso. In questa condizione si ha:
44
L
L
m1
m2
Figura 6
m1 g = m 2 g
(4.26)
e, poiché l’accelerazione di gravità è la stessa per entrambe le masse, si ottiene:
m1 = m 2 .
(4.27)
Quindi la bilancia a bracci uguali fornisce la misura della massa m1 per confronto con una
massa m2, ottenuta sommando alcune masse calibrate. Si noti che la bilancia a bracci uguali è
un misuratore di massa, benché la condizione di equilibrio si raggiunga per un’uguaglianza di
forze.
4.7 Reazioni vincolari
La forza peso è sempre applicata ad ogni corpo sulla terra, pertanto non è possibile
considerare un corpo non soggetto ad alcuna interazione. Dunque, viene spontaneo chiedersi
come sia possibile che un oggetto appoggiato in una certa posizione, vi rimanga pur essendo
soggetto al suo peso che dovrebbe farlo cadere lungo la verticale con accelerazione g.
T
R
w
w
Figura 7
La risposta deve essere cercata nelle forze che la superficie di appoggio esercita sul corpo
considerato. Queste forze si dicono reazioni vincolari per distinguerle dalle forze attive. Esse
sono distribuite su tutta le superficie di appoggio e la direzione e la intensità della loro risultante
sono esattamente quelle richieste per equilibrare le forze attive agenti sul corpo. Il verso dipende
dal tipo di vincolo ed è comunque sempre opposto a quello delle forze attive. Talvolta i vincoli
sono monodirezionali; ad esempio, un piano di appoggio può esercitare solo forze orientate
come la normale uscente, mentre una corda può esercitare solo forze di trazione.
Detto w il peso del corpo rappresentato in Figura 7 ed R la reazione vincolare è:
45
w+R =0
R = −w
(4.28)
Ogniqualvolta il moto di un corpo sotto l’azione delle forze attive è limitato in una certa
direzione, questo avviene ad opera delle reazioni vincolari. Vedremo nel seguito il contributo
che le forze di attrito danno alle reazioni vincolari. Osserviamo infine che non è necessario un
sostegno materiale affinché un corpo sia sottratto alla forza peso; Ad esempio, da svariati anni
intensi studi sono dedicati alla possibilità di sostenere i treni mediante forze di natura
magnetica.
4.8 Classificazione delle forze
Come già anticipato, tutte le forze esistenti in natura possono essere ricondotte a quattro
interazioni fondamentali e precisamente:
• Interazione gravitazionale:
Costituisce la forza di attrazione tra le masse scoperta
e studiata da Newton.
• Interazione elettromagnetica:
Dà luogo a tutti gli effetti di natura elettrica o
magnetica, tra cui la luce. In pratica è l’interazione
che domina tutti i fenomeni della realtà quotidiana,
compresi i fenomeni biologici.
• Interazione nucleare forte:
È la forza che tiene uniti neutroni e protoni nei nuclei
atomici.
• Interazione nucleare debole:
È la forza che presiede ad alcuni decadimenti nucleari.
Nella tabella seguente sono riportate le intensità relative ed i raggi d’azione delle
interazioni fondamentali
Interazione
Gravitazionale
Elettromagnetica
Raggio d’azione
Infinito
Infinito
Intensità relativa
10-39
10-2
Nucleare forte
10-15
1
m
Nucleare debole
<<10-16 m
10-5
Già dai primi anni successivi alla individuazione di queste interazioni sono in corso studi
teorici e sperimentali per trovare una base comune alle quattro forze fondamentali. Gran parte
degli esperimenti di fisica delle particelle che vengono eseguiti nei centri di fisica nucleare
come il CERN di Ginevra sono volti alla verifica sperimentale delle previsione teoriche relative
alla costruzione di un modello unificato. Allo stato attuale l’interazione elettromagnetica e
l’interazione debole sono state unificate in un’unica interazione detta elettrodebole.
L’unificazione dell’interazione nucleare forte sarà il prossimo passo, che appare tuttavia non
prossimo, perlomeno per quanto riguarda le verifiche sperimentali. Ancora più lontana è poi
l’unificazione con l’interazione gravitazionale.
Lasciando da parte questi studi di fisica fondamentale, occupiamoci di una classificazione
delle forze più utile per il corso di Fisica I. Questa si basa su un approccio fenomenologico, cioè
sull’osservazione delle caratteristiche comuni ai più importanti tipi di forze che intervengono
nella realtà quotidiana.
4.8.1
Forza gravitazionale
Ogni punto materiale attira ogni altro punto materiale con una forza diretta come la
congiungente e di modulo pari a:
F= γ
m1 m 2
r122
(4.29)
46
dove m1 ed m2 sono le masse dei due corpi considerati, r12 è la loro distanza e γ è la costante
di gravitazione universale.
Studieremo più in dettaglio questo tipo di interazione nel seguito del corso.
Forza peso
La forza peso è l’espressione della forza di attrazione gravitazionale che la terra esercita su
tutti i corpi.
Supponiamo che la terra sia costituita da una sfera omogenea di raggio RT e massa MT. In
questa approssimazione si può dimostrare che per calcolare la forza w che essa esercita su un
corpo di massa m, ad altezza h dalla sua superficie, si può supporre che tutta la sua massa sia
concentrata nel centro ed applicare la (4.29).
w=γ
MT m
(R T + h )2
(4.30)
In tutti i casi di interesse pratico, escluso lo studio del moto di missili e satelliti si ha
h << RT, pertanto la relazione precedente si può approssimare con:
w=γ
MT
m = g0m
R 2T
(4.31)
La forza peso di un corpo di massa m è proporzionale alla massa del corpo, avendo indicato
con go la costante di proporzionalità, ed è indipendente dalla quota h.
Dal confronto della (4.31) con la II legge delle dinamica nella forma F = ma si osserva che
tutti i corpi liberi di muoversi cadono lungo la retta che congiunge del punto considerato con il
centro della terra con una accelerazione pari all’accelerazione di gravità:
g0 = γ
MT
.
R 2T
(4.32)
Tale accelerazione non dipende dal corpo ed, in prima approssimazione, non dipende dalla
sua posizione sulla terra. Le considerazioni precedenti, relative all’accelerazione di gravità ed al
moto di caduta dei gravi, verranno approfondite nel seguito del corso.
4.8.2
Forza elettrostatica
Due cariche elettriche puntiformi q1 e q2, nel vuoto, interagiscono con una forza diretta
secondo la congiungente e di modulo:
F =
1 q 1q 2
.
4 πε 0 r122
(4.33)
La forza elettrica è repulsiva o attrattiva a seconda che i segni delle cariche siano concordi
o discordi. Questo fatto costituisce la fondamentale differenza tra le forze elettriche e le forze
gravitazionali. La sostanziale neutralità elettrica della materia fa si che l’interazione
gravitazionale prevalga tra i corpi macroscopici, benché l’intensità normalizzata della forza
elettrostatica sia molto superiore.
4.8.3
Forza magnetica (forza di Lorentz)
Una carica elettrica in moto con velocità v in un campo magnetico, la cui intensità è
rappresentata dal vettore B, è soggetta ad una forza pari a:
F = qv×B
(4.34)
47
Dalla relazione precedente si osserva che la forza magnetica, detta forza di Lorentz è in
ogni punto ortogonale sia alla velocità della carica che al campo magnetico.
4.8.4
Forza nucleare
Le Forze nucleari tengono unite le particelle che costituiscono i nuclei degli atomi. Poiché
il meccanismo responsabile di tale forze è ancora oggetto di studio, non è possibile darne una
espressione analitica precisa. Le particelle nucleari sono costituite da neutroni e protoni. Questi
ultimi sono dotati di carica elettrica positiva, quindi tendono a respingersi per la (4.33), tuttavia
essi restano confinati nel nucleo in quanto le forze nucleari sono molto più intense delle forze
elettriche. Le forze nucleari sono forze a corto raggio ed il loro effetto è limitato ai nuclei
atomici (10-15 m).
4.8.5
Forze di attrito
Le forze di attrito sono forze che si manifestano quando i corpi giungono in contatto. Esse
si oppongono al movimento relativo dei corpi. Si distinguono quattro tipi principali di attrito a
seconda che l’interazione avvenga tra due solidi, tra un solido e un fluido e all’interno di un
fluido omogeneo.
• attrito radente:
È la più comune forma di attrito. Si manifesta tra le superficie di
due corpi solidi in contatto. Si oppone allo scorrimento relativo.
• attrito volvente:
Si manifesta quando un corpo di forma sferica o cilindrica rotola
sopra una superficie piana. Tale attrito dipende dalla non perfetta
elasticità dei materiali in contatto.
• attrito del mezzo:
Costituisce la resistenza opposta da un fluido al moto di un corpo.
• attrito interno:
Agisce tra i diversi strati (filetti) di un fluido viscoso in moto
relativo.
4.8.6
Forze elastiche
Quando un corpo viene deformato esso reagisce con una forza che tende ad opporsi alla
deformazione. Se la deformazione si mantiene entro certi limiti (regione di comportamento
elastico del materiale di cui il corpo è costituito), la forza ha intensità proporzionale all’entità
della deformazione.
L
m
L
F
x
Figura 8
Consideriamo ad esempio una molla avente lunghezza di riposo
Figura 8 . Se
applichiamo una forza all’estremo libero della molla in modo da produrre una deformazione di
ampiezza x, la molla reagisce esercitando una forza proporzionale ad x:
F = − kx
(4.35)
La costante k di proporzionalità si dice costante elastica della molla.
48
La relazione lineare tra forza e deformazione, caratteristica di tutti i materiali elastici si dice
legge di Hooke.
Il dinamometro è uno strumento per la misura statica delle forze che costituisce
un’applicazione della legge di Hooke. Consideriamo una molla disposta lungo un asse verticale.
Se applichiamo alla molla un punto materiale di massa m, sotto l’azione della forza peso, questa
si deforma fino a che la forza elastica uguaglia il peso del corpo. In questa condizione, se si ha
l’accortezza di arrestare il moto oscillatorio del punto, questo rimane nella posizione di
equilibrio in quanto la sua accelerazione è nulla essendo nullo il risultante delle forze:
R = mg − kx = 0
(4.36)
mg = kx
(4.37)
Nota la costante elastica della molla, dalla deformazione x è possibile risalire al peso mg del
corpo considerato.
È possibile tarare un dinamometro con una forza nota in modo da ottenere direttamente la
lettura su una scala graduata in termini di forze, anziché di deformazioni. Se è nota
l’accelerazione di gravità del luogo o se la taratura è stata effettuata con dei campioni di massa,
il dinamometro fornisce direttamente una misura delle masse.
4.9 Forze di attrito
Abbiamo visto in precedenza cosa sono le forze di attrito. Nel seguito studieremo le
caratteristiche dell’attrito radente e dell’attrito viscoso.
4.9.1
Attrito radente
Consideriamo un corpo di massa m avente una superficie di area S poggiata su un piano
orizzontale. Applicando una debole forza F in direzione orizzontale si osserva che il corpo non
si sposta dalla sua posizione a causa della reazione vincolare fornita dalla superficie di appoggio
che fa equilibrio ad F. Aumentando progressivamente F si osserva che per un certo valore FMAX
l’equilibrio si rompe ed il corpo inizia a muoversi.
F
R
w
Figura 9
Ripetendo l’esperimento quando il corpo è appoggiato su una superficie di area diversa si
osserva che la forza limite FMAX rimane inalterata; invece, variando il peso w del corpo la forza
limite FMAX risulta proporzionale a w. Si scrive pertanto:
FMAX = µ s w ,
(4.38)
avendo indicato con µs il coefficiente di proporzionalità, detto coefficiente di attrito statico.
L’origine delle forze di attrito deve essere cercata nel fatto che, anche in presenza di
superfici ben levigate, i corpi presentano delle asperità microscopiche. Quando due corpi sono
spinti in contatto con una forza F, a causa delle asperità, alcuni punti delle loro superfici
giungono a distanza di pochi raggi atomici. L’area di contatto aumenta fintantoché le forze di
repulsione impediscono un ulteriore avvicinamento. Nei punti di contatto la pressione è così
intensa che tra i due corpi si possono creare delle “microfusioni” simili a deboli legami chimici.
49
Le forze di attrito nascono quando si cerca di rompere tali legami mediante il movimento.
Poiché l’area della superficie di contatto non dipende dalla superficie di appoggio (molto
maggiore), ma piuttosto dalla forza che tende ad avvicinare i due corpi, si comprende l’origine
della (4.38).
Questa può essere riscritta con riferimento alle componenti della reazione vincolare R
esercitata dalla superficie di appoggio:
RT ≤ µs RN .
(4.39)
A causa della condizione (4.39), la reazione vincolare deve essere contenuta entro una
superficie conica (cono di attrito), la cui semiapertura è data da (Figura 10):
α = tg −1 µ s
(4.40)
Se si considera un corpo poggiato su un piano inclinato, questo rimane in equilibrio
fintantoché l’angolo di inclinazione γ del piano inclinato è minore della semiapertura α del cono
di attrito.
Consideriamo il caso rappresentato in Figura 10: quando la forza tangente F supera FMAX, il
corpo si mette in movimento. In questo caso la forza di attrito che la superficie esercita su di
esso è ancora proporzionale al peso del corpo ed è, in prima approssimazione, indipendente
dalla velocità. Si ha dunque:
RT = µd RN ,
(4.41)
avendo indicato con µd il coefficiente di attrito dinamico.
I coefficienti di attrito statico e dinamico dipendono dai materiali di cui sono costituite le
superficie di contatto. Si osserva che, per una generica coppia di materiali, il coefficiente di
α
R
F
w
Figura 10
attrito statico è sempre maggiore del corrispondente coefficiente di attrito dinamico.
Alcuni valori tipici di µs e µd sono:
Materiali
Acciaio su acciaio
Piombo su acciaio
Rame su acciaio
Teflon su teflon
µs
0.78
0.95
0.53
0.04
µd
0.42
0.95
0.36
0.04
50
4.9.2
Attrito del mezzo (attrito viscoso)
Quando un oggetto si muove in un fluido, questo oppone una resistenza al suo avanzamento
che si manifesta mediante una forza diretta come la velocità, e di verso opposto25. Se la velocità
del corpo rispetto al fluido è relativamente bassa, il modulo della forza di attrito viscoso è
proporzionale alla velocità stessa:
Fv = − kηv
(4.42)
La relazione precedente vale fintantoché il fluido scorre intorno al corpo senza creare
vortici o turbolenze. Ad alta velocità la forza di attrito viscoso cresce con le potenze di v (v2, v3,
etc.).
Nella relazione (4.42) il parametro k dipende dal corpo. Per una sfera di raggio r esso vale
k = 6π r
(4.43)
La costante η dipende dalla natura del fluido e si dice coefficiente di attrito viscoso. Le
sue dimensioni nel Sistema Internazionale sono:
η = F k
η = L
−1
−1
M
V
1
−1
T
−1
(4.44)
L’unità di misura di η nel Sistema Internazionale è il kg m-1 s-1. tuttavia, l’unità di misura
più usata è il poise (P) [P=g cm-1 s-1].
4.9.3
Densità e peso specifico
L’esperienza quotidiana ci insegna che esistono corpi che danno la sensazione di essere più
massicci di altri, in particolare questo vale per gli oggetti metallici. La grandezza fisica che
descrive in modo quantitativo questo concetto è la densità specifica o densità. Si definisce
densità media di un corpo il rapporto tra la sua massa ed il suo volume:
ρm =
m
.
V
(4.45)
Per un corpo omogeneo, la densità media ne descrive completamente le caratteristiche. Per
un corpo eterogeneo è possibile definire una densità funzione della posizione all’interno del
corpo. A questo scopo, consideriamo il generico volumetto ∆V, la cui posizione sia individuata
dal raggio vettore r, e sia ∆m la massa contenuta entro tale volumetto (Figura 11). Si definisce
densità ρ(r) il limite:
∆m
.
∆V →0 ∆V
ρ( r ) = lim
(4.46)
Moltiplicando la densità per l’accelerazione di gravità del luogo in cui il corpo si trova si
ottiene il peso dell’unità di volume del corpo. Questo si dice peso specifico ed è definito come:
w m = ρm g
w = ρg
(4.47)
Il peso specifico non è una caratteristica propria dei corpi come lo è la densità, ma dipende
dalla loro posizione sulla terra.
25 In
generale l'attrito del mezzo dà luogo ad una forza ed una coppia. Solo nel caso di corpi di forma
simmetrica la coppia si annulla.
51
z
∆V
r
y
x
Figura 11
4.10 Impulso di una forza
Consideriamo una forza F agente su un punto materiale P. Moltiplicando formalmente
entrambi i membri dell’equazione (4.14) per dt otteniamo:
dp = Fdt .
(4.48)
Integrando la (4.48) dall’istante iniziale to al generico istante t, si ha:
p
p0
dp =
t
t0
F ( t ′)dt ′ .
(4.49)
L’integrale a secondo membro della (4.49) si dice impulso della forza F. Si ha quindi:
p( t ) − p( t 0 ) =
t
t0
F ( t ′)dt ′
(4.50)
La variazione della quantità di moto del punto P dall’istante iniziale all’istante finale è pari
all’impulso di F tra i medesimi istanti. Se due o più forze F1, F2...Fn agiscono su P, per la
linearità dell’operatore integrale, l’impulso della forza risultante è la somma degli impulsi delle
forze applicate a P.
Teorema dell’impulso: se F è la risultante delle forze che agiscono su un punto materiale, la
variazione della quantità di moto dall’istante iniziale al generico istante t è data dall’impulso
di F tra i medesimi istanti.
p( t ) − p( t 0 ) = I t 0 → t
(4.51)
Il concetto di impulso è molto importante in tutti i casi in cui le forze si manifestano per un
tempo molto breve e con un andamento nel tempo estremamente irregolare. Questo avviene, ad
esempio, quando due corpi si urtano violentemente. In questo caso lo studio del moto si limita al
calcolo della variazione della velocità, e quindi delle quantità di moto, dei due corpi tra prima e
dopo l’interazione. Questa variazione è determinata dall’impulso della forza di repulsione che
nasce durante l’urto in accordo con la (4.51).
52
4.11 Problema generale della dinamica
Il problema generale della dinamica del punto consiste nella ricerca della legge oraria di un
punto materiale in moto sotto l’azione della risultante F delle forze applicate.
ma ( t ) = F ( t )
m
(4.52)
dv ( t )
= F( t) .
dt
(4.53)
Integrando la relazione precedente si ottiene:
m
dv( t ′)
dt ′ =
t0
dt
t
t
t0
F ( t ′)dt ′ = I t 0 → t
(4.54)
Eseguendo l’integrazione si ha infine:
v(t ) − v(t 0 ) =
1
I t →t
m 0
(4.55)
La legge oraria r(t) si ottiene integrando la (4.55):
r(t) = r(t 0 ) + v 0 (t − t 0 ) +
1
m
t
t0
I ( t ′)dt ′ .
(4.56)
L’utilità pratica dell’equazione (4.56) è limitata dalla necessità di conoscere la dipendenza
temporale della forza F(t). Infatti questa condizione è essenziale per poter calcolare l’impulso di
F e quindi il suo integrale.
Purtroppo è molto raro che questa condizione sia soddisfatta. Infatti, in generale, la
risultante F delle forze applicate ad un punto materiale dipende dalla posizione del punto, dalla
sua velocità ed eventualmente dal tempo in modo esplicito. Pertanto, è più opportuno riscrivere
la (4.56) esplicitando in modo completo la dipendenza di F:
m
d 2r
dr
= F r, ; t .
2
dt
dt
(4.57)
L’equazione vettoriale (4.57) rappresenta un sistema di tre equazioni differenziali nelle
incognite x(t), y(t) e z(t):
dx dy dz
d2x
m 2 = Fx x , y, z, , , ; t
dt dt dt
dt
2
dx dy dz
d y
m 2 = Fy x, y, z, , , ; t
dt dt dt
dt
2
d z
dx dy dz
m 2 = Fz x, y, z, , , ; t
dt
dt dt dt
(4.58)
La soluzione può essere cercata per via analitica se si conoscono le condizioni iniziali, cioè
la posizione e la velocità all’istante to, tuttavia solo in casi particolari il sistema precedente può
essere integrato in forma chiusa, in quanto la matematica sa risolvere solo alcune equazioni
differenziali relativamente semplici.
53
È invece molto interessante il significato concettuale del legame tra forze e grandezze
cinematiche espresso dalla II legge della dinamica ed esplicitato nelle equazioni (4.57). Nel
periodo storico che prese il nome di Illuminismo, agli albori della rivoluzione industriale ed in
seguito alle prime grandi scoperte scientifiche, autorevoli fisici ritenevano che la conoscenza di
tutte le interazioni e delle condizioni iniziali relative a tutte le particelle che compongono
l’universo avrebbe consentito una completa previsione della sua evoluzione futura26. Sarebbe
solo l’umana incapacità di determinare lo stato iniziale e la totalità delle interazioni che
impedirebbe tale previsione; fondandosi su cognizioni parziali, la conoscenza umana è solo
probabilistica, tuttavia l’evoluzione futura dell’universo sarebbe già insita nello stato presente.
Tale visione del mondo prese il nome di determinismo; la fisica moderna ha mostrato che
esistono delle limitazioni di principio, oltreché pratiche, alla conoscenza completa dello stato
cinematico di un sistema. Pertanto, essendo impossibile determinare lo stato iniziale
dell’universo, si deve ritenere che esso non esista nel senso espresso dalla dinamica di Newton,
e quindi che il futuro non sia determinato dal presente. Benché questa visione moderna sia ben
più accreditata della visione deterministica, il dibattito è ancora lontano dall’essere concluso.
Tornando alla equazioni (4.57), in generale sarà possibile solo una soluzione numerica
mediante il metodo di integrazione alle differenze finite. Questo si basa sulla trasformazione
degli incrementi infinitesimi delle grandezze fisiche (differenziali) in incrementi piccoli, ma
finiti, e nell’applicazione iterativa del procedimento descritto nel seguito:
Si divide l’intervallo di tempo t0 tf in cui interessa calcolare il moto del punto materiale P in
N intervallini di durata ∆t. Note la posizione r0=r(t0), la velocità v0=v(t0) e l’accelerazione
a0 = a(t0 ) =
1
F ( r0 , v 0 ; t 0 )
m
(4.59)
del punto P all’istante iniziale t0, le corrispondenti grandezze all’istante t1=t0+∆t si ottengono
dalle relazioni:
v 1 = v ( t 0 + ∆t ) = v 0 + a 0 ∆t
1
r1 = r ( t 0 + ∆t ) = r0 + v 0 ∆t + a 0 ∆t 2
2
(4.60)
In generale, la conoscenza di ri, vi ed ai all’istante ti permette di ricavare ri+1, vi+1 ed ai+1
all’istante ti+1 mediante l’applicazione iterativa delle formule (4.59) e (4.60). Con questo
metodo la legge oraria del punto può essere calcolata in modo approssimato dall’istante iniziale
t0, fino all’estremo tf dell’intervallo di integrazione. La precisione con cui la legge oraria
calcolata approssima quella reale dipende dal numero degli intervallini in cui è stato diviso
l’intervallo di tempo t0 tf.
Consideriamo ora alcuni casi particolarmente semplici in cui sia possibile una soluzione
analitica dell’equazione della dinamica.
4.11.1 Moto sotto l’effetto di una forza costante
Questo caso è già stato studiato nel paragrafo 3.3.2 considerando il moto di caduta di un
grave. Il moto è uniformemente accelerato ed avviene nel piano individuato dal vettore
accelerazione e dal vettore velocità iniziale. La traiettoria è una parabola.
26 Laplace
(1749-1827) "Saggio filosofico sulle probabilità" in Laplace "Opere", U.T.E.T. Torino 1967,
p. 243.
Un'intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze di cui è animata la natura e la
situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda per
sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi
dell'universo e dell'atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato,
sarebbe presente ai suoi occhi.
54
4.11.2 Moto lungo un piano inclinato
Consideriamo un corpo di massa m libero di muoversi senza attrito lungo un piano inclinato
di altezza h ed inclinazione α. Per studiare il moto del corpo possiamo considerare un sistema di
riferimento solidale con il piano inclinato, avente l’asse x parallelo alla superficie obliqua e
lasse y ortogonale, come in Figura 12.
Sia nulla la velocità iniziale v0. La forza peso w può essere scomposta nelle componenti
lungo x e lungo y.
w x = mgsin α
(4.61)
w y = mgcos α
Il componente wy della forza peso non contribuisce al moto in quanto è in ogni istante
bilanciato dalla reazione vincolare R. Il componente wx costituisce la forza attiva.
L’equazione della dinamica dà luogo alle due equazioni scalari:
R − mgcos α = 0
d2x
mgsin α = m 2
dt
(4.62)
y
R
h
w
α
x
Figura 12
La prima equazione è sostanzialmente una equazione di equilibrio, la seconda equazione ci
permette di affermare che il moto è uniformemente accelerato poiché la forza lungo x è
costante. Poiché v0 è nulla, supponendo che all’istante iniziale il punto si trovi nell’origine degli
assi si ha:
x( t ) =
1
( g sin α ) t 2 .
2
(4.63)
La lunghezza del piano inclinato è h/sin ϑ, pertanto il tempo impiegato dal punto materiale a
giungere all’estremità è:
1
h
= ( g sin α ) t 2
sin ϑ 2
T=
2h
.
g sin 2 ϑ
(4.64)
La velocità finale è:
v f = g sin α T = 2gh .
(4.65)
55
Si osservi che la velocità finale è la stessa che si otterrebbe nel caso di caduta libera di un
grave dalla medesima altezza h.
4.11.3 Moto di un punto vincolato ad una molla elastica
Consideriamo un punto materiale vincolato a muoversi lungo un asse e trattenuto da una
molla di costante elastica k.
Il problema è monodimensionale e l’equazione del moto è:
d2x
m 2 = − kx
dt
(4.66)
Questa può essere riscritta nella forma:
F
L
x
Figura 13
d2x
+ ω2 x = 0
dt 2
con
ω=
k
m
(4.67)
Essa corrisponde all’equazione di un moto armonico lungo x con pulsazione ω. La
soluzione è del tipo:
x ( t ) = A sin (ωt + φ)
v( t ) =
(4.68)
dx
= Aω cos(ωt + φ ) .
dt
(4.69)
Le costanti A e φ possono essere determinate dalle condizioni iniziali per to=0:
x (0 ) = x 0
(4.70)
v (0 ) = v 0
che, inserite nelle equazioni (4.68) e (4.69), e assumendo vo= 0, danno:
x 0 = A sin φ
v 0 = Aω cos φ
π
2 .
A = x0
φ=
(4.71)
La legge oraria è quindi:
56
x = x 0 sin (ωt + π 2) = A cos(ωt ) .
(4.72)
4.11.4 Moto di un pendolo semplice
Consideriamo una massa m soggetta alla forza peso mg e vincolata ad una fune di
lunghezza L. Il sistema è in equilibrio solo se la fune è disposta lungo la verticale ed il punto
materiale ha velocità nulla, in caso contrario la massa oscillerà intorno alla posizione centrale
secondo una legge del moto ricavabile dall’equazione della dinamica. Studiamo il moto in
coordinate polari.
Dalle condizioni di vincolo e dalla direzione e verso della forza attiva (peso), si deduce che
la traiettoria deve essere un arco di circonferenza con centro in O e raggio L. Scomponiamo la
forza peso secondo le componenti tangente e normale alla traiettoria:
O
ϑ
L
T
wN
wT
s
w
Figura 14
w T = mg sin ϑ
w N = −mg cos ϑ
(4.73)
Sia T la reazione vincolare, le equazioni del moto in forma scalare sono:
w T = ma T
T − w N = ma N
.
(4.74)
La prima equazione ci permette di calcolare la legge oraria scalare, mentre la seconda
equazione ci permette di determinare la reazione vincolare T. Indicando con s = Lϑ l’ascissa
curvilinea lungo la circonferenza descritta dal punto P otteniamo27.
27
d 2s
m 2 − mg sin ϑ = 0
dt
(4.75)
d 2ϑ g
− sin ϑ = 0 .
dt 2 L
(4.76)
È anche possibile ricavare direttamente l’equazione (4.76) dalla componente uϑ dell’equazione (3.99),
ponendo r = L e dr/dt = 0.
57
L’equazione (4.76) non ammette una soluzione analitica, tuttavia se ci limitiamo a
considerare angoli piccoli possiamo scrivere sinϑ≈ϑ e, ponendo g/L=ω 2 otteniamo l’equazione:
d2ϑ
= ω2ϑ .
2
dt
(4.77)
L’equazione precedente è l’equazione del moto armonico, pertanto, nell’approssimazione
considerata, il punto P si muove di moto oscillatorio con legge oraria:
ϑ( t ) = A sin (ωt + φ) .
(4.78)
Come nel caso del moto sotto l’azione di una forza elastica, le costanti A e φ possono
essere determinate a partire dalle condizioni iniziali del moto.
La reazione vincolare T deve essere tale che, in ogni istante, la risultante FN delle forze
lungo la normale diviso la massa sia uguale all’accelerazione centripeta. Dall’equazione (4.74)
si ottiene:
T(t ) = w N + m
v 2 (t)
.
L
dϑ
T ( t ) = mgcos ϑ + mL
dt
(4.79)
2
.
(4.80)
Si osserva che il periodo di oscillazione:
T=
2π
L
= 2π
ω
g
(4.81)
non dipende dalla massa del corpo, e soprattutto, dall’ampiezza dell’oscillazione. Su questa
proprietà sono basati gli orologi a pendolo, che fino a non molti anni fa costituivano i più precisi
misuratori di tempo esistenti.
4.11.5 Moto di un punto materiale in un fluido viscoso
Consideriamo una pallina che, per effetto del suo peso, cade in un fluido viscoso (Figura
15). L’attrito esercitato dal fluido si esprime con una forza resistente proporzionale alla velocità.
L’equazione del moto è pertanto:
mg − k ηv = m
dv
.
dt
(4.82)
kηv
w
Figura 15
58
Invece di integrare l’equazione precedente, operazione che richiede conoscenze di analisi
matematica superiori a quelle disponibili, calcoliamo la velocità di regime, cioè la velocità
raggiunta dalla pallina dopo un tempo sufficientemente lungo affinché il moto possa essere
considerato stazionario. Tale velocità si ottiene imponendo dv/dt = 0 nell’equazione (4.82):
kηv
∞
= mg
v
∞
=
mg
,
6πη
(4.83)
dove alla costante k è stata sostituita la sua espressione per i corpi di forma sferica.
La risoluzione dell’equazione (4.82) ci permette di osservare che la pallina accelera con
legge esponenziale verso la velocità di regime. La costante di tempo caratteristica del moto è:
τ=
6πη
.
m
(4.84)
La costante di tempo rappresenta il tempo necessario affinché la pallina raggiunga una velocità
pari al 63 % della velocità di regime. Questa quantità costituisce un indice della rapidità con cui
si raggiunge la condizione di moto stazionario.
Se la velocità iniziale è superiore alla velocità di regime, la pallina rallenta, se la velocità
iniziale è inferiore, il moto è accelerato (Figura 16). Se la velocità iniziale coincide con la
velocità di regime, il moto è uniforme.
v(t)
v∞
v0
t
Figura 16
59
5
Cinematica dei moti relativi
Si è visto in precedenza che per descrivere il moto di un punto materiale è necessario
fissare un sistema di riferimento, tuttavia tale scelta non è univoca. È interessante determinare le
relazioni che intercorrono tra le grandezze cinematiche (velocità e accelerazione) di un punto
materiale misurate rispetto a due sistemi di riferimento diversi, in moto l’uno rispetto all’altro.
Tale problema è studiato della cinematica dei moti relativi.
Z
z
P
Y
ρ
x
O
O’
y
X
Figura 1
5.1 Composizione degli spostamenti
Consideriamo due sistemi di riferimento Oxyz e O’XYZ (Figura 1). Il primo sia detto
assoluto in quanto viene considerato fisso per definizione, il secondo sia detto relativo (o
mobile); si dice moto di trascinamento il moto del sistema relativo rispetto a quello assoluto.
Supponiamo che il moto di trascinamento sia puramente traslatorio28. Lo spostamento di un
punto P rispetto al sistema assoluto (so) è dato dalla somma dello spostamento di P nel sistema
relativo (sr)29 e del vettore traslazione dello spostamento rigido del sistema relativo rispetto al
sistema assoluto (Figura 2). Quest’ultimo vettore si dice spostamento di trascinamento (st)29.
s0 = s r + s t .
(5.1)
Supponiamo ora che il moto di trascinamento sia rotatorio, o in generale rototraslatorio30.
In questo caso non è più possibile scomporre lo spostamento di un punto P nel sistema assoluto
28 Uno
spostamento di un sistema di punti si dice rigido quando le mutue distanze dei punti del sistema
rimangono inalterate passando dalla configurazione iniziale a quella finale.
Si dice spostamento traslatorio un particolare spostamento rigido nel quale tutti i punti subiscono lo
stesso spostamento
Uno spostamento traslatorio, finito o infinitesimo, può essere rappresentato mediante il vettore
traslazione, che è dato dello spostamento di un qualunque punto del sistema. La composizione di due
spostamenti traslatori, (finiti o infinitesimi) è una operazione che gode della proprietà commutativa; il
vettore traslazione risultante è la somma dei vettori traslazione componenti.
29Uno
spostamento è un vettore e come tale non dipende dal sistema di riferimento anche se le sue
componenti dipendono dal sistema di riferimento
30 Si
dice spostamento rotatorio un particolare spostamento rigido nel quale tutti i punti di una retta AB,
detta asse di rotazione, restano fissi.
60
(vettore) nello spostamento relativo (vettore) più un vettore rappresentativo dello spostamento
di trascinamento in quanto viene a mancare una rappresentazione vettoriale degli spostamenti
rotatori finiti. Tuttavia, se ci limitiamo a considerare spostamenti infinitesimi, lo spostamento
assoluto può ancora essere espresso come somma di uno spostamento relativo più uno
spostamento di trascinamento31:
ds0 = ds r + ds t .
(5.2)
Y
y
Y
P’
S0
Sr
P
St
O’
X
O’
X
O
x
Figura 2
5.2 Legge di composizione delle velocità
Supponiamo che gli spostamenti infinitesimi considerati nel paragrafo precedente
avvengano in un tempo infinitesimo dt, in questo caso ha senso definire le velocità assoluta,
relativa e di trascinamento come derivate degli spostamenti rispetto al tempo:
ds0 ds r ds t
=
+
dt
dt
dt
(5.3)
v0 = vr + vt .
(5.4)
Il primo termine dell’espressione precedente rappresenta la velocità di un punto materiale
come è misurata da un osservatore che viene assunto fisso per definizione, il secondo termine
Si dice spostamento rototraslatorio lo spostamento rigido composto da uno spostamento rotatorio e
da uno spostamento traslatorio.
Uno spostamento rotatorio infinitesimo può essere rappresentato mediante un vettore rotazione che è
un vettore ortogonale al piano di rotazione, orientato nel verso dal quale si vede avvenire la rotazione
in senso antiorario e di modulo pari all'angolo di rotazione dϑ. Uno spostamento rotatorio finito non
può essere rappresentato mediante un vettore in quanto la composizione di due spostamenti rotatori
finiti non gode della proprietà commutativa.
dϑ l'angolo di rotazione infinitesimo del sistema relativo rispetto al sistema assoluto, e dλ
λ la sua
traslazione infinitesima, lo spostamento di trascinamento dipende dal particolare punto P (geometrico)
considerato e può essere espresso come:
31 Detto
ds t = dϑu ϑ × r ′ + dλ
(i)
dove uϑ è un versore ortogonale al piano di rotazione ed r' è un vettore che congiunge il punto P ad un
qualunque punto dell'asse di rotazione.
61
rappresenta la velocità misurata da un osservatore in moto rispetto al sistema fisso ed il terzo
termine è la velocità che la posizione occupata dal punto P nel sistema mobile, pensato come un
corpo rigido, ha rispetto al sistema fisso. La relazione precedente esprime la legge di
composizione delle velocità, per primo ricavata da Galileo. Essa implica l’assunzione dello
stesso indice di stato temporale per tutti i sistemi di riferimento (tempo assoluto). Per secoli la
sua validità è stata ritenuta indiscutibile; tuttavia alla fine dell’800 l’osservazione che il
principio di relatività galileiana, espresso dalla (5.4), non vale per i fenomeni elettromagnetici
ha dato luogo ad una intensa attività di ricerca che è sfociata nella alla teoria della relatività
ristretta di Albert Einstein.
Ricaviamo ora una espressione significativa della velocità di trascinamento. Detti ro, rr e ρ
rispettivamente il vettore posizione di un punto P nel sistema assoluto, il vettore posizione di P
nel sistema relativo ed il vettore congiungente l’origine del sistema relativo all’origine del
sistema assoluto, vale l’uguaglianza:
r0 = rr + ρ
(5.5)
Z
z
•P
r0
rr
ρ
x
O
Y
O’
y
X
Figura 3
Il vettore rr può essere scomposto nei suoi componenti cartesiani rispetto al sistema
relativo.
rr = Xu X + Yu Y + Zu Z
(5.6)
derivando l’espressione (5.5) con la sostituzione (5.6) si ottiene:
du
du
du
dr0
dX
dY
dZ
dρ
uX +
uY +
uZ +
=
+X X +Y Y +Z Z
dt
dt
dt
dt
dt
dt
dt
dt
(5.7)
che può essere riscritta nella consueta forma:
v0 = v r + v t.
(5.8)
Il primo termine tra parentesi nella (5.7) rappresenta la velocità del punto P misurata
dall’osservatore mobile (si veda la relazione [3.38]), il secondo termine rappresenta una
componente di velocità che tiene conto della traslazione dell’origine del sistema relativo (dρ
ρ/dt)
e della rotazione dei suoi assi (dux/dt, …) e della traslazione della sua origine; tale componente
si dice velocità di trascinamento, secondo la definizione già data. Quest’ultimo termine può
essere espresso nella forma:
62
vt =
dρ
+ ω × rr ,
dt
(5.9)
dove ω è il vettore velocità angolare del sistema mobile rispetto al sistema fisso32. La relazione
(5.9) verrà dimostrata nel seguito.
5.2.1
Moto traslatorio
Se il sistema relativo si muove di moto traslatorio rispetto al sistema fisso, la velocità di
trascinamento è la stessa per tutti i punti del sistema mobile ed è data, per esempio, dalla
velocità dell’origine del sistema mobile.
vt =
dρ
= v 0′
dt
(5.10)
Esempio: Un uomo vuole attraversare un fiume di larghezza h in cui la corrente ha velocità vc.
L’uomo nuota ad una velocità (in acqua ferma) vn > vc. Determinare l’angolo α rispetto alla
perpendicolare alla sponda con cui egli deve nuotare se desidera attraversare il fiume in modo
che, per effetto della corrente, il suo moto risulti perpendicolare alla sponda stessa. Determinare
inoltre il tempo impiegato ad attraversare il fiume.
vc
vn
α V
0
vc
Figura 4
Dalla legge di composizione delle velocità si ha:
v0 = vc + vn
(5.11)
(5.7), a meno del termine dρ
ρ/dt, è scritta rispetto ai versori del sistema relativo (O’XYZ),
tuttavia, proprio per la sua natura vettoriale, essa non dipende dal sistema di riferimento. Le espressioni
dei versori del sistema assoluto rispetto al sistema relativo possono essere ottenute dalla trasformazione
lineare:
32 L’espressione
a 11
uX
u Y = a 21
a 31
uZ
a 12
a 22
a 32
a 13 u x
a 23 ⋅ u y
a 33 u z
(i)
Pertanto, è possibile riscrivere la (5.7) cambiando sistema di riferimento.
I coefficienti ai,j, in generale dipendenti dal tempo, sono rappresentati dai coseni direttori dei versori
degli assi del sistema relativo nel sistema assoluto:
a 1,1 = u X ⋅ u x
a 1, 2 = u X ⋅ u y
(ii)
Applicando la trasformazione (i) alla (5.7), è possibile rappresentare i vettori vr e vt mediante i loro
componenti rispetto al sistema assoluto.
63
Dalla Figura 4 si ha poi.
sin α =
vc
vn
α = sin −1
vc
.
vn
(5.12)
Il modulo della velocità assoluta è infine:
v 0 = v 2n − v c2 .
(5.13)
Da cui si deduce il tempo necessario per attraversare il fiume:
∆t = h v 0
5.2.2
(5.14)
Moto rotatorio
Consideriamo due sistemi di riferimento (sistema mobile e sistema fisso) con l’asse z
coincidente. Il sistema mobile ruoti rispetto al sistema fisso intorno all’asse z con velocità
angolare ω.
In questo caso particolare33 usando la relazione (5.7) ed osservando la Figura 5 è facile
verificare che la velocità di trascinamento è data da:
du X
du
+Y Y
dt
dt
dϑ
dϑ
= X uY − Y u X
dt
dt
= −ωYu X + ωXu Y
vt = X
(5.15)
= ω× r
In accordo con la relazione (5.9).
z≡ Z
ω
ux
x≡X
dux
dϑ
y
uy
duy
y≡ Y
x
Figura 5
Infatti:
du y
du x
dϑ
=
=
=ω
dt
dt
dt
33 Per una
(5.16)
dimostrazione generale vedi Mazzoldi Pag. 92.
64
5.3 Legge di composizione delle accelerazioni
Derivando l’espressione (5.7) rispetto al tempo si ottiene la legge di composizione delle
accelerazioni per un sistema in moto rototraslatorio rispetto ad un sistema fisso:
d 2r0
d 2X
d 2Y
d2Z
dX du X dY du Y dZ du Z
=
+
+
+
+
u
u
uZ + 2
X
Y
2
2
2
2
dt
dt
dt
dt
dt dt
dt dt
dt dt
(5.17)
d 2ρ
d 2u X
d 2u Y
d 2u Z
X
+
+
+
+
Y
Z
dt 2
dt 2
dt 2
dt 2
Il primo termine tra parentesi rappresenta l’accelerazione di P nel sistema relativo. Il
secondo termine si dice accelerazione di Coriolis e può essere scritto nella forma:
a c = 2ω × v r
(5.18)
Il terzo termine si dice accelerazione di trascinamento e rappresenta l’accelerazione che il
punto P avrebbe se fosse solidale con la terna mobile. Detta a0’ l’accelerazione dell’origine O’
del sistema mobile rispetto al sistema fisso (d2ρ/dt2) l’accelerazione di trascinamento è data
dall’espressione:
at =
dω
× rr + a 0′ +ω × (ω × rr ) ,
dt
(5.19)
di cui non diamo la dimostrazione. Il primo termine dell’espressione precedente si annulla se ω
è costante.
La legge di composizione delle accelerazioni
(5.17) si scrive in forma sintetica:
a0 = ar + at + ac
(5.20)
L’accelerazione di un punto materiale P rispetto al sistema assoluto (ao) è la somma
dell’accelerazione di P nel sistema relativo (ar), dell’accelerazione che compete al punto
occupato da P nel sistema relativo rispetto al sistema assoluto (at) e dell’accelerazione di
Coriolis (ac).
La giustificazione dell’esistenza dell’accelerazione di Coriolis e le sue implicazioni in
alcuni fenomeni naturali verranno trattate nel prossimo capitolo dedicato alla dinamica relativa.
L’accelerazione di Coriolis scompare se il moto di trascinamento è puramente traslatorio o se la
velocità relativa vr è parallela alla velocità angolare ω .
Consideriamo ora un esempio di descrizione del moto di un punto materiale rispetto a due
sistemi di riferimento, in moto rotatorio uno rispetto all’altro.
Esempio: Descrivere il moto di un albero come è visto da un bambino su una giostra che ruota
con velocità angolare ω rispetto alla terra. Sia d la distanza dell’albero dall’asse di rotazione.
65
ω
ur
Figura 6
Assumiamo come sistema fisso un sistema di riferimento solidale con la terra e come
sistema relativo il sistema della giostra. La relazione (5.20) può essere risolta rispetto
all’accelerazione relativa ar.
a r = a0 − a t − ac
(5.21)
a0 = 0
(5.22)
a t = − ω2d uR
(diretta verso il centro della giostra)
(5.23)
a c = 2ω v u R = 2 ω 2 d u R
(diretta verso l’esterno della giostra)
(5.24)
sostituendo le (5.22) (5.23) e (5.24) nella (5.21) si ottiene:
ar = 0 +
(
2
d−2
2
)
d uR = −
2
du R
(5.25)
Per l’osservatore relativo l’albero si muove di moto circolare uniforme con velocità
angolare ω opposta alla velocità con cui ruota la giostra, pertanto la sua accelerazione avrà solo
la componente centripeta che vale ω 2d = v2/d, come indicato nella (5.25).
66
6
Dinamica dei moti relativi
Si è visto in precedenza che la validità della legge della dinamica è limitata ai sistemi
inerziali, tuttavia esistono innumerevoli casi in cui è importante studiare il moto di un corpo in
un sistema non inerziale. Poiché, come si è già detto, la terra non costituisce un sistema inerziale
a causa della sua rivoluzione intorno al sole e soprattutto a causa della rotazione intorno al suo
asse, si capisce l’importanza di questo problema. Nonostante nella maggior parte dei casi pratici
gli effetti della rotazione terrestre possano essere trascurati, esistono numerosi fenomeni naturali
che traggono origine da questa condizione di moto. Ad esempio, il moto a spirale dei venti
intorno ad una zona di anticiclone, la deviazione delle correnti oceaniche ed altri importanti
fenomeni geofisici dipendono dalla rotazione terrestre.
Z
z
P
Y
F
O’
x
O
y
X
Figura 1
In altri casi è importante studiare la dinamica dei corpi in sistemi costruiti dall’uomo che
risultano ben lontani dall’essere inerziali. Ad esempio, i passeggeri all’interno di un’automobile
che percorre una curva, i bambini su una giostra etc. si trovano in questa condizione e le
sensazioni che essi sperimentano sono giustificabili solo tenendo conto dello stato di moto del
sistema di riferimento in cui si trovano. Essi costituiscono quindi degli esempi di osservatori
non inerziali.
Si abbia un punto materiale P in moto sotto l’effetto della risultante F delle interazioni a cui
è sottoposto. In un sistema inerziale vale la legge della dinamica:
F = ma 0 ,
(6.1)
avendo indicato con ao l’accelerazione misurata da un osservatore inerziale che, arbitrariamente,
assumiamo anche assoluto (nell’accezione che questo termine ha assunto nello studio della
cinematica relativa). Le caratteristiche del corpo (massa, carica elettrica…), lo studio del suo
moto e l’osservazione dei fenomeni a cui è soggetto, ci conducono alla completa conoscenza
delle forze F di interazione.
Consideriamo ora il moto dello stesso corpo rispetto ad un sistema non inerziale, che
diremo anche relativo. Poiché le interazioni non dipendono dall’osservatore, e quindi dal
sistema di riferimento, assumiamo che la risultante delle forze che agisce sul corpo sia ancora F.
Con riferimento alla cinematica dei moti relativi sappiamo che, per questo secondo osservatore
in moto accelerato rispetto al primo, l’accelerazione misurata non sarà più ao, ma sarà ar:
a r = a0 − a t − ac ,
(6.2)
essendo at l’accelerazione di trascinamento e ac l’accelerazione di Coriolis. Per la diversità delle
accelerazioni ao e ar stabilita dalla (6.2), siamo costretti ad ammettere che per un osservatore
non inerziale non vale la legge della dinamica.
67
Moltiplichiamo la (6.2) per m:
ma r = ma 0 − ma t − ma c
(6.3)
Sostituendo al termine ma0 la forza F otteniamo:
F − ma t − ma c = ma r
(6.4)
Pertanto, se assumiamo che nel sistema relativo (non inerziale) oltre alle interazioni di
risultante F siano presenti delle forze Fa, dette apparenti pari a:
Fa = − ma t − ma c
(6.5)
la legge della dinamica mantiene la sua validità:
F + Fa = ma r
(6.6)
Le forze apparenti vengono così chiamate in quanto non fanno capo ad una interazione tra
due corpi, infatti esse non rispettano la III legge della dinamica. Tuttavia per un osservatore non
inerziale che volesse continuare ad usare la II legge della dinamica, esse hanno la stessa validità
e consistenza delle forze reali. Ad esempio, è una forza apparente la “forza centrifuga” che
spinge gli occupanti di un’auto verso l’esterno della curva. La sensazione di spinta che si
percepisce in questo caso è in realtà l’effetto della reazione vincolare che il sedile dell’auto
impartisce al nostro corpo. La forza che viene percepita (reale) è esercitata dall’auto che, dotata
di accelerazione centripeta verso l’interno della curva, trascina con sé i passeggeri. Dunque, non
veniamo spinti verso l’esterno della curva, ma è l’auto che ci anticipa nel suo moto verso
l’interno; tuttavia, poiché il nostro riferimento è l’auto stessa, riteniamo di subire una forza in
verso opposto.
F
ac
Figura 2
6.1 Moto di un corpo non soggetto ad interazioni
In un sistema non inerziale non vale la legge di inerzia. Un corpo non soggetto ad
interazioni si muove di moto accelerato. Posto F = 0 nella (6.4) si ottiene:
a r = −a t −a c ≠ 0.
(6.7)
Alternativamente, si può dire che esso si muove sotto l’effetto delle forze apparenti:
ma r = Fa .
(6.8)
68
6.2 Sistemi di riferimento in moto traslatorio
Consideriamo un sistema di riferimento relativo SR in moto traslatorio rispetto al sistema
assoluto SA (inerziale) con accelerazione di trascinamento at. Ad esempio, assumendo con
ragionevole approssimazione come inerziale un sistema solidale con la terra, studiamo le forze
che agiscono su una persona entro un ascensore che accelera nel suo moto di discesa verso il
piano terra.
Sia at =-auy l’accelerazione dell’ascensore rispetto al sistema assoluto, poiché il passeggero
entro l’ascensore è fermo rispetto alla cabina ar=0; inoltre essendo nulla la velocità angolare ω e
la velocità relativa v è nulla l’accelerazione di Coriolis ac = 2ω
ω x v, quindi ao = at. Le forze reali
agenti sul corpo sono la forza peso w = mg, a reazione vincolare R e la forza apparente di
trascinamento. Nel sistema relativo ar = 0, pertanto:
F + Fa = 0
(6.9)
w + R − ma t − ma c = 0 .
(6.10)
y
R
w
g
a’
x
Figura 3
Con riferimento alle componenti rispetto all’asse y orientato verso l’alto si ottiene:
− mg + R + ma = 0
(6.11)
da cui si ottiene:
R = m(g − a ) .
(6.12)
È come se l’accelerazione di gravità all’interno dell’ascensore fosse pari a (g-a), minore di
g. Al limite, se fosse a=g, cioè se l’ascensore fosse in caduta libera, il passeggero avrebbe la
sensazione di essere privo di peso. Infatti gli addestramenti degli astronauti all’assenza di
gravità si effettuano in aerei in moto lungo una traiettoria parabolica, cioè in condizioni che
simulano il moto di caduta libera di un grave. La forza in grado di annullare la sensazione di
peso è la forza apparente:
Fa = − ma t
(6.13)
diretta verso l’alto, in quanto at è diretta verso il basso. L’effetto di questa forza consiste nella
sensazione che si può sperimentare in aereo durante un vuoto d’aria o su un otto-volante. Ciò
69
che si percepisce in realtà è la “mancanza” di parte della reazione vincolare che sostiene il
nostro corpo, alla quale siamo abituati.
6.3 Sistemi di riferimento in moto rotatorio
Consideriamo un punto materiale di massa m vincolato ad una piattaforma rotante a
distanza r dall’asse di rotazione. Sia ω la velocità angolare della piattaforma (Figura 4).
Rispetto ad un sistema di riferimento inerziale il punto materiale si muove di moto circolare
uniforme lungo una circonferenza di raggio r. Le forze a cui è soggetto sono la forza peso mg e
la reazione vincolare R, che presenta due componenti, una normale in grado di equilibrare la
forza peso:
R N = mg
(6.14)
l’altra tangente alla superficie, diretta verso l’asse di rotazione e di modulo tale da impartire al
corpo una accelerazione centripeta pari a ω 2r:
R T = mω 2 r
(6.15)
ω
m
RT
Fcentr
Figura 4
Rispetto ad un osservatore solidale con la piattaforma, il corpo è fermo, pertanto deve
essere nulla la risultante di tutte le forze reali ed apparenti applicate ad esso:
F + Fa = 0
(6.16)
w + R − (ma t + ma c ) = 0
(6.17)
mg + R − [mω × (ω × r ) + 2mω × v ] = 0
(6.18)
Il primo termine tra parentesi quadre rappresenta una forza apparente dovuta
all’accelerazione di trascinamento. Essa vale:
(mω r )u
2
(6.19)
r
è diretta verso l’esterno e prende il nome di “forza centrifuga”. Il secondo termine tra parentesi
quadre nella (6.18) rappresenta la forza di Coriolis ed è nullo in quanto v=0.
L’equilibrio delle forze nella (6.18) lungo la direzione ur è dato dall’uguaglianza della
componente tangenziale della reazione vincolare (6.15) e dalla forza centrifuga:
(mω r )u − (mω r )u
2
2
r
r
=0
(6.20)
70
Se ora supponiamo che il corpo si stacchi dalla piattaforma, un osservatore inerziale lo
vedrà fuggire lungo la tangente, mentre un osservatore solidale con la piattaforma lo vedrà
muoversi lungo una traiettoria curva sotto l’azione della forza centrifuga e della forza di
Coriolis (Figura 5). In particolare, per quest’ultimo osservatore, il corpo partirà lungo la
direzione radiale per l’effetto della forza centrifuga, poi piegherà in verso opposto al senso di
rotazione del disco a causa della forza di Coriolis. La traiettoria di Figura 5b può essere ottenuta
combinando il moto rettilineo rappresentato in Figura 5a con il moto circolare di trascinamento
del disco.
a)
b)
ω
ω
Osservatore inerziale
Osservatore non inerziale
Figura 5
Nel semplice caso di un disco in rotazione sul quale un punto materiale si muove in
direzione radiale (nel sistema relativo), l’origine dell’accelerazione di Coriolis può essere
ricercata nella diversa velocità tangenziale (velocità di trascinamento) che compete ai punti del
disco a diversa distanza dall’asse di rotazione (Figura 6). Se supponiamo che il punto materiale
mantenga la componente tangenziale di velocità (attrito nullo), allontanandosi dall’asse di
rotazione esso incontrerà punti del disco con velocità tangenziale maggiore; pertanto, ad un
osservatore solidale con il disco sembrerà che il punto proceda in verso opposto a quello di
rotazione, come indicato in Figura 5b. Questo comportamento può essere giustificato
dall’osservatore relativo introducendo una forza apparente di Coriolis in direzione tangenziale e
in verso opposto al senso di rotazione.
Y
vt
vr
ω
X
Fc
Figura 6
Consideriamo ora il caso di moto in direzione tangenziale, anziché radiale, nel sistema
relativo. Ad esempio, supponiamo che un punto materiale legato ad una fune di lunghezza R
ruoti con velocità angolare ω r sopra un disco, anch’esso in rotazione con velocità angolare ω t
(Figura 7). Rispetto ad un osservatore assoluto, per la legge di composizione delle velocità, il
punto materiale ruoterà con velocità angolare:
71
ω0 = ω t + ωr .
(6.21)
Consideriamo ora l’accelerazione normale misurata dall’osservatore assoluto. In un moto
circolare l’accelerazione normale è:
a n = ω2 r
(6.22)
R
ωt
ωr
Figura 7
Pertanto, sostituendo la (6.21) nella (6.22), si ottiene (per l’osservatore assoluto):
(
)
a 0 = ω 2t + ω 2r + 2ω t ω r R .
(6.23)
I tre termini entro la parentesi possono essere interpretati come l’accelerazione di
trascinamento (ω2t R), l’accelerazione relativa (ω2r R) e l’accelerazione di Coriolis (2ω t ωr R = 2
ωt vr). Dunque, nel caso di un moto relativo in direzione tangenziale, l’accelerazione di Coriolis
trae origine dalla legge di composizione delle velocità (v0 = vt + vr) e dalla relazione quadratica
tra velocità ed accelerazione normale.
6.4 Moto di caduta dei gravi
Si è detto più volte che un sistema di riferimento solidale con la terra non è inerziale,
vediamo quali sono le più importanti implicazioni di questo circostanza. Come sistema di
riferimento inerziale assumiamo un sistema avente l’origine nel centro della terra, ma che non
partecipa del suo moto di rotazione. Per un osservatore solidale con questo sistema,
l’accelerazione con cui si muove un grave in caduta libera (trascurando l’attrito dell’aria) è
dovuta alla sola attrazione gravitazionale:
F=− γ
MT
m u r = g0 m ,
R 2T
(6.24)
avendo indicato con RT e con MT il raggio e la massa della terra rispettivamente e con ur il
versore radiale. Pertanto l’accelerazione misurata da un osservatore inerziale è diretta verso il
centro della terra e vale:
a 0 = g0 = γ
MT
.
R 2T
(6.25)
Per un osservatore solidale con la terra, facendo uso della legge di composizione delle
accelerazioni, si ottiene:
ar = a0 − at − ac
(6.26)
72
Se supponiamo per il momento che il corpo sia fermo nel sistema relativo, l’accelerazione
di Coriolis ac è nulla. L’accelerazione di trascinamento at, per la scelta dei sistemi di
riferimento, è costituita dalla sola componente rotatoria e dipende dalla località geografica
considerata secondo la relazione:
(
)
a t = ω × (ω × r ) = − ω2 R T cos λ u z ,
(6.27)
dove λ indica l’angolo di latitudine.
Questa componente si somma vettorialmente con go e dà luogo al vettore accelerazione di
gravità nel punto della terra considerato:
g = g 0 − ω × (ω × r ) .
(6.28)
A causa del termine centrifugo ω x (ω
ω x r), la direzione della verticale, indicata ad esempio
da un filo a piombo, non coincide con la direzione della congiungente il punto considerato con il
centro della terra. Inoltre il modulo di g è minore del modulo di go e dipende dalla latitudine λ.
Poiché nell’emisfero boreale la direzione di g punta lievemente verso sud anziché
rigorosamente verso il centro della terra, questo effetto viene talvolta indicato come “deviazione
dei gravi verso sud”. Si osserva poi che l’accelerazione di gravità è massima ai poli e minima
all’equatore.
Figura 8
Consideriamo ora cosa avviene quando un corpo cade effettivamente verso la terra. Poiché
in questo caso il corpo si muove nel sistema di riferimento relativo con una velocità v≠0, ac non
è più nulla. Nasce pertanto una forza apparente di Coriolis in grado di produrre una
accelerazione uguale ed apposta ad ac:
Fc = −mac = −2mω × v
(6.29)
Poiché in prima approssimazione il moto avviene lungo la verticale (v//g), l’accelerazione
cui è soggetto il corpo è ortogonale sia alla verticale che all’asse di rotazione della terra;
pertanto essa è normale al piano meridiano passante per il punto considerato e dà luogo ad una
deviazione dei gravi verso oriente sia nell’emisfero boreale che nell’emisfero australe (Figura
9). Il suo modulo vale:
a c = 2ωv sin (π 2 + λ ) = 2ωv cos λ
(6.30)
73
Figura 9
La forza di Coriolis provoca uno scostamento dalla verticale della direzione di caduta dei
gravi. Per valutare l’entità di questo fenomeno studiamo il moto di caduta di un corpo da una
torre di altezza h. Consideriamo un osservatore inerziale e facciamo riferimento alla Figura 10.
A causa della rotazione della terra il corpo sulla torre possiede una velocità iniziale diretta
verso est pari a:
v 0 = ω(R T + h ) cos λ .
(6.31)
Il tempo impiegato dal corpo a cadere a terra è
T=
2h
.
g
(6.32)
Durante la caduta il moto verso est è uniforme e lo spazio percorso è:
s = v 0T .
(6.33)
v0
h
v’0
Figura 10
Nello stesso tempo la base della torre si muove con una velocità vo’:
v 0′ = ω R T cos φ
(6.34)
Pertanto il punto di impatto del corpo sulla terra dista dalla base della torre di:
∆s = ( v 0 − v ′0 )T = ω h cos φ
2h
g
(6.35)
74
Il valore ottenuto è solo approssimato, in quanto non si è tenuto conto della curvatura
terrestre, tuttavia il procedimento seguito consente di dare una stima quantitativa del fenomeno.
Poiché si suppone che la torre sia disposta lungo la verticale, un osservatore solidale con la
terra vedrà il grave cadere più ad est della verticale ed attribuirà alla forza di Coriolis la causa di
questa deflessione.
La forza di Coriolis è presente ogniqualvolta nel sistema relativo un corpo si muove con
direzione non parallela ad ω . Il moto dei venti e delle correnti marine è influenzato dalla forza
di Coriolis. Analogamente, la sponda destra dei fiumi è maggiormente erosa nell’emisfero
boreale, mentre lo è la sinistra nell’emisfero australe.
75
7
Moto in un campo di forze centrali
7.1 Momento di un vettore
Dato un vettore applicato a, ed un punto O detto polo, si definisce momento del vettore a
rispetto ad O il vettore:
M = r × a,
(7.1)
dove r è il vettore congiungente il polo O con il punto di applicazione di a.
a
α
M
r
d
Figura 1
Secondo la definizione di prodotto vettore, M ha direzione ortogonale al piano in cui
giacciono il vettore a ed il polo O, verso dal quale si vede avvenire in senso antiorario la
rotazione che porta r su a secondo l’angolo minore e modulo pari a:
M = r a sin α = a d ,
(7.2)
essendo α l’angolo compreso tra i due vettori r ed a, e d la distanza della retta di applicazione di
a dal polo O. Si osserva immediatamente che, traslando a lungo la sua retta di applicazione, il
suo momento non cambia.
M 2 = r2 × a = (r1 + r12 ) × a = r1 × a = M 1 .
a
M
r2
a
0
(7.3)
r12
r1
Figura 2
7.1.1
Momento di una forza
Data una forza F si definisce momento della forza F rispetto al polo O, il vettore:
76
= r×F .
(7.4)
Le dimensioni di τ sono:
τ = L F = L
7.1.2
2
M
1
T
−2
.
(7.5)
Momento della quantità di moto
Dato un punto materiale P avente quantità di moto p ed un polo O, si definisce momento della
quantità di moto (o momento angolare) L del punto P rispetto al polo O, il vettore:
L = r × p.
(7.6)
Le dimensioni di L sono:
[L] = [L][P] = [L]2 [M]1 [T ]−1 .
(7.7)
Il vettore L risulta ortogonale al piano individuato dal vettore v e dal punto O. In generale L
varia in modulo direzione e verso, tuttavia, nel caso di un moto piano, se il polo O giace nel
piano, il momento della quantità di moto L si mantiene ortogonale al piano del moto. Viceversa,
se il momento della quantità di moto è costante rispetto ad un polo O, il moto avviene in un
piano passante per il polo.
L
p
0
r
Figura 3
Consideriamo il moto lungo una circonferenza di raggio r. Il momento della quantità di
moto rispetto al centro della circonferenza vale:
L = m r v = m r 2ω ,
(7.8)
poiché in tale moto la velocità è in ogni punto ortogonale al raggio. In termini vettoriali si ha:
L = mr 2ω .
(7.9)
Dunque L ha la stessa direzione e lo stesso verso di ω .
In generale, nel piano, è possibile descrivere il moto di un punto P mediante le coordinate
polari. La velocità ha allora le componenti:
vr =
dr
dt
(7.10)
77
vϑ = r
dϑ
= r ω.
dt
(7.11)
Il momento della quantità di moto è dato da:
L = r × m(v ru r + v ϑu ϑ ) = mr 2ω .
y
(7.12)
vr
v
vϑ
r
ϑ
x
Figura 4
In questo caso, pur mantenendosi ortogonale al piano del moto, L varia in modulo (ed
eventualmente verso) da istante ad istante.
In un moto non piano è possibile definire il piano del moto in ogni istante come il piano a
cui appartiene il cerchio osculatore alla traiettoria nel punto considerato. Si definisce velocità
angolare ω il vettore ortogonale al piano istantaneo di moto, di verso tale da rispettare la regola
della rotazione antioraria con riferimento al raggio vettore r e di modulo pari a:
ω=
dγ
,
dt
(7.13)
essendo dγ l’angolo descritto dal raggio vettore nell’intervallo di tempo infinitesimo dt. Con la
definizione precedente la (7.9) vale in generale, tuttavia L ed ω variano in modulo direzione e
verso.
7.2 II Equazione cardinale34
Derivando rispetto al tempo il momento della quantità di moto rispetto ad un polo O si
ottiene:
dL dr
dp
= ×p + r×
dt dt
dt
.
dL
= v×p + r×F =
dt
(7.14)
Infatti il termine v x p nell’equazione precedente è nullo essendo i due vettori paralleli.
II equazione cardinale: la derivata rispetto al tempo del momento della quantità di moto
rispetto ad un polo O è uguale al momento della risultante delle forze applicate al punto P
rispetto allo stesso polo O.
34
La I equazione cardinale per un punto materiale concide con la legge che definisce la forza: F=dp/dt
78
Se τ=0 si ha:
dL
=0
dt
L = cost .
(7.15)
Se il momento delle forze applicate ad un punto rispetto ad un polo è nullo, il momento
della quantità di moto rispetto allo stesso polo è costante. In questo caso il moto è
necessariamente piano per quanto detto prima.
7.2.1
Cambiamento di polo
Noto il momento della quantità di moto di un punto rispetto ad un polo O si chiede quanto
vale il momento della quantità di moto rispetto ad un polo O’. Si supponga che entrambi i poli
siano fissi (Figura 5).
L 0′ = r ′ × p = (r + r0′0 ) × p = r × p + r0′0 × p
(7.16)
= L 0 + r0′0 × p
Derivando rispetto al tempo si ottiene la II equazione cardinale rispetto al polo O’:
dL 0′ dL 0
dp dL 0
=
+ r0′0 ×
=
+ r0′0 × F =
dt
dt
dt
dt
0
+ r0′0 × F
(7.17)
p
0
r
r0’0
0’
r’
Figura 5
Se anziché un polo fisso consideriamo un polo mobile O in moto con velocità v0 nel sistema di
riferimento inerziale considerato, abbiamo (Figura 6):
L0 = r × p
r = rP − r0
(7.18)
Derivando la seconda equazione rispetto al tempo si ha:
dr drP dr0
=
−
= vP − v0
dt
dt
dt
(7.19)
Derivando poi la prima delle (7.18) e sostituendo l’equazione (7.19) si ottiene:
dL 0 dr
=
× p + r × F = (v P × p − v 0 × p ) + τ 0
dt
dt
(7.20)
dL 0
+ v 0 × p = τ0
dt
(7.21)
79
dL 0
= τ0 − v0 × p .
dt
(7.22)
La derivata temporale del momento angolare di un punto materiale rispetto ad un polo mobile O
è pari alla risultante dei momenti delle forze applicate al punto calcolata rispetto al polo O meno
il termine v0 x p. La (7.22) verrà richiamata nel capitolo 9, dedicato alla dinamica dei sistemi di
particelle.
vp
z
rp
r
0
v0
r0
y
x
Figura 6
7.3 Campo di forze centrali
Finora abbiamo considerato le forze come interazioni tra due corpi ben definiti A e B. In
tutti i casi in cui la forza tra A e B dipende, oltre che dai corpi, solo dalla posizione reciproca
(forze posizionali), è possibile immaginare che uno dei due corpi, ad esempio A generi una
“alterazione” in una regione di spazio per cui, posto il secondo corpo (B) nella regione
considerata, questo risulta soggetto ad una forza che è funzione solo della sua posizione. Tale
“alterazione” dello spazio prende il nome di campo di forze per il corpo B generato dal corpo A
e consiste nella corrispondenza che si stabilisce tra i punti della regione di spazio considerata e
la forza di interazione. È importante osservare che, mentre il concetto di interazione non
privilegia nessuno dei due corpi, il concetto di campo di forze è basato sull’assunzione che uno
dei due corpi generi il campo e l’altro ne risenta gli effetti. Esiste una fondamentale differenza
tra questa interpretazione della forza ed il semplice concetto di interazione considerato finora.
L’interazione corrisponde ad un’azione a distanza che si esplica istantaneamente tra due corpi,
invece il campo di forze generato da un corpo manifesta i sui effetti su un altro corpo solo dopo
un tempo di propagazione che cresce proporzionalmente alla distanza dei corpi. Esistono
inequivocabile evidenze sperimentali che fanno preferire l’interpretazione delle forze
fondamentali come effetto di campi piuttosto che di azioni a distanza. Osserviamo inoltre che in
alcuni casi il concetto di campo è altrettanto intuitivo quanto quello di interazione. Ad esempio,
se consideriamo la forza peso con cui la terra attrae i corpi, ci è naturale pensare che sia la terra
l’elemento attivo ed il corpo attratto quello passivo, benché, per la III legge della dinamica,
anche il corpo attragga la terra con una forza uguale e contraria.
Più in generale, in fisica un campo è una corrispondenza tra i punti di una regione di spazio
ed il valore di una grandezza che può essere sia scalare (campo di temperatura, di pressione,
etc.) sia vettoriale (campo di forza, di velocità, etc.). A conclusione di queste osservazioni
definiamo un campo di forze come segue:
Dato un punto materiale P, se, posto P in ogni punto di una regione di spazio C, esso è soggetto
ad una forza F funzione solo del punto considerato, si dice che la regione di spazio C è sede di
un campo di forze F per il punto P.
Si dice campo di forze centrali un campo di forze che soddisfa le seguenti proprietà:
80
a)
in ogni punto Q della regione di spazio considerata la forza F è diretta come la
congiungente il punto Q con un punto fisso O detto centro di forze.
b)
il modulo della forza F è funzione solo della distanza del punto Q considerato dal centro
O. Pertanto |F|=f(r).
Q
Q’
F
F’
0
Figura 7
In un campo di forze centrali la derivata temporale del momento della quantità di moto di
un punto materiale P rispetto al centro O è nulla:
dL
= r × F = 0.
dt
(7.23)
Infatti, il momento della forza F rispetto ad O è sempre nullo, essendo F parallela ad r.
Pertanto, in un campo di forze centrali il momento della quantità di moto si conserva.
Viceversa se il momento della quantità di moto di un punto P rispetto ad un polo O si conserva,
si danno due casi:
a)
il punto P non è soggetto ad alcuna interazione, pertanto P si muove di moto rettilineo
uniforme ed il suo momento della quantità di moto si conserva rispetto a qualunque
polo
b)
il punto P si muove in un campo di forze centrali di centro O.
In natura esistono notevoli esempi di forze centrali; ad esempio sono forze centrali la forza
gravitazionale e la forza elettrica.
Consideriamo ora le caratteristiche del moto di un punto P per il quale L sia costante
rispetto ad un polo O.
a)
Il moto di P è piano. Infatti, se si assume come origine del sistema di riferimento il polo
rispetto a cui L è costante, i vettori r e v devono giacere nel piano passante per O e
normale alla direzione di L.
b)
la velocità areolare, cioè la derivata temporale dell’area spazzata dal raggio vettore, è
costante.
Dimostriamo il punto b). Consideriamo il legame tra L ed ω :
L = mr 2 ω = cost
(7.24)
Dalla definizione di ω
81
ω=
dϑ
,
dt
(7.25)
si ha quindi:
r2
dϑ L
= = cost .
dt m
(7.26)
Con riferimento alla Figura 8 si ha:
dA =
1
1
r ( rdϑ ) = r 2 dϑ .
2
2
(7.27)
Quindi:
dA 1 2 dϑ 1 L
≅ r
=
= cost .
dt 2 dt 2 m
(7.28)
Il risultato precedente corrisponde alla II legge di Keplero per il moto dei pianeti.
v
dΑ
P
r
dϑ
Figura 8
7.4 Forze assiali
Si definisce momento di una forza F rispetto ad un asse z il vettore componente rispetto a z del
momento di F rispetto ad un polo O appartenente all’asse z (Figura 9):
z
= (r × F ) ⋅ u z
(7.29)
Per capire il significato di momento rispetto ad un asse consideriamo una porta vincolata a
due cardini e chiediamoci come dobbiamo applicata una forza aprire o chiudere la porta con
minimo sforzo. La risposta è semplicemente che la forza deve essere applicata lungo una retta
che passa il più lontano possibile dall’asse dei cardini ed è ortogonale a tale asse, come dire che
bisogna tirate o spingere la porta poggiano la mano sulla maniglia. Una forza siffatta ha il
massimo momento assiale. Viceversa, una forza la cui retta d’azione passa per l’asse dei cardini
non è in grado di aprire la porta in quanto ha momento assiale nullo.
In generale, si definisce forza assiale (Figura 10) una forza la cui retta d’azione passa sempre
per un asse fisso (z).
In tal caso il momento di F rispetto a z risulta sempre nullo. Infatti:
82
z
= (r × F ) ⋅ u z = 0 ,
(7.30)
poiché il momento rispetto ad un punto dell’asse è sempre normale all’asse stesso.
z
τz
τ
0
F
r
y
x
Figura 9
Se, in un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale P si muove in un campo di
forze assiali, la componente del momento della quantità di moto di P lungo l’asse del campo si
conserva. Infatti si ha:
dL z dL
=
⋅ u z = (r × F ) ⋅ u z =
dt
dt
z
= 0,
(7.31)
pertanto:
L z = cost .
(7.32)
z
P’
F’
P
F
r
0
y
x
Figura 10
Un tipico esempio di forza assiale è dato dalla forza di natura elettrica con cui l’elettrone di
+
una molecola di H 2.è attratto dai due protoni.
F1
1
F
F2
2
+
+
Figura 11
83
8
Lavoro ed energia
I concetti di lavoro ed energia sono tra i più importanti della fisica. Quando un punto
materiale, a cui sia applicata una forza, compie uno spostamento, si dice che la forza compie un
lavoro. Analogamente, poiché le forze sono vettori applicati, si dice che una forza compie un
lavoro quando il suo punto di applicazione si sposta. In generale, il lavoro compiuto da una
forza su un punto materiale determina un aumento della sua velocità che corrisponde
all’incremento di una funzione scalare che viene detta energia cinetica del punto materiale. In
altri casi il lavoro compiuto su un corpo determina un cambiamento della sua posizione in
relazione ai campi di forze in cui il corpo è inserito, o provoca un cambiamento nella sua
configurazione, ad esempio una deformazione del corpo. Anche in questi casi è possibile
mettere in evidenza l’aumento di alcune forme di energia associate al corpo considerato
(energia potenziale). Si osserva infine che il concetto di energia è estremamente generale ed
interessa tutte le settori della fisica. Infatti, oltre all’energia meccanica, esistono forme di
energia associate ai fenomeni termici, elettrici, magnetici, nucleari etc. Una proprietà
fondamentale dell’energia è quella di trasformarsi da una forma all’altra; tuttavia, in un sistema
isolato la somma di tutte le forme di energia è costante. Infatti, l’energia si conserva sempre35.
Per i nostri studi di meccanica, l’energia è un indice che rappresenta il lavoro che un corpo
(o un sistema) è in grado di compiere in virtù del suo stato di moto e della sua posizione in
relazione ai campi di forza che agiscono sul corpo.
8.1 Lavoro elementare di una forza
Consideriamo un punto materiale P che percorra una data traiettoria sotto l’azione di una
forza F. In un intervallo di tempo infinitesimo, il punto P compirà lo spostamento dr; si
definisce lavoro elementare della forza F durante lo spostamento dr il prodotto scalare:
dL = F ⋅ dr .
(8.1)
Dalla regola di esecuzione del prodotto scalare si ottiene:
dL = F dr cos ϑ ,
(8.2)
essendo ϑ l’angolo compreso tra la direzione della forza e quella dello spostamento.
y
dr
r
F
ϑ
x
z
Figura 1
35
Questa affermazione è corretta se si include tra le forme di energia la massa delle particella che in una
visione relativistamente corretta costituisce la loro energia a riposo.
84
Assumendo che dr cosϑ rappresenti la proiezione dello spostamento nella direzione della forza
si può affermare che il lavoro è dato dal prodotto del modulo della forza per la proiezione dello
spostamento nella direzione della forza, se poi i versi di F e di dr sono concordi, cosϑ
risulta > 0 ed il lavoro è positivo, viceversa se il verso è discorde, risulta cosϑ < 0 ed il lavoro è
negativo.
Una espressione equivalente del lavoro elementare può essere ricavata scomponendo la
forza F nelle componenti parallela e normale alla traiettoria:
F = FT u T + FN u N .
(8.3)
Lo spostamento dr si scrive:
dr = ds u T ,
(8.4)
pertanto il lavoro elementare vale:
dL = ( FT u T + FN u N ) ⋅ ds u T = FT ds .
(8.5)
Scomponendo infine forza e spostamento secondo le componenti cartesiane, il prodotto
scalare nella (8.1) diviene:
dL = Fx dx + Fy dy + Fz dz .
(8.6)
Dalla (8.2) si osserva che, se la forza e lo spostamento sono ortogonali, il lavoro è nullo. Ad
esempio, se consideriamo un corpo in moto circolare uniforme, il punto di applicazione della
forza centripeta agente sul corpo si sposta, ma il lavoro compiuto è nullo in quanto la forza è
sempre ortogonale allo spostamento.
8.2 Lavoro lungo un tratto finito
Finora abbiamo considerato uno spostamento infinitesimo; per determinare il lavoro
compiuto da una forza nello spostamento dalla posizione iniziale A alla posizione finale B
lungo la traiettoria γ (Figura 2) calcoliamo l’integrale della (8.1) per spostamenti elementari che
avvengano lungo la linea γ:
L = F ⋅ dr ,
γ
(8.7)
intendendo con ciò che lo spostamento dr che compare nella (8.7) deve essere sempre tangente
alla traiettoria γ.
Il calcolo dell’integrale (8.7) può essere effettuato se si conoscono, ad esempio, le equazioni
parametriche della traiettoria, ovvero la legge oraria del moto, e se si conosce la forza F in
funzione della posizione:
L = Fx ( x, y, z)dx + Fy ( x, y, z)dy + Fz ( x, y, z)dz ,
(8.8)
γ
con γ data da: γ={x=x(t), y=y(t), z=z(t)}, avendo usato come parametro il tempo.
Alternativamente si può calcolare il lavoro se si conosce la componente tangente della forza
in ogni punto della traiettoria. Dalla (8.5) si ottiene in questo caso:
L = FT ( s) ds .
(8.9)
γ
85
La variabile di integrazione è l’ascissa curvilinea, mentre la curva γ deve essere espressa in
funzione di questo parametro.
y
.•
A
B
r
.•
F
z
γ
x
Figura 2
Se più forze F1, F2,...,Fn agiscono sul punto materiale P, la somma dei lavori delle singole
forze lungo uno spostamento dr, per la proprietà associativa del prodotto scalare, è data dal
lavoro della forza risultante F lungo il medesimo spostamento.
dL = F1 ⋅ dr + F2 ⋅ dr + + Fn ⋅ dr
= (F1 + F2 + +Fn ) ⋅ dr = F ⋅ dr
(8.10)
Il lavoro è una grandezza scalare, le sue dimensioni sono:
Lav = F L = L
2
M
1
T
−2
.
(8.11)
Nel Sistema Internazionale l’unità di misura del lavoro è il joule (J), pari a 1 newton x 1 metro.
Il lavoro di 1 J è il lavoro compiuto da una forza di 1 N quando il punto materiale a cui essa è
applicata si sposta di 1 m in direzione della forza.
8.3 Potenza di una forza
Per definizione chiamiamo potenza di una forza F la derivata rispetto al tempo del lavoro
compiuto dalla forza F durante lo spostamento dr:
W=
dL
.
dt
(8.12)
Essa rappresenta la rapidità con cui una forza compie un lavoro.
Se dividiamo formalmente per dt entrambi i membri dell’equazione (8.1) otteniamo:
W=
dL
dr
= F⋅ = F⋅v,
dt
dt
(8.13)
dove v rappresenta la velocità con cui si muove il punto materiale a cui la forza F è applicata.
La potenza è la grandezza fisica con cui si misura la capacità di una macchina di compiere
un lavoro in un certo tempo. Nella pratica, le forze che una macchina può esercitare possono
essere modificate a piacere, ad esempio mediante l’uso di leve, riduttori o ingranaggi, tuttavia la
sua potenza non può essere aumentata.
Se una macchina sviluppa una potenza W, il lavoro che essa compie tra gli istanti di tempo
t1 e t2 è:
86
L=
t2
W ( t ′)dt ′ .
t1
(8.14)
Le dimensioni della potenza sono:
W = F V = L
2
M
1
T
−3
.
(8.15)
Nel Sistema Internazionale l’unità di misura della potenza è il watt (W). Si dice che una
macchina sviluppa una potenza di 1 W se essa compie un lavoro di 1 J in 1 s.
8.4 Energia cinetica e teorema delle forze vive
Sia F la risultante delle forze applicate ad un punto materiale P di massa m e sia dr lo
spostamento di P nell’intervallo di tempo dt. Se moltiplichiamo scalarmente entrambi i membri
dell’equazione della dinamica F = ma per dr otteniamo:
F ⋅ dr = m
1
1
dv
⋅ dr = mdv ⋅ v = md(v ⋅ v ) = d mv2
2
2
dt
(8.16)36
poiché dL=F·dr la (8.16) diviene:
dL = d
1
mv 2 .
2
(8.17)
Integrando la (8.17) tra i punti A e B lungo la generica traiettoria γ si ottiene:
L A→ B =
B
A
d
1
1
1
mv 2 = mv 2B − mv A2 .
2
2
2
(8.18)
Definiamo l’indice di stato energia cinetica del punto P nelle posizioni A e B come:
E cA =
1
mvA2 + k
2
E cB =
1
mv2B + k ,
2
(8.19)
dove k è una costante arbitraria. Possiamo allora esprimere il lavoro compiuto dalla forza F tra i
punti A e B in termini della variazione dell’energia cinetica posseduta da P nei medesimi punti.
LA → B = E c B − E cA = ∆E c .
(8.20)
L’energia cinetica è un indice di stato, mentre la grandezza fisica effettivamente misurabile
è il lavoro che viene compiuto dalla forza F quando la posizione del punto P a cui è applicata,
cambia da A a B e di conseguenza la velocità di P cambia da vA a vB. Per definire l’energia
cinetica di un punto P in un certo stato, dobbiamo stabilire arbitrariamente l’energia cinetica di
uno stato di riferimento e calcolare il lavoro necessario per portare il punto P dallo stato di
riferimento allo stato considerato. L’energia cinetica di un punto P dipende dalle grandezze
massa e velocità, supponendo che la massa rimanga costante, assumiamo come stato di
riferimento, a cui attribuiamo energia cinetica nulla, lo stato in cui P si trova a riposo nel
36
d(v ⋅ v ) = dv ⋅ v + v ⋅ dv = 2dv ⋅ v
87
sistema di riferimento considerato37. Con l’assunzione precedente, d’ora innanzi supporremo
sempre nulla la costante k che compare nella (8.19); pertanto, l’energia cinetica di un punto
materiale di massa m e velocità v, è:
Ec =
1
mv 2 .
2
(8.21)
Poiché la differenza di due energie cinetiche è omogenea con il lavoro, l’unità di misura
dell’energia cinetica è il Joule.
In generale, l’energia di un corpo rappresenta il lavoro che il corpo può compiere in virtù del
suo stato di moto.
La (8.18) ha validità del tutto generale e costituisce il:
Teorema dell’energia cinetica o il teorema delle forze vive: Il lavoro compiuto dalla risultante
delle forze agenti su un punto materiale quando questo passa dalla posizione A alla posizione
B, è uguale alla differenza delle energie cinetiche possedute dal punto nelle posizioni B ed A,
rispettivamente.
Il teorema dell’energia cinetica vale in qualunque sistema di riferimento, qualsiasi siano le
forze applicate al punto P. Nel caso di un sistema non inerziale, concorre alla variazione
dell’energia cinetica anche il lavoro delle forze apparenti.
8.5 Lavoro di una forza costante
Con riferimento Figura 3, consideriamo un punto materiale P di massa m soggetto ad una
forza costante F ed eventualmente ad altre forze. Supponiamo che, per effetto della risultante R
delle forze applicate, esso descriva una generica traiettoria γ tra i punti A e B. Il lavoro
compiuto dalla sola forza F quando P si sposta da A a B vale:
L=
B
Aγ
F ⋅ dr = F ⋅
B
A
dr = F ⋅ (rB − rA ) = F ⋅ ∆r .
(8.22)
A
y
.•
rA
∆r
B
F
.•
rB
x
z
Figura 3
Infatti, nella relazione precedente la forza F può essere portata fuori dall’integrale, che
diviene così indipendente dal cammino di integrazione. Pertanto, il lavoro di una forza costante
37
In meccanica relativistica la massa di una particella non è costante, ma dipende dalla velocità. In
questo caso si assume che l’energia a riposo della particella non sia nulla, ma sia data da m0c2 essendo
m0 la massa a riposo e c la velocità della luce.
88
è indipendente dalla traiettoria seguita dal punto P ed è dato dal prodotto del modulo della forza
per la proiezione dello spostamento di P nella direzione della forza.
Ad esempio, consideriamo la forza peso
w = mg = − mg u y
(8.23)
in un sistema di riferimento con l’asse y orientato lungo la verticale dal basso verso l’alto. Con
riferimento ancora alla figura Figura 3, il lavoro della forza peso per uno spostamento dalla
posizione A alla posizione B è:
L A→ B = F ⋅ ∆r = Fx ∆x + Fy ∆y = − mg( y B − y A ) = mgy A − mgy B .
(8.24)
Il lavoro dipende solo dalle ordinate dei punti A e B, non dipende dal particolare cammino
seguito.
8.6 Energia potenziale
Per una forza costante il lavoro compiuto nello spostamento da A e B non dipende dal
cammino percorso, ma solamente dai punti iniziale e finale dello spostamento. Ad esempio per
la forza peso si ha:
L=
B
A
mg ⋅ dr = mgy A − mgy B .
(8.25)
In virtù di questa indipendenza e in accordo con la definizione di energia data nel paragrafo
precedente, possiamo definire l’indice di stato energia potenziale della forza peso nei punti A e
B come:
E p A = mgy A + k
E pB = mgy B + k ,
(8.26)
dove k è ancora una costante arbitraria.
Con la definizione precedente il lavoro della forza peso tra i punti A e B può essere
espresso in termini della variazione della funzione scalare energia potenziale di P nei medesimi
punti.
L A→ B = E p A − E pB = −∆E p .
(8.27)
In termini infinitesimi, il lavoro elementare è dato dal differenziale della funzione energia
potenziale cambiato di segno:
dL = F ⋅ dr = − dE p .
(8.28)
Nel caso dell’energia potenziale, il carattere di indice di stato, ed il significato della
costante k sono ancora più evidenti di quanto non fossero per l’energia cinetica. Per comodità,
assumiamo come stato di riferimento a cui attribuire energia potenziale nulla, lo stato in cui P si
trova a ordinata nulla (y = 0) nel sistema di riferimento considerato. Con l’assunzione
precedente, la costante k è uguale a zero, e l’energia potenziale di un punto materiale di massa
m nella posizione (x,y) vale:
E p ( x , y) = mgy ,
(8.29)
ed è pari al lavoro che la forza peso compie quando il corpo si sposta dal punto considerato al
punto di riferimento.
89
8.7 Campi di forze conservativi
Oltre alla forza peso esistono altre forze, o meglio altri campi di forze che ammettono
energia potenziale. Una condizione essenziale affinché questo accada è che la forza sia
posizionale, cioè che essa dipenda solo dalla posizione del punto materiale a cui è applicata. Un
campo di forze che ammette energia potenziale si dice conservativo. Vedremo in seguito una
condizione “matematica” a cui deve soddisfare un campo di forze per essere conservativo, per il
momento limitiamoci ad osservare che:
In un campo di forze conservativo il lavoro fatto dalla forza del campo quando il suo punto di
applicazione si sposta da un punto A ad un punto B non dipende dal particolare cammino
seguito, ma solo dai punti A e B.
Consideriamo il lavoro lungo un percorso chiuso; dall’equazione (8.22), ponendo A = B
poiché in un cammino chiuso i punti iniziale e finale coincidono, si ottiene
L = F ⋅ dr = 0
(8.30)
In un campo di forze conservativo il lavoro fatto dalla forza del campo lungo un generico
percorso chiuso è nullo.
•
B
•
A
Figura 4
In generale, se il lavoro di una forza calcolato lungo un qualunque cammino γ dipende solo
dagli estremi di integrazione e non dal cammino, deve esistere una funzione delle sole
coordinate spaziali tale che il lavoro elementare possa essere espresso come differenziale di tale
funzione, che prende il nome di energia potenziale:
dL = F ⋅ dr = − dE p .
(8.31)
Lungo un percorso finito si avrà pertanto:
L A→B =
B
F ⋅ dr = −
Aγ
B
A
dE p = E p (A) − E p ( B) .
(8.32)
Non sono conservative tutte le forze che dipendono dalla velocità del punto materiale a cui
sono applicate. Non sono conservative tutte le forze di attrito, comprese quelle di attrito viscoso.
Per queste forze il lavoro lungo un cammino chiuso è diverso da zero e corrisponde ad una
trasformazione di energia cinetica in energia “termica”.
8.8 Esempi di calcolo dell’energia potenziale
Dato un campo di forze conservativo, l’energia potenziale in un generico punto del campo
si determina calcolando il lavoro che la forza del campo compie quando il corpo a cui è
applicata si sposta dal punto considerato al punto di riferimento, al quale si attribuisce energia
potenziale nulla. Consideriamo alcuni esempi.
90
8.8.1
Energia potenziale della forza peso
Abbiamo già visto che l’energia potenziale di un corpo di massa m a quota h rispetto al
suolo vale:
E p = mgh ,
(8.33)
avendo assunto nulla l’energia potenziale per y=0.
8.8.2
Energia potenziale delle forze elastiche
L’espressione della forza elastica lungo un asse x (equazione scalare riferita ad una
componente cartesiana) è:
F = − kx .
(8.34)
Il lavoro tra i punti x1 e x2 vale:
L=
x2
x1
F dx = −
x2
x1
kx dx =
1 2 1 2
kx − kx
2 1 2 2
(8.35)
da cui si deduce la forma dell’energia potenziale:
E p ( x) =
1 2
kx .
2
(8.36)
Con l’assunzione (8.36) risulta Ep(0) = 0, come è naturale porre.
8.8.3
Energia potenziale delle forze centrali
L’espressione di una forza centrale, assumendo l’origine del sistema di riferimento nel
centro della forza, è:
F = f (r) ur .
(8.37)
Il lavoro compiuto dalla forza del campo da A a B vale:
L=
B
A
f ( r ) u r ⋅ dr .
(8.38)
Lo spostamento dr può essere scomposto in una componente lungo ur ed in una componente
ortogonale (Figura 5).
dr = dr u r + comp. trasversa.
(8.39)
Poiché solo la prima componente compie lavoro si ha:
L=
8.8.3.1
B
A
f (r )dr = E pA ( rA ) − E pB (rB ) .
(8.40)
Energia potenziale della forza gravitazionale
Come caso particolare di forza centrale consideriamo il campo gravitazionale. Data una
massa m nel campo gravitazionale generato dalla massa M la forza di attrazione è:
91
F = −γ
Mm
ur .
r2
(8.41)
y
dr ur
dr
r
r’
x
z
Figura 5
Il lavoro che la forza del campo compie quando m si sposta da A a B vale:
Mm
Mm
L = − γ 2 dr = γ
A
r
r
B
rB
rA
=γ
Mm
Mm
−γ
,
rB
rA
(8.42)
da cui risulta che l’energia potenziale di una massa m in un punto a distanza r dalla massa M è:
E p ( r ) = −γ
Mm
r
E p (∞) = 0 .
(8.43)
Dalla relazione (8.43) si osserva che l’energia potenziale del punto all’infinito è nulla, come è
usuale porre per i campi di forze in cui la dipendenza della forza dal raggio è del tipo 1/r2.
8.8.3.2
Energia potenziale della forza elettrica
Come nel caso della forza gravitazionale, l’energia potenziale di una carica q in un campo
di forze elettriche è:
Ep (r) =
1 Qq
4 πε 0 r
E p (∞) = 0 ,
(8.44)
dove Q è la carica che genera il campo. Se le cariche sono di segno opposto la forza è attrattiva
e l’energia potenziale è negativa. In caso contrario, la forza è repulsiva e l’energia potenziale è
positiva.
8.8.4
Energia potenziale della forza centrifuga
Consideriamo un sistema di riferimento non inerziale in moto rotatorio con velocità
angolare ω costante rispetto ad un sistema inerziale. Un punto materiale di massa m a distanza r
dall’asse di rotazione è sottoposto ad una forza (apparente) pari a:
F = mω 2 r u r
(8.45)
Tale forza è posizionale ed ammette energia potenziale pari a:
92
Ep =
0
r
1
F ⋅ dr = mω2 r 2 ,
2
avendo posto pari a zero l’energia potenziale nell’origine degli assi (r = 0).
8.9 Superfici equipotenziali e linee di forza
In un campo di forze conservativo, si dice superficie equipotenziale il luogo geometrico
dei punti nei quali l’energia potenziale assume valore costante. Le superfici equipotenziali
costituiscono una famiglia di superfici che soddisfano l’equazione:
E p ( x, y, z) = cost .
(8.46)
Per uno spostamento infinitesimo lungo una tale superficie:
dL = F ⋅ dr = − dE p = 0.
(8.47)
Per l’arbitrarietà della scelta dello spostamento dr, dalla equazione (8.47) si deduce che la forza
F è sempre ortogonale alle superfici equipotenziali. Generalmente si rappresenta un campo di
forze disegnando delle linee che in ogni punto hanno la direzione ed il verso della forza. Esse si
dicono linee di forza e, per quanto asserito sono ortogonali alle superfici equipotenziali. Ad
esempio, in Figura 6 sono rappresentate qualitativamente le superfici equipotenziali e le linee di
forza di un campo centrale repulsivo (campo di una carica elettrica positiva). Le superfici
equipotenziali sono tracciate con una densità maggiore dove il campo è più intenso.
Analogamente, le linee di forza si concentrano nelle regioni di maggiore intensità.
Figura 6
8.10 Gradiente dell’energia potenziale
Abbiamo visto in precedenza che, se il campo è conservativo, nota l’espressione della
forza, è possibile calcolare l’energia potenziale con un procedimento di integrazione. Viceversa,
si chiede come si possa dedurre l’espressione della forza del campo se è nota l’energia
potenziale Ep(x,y,z) in ogni punto.
Consideriamo il lavoro di una forza conservativa applicata ad un punto materiale che, dalla
posizione P(x,y,z), compia uno spostamento infinitesimo dr parallelo all’asse x:
dL = Fx dx = E p ( x, y , z) − E p ( x + dx, y , z).
(8.48)
93
Dalla relazione precedente si ottiene:
Fx =
E p ( x, y, z) − E p ( x + dx, y, z)
dx
=−
∂E p
∂x
.
(8.49)
Cioè la componente secondo x della forza è uguale alla derivata parziale dell’energia potenziale
rispetto ad x, cambiata di segno. Analogamente, considerando spostamenti infinitesimi paralleli
agli assi y e z, si ottengono le componenti Fy e Fz. In definitiva la relazione cercata è:
Fx = −
Fy = −
Fz = −
∂E p
∂x
∂E p
(8.50)
∂y
∂E p
∂z
Si ha poi:
F = Fxu x + Fy u y + Fz u z
(8.51)
e quindi:
F=−
∂E p
∂x
ux +
∂E p
∂y
uy +
∂E p
∂z
uz .
(8.52)
L’equazione (8.52) si può scrivere in modo sintetico introducendo l’operatore differenziale
gradiente:
F = −gradE p = −∇E p .
(8.53)
L’operatore ∇ equivale all’operatore gradiente, si dice “nabla” e si scrive formalmente come:
∇=
∂
∂
∂
ux + uy + uz.
∂x
∂y
∂z
(8.54)
Il gradiente è un operatore che trasforma un campo scalare (Ep) in un campo vettoriale (F).
L’operatore gradiente, o il suo equivalente nabla considerati in precedenza sono riferiti ad
un sistema di coordinate cartesiane. Se si considera un altro sistema di coordinate il gradiente
avrà una diversa espressione, ma continuerà a rappresentare il legame tra l’energia potenziale e
la forza del campo.
Consideriamo ad esempio un sistema di coordinate polari piane. Per uno spostamento
infinitesimo lungo ur:
dL = Fr dr = E p (r, ϑ) − E p (r + dr, ϑ)
(8.55)
pertanto:
Fr = −
∂E p
∂r
(8.56)
94
Per uno spostamento lungo uϑ si ha invece:
dL = Fϑ r dϑ = E p (r, ϑ) − E p (r , ϑ + dϑ)
Fϑ = −
(8.57)
1 ∂E p
.
r ∂ϑ
(8.58)
Vale ancora la relazione (8.53), tuttavia il gradiente ha ora la seguente espressione:
∇=
∂
1 ∂
ur +
uϑ .
∂r
r ∂ϑ
(8.59)
8.10.1 Interpretazione geometrica del gradiente
Dato un generico campo scale ϕ, il vettore gradiente, in un punto P, è ortogonale alla
superficie di livello [ϕ(P) = costante] passante per P, ha come modulo la derivata normale della
funzione ϕ e come verso quello nel quale ϕ aumenta.
gradϕ =
∂ϕ
un ,
∂n
(8.60)
dove un è la normale alla superficie di livello passante per il punto considerato. Si ricorda che la
derivata normale è il limite del rapporto incrementale calcolato considerando i valori assunti
dalla funzione ϕ lungo la direzione normale alla superficie ϕ (P) = costante.
P1
dn
ϑ dk
P0
Figura 7
ϕ(P1 ) − ϕ(P0 )
∂ϕ
= lim
∂n P1 → P0
P1 − P0
(8.61)
In generale, la derivata di ϕ lungo una generica direzione individuata dal versore uk è data
da:
∂ϕ
= grad ϕ ⋅ u k
∂k
(8.62)
ed è minore di ∂ϕ/∂n. Infatti:
95
∂ϕ dϕ dn
=
= grad ϕ cos ϑ ,
∂k dn dk
(8.63)
essendo dn = dk cosϑ. Per uk = un la derivata di ϕ assume il valore massimo, in accordo con il
fatto che la direzione del gradiente è quella di massimo incremento della funzione ϕ. Per uno
spostamento infinitesimo dk lungo la direzione uk si ha infine:
dϕ = grad ϕ ⋅ u k dk .
(8.64)
Supponiamo ora che la funzione ϕ rappresenti l’energia potenziale Ep di un campo di forze
conservative. La direzione di grad Ep è quella di massimo incremento dell’energia potenziale ed
il suo modulo è pari all’aumento di Ep per uno spostamento unitario lungo tale direzione. Poiché
la variazione di energia potenziale si ottiene per effetto del lavoro compiuto dalla forza del
campo, e poiché una forza compie il massimo lavoro quando la sua direzione coincide con
quella dello spostamento (L = Fdr), risulta chiaro che il vettore grad Ep ha la direzione ed il
modulo della forza del campo nel punto considerato. Il verso è invece opposto in quanto il
legame tra la variazione dell’energia potenziale ed il lavoro infinitesimo è dL = - dEp.
8.11 Condizione affinché un campo di forze sia conservativo
Affinché un campo di forze sia conservativo è necessario che il lavoro elementare delle
forze del campo possa essere espresso come differenziale di una funzione scalare che, per
definizione, abbiamo chiamato energia potenziale
dL = Fx dx + Fy dy + Fzdz = − dE p .
(8.65)
Condizione necessaria e sufficiente affinché tale funzione esista è che, tra le componenti della
forza F del campo, valgano identicamente le relazioni:
∂Fx ∂Fy
−
=0
∂y
∂x
∂Fx ∂Fz
=0
−
∂x
∂z
∂Fy ∂Fz
=0
−
∂y
∂z
∂Fr ∂ (r Fr )
=0
−
∂ϑ
∂ϑ
(8.66)
riferite ad un campo espresso rispettivamente in coordinate cartesiane ed in coordinate polari
piane. Si può dimostrare che le componenti a primo membro delle (8.66) si trasformano, per una
rotazione del sistema di riferimento, come le componenti di un vettore. Si definisce pertanto un
operatore, detto rotore, che trasforma il campo vettoriale F in un altro campo vettoriale G:
G = rot F =
∂A y ∂A x
∂A z ∂A y
∂A x ∂A z
−
ux +
−
uy +
−
u z . (8.67)
∂y
∂z
∂x
∂y
∂z
∂x
Le condizioni differenziali (8.66) si esprimono sinteticamente dicendo che:
condizione necessaria e sufficiente affinché il campo di forze F sia conservativo è che il suo
rotore sia nullo:
rot F = 0 .
(8.68)
96
8.12 Equilibrio di un corpo in un campo di forze conservativo
Nel paragrafo 5.6 si è detto che: condizione necessaria affinché un corpo sia in equilibrio in
una certa posizione è che la risultante delle forze applicate sia nulla. Consideriamo un corpo in
un campo di forze conservative, per semplicità consideriamo il caso monodimensionale. Sia:
E p (x) = f (x)
(8.69)
l’energia potenziale lungo l’asse x. Dalle equazioni (8.50) o (8.53) si ottiene che, affinché sia
nulla la risultante delle forze in un punto di ascissa x–, deve essere:
dE p
dx
=0,
(8.70)
x=x
cioè il punto considerato deve essere un punto di stazionarietà per la funzione Ep(x).
Ep
Ep
Ep
dx
F
F
dx
–
x
x
–
x
x
–
x
x
Figura 8
Se in –x Ep(x) ha un minimo, l’equilibrio si dice stabile; infatti, se diamo ad x un incremento
dx positivo, il corpo diviene soggetto ad una forza nella direzione delle x negative, tale quindi
da riportarlo nella posizione di equilibrio. Tuttavia, il corpo giungerà nuovamente nella
posizione di equilibrio con velocità non nulla, pertanto la attraverserà e diventerà soggetto ad
una forza di verso opposto. A causa dello smorzamento dovuto agli inevitabili attriti, il corpo
oscillare nell’intorno della posizione di equilibrio fino ad arrestarsi nel fondo della “buca di
potenziale”.
Viceversa, se in x– Ep(x) ha un massimo, l’equilibrio si dice instabile. Diamo infatti ad x un
incremento dx positivo, in questo caso la forza agente sul corpo è rivolta verso le x positive,
cioè è tale da allontanare ulteriormente il corpo dal punto x– e da rompere definitivamente
l’equilibrio.
Si supponga ora che la (8.70) valga in tutti i punti in un intorno di x–. In questo caso
l’equilibrio si dice indifferente in quanto si mantiene spostando il corpo in un qualunque punto
dell’intorno considerato.
8.13 Teorema di conservazione dell’energia meccanica
Siano F1, F2,…Fn le forze che agiscono su un punto materiale P. Nel paragrafo 8.4 si è
visto che il lavoro di tutte le forze lungo uno spostamento tra i punti A e B conduce alla
variazione di un indice di stato che abbiamo chiamato energia cinetica:
LA→B = E c B − E cA
(8.71)
97
Se le forze F1, F2,…Fn sono conservative, è possibile definire una energia potenziale Ep1,
Ep2,…Εpn per ciascuna di esse, pertanto il lavoro che compare nella (8.71) può essere espresso
come somma delle variazioni delle energie potenziali tra i punti considerati:
L A → B = −∆E p1 − ∆E p 2 −
− ∆E pn = −∆E p
(8.72)
dove con ∆Ep si è indicata la variazione dell’energia potenziale totale.
Dalle relazioni (8.71) e (8.72) si può scrivere:
∆E c = − ∆E p
(8.73)
ovvero:
E c A + E pA = E cB + E pB
(8.74)
Quindi la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale è costante tra i punti A e B. Il
risultato trovato è generale fintantoché tutte le forze sono conservative. Tale somma prende il
nome di energia meccanica E.
Teorema di conservazione dell’energia meccanica: se su un punto materiale P agiscono solo
forze conservative, la sua energia meccanica si conserva:
E = E c + E p = cost .
(8.75)
Ciò significa che una variazione dell’energia cinetica può avvenire a scapito dell’energia
potenziale e viceversa.
Se solo alcune delle forze che agiscono sul punto P sono conservative, la variazione
dell’energia meccanica tra i punti A e B è data dal lavoro delle forze non conservative tra i
medesimi punti:
∆E A → B = L non cons..
(8.76)
Poiché il lavoro delle forze non conservative dipende dal percorso seguito, anche la
variazione dell’energia meccanica rispecchierà questa dipendenza. In genere le forze non
conservative sono costituite dalle forze di attrito che compiono sempre un lavoro negativo,
pertanto sarà:
∆E < 0.
(8.77)
Il teorema di conservazione dell’energia meccanica è parte di un teorema più generale che
afferma che l’energia totale di un sistema isolato si conserva. Infatti il lavoro delle forze non
conservative va generalmente ad incrementare l’energia termica del sistema considerato.
8.13.1 Applicazione del teorema di conservazione dell’energia meccanica
Il teorema di conservazione dell’energia meccanica può essere impiegato per dedurre
alcune importanti caratteristiche del moto di un corpo quando siano note le condizioni iniziali in
un certo istante (ad esempio posizione e velocità) e l’espressione dell’energia potenziale del
campo di forze in cui il corpo si muove. Mediante il teorema di conservazione dell’energia
meccanica si possono dedurre informazioni solo su quantità scalari, in particolare sul modulo
della velocità del corpo. Pertanto la sua applicazione è utile quando si conosce la traiettoria del
moto. In un certo senso esso è meno “efficace” della risoluzione dell’equazione della dinamica,
ma spesso la sua applicazione risulta molto più semplice.
98
9
Dinamica dei sistemi di punti
Consideriamo un insieme di punti materiali P1, P2,…,PN soggetti ad interazioni reciproche
e con il mondo esterno. Il problema generale della dinamica consiste nella determinazione della
legge oraria del moto di ciascun punto, tuttavia appare subito evidente che tale obbiettivo è
difficilmente raggiungibile per un numero di punti appena superiore a 2. Tuttavia la dinamica ci
consente di determinare alcune grandezze globali che caratterizzano il comportamento dei
sistemi di punti nella loro totalità. Mediante queste grandezze potremo descrivere in modo
sintetico l’evoluzione del sistema, rinunciando ad una completa conoscenza del moto dei punti
che lo compongono. Anche se la descrizione è solo parziale potremo ottenere utili informazioni
applicando procedimenti estremamente semplici.
F21
m2
F23
F(E)2
F12
m1
F32
F13
F31
F(E)1
m3
Figura 1
Consideriamo la risultante Fi delle forze che agiscono sul punto i-esimo. Tale risultante può
ed in quella delle forze interne F(I)
essere scomposta nella risultante delle forze esterne F(E)
i
i
Fi = Fi( E ) + Fi( I)
i = 1, 2,
, N.
(9.1)
Facendo riferimento alle mutue interazioni che ciascun punto esercita su tutti gli altri, la
risultante delle forze interne può essere scritta come:
Fi( I ) =
N
j=1
Fi , j
i = 1, 2,
,N,
(9.2)
( i ≠ j)
avendo indicato con Fi,j la forza che il punto j-esimo esercita sul punto i-esimo. Per la terza
legge della dinamica si ha:
Fi , j = − Fj,i .
(9.3)
Pertanto la risultante di tutte le forze interne F(I) è nulla
F (I) =
N
i =1
Fi =
N
N
i =1 j=1
( i ≠ j)
Fi , j = 0 .
(9.4)
Dalle equazioni (9.1) e (9.4) si ha infine:
99
N
i =1
N
Fi =
i =1
Fi( E ) = F ( E ) ,
(9.5)
cioè la somma di tutte le forze che agiscono sul sistema è pari alla risultante delle sole forze
esterne.
9.1 I Equazione cardinale
Applicando la II legge della dinamica, il moto di ciascun punto del sistema è determinabile
mediante l’equazione:
Fi = Fi( E ) + Fi(I) = mi a i .
(9.6)
Sommando le equazioni (9.6) sull’indice i ed usando la (9.4) si ottiene:
F
( E)
=
N
i =1
Fi =
N
i =1
mi a i .
(9.7)
Poiché si ha:
mi a i = mi
dv i dp i
=
.
dt
dt
(9.8)
Dall’equazione (9.7) si ottiene il fondamentale risultato:
F
( E)
=
N
i =1
dove con P =
dp i
d
=
dt
dt
pi =
N
i =1
pi =
dP
,
dt
(9.9)
m i v i si è indicata la quantità di moto totale del sistema.
I Equazione cardinale: la derivata rispetto al tempo della quantità di moto totale di un sistema
di punti è uguale alla risultante delle forze esterne applicate ai punti del sistema.
dP
= F (E) .
dt
(9.10)
Se il sistema è isolato, pertanto non è soggetto a forze esterne, la sua quantità di moto si
conserva:
F ( E) = 0
P = cost .
(9.11)
Lo stesso accade se è nulla la risultante delle forze esterne.
Se la risultante delle forze esterne ha componente nulla rispetto ad un asse z, si conserva la
componente della quantità di moto rispetto allo stesso asse:
Fz( E ) = 0
Pz = cost .
(9.12)
9.2 Centro di massa
Quando si conosce la risultante delle forze esterne applicate ad un sistema in funzione del
tempo, la I equazione cardinale permette di determinare il moto di un particolare punto
100
geometrico in cui possiamo pensare che sia concentrata tutta la massa del sistema. Tale punto,
in generale, non coincide con un punto materiale, ma costituisce una comoda astrazione. Esso si
dice centro di massa ed ha coordinate:
N
N
x CM =
mi x i
y CM =
i =1
N
i =1
mi
N
mi y i
i =1
N
i =1
mi
z CM =
mi z i
i =1
N
i =1
(9.13)
mi
dove
N
i =1
mi = M
(9.14)
rappresenta la massa totale del sistema. In un’unica equazione vettoriale si scrive:
N
rCM =
mi ri
i =1
N
i =1
.
(9.15)
mi
La posizione del centro di massa è data dalla media ponderata delle posizioni dei singoli punti
del sistema pesate sulle masse dei medesimi.
Se deriviamo l’equazione (9.15) rispetto al tempo, otteniamo:
N
v CM =
mi v i
i =1
M
=
P
M
(9.16)
ovvero:
P = M v CM .
(9.17)
La quantità di moto del sistema è data dal prodotto della massa per la velocità del centro di
massa.
Dall’equazione (9.10), con la sostituzione (9.16) si ottiene:
F (E) =
d( M v CM )
= M a CM .
dt
(9.18)
Teorema del centro di massa: il centro di massa di un sistema si muove come un punto
materiale di massa pari alla massa totale del sistema e soggetto alla risultante delle forze
esterne applicate al sistema.
In un sistema isolato, il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme.
9.3 Sistema di due punti materiali
Per descrivere il moto di due punti materiali P1 e P2 soggetti soltanto alla mutua interazione
può essere più conveniente, anziché riferirsi direttamente ai due punti, considerare il moto
101
relativo di un punto rispetto all’altro ed il moto del centro di massa in un sistema di riferimento
inerziale. Si può verificare che questa descrizione equivale a calcolare separatamente le leggi
orarie del moto dei due punti.
Siano F12 ed F21 le forze che il punto 2 esercita sul punto 1 e viceversa, per la III legge
della dinamica si ha:
F21 = − F12 .
(9.19)
Le equazioni del moto di P1 e P2 in un sistema di riferimento inerziale sono:
d 2 r1
F12 = m1 2 = m1a 1
dt
.
d 2 r2
F21 = m 2 2 = m2 a 2
dt
(9.20)
m
F21 • 2
F12
•
CM
m1
Figura 2
Dividiamo la prima equazione per m1, la seconda per m2 e sottraiamo la seconda equazione
dalla prima. Facendo uso della (9.19) si ottiene:
d 2 (r1 − r2 )
1
1
=
+
F .
2
dt
m1 m 2 12
(9.21)
Definiamo massa ridotta la quantità:
1
1
1
=
+
µ m1 m2
µ=
m1 m2
.
m1 + m2
(9.22)
Indicando con r12 il vettore posizione del punto P1 rispetto al punto P2 ed effettuando la
sostituzione (9.22), l’equazione (9.21) diviene:
F12 = µ
d 2 r12
= µa 12
dt
(9.23)
Il moto relativo di due punti soggetti solo alla mutua interazione equivale al moto di un punto
di massa pari alla massa ridotta soggetto ad una forza uguale a quella con cui i punti
interagiscono.
Il procedimento descritto corrisponde ad una trasposizione in cui si sostituiscono ai due
punti reali, due “punti virtuali”: il primo coincide con il centro di massa, pertanto, avendo
escluso forze esterne, o è fermo, o si muove di moto rettilineo uniforme, il secondo “punto”
descrive il moto relativo sotto l’effetto dell’interazione tra i due punti reali.
102
La conoscenza completa del moto di P1 e P2 richiede il calcolo di due leggi orarie,
analogamente la conoscenza completa del moto del sistema trasposto richiede il calcolo della
legge oraria dei due punti virtuali. Poiché il moto del centro di massa [rCM(t)] non può essere
ricavato dalla legge di interazione, la sua posizione e velocità devono essere note per altra via, il
moto relativo, invece può essere ricavato dall’equazione (9.23).
Consideriamo ora le relazioni che consentono di passare dal sistema trasposto [rCM, r12] al
sistema reale [r1, r2]:
m1
m2
r1 +
r
m1 + m 2
m1 + m 2 2
r12 = r1 − r2
rCM =
(9.24)
Le equazioni (9.24) possono essere invertite rispetto ad r1 ed r2:
m2
µ
r12 =
r
m1 + m2
m1 12
µ
m1
−
r12 =
r
m1 + m 2
m 2 12
r1 = rCM +
r2 = rCM
(9.25)
Quindi, come si è già detto, la conoscenza dei moti dei moto relativo e del moto del centro
di massa è equivalente alla conoscenza di r1 ed r2. L’utilità del concetto di massa ridotta
consiste nella possibilità di studiare il moto relativo di due particelle come se si trattasse del
moto di una sola particella interagente con un punto fisso.
Consideriamo due casi particolari:
a)
Interazione di due particelle di uguale massa m. La massa ridotta vale:
µ=
mm
1
= m
m+m 2
(9.26)
1
m
R
F12
2
R
•
F12
CM
m
Figura 3
Come esempio, in Figura 3 si considera il caso di due masse uguali che, in un sistema di
riferimento assoluto, ruotano intorno al centro di massa descrivendo (entrambe) un’orbita
circolare di raggio R. Nel sistema di riferimento (relativo) di un corpo si vede l’altro ruotare
lungo un’orbita di raggio doppio, poiché, essendo la massa ridotta pari ad ½ m, alla stessa forza
corrisponde un’accelerazione centripeta doppia:
F = ma 0 = µa r
a r = 2a 0 .
Dovendo poi essere ω identica si ha:
103
b)
a r = ω2 R rel = 2 a 0 = 2 ω2 R ass
(9.27)
R rel = 2R ass .
(9.28)
Interazione di due particelle di masse m1 ed m2 con m1 << m2. La massa ridotta è:
m
m1 m 2
m1
=
≅ m1 1 − 1 ≈ m1 .
m2
m1 + m 2 1 + m1 m2
µ=
(9.29)
Pertanto la massa ridotta è approssimativamente uguale a quella della particella più leggera.
9.4 Momento della quantità di moto di un sistema di punti materiali
Consideriamo ancora un sistema di N punti materiali P1, P2,…,PN soggetti ad interazioni
reciproche e con il mondo esterno. Sia τi il momento risultante delle forze che agiscono sul
punto i-esimo rispetto ad un qualunque polo O. Tale momento può essere scomposto nel
ed in quello delle forze interne τ(I)
risultante dei momenti delle forze esterne τ(E)
i
i
i
=
(E)
i
+
( I)
i
i = 1, 2,
,N.
(9.30)
Sommando sull’indice i le equazioni (9.30) si verifica facilmente che il risultante dei momenti
di tutte le forze interne rispetto a qualunque polo è nullo:
(I )
=
N
i =1
ri × Fi(I ) = 0 .
(9.31)
Infatti, le forze interne, oltre ad essere a due a due uguali ed opposte, hanno la stessa retta
d’azione.
Fj,i
Pj
d
Pi
Fi,j
0
Figura 4
Pertanto risulta:
=
(E )
=
N
i =1
ri × Fi(E ) ,
(9.32)
cioè il momento risultante di tutte le forze agenti su un sistema di punti materiali rispetto ad un
qualunque polo è pari al momento risultante delle sole forze esterne.
9.4.1
II Equazione cardinale
Il momento della quantità di moto di un generico punto del sistema rispetto ad un polo O è:
104
L i = ri × p i .
(9.33)
Si definisce momento della quantità di moto del sistema la somma delle (9.33):
L=
N
i =1
N
Li =
i =1
ri × p i .
(9.34)
Per ogni punto materiale:
dL i
=
dt
i
(I )
=
i
+
(E )
i
.
(9.35)
Sommando le equazioni (9.34) e usando la definizione (9.33) si ottiene:
dL
= τ = τ (I ) + τ (E ) .
dt
(9.36)
Poiché il momento risultante delle forze interne è nullo, si ottiene infine:
dL
= τ (E )
dt
(9.37)
II Equazione cardinale: la derivata rispetto al tempo del momento della quantità di moto di un
sistema di punti rispetto ad un polo è uguale al momento risultante, rispetto allo stesso polo,
delle forze esterne applicate al sistema.
Se il sistema è isolato o se il momento delle forze esterne rispetto ad un polo O è nullo, il
momento della quantità di moto del sistema si conserva.
La seconda equazione cardinale scritta rispetto ad un polo mobile O’ diviene:
dL 0′
=
dt
(E )
0′
− v 0′ × P .
(9.38)
Se il polo mobile coincide con il centro di massa si ha v CM × P = v CM × Mv CM = 0 , pertanto:
dL CM
=
dt
CM
.
(9.39)
9.5 Energia cinetica di un sistema di punti materiali
L’energia cinetica di un sistema di punti rispetto ad un sistema di riferimento è data dalla
somma delle energie cinetiche di tutti i punti rispetto allo stesso sistema
Ec =
9.5.1
N
i =1
1
mi v 2i .
2
(9.40)
Teorema di König
Consideriamo ora un sistema solidale con il centro di massa, ma con orientazione invariabile
rispetto al sistema inerziale considerato prima. Tra i due sistemi vale la legge di composizione
delle velocità:
105
v i = v CM + v′i ,
(9.41)
avendo indicato con vCM la velocità del centro di massa e con v´i la velocità del punto i-esimo
relativa al centro di massa. Sostituendo nella (9.40) si ottiene:
N
Ec =
i =1
N
=
i =1
i =1
1
m v ⋅v =
2 i i i
N
i =1
1
m ( v + v ′i ) ⋅ ( v CM + v i′ )
2 i CM
1
m ( v 2 + v ′i 2 + 2 v CM ⋅ v ′i )
2 i CM
1
M v 2CM +
2
=
N
1
m i v 2i =
2
N
1
m v ′ 2 + v CM ⋅
2 i i
i =1
(9.42)
N
i =1
mi v ′i
Si osserva che:
N
i =1
mi v ′i = 0
(9.43)
poiché la sommatoria nella (9.43) è proporzionale alla velocità del centro di massa calcolata nel
sistema di riferimento del centro di massa38. Pertanto si ottiene:
Ec =
1
2
+
M v CM
2
N
i =1
1
mi v ′i 2 .
2
(9.44)
Teorema di König: l’energia cinetica di un sistema materiale rispetto ad un sistema di
riferimento (inerziale) è uguale alla somma dell’energia cinetica di un punto avente massa
uguale alla massa totale del sistema e velocità uguale a quella del centro di massa e
dell’energia cinetica posseduta dal sistema materiale rispetto ad un riferimento solidale con il
centro di massa e con orientazione invariabile rispetto al primo sistema di riferimento.
Il teorema di König consente di scomporre l’energia cinetica di un sistema di punti in due
termini. Il primo termine rappresenta l’energia cinetica associata al moto “coordinato” delle
particelle del sistema ed è pari all’energia cinetica del centro di massa. Il secondo termine
rappresenta l’energia cinetica “interna” del sistema. Se il sistema di punti considerato soddisfa
le condizione per essere trattato con i metodi della termodinamica, quest’ultimo termine ha
un’importante interpretazione. Ad esempio, consideriamo le molecole di un gas contenuto in un
recipiente come punti di un sistema. L’energia cinetica totale del gas dipende sia dalla stato di
moto del recipiente (I termine del teorema di König) sia dall’agitazione termica delle molecole
(II termine del teorema di König), tuttavia la temperatura del gas dipende solo dall’energia
cinetica media delle molecole nel sistema del centro di massa (II termine del teorema di
König). Infatti, se alteriamo lo stato di moto del recipiente, l’energia cinetica complessiva del
gas varia, ma la sua temperatura resta costante.
9.5.2
Teorema dell’energia cinetica
Per ciascun punto del sistema vale il teorema dell’energia cinetica:
38 Per definizione
v CM =
1
M
di centro di massa si ha:
N
i =1
mi v i =
1
M
N
i =1
(
)
m i v CM + v ′i = v CM +
1
M
N
i =1
m i v ′i
106
B
Li =
A
Fi ⋅ dri = ∆
1
m v2 ,
2 i i
(9.45)
dove A e B sono le posizioni iniziale e finale e Fi è la risultante delle forze interne ed esterne
applicate al punto i-esimo
Fi = Fi( E ) + Fi( I ) .
(9.46)
Sommando rispetto all’indice i le equazioni (9.45), si ottiene il teorema dell’energia cinetica per
un sistema di punti materiali:
L TOT =
N
i =1
Li = ∆
N
i =1
1
mi v i2 = ∆ E c = E cB − E cA .
2
(9.47)
Teorema dell’energia cinetica: se un sistema di punti, sotto l’azione di forze interne ed esterne
cambia il proprio stato da A a B, il lavoro di tutte le forze applicate è pari alla variazione
dell’energia cinetica tra i medesimi stati.
9.6 Conservazione dell’energia in un sistema di punti
Consideriamo il caso particolare in cui le forze interne siano conservative. Limitiamoci per
semplicità a considerare 2 particelle che interagiscono tra loro e con il resto del mondo:
F12 = − F21
F1 = F1( E ) + F12
(9.48)
F2 = F2(E ) + F21 .
Il lavoro delle forze F1 ed F2 è pari a:
L=
=
B
A
B
A
(F1 ⋅ dr1 + F2 ⋅ dr2 )
(F
(E )
1
(E )
)
⋅ dr1 + F2 ⋅ dr2 +
B
A
(F12 ⋅ dr1 + F21 ⋅ dr2 ) = L
(E )
(I )
+L
(9.49)
dove L(E) rappresenta il lavoro delle forze esterne ed L(I) quello delle forze interne:
L(12I ) =
(F12 ⋅ dr1 − F12 ⋅ dr2 ) =
A
B
B
A
F12 ⋅ dr12 .
(9.50)
In generale, per N particelle il lavoro delle forze interne è rappresentato dalla somma di CN2
termini del tipo (9.50), dove con CN2 si è indicato il numero di combinazioni di N oggetti della
classe 2 [C22 = 1, C23 = 3, C42 = 6,...].
Se la forza interna è conservativa si può scrivere:
L(12I ) =
B
A
F12 ⋅ dr12 = E p12 ( A) − E p12 ( B) .
(9.51)
Per una generica coppia di punti del sistema si ha analogamente:
107
L(ijI ) =
B
A
Fij ⋅ drij = E pij (A) − E pij (B) .
(9.52)
Il lavoro complessivo delle forze interne può pertanto esprimersi come:
L(I ) = −
1
2
N
N
i =1 j=1
j≠ i
∆E pij = −∆
1
2
N
N
i =1 j=1
j≠ i
E pij = −∆E p,int ,
(9.53)
avendo indicato con Ep,int l’energia potenziale interna del sistema.
Dal teorema dell’energia cinetica si ha:
L(E ) + L(I ) = ∆E c ,
(9.54)
dove Ec è l’energia cinetica totale del sistema. Pertanto dalle (9.54) e (9.53) si ottiene:
L(E ) = ∆E c − L(I ) = ∆ E c + ∆ E p ,int .
(9.55)
Definiamo energia propria del sistema la somma:
U = E c + E p,int .
(9.56)
Dalla (9.55) si ha infine:
L(E ) = ∆U .
(9.57)
Il lavoro delle forze esterne è uguale alla variazione dell’energia propria del sistema. Se il
sistema è isolato o è soggetto a forze esterne di risultante nulla, l’energia propria si conserva.
Se le forze esterne sono tutte conservative, il lavoro delle forze esterne può essere espresso
come differenza dell’energia potenziale esterna:
L(E ) = E p,ext (A) − E p,ext ( B) = −∆E p ,ext .
(9.58)
In questo caso, definiamo energia totale del sistema la quantità:
E = U + E p,ext .
(9.59)
Pertanto, dalle equazioni (9.57), (9.58) e (9.59) otteniamo:
∆E = 0
(9.60)
l’energia totale di un sistema di punti soggetto solo a forze conservative, sia interne che
esterne, rimane costante nel tempo.
Ad esempio, consideriamo il caso di due masse m1 ed m2 unite da una molla di costante
elastica k, lanciate in aria nel campo gravitazionale terrestre. L’energia cinetica rispetto al
sistema di riferimento della terra è:
Ec =
(
)
1
m1 v12 + m 2 v 22 .
2
(9.61)
108
L’energia potenziale interna è:
1 2
k r12 .
2
E p,int =
(9.62)
L’energia potenziale esterna è:
E p,est = g(m1 y1 + m 2 y 2 ) .
(9.63)
L’energia propria è
U=
(
)
1
1
m1v12 + m 2 v 22 + k r122 .
2
2
(9.64)
y
m1
V1
V2
m2
x
z
Figura 5
Ed infine l’energia totale è:
E=
(
)
1
1
m1v12 + m 2 v 22 + k r122 + g(m1 y1 + m 2 y 2 ) .
2
2
(9.65)
L’energia propria di un sistema di punti materiali dipende dal sistema di riferimento in cui
esso si muove. In alcuni casi è interessante studiare lo stato di un sistema prescindendo dal moto
del suo centro di massa rispetto ad un riferimento fisso. A questo proposito si può considerare la
scomposizione dell’energia cinetica offerta dal teorema di König e definire energia interna di
un sistema la somma dell’energia cinetica relativa al centro di massa Ec,CM e dell’energia
potenziale interna:
U int = E c,CM + E p,int
(9.66)
L’energia interna ha un’importante interpretazione termodinamica.
9.7 Sistemi continui (cenni)
Lo studio dinamico del moto di un corpo può essere condotto sotto l’approssimazione di
punto materiale quando le dimensioni del corpo sono trascurabili rispetto alle lunghezza degli
spostamenti subiti dal corpo e quando la sua struttura interna è irrilevante.
Quando questa approssimazione vale per un insieme di corpi interagenti, questo può essere
trattato come un sistema di punti materiali.
In molti casi l’approssimazione di punto materiale non può essere considerata valida;
tuttavia, poiché un corpo è comunque composto di atomi, si può sempre, in linea di principio,
109
ricorrere all’approssimazione di sistema di punti materiali. Una tale approssimazione è
assolutamente priva di significato pratico, ma è suscettibile di una significativa estensione.
Supponiamo infatti di poter considerare infinito il numero di particelle che compongono un
corpo materiale e che queste particelle siano distribuite con continuità. In questa
approssimazione il corpo diviene un sistema continuo, le cui proprietà sono rappresentate dalla
funzione densità:
ρ( r ) =
dm
.
dv
(9.67)
Per semplicità, supporremo che la densità sia funzione della posizione all’interno del corpo, ma
sia costante nel tempo. Un tale corpo si dice corpo rigido.
La trattazione dinamica del corpo rigido si effettua sostituendo alle Σ che compaiono nella
dinamica dei sistemi, degli in ρ(r) dV.
Massa del corpo
M = dm = ρ(r )dV .
C
(9.68)
C
Centro di massa
rCM =
C
rdm
M
=
C
rρdV
M
.
(9.69)
Quantità di moto
P=
C
dp = vdm =
C
C
vρdV .
(9.70)
Momento della quantità di moto
L=
C
r × dp = r × vdm =
C
C
r × vρdV .
(9.71)
Energia cinetica
Ec =
C
1 2
1 2
v ρdV .
v dm =
C
2
2
(9.72)
Per un sistema continuo continuano a valere, con le opportune sostituzioni, le equazioni
cardinali, il teorema del centro di massa ed i teoremi dell’energia enunciati per un sistema di
punti materiali.
110
10 Legge di gravitazione universale
La legge di gravitazionale universale venne ricavata da Newton nel 1686. La fondamentale
importanza dell’opera di Newton in merito alla legge di gravitazione non fu tanto la
formulazione della sua espressione matematica, che peraltro era già implicitamente contenuta
nelle leggi di Keplero, quanto l’aver compreso la natura comune dei fenomeni celesti e dei
fenomeni terrestri. Si può dire che la teoria della gravitazione nasce dal crollo del pregiudizio
aristotelico, che già Galileo aveva messo in dubbio, secondo il quale l’universo era diviso in due
sfere tra loro nettamente differenti: da un lato il mondo sublunare corrotto ed imperfetto,
dall’altro il mondo celeste perfetto. La legge di gravitazione fu la prima espressione di una
legge fisica di validità generale. In questo senso l’aggettivo universale che viene associato a tale
legge deve far riflettere sul fatto ormai largamente acquisito che le leggi più importanti della
fisica sono leggi valide in tutto l’universo conosciuto. Questo è uno dei fondamenti sui quali si
basa lo studio moderno della fisica. La scoperta della violazione di una legge generale non è mai
accettato come un’eccezione dovuta al verificarsi di condizioni particolari, ma comporta sempre
un profondo mutamento nelle teorie fisiche corrispondenti, che devono essere ampliate fino a
comprendere la spiegazione dei nuovi fenomeni osservati. In questo senso devono essere
interpretate le formulazioni della teoria della relatività e della teoria dei quanti che costituiscono
delle estensioni della meccanica di Newton.
10.1 Introduzione storica
10.1.1 Sistema tolemaico
Nel II sec. d.c. Tolomeo di Alessandria (Egitto) propose un modello dell’universo allora
conosciuto con al centro la terra e con il sole e gli altri pianeti in moto intorno ad essa secondo
orbite complicate (epicicloidi). Benché fosse piuttosto complesso, il sistema tolemaico riusciva
a prevedere in modo ragionevolmente accurato la posizione dei pianeti e avvalorava la
convinzione radicata presso tutti i popoli antichi secondo la quale la terra costituiva il centro
dell’universo.
10.1.2 Sistema copernicano
Nel 1510 l’astronomo polacco Nicolaus Copernicus propose un rivoluzionario modello
secondo il quale il sole costituisce il centro del sistema solare ed i pianeti, tra i quali la terra,
ruotano intorno ad esso con periodi variabili. In un’epoca in cui prevaleva una visione
dogmatica della conoscenza, tale sistema incontrò subito l’opposizione delle autorità,
soprattutto religiose, in quanto contrastava con la pretesa di mantenere l’uomo, e quindi la terra,
al centro dell’universo. É curioso osservare che il sistema eliocentrico era già stato proposto
dall’astronomo greco Aristarco di Samo nel III secolo a.c.
10.1.3 Leggi di Keplero
Per dirimere la fondamentale questione l’astronomo danese Tycho Brahe fece una accurata
serie di osservazioni del moto dei pianeti. Dai dati di Brahe, l’astronomo tedesco Keplero
formulò tre leggi empiriche:
I.
Rispetto al sole ogni pianeta descrive un’orbita ellittica di cui il sole occupa uno dei
fuochi
II.
Il vettore posizione di ogni pianeta rispetto al sole descrive aree uguali in tempi uguali.
III. Il quadrato del periodo di rivoluzione di ciascun pianeta è proporzionale al cubo del
semiasse maggiore dell’orbita ellittica. T2 = kr3.
111
Le tre leggi di Keplero si limitano a formulare una descrizione cinematica del moto dei
pianeti.
10.1.4 Leggi di Keplero e legge di gravitazione
Dalle leggi di Keplero è possibile dedurre l’espressione della forza di attrazione
gravitazionale che lega i pianeti al sole. Dalla I legge di Keplero, con una ragionevole
approssimazione, assumiamo che le orbite dei pianeti siano circolari, con il sole al centro. In
questo caso, essendo r costante, dalla II legge di Keplero otteniamo che anche la velocità
angolare è costante:
dA 1 2 dϑ
= r
= cost
dt 2 dt
dϑ
= ω = cost .
dt
(10.1)
Sempre dalla II legge di Keplero si deduce che la forza che il sole esercita sui pianeti è una
forza centrale. Nelle ipotesi fatte non si ha pertanto accelerazione tangenziale. Detto F il modulo
della forza che il sole esercita su un pianeta di massa m, applichiamo la II legge della dinamica
al moto di quest’ultimo39.
F = ma N = m
v2
= mω 2 r .
r
(10.2)
Dalla III legge di Keplero si ha:
T 2 = kr 3
(10.3)
4π2
= kr 3
2
ω
(10.4)
ω2 =
k′
,
r3
(10.5)
avendo posto k’=k/4π2.
Dalle equazioni (10.2) e (10.5) si ottiene infine:
F = k′
m
.
r2
(10.6)
Pertanto, la forza di attrazione risulta proporzionale alla massa del pianeta ed inversamente
proporzionale al quadrato della distanza dal sole. Ripetendo lo stesso calcolo per un secondo
pianeta si ottiene la medesima costante k´, che quindi non dipende dal particolare pianeta scelto.
Per la III legge della dinamica il pianeta esercita sul sole una forza uguale ed opposta, pertanto è
ragionevole ritenere che l’espressione della forza debba essere simmetrica rispetto ai corpi
interagenti. Questo si ottiene imponendo che la costante k´ contenga nella sua espressione la
massa MS del sole. Con questa ipotesi ed introducendo la costante di gravitazione universale γ
già incontrata in precedenza, si ottiene la forza che il sole esercita su un generico pianeta:
F=γ
MS m
.
r2
(10.7)
39 A
rigore, per studiare il moto relativo, si dovrebbe usare la massa ridotta, tuttavia poiché la massa del
sole è molto maggiore di quella di tutti i pianeti, l'approssimazione µ=m è pienamente giustificata.
112
10.2 Legge di gravitazione universale
Come è ben noto l’espressione (10.7) ha validità estremamente generale. Dati due corpi di
masse m1 ed m2 posti a distanza r, la forza F con cui si attraggono si scrive in forma vettoriale:
F = −γ
m1m2
ur .
r2
(10.8)
L’equazione (10.8) costituisce la:
Legge di gravitazione universale: dati due corpi qualsiasi, di dimensioni trascurabili rispetto
alla loro distanza, questi si attirano con una forza diretta lungo la congiungente e di intensità
proporzionale al prodotto delle masse ed inversamente proporzionale al quadrato della
distanza.
La prima verifica della validità della legge di gravitazione universale venne fatta da
Newton confrontando la caduta dei gravi sulla terra con il moto della luna. Detta g
l’accelerazione di gravità con cui la terra attrae i corpi, dall’espressione (10.8) si ottiene:
g=γ
MT
,
R 2T
(10.9)
dove MT rappresenta la massa della terra e RT il suo raggio.
L’accelerazione centripeta con cui la luna ruota intorno alla terra è:
aL = γ
MT
,
R 2L
(10.10)
dove RL rappresenta il raggio dell’orbita lunare.
Il valore di g può essere facilmente ricavato dal moto di caduta dei gravi, il valore di aL è
ricavabile da osservazioni astronomiche. Il rapporto g/aL non dipende dalla costante di
gravitazione universale, né dalla massa della terra, ma solo dal rapporto dei raggi della terra e
dell’orbita lunare:
R2
g
= L2 .
aL RT
(10.11)
Il raggio della terra era già noto dall’antichità. Infatti esso è ricavabile dalla curvatura della
superficie terrestre. Viceversa il raggio dell’orbita lunare era noto solo in modo approssimativo
all’epoca di Newton. Ciò nonostante il calcolo del rapporto (10.11) costituì la prima verifica
sperimentale dell’universalità della legge di gravitazione. Una più accurata verifica venne
effettuata dal fisico Cavendish che, mediante una bilancia di torsione (Figura 1) riuscì a
misurare direttamente la costante γ. La bilancia di Cavendish è costituita da un equipaggio
mobile, comprendente due masse m, sospeso mediante un filo e da un manubrio fisso a cui sono
collegate due masse M >> m. Inizialmente le masse M sono lontane dalle masse m. Si dà una
lieve spinta all’equipaggio mobile e si determina la costante di torsione del filo misurando il
periodo delle piccole oscillazioni. Successivamente, quando le masse m hanno raggiunto una
condizione di equilibrio, si avvicinano le masse M e si misura l’angolo di rotazione
dell’equipaggio mobile. Dalla conoscenza dell’angolo di rotazione, delle distanze relative delle
masse M ed m e della costante di torsione del filo si può ricavare γ.
γ = 6. 67 ⋅ 10−11 Nm2 kg 2 .
(10.12)
113
Figura 1
10.3 Campo di forze gravitazionali
In accordo con la definizione di campo già data in precedenza, invece di considerare la
forza gravitazionale come una interazione tra due corpi, possiamo introdurre il concetto di
campo di forze gravitazionali. Data una massa puntiforme M la definizione operativa del campo
di forze che essa genera si fa considerando la forza che, per l’azione di M, agisce sulla massa
unitaria in ciascun punto dello spazio. Dalla (10.8), posto m1 = M ed m2 = 1, si ottiene:
G = −γ
M
ur ,
r2
(10.13)
dove r è la distanza del generico punto P dalla massa M ed ur è il versore radiale. Le dimensioni
del vettore intensità del campo gravitazionale sono quelle di una accelerazione.
Se in un punto qualsiasi del campo considerato poniamo una massa m, questa risulta
soggetta ad una forza:
F = mG .
(10.14)
10.4 Potenziale del campo gravitazionale
Il campo di forze gravitazionale generato da una massa puntiforme M è un campo di forze
centrali. Si è visto che un campo siffatto è conservativo. Data una massa m in un campo
conservativo, il lavoro della forza cui la massa m risulta soggetta non dipende dal percorso, ma
può essere espresso come differenza dell’energia potenziale per la massa m nelle posizioni
iniziale e finale. Si è visto che, per un campo di forze la cui intensità dipende inversamente dal
quadrato della distanza, è conveniente assumere come riferimento a cui attribuire energia
potenziale nulla il punto all’infinito. Con questa ipotesi, l’energia potenziale della massa m a
distanza r dalla sorgente del campo è:
E p = −γ
mM
,
r
(10.15)
pari al lavoro che la forza del campo compie quando la massa m si sposta dal punto considerato
al punto di riferimento (infinito). Dall’equazione (10.15) si osserva che l’energia potenziale
dipende dalla massa m. Seguendo un principio analogo a quello che ci ha condotto a definire un
campo di forze indipendente dalla massa m, espresso dall’equazione (10.13), possiamo definire
in ogni punto dello spazio la funzione potenziale gravitazionale, che rappresenta l’energia
potenziale posseduta dalla massa unitaria posta nel punto considerato:
114
V = −γ
M
.
r
(10.16)
Dalla definizione (10.15), l’energia potenziale di una massa m nel campo gravitazionale
generato dalla massa M risulta data dal prodotto:
E p = Vm .
(10.17)
Si osserva che l’energia potenziale di un campo gravitazionale è negativa. Questo, da una
parte ha un significato puramente convenzionale, dipendendo dalla scelta del punto di
riferimento già ricordata, dall’altra sta a significare che un punto materiale in un campo
gravitazionale è vincolato a rimanervi a meno che non possieda una energia cinetica (positiva)
maggiore del valore assoluto dell’energia potenziale, cosicché l’energia totale sia > 0. Infatti,
l’energia potenziale all’infinito è nulla, pertanto un corpo che sia trovi a distanza infinita dalla
massa M deve avere energia totale ≥ 0, non potendo essere negativa la sua energia cinetica.
Poiché in un campo gravitazionale l’energia meccanica si conserva, per una particella si danno
due casi: se la somma dell’energia potenziale e dell’energia cinetica è > 0, questa può
allontanarsi indefinitamente dalla massa M e costituisce una particella libera, viceversa se
l’energia meccanica è < 0, la particella è costretta a rimanere entro il campo gravitazionale e si
dice legata.
10.4.1 Potenziale di N masse puntiformi
Date N masse puntiformi M1, M2,..., MN, per la linearità del legame tra massa e potenziale
espresso dall’equazione (10.16), il potenziale in un punto è la somma dei potenziali generati
dalle singole masse:
V (r ) = V1 + V2 +
+ VN = − γ
M1
M2
+
+
r − r1 r − r2
+
MN
r − rN
.
(10.18)
dove r rappresenta il vettore posizione del punto P in cui si calcola il potenziale ed r1, r2, … rN
sono i vettori posizione delle masse M1, M1, … MN.
Vale pertanto il principio di sovrapposizione.
10.4.2 Potenziale di un corpo esteso
z
P
|r-r’|
r
r’
y
x
Figura 2
Il potenziale generato da un corpo di densità ρ(r’) in un punto di posizione r si ottiene
integrando i contributi che ciascun elemento di massa ρ(r’) dx’dy’dz’, pensato puntiforme,
produce nel punto considerato:
115
dV = − γ
ρ(r ′)
dx ' dy' dz'
r − r′
V (r ) = − γ
Vol
(10.19)
ρ(r ′)
dx ' dy' dz' ,
r − r′
(10.20)
dove r rappresenta la generica coordinata del punto P in cui si calcola il potenziale, ed r’ è la
coordinata corrente lungo il volume occupato dal corpo considerato.
10.5 Esempi di campi gravitazionali
10.5.1 Campo gravitazionale di N masse puntiformi
Se in una regione di spazio sono presenti più masse M1, M2,..., MN, l’intensità del campo
gravitazionale in un punto P è data dalla somma vettoriale dei campi generati da ciascuna massa
nel punto considerato. Infatti:
F = mG 1 + mG 2 +
+ mG N = m(G 1 + G 2 +
+ G N ) = mG
(10.21)
Il campo vettoriale può essere rappresentato mediante le linee di forze. Queste sono delle linee
tangenti in ogni punto alla direzione della forza ed orientate come questa. La rappresentazione
delle linee di forza secondo il criterio di Faraday richiede che queste, in ciascuna regione dello
spazio, siano tanto più fitte quanto maggiore è l’intensità del vettore del campo in quella
regione. In questo modo le linee di forza danno un valutazione quantitativa del modulo del
vettore oltreché la direzione ed il verso. In alternativa un campo può essere rappresentato
mediante le superfici equipotenziali. Ad esempio, in Figura 3 sono rappresentate le superfici
equipotenziali del campo gravitazionale generato da due corpi puntiformi di uguale massa.
Figura 3
10.5.2 Campo gravitazionale di una massa estesa
Il campo gravitazionale di una massa estesa può essere ottenuto mediante un’integrazione
simile a quella espressa dall’equazione (10.20), tuttavia, in questo caso l’integrale assume una
forma più complessa in quanto la funzione integranda (campo gravitazionale elementare dG) è
un vettore, anziché uno scalare. Più semplicemente è possibile calcolare prima il potenziale
mediante l’integrale scalare (10.20) e successivamente il campo ricorrendo al legame che, per
un campo conservativo, esiste tra il potenziale ed il vettore del campo. Tale legame è analogo a
quello già considerato nel paragrafo 8.10 che lega l’energia potenziale alla forza:
G = − grad V .
(10.22)
116
In alcuni casi in cui il problema presenta particolari simmetrie è possibile calcolare il
campo G applicando un procedimento diretto che si avvale di un importante teorema della
teoria dei campi.
10.5.3 Flusso di un vettore e teorema di Gauss
Dopo aver introdotto il concetto di campo vettoriale e, conseguentemente quello di linee di
forza, definiamo una quantità significativa che deriva da un parallelo idrodinamico e prende il
nome di flusso di un vettore attraverso una superficie. Con riferimento alla Figura 4, dato un
campo vettoriale v si definisce flusso elementare del vettore v attraverso la superficie
infinitesima dS il prodotto:
dφ v = v ⋅ u n dS ,
(10.23)
essendo uN la normale alla superficie dS. Detto ϑ l’angolo tra la normale alla superficie ed il
vettore v nel punto considerato, il flusso risulta pari al prodotto dell’area della superficie
elementare per la proiezione di v sulla normale un
dφ v = v cos ϑ dS .
(10.24)
Il flusso attraverso una superficie estesa S è dato dall’integrale:
φ v = v ⋅ u n dS
(10.25)
S
Data una superficie chiusa S, si dice flusso uscente del vettore v l’integrale esteso alla
superficie:
φ v = v ⋅ u n dS
(10.26)
S
dove uN rappresenta la normale alla superficie orientata verso l’esterno.
v
ϑ
un
dS
Figura 4
Consideriamo una massa puntiforme M ed una superficie sferica con centro in m e raggio R
(Figura 5). Il flusso uscente del vettore intensità del campo gravitazionale attraverso la
superficie considerata vale:
φ = G ⋅ u n dS = − G dS = − γ
S
S
(
)
M
4πR 2 = −4πγ M ,
2
R
(10.27)
poiché il campo G è costante in modulo lungo tutti i punti della superficie ed è normale alla
stessa. Pertanto il flusso non dipende da R, ma solo dalla massa contenuta entro la superficie
considerata.
Il risultato ottenuto ha validità generale, non solo per una superficie di forma sferica, ma
per qualunque superficie chiusa (Figura 6). Consideriamo infatti una generica superficie chiusa
117
che contenga una massa puntiforme m al suo interno. L’elemento di superficie dS può essere
scritto come:
dS =
dΩr 2
,
cos ϑ
(10.28)
dove dΩ rappresenta l’angolo solido sotto il quale la superficie infinitesima dS è vista dal punto
P in cui la massa m è localizzata, ed r è la distanza dell’elemento di superficie da tale punto.
G
R
G
M
G
Figura 5
Calcoliamo il flusso di G applicando la definizione (10.26) ed utilizzando la sostituzione
(10.28):
dS cos ϑ
M
=
u r ⋅ u n dS = − γ M
2
S
S r
S
r2
cos ϑ r 2
= −γ M
⋅
dΩ = − γ M dΩ
4π r 2
4π
cos ϑ
φ = G ⋅ u n dS = − γ
(10.29)
Osservando che l’integrazione di dS lungo una superficie chiusa si traduce in un integrale in dΩ
su 4π si ottiene ancora:
φ = -4πγM.
(10.30)
un
dω
ϑ
ur
ds
M
Figura 6
Il teorema di Gauss può essere applicato anche in presenza di masse estese aventi una
densità ρ; in questo caso il flusso del campo G attraverso una superficie chiusa è pari
all’integrale della densità esteso al volume racchiuso dalla superficie:
φ = −4πγ
Vol
ρ dxdydz .
(10.31)
118
Oltre al suo significato teorico, il teorema di Gauss costituisce un comodo strumento
matematico per calcolare l’andamento del campo gravitazionale in tutti i casi in cui il sistema
considerato presenta particolari simmetrie.
10.5.3.1 Campo gravitazionale di una sfera omogenea di densità ρ e raggio R
Consideriamo una sfera omogenea di massa M, densità ρ e raggio R. Le linee di forza del
campo, per simmetria, devono essere radiali; inoltre il campo G deve avere lo stesso valore in
tutti i punti di una qualunque superficie sferica concentrica con la massa M. Applichiamo il
teorema di Gauss ad una generica superficie sferica di raggio r. Per r < R si ha:
φ = −4πγ ρ dxdydz = −4πγ
τ
φ = −4πr 2 G
4πr 2 G = 4πγ
G =
4 3
πr ρ
3
(Th. di Gauss)
(10.32)
(Simmetria)
(10.33)
4 3
πr ρ
3
(10.34)
4
γM
πγρ r = 3 r
3
R
(10.35)
Dunque, all’interno della sfera il campo cresce linearmente con il raggio.
Per r > R
4π r 2 G = 4πγ M
G =
(10.36)
γM
.
r2
G( r )
(10.37)
1
∝ 2
r
∝r
R
V( r )
∝
∝r
2
r
R
1
r
r
Figura 7
Dall’equazione (10.37) si osserva che il campo gravitazionale generato da una distribuzione
sferica di massa m è uguale al campo che la stessa massa genererebbe se fosse tutta concentrata
nel centro. Quanto poi alla direzione ed al verso di G questi sono rispettivamente ortogonale
alla superficie ed entrante. Il potenziale si ottiene integrando il campo rispetto ad r ed
imponendo la condizione V(∞) = 0.
119
10.5.3.2 Campo gravitazionale di un filo indefinito di densità lineare λ
Dato un filo indefinito di densità lineare λ, consideriamo il flusso attraverso il cilindro di
altezza h e raggio r rappresentato in Figura 8; il campo deve avere simmetria cilindrica, pertanto
il flusso attraverso le basi è nullo. Il flusso totale attraverso il cilindro è:
φ = −4πγλ h
(Th. di Gauss)
(10.38)
φ = −2πrh G
(Simmetria)
(10.39)
Quindi:
G =
2γ λ
.
r
(10.40)
La direzione del campo è quella della normale al filo nel punto considerato, mentre il verso è
entrante come sempre.
G
r
G
Figura 8
10.6 Moto di un punto materiale in un campo gravitazionale
Consideriamo il moto di una particella di massa m nel campo gravitazionale generato da
una massa M >> m. Il sistema di riferimento abbia l’origine coincidente con il centro delle
forze. Poiché M >> m, possiamo supporre che M coincida con il centro di massa e che la massa
ridotta sia µ ≅ m. Supponiamo che il moto avvenga lungo una traiettoria circolare. Applicando
la II legge della dinamica otteniamo:
F = ma
v= γ
γ
Mm
v2
=
m
r2
r
M
.
r
(10.41)
(10.42)
L’energia potenziale e l’energia cinetica della particella sono rispettivamente:
E p = −γ
Ec =
Mm
r
1
1 Mm
mv2 = γ
.
2
2
r
(10.43)
(10.44)
120
Si osserva che l’energia potenziale è, in modulo, pari al doppio dell’energia cinetica e di
segno opposto. In conseguenza di ciò, l’energia totale è negativa:
1 Mm
Et = − γ
= −Ec.
2
r
(10.45)
Questo significa che la particella non può sfuggire dal campo gravitazionale in cui si trova
in quanto il suo allontanamento fino a distanza infinita, dove l’energia potenziale è nulla,
richiederebbe che la sua energia cinetica divenisse negativa. Questo contrasterebbe con la
convenzione scelta per l’energia cinetica in cui si è fatta corrispondere energia cinetica nulla ad
una particella ferma nel sistema di riferimento considerato.
In generale, si dimostra che in tutti i casi in cui l’energia totale di una particella in un
campo gravitazionale è negativa l’orbita è chiusa ed è ellittica. Il centro delle forze del campo
(massa M) coincide con uno dei fuochi dell’ellisse e l’eccentricità dipende dalla condizioni
iniziali del moto che determinano, oltre all’energia totale, il momento della quantità di moto
della particella, entrambi costanti del moto.
Al contrario, se l’energia totale è positiva, la particella descrive un’orbita aperta di forma
iperbolica. Per la conservazione del momento della quantità di moto, la velocità della particella
è massima quando essa raggiunge il punto di minima distanza dal centro delle forze. Per la
conservazione dell’energia, quando la particella esce dal campo gravitazionale (idealmente
questo avviene solo a distanza infinita), la sua velocità vale:
V∞ = 2 E t m .
(10.46)
Nel caso limite tra i due precedenti l’energia totale della particella è nulla ed il moto
avviene lungo un’orbita aperta di forma parabolica. Questo caso corrisponde alla condizione in
cui una particella viene abbandonata in un punto del campo gravitazionale con velocità tale che
la sua energia cinetica sia uguale alla sua energia potenziale. Se il punto iniziale del moto si
trova sulla superficie della terra, la velocità corrispondente ad energia totale nulla assume un
significato particolare e si dice velocità di fuga. La velocità di fuga è la velocità con cui deve
essere lanciato un oggetto affinché possa sfuggire al campo gravitazionale della terra,
supponendo nulli gli attriti con l’aria. Anche se la condizione richiesta è ben lontana dall’essere
verificata nella realtà, calcoliamo la velocità di fuga:
Et = −γ
vf =
Mm 1
+ mv 2f = 0
RT 2
2γ M
.
RT
(10.47)
(10.48)
Si osserva che la velocità di fuga è la stessa in tutte le direzioni. A conferma di questo fatto si
può notare che essa è stata calcolata sulla base di considerazioni energetiche di natura scalare.
10.7 Energia potenziale efficace in un campo di forze centrali
Consideriamo ancora l’energia totale di una corpo di massa m nel campo di forze
gravitazionali generato dalla massa M >> m.
Et =
1
mM
mv 2 − γ
2
r
(10.49)
Come nel paragrafo precedente, l’ipotesi M >> m ci consente di considerare fissa la massa
M e di evitare la massa ridotta. Poiché il moto di una particella in un campo di forze centrali
121
avviene in un piano, esso può essere descritto mediante le coordinate polari (r,ϑ). La velocità
espressa in tali coordinate è:
v=
dr
dϑ
ur + r
uϑ .
dt
dt
(10.50)
Sostituendo nella (10.49) si ottiene:
1
dr
Et = m
2
dt
2
1
dϑ
+ mr 2
2
dt
2
−γ
mM
.
r
(10.51)
Il momento della quantità di moto di una particella rispetto al centro delle forze è:
dϑ
,
dt
L = mvr = mr 2
(10.52)
pertanto il secondo termine che compare nella (10.51) può essere riscritto come:
1 2 dϑ
mr
dt
2
2
=
L2
.
2mr 2
(10.53)
Sostituendo nella (10.51) si ottiene:
dr
1
Et = m
dt
2
2
+
L2
mM
−γ
.
2
r
2mr
Ecentr
E grav ( r )
E centr ( r )
E eff( r )
E 1( r )
(10.54)
E2
r3
•
Eeff
r1
•
r2
•
E1
E 2( r )
Egrav
r
Figura 9
Il termine L2/2mr2 può essere interpretato come un termine di energia potenziale poiché non
dipende dalla velocità del corpo, ma solo dalla sua posizione (L è una costante). Esso prende il
nome di energia potenziale centrifuga. Il suo effetto è quello di modificare l’energia
potenziale delle forze gravitazionali come indicato in Figura 9. La somma dell’energia
potenziale centrifuga Ecentr e dell’energia potenziale gravitazionale Egra si dice energia
potenziale efficace e presenta un minimo. L’energia potenziale centrifuga è l’energia potenziale
della forza centrifuga presente in un sistema di riferimento non inerziale con l’asse z parallelo
all’asse di rotazione e che ruoti con velocità angolare (istantanea) pari alla velocità angolare
(non costante) del corpo considerato (Figura 10). In questo sistema di riferimento, il moto della
particella avviene lungo l’asse r (problema monodimensionale). La scomparsa della dipendenza
122
dalla coordinata ϑ comporta la trasformazione dell’energia cinetica corrispondente in energia
potenziale della forza apparente.
L’energia potenziale gravitazionale è fissata una volta che siano note le masse m ed M.
L’energia potenziale centrifuga dipende invece dalla massa m (nell’ipotesi M >> m) e dal
momento della quantità di moto della massa m. In un campo di forze centrali il momento della
quantità di moto è costante e dipende dalle condizioni iniziali. A seconda del valore del
momento della quantità di moto posseduto dalla particella la curva Ecentr in Figura 9 è più o
meno ripida. Momento della quantità di moto ed energia totale della massa m possono essere
fissati in modo indipendente e determinano la forma dell’orbita. Il primo concorre
all’andamento del potenziale totale, la seconda corrisponde ad una linea parallela all’asse r ad
ordinata Et. Ad esempio, consideriamo il moto di una particella la cui energia abbia il valore E1
in Figura 9; ovviamente possiamo analizzare solo il moto lungo l’asse r. L’energia cinetica della
particella è rappresentata dalla differenza tra l’energia totale e l’energia potenziale. Poiché essa
non può divenire negativa, la particella è confinata ad oscillare entro una buca di potenziale. I
punti di inversione del moto sono i punti r1 ed r2. Tali punti si dicono perielio ed afelio
rispettivamente (con riferimento al moto di un pianeta intorno al sole) e sono la minima e
massima distanza dal centro delle forze che la particella raggiunge nel suo moto. Nel sistema di
riferimento non inerziale considerato, in corrispondenza dell’afelio e del perielio l’energia
cinetica della particella è nulla, ma questo non significa che la particella si arresti nel suo moto
intorno alla massa M. Infatti, essa mantiene una componente di velocità in direzione
tangenziale. Questa componente è percepibile solo da un osservatore inerziale solidale con in
centro di attrazione Per questo osservatore la velocità della particella è ortogonale al raggio
vettore. Supponiamo ora che la medesima particella abbia una energia E2. In questo caso
l’energia totale è positiva e la particella è libera di sfuggire dal campo di forze. Il punto r3
fornisce la distanza di massimo avvicinamento al centro della forza, mentre non esiste
l’omologo di r2.
Se, mantenendo costante l’energia totale, si variano le condizioni iniziali del moto (diverso
momento della quantità di moto), si ottengono ancora moti confinati per energia totale negativa
o particelle libere per energia totale positiva, tuttavia cambiano i valori del perielio e
dell’eventuale afelio, oltreché le altre caratteristiche del moto non considerate in questo studio.
y
r
ω
m
M
x
Figura 10
10.8 Massa inerziale e massa gravitazionale
Il concetto di massa è stato introdotto all’inizio della dinamica per esprimere la costante di
proporzionalità tra la forza applicata ad un corpo e l’accelerazione che ne deriva. Questa
grandezza è stata definita “massa inerziale” per esprimere la resistenza dei corpi a mutare il loro
stato di moto o di quiete. Successivamente, la stessa grandezza è stata usata per rappresentare
l’intensità della forza con cui due corpi si attraggono secondo la legge di gravitazione
universale. In questa accezione la massa viene ad assumere un significato completamente
diverso: rappresenta la sorgente di un campo di forze, di cui un’altra massa risente gli effetti.
Questo significato è simile a quello che viene attribuito alla carica elettrica come sorgente del
123
campo elettrico. Apparentemente non c’è alcun legame tra i due concetti di massa descritti
sopra. Tuttavia si è verificato sperimentalmente che, in un qualsiasi punto della terra,
trascurando gli attriti, tutti i corpi cadono lungo la verticale con la medesima accelerazione g.
Questo fatto corrisponde alla rigorosa proporzionalità tra la massa inerziale e la massa
gravitazionale di un qualsiasi corpo. Infatti, la forza di attrazione cui un corpo è soggetto è:
F=γ
mg M T
R T2
= min a .
(10.55)
L’indipendenza dell’accelerazione a dalla massa inerziale min del corpo considerato si ottiene
solo a condizione che sia:
a=γ
mg M T
= cost
m in R T2
⇔
mg
m in
= cost
(10.56)
Numerosi e raffinati esperimenti sono stati condotti per verificare tale proporzionalità. Essi
hanno sempre avuto esito positivo, pertanto è legittimo imporre l’uguaglianza tra le due
grandezze considerate e, corrispondentemente, usare la stessa unità di misura (kg) per misurarle.
L’uguaglianza tra massa inerziale e gravitazionale ha costituito un “accidente” fisico per
secoli ed ha trovato una collocazione solo nell’ambito della teoria generale della relatività.
Principio di equivalenza: non è possibile distinguere gli effetti di un campo gravitazionale
dagli effetti di un sistema non inerziale.
In sostanza il principio di equivalenza estende ad un qualunque sistema di riferimento il
principio di relatività enunciato per i sistemi inerziali.
Le leggi della fisica restano le stesse quando si passa da un sistema di riferimento ad un altro,
comunque in moto rispetto al primo, purché nel secondo sistema venga introdotto un campo
gravitazionale opportunamente distribuito.
124
11 Meccanica dell’urto
Si dice urto un evento impulsivo in cui due corpi interagiscono fortemente per un breve
intervallo di tempo. Una prima distinzione tra i fenomeni d’urto si fa considerando i corpi che
interagiscono.
Nel caso di urti tra corpi macroscopici (ad esempio l’urto di due palle da biliardo) le
superfici dei due oggetti giungono in contato o meglio raggiungono una distanza valutabile su
scale atomiche e quindi molto minore della dimensione dei corpi. Per effetto delle interazioni
elettrostatiche le superfici sviluppano forze repulsive di breve durata che allontano i due corpi.
Nel caso di urti tra atomi o particelle elementari (urti microscopici) le due particelle, di cui
non è possibile individuare una superficie, raggiungono una distanza minima, detta parametro
d’urto, alla quale si esercitano delle forze a corto raggio molto intense che fanno variare le
traiettorie delle due particelle. Molti dei fenomeni della fisica elementare possono essere
analizzati con i concetti relativi ai fenomeni d’urto. Nel seguito considereremo solo gli urti
macroscopici.
Durante il processo d’urto, al contatto delle due superfici segue un processo di
compressione con conseguente deformazione dei corpi che interagiscono. Durante questo
processo di deformazione, una parte dell’energia cinetica delle particelle viene trasformata in
energia potenziale di deformazione dei corpi considerati ed una parte viene trasformata in
calore, onde sonore ed altri effetti dissipativi (deformazioni permanenti). Successivamente la
frazione di energia accumulata sotto forma di energia potenziale di deformazione dei corpi che
interagiscono viene trasformata nuovamente in energia cinetica mediante un processo di
distensione delle superfici durante il quale tra i due corpi si esercitano violente forze di
repulsione.
Sulla base delle considerazioni precedenti gli urti vengono classificati in:
i)
Elastici: quando durante l’urto si conserva l’energia cinetica del sistema; idealmente non si
hanno dissipazioni.
ii)
Anelastici: quando una frazione dell’energia cinetica viene dissipata durante l’urto. In
questo caso ovviamente l’energia cinetica non si conserva.
iii) Perfettamente anelastici: quando, per effetto dell’urto, si ha totale compenetrazione tra i
due corpi che perdono la loro identità dal punto di vista cinematico. Dopo l’urto si ha
pertanto un solo corpo.
Durante un urto, tra i corpi che interagiscono, si sprigionano delle forze di elevata intensità,
ma di breve durata (Figura 1). Inoltre è pressoché impossibile determinare l’effettiva evoluzione
temporale di queste forze che dipendono in modo imprevedibile dalla rugosità superficiale dei
corpi che vengono in contatto.
Pertanto è impossibile, ed è in definitiva inutile, uno studio dinamico completo dell’urto in cui
si voglia determinare l’accelerazione istantanea dei corpi che interagiscono.
Ciò che è importante nello studio degli urti è la variazione delle velocità (in modulo
direzione e verso) delle particelle coinvolte. Se le masse delle particelle si conservano:
vf =
pf
m
vi =
pi
,
m
(11.1)
avendo indicato con l’indice f la velocità e la quantità di moto finali e con l’indice i le
medesime grandezze nello stato iniziale. Pertanto, lo studio dell’urto si riduce al calcolo della
variazione della quantità di moto delle particelle che si urtano.
125
F(t)
int
F
est
F
t
Figura 1
In generale:
F=
dP
dt
∆P =
dP = F dt
tf
ti
Fdt = p f − p i .
(11.2)
(11.3)
Dal teorema dell’impulso:
tf
ti
Fdt = I t i → t f .
(11.4)
Pertanto:
∆p = I .
(11.5)
In un processo d’urto non è importante l’andamento temporale della forza di interazione, ma il
suo integrale rappresentato dall’area sottesa dalla curva Fint nella Figura 1. Tale integrale
costituisce l’impulso della forza di interazione ed è pari alla variazione della quantità di moto
delle particelle considerate.
Durante il breve intervallo di tempo in cui avviene l’urto, le forze esterne, anche se
presenti, hanno una intensità trascurabile rispetto a quella delle forze interne (Figura 1).
Pertanto, la quantità di moto del sistema delle particelle interagenti si conserva sempre. Nel caso
dell’urto tra due corpi, le variazioni delle quantità di moto sono uguali e contrarie.
∆p = 0
∆p1 = −∆p 2 .
(11.6)
Nel caso di un urto elastico si conserva anche l’energia cinetica.
Un urto si dice centrale se le velocità delle particelle che si urtano sono dirette lungo la
stessa linea. Se le particelle hanno simmetria sferica le velocità dopo l’urto sono ancora dirette
lungo la stessa linea.
Nello studio dei fenomeni d’urto il sistema del centro di massa costituisce un sistema
privilegiato in quanto la quantità di moto rispetto a tale sistema è sempre nulla.
126
11.1 Urti nel sistema del centro di massa
11.1.1 Urto elastico in una dimensione
Consideriamo due particelle 1 e 2 ed indichiamo con il pedice i le grandezze prima
dell’urto e con il pedice f quelle dopo l’urto. La quantità di moto del sistema è nulla prima e
dopo l’urto
p=0
(11.7)
Pertanto si ha:
p1,i + p 2 ,i = 0
p1,i = −p 2 ,i
(11.8)
p1,f + p 2, f = 0
p1,f = −p 2 ,f
(11.9)
Nel sistema del centro di massa le due particelle, prima e dopo l’urto si muovono con quantità
di moto uguali ed opposte.
Durante l’urto i due corpi sono pressoché fermi nel centro di massa e tutta l’energia cinetica
si è trasformata in energia potenziale di deformazione. Se la deformazione non è permanente
l’energia potenziale si ritrasforma in energia cinetica e i corpi invertono il movimento. Se
questo avviene senza dissipazioni, l’urto è elastico e l’energia cinetica si conserva:
E c ,i =
2
2
1
1
1 p1,i 1 p 2 ,i 1 1
1
m1 v12,i + m 2 v 22 ,i =
p12,i
+
=
+
2
2
2 m1 2 m 2 2 m1 m 2
(11.10)
essendo
p1,i = p 2 ,i .
(11.11)
L’energia cinetica dopo l’urto è analogamente:
E c ,f =
1 1
1 2
p1,i .
+
2 m1 m 2
(11.12)
Per la conservazione dell’energia cinetica si ha:
E c ,i = E c , f
P12,f = p12,i
(11.13)
p1,i = p1,f
(11.14)
e conseguentemente
p 2 ,i = p 2 , f .
(11.15)
In un urto elastico nel sistema del centro di massa i corpi, se le loro masse non mutano,
conservano il modulo della velocità prima e dopo l’urto:
v 1,i = v 1, f
v 2 ,i = v 2 , f .
(11.16)
Il verso delle velocità, invece, si inverte.
127
Le considerazioni precedenti si applicano anche al caso di urti non centrali in cui i corpi
dopo l’urto si muovono in una direzione diversa da quella lungo la quale si muovevano prima
dell’urto. Anche nel caso di urti non centrali, se l’urto è elastico, l’energia cinetica si conserva
ed i corpi mantengono la stessa velocità (in modulo).
11.1.2 Urto perfettamente anelastico in una dimensione
Nel caso di urto perfettamente anelastico, dopo l’urto i due corpi si identificano con un solo
corpo fermo nel centro di massa. Tutta l’energia cinetica viene convertita in calore e
nell’energia di deformazione permanente dei corpi.
E c ,i =
1 1
1 2
+
p1,i
2 m1 m 2
E c ,f = 0
(11.17)
11.1.3 Urto anelastico in una dimensione
Nel caso generale di un urto anelastico, la determinazione dello stato di moto delle
particelle dopo l’urto richiede la conoscenza della frazione di energia cinetica dissipata durante
l’urto. In genere questo dato non è noto a priori.
11.1.4 Riepilogo urti nel sistema del centro di massa
p 2 ,i = −p1,i
per definizione di centro di massa
p 2 ,f = −p1,f
per la conservazione della quantità di moto
Urto elastico
E c ,i = E c , f
Urto perfettam. anelastico
p1,i = p1,f
E c,f = 0
p1, f = p 2, f = 0
p 2 ,i = p 2 , f
pf = 0
vf = 0
11.2 Urti nel sistema di riferimento del laboratorio
Lo studio degli urti nel sistema del laboratorio si esegue facendo uso delle relazioni
precedenti e della legge di trasformazione delle velocità.
11.2.1 Urti centrali
Per definizione di centro di massa:
v CM =
m1 v1,i + m2 v 2 ,i
m1 + m2
(11.18)
le velocità delle due particelle prima e dopo l’urto, relativamente al centro di massa sono:
v1′,i = v1,i − v CM
v′2 ,i = v 2 ,i − v CM
(11.19)
v1′,f = v1,f − v CM
v′2 ,f = v 2 ,f − v CM
(11.20)
per un urto elastico in cui si abbia la conservazione delle masse.
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