GLI SCENARI ECONOMICI LE AMERICHE: IL PROSSIMO BIENNIO E IL RITORNO DEI VECCHI MODELLI Gli Stati Uniti Pil Usa % trimestrali % tendenziali Media annua Q4 1999 Q1 2000 Q2 2000 Q3 2000 Q4 2000 Q1 2001 Q2 2001 Q3 2001 Q4 2001 1,4 4,2 4,0 0,6 3,9 0,7 4,1 1,0 3,8 0,9 3,3 3,8 0,8 3,5 0,8 3,6 0,9 3,5 0,8 3,4 3,6 Poco è cambiato in America nell’ultimo trimestre. L’attuale congiuntura continua ad avere effetti profondamente diversi tra quotazione dei bond e prezzi dell’equity. Colpa della “Nuova Economia” se il rapporto tra il rendimento dei due mercati continua a salire oppure i “fattori di sconto” sono ancora troppo bassi rispetto alle attese di crescita degli utili? Alla base di tutto l’idea non più nuova, ma via via più consistente, che l’America sia entrata in una nuova era di competizione intensa e di alta crescita della produttività in cui l’inflazione non è più una minaccia, ma un segnale di vita. Un cambiamento strutturale dunque, uno “shock dal lato dell’offerta” che dovrà essere incorporato nelle estrapolazioni degli operatori e nelle previsioni degli analisti. Tutto questo è però sufficiente per dichiarare che i trend di lungo periodo saranno negati e che i vecchi modelli non funzionano più? Non dimentichiamoci, solo per onore dei forti rialzi del mercato coincidenti con dati favorevoli sulla catena dei prezzi, che l’economia americana è stata sottoposta non solo agli effetti di un fenomeno nuovo quale l’accelerazione della produttività, ma anche a uno shock tra prezzi relativi che difficilmente torneranno favorevoli nel prossimo biennio. Quanto detto non esclude la continuazione della stellar performance, ma aiuta a definire un confine tra il vecchio e il nuovo equilibrio. In mancanza di un “nuovo modello”, dopo l’ordinaria e autoregressiva correzione dei numeri della crescita verso l’alto si fa più interessante, l’opinione, la volontà e la scelta dei tempi d’intervento della politica monetaria per comprendere se e quanto manca alla Fed per riproporre la “sintesi” dell’output-gap e dell’inflazione da domanda. Se provassimo a raccordare quanto dichiarato nell’annuncio successivo al Fomc di novembre1 con i tassi a breve impliciti nei forward, ora al 7% sulla scadenza di dicembre 2000, dovremmo ipotizzare una generalizzata sfiducia nelle dichiarazioni ufficiali e quindi un marcato aumento del rischio di una politica monetaria veramente restrittiva. Viste le condizioni finanziarie, oggi è più che mai un dilemma di politica monetaria La sintesi delle condizioni finanziarie non anticipa particolari tensioni nel primo semestre D’altra parte, se l’obiettivo delle precedenti mosse era spegnere l’esuberanza irrazionale e, attraverso tassi a lunga e cambio, frenare la crescita, il risultato lascia ancora qualche dubbio, perché le condizioni finanziarie sono state tutto sommato meno restrittive del previsto, in parte a causa dei normali ritardi di azione della politica monetaria, in parte per gli effetti espansivi di Wall Street. Sulla base di un “indicatore finanziario” 1 “il rialzo dei tassi dovrebbe diminuire particolarmente il rischio di inflazione” 7 GLI SCENARI ECONOMICI correlato con il Pil possiamo vedere che nel prossimo semestre non dovremmo assistere a notizie particolarmente negative sul fronte della crescita. Se fossimo “alla fine” della fase di transizione... Anche in base alle recenti dichiarazioni dei componenti il board della Fed, la nostra sensazione è che oggi i pericoli per l’economia americana stiano in una parziale saturazione di quegli spazi di crescita che si sono aperti a seguito dei profondi cambiamenti del comparto produttivo avvenuti negli ultimi anni. Questo fenomeno imporrebbe un ritorno a un uso più stringente di indicatori di eccesso di domanda nelle decisioni di politica monetaria, per regolare in via intermedia la performance dell’economia, ma sempre con l’obiettivo finale di agire sul controllo dei prezzi, poiché solo la loro stabilizzazione è il segnale che la crescita è sostenibile. In questo modello gli shock dal lato dell’offerta sono temporanei nel loro effetto di far crescere l’economia senza produrre irrigidimenti sui prezzi, permettono cioè al sistema di nascondere temporaneamente gli squilibri sul piano dell’interazione tra consumi, risparmi e investimenti, ma non di evitare surriscaldamenti improvvisi. Stabilire quindi il momento in cui l’efficacia dello shock rallenta è l’importante scommessa della politica monetaria pre-emptive. Il secondo semestre ’99 ha irrigidito la Fed sulla posizione della curva di offerta ... bisognerebbe fare nuove ipotesi Se dunque ipotizziamo che: 1) “il sistema stia andando a regime”, cioè che lo shock relativo all’inserimento di “nuovo capitale” stia naturalmente ridimensionando i suoi effetti sul processo produttivo; 2) gli eventi “favorevoli” diversi da quelli che caratterizzano il punto precedente hanno terminato di esercitare la loro pressione positiva sui prezzi, anzi, sono possibili rischi di reversal visti gli andamenti sempre meno prevedibili del prezzo del petrolio; 3) anche in un nuovo paradigma esistono dei limiti, come lo stesso Greenspan ha recentemente dichiarato in un suo intervento, esprimibili comunque nel rapporto tra domanda e offerta o, più generalmente, nella riproposizione dell’output-gap come “riassunto esaustivo” per determinare il trend di fondo dei prezzi2; 4) a livello di mercato dei fattori, la manifestazione empirica di questi limiti è quindi ancora il rischio di un eccesso di domanda sul mercato del lavoro che spinga i compensi nominali oltre la crescita della produttività. 2 8 L’output gap è la differenza percentuale del valore del GDP rispetto al proprio potenziale. Sotto condizioni opportune, quando l’economia si trova ad operare al livello dato dal GDP potenziale, l’inflazione è stabile. Specularmente, sul mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione è quello di pieno impiego GLI SCENARI ECONOMICI Investment-Gap e produttività Il problema di cui al punto 1 è quantomai delicato per due motivi: prima di tutto perché coinvolge relazioni molto complesse e retroattive nel processo economico e, in secondo luogo, perché richiede tempo per attuarsi e stabilizzarsi. Le spiegazioni sulle caratteristiche della “Nuova Economia” sono basate sull’idea che la consistente spesa per investimenti dell’ultimo ciclo (in particolare in nuove tecnologie) stia trasformando la natura del processo economico, rendendolo più “produttivo”. Uno shock tecnologico positivo dunque genera delle fluttuazioni nelle grandezze macroeconomiche prima che il sistema raggiunga il nuovo equilibrio, evidenti nell’apprezzamento continuo degli asset finanziari, nel conseguente effetto-ricchezza e nella continua accumulazione di capitale, che a sua volta amplifica gli effetti iniziali dello shock stesso. Poiché in generale il ciclo degli investimenti anticipa quello delle altre componenti del Pil, la chiusura del gap dei primi con il proprio potenziale3 potrebbe anticipare che nel prossimo biennio assisteremo a una stabilizzazione nella crescita della produttività indotta da questo fenomeno “strutturale”. Se, con la chiusura del gap degli investimenti, l’effetto “strutturale” sulla produttività si stabilizza nel prossimo biennio... Durante il processo, l’effetto disinflattivo è, per così dire, secondario e deriva dalla specificazione del comportamento degli agenti sul mercato del lavoro: possibili asimmetrie informative o rigidità permettono alle imprese di contenere i costi, di abbassare i prezzi e creare un ambiente fortemente competitivo. Quando il mercato del lavoro diviene saturo (il “pool of potential workers” di Greenspan) è necessario che la produttività continui ad accelerare per moderare le tensioni tra salari e prezzi. In questo caso dovremmo ipotizzare che il punto sub 3) perda valore e che il potenziale continui a crescere in linea con il Pil attuale, una formula molto attraente quanto poco creduta dalla stessa Fed in un’espansione quasi decennale. ... allora il contenimento dei prezzi è un effetto di breve periodo Se l’insieme degli shock avrà effetti positivi via via decrescenti, pur facendo riferimento a nuovi parametri (potenziale più alto o Nairu più basso) nel biennio di previsione vedremo risaltare nuovamente gli effetti della posizione relativa dell’economia. Di conseguenza, il compito della Federal Reserve non è quello di moderare la crescita in assoluto, quanto quello di capire in che punto del processo il sistema economico americano si sta muovendo per facilitare la transizione da un processo “eccezionale ma insostenibile” ad uno stato “eccellente ma sostenibile”4 . Semmai, a fronte di uno shock positivo della produttività, l’incertezza sulla misurazione di questi fenomeni e non ultima della redditività effettiva del capitale potrà dettare i tempi e i modi della politica monetaria, ma non la direzione, come ci sembra si possa in parte leggere nel gradualismo di Greenspan. Con il ritorno delle “vecchie regole” è necessario stabilire l’attuale “stato” dell’economia americana Per tentare di comprendere “a che punto siamo” negli effetti di un possibile squilibrio abbiamo stimato una semplice equazione in cui l’inflazione al consumo (CPI) dipende dall’output-gap mentre per valutare gli Sta quindi aumentando il rischio di inflazione? 3 4 Hodrick-Prescott filter Laurence H. Meyer - Member of the Federal Reserve Board 9 GLI SCENARI ECONOMICI shock di origine esterna abbiamo inserito l’indice dei prezzi all’import5 . Al di là dell’utilizzo dell’equazione in fase previsiva, risaltano tre elementi: 1. l’impulso disinflattivo dei prezzi all’import è quantificabile in oltre 1,5% nel ‘98 e nullo nel ‘99 a causa della ripresa dei prezzi del petrolio. Nell’ultimo trimestre ’99 era già stato comunque positivo (0,4%) e superiore alla media; 2. il contributo dell’output-gap è significativamente positivo dal ‘98 e nell’anno appena trascorso ha influito per oltre lo 0,5%. Utilizzando le nostre previsioni, nel prossimo biennio l’apporto sarebbe intorno all’1%; 3. dai precedenti deriva il problema della sostenibilità. Sempre sulla base delle nostre ipotesi di crescita, lo shock dovrebbe continuare a manifestare i suoi effetti e innalzare ulteriormente la crescita del Pil potenziale. Quest’ultimo punto vuole sottolineare che la crescita della produttività dovrebbe essere ancora molto sostenuta nel breve periodo per poter contribuire alla riduzione del rischio di un significativo eccesso di domanda. In tal senso la scommessa di puntare su questi elementi favorevoli inizia ad avere un prezzo particolarmente alto per la Fed, soprattutto se inseriamo nel modello i possibili effetti negativi dei prezzi dei beni importati. Per questo confermiamo i risultati dello scorso trimestre che vedono il core Cpi in lenta risalita nel 2000 (2,7%) per poi ridimensionare la crescita nel 2001 (2,4%), anche per effetto del ritorno dell’economia verso il 3,5%. L’andamento dell’indice grezzo dipenderà sensibilmente dai prezzi delle materie prime e, specialmente nella prima parte del 2000, potrebbe essere un indicatore poco corretto. Le conseguenze immediate: la Fed opererà velocemente per correggere questo rischio Conviene tracciare i riflessi di quanto è emerso finora: come è evidente nella tabella di previsione, abbiamo innalzato la stima dei tassi sui Federal Funds al 6%: la politica monetaria non potrà rimanere neutrale rispetto alle condizioni pre-crisi asiatica anche perché l’economia ha mostrato una maggiore resistenza al livello dei tassi di interesse (e in fondo i P/E di borsa ne sono lo specchio). Ci attendiamo che gli interventi della Fed avvengano nel primo semestre con un upside risk fino a 75 b.p. qualora il ritardo dei rialzi del ‘99 stenti a mostrarsi anche nel secondo trimestre; il problema del landing nelle sue varie forme è rimandato al 2001 e potrebbe dipendere anche dall’aggressività della politica monetaria in corso d’anno. E’ possibile che la Fed debba bilanciare gli effetti reali della restrizione che è iniziata a febbraio con quelli indotti da un probabile ridimensionamento delle quotazioni azionarie qualora i rischi di inflazione si facciano effettivamente pressanti sul mercato. Indicatori di eccesso di domanda a guida della politica monetaria? 5 10 L’equazione si può ricondurre ad un generico modello di “curva di Phillips con aspettative” in cui compaiono uno o più termini che approssimano il comportamento degli agenti nella formazione delle attese sull’andamento futuro dell’inflazione. Nel nostro caso il processo è esteso sino al quinto ritardo del CPI ed alla costante: ritardi superiori non sono significativi mentre la somma dei coefficiente è inferiore all’unità. In tal senso le aspettative di inflazione sono relativamente stabili e sembrano formarsi attorno ad un valore costante, un modello che riteniamo accettabile per paesi che nell’ultimo decennio hanno sperimentato tassi di inflazione bassi e comunque poco volatili rispetto al ventennio precedente GLI SCENARI ECONOMICI Per i consumi l’apparente novità è il pieno riconoscimento dell’effetto di Wall Street sulla spesa da parte del board della Fed e, con ambiguo significato, l’idea che l’unico modo per frenare l’entusiasmo stia proprio in un ridimensionamento della crescita della ricchezza finanziaria. Abbiamo portato la previsione del 2000 al 4,5%, con particolare enfasi nel primo semestre dell’anno in corso. Rispetto ai dati effettivi infatti, il raccordo delle stime rende necessario persino ipotizzare una maggiore sensibilità dei consumatori all’avvenuto recupero delle quotazioni di borsa, specialmente se il passo dei redditi personali continuerà a mantenersi inferiore all’1% trimestrale nel biennio. Anche l’ultimo Beige Book non evidenzia nessuna tregua sul fronte della spesa e le attese per la prima parte dell’anno rimangono estremamente ottimiste. Le nostre attese, tuttavia, puntano a un’iniziale stabilizzazione e poi ridimensionamento della parte di beni durevoli e non durevoli che rappresenta il 50% circa della voce complessiva e che si è mostrata più sensibile all’evoluzione dei tassi di interesse. Su questi ultimi vale la pena ricordare che il livello attuale rimane comunque ancora inferiore alla struttura tipicamente in atto prima che si verificasse la crisi asiatica. Nel 2001 la concatenazione degli effetti porterà i consumi al 3,2% E gli effetti sullo scenario macro per il biennio 2000-2001 6 I tassi stabilizzeranno i consumi di beni La voce degli investimenti residenziali è prevista ancora in calo nel 2000 (-1,5%) anche se la forte domanda in molti distretti ha reso il settore meno sensibile al rialzo dei tassi. Nelle nostre previsioni tuttavia nel 2001 si noteranno i primi segnali di recupero (+0,9%): il livello dei tassi a lunga incorporato nel nostro scenario sui prossimi trimestri ci portano a ipotizzare un effetto importante e prolungato sul rifinanziamento dei mutui che difficilmente lo switch tra tasso fisso e variabile potrà sostenere. Da un punto di vista puramente empirico, anche ipotizzando che la percentuale di mutui a tasso variabile abbia già raggiunto i massimi come nel ‘93 e successivamente nel ‘96, il punto di minimo della crescita della spesa per investimenti residenziali arrivò circa un anno dopo. Sugli investimenti in macchinari ed attrezzature è opportuno evidenziare l’asimmetria tra la spesa per investimenti in Information Tecnology (il cui peso sul totale sta crescendo esponenzialmente) e la voce di contabilità nazionale. Quest’ultima, se depurata quindi della componente in questione, è decisamente sotto pressione e la correlazione con i profitti preannuncia un periodo almeno di stabilità nella crescita. La combinazione degli effetti manterrà quindi gli investimenti non-residenziali intorno al 7% nei prossimi due anni. 6 Le nuove serie di contabilità nazionale (che hanno incluso il software tra gli investimenti) hanno innalzato la crescita dell’ultimo quinquennio di circa 0,4 punti percentuali medi annui. In termini numerici il picco nel GDP si è raggiunto nel ‘97 con un 4,5% sul ’96. La revisione delle previsioni, che in questo numero si estendono al 2001, parte da condizioni iniziali opportunamente rivalutate. 11 GLI SCENARI ECONOMICI Si apre un periodo di stabilità per la crescita degli investimenti in impianti Nessuna importante novità sul fronte del bilancio commerciale, neanche nel 2001. L’effetto positivo del miglioramento della domanda mondiale sulle esportazioni americane risulterà in un parziale rallentamento del deficit commerciale nel secondo semestre del prossimo anno, ma senza innestare un cambiamento di direzione. America Latina Brasile L’economia brasiliana mostrerà forti segnali di recupero, soprattutto grazie alla domanda estera 12 Var. % a/a 1997 1998 1999S 2000P 2001P Pil Inflazione 3,0 4,8 0,5 -1,8 0,3 8,6 3,0 6,0 3,0 5,5 Alla luce dei dati sulla crescita brasiliana relativi al periodo gennaio-settembre e considerando le nostre anticipazioni per il quarto trimestre (0,9%), il ‘99 presenterà un tasso di crescita che invita all’ottimismo. A nostro parere il Brasile sta effettivamente uscendo dal periodo di crisi durato circa due anni: nel biennio di previsione abbiamo stimato che la crescita potrà tornare a ritmi del 3,0% annuo. Il maggior contributo sarà dato dal mercato estero, sia come conseguenza della svalutazione della moneta sia per il recupero dei maggiori mercati di sbocco: Argentina ed Europa che, con gli Stati Uniti, coprono circa il 50% del totale delle esportazioni. Queste ultime cresceranno nel 2000 di circa il 14,0%, mentre, l’aumento più contenuto delle importazioni (4,1% a\a) permetterà la riduzione del deficit di bilancia commerciale. Per quanto riguarda la domanda interna, nonostante tassi di interesse ancora alti, si avranno buoni segnali di recupero sia sul fronte degli investimenti (6,0% nel 2000 dopo le contrazioni degli ultimi due anni) sia sul fronte dei consumi privati (già quest’anno si passerà dal -0,2% stimato per il ’99 a un 2,0%). GLI SCENARI ECONOMICI La domanda estera trascina la crescita Poiché gli ultimi dati relativi all’indice dei prezzi al consumo (7,98% a\a a novembre e 8,64% a\a a dicembre) hanno segnato un rallentamento della discesa dell’inflazione, la Banca centrale ha rimandato ulteriormente il taglio dei tassi ufficiali, processo avvenuto con continuità nella prima parte dell’anno scorso. Il ’99 si chiude quindi con un tasso di inflazione pari all’8,6% (dic\dic, FIPE), nel 2000 si attesterà intorno al 6,0%, nel 2001 la discesa rallenterà ulteriormente (5,5%). I tassi elevati (data l’inflazione a livelli dell’8.0%) sono un ostacolo per la crescita Argentina Var. % a/a 1997 1998 1999S 2000P 2001P Pil Inflazione 8,4 0,3 4,3 0,7 -3,5 -1,6 3,0 0,3 5,0 0,5 L’Argentina si trova ancora a dover affrontare il periodo di recessione che sta attraversando ormai da circa un anno, anche se rispetto alla precedente pubblicazione è possibile essere più ottimisti sui primi seppur deboli segnali di ripresa. A nostro parere, infatti, i dati relativi alla produzione industriale, che nel terzo trimestre del ’99 ha fatto un balzo passando da un tasso di crescita pari al -12,9% a\a del trimestre precedente ad un -6,8%, sono indicazioni importanti e credibili. Pur rimanendo su valori con segno negativo, il percorso intrapreso porterà, già dal primo trimestre di quest’anno, a un lento e graduale recupero. Questi effetti si vedranno anche dai primi dati trimestrali di crescita economica. Secondo le nostre previsioni, dopo un ‘99 che si chiuderà con un tasso di crescita del Pil negativo pari al 3,5%, nel 2000 il lento processo di recupero dell’economia porterà a un incremento del Pil pari a circa il 3,0%, mentre nel 2001, anche grazie a uno scenario abbastanza ottimista per tutta l’area latino-americana, l’Argentina raggiungerà un tasso di crescita vicino al 5,0%. Deboli segnali di ripresa... lasciano spazio ad un maggior ottimismo La forte pressione fiscale, mantenuta in atto anche dall’attuale Governo (ricordiamo che dalle elezioni presidenziali di ottobre è uscito vittorioso Fernando de la Rua con il partito Alianza, ma ci si attende una politica economica sostanzialmente invariata) e i tassi di disoccupazione ancora elevati, frenano parzialmente la domanda interna, soprattutto dal lato dei consumi privati. Le previsioni al riguardo sono per un modesto 3,0% di crescita dei consumi nel 2000 e per un più deciso incremento degli investimenti che toccheranno tassi di variazione di circa il 7,0%. Sul fronte della domanda estera l’incremento previsto per le importazioni nel 2000 (12,2%) e quello previsto per le esportazioni (11,5%) non permettono un recupero dei livelli del ‘98. Il graduale miglioramento dalla fase di recessione sarà accompagnato almeno fino alla prima metà dell’anno in corso da tassi di inflazione negativi, che inizieranno a crescere accompagnando un’economia via via più forte solo dalla seconda metà del 2000 e per tutto il 2001. L’inflazione media per l’anno in corso sarà pari allo 0,3%, leggermente superiore quella per l’anno successivo, pari allo 0,5%. La forte disoccupazione frena la domanda interna 13 GLI SCENARI ECONOMICI Messico Var. % a/a 1997 1998 1999S 2000P 2001P Pil Inflazione 7,0 15,7 4,6 18,6 3,4 13,0 4,0 10,5 4,0 9,6 La situazione economica messicana può essere definita positiva dopo aver visto gli ultimi dati di crescita, a conferma di quanto detto nel trimestre precedente, dove escludevamo l’ipotesi di recessione. Il Pil nel terzo trimestre del ’99 è cresciuto del 4.6% a\a dopo il 3,2% e l’1,9% segnati rispettivamente nel secondo e nel primo trimestre dell’anno che si chiuderà con un tasso medio di crescita stimato pari al 3,4%. La disoccupazione è ancora alta... e frena i consumi L’economia messicana è poco robusta, ma non desta preoccupazioni 14 Durante il 2000 e nel 2001 non troviamo però particolari segnali che possano fare sperare livelli di crescita superiori al 4,0%, questo soprattutto a causa del fatto che, a trascinare l’economia messicana fino a ora, è stata la domanda estera, per buona parte (circa il 75%) proveniente dagli Stati Uniti. Il rallentamento dell’economia statunitense, seppur modesto, si ripercuoterà negativamente sul totale delle esportazioni, almeno nel 2001. Dal lato della domanda interna non si vedono grosse spinte alla crescita, anzi i consumi privati durante il ’99 hanno mostrato una minor robustezza. Il tasso di crescita per il 2000 sarà all’incirca del 4,0%, mentre gli investimenti cresceranno del 9,0%, grazie anche alla stabilità dei tassi di interesse reale. L’inflazione è prevista al 13,0% per il ’99, al 10,5% nel 2000 e al di sotto del 10,0% nel 2001.