IL COSTATO Sul lato destro del torace dell'uomo della Sindone è presente una copiosa colata di sangue in buona parte coagulato, talmente consistente che scende lungo il costato e prosegue sulla parte dorsale, circondando il girovita; questa colata di sangue è stata definita "la cintura di sangue". L'emorragia è fuoriuscita da un taglio, presente fra la quinta e la sesta costola, lungo più di quattro centimetri e largo uno e mezzo. Questo squarcio è stato sicuramente provocato da un' arma da taglio che possiamo identificare in una lancia romana. Ma oltre al sangue è presente anche un alone di maggiori dimensioni, che lo circonda interamente e che in un certo senso l'ha diluito. Si tratta di siero, vale a dire la parte liquida della sostanza ematica completa. Giovanni nel suo vangelo ci narra: «Venuti da Gesù, siccome lo videro già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con un colpo di lancia gli trafisse il fianco e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,33-34). Utilizzando il registro linguistico dell' anatomia, scopriamo che il cuore occupa una posizione mediana e anteriore e riposa sul diaframma, tra i due polmoni, dietro il piastrone sterno-costale, nel mediastino anteriore. Solo la punta del cuore è nettamente a sinistra, mentre la base supera a destra lo sterno. A noi interessa comprendere a quale punto del costato fu inferto il colpo di lancia. Il colpo venne inferto sul lato destro del cadavere e raggiunse l' orecchietta destra del cuore, perforando il pericardio. La lancia scivolò sulla sesta costa, perforò il quinto spazio intercostale, penetrò in profondità, incontrando la pleura e il polmone. In ogni cadavere, la parte del cuore che supera a destra lo sterno è l' orecchietta destra: essa è sempre piena di sangue. Nell' uomo della Sindone il colpo di lancia aprì l' orecchietta destra del cuore e il sangue uscì lungo la lama, attraverso la breccia aperta nel polmone. Pertanto il sangue uscito dalla piaga del costato dell'uomo della Sindone proveniva esclusivamente dal suo cuore. In ogni cadavere, da poche ore morto, il pericardio contiene sempre una certa quantità di siero (idropericardio), sufficiente per essere visto uscire all'atto dell'incisione del foglietto parietale. In alcuni casi, esso è anche molto abbondante. Se si immerge brutalmente il coltello, si vede uscire dalla piaga una larga colata di sangue, ma sui suoi bordi si può distinguere una quantità di siero del pericardio. Questa attenta descrizione anatomica ci serve per comprendere che la realtà di effusione del sangue e dell' acqua non è un semplice simbolismo, ma una realtà indelebilmente presente sul telo sindonico. Il cuore di Gesù è donato all'umanità come segno di tutto l'amore impiegato per salvare l'uomo. Il cuore rappresenta la sede simbolica dei sentimenti, dell'affetto, dell'amore vissuto e comunicato all'amante. Gesù si presenta come il compimento della promessa di un cuore nuovo, alla cui scuola sono chiamati i credenti: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt Il,29). Il costato dell'uomo della Sindone, giustapposto alla maestà del suo volto, sembra richiamare le virtù di mitezza e umiltà, come se volesse dire che solo con questa via vuole conquistare l'uomo, che mediante la mitezza e l'umiltà vuole manifestare la pienezza della sua regalità, e che nella donazione specifica del cuore manifesta tutto il suo incessante amore e tutta la sua misericordia. Tutto il mistero del suo regnare è espresso in queste parole, che sono delle virtù. La mitezza e l'umiltà coprono in un certo senso tutta la ricchezza del cuore di Gesù, di questo costato, ferita aperta all'umanità, che vediamo bene nell'uomo della Sindone. La mitezza e umiltà lo svelano pienamente, e meglio ci permettono di conoscerlo e di accettarlo; lo fanno oggetto di ammirazione suprema. Tutto il vangelo rivela la bontà misericordiosa e la carità immensa del cuore di Gesù verso tutte le persone: i bambini, i malati, i poveri, i peccatori. Alcuni brani aiutano in particolare a comprendere il mistero del cuore. L’evangelista Giovanni ci ricorda che quello di Gesù è un cuore trafitto (cfr. Gv 19,3437; con i richiami a Es 12,46; Sal 34,21; Zc 12,10). La liturgia comprende in profondità tale realtà affermando: «Innalzato sulla croce, nel suo amore senza limiti, Cristo donò la vita per noi, e dalla ferita del suo fianco effuse sangue e acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al cuore del Salvatore, attingessero con gioia alla fonte perenne della salvezza» (Prefazio della Solennità del Sacro Cuore). L’attenzione non deve fermarsi solo alla passione, come talora è accaduto: il mistero del cuore di Cristo coinvolge la risurrezione e il dono dello Spirito. Nel Cenacolo Cristo risorto porta il grande annuncio della misericordia divina, ne affida agli apostoli il ministero, addita le ferite della passione, tra le quali la ferita del costato (cfr. Gv 20,19-23). A Tommaso dirà: «Stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». E ognuno può rispondere con fede: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). Questo episodio va oltre il signifìcato dell' attestazione di evidenza, ma sottolinea il punto di partenza di ogni itinerario di fede, che è dato dalla consapevolezza del credente mentre si confronta con il mistero. Non stupisce che la spiritualità cristiana abbia vissuto come via alla comunione con Cristo il culto al cuore di Gesù, richiedente adorazione, consacrazione, riparazione, ma anche impegno apostolico. Incentrato sull' amore, esso risponde alla necessità di ogni persona di essere amata, mostrando l'amore misericordioso di Dio. È un amore profondo e radicato, che mette in comunicazione la riferibilità esterna di un organismo fìsico, appunto il cuore, seppur nella sua simbolicità, con l'aspetto interiore della persona, con l'ampiezza e la profondità dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, così preziosi nella valutazione antropologica della cultura contemporanea. La ferita aperta del costato nell'uomo della Sindone segna questa apertura e questa comunicazione privilegiata tra l'uomo esteriore e l'uomo interiore. Dal costato di Cristo è visibile, attraverso il suo amore, l'interezza della vita eterna, misurata dalla forma del suo cuore donato. Il cuore ha sempre riunito in sé un doppio simbolismo: uno naturale e uno culturale. Le palpitazioni cardiache sono il sintomo fisiologico di uno stato emozionale. Questa comune esperienza fa vedere il cuore come sede della volontà, del coraggio e soprattutto dell' amore, con riferimento però più all'aspetto attivo della vita affettiva che a quello recettivo e passivo. Tutto ciò indica il legame che si percepisce tra l'emozione affettiva e la reazione corporale. Così la parola "cuore" non indica l'organo anatomico, né l'affetto interiorizzato dell' amore, bensì la relazione che si stabilisce fra i due, cioè il fatto sperimentale che un sentimento abbia una ripercussione interiore sul corpo. Il cuore è indice della relazione, di una relazione che l'uomo della Sindone sviluppa tra l'immagine rappresentata e colui che la vede. Nella Bibbia il cuore non è una parte dell'uomo, ma la persona tutta intera, colta nella sua unità (corpo e spirito) e nel suo centro decisionale. Il cuore è il centro dell'uomo, la relazione concreta, morale e fìsica, che unisce a Dio e ai fratelli; la capacità di amare, sorgente della comunione con Dio, con gli altri e se stessi. Il cuore è l'individuo interiore nascosto che si manifesta, si intravede con la fìgurazione dell'aspetto esteriore aperto, il costato. Figure privilegiate per indicare il cuore infatti sono sia la parte sulla quale riposa il discepolo amato, vale a dire il petto, sia il costato aperto. Questo cuore, come specificato, diventa elemento centrale e fondante di ogni relazione, che si sviluppa coinvolgendo gli aspetti emozionali e affettivi della persona, aspetti che non possono essere avulsi dalla logica dell' incontro. È proprio il cuore a insegnare la giusta umanità che deve essere messa in ogni rapporto con le persone che incontriamo. Non solo, ma il costato dell'uomo della Sindone ci aiuta a riflettere sulla presenza di un cuore che possa riprendere le relazioni interrotte e ridare vitalità umana ai rapporti sulla base del criterio della misericordia. Sappiamo che la parola "misericordia" deriva da due vocaboli latini, misereri, "aver pietà di", e cor, cordis, "cuore". Nella Bibbia la misericordia è il supremo attributo di Dio, che spiega l'intero disegno della salvezza. Dio ama l'uomo. Egli non può rassegnarsi al peccato e alla miseria dell'uomo. Questa miseria commuove il suo cuore e lo sollecita a soccorrerei. E l'uomo, da parte sua, si inserisce in questo grande movimento della misericordia, nella virtù del cuore compassionevole, che condivide la miseria altrui, per soccorrerla. Non si tratta di una supererogazione, ma, al contrario, di un'esigenza profonda dell'amore: l'amore genera necessariamente la misericordia, la quale è, già per san Paolo, con la pace e la gioia, una delle sue conseguenze più dirette e necessarie. Il cuore misericordioso di Gesù Cristo diventa il cuore di ogni uomo capace di chinarsi sulle ferite morali lasciate come traccia indelebile da ogni peccato. Chi sa perdonare, chi sa guardare oltre il male realizzato, per individuare la specifica immagine di Dio che è raccolta in ogni persona, vivrà sin d'ora la beatitudine della pace, come attesa e testimonianza della vita eterna. La misericordia espressa nella ferita del costato è il segno più evidente della riconciliazione tra il Dio di Gesù Cristo e l'umanità di ogni tempo e di ogni storia. La ferita da lancia visibile sul telo sindonico è una mistica apertura che mostra a tutti come l'individuo debba essere al contempo interiore ed esteriore. Il rischio di un' esistenza vissuta solo come maschera, come sarcofago di se stessi, da cui non trapela alcun senso di umanità, rende le relazioni umane prive del loro significato più originario. Questo sembra insegnarci questo cuore di Cristo magnammo e unico. Il costato di Cristo è anche dimora della misericordia del Padre, che manda proprio il Figlio come testimone della misericordia. Essa si dispiega ogniqualvolta Dio Padre si rapporta al genere umano, e abita laddove la libertà umana donata da Dio stesso si combina con il peccato d'origine e si determina in scelte non sempre adeguate. La logica della misericordia consiste nel superamento del limite imposto dal peccato d'origine, attraverso una svolta d'amore infinito che abbraccia l'uomo in sé stesso oltre il limite dell' errore. Quindi è anzitutto Dio che si riconcilia a noi, prima ancora del nostro desiderio di chiedere il perdono del limite. La riconciliazione inizia a prendere forma nella misura in cui facciamo esperienza della misericordia del Padre. Allora il nostro amore di figli si amplifica, perché riconosciamo che l'allontanamento avvenuto da Dio è il nostro allontanamento, e non viceversa. La misericordia ha come riferimento il cuore di Cristo, e questo cuore si dona al punto di aprirsi e di far uscire dal costato sangue e acqua. L apertura del costato e lo sfinimento del cuore segnano l'inizio della nuova vita, laddove sembra che essa abbia fine. La tragedia e il dolore che ognuno prova per la morte di una persona amata trova riferimento in un cuore che smette di pulsare. Chi perde un figlio, un genitore, un carissimo amico, sembra provare una sensazione paralizzante, di totale impotenza, di apparente surrealismo, per un' esistenza che si spegne all'improvviso senza una ragione. Ma il cuore dell'uomo della Sindone, terminando il suo processo vitale, si schiude, mostrando il frutto più maturo della salvezza: il sangue e l'acqua sono l'iniziazione del credente alla vita sacramentale, alla vita della Chiesa, al percorso che conduce alla salvezza piena e definitiva. Il sangue, così presente sul telo sindonico, tale da fungere come "inchiostro" dell'immagine a noi resa nota, non è pero segno della morte: il sangue, biblicamente inteso, è sede della vita e inizio di una nuova fioritura dell' esistenza, sospeso tra la forza del sacrificio compiuto e l'inizio di una nuova vitalità. Esso esce dal costato e provoca lo stupore dei presenti. «Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,33-37). Da “L’uomo della Sindone” di M. Tommaso Reali, Ed. San Paolo