Alexander Demandt, Das Privatleben der römischen Kaiser

ALEXANDER DEMANDT, Das Privatleben der römischen Kaiser, 2. völlig überarbeitete und
verbreitete Neuauflage, München 1997.
Professore emerito di Storia antica presso il Friedrich-Meinecke-Institut della Freie Universität Berlin, dove
ha insegnato per un trentennio (1974-2005), Alexander Demandt è una figura atipica di storico antico. La sua
ricca bibliografia 1 testimonia l’ampiezza dei suoi interessi, che spaziano dall’analisi delle grandi figure
storiche (Alexander der Grosse: Leben und Legende, München 2009; Pontius Pilatus, München 2012) a
trattazioni di storia generale e abbracciano anche temi che esulano dal campo di ricerca strictu senso dello
storico antico (Vandalismus, Berlin 1997); Schwerpunkt della sua produzione è l’epoca tardoantica
(Geschichte der Spätantike, 2a ed. München 2008; Der Fall Roms: die Auflösung des römischen Reiches im
Urteil der Nachwelt, 2a ed. München 2012), ma, nella convinzione che non si debba mai perdere di vista il
tutto guardando solo le sue parti, Demandt si è anche cimentato con la storia universale (Kleine
Weltgeschichte, 2a ed. München 2004). Nei suoi studi un posto privilegiato è occupato dalla storia culturale
di popoli antichi e moderni (Die Kelten, München 1998; Über die Deutschen: eine kleine Kulturgeschichte,
Berlin 2007), con incursioni in campi di studio più insoliti (Über allen Wipfeln: der Baum in der
Kulturgeschichte, Köln 2002); lo spiccato interesse per la cosiddetta ‘storia virtuale’ procurò a Demandt,
quando ancora a questa disciplina non era riconosciuta dignità scientifica, aspre critiche da parte degli altri
storici2.
Das Privatleben der römischen Kaiser, secondo quanto l’autore stesso racconta nel Vorwort alla prima
edizione, nasce dagli appunti, pazientemente raccolti nel corso di anni, sugli svaghi degli imperatori romani e
si amplia nel tempo arrivando a comprendere tutta la sfera della vita privata. Le notizie sono state reperite
dall’autore principalmente nelle fonti antiche, alla ricerca dei ‘tesori nascosti’ della storiografia imperiale
nella convinzione, condivisa con Burckhardt, che le fonti siano ‘inesauribili’. In tutto il libro, in effetti, è
preponderante l’apporto delle fonti dirette, presentate nel primo capitolo: Plinio il Vecchio, Svetonio, Cassio
Dione, Erodiano, Aurelio Vittore, Ammiano, Procopio; poco utile Tacito, secondo il quale solo le res
illustres sono degne di essere ricordate dallo storiografo, mentre le piccole cose sono piuttosto materia per i
diurna acta urbis affissi nella città di Roma (Annales XIII 31). Ricchissima di notizie sulla vita privata degli
imperatori è la Historia Augusta, da considerarsi senz’altro sospetta come fonte storica, ma preziosa come
documento di storia della cultura. L’autore avverte al principio il lettore che non discuterà criticamente tutti i
pettegolezzi e le ‘voci’ di dubbia attendibilità, i quali non possono essere in ogni caso trascurati dallo storico
perché, appunto, importanti per conoscere l’immaginario di un’epoca.
Il primo capitolo, significativamente intitolato Ein unseriöses Thema?, ha funzione programmatica e, in certa
misura, apologetica: in epigrafe viene citato l’aspro giudizio di Mommsen contro gli storici che si occupano
del periodo imperiale, da lui paragonati a ‘mosconi’ che si posano su sostanze sudice. L’autore si propone di
1
2
Disponibile online nel Katalog der deutschen Nationalbibliothek (www.dnb.de).
Sven Felix Kellerhoff, Alexander Demandt sitzt immer an der Quelle, Die Zeit (06.06.2007).
colmare una lacuna negli studi di antichistica: gli storici moderni, dichiara con una punta polemica, si sono
dedicati principalmente alla storia politica e amministrativa di Roma, e chi si è occupato di storia sociale e
dei costumi ha rivolto la sua attenzione in principio al popolo e al senato, in anni più recenti soprattutto ai
gruppi sociali marginali – schiavi, donne, stranieri. La vita privata degli imperatori è stata esaminata
all’interno di trattazioni generali sulla storia del costume oppure in studi su singoli aspetti, ma mai trattata
monograficamente e con la dovuta completezza. Il disinteresse e addirittura il disprezzo per la storia della
cultura sorgono, secondo Demandt, dal rifiuto del metodo storico-antiquario squalificato da Momigliano; nel
caso della storia imperiale ha agito anche, fino agli inizi del Novecento, una certa riluttanza a entrare nei
dettagli intimi della vita dei protagonisti, per non lederne la dignità. Riluttanza che manca del tutto alle fonti
antiche: se nel periodo repubblicano la storiografia senatoria manteneva un certo riserbo sulla vita privata dei
protagonisti della vita politica, a protezione della dignitas del proprio ceto, in epoca imperiale il divario
sociale fra i detentori del potere e gli scrittori di storia, alcuni dei quali di origine molto modesta, è notevole;
e la curiosità del pubblico verso la vita intima degli imperatori favorisce la libera adozione, in storiografia, di
una ‘Kammerdienerperspektive’.
Nel secondo capitolo l’autore ribatte preventivamente a tre ordini di obiezioni che pongono in discussione la
realizzabilità di uno studio sulla vita privata degli imperatori romani. Sul piano teorico si obietta alla
possibilità di restituire un’immagine fedele del passato, data la distanza socioculturale che fa da filtro fra noi
e gli antichi; ma la scelta esplicita di Demandt è di presentare le notizie raccolte così come sono, lasciandone
l’interpretazione alla perspicacia del lettore. Sul piano metodologico si critica la scelta di preferire
un’esposizione che dia una visione d’insieme alla puntuale trattazione dei problemi alla luce della letteratura
secondaria; la replica dell’autore è che già Quintiliano, nell’Institutio oratoria, osservava che non avrebbe
scritto una parola se avesse dovuto consultare tutta la letteratura secondaria esistente sull’argomento. Infine
sul piano concettuale si obietta che la nozione di ‘vita privata’ non sia applicabile agli imperatori romani;
l’autore illustra brevemente il valore dell’aggettivo privatus in epoca repubblicana e le sue valenze nel
lessico relativo all’imperatore, infine spiega che nella trattazione seguente intenderà con ‘vita privata’ tutto
ciò che non riguarda l’imperatore in quanto tale, vale a dire ogni ambito della sua vita che lo caratterizza
come individuo e che lo accomuna a qualunque cittadino. Il giudizio degli storici su questo aspetto era
determinante nella rappresentazione dei ‘buoni’ e dei ‘cattivi’ imperatori: buoni imperatori, secondo
l’opinione degli storici di rango superiore, erano coloro che nel privato si comportavano come comuni
cittadini di rango senatorio, fedeli ai principi della morale romana tradizionale, cattivi imperatori quelli che
indulgevano a stravaganze ed eccessi da despoti orientali e ricercavano il favore delle masse popolari. Tali
categorie ritornano costantemente nelle descrizioni degli imperatori tratteggiate dagli storici. La situazione
cambia in epoca tardoantica: con l’avvento degli imperatori soldati del III sec., incolti e troppo occupati dalle
crisi economiche e militari per potersi dedicare alla vita privata; in seguito col cristianesimo e l’irrigidirsi
dell’etichetta a corte, che finirono per appiattire la personalità degli imperatori cresciuti nei palazzi come
principes clausi.
Nei capitoli successivi Demandt espone dettagliatamente tutti gli aspetti della vita privata degli imperatori: lo
svolgimento della giornata e le abitudini alimentari (terzo); i rapporti di amicizia e di ospitalità e gli animali
preferiti (quarto); l’amore e il matrimonio (quinto); la cura del corpo e della salute, le malattie sofferte e i
rimedi suggeriti dai medici (sesto); l’abbigliamento, le acconciature e il modo di portare la barba, le
abitazioni con le loro suppellettili, la servitù (settimo); lo sport, la caccia e la pesca (ottavo); gli spettacoli e i
viaggi (nono); l’istruzione e l’attività letteraria (decimo); il rapporto con la religione e la superstizione
(undicesimo).
Nel capitolo conclusivo Demandt compie alcune osservazioni sul valore antropologico di uno studio sulla
vita privata degli imperatori. Essi sperimentarono una condizione che non ha paralleli: avere a disposizione il
massimo potere e la massima libertà, senza dover rendere conto a nessuno del proprio operato. Avevano la
possibilità, ispirandosi a modelli lontani nel tempo e nello spazio (le ricche famiglie tardorepubblicane, i
potenti ellenistici), di realizzare ciò che i comuni cittadini potevano soltanto sognare: da qui l’estremo
interesse del popolo verso la loro vita. È interessante osservare quanto diversamente seppero gestire tale
abbondanza di mezzi e di libertà: Commodo ricevette la stessa educazione e visse in condizioni molto simili
a quelle del padre Marco Aurelio. Gli imperatori ‘cattivi’ costituiscono, secondo Demandt, l’unico esempio
storico di un’esperienza di vita priva di quei condizionamenti (sociali, economici, morali) che secondo le
dottrine marxiste e freudiane impediscono all’uomo la piena autorealizzazione; e dimostrano, secoli prima
che ci si ponesse la questione, quanto sia sbagliato incolpare la società della propria insoddisfazione e come
al contrario l’uomo si realizzi solo entro i legami sociali. In qualsiasi epoca si potrebbe vivere come un
Marco Aurelio, a patto che si trovi in sé stessi la moderazione e l’equilibrio, laddove un Nerone non è
pensabile al di fuori della condizione irripetibile di imperatore romano, al quale tutto è consentito; ma gli
imperatori ‘cattivi’, per quanto liberi da ogni condizionamento esterno, non rappresentano un modello di
individuo pienamente realizzato.
Il libro raccoglie e classifica ordinatamente per ambiti tematici la vasta materia aneddotica fornita dalle fonti
primarie, presentandola così com’è. Questo da una parte costituisce una sfida per il lettore, chiamato a
mantenere un lucido distacco durante la lettura e a discernere il pettegolezzo malevolo, la diceria
inverosimile, la volontaria mistificazione e gli errori di interpretazione, possibili anche presso i
contemporanei; dall’altra parte rappresenta anche il limite del libro, di cui l’autore del resto è ben
consapevole e a cui prepara il lettore nei due capitoli iniziali. Il valore di questo studio sta principalmente
nella visione d’insieme sulla figura dell’imperatore nel suo sviluppo diacronico e sulle personalità dei singoli
regnanti, illustrata attraverso il modificarsi delle abitudini quotidiane e attraverso la cultura materiale.
Tartaglia Giulia