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La riproduzione in fotocopie è ammessa solo per uso personale e didattico
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Finito di stampare nel mese di dicembre 2011
da «Pittogramma s.r.l.» - Via Santa Lucia, 34 - Napoli
per conto della SIMONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli
Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.it
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
Premessa
Caro Praticante anche quest’anno la «Simone» ha dato alle stampe, a pochi giorni dall’esame, questa appendice di aggiornamento ai «codici civile e penale annotati
con la giurisprudenza» per fornirti una recentissima selezione di massime giurisprudenziali a integrazione e aggiornamento del tuo codice commentato.
Nella scelta abbiamo tenuto conto delle pronunce più recenti e significative con
i tradizionali percorsi di lettura in grassetto per consentirti (qualora la commissione
basi il parere su una sentenza inedita o dell’ultimissima ora) di non rimanere «spiazzato» e privo di supporto giurisprudenziale sul quale costruire il tuo parere.
Con l’occasione abbiamo inserito anche le recentissime modifiche intervenute nei
codici civile e penale per rendere sempre più attuale la consultazione dei nostri volumi.
Nell’augurarti il fatidico «in bocca al lupo» ci congratuliamo per la fedeltà dimostrata alla ns. Casa Editrice che ancora una volta dimostra, attraverso questo omaggio, di tenere a cuore le esigenze dei suoi più affezionati clienti.
L’Editore
Aggiornamento
Normativo
Libro Primo
Delle persone e della famiglia
245 • Sospensione del termine. (1) (2)
Se la parte interessata a promuovere l’azione di disconoscimento della paternità si trova in stato di
interdizione per infermità di mente [414], la decorrenza del termine indicato nell’articolo precedente
è sospesa [2964], nei suoi confronti, sino a che dura lo stato di interdizione [2941]. L’azione può tuttavia essere promossa dal tutore.
(1) Art. così sostituito ex l. 19-5-1975, n. 151 (art. 96) (Riforma del diritto di famiglia).
(2) La Corte cost., con sent. 25-11-2011, n. 322, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui
non prevede che la decorrenza del termine indicato nell’art. 244 cod. civ. è sospesa anche nei confronti del soggetto che, sebbene non
interdetto, versi in condizione di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, sino a che
duri tale stato di incapacità naturale.
Libro quinto
Del Lavoro
2397 • Composizione del collegio.
Il collegio sindacale si compone di tre o cinque membri effettivi, soci o non soci. Devono inoltre
essere nominati due sindaci supplenti.
Almeno un membro effettivo ed uno supplente devono essere scelti tra i revisori legali iscritti nell’apposito registro (1). I restanti membri, se non iscritti in tale registro, devono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali individuati con decreto del Ministro della giustizia (2), o fra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o giuridiche [2399, 2401, 2477, 2521 nn. 11 e 12, 2543].
Per le società aventi ricavi o patrimonio netto inferiori a 1 milione di euro lo statuto può prevedere che l’organo di controllo sia composto da un sindaco unico, scelto tra i revisori legali iscritti nell’apposito registro (3).
(1) Le parole «tra i revisori legali iscritti nell’apposito registro» così sostituiscono le precedenti «tra gli iscritti nel registro dei revisori
contabili istituito presso il Ministero della giustizia» ex art. 37, c. 5, d.lgs. 27-1-2010, n. 39 (Riforma della revisione legale).
(2) Cfr. art. 1, d.m. 29-12-2004, n. 320 (G.U. 18-1-2005, n. 13), che così dispone: «I membri del collegio sindacale possono essere scelti tra gli iscritti negli albi professionali tenuti dai seguenti ordini e collegi: a) Avvocati; b) Dottori commercialisti; c) Ragionieri e periti commerciali; d) Consulenti del lavoro».
(3) Comma aggiunto ex art. 14, c. 14, l. 12-11-2011, n. 183 (legge di stabilità 2012) in vigore dall’1-1-2012.
2477 • Sindaco e revisione legale dei conti. (1)
L’atto costitutivo può prevedere, determinandone le competenze e poteri, la nomina di un sindaco o di un revisore.
La nomina del sindaco è obbligatoria se il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni.
La nomina del sindaco è altresì obbligatoria se la società:
a) è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
b) controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;
c) per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti indicati dal primo comma dell’articolo 2435bis.
Aggiornamento normativo
Codice civile
Codice Civile
8
Aggiornamento normativo
L’obbligo di nomina del sindaco di cui alla lettera c) del terzo comma cessa se, per due esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati.
Nei casi previsti dal secondo e terzo comma si applicano le disposizioni in tema di società per azioni; se l’atto costitutivo non dispone diversamente, la revisione legale dei conti è esercitata dal sindaco.
L’assemblea che approva il bilancio in cui vengono superati i limiti indicati al secondo e terzo comma deve provvedere, entro trenta giorni, alla nomina del sindaco. Se l’assemblea non provvede, alla
nomina provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato.
(1) Art. così sostituito ex l. 12-11-2011, n. 183 (legge di stabilità 2012) (art. 14, c. 13) in vigore dall’1-1-2012.
2630 • Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi. (1)
Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro
delle imprese, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro. Se la denuncia, la comunicazione o il deposito avvengono nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione amministrativa pecuniaria è ridotta ad un terzo.
Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di
un terzo.
(1) Art. così sostituito ex l. 11-11-2011, n. 180 (Statuto delle imprese) (art. 9, c. 5) entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in G.U. 14-11-2011, n. 265.
Codice Penale
Libro secondo
Dei delitti in particolare
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità
dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro
per ciascun lavoratore reclutato.
Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:
1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi
nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
2) la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale,
all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro,
tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni
alloggiative particolarmente degradanti.
Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
(1) Art. inserito ex d.l. 13-8-2011, n. 138, conv., con modif., in l. 14-9-2011, n. 148 (art. 12).
603ter • Pene accessorie. (1)
La condanna per i delitti di cui agli articoli 600, limitatamente ai casi in cui lo sfruttamento ha
ad oggetto prestazioni lavorative, e 603bis, importa l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche o delle imprese, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario,
di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti.
La condanna per i delitti di cui al primo comma importa altresì l’esclusione per un periodo di
due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell’Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento.
L’esclusione di cui al secondo comma è aumentata a cinque anni quando il fatto è commesso da
soggetto al quale sia stata applicata la recidiva ai sensi dell’articolo 99, secondo comma, numeri 1) e 3).
(1) Art. inserito ex d.l. 13-8-2011, n. 138, conv., con modif., in l. 14-9-2011, n. 148 (art. 12).
Aggiornamento normativo
Codice penale
603bis • Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. (1)
Aggiornamento
Giurisprudenziale
Libro Primo
Delle persone e della famiglia
36 • Ordinamento e amministrazione
delle associazioni non riconosciute
• Le deliberazioni assunte dall’organo di amministrazione di un’associazione non riconosciuta non sono impugnabili per violazione di legge o dello statuto da parte dell’associato, che non sia componente del medesimo
organo amministrativo, salvo che ne risulti direttamente leso un suo diritto, in quanto la regola dettata in materia di società per azioni dall’art. 2388 cod. civ. costituisce un principio generale dell’ordinamento. — Cass. 10-52011, n. 10188, rv. 618033.
82 • Matrimonio celebrato davanti
a ministri del culto cattolico
• La delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario per l’apposizione di una condizione al vincolo matrimoniale (nella specie condicio de futuro relativa alla residenza familiare) viziante il relativo consenso negoziale di uno dei coniugi, trova ostacolo nel principio di ordine pubblico, costituito dalla ineludibile tutela dell’affidamento incolpevole dell’altro coniuge, allorché l’apposizione della condizione sia rimasta nella sfera psichica di uno dei nubendi,
senza manifestarsi (né comunque essere conosciuta o conoscibile) all’altro coniuge. L’accertamento della conoscenza o conoscibilità, da parte di quest’ultimo, di detta condizione deve essere compiuto dal giudice della delibazione con piena autonomia rispetto al giudice ecclesiastico e
con particolare rigore, giacché detto accertamento, pur tenendo conto del favore particolare al riconoscimento che
lo Stato italiano si è imposto con il protocollo addizionale
del 18 febbraio 1984 modificativo del Concordato, attiene
al rispetto di un principio di ordine pubblico di speciale
valenza e alla tutela di interessi della persona riguardanti la costituzione di un rapporto, quello matrimoniale, oggetto di rilievo e tutela costituzionali. — Cass. 10-6-2011,
n. 12738, rv. 618368.
147 • Doveri verso i figli
• Il raggiungimento della maggiore età del figlio minore non può determinare, nel coniuge separato o divorziato, tenuto a contribuire al suo mantenimento, il diritto
a procedere unilateralmente alla riduzione od eliminazione del contributo o a far valere tale condizione in sede di
opposizione all’esecuzione, essendo necessario, a tal fine,
procedere all’instaurazione di un giudizio volto alla modifica delle condizioni di separazione o divorzio. — Cass. 166-2011, n. 13184, rv. 618301.
151 • Separazione giudiziale
• In tema di separazione tra coniugi, la reiterata inosservanza da parte di entrambi dell’obbligo di reciproca fedeltà non costituisce circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione in capo all’uno o all’altro o ad entrambi, quando sia sopravvenuta in un contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale
quale rispondente al dettato normativo e al comune sentire, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale
autonomia di vita, non caratterizzata da affectio coniugalis.— Cass. 20-4-2011, n. 9074, rv. 617855.
• In tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili — traducendosi nell’aggressione a beni e diritti
fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner — essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo e si
sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l’addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti
ha posto in essere. — Cass. 14-4-2011, n. 8548, rv. 617387.
155 • Provvedimenti riguardo ai figli
• Il raggiungimento della maggiore età del figlio minore non può determinare, nel coniuge separato o divorziato, tenuto a contribuire al suo mantenimento, il diritto
a procedere unilateralmente alla riduzione od eliminazione del contributo o a far valere tale condizione in sede di
opposizione all’esecuzione, essendo necessario, a tal fine,
procedere all’instaurazione di un giudizio volto alla modifica delle condizioni di separazione o divorzio. — Cass. 166-2011, n. 13184, rv. 618301.
• Il provvedimento con il quale, in sede di separazione,
si stabilisce che il genitore non affidatario paghi, sia pure
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice civile
Codice Civile
14
Aggiornamento giurisprudenziale
pro quota, le spese mediche e scolastiche ordinarie relative ai figli costituisce idoneo titolo esecutivo e non richiede un ulteriore intervento del giudice in sede di cognizione, qualora il genitore creditore possa allegare e documentare l’effettiva sopravvenienza degli esborsi indicati nel titolo e la relativa entità, salvo il diritto dell’altro coniuge di
contestare l’esistenza del credito per la non riconducibilità degli esborsi a spese necessarie o per violazione delle
modalità d’individuazione dei bisogni del minore. — Cass.
23-5-2011, n. 11316, rv. 618151.
• In sede di modifica delle condizioni di separazione personale dei coniugi, rientra nei poteri ufficiosi del
giudice rimodulare i periodi in cui il genitore può tenere
presso di sé il figlio di cui è disposto l’affidamento condiviso, in relazione alla nuova situazione determinatasi. (Nella
specie, la S.C. ha ritenuto non viziato da extrapetizione il
provvedimento della corte di merito che, in sede di reclamo avverso il provvedimento di modifica delle condizioni
della separazione, aveva confermato l’affido condiviso della figlia minore e che, tenuto conto dell’intervenuto trasferimento per motivi di lavoro della madre, aveva disposto
il collocamento presso quest’ultima, nella sua nuova residenza, della predetta, rimodulando, in relazione alla nuova situazione determinatasi, il regime di incontri della minore con il padre, congruamente motivando al riguardo).
— Cass. 21-3-2011, n. 6339, rv. 617399.
155quater • Assegnazione della
casa familiare e prescrizioni in tema
di residenza
• L’assegnazione della casa familiare prevista dall’art.
155quater cod. civ., rispondendo all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti,
degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si
articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell’immobile che abbia costituito il centro di
aggregazione della famiglia durante la convivenza, con
esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi avessero
la disponibilità e che comunque usassero in via temporanea o saltuaria. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di assegnazione della «casa familiare», relativa ad
immobile acquistato allo stato di rustico, oggetto di lavori
di completamento ed occasionalmente utilizzato dalla famiglia, durante il matrimonio, nel solo periodo estivo). —
Cass. 4-7-2011, n. 14553, rv. 618513.
156 • Effetti della separazione sui
rapporti patrimoniali tra i coniugi
• In tema di separazione personale dei coniugi, l’art.
156, sesto comma, cod. civ., nell’attribuire al giudice, in
caso d’inadempimento dell’obbligo di corrispondere l’asse-
gno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi, tenuti a
corrispondere anche periodicamente somme di denaro al
coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di
opportunità che implica esclusivamente un apprezzamento in ordine all’idoneità del comportamento dell’obbligato a suscitare dubbi circa l’esattezza e la regolarità del futuro adempimento e, quindi, a frustrare le finalità proprie
dell’assegno di mantenimento. La relativa valutazione resta affidata in via esclusiva al giudice di merito e, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità. — Cass. 19-5-2011, n. 11062, rv. 617989.
177 • Oggetto della comunione
• Per la famiglia già costituita alla data di entrata in
vigore della legge 19 maggio 1975, n. 151, la comunione
legale, in assenza della dichiarazione di dissenso di cui
all’art. 228, primo comma, della legge, decorre dal 16 gennaio 1978 ed interessa i beni acquistati dai coniugi separatamente nel primo biennio di applicazione della legge
stessa solo se ancora esistenti nel patrimonio del coniuge
che li ha acquistati; conseguentemente, il titolare del diritto di prelazione agraria che, dopo avere esercitato il riscatto del fondo venduto senza la prescritta denuntiatio,
intenda chiedere l’accertamento giudiziale del suo diritto,
non deve agire anche contro il coniuge dell’acquirente del
fondo qualora la vendita sia stata stipulata in detto biennio
successivo alla data di entrata in vigore della legge n. 151
del 1975 e la dichiarazione di riscatto sia stata comunicata nello stesso periodo, atteso che, in tale ipotesi, il fondo
non è mai entrato in comunione dei coniugi. — Cass. 9-62011, n. 12693, rv. 618123.
269 • Dichiarazione giudiziale di
paternità e maternità
• In tema di dichiarazione giudiziale di paternità, l’art.
269, quarto comma, cod. civ. — secondo il quale la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra questa
ed il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale — non esclude che tali
circostanze, nel concorso di altri elementi, anche presuntivi,
possano essere utilizzate a sostegno del proprio convincimento
dal giudice del merito. — Cass. 9-6-2011, n. 12646, rv. 618243.
317bis • Esercizio della potestà
• L’attrazione al giudizio del Tribunale per i minorenni della domanda di corresponsione di un contributo per
il mantenimento del figlio minore può giustificarsi esclusivamente in caso di contestualità fra la stessa e la domanda
principale, proposta ai sensi dell’art. 155 cod. civ., riguardante l’affidamento dei figli e l’esercizio della potestà genitoriale. — Cass. 20-6-2011, n. 13508, rv. 618262.
320 • Rappresentanza e amministrazione
• Il genitore, autorizzato dal tribunale ai sensi dell’art.
320, quinto comma, cod. civ., alla continuazione dell’esercizio dell’impresa commerciale del minore, può compiere,
senza necessità di specifica autorizzazione del giudice tutelare, anche i singoli atti strettamente collegati a tale esercizio, stante il carattere dinamico dell’impresa e la necessità
di assumere decisioni pronte e tempestive, le quali sarebbero gravemente ostacolate, o addirittura paralizzate qualora, per ogni singolo atto, occorresse rivolgersi all’autorità giudiziaria; pertanto, non necessita di previa autorizzazione la stipula del contratto di apertura di credito bancario, essendo strumento fondamentale e presupposto per
l’esercizio dell’attività imprenditoriale, la quale non potrebbe svolgersi senza i fondi necessari. È, inoltre, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 320, quinto comma, cod. civ., sollevata con riferimento all’art. 3 Cost., per violazione del principio di uguaglianza tra minore esercente e minore non esercente un’attività commerciale, dal momento che nel primo caso è prevista dalla legge una duplice autorizzazione (provvisoria da
parte del giudice tutelare, definitiva da parte del tribunale
in composizione collegiale che, in detta sede, può controllare e valutare l’attività svolta dopo la prima autorizzazione) e che, in forza dell’art. 334 cod. civ., in ipotesi di cattiva
amministrazione del patrimonio del minore, il tribunale per
i minorenni può stabilire condizioni e prescrizioni ai genitori e, nei casi più gravi, rimuovere entrambi o uno di essi
dall’amministrazione, come pure il curatore speciale esercente l’impresa. — Cass. 13-5-2011, n. 10654, rv. 618036.
407 • Procedimento
• Nel procedimento relativo alla nomina dell’amministratore di sostegno, ed in analogia a quanto avviene nel
giudizio d’interdizione, la morte dell’amministrando determina la cessazione della materia del contendere, venendo meno la necessità della pronuncia; ne deriva che
la sopravvenienza di tale evento, mentre è pendente il
giudizio per cassazione, e la morte sia attestata, mediante produzione del relativo certificato, comporta la declaratoria d’inammissibilità del ricorso per sopraggiunta carenza d’interesse. — Cass. 10-6-2011, n. 12737, rv. 618556.
408 • Scelta dell’amministratore di
sostegno
• È inammissibile il ricorso per cassazione avverso i
provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di de-
15
signazione o nomina di un amministratore di sostegno,
trattandosi di provvedimenti distinti, logicamente e tecnicamente, da quelli che dispongono l’amministrazione
e che vengono emanati in applicazione dell’art. 384 cod.
civ. (richiamato dal successivo art. 411, primo comma, cod.
civ.), dovendo invero limitarsi la facoltà di ricorso, concessa dall’art. 720bis, ultimo comma, cod. proc. civ., ai decreti di carattere decisorio, quali quelli che dispongono l’apertura o la chiusura dell’amministrazione, assimilabili, per
loro natura, alle sentenze emesse in materia di interdizione ed inabilitazione, mentre tale facoltà non si estende ai
provvedimenti a carattere gestorio. — Cass. 6, ord. 13747
del 23-6-2011 rv. 618259.
• V. Cass. 10-5-2011, ord. 10187, rv. 617991 sub art. 411.
411 • Norme applicabili all’amministrazione di sostegno
• È inammissibile il ricorso per cassazione, a norma dell’art. 720bis, ultimo comma, cod. proc. civ., avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di
rimozione e sostituzione ad opera del giudice tutelare di
un amministratore di sostegno, avendo tali provvedimenti
carattere meramente ordinatorio ed amministrativo e dovendo riferirsi tale norma soltanto ai decreti, quali quelli
che dispongono l’apertura o la chiusura dell’amministrazione, di contenuto corrispondente alle sentenze pronunciate in materia di interdizione ed inabilitazione, a norma
dei precedenti art. 712 e seguenti, espressamente richiamati dal primo comma dell’art. 720bis. — Cass. 10-5-2011,
ord. 10187, rv. 617991.
428 • Atti compiuti da persona incapace d’intendere o di volere
• Ai fini della sussistenza dell’incapacità di intendere
e di volere, costituente — ai sensi dell’art. 428 cod. civ. —
causa di annullamento del negozio (nella specie, un contratto preliminare di vendita d’immobile), non occorre la
totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la loro menomazione, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, secondo un
giudizio che è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.
— Cass 8-6-2011, n. 12532, rv. 618097.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice civile
Codice Civile
16
Aggiornamento giurisprudenziale
Libro secondo
Delle successioni
525 • Revoca della rinunzia
• La revoca della rinuncia all’eredità, di cui all’art. 525
cod. civ., non costituisce, anche sotto il profilo formale, un
atto o negozio giuridico autonomo, bensì l’effetto della sopravvenuta accettazione dell’eredità medesima da parte
del rinunciante, il cui verificarsi, pertanto, va dedotto dal
mero riscontro della validità ed operatività di tale successiva accettazione, sia essa espressa o tacita. — Cass. 2-82011, n. 16913 rv. 618741.
533 • Nozione
• L’azione di petizione di eredità non esige l’integrale contraddittorio di tutti i coeredi, sicché il possessore dei
beni ereditari, convenuto in giudizio da uno solo degli eredi, nulla può opporre al riguardo, essendo sempre tenuto alla restituzione dei beni per intero, in quanto appartenenti all’eredità, mentre nei rapporti interni tra i coeredi la rivendicazione vale per la quota spettante a ciascuno
di essi; con la conseguenza che, ove uno dei coeredi sia rimasto contumace nel giudizio di primo grado promosso
dall’altro coerede, gli eredi di entrambi hanno facoltà di
intervenire, anche in appello, nel relativo giudizio, chiedendo l’estensione degli effetti della domanda originaria,
senza che possa configurarsi novità della domanda. — Cass.
27-6-2011, n. 14182, rv. 618352.
551 • Legato in sostituzione di legittima
• Ai fini della configurabilità del legato in sostituzione di legittima, è necessario che risulti l’intenzione del
testatore di soddisfare il legittimario con l’attribuzione di
beni determinati senza chiamarlo all’eredità. Tale intenzione non richiede formule sacramentali, ma può desumersi
dal complessivo contenuto dell’atto, in forza di un apprezzamento compiuto dal giudice di merito, insindacabile in
sede di legittimità se correttamente motivato. — Cass. 106-2011, n. 12854, rv. 618360.
553 • Riduzione delle porzioni degli
eredi legittimi in concorso con legittimari
• Nel giudizio di reintegrazione della quota di riserva, non costituiscono domande nuove e sono conseguentemente ammissibili, anche se formulate per la prima volta in appello, le richieste volte all’esatta ricostruzione sia
del relictum, che del donatum, mediante l’inserimento
di beni, liberalità o l’indicazione di pesi o debiti del de cu-
ius, trattandosi di operazioni connaturali al giudizio medesimo cui il giudice è tenuto d’ufficio ed alle quali si può
dare corso, nei limiti in cui gli elementi acquisiti le consentono, indipendentemente dalla formale proposizione di domande riconvenzionali in tal senso da parte del convenuto. — Cass. 17-6-2011, n. 13385, rv. 618334.
555 • Riduzione delle donazioni
• V. Cass. 17-6-2011, n. 13385, rv. 618334 sub art. 553.
556 • Determinazione della porzione disponibile
• V. Cass. 17-6-2011 n. 13385, rv. 618334 sub art. 553.
• In materia di successione testamentaria, il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria
nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli
elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia
avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in
vita dal de cuius. — Cass. 30-6-2011, n. 14473, rv. 618614.
713 • Facoltà di domandare la divisione
• Nel giudizio di divisione di una comunione ereditaria, ove una quota abbia costituito oggetto di cessione,
la qualità di litisconsorte necessario spetta ai cessionari
della quota e non agli eredi cedenti. — Cass. 6-6-2011, n.
12242, rv. 618059.
723 • Resa dei conti
• In tema di ius novorum vietato in appello, costituisce
domanda nuova la richiesta di estendere lo scioglimento
della comunione a beni in relazione ai quali in primo grado era stato chiesto che permanesse lo stato di comunione
pro indiviso, dal momento che questa richiesta non determina soltanto una diversa modalità di realizzazione della
divisione, ma, introducendo nuovi temi d’indagine, costituisce una mutatio e non una semplice emendatio libelli.
(Nella specie la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice di
secondo grado che, in controversia per la divisione di un
immobile, composto da un fabbricato e da un’area ester-
na allo stesso, aveva ritenuto una mera modalità divisionale la domanda prospettata per la prima volta in appello di procedere alla divisione anche dell’area esterna adibita a giardino comune al fabbricato). — Cass. 28-4-2011,
n. 9472, rv. 617684.
728 • Conguagli in danaro
• In tema di divisione giudiziale, qualora al condividente sia assegnato un bene di valore superiore alla sua quota (trattandosi di bene non comodamente divisibile, attribuito al titolare della quota maggiore ex art.720 cod. civ.)
e, sin dall’apertura della successione, il citato assegnatario si trovava nel possesso dell’intero bene, avendone percepito i frutti, oltre al diritto al conguaglio dovuto agli altri condividenti (regolato nell’ambito del giudizio di divisione), sorge a favore di questi ultimi altresì il diritto alla
corresponsione degli interessi, di natura corrispettiva, sul
capitale oggetto di gestione pregressa, da determinarsi nel
più complesso rapporto di debito e credito relativo ai frutti — eventualmente maturati e non percepiti — prodotti
dai beni costituenti la comunione ereditaria e di cui investire il giudice non già con la citata azione di divisione (che
concerne il conguaglio sul capitale a tale titolo attribuito),
bensì con autonoma, sia pure contestuale, azione di rendiconto, in considerazione della situazione esclusiva di godimento dei beni in comunione per il periodo precedente di indivisione. — Cass. 25-5-2011, n. 11519, rv. 618098.
733 • Norme date dal testatore per
la divisione
• Quando il testatore provvede alla ripartizione in quote tra gli eredi del suo patrimonio immobiliare, individuando i beni destinati a far parte di ciascuna di esse, non si
configura l’ipotesi della cosiddetta divisione regolata (art.
733 cod. civ.), che ricorre se il de cuius si limita a dettare
norme per la formazione delle porzioni nello scioglimento della comunione ereditaria, in previsione del sorgere di
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tale status per effetto dell’apertura della successione, bensì si verte in tema di cosiddetta divisio inter liberos (art. 734
cod. civ.), ossia di divisione fatta dal testatore attraverso la
specificazione dei beni destinati a far parte di ciascuna quota, che, avendo effetto attributivo diretto dei beni al momento dell’apertura della successione, impedisce il sorgere della comunione ereditaria ed il conseguente compimento di operazioni divisionali. Ne consegue che l’erede
escluso dall’assegnazione del cespite cui si riferisce la controversia nel corso della quale si è verificato il decesso del
dante causa versa in una situazione di carenza di legittimazione passiva per estraneità all’oggetto del giudizio. —
Cass. 14-7-2011, n. 15501, rv. 618604.
734 • Divisione fatta dal testatore
• V. Cass. 14-7-2011 n. 15501, rv. 618604 sub art. 733.
801 • Revocazione per ingratitudine
• L’ingiuria grave richiesta, ex art. 801 cod. civ., quale
presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale il suo
significato intrinseco e l’individuazione del bene leso, tuttavia si distacca dalle previsioni degli artt. 594 e 595 cod.
pen. e consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante
ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare l’anzidetto principio di diritto, ha confermato la decisione di merito che
aveva escluso la sussistenza degli estremi dell’ingratitudine nel comportamento del donatario che, di fronte alla sopravvenuta intollerabilità della convivenza tra i due genitori e nella pendenza del giudizio di separazione personale
con addebito instaurato dalla madre, aveva invitato il padre, con una lettera formale, a lasciare l’immobile di sua
proprietà, destinato a casa familiare, acquistato con il denaro ricevuto dalla liberalità paterna e materna). — Cass.
31-3-2011, n. 7487, rv. 617365.
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Libro Terzo
Della proprietà
825 • Diritti demaniali su beni altrui 906 • Distanza per l’apertura di ve• Le servitù di uso pubblico possono essere acquistate mediante il possesso protrattosi per il tempo necessario all’usucapione anche se manchino opere visibili e
permanenti destinate al loro esercizio, essendo il requisito dell’apparenza prescritto dall’art. 1061 cod. civ. soltanto per le servitù prediali. — Cass. Sez. Un. 3-10-2011, n.
20138, rv. 618740.
843 • Accesso al fondo
• A norma dell’art. 843 cod. civ., il proprietario deve
permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre
che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare il muro o altra opera propria del vicino o comune; ove, però, nel relativo giudizio insorgano contestazioni, il giudice è tenuto a verificare l’esistenza dei presupposti che legittimano il vicino ad esercitare tale potere di
accesso ovvero la liceità dell’opera. — Cass. 5-4-2011, n.
7768, rv. 617472.
844 • Immissioni
• Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose
non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche
della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (cd. criterio comparativo), sicché la valutazione ex art. 844 cod. civ., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità
dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale. Spetta
al giudice del merito accertare in concreto gli accorgimenti
idonei a ricondurre tali immissioni nell’ambito della normale tollerabilità. — Cass. 5-8-2011, n. 17051, rv. 618746.
878 • Muro di cinta
• In tema di distanze legali, il muro di cinta che abbia
le caratteristiche previste nell’art. 878 cod. civ. non è considerato costruzione di cui tenere conto ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza
o in appoggio. Ne consegue che le distanze legali devono
essere computate come se il muro non esistesse. — Cass.
12-5-2011, n. 10461, rv. 617922.
dute laterali od oblique
• L’eliminazione delle vedute abusive, che consentono
di affacciarsi e guardare nel fondo altrui, non necessariamente deve essere disposta dal giudice tramite la demolizione di
quelle porzioni immobiliari costituenti il corpus della violazione denunciata, ben potendo la violazione medesima essere
eliminata per altra via, mediante idonei accorgimenti, i quali,
pur contemperando i contrastanti interessi delle parti, rispondano ugualmente al precetto legislativo da applicare al caso
oggetto di cognizione. Spetta, poi, al giudice dell’esecuzione la
determinazione delle concrete modalità dell’opera o la scelta
tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e connotazioni. — Cass. 27-6-2011, n. 14194, rv. 618412.
907 • Distanza delle costruzioni dalle vedute
• L’obbligo di costruire a non meno di tre metri dalle
vedute dirette aperte nella costruzione esistente sul fondo
vicino, di cui all’art. 907 cod. civ., ha natura assoluta e va osservato anche quando l’erigenda costruzione non sia tale da
impedire di fatto l’esercizio della veduta, mentre una valutazione circa l’idoneità dell’opera ad ostacolare il diritto di
veduta può venire in rilievo soltanto quando si intenda erigere un manufatto diverso da una costruzione in senso tecnico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto irrilevante, ai fini
dell’esonero dal rispetto della distanza minima prescritta
dall’art. 907 c.c., la circostanza che l’erezione di un muro di
cinta, da intendersi quale costruzione in senso proprio, non
avesse impedito l’esercizio del diritto di veduta al proprietario
del fondo vicino). — Cass. 31-5-2011, n. 12033, rv. 618112.
949 • Azione negatoria
• La actio negatoria servitutis ha come essenziale presupposto la sussistenza di altrui pretese sul bene immobile, non potendo essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa. Ne consegue che un’opera astrattamente idonea a consentire il passaggio da un fondo ad un altro, come l’esistenza di un cancello, non può essere posta
a fondamento di una servitù di passaggio per usucapione
se tale passaggio non venga concretamente esercitato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di secondo grado che aveva ritenuto la semplice esistenza di un cancello, non utilizzato, idonea a rappresentare per il futuro una
situazione di apparenza necessaria per fondare l’acquisto
a titolo originario di una servitù di passaggio). — Cass. 226-2011, n. 13710, rv. 618253.
951 • Azione per apposizione di
termini
• L’azione per l’apposizione di termini ha natura accessoria e consequenziale a quella di regolamentazione di
confini, in quanto presuppone l’esistenza di un confine
certo e determinato. Ne consegue che, all’infondatezza
della domanda principale volta a regolare i confini, segue
logicamente il rigetto di quella avente ad oggetto l’apposizione di termini. — Cass. 8-4-2011, ord. 8100, rv. 617546.
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il diritto di attingimento, pur conservando il proprietario
del fondo servente la facoltà di chiudere o recintare il proprio fondo, tale recinzione deve essere effettuata in modo
che il diritto del proprietario del fondo dominante, come
quello del possessore, non ne risulti impedito o limitato,
derivandone diversamente spoglio o turbativa del possesso, contro i quali è data la tutela prevista dagli artt. 1168 e
1170 cod. civ. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di
merito che, in relazione ad una servitù di attingimento di
acqua, aveva ritenuto di dover qualificare come semplice
molestia l’attività del proprietario del fondo servente che
aveva apposto un cancello con lucchetto sul proprio terreno, esigendo in tal modo dal proprietario del fondo dominante il requisito dell’annualità del possesso). — Cass. 276-2011, n. 14178, rv. 618341.
999 • Locazioni concluse dall’usu- 1066 • Possesso delle servitù
fruttuario
• Nel caso di consolidazione dell’usufrutto per morte dell’usufruttuario, le locazioni da questi concluse non
possono protrarsi oltre il quinquennio dalla cessazione
dell’usufrutto, ai sensi della norma di cui all’art. 999 cod.
civ., la quale realizza un equo contemperamento tra il diritto del nudo proprietario e quello del conduttore, al quale è così assegnato un congruo termine per reperire altro
immobile, e prevale sulla disciplina di cui alla legge 27 luglio 1978, n. 392. — Cass. 26-5-2011, n. 11602, rv. 617596.
1051 • Passaggio coattivo
• Qualora, a causa della divisione materiale di un fondo operata dal proprietario di esso, la prima parte del fondo
sia priva di accesso alla pubblica via, mentre la residua parte ne mantiene il collegamento, non si è in presenza di una
situazione d’interclusione, suscettibile di dar luogo alla costituzione di una servitù coattiva di passaggio, poiché all’interclusione di fatto può porre fine l’unico proprietario del
fondo, ripristinando il collegamento alla pubblica via in favore della parte interclusa attraverso la porzione che gode di
accesso all’esterno. — Cass. 28-4-2011, n. 9464, rv. 617685.
1061 • Servitù non apparenti
• Le servitù di uso pubblico possono essere acquistate mediante il possesso protrattosi per il tempo necessario
all’usucapione anche se manchino opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, essendo il requisito dell’apparenza prescritto dall’art. 1061 cod. civ. soltanto per le servitù prediali. — Cass. Sez. Un. 3-10-2011, n. 20138, rv. 618740.
1064 • Estensione del diritto di servitù
• Poiché la servitù di presa d’acqua comprende la
facoltà di accedere al fondo servente al fine di esercitare
• Ai fini della tutela del possesso di una servitù oggetto di spoglio, la regola posta dall’art. 1066 cod. civ., secondo la quale occorre avere riguardo alla pratica dell’anno
antecedente, indica solo i criteri che devono essere seguiti per risolvere le controversie relative alla misura ed alle
modalità del possesso della servitù, ma non subordina
la tutela possessoria alla durata ultrannuale del potere di
fatto corrispondente a quest’ultima. — Cass. 20-7-2011,
n. 15971, rv. 618752.
1067 • Divieto di aggravare o di diminuire l’esercizio della servitù
• L’aggravamento di una servitù conseguente alla modificazione dello stato dei luoghi o alla sopravvenienza di
diverse modalità di esercizio non può ritenersi in re ipsa, ma
deve essere valutato caso per caso, in relazione al complesso delle circostanze in concreto esistenti, tenendo conto degli elementi probatori forniti dalle parti, dovendo in
tale ipotesi l’indagine del giudice di merito essere diretta ad
accertare se il maggior godimento per il fondo dominante
comporti o meno una intensificazione dell’onere gravante sul fondo servente. (Nella specie la S.C. nel confermare la sentenza di secondo grado, ha ritenuto insufficiente
ad integrare un aggravamento della servitù la mera circostanza del convogliamento, in una tubazione preesistente, anche degli scarichi provenienti dalla costruzione di un
secondo bagno). — Cass. 30-6-2011, n. 14472, rv. 618525.
1100 • Norme regolatrici
• Qualora un bene oggetto di proprietà condominiale subisca — in base ad apposita delibera assembleare — un mutamento di destinazione tale da farne cessare la qualità condominiale, al medesimo non si applicheranno più le norme concernenti la disciplina dei beni comuni del condominio, bensì quelle della comunione ordinaria, in base alle quali ciascun partecipante può cedere ad altri il suo diritto di comproprietà; ne consegue che,
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ove la vendita di quel bene sia stata stipulata soltanto da
uno o più ma non da tutti i comproprietari, si determina
non la nullità bensì l’inefficacia relativa del negozio, che
non può, pertanto, essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma
solo dalla parte acquirente, che è l’unica titolare dell’interesse a che il bene indiviso sia venduto per l’intero e che
può anche scegliere di riconoscere validità al contratto di
trasferimento di singole quote di proprietà. — Cass. 8-42011, n. 8092, rv. 617478.
1101 • Quote dei partecipanti
• L’assemblea dei partecipanti alla comunione non ha
il potere di determinare in via provvisoria le quote di contribuzione di ciascun comunista alle spese comuni, giacché la misura di tale contribuzione, ove non stabilita dal
titolo, è determinata direttamente dall’art. 1101 c.c. in misura paritaria. — Cass. 20-5-2011, n. 11264, rv. 618108.
1117 • Parti comuni dell’edificio
• In tema di condominio negli edifici, deve intendersi oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 cod.
civ., la porzione di terreno su cui viene a poggiare l’intero stabile e, quindi, quella più profonda, esistente sotto il
piano cantinato più basso, con la conseguenza che i vani
scantinati possono presumersi comuni, in mancanza di un
titolo contrario, non già in quanto facenti parte del «suolo su cui sorge l’edificio», ma solo se ed in quanto risultino
obbiettivamente destinati all’uso ed al godimento comune. — Cass. 26-7-2011, n. 16315, rv. 618713.
1118 • Diritti dei partecipanti sulle
cose comuni
• V. Cass. 7-6-2011, n. 12310, rv. 618104 sub art. 1102.
1102 • Uso della cosa comune
1120 • Innovazioni
• In tema di comunione, il criterio dell’uso promiscuo
della cosa comune, desumibile dall’art. 1102 cod. civ., richiede che ciascun partecipante abbia il diritto di utilizzare la cosa comune come può e non in qualunque modo
voglia, atteso il duplice limite derivante dal rispetto della
destinazione della cosa e della pari facoltà di godimento
degli altri comunisti. Ne consegue che, ove il godimento
pregresso non sia possibile per uno dei partecipanti a causa del mutamento elettivo delle sue condizioni personali,
questi non può esigere nei confronti degli altri una diversa utilizzazione della cosa comune, avendo il singolo
condomino l’onere di conformare ai limiti anche quantitativi del bene le proprie aspettative di utilizzo. (Nella specie,
la richiesta di modifica dell’utilizzazione di uno spazio comune destinato a parcheggio condominiale era stata dettata esclusivamente dal sopravvenuto aumento di dimensioni dell’autovettura del ricorrente). — Cass. 11-7-2011,
n. 15203, rv. 618648.
• In tema di condominio negli edifici, il disposto
dell’art. 1102 cod. civ., secondo cui ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata
eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, presuppone però che l’utilità, che
il condomino intenda ricavare dall’uso della parte comune, non sia in contrasto con la specifica destinazione della
medesima. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la liceità della collocazione,
da parte di un condomino, di scivoli permanenti sopra un
marciapiede per permettere l’accesso di autovetture al locale ad uso negozio di sua proprietà, dal medesimo utilizzato come box auto, così immutando la destinazione del
marciapiede, avente per sua natura come funzione tipica
quella di consentire il sicuro transito dei pedoni). — Cass.
7-6-2011, n. 12310, rv. 618104.
• Ciascun partecipante al condominio di edifici può
agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico
della proprietà comune, sicché nel relativo giudizio non è
necessaria la presenza in causa di tutti i condomini, né
del condominio. — Cass. 30-6-2011, n. 14474, rv. 618311.
• Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non
solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche
quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che
possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove
non presenti vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittima l’installazione di una canna fumaria che percorreva tutta la facciata dell’edificio condominiale, così da pregiudicare l’aspetto e l’armonia del fabbricato). — Cass. 115-2011, n. 10350, rv. 618113.
• La delibera assembleare di destinazione a parcheggio di un’area di giardino condominiale, interessata solo
in piccola parte da alberi di alto fusto e di ridotta estensione rispetto alla superficie complessiva, non dà luogo ad una
innovazione vietata dall’art. 1120 cod. civ., non comportando tale destinazione alcun apprezzabile deterioramento del
decoro architettonico, né alcuna significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune, ed anzi, da
essa derivando una valorizzazione economica di ciascuna
unità abitativa e una maggiore utilità per i condomini. —
Cass. 12-7-2011, ord. 15319, rv. 618640.
1123 • Ripartizione delle spese
• In caso di alienazione di un immobile di proprietà
esclusiva in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione per riparare un danno
già cagionato ad un singolo condomino, eseguiti successivamente alla compravendita, al fine dell’identificazione del soggetto obbligato alla contribuzione alle spese
condominiali, deve considerarsi che l’accertamento stesso
dell’emergenza conservativa o emendativa di danni a terzi,
compiuto dal condominio, determina l’insorgenza dell’obbligo conservativo in capo a tutti i condomini, e pone l’eventuale successiva approvazione delle relative spese in una
prospettiva meramente esecutiva ed esterna rispetto alla
già compiuta individuazione della persona dell’obbligato.
— Cass. 12-7-2011, n. 15309, rv. 618638.
1129 • Nomina e revoca dell’amministratore
• L’amministratore di condominio cessato dalla carica
conserva una limitata legittimazione passiva a resistere
alle pretese fatte valere nei confronti dell’ente di gestione,
in forza di una prorogatio dei poteri che si esaurisce con
la nomina del nuovo amministratore. Pertanto, successivamente a tale evento, l’amministratore cessato e sostituito non ha l’obbligo né il potere di costituirsi in giudizio
per difetto dell’interesse a contraddire, permanendo a suo
carico solo l’obbligo di dare notizia al nuovo amministratore delle pretese azionate in giudizio, mediante comunicazione dell’atto notificato, attesa la conservazione di un
dovere di diligenza, anche dopo l’estinzione del mandato,
in relazione ai fatti verificatisi nell’epoca di operatività del
mandato stesso o comunque ad esso collegabili. — Cass.
4-7-2011, ord. 14589, rv. 618415.
• È inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi
dell’art. 111 Cost. avverso il decreto con il quale la corte di
appello provvede sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio
ai sensi degli artt. 1129 cod. civ. e 64 disp. att. cod. civ., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione (sostitutivo della volontà assembleare, per l’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell’interesse alla corretta gestione dell’amministrazione condominiale in ipotesi
tipiche — contemplate dall’art. 1129 cod. civ. — di compromissione della stessa) che, pur incidendo sul rapporto
di mandato tra condomini e amministratori, non ha carattere decisorio, non precludendo la richiesta di tutela
giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, del diritto su cui il provvedimento incide. — Cass. 1-72011, ord. 14524, rv. 618326.
1130 • Attribuzioni dell’amministratore
• L’amministratore di condominio non ha — salvo
quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 cod. civ. in tema di
lavori urgenti — un generale potere di spesa, in quanto spetta all’assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di
valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore; ne consegue che, in assenza di una deliberazio-
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ne dell’assemblea, l’amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute, perché, pur essendo il rapporto tra l’amministratore ed i condomini inquadrabile nella figura del mandato, il principio dell’art.
1720 cod. civ. — secondo cui il mandante è tenuto a rimborsare le spese anticipate dal mandatario — deve essere
coordinato con quelli in materia di condominio, secondo
i quali il credito dell’amministratore non può considerarsi
liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte dell’assemblea. — Cass. 27-6-2011, n. 14197, rv. 618395.
1133 • Provvedimenti presi dall’amministratore
• Il provvedimento con il quale l’amministratore del
condominio di edificio, nell’esercizio dei suoi poteri di curare l’osservanza del regolamento di condominio, ai sensi dell’art. 1130, primo comma, n. 1, cod. civ., e di adottare provvedimenti obbligatori per i condomini, ai sensi
dell’art. 1133 cod. civ., inviti un condomino (nella specie,
mediante lettera raccomandata con determinazione di un
termine per l’adempimento) al rispetto del divieto regolamentare di collocazione di targhe, senza autorizzazione, sulla facciata dell’edificio, non costituisce atto illecito,
e non può, quindi, porsi a fondamento di una responsabilità risarcitoria personale dell’amministratore stesso. —
Cass. 22-6-2011, n. 13689, rv. 618390.
1135 • Attribuzioni dell’assemblea
dei condomini
• L’amministratore di condominio non ha — salvo
quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 cod. civ. in tema di
lavori urgenti — un generale potere di spesa, in quanto spetta all’assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di
valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore; ne consegue che, in assenza di una deliberazione dell’assemblea, l’amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute, perché, pur essendo il rapporto tra l’amministratore ed i condomini inquadrabile nella figura del mandato, il principio dell’art.
1720 cod. civ. — secondo cui il mandante è tenuto a rimborsare le spese anticipate dal mandatario — deve essere
coordinato con quelli in materia di condominio, secondo
i quali il credito dell’amministratore non può considerarsi
liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte dell’assemblea. — Cass. 27-6-2011, n. 14197, rv. 618395.
• La delibera assembleare di destinazione a parcheggio di un’area di giardino condominiale, interessata solo
in piccola parte da alberi di alto fusto e di ridotta estensione rispetto alla superficie complessiva, non dà luogo ad una
innovazione vietata dall’art. 1120 cod. civ., non comportando tale destinazione alcun apprezzabile deterioramento del
decoro architettonico, né alcuna significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune, ed anzi, da
essa derivando una valorizzazione economica di ciascuna
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unità abitativa e una maggiore utilità per i condomini. —
Cass. 12-7-2011, ord. 15319, rv. 618640.
• La deliberazione dell’assemblea di condominio che
procede all’approvazione del rendiconto consuntivo
emesso dall’amministratore ha valore di riconoscimento
di debito solo in relazione alle poste passive specificamente indicate; pertanto, ove il rendiconto — che è soggetto
al principio di cassa — evidenzi un disavanzo tra le entrate e le uscite, l’approvazione dello stesso non consente di
ritenere dimostrato, in via di prova deduttiva, che la differenza sia stata versata dall’amministratore con denaro
proprio, poiché la ricognizione di debito richiede un atto
di volizione, da parte dell’assemblea, su un oggetto specifico posto all’esame dell’organo collegiale. — Cass. 9-52011, n. 10153, rv. 617706.
1136 • Costituzione dell’assemblea
e validità delle deliberazioni
• In tema di validità delle delibere assembleari condominiali, sussiste il conflitto d’interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria
maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla delibera di sistemazione del tetto
e ripulitura del canale di gronda, motivatamente apprezzati nella sentenza impugnata come attività inquadrabili
nella manutenzione ordinaria del fabbricato e non coinvolgenti la responsabilità del costruttore — anche condomino votante —, per presunti vizi dell’edificio, tra l’altro
in assenza di specifica contestazione di difetti costruttivi).
— Cass. 16-5-2011, n. 10754, rv. 617841.
1138 • Regolamento di condominio
• Nell’interpretare la clausola del regolamento di
condominio contenente il divieto di destinare gli appartamenti a determinati usi, si deve considerare che
l’esatto significato lessicale delle espressioni adoperate
può non corrispondere all’intenzione comune delle parti, allorché i singoli vocaboli utilizzati possiedano un preciso significato tecnico-scientifico, proprio di determinate
nozioni specialistiche, non necessariamente a conoscenza
dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni. (Nella specie,
la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in presenza di
una clausola recante il divieto di destinare gli appartamenti ad uso «di gabinetto di cura malattie infettive o contagiose», aveva escluso la possibilità di adibire l’immobile a
studio medico dermatologico, senza tener conto dell’intero contenuto della clausola in questione e senza accertare
l’effettiva destinazione dell’immobile, desumendola non
da elementi di fatto concreti ma dalla sola specializzazione medica del proprietario del bene). — Cass. 30-6-2011,
n. 14460, rv. 618342.
1146 • Successione nel possesso.
Accessione del possesso
• Per effetto di una fictio iuris, il possesso del de cuius si trasferisce agli eredi i quali subentrano nel possesso del bene senza necessità di una materiale apprensione, occorrendo solo la prova della qualità di eredi; detta
continuità nel possesso tra il de cuius e l’erede consente a
quest’ultimo, pur in assenza della materiale apprensione
dei beni ereditari, il legittimo esercizio delle azioni possessorie. — Cass. 20-7-2011, n. 15967, rv. 618706.
1153 • Effetti dell’acquisto del possesso
• L’applicazione della regola «possesso vale titolo»
nell’ambito degli acquisti «a non domino» è estensibile anche ai beni mobili suscettibili di iscrizione nei pubblici registri qualora la situazione possessoria si sia verificata prima della registrazione; essa, tuttavia, può essere
dichiarata solo su specifica richiesta della parte che la invoca, previo accertamento da parte del giudice di merito
della sussistenza, in concreto, di tutte le condizioni richieste dalla legge, vale a dire la presenza di un titolo idoneo
al trasferimento della proprietà, l’avvenuta consegna del
bene e la buona fede dell’acquirente. — Cass. 25-7-2011,
n. 16235, rv. 618704.
1159bis • Usucapione speciale per
la piccola proprietà rurale
• In tema di usucapione speciale, il decreto di riconoscimento della proprietà rurale, di cui alla legge 10
maggio 1976, n. 346, non ha valore di sentenza e, quindi, non è idoneo a passare in cosa giudicata, conferendo
soltanto una presunzione di appartenenza del bene a favore del beneficiario del provvedimento fino a quando, a
seguito dell’opposizione di cui all’art. 3 della citata legge,
non sia emessa pronuncia di accertamento della proprietà.
Ne consegue che, pur in difetto di opposizione, non rimane precluso al proprietario del bene di far accertare, in un
giudizio ordinario, il proprio diritto dominicale, proprio al
fine di ottenere una statuizione che abbia idoneità a passare in giudicato e a divenire, dunque, incontrovertibile.
— Cass. 25-7-2011, n. 16238, rv. 618715.
• L’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale, disciplinata dall’art. 1159bis cod. civ., richiede l’accertamento di un diritto che postula requisiti specifici quali la
classificazione rurale del fondo, l’annessione di un fabbricato, l’insistenza in un territorio classificato montano ovvero un’attribuzione reddituale non superiore a determinati limiti stabiliti dalla legge. Ne consegue che la domanda di usucapione speciale non può ritenersi immanente in
ogni domanda di usucapione ordinaria; sicché, ove proposta per la prima volta in appello, la domanda di usucapio-
ne speciale può reputarsi ammissibile se le condizioni costitutive del diritto siano state oggetto di specifiche allegazioni e prove già introdotte, ritualmente, in causa, dovendosene altrimenti ritenere la tardività. — Cass. 31-3-2011,
ord. 7543, rv. 617434.
1162 • Usucapione di beni mobili
iscritti in pubblici registri
• L’applicazione della regola «possesso vale titolo»
nell’ambito degli acquisti «a non domino» è estensibile
anche ai beni mobili suscettibili di iscrizione nei pubblici registri qualora la situazione possessoria si sia verificata prima della registrazione; essa, tuttavia, può essere
dichiarata solo su specifica richiesta della parte che la invoca, previo accertamento da parte del giudice di merito
della sussistenza, in concreto, di tutte le condizioni richieste dalla legge, vale a dire la presenza di un titolo idoneo
al trasferimento della proprietà, l’avvenuta consegna del
bene e la buona fede dell’acquirente. — Cass. 25-7-2011,
n. 16235, rv. 618704.
1165 • Applicazione di norme sulla
prescrizione
• Gli atti di diffida e di messa in mora sono idonei
ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione,
ma non anche il termine per usucapire, potendosi esercitare il possesso anche in aperto e dichiarato contrasto con
la volontà del titolare del diritto reale. — Cass. 11-7-2011,
n. 15199, rv. 618610.
1167 • Interruzione dell’usucapione
per perdita di possesso
• In tema di usucapione, poiché, con il rinvio fatto
dall’art. 1165 cod. civ. all’art 2943 cod. civ., risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non
è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi
da quelli stabiliti dalla legge, con la conseguenza che non
23
può riconoscersi tale efficacia se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di
fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del
possessore usucapiente (Nella specie, la Corte ha cassato
la sentenza di merito che non aveva riconosciuto efficacia
interruttiva del possesso, rilevante ai fini dell’usucapione,
all’atto introduttivo di un giudizio avente ad oggetto l’accertamento del diritto di proprietà sull’intero appezzamento di terreno su cui insisteva il fabbricato in contesa). —
Cass. 25-7-2011, n. 16234, rv. 618663.
• V. Cass. 11-7-2011, n. 15199, rv. 618610 sub art. 1165.
1168 • Azione di reintegrazione
• Il termine annuale, previsto a pena di decadenza
dall’art. 1168 cod. civ. per la proposizione dell’azione di
reintegrazione nel possesso, va determinato con riferimento alla data di deposito del ricorso, che individua con certezza la reazione all’atto illecito; ne consegue che, ove l’originario giudizio sia stato cancellato dal ruolo e poi riassunto, è alla data di deposito del primo ricorso che occorre fare
riferimento, poiché il giudizio è prorogato a seguito della riassunzione. — Cass. 20-7-2011, n. 15971, rv. 618751.
• Al fine della ricorrenza di un atto di spoglio denunciabile con azione di reintegrazione, l’animus spoliandi postula la consapevolezza dell’autore di acquisire la cosa
contro la volontà espressa o tacita del possessore; detto requisito soggettivo, pertanto, deve essere escluso qualora risulti che, al momento della materiale apprensione
del bene, l’autore dello spoglio non conosceva e non era in
grado di conoscere l’altrui possesso, o di acquisire la cosa
contro la volontà espressa o tacita del possessore. — Cass.
25-7-2011, n. 16236, rv. 618707.
• Per effetto di una fictio iuris, il possesso del de cuius si trasferisce agli eredi i quali subentrano nel possesso del bene senza necessità di una materiale apprensione, occorrendo solo la prova della qualità di eredi; detta
continuità nel possesso tra il de cuius e l’erede consente a
quest’ultimo, pur in assenza della materiale apprensione
dei beni ereditari, il legittimo esercizio delle azioni possessorie. — Cass. 20-7-2011, n. 15967, rv. 618706.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice civile
Codice Civile
24
Aggiornamento giurisprudenziale
Libro Quarto
Delle obbligazioni
1182 • Luogo dell’adempimento
• Ai fini della determinazione della competenza territoriale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20 cod.
proc. civ. e 1182 cod. civ., il forum destinatae solutionis,
previsto dal terzo comma di tale ultima disposizione, è applicabile in tutte le cause aventi ad oggetto una somma di
denaro qualora, l’attore, abbia richiesto il pagamento di
una somma determinata, non incidendo sulla individuazione della competenza territoriale la maggiore o minore
complessità dell’indagine sull’ammontare effettivo del credito, la quale attiene esclusivamente alla successiva fase di
merito. — Cass. 17-5-2011, ord. 10837, rv. 617804.
1183 • Tempo dell’adempimento
• Il contratto preliminare è fonte di obbligazione al
pari di ogni altro contratto ed il suo particolare oggetto, cioè
l’obbligo di concludere il contratto definitivo, non esclude che, ove non sia fissato un termine né in sede convenzionale, né in sede giudiziale, sia applicabile, ai sensi
dell’art. 1183 cod. civ., la regola dell’immediato adempimento (quod sine die debetur statim debetur). Ne consegue
che, a norma degli artt. 2934, 2935 e 2946 cod. civ., l’inattività delle parti, protrattasi per oltre dieci anni da quando il
diritto alla stipulazione del contratto definitivo poteva essere fatto valere, comporta l’estinzione del diritto medesimo
per prescrizione. — Cass. 30-6-2011, n. 14463, rv. 618410.
1218 • Responsabilità del debitore
• In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale)
del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è
gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui
pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale
criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460
cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti
in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare
l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui
sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il
suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimen-
to, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, perché l’eccezione si fonda sull’allegazione dell’inadempimento di un’obbligazione, al quale il debitore di quest’ultima dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall’esatto
adempimento. — Cass. 15-7-2011, n. 15659, rv. 618664.
• La presunzione di colpa dalla quale, ai sensi dell’art.
1218 c.c., è gravato il medico nei confronti del paziente
che ne invochi la responsabilità professionale, può essere
superata dal sanitario dimostrando che l’insuccesso dell’intervento sia dipeso da un evento imprevedibile e non prevenibile con l’uso dell’ordinaria diligenza da lui esigibile. È, pertanto, correttamente motivata la sentenza di merito la quale
abbia escluso la responsabilità dei sanitari nel caso di infezione intraoperatoria, (nella specie, intervenuta nel corso di parto cesareo trattato con la cd. tecnica di Stark), quando sia stato accertato che l’intervento era indifferibile ed era stato correttamente eseguito. — Cass. 7-6-2011, n. 12274, rv. 618149.
1223 • Risarcimento del danno
• La condotta del giudice dell’esecuzione che, erroneamente dichiarando estinto il processo esecutivo, consenta al debitore esecutato di spogliarsi dei beni pignorati sottraendoli all’esecuzione, comporta per il creditore procedente un danno risarcibile, il quale consiste in una mera
perdita di chance, se i beni inutilmente pignorati non erano i soli su cui il creditore poteva soddisfarsi, e nella perdita del ricavato eventuale della vendita coattiva (danno
futuro, di lucro cessante), nel caso contrario. — Cass. 146-2011, n. 12960, rv. 618304.
• L’affermazione della responsabilità del medico per i
danni cerebrali da ipossia patiti da un neonato, ed asseritamente causati dalla ritardata esecuzione del parto, esige la prova — che dev’essere fornita dal danneggiato —
della sussistenza di un valido nesso causale tra l’omissione dei sanitari ed il danno. Tale prova sussiste quando,
da un lato, non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e,
dall’altro, appaia più probabile che non che un tempestivo
o diverso intervento o da parte del medico avrebbe evitato
il danno al neonato. Una volta fornita tale prova in merito
al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell’art.
1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta.
— Cass. 9-6-2011, n. 12686, rv. 618137.
• Il danno patrimoniale da mancato guadagno (nella
specie, per omessa consegna dell’immobile permutato), concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente
pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore
avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiu-
ta, e deve pertanto escludersi per i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte: giudizio probabilistico, questo, che, in considerazione della particolare pretesa, ben può essere equitativamente svolto in
presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subito. (Nella specie, concluso un contratto di permuta, uno dei permutanti si era doluto di avere
ricevuto un fondo edificabile ma occupato abusivamente da
terzi e divenuto non più edificabile, quando finalmente gli
occupanti erano stati allontanati, per l’intervento il mutamento dello strumento urbanistico. La S.C., in applicazione
del principio di cui alla massima, ha confermato la sentenza
di merito che ha liquidato il danno da perduta possibilità
di locare l’immobile, ma non quello da perduta possibilità
di edificazione, non avendo l’attore dimostrato che, ove il
fondo fosse stato libero, avrebbe avuto i mezzi e l’intenzione di costruire). — Cass. 20-5-2011, n. 11254, rv. 618132.
1224 • Danni nelle obbligazioni pecuniarie
• In caso di accoglimento dell’azione revocatoria
fallimentare, la conseguente obbligazione restitutoria,
avente ad oggetto l’equivalente pecuniario del bene non
restituibile in natura o anche, come nella specie, la somma
di danaro relativa al pagamento oggetto dell’azione stessa, ha natura di debito di valore, in ragione della funzione indennitaria cui tale azione assolve, in quanto volta a
neutralizzare le conseguenze di atti posti in essere in pregiudizio delle ragioni dei creditori; ne consegue che il predetto debito restitutorio, destinato alla reintegrazione del
patrimonio del fallito, è altresì soggetto alla rivalutazione
monetaria, così da poter ovviare al deprezzamento intervenuto dalla data del compimento dell’atto revocato, ed
alla maturazione degli interessi sulla somma rivalutata, ai
fini di risarcire il danno da ritardata acquisizione del bene.
— Cass. 16-6-2011, n. 13244, rv. 618329.
• L’assicuratore della responsabilità civile derivante
dalla circolazione dei veicoli, ove ritardi colposamente il
pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento in
favore del terzo danneggiato (incorrendo così nell’ipotesi
di cosiddetto mala gestio impropria), è tenuto alla corresponsione degli interessi sul massimale ed, eventualmente,
del maggior danno ex art. 1224, comma secondo, cod. civ.
(che può consistere anche nella svalutazione monetaria).
Tale responsabilità per mala gestio, tuttavia, può comportare la responsabilità ultramassimale dell’assicuratore solo
per gli interessi e per il maggior danno (anche da svalutazione monetaria, per la parte non coperta dagli interessi) ma
non per il capitale, rispetto al quale il limite del massimale
è insuperabile. — Cass. 17-5-2011, ord. 10839, rv. 618214.
1225 • Prevedibilità del danno
• In tema di risarcimento del danno da inadempimento, l’imprevedibilità, alla quale fa riferimento l’art. 1225
25
cod. civ., costituisce un limite non all’esistenza del danno, ma alla misura del suo ammontare, determinando la
limitazione del danno risarcibile a quello prevedibile non
da parte dello specifico debitore, bensì avendo riguardo alla
prevedibilità astratta inerente ad una determinata categoria di rapporti, sulla scorta delle regole ordinarie di comportamento dei soggetti economici e, cioè, secondo un criterio di normalità in presenza delle circostanze di fatto conosciute. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di
merito che era giunta alla conclusione della prevedibilità
del danno cagionato all’acquirente di un quadro di autore, rivelatosi non autentico, consistente nel lucro cessante
per perdita dell’incremento di valore di mercato, rispetto
al prezzo di acquisto versato, di un quadro autentico dello
stesso pittore, avente le medesime caratteristiche di quello risultato falso). — Cass. 29-7-2011, n. 16763, rv. 618742.
1226 • Valutazione equitativa del
danno
• L’accoglimento della domanda di risarcimento del
danno da lucro cessante o da perdita di chance esige la
prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di
elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza
di un pregiudizio economicamente valutabile. Pertanto,
nel caso di richiesta risarcitoria per morte da fatto illecito avanzata dal coniuge superstite, quest’ultimo, pur non
essendo obbligato a fornire la prova rigorosa dello stabile
contributo economico ricevuto dal consorte defunto, non
è tuttavia esonerato dall’indicare al giudice gli elementi da
cui possa dedursi la perdita di prestazioni o vantaggi connessi all’esistenza in vita della vittima. — Cass. 13-7-2011,
n. 15385, rv. 618605.
• Le spese sostenute dai familiari della vittima di un
fatto illecito, per partecipare alle esequie del loro congiunto (nella specie, spese di viaggio e costo della vacanzastudio all’estero non goduta sostenuti dal figlio), in quanto
normali e doverose secondo la coscienza sociale ed il costume, vanno comprese fra i danni indiretti, derivanti dal
fatto illecito in base ad un nesso di regolarità casuale, e,
come tali, sono risarcibili e possono essere liquidati anche
in via equitativa ex art. 1226 cod. civ. — Cass. 13-5-2011,
n. 10528, rv. 618287.
• Le «tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica»
predisposte dal Tribunale di Milano costituiscono valido
e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione
equitativa ex art. 1226 cod. civ., là dove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere la relativa
variazione in aumento o, per le lesioni di lievi entità conseguenti alla circolazione, in diminuzione, con la conseguenza che risulta incongrua la motivazione della sentenza di
merito che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a
quella cui si giungerebbe mediante l’applicazione dei pa-
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Codice civile
Codice Civile
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Aggiornamento giurisprudenziale
rametri recati dalle anzidette «tabelle» milanesi. Ove, peraltro, si tratti di dover risarcire anche i cd. «aspetti relazionali» propri del danno non patrimoniale, il giudice è tenuto a verificare se i parametri delle tabelle in concreto applicate tengano conto (come accade per le citate «tabelle»
di Milano) pure del cd. «danno esistenziale», ossia dell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che
si estrinsechi in uno sconvolgimento dell’esistenza, e cioè
in radicali cambiamenti di vita, dovendo in caso contrario
procedere alla cd. «personalizzazione», riconsiderando i parametri anzidetti in ragione anche di siffatto profilo, al fine
di debitamente garantire l’integralità del ristoro spettante
al danneggiato. — Cass. 30-6-2011, n. 14402, rv. 618049.
1227 • Concorso del fatto colposo del
creditore
• Qualora la messa in circolazione di un veicolo in
condizioni di insicurezza (nella specie, un ciclomotore con
a bordo tre persone, di cui uno minore d’età, in violazione
dell’art. 170 cod. strada) sia ricollegabile all’azione o omissione non solo del conducente — il quale prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che questa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e
sicurezza — ma anche del trasportato, il quale ha accettato i rischi della circolazione, si verifica un ipotesi di cooperazione colposa dei predetti nella condotta causativa
del fatto evento dannoso. Pertanto, in caso di danni al trasportato medesimo, sebbene la condotta di quest’ultimo
non sia idonea di per sé ad escludere la responsabilità del
conducente, né a costituire valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili, essa
può costituire nondimeno un contributo colposo alla verificazione del danno, la cui quantificazione in misura percentuale è rimessa all’accertamento del giudice di merito,
insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato. — Cass. 13-5-2011, n. 10526, rv. 618201.
• L’ipotesi del concorso di colpa del danneggiato di
cui all’art. 1227, primo comma, cod. civ. — la quale è astrattamente ravvisabile anche in caso di responsabilità per
cose in custodia — non concretando un’eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, dev’essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza della colpa del
danneggiato e sulla quantificazione dell’incidenza causale
dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte; pertanto, anche il giudice d’appello può valutare d’ufficio tale concorso di colpa nel caso
in cui il danneggiante si limiti a contestare in toto la propria responsabilità. — Cass. 22-3-2011, n. 6529, rv. 617423.
1241 • Estinzione per compensazione
• Non può qualificarsi come ricognizione di debito,
attribuendo ad essa gli effetti interruttivi della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 cod. civ., la dichiarazione con cui
l’autore ammetta il fatto costitutivo del credito vantato
dall’altra parte, ma opponga in compensazione integrale dello stesso proprie ragioni creditorie, giacché in tal
caso il dichiarante nega l’attualità del debito e, quindi, di
dover adempiere. — Cass. 17-6-2011, n. 13395, rv. 618316.
1243 • Compensazione legale e giudiziale
• Sebbene l’accertamento dell’esistenza del credito opposto in compensazione possa essere compiuto dal
giudice davanti al quale tale compensazione è fatta valere, siffatto accertamento non è processualmente possibile quando venga opposto in compensazione un credito la
cui esistenza forma già oggetto di un separato giudizio in
corso, e prima che questo accertamento sia divenuto definitivo. — Cass. 12-4-2011, n. 8338, rv. 617667.
1248 • Inopponibilità della compensazione
• La compensazione impropria, che si verifica quando
i contrapposti crediti e debiti delle parti hanno origine da
un unico rapporto, rende inapplicabili le sole norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni, poiché in tal caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche in assenza di eccezione di parte
o della proposizione di domanda riconvenzionale; ne consegue che la compensazione impropria non osta all’applicazione dell’art. 1248 cod. civ., secondo cui il debitore che
ha accettato puramente e semplicemente la cessione che il
creditore ha fatto delle sue ragioni ad un terzo non può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto
opporre al cedente. — Cass. 19-4-2011, n. 8971, rv. 617816.
1260 • Cedibilità dei crediti
• Il danneggiato da un sinistro stradale può cedere
il proprio credito risarcitorio a un terzo (nella specie, il
carrozziere incaricato della riparazione dell’auto danneggiata), non trattandosi di un diritto strettamente personale e non esistendo al riguardo diretti o indiretti divieti normativi. Detto terzo è legittimato ad agire, in vece del cedente, in sede giudiziaria per l’accertamento della responsabilità dell’altra parte e per la condanna di questa, e del
suo assicuratore per la responsabilità civile, al risarcimento dei danni. — Cass. 13-5-2009, ord. 11095, rv. 617675.
• La cessione di credito, se effettuata in funzione
solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle
ordinarie transizioni commerciali, ed è suscettibile di revocatoria fallimentare anche se pattuita contestualmen-
te alla concessione di un ulteriore credito al cedente che
versi già in posizione debitoria nei confronti del cessionario, dovendosene escludere la revocabilità solo quando sia
stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito che venga così estinto. — Cass. 27-4-2011,
n. 9388, rv. 617893.
1282 • Interessi nelle obbligazioni
pecuniarie
• Le obbligazioni di pagare l’indennità di espropriazione e di occupazione legittima costituiscono debiti di
valuta (non di valore), sicché, nel caso in cui, in esito ad
opposizione alla stima effettuata in sede amministrativa,
venga riconosciuto all’espropriato una maggiore somma a
titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere, solo su detta maggiore somma, gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della somma medesima.
— Cass. 20-6-2011, n. 13456, rv. 618330.
• Con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un’obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi. Ne consegue che è preclusa l’ulteriore rivalutazione monetaria derivante dall’eventuale ritardo nell’esecuzione del giudicato, valendo, in tale ipotesi, i criteri previsti dalla legge per
il debito di valuta. — Cass. 14-4-2011, n. 8507, rv. 617677.
1283 • Anatocismo
• A norma dell’art. 1283 cod. civ. — il quale, in mancanza di usi contrari, fissa il divieto di interessi sugli interessi scaduti, salvo che per il periodo successivo alla proposizione della domanda giudiziale o in forza di accordo successivo alla scadenza — le clausole che prevedono una
capitalizzazione degli interessi sono affette da nullità
per contrasto con norme imperative, la quale è rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ., sia nel giudizio
di appello che in quello di legittimità, ove il suo accertamento non implichi l’acquisizione di ulteriori elementi di
fatto. — Cass. 22-3-2011, n. 6518, rv. 617372.
1322 • Autonomia contrattuale
• Il contratto con il quale il proprietario di un terreno ne trasferisca la disponibilità a terzi per la sua destinazione a discarica di rifiuti, secondo modalità negozialmente predeterminate e del tutto peculiari (nella specie, escavazione del terreno per consentire lo smaltimento dei rifiuti con il sistema dello stoccaggio definitivo; corrispettivo stabilito in ragione dei metri cubi di riempimento dello scavo; previsione di opere di bonifica a carico del
conduttore anche dopo la chiusura della discarica), integra gli estremi di un contratto atipico cui, in via analogica, sono legittimamente applicabili le norme sulla loca-
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zione, atteso lo scopo pratico del negozio che ne evidenzia
la causa in concreto, in correlazione alla quale va conformata la disciplina del contratto atipico. — Cass. 1-4-2011,
n. 7557, rv. 617751.
1335 • Presunzione di conoscenza
• La produzione in giudizio di un telegramma, anche
in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova
certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 cod. civ., comunque superabile mediante prova contraria, non dando luogo detta produzione ad una presunzione iuris et de iure di avvenuto ricevimento dell’atto — Cass. 20-6-2011, n. 13488, rv. 618337.
1341 • Condizioni generali di contratto
• La clausola inserita nella convenzione che disciplina in via generale i rapporti tra un cliente (nella specie, una pubblica amministrazione) ed i propri avvocati,
la quale preveda la facoltà del cliente di accordare compensi superiori al minimo tariffario solo a sua discrezione, non ha natura vessatoria, in quanto non limita la facoltà del professionista di opporre eccezioni al cliente, ma
delimita l’oggetto del contratto, individuando il corrispettivo della prestazione con riferimento all’entità e alle modalità di liquidazione del compenso professionale. — Cass.
28-4-2011, n. 9488, rv. 617712.
1350 • Atti che devono farsi per iscritto
• Il negozio fiduciario rientra nella categoria più generale dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare
un determinato effetto giuridico non in via diretta, bensì
indiretta. Pertanto, poiché l’intestazione fiduciaria di un
bene comporta un vero e proprio trasferimento in favore
del fiduciario, ove tale patto abbia ad oggetto beni immobili, esso deve risultare da un atto avente forma scritta
ad substantiam, atteso che esso è sostanzialmente equiparabile ad un contratto preliminare; né l’atto scritto può
essere sostituito da una dichiarazione confessoria proveniente dall’altra parte, non valendo tale dichiarazione né
quale elemento integrante il contratto né — anche quando contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto — come prova del medesimo. — Cass. 9-52011, n. 10163, rv. 617627.
• In tema di rinuncia al diritto di servitù prediale, il
requisito della forma scritta previsto dall’art. 1350, n. 5),
cod. civ., può essere integrato — non essendo necessario
l’uso di formule sacramentali o di particolari espressioni
formali — anche dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso,
purché contenenti una chiara ed inequivoca dimostrazio-
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ne di volontà incompatibile con il mantenimento del diritto stesso; pertanto, la rinuncia al diritto di servitus inaedificandi può essere contenuta nella domanda di concessione
edilizia diretta all’esecuzione di opere che, ove realizzate,
necessariamente determinerebbero il venir meno dell’utilitas dalla quale dipende l’esistenza della servitù stessa. —
Cass. 12-5-2011, n. 10457, rv. 617626.
• Lo scioglimento per mutuo consenso di un contratto di trasferimento della proprietà immobiliare, per
il quale la legge richiede la forma scritta a pena di nullità, deve anch’esso risultare da atto scritto. — Cass. 14-42011, n. 8504, rv. 617599.
1351 • Contratto preliminare
• Nel contratto preliminare di vendita d’immobile, ancorché siano previsti la consegna del bene e il pagamento
del prezzo prima della stipula del contratto definitivo, non
si verifica di per sé l’anticipazione di tutti gli effetti traslativi
del contratto definitivo, se il giudice del merito, ricostruendo
la comune intenzione delle parti e valutando il loro comportamento anche successivo al contratto, accerti che trattasi di contratto preliminare improprio, cioè con alcuni
effetti anticipati, ma comunque senza effetto traslativo, in
quanto la disponibilità del bene ha luogo nella piena consapevolezza dell’altruità della cosa. (Applicando detto principio, la S.C. ha escluso, in tema di revocatoria fallimentare
esercitata ex art. 67, comma primo, n. 1, legge fall. per sproporzione del prezzo fissato nel definitivo rispetto al valore
del bene, che la citata prospettazione del preliminare ad
effetti anticipati sia anche solo in astratto compatibile con
una valutazione di congruità del prezzo, da riferirsi inammissibilmente ad un’epoca in cui l’effetto traslativo non si
è ancora verificato). — Cass. 9-6-2011, n. 12634, rv. 618361.
• Ove un contratto preliminare abbia ad oggetto la
compravendita di un bene appartenente a più proprietari, è possibile che il medesimo non costituisca un unicum
inscindibile, perché ciascuno dei comproprietari può vendere la propria quota a prezzo diverso e stabilendo date diverse per la stipulazione del contratto definitivo; ne consegue, in tal caso, che, verificatosi l’inadempimento del promissario acquirente, ciascun promittente venditore può legittimamente chiedere la risoluzione della singola promessa di vendita contenuta in un documento più complesso,
dovendosi ritenere ammissibile la risoluzione parziale. —
Cass. 14-4-2011, n. 8505, rv. 617410.
• Al contratto preliminare di una compravendita non
possono trovare applicazione tanto l’art. 17, quanto l’art.
40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che, pur nella diversa formulazione, disciplinano entrambi esclusivamente fattispecie di contratti ad effetti reali. All’anzidetto contratto preliminare è, invece, applicabile l’art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, il quale prevede la nullità degli atti giuridici, aventi ad oggetto unità edilizie costruite
in assenza di concessione, salvo che dagli stessi risulti che
l’acquirente era a conoscenza della mancata concessione e
che tale conoscenza risulti formalmente dall’atto della cui
nullità si discute. — Cass. 24-5-2011, n. 11391, rv. 617859.
• In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita immobiliare, l’effetto traslativo della proprietà del bene può
non essere subordinato all’adempimento anche di obbligazioni accessorie, le quali non incidano in via diretta
sul nesso commutativo, ma ineriscano al regolamento degli effetti ulteriori, ripartendo oneri economici secondari,
connessi e conseguenti al trasferimento del bene (nella specie, attinenti alle spese per l’accatastamento dell’immobile e per gli allacciamenti delle relative utenze). Ne consegue che l’adempimento di tali obbligazioni può formare
oggetto di domanda autonoma, da proporre nel medesimo
giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di conclusione del contratto o in un diverso giudizio, non costituendo,
in ogni caso, una condizione dell’azione ex art. 2932 cod.
civ. — Cass. 30-6-2011, n. 14453, rv. 618388.
1358 • Comportamento delle parti
nello stato di pendenza
• Nel caso di contratto con la P.A. in cui il pagamento del compenso per l’opera professionale pattuita sia
subordinato all’erogazione di un finanziamento, l’amministrazione stipulante non può tenere — salvo il sopravvenire di particolari ragioni ostative — un comportamento che, impedendo il verificarsi del finanziamento, renda
inoperante il suo obbligo di pagamento del compenso. Il
giudice di merito, in caso di mancato avveramento della
condizione suddetta, deve accertare se l’amministrazione
contraente, in base ai doveri gravanti su di essa in forza
dell’art. 1358 cod. civ., si sia attivata per ottenere il finaziamento e se le iniziative prese a tal fine corrispondessero ad uno standard esigibile di buona fede. In caso contrario, dalla violazione del suddetto dovere comportamentale
conseguono il diritto della controparte di chiedere sia la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, ai sensi
dell’art. 1358 cod. civ., sia, in alternativa, il diritto di chiedere l’adempimento del contratto e, quindi, il pagamento
del compenso pattuito, in base alla fictio di avveramento
della condizione di cui all’art. 1359 cod. civ. — Cass. 3-62010, n. 13469, rv. 617710.
1359 • Avveramento della condizione
• Qualora le parti, al momento della stipulazione del
contratto, abbiano sottoposto l’efficacia di una o più clausole del medesimo all’avverarsi di una condizione sospensiva costituita dal conseguimento di un provvedimento
amministrativo, al fine di valutare, ai sensi dell’art. 1359
cod. civ., se tale condizione si possa considerare come avverata, la prova non può avere ad oggetto la certezza che il
provvedimento amministrativo vi sarebbe stato, ma solo lo
stabilire se, in quella determinata situazione, la conclusione
positiva del procedimento amministrativo fosse o meno da
ritenere possibile. — Cass. 15-6-2011, n. 13099, rv. 617822.
1362 • Intenzione dei contraenti
• Nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una
formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo. — Cass. 7-6-2011, n. 12297, rv. 617826.
• Il comportamento delle parti contrario a buona
fede oggettiva e posteriore alla conclusione del contratto non può essere valutato come canone interpretativo dello stesso ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, cod. civ.,
al fine di escludere la vessatorietà di una delle clausole in
esso contenute. Tale clausola, ove risulti in sede interpretativa contraria a buona fede, va espunta dal contratto per la
sua nullità. (Fattispecie relativa a clausola limitativa di responsabilità in contratto assicurativo). — Cass. 23-5-2011,
n. 11295, rv. 617715.
1363 • Interpretazione complessive
delle clausole
• Nell’interpretazione dei contratti, l’art. 1363 cod. civ.
impone di procedere al coordinamento delle varie clausole
e di interpretarle complessivamente le une a mezzo delle
altre, attribuendo a ciascuna il senso risultante dall’intero
negozio; pertanto, la violazione del principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura non soltanto nell’ipotesi della loro omessa disamina,
ma anche quando il giudice utilizza esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla base della sola lettura di
questi, per poi esaminare ex post le altre clausole, onde ricondurle ad armonia con il senso dato aprioristicamente
alla parte letterale, oppure espungerle ove con esso risultino inconciliabili. — Cass. 4-5-2011, n. 9755, rv. 617805.
1378 • Trasferimento di cosa determinata solo nel genere
• Nella vendita di cose determinate solo nel genere,
l’individuazione di esse, necessaria perché all’effetto obbligatorio segua quello reale del trasferimento della proprietà dal venditore al compratore, deve essere fatta in presenza e con il concorso di entrambe le parti, salvo che i contraenti abbiano stabilito di comune accordo altre misure
idonee a realizzare la separazione delle cose dal genus e
ad assicurarne la non sostituibilità da parte del venditore.
(Nella specie, la S.C., confermando la sentenza impugnata,
ha ritenuto che la dizione in fattura «materiale a vs. disposizione presso nostro deposito» stesse ad indicare la intervenuta individuazione della merce ed il perfezionarsi della consegna con la messa a disposizione, nonché il sorgere dell’obbligazione di pagare il corrispettivo). — Cass. 284-2011, n. 9466, rv. 617680.
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1388 • Contratto concluso dal rappresentante
• In tema di mandato con rappresentanza, la contemplatio domini, che rende possibile l’imputazione degli effetti del contratto nella sfera di un soggetto diverso da quello che lo ha concluso, non esige — nel caso in cui l’atto da
porre in essere non richiede una forma solenne — l’uso di
formule sacramentali e può, quindi, essere desunta anche
da un comportamento del rappresentante che, per univocità e concludenza, sia idoneo a rendere edotto l’altro contraente che egli agisce non solo nell’interesse, ma anche in
nome del rappresentato, nella cui sfera giuridica gli effetti
dell’atto sono destinati a prodursi direttamente; l’onere della
relativa prova in giudizio incombe su chi afferma avere assunto la veste di rappresentante e, ove sia mancata l’allegazione e la prova del predetto comportamento, è insufficiente, ai fini di una diretta imputazione degli effetti dell’atto al
mandante, la circostanza che l’atto sia stato posto in essere
nel suo interesse. — Cass. 31-3-2011, n. 7510, rv. 617392.
1399 • Ratifica
• La ratifica di un contratto per il quale la legge prevede la redazione per iscritto ad substantiam (nella specie,
contratto preliminare di compravendita immobiliare) può anche essere contenuta in un atto avente formale diverso contenuto, ma non può essere desunta da una serie di condotte o documenti complessivamente indicati come convergenti
verso la dimostrazione dell’avvenuta ratifica, perché in questa ipotesi si tenderebbe a fornire non la prova indiretta, ma
quella per presunzioni, espressamente vietata dall’art. 2729,
II comma, cod. civ. — Cass. 7-6-2011, n. 12308 , rv. 617889.
1405 • Effetti della mancata dichiarazione di nomina
• Il contratto per persona da nominare è destinato
a produrre effetti tra le parti originarie non solo in caso
di mancata dichiarazione di nomina, ma anche quando
questa non venga validamente compiuta entro il termine convenuto, ovvero quando l’electio amici sia inefficace per difetto di adesione o per mancanza di pregressa valida procura da parte dell’eletto; peraltro, l’unico soggetto legittimato ad effettuare l’indicazione è colui il quale si
sia riservato tale facoltà nel contratto stesso, mentre l’altro contraente, fino a quando non abbia notizia della dichiarazione di nomina e della relativa accettazione, non
ha nessun rapporto con il soggetto nominato. — Cass. 206-2011, n. 13537, rv. 618278.
1411 • Contratto a favore di terzi
• In tema di contratto a favore del terzo, ai sensi
dell’art. 1411 cod. civ., la relativa stipulazione non incon-
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tra il limite dell’effetto reale del negozio concluso tra stipulante e promittente, sicché è consentita sia la costituzione di una servitù a favore del terzo, che l’estinzione
della servitù che gravi sul fondo di quest’ultimo. — Cass.
27-6-2011, n. 14180, rv. 618387.
1418 • Cause di nullità del contratto
• Il contratto di appalto per la costruzione di un’opera senza l’autorizzazione paesaggistica all’uopo necessaria (in base agli artt. 7 e 8 della legge 29 giugno 1939, n.
1497, applicabile ratione temporis) è nullo, ai sensi degli
artt. 1346 e 1418 cod. civ., avendo un oggetto illecito per
violazione delle norme imperative in materia urbanisticoambientale, con la conseguenza che tale nullità, una volta
verificatasi, impedisce sin dall’origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell’art. 1423 cod. civ., onde l’appaltatore non
può pretendere, in forza del contratto nullo, il corrispettivo
pattuito. Non rileva, pertanto, l’ignoranza del mancato rilascio della prescritta autorizzazione che non può ritenersi
scusabile per la grave colpa dei contraenti, i quali, con l’ordinaria diligenza, ben avrebbero potuto avere conoscenza
della reale situazione, ed è parimenti irrilevante la comune intenzione delle parti, manifestata nel contratto, di porre a carico dell’appaltatore l’obbligo di richiedere il provvedimento autorizzativo, in quanto, anche in tal caso, l’opera
dedotta in contratto non è lecita sol perché sia prevista la
richiesta del provvedimento urbanistico, ma resta un’opera contrastante con norma imperativa, senza possibilità alcuna di considerare l’illecito amministrativo e penale, conseguente a tale attività, come operante in una sfera diversa ed estranea al rapporto contrattuale tra committente
ed appaltatore. — Cass. 24-6-2011, n. 13969, rv. 618451.
1419 • Nullità parziale
• Ai fini dell’operatività della disposizione di cui al
secondo comma dell’art. 1419 cod. civ., il quale contempla la sostituzione delle clausole nulle di un contratto contrastanti con norme inderogabili, con la normativa legale,
non si richiede che le disposizioni inderogabili, oltre a
prevedere la nullità delle clausole difformi, ne impongano e dispongano, altresì, espressamente la sostituzione. Infatti, la locuzione codicistica («sono sostituite di diritto») va interpretata non nel senso dell’esigenza di una previsione espressa della sostituzione, ma in quello dell’automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del
contratto o di aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria inderogabile disciplina. — Cass. 213-2011, n. 6364, rv. 617417.
1421 • Legittimazione all’azione di
nullità
• La rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto in ogni stato e grado del processo opera solo se da
parte dell’attore se ne richieda l’adempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l’esistenza delle condizioni
dell’azione e a rilevare d’ufficio le eccezioni che, senza ampliare l’oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del
convenuto. Ne consegue che quando la domanda sia, invece, diretta a far valere l’invalidità del contratto o a pronunciarne la risoluzione per inadempimento, non può essere dedotta tardivamente un’eccezione di nullità diversa
da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il
giudice, sulla base dell’interpretazione coordinata dell’art.
1421 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., tenuto al rispetto del
principio dispositivo, anche alla luce dell’art. 111 Cost., che
richiede di evitare, al di là di precise indicazioni normative, ampliamenti dei poteri d’iniziativa officiosa. — Cass.
27-4-2011, n. 9395, rv. 617956.
1427 • Errore, violenza e dolo
• La circostanza che un fondo, promesso in vendita
come «edificabile», al momento della stipula del contratto
preliminare sia stato già inserito in un piano di insediamento industriale (PIP) non costituisce causa di annullamento
del contratto per dolo o per errore, sia perché l’inserimento
nel suddetto piano non comporta di per sé l’inedificabilità,
sia perché non necessariamente un fondo inserito in quel
tipo di strumento urbanistico è destinato all’espropriazione.
Ne consegue che è onere del promissario acquirente, che
invochi l’annullamento del preliminare, dimostrare che la
P.A. non abbia consentito la richiesta edificazione sul fondo, perché contrastante con le disposizioni relative all’attuazione del PIP. — Cass. 15-6-2011, n. 13108, rv. 618351.
1429 • Errore essenziale
• Qualora il contenuto del contratto, come appare stipulato, non corrisponda alla comune, reale volontà delle
parti, sia che l’erronea formulazione o trascrizione debba
ascriversi alle parti medesime o ad un terzo da loro incaricato ed ancorché tale discordanza non emerga a prima vista, ma debba costituire oggetto di accertamento, la situazione non integra alcuna delle fattispecie dell’errore ostativo e, di conseguenza, non trova applicazione la normativa dell’annullamento del contratto per tale vizio. Nella suddetta ipotesi, sulla lettera del contratto deve prevalere la reale, comune volontà dei contraenti, desumibile dal giudice
di merito sulla scorta delle trattative e di tutto il materiale
probatorio acquisito. — Cass. 15-4-2011, n. 8745, rv. 617756.
1453 • Risolubilità del contratto per
inadempimento
• Qualora un contraente comunichi la dichiarazione di
recesso con contestuale richiesta di restituzione della somma versata a titolo di anticipo (o caparra) e di rimborso delle spese sostenute ed il contraente asseritamente inadempiente comunichi anch’esso la volontà di recedere — pur
attribuendo l’inadempimento all’altra parte — e la disponibilità alla restituzione delle somme richieste, si verifica
la risoluzione del contratto, atteso che le due dichiarazioni di recesso — pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nell’ipotesi del mutuo consenso,
in quanto muovono da premesse contrastanti — sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del contratto e della restituzione delle somme versate, con la conseguenza che resta preclusa la domanda di adempimento
successivamente proposta da uno dei contraenti. — Cass.
26-7-2011, n. 16317, rv. 618705.
• In materia contrattuale, il diritto di scelta tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione attribuito, dal primo comma dell’art. 1453 cod. civ., alla parte
adempiente non si consuma all’esito della pronunzia di
condanna del debitore all’esecuzione della prestazione.
Ne consegue che, ove la parte inadempiente sia stata condannata all’adempimento con sentenza passata in giudicato e l’inadempimento permanga, l’altra parte può chiedere la risoluzione del contratto, senza che si possa configurare un contrasto di giudicati tra loro incompatibili. —
Cass. 12-7-2011, n. 15290, rv. 618652.
• La cessione di un’opera d’arte pur autentica, ma
modificata e rimaneggiata in modo tale da non essere più
corrispondente all’originale concepito dall’artista, costituisce una ipotesi di vendita di aliud pro alio, giacché soltanto nell’integrale consistenza in cui è stata creata dall’autore l’opera d’arte può reputarsi genuina, posto che l’essenziale sua unitarietà fa rifluire sul tutto la non autenticità anche solo di una parte. Ne consegue che l’acquirente è legittimato a richiedere la risoluzione del contratto
per inadempimento del venditore, ex art. 1453 cod. civ.
— Cass. 8-6-2011, n. 12527, rv. 618371.
• Nel caso in cui l’appaltatore non abbia portato a
termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto,
la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt.1453 e 1455 cod. civ., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata
a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti. Ne consegue che, in caso di omesso completamento dell’opera, anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non è comunque consentito, al fine di accertare la
responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, fare ricorso alla disciplina dell’anzidetta garanzia che,
per l’appunto, richiede necessariamente il totale compimento dell’opera. — Cass. 24-6-2011, n. 13983, rv. 618324.
• Nei contratti a prestazione continuata o periodica (nella specie, l’appalto), la domanda di risoluzione del
contratto per inadempimento è alternativa alla domanda di accertamento dell’esercizio del recesso, distinguendosene per causa petendi e petitum, atteso che, mirando la
prima a una pronuncia di carattere costitutivo che faccia
risalire la risoluzione al momento dell’inadempimento ed
essendo fondata sulla commissione di un illecito (mentre,
l’altra, sull’esercizio di una facoltà consentita dalla legge),
31
il suo accoglimento preclude l’esame delle altre cause di
scioglimento del medesimo rapporto contrattuale. Ne consegue, ulteriormente, che tra dette domande non vi è rapporto di continenza, sicché possono essere proposte nello
stesso giudizio, dovendo il giudice, in caso di rigetto delle
domande di risoluzione, esaminare se sia fondata quella
di declaratoria di legittimo esercizio del diritto di recesso.
— Cass. 6-4-2011, n. 7878, rv. 617424.
• Il contratto preliminare di vendita di immobile descritto come «attico» ma indicato in catasto come «vano
lavanderia e ripostiglio» e risultato privo del certificato di
abitabilità, può essere risolto per inadempimento del venditore, dal momento che nel linguaggio comune il termine «attico» ha l’inequivoco significato di indicare l’appartamento
posto all’ultimo piano dell’edificio e giammai un vano lavanderia o un lavatoio. — Cass. 16-5-2011, n. 10756, rv. 617843.
• In tema di compravendita, si ha consegna di aliud pro
alio che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o
di adempimento, ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art.
1495 cod. civ., qualora il bene venduto sia completamente
diverso da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un
genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo
ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta. (Nella fattispecie,
la Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che non fosse stata venduta una cosa priva di qualità essenziali, ma una cosa diversa da quella pattuita, essendo gli animali venduti affetti da brucellosi e inidonei a
qualunque impiego perché, per la loro malattia, dovevano
essere abbattuti). — Cass. 18-5-2011, n. 10916, rv. 617842.
1454 • Diffida ad adempiere
• In caso di reiterazione di atti di diffida ad adempiere, il termine previsto dall’art. 1454 cod. civ. decorre dall’ultimo di essi, con la conseguenza che lo spatium agendi di
quindici giorni, che necessariamente deve intercorrere tra
il ricevimento della diffida e l’insorgenza della fattispecie
risolutoria, deve essere rispettato a far data dall’ultima diffida. — Cass. 6-7-2011, ord. 14877, rv. 618372.
1455 • Importanza dell’inadempimento
• In presenza di contrapposte domande di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare e di
risoluzione del medesimo per inadempimento, il giudice deve procedere a una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati
al fine di stabilire se sussista l’inadempimento che legittima la risoluzione. La valutazione della gravità dell’inadempimento, prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle
prove inerenti al processo, è rimessa al giudice del merito ed è incensurabile in Cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici. — Cass. 7-62011, n. 12296, rv. 617828.
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1457 • Termine essenziale per una
delle parti
• L’efficacia della clausola per arbitrato irrituale, contenuta in un contratto preliminare di compravendita (nella
specie, di quote societarie), permane anche dopo la scadenza del termine fissato dalle parti per la stipula del contratto definitivo, atteso che tale termine può ritenersi finale
ed essenziale solo qualora le parti in tal modo lo abbiano espressamente considerato, sia pure senza l’uso di formule solenni, o se tale natura risulti dal contratto, dovendo,
in contrario, ritenersi che il termine per la conclusione del
contratto definitivo costituisca un ordinario termine dilatorio di adempimento delle obbligazioni negoziali e la relativa scadenza non determina di per sé la risoluzione del
contratto e l’automatica caducazione del relativo vincolo e
della detta clausola. — Cass. 11-4-2011, n. 8216, rv. 617437.
1469bis • Contratti del consumatore
• La disposizione dettata dall’art. 1469-bis, terzo comma, numero 19, cod. civ. — applicabile nella specie ratione temporis — si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo
in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo,
presumendo vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente; tale criterio, che
implica il superamento dei fori alternativi di cui all’art. 20
cod. proc. civ., si applica anche se la pretesa azionata si fondi
su di una promessa di pagamento o una ricognizione di debito, poiché queste ultime non costituiscono un’autonoma
fonte di obbligazione ma, determinando un’astrazione meramente processuale della causa debendi, non dispensano il
creditore dall’onere di proporre la domanda davanti al giudice competente. — Cass. 10-6-2011, ord. 12872, rv. 617814.
1470 • Nozione
• In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita immobiliare, l’effetto traslativo della proprietà del bene può
non essere subordinato all’adempimento anche di obbligazioni accessorie, le quali non incidano in via diretta
sul nesso commutativo, ma ineriscano al regolamento degli effetti ulteriori, ripartendo oneri economici secondari,
connessi e conseguenti al trasferimento del bene (nella specie, attinenti alle spese per l’accatastamento dell’immobile e per gli allacciamenti delle relative utenze). Ne consegue che l’adempimento di tali obbligazioni può formare
oggetto di domanda autonoma, da proporre nel medesimo
giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di conclusione del contratto o in un diverso giudizio, non costituendo,
in ogni caso, una condizione dell’azione ex art. 2932 cod.
civ. — Cass. 30-6-2011, n. 14453, rv. 618388.
• Ove un contratto preliminare abbia ad oggetto la
compravendita di un bene appartenente a più proprietari, è possibile che il medesimo non costituisca un unicum
inscindibile, perché ciascuno dei comproprietari può vendere la propria quota a prezzo diverso e stabilendo date diverse per la stipulazione del contratto definitivo; ne consegue, in tal caso, che, verificatosi l’inadempimento del promissario acquirente, ciascun promittente venditore può legittimamente chiedere la risoluzione della singola promessa di vendita contenuta in un documento più complesso,
dovendosi ritenere ammissibile la risoluzione parziale. —
Cass. 14-4-2011, n. 8505, rv. 617410.
1472 • Vendita di cose future
• Nell’ipotesi di emptio spei speratae, a norma dell’art.
1472, secondo comma, cod. civ., la vendita è soggetta alla
condicio iuris della venuta ad esistenza della cosa alienata, la cui mancata realizzazione comporta non già la risoluzione del contratto per inadempimento, bensì la sua nullità per mancanza dell’oggetto. E poiché, ove si tratti dei
frutti naturali della cosa, il passaggio di proprietà avviene,
a mente dell’art. 821 cod. civ., con la separazione dei primi dalla seconda, ne consegue che il rischio del verificarsi
di eventi che impediscano la venuta ad esistenza dei frutti
naturali della cosa, al pari del rischio della mancata venuta ad esistenza di quest’ultima, è a carico del venditore,
giacché grava su di esso, salvo patto contrario, l’obbligazione di separazione dei frutti dalla cosa principale che si
trovi nel suo dominio e possesso e, dunque, nella sua disponibilità giuridica e materiale. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto nullo, per inesistenza dell’oggetto, la compravendita di frutti pendenti da un agrumeto mai venuti a maturazione a
causa di gelate). — Cass. 30-6-2011, n. 14461, rv. 618411.
1483 • Evizione totale della cosa
• In tema di conseguenze restitutorie connesse all’evizione totale subita sulla cosa dal compratore, questi ha
diritto, per il rinvio operato dall’art. 1483 cod. civ. all’art.
1479, secondo comma, cod. civ., al rimborso, da parte del
venditore, delle spese sostenute per la trascrizione del
trasferimento di proprietà del bene nel pubblico registro,
trattandosi di spese sostenute per il contratto; parimenti il
compratore ha anche diritto, ai sensi dell’art. 1479, terzo
comma, cod. civ., al rimborso di tutte le spese necessarie
fatte per la cosa, come quelle per la revisione periodica
obbligatoria dell’autoveicolo e per il controllo dei gas di
scarico, trattandosi di adempimenti imposti dalla legge e
a prescindere dall’uso del bene; sono, invece, escluse le
sole spese di manutenzione ordinaria, strettamente connesse all’utilizzo del bene, ove difetti, come nella specie,
ed alla stregua di un principio generale evincibile dall’art.
1150, quarto comma, cod. civ., qualunque obbligo di restituzione dei frutti del bene maturati nel periodo. — Cass.
14-4-2011, n. 8536, rv. 618052.
1490 • Garanzia per i vizi della cosa
venduta
• La cessione di un’opera d’arte pur autentica, ma
modificata e rimaneggiata in modo tale da non essere più
corrispondente all’originale concepito dall’artista, costituisce una ipotesi di vendita di aliud pro alio, giacché soltanto nell’integrale consistenza in cui è stata creata dall’autore l’opera d’arte può reputarsi genuina, posto che l’essenziale sua unitarietà fa rifluire sul tutto la non autenticità anche solo di una parte. Ne consegue che l’acquirente è legittimato a richiedere la risoluzione del contratto
per inadempimento del venditore, ex art. 1453 cod. civ.
— Cass. 8-6-2011, n. 12527, rv. 618371.
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esigenze, una volta fornita dal somministrante la prova del
regolare funzionamento degli impianti, è onere dell’utente provare di avere adottato ogni possibile cautela, ovvero
di avere diligentemente vigilato affinché intrusioni di terzi
non potessero alterare il normale funzionamento del contatore. — Cass. 16-6-2011, n. 13193, rv. 618369.
1571 • Nozione
• In tema di compravendita, si ha consegna di aliud
pro alio che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, ai sensi dell’art. 1453 cod. civ.,
svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti
dall’art. 1495 cod. civ., qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del
tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta. (Nella fattispecie, la Corte ha confermato la sentenza
impugnata che aveva ritenuto che non fosse stata venduta una cosa priva di qualità essenziali, ma una cosa diversa da quella pattuita, essendo gli animali venduti affetti
da brucellosi e inidonei a qualunque impiego perché, per
la loro malattia, dovevano essere abbattuti). — Cass. 185-2011, n. 10916, v. 617842.
• Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che
si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale,
con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di
fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di
ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in
capo al detentore, a meno che la detenzione non sia stata
acquistata illecitamente. Ne consegue la validità ed efficacia della locazione stipulata dal condomino di un bene comune del quale abbia la detenzione esclusiva. — Cass. 147-2011, n. 15443, rv. 618635.
• Il contratto con il quale il proprietario di un terreno ne trasferisca la disponibilità a terzi per la sua destinazione a discarica di rifiuti, secondo modalità negozialmente predeterminate e del tutto peculiari (nella specie, escavazione del terreno per consentire lo smaltimento dei rifiuti con il sistema dello stoccaggio definitivo; corrispettivo stabilito in ragione dei metri cubi di riempimento dello scavo; previsione di opere di bonifica a carico del
conduttore anche dopo la chiusura della discarica), integra gli estremi di un contratto atipico cui, in via analogica, sono legittimamente applicabili le norme sulla locazione, atteso lo scopo pratico del negozio che ne evidenzia
la causa in concreto, in correlazione alla quale va conformata la disciplina del contratto atipico. — Cass. 1-4-2011,
n. 7557, rv. 617751.
1497 • Mancanza di qualità
1575 • Obbligazioni principali del
1495 • Termini e condizioni per
l’azione
• In tema di preliminare di vendita di un garage, ove il
promissario acquirente chieda la risoluzione del contratto
per inadempimento, stante l’inutilizzabilità del bene per
l’impossibilità della manovra di accesso, il criterio della facile manovrabilità, di cui agli artt. 3.6.3. e 3.7.2. del d.m. 1°
febbraio 1986 del Ministero dell’interno, recante norme di
sicurezza antincendi per la costruzione e l’esercizio di autorimesse, non è soddisfatto dal semplice rispetto dei minimi dimensionali di ampiezza e va collegato al dato oggettivo della dimensione del veicolo rapportato alla ristrettezza degli spazi, nonché alle difficoltà che incontra un qualunque conducente dotato di normale abilità. — Cass. 246-2011, n. 13979, rv. 618321.
1559 • Nozione
• In tema di contratto di somministrazione relativo a
utenza idrica e nell’ipotesi in cui l’utente lamenti l’addebito di un consumo anomalo ed eccedente le sue ordinarie
locatore
• Nel contratto di locazione di un immobile per uso diverso da quello di abitazione, la mancanza delle autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano
la regolarità del bene sotto il profilo edilizio — e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all’esercizio di
un’attività commerciale — costituisce inadempimento del
locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi
dell’art. 1578 cod. civ., a meno che il conduttore non sia a
conoscenza della situazione e l’abbia consapevolmente accettata; né assume rilievo il fatto che il locatore — riconoscendo implicitamente il proprio inadempimento — abbia presentato domanda di concessione in sanatoria e che
sulla relativa istanza non ci sia stato ancora un pronunciamento definitivo. — Cass. 7-6-2011, n. 12286, rv. 618122.
1578 • Vizi della cosa locata
• V. Cass. 7-6-2011, n. 12286, rv. 618122 sub art. 1575.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice civile
Codice Civile
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Aggiornamento giurisprudenziale
1591 • Danni per ritardata restituzione
• In tema di danno da ritardata restituzione della cosa
locata, la domanda di risarcimento del danno emergente
arrecato all’immobile, riguardo al quale il conduttore abbia
assunto contrattualmente l’obbligazione di provvedere ad
ogni attività di manutenzione anche straordinaria, non può
essere rigettata senza il previo espletamento di una specifica indagine tecnica condotta sulla base degli elementi ritualmente acquisiti al fine di selezionare, dal coacervo delle
complessive spese per lavori all’immobile eseguiti dal locatore ritenute documentate od attendibili, quelle relative ai
costi di ripristino del bene nelle condizioni esistenti all’inizio della locazione. — Cass. 12-4-2011, n. 8322, rv. 617458.
• In tema di danno da ritardata riconsegna dell’immobile locato, la liquidazione equitativa del risarcimento
del lucro cessante, per non risultare arbitraria, deve essere fondata su ragioni congrue anche se sommariamente
indicate, tra tali ragioni non potendosi comprendere decurtazioni per oneri fiscali, comunque a vario titolo incombenti sul risarcimento nonché per le conseguenze dirette
della mancata disponibilità o per il ripristino e la modifica dei locali, quando il valore locativo è stato calcolato in
rapporto al loro stato affettivo. Ne consegue che, qualora
vengano eseguite riduzioni rispetto alla quantificazione dei
ricavi lordi emergenti dal quadro probatorio a disposizione del giudice di merito, deve essere dato conto, soprattutto se i tagli sono d’ingente entità, sia delle ragioni della misura complessiva delle decurtazioni operate rispetto
al dato di partenza del valore locativo potenziale, sia della scelta di riferire la liquidazione all’attualità, anziché al
tempo dei fatti, e di limitare la decorrenza degli accessori.
— Cass. 12-4-2011, n. 8322, rv. 617457.
1596 • Fine della locazione per lo
spirare del termine
• Il recesso del conduttore produce l’effetto risolutivo
della locazione al compimento del prescritto, o concordato, periodo di preavviso e fino a tale termine il conduttore
è tenuto a versare i canoni, indipendentemente dal momento di materiale rilascio dell’immobile (eventualmente
anche anteriore), con la conseguenza che, mantenendo le
parti tutti i diritti e gli obblighi nascenti dal contratto, sussiste il presupposto della qualità di conduttore per l’esercizio della prelazione se, in vista della progettata vendita
dell’immobile locato entro il periodo suddetto, il locatore
ometta la prevista formalità vincolante della denuntiatio.
— Cass. 27-4-2011, n. 9415, rv. 618001.
1597 • Rinnovazione tacita del contratto
• La volontà di prorogare tacitamente il contratto di locazione pervenuto a scadenza può essere manifestata anche
tacitamente, ma deve essere inequivoca. Non può, pertanto,
ravvisarsi come nella specie una tacita volontà di prorogare
il contratto nella condotta del locatore che, dopo avere intimato licenza per finita locazione, ometta di iscrivere a ruolo
l’atto di intimazione. — Cass. 15-4-2011, n. 8729, rv. 617788.
1602 • Effetti dell’opponibilità della locazione al terzo acquirente
• Il diritto del conduttore all’indennità per la perdita
dell’avviamento commerciale sorge per effetto ed al momento della cessazione del contratto di locazione. Da ciò
consegue che se l’immobile locato viene venduto dopo la
comunicazione della disdetta da parte del locatore alienante, ma prima della prevista data di cessazione del rapporto, obbligato al pagamento della suddetta indennità è,
ai sensi dell’art. 1602 cod. civ., l’acquirente dell’immobile
locato. — Cass. 27-4-2011, n. 9408, rv. 617785.
1660 • Variazioni necessarie del
progetto
• Nel caso in cui il corrispettivo d’appalto, secondo
un progetto che non preveda l’esecuzione di determinate
opere, sia stato stabilito senza alcun riferimento alle opere ulteriormente sopravvenute e realizzate, il prezzo delle
necessarie variazioni integrative, a meno che non risulti una contraria volontà delle parti, non può considerarsi
compreso in quello previsto nell’appalto e, anche quando
il progetto sia stato predisposto dall’appaltatore, deve essere determinato dal giudice ai sensi dell’art. 1660 cod.
civ. — Cass. 4-5-2011, n. 9796, rv. 617946.
1661 • Variazioni ordinate dal committente
• In tema di varianti al progetto nell’esecuzione di un
appalto d’opere, l’art. 1661 cod. civ. prevede che il committente possa richiedere all’appaltatore l’esecuzione di tali varianti nei limiti del sesto del prezzo originario e l’appaltatore sia obbligato ad eseguirle con diritto al compenso
per i maggiori lavori eseguiti, salvo che esse comportino
«notevoli modificazioni della natura dell’opera». Ne consegue che, nell’ipotesi delle «notevoli» varianti dell’opera,
non trova applicazione l’art. 1661 citato, ma viene in discussione la sussistenza stessa del diritto del committente
di richiedere dette varianti, là dove, però, una volta che le
opere richieste siano eseguite dall’appaltatore, quest’ultimo ha diritto a richiedere il riconoscimento di corrispettivi
ulteriori rispetto al prezzo di appalto originariamente concordato. — Cass. 4-5-2011, n. 9796, rv. 617947.
1667 • Difformità e vizi dell’opera
• In tema di contratto di appalto, la responsabilità
dell’appaltatore per i vizi dell’opera sussiste ancorché essi
siano riconducibili ad una condizione posta in essere da un
terzo (nella specie la diversa impresa esecutrice dei lavori di
sottofondo del pavimento poi completato dall’appaltatore),
essendo invero questi tenuto verso il committente, per aver
assunto un’obbligazione di risultato e non di mezzi, a realizzare l’opera a regola d’arte e rispondendo anche per le condizioni imputabili allo stesso committente o a terzi se, conoscendole o potendole conoscere con l’ordinaria diligenza, non
le abbia segnalate all’altra parte, né abbia adottato gli accorgimenti opportuni per far conseguire il risultato utile, salvo
che, in relazione a tale situazione, ottenga un espresso esonero di responsabilità. — Cass. 8-5-2011, n. 10927, rv. 618100.
1668 • Contenuto della garanzia per
difetti dell’opera
• In tema di appalto, il risarcimento del danno che
si aggiunge alla risoluzione del contratto ai sensi dell’art.
1453, primo comma, e 1668 cod. civ., non può avere natura di reintegrazione in forma specifica, nel senso che non
può essere richiesto il ripristino della situazione esistente
anteriormente all’esecuzione del contratto e, contemporaneamente, anche la realizzazione di quella che sarebbe
conseguita all’esatto adempimento del medesimo, determinandosi altrimenti un illegittimo duplice beneficio conseguente dalla restituzione di ciò che si è dato e dal conseguimento dell’utilità che l’adempimento avrebbe determinato. — Cass. 18-4-2011, n. 8889, rv. 617681.
1671 • Recesso unilaterale dal contratto
• Nel contratto di appalto, il recesso unilaterale del committente previsto dall’art. 1671 cod. civ. costituisce esercizio
di un diritto potestativo e, come tale, non esige che ricorra
una giusta causa; ne consegue che la domanda giudiziale
con la quale l’appaltatore chieda l’accertamento di tale recesso si fonda su presupposti diversi da quelli posti a base
dell’azione con cui il medesimo deduca l’inadempimento
del committente, giacché quest’ultima domanda implica
un’indagine comparativa delle condotte tenute dalle parti
al fine di verificare la colpevolezza e la gravità del comportamento denunciato. — Cass. 2-5-2011, n. 9645, rv. 617702.
1681 • Responsabilità del vettore
• Qualora la messa in circolazione di un veicolo in
condizioni di insicurezza (nella specie, un ciclomotore con
a bordo tre persone, di cui uno minore d’età, in violazione
dell’art. 170 cod. strada) sia ricollegabile all’azione o omissione non solo del conducente — il quale prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che questa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e
sicurezza — ma anche del trasportato, il quale ha accettato i rischi della circolazione, si verifica un ipotesi di cooperazione colposa dei predetti nella condotta causativa
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del fatto evento dannoso. Pertanto, in caso di danni al trasportato medesimo, sebbene la condotta di quest’ultimo
non sia idonea di per sé ad escludere la responsabilità del
conducente, né a costituire valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili, essa
può costituire nondimeno un contributo colposo alla verificazione del danno, la cui quantificazione in misura percentuale è rimessa all’accertamento del giudice di merito,
insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato. — Cass. 13-5-2011, n. 10526, rv. 618201.
• La presunzione di colpa stabilita dall’art. 1681 cod. civ.
a carico del vettore per il sinistro che colpisca il passeggero
durante il viaggio (comprese le operazioni accessorie, tra cui
la salita o la discesa dal mezzo di trasporto) opera sul presupposto che sussista il nesso di causalità tra l’evento e l’esecuzione del trasporto ed è perciò superata se il giudice di merito accerta invece, anche indirettamente, che tale nesso non
sussiste, come nel caso in cui il comportamento imprudente del viaggiatore costituisca la causa esclusiva del sinistro.
(Principio enunciato ai sensi dell’art. 360bis, n. 1, cod. proc.
civ., in fattispecie in cui l’utente del servizio pubblico di autotrasporto aveva bussato alle porte del mezzo per farle aprire
e sosteneva, quindi, di esser stato urtato dalla fiancata dello stesso autobus). — Cass. 30-4-2011, ord. 9593, rv. 618007.
• La circostanza che un viaggiatore abbia riportato danni alla persona scendendo da un treno in movimento è
di per sé idonea a vincere la presunzione di responsabilità posta a carico del gestore del servizio ferroviario per i
danni ai passeggeri prevista dall’art. 13 del r.d.l. 11 ottobre
1934, n. 1948, atteso che tale tipo di condotta viola direttamente la norma di cui all’art. 25 del d.P.R. 11 luglio 1980,
n. 753, la quale vieta di «aprire le poste esterne dei veicoli
e di salire o discendere dagli stessi quando non sono completamente fermi». — Cass. 27-4-2011, n. 9409, rv. 617901.
1713 • Obbligo di rendiconto
• Il principio della diretta imputazione al rappresentato degli effetti dell’atto posto in essere in suo nome dal
rappresentante non comporta, nel caso di riscossione di
somme da parte del mandatario (nella specie, con rappresentanza), l’acquisto automatico delle stesse da parte del
mandante in ragione della fungibilità del danaro, che fa
di regola identificare nel detentore materiale di esso il dominus delle somme consegnate. Peraltro, la legittimazione
del rappresentante a ricevere dal terzo debitore il pagamento, con efficacia liberatoria nei confronti del rappresentato,
non esclude che i rapporti interni con quest’ultimo siano
disciplinati dalle regole del mandato, quale contratto ad
effetti obbligatori, da cui deriva l’obbligo del mandatario
di rimettere al mandante, previo rendiconto, le somme riscosse. — Cass. 31-3-2011, n. 7510, rv. 617393.
1723 • Revocabilità del mandato
• In tema di mandato in rem propriam, ossia conferito anche nell’interesse del mandatario (o di terzi), il prin-
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cipio di cui all’art.1723, secondo comma, cod. civ. — che
ne prevede la non estinzione per morte o incapacità del
mandante — trova applicazione in via analogica solo in
caso di fallimento del mandante, e non anche del mandatario, non potendosi per tale circostanza ritenere derogata la regola generale dell’estinzione automatica, posta
dall’art. 78 legge fall., nel testo, ratione temporis vigente,
anteriore al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. (La S.C. ha così affermato il principio dello scioglimento, per effetto della dichiarazione di fallimento sopravvenuta, del mandato conferito dall’acquirente di un immobile in edificio alla società venditrice, poi fallita, avente per oggetto la redazione di
un regolamento di condominio con le relative tabelle millesimali di ripartizione delle spese condominiali). — Cass.
16-6-2011, n. 13243, rv. 618257.
un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all’uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la
crisi familiare tra i conviventi. Ne consegue che il rilascio
dell’immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell’art. 1809, secondo comma, cod. civ., solo nell’ipotesi di un bisogno contrassegnato dall’urgenza e dall’imprevedibilità. — Cass. 21-6-2011, n. 13592, rv. 618353.
1810 • Comodato senza determinazione di durata
• V. Cass. 21-6-2011, n. 13592, rv. 618353 sub art. 1809.
1751 • Indennità in caso di cessa- 1832 • Approvazione del conto
zione del rapporto
• In tema di indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, allorquando, ferma la libertà di forme, la
richiesta dell’agente sia formulata non genericamente, ma
abbia ad oggetto voci specifiche e diverse dall’indennità di
cui all’art. 1751 cod. civ., il richiedente è tenuto a specificare che le diverse voci sono finalizzate proprio alla determinazione dell’indennità di cessazione del rapporto,
rimanendo altrimenti escluso ogni possibile collegamento tra la richiesta avente un oggetto specifico e diverso e
detta indennità. — Cass. 20-6-2011, n. 13530, rv. 618317.
1771 • Richiesta di restituzione e
obbligo di ritirare la cosa
• Dall’affidamento, da parte del Comune committente, alla società, cui abbia demandato il servizio di rimozione coattiva dei veicoli in sosta vietata, anche della custodia dei veicoli rimossi perché vengano custoditi presso
il parcheggio di pertinenza della società stessa, in attesa
del ritiro da parte dei rispettivi proprietari, deriva, ai sensi
dell’art. 1771 cod. civ., l’obbligo del Comune, quale depositante, di ritirare i veicoli alla scadenza pattuita o, in ogni
caso, dopo la richiesta avanzata dalla depositaria, con la
conseguente responsabilità dell’ente per i danni cagionati dall’inadempimento di tale obbligo. — Cass. 4-5-2011,
n. 9751, rv. 617900.
1809 • Restituzione
• Il comodato, stipulato senza prefissione di termine,
di un immobile successivamente adibito, per inequivoca
e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di
un nucleo familiare di fatto, costituito dai conviventi e da
un figlio minore, non può essere risolto in virtù della mera
manifestazione di volontà ad nutum espressa dal comodante ai sensi dell’art. 1810, primo comma, ultima parte, cod.
civ., dal momento che deve ritenersi impresso al contratto
• Ai sensi dell’art. 1832 cod. civ., la mancata contestazione dell’estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale,
nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate, ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti. Peraltro, dedotta l’inefficacia della registrazione di un’operazione di giroconto, in quanto derivante da un atto dispositivo compiuto in difetto o contro
la volontà del correntista, ben può il giudice accertare che
il cliente abbia avuto tempestiva comunicazione del giroconto e abbia dato consapevole approvazione all’operazione negoziale sottostante, e ritenere, quindi, tardive le
sue contestazioni, non a causa della decadenza dal termine fissato dalla norma bancaria, quanto per la ragione sostanziale che l’operazione di giroconto sia stata consapevolmente ratificata dal medesimo. — Cass. 26-5-2011, n.
11626, rv. 618130.
1844 • Garanzia
• Il principio di autonomia contrattuale consente che
il fideiussore di uno scoperto di conto corrente bancario
possa estinguere il proprio debito fideiussorio, oltre che in
modo diretto (ossia mediante versamento alla banca personalmente), altresì in modo indiretto (cioè mediante accreditamento della somma sul conto del garantito, perché
la banca se ne giovi); ne consegue che, quando un terzo
versi sul conto corrente del debitore, e dopo il fallimento
di costui, una somma a riduzione dello scoperto (del conto stesso) per il quale esso terzo aveva prestato fideiussione, e non risulti la sussistenza di debiti verso il fallito da
parte del terzo, deve ritenersi che questi abbia adempiuto il proprio debito fideiussorio, restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia di cui all’art. 44 legge fall. ovvero all’azione revocatoria di cui al successivo art. 67 della medesima legge. —
Cass. 6-5-2011, n. 10004, rv. 617835.
1965 • Nozione
• In tema di transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore occorre indagare se le parti, mediante
l’accordo, abbiano perseguito la finalità di porre fine all’incertus litis eventus — anche solo per una parte del contenzioso — senza che, tuttavia, sia necessaria l’esteriorizzazione delle contrapposte pretese, né che siano state usate espressioni direttamente rivelatrici del negozio transattivo, la cui esistenza può essere desunta anche dalla corresponsione di denaro da parte del debitore, accettata dal
creditore dichiarando di essere stato pienamente soddisfatto e di non avere null’altro a pretendere, se possa ritenersi
che essa esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore
contesa, ferma restando l’inammissibilità della prova testimoniale diretta a provare un diverso contenuto del rapporto transattivo. Quanto poi ai requisiti dell’aliquid datum e dell’aliquid retentum, essi non sono da rapportare
agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese
e contestazioni, e pertanto non è necessaria l’esistenza di
un equilibrio economico tra le reciproche concessioni.
(Nella specie, relativa ad un accordo transattivo con cui era
stato riconosciuto un incentivo per le dimissioni rassegnate dal lavoratore,la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto la correttezza della decisione del giudice di merito, che
aveva valutato le prove orali assunte solo nella misura in
cui erano dirette a convalidare e chiarire il contenuto del
negozio transattivo, ritenuto funzionale a reintegrare il lavoratore dei mancati redditi provenienti dalla sua attività
all’interno della società a causa della cessazione anticipata del rapporto). — Cass. 6-6-2011, n. 12211, rv. 617649.
2028 • Obbligo di continuare la gestione
• Nella gestione utile di affare altrui, prevista nell’art.
2028 cod. civ., la absentia domini deve intendersi non
come impossibilità oggettiva e soggettiva di curare i propri interessi, ma come semplice mancanza di un rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui, ovvero quale forma di
spontaneo intervento senza opposizione o divieto del dominus. — Cass. 7-6-2011, n. 12304, rv. 617827.
2041 • Azione generale di arricchimento
• La regola di diritto comune nemo locupletari potest
cum aliena iactura deve avere un’applicazione tendenzialmente paritaria, sia che la pretesa venga avanzata nei confronti di un privato, sia che soggetto passivo ne sia una P.A.;
la mera utilizzazione di un’opera o di una prestazione,
da parte di un ente pubblico, può, avuto riguardo a tutte
le circostanze del caso concreto, integrare riconoscimento
implicito dell’utilità della stessa, utilità la quale va ravvisata
anche in caso di risparmio di spesa; a fronte di un’utilizza-
37
zione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi dell’ente, ma da questi sostanzialmente assentita, il giudice può ritenere riconosciuta, di fatto, l’utilità dell’opera
o della prestazione, conseguentemente formulando, in via
sostitutiva, il relativo giudizio, con adeguata e congrua motivazione. — Cass. 21-4-2011, n. 9141, rv. 617897.
• L’accertamento, con sentenza passata in giudicato, dell’infondatezza dell’azione contrattuale, per insussistenza del titolo negoziale che attribuisca all’attore il relativo diritto, non preclude alla stessa parte di chiedere, in
un successivo giudizio, di essere indennizzato per l’indebito arricchimento dalla controparte conseguito, dato che
tale seconda azione è diversa per petitum e per causa petendi e che, inoltre, avendo funzione sussidiaria e natura residuale, trova il riconoscimento della sua esperibilità
proprio nell’indicato diniego di tutela contrattuale. (Principio enunciato dalla S.C. in un giudizio, nel quale era stata
chiesta la condanna a titolo di arricchimento senza causa
di un Comune, una volta formatosi il giudicato sull’infondatezza dell’azione di pagamento del corrispettivo per la
custodia dei veicoli, rimossi per conto dell’ente territoriale). — Cass. 25-5-2011, ord. 11489, rv. 617797.
2043 • Risarcimento per fatto illecito
• In tema di responsabilità civile, qualora l’evento
dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell’art. 41
cod. pen. — norma di carattere generale, applicabile nei
giudizi civili di responsabilità — in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che, in ipotesi di
enucleazione di un occhio subita da un minore, a seguito
di ferita cagionatagli da un compagno di scuola, aveva affermato che l’omissione di adeguate e tempestive cure da
parte dei genitori costituisse concausa dell’evento, inidonea come tale ad interrompere il nesso causale). — Cass.
14-7-2011, ord. 15537, rv. 618569.
• Ai sensi dell’art. 651 cod. proc. pen., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel
processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, con
esclusione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile. Detta sentenza non è, tuttavia, vincolante con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia,
quali sono quelle che riguardano l’individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di
danno risarcibile. — Cass. 4-7-2011, ord. 14648, rv. 618452.
• Del danno patito da un paziente operato in una clinica universitaria risponde quest’ultima, a nulla rilevando che la stessa sia convenzionata con la Regione, a meno
che per effetto di tale convenzione l’Amministrazione re-
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gionale non abbia assunto la gestione diretta della clinica.
(Nella specie, la S.C. ha escluso che il ricorso al cd. «avvalimento», adottato dalla Regione attraverso il convenzionamento con l’Università relativamente alle cliniche, abbia
comportato la gestione diretta, da parte dell’ente avvalente, della struttura organizzativa di cui lo stesso si sia avvalso). — Cass. 26-5-2011, n. 11621, rv. 618286.
• In tema di responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria
contro la poliomielite, inquadrabile nella previsione generale dell’art. 2043 cod. civ., la normativa nazionale ha previsto in un primo tempo che tale vaccinazione si svolgesse con
il sistema del virus attenuato (Sabin) e, successivamente, con
quello del virus inattivato (Salk), essendo stata riconosciuta
dalla comunità scientifica internazionale l’astratta pericolosità del primo tipo di vaccino in determinate situazioni. Ne
consegue che, ai fini dell’accertamento della responsabilità
del Ministero, una volta dimostrato che il danno si sia verificato in conseguenza della vaccinazione col sistema Sabin,
il giudice di merito è tenuto a verificare se la pericolosità di
quel vaccino fosse o meno nota all’epoca dei fatti e se sussistessero, alla stregua delle conoscenze di quel momento,
ragioni di precauzione tali da vietare quel tipo di vaccinazione o da consentirla solo con modalità idonee a limitare
i rischi ad essa connessi. (Fattispecie relativa a vaccinazione
praticata nel 1981). — Cass. 27-4-2011, n. 9406, rv. 617748.
• La responsabilità civile del Ministero della salute per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria per la poliomielite non è inquadrabile nell’ipotesi di
cui all’art. 2050 cod. civ., non potendosi ritenere di per sé
come attività pericolosa, e va ricompresa nella previsione
generale dell’art. 2043 cod. civ., perché, anche dopo il trasferimento alle Regioni di numerose competenze in materia, permane in capo al Ministero un ruolo generale di
programmazione e di controllo del servizio di vaccinazione obbligatoria. — Cass. 27-4-2011, n. 9406, rv. 617747.
• In tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, nel caso in cui l’articolo giornalistico riporti il contenuto di uno scritto anonimo offensivo
dell’altrui reputazione, l’applicazione dell’esimente del diritto di cronaca (art. 51 cod. pen.) presuppone la prova, da
parte dell’autore dell’articolo, della verità reale o putativa
dei fatti riportati nello scritto stesso (non della mera verità dell’esistenza della fonte anonima); con la conseguenza
che, laddove siffatta prova non possa essere fornita, proprio in ragione del carattere anonimo dello scritto, la menzionata esimente non può essere applicata, anche per la
carenza del requisito dell’interesse pubblico alla diffusione della notizia. — Cass. 19-5-2011, n. 11004, rv. 617848.
• Il diritto di critica non si concreta, come quello di
cronaca, nella narrazione veritiera di fatti, ma si esprime
in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo rispetto ai fatti stessi, fermo restando che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per
le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così
come accade per il diritto di cronaca. Pertanto, nel giudizio
di risarcimento del danno alla reputazione commesso col
mezzo della stampa, là dove il convenuto eccepisca di avere
legittimamente esercitato il proprio diritto di critica, il giudice non può limitarsi ad accogliere la domanda assumendo che il convenuto medesimo non ha dato prova dei fatti
oggetto di critica, ma deve distinguere tra i giudizi espressi
nello scritto asseritamente diffamatorio ed i fatti posti a fondamento di quei giudizi, che debbono invece essere necessariamente veritieri. — Cass. 6-4-2011, n. 7847, rv. 617513.
• In tema di appalto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile quando si
versi nell’ipotesi di culpa in eligendo, che ricorre qualora
il compimento dell’opera o del servizio siano stati affidati
ad un’impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi, ovvero risulti provato che il fatto lesivo è
stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, il quale, esorbitando dalla mera sorveglianza sull’opera oggetto del contratto, abbia
in tal modo esercitato una concreta ingerenza sull’attività
dell’appaltatore, al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della
corte territoriale che aveva ritenuto solidalmente responsabile il direttore dei lavori incaricato dal committente per
la sorveglianza in relazione ad un infortunio sul lavoro conseguente all’omesso allestimento di protezioni lungo la parete di uno scavo, nonostante che questi non avesse alcuna
ingerenza nell’approntamento delle opere cautelari di prevenzione e fosse stato assolto in sede penale per non aver
commesso il fatto). — Cass. 27-5-2011, n. 11757, rv. 617454.
2047 • Danno cagionato dall’incapace
• Ai fini del riconoscimento della responsabilità del
sorvegliante, a norma dell’art. 2047 cod. civ., è necessario
che il fatto commesso dall’incapace presenti tutte le caratteristiche oggettive dell’antigiuridicità e cioè che sia
tale che, se fosse assistito da dolo o colpa, integrerebbe un
fatto illecito. Ne consegue che, nell’ipotesi di lesione personale inferta da un minore ad un altro nel corso di una
competizione sportiva, occorre verificare, al fine di escludere l’antigiuridicità del comportamento dell’incapace e la
conseguente responsabilità del sorvegliante, se il fatto lesivo derivi o meno da una condotta strettamente funzionale allo svolgimento del gioco, che non sia compiuto con
lo scopo di ledere e che non sia caratterizzato da un grado
di violenza od irruenza incompatibile con lo sport praticato. — Cass. 30-3-2011, n. 7247, rv. 617583.
2051 • Danno cagionato da cosa in
custodia
• Il condominio di un edificio, quale custode dei beni
e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le mi-
sure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 cod.
civ., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (nella specie, infiltrazioni d’acqua provenienti dal muro di contenimento di
proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile. — Cass. 12-7-2011,
n. 15291, rv. 618637.
• L’insidia stradale non è un concetto giuridico, ma
un mero stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una
situazione di pericolo occulto. Tale situazione, pur assumendo grande importanza probatoria, in quanto può essere considerata dal giudice idonea a integrare una presunzione di sussistenza del nesso eziologico con il sinistro
e della colpa del soggetto tenuto a vigilare sulla sicurezza
del luogo, non esime il giudice dall’accertare in concreto la
sussistenza di tutti gli elementi previsti dall’art. 2043 cod.
civ. Pertanto, la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza l’anomalia, vale altresì ad escludere la configurabilità dell’insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica. — Cass. 13-72011, n. 15375, rv. 618634.
• In tema di danno da insidia stradale, il solo fatto
che sia dimostrata l’esistenza di una anomalia sulla sede
stradale è di per sé sufficiente a far presumere sussistente la colpa dell’ente proprietario il quale potrà superare
tale presunzione solo dimostrando che il danno è avvenuto
per negligenza, distrazione od uso anomalo della cosa da
parte della stessa vittima. A tal fine, il giudice di merito dovrà considerare che quanto più la situazione di pericolo era
prevedibile e superabile con le normali cautele da parte del
danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi sul piano
causale il comportamento di quest’ultimo. (Nella specie un
automobilista era deceduto fuoriuscendo dalla sede stradale, precipitando nel canale di scarico delle acque di una vicina centrale elettrica. La Corte, applicando l’enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso
la responsabilità dell’ente proprietario della strada, sul presupposto che lo stato di dissesto, la mancanza di barriere,
nonché di segnaletica di pericolo, non apparissero dotate di
autonoma efficienza causale rispetto all’incidente, essendo
piuttosto risultata determinante la repentina e non necessaria manovra di guida della vittima verso il margine opposto della strada). — Cass. 13-7-2011, n. 15375, rv. 618633.
• La disciplina di cui all’art. 2051 cod. civ. è applicabile agli enti pubblici proprietari o manutentori di strade
aperte al pubblico transito in riferimento a situazioni di
pericolo derivanti da una non prevedibile alterazione dello stato della cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla
presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fat-
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to estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. — Cass. 13-7-2011, n. 15389, rv. 618568.
• La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 cod. civ., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento
dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare
la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di
fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e
non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa
in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più
ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Per le autostrade, destinate alla percorrenza veloce
in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento relativo all’effettiva possibilità del controllo induce a ravvisare la configurabilità, in genere, di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all’art. 2051 cod. civ.; ove non sia applicabile
la responsabilità di cui alla norma citata, per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene, l’ente
proprietario risponde dei danni subiti dall’utente ai sensi
dell’art. 2043 cod. civ., essendo in questo caso a carico del
danneggiato l’onere di provare l’anomalia del bene, mentre spetta al gestore provare i fatti impeditivi della propria
responsabilità, quali la possibilità, in cui l’utente si sia trovato, di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la
predetta anomalia. (Nella specie, applicando il riportato principio, in relazione ad un sinistro occorso a seguito
della manovra necessitata dall’attraversamento di un animale in autostrada, la S.C. ha affermato che, dimostrata la
presenza di un animale idoneo all’intralcio alla circolazione, non spetta all’attore in responsabilità, tanto nella tutela offerta dall’art. 2051 cod. civ. che in quella di cui all’art.
2043 cod. civ., provarne anche la specie, che semmai andrà dedotta e dimostrata dal convenuto, nel caso la società di gestione dell’autostrada, quale indice di ricorrenza di
un caso fortuito). — Cass 19-5-2011, n. 11016, rv. 618175.
• Il conduttore risponde quale custode a norma
dell’art. 2051 cod. civ. dei danni che l’incendio sviluppatosi nell’immobile locatogli abbia cagionato a terzi e si
libera da tale responsabilità solo dando la prova del fortuito, in particolare dimostrando di avere correttamente espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, tutte le attività di vigilanza, controllo e manutenzione imposte da disposizioni, anche penali, dettate
per prevenire fatti pericolosi e dal principio generale del
neminem laedere. — Cass. 5-4-2011, n. 7699, rv. 617516.
2054 • Circolazione di veicoli
• In tema di legittimazione attiva alla domanda di
danni derivati da circolazione stradale, il diritto al risar-
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cimento può spettare anche al soggetto non proprietario
che, per circostanze contingenti, si trovi nella detenzione
del bene danneggiato, a condizione che fornisca la dimostrazione di poter risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che
egli abbia all’esercizio di quel potere. A tale scopo non è
sufficiente la prova dell’esistenza d’un titolo che obblighi il
detentore a tener indenne il proprietario del veicolo, ma è
anche necessario provare che in base a quel titolo l’obbligazione è stata adempiuta, sì che il proprietario non possa
pretendere d’essere ancora risarcito dal terzo danneggiante, come nel caso in cui il detentore abbia effettivamente
erogato l’importo necessario per la riparazione del veicolo. — Cass. 14-7-2011, n. 15458, rv. 618560.
2055 • Responsabilità solidale
• Quando il danneggiato da condotte illecite imputabili
a più soggetti esercita l’azione di risarcimento dei danni sofferti cumulativamente nei confronti di tutti, postulandone
la responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 cod. civ., in
mancanza di un’espressa richiesta di accertamento della comune corresponsabilità nella causazione dell’evento e, quindi, del vincolo di solidarietà, la domanda deve
essere intesa soltanto come volta a conseguire il risarcimento da ognuno per l’intero in ragione del contributo causale alla determinazione del danno, mentre l’accertamento del rapporto di concausazione di esso non ne costituisce l’oggetto. Tale accertamento può divenire oggetto
della decisione, con efficacia di giudicato, soltanto se uno
dei convenuti chieda l’accertamento della concausazione
del danno e, quindi, della responsabilità solidale, senza,
peraltro, che rilevi la circostanza che sia contestualmente
richiesto l’accertamento del diverso grado di responsabilità di ciascun condebitore ai fini del regresso. Ne consegue
che, ove la sentenza di primo grado, in mancanza di proposizione di una simile domanda, abbia accertato la responsabilità soltanto di alcuno tra i pretesi corresponsabili, deve considerarsi nuova la domanda con cui il soggetto
di cui sia stata riconosciuta la responsabilità chieda l’accertamento della solidarietà e, quindi, della responsabilità
comune degli altri. — Cass. 31-3-2011, n. 7441, rv. 617520.
2056 • Valutazione dei danni
• L’accoglimento della domanda di risarcimento del
danno da lucro cessante o da perdita di chance esige la
prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un
pregiudizio economicamente valutabile. Pertanto, nel caso
di richiesta risarcitoria per morte da fatto illecito avanzata dal
coniuge superstite, quest’ultimo, pur non essendo obbligato a fornire la prova rigorosa dello stabile contributo economico ricevuto dal consorte defunto, non è tuttavia esonerato dall’indicare al giudice gli elementi da cui possa dedursi
la perdita di prestazioni o vantaggi connessi all’esistenza in
vita della vittima. — Cass. 13-7-2011, n. 15385, rv. 618605.
• La condotta del giudice dell’esecuzione che, erroneamente dichiarando estinto il processo esecutivo, consenta al debitore esecutato di spogliarsi dei beni pignorati sottraendoli all’esecuzione, comporta per il creditore procedente un danno risarcibile, il quale consiste in una mera
perdita di chance, se i beni inutilmente pignorati non erano i soli su cui il creditore poteva soddisfarsi, e nella perdita del ricavato eventuale della vendita coattiva (danno
futuro, di lucro cessante), nel caso contrario. — Cass. 146-2011, n. 12960, rv. 618304.
• Nel caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale diverso ed ulteriore rispetto alla sofferenza morale (cd. danno da rottura del rapporto parentale) non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma
esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell’attore allegare e
provare. Tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere
enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non adeguatamente adempiuto il
suddetto onere di allegazione da parte dei genitori di persona deceduta in un sinistro stradale che avevano domandato il ristoro — in aggiunta al danno morale — anche del
danno cd. esistenziale, allegando a fondamento di tale pretesa la perdita «del piacere di condividere gioie e dolori col
figlio» e dei «riti del vivere quotidiano, quali potevano essere il cinema assieme alla sera, l’alternarsi alla guida della macchina, le vacanze, le telefonate durante la giornata,
il caffè appena svegli, il pranzo, la cena, i regali inattesi»).
— Cass. 13-5-2011, n. 10527, rv. 618210.
• Il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, come il convivente more uxorio ed il figlio
naturale non riconosciuto, a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame
affettivo tra essi e la vittima assimilabile al rapporto coniugale. — Cass. 7-6-2011, n. 12278, rv. 618134.
• Le «tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica» predisposte dal Tribunale di Milano costituiscono
valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., là dove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere
la relativa variazione in aumento o, per le lesioni di lievi
entità conseguenti alla circolazione, in diminuzione, con
la conseguenza che risulta incongrua la motivazione della sentenza di merito che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui si giungerebbe mediante l’applicazione dei parametri recati dall’anzidette «tabelle» milanesi. Ove, peraltro, si tratti di dover risarcire anche i cd.
«aspetti relazionali» propri del danno non patrimoniale, il
giudice è tenuto a verificare se i parametri delle tabelle in
concreto applicate tengano conto (come accade per le citate «tabelle» di Milano) pure del cd. «danno esistenziale»,
ossia dell’alterazione/cambiamento della personalità del
soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell’esistenza, e cioè in radicali cambiamenti di vita, dovendo in
caso contrario procedere alla cd. «personalizzazione», riconsiderando i parametri anzidetti in ragione anche di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l’integralità
del ristoro spettante al danneggiato. — Cass. 30-6-2011,
n. 14402, rv. 618049.
• Nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una
adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma
anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol
perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce
tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso
già ampiamente diffuso sul territorio nazionale — e al quale
la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza,
in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui
agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. —, salvo che non sussistano
in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono.
L’applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata
sulla base dell’applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione
di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel
giudizio di merito. — Cass. 7-6-2011, n. 12408, rv. 618048.
• In tema di risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all’illecito sfruttamento del diritto d’autore, ai
fini della valutazione equitativa del danno determinato
dalla perdita del vantaggio economico che il titolare del
diritto avrebbe potuto conseguire se avesse ceduto a titolo oneroso i diritti dell’opera, si può ricorrere al parametro costituito dagli utili conseguiti dall’utilizzatore abusivo, mediante la condanna di quest’ultimo alla devoluzione degli stessi a vantaggio del titolare del diritto. Con tale
criterio, la quantificazione del risarcimento, più che ripri-
41
stinare le perdite patrimoniali subite, svolge una funzione parzialmente sanzionatoria, in quanto diretta anche ad
impedire che l’autore dell’illecito possa farne propri i vantaggi. — Cass. 15-4-2011, n. 8730, rv. 617891.
• In sede di definitiva liquidazione dei danni derivanti
da un illecito extracontrattuale (nella specie, diffamazione a mezzo stampa) il giudice, anche d’ufficio, deve tenere conto dell’eventuale avvenuto riconoscimento, in sede
penale, di una somma a titolo di provvisionale, dovendosi
applicare un regime giuridico sostanzialmente coincidente con quello relativo all’imputazione degli acconti versati
nel corso del procedimento civile in favore dei danneggiati. Non rileva, tuttavia, ai fini della detraibilità della provvisionale, l’effettiva riscossione o meno della medesima,
avendo la sentenza penale che la dispone efficacia di titolo
esecutivo del quale il danneggiato può avvalersi per conseguire coattivamente il pagamento spettatogli. — Cass. 243-2011, n. 6739, rv. 617579.
2059 • Danni non patrimoniali
• In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva
non il «nome» assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore («biologico», «morale», «esistenziale»),
ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal
giudice. Si ha, pertanto, duplicazione di risarcimento solo
quando il medesimo pregiudizio sia liquidato due volte,
sebbene con l’uso di nomi diversi. — Cass. 13-5-2011, n.
10527, rv. 618209.
• Anche il soggetto nato dopo la morte del padre naturale, verificatasi per fatto illecito di un terzo durante la
gestazione, ha diritto nei confronti del responsabile al risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e
per i pregiudizi di natura non patrimoniale e patrimoniale
che gli siano derivati. — Cass. 3-5-2011, n. 9700, rv. 617791.
• V. Cass. 7-6-2011, n. 12278, rv. 618134 sub art. 2056.
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Aggiornamento giurisprudenziale
Libro Quinto
Del lavoro
2087 • Tutela delle condizioni di
lavoro
• Il datore di lavoro deve non solo predisporre le
misure necessarie a garantire l’incolumità del lavoratore, ma anche vigilare sulla loro osservanza da parte di
quest’ultimo. Risponde, pertanto, del danno patito dai familiari di una guardia giurata, uccisa da rapinatori mentre
era in servizio di piantonamento ad una banca, la società datrice di lavoro che, pur avendone l’obbligo in base al
contratto collettivo, abbia omesso di dotare la vittima del
giubbotto antiproiettile ovvero abbia omesso di accertarsi
che tale indumento venisse effettivamente indossato. —
Cass. 9-5-2011, n. 10097, rv. 618241.
2099 • Retribuzione
• In tema di incentivi per l’esodo anticipato dal lavoro,
l’accordo collettivo che, mediante la previsione della misura «al netto» di trattamenti incentivanti la risoluzione
anticipata dei rapporti di lavoro (destinati a sopperire per
un certo periodo alla mancanza della normale retribuzione o della pensione), compensi la diversità di disciplina fiscale correlata all’età del lavoratore al momento dell’esodo non si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. atteso che,
nell’ambito dei rapporti di lavoro di diritto privato, la
disciplina contrattuale non è vincolata dal principio di
parità di trattamento. Tale pattuizione, inoltre, è ammissibile, trovando giustificazione, nell’interesse alla funzionalità ed economicità dell’impresa, nell’intento di favorire un più consistente esodo di lavoratori e, nell’interesse
generale dei lavoratori, in quello di assicurare un trattamento economico adeguato per tutti gli interessati, senza
che si ponga in contraddizione — implicando il suddetto
accordo la determinazione per relationem dell’ammontare effettivo o lordo della prestazione — con la disciplina
sulla misura degli oneri fiscali a carico dei lavoratori e sulle modalità della loro riscossione mediante ritenute alla
fonte da parte del datore di lavoro. — Cass. Sez. Un., 8-82011, n. 17079, rv. 618507.
2103 • Mansioni del lavoratore
• Il trasferimento del lavoratore ad una sede di lavoro diversa da quella dove prestava precedentemente
servizio, ove non si ricolleghi all’esercizio, atipico, della potestà disciplinare del datore di lavoro ma a ragioni tecniche ed organizzative, prescinde dalla colpa del dipendente
e dall’osservanza delle garanzie proprie del procedimento
disciplinare. Ne consegue che la legittimità del provvedimento datoriale va valutata alla luce dei limiti posti dall’art.
2103 cod. civ. e, dunque, della necessaria corrispondenza
tra la misura e le finalità tipiche dell’impresa. (Nella specie, relativa al trasferimento del direttore di una filiale di
un istituto di credito in ragione della sua non collaborazione per lo svolgimento di una ispezione presso la sede
da lui diretta, la corte territoriale ha escluso la natura disciplinare del provvedimento attesa l’assenza di ogni preventiva contestazione e la mancata previsione di una simile sanzione nella disciplina collettiva applicabile; la S.C., in
applicazione dell’anzidetto principio, ha rigettato il ricorso). —Cass. 6-7-2011, n. 14875, rv. 617914.
2112 • Mantenimento dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimento
d’azienda
• Gli effetti dell’art. 2112 cod. civ., che regola i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda, si applicano anche nell’ipotesi di retrocessione dell’azienda
affittata, nel senso che il cedente assume, a sua volta, gli
obblighi di mantenimento dell’occupazione derivanti dalla predetta norma, ma ciò presuppone che l’impresa retrocessionaria (cioè originariamente cedente) prosegua, mediante la immutata organizzazione dei beni aziendali, l’attività già esercitata in precedenza, vanificandosi, altrimenti, l’intento perseguito dal legislatore. — Cass. 26-7-2011,
n. 16255, rv. 618728.
• L’art. 2112 cod. civ., nel regolare i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda, trova applicazione
in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sé il cessionario senza soluzione di continuità, anche nel caso di affitto d’azienda; ne deriva che l’obbligazione dell’azienda
affittuaria, come avviene per gli altri casi di cessione, si risolve in un impegno sine die di mantenimento dell’occupazione dei dipendenti trasferiti, che, una volta assunto, non
può essere eluso semplicemente con la formale restituzione
dell’azienda, per cessazione del rapporto di affitto, quando
risulti che invece l’attività della impresa cedente era definitivamente cessata, mentre quella dell’azienda affittuaria
era continuata. — Cass. 26-7-2011, n. 16255, rv. 618727.
• Ai fini della disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ., non
integra la fattispecie «trasferimento d’azienda» l’assegnazione da parte della F.I.G.C. ad una diversa società, nel
caso di esclusione di una società calcistica professionista
dal campionato di serie A o B o C1, del solo titolo sportivo necessario per partecipare ad un campionato di serie immediatamente inferiore (inteso come riconoscimento delle condizioni tecnico-sportive che consentono la partecipazione ad esso), ma è necessario, a tal fine, che vi sia
anche il trasferimento dall’una all’altra società dell’organizzazione di mezzi e servizi necessari per lo svolgimento
dell’attività sportiva. — Cass. 8-7-2011, n. 15094, rv. 618623.
• L’incorporazione di una società in un’altra è assimilabile al trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112
cod. civ., con la conseguente applicazione del principio
statuito dalla citata norma secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto
di lavoro presso l’azienda cedente solamente nel caso in
cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente ed
in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche
se più sfavorevole, la cui incidenza non è preclusa rispetto
a coloro che non abbiano ancora maturato i requisiti per
l’attribuzione di un diritto previsti dalle precedenti disposizioni collettive. — Cass. 13-5-2011, n. 10614, rv. 617401.
2119 • Recesso per giusta causa
• In tema di licenziamento disciplinare o per giusta
causa, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti non va operata in astratto ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla
qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al
grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del
dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia
alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensità
dell’elemento intenzionale o di quello colposo. (Principio
affermato ai sensi dell’art. 360 bis, comma 1, cod. proc.
civ.). — Cass. 26-7-2011, ord. 16283, rv. 618688.
• Nella valutazione della gravità dell’inadempimento
ascritto al lavoratore, e della conseguente proporzionalità tra inadempimento e irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento, correttamente il giudice di
merito ritiene adeguata tale misura nel caso in cui il lavoratore abbia fatto uso di documenti falsificati per ottenere rimborsi non dovutigli, trattandosi di condotta di per sé
grave e che mina il rapporto fiduciario tra le parti del contratto di lavoro. — Cass. 21-6-2011, n. 13574, rv. 617908.
• Costituisce giusta causa di recesso del preponente
dal contratto di agenzia stipulato con una società di capitali la circostanza che uno dei soci di quest’ultima, in grado di influenzarne la condotta, abbia tenuto un comportamento riprovevole tale da minare la fiducia del preponente, a nulla rilevando che tale condotta sia stata tenuta nell’ambito di un diverso rapporto di agenzia, direttamente intercorrente tra il socio ed il preponente, giacché
la giusta causa di recesso dipende dalla violazione del dovere di correttezza dell’agente, il quale è tenuto a mantenere la propria organizzazione aziendale al riparo dall’ingerenza del soggetto che ha mostrato, sia pure in altro
contesto, di non essere affidabile. (In applicazione di tale
principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con
la quale era stato ritenuto legittimo il recesso di una società di assicurazioni dal rapporto di agenzia con una società uno dei cui soci, quando era anch’egli agente della
medesima società, aveva sottratto denari a lui affidati dai
clienti per un rilevantissimo importo). — Cass. 4-5-2011,
n. 9779, rv. 617899.
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2135 • Imprenditore agricolo
• L’allevamento di cavalli da polo non rientra
nell’esercizio normale dell’agricoltura ai sensi dell’art.
2135 cod. civ. e, per la sua autonomia rispetto allo sfruttamento del terreno, non presenta alcun collegamento con
l’utilizzazione del fondo secondo la pratica agricola e zootecnica. Ne consegue che la controversia avente ad oggetto
la restituzione di un fondo ceduto in affitto per la suddetta attività non può qualificarsi affitto agrario ma concerne,
invece, un normale rapporto locativo devoluto alla competenza del tribunale ordinario e non delle sezioni specializzate agrarie. — Cass. 12-7-2011, ord. 15333, rv. 618642.
2203 • Preposizione institoria
• L’attività posta in essere dalle filiali o succursali di
una banca, in quanto prive di personalità giuridica, così
come indicato nella Direttiva CEE n. 780 del 12 dicembre
1977 ed espressamente ribadito dall’art. 1, lett. e) del d.lgs.
1 settembre 1993, n. 385, deve essere imputata all’istituto di credito di cui costituiscono un’emanazione periferica, non essendo tali stabilimenti sottratti al regime generale delle sedi secondarie delle imprese operanti in forma societaria. Ai dirigenti preposti a tali filiali e succursali, peraltro, è, di regola, riconosciuta la qualità di institore, ai sensi dell’art. 2203 cod. civ., dalla quale deriva
la loro legittimazione attiva e passiva in giudizio in nome
della banca preponente con imputazione a quest’ultima
dell’attività giudiziaria da essi svolta. — Cass. 19-4-2011,
n. 8976, rv. 617894.
2233 • Compenso
• Il compenso dovuto all’avvocato che abbia difeso un solo cliente dalle identiche domande proposte da
più attori va determinato sulla base non del valore cumulato delle varie domande, ma sulla base del valore di una
sola domanda maggiorato del 20% per ciascuna domanda, fino ad un massimo di dieci (ovvero del 5% per ciascuna domanda oltre la decima, fino ad un massimo di venti), in applicazione analogica del criterio previsto dall’art.
5 del d.m. 5 ottobre 1994 n. 585, per l’ipotesi dell’avvocato che assista più parti aventi un’identica posizione processuale. — Cass. 28-4-2011, n. 9488, rv. 617713.
2236 • Responsabilità del prestatore d’opera
• L’omessa comunicazione al cliente dell’avvenuta
notificazione della sentenza di condanna (nella specie, al
pagamento delle spese processuali per il rigetto della domanda di risarcimento danni a seguito di sinistro stradale), fino a far decorrere il termine per impugnare, costituisce grave negligenza e fonte di responsabilità professiona-
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le. (Nella specie, la S.C. ha cassato, per vizio di motivazione, la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza della responsabilità professionale del difensore in forza
dell’apodittica affermazione che non sussistevano ragioni
sufficienti «a rendere accoglibile un’impugnazione, sia in
fatto sia in diritto»). — Cass. 12-4-2011, n. 8312, rv. 618004.
• In tema di responsabilità professionale dell’avvocato, la mancata indicazione al giudice delle prove indispensabili per l’accoglimento della domanda costituisce, di per sé, manifestazione di negligenza del difensore,
salvo che egli dimostri di non aver potuto adempiere per
fatto a lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che, nella particolare contingenza, gli potevano essere
ragionevolmente richieste, tenuto conto, in ogni caso, che
rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo
la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, ma anche che il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, né gli elementi
che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice,
così da rendere necessario che egli, per l’appunto, sia indirizzato e guidato dal difensore, il quale deve fornirgli tutte le informazioni necessarie, pure al fine di valutare i rischi insiti nell’iniziativa giudiziale. (Nella specie, la S.C. ha
cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità professionale del difensore — il quale, in un giudizio risarcitorio a seguito di sinistro stradale, aveva chiesto fissarsi l’udienza di precisazione delle conclusioni senza aver dato corso alle prove sulle modalità del fatto, sulla responsabilità e sull’entità dei danni — reputando, erroneamente, che gravasse sul cliente l’onere di provare di
aver fornito al difensore la lista testimoniale, là dove, invece, era onere di quest’ultimo dimostrare di aver sollecitato adeguatamente il cliente a siffatta comunicazione).
— Cass. 12-4-2011, n. 8312, rv. 618003.
2237 • Recesso
• Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale
(nella specie, tra architetti ed una società privata), quando esista una valida intesa fra le parti per determinare
convenzionalmente il compenso, la pattuizione resta valida anche nel caso di recesso del committente, con l’unica conseguenza della riduzione del corrispettivo pattuito
per l’intera opera, in proporzione della parte realizzata;
né possono applicarsi le disposizioni dell’art. 10 della legge 2 marzo 1949, n. 143, circa la maggiorazione del venticinque per cento del compenso, operando le stesse solo in
mancanza di determinazione pattizia. — Cass. 11-7-2011,
n. 15206, rv. 618657.
2247 • Contratto di società
• Nella società per azioni, la verifica della sussistenza dello scopo di lucro — il quale consiste non solo nel
perseguimento di un utile (cosiddetto lucro oggettivo), ma
anche nella volontà di ripartirlo tra i soci (cosiddetto lu-
cro soggettivo) — deve avvenire con esclusivo riferimento al contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto iscritti
nel registro delle imprese, mentre resta irrilevante l’eventuale sussistenza di elementi di fatto esterni, antecedenti o successivi alla stipula dell’atto, integranti indici di una
volontà dei soci difforme da quella manifestata negli atti
pubblicati, ed inammissibile, una volta avvenuta l’iscrizione, l’interpretazione dell’atto costitutivo condotta secondo
il criterio della comune intenzione dei contraenti, dovendo al contrario essa basarsi su criteri obiettivi. (Nella specie, la C.S. ha ritenuto indici idonei ad escludere lo scopo
di lucro le clausole statutarie di un istituto autonomo per
l’edilizia popolare, costituito in forma di società per azioni e partecipato da un Comune, le quali stabilivano la non
prevedibilità degli utili di bilancio e la devoluzione del patrimonio per il caso di scioglimento della società). — Cass.
16-6-2011, n. 13234, rv. 618267.
2272 • Cause di scioglimento
• Il decreto ingiuntivo pronunciato a carico di una società di persone estende i suoi effetti anche contro i soci illimitatamente responsabili, derivando dall’esistenza dell’obbligazione sociale necessariamente la responsabilità dei singoli soci e, quindi, ricorrendo una situazione non diversa
da quella che, ai sensi dell’art. 477 cod. proc. civ., consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti
diversi dalla persona contro cui è stato formato e risolvendosi, altresì, l’imperfetta personalità giuridica della società
di persone in quella dei soci, i cui patrimoni sono protetti
dalle iniziative dei terzi solo dalla sussidiarietà, mentre la
pienezza del potere di gestione in capo ad essi finisce con
il far diventare dei soci i debiti della società; ciascun socio, pertanto, ha l’onere di proporre opposizione contro
detto titolo, con la conseguenza che, in difetto, in ragione
della conseguita definitività del provvedimento monitorio
anche nei confronti del socio, questi non può più opporre
l’eventuale prescrizione maturata in precedenza. — Cass.
24-3-2011, n. 6734, rv. 617488.
2288 • Esclusione di diritto
• La dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone determina la sua esclusione di diritto dalla società, ai sensi
dell’art. 2288 cod. civ. — applicabile, come nella specie,
ex art. 2293 cod. civ. alla società in nome collettivo — e
tuttavia la revoca di tale dichiarazione di fallimento produce la reviviscenza della predetta qualità con effetti ex
tunc, quando lo scioglimento del vincolo sociale particolare, pur riferibile al momento dell’originaria dichiarazione
di fallimento, non sia seguito dal completo esaurimento,
ex art. 72 legge fallim., del rapporto societario pendente
mediante la liquidazione della quota societaria stessa ovvero, per la società costituita da due soci, come nella specie, mediante la liquidazione della società, ex art. 2272
n. 4 cod. civ.; ne consegue che, non verificandosi alcuno
dei predetti eventi, il socio risponde anche dei debiti della società sorti durante il periodo in cui egli è restato assoggettato al fallimento poi revocato. — Cass. 24-3-2011,
n. 6734, rv. 617487.
2289 • Liquidazione della quota del
socio uscente
• Nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, perfezionatosi prima del verificarsi
di una causa di scioglimento della società, al socio uscente spetta la liquidazione della sua quota, ai sensi dell’art.
2289 cod. civ., e non la quota di liquidazione risultante
all’esito del riparto fra tutti i soci, in quanto il presupposto
per l’assorbimento del procedimento di liquidazione della quota del socio in quello di liquidazione della società è
costituito dalla coincidenza sostanziale tra i due, la quale
sussiste solo ove il primo attenga ad un diritto non ancora definitivamente acquisito, quando si verifichino i presupposti per l’apertura del secondo. — Cass. 27-4-2011, n.
9397, rv. 617808.
2313 • Nozione
• Il titolo esecutivo conseguito nei confronti di una società di persone abilita il creditore ad agire direttamente in
via esecutiva anche contro i soci illimitatamente responsabili e, di conseguenza, il mandato ad litem conferito per il
giudizio di cognizione intrapreso nei confronti della società si estende anche al precetto intimato nei confronti di
uno dei detti soci. — Cass. 23-5-2011, n. 11311, rv. 618154.
2318 • Soci accomandatari
• In tema di amministrazione nella società in accomandita semplice, per effetto della regola per cui l’amministratore non può che essere un socio accomandatario,
l’eventuale esclusione di questi dalla società, non diversamente da qualsiasi altra causa di scioglimento del rapporto sociale a lui facente capo, ne comporta ipso jure anche
la cessazione dalla carica di amministratore, mentre non
è predicabile il contrario, ben potendo sussistere, in tale
compagine, anche soci accomandatari che non siano amministratori, come desumibile dall’art. 2318 cod. civ.; ne
consegue che le questioni dell’esclusione del socio (nella
specie, ritenuta dal giudice di merito di competenza degli
arbitri, in forza di clausola compromissoria prevista nell’atto costitutivo) e della revoca dell’amministratore per giusta causa (nella specie, oggetto di contestazione promossa
dall’interessato avanti al giudice e culminata in pronuncia
di illegittimità dell’atto) restano distinte e non sovrapponibili, per disciplina legale e presupposti differenti, essendo l’eventuale revoca dalla carica di amministratore non
incidente sulla qualità di socio dello stesso. — Cass. 2-32009, n. 5019, rv. 618179.
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• In tema di controversie tra soci di una società in accomandita semplice, per le quali l’atto costitutivo preveda, con clausola compromissoria, la conseguente devoluzione ad arbitri, sussiste la legittimazione in capo al socio escluso (nella specie con delibera, assunta dai soci accomandanti) a promuovere il procedimento arbitrale, volto a contestare la legittimità della privazione di tale qualità, giacché, trattandosi dell’esercizio di un potere che pur
dipende dal citato status, esso non può essere negato al
socio la cui qualifica sia venuta meno per diretta conseguenza proprio dell’atto che intende impugnare, posto che
la legittimazione sta o cade a seconda che la delibera impugnata risulti o meno legittima e della quale il socio vorrebbe veder eliminati gli effetti tramite lo strumento di reazione apprestato dall’atto costitutivo. — Cass. 2-3-2009,
n. 5019, rv. 618178.
2323 • Cause di scioglimento
• Nella società in accomandita semplice, in caso di sopravvenuta mancanza di tutti i soci accomandatari, l’art.
2323 cod. civ., nel prevedere la sostituzione dei soci venuti meno e la nomina in via provvisoria di un amministratore per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione, esclude implicitamente la possibilità di riconoscere
al socio accomandante, ancorché unico superstite, la qualità di rappresentante della società per il solo fatto di aver
assunto in concreto la gestione sociale, posto che l’ingerenza del socio accomandante nell’amministrazione, pur
comportando la perdita della limitazione di responsabilità ai sensi dell’art. 2320 cod. civ., non determina l’acquisto, da parte sua, del potere di rappresentanza della società. — Cass. 7-7-2011, ord. 15067, rv. 618597.
2359 • Società controllate e società
collegate
• A norma dell’art. 2359, terzo comma, cod. civ., si
considerano collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole; tale situazione —
che la norma considera presunta ove nell’assemblea ordinaria possa essere esercitato almeno un quinto dei voti
ovvero un decimo, se si tratta di società quotate in borsa
— può sussistere anche in presenza di società a ristretta
base azionaria e familiare, in virtù del vincolo di complicità che — secondo l’id quod plerumque accidit — connota i rapporti dei parenti di primo e secondo grado, facendone derivare intese dirette a realizzare finalità comuni. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso tale collegamento in presenza di
due società, appartenenti a soggetti legati da vincolo di
parentela entro il secondo grado, nelle quali uno stesso
componente era titolare di un quinto del capitale di una
delle società e, assieme al proprio padre, del novantacinque per cento del capitale dell’altra). — Cass. 1-4-2011,
n. 7554, rv. 617707.
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2392 • Responsabilità verso la società
• In tema di azione di responsabilità promossa dal
curatore fallimentare contro gli ex amministratori e sindaci della società fallita, compete a chi agisce dare la prova dell’esistenza del danno, del suo ammontare e del fatto
che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un
determinato soggetto, potendosi configurare un’inversione dell’onere della prova solo quando l’assoluta mancanza ovvero l’irregolare tenuta delle scritture contabili rendano impossibile al curatore fornire la prova del predetto nesso di causalità; in questo caso, infatti, la citata condotta, integrando la violazione di specifici obblighi di legge in capo agli amministratori, è di per sè idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio. (Nell’affermare detto principio, la S.C. ha escluso la responsabilità degli organi societari perché, nella specie, i libri sociali non potevano dirsi totalmente assenti e la documentazione, benché
incompleta e idonea a determinare l’inattendibilità dei bilanci e dei conti profitti e perdite, non era tale da precludere al curatore la possibilità di provare il nesso di causalità
tra il comportamento omissivo degli amministratori ed il
citato pregiudizio). — Cass. 4-4-2011, n. 7606, rv. 617663.
2393 • Azione sociale di responsabilità
• A norma dell’articolo 2393 cod. civ. compete esclusivamente all’assemblea dei soci il potere di deliberare
sia il promovimento dell’azione sociale di responsabilità
sia la rinuncia all’esercizio di tale azione, sia la transazione. Pertanto, la rinuncia o la transazione effettuata dal
nuovo amministratore (o dal legale rappresentante della
società) senza la preventiva delibera assembleare è affetta non da mera inefficacia, secondo la disciplina dell’atto posto in essere dal rappresentante senza poteri, ovvero da mera annullabilità, in base alle regole sul difetto di
capacità a contrattare, ma da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile
d’ufficio, atteso che detta delibera assembleare costituisce
modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti. —
Cass. 7-7-2011, n. 14963, rv. 617769.
2395 • Azione individuale del socio
e del terzo
• In tema di società, l’azione promossa individualmente dal socio nei confronti degli amministratori, ai
sensi dell’art. 2395 cod. civ., richiede la realizzazione
di un danno diretto alla sfera giuridico-patrimoniale
del singolo socio danneggiato. Ne consegue che costituiscono condotte in relazioni alle quali difetta il carattere
del danno diretto richiesto dalla norma indicata quelle degli amministratori che abbiano impedito il conseguimen-
to di utili, danneggiato il patrimonio della società e reso
impossibile la liquidazione delle quote sociali, trattandosi di comportamenti dolosi o colposi che colpiscono in via
diretta esclusivamente la società, avendo un effetto solo
riflesso sui soci. — Cass. 22-3-2011, n. 6558, rv. 617548.
2495 • Cancellazione della società
• La disciplina di cui all’art. 2495 cod. civ. (nel testo
introdotto dall’art. 4 del d.lgs. n. 6 del 2003), secondo la
quale l’iscrizione della cancellazione delle società di capitali e delle cooperative dal registro delle imprese, avendo
natura costitutiva, estingue le società, anche se sopravvivono rapporti giuridici dell’ente, non è estensibile alle vicende estintive della qualità di imprenditore individuale,
il quale non si distingue dalla persona fisica che compie
l’attività imprenditoriale, sicché l’inizio e la fine della qualità di imprenditore non sono subordinati alla realizzazione di formalità, ma all’effettivo svolgimento o al reale venir meno dell’attività imprenditoriale. — Cass. 4-5-2011,
n. 9744, rv. 618015.
2533 • Esclusione del socio
• In tema di società cooperative, l’inadempimento che giustifica l’esclusione del socio lavoratore ai sensi dell’art. 2533 cod. civ. deve essere qualificato in termini di specifica gravità e presuppone, pertanto, anche
una valutazione del tempo trascorso fra la mancanza addebitata e la reazione da parte della società recedente, dovendosi ritenere non conforme ai criteri legali, anche alla
luce delle regole di buona fede e correttezza, l’esclusione
disposta a notevole distanza di tempo dai fatti addebitati, mentre resta escluso che nella clausola che sanziona la
«violazione dello spirito mutualistico e solidaristico della
cooperativa» sia ascrivibile la tutela in giudizio dei diritti
del socio, salvo che si dimostri che la tutela giudiziaria fosse strumentale al perseguimento di finalità indebite, del
tutto estranee alla legittima (anche se eventualmente infondata nel merito) protezione dei propri interessi giuridici. — Cass. 5-7-2011, n. 14741, rv. 617912.
2549 • Nozione
• Il contratto di associazione in partecipazione, che
si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di
utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un
suo affare all’altro (associato) e l’apporto da quest’ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, né
la comunanza dell’affare o dell’impresa, i quali restano di
esclusiva pertinenza dell’associante. Ne deriva che soltanto l’associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza
alcuna partecipazione diretta ed immediata dell’associato,
il quale può pretendere unicamente che gli sia liquidata
e pagata una somma di denaro corrispondente alla quo-
ta spettante degli utili e all’apporto, ma non che gli sia attribuita una quota degli eventuali incrementi patrimoniali, compreso l’avviamento, neppure se ciò le parti abbiano
previsto nel contratto, in quanto una clausola di tal fatta
costituisce previsione tipica dello schema societario, come
tale incompatibile con la figura disciplinata dagli artt. 2549
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e segg. cod. civ., con la conseguenza che al contratto complesso, in tal modo configurabile, deve applicarsi soltanto
la disciplina propria del contratto di associazione in partecipazione, ove sia accertato che la funzione del medesimo sia quella in concreto prevalente. — Cass. 24-6-2011,
n. 13968, rv. 618514.
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Libro Sesto
Della tutela dei diritti
2643 • Atti soggetti a trascrizione
• Il difetto di trascrizione di un atto non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepito dalla parte interessata a farlo valere in proprio favore. — Cass. 27-5-2011, n.
11812, rv. 618094.
• La servitù volontariamente costituita, per essere
opponibile all’avente causa dell’originario proprietario
del fondo servente, deve essere stata trascritta o espressamente menzionata nell’atto di trasferimento al terzo del
fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra
le parti. — Cass. 28-4-2011, n. 9457, rv. 617690.
2644 • Effetti della trascrizione
• L’erede, continuando la personalità del de cuius, diviene parte del contratto concluso dallo stesso, per cui egli
resta vincolato al contenuto del contratto medesimo, ancorché questo non sia stato trascritto. Pertanto, l’opponibilità
dell’acquisto di un immobile nei confronti dell’erede del
venditore si sottrae, oltre che alle regole dell’art. 2704 cod.
civ. in tema di certezza della data della scrittura privata, anche alle disposizioni dell’art. 2644 cod. civ., circa gli effetti della trascrizione nel rapporto con l’altro acquirente del
bene, per cui la trascrizione dell’acquisto mortis causa operato dall’erede, ai sensi dell’art. 2648 cod. civ., prima della trascrizione dell’atto di disposizione compiuto in vita dal de cuius, vale soltanto agli effetti della continuità delle trascrizioni. Conseguentemente, l’erede non può eccepire l’anteriorità della trascrizione del suo acquisto, al fine di rendere a lui
inopponibile l’atto di disposizione a favore dei terzi compiuto,
in vita, dal de cuius. — Cass. 6-6-2011, n. 12242, rv. 618061.
2657 • Titolo per la trascrizione
• La sentenza di accoglimento della domanda diretta ad
accertare l’avvenuto trasferimento della proprietà di un immobile a mezzo di scrittura privata con firma non autenticata presuppone l’accertamento, con efficacia di giudicato, della autenticità della sottoscrizione di tale scrittura. Ne consegue che, in tale ipotesi, non può essere trascritta la pronuncia giudiziale, in quanto non rientrante in alcune delle fattispecie contenute nell’art. 2643 cod. civ., ma si può procedere
alla trascrizione della scrittura privata ai sensi dell’art. 2657
cod. civ. — Cass. 22-6-2011, n. 13695, rv. 618418.
2663 • Ufficio in cui deve farsi la
trascrizione
• La norma dettata dall’art. 2663 cod. civ. — per la
quale la trascrizione deve essere fatta presso ciascun uffi-
cio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni — ha natura imperativa, con la conseguenza
che la competenza territoriale da essa fissata deve essere
qualificata come assoluta ed inderogabile; pertanto, l’atto
compiuto in violazione della stessa deve essere considerato radicalmente nullo e privo di qualsiasi effetto. — Cass.
6-6-2011, n. 12242, rv. 618062.
2697 • Onere della prova
•In tema di licenziamento per giustificato motivo
oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice — che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. — il controllo in ordine all’effettiva
sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare,
anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di
riassetto. (Nella specie, relativa al licenziamento del responsabile marketing di una società che aveva svolto, ad
interim, anche le mansioni di Capo area estero, il recesso era stato motivato sul presupposto che dette funzioni erano state assunte direttamente dall’amministratore
delegato, indicazione che, in realtà, costituiva la conclusione del processo riorganizzativo e non la ragione dello stesso e, quindi, non poteva assurgere a giustificazione della risoluzione del rapporto). — Cass. 11-7-2011, n.
15157, rv. 618620.
• Nel giudizio promosso dal consumatore, ed avente
ad oggetto il risarcimento del danno da questi patito in
conseguenza di un’illecita intesa restrittiva della concorrenza posta in essere dal professionista, gli atti del procedimento in esito al quale l’Autorità garante per la
concorrenza ed il mercato ha accertato la sussistenza
dell’illecito anticoncorrenziale ed irrogato al professionista una sanzione costituiscono una prova privilegiata, nel senso che al professionista è consentito fornire la
prova contraria dei fatti accertati, senza che sia possibile
nel giudizio civile rimettere in discussione i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione della
normativa in tema di concorrenza in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza di merito con la quale
un assicuratore era stato condannato a restituire all’assicurato una percentuale dei premi riscossi, a titolo di risarcimento del danno scaturito dalla partecipazione dell’impresa assicuratrice ad una intesa concorrenziale, sulla
base dei soli accertamenti compiuti in sede amministrativa dall’Autorità garante della concorrenza). — Cass. 206-2011, n. 13486, rv. 618735.
2700 • Efficacia dell’atto pubblico
• In tema di querela di falso, l’idoneità del documento impugnato ad assumere efficacia di prova privilegiata
costituisce il presupposto necessario del procedimento di
verificazione giudiziale a norma degli artt. 221 e seguenti
cod. proc. civ. Ne consegue che è inammissibile la proposizione della querela avverso la consulenza tecnica d’ufficio, la quale, riguardo alle affermazioni, constatazione o giudizi in essa contenuti, non è munita di pubblica
fede, potendo essere contrastata con tutti i mezzi di prova e non essendo vincolante per il giudice, che può liberamente disattenderla. — Cass. 4-5-2011, n. 9796, rv. 617945.
• L’indicazione in un atto pubblico di dati desunti da altre
risultanze documentali può fare fede fino a querela di falso
relativamente al compimento dell’operazione eseguita, ma
non in ordine alla veridicità del dato richiamato. (Fattispecie relativa a verbale di immissione in possesso che riportava
il dato della superficie catastale dell’area ablata, senza dare
atto delle verifiche effettuate per accertarne la corrispondenza alla realtà). — Cass. 27-4-20110 n. 9380, rv. 617982.
2703 • Sottoscrizione autenticata
• In tema di azione revocatoria ordinaria, esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 66 legge fall.,
e nella specie avente ad oggetto la vendita di un immobile da parte del fallito, la prova, invocata dall’acquirente e
relativa alla simulazione del prezzo, non può fondarsi su
scrittura privata, asseritamente redatta tra le parti originarie del contratto ed autenticata da un funzionario di
fatto o apparente, nella specie un impiegato pubblico comunale già in pensione all’epoca indicata come data dell’atto. L’esigenza di tutela del legittimo affidamento del privato che in buona fede abbia avuto rapporti con il predetto
funzionario, in realtà privo del potere esercitato in nome e
per conto dell’ente pubblico, permette, infatti, la salvezza
in via eccezionale degli atti da questi computi solo allorché
l’investitura del funzionario si sia palesata ex post irregolare
od inefficace e, in ogni caso, unicamente con riguardo agli
effetti favorevoli dell’attività posta in essere che il privato
invochi a proprio vantaggio nei confronti della P.A. stessa;
ne consegue che, operando l’attività di autenticazione delle
firme apposte su scritture private su di un piano totalmente diverso e non derivando da essa alcun effetto favorevole
al privato sottoscrittore nei confronti della P.A., non si può
prescindere dal rispetto delle forme richieste dalla scrittura, destinata ad attribuire valore di prova documentale, anche verso i terzi, dell’atto, e dunque dalla effettiva qualità di
pubblico ufficiale, a ciò espressamente autorizzato, del soggetto che la compie. — Cass. 27-4-2011, n. 9385, rv. 618042.
2709 • Efficacia probatoria contro
l’imprenditore
• Gli artt. 2709 e 2710 cod. civ., che conferiscono efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti
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all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti, non
trovano applicazione nei confronti del curatore del fallimento, il quale agisca non in via di successione in un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua
funzione di gestione del patrimonio di costui, non potendo
egli, in tale sua veste, essere annoverato tra i soggetti considerati dalle norme in questione, operanti solo tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d’impresa; ne consegue che, nel giudizio di opposizione
allo stato passivo, non assumono la predetta efficacia probatoria le fatture cui si riferiscono i crediti oggetto di domanda di ammissione al passivo da parte di un imprenditore. — Cass. 9-5-2011, n. 10081, rv. 617995.
2710 • Efficacia probatoria imprenditori
• In tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse
in conto corrente bancario dell’imprenditore poi fallito, la
banca che eccepisce la natura non solutoria della rimessa,
per l’esistenza alla data della stessa di un contratto di apertura di credito, non può fondare la relativa prova sulle sole
risultanze dell’astratto del libro fidi, il quale, al più, attesta
l’esistenza della delibera della banca alla concessione di un
finanziamento; né tale conclusione viola l’art. 2710 cod. civ.
— il quale dispone che i libri bollati e vidimati nelle forme
di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare
prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio
dell’impresa — presupponendo l’applicazione della norma in parola che le risultanze delle quali la parte intende
avvalersi siano contenute in uno dei lavori contabili obbligatori (circostanza, questa, nella specie, non risultante e
neppure dedotta). — Cass. 20-6-2011, n. 13445, rv. 618398.
2727 • Nozione
• La morte di una persona cara costituisce di per
sé un fatto noto dal quale il giudice può desumere, ex
art. 2727 cod. civ., che i congiunti dello scomparso abbiano patito una sofferenza interiore tale da determinare un’alterazione della loro vita di relazione e da indurli
a scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto, sicché nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale incombe al danneggiante dimostrare l’inesistenza di tali pregiudizi. — Cass. 13-5-2011,
n. 10527, rv. 618208.
2744 • Divieto del patto commissorio
• La norma di legge straniera (nella specie, inglese), che
ammetta l’acquisto di un bene in conseguenza di un patto commissorio, non è contraria all’ordine pubblico internazionale, ai sensi dell’art. 16 della legge 31 maggio 1995,
n. 218, in quanto il relativo divieto non rientra fra i relativi principi fondanti l’ordine pubblico internazionale, come
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risulta dalla circostanza che il patto commissorio non è conosciuto, né vietato in una parte rilevante dell’Unione europea; né l’art. 2744 cod. civ. costituisce norma di applicazione
necessaria, tali essendo quelle spazialmente condizionate e
funzionalmente autolimitate — e, perciò solo, destinate ad
applicarsi, nonostante il richiamo alla legge straniera — quali, tra le altre, le leggi fiscali, valutarie, giuslavoristiche, ambientali. — Cass. Sez. Un., 5-7-2011, n. 14650, rv. 618434.
2751bis • Crediti per retribuzioni
e provvigioni, crediti dei coltivatori diretti, delle società od enti cooperativi e delle imprese artigiane
• La surroga del Fondo di garanzia gestito dall’Inps, ai sensi dell’art. 2, settimo comma, della legge n. 297
del 1982, nel privilegio spettante al lavoratore, ai sensi
degli artt. 2751bis e 2776 cod. civ., consente al medesimo Fondo di essere ammesso nella procedura fallimentare nella stessa posizione che avrebbe assunto il lavoratore e, quindi, non in maniera integrale, ma comprendendo nel credito privilegiato solo gli interessi maturati fino
alla vendita nonché la rivalutazione monetaria maturata
fino al momento in cui lo stato passivo diventa definitivo,
con esclusione degli interessi e della rivalutazione maturati
successivamente. — Cass. 27-7-2011, n. 16447, rv. 618721.
• In tema di privilegio generale sui beni mobili, dovuto
sui compensi per le prestazioni professionali rese dall’avvocato, il limite temporale stabilito dall’art. 2751bis, n. 2,
cod. civ. — che riconosce detto privilegio ai crediti sulle retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera intellettuale per gli ultimi due anni di prestazione — va
inteso nel senso che, mentre per gli onorari si tiene conto
del momento in cui la prestazione professionale, unitariamente considerata, è stata portata a termine, sebbene alcune attività siano state svolte in epoca anteriore al biennio,
purché risultino tra loro collegate, in quanto espressione del
medesimo incarico, per i diritti, che maturano con il compimento delle singole prestazioni, la liquidazione va fatta
in base alla tariffa vigente a quel momento, poiché per essi
deve tenersi conto soltanto di quelle poste in essere nel periodo in questione. — Cass. 13-5-2011, n. 10658, rv. 618126.
2847 • Durata dell’efficacia del­l’i­
scrizione
• In tema di iscrizione ipotecaria, la previsione della sua durata ventennale — stabilita dall’art. 2847 cod.
civ. a seguito della formalità adempiuta ai sensi dell’art.
2808 cod. civ. con riguardo all’iscrizione nei registri immobiliari — attiene solo al profilo dell’efficacia, implicando
che l’omesso rinnovo della predetta iscrizione nel ventennio non estingue né il titolo ipotecario, né il diritto di credito garantito, ben potendo infatti lo stesso creditore, ex
art. 2848 cod. civ., procedere a nuova iscrizione, sulla base
del medesimo titolo e sia pur con il solo limite della presa
di grado dal successivo adempimento e senza pregiudizio
delle ragioni dei terzi acquirenti di trascrizione anteriore;
né in materia opera l’istituto della prescrizione e dunque
dell’ipotizzabilità della interruzione, con riguardo all’apertura del fallimento, essendo sufficiente, perché la garanzia
giovi al creditore, che questi abbia richiesto l’ammissione
al passivo del proprio credito, senza che, alla data della domanda, l’iscrizione stessa abbia superato il ventennio, permanendo tale efficacia per tutto il corso della procedura,
fino alla fase del riparto dell’attivo compresa. — Cass. 1-42011, n. 7570, rv. 617659.
2901 • Condizioni
• Il terzo subacquirente di un immobile può intervenire nel giudizio promosso ai sensi dell’art. 2901 cod.
civ., nei confronti del suo dante causa e di chi aveva a
questi venduto il bene, non solo per far valere l’insensibilità del proprio acquisto rispetto all’eventuale sentenza di
accoglimento, ma anche per sostenere le ragioni del proprio dante causa rispetto alla domanda revocatoria. Nel
primo caso, il terzo subacquirente assume la veste di interventore autonomo, in quanto fa valere un diritto proprio;
nel secondo assume invece la veste di interventore adesivo dipendente, ed è di conseguenza privo di legittimazione
ad impugnare la sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria, ove il suo dante causa vi abbia prestato acquiescenza. — Cass. 27-5-2011, n. 11858, rv. 618071.
• Non è ammissibile un’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di
apertura del concorso ed il carattere costitutivo della predetta azione; il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile
alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque,
poiché l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei
creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura stessa. (Fattispecie relativa ad azione proposta dal curatore del fallimento di una società nei confronti di altra società fallita e volta alla dichiarazione di revoca di pagamenti fatti da una prima società alla seconda allorché entrambe erano ancora in bonis e alla pronuncia di
condanna alla restituzione della corrispondente somma).
— Cass. 12-5-2011, n. 10486, rv. 618026.
• Qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore promuovere l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. — ricorrendone i presupposti —
nei suoi confronti, a nulla rilevando che i patrimoni degli
altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento. — Cass. 22-3-2011, n. 6486, rv. 617517.
2909 • Cosa giudicata
• Emessa sentenza di condanna contenente più capi
relativi a diverse voci di credito fondate su un identico
titolo, il giudicato interno, formatosi su alcuni di detti capi
per mancata impugnazione dei medesimi, comprende sia
il decisum che la ratio decidendi, perché riguarda non solo
l’attribuzione del bene della vita ma anche tutte le premesse in fatto e in diritto poste a fondamento della pronuncia, con la conseguenza che, divenuto incontestabile l’accertamento di tali premesse, lo stesso non può più essere
rimesso in discussione con l’impugnazione degli altri capi
di condanna, essendo al riguardo ogni questione preclusa. — Cass. 14-7-2011, n. 15508, rv. 618651.
• L’esistenza di un giudicato, anche esterno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d’ufficio, senza che
in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del
giusto processo. (Principio affermato ai sensi dell’art.360bis, primo comma, cod. proc. civ.). — Cass. 6-6-2011, ord.
12159, rv. 618244.
• L’art. 2909 cod. civ., secondo il quale il giudicato si
estende agli eredi e agli aventi causa, riguarda, con riferimento al diritto di proprietà, le sole ipotesi di acquisto
a titolo derivativo. Pertanto, l’intervenuta espropriazione
per pubblica utilità, in corso di giudizio, in quanto acquisto
della proprietà a titolo originario, non soggiace, al giudicato, con la conseguenza che in tale ipotesi risultano inapplicabili gli artt. 110 e 111 cod. proc. civ., non essendosi verificato alcun fenomeno successorio né a titolo universale né
a titolo particolare. — Cass. 2-5-2011, n. 9643, rv. 617885.
2912 • Estensione del pignoramento
• In tema di esecuzione, quando sia autorizzata l’occupazione dell’immobile pignorato da parte di uno solo dei
comproprietari senza il consenso degli altri, il regolamento
dei rapporti tra i comproprietari resta estraneo alla procedura esecutiva; ne consegue che il pignoramento dell’immobile in comproprietà non determina l’estensione del
vincolo, ai sensi dell’art. 2912 cod. civ., anche sull’indennità di occupazione dovuta dal comproprietario occupante nei confronti degli altri, poiché detta indennità
non può essere considerata un frutto dell’immobile pignorato, essendo, invece, un indennizzo finalizzato a perequare la posizione del comproprietario escluso dal godimento del bene stesso. — Cass. 12-4-2011, n. 8298, rv. 617479.
2932 • Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto
• In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita immobiliare, l’effetto traslativo della proprietà del bene può
non essere subordinato all’adempimento anche di obbligazioni accessorie, le quali non incidano in via diretta
sul nesso commutativo, ma ineriscano al regolamento degli effetti ulteriori, ripartendo oneri economici secondari,
connessi e conseguenti al trasferimento del bene (nella specie, attinenti alle spese per l’accatastamento dell’immobi-
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le e per gli allacciamenti delle relative utenze). Ne consegue che l’adempimento di tali obbligazioni può formare
oggetto di domanda autonoma, da proporre nel medesimo
giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di conclusione del contratto o in un diverso giudizio, non costituendo,
in ogni caso, una condizione dell’azione ex art. 2932 cod.
civ. — Cass. 30-6-2011, n. 14453, rv. 618388.
• In tema di inadempimento del contratto preliminare di compravendita immobiliare contenente un termine,
non rispettato alla scadenza, per la stipulazione del definitivo, l’esercizio dell’azione di esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., dell’obbligo di concludere il medesimo, non presuppone necessariamente
la natura essenziale di detto termine, né la previa intimazione di una diffida ad adempiere alla controparte,
essendo sufficiente la sola condizione oggettiva dell’omessa stipulazione del negozio definitivo che determina di per
sé l’interesse alla pronunzia costitutiva, a prescindere da
un inadempimento imputabile alla controparte stessa. —
Cass. 13-5-2011, n. 10687, rv. 618129.
• In tema di contratto preliminare di vendita immobiliare, promosso il giudizio ex art. 2932 cod. civ. per la sua
esecuzione in forma specifica, allorché sopravvenga il decesso di uno dei promittenti venditori, con successione
legittima a favore, fra gli altri, del coniuge poi dichiarato
fallito, si determina un necessario litisconsorzio rispetto a
tutti gli eredi, trattandosi di cause inscindibili; ne consegue che se, come nella specie, il curatore fallimentare in
sede di appello, esercitando la facoltà di scioglimento ex
art. 72 legge fall., abbia omesso di notificare l’atto a tutti
gli eredi, senza che il giudice abbia disposto la obbligatoria integrazione, la successiva sentenza è affetta da nullità, rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità. — Cass.
11-4-2011, n. 8225, rv. 617880.
2933 • Esecuzione forzata degli obblighi di non fare
• In tema di esecuzione coattiva di obblighi di non fare,
l’art. 2933 cod. civ. consente di ottenere il ripristino della
situazione precedente soltanto nei limiti delle statuizioni
contenute nella sentenza di condanna al non facere e, in
caso di non adempimento spontaneo, mediante il procedimento di esecuzione coattiva disciplinato nell’art. 612
cod. proc. civ. Ne consegue che una pronuncia emessa in
sede possessoria che abbia ad oggetto esclusivamente atti
di molestia compiuti su una specifica porzione di terreno
non può, nel procedimento instaurato ai sensi dell’art. 612
cod. proc. civ., essere estesa ad ogni tipo di molestie realizzabili sui fondi, anche diversi da quello indicato nel ricorso possessorio, che si trovino nella disponibilità dei ricorrenti. — Cass. 23-3-2011, n. 6665, rv. 617544.
2935 • Decorrenza della prescrizione
• Con riferimento all’azione di risarcimento per equivalente dei danni cagionati per effetto dello stato di fat-
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to costituito dalla presenza di una sopraelevazione, lesivo di un diritto di superficie, poiché il comportamento dannoso è dato dal mantenimento della situazione di sopraelevazione, quale fonte di questi danni, l’applicazione alla pretesa di risarcimento di tali danni del termine quinquennale
di prescrizione, proprio dell’illecito aquiliano, comporta che
la prescrizione deve ritenersi maturata solo per i danni che
dalla condotta di mantenimento suddetta sono di volta in
volta originati, nel limite del quinquennio dalla loro verificazione. Pertanto, la prescrizione matura, per gli eventuali
danni originatisi immediatamente all’atto del completamento dell’opera di sopraelevazione, con il decorso dei cinque
anni da detto momento, mentre, per i danni via via originatisi successivamente nel tempo, per effetto della permanenza dello stato di sopraelevazione, il termine di prescrizione può dirsi compiuto — in assenza di atti interruttivi — con il decorso di cinque anni dalla loro verificazione
di volta in volta. — Cass. 29-7-2011, n. 16777, rv. 618744.
• L’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art.
2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non
comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le
quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sulla
esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità
del suo accertamento. (Nella specie, relativa alla domanda
diretta ad ottenere le differenze sulla pensione aziendale,
la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto privo di rilievo, ai
fini dell’interruzione della prescrizione, il ricorso già presentato per il conseguimento della superiore qualifica, atteso
che all’epoca non era stato chiesto l’incremento del trattamento pensionistico, restando escluso che assumesse valore impeditivo il ritardo indotto dalla necessità di procedere
all’accertamento del diritto alla maggiore retribuzione). —
Cass. 27-6-2011, n. 14163, rv. 617721.
• Con riguardo all’azione di indebito arricchimento nei
confronti di una P.A., in relazione al vantaggio che essa abbia ricevuto da un’opera realizzata in suo favore, il riconoscimento da parte della stessa P.A., anche in modo implicito, dell’utilità dell’opera realizzata in suo favore ne costituisce il presupposto e, quindi, segna il dies a quo del
termine decennale di prescrizione. — Cass. 14-4-2011, n.
8537, rv. 617416.
2943 • Interruzione da parte del
titolare
• Costituisce efficace atto di costituzione in mora della società che sia stata parte del contratto di compravendi-
ta di un immobile, come tale idoneo ad interrompere il
corso della prescrizione, la richiesta di pagamento della
provvigione mediatoria rivolta a chi ne sia amministratore, se nell’intimazione di pagamento sia contenuto il riferimento alla società che ha acquistato l’immobile ed alla
qualità di amministratore del destinatario della missiva.
— Cass. 21-6-2011, n. 13600, rv. 618734.
• Non può qualificarsi come ricognizione di debito,
attribuendo ad essa gli effetti interruttivi della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 cod. civ., la dichiarazione con cui
l’autore ammetta il fatto costitutivo del credito vantato
dall’altra parte, ma opponga in compensazione integrale dello stesso proprie ragioni creditorie, giacché in tal
caso il dichiarante nega l’attualità del debito e, quindi, di
dover adempiere. — Cass. 17-6-2011, n. 13395, rv. 618316.
2948 • Prescrizione di cinque anni
• In tema di prescrizione del credito, il pagamento
di un acconto su un maggiore credito non comporta necessariamente rinuncia alla prescrizione maturata, ma
può essere interpretato dal giudice di merito, considerate le circostanze del caso, come incompatibile con la volontà di avvalersene, non rilevando che il pagamento sia
stato effettuato dall’organo straordinario di liquidazione
previsto dalla disciplina sul dissesto dei comuni (artt. 76 e
segg. del d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, trasfusi negli artt.
244 e segg. del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), la cui attività è infatti riferibile ex lege all’ente. — Cass. 9-6-2011, n.
12624, rv. 618219.
2952 • Prescrizione in materia di
assicurazione
• In tema di contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato per conto altrui, il termine di prescrizione previsto dal terzo comma dell’art. 2952 cod. civ.
decorre dal giorno in cui il terzo danneggiato rivolge la richiesta di risarcimento al responsabile civile, assicurato ai
sensi dell’art. 1891 cod. civ. — Cass. 13-7-2011, n. 15376,
rv. 618603.
2969 • Rilievo d’ufficio
• Nella fase di ammissibilità dei giudizi promossi per
la responsabilità civile dei magistrati, il giudice è chiamato a valutare, fra l’altro, che la domanda sia stata proposta nei termini di cui all’art. 4 della legge 13 aprile 1988,
n. 117; nello svolgimento di tale compito, egli può rilevare anche d’ufficio l’intervenuta decadenza, trattandosi di
materia sottratta alla disponibilità delle parti. — Cass. 5-52011, n. 9910, rv. 617819.
Codice Penale
2 • Successione di leggi penali
• In tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore
al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali
posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza
definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le
cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, non costituisce un principio dell’ordinamento processuale, nemmeno nell’ambito delle misure cautelari, poiché non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell’ordinamento processuale. (Vedi Corte cost. 14
gennaio 1982, n. 15). — Sez. Un. sent. 27919 del 14-72011 (cc. 31-3-2011) rv. 250196
• L’efficacia diretta nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2008-115 (cosiddetta direttiva rimpatri) impone la disapplicazione dell’art. 14, comma quinto
quater, D.Lgs. n. 286 del 1998 con la stessa incompatibile,
il che determina la sostanziale abolitio del delitto di violazione dell’ordine di allontanamento volontario dal territorio dello Stato, rilevabile dal giudice di legittimità,
ai fini dell’annullamento senza rinvio della sentenza di
condanna per non essere il fatto più previsto come reato, pur se sia intervenuta medio tempore rinuncia al ricorso da parte dell’imputato. (V. Corte di Giustizia UE 28 aprile 2011, El Didri). — Sez. 1 sent. 22105 del 1-6-2011 (cc.
28-4-2011) rv. 249732.
• In tema di impiego di minori nell’accattonaggio, sussiste continuità normativa tra la fattispecie contravvenzionale prevista dall’abrogato art. 671 cod. pen. e la nuova
ipotesi delittuosa di cui all’art. 600octies cod. pen., contestualmente introdotto dalla legge 15 luglio 2009 n. 94,
non essendosi verificata alcuna abolitio criminis, con la
conseguenza che il fatto commesso sotto la previgente disciplina deve essere regolato dalla norma più favorevole
all’imputato. — Sez. 1 sent. 21198 del 26-5-2011 (ud. 233-2011) rv. 250258.
• La disapplicazione della norma incriminatrice di cui
all’art. 14, comma quinto-quater, D.Lgs. 25 luglio 1998, n.
286, conseguente all’efficacia diretta nell’ordinamento interno della Direttiva 2008-115-CE del Parlamento Europeo
e del Consiglio del 16 dicembre 2008 (cosiddetta direttiva
rimpatri), risolvendosi nell’abolitio criminis della fattispecie penale, comporta l’esclusione della recidiva contestata
tenendo conto di tale reato, a seguito del venir meno degli
effetti penali della condanna in base al disposto dell’art.
2, comma secondo, cod. pen. (v. anche Corte Giustizia U.E.,
sentenza 28 aprile 2011, causa C-61-11, El Dridi). — Sez. 3
sent. 20850 del 25-5-2011 (ud. 4-5-2011) rv. 250450.
• Il criterio di ragguaglio di euro 250 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva di cui all’art. 135 cod.
pen. come modificato per effetto dell’art. 3, comma sessantaduesimo, della legge. n. 94 del 2009, non si applica,
ai fini della sostituzione ex art. 53 legge n. 689 del 1981, ai
fatti commessi prima dell’entrata in vigore della predetta
modifica in quanto norma meno favorevole rispetto alla
disciplina pregressa. — Sez. 3 sent. 19725 del 19-5-2011
(ud. 14-4-2011) rv. 250333.
• L’efficacia diretta nell’ordinamento interno della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008115-CE (cosiddetta direttiva rimpatri) impone la disapplicazione dell’art. 14, comma 5ter, D.Lgs. 25 luglio 1998, n.
286, con il conseguente annullamento senza rinvio, per
non essere il fatto più previsto dalla legge come reato, della sentenza di condanna. (V. Corte di Giustizia UE 28 aprile 2011, El Didri). — Sez. 1 sent. 18586 del 11-5-2011 (ud.
29-4-2011) rv. 250233.
• In tema di mandato di arresto europeo, per la sussistenza del requisito della doppia punibilità di cui all’art.
7, L. n. 69-2005 è sufficiente che l’ordinamento italiano
contempli come reato il fatto per il quale la consegna è richiesta al momento della proposizione della domanda da
parte dello Stato di emissione, mentre non è necessaria la
rilevanza penale del medesimo alla data della sua commissione. (Fattispecie in cui la consegna era stata richiesta dalle autorità bulgare per il reato di guida senza patente, commesso in epoca antecedente all’entrata in vigore in Italia del D.L. 3 agosto 2007, n. 117, conv. nella L. 2
ottobre 2007, n. 160). — Sez. 6 sent. 16289 del 22-4-2011
(cc. 19-4-2011) rv. 250043.
• L’assoluzione dal reato di cui all’art. 186, comma
primo, lett. a), Cod. strada (guida in stato di ebbrezza con
tasso alcoolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8),
per depenalizzazione a seguito dell’art. 33, comma quarto, legge 29 luglio 2010, n. 120, non comporta la trasmissione degli atti alla competente autorità amministrativa, in considerazione del principio di legalità-irretroattività, sancito per gli illeciti amministrativi dall’art. 1 L. n. 689
del 1981 richiamato dall’art. 194 Cod. strada, non rinvenendosi nella legge n. 120 del 2010 una apposita previsione che possa far ritenere derogato il suddetto principio. —
Sez. 4 sent. 15617 del 19-4-2011 (ud. 26-1-2011) rv. 249964.
• La modifica di un elemento normativo di natura
extrapenale assume effetto retroattivo solo se il medesimo
integri la fattispecie penale in tal modo venendo a partecipare della natura di questa. (In applicazione del princi-
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Codice penale
Libro Primo
Dei reati in generale
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pio la Corte, in fattispecie di introduzione di armi in area
protetta, ha escluso effetto retroattivo scriminante alla riperimetrazione del parco dell’Aspromonte di cui al d.P.R.
10 luglio 2008, non avendo le disposizioni ivi contenute
natura integratrice del precetto). — Sez. 3 sent. 15481 del
18-4-2011 (ud. 11-1-2011) rv. 250119.
• La confisca obbligatoria del veicolo, prevista per
il reato di guida in stato di ebbrezza, non si applica relativamente ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore
dell’art. 4 D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge
24 luglio 2008, n. 125, che l’ha introdotta. (In motivazione
la Corte ha precisato che la confisca, qualificata come sanzione amministrativa accessoria dalla legge 29 luglio 2010,
n. 120, resta comunque irretroattiva ex art. 1 legge 24 novembre 1981, n. 689). — Sez. 4 sent. 15010 del 13-4-2011
(cc. 21-1-2011) rv. 250222.
• Il sequestro del veicolo per il reato di guida in stato di ebbrezza conserva validità, dopo l’entrata in vigore
della legge n. 120 del 2010 di depenalizzazione della sanzione accessoria della confisca, dovendo soltanto valutarsi, ad opera del giudice penale in forza del principio della
perpetuatio iurisdictionis, la conformità ai requisiti sostanziali di natura amministrativa attualmente necessari, verificando l’esistenza del fumus commissi delicti. — Sez. 4 sent.
15022 del 13-4-2011 (cc. 25-2-2011) rv. 250229.
• La previsione di cui all’art. 93 d.P.R. 9 ottobre 1990
n. 309, sostituito dall’art. 4decies del D.L. 30 dicembre 2005
n. 272, convertito nella L. 21 febbraio 2006 n. 49, circa la
sospendibilità e successiva estinzione anche delle pene pecuniarie, ha natura sostanziale e dunque trova applicazione retroattiva nelle parti favorevoli al condannato. (La
Corte ha così affermato che l’estinzione della pena pecuniaria segue al provvedimento di sospensione che, emesso prima della novella legislativa, aveva riferimento esclusivo alla pena detentiva). — Sez. 1 sent. 14650 del 12-42011 (cc. 1-3-2011) rv. 250260.
• L’errore, anche se colposo, del datore di lavoro circa la regolarità della presenza del lavoratore sul territorio
italiano rileva ai fini dell’esclusione del delitto di assunzione di stranieri privi del permesso di soggiorno, atteso
che il D.L. n. 92 del 2008 ha trasformato tale reato da colposo in doloso. (in motivazione la Corte ha precisato che
il principio, ai sensi dell’art. 2, comma secondo, cod. pen.,
deve considerarsi valido anche in riferimento ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della menzionata modifica legislativa). — Sez. 1 sent. 9882 del 11-3-2011 (ud.
30-11-2010) rv. 249867.
• In tema di patteggiamento, qualora sia sopravvenuta alla decisione impugnata l’abolitio criminis con effetto parzialmente abrogativo ed il giudice di legittimità abbia — avuto riguardo alla formulazione del capo di imputazione o alla motivazione della sentenza impugnata —
ritenuto l’operatività dell’abolitio criminis su alcune delle fattispecie (nella specie bancarotta fraudolenta impropria da reato societario), che abbiano formato oggetto della
sentenza di applicazione della pena su richiesta, ciò comporta che tale patto debba essere sciolto non potendo superare indenne, nella sua globalità, il vaglio del giudice di
legittimità. (Nella specie la S.C., rilevato che dalla formulazione del capo di imputazione o dalla motivazione della
sentenza non risultava che la condotta di falsificazione del
bilancio addebitata all’imputato fosse stata intesa dal titolare dell’azione penale o dal giudice come capace di avere
cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società,
ha ritenuto l’operatività dell’abolitio criminis in ordine al
reato di bancarotta fraudolenta impropria). — Sez. 5 sent.
9651 del 9-3-2011 (cc. 31-1-2011) rv. 249716.
• L’annullamento con rinvio disposto esclusivamente ai
fini della determinazione della pena non impedisce al giudice del rinvio di pronunciare l’assoluzione per insussistenza del fatto qualora sia nelle more sopravvenuta una sentenza della Corte di Giustizia europea che abbia dichiarato
l’incompatibilità con il diritto comunitario della norma
nazionale da cui dipenda l’applicazione della norma incriminatrice. (Fattispecie avente ad oggetto l’annullamento
con rinvio, in relazione esclusivamente al trattamento sanzionatorio, per il reato di vendita di supporti privi di contrassegno Siae che, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee dell’8 novembre 2007 in causa
Schwibert, la Corte ha ritenuto non più costituente reato).
— Sez. 6 sent. 9028 del 8-3-2011 (ud. 5-11-2010) rv. 249680.
• La novella normativa che ha diminuito il minimo
edittale della pena prevista per i reati in materia di detenzione e cessione di stupefacenti (art. 4bis, L. 21 febbraio 2006, n. 49) comporta che il giudice d’appello rimoduli
in senso favorevole al condannato la misura della sanzione
quando il primo giudice, anteriormente alla novella, abbia
determinato la pena in misura pari al minimo edittale. —
Sez. 5 sent. 4790 del 9-2-2011 (ud. 29-10-2010) rv. 249782.
5 • Ignoranza della legge penale
• È inescusabile l’ignoranza, da parte di un ufficiale di
polizia giudiziaria che agisca sotto copertura, dell’ambito
di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art.
97, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 che, al tempo di commissione del fatto, era chiaramente limitato al solo acquisto simulato di sostanze stupefacenti. (La Corte ha aggiunto che
l’inevitabilità dell’errore, peraltro, non si configura quando
l’agente svolge attività in un settore nel quale ha il dovere
di informarsi con diligenza sui limiti dei propri poteri). —
Sez. 3 sent. 18896 del 13-5-2011 (ud. 10-3-2011) rv. 250285.
• L’elemento soggettivo del reato contravvenzionale
non è escluso dall’errore sull’estensione di un’autorizzazione rilasciata per lo svolgimento di un’attività di gestione di rifiuti, perché si tratta di errore sul precetto che non
integra lo stato di «buona fede». — Sez. 3 sent. 11497 del
22-3-2011 (ud. 15-12-2010) rv. 249772.
12• Riconoscimento delle sentenze
penali straniere
• Il riconoscimento di sentenza penale straniera, non
determinando l’esecuzione in Italia della pena relativa,
non è impedito dall’intervenuta estinzione della pena
per prescrizione. — Sez. 6 sent. 16477 del 27-4-2011 (cc.
1-4-2011) rv. 249996.
• Deve essere annullata con rinvio la sentenza di riconoscimento di una sentenza penale straniera che non
enunci espressamente gli effetti conseguenti al riconoscimento. — Sez. 3 sent. 16051 del 21-4-2011 (cc. 16-32011) rv. 250303.
13 • Estradizione
• In tema di estradizione per l’estero, il requisito di doppia incriminabilità, e quindi di doppia procedibilità, previsto sia dal cod. pen. che dalla Convenzione di estradizione tra l’Italia e il Marocco, comporta che la legge italiana
applicabile ai fini del computo dei termini di prescrizione
è quella vigente al momento della commissione del reato oggetto della domanda di estradizione. — Sez. 6 sent.
22507 del 7-6-2011 (cc. 5-4-2011) rv. 250271.
22 • Ergastolo
• L’isolamento notturno del condannato all’ergastolo
non è oggetto di un diritto soggettivo, in quanto la previsione di tale modalità esecutiva della pena è stata implicitamente abrogata dalla disposizione di ordinamento penitenziario che stabilisce che i locali destinati al pernottamento dei detenuti consistono in camere dotate di uno o più
posti. (La Corte ha poi precisato che le prescrizioni di fonte internazionale sull’alloggiamento notturno dei detenuti
in camere individuali non hanno natura cogente). (Conforme Sez. I, 25 febbraio 2011 n. 22072, non massimata). —
Sez. 1 sent. 20142 del 20-5-2011 (cc. 25-2-2011) rv. 250235.
29
• Casi nei quali alla condanna
consegue l’interdizione dai pubblici uffici
• In tema di patteggiamento, ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici deve tenersi conto, in caso di riconosciuta continuazione tra più reati, della determinazione in concreto della pena, quale individuata per il reato più grave, e
quindi dell’incidenza delle circostanze attenuanti e del bilanciamento eventualmente operato con le circostanze aggravanti, oltre che della diminuente per il rito speciale. —
Sez. 6 sent. 22508 del 7-6-2011 (cc. 24-5-2011) rv. 250500.
40 • Rapporto di causalità
• Il direttore di una struttura alberghiera, in considerazione del ruolo dirigenziale ricoperto, è titolare della posizione di garanzia avente ad oggetto l’adozione delle iniziative necessarie ai fini dell’attuazione delle misure di sicurezza
appropriate alla prevenzione di infortuni sul lavoro, ed è tenuto ad assicurarsi che esse siano costantemente applicate.
— Sez. 4 sent. 22334 del 6-6-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 250313.
55
• Ai fini del giudizio di imputazione causale dell’evento, il giudice deve sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le particolarità del
caso concreto, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall’ordinamento. (La Corte ha anche precisato che nell’indagine
causale, da effettuarsi ex post, assumono rilievo le basi nomologiche note al momento del giudizio, mentre nell’indagine sulla colpa, da effettuarsi ex ante, occorre valutare
il comportamento posto in essere dall’agente, e, pertanto,
assumono rilievo unicamente le basi nomologiche note
all’agente nel momento di realizzazione della condotta). —
Sez. 4 sent. 21028 del 26-5-2011 (ud. 4-5-2011) rv. 250325.
• In tema di reati colposi, la natura commissiva della condotta consistente nella trasgressione di un divieto, e
quindi in un’azione difforme dal comportamento imposto
dalla regola cautelare, implica, per l’accertamento del nesso causale con l’evento, che il giudizio controfattuale sia
operato valutando se l’evento si sarebbe ugualmente verificato anche in assenza della condotta commissiva. (Fattispecie di lesioni colpose gravi, in cui si è attribuita rilevanza causale alla condotta commissiva consistente nella violazione del divieto di commercializzazione di protesi valvolari
fabbricate senza l’osservanza delle regole in materia di standard di sicurezza previste dalla normativa comunitaria). —
Sez. 4 sent. 15002 del 13-4-2011 (ud. 1-3-2011) rv. 250268.
• Il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall’art. 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore
«di fatto» di una società è da ritenere gravato dell’intera
gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore «di diritto», per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine
oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i
comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso
di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40,
comma secondo, cod. pen. (Fattispecie in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione). — Sez. 5 sent. 15065 del
13-4-2011 (ud. 2-3-2011) rv. 250094.
• Il sindaco ed il responsabile dell’ufficio tecnico del
comune sono titolari, in virtù di una generale norma di diligenza che impone agli organi (rappresentativi o tecnici)
dell’amministrazione comunale di vigilare, nell’ambito delle
rispettive competenze, sull’incolumità dei cittadini, della posizione di garanzia avente ad oggetto l’adeguata manutenzione ed il controllo dello stato delle strade comunali. (Fattispecie nella quale si è ritenuto che detta posizione di garanzia fosse stata validamente delegata, in virtù di una delibera comunale, al funzionario addetto alla manutenzione
della rete stradale di un comune di non grandi dimensioni).
— Sez. 4 sent. 13775 del 7-4-2011 (ud. 16-2-2011) rv. 250130
• Non è configurabile, nel caso di rilascio di un permesso di costruire illegittimo, una responsabilità ex art.
40 cpv. per il reato edilizio di cui all’art. 44, comma primo,
lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in capo al dirigente o
responsabile dell’ufficio urbanistica del Comune in quanto titolare di una posizione di garanzia e dunque dell’obbligo di impedire l’evento. (In motivazione la Corte ha precisato che la titolarità della posizione di garanzia, discen-
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dente dall’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, ne determina
la responsabilità ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod.
pen. in caso di mancata adozione dei provvedimenti interdittivi e cautelari, ma non in caso di condotta commissiva).
— Sez. 3 sent. 9281 del 9-3-2011 (ud. 26-1-2011) rv. 249785.
41 • Concorso di cause
• Non sono cause da sole sufficienti a determinare
l’evento quelle che operano in sinergia con la condotta
dell’imputato, sì che, venendo a mancare una delle due,
l’evento non si sarebbe verificato, perché non possono essere qualificati come del tutto indipendenti dalla condotta del soggetto agente. (Fattispecie nella quale erano state inferte percosse, con un bastone e con calci e pugni, ad
un soggetto portatore di gravi affezioni al sistema cardiocircolatorio ed assuntore di sostanze stupefacenti). — Sez.
5 sent. 15220 del 14-4-2011 (ud. 26-1-2011) rv. 249967.
43 • Elemento psicologico del reato
• In tema di dolo, la prova della volontà di commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze
che abbiano connotato l’azione e delle quali deve essere
verificata la oggettiva idoneità a cagionare l’evento in base
ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione. (Fattispecie di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice civile di reintegrazione nel possesso). — Sez. 6 sent. 16465
del 27-4-2011 (ud. 6-4-2011) rv. 250007.
• In tema di reato colposo, il responsabile legale di
una struttura complessa che sia comunque venuto a conoscenza della situazione di pericolo e della sua continuità nel tempo non può invocare, ai fini di esenzione da responsabilità, l’affidamento nell’operato dei responsabili
di settore. (Fattispecie di reato ex art. 674 cod. pen. in relazione a frequenti ricadute oleose derivanti dall’esercizio
di centrale di energia elettrica). — Sez. 3 sent. 16422 del
27-4-2011 (ud. 11-1-2011) rv. 249983.
• Nell’esercizio dell’attività medico-chirurgica, non può
dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico in riguardo all’evento lesivo occorso al paziente per il solo fatto che
abbia rispettato le linee guida, comunque elaborate, avendo il dovere di curare utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone, senza
farsi condizionare da esigenze di diversa natura o da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive non pertinenti rispetto al predetto compito che gli è affidato dalla legge. (Fattispecie nella quale i contenuti delle linee guida, cui
l’imputato asseriva di essersi conformato, erano ignoti, non
essendo stato acquisito alcun atto che le riproducesse). —
Sez. 4 sent. 8254 del 2-3-2011 (ud. 23-11-2010) rv. 249750.
50 • Consenso dell’avente diritto
• La scriminante putativa del consenso dell’avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in
base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione
di operare con l’approvazione della persona che può validamente disporre del diritto. (Fattispecie in tema di appropriazione indebita di un bene oggetto di locazione). —
Sez. 6 sent. 20944 del 25-5-2011 (ud. 15-4-2011) rv. 250065.
• L’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale,
in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito
esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia
pertanto in un in errore inescusabile sulla legge penale. —
Sez. 3 sent. 17210 del 3-5-2011 (cc. 10-3-2011) rv. 250141.
• In caso di intervento medico-chirurgico con esito
infausto, il consenso del paziente che, se espresso validamente e nei limiti di cui all’art. 5 cod. civ., preclude la possibilità di configurare il delitto di lesioni volontarie, assumendo efficacia scriminante, non è necessario, perché l’intervento medico-chirurgico sia penalmente lecito, in presenza di ragioni di urgenza terapeutica o nelle ipotesi previste dalla legge. (La Corte ha anche osservato che, in presenza di una manifestazione di volontà esplicitamente contraria all’intervento terapeutico, l’atto, asseritamente terapeutico, costituisce un’indebita violazione non solo della libertà di autodeterminazione del paziente, ma anche della
sua integrità; peraltro, in caso di esito fausto dell’intervento, la sussistenza di un pericolo grave ed attuale per la vita
o la salute del paziente, pur non scriminando la condotta,
esclude il dolo intenzionale di lesioni, in quanto il medico
che interviene nonostante il dissenso del paziente, si rappresenta la necessità di salvaguardarne, cionondimeno, la
vita o la salute poste in pericolo). — Sez. 4 sent. 34521 del
23-9-2010 (ud. 26-5-2010) rv. 249817.
• In tema di trattamento medico-chirurgico, risponde di omicidio preterintenzionale il medico che sottoponga il paziente ad un intervento (dal quale consegua la morte di quest’ultimo) in assenza di finalità terapeutiche, ovvero per fini estranei alla tutela della salute del paziente,
ad esempio provocando coscientemente un’inutile mutilazione, od agendo per scopi estranei (scientifici, dimostrativi, didattici, esibizionistici o di natura estetica), non accettati dal paziente; al contrario, non ne risponde, nonostante l’esito infausto, il medico che sottoponga il paziente ad un trattamento non consentito ed in violazione delle regole dell’arte medica, quando nella sua condotta sia
rinvenibile una finalità terapeutica, o comunque la terapia sia inquadrabile nella categoria degli atti medici, poiché in tali casi la condotta non è diretta a ledere, e l’agente, se cagiona la morte del paziente, risponderà di omicidio colposo ove l’evento sia riconducibile alla violazione di
una regola cautelare. — Sez. 4 sent. 34521 del 23-9-2010
(ud. 26-5-2010) rv. 249818.
51 • Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere
• L’esposto o segnalazione al competente Consiglio
dell’ordine forense contenente accuse di condotte deontologicamente e penalmente rilevanti tenute da un professionista nei confronti del cliente denunciante, costituisce
esercizio di legittima tutela degli interessi di quest’ultimo, attraverso il diritto di critica ( sub specie di esposto, art.
51 cod. pen.), per il quale valgono i limiti ad esso connaturati — occorrendo, in primo luogo, che le accuse abbiano
un fondamento o, almeno, che l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente (ancorché erroneamente ) convinto di
quanto afferma — che se rispettati escludono la sussistenza del delitto di diffamazione. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con
cui il giudice di merito ha ritenuto sussistente il delitto di
diffamazione, escludendo l’applicabilità dell’art. 598 cod.
pen., ed ha affermato, in tal caso, l’operatività della causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen., beninteso
sussistendo i limiti ad essa inerenti). — Sez. 5 sent. 28081
del 15-7-2011 (ud. 15-4-2011) rv. 250406.
• La scriminante relativa all’adempimento di un dovere, prevista dall’art. 51 cod. pen., è configurabile nel caso in
cui la condotta colposa dell’agente derivi dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline imposta da
direttive o disposizioni superiori, mentre la stessa non può
essere riconosciuta nelle ipotesi di delitto colposo, quando
la condotta riferibile all’agente che ricopre una posizione
di garanzia sia caratterizzata da un atteggiamento di negligenza o imprudenza. (Fattispecie in tema di distruzione
pluriaggravata colposa di opere militari, contestata in relazione alla cosiddetta strage di Nassiriyah). — Sez. 1 sent.
20123 del 20-5-2011 (ud. 20-1-2011) rv. 250027.
• La causa di giustificazione dell’adempimento di un
dovere è inapplicabile, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 66 del 2010 (cd. codice dell’ordinamento
militare) che ha abrogato la legge n. 382 del 1978, al militare che adempia ad un ordine impartitogli da un superiore gerarchico e la cui esecuzione costituisca manifestamente reato, essendo questi tenuto a non eseguirlo e ad
informare al più presto i superiori. (In motivazione la Corte
ha escluso l’applicabilità dell’esimente putativa dell’art. 51
cod. pen., invocata da un ufficiale dei carabinieri, precisando, da un lato, che l’erronea convinzione della sua esistenza si traduce in ignoranza inescusabile della legge penale
e, dall’altro, che la manifesta criminosità di un ordine costituente reato non può essere ignorata quando il destinatario sia un ufficiale di polizia giudiziaria). — Sez. 3 sent.
18896 del 13-5-2011 (ud. 10-3-2011) rv. 250284.
• In tema di diffamazione, il limite della continenza
nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni
che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del
soggetto criticato. Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente
diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di
espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la
scriminante del diritto di critica nei confronti degli imputati che avevano affisso nelle bacheche aziendali e diffu-
57
so con volantini un comunicato in cui contestando la posizione dissenziente di un iscritto alla C.G.I.L. lo si definiva ‘notoriamente imbecillè. — Sez. 5 sent. 15060 del 134-2011 (ud. 23-2-2011) rv. 250174.
• Ai fini dell’applicazione della causa di giustificazione
di cui all’art. 51 cod. pen. è necessario che l’attività posta in
essere costituisca una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto che viene in considerazione, nel senso che il fatto penalmente rilevante sotto il profilo formale sia stato effettivamente determinato dal legittimo esercizio di un diritto da parte dell’agente. (Fattispecie in tema
di resistenza a pubblico ufficiale, in cui la S.C. ha negato
ogni rilevanza alla pretesa dell’imputato di ottenere la restituzione di un bene asseritamente sottrattogli da terzi). —
Sez. 6 sent. 14540 del 12-4-2011 (ud. 2-12-2010) rv. 250025.
• L’esercizio del diritto di critica politica può rendere non punibili espressioni anche aspre e giudizi di per sé
ingiuriosi, tesi a stigmatizzare comportamenti realmente
tenuti da un personaggio pubblico, ma non può scriminare la falsa attribuzione di una condotta scorretta, utilizzata come fondamento per l’esposizione a critica del personaggio stesso. — Sez. 5 sent. 14459 del 11-4-2011 (ud. 2-22011) rv. 249935.
• In materia di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di cronaca nel caso in cui il giornalista abbia affermato, contrariamente al vero, l’avvenuto esercizio dell’azione penale nei confronti di un soggetto soltanto sottoposto a indagini preliminari. — Sez. 5 sent.
13702 del 6-4-2011 (ud. 17-12-2010) rv. 250256.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di cronaca, anche sotto il profilo
putativo, allorché sia impossibile per il giornalista realizzare il controllo del fatto riferitogli in modo irrituale, a
causa della inaccessibilità delle fonti di verifica, coincidenti
con gli organi e gli atti dell’indagine giudiziaria, giacché tale
inaccessibilità, lungi dal comportare l’esonero dall’obbligo
di controllo, implica la non pubblicabilità della notizia. —
Sez. 5 sent. 13708 del 6-4-2011 (cc. 17-12-2010) rv. 250203.
• Non sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di
critica politica qualora l’espressione usata consista non già
in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario. — Sez. 5 sent.
8824 del 7-3-2011 (ud. 1-12-2010) rv. 250218.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, rientra
nell’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti
di indagine e atti censori, provenienti dalla pubblica
autorità mentre non è consentito effettuare ricostruzioni,
analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tale attività. Pertanto è in stridente contrasto con
il diritto-dovere di narrare fatti già accaduti, senza indulgere a narrazioni e valutazioni «a futura memoria», l’opera del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti
e prognosi su eventi a venire, in quanto, in tal modo, egli,
in maniera autonoma, prospetta e anticipa l’evoluzione e
l’esito di indagini in chiave colpevolista, a fronte di indagini ufficiali né iniziate né concluse, senza essere in gra-
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do di dimostrare l’affidabilità di queste indagini private e
la corrispondenza a verità storica del loro esito, realizzando la funzione investigativa e valutativa rimessa all’esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria a fronte di indagini in corso preordinate all’accertamento della verità. —
Sez. 5 sent. 3674 del 1-2-2011 (ud. 27-10-2010) rv. 249699.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di critica nella forma satirica
qualora essa, ancorché a sfondo scherzoso e ironico, sia
fondata su dati storicamente falsi; tale esimente può, infatti, ritenersi sussistente quando l’autore presenti in un
contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino false e, pertanto, tali da non escludere la rilevanza penale. —
Sez. 5 sent. 3676 del 1-2-2011 (ud. 27-10-2010) rv. 249700.
• Non è punibile il reato di diffamazione a mezzo stampa che si concretizzi nell’uso di espressioni satiriche, rivolte nei confronti della categoria cui appartiene la persona oggetto del giudizio critico e contenute entro il limite
della formale continenza espositiva, perché ricorre la scriminante dell’esercizio di un diritto. (Nella specie, l’articolo
di stampa conteneva espressioni che, pur pesanti nei confronti di un magistrato, definito come «dottor Maleficus»,
non avevano valenza di offesa ad personam, ma di critica
ironica e divertita verso il pensiero della categoria di cui lo
stesso era esponente). — Sez. 5 sent. 3356 del 31-1-2011
(ud. 27-10-2010) rv. 249749.
• Non è applicabile la causa di giustificazione del­
l’adempimento di un dovere (art. 51 cod. pen.) nel caso
in cui il soggetto attivo, in qualità di imprenditore titolare
della ditta incaricata dal Comune dei lavori di manutenzione, abbia, in esecuzione di un’ordinanza sindacale, effettuato variazioni di un’area tutelata quale bene culturale (nella specie rimozione di fioriere su spazio antistante a palazzo sottoposto a tutela da parte del Ministero dei
beni culturali ed ambientali), trattandosi di ordine illegittimo dell’autorità; né gli obblighi contrattuali in ordine
alla esecuzione dei lavori di manutenzione commissionati
dal Comune valgono ad esonerare da qualsivoglia sindacato sulle conseguenze del proprio agire nelle altrui sfere
giuridiche; pertanto, in tal caso, l’omessa valutazione della incidenza della propria azione sui diritti legittimamente opposti dai soggetti sottoposti ad esecuzione forzata si
traduce in comportamento punibile anche a titolo di mera
negligenza sufficiente ad integrare la contravvenzione di
cui all’art. 118 D.Lgs. n. 4990 del 1999 e succ. formulazioni che punisce la modifica senza autorizzazione o la esecuzione di lavori di qualunque genere, senza approvazione, sui beni culturali. — Sez. 5 sent. 3039 del 27-1-2011
(ud. 3-12-2010) rv. 249705.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, la sussistenza dell’esimente del diritto di critica presuppone, per
sua stessa natura, la manifestazione di espressioni ogget-
tivamente offensive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di critica, a condizione che l’offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera
personale del soggetto passivo ma sia «contenuta» (requisito della «continenza») nell’ambito della tematica attinente
al fatto dal quale la critica ha tratto spunto, fermo restando
che, entro tali limiti, la critica, siccome espressione di valutazioni puramente soggettive dell’agente, può anche essere pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da
forte asprezza. (Fattispecie in cui un consigliere regionale
aveva affermato in intervista rilasciata a un quotidiano —
con riferimento alla scarcerazione di numerosi stranieri arrestati per violazione della legge sugli stupefacenti — «non
è la prima volta che a Bergamo si butta all’aria per cavilli
burocratici un lavoro di mesi delle forze dell’ordine» e «a
questo punto certi magistrati, anziché pensare a “resistere, resistere, resistere” dovrebbero pensare a “lavorare, lavorare, lavorare”, aggiungendo l’invito a riflettere tra uno
sciopero e l’altro sullo stato d’animo dei cittadini residenti nella zona interessata allo spaccio di stupefacenti). —
Sez. 5 sent. 3047 del 27-1-2011 (ud. 13-12-2010) rv. 249708.
52 • Difesa legittima
• In tema di legittima difesa (art. 52 cod. pen.), è regola di esperienza che colui che è reiteratamente aggredito
reagisce come può, secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l’intensità della reazione,
finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta
lesiva, salva l’ipotesi di eventuale manifesta sproporzione
della reazione. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di
merito ha escluso la sussistenza dell’esimente di cui all’art.
52 cod. pen. nei confronti dell’imputato — pur dando atto
che, quest’ultimo, in qualità di medico si era recato in casa
della parte offesa, a sua volta condannata per lesioni in
danno dell’attuale ricorrente, ed era stata da quest’ultima
aggredita per ben due volte — omettendo di riconoscere
alla reazione del medico, aggredito nell’esercizio di funzioni di pubblico ufficiale, natura di azione difensiva). —
Sez. 5 sent. 25608 del 27-6-2011 (ud. 24-2-2011) rv. 250396.
• La presunzione di proporzionalità della reazione
difensiva armata in caso di violazione di domicilio, prevista dal secondo comma dell’art. 52 cod. pen., opera anche nell’ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole. —
Sez. 1 sent. 11610 del 23-3-2011 (ud. 9-2-2011) rv. 249875.
53 • Uso legittimo delle armi
• La disciplina in tema di uso legittimo delle armi in
danno di chi si sottrae con la fuga ad una intimazione o
all’arresto, prevista dalle leggi in materia di contrabbando,
è eccezionale, e non può essere applicata in via analogica
a casi diversi da quelli in essa contemplati. — Sez. 4 sent.
14670 del 12-4-2011 (ud. 17-2-2011) rv. 250132.
54 • Stato di necessità
• L’esimente dello stato di necessità è inapplicabile
all’ufficiale di polizia giudiziaria che, dopo aver inserito
un infiltrato all’interno di un’organizzazione criminale,
ceda a quest’ultimo sostanze stupefacenti perché spinto dalla necessità di tutelarne l’incolumità fisica, difettando sia il requisito dell’involontarietà che dell’inevitabilità
del pericolo. (In motivazione la Corte, in una fattispecie in
cui la cessione era avvenuta per fugare i sospetti del clan
sull’infiltrato dopo la pubblicazione di notizie di stampa
che lo descrivevano come collaboratore della polizia, ha
escluso l’applicabilità dell’esimente in quanto, da un lato,
l’inserimento dell’infiltrato in un’organizzazione criminale costituisce una situazione pericolosa volontariamente
causata dall’agente ed accettata dall’infiltrato e, dall’altro,
il pericolo derivante può essere evitato allontanando l’infiltrato dall’organizzazione ed utilizzando le stesse misure a protezione dei collaboratori di giustizia o dei testi a
rischio rappresaglia). — Sez. 3 sent. 18896 del 13-5-2011
(ud. 10-3-2011) rv. 250283.
• Non rileva, quale elemento dello stato di necessità
a giustificazione della condotta di favoreggiamento personale, il generico timore di future rappresaglie contro la
propria persona da parte del favorito. — Sez. 6 sent. 13134
del 30-3-2011 (ud. 16-3-2011) rv. 249891.
• L’illecita occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere, oltre che in lesioni
della vita o dell’integrità fisica, nella compromissione di un
diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita
occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l’assoluta
necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso la ricorrenza della scriminante, essendo stato accettato che la necessità di
occupazione illecita di un edificio residenziale pubblico al
fine di occuparlo con la compagna minorenne in stato di
gravidanza, invocata dall’imputato, sarebbe potuta essere
soddisfatta con la richiesta di ausilio ai servizi sociali e alle
altre istituzioni pubbliche di assistenza, la cui indisponibilità, nel caso di specie, non era stata neanche allegata). —
Sez. 2 sent. 8724 del 4-3-2011 (ud. 11-2-2011) rv. 249915.
56 • Delitto tentato
• In tema di tentativo, l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento al criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, infatti l’idoneità altro non è
che la possibilità che alla condotta consegua lo scopo che
l’agente si propone. Pertanto, ferire intenzionalmente la
vittima con una siringa contenente sangue infetto, perché
prelevato da soggetto affetto da malattia infettiva, e propagabile attraverso contatto ematico, costituisce atto idoneo a cagionare il reato di lesioni, benché l’eventualità che
siffatto evento si realizzi sia molto bassa. — Sez. 5 sent.
30139 del 28-7-2011 (ud. 27-5-2011) rv. 250413.
59
• Il requisito della non equivocità degli atti, nella fattispecie tentata, deve essere valutato in termini oggettivi,
nel senso che gli atti considerati, esaminati nella loro oggettività e nel contesto in cui si inseriscono, devono possedere l’attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito. (Fattispecie in cui è stato esclusa, in riferimento
al reato di tentato omicidio, la non equivocità dell’appostamento degli imputati lungo il presunto percorso che la
vittima avrebbe dovuto seguire per rincasare in assenza di
alcun accertamento circa la vicinanza del punto prescelto
all’abitazione della stessa e all’abitualità del tragitto). —
Sez. 6 sent. 25065 del 22-6-2011 (ud. 17-2-2011) rv. 250421.
• Ai fini dell’integrazione del tentativo di reati a sfondo sessuale sono necessarie, sul piano soggettivo, l’intenzione dell’agente di raggiungere l’appagamento dei propri
istinti sessuali e, sul piano oggettivo, l’idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, anche, eventualmente, ma non
necessariamente, attraverso contatti fisici, sia pure di tipo
superficiale e-o fugace, non indirizzati verso zone cd. erogene. (Fattispecie di tentativo di atti sessuali con minorenne, avendo il soggetto agente mostrato alla persona offesa infraquattordicenne immagini pedopornografiche ed
abbracciato la stessa rivolgendole domande sul suo abbigliamento intimo). — Sez. 3 sent. 21840 del 1-6-2011 (ud.
17-2-2011) rv. 249993.
• Ai fini della decorrenza del termine di prescrizione
del delitto tentato ha rilievo non il giorno in cui la condotta illecita viene scoperta o comunque il reato non può
essere più consumato per cause indipendenti dalla volontà dell’agente, bensì il giorno in cui il reo ha compiuto l’ultimo atto integrante la fattispecie tentata. — Sez. 2 sent.
16609 del 29-4-2011 (ud. 8-4-2011) rv. 250112.
57 • Reati commessi col mezzo della stampa periodica
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giudice può ravvisare a carico del direttore responsabile di un
giornale il reato di omissione di controllo, ex art. 57 cod.
pen. — pur essendo stata la querela proposta esclusivamente per la diffamazione a mezzo stampa, nei confronti del giornalista e dello stesso direttore — in quanto non
compete al querelante dare una qualificazione giuridica
del fatto, dovendo egli limitarsi ad esporre lo stesso nella
sua materialità, considerato che il diritto di querela concerne unicamente il fatto delittuoso, quale enunciato nella
sua essenzialità — da interpretare, non già in base al mero
senso letterale delle espressioni usate, ma attraverso l’indagine della effettiva volontà della parte non vincolata a
manifestarla con l’uso di formule rituali — e che spetta al
giudice e non al privato attribuirne la qualificazione giuridica in ordine alla eventuale sussistenza di un determinato tipo di reato e alle conseguenze che ne derivano. (In
applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito il quale ha ritenuto decisivo il fatto che il querelante
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avesse individuato — in relazione alla diffamazione derivatagli dalla pubblicazione dell’articolo di stampa — quali destinatari della propria volontà di punizione, sia il giornalista che il direttore responsabile, ritenendo, invece, secondaria, e non vincolante, la circostanza che egli avesse
inquadrato il fatto descritto nella fattispecie di cui all’art.
595 cod. pen., correttamente riqualificato dall’autorità giudiziaria nella forma colposa dell’omesso controllo per il direttore responsabile). — Sez. 5 sent. 24381 del 16-6-2011
(ud. 25-3-2011) rv. 250456.
59
• Circostanze non conosciute o
erroneamente supposte
• In tema di furto, la circostanza aggravante di cui
all’art. 625, comma primo, n. 2 cod. pen. (violenza sulle cose), ha natura oggettiva e, pertanto, in applicazione
dell’art. 59, comma secondo, cod. pen., si comunica anche agli altri compartecipi del reato, ancorché sconosciuta o ignorata per colpa. — Sez. 5 sent. 19637 del 18-5-2011
(ud. 6-4-2011) rv. 250192.
61 • Circostanze aggravanti comuni
• La circostanza aggravante dell’essere il fatto commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio è
configurabile nel caso di reato ascrivibile a un dipendente
dell’amministrazione finanziaria con mansione di addetto
allo sportello, la cui attività infatti, non si esaurisce in incarichi meramente manuali o d’ordine, poiché le funzione svolte implicano conoscenza di regolamenti propri dell’amministrazione di appartenenza e costituiscono, quindi, complemento ed integrazione delle funzioni pubbliche proprie dell’amministrazione finanziaria. (Fattispecie relativa a contestazione di truffa ascritta ad operatore tributario
con mansioni di sportello a contatto con il pubblico, consistita nell’aver incontrato all’interno degli uffici persone che,
indotte in errore circa la possibilità di ottenere in locazione a prezzi vantaggiosi immobili che lo Stato stava dismettendo, avevano versato in suo favore somme di denaro). —
Sez. 2 sent. 20039 del 20-5-2011 (ud. 20-4-2011) rv. 250361.
• Integra l’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 5 cod. pen. (minorata difesa pubblica o privata), la
commissione di un tentativo di furto in tempo di notte,
in assenza di illuminazione. — Sez. 5 sent. 19615 del 185-2011 (ud. 11-3-2011) rv. 250183.
• Non è configurabile la circostanza aggravante di cui
all’art. 61 n. 2 cod. pen. in relazione al reato di lesioni personali lievi commesso in attuazione della condotta propria
del delitto di maltrattamenti in famiglia, atteso che il nesso teleologico necessario per la sussistenza della suddetta
aggravante esige che le azioni esecutive dei due diversi
reati che pone in relazione siano distinte. — Sez. 6 sent.
19700 del 19-5-2011 (ud. 3-5-2011) rv. 249799.
• Deve essere annullata con rinvio la sentenza che
abbia ritenuto sussistente la circostanza aggravante di cui
all’art. 61, n. 11bis, cod. pen. della cosiddetta clandestinità, poi dichiarata incostituzionale, senza l’indicazione di
quanto abbia inciso nel calcolo della pena, in modo che
il giudice del rinvio proceda a una rideterminazione della
pena senza il relativo aumento. — Sez. 1 sent. 16292 del
26-4-2011 (ud. 15-3-2011) rv. 249968.
• La sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della circostanza aggravante di cui all’art. 61,
comma primo, n. 11bis, cod. pen., determina l’annullamento della sentenza limitatamente al relativo aumento
di pena, che può peraltro essere eliminato in sede di legittimità anche quando su detto aumento sia stata effettuata la riduzione «secca» per il rito abbreviato. — Sez. 2 sent.
8720 del 4-3-2011 (ud. 11-2-2011) rv. 249816.
62 • Circostanze attenuanti comuni
• Non vi sono i presupposti per il riconoscimento
dell’attenuante della riparazione del danno (art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen.), nel caso in cui danneggiato dal
reato sia un ente pubblico, ove manchi adeguata dimostrazione dell’esatta entità e congruità della somma versata, non
essendo sufficiente, a tal fine, la mera attestazione di pagamento di somme dovute in favore dell’ente danneggiato. —
Sez. 5 sent. 30123 del 28-7-2011 (ud. 18-5-2011) rv. 250412.
• La circostanza attenuante del conseguimento di un
lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen.
è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed
è compatibile con l’attenuante ad effetto speciale del fatto
di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n.
309/1990. (Fattispecie relativa alla vendita di due dosi di marijuana per la somma di euro 40,00, in cui la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione della Corte distrettuale in ordine
all’esclusione del riconoscimento dell’attenuante de qua). —
Sez. 6 sent. 20937 del 25-5-2011 (ud. 18-1-2011) rv. 250028.
• La condotta criminosa posta in essere da un appartenente alla polizia giudiziaria nell’esercizio delle funzioni e con abuso di potere, non può essere qualificata dalla circostanza attenuante di motivi di particolare valore
morale e sociale, prospettati sulla base dell’interesse pubblico di primaria importanza che l’attività di polizia giudiziaria è diretta a soddisfare.(In motivazione la Corte ha
precisato che la commissione di un reato da parte di un
appartenente alla polizia giudiziaria, pur se finalizzata al
conseguimento di brillanti risultati investigativi, non riceve particolare approvazione dalla collettività, potendo gli
stessi risultati essere legittimamente raggiunti con un’attività sotto copertura). — Sez. 3 sent. 18896 del 13-5-2011
(ud. 10-3-2011) rv. 250287.
• La circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto non trova applicazione se
l’autore abbia concorso e confluito con altri per provocare
l’assembramento delle persone e compiere il fatto reato. —
Sez. 1 sent. 15111 del 13-4-2011 (ud. 2-2-2011) rv. 249684.
• L’attenuante della riparazione del danno (art. 62,
comma primo, n. 6 cod. pen.) non è applicabile nel caso in
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62bis
• Circostanze attenuanti ge-
neriche
• La diminuente del vizio parziale di mente è compatibile con una maggiore intensità del dolo, che può giustificare il diniego delle attenuanti generiche in considerazione delle gravi modalità della condotta criminosa. —
Sez. 5 sent. 19639 del 18-5-2011 (ud. 8-4-2011) rv. 250110.
• In caso di diniego delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione può implicitamente ricavarsi anche
mediante il raffronto con le considerazioni poste a fondamento del loro avvenuto riconoscimento, riguardo ad
altre posizioni esaminate nella stessa sentenza, quando gli
elementi oggetto di apprezzamento siano gli stessi la cui
mancanza ha assunto efficacia determinante nell’ambito
di una valutazione generalmente negativa. — Sez. 6 sent.
14556 del 12-4-2011 (ud. 25-3-2011) rv. 249731.
• Il dovere di motivazione sulla ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche è adempiuto dal giudice ove, con una pur sintetica espressione del tipo «al fine di meglio adeguare la
pena al fatto», dia dimostrazione di avere valutato la gravità del fatto, che è uno degli indici normativi per la determinazione del trattamento sanzionatorio. — Sez. 3 sent.
11963 del 24-3-2011 (cc. 16-12-2010) rv. 249754.
69 • Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti
• La richiesta di riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti, pur costituente
«motivo nuovo» contenuto in una memoria tardivamente presentata, non preclude al giudice d’appello la possibilità di effettuare d’ufficio il giudizio di comparazione a
norma dell’art. 69, cod. pen. — Sez. 3 sent. 18896 del 135-2011 (ud. 10-3-2011) rv. 250289.
• Il giudizio di equivalenza tra recidiva e circostanze
attenuanti generiche comporta l’applicazione della recidiva, rilevante ai fini dell’operatività del divieto di sospensione dell’esecuzione di pene detentive brevi (art. 656, comma nono cod. proc. pen., come modificato dall’art. 9 della legge n. 251 del 2005), in quanto la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, applicata, non
solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento
della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art.
69 cod. pen. un altro degli effetti che le sono propri, cioè
quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa
di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare. — Sez. 1 sent. 8038 del 2-3-2011 (cc.
18-1-2011) rv. 249843.
71 • Condanna per più reati con unica sentenza o decreto
• Il reato di lottizzazione abusiva, previsto dall’art. 44,
comma primo, lett. c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, può
concorrere materialmente con le altre violazioni edilizie
previste dalle lettere a) e b) del medesimo articolo. (In motivazione la Corte ha precisato che l’illecito lottizzatorio costituisce un’ipotesi autonoma di reato, distinta dalle altre
violazioni disciplinate dall’art. 44 del d.P.R. citato, essendo
diversi sia l’oggetto della tutela che la condotta sanzionata).
— Sez. 3 sent. 9307 del 9-3-2011 (cc. 24-2-2011) rv. 249763.
• Concorso dei reati che impor65 • Diminuzione di pena nel caso 72tano
l’ergastolo e di reati che im-
di una sola circostanza attenuante
• È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 89 e 65 cod. pen., sollevata
in riferimento agli artt. 27, comma terzo, e 32 Cost., nella
parte in cui prevedono, per il condannato affetto da vizio
parziale di mente, una riduzione della pena, asseritamente non in sintonia con un ordinamento giuridico finalizzato alla rieducazione del reo ed alla tutela della sua salute,
poiché trattasi di scelta che appartiene alla discrezionalità del legislatore, nel caso di specie esercitata non illogicamente né in modo incongruo. — Sez. 4 sent. 14691 del
12-4-2011 (ud. 15-3-2011) rv. 250128.
portano pene detentive temporanee
• L’inasprimento dell’ergastolo con l’applicazione
dell’isolamento diurno va disposto quando l’imputato sia
condannato, oltre che per il delitto per il quale è previsto
l’ergastolo, anche per uno o più delitti che «importano»,
secondo la previsione dell’art. 72 cod. pen., una pena detentiva temporanea per un tempo superiore ad anni cinque, da intendere con riferimento alla pena applicabile in
astratto, non a quella applicata in concreto. — Sez. 5 sent.
14485 del 11-4-2011 (ud. 21-2-2011) rv. 250118.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
cui il risarcimento del danno sia l’effetto, in tutto o in parte,
non già della libera determinazione degli imputati, bensì
dell’opera di terzi (nella specie Ministero della Difesa). —
Sez. 5 sent. 14461 del 11-4-2011 (ud. 2-2-2011) rv. 249848.
• Ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art.
62 n. 6 cod. pen. il risarcimento, ancorché eseguito dal comune datore di lavoro dell’imputato e della persona offesa, deve ritenersi effettuato personalmente dall’imputato tutte le volte in cui questi ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio. (Fattispecie relativa ad omicidio colposo addebitato al responsabile di un reparto della ditta presso la quale lavorava la p.o.). (Vedi Corte cost.,
sentenza n. 138 del 1998). — Sez. 4 sent. 14523 del 11-42011 (ud. 2-3-2011) rv. 249937.
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Aggiornamento giurisprudenziale
73 • Concorso di reati che importano
pene detentive temporanee o pene
pecuniarie della stessa specie
• Il limite massimo di trenta anni di reclusione, previsto per il caso di concorso di reati che importano pene
detentive temporanee, non si applica nella ipotesi in cui
concorrano più delitti per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, valendo nella specie la regola dell’applicazione
dell’ergastolo. — Sez. 1 sent. 6560 del 22-2-2011 (cc. 181-2011) rv. 249801.
78 • Limiti degli aumenti delle pene
principali
• In presenza di cumuli parziali di pene detentive per
reati commessi in tempi diversi e con periodi di carcerazione parimenti sofferti in tempi diversi, il limite del quintuplo della più grave fra le pene concorrenti va commisurato autonomamente in riferimento a ciascun cumulo,e non
eleggendo a base di computo complessivo la pena più grave nell’ambito del primo parziale cumulo. — Sez. 1 sent.
15806 del 20-4-2011 (cc. 29-3-2011) rv. 249977.
81 • Concorso formale. Reato continuato
• In tema di determinazione della pena nel reato continuato, deve ritenersi congruamente motivata la sentenza che faccia riferimento alle modalità dei fatti ed ai precedenti penali specifici degli imputati; non sussiste, invece, l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di
pena a titolo di continuazione, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base. —
Sez. 5 sent. 27382 del 13-7-2011 (ud. 28-4-2011) rv. 250465.
• In tema di reato continuato, il limite minimo per
l’aumento stabilito dalla legge nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la contestata recidiva reiterata, opera anche quando il giudice abbia considerato
la stessa recidiva equivalente alle riconosciute attenuanti, non procedendo pertanto all’aggravamento della pena
correlato alla suddetta circostanza. — Sez. 6 sent. 25082
del 22-6-2011 (cc. 13-6-2011) rv. 250434.
• Non incorre in difetto di motivazione la sentenza di
condanna per reato continuato che dia adeguata giustificazione della sussistenza di una circostanza aggravante
in riferimento al reato più grave e non anche in riferimento ai reati satellite, per i quali è parimenti affermata
la stessa circostanza, dato che la pena è complessivamente determinata con un aumento, sino al triplo, della pena
riferita al reato più grave. — Sez. 2 sent. 23624 del 13-62011 (ud. 10-5-2011) rv. 250266.
• Il cumulo di pene per reati unificati dal vincolo della
continuazione, alcuni dei quali ostativi all’espulsione prevista dall’art. 16, comma quinto, D.Lgs. n. 286 del 1998
(T.U. immigrazione), può essere scisso in modo da imputare la parte di pena espiata al reato ostativo e dare così luogo all’espulsione. (La Corte ha chiarito che non osta, infatti, a tale interpretazione l’art. 4bis della L. n. 354 del 1975,
in quanto l’espulsione nel caso in esame non è da considerarsi una misura alternativa alla detenzione, non essendo
finalizzata al recupero o al reinserimento del condannato
e non avendo alcuna finalità premiale o rieducativa, ma è
una mera rinuncia dello Stato all’esecuzione della pena).
— Sez. 1 sent. 22705 del 7-6-2011 (cc. 1-2-2011) rv. 250354.
• Nel deliberare in ordine al riconoscimento della continuazione, il giudice dell’esecuzione verifica che i reati siano frutto della medesima, preventiva risoluzione criminosa, valutando se il condannato, in concomitanza della
relativa commissione, era tossicodipendente, e se il suddetto stato aveva influito sulla commissione delle condotte delittuose. — Sez. 1 sent. 20144 del 20-5-2011 (cc. 274-2011) rv. 250297.
• In tema di patteggiamento, nel caso in cui le parti
abbiano concordato una richiesta di applicazione della
pena che preveda il riconoscimento del cumulo giuridico per effetto della continuazione tra i reati contestati, il
giudice, nell’accoglierla, non è tenuto a motivare le ragioni di fatto poste a fondamento dell’unicità del disegno criminoso così come prospettato dalle parti. — Sez. 6 sent.
14563 del 12-4-2011 (cc. 2-12-2010) rv. 250024.
• L’accertamento circa l’esistenza di un medesimo disegno criminoso tra più reati, tra i quali si asserisca il vincolo di continuazione, deve essere riferito al momento
dell’ideazione e deliberazione del primo dei reati in senso cronologico, a nulla rilevando che questo abbia avuto una reiterazione in più episodi nel corso di un ampio
arco di tempo. — Sez. 1 sent. 13611 del 5-4-2011 (cc. 223-2011) rv. 249931.
• Non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito
delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati
al rafforzamento del medesimo, non erano programmabili
ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti ed occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione stessa. (Fattispecie in cui
la Corte ha rigettato il ricorso diretto al riconoscimento in
sede esecutiva della continuazione tra il reato di associazione di tipo mafioso ed un duplice omicidio commesso
da un associato, disattendendo la tesi secondo cui, per ritenere configurabile la continuazione, sarebbe stato sufficiente il solo rapporto di strumentalità del predetto reato fine alla funzionalità della cosca). — Sez. 1 sent. 13609
del 5-4-2011 (cc. 22-3-2011) rv. 249930.
• La pronuncia del giudice dell’esecuzione di rigetto
di richiesta di applicazione della continuazione preclude
la riproposizione della richiesta, quand’anche limitata ad
alcuni soltanto dei reati considerati dalla pronuncia. —
Sez. 1 sent. 12823 del 29-3-2011 (cc. 3-3-2011) rv. 249913.
• Il reato di deposito incontrollato di rifiuti (art. 256,
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) concorre con quello di scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione (art.
137, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), non potendo ritenersi
quest’ultimo assorbito dal primo, avendo gli stessi natura
ed oggettività giuridica diversa. — Sez. 3 sent. 11489 del
22-3-2011 (ud. 15-12-2010) rv. 249769.
• In tema di reato continuato, ai fini della determinazione della pena complessiva, l’aumento per continuazione operato sul reato più grave (e quindi sulla pena base)
può essere determinato anche in termini cumulativi, senza che sia necessario indicare specificamente l’aumento di
pena correlato a ciascun reato satellite, non previsto dalla
vigente normativa. — Sez. 5 sent. 7164 del 24-2-2011 (cc.
13-1-2011) rv. 249710.
85 • Capacità d’intendere e di volere
• La pedofilia, se non accompagnata da un’accertata malattia mentale o da altri gravi disturbi della personalità, rappresenta una semplice devianza sessuale, senza influenza alcuna sulle capacità intellettive e volitive
della persona. — Sez. 3 sent. 15157 del 14-4-2011 (ud. 1612-2010) rv. 249899.
88 • Vizio totale di mente
• Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, nessun rilievo può assumere la presenza, in
capo all’autore della condotta delittuosa, di un generico
stato di agitazione determinato da una crisi di astinenza dall’abituale consumo di sostanze stupefacenti, e non
accompagnato da una grave e permanente compromissione delle sue funzioni intellettive e volitive. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la su descritta condizione integra gli estremi di uno stato emotivo e passionale, valutabile nella determinazione del trattamento sanzionatorio). —
Sez. 6 sent. 17305 del 5-5-2011 (ud. 20-4-2011) rv. 250067.
89 • Vizio parziale di mente
• La diminuente del vizio parziale di mente è compatibile con una maggiore intensità del dolo, che può giustificare il diniego delle attenuanti generiche in considerazione delle gravi modalità della condotta criminosa. —
Sez. 5 sent. 19639 del 18-5-2011 (ud. 8-4-2011) rv. 250110.
• È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 89 e 65 cod. pen., sollevata
in riferimento agli artt. 27, comma terzo, e 32 Cost., nella
parte in cui prevedono, per il condannato affetto da vizio
parziale di mente, una riduzione della pena, asseritamente non in sintonia con un ordinamento giuridico finalizzato alla rieducazione del reo ed alla tutela della sua salute,
poiché trattasi di scelta che appartiene alla discrezionalità del legislatore, nel caso di specie esercitata non illogicamente né in modo incongruo. — Sez. 4 sent. 14691 del
12-4-2011 (ud. 15-3-2011) rv. 250128.
99 • Recidiva
• In tema di reato continuato, il limite minimo per
l’aumento stabilito dalla legge nei confronti dei sogget-
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ti per i quali sia stata ritenuta la contestata recidiva reiterata, opera anche quando il giudice abbia considerato la
stessa recidiva equivalente alle riconosciute attenuanti, non procedendo pertanto all’aggravamento della pena
correlato alla suddetta circostanza. — Sez. 6 sent. 25082
del 22-6-2011 (cc. 13-6-2011) rv. 250434.
• Il divieto di sospensione dell’esecuzione della pena
detentiva nei confronti dei condannati cui sia stata applicata la recidiva reiterata opera anche ove il condannato si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna. — Sez. 1 sent. 25129 del 22-6-2011 (cc. 3-52011) rv. 250343.
• La disapplicazione della norma incriminatrice di
cui all’art. 14, comma quinto-quater, D.Lgs. 25 luglio 1998,
n. 286, conseguente all’efficacia diretta nell’ordinamento
interno della Direttiva 2008-115-CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 (cosiddetta direttiva rimpatri), risolvendosi nell’abolitio criminis della
fattispecie penale, comporta l’esclusione della recidiva
contestata tenendo conto di tale reato, a seguito del venir
meno degli effetti penali della condanna in base al disposto
dell’art. 2, comma secondo, cod. pen. (v. anche Corte Giustizia U.E., sentenza 28 aprile 2011, causa C-61-11, El Dridi). —
Sez. 3 sent. 20850 del 25-5-2011 (ud. 4-5-2011) rv. 250450.
• L’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del
reo (Fattispecie relativa ad un’ipotesi di recidiva reiterata,
specifica ed infraquinquennale). — Sez. 6 sent. 14550 del
12-4-2011 (ud. 15-3-2011) rv. 250039.
• Non deve tenersi conto, ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato, dell’aumento di pena collegato
alla recidiva che non sia stata contestata. — Sez. 2 sent.
14248 del 11-4-2011 (ud. 5-4-2011) rv. 250214.
• Non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata, la valutazione discrezionale del giudice circa l’esistenza o meno della omogeneità tra fatti pregressi e reato giudicando, ai fini del riconoscimento della recidiva specifica, che implica il riscontro della identità
di modello fra delitti. — Sez. 3 sent. 11954 del 24-3-2011
(ud. 16-12-2010) rv. 249744.
• Il giudizio di equivalenza tra recidiva e circostanze
attenuanti generiche comporta l’applicazione della recidiva, rilevante ai fini dell’operatività del divieto di sospensione dell’esecuzione di pene detentive brevi (art. 656, comma nono cod. proc. pen., come modificato dall’art. 9 della legge n. 251 del 2005), in quanto la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, applicata, non
solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento
della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art.
69 cod. pen. un altro degli effetti che le sono propri, cioè
quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa
di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare. — Sez. 1 sent. 8038 del 2-3-2011 (cc.
18-1-2011) rv. 249843.
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Codice Penale
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101 • Reati della stessa indole
• Non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata, la valutazione discrezionale del giudice circa l’esistenza o meno della omogeneità tra fatti pregressi e reato giudicando, ai fini del riconoscimento della recidiva specifica, che implica il riscontro della identità
di modello fra delitti. — Sez. 3 sent. 11954 del 24-3-2011
(ud. 16-12-2010) rv. 249744.
103 • Abitualità ritenuta dal giudice
• Ai fini della dichiarazione di abitualità nel reato ex
art. 103 cod. pen. e della conseguente applicazione di misura di sicurezza detentiva non è consentito tenere conto,
quale sentenza di condanna per delitto non colposo seguita a condanna per due delitti non colposi, di una sentenza di applicazione di pena concordata non superiore a
due anni di pena detentiva. — Sez. 1 sent. 24142 del 166-2011 (cc. 25-2-2011) rv. 250330.
110 • Pena per coloro che concorrono nel reato
• In tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con
la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in
dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa. — Sez. 5 sent. 27367
del 13-7-2011 (ud. 26-4-2011) rv. 250409.
• In tema di diffamazione, qualora l’atto giudiziario
redatto dal difensore contenga affermazioni o espressioni diffamatorie, la relativa responsabilità penale in ordine al reato di cui all’art. 595 cod. pen. (ove non sussistano le condizioni per l’applicazione dell’esimente prevista
dall’art. 598 cod. pen.), può estendersi, in virtù della disciplina generale in materia di concorso di persone nel reato,
alla parte che abbia riferito al difensore quanto da questi
poi trasfuso nel testo incriminato. (Nella specie l’imputato aveva ammesso di avere letto le espressioni oggetto di
imputazione prima che il ricorso venisse depositato). —
Sez. 5 sent. 20882 del 25-5-2011 (ud. 25-3-2011) rv. 250457.
• Il committente di lavori edilizi concorre, in qualità di extraneus, nella contravvenzione di omessa denuncia delle opere in conglomerato cementizio armato (artt.
65 e 72, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), pur trattandosi di
reato omissivo proprio del costruttore. (In motivazione la
Corte ha precisato che il concorso è ipotizzabile, ad esempio, quando la denuncia sia omessa proprio su istigazione
di chi ha ordinato i lavori). — Sez. 3 sent. 21775 del 31-52011 (ud. 23-3-2011) rv. 250377.
• Non sussiste violazione del principio di necessaria
correlazione tra accusa e sentenza quando, contestato a
taluno un reato commesso uti singulus, se ne affermi la re-
sponsabilità in concorso con altri. (Fattispecie in tema di
truffa e peculato). — Sez. 6 sent. 21358 del 27-5-2011 (ud.
5-5-2011) rv. 250072.
• L’alienazione delle costruzioni realizzate sui singoli
lotti, già oggetto di frazionamento abusivo, non costituisce
un post factum non punibile, ma protrae la commissione
del reato di lottizzazione mista, nella sua forma negoziale, per tutti coloro che partecipano all’atto. (Fattispecie in
tema di sequestro preventivo, in cui la Corte ha ulteriormente precisato che la permanenza continua per ogni concorrente nel reato di lottizzazione abusiva sino a che perdura la condotta volontaria di ciascuno di essi e la possibilità
di far cessare la condotta antigiuridica dei concorrenti). —
Sez. 3 sent. 20006 del 20-5-2011 (cc. 20-4-2011) rv. 250387.
• La simulazione di reato ha natura di reato istantaneo e di pericolo, e si consuma con la semplice denuncia
idonea a provocare investigazioni e accertamento della polizia giudiziaria. (La Corte ha precisato che, nonostante tale
natura giuridica, è configurabile il concorso nel reato del
soggetto il quale rafforzi ed agevoli l’agente nel suo proposito criminoso, fornendo una conferma al falso narrato). —
Sez. 2 sent. 19077 del 16-5-2011 (ud. 3-5-2011) rv. 250319.
• La natura di reati «propri» degli illeciti previsti dalla
normativa edilizia (art. 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) non
esclude che soggetti diversi da quelli individuati dall’art.
29, comma primo, del decreto medesimo, possano concorrere nella loro consumazione, in quanto apportino, nella
realizzazione dell’evento, un contributo causale rilevante
e consapevole. (Nella specie si trattava degli operai, materiali esecutori dei lavori abusivi). — Sez. 3 sent. 16571 del
28-4-2011 (ud. 23-3-2011) rv. 250147.
• Il soggetto che metta propri locali a disposizione
dello spacciatore di sostanze stupefacenti per la realizzazione dell’incontro con l’acquirente delle stesse, è responsabile in concorso con lo spacciatore del reato di cessione illecita della sostanza stupefacente, e non di favoreggiamento reale, avendo fornito un rilevante contributo causale alla commissione del reato, e non essendosi limitato
a porre in essere un mero aiuto per assicurare all’autore il
prezzo, il prodotto od il profitto del reato. — Sez. 4 sent.
13784 del 7-4-2011 (ud. 24-3-2011) rv. 250135.
• Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei
concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se poi l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso profitto. — Sez. 5 sent. 13277 del 303-2011 (cc. 24-1-2011) rv. 249839.
• Risponde di concorso nel delitto di violenza sessuale di gruppo colui che, pur non presente nel luogo e nel
momento della violenza consumata dai correi, abbia comunque apportato un contributo causale al reato oggetto
di volontà comune. (Fattispecie nella quale il reo si era limitato ad introdurre all’interno dell’abitazione della vittima gli ignoti autori degli abusi sessuali, non essendo presente nella stanza al momento della loro consumazione).
— Sez. 3 sent. 8775 del 4-3-2011 (ud. 2-12-2010) rv. 249767.
• In tema di reati fallimentari commessi da persone diverse dal fallito, gli elementi di prova ritenuti insufficienti
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Codice Penale
112 • Circostanze aggravanti
• La circostanza aggravante prevista dall’art. 112, comma primo, n. 2, cod. pen. è configurabile anche per il delitto di violenza sessuale di gruppo, non sussistendo alcuna incompatibilità tra la natura di reato a concorso necessario e la maggiore gravità della condotta di chi ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato ovvero ha
diretto l’attività dei compartecipi. — Sez. 3 sent. 14956 del
13-4-2011 (ud. 9-3-2011) rv. 250140.
114 • Circostanze attenuanti
• La circostanza attenuante della minima partecipazione al fatto non è compatibile con i reati associativi.
(Fattispecie relativa al reato di associazione finalizzata al
traffico di stupefacenti). — Sez. 6 sent. 15086 del 13-4-2011
(ud. 8-3-2011) rv. 249911.
pen., come modificato per effetto dell’art. 3, comma sessantaduesimo, della legge. n. 94 del 2009, non si applica,
ai fini della sostituzione ex art. 53 legge n. 689 del 1981,
ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della predetta modifica in quanto norma meno favorevole rispetto alla disciplina pregressa. — Sez. 3 sent. 19725 del 19-52011 (ud. 14-4-2011) rv. 250333.
139 • Computo delle pene accessorie
• Il tempo di espiazione della misura alternativa
dell’affidamento in prova al servizio sociale, in quanto
modalità esecutiva della pena detentiva, non può essere utilmente computato anche ai fini dell’espiazione di
una pena accessoria (nella specie, interdizione dalla professione). — Sez. 1 sent. 13499 del 4-4-2011 (cc. 9-3-2011)
rv. 249865.
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• Rinvio obbligatorio dell’ese-
cuzione della pena
• La detenzione domiciliare può essere applicata, in
luogo del rinvio dell’esecuzione della pena, in tutti i casi
in cui, malgrado la presenza di gravi condizioni di salute,
il condannato sia in grado di partecipare consapevolmente al processo rieducativo attuato attraverso gli interventi del servizio sociale, e residui un margine di pericolosità
sociale che faccia ritenere ancora necessario un controllo
da parte dello Stato. — Sez. 1 sent. 4750 del 9-2-2011 (cc.
14-1-2011) rv. 249794.
133 • Gravità del reato: valutazione 152 • Remissione della querela
agli effetti della pena
• Ai fini della sostituzione della pena detentiva con
pena pecuniaria il giudice ricorre ai criteri previsti dall’art.
133 cod. pen.; tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta
previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata
motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali
l’inefficacia della sanzione. (In applicazione del principio di
cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la motivazione con cui il giudice di appello — confermando la decisione del Gup che aveva condannato l’imputato alla pena
di mesi due di reclusione per il reato di lesioni personali —
ha rigettato l’istanza di conversione, ritenendo la pena pecuniaria inadeguata alla gravità del fatto ed alla personalità
dell’imputato, non esercitando la stessa efficacia afflittiva né
rieducativa in presenza di un comportamento violento). —
Sez. 5 sent. 10941 del 16-3-2011 (ud. 26-1-2011) rv. 249717.
135 • Ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive
• Il criterio di ragguaglio di euro 250 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva di cui all’art. 135 cod.
• È inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso
del P.M. avverso la sentenza di estinzione del reato per remissione di querela — pronunciata ancorché il querelato
non sia comparso in udienza e non sia ritualmente avvisato
della remissione o, comunque, posto in grado di conoscerla — qualora il querelato, pur avendo ricevuto rituale notifica di detta declaratoria, non abbia proposto, a sua volta, impugnazione — azionando il diritto di ricusa, ex art.
155 comma primo, cod. pen., al fine di rendere inefficace
la remissione — in quanto, in tal caso, l’assenza di ricusa
produce, ex art. 152 cod. pen., l’effetto estintivo del reato,
con conseguente venir meno dell’interesse del P.M. all’annullamento della sentenza impugnata, ormai, produttiva
di un effetto consolidatosi. — Sez. Un. sent. 27610 del 137-2011 (ud. 25-5-2011) rv. 250200.
155 • Accettazione della remissione
• L’omessa comparizione in udienza del querelato,
posto a conoscenza della remissione della querela o posto in grado di conoscerla, integra, ex art. 155, comma primo, cod. pen., la mancanza di ricusa idonea a legittimare la pronuncia di estinzione del reato. — Sez. Un. sent.
27610 del 13-7-2011 (ud. 25-5-2011) rv. 250201.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
per radicare la qualità di amministratore di fatto in capo
all’estraneo non possono essere utilizzati come prova presuntiva della sua responsabilità a titolo di concorso esterno nel reato proprio del fallito. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto sussistente il concorso dell’estraneo, dando puntuale dimostrazione dell’apporto materiale e morale dell’imputato nelle singole fasi di una complessiva e unitaria manovra fraudolenta, non ravvisando
alcun coefficiente presuntivo nella conclusione di reità).
— Sez. 5 sent. 8403 del 2-3-2011 (ud. 3-2-2011) rv. 249722.
66
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157 • Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere
• La causa estintiva della prescrizione, una volta dichiarata con sentenza, non può essere oggetto di rinuncia nei gradi successivi. (In motivazione la Corte ha precisato che, ove ciò avvenisse, sarebbe violato il divieto di reformatio in peius). — Sez. 3 sent. 20832 del 25-5-2011 (ud.
28-4-2011) rv. 250478.
• Non deve tenersi conto, ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato, dell’aumento di pena collegato
alla recidiva che non sia stata contestata. — Sez. 2 sent.
14248 del 11-4-2011 (ud. 5-4-2011) rv. 250214.
• La disciplina della prescrizione del reato introdotta
con la novella codicistica apportata con la legge n. 251 del
2005 non trova applicazione, seppure i termini di prescrizione risultino per i reati per cui si procede più brevi, nei
processi in cui già prima dell’entrata in vigore della indicata legge di modifica era stata emessa la sentenza di primo grado, e ciò pur quando il processo sia successivamente regredito a seguito della dichiarazione di nullità della
sentenza medesima. — Sez. 2 sent. 10725 del 16-3-2011
(cc. 25-2-2011) rv. 249674.
• In tema di prescrizione, ai fini dell’applicazione delle
disposizioni transitorie previste dall’art. 10, comma terzo,
della legge n. 251 del 2005, quando il giudizio di primo grado si sia concluso con una sentenza di assoluzione, il momento determinante per stabilire la pendenza del procedimento in appello va individuato nell’emissione del decreto di citazione per il giudizio, ex art. 601 cod. proc. pen. —
Sez. 2 sent. 8455 del 3-3-2011 (ud. 27-1-2011) rv. 249953.
158 • Decorrenza del termine della
prescrizione
• Ai fini della decorrenza del termine di prescrizione
del delitto tentato ha rilievo non il giorno in cui la condotta illecita viene scoperta o comunque il reato non può essere più consumato per cause indipendenti dalla volontà
dell’agente, bensì il giorno in cui il reo ha compiuto l’ultimo atto integrante la fattispecie tentata. — Sez. 2 sent.
16609 del 29-4-2011 (ud. 8-4-2011) rv. 250112.
• I fatti di falso in bilancio seguiti dal fallimento della società non costituiscono un’ipotesi aggravata del reato di false comunicazioni sociali, ma integrano l’autonomo reato di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, con la conseguenza che i termini di prescrizione
iniziano a decorrere non dalla consumazione delle singole condotte presupposte ma dalla data della declaratoria
del fallimento. — Sez. 5 sent. 15062 del 13-4-2011 (ud.
2-3-2011) rv. 250092.
• Il termine di prescrizione del reato permanente di
omessa bonifica dei siti inquinati (art. 257, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) decorre dal momento dell’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dell’area e non dal precedente sequestro
del sito inquinante, che non giova a far cessare la condotta antigiuridica. — Sez. 3 sent. 11498 del 22-3-2011 (ud.
15-12-2010) rv. 249743.
• Il termine di prescrizione del reato di danneggiamento, che pure ha natura di reato istantaneo, ha inizio,
nel caso in cui le condotte che lo integrano siano frutto
non di un unico atto bensì della ripetizione di condotte
lesive, dalla commissione dell’ultima condotta, configurandosi nella specie come reato a consumazione prolungata o a condotta frazionata. (Fattispecie in cui la Corte ha
precisato che le plurime immissioni di sostanze inquinanti nei corsi d’acqua, successive alla prima, non costituiscono un post factum penalmente irrilevante, né singole ed
autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento, bensì singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, e quindi l’inizio della decorrenza della prescrizione, fino all’ultima immissione). — Sez. 4 sent. 9343 del 9-3-2011 (ud. 2110-2010) rv. 249809.
159
• Sospensione del corso della
prescrizione
• L’impedimento del difensore per contemporaneo
impegno professionale, sebbene tutelato dall’ordinamento
con il diritto al rinvio dell’udienza, non costituisce un’ipotesi d’impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva e non dà luogo pertanto ad un caso in cui trovano
applicazione i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione previsti dall’art. 159, comma primo,
n. 3, cod. pen., nel testo introdotto dall’art. 6 della L. 5 dicembre 2005, n. 251. — Sez. 2 sent. 17344 del 5-5-2011
(ud. 29-3-2011) rv. 250076.
• Integra una causa di sospensione della prescrizione il
rinvio del dibattimento disposto su accordo delle parti, in
quanto non collegato ad esigenze probatorie e difensive. —
Sez. 5 sent. 14461 del 11-4-2011 (ud. 2-2-2011) rv. 249847.
• Nel concorso di due fatti che legittimano il rinvio
del dibattimento, l’uno riferibile all’imputato o al difensore e l’altro al giudice, deve accordarsi la prevalenza a quello riferibile al giudice e pertanto il rinvio non
determina la sospensione del corso della prescrizione.
(Nella fattispecie il dibattimento era stato rinviato per
la contemporanea adesione del difensore e del giudice
allo sciopero indetto nello stesso giorno dalle rispettive
categorie). — Sez. 2 sent. 11559 del 23-3-2011 (ud. 9-22011) rv. 249909.
160
• Interruzione del corso della
prescrizione
• Ai fini dell’interruzione della prescrizione rileva il
momento della lettura del dispositivo della sentenza di
condanna e non quello, successivo, del deposito della sentenza stessa. — Sez. 3 sent. 18046 del 10-5-2011 (ud. 9-22011) rv. 250328.
Codice Penale
• Oblazione nelle contravven-
zioni
• È inammissibile la domanda di oblazione, presentata in sede di opposizione a decreto penale di condanna ma in via subordinata alla richiesta di dichiarazione di
nullità del decreto per insussistenza del fatto e del conseguente proscioglimento, in quanto il giudice deve decidere sulla domanda di oblazione in via prioritaria. (Nella specie il giudice, in considerazione della richiesta principale, aveva emesso il decreto di citazione per il giudizio,
con conseguente preclusione della successiva richiesta di
oblazione). — Sez. 3 sent. 12518 del 28-3-2011 (ud. 24-22011) rv. 249788.
163 • Sospensione condizionale della pena
• È illegittima la decisione con cui il giudice di merito disponga la sospensione condizionale di una pena detentiva completamente espiata, in quanto detto beneficio
presuppone che la pena inflitta debba essere, in tutto o in
parte, da espiare, senza la quale non può svolgere la funzione assegnatagli dall’ordinamento. — Sez. 5 sent. 23240
del 9-6-2011 (ud. 21-4-2011) rv. 250463.
• Il giudice, ove la richiesta concordata di applicazione della pena sia subordinata alla concessione della
sospensione condizionale, è tenuto a pronunziarsi sulla
concedibilità o meno del beneficio, ratificando in caso positivo l’accordo delle parti, oppure rigettando in toto la richiesta di patteggiamento. (In applicazione del principio,
la Corte ha annullato la decisione del giudice che aveva
reso sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., senza pronunciarsi sulla concordemente chiesta sospensione condizionale della pena). — Sez. 4 sent. 9455 del 9-3-2011 (cc. 211-2011) rv. 249813.
164 • Limiti entro i quali è ammessa la sospensione condizionale
della pena
• È illegittima la concessione della sospensione condizionale della pena a fronte dell’accertata pericolosità
sociale dell’imputato cui faccia seguito l’applicazione di
misura di sicurezza, posto che il predetto beneficio implica la presunzione che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. — Sez. 3 sent. 16430 del 27-4-2011 (ud.
2-3-2011) rv. 249998.
165 • Obblighi del condannato
• Non è abnorme, pur essendo illegittima, la sentenza che subordini il beneficio della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno ancorché non determinato nell’ammontare, né a titolo definitivo né a tito-
lo di provvisionale. — Sez. 1 sent. 7516 del 25-2-2011 (cc.
27-1-2011) rv. 249806.
168 • Revoca della sospensione
• La condanna a pena detentiva sostituita con pena pecuniaria non può costituire titolo per la revoca della sospensione condizionale della pena in precedenza concessa. —
Sez. 5 sent. 15785 del 20-4-2011 (cc. 17-1-2011) rv. 250162.
173 • Estinzione delle pene dell’arresto e dell’ammenda per decorso
del tempo
• In tema di reati edilizi, l’ordine di demolizione del
manufatto abusivo non è soggetto né alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, in quanto sanzione amministrativa, né alla prescrizione stabilita
dall’art. 28 legge n. 689 del 1981 riguardante, infatti, unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva. —
Sez. 3 ord. 19742 del 19-5-2011 (cc. 14-4-2011) rv. 250336.
174 • Indulto e grazia
• La cessazione della condotta antigiuridica di un reato permanente in epoca successiva alla scadenza del termine di operatività dell’indulto previsto dalla L. 31 luglio
2006, n. 241, ne preclude l’applicazione, essendo irrilevante l’inizio del momento consumativo in data antecedente
al 2 maggio 2006. (Nella specie, si trattava della contravvenzione di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni lavorative, prevista dagli artt. 4 e 18, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276). — Sez. 3 sent. 15587 del 19-4-2011
(ud. 24-3-2011) rv. 250149.
178 • Riabilitazione
• È illegittimo il decreto con cui il Presidente del Tribunale di sorveglianza dichiari inammissibile l’istanza di riabilitazione presentata dal condannato straniero perché non
corredata dal permesso di soggiorno in copia autentica. —
Sez. 1 sent. 22114 del 1-6-2011 (cc. 19-5-2011) rv. 250448.
179 • Condizioni per la riabilitazione
• Il termine triennale per la concessione della riabilitazione decorre, in caso di condanna a pena condonata,
dalla data di passaggio in giudicato della sentenza che
ha applicato l’indulto e non da quella del provvedimento
legislativo che l’ha concesso. — Sez. 1 sent. 16540 del 274-2011 (cc. 6-4-2011) rv. 250346.
• Il computo del termine triennale previsto per la riabilitazione, nel caso di condanna a pena detentiva congiunta a pena pecuniaria, deve avere riguardo non solo
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
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Aggiornamento giurisprudenziale
alla data di espiazione della pena detentiva, ma anche a
quella di pagamento della pena pecuniaria, giacché anche
quest’ultima contribuisce, allo stesso titolo, a costituire la
pena principale del reato. — Sez. 1 sent. 9323 del 9-3-2011
(cc. 1-2-2011) rv. 249886.
185 • Restituzioni e risarcimento del
danno
• L’azione civile per le restituzioni e/o il risarcimento
del danno nel processo penale non spetta iure successionis ai successibili che non siano eredi e quindi successori universali, non escludendosi però, per i successibili che
siano prossimi congiunti della vittima, la legittimazione ad
agire iure proprio per il ristoro dei danni patrimoniali e soprattutto non patrimoniali sofferti. — Sez. 2 sent. 14251
del 11-4-2011 (ud. 5-4-2011) rv. 250237.
• La determinazione equitativa del danno morale cagionato dalla commissione di reati sessuali in danno di minori d’età deve tener conto dell’intensità della violazione
della libertà morale e fisica nella sfera sessuale del minore, del turbamento psichico cagionato e delle conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi, degli effetti proiettati nel tempo nonché dell’incidenza del fatto criminoso sulla personalità della vittima.
— Sez. 3 sent. 13686 del 5-4-2011 (ud. 9-3-2011) rv. 249929.
215 • Specie
• Nel procedimento di sorveglianza in materia di misure di sicurezza, la preclusione del cosiddetto giudicato
esecutivo opera rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce, una volta esauriti gli effetti della precedente decisione, la rivalutazione della pericolosità del soggetto e la
conseguente individuazione di un’eventuale nuova misura da applicare sulla base di ulteriori elementi non valutati o perché emersi successivamente all’adozione del provvedimento divenuto definitivo ovvero, se preesistenti, da
questo non presi in considerazione. — Sez. Un. ord. 34091
del 15-9-2011 (cc. 28-4-2011) rv. 250350.
• Non v’è relazione di fungibilità tra la pena detentiva e una misura di sicurezza non detentiva (nella specie libertà vigilata provvisoriamente applicata), benché
quest’ultima sia caratterizzata da forti limitazioni della libertà di locomozione. — Sez. 1 sent. 4740 del 9-2-2011 (cc.
13-1-2011) rv. 249791.
216 • Assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro
• Lo speciale regime previsto dall’art. 41bis ordinamento penitenziario è applicabile non solo ai detenuti
ma altresì agli internati cui sia stata irrogata una misura di sicurezza detentiva.(Fattispecie relativa ad internato in casa di lavoro). — Sez. 1 sent. 22083 del 1-6-2011 (cc.
9-3-2011) rv. 250436.
• La misura di sicurezza dell’assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro è obbligatoria nei
confronti di colui che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza e di cui sia stata accertata dal giudice la pericolosità sociale. — Sez. 1 sent. 14014
del 7-4-2011 (cc. 9-3-2011) rv. 249866.
219
• Assegnazione a una casa di
cura e di custodia
• La misura di sicurezza della libertà vigilata può essere applicata, in luogo della misura dell’assegnazione ad
una casa di cura e di custodia, anche nei confronti del
condannato affetto da vizio parziale di mente, se in concreto detta misura sia capace di soddisfare le esigenze di
cura e tutela della persona e di controllo della sua pericolosità sociale. — Sez. 1 sent. 18314 del 10-5-2011 (ud. 232-2011) rv. 250257.
230 • Casi nei quali deve essere ordinata la libertà vigilata
• V. rv. 250257 sub art. 219 e rv. 250349 sub art. 232.
232 • Minori o infermi di mente in
stato di libertà vigilata
• La misura di sicurezza della libertà vigilata applicata
per effetto della dichiarazione di abitualità nel reato non
può essere sostituita, per sopravvenuta infermità psichica,
con la misura del ricovero in casa di cura e custodia, essendo inapplicabile a tale ipotesi la disposizione di cui all’art.
232, comma terzo, cod. pen., esclusivamente rivolta a disciplinare la situazione della persona già dichiarata pericolosa per infermità di mente. — Sez. Un. ord. 34091 del
15-9-2011 (cc. 28-4-2011) rv. 250349.
235 • Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato
• La previsione secondo cui non è consentita l’espulsione dello straniero effettivamente convivente con il coniuge di nazionalità italiana attiene a tutte le espulsioni
giudiziali, compresa l’espulsione applicata a titolo di misura di sicurezza. — Sez. 1 sent. 22100 del 1-6-2011 (cc. 284-2011) rv. 250241.
240 • Confisca
• Gli effetti cambiari consegnati dal debitore a garanzia o a pagamento del prestito usurario costituiscono
il profitto del reato, che può formare oggetto esclusivamente di confisca facoltativa, misura questa non applicabile in sede di esecuzione. — Sez. 1 sent. 18343 del 10-52011 (cc. 23-2-2011) rv. 250234.
• La confisca obbligatoria del veicolo, prevista per il reato di guida in stato di ebbrezza, non si applica relativamente
ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 4 D.L.
23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge 24 luglio 2008, n.
125, che l’ha introdotta. (In motivazione la Corte ha precisato che la confisca, qualificata come sanzione amministrativa
accessoria dalla legge 29 luglio 2010, n. 120, resta comunque
irretroattiva ex art. 1 legge 24 novembre 1981, n. 689). —
Sez. 4 sent. 15010 del 13-4-2011 (cc. 21-1-2011) rv. 250222.
• La confisca di cui all’art. 6, comma primo-bis, D.L.
n. 172 del 2008, conv., con modd., con L. n. 210 del 2008,
del mezzo impiegato per il trasporto abusivo di rifiuti nel
territorio della Regione Campania è facoltativa in caso di
applicazione della pena su richiesta delle parti e non può
essere disposta se il mezzo appartiene ad un terzo, seppur
questi risulti indagato in separato procedimento in relazione allo stesso fatto. — Sez. 3 sent. 14039 del 7-4-2011
(cc. 12-1-2011) rv. 250052.
• In tema di confisca, non integra la nozione di «appartenenza a persona estranea al reato» la mera intestazione a terzi del bene mobile utilizzato per realizzare
il reato stesso, quando precisi elementi di fatto consentano di ritenere che l’intestazione sia del tutto fittizia e che
in realtà sia l’autore dell’illecito ad avere la sostanziale disponibilità del bene. (Fattispecie relativa all’alienazione del
bene successiva alla consumazione del reato). — Sez. 2 sent.
13360 del 1-4-2011 (ud. 3-2-2011) rv. 249885.
• Il riconoscimento della circostanza attenuante della
lieve entità del fatto nel reato di cessione illegale di sostanze stupefacenti non osta, ove ricorrano le condizioni
previste dall’art. 240 cod. pen., alla confisca del denaro costituente prodotto, profitto o provento del reato di cessione di sostanze stupefacenti. — Sez. 3 sent. 11962 del 243-2011 (cc. 16-12-2010) rv. 249741.
69
• Il sequestro preventivo funzionale alla confisca
per equivalente, previsto dall’art. 11 della legge 16 marzo 2006, n. 146 per i reati transnazionali, è applicabile anche al profitto dei reati di frode fiscale rientranti nel programma associativo di un’organizzazione criminale transnazionale. (In motivazione la Corte ha precisato che il reato-fine di frode fiscale costituisce reato transnazionale in
base all’art. 3, comma primo, lett. c), della citata legge n.
146 del 2006). — Sez. 3 sent. 11969 del 24-3-2011 (cc. 242-2011) rv. 249760.
• Il valore di riferimento per il sequestro funzionale
alla confisca per equivalente, in caso di delitto di riciclaggio transnazionale avente ad oggetto i proventi del reato
di frode fiscale, dev’essere quantificato sulla base del profitto di tale ultimo reato, entrato a far parte delle operazioni di riciclaggio transnazionale. (In motivazione la Corte ha
ulteriormente precisato che se il riciclaggio ha ad oggetto
i proventi del reato di frode fiscale, detti proventi costituiscono anche il profitto del riciclaggio in relazione ai soggetti autori del solo reato transnazionale). — Sez. 3 sent.
11970 del 24-3-2011 (cc. 24-2-2011) rv. 249761.
• L’adozione del sequestro preventivo, funzionale alla
confisca prevista dall’art. 12sexies della L. 7 agosto 1992,
n. 356, richiede l’accertamento di un nesso strumentale
tra la cosa ed il reato, desumibile anche da dati sintomatici. (Fattispecie di sequestro preventivo di un’autovettura
«adattata» per il trasporto di sostanze stupefacenti occultate nel vano portaoggetti del lato passeggero, nella quale la Corte ha precisato che la strumentalità della vettura
alla commissione del reato previsto dall’art. 73 del d.P.R.
n. 309 del 1990, può essere ulteriormente desunta anche
dalla diversa destinazione originaria del veicolo a specifici impieghi o dall’uso reiterato nel tempo). — Sez. 3 sent.
9305 del 9-3-2011 (cc. 24-2-2011) rv. 249762.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
Codice Penale
70
Aggiornamento giurisprudenziale
Libro Secondo
Dei delitti in particolare
270quinquies
316ter • Indebita percezione di ero-
• Ai fini della configurabilità del delitto di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale, l’art. 270quinquies, cod. pen., richiede un duplice dolo specifico, caratterizzato non solo dalla realizzazione di una condotta in concreto idonea al compimento di
atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, ma anche dalla presenza della finalità di terrorismo descritta dall’art. 270sexies cod. pen. (conf. n. 29669
del 2011 e n. 29671 del 2011, non mass.). — Sez. 6 sent.
29670 del 25-7-2011 (cc. 20-7-2011) rv. 250517.
• Integra la fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e non di truffa aggravata, per
assenza di un comportamento fraudolento in aggiunta al
mero silenzio, la condotta di colui che, percependo periodicamente l’indennità di disoccupazione prevista per legge,
ometta di comunicare all’Istituto erogante (I.N.P.S.) l’avvenuta stipula di un contratto di lavoro subordinato e conseguente assunzione, così continuando a percepire, indebitamente, la detta indennità. (La Corte, rilevato che la somma
indebitamente percepita era inferiore ad euro 3999,96, ha
annullato senza rinvio e disposto la trasmissione degli atti
alla locale autorità amministrativa). — Sez. 2 sent. 21000
del 26-5-2011 (ud. 8-2-2011) rv. 250262.
• Addestramento
ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale
292 • Vilipendio o danneggiamento
alla bandiera o ad altro emblema
dello Stato
• Ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 292
cod. pen. è necessario che la condotta di vilipendio si concretizzi in un atto di denigrazione di una bandiera nazionale e non anche di un’altra cosa che ne riporta i colori. (Fattispecie relativa alla ritenuta sussistenza del reato in
riferimento alla bandiera effigiata su un manifesto di propaganda politica). — Sez. 1 sent. 23690 del 13-6-2011 (cc.
4-5-2011) rv. 250445.
314 • Peculato
• Integra il delitto di peculato la guardia giurata di
un aeroporto che, avendone la disponibilità per ragioni
di servizio, si appropri degli oggetti volontariamente lasciati dai passeggeri ai filtri di sicurezza predisposti per i
controlli delle partenze aeroportuali. — Sez. 6 sent. 25695
del 28-6-2011 (ud. 15-6-2011) rv. 250514.
• Non esclude il reato di peculato la circostanza che il
pubblico ufficiale abbia trattenuto somme di danaro pubblico in compensazione di crediti vantati nei confronti della amministrazione di appartenenza. — Sez. 6 sent. 20940
del 25-5-2011 (ud. 22-2-2011) rv. 250055.
• Integra il delitto di peculato, e non quello di appropriazione indebita, la condotta del titolare di una tabaccheria che si appropri di una somma di denaro della quale
abbia il possesso perché autorizzato alla riscossione delle
tasse automobilistiche regionali. — Sez. 2 sent. 17109 del
3-5-2011 (ud. 22-3-2011) rv. 250315.
gazioni a danno dello Stato
317 • Concussione
• Le nozioni di abuso e induzione nella fattispecie di
concussione indicano aspetti di una unica stessa condotta e non condotte differenti, sicché l’induzione che assume rilievo è quella commessa mediante inganno o persuasione e questi ultimi devono essere espressione dell’abuso della qualità e dei poteri, visto sotto il profilo dell’incidenza sulla psiche della vittima. — Sez. 6 sent. 25694 del
28-6-2011 (ud. 11-1-2011) rv. 250468.
• Non integra la fattispecie di concussione la condotta di semplice richiesta di denaro o altre utilità da parte
del pubblico ufficiale in presenza di situazioni di mera
pressione ambientale, senza però che questi abbia posto
in essere atti di costrizione o di induzione, non potendosi fare applicazione analogica della norma incriminatrice,
imperniata inequivocabilmente sullo stato di soggezione
della vittima provocato dalla condotta del pubblico ufficiale. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza della
Corte di Appello che aveva qualificato come concussione,
piuttosto che corruzione, la mera richiesta di denaro o di
altra utilità da parte del soggetto passivo, in forza di una
generalizzata e notoria prassi in tal senso invalsa in un determinato settore della P.A.). — Sez. 6 sent. 25694 del 286-2011 (ud. 11-1-2011) rv. 250467.
• Ai fini della configurabilità del reato di concussione
cosiddetta «ambientale» è comunque necessario che venga fornita la prova della consumazione da parte del pubblico ufficiale di uno specifico comportamento costrittivo
od induttivo e della correlativa situazione di soggezione
del privato. — Sez. 6 sent. 24015 del 15-6-2011 (ud. 2-32011) rv. 250085.
• Integra il delitto di concussione la promessa di denaro fatta dal privato al pubblico ufficiale, anche se la stessa sia sorretta dalla speranza che un efficace intervento
delle forze dell’ordine ne impedisca l’adempimento, non
potendosi ritenere sufficiente ad escludere il metus publicae
potestatis la sola circostanza che il soggetto passivo si sia rivolto alla forze di polizia, per sottrarsi alle pretese dell’autore del reato. (Fattispecie in cui la denuncia del privato
era stata presentata prima della consegna del denaro). —
Sez. 6 sent. 17303 del 5-5-2011 (ud. 20-4-2011) rv. 250066.
• In tema di distinzione tra i reati di corruzione e concussione, non è ravvisabile l’ipotesi della concussione cosiddetta «ambientale» qualora il privato si inserisca in un
sistema nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della «tangente» sia costante, atteso che in
tale situazione viene a mancare completamente lo stato
di soggezione del privato, che tende ad assicurarsi vantaggi illeciti, approfittando dei meccanismi criminosi e divenendo anch’egli protagonista del sistema. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto corretta la configurazione del reato di corruzione nella condotta di un privato che aveva promesso all’impiegato di un ufficio anagrafe una somma di denaro per agevolare il rilascio di un certificato di residenza). — Sez. 6 sent. 16335 del 26-4-2011
(ud. 12-4-2011) rv. 250045.
• Ai fini della configurabilità del reato di concussione cosiddetta «ambientale», deve ritenersi necessaria la
realizzazione di uno specifico e ben individuato comportamento costrittivo o induttivo da parte del pubblico ufficiale. (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato senza rinvio
la sentenza impugnata, che aveva ravvisato il tentativo di
concussione nella condotta posta in essere dalla direttrice di una scuola infermieri, la quale avrebbe tentato di indurre un allievo a partecipare all’acquisto di regali che gli
studenti periodicamente le facevano). — Sez. 6 sent. 14544
del 12-4-2011 (ud. 25-1-2011) rv. 250030.
318 • Corruzione per un atto d’ufficio
• Integra il delitto di corruzione propria, e non quello di corruzione impropria, l’agente di polizia giudiziaria
che si presti, dietro corrispettivo, a recapitare clandestinamente ad un detenuto corrispondenza, cibarie ed altri generi di consumo, perché tali fatti si qualificano come
contrari ai doveri d’ufficio. — Sez. 1 sent. 22838 del 8-62011 (ud. 10-5-2011) rv. 250429.
322ter • Confisca
• Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per
equivalente, di un bene facente parte del fondo patrimoniale familiare richiede la prova dell’effettiva disponibilità, anche parziale, del medesimo in capo al coniuge indagato. — Sez. 3 sent. 18527 del 11-5-2011 (cc. 3-2-2011)
rv. 250525.
• La confisca di cui all’art. 11 L. n. 146 del 2006 e il sequestro preventivo ad essa direttamente funzionale, nella
speciale ipotesi della confisca per equivalente, hanno ad
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oggetto beni od altre utilità di cui il reo ovvero l’indagato ha la disponibilità anche per interposta persona fisica
o giuridica per un valore corrispondente al prodotto, profitto o prezzo del reato. Ne deriva che sono assoggettabili
al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente beni rientranti nella disponibilità dell’indagato,
ancorché conferiti in trust, che l’indagato trustee continui
ad amministrare conservandone la piena disponibilità. —
Sez. 5 sent. 13276 del 30-3-2011 (cc. 24-1-2011) rv. 249838.
• Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente può interessare indifferentemente ciascuno
dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se poi l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare
complessivo dello stesso profitto. — Sez. 5 sent. 13277 del
30-3-2011 (cc. 24-1-2011) rv. 249839.
• Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ex art.
322ter cod. pen., del profitto del reato può essere disposto
anche solo parzialmente nella forma per equivalente, qualora non tutti i beni costituenti l’utilità economica tratta
dall’attività illecita risultino individuabili. (Fattispecie relativa al reato di truffa aggravata per il conseguimento di
erogazioni pubbliche). — Sez. 2 sent. 11590 del 23-3-2011
(cc. 9-2-2011) rv. 249883.
• È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 322ter cod. pen. ed 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per la parte
in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i
reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contrasterebbero, nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione finanziaria, con gli artt. 23 e 25
Cost., in quanto la restituzione all’Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria. —
Sez. 3 ord. 10120 del 11-3-2011 (cc. 1-12-2010) rv. 249752.
323 • Abuso d’ufficio
• In tema di sequestro preventivo, ai fini dell’affermazione del fumus commissi delicti del reato proprio contestato anche a soggetti che non rivestono la qualifica tipica, è necessario che il giudice motivi anche sull’elemento
psicologico dell’autore proprio, atteso che la sua mancanza impedisce la stessa astratta configurabilità del predetto
reato. (Fattispecie relativa al reato di abuso d’ufficio contestato in concorso a funzionari comunali ed imprenditori privati). — Sez. 6 sent. 31382 del 5-8-2011 (cc. 28-62011) rv. 250441.
• In tema di abuso d’ufficio, il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato anche solo
dall’inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A., per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi che impone al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio una precisa
regola di comportamento di immediata applicazione. —
Sez. 6 sent. 27453 del 13-7-2011 (ud. 17-2-2011) rv. 250422.
• Integra il delitto di tentato abuso d’ufficio, e non quello di peculato, la condotta di un ispettore della Polizia di Sta-
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to che, utilizzando il «fax» in dotazione dell’ufficio, richieda all’A.C.I. notizie ed informazioni sulle autovetture di lusso immatricolate in una data provincia, al fine di procurare
un ingiusto vantaggio patrimoniale al coniuge, procacciatore d’affari presso un’agenzia di assicurazioni, che avrebbe potuto ottenerle solo previo pagamento (evento non verificatosi per l’intervento dei superiori che avevano intercettato il «fax»). — Sez. 6 sent. 20094 del 20-5-2011 (ud. 4-52011) rv. 250071.
• Il dolo intenzionale del delitto di abuso d’ufficio
non è escluso dalla mera compresenza di una finalità
pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, essendo necessario, per ritenere insussistente l’elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca il fine primario dell’agente. (Cfr., Corte cost., ord. n.
251 del 2006). — Sez. 3 sent. 18895 del 13-5-2011 (ud. 242-2011) rv. 250374.
• In tema di abuso d’ufficio, per la configurabilità
dell’elemento soggettivo è richiesto il dolo intenzionale,
ossia la rappresentazione e la volizione dell’evento come
conseguenza diretta e immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario da costui perseguito. (Nella specie si
è esclusa l’intenzionalità del dolo nel comportamento del
sindaco che aveva adottato un’ordinanza di rimozione di
alcune fioriere poste su spiazzo antistante un palazzo sottoposto a vincolo del Ministero dei beni culturali — ordinanza oggetto di ricorso al Tar con richiesta di sospensiva,
non accolta dal giudice amministrativo — perché la pendenza della questione dinanzi al Tar e la resistenza del comune con parziale successo nella fase cautelare escludono la certezza che l’intenzione del ricorrente sia stata primariamente quella di danneggiare le parti civili e non
piuttosto quella di perseguire un vantaggio per la cittadinanza a scapito dei diritti dei titolari dell’area contesa). —
Sez. 5 sent. 3039 del 27-1-2011 (ud. 3-12-2010) rv. 249706.
326
• Rivelazione ed utilizzazione
di segreti di ufficio
• Integra il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio
la condotta del collaboratore di cancelleria che fornisca a
terzi non autorizzati a riceverla, e senza rispettare la procedura e la formula all’uopo previste dall’art. 101bis disp.
att. proc. pen., la notizia sull’assenza di iscrizioni nel registro degli indagati a carico di una determinata persona. —
Sez. 5 sent. 24583 del 20-6-2011 (cc. 18-1-2011) rv. 249821.
328 • Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione
• Il delitto di omissione di atti di ufficio, di cui all’art.
328, comma secondo, cod. pen., integra un delitto plurioffensivo, in quanto la sua realizzazione lede, oltre l’interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della
P.A., anche il concorrente interesse del privato danneggiato
dall’omissione o dal ritardo dell’atto amministrativo dovu-
to. Ne consegue che il soggetto privato assume la posizione di persona offesa dal reato ed è pertanto legittimato a
proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione
formulata dal P.M. — Sez. 2 sent. 17345 del 5-5-2011 (ud.
29-3-2011) rv. 250077.
337 • Resistenza a un pubblico ufficiale
• È configurabile l’esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale qualora il privato opponga resistenza al pubblico ufficiale che pretenda di sottoporlo a
perquisizione personale finalizzata alla ricerca di armi e
munizioni in assenza di elementi obiettivi idonei a giustificare l’atto, e dopo averlo accompagnato coattivamente in
caserma in ragione del precedente rifiuto non già di declinare le generalità, ma di esibire i documenti di identità. —
Sez. 6 sent. 18841 del 12-5-2011 (ud. 14-4-2011) rv. 250095.
343 • Oltraggio a un magistrato in
udienza
• Ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio ad
un magistrato in udienza, rientrano nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica le espressioni o gli apprezzamenti che investono la legittimità o l’opportunità
del provvedimento in sè considerato, non invece quelli rivolti alla persona del magistrato. (Fattispecie in cui la S.C.
ha escluso la sussistenza del reato, ravvisando nella condotta dell’imputato la mera espressione di uno sfogo difensivo, pur aspro, volto a disapprovare l’operato del P.M.
nella gestione dei pentiti). — Sez. 6 sent. 20085 del 20-52011 (ud. 26-4-2011) rv. 250070.
• Integra il delitto di oltraggio a magistrato in udienza il rivolgere poco lusinghieri apprezzamenti con frasi
allusive a sfondo sessuale nei confronti dei vice procuratore onorario di udienza, così offendendo il suo onore
e decoro, seppure nel periodo di attesa della deliberazione della sentenza, in cui il magistrato del pubblico ministero, in assenza del giudice, svolge le funzioni di disciplina dell’udienza. — Sez. 1 sent. 14591 del 12-4-2011 (ud.
2-3-2011) rv. 249737.
348 • Abusivo esercizio di una professione
• Integra il reato di esercizio abusivo della professione
lo svolgimento, senza la necessaria abilitazione, dell’attività di psicanalista. — Sez. 6 sent. 14408 del 11-4-2011 (ud.
23-3-2011) rv. 249895.
• Integra il delitto di abusivo esercizio della professione di dottore commercialista la condotta del consulente
del lavoro che presti attività di assistenza fiscale e contabile
in favore di imprese e lavoratori autonomi. — Sez. 6 sent.
10100 del 11-3-2011 (cc. 25-2-2011) rv. 249728.
Codice Penale
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353 • Turbata libertà degli incanti 361 • Omessa denuncia di reato da
357 • Nozione del pubblico ufficiale
• In tema di reati di falso, il titolare dell’agenzia automobilistica che gestisce il cosiddetto «sportello telematico dell’automobilista» (STA) — il quale, ex art. 4 d.P.R. n.
358 del 2000, deve verificare, ai fini del rilascio della carta di circolazione, la idoneità, la completezza e la conformità tanto della domanda, quanto della documentazione
presentata dall’interessato nonché l’avvenuto versamento delle imposte e dei diritti dovuti dal richiedente — forma un atto pubblico, con la conseguenza che egli riveste
la qualifica di pubblico ufficiale nel compimento dell’intero iter che sfocia nella produzione del predetto documento. (In applicazione del principio di cui in massima la
S.C. ha censurato l’ordinanza del Tribunale del riesame, il
quale aveva ritenuto che il titolare di detta agenzia agisse
come p.u. solo nel momento in cui accertava l’identità del
richiedente e considerato le ulteriori attività meramente
materiali e al di fuori dei poteri autoritativi e di certificazione del p.u.). — Sez. 5 sent. 28086 del 15-7-2011 (cc. 236-2011) rv. 250405.
parte del pubblico ufficiale
• Il delitto di falso per soppressione, distruzione e occultamento di atti veri (artt. 490-476 cod. pen.) può concorrere con quello di omessa denuncia di reato da parte
del pubblico ufficiale (art. 361 cod. pen.), non sussistendo
alcun rapporto di consunzione o sussidiarietà tra gli stessi,
attesa la diversità dei beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici. (Fattispecie relativa alla distruzione di una denuncia di furto ad opera dell’ufficiale di polizia giudiziaria che l’aveva formalmente ricevuta dal privato, seguita dall’omissione dell’atto di denuncia relativo al
corrispondente reato). — Sez. 6 sent. 21351 del 27-5-2011
(ud. 5-5-2011) rv. 250504.
• Il delitto di omessa denuncia si realizza quando il ritardo della comunicazione della notizia di reato, fondata o meno che essa appaia, non consenta al P.M. qualsiasi iniziativa a lui spettante. (In motivazione la Corte ha
escluso che la intervenuta modifica del termine ex art. 347
cod. pen., da quarantotto ore a «senza ritardo», previsto
per riferire al P.M. la notizia di reato, autorizzi il pubblico
ufficiale ad una valutazione di fondatezza). — Sez. 5 sent.
14465 del 11-4-2011 (ud. 9-2-2011) rv. 249902.
367 • Simulazione di reato
• La simulazione di reato ha natura di reato istantaneo
e di pericolo, e si consuma con la semplice denuncia idonea a provocare investigazioni e accertamento della polizia giudiziaria. (La Corte ha precisato che, nonostante tale
natura giuridica, è configurabile il concorso nel reato del
soggetto il quale rafforzi ed agevoli l’agente nel suo proposito criminoso, fornendo una conferma al falso narrato). —
Sez. 2 sent. 19077 del 16-5-2011 (ud. 3-5-2011) rv. 250319.
368 • Calunnia
• È configurabile il concorso tra il delitto di calunnia e
quello di favoreggiamento personale nella condotta di colui che accusi falsamente taluno di aver commesso un reato
al fine di sviare le indagini dal vero autore dello stesso. —
Sez. 6 sent. 18082 del 10-5-2011 (ud. 19-4-2011) rv. 250096.
• Deve escludersi l’assorbimento del delitto di cui
all’art. «371bis», cod. pen., in quello di calunnia, quando
le false informazioni rese al P.M. non si esauriscano nella mera reiterazione di precedenti dichiarazioni rilevanti
come fatti di calunnia, ma ne rappresentino un’evoluzione innovativa, attraverso la falsa rappresentazione di fatti
diversi in tempi diversi, realizzando in tal modo autonome e diverse fattispecie incriminatrici. — Sez. 6 sent. 16558
del 28-4-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 250059.
• Integra il delitto di calunnia colui che predisponga
maliziosamente quanto occorre perché taluno possa es-
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• Nel reato di turbata libertà degli incanti, la condotta
si sostanzia nell’alterazione del normale svolgimento della
gara attraverso l’impiego dei mezzi tassativamente previsti, e tra questi la «collusione» va intesa come ogni accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte, mentre il «mezzo fraudolento» consiste in
qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato, che si configura non
soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche
in un danno mediato e potenziale, dato che la fattispecie
si qualifica come reato di pericolo. (Fattispecie nella quale è stata ravvisato il reato in questione nella condotta dei
partecipanti a una gara pubblica che avevano presentato
offerte omogenee, imputabili ad unico centro di interessi,
calibrate sulla presunta media vincente e, quindi, capaci
di influire sul calcolo della media, aumentando la possibilità di aggiudicazione della gara). — Sez. 6 sent. 26809
del 8-7-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 250469.
• Nel reato di turbata libertà degli incanti, il mezzo della collusione riguarda tutti gli accordi preventivi intervenuti tra i partecipanti sui contenuti specifici delle rispettive offerte, diretti ad alterare il principio della libera concorrenza tra i singoli soggetti giuridici che partecipano in
via autonoma alla gara. (Fattispecie in cui la S.C. ha ravvisato la configurabilità del reato in relazione a gare di affidamento del servizio di vigilanza presso enti pubblici, mediante la creazione preventiva di una rete di imprese collegate tra loro, e la successiva partecipazione contemporanea delle medesime alle gare d’appalto, come entità apparentemente distinte ed autonome). — Sez. 6 sent. 16333
del 26-4-2011 (ud. 23-3-2011) rv. 250042.
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sere incriminato di un determinato reato, qualora a seguito di tale comportamento venga sporta denunzia all’autorità giudiziaria da un altro soggetto tenuto a farlo. —
Sez. 6 sent. 16161 del 22-4-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 249896.
371bis • False informazioni al pubblico ministero
• Non sussiste l’obbligo di sospensione del procedimento imposto al P.M. dall’art. «371bis», comma secondo,
cod. pen., se il procedimento avente ad oggetto il reato di
false informazioni al P.M. venga instaurato dopo l’emissione del decreto di archiviazione. — Sez. 6 sent. 16558
del 28-4-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 250058.
• Deve escludersi l’assorbimento del delitto di cui
all’art. «371bis», cod. pen., in quello di calunnia, quando le false informazioni rese al P.M. non si esauriscano nella mera reiterazione di precedenti dichiarazioni rilevanti
come fatti di calunnia, ma ne rappresentino un’evoluzione innovativa, attraverso la falsa rappresentazione di fatti
diversi in tempi diversi, realizzando in tal modo autonome e diverse fattispecie incriminatrici. — Sez. 6 sent. 16558
del 28-4-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 250059.
372 • Falsa testimonianza
• La trasmissione degli atti al pubblico ministero da parte del giudice del dibattimento perché proceda nei confronti
del testimone sospettato di falsità o reticenza e del testimone renitente non costituisce una condizione di procedibilità dell’azione penale per il reato di falsa testimonianza. —
Sez. 6 sent. 23478 del 10-6-2011 (ud. 19-4-2011) rv. 250097.
• Nel delitto di falsa testimonianza il bene giuridico
protetto è quello del normale svolgimento dell’attività giudiziaria, sicché il soggetto passivo del reato è soltanto lo
Stato-collettività e non la persona che subisca eventuali danni risarcibili in sede civile. Ne consegue che il privato denunciante non è legittimato a proporre opposizione
alla richiesta di archiviazione formulata dal P.M. e, successivamente, ricorso per cassazione avverso la declaratoria
di inammissibilità dell’opposizione. — Sez. 6 sent. 15200
del 14-4-2011 (cc. 5-4-2011) rv. 250038.
373 • Falsa perizia o interpretazione
• In tema di falsa perizia, nel contesto di accertamenti valutativi (nella specie valutazione di ramo aziendale),
la presenza di difformi autorevoli pareri nonché l’adesione del primo giudice ad una stima diversa da quella accolta dal giudice di appello sono elementi atti a dimostrare che il risultato della stima debba considerarsi obiettivamente controvertibile e difficilmente rapportabile alla
certezza dello schema dettato dall’art. 373 cod. pen., salva una giustificazione attenta a raccordare la delicatezza
del quesito offerto al perito e la certa infedeltà del risultato da questi reso. — Sez. 5 sent. 7067 del 23-2-2011 (ud.
12-1-2011) rv. 249836.
374bis • False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria
• Integra il reato di false dichiarazioni o attestazioni in
atti destinati all’autorità giudiziaria (art. 374bis cod. pen.),
la donazione di titoli di credito destinati a non essere incassati — depositato in allegato ad atto di appello avverso
sentenza di condanna per corruzione — in quanto l’attestazione notarile della donazione conferisce ad essa natura
di atto pubblico e dalla falsità dell’esistenza della provvista
discende la falsità di quanto compiuto dinanzi al notaio,
inoltre, si tratta di atto falso che ha avuto sin dalla nascita
la naturale destinazione al suo impiego in sede giudiziaria, sia pure non diretta in modo esclusivo verso uno specifico e predeterminato obiettivo fraudolento. (Nella specie la S.C. ha censurato la decisione con cui il Tribunale del
riesame ha annullato l’ordinanza applicativa di misura di
custodia cautelare in carcere, escludendo, tra gli altri, la
configurabilità del reato di cui all’art. 374bis cod. pen, per
l’insussistenza della natura di atto pubblico della donazione simulata, poiché faceva fede della consegna degli assegni ma non del fatto che sarebbero stati incassati e negando che un atto compiuto nel 2004 fosse destinato alla
produzione in un processo penale, cinque anni dopo). —
Sez. 5 sent. 29262 del 21-7-2011 (cc. 1-6-2011) rv. 250402.
• Non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione colui che ha presentato denuncia per
il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati
all’autorità giudiziaria, previsto dall’art. «374bis» cod. pen.,
trattandosi di fattispecie incriminatrice lesiva dell’interesse
della collettività al corretto funzionamento della giustizia,
relativamente al quale l’interesse del privato assume un rilievo solo riflesso e mediato, tale da non consentire l’attribuzione della qualità di persona offesa, ma solo quella di
persona danneggiata dal reato. — Sez. 6 sent. 22510 del
7-6-2011 (cc. 24-5-2011) rv. 250502.
378 • Favoreggiamento personale
• Per la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale è sufficiente il dolo generico, che deve consistere nella cosciente e volontaria determinazione delle condotte nella consapevolezza della loro
natura elusiva delle investigazioni e delle ricerche dell’autorità e della finalizzazione delle stesse a favorire colui che
sia sottoposto a tali investigazioni o ricerche. — Sez. 6 sent.
24035 del 15-6-2011 (ud. 24-5-2011) rv. 250433.
• È configurabile il concorso tra il delitto di calunnia e
quello di favoreggiamento personale nella condotta di colui che accusi falsamente taluno di aver commesso un reato
al fine di sviare le indagini dal vero autore dello stesso. —
Sez. 6 sent. 18082 del 10-5-2011 (ud. 19-4-2011) rv. 250096.
• Integra la fattispecie del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, e non quella di favoreggiamento continuato, la condotta reiterata e continuativa di rivelazione a membri del sodalizio criminale di notizie rela-
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379 • Favoreggiamento reale
• Il soggetto che metta propri locali a disposizione
dello spacciatore di sostanze stupefacenti per la realizzazione dell’incontro con l’acquirente delle stesse, è responsabile in concorso con lo spacciatore del reato di cessione illecita della sostanza stupefacente, e non di favoreggiamento reale, avendo fornito un rilevante contributo causale alla commissione del reato, e non essendosi limitato
a porre in essere un mero aiuto per assicurare all’autore il
prezzo, il prodotto od il profitto del reato. — Sez. 4 sent.
13784 del 7-4-2011 (ud. 24-3-2011) rv. 250135.
379bis • Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale
• Il delitto di rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale (art. «379bis» cod. pen.) ha ad oggetto
quelle notizie che siano state apprese in occasione della partecipazione o dell’assistenza all’atto posto in essere nel procedimento e riguarda, pertanto, l’atto del procedimento in quanto tale, nonché la sua documentazione, ma non il fatto storico oggetto dell’atto e dell’indagine
di cui il soggetto abbia avuto precedentemente conoscenza. (Nel caso di specie è stato escluso il reato de quo in relazione alla consegna del contenuto di alcuni «notebooks»
ad un giornalista, avvenuta successivamente al sequestro
del materiale ed alla sua restituzione in favore dell’imputata, senza che il provvedimento di restituzione prescrivesse divieti o limitazioni al riguardo). — Sez. 6 sent. 20105
del 20-5-2011 (cc. 16-2-2011) rv. 250493.
380 • Patrocinio o consulenza infedele
• Non integra il reato di patrocinio infedele l’avvocato che assuma l’incarico di dare inizio ad una controversia giudiziale e, ricevuta l’anticipazione sui compensi, non
dia corso al contenzioso contravvenendo al dovere assunto con l’accettazione del mandato, in quanto la condotta
di infedeltà professionale assume tipicità a condizione che
risulti pendente un procedimento. — Sez. 2 sent. 17106 del
3-5-2011 (ud. 22-3-2011) rv. 250251.
384 • Casi di non punibilità
• Sussistono i presupposti di operatività dell’art. 384 cod.
pen. qualora l’imputato renda dichiarazioni mendaci alla polizia stradale in ordine alla identità del prossimo congiunto
(nella specie nipote) — resosi appena prima responsabile del
reato di false dichiarazioni al pubblico ufficiale sulla propria
identità personale — considerato che, in tal caso, dette dichiarazioni possono in concreto integrare il delitto di favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen.), con conseguente
diritto, nella specie omesso, all’avviso ad essere avvertito della facoltà di astenersi dal renderle, ex art. 199 cod. proc. pen.
— Sez. 5 sent. 17186 del 3-5-2011 (ud. 1-4-2011) rv. 250403.
385 • Evasione
• Il divieto di concessione di benefici penitenziari previsto dall’art. 58quater dell’Ordinamento penitenziario nei
confronti dei soggetti, condannati per determinati delitti, e
che abbiano posto in essere una condotta punibile ai sensi dell’art. 385 cod. pen. fa riferimento alla sola condotta
tenuta nel tempo successivo all’inizio dell’espiazione della pena, senza che possano rilevare le condotte di evasione eventualmente in precedenza tenute durante lo stato
di custodia cautelare. — Sez. 1 sent. 7514 del 25-2-2011
(cc. 27-1-2011) rv. 249805.
388 • Mancata esecuzione dolosa di
un provvedimento del giudice
• Non è configurabile il delitto punito dall’art. 388, comma terzo, cod. pen., in caso di vendita simulata di un bene
immobile sottoposto a sequestro conservativo, effettuata
dal proprietario dopo la trascrizione del vincolo reale. —
Sez. 6 sent. 27164 del 12-7-2011 (ud. 5-7-2011) rv. 250526.
393bis • Causa di non punibilità
• È configurabile l’esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale qualora il privato opponga resistenza al pubblico ufficiale che pretenda di sottoporlo
a perquisizione personale finalizzata alla ricerca di armi e
munizioni in assenza di elementi obiettivi idonei a giustificare l’atto, e dopo averlo accompagnato coattivamente in
caserma in ragione del precedente rifiuto non già di declinare le generalità, ma di esibire i documenti di identità. —
Sez. 6 sent. 18841 del 12-5-2011 (ud. 14-4-2011) rv. 250095.
412 • Occultamento di cadavere
• Integra il reato di occultamento di cadavere la condotta di colui che nasconda il corpo della vittima di un omicidio nel portabagagli di una vettura pur parcheggiata a pochi metri dal luogo in cui era stato consumato il delitto. —
Sez. 1 sent. 18019 del 9-5-2011 (ud. 13-4-2011) rv. 250426.
416 • Associazione per delinquere
• In tema di associazione per delinquere, la qualifica
di organizzatore spetta all’affiliato che, sia pure nell’ambi-
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
tive ad indagini svolte nei loro confronti dall’autorità. —
Sez. 2 sent. 15583 del 19-4-2011 (ud. 22-1-2011) rv. 249878.
• Non rileva, quale elemento dello stato di necessità
a giustificazione della condotta di favoreggiamento personale, il generico timore di future rappresaglie contro la
propria persona da parte del favorito. — Sez. 6 sent. 13134
del 30-3-2011 (ud. 16-3-2011) rv. 249891.
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Aggiornamento giurisprudenziale
to delle direttive impartite dai capi e non necessariamente dalla costituzione del sodalizio criminoso, esplica con
autonomia la funzione di curare il coordinamento dell’attività degli altri aderenti ovvero l’impiego razionale delle strutture e delle risorse associative o di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso.
(Fattispecie relativa all’attività esercitata in seno al sodalizio dedito alla commissione di reati fallimentari da parte del professionista impegnatosi nella costituzione di società all’estero strumentali all’occultamento delle risorse
finanziarie distratte). — Sez. 5 sent. 37370 del 17-10-2011
(ud. 7-6-2011) rv. 250491.
• In tema di reati associativi, una volta verificata l’esistenza, anche rudimentale, della struttura e delle relazioni personali tra i componenti, per poter affermare la qualità di «promotore» od «organizzatore» è necessaria la prova del ruolo in concreto svolto da coloro cui tale qualifica
viene attribuita, atteso che i compartecipi di un’associazione priva di una struttura gerarchica non possono, per
ciò stesso ed in modo automatico, essere ritenuti «promotori» od «organizzatori» ai sensi dell’art. 416, comma primo, cod. pen. — Sez. 6 sent. 25698 del 28-6-2011 (ud. 156-2011) rv. 250515.
• In tema di associazione per delinquere, il sopravvenuto stato detentivo di un soggetto non determina la
necessaria ed automatica cessazione della partecipazione al sodalizio, atteso che la perdurante appartenenza al
gruppo di persona della quale sia provata l’affiliazione può
essere correttamente ritenuta in qualunque momento ove
manchi la notizia di una sua intervenuta dissociazione. —
Sez. 2 sent. 17100 del 3-5-2011 (ud. 22-3-2011) rv. 250021.
• Ai fini della configurabilità del reato di partecipazione ad associazione per delinquere (comune o di tipo mafioso), non è sempre necessario che il vincolo si instauri nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato, e per fini di esclusivo vantaggio dell’organizzazione stessa, ben potendo, al contrario, assumere rilievo forme di partecipazione destinate, ab origine, ad una
durata limitata nel tempo e caratterizzate da una finalità
che, oltre a comprendere l’obiettivo vantaggio del sodalizio criminoso, in relazione agli scopi propri di quest’ultimo, comprenda anche il perseguimento, da parte del singolo, di vantaggi ulteriori, suoi personali, di qualsiasi natura, rispetto ai quali il vincolo associativo può assumere
anche, nell’ottica del soggetto, una funzione meramente
strumentale, senza per questo perdere nulla della rilevanza penale. (In motivazione, la Corte ha precisato che, a tali
fini, non occorre evocare la diversa figura giuridica del cosiddetto «concorso eventuale esterno» del singolo nell’associazione per delinquere). — Sez. 2 sent. 16606 del 29-42011 (ud. 24-3-2011) rv. 250316.
• Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente, previsto dall’art. 11 della legge 16 marzo
2006, n. 146 per i reati transnazionali, è applicabile anche al profitto dei reati di frode fiscale rientranti nel programma associativo di un’organizzazione criminale transnazionale. (In motivazione la Corte ha precisato che il reato-fine di frode fiscale costituisce reato transnazionale in
base all’art. 3, comma primo, lett. c), della citata legge n.
146 del 2006). — Sez. 3 sent. 11969 del 24-3-2011 (cc. 242-2011) rv. 249760.
416bis • Associazioni di tipo mafioso anche straniere
• La competenza per tutte le ipotesi di reato contenute
nell’art. 416bis cod. pen., a prescindere dalla pena edittale
prevista in riferimento alla violazione contestata, appartiene al Tribunale anche con riguardo ai procedimenti avviati precedentemente al momento dell’entrata in vigore del
D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, salvo che a quella data il giudizio non fosse già iniziato dinanzi alla Corte d’Assise. —
Sez. 6 sent. 21063 del 26-5-2011 (ud. 3-5-2011) rv. 250104.
• La presunzione di esclusiva adeguatezza della custodia carceraria, in tema di misure cautelari personali, vale
anche nei confronti del soggetto tossicodipendente che intenda sottoporsi ad un programma di recupero terapeutico, e che sia imputato del delitto di tentativo di estorsione
aggravato dall’uso del cosiddetto metodo mafioso, ove si
accerti che questa modalità di commissione del fatto sia
rivelatrice dell’attualità di collegamento con la criminalità organizzata. — Sez. 1 sent. 15809 del 20-4-2011 (cc. 293-2011) rv. 249978.
• Integra la fattispecie del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, e non quella di favoreggiamento
continuato, la condotta reiterata e continuativa di rivelazione a membri del sodalizio criminale di notizie relative ad indagini svolte nei loro confronti dall’autorità. —
Sez. 2 sent. 15583 del 19-4-2011 (ud. 22-1-2011) rv. 249878.
• Non integra la fattispecie criminosa di partecipazione
ad associazione di tipo mafioso l’attività meramente episodica di chi si limiti a fare da «paciere» o da «tramite» tra
soggetti mafiosi in relazione ad una singola controversia. —
Sez. 5 sent. 15236 del 14-4-2011 (cc. 4-3-2011) rv. 249971.
• Non è configurabile la continuazione tra il reato
associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al rafforzamento del medesimo, non erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi
contingenti ed occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione stessa. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso diretto al riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra il reato di
associazione di tipo mafioso ed un duplice omicidio commesso da un associato, disattendendo la tesi secondo cui,
per ritenere configurabile la continuazione, sarebbe stato
sufficiente il solo rapporto di strumentalità del predetto reato fine alla funzionalità della cosca). — Sez. 1 sent. 13609
del 5-4-2011 (cc. 22-3-2011) rv. 249930.
• La norma incriminatrice dei fatti di illecita concorrenza mediante violenza o minaccia non è speciale rispetto a
quella incriminatrice dell’associazione per delinquere di tipo
mafioso, sicché i due reati, attesa l’episodicità del primo e
la struttura associativa del secondo, possono concorrere. —
Sez. 2 sent. 12785 del 29-3-2011 (cc. 18-2-2011) rv. 249676.
Codice Penale
444 • Commercio di sostanze alimentari nocive
• L’integrazione della fattispecie criminosa di commercio di sostanze alimentari nocive richiede che le sostanze destinate all’alimentazione siano già potenzialmente e concretamente nocive al momento della vendita o della detenzione per la vendita, a nulla rilevando, invece, che lo diventino in un secondo momento per cause
successive ed estranee alla volontà del reo. (Nella specie si
trattava di carne di agnello posta in vendita nei banchi di
un supermercato, debitamente confezionata con cellophane, la prova del cui ammaloramento all’atto della vendita era incerta). — Sez. 3 sent. 11500 del 22-3-2011 (ud. 2212-2010) rv. 249775.
453 • Falsificazione di monete, spen-
dita e introduzione nello Stato,
previo concerto, di monete falsificate
• In tema di reati di falso, la previsione di cui all’art.
88 disp. att. cod. proc. pen. — prevedendo che i biglietti di banca, dei quali il giudice accerti la falsità ed ordini
la confisca, debbono essere trasferiti alla Banca d’Italia a
cura della cancelleria — preclude all’autorità giudiziaria
di provvedere sulla sorte di tali biglietti ed impone la trasmissione degli stessi alla Banca d’Italia o alla sezione della tesoreria provinciale più vicina, immediatamente dopo
che il provvedimento del giudice sia divenuto esecutivo.
Ne consegue che l’ordine dell’autorità giudiziaria di distruzione delle banconote contraffatte e confiscate si traduce in un eccesso di potere, il quale, tuttavia, non esplicando alcun effetto sul processo formativo del patto ex art.
444 cod. proc. pen., è emendabile mediante l’annullamento senza rinvio della sentenza ex art. 620, comma primo,
lett. c), cod. proc. pen., ed il contestuale ordine di trasmissione delle banconote contraffatte alla Banca d’Italia. —
Sez. 5 sent. 29259 del 21-7-2011 (cc. 18-5-2011) rv. 250455.
469 • Contraffazione delle impron-
te di una pubblica autenticazione
o certificazione
• Non vi è rapporto di specialità tra il reato di contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione o certificazione (art. 469 cod. pen.) ed il reato di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi (art. 497bis cod. pen.), trattandosi di fattispecie incriminatrici che tutelano beni giuridici diversi e che, pertanto,
concorrono. — Sez. 5 sent. 30120 del 28-7-2011 (ud. 185-2011) rv. 250411.
473 • Contraffazione, alterazione o
uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni
• Ai fini della configurabilità del reato di contraffazione ed alterazione di marchi o segni distintivi (art. 473 cod.
pen.), deve escludersi la rilevanza del marchio cosiddetto
tridimensionale, quando lo stesso sia composto unicamente da elementi privi di carattere distintivo rispetto ai prodotti o servizi cui si riferisce, presentando forme usuali allo
specifico settore di appartenenza del prodotto, senza inserire il marchio della casa produttrice del prodotto simile. —
Sez. 2 sent. 13396 del 1-4-2011 (cc. 23-3-2011) rv. 250047.
474 • Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi
• Integra il reato di commercio di prodotti con segni
falsi la riproduzione del personaggio di fantasia tutelato dal marchio registrato, ancorché non fedele ma espressiva di una forte somiglianza, quando sia possibile rilevare una oggettiva e inequivocabile possibilità di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore. — Sez. 2 sent. 20040 del 20-5-2011
(ud. 20-4-2011) rv. 250157.
• Nel reato di cui all’art. 474 cod. pen. (introduzione
nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) l’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico, consistente
nella consapevolezza della contraffazione. — Sez. 5 sent.
17677 del 5-5-2011 (ud. 24-3-2011) rv. 250189.
476 • Falsità materiale commessa dal
pubblico ufficiale in atti pubblici
• La «scheda operatoria» redatta da un medico ospedaliero è caratterizzata dalla produttività di effetti incidenti
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Codice penale
• In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, ai fini dell’individuazione di un sodalizio, ex art.
416bis cod. pen., sono determinanti l’elemento personale (con la distribuzione gerarchica dei ruoli), le strutture
organizzative e logistiche, l’ambito territoriale e la tipologia dei reati-fine, tratti distintivi che indiziano la diversità, ai fini della preclusione dell’art. 649 cod. proc. pen.,
delle compagini, sempre che ciascuna sia dotata di autonomia decisionale ed operativa rispetto all’altra. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione del giudice, in sede di appello cautelare,
che aveva escluso la sussistenza della preclusione di cui
all’art. 649 cod. proc. pen., omettendo di motivare in ordine ad un secondo gruppo criminale, operante fuori dalla Calabria, e sui criteri per definirlo un’articolazione del
primo e non un gruppo autonomo con proprie strutture e
specifiche finalità, connotandone l’autonomia e la peculiare identità). — Sez. 5 sent. 5143 del 11-2-2011 (cc. 2112-2010) rv. 249696.
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Aggiornamento giurisprudenziale
su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica
nonché dalla attestazione tipica della funzione del sanitario ospedaliero che assume funzione di pubblico ufficiale;
trattasi, pertanto, di atto pubblico fidefacente che attesta
le fasi e le modalità di svolgimento dell’attività chirurgica
secondo le competenze dei sanitari impegnati nell’ambito
della struttura ospedaliera ed ai fini ad essa pertinenti. Di
conseguenza, la falsa attestazione contenuta in detta scheda integra il reato di cui all’art. 476, comma secondo, cod.
pen. (Nella specie nella scheda operatoria si attestava falsamente che «il mediastino posteriore risulta sede di verosimile infiltrazione neoplastica» e si ometteva di indicare l’avvenuta rimozione di una garza ivi colposamente dimenticata).
— Sez. 5 sent. 23255 del 9-6-2011 (cc. 1-3-2011) rv. 250393.
• Il medico specializzando riveste la qualità di pubblico ufficiale ed ha, per conseguenza, natura di atto pubblico
il cosiddetto foglio di obiettività facente parte della cartella clinica, da questi compilato, considerato che egli gode di
un’autonomia vincolata nell’esercizio delle attività teoriche
e pratiche previste dagli ordinamenti e regolamenti didattici, svolgendo la sua attività sotto la guida e le direttive di
un tutore, sicché l’atto medico da esso compiuto e il documento amministrativo che lo attesta devono considerarsi
come il portato di una partecipazione congiunta del medico in formazione e del tutor, che attribuisce al documento
il carattere dell’atto pubblico. Ne consegue che la sottrazione del predetto foglio di obiettività dalla cartella clinica e la
sua sostituzione con altro recante data falsa e annotazioni in
parte diverse da quelle originariamente apposte, integrano
i reati di falsità materiale e ideologica in atto pubblico. —
Sez. 5 ord. 16857 del 2-5-2011 (ud. 10-1-2011) rv. 250160.
• La contraffazione degli attestati di versamento (cosiddetti modelli F24) rilasciati al privato dagli istituti di credito delegati per la riscossione delle imposte integra il reato di falsità materiale in atto pubblico di cui agli artt. 476
e 482 cod. pen., trattandosi di atti pubblici di fede privilegiata per ciò che attiene alla provenienza del documento
ed ai fatti che il dipendente della banca delegata attesta
essere stati da lui compiuti o avvenuti in sua presenza. —
Sez. 6 sent. 15571 del 18-4-2011 (ud. 1-3-2011) rv. 250035.
479 • Falsità ideologica commessa dal
pubblico ufficiale in atti pubblici
• Non è configurabile il reato di falsità ideologica in
atto pubblico nel caso in cui le parti stipulino concordemente, in presenza del notaio, un contratto simulato di
permuta in luogo della reale compravendita, senza alcuna esplicita attestazione sulla contestualità della controprestazione. — Sez. 1 sent. 18311 del 10-5-2011 (ud. 9-22011) rv. 250224.
• Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico
(art. 479 cod. pen.), la condotta di colui che, in qualità di
medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale,
attesti falsamente la sussistenza di turbe comportamentali e psichiche tali da richiedere un trattamento sanitario obbligatorio, trattandosi di pubblico ufficiale che concorre a formare la volontà della P.A. in materia sanitaria,
esercitando per conto di quest’ultima poteri certificativi. —
Sez. 5 sent. 16368 del 26-4-2011 (ud. 10-3-2011) rv. 250182.
• Rientrano nella nozione di atto pubblico rilevante
ai fini dell’integrazione del reato di falso ideologico in atto
pubblico, anche gli atti cosiddetti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, nonché
quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale — conforme o meno allo schema
tipico — ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi. (In applicazione del principio la Corte ha riconosciuto la natura di atto pubblico al
modulo utilizzato per il censimento della popolazione). —
Sez. 5 sent. 14486 del 11-4-2011 (ud. 21-2-2011) rv. 249858.
• Integra gli estremi dei reati di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479 cod.
pen.) ed in certificati o autorizzazioni amministrative (art.
480 cod. pen.), la condotta di colui che, in qualità di titolare di scuola guida, falsifichi rispettivamente il registro
delle presenze dei frequentanti e l’attestato finale di frequenza dei corsi per il recupero dei punti della patente a seguito di infrazioni del codice della strada, stante la
natura pubblica di siffatta duplice attività di attestazione
delle autoscuole — dotate delle necessarie autorizzazioni
amministrative — che debbono consegnare l’attestazione
finale anche ai competenti uffici amministrativi per l’aggiornamento dell’Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, il quale dipende, pertanto, dalla attività delegata alle
scuole guida per consentire ai soggetti interessati di ritornare in possesso dei punti persi. — Sez. 5 sent. 13069 del
29-3-2011 (ud. 16-2-2011) rv. 249851.
• Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico
(art. 479 cod. pen.) la compilazione con dati falsi del modello XAB — che, al pari del modello H ter (cd. certificato
di provenienza), attesta l’identità del prodotto petrolifero
trasportato e le circostanze che ne accompagnano il trasporto — considerato che l’attestazione della provenienza
del prodotto petrolifero dal deposito in esso indicato nonché la prova della sua identità e delle circostanze soggettive di spazio e di tempo che ne accompagnano il trasporto
scaturiscono in modo originario dall’attività direttamente compiuta o, comunque, avvenuta sotto la diretta percezione del pubblico ufficiale che forma il documento. —
Sez. 5 sent. 7477 del 25-2-2011 (cc. 4-11-2010) rv. 249692.
• Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico
(art. 479 cod. pen.), la condotta del pubblico ufficiale che
fornisca in sede di relazione di servizio una parziale rappresentazione dei fatti caduti sotto la sua diretta percezione, considerato che la relazione di servizio costituisce
atto pubblico e che, ai fini dell’elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, consistente nella rappresentazione e nella volontà dell’immutatio veri, mentre non è richiesto l’animus nocendi né l’animus decipiendi, con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia
compiuta senza l’intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno. (Nella specie, il pubblico
ufficiale, ispettore di polizia penitenziaria, aveva attestato
il rinvenimento di soli due ovuli contenenti sostanza stu-
pefacente omettendo di riferire sul rinvenimento di ulteriori trenta ovuli di droga). — Sez. 5 sent. 6182 del 18-22011 (ud. 3-11-2010) rv. 249701.
480 • Falsità ideologica commessa
dal pubblico ufficiale in certificati
o in autorizzazioni amministrative
• Integra gli estremi dei reati di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479 cod.
pen.) ed in certificati o autorizzazioni amministrative (art.
480 cod. pen.), la condotta di colui che, in qualità di titolare di scuola guida, falsifichi rispettivamente il registro
delle presenze dei frequentanti e l’attestato finale di frequenza dei corsi per il recupero dei punti della patente a seguito di infrazioni del codice della strada, stante la natura pubblica di siffatta duplice attività di attestazione delle autoscuole — dotate delle necessarie autorizzazioni amministrative — che debbono consegnare l’attestazione finale anche ai competenti uffici amministrativi
per l’aggiornamento dell’Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, il quale dipende, pertanto, dalla attività delegata alle scuole guida per consentire ai soggetti interessati di ritornare in possesso dei punti persi. — Sez. 5 sent.
13069 del 29-3-2011 (ud. 16-2-2011) rv. 249851.
481 • Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti
un servizio di pubblica necessità
• Integra il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità (nella specie avvocato, art. 481 cod. pen.), la falsa attestazione
dell’autenticità della sottoscrizione della procura ad litem.
— Sez. 5 sent. 15556 del 18-4-2011 (ud. 9-3-2011) rv. 250181.
482 • Falsità materiale commessa dal
privato
• La contraffazione degli attestati di versamento (cosiddetti modelli F24) rilasciati al privato dagli istituti di credito delegati per la riscossione delle imposte integra il reato di falsità materiale in atto pubblico di cui agli artt. 476
e 482 cod. pen., trattandosi di atti pubblici di fede privilegiata per ciò che attiene alla provenienza del documento
ed ai fatti che il dipendente della banca delegata attesta
essere stati da lui compiuti o avvenuti in sua presenza. —
Sez. 6 sent. 15571 del 18-4-2011 (ud. 1-3-2011) rv. 250035.
483 • Falsità ideologica commessa
dal privato in atto pubblico
• Non integra il reato di falsità ideologica commessa dal
privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), la falsa attesta-
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zione di smarrimento di un libretto di deposito al portatore fatta in sede di ricorso, per la procedura di ammortamento, presentato al Presidente del Tribunale, in quanto
detto ricorso è atto del privato privo di natura pubblicistica.
— Sez. 5 sent. 30099 del 28-7-2011 (ud. 5-5-2011) rv. 250410.
• Integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), la condotta di colui che — in sede di dichiarazione allegata al contratto di
fornitura di energia elettrica, stipulato con l’ENEL — attesti di adibire l’energia ad un uso diverso da quello reale
(nella specie ad irrigazione agricola anziché all’interno di
immobili abusivi), trattandosi di dichiarazione sostitutiva
di atto di notorietà, ex art. 48 d. P.R. n. 309 del 1991, destinata a provare la verità delle asseverazioni in essa contenute; inoltre, tale dichiarazione è resa a funzionario dell’ENEL,
che riveste la qualifica di pubblico ufficiale, posto che, a
tal fine, non rileva il rapporto di dipendenza del soggetto
rispetto allo Stato o ad altro ente pubblico, ma è richiesto
soltanto l’esercizio effettivo di una pubblica funzione. —
Sez. 5 sent. 23211 del 9-6-2011 (ud. 1-3-2011) rv. 250452.
• Integra il reato di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), la condotta di colui che, nella domanda preordinata ad ottenere l’inserimento tra i volontari di ferma breve dell’esercito italiano,
renda, ex artt. 46 e 76 D.Lgs. n. 45 del 2000, false dichiarazioni in ordine al giudizio riportato in sede di diploma
di licenza media; trattandosi di procedura amministrativa
nella quale non solo il titolo di studio ma anche l’esito degli
esami sostenuti assume rilievo nella valutazione comparativa dei richiedenti, con la conseguenza che all’autocertificazione del privato deve riconoscersi valenza probatoria anche
con riguardo al giudizio riportato nel predetto diploma. —
Sez. 5 sent. 11792 del 24-3-2011 (ud. 15-12-2010) rv. 249834.
• Integra il reato di falsità ideologica commesso dal
privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), la condotta di
colui che, nella domanda preordinata ad ottenere l’arruolamento nell’esercito italiano, renda, ex artt. 46 e
76 D.Lgs. n. 45 del 2000, false dichiarazioni in ordine al
giudizio conseguito in sede di diploma di scuola media,
sussistendo, nella specie, apposita previsione del bando di
concorso — con espressa comminatoria di sanzioni penali nel caso di mendaci dichiarazioni in ordine non solo al
titolo di studio posseduto ma anche al giudizio conseguito — preordinata ad introdurre un criterio selettivo delle
domande degli aspiranti sulla base del giudizio conseguito
in sede di diploma, giudizio che, per l’effetto, si pone come
elemento necessariamente ed indissolubilmente correlato al titolo di studio richiesto, quale componente essenziale di valutazione ed, al contempo, parametro di selezione
ai fini dell’utile inserimento in graduatoria. — Sez. 5 sent.
7108 del 23-2-2011 (cc. 15-12-2010) rv. 249826.
• Integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) la falsa denuncia
di smarrimento della patente di guida presentata ai carabinieri considerato che la stessa attestazione di ricezione
della denuncia è dichiarativa di attività svolta dal pubblico
ufficiale e riveste efficacia probatoria, costituendo presupposto necessario per attivare il procedimento amministra-
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tivo di rilascio del duplicato della patente. — Sez. 5 sent.
7022 del 23-2-2011 (ud. 2-12-2010) rv. 249832.
• Integra il reato di falsità ideologica commesso dal
privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), la condotta di
colui che, nella domanda preordinata ad ottenere l’arruolamento nell’esercito italiano, renda, ex artt. 46 e 76
D.Lgs. n. 45 del 2000, false dichiarazioni in ordine alla
votazione conseguita in sede di diploma di scuola media secondaria, trattandosi di procedura amministrativa
in cui non solo il titolo di studio ma anche l’esito degli esami sostenuti assume rilievo nella valutazione comparativa dei richiedenti, con la conseguenza che all’attestazione
del privato nella dichiarazione sostitutiva deve riconoscersi valenza probatoria anche con riguardo al giudizio riportato nel predetto diploma. (In applicazione del principio
di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui
il gip dichiarava non doversi procedere in ordine al delitto di cui all’art. 483 cod. pen. perché il fatto non sussiste,
sulla base del presupposto che l’art. 46, lett. m) del d.P.R.
n. 445 del 2000, individua come fatti soggetti ad autocertificazione, il titolo di studio e gli esami sostenuti, ma non
anche il giudizio o il voto riportato). — Sez. 5 sent. 3681
del 1-2-2011 (ud. 14-12-2010) rv. 249709.
• Integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico la falsa indicazione, in una dichiarazione sostitutiva di certificazione, del giudizio finale riportato
all’atto del conseguimento del titolo di studio. (In motivazione la Corte ha escluso — in una fattispecie nella quale il richiedente aveva falsamente attestato, nella domanda per l’arruolamento nell’esercito italiano, di aver conseguito il diploma di licenza media con il giudizio finale di «buono» anziché
di «sufficiente» — che il rilievo accordato all’indicazione del
giudizio, oltre che al fatto del superamento o meno dell’esame, determini un’interpretazione estensiva in malam partem).
— Sez. 5 sent. 3377 del 31-1-2011 (cc. 1-12-2010) rv. 249765.
490
• Soppressione, distruzione e
occultamento di atti veri
• Il delitto di falso per soppressione, distruzione e occultamento di atti veri (artt. 490-476 cod. pen.) può concorrere con quello di omessa denuncia di reato da parte del
pubblico ufficiale (art. 361 cod. pen.), non sussistendo alcun
rapporto di consunzione o sussidiarietà tra gli stessi, attesa la
diversità dei beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici. (Fattispecie relativa alla distruzione di una denuncia di furto ad opera dell’ufficiale di polizia giudiziaria che
l’aveva formalmente ricevuta dal privato, seguita dall’omissione dell’atto di denuncia relativo al corrispondente reato).
— Sez. 6 sent. 21351 del 27-5-2011 (ud. 5-5-2011) rv. 250504.
494 • Sostituzione di persona
• Integra il delitto di cui all’art. 494 cod. pen. il conducente del veicolo che circoli, in contrasto con il codice del-
la strada, in zona vietata qualora esponga il contrassegno
di autorizzazione rilasciato a persona disabile che non si
trovi sul veicolo, in quanto, in tal caso, egli simula la qualità di titolare o di guidatore autorizzato anche al trasporto
occasionale del titolare; tale fatto è diverso da quello sanzionato in via amministrativa dall’art. 188 comma quarto
c.d.s, che concerne la condotta di chi non sia munito del
detto contrassegno o dello stesso disabile che non rispetti
le condizioni ed i limiti prescritti. — Sez. 5 sent. 10203 del
14-3-2011 (cc. 25-1-2011) rv. 249950.
495 • Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla
identità o su qualità personali proprie o di altri
• In tema di false attestazioni di generalità, una volta
che l’indicazione di generalità false risulti accertata quanto meno per taluna delle occasioni oggetto di contestazione, l’incertezza sul tempus commissi delicti rileva solo ai fini
della prescrizione del reato. — Sez. 5 sent. 10938 del 16-32011 (ud. 26-1-2011) rv. 249714.
• Non integra il reato di cui all’art. 495 cod. pen. (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità personale propria o di altri), la condotta di colui
che, gravato da una pluralità di condanne, nessuna delle
quali superiore a tre anni, attesti, in sede di autocertificazione, preordinata all’ammissione agli esami per il conseguimento della patente nautica, di essere in possesso dei
requisiti morali previsti dall’art. 6 del regolamento sulle
patenti nautiche, in quanto detta previsione — inibendo
il rilascio della patente nautica in favore, tra gli altri, di coloro che abbiano riportato una condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni — non si riferisce all’ipotesi di
pluralità di condanne, considerato che laddove il legislatore ha inteso farvi riferimento — come parametro di valutazione negativa delle qualità morali del richiedente —
ha previsto la categoria del delinquente abituale, che presuppone per l’appunto pluralità di condanne riportate in
un determinato arco temporale, disciplinata dal predetto
art. 6, comma primo, parte prima. — Sez. 5 sent. 10153
del 14-3-2011 (ud. 19-1-2011) rv. 249841.
• Integra il reato di cui all’art. 495 cod. pen., la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni — in assenza di altri mezzi di identificazione — rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove false, ad integrare
la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495, nel testo modificato dalla
legge n. 125 del 2008, rispetto all’ipotesi di reato di cui
all’art. 496 cod. pen. — Sez. 5 sent. 3042 del 27-1-2011
(ud. 3-12-2010) rv. 249707.
81
Codice Penale
• Possesso e fabbricazione
di documenti di identificazione
falsi
• Non vi è rapporto di specialità tra il reato di contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione o certificazione (art. 469 cod. pen.) ed il reato di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi (art. 497bis cod. pen.), trattandosi di fattispecie incriminatrici che tutelano beni giuridici diversi e che, pertanto,
concorrono. — Sez. 5 sent. 30120 del 28-7-2011 (ud. 185-2011) rv. 250411.
• Il reato di concorso nel possesso di falsi documenti
di identità validi per l’espatrio (art. 497bis cod. pen.) resta
assorbito nel più grave delitto di procurato ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato commesso mediante l’utilizzazione di documenti contraffatti (art. 12. comma
terzo, lett. d) D.Lgs. n. 286 del 1998), essendo il primo reato elemento costitutivo del secondo. — Sez. 1 sent. 21586
del 30-5-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 250259.
• Integra il reato di cui all’art. 497bis, comma secondo,
cod. pen. (possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi), il possesso di un passaporto di provenienza furtiva contraffatto dallo stesso possessore, considerato
che la ratio di cui all’art. 497bis cpv. cod. pen. è quella di
punire in modo più significativo chi fabbrica o comunque
forma il documento, oppure lo detiene fuori dei casi di uso
personale, con la conseguenza che il possesso per uso personale rientra nella previsione di cui all’art. 497bis, comma primo, cod. pen. solo se non accompagnato dalla contraffazione ad opera del possessore. — Sez. 5 sent. 17673
del 5-5-2011 (ud. 24-3-2011) rv. 250188.
513bis
• Illecita concorrenza con
minaccia o violenza
• La norma incriminatrice dei fatti di illecita concorrenza mediante violenza o minaccia non è speciale rispetto a quella incriminatrice dell’associazione per delinquere di tipo mafioso, sicché i due reati, attesa l’episodicità del primo e la struttura associativa del secondo, possono concorrere. — Sez. 2 sent. 12785 del 29-3-2011 (cc.
18-2-2011) rv. 249676.
515 • Frode nell’esercizio del commercio
• Integra il tentativo di frode in commercio la detenzione, presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di produzione, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza, destinati non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi. (In motivazione la Corte, in una fattispecie in cui il prodotto alimentare risultava confezionato in uno stabilimento diverso da quello indicato sulle etichette, ha escluso la sussi-
stenza del rapporto di specialità tra il delitto di cui all’art.
515 cod. pen. e la fattispecie, sanzionata amministrativamente, di cui all’art. 2, D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109). —
Sez. 3 sent. 22313 del 6-6-2011 (cc. 15-2-2011) rv. 250473.
• Integra il reato di frode nell’esercizio del commercio, e non l’illecito amministrativo previsto dalla L. 19 ottobre 1984, n. 748, la vendita di concime con composizione diversa da quella dichiarata, non sussistendo tra le
norme alcun rapporto di specialità, sia per la diversa obiettività giuridica che per il diverso interesse protetto. — Sez.
3 sent. 21319 del 27-5-2011 (ud. 28-4-2011) rv. 250480.
• Integra il tentativo di frode nell’esercizio del commercio l’esposizione sul banco di vendita di prodotti con segni
mendaci, indipendentemente dal contatto con la clientela. (Nella specie il trancio di carne esposto sul banco presentava una data successiva a quella di scadenza originaria, individuata dall’etichetta stampigliata sul vassoio da cui
l’alimento era stato prelevato, previo sconfezionamento).
— Sez. 3 sent. 9276 del 9-3-2011 (ud. 19-1-2011) rv. 249784.
544ter • Maltrattamento di animali
• Non è configurabile il delitto di maltrattamento di
animali, nella specie, di cavalli, in caso di mancato rispetto delle indicazioni e prescrizioni contenute nel cosiddetto
«Codice per la tutela e la gestione degli equidi» redatto nel
2009 dal Ministero della salute, in quanto privo di efficacia
cogente, non essendo stato adottato con un atto normativo
né primario né secondario. (Fattispecie in tema di sequestro
preventivo di un cavallo detenuto in un locale non rispondente alle caratteristiche indicate dal predetto codice). —
Sez. 3 sent. 19594 del 18-5-2011 (cc. 26-1-2011) rv. 250365.
570
• Violazione degli obblighi di
assistenza familiare
• Integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il genitore separato che ometta anche
solo parzialmente il versamento in favore dei figli minori di quanto stabilito per il loro mantenimento, a prescindere da ogni accertamento sulla sufficienza della somma prestata in concreto alla loro sussistenza. (In motivazione la Corte ha precisato che il principio consegue all’estensione alla separazione della previsione di cui all’art. 12sexies L. 1 dicembre 1970, n. 898 ad opera dell’art. 3 L. 8 febbraio 2006, n. 54). — Sez. 6 sent. 16458 del 27-4-2011 (ud.
5-4-2011) rv. 250090.
572 • Maltrattamenti in famiglia o
verso fanciulli
• Non rileva, ai fini dell’esclusione del dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia, la circostanza che il marito abbia agito sulla base della convinzione della superiorità della figura maschile all’interno della famiglia e della
conseguente legittimità di atteggiamenti «padronali» nei
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
497bis
82
Aggiornamento giurisprudenziale
confronti della moglie. — Sez. 6 sent. 26153 del 5-7-2011
(ud. 26-4-2011) rv. 250430.
• Ai fini della responsabilità civile per fatto illecito commesso dal dipendente, è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal dipendente, che ricorre quando l’illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se il dipendente ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti. (In
applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto civilmente responsabile del reato di maltrattamento di minori una
cooperativa appaltatrice del servizio di assistenza in favore dei bambini di un nido, presso il quale le imputate avevano svolto l’attività di maestre educatrici alle dipendenze
della predetta cooperativa). — Sez. 6 sent. 17049 del 3-52011 (ud. 14-4-2011) rv. 250498.
575 • Omicidio
• La responsabilità civile della P.A. per reato commesso dal dipendente presuppone un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate, che ricorre quando l’illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti svolti, anche se il soggetto ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti. (In applicazione di tale principio, è stata riconosciuta la responsabilità civile del Ministero della Difesa per l’omicidio volontario commesso sulla terraferma in danno di un cittadino straniero da un marinaio imbarcato su una nave italiana in missione all’estero, il quale si trovava in «franchigia», posto che anche durante la libera uscita il militare è considerato in servizio e
resta soggetto a tutti i propri doveri). — Sez. 1 sent. 21195
del 26-5-2011 (ud. 18-1-2011) rv. 250207.
584 • Omicidio preterintenzionale
• In tema di trattamento medico-chirurgico, risponde di omicidio preterintenzionale il medico che sottoponga il paziente ad un intervento (dal quale consegua la morte di quest’ultimo) in assenza di finalità terapeutiche, ovvero per fini estranei alla tutela della salute del paziente,
ad esempio provocando coscientemente un’inutile mutilazione, od agendo per scopi estranei (scientifici, dimostrativi, didattici, esibizionistici o di natura estetica), non accettati dal paziente. Al contrario, non ne risponde, nonostante l’esito infausto, il medico che sottoponga il paziente ad un trattamento non consentito ed in violazione delle regole dell’arte medica, quando nella sua condotta sia
rinvenibile una finalità terapeutica, o comunque la terapia sia inquadrabile nella categoria degli atti medici, poiché in tali casi la condotta non è diretta a ledere, e l’agente, se cagiona la morte del paziente, risponderà di omicidio colposo ove l’evento sia riconducibile alla violazione di
una regola cautelare. — Sez. 4 sent. 34521 del 23-9-2010
(ud. 26-5-2010) rv. 249818.
588 • Rissa
• Il reato di rissa (art. 588 cod. pen.) è configurabile anche nel caso in cui i partecipanti non siano stati
coinvolti tutti contemporaneamente nella colluttazione e l’azione si sia sviluppata in varie fasi e si sia frazionata in distinti episodi, tra i quali non vi sia stata alcuna apprezzabile soluzione di continuità, essendosi tutti seguiti
in rapida successione, in modo da saldarsi in un’unica sequenza di eventi. — Sez. 5 sent. 7013 del 23-2-2011 (ud.
3-11-2010) rv. 249827.
582 • Lesione personale
590 • Lesioni personali colpose
• In caso di intervento medico-chirurgico con esito
infausto, il consenso del paziente che, se espresso validamente e nei limiti di cui all’art. 5 cod. civ., preclude la possibilità di configurare il delitto di lesioni volontarie, assumendo efficacia scriminante, non è necessario, perché l’intervento medico-chirurgico sia penalmente lecito, in presenza di ragioni di urgenza terapeutica o nelle ipotesi previste dalla legge. (La Corte ha anche osservato che, in presenza di una manifestazione di volontà esplicitamente contraria all’intervento terapeutico, l’atto, asseritamente terapeutico, costituisce un’indebita violazione non solo della libertà di autodeterminazione del paziente, ma anche della
sua integrità; peraltro, in caso di esito fausto dell’intervento, la sussistenza di un pericolo grave ed attuale per la vita
o la salute del paziente, pur non scriminando la condotta,
esclude il dolo intenzionale di lesioni, in quanto il medico
che interviene nonostante il dissenso del paziente, si rappresenta la necessità di salvaguardarne, cionondimeno, la
vita o la salute poste in pericolo). — Sez. 4 sent. 34521 del
23-9-2010 (ud. 26-5-2010) rv. 249817.
• In tema di reati colposi, la natura commissiva della condotta consistente nella trasgressione di un divieto,
e quindi in un’azione difforme dal comportamento imposto dalla regola cautelare, implica, per l’accertamento del
nesso causale con l’evento, che il giudizio controfattuale sia operato valutando se l’evento si sarebbe ugualmente verificato anche in assenza della condotta commissiva.
(Fattispecie di lesioni colpose gravi, in cui si è attribuita rilevanza causale alla condotta commissiva consistente nella violazione del divieto di commercializzazione di protesi
valvolari fabbricate senza l’osservanza delle regole in materia di standard di sicurezza previste dalla normativa comunitaria). — Sez. 4 sent. 15002 del 13-4-2011 (ud. 1-32011) rv. 250268.
• Rientra nella competenza per materia del giudice di
pace il delitto di lesioni colpose gravi non riconducibile a
violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro o relative all’igiene del lavoro, e nella specie derivanti da incidente stradale. — Sez. 1 sent. 4745 del 9-22011 (cc. 13-1-2011) rv. 249792.
595 • Diffamazione
• Integra il reato di diffamazione aggravato ai sensi
dell’art. 595, comma terzo, cod. pen. (offese recate con la
stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), la diffusione delle espressioni offensive mediante il particolare
e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica,
con lo strumento del forward a pluralità di destinatari. —
Sez. 5 sent. 29221 del 21-7-2011 (ud. 6-4-2011) rv. 250459.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giudice può ravvisare a carico del direttore responsabile di un
giornale il reato di omissione di controllo, ex art. 57 cod.
pen. — pur essendo stata la querela proposta esclusivamente per la diffamazione a mezzo stampa, nei confronti del giornalista e dello stesso direttore — in quanto non
compete al querelante dare una qualificazione giuridica
del fatto, dovendo egli limitarsi ad esporre lo stesso nella
sua materialità, considerato che il diritto di querela concerne unicamente il fatto delittuoso, quale enunciato nella
sua essenzialità — da interpretare, non già in base al mero
senso letterale delle espressioni usate, ma attraverso l’indagine della effettiva volontà della parte non vincolata a
manifestarla con l’uso di formule rituali — e che spetta al
giudice e non al privato attribuirne la qualificazione giuridica in ordine alla eventuale sussistenza di un determinato tipo di reato e alle conseguenze che ne derivano. (In
applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito il quale ha ritenuto decisivo il fatto che il querelante
avesse individuato — in relazione alla diffamazione derivatagli dalla pubblicazione dell’articolo di stampa — quali destinatari della propria volontà di punizione, sia il giornalista che il direttore responsabile, ritenendo, invece, secondaria, e non vincolante, la circostanza che egli avesse
inquadrato il fatto descritto nella fattispecie di cui all’art.
595 cod. pen., correttamente riqualificato dall’autorità giudiziaria nella forma colposa dell’omesso controllo per il direttore responsabile). — Sez. 5 sent. 24381 del 16-6-2011
(ud. 25-3-2011) rv. 250456.
• Sussiste il requisito della comunicazione con più
persone atto ad integrare il delitto di diffamazione (art.
595 cod. pen.) nella condotta di colui che invii una lettera denigratoria al Presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati, considerato che la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore anche nella natura stessa
della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che deve essere ex lege portato a conoscenza di altre
persone, diverse dall’immediato destinatario, sempre che
l’autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza
che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi. In
tal caso, tuttavia, occorre valutare la possibile sussistenza
della causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen. o
della causa di non punibilità ex art. 598 c.p. (Nella specie
la S.C., pur ritenendo infondato il motivo di ricorso proposto dal PG circa l’inesistenza dell’elemento della comu-
83
nicazione con più persone, ha ritenuto rilevabile ex officio,
anche in sede di legittimità, la possibile sussistenza di una
esimente, disponendo, di conseguenza, l’annullamento con
rinvio della sentenza impugnata). — Sez. 5 sent. 23222 del
9-6-2011 (ud. 6-4-2011) rv. 250458.
• In tema di diffamazione, qualora l’atto giudiziario
redatto dal difensore contenga affermazioni o espressioni diffamatorie, la relativa responsabilità penale in ordine al reato di cui all’art. 595 cod. pen. (ove non sussistano le condizioni per l’applicazione dell’esimente prevista
dall’art. 598 cod. pen.), può estendersi, in virtù della disciplina generale in materia di concorso di persone nel reato,
alla parte che abbia riferito al difensore quanto da questi
poi trasfuso nel testo incriminato. (Nella specie l’imputato aveva ammesso di avere letto le espressioni oggetto di
imputazione prima che il ricorso venisse depositato). —
Sez. 5 sent. 20882 del 25-5-2011 (ud. 25-3-2011) rv. 250457.
• La competenza per territorio per il reato di diffamazione, commesso mediante la diffusione di notizie lesive
dell’altrui reputazione allocate in un sito della rete Internet, va determinata in forza del criterio del luogo di domicilio dell’imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilita dall’art. 9, comma secondo, cod. proc. pen. —
Sez. 1 sent. 16307 del 26-4-2011 (cc. 15-3-2011) rv. 249974.
• In tema di diffamazione, il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente
umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del
soggetto criticato. Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio
di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto
di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di
espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale. (In applicazione del
principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto immune da
censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso
la scriminante del diritto di critica nei confronti degli imputati che avevano affisso nelle bacheche aziendali e diffuso con volantini un comunicato in cui contestando la posizione dissenziente di un iscritto alla C.G.I.L. lo si definiva
«notoriamente imbecille». — Sez. 5 sent. 15060 del 13-42011 (ud. 23-2-2011) rv. 250174.
• In materia di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di cronaca nel caso in cui il giornalista abbia affermato, contrariamente al vero, l’avvenuto esercizio dell’azione penale nei confronti di un soggetto
soltanto sottoposto a indagini preliminari. — Sez. 5 sent.
13702 del 6-4-2011 (ud. 17-12-2010) rv. 250256.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di cronaca, anche sotto il profilo
putativo, allorché sia impossibile per il giornalista realizzare il controllo del fatto riferitogli in modo irrituale, a
causa della inaccessibilità delle fonti di verifica, coincidenti
con gli organi e gli atti dell’indagine giudiziaria, giacché tale
inaccessibilità, lungi dal comportare l’esonero dall’obbligo
di controllo, implica la non pubblicabilità della notizia. —
Sez. 5 sent. 13708 del 6-4-2011 (cc. 17-12-2010) rv. 250203.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
Codice Penale
84
Aggiornamento giurisprudenziale
• Non sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di
critica politica qualora l’espressione usata consista non già
in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario. — Sez. 5 sent.
8824 del 7-3-2011 (ud. 1-12-2010) rv. 250218.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, rientra
nell’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti
di indagine e atti censori, provenienti dalla pubblica autorità mentre non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tale attività. Pertanto è in stridente contrasto con il
diritto-dovere di narrare fatti già accaduti, senza indulgere a narrazioni e valutazioni «a futura memoria», l’opera
del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti e
prognosi su eventi a venire, in quanto, in tal modo, egli,
in maniera autonoma, prospetta e anticipa l’evoluzione e
l’esito di indagini in chiave colpevolista, a fronte di indagini ufficiali né iniziate né concluse, senza essere in grado di dimostrare l’affidabilità di queste indagini private e
la corrispondenza a verità storica del loro esito, realizzando la funzione investigativa e valutativa rimessa all’esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria a fronte di indagini in corso preordinate all’accertamento della verità. —
Sez. 5 sent. 3674 del 1-2-2011 (ud. 27-10-2010) rv. 249699.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di critica nella forma satirica qualora essa, ancorché a sfondo scherzoso e ironico, sia fondata su dati storicamente falsi; tale esimente può, infatti, ritenersi sussistente quando l’autore presenti in un contesto di
leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata
alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo,
una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa e non
quando si diano informazioni che, ancorché presentate in
veste ironica e scherzosa, si rivelino false e, pertanto, tali
da non escludere la rilevanza penale. — Sez. 5 sent. 3676
del 1-2-2011 (ud. 27-10-2010) rv. 249700.
• Non è punibile il reato di diffamazione a mezzo stampa che si concretizzi nell’uso di espressioni satiriche, rivolte
nei confronti della categoria cui appartiene la persona oggetto del giudizio critico e contenute entro il limite della formale
continenza espositiva, perché ricorre la scriminante dell’esercizio di un diritto. (Nella specie, l’articolo di stampa conteneva espressioni che, pur pesanti nei confronti di un magistrato, definito come «dottor Maleficus», non avevano valenza di
offesa ad personam, ma di critica ironica e divertita verso il
pensiero della categoria di cui lo stesso era esponente). —
Sez. 5 sent. 3356 del 31-1-2011 (ud. 27-10-2010) rv. 249749.
• In tema di diffamazione a mezzo stampa, la sussistenza dell’esimente del diritto di critica presuppone, per
sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di critica, a condizione che l’offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera
personale del soggetto passivo ma sia «contenuta» (requisi-
to della «continenza») nell’ambito della tematica attinente
al fatto dal quale la critica ha tratto spunto, fermo restando
che, entro tali limiti, la critica, siccome espressione di valutazioni puramente soggettive dell’agente, può anche essere pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da
forte asprezza. (Fattispecie in cui un consigliere regionale
aveva affermato in intervista rilasciata a un quotidiano —
con riferimento alla scarcerazione di numerosi stranieri arrestati per violazione della legge sugli stupefacenti — «non
è la prima volta che a Bergamo si butta all’aria per cavilli
burocratici un lavoro di mesi delle forze dell’ordine» e «a
questo punto certi magistrati, anziché pensare a “resistere, resistere, resistere” dovrebbero pensare a “lavorare, lavorare, lavorare”», aggiungendo l’invito a riflettere tra uno
sciopero e l’altro sullo stato d’animo dei cittadini residenti nella zona interessata allo spaccio di stupefacenti). —
Sez. 5 sent. 3047 del 27-1-2011 (ud. 13-12-2010) rv. 249708.
598 • Offese in scritti e discorsi pro-
nunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative
• L’esimente di cui all’art. 598 cod. pen. — per il
quale non sono punibili le offese contenute negli scritti e
nei discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie e
amministrative — non si applica alle accuse calunniose
contenute in tali atti, considerato che la predetta disposizione si riferisce esclusivamente alle offese e non può, pertanto, estendersi alle espressioni calunniose. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la
decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto — in ordine al reato di cui all’art. 595 cod. pen. ascritto all’imputato che aveva, nel testo di una comparsa depositata nel
corso di un procedimento civile, accusato altro avvocato di
avere mancato ai propri doveri professionali omettendo di
comunicare al proprio cliente un decreto di archiviazione,
ai fini della tempestiva opposizione, decreto in realtà mai
esistito — che pur trattandosi di fatto oggettivamente offensivo per la reputazione di un legale, non integrasse gli
estremi del delitto di diffamazione, in ragione dell’esistenza dell’esimente di cui all’art. 598 cod. pen.). — Sez. 5 sent.
29235 del 21-7-2011 (ud. 19-5-2011) rv. 250466.
• Ai fini dell’applicabilità dell’esimente di cui all’art.
598 cod. pen. — in virtù della quale non sono punibili le
offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinatori innanzi all’autorità giudiziaria — è sufficiente che le offese provengano dalle parti o dai loro patrocinatori e che concernano
l’oggetto della causa o del ricorso pendente innanzi alla
autorità giudiziaria o a quella amministrativa, a nulla rilevando che esse siano dirette a persone diverse dalle controparti o dai loro patrocinatori. Ne deriva che rientrano
nel campo di operatività della norma in questione anche
le offese dirette ai giudici delle precedenti fasi del giudizio
o ai loro ausiliari, purché esse concernano l’oggetto della
causa, dal momento che la ratio legis è quella di consentire la massima libertà nella esplicazione del diritto di dife-
Codice Penale
600 • Riduzione o mantenimento in
schiavitù o in servitù
• Non integra la fattispecie criminosa di riduzione
in schiavitù, il cui evento di riduzione o mantenimento di
persone in stato di soggezione consiste nella privazione
della libertà individuale, la condotta consistente nell’offerta di un lavoro con gravose prestazioni in condizioni ambientali disagiate verso un compenso inadeguato,
qualora la persona si determini liberamente ad accettarla e possa sottrarvisi una volta rilevato il disagio concreto
che ne consegue. — Sez. 5 sent. 13532 del 4-4-2011 (ud.
10-2-2011) rv. 249970.
600quater • Detenzione di materiale pornografico
• La configurabilità della circostanza aggravante della
«ingente quantità» nel delitto di detenzione di materiale
pedopornografico (art. 600quater, comma secondo, cod.
pen.) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto configurabile detta aggravante in una fattispecie di detenzione di 175 DVD contenenti numerosi files pedopornografici). — Sez. 3 sent. 17211
del 3-5-2011 (cc. 31-3-2011) rv. 250152.
600octies • Impiego di minori nel­
l’accattonaggio
• In tema di impiego di minori nell’accattonaggio, sussiste continuità normativa tra la fattispecie contravvenzionale prevista dall’abrogato art. 671 cod. pen. e la nuova ipotesi delittuosa di cui all’art. 600octies cod. pen., contestualmente introdotto dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, non essendosi verificata alcuna abolitio criminis, con la conseguenza che il fatto commesso sotto la previgente disciplina deve
essere regolato dalla norma più favorevole all’imputato. —
Sez. 1 sent. 21198 del 26-5-2011 (ud. 23-3-2011) rv. 250258.
605 • Sequestro di persona
• Non è configurabile, in virtù del principio di specialità (art. 15 cod. pen.) il delitto di violenza privata, qualora la violenza fisica o morale sia usata direttamente ed
esclusivamente per il fine previsto dal reato di sequestro
di persona, e cioè per privare la vittima della libertà. (Nella specie la parte offesa fu picchiata, spogliata dei cellulari e «caricata» su un auto in cui ebbe inizio la privazione
della sua libertà). — Sez. 5 sent. 23215 del 9-6-2011 (ud.
1-3-2011) rv. 250453.
• I reati di sequestro di persona e di violenza privata
concorrono nella condotta di restrizione della libertà personale finalizzata a costringere la vittima a fare qualcosa.
(Fattispecie in cui l’autore del fatto aveva privato della libertà la vittima per indurla alla confessione di un furto e
all’indicazione dei complici). — Sez. 2 sent. 11738 del 243-2011 (ud. 2-3-2011) rv. 249688.
609bis • Violenza sessuale
• L’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale,
in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito
esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia,
pertanto, in un in errore inescusabile sulla legge penale. —
Sez. 3 sent. 17210 del 3-5-2011 (cc. 10-3-2011) rv. 250141.
• Integra la fattispecie criminosa di violenza sessuale
nella forma consumata, e non tentata, la condotta che si
estrinsechi in toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime della vittima, o, comunque, su zone
erogene suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale,
anche in modo non completo e-o di breve durata, essendo a tal fine irrilevante che il soggetto attivo consegua la
soddisfazione erotica. — Sez. 3 sent. 12506 del 28-3-2011
(ud. 23-2-2011) rv. 249758.
• La fattispecie criminosa di violenza sessuale è integrata, pur in assenza di un contatto fisico diretto con la
vittima, quando gli «atti sessuali», quali definiti dall’art.
609bis cod. pen., coinvolgano oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa e siano finalizzati ed idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale, nella prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il
proprio istinto sessuale. (Nella specie il reo aveva indotto
la vittima a compiere su se stessa atti sessuali di autoerotismo, culminati nel conseguimento del piacere sessuale
di entrambi). — Sez. 3 sent. 11958 del 24-3-2011 (ud. 2212-2010) rv. 249746.
• Non viola il principio di correlazione tra accusa e
sentenza, la decisione di condanna per il reato di atti sessuali con minorenne a fronte della contestazione di violenza sessuale. — Sez. 3 sent. 10109 del 11-3-2011 (ud. 1612-2010) rv. 249745.
609quater • Atti sessuali con minorenne
• Ai fini dell’integrazione del tentativo di reati a sfondo
sessuale sono necessarie, sul piano soggettivo, l’intenzione
dell’agente di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e, sul piano oggettivo, l’idoneità della condotta a
violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
sa. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C.
ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto l’operatività dell’esimente di cui
all’art. 598 cod. pen. relativamente ad offese — contenute
in una memoria depositata nel corso di un giudizio civile —
dirette, al magistrato che, in sede penale, aveva condotto le
indagini conclusesi con l’archiviazione su sua richiesta). —
Sez. 5 sent. 22743 del 7-6-2011 (ud. 23-3-2011) rv. 250401.
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Aggiornamento giurisprudenziale
sfera sessuale, anche, eventualmente, ma non necessariamente, attraverso contatti fisici, sia pure di tipo superficiale e-o fugace, non indirizzati verso zone cd. erogene. (Fattispecie di tentativo di atti sessuali con minorenne, avendo il
soggetto agente mostrato alla persona offesa infraquattordicenne immagini pedopornografiche ed abbracciato la stessa rivolgendole domande sul suo abbigliamento intimo). —
Sez. 3 sent. 21840 del 1-6-2011 (ud. 17-2-2011) rv. 249993.
• Non viola il principio di correlazione tra accusa e
sentenza, la decisione di condanna per il reato di atti sessuali con minorenne a fronte della contestazione di violenza sessuale. — Sez. 3 sent. 10109 del 11-3-2011 (ud. 1612-2010) rv. 249745.
609octies
gruppo
• Violenza sessuale di
• La circostanza aggravante prevista dall’art. 112, comma primo, n. 2, cod. pen. è configurabile anche per il delitto di violenza sessuale di gruppo, non sussistendo alcuna incompatibilità tra la natura di reato a concorso necessario e la maggiore gravità della condotta di chi ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato ovvero ha
diretto l’attività dei compartecipi. — Sez. 3 sent. 14956 del
13-4-2011 (ud. 9-3-2011) rv. 250140.
• Risponde di concorso nel delitto di violenza sessuale di gruppo colui che, pur non presente nel luogo e nel
momento della violenza consumata dai correi, abbia comunque apportato un contributo causale al reato oggetto
di volontà comune. (Fattispecie nella quale il reo si era limitato ad introdurre all’interno dell’abitazione della vittima gli ignoti autori degli abusi sessuali, non essendo presente nella stanza al momento della loro consumazione).
— Sez. 3 sent. 8775 del 4-3-2011 (ud. 2-12-2010) rv. 249767.
609decies • Comunicazione al tribunale per i minorenni
• Non è causa di improcedibilità dell’azione penale, per
il reato di violenza sessuale su minore che abbia compiuto
gli anni quattordici, la compresenza del legale di fiducia e
dei genitori della vittima all’atto della presentazione orale della querela alla polizia giudiziaria, dovendosi qualificare la presenza degli stessi quale assistenza morale e tecnico-legale ai sensi dell’art. 609decies cod. pen., che non
viola il principio della personalità del diritto di querela. —
Sez. 3 sent. 15584 del 19-4-2011 (ud. 16-2-2011) rv. 250139.
610 • Violenza privata
• Non è configurabile, in virtù del principio di specialità (art. 15 cod. pen.) il delitto di violenza privata, qualora
la violenza fisica o morale sia usata direttamente ed esclusivamente per il fine previsto dal reato di sequestro di persona, e cioè per privare la vittima della libertà. (Nella specie la
parte offesa fu picchiata, spogliata dei cellulari e «caricata»
su un auto in cui ebbe inizio la privazione della sua libertà).
— Sez. 5 sent. 23215 del 9-6-2011 (ud. 1-3-2011) rv. 250453.
• Si configura il delitto di violenza privata e non quello
di estorsione se la coartazione da parte dell’agente è diretta
a procurarsi un ingiusto profitto, anche di natura non patrimoniale, ma difetta il danno altrui. (In applicazione del principio, si è ritenuto che integra il delitto di violenza privata
la condotta di colui che, con minacce, pretenda il recesso di
una persona da una società, di cui, tuttavia, sia solo un prestanome, senza alcun interesse economico patrimoniale). —
Sez. 2 sent. 15716 del 20-4-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 249940.
• I reati di sequestro di persona e di violenza privata
concorrono nella condotta di restrizione della libertà personale finalizzata a costringere la vittima a fare qualcosa.
(Fattispecie in cui l’autore del fatto aveva privato della libertà la vittima per indurla alla confessione di un furto e
all’indicazione dei complici). — Sez. 2 sent. 11738 del 243-2011 (ud. 2-3-2011) rv. 249688.
612 • Minaccia
• L’ingiustizia del male minacciato e, quindi, l’illegittimità del fatto costituente il delitto di cui all’art. 612 cod.
pen., non viene meno se non risulti ingiusto il motivo posto a base dell’azione criminosa, a meno che non appaiano legittimi tanto il male minacciato quanto il mezzo usato per l’intimidazione. — Sez. 5 sent. 19252 del 16-5-2011
(ud. 10-2-2011) rv. 250171.
612bis • Atti persecutori
• Il delitto di atti persecutori cosiddetto «stalking» (art.
612bis cod. pen.) è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo. Pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata
abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore
per la propria incolumità. — Sez. 5 sent. 29872 del 26-72011 (cc. 19-5-2011) rv. 250399.
• Integra il delitto di atti persecutori (art. 612bis cod.
pen.), la condotta di colui che compie atti molesti ai danni di più persone, costituendo per ciascuna motivo di ansia, non richiedendosi, ai fini della reiterazione della condotta prevista dalla norma incriminatrice, che gli atti molesti siano diretti necessariamente ad una sola persona,
quando questi ultimi, arrecando offesa a diverse persone
di genere femminile abitanti nello stesso edificio, provocano turbamento a tutte le altre. — Sez. 5 sent. 20895 del
25-5-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 250460.
• Ai fini della integrazione del reato di atti persecutori (art. 612bis cod. pen.) non si richiede l’accertamento
di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori — e nella specie costituiti da minacce e
insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici
o via internet o, comunque, espressi nel corso di incontri
imposti — abbiano un effetto destabilizzante della sere-
nità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato
che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612bis cod.
pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni
(art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come
malattia fisica che come malattia mentale e psicologica. —
Sez. 5 ord. 16864 del 2-5-2011 (cc. 10-1-2011) rv. 250158.
• Un grave e perdurante stato di turbamento emotivo è idoneo ad integrare l’evento del delitto di atti persecutori, per la cui sussistenza è sufficiente che gli atti abbiano
avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. — Sez. 5 sent. 8832 del 7-32011 (cc. 1-12-2010) rv. 250202.
615bis • Interferenze illecite nella
vita privata
• Non integra il reato di interferenze illecite nella vita
privata (art. 615bis cod. pen.), la condotta di colui che faccia
riprese fotografiche e videofilmate dell’attività edificatoria in corso nella contigua proprietà della persona offesa e consistente nella realizzazione di un muretto di confine, considerato che, ai fini della fattispecie incriminatrice,
l’attività intrusiva deve essere indebita e, pertanto, priva di
qualsivoglia ragione giustificativa della condotta dell’agente, sostanziandosi in una gratuita intrusione nella vita privata altrui, il che non si verifica nel caso di realizzazione di
un manufatto in prossimità di un confine prediale, il quale postula il rispetto delle prescrizioni civilistiche e, per di
più, costituisce attività agevolmente osservabile e, come
tale, non sottratta alla normale osservazione dall’esterno. —
Sez. 5 sent. 25453 del 24-6-2011 (ud. 18-4-2011) rv. 250462.
615ter • Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico
• Integra il delitto previsto dall’art. 615ter cod. pen.
non solo la condotta di colui che si introduca abusivamente in un sistema informatico protetto, ma altresì quella di
chi, pur autorizzato ad accedervi, vi si trattenga, contro la
volontà espressa o tacita di chi abbia il diritto di escluderlo, per finalità diverse da quelle per le quali era stato abilitato. — Sez. 5 sent. 24583 del 20-6-2011 (cc. 18-12011) rv. 249822.
• Integra il reato di frode informatica, e non già soltanto quello di accesso abusivo ad un sistema informatico
o telematico, la condotta di introduzione nel sistema informatico delle Poste italiane S.p.A. mediante l’abusiva utilizzazione dei codici di accesso personale di un correntista e
di trasferimento fraudolento, in proprio favore, di somme
di denaro depositate sul conto corrente del predetto. —
Sez. 2 sent. 9891 del 11-3-2011 (ud. 24-2-2011) rv. 249675.
624 • Furto
• Integra il reato di furto la condotta del dipendente
che usi indebitamente l’utenza telefonica della società,
presso cui presti la propria attività, per chiamare utenze
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mobili altrui al fine di consentirne la ricarica. — Sez. 2 sent.
13451 del 4-4-2011 (ud. 15-12-2010) rv. 250204.
• Costituisce furto consumato e non tentato quello che
si commette all’atto del superamento della barriera delle
casse di un supermercato con merce prelevata dai banchi
e sottratta al pagamento, a nulla rilevando che il fatto sia
avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato, incaricato della sorveglianza. — Sez. 5 sent.
7086 del 23-2-2011 (ud. 19-1-2011) rv. 249842.
• In tema di furto, il prelevamento della merce dai
banchi di vendita di un grande magazzino a sistema self
service e l’allontanamento senza pagare realizzano il reato di furto consumato; tuttavia, allorché l’avente diritto o
persona da questi incaricata sorvegli l’azione furtiva, così
da poterla interrompere in qualsiasi momento, il delitto
non può dirsi consumato neanche con l’occultamento della cosa sulla persona del colpevole, perché la cosa non è
ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell’offeso. — Sez. 5 sent. 7042 del 23-2-2011 (ud. 2012-2010) rv. 249835.
624bis • Furto in abitazione e furto
con strappo
• Integra il reato di furto in abitazione (art. 624bis cod.
pen.), la condotta di colui che si impossessa di un portadocumenti sottraendolo dal cassetto della scrivania di
uno studio odontoiatrico, considerato che è da ritenersi
luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della
loro vita privata. — Sez. 5 sent. 10187 del 14-3-2011 (ud.
15-2-2011) rv. 249850.
625 • Circostanze aggravanti
• Integra il tentato furto aggravato ai sensi dell’art. 625,
comma primo, n. 6, cod. pen. (fatto commesso sul bagaglio dei viaggiatori), la condotta di colui che tenti di impossessarsi della borsetta portata a bordo della propria autovettura dalla persona offesa, considerato che quest’ultima si qualifica viaggiatore, ancorché utilizzi per gli spostamenti il proprio veicolo e che anche, in tal caso, l’attenzione alle implicazioni del viaggio allenta il controllo sul
proprio bagaglio che può ben consistere in una borsa che
contenga documenti o valori. — Sez. 5 sent. 24386 del 166-2011 (ud. 28-4-2011) rv. 250464.
• In tema di furto, la circostanza aggravante di cui
all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. (violenza sulle cose), ha natura oggettiva e, pertanto, in applicazione
dell’art. 59, comma secondo, cod. pen., si comunica anche agli altri compartecipi del reato, ancorché sconosciuta
o ignorata per colpa. — Sez. 5 sent. 19637 del 18-5-2011
(ud. 6-4-2011) rv. 250192.
• Integra l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo,
n. 7, cod. pen. la sottrazione di beni costituenti la dotazione di un vagone ferroviario, in quanto ciò determina
un pregiudizio all’efficienza del servizio pubblico ferrovia-
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
Codice Penale
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Aggiornamento giurisprudenziale
rio rivolto alla generalità degli utenti. — Sez. 5 sent. 13659
del 5-4-2011 (ud. 17-1-2011) rv. 250163.
• La circostanza aggravante speciale del numero delle
persone, prevista dall’art. 625, n. 5, cod. pen. per il delitto
di furto, non postula che le persone abbiano agito riunite, e quindi può ritenersi realizzata anche nel caso di concorso morale, indipendentemente dalla presenza o meno
sul luogo del fatto. — Sez. 5 sent. 13566 del 4-4-2011 (ud.
9-3-2011) rv. 250169.
• In tema di furto, l’aggravante della destrezza è compatibile con quella del mezzo fraudolento, in quanto ciascuna delle due circostanze corrisponde a particolari modalità di condotta criminosa rientranti negli schemi posti
dalla legge penale. — Sez. 5 sent. 10144 del 14-3-2011 (ud.
2-12-2010) rv. 249831.
• Integra il reato di furto aggravato ai sensi dell’art.
625, comma primo, n. 7, cod. pen. (cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici), la sottrazione di telefoni cellulari dallo spogliatoio del campo sportivo comunale,
trattandosi di luogo soggetto a speciale protezione per la
sua pubblica destinazione e per essere gestito dal Comune nell’interesse della collettività. — Sez. 5 sent. 7039 del
23-2-2011 (ud. 16-12-2010) rv. 249945.
628 • Rapina
• Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante
del travisamento nel delitto di rapina è sufficiente una lieve alterazione dell’aspetto esteriore della persona, conseguita con qualsiasi mezzo anche rudimentale, purché idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona
stessa. (Fattispecie in cui l’aggravante è stata riconosciuta
in relazione al travisamento realizzato indossando un cappello con visiera ed un paio di occhiali scuri). — Sez. 2 sent.
18858 del 13-5-2011 (ud. 27-4-2011) rv. 250114.
629 • Estorsione
• Il tentativo di estorsione commesso con minaccia in
danno del genitore non è punibile ex art. 649 cod. pen. —
Sez. 2 sent. 18273 del 10-5-2011 (ud. 19-1-2011) rv. 250083.
• Si configura il delitto di violenza privata e non quello
di estorsione se la coartazione da parte dell’agente è diretta
a procurarsi un ingiusto profitto, anche di natura non patrimoniale, ma difetta il danno altrui. (In applicazione del principio, si è ritenuto che integra il delitto di violenza privata
la condotta di colui che, con minacce, pretenda il recesso di
una persona da una società, di cui, tuttavia, sia solo un prestanome, senza alcun interesse economico patrimoniale). —
Sez. 2 sent. 15716 del 20-4-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 249940.
630 • Sequestro di persona a scopo
di estorsione
• È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen., proposta, con
riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., per l’irragionevolezza del
trattamento sanzionatorio, siccome connotato da un minimo edittale eccessivamente elevato e dalla mancata previsione di un’attenuante speciale per i casi di minore gravità (contemplata invece per il reato di sequestro di ostaggi
di cui all’art. 3 della legge 26 novembre 1985, n. 718), trattandosi di scelte rientranti nella discrezionalità del legislatore, il quale ha introdotto un diverso e più rigoroso regime sanzionatorio, non solo in considerazione della natura
plurioffensiva del delitto di sequestro di persona a scopo di
estorsione, ma anche del diverso ambito di operatività di
tale fattispecie rispetto a quella del sequestro di ostaggi. —
Sez. 6 sent. 8903 del 7-3-2011 (ud. 22-12-2010) rv. 249726.
• In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, l’attenuante della dissociazione prevista dall’art. 630,
comma quinto, cod. pen., deve ritenersi applicabile anche
quando vi sia un unico agente. — Sez. 6 sent. 8903 del
7-3-2011 (ud. 22-12-2010) rv. 249725.
633 • Invasione di terreni o edifici
• Il delitto di invasione arbitraria di terreni si realizza quando il bene immobile altrui sia in qualche modo e
per qualche tempo assoggettato ad un potere di fatto del
soggetto agente, sicché il delitto non è integrato dalla condotta di chi si introduca precariamente nel fondo altrui. —
Sez. 2 sent. 19079 del 16-5-2011 (ud. 3-5-2011) rv. 250320.
• L’occupazione sine titulo di un alloggio in proprietà dell’Istituto autonomo case popolari integra il reato di
invasione arbitraria di edifici anche nell’ipotesi in cui l’occupante abbia presentato una regolare istanza di assegnazione dell’immobile ed il relativo procedimento non sia stato ancora definito. — Sez. 2 sent. 12752 del 29-3-2011 (ud.
8-3-2011) rv. 250050.
• L’integrazione della fattispecie criminosa di invasione di terreni o edifici implica che la permanenza sull’altrui bene immobile si protragga nel tempo per una durata apprezzabile, ancorché non sia necessario che l’agente rimanga stabilmente su di essi, purché la condotta risulti effettivamente rivolta all’occupazione dell’immobile ovvero a trarne in altro modo profitto. — Sez. 2 sent. 11544
del 23-3-2011 (ud. 8-2-2011) rv. 249887.
• Integra il delitto di ingresso abusivo nel fondo altrui e
non quello di invasione di terreni o edifici colui che a bordo del proprio veicolo transiti abusivamente, danneggiando la recinzione, attraverso il fondo altrui. — Sez. 2 sent.
11544 del 23-3-2011 (ud. 8-2-2011) rv. 249888.
• L’illecita occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere, oltre che in lesioni
della vita o dell’integrità fisica, nella compromissione di un
diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita
occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l’assoluta
necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso la ricorrenza della scriminante, essendo stato accettato che la necessità di
occupazione illecita di un edificio residenziale pubblico al
fine di occuparlo con la compagna minorenne in stato di
Codice Penale
635 • Danneggiamento
• Si ha «deterioramento», che integra il reato di danneggiamento, tutte le volte in cui una cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all’uso cui è destinata,
non rilevando, ai fini dell’integrazione della fattispecie, la
possibilità di reversione del danno, anche se tale reversione
avvenga non per opera dell’uomo, ma per la capacità della
cosa di riacquistare la sua funzionalità nel tempo. (In applicazione del principio, la Corte ha ravvisato la sussistenza del
delitto di danneggiamento nell’illecito smaltimento di rifiuti di una discarica in un fiume, che ne aveva cagionato il deterioramento, rendendolo per lungo tempo inidoneo all’irrigazione dei campi ed all’abbeveraggio degli animali). —
Sez. 4 sent. 9343 del 9-3-2011 (ud. 21-10-2010) rv. 249808.
• Il termine di prescrizione del reato di danneggiamento, che pure ha natura di reato istantaneo, ha inizio, nel
caso in cui le condotte che lo integrano siano frutto non di
un unico atto bensì della ripetizione di condotte lesive, dalla commissione dell’ultima condotta, configurandosi nella
specie come reato a consumazione prolungata o a condotta frazionata. (Fattispecie in cui la Corte ha precisato che le
plurime immissioni di sostanze inquinanti nei corsi d’acqua, successive alla prima, non costituiscono un post factum penalmente irrilevante, né singole ed autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento, bensì singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la
cessazione della consumazione, e quindi l’inizio della decorrenza della prescrizione, fino all’ultima immissione). —
Sez. 4 sent. 9343 del 9-3-2011 (ud. 21-10-2010) rv. 249809.
• In tema di danneggiamento, l’aggravante speciale
configurata per il fatto commesso con violenza alla persona o con minaccia (art. 635, comma secondo, n. 1, cod.
pen.) sussiste in ogni caso nel quale vi sia stata contestualità tra l’azione di danneggiamento e la condotta violenta o
minacciosa, anche quando la seconda non risulti strumentale alla realizzazione della prima. (In motivazione la Corte
ha osservato che la ratio dell’aumento di pena e della procedibilità d’ufficio, che si connettono all’integrazione della circostanza, risiede nella maggiore pericolosità manifestata dall’agente nell’esecuzione del reato). — Sez. 2 sent.
7980 del 2-3-2011 (ud. 30-11-2010) rv. 249811.
637 • Ingresso abusivo nel fondo altrui
• Integra il delitto di ingresso abusivo nel fondo altrui e
non quello di invasione di terreni o edifici colui che a bordo del proprio veicolo transiti abusivamente, danneggiando la recinzione, attraverso il fondo altrui. — Sez. 2 sent.
11544 del 23-3-2011 (ud. 8-2-2011) rv. 249888.
640 • Truffa
• Integra il reato di truffa ai danni dell’Amministrazione comunale l’induzione dei relativi uffici al rilascio di
una concessione edilizia mediante la falsa rappresentazione dei luoghi, contenuta nel progetto e negli elaborati tecnici presentati dal soggetto richiedente, sempre che
possa individuarsi un pregiudizio economico dell’Amministrazione per effetto della condotta dell’agente, pregiudizio economico che non può, però, essere rappresentato
dalle spese sopportate per la rimozione del manufatto abusivo, in quanto esse vanno poste a carico dell’autore della
violazione, anche nel caso in siano anticipate dall’ente. —
Sez. 2 sent. 20806 del 25-5-2011 (ud. 5-5-2011) rv. 250363.
• Il delitto di truffa, nella forma cosiddetta contrattuale, è reato istantaneo e di danno la cui consumazione
coincide con la perdita definitiva del bene, in cui si sostanzia il danno del raggirato ed il conseguimento dell’ingiusto
profitto da parte dell’agente. (Nella specie la S.C. ha rigettato il ricorso contro la sentenza che aveva ritenuto consumato il delitto di truffa, consistito nell’induzione in errore di soci di minoranza di una S.p.A. alla vendita a prezzo vile delle azioni, nel momento della vendita medesima, considerando post factum non punibile la successiva distribuzione di utili, accantonati nel bilancio societario come riserva). — Sez. 2 sent. 20025 del 20-5-2011 (ud.
13-4-2011) rv. 250358.
• Non integra il reato di truffa la condotta dell’avvocato che si faccia dare un’anticipazione sugli onorari al
momento dell’assunzione di un incarico giudiziale e che
poi non dia inizio al contenzioso, ponendo in essere raggiri
per tacitare la richiesta di informazioni sull’andamento della controversia e quindi per evitare la restituzione di quanto indebitamente percepito, dal momento che la condotta
fraudolenta, ai fini dell’integrazione della fattispecie, non
può essere successiva alla ricezione dell’ingiusto profitto. —
Sez. 2 sent. 17106 del 3-5-2011 (ud. 22-3-2011) rv. 250250.
• Integra il reato di truffa la condotta di induzione degli impiegati al rilascio di una concessione edilizia mediante la falsa rappresentazione dei luoghi contenuta nel
progetto e negli elaborati tecnici presentati dal soggetto
richiedente, ove possa individuarsi un pregiudizio economico dell’Amministrazione comunale di questa per effetto della condotta dell’agente. (Fattispecie in cui il danno
per l’amministrazione è stato ritenuto sussistente in relazione ai costi dell’intervento in autotutela svolto dall’ente
locale a seguito dell’accertamento della difformità dei lavori concretamente eseguiti). — Sez. 5 sent. 15522 del 184-2011 (ud. 16-2-2011) rv. 250088.
• Integra gli estremi del reato di truffa la condotta del
dipendente di un istituto di credito che crei una fittizia disponibilità bancaria a favore di un terzo, ed emetta assegni che poi sono pagati dall’istituto sull’erroneo presupposto dell’esistenza della provvista. — Sez. 5 sent. 13536
del 4-4-2011 (ud. 10-2-2011) rv. 250210.
• Il delitto di truffa si consuma nel momento del conseguimento, da parte dell’agente, del profitto della propria
attività criminosa. (In applicazione del principio, la Corte,
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
gravidanza, invocata dall’imputato, sarebbe potuta essere
soddisfatta con la richiesta di ausilio ai servizi sociali e alle
altre istituzioni pubbliche di assistenza, la cui indisponibilità, nel caso di specie, non era stata neanche allegata). —
Sez. 2 sent. 8724 del 4-3-2011 (ud. 11-2-2011) rv. 249915.
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Aggiornamento giurisprudenziale
in fattispecie di truffa consistita nell’importazione, senza
versamento dell’Iva, di veicoli dall’estero e di loro successiva rivendita in Italia, ha ritenuto consumato il reato nel
momento e luogo del mancato pagamento d’imposta). —
Sez. 2 sent. 12795 del 29-3-2011 (cc. 9-3-2011) rv. 249861.
640bis • Truffa aggravata per il con-
seguimento di erogazioni pubbliche
• Integra la fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e non di truffa aggravata, per
assenza di un comportamento fraudolento in aggiunta al
mero silenzio, la condotta di colui che, percependo periodicamente l’indennità di disoccupazione prevista per legge,
ometta di comunicare all’Istituto erogante (I.N.P.S.) l’avvenuta stipula di un contratto di lavoro subordinato e conseguente assunzione, così continuando a percepire, indebitamente, la detta indennità. (La Corte, rilevato che la somma
indebitamente percepita era inferiore ad euro 3999,96, ha
annullato senza rinvio e disposto la trasmissione degli atti
alla locale autorità amministrativa). — Sez. 2 sent. 21000
del 26-5-2011 (ud. 8-2-2011) rv. 250262.
• In materia di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il concetto di contributo, finanziamento
o mutuo agevolato, richiamato dall’art. 640bis cod. pen.,
va ricompreso nella generica accezione di sovvenzione,
concretizzandosi in una attribuzione pecuniaria che trova
il suo fondamento e la sua giustificazione nell’attuazione
di un interesse pubblico. Ne consegue che le somme provenienti da un pubblico finanziamento, anche in ragione
dell’obbligo di rendiconto e di restituzione degli eventuali
residui di gestione, continuano ad essere di proprietà pubblica anche nel momento in cui entrano nella disponibilità materiale dell’ente privato finanziato, rimanendo integro il vincolo originario della loro destinazione al fine per
il quale sono state erogate. (Fattispecie in tema di pubblici finanziamenti erogati per la realizzazione di corsi di formazione). — Sez. 2 sent. 19539 del 18-5-2011 (cc. 25-22011) rv. 250497.
• Integra il reato di truffa aggravata, e non l’illecito amministrativo di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 375 del 1993, il fatto di chi, mediante false denunce aziendali, abbia ottenuto l’erogazione di prestazioni previdenziali non dovute,
inducendo in errore i competenti istituti. (Fattispecie nella
quale l’INPS era stato indotto ad erogare prestazioni previdenziali non dovute attraverso false denunce di assunzione di braccianti agricoli). — Sez. 5 sent. 14479 del 114-2011 (ud. 18-2-2011) rv. 250127.
640ter • Frode informatica
• Integra il delitto di frode informatica, e non quello
di indebita utilizzazione di carte di credito, colui che, servendosi di una carta di credito falsificata e di un codice di
accesso fraudolentemente captato in precedenza, penetri
abusivamente nel sistema informatico bancario ed effettui illecite operazioni di trasferimento fondi, tra cui
quella di prelievo di contanti attraverso i servizi di cassa continua. — Sez. 2 sent. 17748 del 6-5-2011 (ud. 15-42011) rv. 250113.
• Integra il reato di frode informatica, e non già soltanto quello di accesso abusivo ad un sistema informatico o
telematico, la condotta di introduzione nel sistema informatico delle Poste italiane S.p.A. mediante l’abusiva utilizzazione dei codici di accesso personale di un correntista
e di trasferimento fraudolento, in proprio favore, di somme di denaro depositate sul conto corrente del predetto. —
Sez. 2 sent. 9891 del 11-3-2011 (ud. 24-2-2011) rv. 249675.
644 • Usura
• È configurabile il concorso nel reato di usura del soggetto incaricato di recuperare il credito usurario che riesca
ad ottenerne il pagamento. — Sez. 2 sent. 17157 del 3-52011 (cc. 9-3-2011) rv. 250312.
646 • Appropriazione indebita
• Non integra il delitto di appropriazione indebita
l’amministratore di una società di persone che trasferisca
all’estero fondi della stessa per sottrarli all’imposizione fiscale. (Nella fattispecie, dopo l’adesione al cosiddetto
«scudo fiscale» i fondi erano stati fatti rientrare nel patrimonio societario come fondi di futura capitalizzazione). —
Sez. 2 sent. 20062 del 20-5-2011 (cc. 6-5-2011) rv. 250439.
• Non integra il delitto di appropriazione indebita il
creditore che, a fronte dell’inadempimento del debitore,
eserciti a fini di garanzia del credito il diritto di ritenzione sulla cosa di proprietà di quest’ultimo legittimamente detenuta in ragione del rapporto obbligatorio, a meno
che egli non compia sul bene atti di disposizione che rivelino l’intenzione di convertire il possesso in proprietà. —
Sez. 2 sent. 17295 del 4-5-2011 (cc. 23-3-2011) rv. 250100.
• Integra il delitto di peculato, e non quello di appropriazione indebita, la condotta del titolare di una tabaccheria che si appropri di una somma di denaro della quale
abbia il possesso perché autorizzato alla riscossione delle
tasse automobilistiche regionali. — Sez. 2 sent. 17109 del
3-5-2011 (ud. 22-3-2011) rv. 250315.
• Integra il reato di appropriazione indebita la condotta consistente nella mera interversione del possesso,
che sussiste anche nel caso di una detenzione qualificata,
conseguente all’esercizio di un potere di fatto sulla cosa,
al di fuori della sfera di sorveglianza del titolare. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ravvisato la condotta
appropriativa nella ritenzione di un autoveicolo, utilizzato
uti dominus nonostante la risoluzione del contratto di leasing e la richiesta di restituzione del bene). — Sez. 2 sent.
13347 del 1-4-2011 (ud. 7-1-2011) rv. 250026.
648 • Ricettazione
• Non rileva, ai fini della sussistenza del reato di ricettazione, la ragione per la quale l’autore del fatto si sia
Codice Penale
648bis • Riciclaggio
• Integra il delitto di riciclaggio la condotta di colui
che, pur completamente estraneo alla compagine societaria, consenta che sul proprio conto corrente venga fatto
defluire il danaro frutto dello svuotamento delle casse di
una società ad opera dell’amministratore, e ciò indipendentemente dalla tracciabilità dell’operazione. — Sez. 6 sent.
26746 del 7-7-2011 (cc. 6-4-2011) rv. 250427.
• Integra l’elemento oggettivo del reato di riciclaggio
anche il mero smontaggio di singoli pezzi, pur privi di
codice identificativo, di un bene mobile registrato, come
un ciclomotore, di provenienza delittuosa, rientrando tale
condotta nella nozione normativa di operazione adatta
ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene. — Sez. 2 sent. 12766 del 29-3-2011 (ud. 113-2011) rv. 249678.
• Il valore di riferimento per il sequestro funzionale
alla confisca per equivalente, in caso di delitto di riciclaggio transnazionale avente ad oggetto i proventi del reato
di frode fiscale, dev’essere quantificato sulla base del profitto di tale ultimo reato, entrato a far parte delle operazioni di riciclaggio transnazionale. (In motivazione la Corte ha
ulteriormente precisato che se il riciclaggio ha ad oggetto
i proventi del reato di frode fiscale, detti proventi costituiscono anche il profitto del riciclaggio in relazione ai soggetti autori del solo reato transnazionale). — Sez. 3 sent.
11970 del 24-3-2011 (cc. 24-2-2011) rv. 249761.
649 • Non punibilità e querela della
persona offesa, per fatti commessi
a danno di congiunti
• Il tentativo di estorsione commesso con minaccia in
danno del genitore non è punibile ex art. 649 cod. pen. —
Sez. 2 sent. 18273 del 10-5-2011 (ud. 19-1-2011) rv. 250083.
• Non è applicabile l’esimente di cui all’art. 649 cod.
pen. (fatti commessi in danno di congiunti) al reato di illecito uso di una carta di credito (art. 12 del D.L. 3 maggio
1991, convertito in l. 5 luglio 1991, n. 197, successivamente abrogato e trasferito sotto la previsione di cui all’art. 55,
comma nono, del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231), nell’ipotesi in cui la condotta delittuosa sia stata posta in essere da
un familiare (nel caso di specie, il figlio) del titolare della
carta, stante la natura plurioffensiva del reato de quo, la
cui dimensione lesiva trascende il mero patrimonio individuale per estendersi, in modo più o meno diretto, a valori
riconducibili all’ambito dell’ordine pubblico, economico e
della fede pubblica, mentre la previsione di cui all’art. 649
cod. pen. concerne esclusivamente i delitti contro il patrimonio ed ha una natura eccezionale che ne preclude l’applicazione in via analogica. — Sez. 2 sent. 15834 del 21-42011 (ud. 8-4-2011) rv. 250516.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
determinato a ricevere la cosa proveniente da delitto. —
Sez. 2 sent. 17718 del 6-5-2011 (ud. 7-4-2011) rv. 250156.
• Non integra il delitto di ricettazione la condotta
dell’acquirente di sostanze farmaceutiche assoggettate
ad un titolo di proprietà industriale, dovendosi escludere che il semplice acquisto di tali beni possa essere punito quale concorso nella fattispecie plurisoggettiva impropria di frode brevettuale di cui all’art. 88 del R.D. n. 11271939, come modificata dall’art. 127 del D.Lgs. 10 febbraio
2005, n. 30. (Fattispecie relativa all’acquisto del principio
attivo denominato Sildenafil citrato). — Sez. 2 sent. 14053
del 8-4-2011 (ud. 15-3-2011) rv. 250293.
• L’integrazione della fattispecie di ricettazione richiede il conseguimento, in qualsivoglia modo, del possesso della cosa proveniente da delitto. (In applicazione del
principio la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di
condanna fondata sulla mera presenza, quale trasportato,
dell’imputato a bordo di auto guidata dall’autore del furto di questa). — Sez. 2 sent. 12763 del 29-3-2011 (ud. 113-2011) rv. 249863.
• Il delitto di ricettazione, nella fattispecie della cosiddetta «intromissione», si perfeziona per il solo fatto che
l’agente si intrometta nel far acquistare, ricevere od occultare un bene di provenienza delittuosa, non occorrendo, perché possa dirsi consumato, anche che l’intromissione raggiunga il fine ulteriore che il soggetto si è proposto.
(Fattispecie nella quale l’imputato si era attivato infruttuosamente per ricercare un acquirente di un monitor al plasma, compendio di appropriazione indebita). — Sez. 2 sent.
8714 del 4-3-2011 (ud. 11-2-2011) rv. 249815.
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Aggiornamento giurisprudenziale
Libro Terzo
Delle contravvenzioni in particolare
650
• Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità
673 • Omesso collocamento o rimo-
• Non risponde del reato previsto dall’art. 650 cod. pen.
lo straniero che non ottemperi all’invito della Polizia Municipale a presentarsi ai fini del controllo della sua posizione sul territorio dello Stato, stante la mancanza di una
autonoma e generale competenza di detta polizia in materia di ordine pubblico. (Fattispecie comunque anteriore
all’entrata in vigore del D.L. n. 92 del 2008, conv. con modifiche nella legge n. 125 del 2008). — Sez. 1 sent. 14589
del 12-4-2011 (ud. 1-3-2011) rv. 249854.
• Il reato di omesso collocamento di segnali o ripari,
di cui all’art. 673 cod. pen., deve ritenersi sussistente ogniqualvolta il soggetto destinatario delle prescrizioni dettate
dall’Autorità sulla sicurezza delle strade non esegua le opere necessarie allo scopo nei termini stabiliti, anche qualora tali opere siano soggette a provvedimenti autorizzativi di terzi, essendo compito del soggetto preposto di adoperarsi sollecitamente per rimuovere gli eventuali ostacoli che si frappongano all’attuazione dell’adempimento. —
Sez. 1 sent. 5098 del 11-2-2011 (ud. 12-1-2011) rv. 249798.
zione di segnali o ripari
651 • Rifiuto d’indicazioni sulla pro- 674 • Getto pericoloso di cose
pria identità personale
• Il rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali, che integra la condotta dell’omonima contravvenzione, non presuppone che il soggetto richiesto sia responsabile di un reato o di un illecito amministrativo. — Sez. 1 sent. 18592
del 11-5-2011 (ud. 29-4-2011) rv. 250269.
659 • Disturbo delle occupazioni o
del riposo delle persone
• Ai fini della configurabilità della contravvenzione di
cui all’art. 659 cod. pen., l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, ma ben può il giudice fondare il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità. (Fattispecie relativa all’accertamento della natura molesta della musica riprodotta ad alto volume e di notte in
un «disco pub», nonché degli schiamazzi degli avventori
dello stesso, mediante la testimonianza resa dagli inquilini
dello stabile in cui era sito il locale). — Sez. 1 sent. 20954
del 25-5-2011 (ud. 18-1-2011) rv. 250417.
• La diffusione di polveri nell’atmosfera rientra nella
nozione di «versamento di cose» ai sensi della prima ipotesi
dell’art. 674 cod. pen. e non in quella di «emissione di fumo»
contemplata dalla seconda ipotesi, in relazione alla quale
soltanto è richiesto il superamento dei limiti di legge, poiché, se il fumo è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione. —
Sez. 3 sent. 16422 del 27-4-2011 (ud. 11-1-2011) rv. 249982.
• In tema di reato colposo, il responsabile legale di una
struttura complessa che sia comunque venuto a conoscenza della situazione di pericolo e della sua continuità nel
tempo non può invocare, ai fini di esenzione da responsabilità, l’affidamento nell’operato dei responsabili di settore. (Fattispecie di reato ex art. 674 cod. pen. in relazione a
frequenti ricadute oleose derivanti dall’esercizio di centrale di energia elettrica). — Sez. 3 sent. 16422 del 27-4-2011
(ud. 11-1-2011) rv. 249983.
677 • Omissione di lavori in edifici o
costruzioni che minacciano rovina
• Non integra la contravvenzione di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina colui che
non provvede a rimuovere o mettere in sicurezza un accumulo di terra di riporto. — Sez. 1 sent. 16512 del 27-42011 (ud. 6-4-2011) rv. 250425.
660 • Molestia o disturbo alle per- 678
sone
• L’invio di messaggi SMS di contenuto ingiurioso integra la contravvenzione di molestie con il mezzo del telefono. — Sez. 1 sent. 10983 del 16-3-2011 (ud. 22-2-2011)
rv. 249879.
• Fabbricazione o commercio
abusivi di materie esplodenti
• Non integra la contravvenzione di cui all’art. 678
cod. pen. (fabbricazione o commercio abusivi di materie
esplodenti) il trasporto, senza l’autorizzazione della competente autorità, di materiale esplodente, del tipo bombe
Codice Penale
679 • Omessa denuncia di materie
esplodenti
• Integra il reato di cui all’art. 679 cod. pen. la detenzione in deposito, in carenza di denuncia al comando vigili del fuoco territorialmente competente, di gasolio per
autotrazione, quale sostanza infiammabile pericolosa. —
Sez. 1 sent. 25102 del 22-6-2011 (ud. 31-5-2011) rv. 250329.
684 • Pubblicazione arbitraria di atti
di un procedimento penale
• Ai fini dell’integrazione del reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, non rientrano nel
divieto di pubblicazione di cui all’art. 114 cod. proc. pen.
i documenti di origine extraprocessuale acquisiti al procedimento e non compiuti dal P.M. o dalla polizia giudiziaria
(nella specie, informativa della Agenzia delle Entrate), non essendo gli stessi coperti dal segreto ex art. 329 cod. proc. pen.
— Sez. 1 sent. 13494 del 4-4-2011 (ud. 9-3-2011) rv. 249856.
689 • Somministrazione di bevande
alcooliche a minori o a infermi di
mente
• Integra il reato di somministrazione di bevande alcoliche a minori (art. 689 cod. pen.), la condotta di colui
che, in qualità di gestore di bar, somministri bevande alcoliche ad un minore degli anni sedici; né, a tal fine, rileva il fatto che nel predetto bar vi siano cartelli indicanti il
divieto di erogazione di bevande alcoliche a minori, stante la natura di reato di pericolo della contravvenzione in
questione che richiede la necessaria diligenza nell’accertamento dell’età del consumatore. — Sez. 5 sent. 7021 del
23-2-2011 (ud. 2-12-2010) rv. 249830.
727 • Abbandono di animali
• Integra la contravvenzione di abbandono di animali (art. 727, comma primo, cod. pen.) non solo la condotta di distacco volontario dall’animale, ma anche qualsiasi
trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione verso quest’ultimo, dovendosi includere nella nozione di «abbandono» anche comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia nell’immediata ricerca nell’animale. (In motivazione la Corte, in una fattispecie relativa allo
smarrimento di un cane non denunciato dal proprietario
che si era disinteressato dell’animale non preoccupandosi
di ricercarlo, ha escluso che il reato in esame possa essere
commesso solo in forma dolosa). — Sez. 3 sent. 18892 del
13-5-2011 (ud. 2-2-2011) rv. 250366.
731 • Inosservanza dell’obbligo del­
l’istruzione elementare dei minori
• In tema di inosservanza dell’obbligo di istruzione dei
minori, ricade sull’imputato (nella specie i genitori) l’onere di dimostrare la riconducibilità della violazione a giusti motivi. — Sez. 3 sent. 16438 del 27-4-2011 (ud. 10-32011) rv. 250002.
• Ai fini dell’integrazione del reato di inosservanza
dell’obbligo di istruzione dei minori la mancata conoscenza, da parte dei genitori, della omessa frequentazione scolastica dei propri figli non esclude l’elemento soggettivo, incombendo comunque su di essi uno specifico dovere, morale e giuridico, di vigilanza. — Sez. 3 sent. 16438 del 274-2011 (ud. 10-3-2011) rv. 250003.
Aggiornamento giurisprudenziale
Codice penale
carta, qualora non sia accertato il quantitativo delle polveri esplodenti ed il conseguente superamento del limite
ponderale, costituito dal peso di 5 kg netti. — Sez. 1 sent.
18575 del 11-5-2011 (ud. 25-3-2011) rv. 250170.
• Integra la fattispecie criminosa di illegale detenzione
di esplosivi, e non il reato contravvenzionale di detenzione abusiva di materie esplodenti, la condotta che abbia
ad oggetto materiali pirotecnici, non micidiali se singolarmente considerati, che in determinate condizioni (quali possono essere l’ingente quantità, il precario confezionamento, la concentrazione in un ambiente angusto e la
prossimità a luoghi frequentati da molte persone), costituiscono pericolo per persone o cose, sì da assumere, nel loro
insieme, la caratteristica della micidialità. — Sez. 1 sent.
16677 del 29-4-2011 (ud. 24-1-2011) rv. 249958.
• Si configura il reato di commercio abusivo di materie esplodenti, di cui all’art. 678 cod. pen., nel caso di vendita in forma ambulante di giocattoli pirici. — Sez. 1 sent.
8754 del 4-3-2011 (ud. 16-2-2011) rv. 249802.
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