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L'IDEA DEL TOTUS ORBIS IN FRANCISCO DE VITORIA:
ALLE ORIGINI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
I. UNA NECESSARIA PREMESSA
Le relazioni internazionali nella fase contemporanea sono ca­
ratterizzate dalla permanente ricerca di rendere armonici - e sem­
pre piu omogenei - i rapporti tra gli Stati, nella prospettiva ulti­
ma di individuare e indicare soluzioni unitarie ai problemi ed alle
necessità che maggiormente si presentano nella quotidiana vita dei
Popoli. E si tratta di soluzioni a cui concorre in modo determinan­
te il diritto internazionale con i suoi principi e norme che, se ap­
parentemente sembrano limitati ai soli aspetti tecnici, presentano
molto spesso spiccato carattere di natura politica, con un conseguen­
te diretto coinvolgimento non solo dell' apparato istituzionale di un
Paese, ma anche dell'intera opinione pubblica. Ne sono testimonian­
za l'impatto e la rilevanza che con sempre maggiore intensità assu­
me l'opinione pubblica concorrendo - anche indirettamente - nel­
le scelte di politica internazionale attuate dai Governi.
Naturalmente l'obiettivo di soluzioni unitarie per le questioni
di maggiore rilevanza è ordinariamente raggiunto e recepito quasi
con quotidiana abitudine. Risulta invece quasi evidente, anche per
l'osservatore meno attento, il dato che la ricerca di prospettive uni­
tarie tra i protagonisti delle relazioni internazionali viene continua­
mente limitata o addirittura impedita dal comportamento «negati­
vo» di singoli Stati. In tal modo essi tendono a sottrarsi ad una
solidale composizione degli interessi generali che sempre piu si pro­
filano come categoria di interessi dell'umanità l, preferendo scelte
1 Lo scopo della presente ricerca non consente di soffermarsi su questo parti­
colare aspetto, che indubbiamente è significativo per un'analisi sulle contemporanee
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particolari o addirittura confliggenti con gli obiettivi espressi inve­
ce dalla maggior parte dei Paesi nella ricerca del vero bene comu­
ne di tutti i Popoli.
Il ripristino delle situazioni violate o risultanti da comporta­
menti omissivi, come pure l'ordinaria regolazione dei rapporti in­
ternazionali, si realizza attraverso un meccanismo non strutturato
e definito «primitivo», che risiede nella esplicita manifestazione della
buona fede con cui ogni Stato, protagonista delle relazioni interna­
zionali, accede al rispetto di principi generali, come pure concorre
a dare fisionomia e coerehza a norme giuridiche particolari: in en­
trambi i casi, con comune denominatore rappresentato dalla volon­
tarietà dell' impegno assunto.
La Comunità internazionale infatti - e quindi il suo ordi­
namento e diritto - risulta mancante di una struttura che, con
il carattere della stabilità e collocata super partes, sia in grado di
realizzare un controllo sulla effettiva osservanza di principi e nor­
me. La Comunità internazionale, come oggi è intesa e struttura­
ta, non presenta quella caratteristica invece rilevabile all'interno
della compagine statale: un controllo che, sovraordinato ai singoli
soggetti, ne garantisce la ordinata convivenza in una società or­
ganizzata.
Se si tralasciano queste considerazioni - che non sono detta­
te dall' esclusiva ragione di rilevare il limite intrinseco esistente nella
vita di relazione tra gli Stati - restano di difficile e distorta com­
prensione gli stessi fenomeni a cui si assiste a livello planetario.
Infatti, ad un'analisi obiettiva e sorretta dalla dovuta comple­
tezza di elementi sulle diverse manifestazioni della vita internazio­
nale realizzata mediante e nell'ambito del diritto internazionale, emer­
ge che l'ordinario svolgersi dei rapporti tra i soggetti segue precise
regole giuridiche e si realizza attraverso il pieno rispetto del prin­
relazioni internazionali. Basta qui ricordare come sia emerso e si sia consolidato nel­
l'ordinamento internazionale il concetto di patrimonio comune dell'umanità come ca­
tegoria riferita all'utilizzazione delle risorse naturali, come quelle marine; all'uso dello
spazio atmosferico ed extra-atmosferico; alla protezione dei beni culturali. O fare
riferimento al fatto che la normativa internazionale preveda la condanna di com­
portamenti ritenuti contrari all'interesse generale dell'umanità: ad esempio, il disco­
noscimento dei diritti umani, il genocidio, fino alla recente problematica del danno
all'ambiente.
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cipio della buona fede, senza che vi sia il pregiudiziaIe bisogno di
un'imposizione «dall' alto».
Una realtà validamente rilevabile dalla stessa storia delle rela­
zioni internazionali e dallo sviluppo in senso moderno del diritto
in ternazionale.
È proprio l'esigenza di regolamentare i rapporti tra entità che
si pongono come portatrici di un'autonomia di scelte e decisioni
(superiorem non recognoscentes) a rappresentare una delle caratteri­
stiche del diritto internazionale nel suo sviluppo alle origini dell'e­
vo moderno. Difatti, anche se una lettura della prassi non può che
ritenere remote tali origini - facendole risalire all'attuarsi di rap­
porti tra i diversi Popoli connaturati alla loro stessa esistenza ­
parimenti non si nega che dal punto di vista teorico si ricongiun­
gono alla organica trattazione del giurista-filosofo olandese Ugo Gro­
zio (1583·1645). È il suo De jure belli ac pacis che partendo da so­
stanziali premesse di ordine filosofico e teologico (in particolare la
dottrina calvinista a cui Grozio aderisce), presenta una metodica
considerazione dei delicati problemi emergenti nei rapporti inter­
statali in una fase storica - il XVI e XVII secolo - in cui sono
evidenti complessi mutamenti nella vita di relazione fra i Popoli,
soprattutto per un diverso assetto che assume il Continente europeo.
La conclusione della guerra dei trent'anni con la Pace di
Westfalia (1648), se da un lato conclude il tormentato periodo del­
le guerre di religione in Europa, sul piano politico segna anche il
definitivo abbandono della concezione verticistica e universalistica
del potere e quindi della vita dei diversi Popoli del Continente:
la fine dell' autorità centrale dell'Impero che a fianco del Papato
aveva impersonato il fulcro della «Repubblica delle genti cristiana»
(Respublica gentium christianarum) snodatasi dalle orgini del Sacro
Romano Impero germanico dell' epoca carolingia.
E Grozio, proprio durante la guerra dei trent' anni, scrive il suo
De jure belli ac pacis, sulla cui scia doveva successivamente formarsi
tutta una interpretazione razionalistica del diritto internazionale 2, con
2 Interpretazione che sarà poi seguita da tutta la Scuola del diritto naturale (o
giusnaturalistica), secondo cui il diritto era da considerare solo come prodotto della
ragione (dictamen rectae rationis), escludendo qualunque riferimento all'impostazione
del diritto naturale classico.
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il conseguente abbandono dei contenuti etici e morali afferenti all'a­
zione dei diversi soggetti dell'ordinamento internazionale. Può dirsi
che l'opera di Grazio apre la strada ad una trasposizione anche nel
diritto internazionale della separazione tra diritto e morale, conseguen­
za di quella ben piu ampia avvenuta tra politica e morale quale risul­
tante di esasperate posizioni delle correnti umanistico-rinascimentali.
L'Europa, a partire dalla Pace di Westfalia, presenta politica­
mente un nuovo volto, quale manifestazione di un nuovo assetto
politico: le nazionalità si costituiscono in altrettanti Stati sovrani
con la conseguente problema tic a dei rapporti tra queste sorgenti au­
tonomie. Secondo un'interpretazione ormai radicata 3 è da quel pre­
ciso momento che, con un diretto riferimento alla trattazione gro­
ziana, si pongono le basi del moderno diritto internazionale.
Ma questa impostazione è dimentica della fase storica che pre­
cede lo stesso sistema di relazioni internazionali che scaturisce da­
gli equilibri di Westfalia. Fase in cui sono invece ampiamente mar­
cati i segni delle prime riflessioni e principi della forma moderna
del diritto internazionale inteso quale corpus normativo dettato per
regolamentare non solo i rapporti interstatali - e tale sarà l'esclu­
sivo riferimento delle riflessioni della dottrina successiva a Grozio,
fino ai nostri giorni - ma anche quelli tra Popoli, nella loro collo­
cazione e considerazione all'interno della Comunità internazionale.
La fine del XV e l'alba del XVI secolo vedono infatti l'inizio
della espansione coloniale che segue le «scoperte» geografiche. In
parallelo si stagliano nuovi rapporti all'interno della cristianità do­
po la Riforma, frutto di contrapposizione religiosa e politica, cul­
minati con il sorgere del primo Stato nazionale protestante, le Pro­
vince Unite Olandesi, nel 1579. E poi il definirsi di una conflit­
tualità sempre piu competitiva tra la cristianità e il mondo islami­
co costituitosi nell'Impero Ottomano. Non potendo si poi dimenti­
care che in Oriente, Cina e Giappone accentuavano la loro auto­
nomia e prestigio - già evidente sul piano commerciale - anche
nei rapporti internazionali.
, Si veda, in proposito, l'analisi di M. Giuliano, Diritto internazionale, I, Mila·
no 1974, pp.117·147 e bibliografia ivi citata.
Idea del
totus orbis in Francisco De Vitoria
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A questi chiari segni del manifestarsi delle relazioni interna­
zionali moderne dà un significativo apporto la sistematica dottrina
della Scuola di Salamanca 4 e in particolare l'opera di Francisco De
Vitoria 5 che dalla sua cattedra di teologia morale dell'Università
spagnola per la prima volta evidenzia le problematiche che riguar­
dano i rapporti fra gli Stati e in particolare la necessità di norme
che, ispirate a concezioni di tipo filosofico-morale, stabilmente fun­
gano da base per una regolamentazione di questi rapporti.
II. ORIGINALITÀ DEL PENSIERO DI DE VITORIA
Il periodo storico in cui si annuncia e sviluppa la dottrina di
De Vitoria è il XVI secolo, quello che per la Spagna è il «secolo
d'oro» con le diverse manifestazioni di una rinnovata civiltà. È per
la Spagna non solo il periodo del risveglio umanistico del Cervan­
tes, delle opere di El Greco, ma anche di un forte risveglio spiri­
tuale: Teresa d'Avila, Giovanni della Croce, Ignazio di Loyola.
Sul piano politico poi la Spagna di Carlo V con le avvenute
conquiste coloniali si trasforma in quell'imponente Impero «su cui
non tramonta mai il sole». Inizia una espansione commerciale da
e verso le <<nuove terre» che apre la fase del mercantilismo che di­
segnerà un diverso modello economico.
Sul piano culturale, l'Università di Salamanca in cui opera De
Vitoria rappresenta un riferimento anche al di fuori dei confini ibe­
rici esercitando un'autorità che diviene spesso egemonia culturale.
Non va infatti dimenticato che è resa celebre anche per l'irradizio­
ne del pensiero e della sistematica tomista rilanciati con il Com­
mento alla Summa Theologiae di Tommaso de Vio e dalla ripresa
dell'intera opera di san Tommaso 6. Ed è proprio De Vitoria ad
4 Cf. sul tema, nel profilo che interessa il presente studio, L. Perena, La Escuela
EspolÌola de la Pal, in "Cuadernos Hispanoamericanos», 339 (1978), pp.482-491.
, Frate domenicano spagnolo, De Vitoria nacque a Burgos nel 1492 (secondo al­
cuni nel 1484) e dopo i primi studi in Spagna approfondi la sua formazione filosofica
e teologica a Parigi dove iniziò il suo insegnamento alla Sorbona. Nel 1526 assunse
la cattedra di "Prima de teologia» nella Università di Salamanca. Mori nel 1546 dopo
aver dato vita ad una Scuola il cui metodo e pensiero si diffusero anche in altre Università.
6 Il Commento alla Summa dci card. Cayetano è redatto tra il 1507 e il 1522.
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orientare verso tale impostazione, appresa negli anni della forma­
zione a Parigi, il suo insegnamento a Salamanca.
Anche la riflessione giuridica che De Vitoria inizia prendendo
spunto dal diritto romano classico è guidata dall'impostazione to­
mista con un diretto recupero della tradizione aristotelica, quando
si riporta all'intelligenza umana, ma di ogni uomo - anche a quel­
la degli «infedeli», quindi - la fonte naturale del diritto e quando
procede all' individuazione delle effettive regole di giustizia.
Relativamente al diritto internazionale va tenuto presente che
in quel periodo esso è identificato con il diritto delle genti (jus gen­
tium) di radice romanistica, ma questa stessa identificazione gra­
dualmente di fronte alle nuove realtà, determinate dall' espansione
coloniale, si trasforma. E la riflessione dell'intera Scuola di Sala­
manca e di De Vitoria profila proprio questi mutamenti, proponendo
le basi di un «diritto coloniale» 7 nell'affermare la sovranità e la
proprietà degli «infedeli» come derivante dal diritto naturale, indi­
pendentemente dall'appartenenza alla cristianità. È chiara in que­
sto aspetto la polemica, dai toni spesso aspri, con la ripresa dell' a­
gostinismo politico presente nelle opere di Enrico da Susa, l'Ostien­
se, che riporta al vincolo della cristianità acquisito mediante il bat­
tesimo ogni prerogativa giuridica deIIe popolazioni del <<DUOVO
mondo».
Quella di Salamanca è quindi una riflessione che nella fase ini­
ziale ha un taglio eminentemente teologico ma che si riversa diret­
tamente sul piano giuridico nel formulare i principi di un diritto
coloniale non sovrapposto, quel diritto «da cui sfortunatamente l'Eu­
ropa si è distaccata» 8.
Ma quello che preoccupa maggiormente la riflessione del De
Vitoria è la ricerca di principi superiori alle prerogative sovrane
7 L'espressione potrebbe apparire impropria, ma con essa si vuole indicare il
complesso di norme da applicare ai rapporti tra le potenze europee - come la Spa­
gna - e le popolazioni delle regioni del «nuovo mondo». Cf. in tal senso, C.G.F.
Castanon, Les problèmes coloniaux et les cwssiques espagnoles du droif des gens, in
«Recueil des Cours», 1954, II, in particolare, le pp. 585 SS.
8 M. VilIey, La formation de la pensée ;uridique moderne, Paris 1975; trad. it.,
La formazione del pensiero giuridico moderno, Milano 1986, p. 300. Un esempio è
dato dalle Leggi di Burgos del 1512 e dalle Leyes Nuevas, redatte tra il 1542 e il
1544, emanate da Carlo V, ma mai integralmente applicate.
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avanzate dagli Stati per regolamentarne 1'attività e cosi tutelare gli
interessi di ogni Popolo.
Nel periodo storico precedente, la mancanza di una struttura
sovraordinata in grado di definire norme vincolanti tutte le singole
Nazioni era supplita dall'ordinamento canonico, anzi specificamen­
te da quella capacità di intervento nelle realtà politiche propria del
Romano Pontefice, giustificata dalla struttura della Respublica Chri­
stiana che, si è visto, aveva nel Papato uno dei suo due poteri. Un
diretto intervento che trova la sua ultima realizzazione nella Bolla
Inter Coetera (1493) di Papa Alessandro VI che però può conside­
rarsi l'ultimo intervento con effetti politici del Papato e la prima
forma di arbitrato in senso moderno svolto dal Romano Pontefice.
La Bolla stabilisce infatti una soluzione concreta della controversia
tra Spagna e Portogallo relativa al dominio sulle <<nuove terre», ma
sfocerà, quanto ad una regolamentazione giuridica del problema, nel
Trattato di Tordesillas, concluso tra i due Stati iberici nel 1494.
La venuta meno di questa funzione del Papato e del ruolo del
diritto canonico nel periodo storico che segue la Riforma, determi­
na evidenti problemi proprio all'ordinata convivenza di soggetti ri­
tenentisi ormai non sottoposti ad alcun potere superiore.
Infatti il recupero della tradizione aristotelica attraverso san
Tommaso porta De Vitoria a ritenere necessaria l'esistenza di una
pluralità di Stati, che non hanno la necessaria obbligazione di sot­
tomettersi ad una monarchia universale o ad una forma di potere
sovraordinato. Una posizione che si spinge fino al ribaltamento della
concezione tradizionale dell'autorità che, secondo De Vitoria, pur
venendo da Dio passa attraverso l'intermediazione del popolo per
potersi effettivamente realizzare. In ciò, manifestando un evidente
contrasto con la visione di Lutero e di Calvino sul medesimo am­
bito che poi, quanto al diritto internazionale, sarà presente nella
concezione di Grozio 9.
Ma non è assente dal punto di partenza del pensiero di De
Vitoria, oltre alla riflessione tomista, la visione stoica IO ripresa dalle
correnti umanistiche e che puntava sulla visione dell'unica «città»
9
lO
Cf. ibid., pp. 513-516. Cf. ibid., p. 300. 46
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in cui sono uniti tutti gli uomini attraverso il diritto che è inteso
come sinonimo di giustizia.
Questi tra i principali motivi che impegnano tutta la Scolasti­
ca spagnola, da De Vitoria in poi, nell'elaborazione di una dottri­
na su cui fondare un vero diritto internazionale in senso moderno
e cioè rispondente ai bisogni del momento.
La visione del Maestro di Salamanca punta a delineare una con­
cettualizzazione basata sui principi del diritto naturale a cui affian­
ca un diritto umano (jus humanum) quale dettato dalla ragione na­
turale da cui desumere regole comportamentali per gli Stati da ap­
plicare nei loro rapporti. Ed ecco, ad esempio, il principio del rico­
noscimento reciproco, della possibilità di circolazione, di navi­
gazione 11.
Ma De Vitoria ritiene fondamentale - ed è qui il passaggio
essenziale - per regolamentare i rapporti nella Comunità interna­
zionale inserire alla base di qualunque norma o sistema normativo
il principio della buona fede, che trova, ad esempio, ampia applica­
zione quanto al rispetto degli obblighi derivanti dai trattati inter­
nazionali (secondo il principio pacta sunt seroanda) per i soggetti che
li hanno sottoscritti 12.
Ritorna spesso in questa visione un altro aspetto importante
che rende «pragmatica» la teorizzazione del diritto internazionale
da parte di De Vitoria. È il tentativo di redigere un sistema di re­
gole che in modo permanente possano governare i rapporti inter­
statuali, pur derivando la loro elaborazione essenzialmente dai prin­
cipi del diritto naturale. Da questo sistema infatti egli ricava quel­
la autorità necessaria per il diritto internazionale perché possa es­
sere efficace: la mancanza di una legislazione e parallelo potere so­
vranazionale lo renderebbe inefficace.
Che in De Vitoria vi sia un formale attaccamento alla visione
pragmatica è altresi evidente quando ritiene di fondare il diritto
internazionale non direttamente nel diritto naturale, ma nei princi­
pi del diritto delle genti (jus gentium). E di questo specifico capitoJ J Proprio il tema delle libertà dei mari impegnerà la riflessione di Grazio nel
suo Mare liberum, estratto dal pili ampio trattato De ;ure predae del 1604.
12 Cf. Commentarios a la 5ecunda 5ecundae (edizione: Madrid 1932), q. lO, a.
8, n. 13, p. 196; e Relectio de potestate civili (edizione: Madrid 1953), n. 21, p. 191.
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lo della costruzione giuridica del diritto romano, relativo al tratta­
mento degli «stranieri» - collocato tra il diritto naturale e il dirit­
to dei «cittadini romani» (jus civile), De Vitoria modifica la defini­
zione: non piu «ciò che la ragione naturale ha stabilito tra tutti
gli uomini» (quod naturalis ratio inter omnes homines constituit) ben­
si «ciò che la ragione naturale ha stabilito tra tutte le nazioni» (in­
ter omnes gentes consituit) 13: che significa in sostanza la modifica
della sfera soggettiva di applicazione del diritto delle genti. La pro­
spettiva delle genti, delle Nazioni, dei Popoli si sostituisce alla vi­
sione esclusivamente limitata ad un approccio individuale propria
della tradizione del diritto romano.
Il diritto delle genti, che successivamente sarà assimilato al co­
siddetto diritto internazionale classico, suppone l'esistenza di rego­
le universalmente accettate da tutti gli uomini, ma non può essere
secondo De Vitoria assimilato al diritto naturale quanto piuttosto
alla comune ragione: di qui l'obiettivo essenziale. di dare alla nor­
mativa internazionale una caratterizzazione sistematica ed esplicita.
III. UNA VISIONE UNITARIA DELL'EUROPA
Un fattore di estrema rilevanza che influisce sulla riflessione
e produzione di De Vitoria è la situazione politica dell'Europa del
XVI secolo.
Ci sono infatti almeno due elementi che pongono in profonda
crisi 1'equilibrio del Continente. Anzitutto la divisione della cristia­
nità scaturita dalla crisi della Riforma protestante. Quindi l'inva­
sione dei Turchi nell'Europa orientale, che fa temere una presenza
islamica nel resto d'Europa, timore mitigato solo dopo la fine del­
l'assedio di Vienna nel 1529.
È soprattutto il pericolo islamico a favorire il ricompattarsi del­
l'Europa, pur nella profondità delle divisioni che la attraversano:
nel Congresso di Bologna (1530) che vede tra l'altro la presenza
non solo dei Paesi cattolici ma anche di quelli protestanti, si ritor­
na a teorizzare una Respublica Christiana sottoposta all' autorità cen­
13
Relectio de indis (edizione: «Corpus Hispanorum de Pace», voI. V), III, n. 2.
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Idea del totus orbis in Francisco De Vitoria
trale del Papato e dell'Impero in funzione antiturca. E di questa
prospettiva De Vitoria parla in rapporto alle possibili soluzioni dei
conflitti che pervadono l'Europa - il Trattato di Cambrai (1529)
che segna la fine delle ostilità tra Spagna e Francia ne è l'esempio
piu evidente - anche in riferimento alla discordia che regnava fra
gli stessi Stati cristiani 14.
Ancora una volta egli ritiene la cristianità come una comunità
di Popoli con un suo diritto elaborato attraverso l'esperienza di vari
secoli di convivenza comune. Tra questi principi figura anche il ri­
spetto dei trattati internazionali dopo che sono stati legittamente
conclusi, in aperta polemica con Francesco I di Francia che aveva
concluso con l'Impero Ottomano di Solimano il Magnifico uno spe­
cifico trattato di pace (1535) che rendeva di fatto inoperanti i con­
tentuti di quello di Cambrai e mettendo in discussione le stesse
conclusioni del Congresso di Bologna.
Da un lato vi è la riconosciuta affermazione delle singole indi­
pendenze dei diversi Stati europei, svincolati da un potere impe­
riale superiore. Dall' altro di fronte ad una prospettiva di subordi­
nazione o anche alla proposta di coordinamento tra gli Stati euro­
pei indipendenti, De Vitoria propone la costituzione di una comu­
nità tra questi Stati, organicamente strutturata e informata dalla
ricerca di un bene comune superiore IS.
Questa visione del bene comune si trasforma in un interesse
generale che sacrifica gli interessi dei singoli o particolari, inclu­
dendo tra questi anche quelli di un vincitore in un conflitto 16. Per­
tanto la prospettiva dell'Europa unita è da realizzarsi nel quadro
di un piu vasto processo di pacificazione universale, coinvolgente
il mondo intero. Anzi, è proprio questa considerazione di un'Eu­
rQpa parte del mondo intero a far teorizzare che il bene comune
del mondo non può essere identificato con gli interessi collettivi
14 Cf. Cartas de Fray F. de Vitoria al Condestable de Castilla (edizione: «Corpus
Hispanorum de Pace», voI. VI, pp. 289·296).
l' Cf. Relectio de potestate civili. n. 13. p. 168; e Commentarios de ;ustitia (edi­
zione: Madrid 1932), q. 68, a. 8, n. 7.
16 Cf. Relcetio de jure belli (edizione: "Corpus Hispanorum de Pace», voI. VI).
IV, I, n. 4.
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49
dell'Europa, anche se questi fossero ritenuti importanti per il pro­
gresso dell'intera umanità.
Non va dimenticato che gran parte di questa trattazione dei
temi europei parte dal dato obiettivo della risposta armata che i
Paesi europei preparavano contro l'invasione islamica. De Vitoria
afferma che il diritto di guerra e il suo effettivo esercizio da parte
delle potenze cristiane doveva ritenersi subordinato all'unità del­
l'Europa e pertanto sottomettersi ad un processo di umanizzazio­
ne 17. Anzi, tenendo ben presente che un'eventuale azione colletti­
va militare dell'Europa doveva evitare di causare maggiori danni
di quelli provocati dall'ingiustizia commessa o dall'ingiuria ricevuta.
IV. LA CONCEZIONE DELLA «PACE DINAMICA»
E IL RIPUDIO DELLA GUERRA
Un tratto fondamentale nell'opera del Maestro di Salamanca
riguarda il tema della pace 18, soprattutto in connessione al proble­
ma della guerra e alla sua utilizzazione come mezzo di ordinaria
soluzione dei conflitti e delle controversie tra gli Stati. Come pure
della guerra vista in rapporto alla difesa della propria identità da
parte degli Stati cristiani contro i Turchi.
È interessante notare, che come criterio generale di valutazio­
ne dell'opera di De Vitoria si parla in primo luogo di pace e solo
come ultima ratio della guerra. Passa cioè l'idea che il quadro ordi­
nario in cui si realizzano le relazioni fra i Popoli sia espresso da
una situazione di pace, come situazione che giuridicamente gover­
na la vita dei rapporti fra gli Stati.
La guerra si considera come «doloroso momento» che è solo
un tentativo di realizzare in maniera coercitiva la giustizia nel mon­
do, non è certamente la regola immutabile. Inoltre un tale ricorso
doveva avvenire solo quando si constatasse impossibile un positivo
risultato di qualunque altro mezzo per ristabilire l'ordine dei rap­
porti internazionali. In questo si ritrova una speciale connotazione
17 Cf. Quaestio de bello (edizione: "Corpus Hispanorun de Pace», voI. VIl, a.
1, nn. 7-17.
18 Un tema che è possibile ritrovare in quasi tutte le Relectio di De Vitoria.
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Idea del totus orbis in Francisco De Vitoria
di modernità, se si pensa al principio del rifiuto della guerra come
mezzo per la soluzione delle controversie tra Stati contemplato dal
diritto internazionale contemporaneo 19, Già la riflessione di De Vi­
toria auspicava infatti il ricorso a mezzi coercitivi - all'uso della
«forza», cioè - in grado di indurre chi violava le norme dell' ordi­
nata convivenza fra le Nazioni a ristabilire la situazione preceden­
te: il ricorso al blocco navale, alla cessazione di relazioni diploma­
tiche e commerciali, alla mancata vendita di strumenti bellici 20,
La norma suprema è «fare la pace», aspirazione che deve esse­
re in continuo «divenire» - di qui il concetto di «pace dinamica»
- fino ad essere considerata un diritto fondamentale dell' intera
umanità intesa quale comunità naturale dei Popoli di cui fa parte
anche ogni Stato.
De Vitoria contesta anche il principio secondo cui uno Stato
che in una controversia abbia palesemente dalla sua la ragione, possa
intraprendere una guerra ritenendola giusta e giustificata: tale sa­
rebbe anche la posizione «dei Turchi e dei Saraceni che muovendo
una guerra giusta contro i cristiani possano pensare che con essa
fanno un servizio a Dio» 21.
Addirittura si giunge a prevedere nel pensiero vitoriano una
serie di obblighi che ricadono sui belligeranti quanto a quegli aspetti
che con termini moderni definiremmo di umanizzazione dei con­
flitti armati, auspicando tutta una serie di limitazioni: protezione
dei civili, dei fanciulli, delle donne 22, quelle stesse che oggi costi­
tuiscono le basi del cosiddetto diritto internazionale umanitario.
La prospettiva ultima di De Vitoria è la realizzazione di vin­
coli profondi tra gli Stati, ma anche tra i Popoli che degli Stati
sono l'elemento principale, cosi da creare una vera Comunità in­
19 Si veda in particolare la Carta delle Nazioni Unite, che all' art. 1, tra i fini
dell'Organizzazione, include quello di «conseguire con mezzi pacifici, ed in confor­
mità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la so·
luzione delle controversie o delle situazioni che potrebbero portare ad una violazio­
ne della pacc».
20 Cf. L. Pereiia, La escuela de F. De Vitona en la promocion de la paz, in
AA.VV. I diritti del/'uomo e la pace nel pensiero di Francisco De Vitoria e Bartolomé
de Las Casas, Milano 1988, p. 89.
21 Relecfio de jure belli, IV, I, n. 6.
22 Ibid., IV, II, nn. 1-19.
Idea del totus D,bis in Francisco De Vitoria
51
ternazionale, con il carattere dell'universalità. Una Comunità in gra­
do di acquistare una sua forza per obbligare ogni suo membro a
prendere decisioni conformi agli obiettivi della libertà e dell'ugua­
glianza tra i Popoli. Solo cOSI il ricorso alle armi perde la sua legit­
timazione giuridica, poiché in una Comunità di tutti gli Stati ­
in cui tutti accettano i medesimi presupposti - non vi è possibili­
tà per alcuno di essi di combattere una guerra giusta 23.
Si rende pertanto necessario il riferimento ad una morale in­
ternazionale come esigenza basilare, a cui si affianca una visione
della persona come suddito dello Stato ma anche come membro della
comunità mondiale.
V. LA CONCEZIONE UNIVERSAUSTICA:
IL TOTUS ORBIS
Indubbiamente il culmine del pensiero e dell'opera di De Vi­
toria può identificarsi con l'idea della concezione universalistica rias­
sunta nell'espressione del Totus Orbis.
Alla base di tale concezione, che emerge nel considerare sia
gli effetti della guerra nelle relazioni tra i Popoli, sia la situazione
dei territori coloniali, viene posto un diretto riferimento alla visio­
ne aristotelico-tomista della società naturale di cui tutti i Popoli sono
parte costitutiva. Un indicativo che è indubbiamente in alternativa
alle concezioni del suo tempo.
La società naturale del Totus Orbis ha, secondo De Vitoria,
il fulcro nella coscienza morale dei suoi consociati - ogni Nazione
appunto - che deve essere alla base delle relazioni tra i Popoli
e quindi come risultante trasferita anche nei rapporti interstatuali.
Conseguentemente il riferimento è alla tutela diretta della persona
umana sulla base delle concezioni del diritto naturale che si confi­
gura come fonte primaria dell'ordine politico internazionale.
Appare significativo nella lettura dell' opera di De Vitoria che
l'idea del Totus Orbis, di questa unità mondiale, non è formulata
esclusivamente sulla base di presupposti di ordine teorico. Infatti
23
Cf. Commentarios de ;ustitia, q. 53, a. 3, n. 3, p. 15.
52
Idea del totus orbis in Francisco De Vitoria
ne parla quando analizza nella Relectio de indis il problema della
scoperta dei territori delle Americhe, teorizzando la solidarietà ­
una delle espressioni della società mondiale - degli spagnoli verso
gli indios americani da sostituire alle degeneranti manifestazioni della
colonizzazione 24.
Quali i presupposti da cui parte per giungere a tali conclusioni?
Anzitutto la considerazione della libertà e dignità di ogni per­
sona che si realizza attraverso il riconoscimento di precisi diritti
e l'esercizio di determinati doveri.
Poi l'uguaglianza giuridica di ogni persona e razza, con il de­
finitivo rifiuto di considerare «infedeli» coloro che vivevano fuori
della cristianità per poterli ritenere incapaci di una soggettività giu­
ridica e quindi dei basilari diritti di proprietà o di sovranità. Se­
condo il diritto naturale, De Vi tori a sostiene che <<né il peccato
di essere infedeli, né altri peccati mortali impediscono che i bar­
bari (gli indios) siano veri signori, tanto nell' ambito del pubblico
che del privato» 25. Il fatto, per gli indios, di non essere cristiani,
non li priva di un effettivo dominio sulle loro proprietà e di eser­
citare la sovranità sul proprio territorio: questo sulla base del di­
ritto naturale su cui De Vitoria fonda la legittimità politica di un
governo per gli extra-europei, traducendo cOSI quanto già Papa Pao­
lo II con l'enciclica Sublimi Deus (1537) aveva affermato circa la
libertà di dominio e di governo delle popolazioni che venivano
«scoperte».
La riflessione di De Vitoria in sostanza inizia a seguito della
presa di coscienza che in parte del mondo culturale europeo, e spa­
gnolo in particolare, si verifica sulla situazione delle terre delle Ame­
riche e soprattutto delle popolazioni ivi residenti. Il problema è an­
zitutto quello della sovranità su di esse esercitata dalla Spagna e
sulla nuova fisionomia che l'intera Europa si dava sul piano politi­
co a seguito delle scoperte d'oltreoceano.
24 La critica àl colonialismo nascente da parte di De Vitoria è in diretto con­
trasto con il governo della Spagna e anche con i giuristi della Corte che giustifica­
vano nelle loro opere la politica di dominio. Contrasti e polemiche che saranno por­
tati avanti dopo la scomparsa del Maestro dalla Scuola di Salamanca.
H Relectio de indis, I, n. 19; con il diretto richiamo al Commento alla 5umma
dci Cayetano, II-Il, q. 66, a. 8.
Idea del totus orbis in Francisco De Vitoria
53
De Vitoria inizia col contestare la supremazia dell'Imperato­
re, riferendosi indirettamente all'operato di Carlo V che gran par­
te della pubblicistica di quel periodo considera «signore del mondo
intero» 26.
Una siffatta posizione costituiva il fondamento della giustifica­
zione della unità della Respub/ica Cbristiana, a cui De Vitoria, nella
consapevolezza della maturazione dell'Europa e di riflesso del mon­
do intero, contrappone la divisione del mondo in una pluralità di Na­
zioni. Pertanto 1'assoggettamento delle nuove terre al regime impe­
riale era considerato un titolo illegittimo di acquisto della sovranità 27.
Alla mancata legittimità della supremazia imperiale quale tito­
lo di acquisto di sovranità, si affianca poi la critica all'acquisto sul­
la base del dominio universale proprio del Romano Pontefice. Se­
condo De Vitoria, se in una fase storica che vedeva la presenza
di soli Stati cristiani veniva accettato l'assioma secondo cui ogni
potestà derivava da quella del Papa, questo non poteva piu consi­
derarsi valido nelle mutate circostanze 28.
La stessa Bolla Inter Coetera restava valida, secondo De Vito­
ria, come solo mandato «missionario» affidato a Spagna e Porto­
gallo, in ordine cioè alla propagazione della fede, escludendo ogni
valenza di ordine politico 29.
Anche la scoperta e la conseguente occupazione sono ritenute
da De Vitoria come titoli illegittimi della sovranità. E ciò è abba­
stanza singolare se si tiene conto che tutto lo strutturarsi del dirit­
to internazionale classico in epoche successive - riprendendo la
tradizione romanistica sui modi di acquisto della proprietà - ha
ritenuto la scoperta di quelle che erano considerate terre di nessu­
no (terrae nullius) come uno dei modi con cui uno Stato poteva ac­
quisire sovranità su un territorio, facendo poi seguire 1'occupazio­
ne con la connessa intenzione di esercitare una vera potestà di go­
verno (animus possidendi).
Pertanto anche la «scoperta» fatta dalla Spagna del nuovo mon­
do non è considerata legittima, perché prima dell' arrivo degli spa­
M.
Cf.
28 Cf.
29 Cf.
26
27
de U1zurum, Tractatus regiminis mundi, 1525, parte II, q. 72. Re/ecfio de indis, II, nn. 1·2. Re/ectio de potestate Ecclesiae, III, n. 2. Re/ec/io de indis, I, q.3, n. 9. Idea del totus orbis in Francisco De Vitoria
54
gnoU gli indios esercitavano un effettivo dominio sui propri beni
e una vera potestà di governo sui loro territori 30. Anzi, De Vito­
ria oppone un paradosso sostenendo che il «diritto di scoperta» po­
teva essere esercitato anche dagli indios, qualora avessero «scoper­
to la Spagna» 31.
VI. DE VITORIA E LE RELAZIONI INTERNAZIONALI
CONTEMPORANEE
L'opera di Francisco De Vitoria e in particolare le sue intui­
zioni sui possibili modi per favorire l'ordinata convivenza a livello
mondiale, costituisce oggi un esempio non solo di riflessione stori­
ca sulle origini del diritto internazionale e della stessa Comunità
internazionale, ma anche un diretto recupero di una visione del di­
ritto internazionale quanto mai attuale e che proprio per essere fis­
sata su solidi principi è in grado di conservare tale attualità.
Troppo spesso la semplicistica separazione tra diritto e conte­
nuti morali è stata posta alla base delle relazioni tra i Popoli, tra­
sformando il diritto internazionale in un semplice dato tecnico, quasi
distaccato da quei principi che gradualmente si sono radicati nella
coscienza dell'umanità.
E l'opera di De Vitoria è l'esempio di come una mancata se­
parazione in questo senso possa costituire la base di una concezio­
ne universalistica di nuovo stile: !'idea di un mondo unito in cui
ogni Popolo, e quindi ogni singola persona, trovi la sua libertà, la
sua dignità, i suoi diritti.
La soluzione pacifica delle controversie internazionali che co­
stituisce uno dei pilastri del diritto internazionale nel nostro tem­
po e che si è visto sintetizzato dalla Carta delle Nazioni Unite, può
essere giustificata solo se si considera maturata e vigente una co­
scienza dell'umanità che ha cancellato dal suo codice genetico il ri­
corso alla guerra come mezzo per il ristabilimento di un ordine vio­
lato all'interno della Comunità internazionale.
30
31
Cf. ibid., II, n. 7. Ibid. Idea del totus orbis in Francisco De Vitoria
55
Alla luce della dottrina di De Vi tori a e sulla base dell'espe­
rienza, non solo della nostra storia recente ma anche del nostro quo­
tidiano, lo stesso termine «forza» - come mezzo da impiegare, se
pur come estrema ratia, per risolvere situazioni confliggenti a livel­
lo internazionale - deve essere reinterpretato in sintonia ad un'e­
voluzione della coscienza dell'umanità che non ritiene piu assimila­
bile detto termine all'uso delle armi.
Si tratta di modificare punti di partenza e parametri di realiz­
zazione nella Comunità internazionale in ogni campo: dai rapporti
politico-diplomatici a quelli commerciali e degli scambi.
Diventa quindi essenziale sempre pitI favorire non solo la co­
noscenza di astratti principi di ordine tecnico entro cui circoscri­
vere la portata del diritto internazionale, ma anche l'effettivo rico­
noscimento che esso è espressione delle esigenze pitI profonde di
pace che sono proprie dell'umanità, cosi come Francisco De Vito­
ria già nel XVI secolo insegnava.
VINCENZO BUONOMO
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