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Vittorio Boerio
NOVE PARALLELE
S’INCONTRANO
ALL’INFINITO
Riflessioni di uno scettico appassionato
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Introduzione
7
PARTE PRIMA
17
1. LA VIA DEL MARE
1.1 Realtà
1.2 Modello
1.3 Legame tra pensiero ed emozioni
19
20
24
33
2. LA MEDITAZIONE
37
3. L’UOMO
57
4. NOVE PARALLELE
4.1 Rabbia
4.2 Orgoglio
4.3 Vanità
4.4 Invidia
4.5 Avarizia
4.6 Paura
4.7 Gola
4.8 Lussuria
4.9 Accidia
4.10 Carattere, inconscio ed intuizione
75
80
88
98
104
110
115
121
129
135
140
PARTE SECONDA
145
5. ESPERIENZE IN AMBITO ETICO
5.1 Libertà
5.2 Amore
5.3 Falsi valori
147
150
153
159
6. LA VIA DELLA CONOSCENZA
6.1 Razionalità
6.2 Intuizione
6.3 Emotività
162
165
172
176
7. L’UNIVERSO
183
8. IL FINE DELL’UOMO
194
PARTE TERZA
205
9. SAGGEZZA DELLE RELIGIONI
9.1 Sei grandi religioni
9.1.1 Religione dei Veda ed Induismo
9.1.2 Buddhismo
9.1.3 Taoismo
9.1.4 Giudaismo (religione israelitica e religione giudaica)
9.1.5 Cristianesimo
9.1.6 Islam
9.2 Convergenze e criticità
207
209
209
214
217
220
225
233
237
10. LA SAGGEZZA DEI MITI
10.1 Origine del mondo, degli dèi e degli uomini
10.2 Significato della vita eroica
10.3 Ruolo dell’uomo
10.4 Le conseguenze di una vita che non volge alla realizzazione
10.5 Perché in un universo perfetto esiste il male
10.6 Le intuizioni del mito
245
249
255
257
259
260
262
11. L’UTILITÀ DEI PARADOSSI
267
12. IL PARADOSSO ECONOMICO
12.1 Valore delle merci e concetto di moneta
12.2 Origine della ricchezza
12.3 Le crisi
12.4 Implicazioni sociali
12.5 Prospettive di sviluppo
275
285
288
291
294
298
IL FILO ROSSO
304
Appendice 1: L’ORGANIZZAZIONE
315
BIBLIOGRAFIA SAGGI
318
BIBLIOGRAFIA POESIE
327
INDICE ANALITICO
329
Introduzione
Nel 2004 si stava affermando un nuovo strumento di conoscenza:
Wikipedia. L’enciclopedia virtuale, concepita tre anni prima da Jimmy
Wales e Larry Sanger, cominciava ad essere arricchita con testi scritti in
diverse lingue e se ne parlava come se si trattasse di una moderna summa
costruita grazie al libero contributo di una moltitudine di persone qualunque1. Sebbene mi rendessi conto che rappresentasse una svolta epocale,
il mio atteggiamento non riusciva ad essere totalmente fiducioso, forse
perché facevo fatica a credere nel rigore delle collaborazioni volontarie.
Esploravo le definizioni più disparate per mettere alla prova il sistema e,
digitando la parola “filosofia”, apparvero sul mio schermo queste parole:
Chi pensa sia necessario filosofare, deve filosofare e chi pensa che non
si debba filosofare, deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui,
dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo
chiacchiere e vaniloqui2.
Durante i giorni che seguirono cercai di trovare traccia di quest’esortazione nei miei libri ma la ricerca si rivelò sterile. Non riuscii a trovare
l’opera dalla quale era tratta. Tuttavia, quella frase attribuita ad Aristotele
continuò ad echeggiare nella mia mente, suggerendomi la via che avrebbe potuto placare l’inquietudine esistenziale che stavo vivendo3. Infatti,
1 Nel 2004 l’enciclopedia virtuale Wikipedia subì una crescita esponenziale e la sua
popolarità raggiunse anche l’Italia, dove si discusse (e ancora si discute) molto circa la
sua effettiva affidabilità che risulta diseguale a seconda delle discipline.
2 Aristotele, Protreptico. Citato in: http://it.wikipedia.org/wiki/Filosofia. Accesso
dell’8-10-2012.
3 Il Protreptico di Aristotele è un’opera che inizialmente era stata perduta ma che
venne ricostruita in seguito; il testo di riferimento è quello di Ingemar Düring, redatto
7
capii che avrei potuto rivolgermi alla filosofia, distogliendomi un po’
dall’approccio tecnico-scientifico che fino ad allora aveva rappresentato
il mio unico riferimento intellettuale.
A quell’epoca avevo trentotto anni e la mia attività principale consisteva nello studiare la geologia di ampi settori dell’Appennino con l’obiettivo di contribuire alla progettazione di un tratto autostradale compreso
tra Bologna e Firenze che è conosciuto come Variante di Valico. Per far
fronte a questo impegno avevo adottato un punto di vista differente rispetto a quello usuale, avvalendomi di una prospettiva che mi consentiva
di integrare l’approccio di dettaglio tipico dei tecnici con la percezione
globale dei fenomeni tipica dei filosofi; infatti, sebbene rispondesse al
vero che ogni puntiglioso approfondimento conduceva ad ottimizzazioni locali, era altrettanto vero che il perfezionismo aveva rischiato troppe
volte di farmi perdere di vista il quadro d’insieme ed aveva generato un
gran numero di effetti indesiderati e concatenati fra loro4. A ben vedere,
per il medesimo motivo stavo rischiando di perdere di vista anche il disegno complessivo della mia vita, perché davo grande importanza ad una
miriade di dettagli, per lo più di scarso interesse, e non mi accorgevo che
mi stava franando il terreno sotto i piedi.
Fu così che mi sentii attratto da ciò che gli esseri umani sperimentano
più frequentemente, ovvero l’impulso di realizzare se stessi e la necessità
di comprendere il significato dell’esistenza, del sommo bene e della beatitudine.
Dire che non è ancora il tempo o che è passato il tempo per la filosofia
equivale a dire che non è ancora il tempo o è già passato il tempo di
essere felici. […] È vana la parola di quel filosofo dalla quale non viene
curata alcuna passione umana. Così come non c’è nessuna necessità di
un’arte medica che non liberi il corpo dai mali, allo stesso modo non
serve la filosofia che non libera l’anima dai suoi turbamenti5.
negli anni Sessanta sulla base di un’omonima opera di Giamblico, dell’Hortensius di
Cicerone e di alcune citazioni contenute negli scritti di Zenone di Cizio e di Alessandro
di Afrodisia. Quanto reperito in Wikipedia è stato presumibilmente tratto dai frammenti
6 e 110, citati in: Berti Enrico, Aristotele – Protreptico, UTET – De Agostini, Novara
2008, p. 7; p. 65.
4 Un’autostrada deve essere concepita tenendo conto anche delle ripercussioni ad
ampia scala delle scelte effettuate; ad esempio non avrebbe senso ottimizzare la giacitura del tracciato in un punto, se tale variazione implicasse il depauperamento di tutte
le falde acquifere della zona.
5 Epicuro, La felicità, tr. it. Antonangelo Liori, Newton Compton, Roma 2011, p.
45; p. 91.
8
Questo pensiero di Epicuro (341-271/270 a.C.) esprime con chiarezza
gli obiettivi della filosofia, tuttavia notai che il pensiero moderno non approfondisce più il concetto di felicità; probabilmente perché oggigiorno
la maggior parte delle persone è preda di un inganno, in ragione del quale
il possesso di beni materiali ed il potere economico vengono considerati
come la panacea di tutti i mali; così la ricerca tende a perdere di vista il
suo scopo principale, concentrandosi su questioni appartenenti perlopiù
alla sfera della prassi o ad aspetti teoretici molto tecnici6.
Volsi idealmente lo sguardo ai primordi della cultura occidentale
quando lessi che nel VII secolo a.C. il presocratico Talete di Mileto trascese l’impostazione mitologica ed approdò ad un pensiero razionale che
riguardava l’origine della realtà. Successivamente, l’interesse dei filosofi
si spostò sul senso della vita e sulle potenzialità insite nella natura umana; così Socrate (470/469-399 a.C.) e Platone (427-347 a.C.) arrivarono
a sostenere che il bene si accompagna sempre all’esercizio rigoroso della
ragione e che la contemplazione delle essenze ideali genera equilibrio tra
le varie parti dell’anima7. La scuola dei cosiddetti Epicurei (IV-II secolo
a.C.) fece corrispondere la realizzazione dell’uomo con l’assenza dei turbamenti, ricercando nel concetto e nello stato di atarassia la felicità. Essa
poteva essere raggiunta soltanto attraverso un ragionamento che comportava il superamento dei desideri e delle paure. Nell’ottica epicurea il bene
coincideva con una particolare forma di piacere, descritta efficacemente
dallo stesso Epicuro nella Lettera a Meneceo, anche nota come Lettera
sulla felicità:
Quando dunque diciamo che il piacere è un bene, non alludiamo ai
piaceri dei dissoluti, che consistono in grandi abbuffate, come credono
alcuni che ignorano o interpretano male il nostro insegnamento; ma
alludiamo all’assenza di dolore nel corpo e all’assenza di turbamento
nell’anima. Non dunque le mangiate, e le feste ininterrotte, […] ma al
contrario il ragionamento lucido che scruta a fondo le cause di ogni
scelta e di ogni rifiuto, e che scaccia le opinioni false, causa dei più
grandi turbamenti dell’anima8.
6 La felicità a cui si riferiva tutta la morale antica corrisponde al cosiddetto eudemonismo, cioè alla ricerca dello stato d’animo di chi è intimamente beato (indicazioni
tratte dall’Enciclopedia di Filosofia, Garzanti, Milano 2004, p. 353).
7 Il pensiero di Platone è contenuto in un gran numero di dialoghi, in molti dei quali
il protagonista è il maestro Socrate che di suo non scrisse nulla. Si tratta dei cosiddetti
Dialoghi platonici che sono tra le basi fondamentali del pensiero occidentale.
8 Epicuro, op. cit., p. 51.
9
Un’altra scuola sviluppatasi in un periodo successivo, quella degli
Stoici, puntualizzò la filosofia epicurea affermando che la felicità consiste
nella capacità di distinguere razionalmente ciò che dipende dal singolo
individuo, rispetto a ciò che invece ne è indipendente. In tale ottica, il benessere potrebbe essere raggiunto attraverso l’assunzione di un punto di
vista razionale che permetterebbe agli uomini di “accontentarsi” laddove
fosse necessario inchinarsi al destino e di “impegnarsi” laddove esistesse
la possibilità di ottenere un risultato dalle proprie azioni.
Dopo aver considerato un percorso filosofico durato oltre duemila e
cinquecento anni realizzai che esiste un’importante corrente che trascende impostazioni e scuole, una linea di pensiero secondo la quale la ricerca personale può essere considerata strumento privilegiato per elevare
la propria coscienza nella direzione del trascendente, soddisfacendo la
naturale tendenza che l’uomo dimostra nei confronti dell’intima realizzazione di sé9.
Come procedere praticamente in questa ricerca? Abbiamo constatato
che i filosofi classici ambivano alla comprensione razionale della realtà; il
che è naturale, perché tutta la vita intellettuale consiste proprio nel fissare
le percezioni sensoriali mediante i concetti10. Tuttavia possiamo chiederci
se la ragione sia sufficiente per conoscere la realtà. È dunque necessario
analizzare i modi in cui procede il pensiero concentrandoci sui meccanismi attraverso i quali la mente elabora ed interpreta le informazioni. Così
facendo ci si rende conto che i limiti intrinseci alle masse cerebrali sono
tali per cui l’intelletto non può registrare fedelmente tutto ciò che accade,
ma si limita a costruire modelli semplici, basati su una piccola sezione
di dati. Oltre a ciò, i cinque sensi sono in grado di rispondere agli eventi
unicamente nel presente, così l’esperienza che l’uomo ha del tempo esiste
solo nelle sue immagini mentali che sono delle semplificazioni o modelli.
Per approfondire il tema della conoscenza razionale è possibile considerare le proprie esperienze personali; a tale scopo voglio trarre spunto
9
L’idea del trascendente si pone oltre la realtà fisica; si riferisce a ciò che è al di
sopra dell’esperienza sensibile e della percezione fisica.
10 Il termine concetto ha assunto due significati molto diversi: in filosofia, infatti,
ad esempio, Aristotele lo ha riferito all’universale che sottrae la conoscenza dalla variabilità dell’opinione; mentre Kant lo ha riferito a qualsiasi rappresentazione mentale; in
questo libro la parola concetto viene usata nella seconda accezione, ovvero per indicare
una generalizzazione fatta dall’intelletto (cfr. concetto, Enciclopedia di Filosofia, cit.,
pp. 196-197).
10
dalla mia professione, avendo passato oltre vent’anni a studiare la natura,
armato di bussola e martello, progettando ferrovie ed autostrade.
Il geologo, per descrivere la complessità della Terra, cerca corrispondenze dirette fra ciò che osserva ed il vocabolario di cui dispone. Ad esempio, quando trova una roccia costituita dal 38% di quarzo e da un rapporto
fra feldspato potassico e plagioclasio pari a 0.6 la chiama “granito”11;
questo perché nei libri di petrografia c’è scritto che la categoria dei graniti
comprende tutte le rocce che hanno percentuali di quarzo comprese fra
il 20 ed il 60% e rapporti fra feldspato potassico e plagioclasio compresi
fra 0.35 e 0.9. L’impiego di questa generalizzazione non conserva dunque
traccia delle esatte percentuali mineralogiche ed implica la cancellazione
di tanti altri dettagli, come la presenza di inclusioni basaltiche, oppure la
dimensione dei cristalli di plagioclasio sparsi ovunque nella roccia12.
Il geologo può anche introdurre deformazioni concettuali, così come
mi accadde quando ero ancora studente e fui inserito in un gruppo di lavoro che aveva il compito di ricostruire il modello geologico-strutturale
di un settore del Dominio Sudalpino compreso tra la val Brembana e la
val Seriana. Dopo tre mesi di attività, il responsabile scientifico del rilevamento si dichiarò soddisfatto del lavoro svolto ed, avendo necessità
di pubblicare le risultanze dello studio, comunicò a tutti che era giunto
il momento di tornare a casa. Nel corso dell’ultimo sopralluogo, eseguito in una zona particolarmente impervia e che per questo motivo non
era ancora stata esplorata, trovai un affioramento di calcari massicci e di
brecce sedimentarie in posizione del tutto inattesa13. Per risolvere questa
incongruenza in tempi brevi fui costretto ad ipotizzare l’esistenza di una
faglia in grado di dislocare quelle rocce fin dove le avevo trovate. Ne conseguì che la Carta geologica della successione norico-giurassica delle
11 Il feldspato potassico è un minerale costituito da cristalli appiattiti di colore generalmente grigiastro o rosato (ortoclasio, microclino); questo minerale è presente in varia
percentuale nella maggior parte delle rocce magmatiche.
Il plagioclasio è un minerale costituito da cristalli ad aspetto prismatico di colore
generalmente bianco (albite, oligoclasio); anche questo minerale è presente in varia
percentuale nella maggior parte delle rocce magmatiche.
12 Il basalto è una roccia magmatica effusiva molto diffusa, in quanto costituisce il
substrato roccioso dei fondali oceanici. Questa tipologia di roccia può essere rinvenuta
anche in forma di piccole inclusioni all’interno di rocce magmatiche intrusive, come
ad esempio i graniti.
13 Le brecce sedimentarie sono rocce appartenenti al gruppo dei conglomerati e
derivano dalla cementazione di detriti che hanno subito un limitato trasporto e che per
questo motivo sono caratterizzati da clasti (frammenti di roccia) a spigoli vivi.
11
Alpi Meridionali a nord di Bergamo, come qualsiasi modello concettuale
realizzato dall’uomo, presenta realtà deformate da ipotesi verisimili ma
non del tutto verificabili.
Appare evidente che generalizzare quello che si osserva rispetto a elementi noti, cancellando le informazioni che si ritengono meno importanti
e deformando il significato di quello che si oppone all’idea dominante è
una pratica molto diffusa; tant’è che la generalizzazione, la cancellazione
e la deformazione sono state riconosciute come la principale causa dei
punti di vista soggettivi e sono stati denominati “meccanismi universali
del modellamento umano”14.
Il tema centrale di questo libro dunque è la gnoseologia, ovvero la
disciplina che studia il modo di procedere per acquisire una corretta conoscenza. In particolare, ho preso spunto dal mio percorso personale esplicitando una linea di ricerca che attraverso la comprensione dei meccanismi
mentali si è spinta all’intersezione tra spiritualità, psicologia, scienza e
filosofia. Il lettore avrà modo di elaborare le idee proposte un poco alla
volta, senza troppo sforzo, prescindendo da particolari motivazioni spirituali. Viceversa, i tradizionali percorsi di ricerca personale presuppongono particolari atteggiamenti che possono essere suddivisi in tre categorie
adatte ad altrettante tipologie umane: (1) chi fosse particolarmente dotato
di fede potrebbe intraprendere la via religiosa che, alla fine del percorso
(ascesi), sarebbe in grado di stimolare una risposta emotiva che si tradurrebbe nell’abbandono di qualsiasi ragionamento e nell’affidarsi al proprio
credo (contemplazione); (2) chi dimostrasse particolari caratteristiche
di resistenza avrebbe la possibilità di intraprendere la cosiddetta ascesi
estrema, infatti potrebbe dominarne il dolore concentrando l’attenzione
sul corpo e così facendo, come i fachiri, riuscirebbe a sviluppare la forza
di volontà in modo sufficiente a sopportare qualsiasi situazione gli si prospetti; (3) gli uomini che dimostrassero di possedere un’intelligenza particolarmente vivida e meno condizionata dalla sfera emotiva e corporea,
potrebbero intraprendere un lavoro finalizzato allo sviluppo non speculativo della mente, cioè armonizzare il proprio essere come fanno i maestri
14 Bandler Richard e Grinder John, La struttura della magia, tr. it. Augusto Menzio,
Astrolabio, Roma 1981. Dopo Freud e Jung lo psicologo Richard Bandler ed il linguista
John Grinder hanno studiato in maniera specifica i meccanismi del modellamento umano, introducendo i concetti di generalizzazione, cancellazione e deformazione, che sono
stati utilizzati anche come base teorica della programmazione neurolinguistica (PNL).
12
yoga, fino al raggiungimento della pura coscienza ed al superamento dei
punti di vista e dei desideri che ne derivano.
Il mio tentativo si rivolge invece ad un’esperienza che evita il convento, il dormire sui chiodi o lo stile di vita dei guru; ci tengo però a sottolineare che l’approccio presentato in questo libro non rappresenta una
novità assoluta, in quanto trova riscontro nei messaggi già proposti da alcune scuole, fra le quali ne voglio ricordare una piuttosto recente, ovvero
quella fondata a cavallo fra il XIX ed il XX secolo dal filosofo e mistico
armeno Georges Gurdjieff, ed una decisamente più antica ed importante
che fa capo a Socrate nel V secolo a.C.15.
La quarta via [quella proposta da Gurdjieff] differisce dalle altre in quanto la sua principale richiesta è una richiesta di comprensione. L’uomo
non deve fare nulla senza comprendere […] Più un uomo comprenderà
quello che fa, più i risultati dei suoi sforzi saranno validi16.
Con queste parole Pëtr Demianovič Ouspensky, allievo di Gurdjieff,
introdusse l’idea di una conoscenza consapevole, cercando di promuovere il valore dell’attenzione. A sua volta, Socrate si era adoperato per far
emergere le verità sedimentate nelle coscienze dei suoi allievi utilizzando
il dialogo per eliminare le incongruenze radicate nei suoi interlocutori.
Fece attenzione a non manipolarli cercando in ogni momento uno scambio di idee finalizzato a sradicare i pregiudizi. Il suo metodo fu detto
“maieutico” sin dai dialoghi platonici17.
Seguendo i suggerimenti proposti da queste due scuole di pensiero mi
15
Gurdjieff Georges Ivanovic (1872-1949), filosofo, scrittore e mistico; il suo insegnamento combina Cristianesimo, sufismo ed altre tradizioni religiose in un sistema di
tecniche finalizzate a superare gli automatismi psicologici che condizionano gli esseri
umani.
16 Ouspensky Pëtr Demianovič (1878-1947), Frammenti di un insegnamento sconosciuto, tr. it. Henry Thomasson, Astrolabio, Roma 1976, p. 58.
Alcuni pensatori citati nel corso del testo potrebbero far “storcere il naso” ai lettori
maggiormente rigorosi, mi riferisco proprio ad Ouspensky, oppure a Ichazo e ad altri
che hanno in qualche modo ispirato alcune correnti “New Age” degli anni Settanta. A
tale proposito è auspicabile l’adozione di un cauto scetticismo, cioè di un atteggiamento
che non rifiuti aprioristicamente le idee di questi autori, ma che ne verifichi la conformità con gli assunti della filosofia e del misticismo tradizionali, lasciando eventualmente spazio alla sperimentazione.
17 La parola maieutica deriva dal greco maieutikè che indica l’arte della levatrice;
questo termine è stato utilizzato da Platone per designare il metodo che il suo maestro
Socrate utilizzava in ambito dialettico.
13
sono convinto che il porsi di fronte all’esperienza umana senza pregiudizi
ed in modo libero può consentire a qualsiasi uomo di scoprire il vero. I
concetti scientifici e filosofici che verranno richiamati saranno talvolta
associati a poesie, nel tentativo di rievocare le cosiddette verità innate
di cui parlava anche Socrate; infatti, una poesia letta dopo un faticoso
ragionamento aiuta a far scaturire quell’illuminazione improvvisa che
prescinde dai processi logico-deduttivi e che può insorgere dopo essersi
concentrati a lungo su argomenti molto complessi. Nonostante Platone
desse un valore minimo e funzionale all’arte, egli riteneva che l’anima
possedesse comunque la capacità d’intuire la verità e descrisse i poeti con
queste parole:
[I poeti] componevano le proprie poesie non per dottrina, ma per fibra
innata, perché hanno dentro Dio, come i veggenti di Dio, i profeti oracolari18.
Per quanto mi riguarda, la capacità d’intuire l’assoluto si è risvegliata
all’improvviso ed in maniera del tutto particolare in una precisa occasione che mi piace ricordare qui di seguito. Stavo navigando nel vento
di settembre quando, all’improvviso, bianchi spruzzi d’acqua salata mi
bagnarono il volto, proiettati in aria dalla prua che penetrava nelle onde,
la balumina delle vele vibrava ed il maestrale sibilava fra le sartie inclinando la barca19. Avevo issato un piccolo fiocco ed una trinchetta, oltre
ad aver ridotto la superficie della randa; mi trovavo nei pressi dell’isola
Tavolara20. Un’ora prima ero partito da Marina di Puntaldia (San Teodoro,
Sardegna) ed ero diretto a Marina di Campo (costa meridionale dell’isola d’Elba), luogo che avrei presumibilmente raggiunto nell’arco di una
ventina d’ore. Mentre navigavo, tenevo gli occhi fissi sulla prua, impegnandomi ad orzare sulla cresta delle onde per limitare gli impatti della
18 Platone, Simposio – Apologia di Socrate – Critone – Fedone, tr. it. Ezio Savino,
Mondadori, Milano 2009, p. 171; p. 173.
19 La balumina è il bordo d’uscita della vela, quello in corrispondenza del quale
l’aria defluisce verso poppa; è il tratto di vela compreso tra il punto di drizza (in alto) ed
il punto di scotta (in basso verso poppa). Le sartie fanno parte delle cosiddette manovre
fisse: si tratta dei cavi d’acciaio che sostengono l’albero delle imbarcazioni a vela.
20 La trinchetta è una vela relativamente piccola, che viene issata su un secondo
strallo di prua; il punto di mura della trinchetta è posto in posizione mediana tra lo
strallo di prua principale ed il piede d’albero.
14
barca con i frangenti21. Rimasi concentrato fino a quando, poco prima
del tramonto, un branco di delfini si avvicinò a curiosare. Poi giunse il
crepuscolo e mi ritrovai a guardare la stella polare e la luna con la mente
ormai svuotata da qualsiasi pensiero. Al sorgere del sole mi scoprii rapito
dal ritmo del mare e percepii di essere parte integrante di un universo che
modificandosi mi modificava…, scesi sotto coperta ed appuntai queste
parole sul libro di bordo:
Scorgo un brandello azzurro / che sostiene coppie d’ali: / tutto è libero
di andare / nella giusta direzione. //
L’intuizione che avevo ricevuto avvalorava un’ipotesi che i miei sensi
e la mia razionalità non avevano mai evidenziato; infatti la vista non poteva scrutare ciò che è infinitamente piccolo (struttura subatomica della
materia) e le sensazioni faticavano ad identificare le forze che uniscono
gli agglomerati di materia; tutte le cose mi erano sempre sembrate separate fra loro, anche se sapevo che esistono campi in grado di interconnettere
tutto (il campo gravitazionale interagisce con ciò che ha massa; il campo
elettromagnetico con ciò che ha polarità; i campi nucleari con le particelle
subatomiche).
I tre elementi considerati in quest’introduzione – (1) l’inquietudine
che spinge le persone a ricercare la propria via; (2) la razionalità a cui si
rivolge la filosofia; (3) l’intuizione che viene favorita dalla contemplazione degli ambienti naturali e che trova espressione privilegiata nella poesia
– assumono valore universale, perché sono intimamente legati alle capacità conoscitive di cui sono dotati tutti gli esseri umani. Per tale motivo, i
cardini attorno ai quali si sviluppa questo libro possono essere sintetizzati
con tre parole: (1) emotività; (2) razionalità; (3) intuizione.
Con ciò ho finito tutto quello che mi ero proposto di mostrare […] Da
ciò risulta chiaro quanto grande sia la potenza del sapiente, e quanto
egli sia superiore all’ignorante che è condotto dal suo appetito sensibile. L’ignorante, infatti, oltre ad essere sballottato qua e là in molti
modi dalle cause esterne, e senza conquistare mai una vera soddisfazione dell’animo, vive quasi inconsapevole di sé e di Dio e delle cose,
21
Con il verbo orzare s’intende ridurre l’angolo compreso tra la prora dell’imbarcazione e la direzione da cui proviene il vento.
15
e appena cessa di patire, cessa pure di essere. Il sapiente, invece, in
quanto è considerato come tale, difficilmente è turbato nel suo animo,
ma, essendo consapevole di sé e di Dio e delle cose per una certa eterna
necessità, non cessa mai di essere, ma possiede sempre la vera soddisfazione dell’animo. Se, ora, la via che ho mostrato condurre a questa
meta, sembra difficilissima, tuttavia essa può essere trovata. E senza
dubbio deve essere difficile ciò che si trova sì raramente. Come mai,
infatti, potrebbe accadere, se la salvezza fosse a portata di mano, e si
potesse trovare senza grande fatica, che essa fosse trascurata quasi da
tutti? Ma tutte le cose sublimi sono tanto difficili quanto rare22.
Per comodità del lettore, qualora si scoprisse particolarmente impaziente di conoscere l’esatta collocazione degli argomenti affrontati, può
fare riferimento all’ultimo capitolo: Il filo rosso, che sintetizza in poche
pagine l’intero percorso conoscitivo.
Buona lettura.
22
16
Spinoza Baruch, Etica, tr. it. Gaetano Durante, Bompiani, Milano 2009, p. 651.
PARTE PRIMA
Vedo un uomo appoggiato con i gomiti ad un tavolo, si tiene il capo
fra le mani, fra le dita stringe una matita per tracciare una sola idea: la
consapevolezza di cosa sia un insetto, un fiore, un albero, un parco, lo
spazio, le stelle, i buchi neri… ed anche il vuoto.
L’intuizione?
Una medesima essenza, governata da un’unica legge, quella della verità!
1. La via del mare
Nel 1996 presi in mano per la prima volta il timone di un’imbarcazione, provando subito la sensazione di aver trovato qualcosa di straordinario. Mi scoprii immerso in una fiduciosa tranquillità che non ero in
grado di capire, soprattutto perché, l’istruttore che mi aveva spiegato la
teoria della vela, di lì a poco mi avrebbe chiesto di cimentarmi in manovre complesse che ricordavo a malapena. Nonostante ciò, mi sentivo
benissimo. Cominciai a navigare con una certa regolarità e dopo un paio
d’anni acquisii l’esperienza necessaria per destreggiarmi in autonomia.
Mi trovavo frequentemente in alto mare con gli occhi che si spostavano
dai riflessi delle onde più vicine all’orizzonte lontano; mi sentivo pervaso dalla medesima sensazione della prima volta e mi convincevo che
ad infondermi pace fosse l’ambiente che mi circondava; il luogo in cui
si è formata la vita. L’immensità insomma dalla quale emerse ciò che
osserviamo.
A cosa era dovuta la mia serenità? Cominciai a chiedermelo.
Nell’antichità, la parola anàmnēsis era utilizzata dai greci per indicare la
reminiscenza; in particolare, Platone utilizzò il concetto d’anamnesi per
definire le basi di quella corrente di pensiero che, otto secoli più tardi,
sarebbe stata pienamente sviluppata da sant’Agostino con l’intento di affermare che la conoscenza non deriva dall’elaborazione dei dati sensibili
ma, piuttosto, è pura illuminazione. Secondo la dottrina dell’anamnesi
tutti gli uomini, per definizione dotati d’intelletto, possiedono dei criteri
comuni, ovvero delle conoscenze naturali che possono essere evocate.
Come ho già detto nell’introduzione, sono persuaso che le poesie possano
ridestare le reminiscenze sepolte. Riporto quindi una poesia di Massimo
Ferretti che evoca il valore di quella che ho voluto chiamare la via del
mare:
19
Spolperanno le montagne fino allo scheletro del corallo / ruberanno
la fiamma al fuoco / e violeranno l’aria fin dove sospira, / ma il mare
resterà il mare: / l’eterna emozione / l’elemento senza futuro. // […]1.
L’intensità delle emozioni vissute e l’immutabile essenza dell’ambiente pelagico mi inducono ora ad utilizzare episodi di vita in mare per
introdurre i due principali concetti della gnoseologia: quello di realtà e
quello di modello2.
1.1 Realtà
Capita di arrivare prima del previsto, per esempio quando si ritiene
che un appuntamento di lavoro possa essere importante. Ecco che, nel
periodo in cui stavo gestendo le indagini geognostiche necessarie per la
progettazione del nodo autostradale di Genova, giunsi con oltre mezz’ora
d’anticipo all’Aeroporto Cristoforo Colombo per discutere questioni logistiche con il direttore dello scalo. Visto l’orario, ebbi il tempo di andare
a curiosare fra i pontili del nuovo porto turistico posto a poca distanza
dalla pista di rullaggio.
I porti su di me hanno sempre esercitato un fascino del tutto particolare. Mi trovai nel bel mezzo del molo principale, con i capelli arruffati
dalla tramontana del mattino e la camicia che sbatteva come una vela al
vento. Alzai lo sguardo verso la Banchina Petroli, che si trova dall’altra
parte della darsena. Lì c’era una vera e propria “signora del mare”, un
1 Ferretti Massimo, Allergia, Marcos y Marcos, Milano 1994, p. 40. La poesia
sopracitata continua in questo modo: […] Si sanno le piaghe aperte dalle navi / i delitti
delle reti / e i tatuaggi carnali dei pescatori di perle, / ma il mare non cambia colore. //
Non dico questo / perché ho segreti di conchiglie ribelli, / e l’amo perché la sua bellezza
non mi fa soffrire. // Da piccolo mi ci portavano per farmi crescere forte / ma la mia
stella incrociava altre acque / e nel libro del buio stava scritto / che il volto delle meduse / lo avrei trovato nella gente di terra: / e gli sono cresciuto lontano / con la misera
invidia per i suoi sereni peccati / fatti di sole e di carne spogliata, / e ho accettato la
sua potenza, / i lividi muri alzati tra nuvolo e abisso, / e l’onda del nord senza sogni.
// Ma non ho avuto pazienza: / e l’acqua è rimasta col sale; / non ho avuto pazienza, /
perché anch’io sono il mare. //
2 Il termine pelagico viene utilizzato per indicare il mare aperto, l’ambiente in cui
fino all’orizzonte si può osservare solo acqua.
20
grande veliero costruito all’inizio del secolo scorso, armato con un imponente albero di legno: un grandioso Cutter aurico-Marconi3.
Mentre ammiravo quella meraviglia con la bocca semiaperta, l’odore
intenso di un sigaro mi fece girare e così mi trovai al cospetto di un tizio
barbuto, che teneva in mano un radiolo di cidaride4. L’uomo era ispirato
dalla bellezza del “Moonbeam IV” e giocherellava con il grosso aculeo
che aveva fra le dita5. Mi disse che, a suo parere, navigare su un veliero
come quello sarebbe stata per chiunque una vera scuola di vita. Era convinto che il mare regalasse maturità e lucidità a tutti quelli che si impegnavano nell’arte della navigazione.
La sua espressione mi risultava molto familiare e così gli raccontai
qualcosa di me e di come mi concedessi il lusso di non rendere conto a
nessuno tutte le volte che navigavo; lui però si adombrò scuotendo il capo
e mi zittì:
“Il bello della vita in mare non consiste nella possibilità di fare ciò che
si vuole ma proprio nel suo contrario”.
“Ovvero?”. Chiesi, non capendo.
“Ovvero nella possibilità di conoscere una forza ineguagliabile, in
grado di distruggere tutti i sogni”.
Quest’uomo puntava la mia attenzione sugli elementi propri di
un’esperienza vicina all’animo umano e riusciva a citare senza enfasi né
affettazione Itaca di Konstantinos Kavafis:
[…] i lestrigoni e i ciclopi / la furia di Nettuno non temere, / non sarà
questo il genere d’incontri / se il pensiero resta alto e un sentimento /
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo […]6.
3 Il Cutter è un’imbarcazione dotata di un albero che può sorreggere almeno tre
vele, ovvero una randa e due o più fiocchi; la variante aurica-Marconi la si ritrova su
certe barche d’epoca che hanno la randa suddivisa in ulteriori due porzioni, delle quali
la più alta (controranda) viene inferita su un alberetto alto, allineato al di sopra del più
robusto albero basso.
4 I cidaridi sono ricci di mare molto particolari che si possono trovare anche sui
fondali del Mar Ligure. Sono caratterizzati da aculei (radioli) che possono raggiungere
lunghezze di ordine decimetrico.
5 Il “Moonbeam IV” fu progettata dal famoso architetto inglese William Fife e
venne varata nel 1914; nel 1950 fu acquistata dal principe Ranieri di Monaco, che la
utilizzò anche per la sua luna di miele con Grace Kelly; alla fine degli anni ’90 il veliero
venne restaurato e riportato al suo originario splendore.
6 Kavafis Konstantinos, Settantacinque Poesie, tr. it. Nelo Risi e Margherita
Dalmàti, Einaudi, Torino 1962, p. 63. La versione integrale della poesia sopracitata
è la seguente: Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada
21
Continuò quindi con questo discorso: “Quando si vive in mare è impossibile mentire, perché la menzogna, soprattutto quella raccontata a
se stessi, danneggia pericolosamente. Prova ad immaginare quello che
ti succederebbe se, navigando, fossi spinto ad ascoltare solo il tuo orgoglio personale, magari con l’unico scopo di mostrarti spavaldo agli occhi
dell’equipaggio; quel sogno si impadronirebbe di te, inducendoti a trascurare qualcosa e le conseguenze non si farebbero certo attendere. Potresti
essere colto di sorpresa da una tempesta. Mi capisci? Il mare ti obbliga
a liberarti da tutto ciò che non è reale, ovvero da tutto ciò che è vanità e
finzione. Il mare ti guida in modo naturale verso la verità. Se gli resisti,
invece, soccomberai rapidamente!”.
Mi tornò in mente la bella poesia di Eliot su Phlebas il Fenicio:
Phlebas il Fenicio, morto, da quindici giorni / dimenticò il grido dei
gabbiani, e il fondo gorgo del mare, / e il guadagno e la perdita. / Una
corrente sottomarina / spolpò le sue ossa in sussurri. Mentre affiorava e affondava / attraversò gli stadi della maturità e della gioventù /
sprofondando nel vortice. / Gentile o Giudeo / o tu che volgi la ruota
e guardi nella direzione del vento / pensa a Phlebas che un tempo era
bello, e alto, al pari di te. //7.
sia lunga / fertile in avventure e in esperienze. / I Lestrigoni e i Ciclopi / o la furia di
Nettuno non temere, / non sarà questo il genere d’incontri / se il pensiero resta alto e un
sentimento / fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. / In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
/ né nell’irato Nettuno incapperai / se non li porti dentro / se l’anima non te li mette
contro. // Devi augurarti che la strada sia lunga. / Che i mattini d’estate siano tanti /
quando nei porti – finalmente, e con che gioia – / toccherai terra tu per la prima volta: /
negli empori fenici indugia e acquista / madreperle coralli ebano e ambre / tutta merce
fina, anche profumi / penetranti d’ogni sorta, più profumi / inebrianti che puoi, / va in
molte città egizie / impara una quantità di cose dai dotti. // Sempre devi avere in mente
Itaca – / raggiungerla sia il pensiero costante. / Soprattutto, non affrettare il viaggio;
/ fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio / metta piede sull’isola, tu, ricco / dei
tesori accumulati per strada / senza aspettarti ricchezze da Itaca. / Itaca ti ha dato il
bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / in viaggio: che cos’altro ti aspetti? // E
se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. / Fatto ormai savio, con tutta la
tua esperienza addosso / Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
7 Eliot Thomas, La terra desolata Quattro quartetti, tr. it. A. Tonelli, Feltrinelli,
Milano 2009, p. 55.
22
L’uomo del porto mi aveva aiutato a capire che la natura ha in sé una
forza di fronte alla quale è impossibile mentire; una forza che ci mantiene ancorati al presente e che, con la sofferenza, disincentiva qualsiasi
fantasticheria conducendoci verso la realtà e la verità. Con le sue parole
aumentò il fascino che il mare già esercitava su di me, costringendomi a
mettere in secondo piano tutti gli elementi ad effetto che normalmente
vengono menzionati dai diportisti: curiosità, energia, bellezza dei paesaggi, emozione, aspetti tecnici del navigare.
Quell’uomo mi affascinava e continuai ad ascoltarlo, trovando il suo
discorso sensato, profondo, illuminante. Mi disse che il mare possedeva
anche la prerogativa di distogliere il navigante dai pensieri ricorrenti e da
tutti quei condizionamenti che derivano dal vivere quotidiano; sosteneva
che l’intimo contatto con l’ambiente naturale, il concentrarsi sul vento e
sulle onde favorisse il raggiungimento di una sorta di silenzio mentale, un
vuoto che porta con sé la realtà, che annulla i rimpianti e vanifica le ansie
per il futuro.
Mi chiese se conoscessi il significato di “meditare”; io feci coincidere
questo verbo con il “pensare” e gli risposi qualcosa farfugliando. Lui mi
parlò ancora del vuoto mentale che non ha nulla a che fare con la vuotezza dello stolto, ma piuttosto con la serena apertura degli uomini liberi.
Mi raccontò che esistono una moltitudine di tecniche per meditare che
contengono certi elementi comuni per purificare la mente da tutto ciò
che solitamente ne diminuisce la capacità di percezione. Mi accorsi che
ormai si era fatto tardi e così lo salutai. A quel punto ero così preda della
curiosità che mi sarei messo a studiare per saperne di più.
Il suo volto faceva pensare al capitano Achab impegnato nella caccia
di Moby Dick la balena bianca, ma non vi si notavano la severità e
la rabbia del personaggio di Melville; una persona serena che parlava
dosando le parole. Non faceva riferimenti alle componenti spettacolari della navigazione: tempeste con venti ululanti; barche sballottate da
onde furiose e cetacei avvistati a breve distanza8.
8
Presicci Franco, Vittorio Boerio e le attraversate verso Itaca, in “Il Giorno –
Milano Metropoli” (2009), n. 5, p. XIII.
23
1.2 Modello
Un giorno navigavo lungo la costa meridionale dell’isola di Caprera,
quando decisi di cercare riparo in una rada conosciuta come Porto Palma;
appena riuscii ad ancorarmi al fondale fangoso chiamai la stazione meteorologica di Capo Pertusato per sapere qualcosa della burrasca che ci stava
investendo da nord-ovest. La situazione non sarebbe migliorata prima di
ventiquattro ore, allora decisi di rimanere lì per la notte. Preparai del tè
caldo per scaldarci un po’ e rilassarci. Il mio compagno di viaggio Renato
iniziò a raccontarmi qualcosa del libro che stava leggendo in quei giorni:
Lo strano viaggio di Donald Crowhurst. È la storia di un uomo che negli
anni Sessanta affrontò un’impresa di mare davvero epica; ma che non
possedeva le qualità dei migliori navigatori che sarebbe la capacità di
trascendere i propri sogni di gloria. L’archetipo di Ulisse, insomma.
Negli anni compresi fra il 1895 ed il 1898, Joshua Slocum completò il
primo giro del mondo solitario in barca a vela e settant’anni dopo, Francis
Chichester portò a termine la medesima navigazione effettuando un unico
scalo a Sidney. Venne insignito del titolo di “Sir” per aver contribuito a
dar lustro alla Marina Britannica. Più tardi, nel 1967, alcuni velisti decisero di compiere la prima circumnavigazione del globo senza scalo,
fu allora che Donald Crowhurst provò l’irrefrenabile impulso di entrare
nella storia della vela.
I personaggi più motivati all’impresa, che richiedeva di isolarsi per
mesi nell’immensità degli oceani, inizialmente, furono quattro.
Uno era il comandante di sommergibili Bill Leslie King; egli pensava
di affrontare l’avventura con “Galway Blazer II”. Era uno scafo molto
particolare, progettato da Angus Primrose, che ricordava le giunche cinesi ed era lungo poco meno di tredici metri. Veniva poi l’ufficiale della Marina mercantile Robin Knox Johnston, che intendeva navigare con
“Suhalili”, un Ketch d’acciaio lungo una decina di metri, armato con due
alberi dotati di vele bermudiane. Il terzo uomo era Bernard Moitessier,
velista giramondo e scrittore, che in quel periodo viveva a bordo di
“Joshua”, un Ketch d’acciaio di dodici metri, con il quale aveva già doppiato Capo Horn nel corso di una navigazione che lo aveva portato da
Tahiti ad Alicante senza scali intermedi. Il quarto uomo era un capitano
dei Servizi Speciali dell’aviazione militare britannica, John Ridgway. La
sua barca si chiamava “English Rose IV”, uno sloop di nove metri, ovvero un’imbarcazione dotata di un solo albero con randa e fiocco; si trattava
dell’armo che oggi è più diffuso di ogni altro e familiare alla maggior
24
parte dei diportisti. John era un uomo dal fisico eccezionale, che aveva
già compiuto una traversata dell’Atlantico utilizzando una barca a remi,
in compagnia di Clay Blyth. Questi, per non essere da meno, decise di
cimentarsi anche lui nel giro del mondo a vela, sebbene non possedesse
sufficiente esperienza per affrontare una navigazione tanto estrema. Blyth
avrebbe utilizzato un ordinario yacht da diporto, costruito in serie. Ed era
dunque il quinto sfidante.
Nel 1968 la direzione di un famoso quotidiano britannico, il “Sunday
Times”, seppe approfittare dell’acceso clima che si era creato attorno
all’impresa. Invece di sostenere economicamente un solo navigatore, decise di sponsorizzare la prima regata in solitario intorno al mondo senza
scalo: la “Golden Globe Race”. Si trattava di un confronto tra eroi, che
avrebbero dovuto doppiare i tre grandi capi del pianeta in solitario e senza toccare terraferma. La regata implicava il confronto con gli elementi
naturali in contesti estremi ed imponeva ai suoi partecipanti di affrontare
l’abisso della mente umana isolata dal mondo per un periodo lunghissimo.
Ai partecipanti della regata non veniva richiesto di iscriversi e tantomeno di disporsi dietro ad una linea di partenza; sarebbe stato sufficiente
documentare la propria partenza mediante un articolo di giornale. I concorrenti potevano salpare da un qualsiasi porto inglese o francese, purché
collocato a nord del quarantesimo parallelo; sarebbe poi stato necessario
farvi ritorno dopo aver compiuto l’intero giro del mondo doppiando i capi
di Buona Speranza, Leeuwin ed Horn9. La veridicità del percorso sarebbe stata certificata dagli avvistamenti costieri, dai rilevamenti compiuti
dalle navi e soprattutto dall’analisi dei libri di bordo compilati dai regatanti, operazione che sarebbe stata condotta da una commissione d’esperti
presieduta dallo stesso Chichester. La partenza poteva avvenire in un momento qualsiasi, purché all’interno di una finestra temporale compresa fra
il primo giugno 1968 e la fine d’ottobre del medesimo anno.
Vista l’originale formula di regata i premi in palio furono due: un globo d’oro per il primo arrivato in termini cronologici e cinquemila sterline
per chi avesse compiuto la circumnavigazione nel minor tempo assoluto.
Oltre ai personaggi precedentemente citati presero parte all’avventura
Nigel Tetley, l’italiano Alex Carozzo, Loic Fougeron, amico di Moitessier
9
Capo di Buona Speranza è l’estremità meridionale del Sudafrica e capo Leeuwin
l’estremità meridionale dell’Australia; capo Horn non si trova all’estremità di un continente ma sull’isola Herschel, che per convenzione viene considerata l’estremità meridionale del Sud America.
25
ed anche Donald Crowhurst. Quest’ultimo cercò di ottenere in prestito il
“Gipsy Moth IV”, la barca di Chichester, la quale però gli fu negata in
quanto era destinata ad essere esposta a Greenwich. Frustrato dal rifiuto,
Crowhurst reagì cercando di dimostrare al mondo di poter superare l’ottusità umana utilizzando un’imbarcazione economica e rivoluzionaria: il
“Teignmouth Electron”. Si trattava di un trimarano, cioè di un natante ultraleggero costituito da tre scafi collegati tra loro mediante una singolare
configurazione della coperta. In particolare, lo scafo centrale, essendo di
maggiori dimensioni rispetto ai due laterali, assicurava il galleggiamento. I laterali conferivano stabilità trasversale all’imbarcazione in assenza
della tradizionale zavorra. L’idea era sicuramente originale, e avrebbe
anche potuto essere vincente, sennonché la mente audace ed orgogliosa di Donald non si soffermò abbastanza a lungo nel considerare alcune
implicazioni della sua scelta. Tra le problematiche sottovalutate c’erano
la ben nota difficoltà dei trimarani nell’avanzare alle andature di bolina
e l’impossibilità di raddrizzarsi autonomamente dopo un ribaltamento in
mare10. Infatti, i trimarani difficilmente avanzano con angolazioni inferiori ai sessanta gradi rispetto alla direzione del vento e non possono far
fronte a quei capovolgimenti che in gergo vengono chiamati scuffie11. Le
scuffie rappresentano eventualità non frequenti per un monoscafo zavorrato ma sono piuttosto probabili per un leggerissimo multiscafo che si
trovi a navigare con venti di burrasca nel bel mezzo di oceani impetuosi.
A chi rilegga la sua vicenda oggi appare singolare che Crowhurst dimostrasse tanta sicurezza confidando ciecamente nelle caratteristiche marine
dei trimarani senza averne mai utilizzati in precedenza.
Il problema del mancato raddrizzamento dell’imbarcazione in caso
di ribaltamento fu comunque affrontato mediante un apparato automatico. L’idea prevedeva un grande sacco di galleggiamento gonfiabile da
sistemare in testa d’albero, che avrebbe dovuto funzionare in maniera
combinata con un sistema di serbatoi-zavorra, collocati negli scafi laterali, in maniera tale da imprimere il necessario movimento raddrizzante
all’imbarcazione capovolta. In particolare, alcune pompe avrebbero dovuto riempire d’acqua uno degli scafi laterali determinandone il semi10
La bolina è una andatura che consente alle barche a vela di procedere nella direzione da cui proviene il vento e che consiste nel seguire un percorso a zig zag caratterizzato dal mantenimento di un angolo di circa 45° rispetto alla direzione di flusso
dell’aria.
11 Il termine scuffia indica il capovolgimento completo di un’imbarcazione, che
avviene sotto l’azione combinata del vento e delle onde.
26
affondamento (serbatoio-zavorra), mentre l’aria compressa avrebbe gonfiato il sacco galleggiante in testa d’albero. Una volta che il trimarano si
fosse raddrizzato, le medesime pompe avrebbero svuotato lo scafo precedentemente allagato. All’atto pratico però questo complicato congegno
non venne installato correttamente. Quando Crowhurst partì, il fantasioso
sistema di raddrizzamento era costituito da un fascio di cavi disconnessi
dalle pompe e dal sacco. La costruzione del trimarano era stata molto impegnativa ed aveva implicato l’ipoteca di tutte le sue proprietà, le stesse
che garantivano la sopravvivenza della sua famiglia. A quel punto tutto il
futuro sembrava dipendere dalla regata.
Il 23 settembre 1968 fu il giorno del varo del “Teignmouth Electron” e
la settimana successiva la barca partì per la regata, nonostante restassero
da risolvere tutti i problemi di messa a punto che affliggono qualsiasi
complicato oggetto di produzione artigianale. Quindici giorni di faticosa
e lenta andatura di bolina posero il velista a diretto contatto con la cruda realtà: una timoneria mal costruita, alcune falle non riparabili, oblò e
portelli assemblati con guarnizioni che non garantivano tenuta stagna,
pompe di svuotamento che non funzionavano, motore e gruppo elettrogeno sistemati all’interno di un vano collocato in posizione troppo esposta
alle onde.
Risulta evidente che, fino a quel momento, Donald avesse maturato
un modello mentale della vicenda molto approssimativo, sopravvalutando le proprie potenzialità di concludere il giro del mondo ed aveva dato
per scontate le qualità di un’imbarcazione tutta da verificare. Era anche
convinto che quell’avventura rappresentasse l’unica chance per garantire
un futuro a se stesso ed alla sua famiglia. Queste idee illusorie lo portarono a concludere che se si fosse ritirato dalla regata avrebbe deluso una
gran quantità di persone ed avrebbe dovuto far fronte ad una situazione
insostenibile. A furia di annotare considerazioni e riflessioni, decise che,
sebbene non avesse alcuna possibilità di concludere il giro del mondo,
non esistevano alternative. Cercò una scappatoia e la trovò cominciando
a fornire informazioni vaghe ai responsabili di regata e dati totalmente
contraffatti relativi alla posizione ed alla velocità della barca. Decideva
quante miglia avrebbe voluto percorrere ed individuava un certo numero
di punti topografici grazie ai quali costruire a ritroso le coppie orarioaltezza astrale per annotare sul libro di bordo false osservazioni astronomiche. Deformare la realtà in modo verosimile non era facile. Infatti, alla
complessità dei calcoli si aggiungeva la necessità di annotare osservazioni meteorologiche che non contraddicessero quelle degli altri partecipanti
27
alla regata, delle navi in transito nel medesimo braccio di mare, delle
stazioni meteo costiere, ecc.
Donald si sottopose per mesi allo stress fra la scelta di ritirarsi e quella di perseverare nel suo viaggio di finzione. Intanto solcava le acque
dell’Atlantico meridionale tra il ventesimo ed il trentacinquesimo parallelo, lontano dalla costa, dalle rotte delle navi, dalle zone più frequentate
e dai luoghi soggetti alle tempeste più violente.
A partire dall’ottantesimo giorno mantenne il silenzio radio che proseguì per i successivi tre mesi. Nel frattempo fu costretto a fermarsi in
Argentina per riparare una grande falla nel galleggiante di dritta. Gettò
l’ancora in prossimità dell’estuario del Rio de la Plata, dove venne avvistato da alcune persone, alle quali mentì raccontando di provenire da
capo Horn.
Nel frattempo Alex Carozzo si ritirò a causa di un’ulcera mentre navigava in acque portoghesi; Bill King entrò in porto a Città del Capo dopo
aver subìto un ribaltamento nell’Atlantico meridionale; Johnston si trovò
al largo della Nuova Zelanda con il timone in avaria; Fougeron si ritirò
per i danni riportati dal suo natante dopo che si era infilato con la prua nel
cavo di un’onda enorme.
Moitessier, a dieci mesi dalla partenza, si trovò in testa alla gara, ma
stupì il mondo, dapprima annunciando il suo ritiro dalla competizione
con il lancio di un messaggio sul ponte di una nave e poi compiendo un
altro mezzo giro del mondo senza scalo, al di fuori della competizione,
per puro piacere personale.
Il 4 maggio 1969 Donald Crowhurst ricominciò a segnalare la sua
posizione reale, quando si trovava circa 700 miglia ad est di Buenos Aires
e mentre navigava con condizioni meteo favorevoli; ben presto realizzò
che non sarebbe stato possibile reggere alla pressione delle menzogne che
aveva raccontato. Non avrebbe dovuto vincere nessuno dei due premi in
palio. Decise di concludere la regata con dignità ma senza gloria. Rallentò
perciò la sua corsa, procedendo con velocità medie inferiori alle 70 miglia
nelle 24 ore. Malauguratamente però, il trimarano di Tetley colò a picco
nei pressi delle isole Azzorre a causa di una burrasca violenta, che sopraggiunse quando stava forzando all’impossibile la sua attrezzatura per dare
maggior distacco a Crowhurst.
Donald non aveva più scelta, avrebbe dovuto vincere il premio per
aver effettuato il giro del mondo più velocemente di tutti, infatti aveva due mesi di vantaggio su Knox-Johnston e perderlo avrebbe infranto
qualsiasi limite di credibilità.
28
Crowhurst mostrò un primo esplicito segnale di cambiamento psicologico il 23 giugno 1969, quando appuntò la seguente annotazione sul suo
libro di bordo:
[…] c’è il pericolo che il mondo in cui viviamo finisca con l’intossicarci, a furia di star seduti a preoccuparci del nostro concorrente più vicino, sul nostro stesso piano della piramide. La corsa dei topi! […]12.
Scrisse anche che non c’era niente come l’andar per mare in grado di
liberarlo da tutti i veleni; nei giorni seguenti si dimostrò anche consapevole che la mente umana poteva raggiungere uno stato superiore, libero dai
suoi normali limiti. Dopo il 24 giugno, Donald annotò una serie di considerazioni a dir poco sorprendenti, delle quali parlerò nei prossimi capitoli
e che qui accenno. Alle ore 10.29 del giorno 1 luglio 1969 scrisse:
[…] può esserci una sola bellezza perfetta ed è la grande bellezza della
verità […] nessun uomo può fare più di tutto ciò che è capace di fare.
La perfetta via è quella della riconciliazione […] io sono ciò che sono e
capisco la natura della mia trasgressione […]13.
In pieno oceano Atlantico, il 10 luglio 1969, in un luogo collocato
circa a metà fra la Penisola Iberica e le isole caraibiche, l’equipaggio di
una nave postale avvistò un trimarano alla deriva senza nessun membro
d’equipaggio: il “Teignmouth Electron” aveva perso il suo comandante,
che presumibilmente si era gettato in mare. Crowhurst, per via dell’intrinseca imperfezione dei modelli conoscitivi, era divenuto preda di angoscianti fissazioni che riguardavano il suo futuro.
Sono un animale ferito / Ero nato per la caverna e per la fionda, per il
cielo / intenso e il piacere definitivo del lampo: e mi fu data / una culla
morbida ed una stanza calda. / Ero nato per la morte immutabile della
farfalla: e / l’acqua che mi crepò il cuore m’avrebbe solo bagnato. / Ero
nato per la felicità della solitudine e il panico vergine / dell’incontro: e
mi sono ritrovato in una folla di eroi incatenati. / […]14.
12 Tomalin Nicholas e Hall Ron, Lo strano viaggio di Donald Crowhurst, tr. it.
Renato Prinzhofer, Mursia, Milano 1971, p. 283.
13 Ivi, p. 284.
14 Ferretti Massimo, op. cit., p. 31. La poesia sopracitata continua in questo modo:
[…]Ero nato per vivere: e m’avete maturato nella morte / autorizzata della legge,
29
Per comprendere i meccanismi cognitivi che hanno guidato la vicenda
di Crowhurst possiamo servirci delle definizioni di Steve Andreas che
approfondiscono la capacità della mente umana di costruire modelli; consideriamo dunque il significato di due concetti chiave che sono: dominio
e categoria. Il dominio corrisponde a ciò che viene percepito e la categoria al concetto mentale al quale il dominio si lega15. A titolo d’esempio
possiamo considerare un qualsiasi oggetto e nel momento in cui rispondiamo alla domanda: “questa è una parte più piccola di che cosa?” stiamo
considerando un dominio percettivo ed in particolare ci stiamo spostando
verso un dominio più grande. Così se pensassi ad una vela mi sposterei
all’imbarcazione. Se invece rispondiamo alla domanda “quest’oggetto di
quali parti si compone?” ci sposteremmo verso domini di percezione più
piccoli che richiedono un’osservazione più precisa, ad esempio il filo di
dacron, le fettucce ed i garrocci della vela.
Viceversa, se rispondiamo alla domanda: “questo è un esempio di che
cosa?” stiamo considerando una categoria ed in particolare ci stiamo spostando verso una categoria più grande, come l’insieme degli oggetti che
possono generare una forza propulsiva. Nella domanda “quali sono altri
esempi di questo?” implichiamo categorie più piccole, come le ali di un
deltaplano o i motori per missili.
Gli animali percepiscono perfettamente i domini, ma non concepiscono le categorie; o per meglio dire, sono in grado di definire solo categorie
molto semplici e basate su aspetti direttamente evidenti ai sensi16. Ad
esempio un puma di montagna include nella categoria cibo tutto ciò che
si muove rapidamente allontanandosi ed è più piccolo di lui. Un cavallo
include nella categoria brave persone gli uomini che normalmente gli
danno da mangiare o che lo strigliano. Per accedere alle categorie vere e
nell’orgoglio delle macchine, / nell’orrore del tempo imprigionato. / Ma resterò. Resterò
a rincorrere la vostra perfezione / di selvaggi organizzati nelle palestre, educati nelle
caserme, / ammaestrati nelle scuole: per la morte veloce delle bombe, / per la morte
lenta degli orologi delle seggiole dei telefoni. / Ma sappiate che io non so nuotare: e il
coltello dell’odio / e dell’amore l’ho sepolto nel mare. //
15 Steve Andreas è uno psicologo e psicoterapeuta statunitense, conosciuto soprattutto per le sue pubblicazioni nel campo della programmazione neurolinguistica.
16 Si specifica che alcune parole, quali ad esempio “categoria”, sono termini che
sono stati a lungo discussi in filosofia. Ad esempio esistono le dieci categorie aristoteliche che definiscono i modi d’essere della realtà, oppure le categorie di Kant, Fichte ed
Hegel che designano il nostro modo di conoscere; pertanto è necessario specificare che
in questo contesto i termini “dominio” e “categoria” sono stati utilizzati nell’accezione
di Steve Andreas, esplicitata nelle pagine precedenti.
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proprie è invece necessario possedere le capacità di ragionamento degli
esseri umani.
I processi mentali utili per creare categorie complesse fanno capo
principalmente alla capacità di definire criteri in grado di individuare affinità non direttamente osservabili; un esempio può essere fornito dalla
categoria mezzi di trasporto, che comprende una moltitudine di oggetti
molto diversi fra loro, da un treno merci costruito in metallo ad una barca
da regata fatta di carbonio. Si tratta di veicoli che hanno in comune la sola
caratteristica di spostare oggetti o persone. Si definiscono criteri tutte le
azioni che elencherò qui di seguito e che consentono di attribuire oggetti
o eventi ad insiemi distinti:
• confrontare, azione che ad esempio permette di creare l’insieme
contenente tutte le persone più alte di me;
• definire il rispetto di grandezze misurabili, azione che ad esempio
permette di creare l’insieme degli obesi, ovvero di tutti gli individui con indice di massa corporea maggiore di 3017;
• definire il soddisfacimento simultaneo di più grandezze misurabili,
azione che ad esempio viene esplicata dagli uffici postali quando
definiscono l’insieme dei pacchi ordinari, o colli con peso inferiore
ai 20 chili, lunghezza massima di 1 metro e lunghezza sommata al
giro massimo (misurato in un senso che non sia quello della lunghezza) inferiore a 2 metri;
• definire il soddisfacimento parziale di alcune grandezze misurabili, azione che ad esempio permette la definizione dell’insieme dei
candidati idonei per un certo posto di lavoro, costituito dai soggetti
che possiedono una delle seguenti caratteristiche: esperienza lavorativa maturata all’estero di almeno due anni, oppure un diploma
scolastico conseguito a pieni voti in paesi anglosassoni;
• definire il rispetto di qualità arbitrarie e non misurabili, azione che
ad esempio serve per circoscrivere l’insieme dei “belli”;
• definire il soddisfacimento di criteri negati, azione che si esplica
ogni qualvolta si presta attenzione a ciò che non si vuole, ad esempio un insieme che comprenda tutti gli alimenti tranne i latticini.
17
Massa corporea = p/h2, dove p indica il peso (kg) ed h indica l’altezza (m).
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Ogni insieme corrisponde ad una categoria, la quale non rappresenta
un elemento particolare, ma uno stereotipo in grado di soddisfare tutti i
criteri che lo hanno definito; ogni stereotipo ha un nome che corrisponde
all’idea generica dell’oggetto. Provate ad immaginarvi un’imbarcazione
in grado di navigare gli oceani senza carburante e vi renderete conto di
visualizzare una figura assolutamente vaga, caratterizzata semplicemente
da uno scafo filante e da una vela, ma questa visualizzazione mancherà di
tutti i dettagli che normalmente definiscono una specifica imbarcazione
d’altura.
Richard Bandler e John Grinder sono i due ricercatori statunitensi che
hanno avuto il merito di descrivere con semplicità i meccanismi attraverso i quali vengono creati gli stereotipi delle categorie e che più in generale consentono di condensare le esperienze sensoriali nelle idee. Facendo
riferimento alle indicazioni di questi due autori, cercherò dunque di definire le azioni modellanti della mente, ovvero la generalizzazione, la cancellazione e la deformazione18.
• Generalizzare significa compiere un’azione che consiste nell’utilizzare un’esperienza per rappresentare un intero insieme di eventi.
Ad esempio quando Crowhurst osservò alcuni trimarani navigare
velocemente nella baia davanti al porto, pensò che una generica
imbarcazione con tre scafi e delle vele potesse attraversare anche
gli oceani;
• Cancellare significa compiere un’azione che consiste nel concentrare l’attenzione solo su certe parti dell’esperienza, trascurando
quelle che non sono ritenute importanti per i propri scopi. Ad esempio visto che la partenza della regata attorno al mondo non poteva
essere rimandata – pena la squalifica dalla competizione – a Donald
Crowhurst non sembrò importante considerare tutti i problemi tecnici riguardanti la messa a punto dell’attrezzatura di bordo;
• Deformare significa compiere un’azione che consiste nel ricreare
una realtà diversa rispetto a quella percepita in risposta a quello
che ci si aspetta debba accadere. Ad esempio, visto che Crowhurst
era convinto che l’unico modo per salvare se stesso e la propria
famiglia dal disastro economico consistesse nel completare il giro
del mondo, iniziò a falsificare i dati relativi alla sua navigazione.
18 Richard Bandler e John Grinder sono due ricercatori che operano nel campo della
psicologia e della linguistica presso l’Università della California, la loro collaborazione
definì la base teorica sulla quale si sviluppò la programmazione neurolinguistica.
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La capacità di creare categorie rappresentate da stereotipi e la necessità di avvalersi dei tre meccanismi di modellamento per trasporre le esperienze vissute dalla realtà alle idee, fanno sì che nessun uomo sia in grado
di costruire modelli totalmente fedeli; in altri termini è possibile affermare che l’impressione che l’uomo può avere degli eventi che accadono
risulta sempre imprecisa ed influenzata dai suoi punti di vista.
Uno studioso della coscienza umana, Charles Tart, affermò che il mondo che percepiamo è una parte altamente socializzata del mondo fisico, è
una realtà basata su quello che ci è stato insegnato, una realtà consensuale derivante da una piccola selezione di cose che abbiamo convenuto di
considerare reali, importanti e corrispondenti ad uno specifico nome. A tal
proposito Tart aggiunse anche che gli adulti ricevono continue ricompense per il loro comportamento consensualmente accettabile e punizioni per
atteggiamenti “anormali” e ciò ne incanala ulteriormente il pensiero.
Dal canto loro, parecchi psichiatri sono convinti che anche gli atteggiamenti più bizzarri dei loro pazienti, in realtà, siano i migliori atteggiamenti possibili dal punto di vista di chi li compie, nel senso che il modello
interno dei loro pazienti, in quel momento, non presenta alternative comportamentali migliori per far fronte alla realtà che hanno idealizzato.
Sì, al di là della gente / ti cerco. / Non nel tuo nome, se lo dicono, / non
nella tua immagine, se la dipingono. / Al di là, più in là, più oltre. //
[…]19.
1.3 Legame tra pensiero ed emozioni
Per introdurre l’ultimo argomento trattato in questo capitolo, ovvero i
rapporti esistenti fra i modelli mentali e gli stati emotivi, vorrei ricorrere
ad un altro episodio di mare.
All’inizio di ogni stagione estiva, un gran numero di barche a vela viene trasferito dalle coste liguri verso le isole; in quest’occasione capita che
alcuni marinai navighino in completa solitudine per oltre quarantotto ore
19 Salinas Pedro, La voce a te dovuta, tr. it. Emma Scoles, Einaudi, Torino 1979, p.
11. La poesia sopracitata continua in questo modo: […] Al di là di te ti cerco. / Non nel
tuo specchio / e nella tua scrittura, / nella tua anima nemmeno. / Di là, più oltre. // Al di
là, ancora, più oltre / di me ti cerco. Non sei / ciò che io sento di te. / Non sei / ciò che
mi sta palpitando con sangue mio nelle vene, / e non è me. / Al di là, più oltre ti cerco.
// E per trovarti, cessare / di vivere in te, e in me, / e negli altri. / Vivere ormai di là da
tutto / – per trovarti – / come fosse morire. //
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consecutive, senza chiudere occhio, senza mai distrarsi. Io stavo facendo
quella traversata. Ero stanco, ma contento perché finalmente mi potevo
sfilare la cerata, che, a causa della condensa, era più bagnata dentro che
fuori. L’alba era ormai completamente matura, anche se l’aria conservava
ancora l’umidità della notte; volgevo lo sguardo all’orizzonte e non vedevo altro che mare.
Ancora una trentina di miglia ed avrei raggiunto Mahon, a Minorca.
All’improvviso, alzando lo sguardo verso l’orizzonte, vidi una striscia
nera sul mare, che si avvicinava accompagnata dai biancori delle onde
frangenti. C’era solo la mia imbarcazione in quell’immensità prima d’argento e poi di cobalto ed a bordo c’ero solo io che facevo colazione con
l’ultima scatola di ceci rimasta in cambusa.
Potevo pensare alla burrasca che stava arrivando adottando il punto di
vista del marinaio attento ai segnali del mare, dandomi immediatamente
da fare per ridurre la velatura e per sistemare ogni cosa; questa prima
prospettiva mi avrebbe fatto percepire la forza del vento come un’opportunità per vedere da vicino un evento naturale, intenso e meraviglioso.
Viceversa, se fossi stato distratto, non mi sarei accorto di ciò che stava accadendo fino a quando il fortunale non mi avesse investito; questa
seconda prospettiva mi avrebbe fatto percepire la forza del vento come
fonte inenarrabile di guai.
Il marinaio attento avrebbe avuto il sorriso sulle labbra, mentre quello distratto avrebbe provato l’astio che normalmente viene espresso al
sopraggiungere dell’ennesimo malaugurato evento avverso alla propria
volontà. Gli stati d’animo rappresentano la diretta conseguenza della
proiezione nel futuro dei modelli mentali. Infatti nessuna circostanza è in
grado di determinare l’umore di un uomo a prescindere dalla sua volontà.
Sono solo le aspettative personali che possono inquadrare una medesima
burrasca come opportunità per osservare un evento straordinario, piuttosto che come fonte di guai. Ritenere che le emozioni siano imputabili ad
un qualsivoglia evento esterno rappresenta un errore e tutte le volte che ci
capita di affermare che “qualcuno ci ha fatto arrabbiare” o che “qualcosa
ci ha fatto stare bene” ci sbagliamo e non ci rendiamo conto che tutto
dipende dal nostro punto di vista e da quello che ardentemente desideriamo; siamo noi la causa delle nostre arrabbiature o del nostro benessere.
Mentre la sofferenza fisica deriva da alterazioni percepibili direttamente
dai sensi, la sofferenza psicologica esiste solamente nella mente e può
essere cambiata in modo arbitrario, semplicemente mutando l’oggetto
dei propri desideri.
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Pëtr Demianovič Ouspensky definì le emozioni come mere reazioni
meccaniche ed affermò esplicitamente che l’uomo, per elevarsi, deve rinunciare all’immaginazione. Sullo stesso argomento Marco Aurelio, imperatore romano e filosofo, scrisse:
Le cose in quanto tali non toccano minimamente l’anima: non vi hanno accesso né possono modificarla o muoverla. Essa sola si modifica
e si muove; e l’effetto degli avvenimenti è per essa tale, quali sono
i giudizi di cui si ritiene degna. […] Se sei afflitto da qualche causa
esterna, non è questa ciò che ti molesta veramente, ma il giudizio che
ne dai, e questo sì, puoi annullarlo immediatamente. Se invece ciò che
t’affligge è inerente il tuo carattere, chi t’impedisce di correggere il tuo
giudizio?20.
Il mare e gli ambienti naturali in genere aiutano gli uomini ad osservare gli eventi così come sono; perché, nel momento in cui i modelli mentali
si allontanano dalla realtà e lasciano spazio alle false aspettative, allora
la realtà rivendica la propria esistenza e la sofferenza arriva inesorabile.
Pensate a cosa potrebbe succedere ad un sedentario impiegato che, sognando la fama di Walter Bonatti, s’improvvisasse a scalare le Grandes
Jorasses21. Viceversa, nell’ambito delle complesse dinamiche che si sviluppano negli ambienti altamente socializzati, la macchinosità dei ragionamenti e l’indeterminatezza delle categorie astratte inducono le persone
ad avventurarsi nella sfera del sogno e dell’illusione convinti di poter
sostenere le proprie opinioni a dispetto di ciò che avviene realmente.
***
La via del mare, in primo luogo, mi ha insegnato che la razionalità rappresenta lo strumento di conoscenza più potente di cui la natura disponga
ma che tale conoscenza è limitata da un’intrinseca approssimazione.
20
Marco Aurelio, Pensieri, tr. it. Maristella Ceva, Mondadori, Milano 2010, p. 101;
p. 185.
21 Walter Bonatti (1930-2011) fu uno degli alpinisti che parteciparono alla conquista del K2; fu anche protagonista di parecchie spedizioni nelle Alpi, sulle Ande e sul
Karakorum; esplorò Africa, Sud America, Asia, Oceania ed Antartide.
Le Grandes Jorasses sono un gruppo di sei cime appartenenti al massiccio del
Monte Bianco; le quote sono comprese tra i 3.996 m s.l.m. di Punta Young ed i 4.208
m s.l.m. di Punta Walker.
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Il secondo insegnamento del mare riguarda le emozioni, ovvero la
consapevolezza che gli stati d’animo derivino dalle aspettative che il pensiero razionale ci induce a considerare per il futuro.
Il terzo elemento riguarda invece la possibilità di raggiungere un’apertura mentale che si ponga oltre la razionalità e che favorisca la conoscenza. A tal proposito voglio cogliere lo spunto fornito dall’uomo che
incontrai al porto di Genova, dedicando il prossimo capitolo alle tradizioni spirituali di meditazione, nel tentativo di trovarne un denominatore
comune e di comprenderne le potenzialità.
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