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Università degli Studi di Perugia
Corso di Laurea in Fisioterapia
Fisica Applicata
Prof. Andrea Biscarini
Alcune illustrazioni in questa presentazione sono tratte dal libro di testo adottato nel corso:
D. Scannicchio, Fisica Biomedica, Edises.
Capitolo 1:
INTRODUZIONE
• Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura
• Elementi di algebra vettoriale
Capitolo 2:
MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI
•
•
•
•
•
Cinematica del punto materiale
Dinamica del punto materiale
Lavoro ed energia
Meccanica dei sistemi
Biomeccanica del sistema muscolo scheletrico (presentazione separata)
Capitolo 3:
MECCANICA DEI FLUIDI
• Stati di aggregazione della materia. Elasticità. I fluidi
• Statica dei fluidi
• Dinamica dei fluidi e circolazione del sangue
Capitolo 4:
ONDE IN MEZZI ELASTICI
• Onde in mezzi elastici
• Il suono e l’orecchio umano
• Gli ultrasuoni in medicina
Capitolo 5:
TERMOLOGIA
• Calorimetria
• Termoregolazione del corpo umano
• Termodinamica
Capitolo 6:
ELERROMAGNETISMO
• Interazioni elettriche e magnetiche
• Onde elettromagnetiche
• Le radiazioni in medicina
1. INTRODUZIONE
• Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura
• Elementi di algebra vettoriale
Fisica, grandezze fisiche e
sistemi di unità di misura
La Fisica
Campo di indagine
La Fisica si occupa dello studio degli aspetti più generali dei fenomeni naturali cercando in essi quello che vi
è di essenziale per risalire alle leggi che governano questi fenomeni e ai principi universali da cui queste
leggi derivano.
Leggi e Principi
• Nelle scienze sperimentali, un principio è un enunciato che costituisce la generalizzazione di una vasta
evidenza sperimentale e che si assume come vero per ogni possibile ulteriore esperienza: esso funziona
quindi come criterio guida per la formulazione di leggi e teorie (che non devono ammettere conseguenze in
contraddizione con il principio) o per deduzioni e dimostrazioni teoriche (dove funziona come premessa
inviolabile).
• Il riferimento all’evidenza sperimentale distingue il principio dal postulato (in quanto semplice premessa di
un sistema ipotetico-deduttivo).
• L’ampiezza del campo di applicazione (che può essere comune a diverse teorie e addirittura a diverse
discipline) lo distingue dalla legge che si riferisce ad un fenomeno specifico.
• Un principio si distingue da un teorema, che è un enunciato (o proposizione o formula o proprietà) che può
essere dimostrato, cioè che può essere dedotto logicamente dagli enunciati primitivi, detti
assiomi o postulati e dagli stessi principi.
Teorie scientifiche
Formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principî e leggi generali che consente di
descrivere, interpretare, classificare, spiegare, a varî livelli di generalità, aspetti della realtà naturale.
I tre capitoli fondamentali della fisica classica
La fisica classica (codificata prima del XX secolo) può essere suddivisa in tre capitoli fondamentali:
Meccanica
• Cinematica: studio del moto dei sistemi, indipendentemente dalle cause che generano il moto.
• Dinamica: studio del moto dei sistemi in relazione alle cause (forze) che lo generano.
• Statica: studio delle configurazioni di equilibrio dei sistemi e delle condizioni per cui tali
configurazioni si realizzano.
Termodinamica
Studio del comportamento macroscopico di sistemi termodinamici (sistemi complessi costituiti
da un grande numero di particelle, ovvero costituiti da un gran numero di gradi di libertà) per i
quali i metodi della meccanica risultano inefficaci.
Elettromagnetismo
Studio dei fenomeni e delle interazioni di natura elettrica e magnetica e delle loro connessioni.
Grandezze fisiche
Definizione
Una grandezza fisica è una proprietà fisica di un fenomeno naturale o di sistema materiale che può essere
quantificata mediante una misura.
Dunque, una grandezza fisica deve essere definita in maniera operativa, cioè mediante le operazioni che
conducono alla sua determinazione numerica.
Una grandezza fisica è definita quando:
- sia possibile stabilire, senza possibilità di equivoco, la validità dei principi di uguaglianza e di somma (e
differenza);
- sia fissata una unità di misura.
***
Grandezze Scalari
Grandezze determinate dal numero che fissa il loro rapporto alla corrispondente unità di misura scelta.
Esempi: volume, massa, energia, pressione, temperatura.
Grandezze vettoriali
Grandezze la cui determinazione richiede l’individuazione di un numero (intensità o modulo della
grandezza), una direzione ed un verso.
Esempi: spostamento, velocità, accelerazione, forza, quantità di moto, campo elettrico, campo magnetico.
Sistemi di unità di misura
Grandezze fondamentali:
grandezze per le quali l’unità di misura è definita in modo arbitrario mediante l’individuazione di un
campione.
Grandezze derivate:
grandezze per le quali l’unità di misura si deduce per mezzo delle relazioni che legano queste grandezze
alle grandezze fondamentali.
Criteri di scelta delle grandezze fondamentali:
• Grandezze scelte siano facilmente misurabili.
• Sia possibile scegliere per queste grandezze dei campioni facilmente riproducibili e stabili nel tempo.
***
Sistema di unità di misura:
Un sistema di unità di misura è definito quando sia stata compiuta una scelta delle grandezze
fondamentali e delle corrispondenti unità di misura (mediante l’individuazione dei relativi campioni) in
numero sufficiente da poter esprimere l’unità di misura di tutte le altre grandezze (grandezze derivate)
mediante le unità delle grandezze fondamentali.
Sistemi di unità più diffusi:
• Sistema internazionale
• Sistema c.g.s.
• Sistema di Gauss
• Sistema tecnico o degli ingegneri
Sistema internazionale
Grandezza fondamentale
Unità SI
Nome
Simbolo
Intervallo di tempo
(Tempo)
secondo
s
Lunghezza
metro
m
Lunghezza percorsa dalla luce nel vuoto nell’intervallo di tempo 1 /
299.792.458 s.
Massa
kilogrammo
kg
Massa di un campione di platino-iridio conservato nel laboratorio di pesi e
misure di Sevres .
Temperatura termodinamica
kelvin
K
Frazione 1/ 273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo
dell’acqua.
A
Intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori
rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e
posti alla distanza di 1 m l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra i due
conduttori la forza di 2x10-7 N su ogni metro di lunghezza.
cd
Intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette
una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540·1012 hertz e che ha
un’ intensità di radiazione in quella direzione di 1/683 watt per steradiante.
mol
Quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari
quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12. Le entità elementari
devono essere specificate e possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni,
ecc. ovvero gruppi specificati di tali particelle
Intensità di corrente elettrica
Intensità luminosa
Quantità di sostanza
ampere
candela
mole
Definizione
Intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione
corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato
fondamentale dell’atomo di cesio 133.
Grandezze fondamentali supplementari
Angolo piano
radiante
rad
Angolo piano al centro che su una circonferenza intercetta un arco di
lunghezza uguale a quella del raggio
Angolo solido
steradiante
sr
Angolo solido al centro che su una sfera intercetta una calotta di area
uguale a quella del quadrato il cui lato ha la lunghezza del raggio
Il radiante
Il radiante
sR

  1 rad
s

R
Misura degli angoli in radianti
( radianti ) 
s
R
angolo giro :  
2R
 2
R
2R / 2
angolo piatto :  

R
2R / 4 
angolo retto :  

R
2
s

R
Multipli e sottomultipli
fattore di
moltiplicazione
Distanza che la radiazione cosmica
≈ 1026 m
di fondo ha percorso dal Big Bang
Distanza media terra-sole = 1.495 ×1011 m
Diametro equatoriale della Terra = 1.2756 107 m
Dimensioni di una cellula umana ≈ 5x10-5 m
Raggio covalente atomico ≈ 10-10 m
Dimensioni del nucleo atomico ≈ 10-14 m
Raggio classico del protone ≈ 10-15 m
Dimensione di un quark ≈ 10-21 m
10-35
prefisso
simbolo
Massa dell'universo osservabile = 3 × 1052 kg
Massa del sole = 2 × 1030 kg
24
10
10 21
10 18
10 15
10 12
10 9
10 6
10 3
10 2
10 1
10 -1
10 -2
10 -3
10 -6
10 -9
10 -12
10 -15
10 -18
10 -21
10 -24
yotta
zetta
exa
peta
tera
giga
mega
chilo
etto
deca
dieci
centi
milli
micro
nano
pico
femto
atto
zepto
yocto
Lunghezza di Planck = 1,616 252 ×
metri
(la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico)
Y
Z
E
P
T
G
M
k
h
da
d
c
m
µ
n
p
f
a
z
y
Massa della terra = 6 × 1024 kg
Massa di una cellula umana ≈ 10-12 kg
1 unità di massa atomica = 1,6605402 × 10-27 kg
(1/12 massa dell'isotopo 12 del carbonio)
(≈ massa dell'atomo di idrogeno)
Massa dell’elettrone = 9.1093836 × 10-31 kg
Massa del neutrino ≈1.2 × 10-35 kg
Dimensioni fisiche ed equazioni dimensionali
Equazione dimensionale
Le funzioni che legano le grandezze derivate (A , B , … ) alle grandezze fondamenti (F1 , F2 , F3 , … ) sono
funzioni omogenee rispetto alle grandezze fondamentali, cioè possono esprimersi come il prodotto delle
grandezze fondamentali elevate ad esponenti interi positivi o negativi. Ciò viene descritto formalmente
mediante l’equazione dimensionale della grandezza derivata A:
[ A]  [ F1n1 F2n2 F3n3 ]
Esempi: velocità ed accelerazione
[v ]  [ L1T 1 ]
[ a ]  [ L1T 2 ]
Dimensioni fisiche
I coefficienti n1 , n2 , n3 , … che intervengono nell’equazione dimensionale della grandezza derivata A
prendono il nome di dimensioni fisiche di A rispetto alle grandezze fondamentali F1 , F2 , F3 , …
Unità di misura delle grandezza derivate
L’unità di misura di una grandezza derivata si deduce immediatamente dalla sua equazione dimensionale: è il
prodotto delle unità fondamentali elevate agli esponenti che compaiono nell’equazione dimensionale.
Esempi: unità della velocità: ms-1 o m/s; unità di misura dell’accelerazione ms-2 o m/s2.
Prodotto di grandezze fisiche
Per un prodotto di grandezze fisiche (fondamentali o derivate) la relazione dimensionale si ottiene dalla
relazione analitica che rappresenta il prodotto, sostituendo alle grandezze le corrispondenti relazioni
dimensionali ed applicando ai prodotti dei simboli delle grandezze fondamentali le normali regole
dell’algebra.
A
mal
t
 [ A]  [ M ][ LT  2 ][ L ][T 1 ]  [ MLT  2 LT 1 ]  [ ML2T 3 ]
Unità : kg∙m2∙s-3 (watt)
Analisi dimensionale
Analisi dimensionale
I due membri di un’equazione fisica e tutti gli addendi che appaiono in ciascun membro di tale equazione
devono avere le stesse dimensioni fisiche. L’analisi dimensionale fornisce un supporto fondamentale per la
verifica della correttezza di un’equazione o del risultato di un problema.
ESERCIZIO
Un punto materiale lanciato verso l’alto con velocità vo raggiunge la massima quota h data da
(g = accelerazione di gravità):
vo2
h
2g
Verificare che questa equazione è dimensionalmente corretta.
 vo2    L / T 2   L2T  2 

 L 


2 
2 
 2 g   L / T   LT 
Elementi di algebra vettoriale
Definizione di vettore e sua rappresentazione
Definizione
Ente geometrico definito da una direzione, un verso ed un modulo (numero reale positivo)
Rappresentazione
Può essere rappresentato da un segmento orientato AB:
direzione = quella della retta che congiunge A e B
verso = quello che porta da A a B lungo tale retta
modulo = lunghezza del segmento AB
Denotazione
Si denota con il segmento orientato che lo rappresenta,
o con una freccia al di sopra di una lettera,
o con una lettera in grassetto:
B

AB  v  v

v
Il modulo del vettore si denota rispettivamente con IABI o v
AB  v
A
Somma di n vettori
Definizione
Dati n vettori
si applichi il primo vettore in un punto qualsiasi,
il secondo nell’estremo del primo,
il terzo nell’estremo del secondo
e così via fino ad applicare l’ultimo vettore nell’estremo del penultimo.
Si definisce risultante o somma degli n vettori
e si indica con il simbolo



v1  v 2    v n
il vettore che ha origine coincidente con l’origine del primo vettore
ed estremo coincidente con l’estremo dell’ultimo vettore

v2

v3

v n 1

v1

R

vn
Somma di due vettori: regola del parallelogramma

v2

v1


v 2  v1

v1

v2
Proprietà
La somma di due vettori si ottiene applicando i vettori in un punto, costruendo il parallelogramma di
lati v1 e v2 e prendendo la diagonale a partire dal comune punto di applicazione.
Prodotto di un vettore per uno scalare
Definizione
Dato un vettore v ed uno scalare a
si definisce prodotto di v per a
e si indica con

av
il vettore con:
direzione = quella del vettore v
verso = il verso di v se a è positivo quello opposto se a è negativo
modulo = il prodotto del modulo di a e del modulo di v
Esempi

v

2v

 2v

v
2


 1v   v
Differenza fra due vettori
Definizione
Dati due vettori v1 e v2
si definisce differenza fra v2 e v1
e si indica con v2 – v1
il vettore






v2  v1  v2   v1   v 2  ( 1)v1
Proprietà
Per determinare la differenza v2 – v1 si applicano i vettori in un medesimo punto e si traccia il vettore
che va dall’estremo di v1 all’estremo di v2

v1


v 2  v1

v2

 v1


v 2  v1

v2
Versore
Definizione
Dato un vettore v
si dice versore di v
e si indica con il simbolo v̂
il vettore di lunghezza unitario
che ha la direzione ed il verso di v
v
v̂

v
1
Proprietà
Un qualsiasi vettore può essere scritto come il prodotto del suo modulo per il suo versore

v  v vˆ
Versori degli assi cartesiani
z
Versori degli assi cartesiani
iˆ vesrsore asse x
ˆj vesrsore asse y
kˆ vesrsore asse z
k̂
ĵ
iˆ
y
x

v  3iˆ
verso
modulo
vettore di modulo pari a 3, diretto come l’asse delle x, ma in verso opposto
direzione
Prodotto scalare fra 2 vettori
Definizione
Dati due vettori v1 e v2
si definisce prodotto scalare fra v1 e v2
e si indica con il simbolo
 
v1  v2
la grandezza scalare:
 
v1  v2  v1v2 cos 

v1


v2
1° caso
0

v1

v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
  0  cos   1  v1  v2  v1v2
2° caso

v1

0    90

v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
0    90  0  cos   1  v1  v2  0
3° caso

v1
  90


v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
  90   cos   0  v1  v2  0
Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano perpendicolari è che il loro prodotto scalare sia nullo
4° caso
90    180 

v1


v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
90    180    1  cos   0  v1  v2  0
5° caso
  180 


v1

v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
  180   cos   1  v1  v2  v1v2
 
v1  v2  v1  v2  cos 

v2

v2

v1
 
v1  v2  v1v2


v1
 
v1  v2  0

v2


v1
 
v1  v2  0

v2



v1
 
v1  v2  0

v2

v1
 
v1  v2   v1v2
  0
0    90 
  90 
90    180 
  180 
cos   1
0  cos   1
cos   0
 1  cos   0
cos   1
Prodotto vettoriale fra 2 vettori
Definizione
Dati due vettori v1 e v2
si definisce prodotto vettoriale fra v1 e v2
e si indica con il simbolo
il vettore:
 
v1  v2
 
v1  v2  v1v2 sin  nˆ
 
v1  v2

v2
n̂


v1
Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano paralleli è che il loro prodotto vettoriale sia nullo
2. MECCANICA DEL PUNTO
E DEI SISTEMI
•
•
•
•
Cinematica del punto materiale
Dinamica del punto materiale
Lavoro ed energia
Meccanica dei sistemi
Cinematica del punto materiale
Il punto materiale
Un sistema meccanico può essere schematizzato come un punto geometrico (punto materiale) se:
• le sue dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle che intervengo nel problema specifico
(es. distanze percorse)
• non ha interesse studiare i cambiamenti di orientamento del sistema e le sue deformazioni
***
Esempi:
1) La terra può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rivoluzione
attorno al sole.
2) La terra non può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rotazione
diurna attorno all’asse polare.
Uno stesso sistema può essere o non essere schematizzato come un punto materiale, a seconda del
problema considerato.
Equazione oraria
Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria rettilinea
P(t)
traiettoria
(rettilinea)
Posizione di P all’istante t
Stabiliamo sulla traiettoria rettilinea un sistema di ascisse (asse delle x):
1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse
2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza
3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore x pari alla distanza di P da O presa con segno:
valore positivo (negativo) se il verso di OP è concorde (discorde) con quello dell’asse x
traiettoria
(rettilinea)
O
x(t)
P(t)
Equazione oraria
Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla
conoscenza del valore di x (posizione di P) ad ogni istante, cioè dalla
conoscenza della funzione che definisce il valore di x ad ogni istante.
Questa funzione prende il nome di equazione oraria
x
x  x (t )
Vettore posizione
Vettore posizione
Posizione di P all’istante t
P(t)
Traiettoria

r (t )
k̂
ĵ
x
O
Individua la posizione di P all’istante t
O  0,0,0 
P (t )   x (t ), y (t ), z (t ) 
z
iˆ

OP (t )  r (t )
y
Vettore spostamento
P(t )

r
P(t+t )

r (t )

r (t   t )
Vettore spostamento nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
 

r  r (t  t )  r (t )
Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
Vettore velocità media
P(t )

r
P(t +t )

vM

r (t )

r (t   t )
Vettore velocità media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]

vM



r
r (t  t )  r (t )


t
t
direzione: retta che congiunge P(t) e P(t+t)
verso: quello che porta da P(t) e P(t+t)
modulo: quello di P(t) P(t+t) diviso t
Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità
con cui questo spostamento è avvenuto.
Vettore velocità istantanea

v (t )
P(t )

vM
P(t +t )
Vettore velocità istantanea all’istante t





r
r ( t   t )  r (t )
dr
v (t )  lim
 lim

t  0  t
t  0
t
dt
direzione: individua la direzione del moto: retta tangente alla traiettoria in P(t)
verso: individua il verso del moto
modulo: caratterizza la rapidità con cui cambia la posizione del punto all’istante t
Vettore accelerazione media e istantanea

v (t )

v (t   t )
Vettore variazione di velocità nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
 

 v  v (t   t )  v (t )
Caratterizza in modulo, direzione e verso la
variazione di velocità del punto nell’intervallo di
tempo [t, t +t ]
Vettore accelerazione media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]

aM



v
v ( t   t )  v (t )


t
t
Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione
di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ],
e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.
Vettore accelerazione istantanea all’istante t





v
v ( t   t )  v (t )
dv
a (t )  lim
 lim

t  0  t
t  0
t
dt
Caratterizza in modulo, direzione
e verso la rapidità con cui cambia
la velocità del punto all’istante t
Accelerazione tangenziale
il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo)

v (t   t )

v (t )

v (t   t )

v (t )

a (t )

v
 

 v  v (t   t )  v (t )


v
a (t )  lim
t  0  t
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore
accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione
tangenziale.
Accelerazione centripeta
il vettore velocità varia in direzione ma non in modulo (es. moto circolare uniforme)

v (t )

v (t )

v (t   t )

v (t   t )

v (t   t )

v (t   t )

aM

aM

aM

a (t )

aM

aM

aM

a (t )
Se il vettore velocità varia perché varia la sua direzione (moto curvilineo) e non il suo modulo (moto uniforme),
allora il vettore accelerazione è perpendicolare al vettore velocità e quindi alla traiettoria, è diretto verso il centro
di curvatura della traiettoria, e prende il nome di accelerazione centripeta.
Accelerazione tangenziale e centripeta
il vettore velocità varia in direzione e in modulo (es. moto curvilineo non uniforme)

aT
P

aC

a



a  aC  aT
centro di curvatura in P
cerchio osculatore in P
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo (moto non uniforme) e la sua direzione (moto curvilineo),
allora il vettore accelerazione è la somma di un componente tangenziale (accelerazione tangenziale), legato alla
variazione del modulo della velocità, e di un componente centripeto (accelerazione centripeta), legato alla
variazione della direzione della velocità
Moto rettilineo, moto uniforme
Moto
Moto rettilineo
Velocità
vettore velocità costante in direzione

vˆ  vers( v )  cost
Moto uniforme
vettore velocità costante in modulo
v  cost
Moto rettilineo uniforme
vettore velocità costante
(in direzione e modulo)

v  cost
Accelerazione
accelerazione centripeta nulla
 
aC  0; a  aT
accelerazione tangenziale nulla
 
aT  0; a  aC
vettore accelerazione nullo
(accelerazione tangenziale e centripeta nulle)

aT  aC  0; a  0
Moto rettilineo uniforme

v  cost.
P

v
x
Equazione oraria
x ( t )   vt  x 0
+v
-v
x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0
se la velocità è diretta nello stesso verso dell’ asse x
se la velocità è diretta in verso opposto all’ asse x
Equazione oraria del moto rettilineo uniforme vario

a  cost.

( v0  velocità iniziale)

a
P
Moto uniformemente accelerato
(l’accelerazione ha lo stesso verso della velocità)

v0
x
Moto uniformemente decelerato
(l’accelerazione ha verso opposto rispetto alla velocità)
v ( t )  v 0  at
v ( t )  v 0  at
Equazione oraria
x (t )  
+vo
-vo
+a
-a
1 2
at  v 0 t  x 0
2
se la velocità iniziale ha stesso verso dell’ asse x
se la velocità iniziale ha verso opposto all’ asse x
v0 = Modulo della velocità all’istante iniziale t = 0
se l’accelerazione ha lo stesso verso dell’ asse x
x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0
se l’accelerazione ha verso opposto all’ asse x
ESERCIZIO
Problema: un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme con velocità V0 paria 10 m/s. Ad un certo
istante inizia a frenare con decelerazione costante pari a 2 m/s2. Determinare la distanza dF percorsa nel corso
della frenata ed il relativo intervallo tempo (tempo di frenata tF).
Scegliamo come istante iniziale l’istante in cui il punto inizia a frenare. Prendiamo l’asse x coincidente con la
traiettoria, verso quello del moto, ed origine coincidente con la posizione del punto all’istante iniziale.
t  tF
t0
 x0
a
v0

v0
x
dF
Il moto è uniformemente vario (decelerato). Scriviamo le equazioni del moto:





v ( t )  v 0  at
Nel nostro caso
1 2
x   at  v 0 t  x 0
2





v ( t )  v 0  at
x
1 2
at  v 0 t
2
All’istante di arresto tarr la velocità si annulla:
v0
v0  at arr  0
t arr 
v0
a
La posizione del punto all’istante di arresto si determina calcolando il valore di x all’istante di arresto :
xarr
v0
1 2
1 v02
1 v02 v02 v02
 x (t arr )   at arr  v0 t arr   a 2  v0



2
2 a
a
2 a
a 2a
Il tempo di frenata è la differenza fra l’istante di arresto e l’istante t0=0 in cui il punto inizia a frenare
t F  t arr  t0 
v0
v
0  0
a
a
tF 
v0
a
La distanza percorsa nel corso della frenata è data dal valore di x all’istante di arresto meno il valore di x
all’istante in cui il punto inizia a frenare (x0=0):
d F  xarr
v02
v02
 x0 
0 
2a
2a
Sostituendo i valori numerici si trova:
tF  5 s
v02
dF 
2a
d F  25 m
Dalle precedenti equazioni, noto a e v0 determino dF e tF
v02
dF 
2a
v
tF  0
a
Le precedenti sono due equazioni nelle quattro variabili a, v0 , dF e tF .
Note due di queste variabili si determinano le altre due
Noto a e tF
determino dF e v0
1
d F  at F2
2
v0  at F
Noto v0 e tF
determino dF e a
vt
dF  0 F
2
v
a 0
tF
Noto dF e tF
determino v0 e a
2d
v0 
tF
a
2d F
t F2
Noto a e dF
determino v0 e tF
v0  2 ad F
tF 
2d F
a
Noto v0 e dF
determino a e tF
v02
a
2d F
tF 
2d F
v0
Velocità angolare
Spostamento angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
P(t+t)
  (t  t )  (t )
P(t)
Velocità angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
M 

 (t   t )   (t )

t
t
Caratterizza in modulo e segno lo spostamento
angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e
la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto.
Velocità angolare istantanea all’istante di tempo t
(t )  lim
t  0

 (t   t )   ( t )
d
 lim

t  0
t
t
dt
Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la
coordinata angolare del punto all’istante t
Accelerazione angolare
Variazione di velocità angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
(t+t)
  (t  t )  (t )
(t)
Accelerazione angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
M 
 (t  t )  (t )

t
t
Caratterizza in modulo e segno la variazione di velocità
angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e
la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.
Accelerazione angolare istantanea all’istante t
 (t )  lim
t  0

(t  t )  (t )
d
 lim

t  0
t
t
dt
Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la velocità
angolare del punto all’istante t
Moto circolare uniforme
Equazione oraria
Nel moto circolare
uniforme la velocità
angolare è costante
(t )  t  0
  cost
Periodo T

v
 
2
T
T 
2

P(t)

aC
Frequenza f
f 
(t)
R
1
T
  2 f
Velocità
v  R
Accelerazione
aC  2 R
f 

2
Moto armonico
Definizione
Dato un punto che si muove di moto circolare uniforme, chiamiamo moto armonico il moto della
proiezione di P su un diametro (es. asse x) della circonferenza descritta da P.
Equazione oraria
x (t )  R cos(t )  R cos( t  0 )
P(t)
  2 f
(t)
R
x(t)
Px
x
f 

2
t
t+t
Application: human movement kinematics
KINEMATICS
Osteokinematics
Definition (Neumann)
Osteokinematics describes the motion of bones relative to the three cardinal (principal)
planes of the body: sagittal, frontal, and horizontal.
Definition (Kisner and Colby)
Physiological movements (movement of the bony lever or swing) are movements the
patient can do voluntarily (e.g., the classic or traditional movements, such as flexion,
abduction, and rotation). The term osteokinematics is used when these motions of the
bones are described.
Definition (O’Sullivan et al.)
Osteokinematics refers to the gross angular motions of the shafts of bones. These
motions are described as occurring in the three cardinal planes of the body: flexion and
extension in the sagittal plane, abduction and adduction in the frontal plane, and medial
and lateral rotation in the transverse plane.
Planes of motion
Piano frontale
Piano sagittale
Piano trasverso
Axis of rotation
Asse longitudinale
Asse trasversale
Asse sagittale
Joint movements in the Sagittal Plane (around a ML axis)
Flexion
A decrease in joint angle (in the sagittal plane)
Extension
An increase in joint angle (in the sagittal plane)
Joint movements in the Frontal Plane (around an AP axis)
Abduction
Movement away from the midline of the body (in
the frontal plane).
Adduction
Movement toward the midline of the body (in the
frontal plane).
Lateral Flexion
Displacement of the trunk away from the midline
in the frontal plane (in the frontal plane).
Joint movements in the Transverse Plane (around a longitudinal axis)
External (lateral) Rotation
Movement of the anterior side of a segment
away from the midline of the body.
Internal (medial) Rotation
Movement of the anterior side of a segment
toward the mid-line of the body.
Horizontal Adduction (flexion)
Horizontal motion that results in movement
toward the midline.
Horizontal Abduction (extension)
Horizontal motion that results in movement
away from the midline.
Osteokinematics of upper limb
Scapula & Clavicle (Sternoclavicular, Acromioclavicular)
Abduction (Protraction)
Adduction (Retraction)
Depression
Elevation
Rotation Upward (Superior Rotation)
Rotation Downward (Inferior Rotation)
Internal Rotation
Extrenal rotation
Anterior tilt
Posterior tilt
Wrist & Midcarpals
Flexion
Extension / Hyperextension
Adduction (Ulna Deviation)
Abduction (Radial Deviation)
Shoulder (Glenohumeral)
Flexion
Extension / Hyperextension
Adduction
Abduction
Transverse Adduction
Transverse Flexion
Transverse Abduction
Transverse Extension
Medial Rotation (Internal Rotation)
Lateral Rotation (External Rotation)
Fingers (Interphalangeal)
Flexion
Extension
Elbow
Flexion
Extension
Forearm (Radioulnar)
Pronation
Supination
Fingers (Metacarpophalangeal)
Flexion
Extension / Hyperextension
Adduction
Abduction
Thumb (Carpometacarpal)
Flexion
Extension
Adduction
Abduction
Opposition
Thumb (Metacarpophalangeal)
Flexion
Extension
Adduction
Abduction
Thumb (Interphalangeal)
Flexion
Extension / Hyperextension
Osteokinematics of lower limb
Hip
Flexion
Extension
Adduction
Abduction
Transverse Adduction
Transverse Abduction
Medial Rotation (Internal Rotation)
Lateral Rotation (External Rotation)
Knee
Flexion
Extension
Medial Rotation (Internal Rotation)
Lateral Rotation (External Rotation)
Ankle
Plantar Flexion
Dorsi Flexion
Foot (Intertarsal)
Inversion
Eversion
Plantarflexion
Toes (Metatarsophalangeal)
Flexion
Extension / Hyperextension
Abduction
Adduction
Toes (Interphalangeal)
Flexion
Extension
Osteokinematics of spine
Atlanto-occipital joint
Flexion
Extension
Lateral Flexion
Atlanto-axial joint
Flexion
Extension
Rotation
C3-C7
Flexion
Extension
Lateral Flexion
Rotation
Thoracic Spine
Flexion
Extension
Lateral Flexion
Rotation
Lumbar Spine
Flexion
Extension
Lateral Flexion
Rotation
Mobilized segment
knee flexion describes only the relative motion between the thigh and leg. It does not describe which of the two
segments is actually rotating. Often, to be clear, it is necessary to state the bone that is considered the primary rotating
segment. For example, the terms tibial-on-femoral movement and femoral-on-tibial movemen adequately describe the
osteokinematics
Knee flexion
femoral-on-tibial movement
tibial-on-femoral movement
Arthrokinematics
Definition (Neumann)
Arthrokinematics describes the motion that occurs between the articular surfaces of joints.
Definition (Kisner and Colby)
Joint play describes the motions that occur between the joint surfaces and also the distensibility
or “give” in the joint capsule, which allows the bones to move. The movements are necessary
for normal joint functioning through the ROM and can be demonstrated passively, but they
cannot be performed actively by the patient. The term arthrokinematics is used when these
motions of the bone surfaces within the joint are described.
Definition (O’Sullivan et al.)
Arthrokinematics refers to the motion of joint surfaces. These motions, often called accessory or
joint play motions, are used to determine joint mobility and integrity.
Fundamental movements between joint surfaces
Additional movements between joint surfaces
Compression: decrease in the joint space between joint surfaces
Separation: decrease in the joint space between joint surfaces
Roll
Characteristics of one bone rolling on another:
• The surfaces are incongruent.
• New points on one surface meet new points on the opposing surface.
• Rolling results in angular motion of the bone (swing).
• Rolling, if it occurs alone, causes compression of the surfaces on the side to which the bone is swinging and separation
on the other side.
• Passive stretching using bone angulation alone may cause stressful compressive forces to portions of the joint surface,
potentially leading to joint damage.
• In normally functioning joints, pure rolling does not occur alone but in combination with joint sliding and spinning.
Slide
Characteristics of one bone sliding (translating) across another:
• For a pure slide, the surfaces must be congruent, either flat or curved
• The same point on one surface comes into contact with the new points on the opposing surface.
• Pure sliding does not occur in joints, because the surfaces are not completely congruent.
Spin
Characteristics of one bone spinning on another:
• There is rotation of a segment about a stationary mechanical axis.
• The same point on the moving surface creates an arc of a circle as the bone spins.
• Spinning rarely occurs alone in joints but in combination with rolling and sliding.
Compression
Compression
• Compression is the decrease in the joint space between bony partners.
• Compression normally occurs in the extremity and spinal joints when weight
bearing.
• Some compression occurs as muscles contract, which provides stability to the
joints.
• As one bone rolls on the other, some compression also occurs on the side to
which the bone is angulating.
• Normal intermittent compressive loads help move synovial fluid and, thus, help
maintain cartilage health.
• Abnormally high compression loads may lead to articular cartilage changes and
deterioration
Distraction (separation)
Definitions
distraction, joint traction, or joint separation: the joint surfaces are to be separated
long-axis traction: pulling on the long axis of a bone (may result in slide)
distraction
For joint mobilization/manipulation techniques, distraction is used to control or relieve pain when applied gently or to
stretch the capsule when applied with a stretch force. A slight distraction force is used when applying gliding techniques.
Convex-on-concave and concave-on-convex arthrokinematics
Convex-on-concave
arthrokinematics
ROLL
Concave-on-convex
arthrokinematics
SLIDE
SPIN
Arthrokinematic Principles of Movement
• Rolling is always in the same direction as bone motion,whether the moving bone is convex or concave.
• For a convex-on-concave surface movement, the convex member rolls and slides in opposite directions.
• For a concave-on-convex surface movement, the concave member rolls and slides in similar directions.
Control of Arthrokinematic Movements
The arthrokinematic motions between joint surfaces is controlled by
• Shape of the articular surfaces
• Tension in periaricular connective tissue (ligaments, capsule, ...)
• muscle forces
A limited or faulty arthrokinematic movement of the joint surfaces may result in
• limited ostoekinematic motion of bone levers
• abnormal joint mechanics
• microtrauma and joint dysfunction
• pain
Shoulder abduction and rotator cuff muscles
During shoulder abduction, the rotator cuff muscles cause the caudal sliding motion of the humeral head
If this function is lost, the resulting abnormal joint mechanics may cause subacromial impingement
Knee extension and cruciate ligament
tibiofemoral
compression
roll
posterior
tibial slide
knee extension
tibiofemoral
compression
anterior
tibial slide
roll
knee extension
anterior
tibial slide
tibiofemoral
compression
external
tibial
spin
roll
knee extension
Applications: manual therapy techniques
The principles serve as a basis for some manual therapy techniques. Gentle mobilizations may be used to treat pain and muscle
guarding, whereas stretching techniques are used to treat restricted movement.
Painful joints, reflex muscle guarding, and muscle spasm
Small-amplitude distraction or gliding movements of the joint are used to cause synovial fluid motion, which is the vehicle for
bringing nutrients to the avascular portions of the articular cartilage (and intra-articular fibrocartilage when present). Gentle jointplay techniques help maintain nutrient exchange and, thus, prevent the painful and degenerating effects of stasis when a joint is
swollen or painful and cannot move through the ROM. When applied to treat pain, muscle guarding, or muscle spasm, these
techniques should not place stretch on the reactive tissues.
Reversible Joint Hypomobility
Reversible joint hypomobility can be treated with progressively vigorous joint-play stretching techniques to elongate hypomobile
capsular and ligamentous connective tissue. Sustained or oscillatory stretch forces are used to distend the shortened tissue
mechanically.
Positional Faults/Subluxations
A faulty position of one bony partner with respect to its opposing surface may result in limited motion or pain. This can occur with a
traumatic injury, after periods of immobility, or with muscle imbalances. The faulty positioning may be perpetuated with maladapted
neuromuscular control across the joint, so whenever attempting active ROM, there is faulty tracking of the joint surfaces resulting in
pain or limited motion. MWM techniques attempt to realign the bony partners while the person actively moves the joint through its
ROM.
Subluxations
Thrust techniques are used to reposition an obvious subluxation, such as a pulled elbow or capitate-lunate subluxation.
Progressive Limitation
Diseases that progressively limit movement can be treated with joint-play techniques to maintain available motion or retard
progressive mechanical restrictions. The dosage of distraction or glide is dictated by the patient’s response to treatment and the state
of the disease.
Functional Immobility
When a patient cannot functionally move a joint for a period of time, the joint can be treated with nonstretch gliding or distraction
techniques to maintain available joint play and prevent the degenerating and restricting effects of immobility.
Dinamica del punto materiale
Primo principio della dinamica
Sistemi di riferimento inerziali
Un Sistema di riferimento inerziale è definito dalla condizione che rispetto ad esso lo spazio è
omogeneo ed isotropo ed il tempo omogeneo. In particolare, un punto materiale libero (non
soggetto ad alcuna interazione con altri sistemi) che ad un dato istante si trovi in uno stato di
quiete in un sistema di riferimento inerziale, permarrà in quiete per un periodo di tempo illimitato
(in un sistema di riferimento inerziale ogni posizione è posizione di equilibrio per un punto libero).
Principio di inerzia
In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale libero permane nel suo stato di quiete o
di moto rettilineo uniforme.
Principio di relatività galileiana (Galileo)
I fenomeni meccanici si svolgono con leggi dello stesso tipo in tutti i sistemi di riferimento in moto
traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro.
Dal principio di relatività segue che se un sistema di riferimento è inerziale ogni altro sistema di
riferimento che si muova rispetto al primo di moto traslatorio rettilineo uniforme è anch’esso
inerziale.
Il secondo principio della dinamica
Forza
Ente in grado di perturbare lo stato di quiete o di moto rettilineo di un punto in un riferimento inerziale.
La forza può essere definita in modo operativo, staticamente, mediante la deformazione che produce su
un sistema facilmente deformabile, quale ad esempio una molla (dinamometro).
Secondo principio della dinamica (Newton)
L’applicazione di una forza ad un punto materiale, produce un’accelerazione con direzione e verso
coincidenti con quello della forza, e modulo proporzionale a quello della forza.

 F
a
m
m = massa inerziale del punto


F  ma
Dimensioni e unità di misura della forza.
F   Ma   MLT 2 
kg  m  s 2  Newton ( N )
Principio di sovrapposizione
Quando più forze sono applicate contemporaneamente ad un punto,
l’effetto complessivo è uguale a quello che si ottiene applicando al
punto la risultante (somma vettoriale) delle singole forze.




F  f1  f 2  f 3  

f1

f2

F
Il terzo principio della dinamica
Enunciato
Due punti materiali esplicano l’uno sull’altro due forze di uguale modulo, dirette lungo la congiungente
ed aventi verso opposto.
P1
P2

F21
P1

F21

F1 2
P2

F1 2
Le leggi delle forze: forza elastica
Forza elastica di centro O
Forza sempre diretta verso un punto fisso O (detto centro
della forza elastica) in modulo proporzionale alla distanza
di P da O

OP  r  rrˆ
r̂
O

Fel
r


Fel   kr   kr rˆ
P
k = costante elastica
Esempio: punto materiale attaccato
all’estremità di una molla allungata o
accorciata rispetto alla lunghezza di
riposo
molla a riposo
molla allungata
O
molla accorciata
P
O
P
Oscillazioni libere
Studio del moto rettilineo di un punto materiale di massa m soggetto a una forza elastica
m
O
x  A
equazione oraria: moto armonico
x(t )  A cos( 0t  0 )
0 
k
m
 kOP
x0
P
x
xA
A
x
pulsazione delle
oscillazioni libere
-A
t
Forza di attrazione gravitazionale
Forza di attrazione gravitazionale fra 2 punti materiali
Un punto di massa m1 esercita su un punto di massa m2 posto a distanza r una forza di attrazione
gravitazionale data da:

m1m2
F1 2  G 2 r̂12
r
r
m2
G = costante di gravitazione universale
m1

F1 2
r̂12
G  6.67 10 11 Nm 2 kg 2
Teorema di Newton
Una sfera omogenea di massa M esercita su un
punto m (esterno alla sfera) la stessa forza che
eserciterebbe se tutta la massa M della sfera
fosse concentrata nel suo centro.

Mm
Fgr  G 2 rˆ
r
M
m

Fgr
r̂
r
Forza peso
Forza peso
Forza esercitata dalla terra su un punto materiale P
che si trova in quiete nei pressi della sua superficie.
Il peso è la risultante della forza di attrazione
gravitazionale e della forza centrifuga legata al moto di
rotazione diurna attorno all’asse polare.

mg
r̂
Espressione della forza peso
• In regioni di spazio limitate nei pressi della superficie
terrestre la forza centrifuga può essere trascurata.
• Considerando la terra come una sfera omogenea si
può applicare il teorema di Newton


Mm
M 

P  G 2 rˆ  m  G 2 rˆ   mg
r
r


Accelerazione di gravità

 P
M
g
 G 2 rˆ
m
r
g = 9.8 m/s2 sulla superficie terrestre
O
rˆ  vers (OP )
P
Resistenze di mezzi fluidi
Resistenze di mezzi fluidi
Quando un corpo si muove all’interno di un fluido esercita una forza sulle particelle del fluido. Le
particelle, per il terzo principio, esercitano sul corpo forze uguali e contrarie: la somma di queste
forze costruisce la resistenza offerta dal mezzo fluido al moto del corpo.

F   Avvˆ



F   Avvˆ   Av  bv
 = densità del fluido
 = coefficiente di forma
A = superficie investita
fluido
Esempio: I due corpi
rappresentati hanno lo
stesso valore di A ma
differenti valori di .

v

v
A
Reazione del piano di appoggio e forza di attrito

N

A
  
RNA
Relazione vincolare
Il componente della reazione perpendicolare al piano
Il componente della reazione parallelo al piano (attrito)
Legge dell’attrito statico
0  Ast  Ast . max   S N
Legge dell’attrito dinamico
Adin   D N  Ast . max

N
S 
( D   S )
D 
coefficiente di
attrito statico
coefficiente di
attrito dinamico

N

F

v 0

N

F

v 0

Ast

Ast . max

N

F

N

a

Ast . max

v 0

v 0

F

v

Adin

a0
Forza di trascinamento - moto traslatorio
Il sistema mobile (solidale al vagone) si muove di moto traslatorio rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie.
Rispetto al sistema solidale
alle rotaie il punto permane
nel suo stato di moto con
accelerazione nulla (quiete o
in moto rettilineo uniforme).
Rispetto al sistema solidale al vagone il

punto si muove con accelerazione  a

a

a
Piano liscio
Accelerazione
del vagone
In un sistema di riferimento non inerziale, in moto traslatorio rispetto ad un sistema di riferimento inerziale,
oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata
all’accelerazione a del sistema, detta forza apparente di trascinamento:


Ftr   ma
Forza di trascinamento - moto rotatorio uniforme
Il sistema mobile (vagone) si muove di moto
rotatorio uniforme rispetto a quello fisso
(inerziale), solidale alle rotaie.
Accelerazione, rispetto
al sistema fisso, del
vagone nella posizione
occupata da P

a   2 PC
C
riferimento
fisso inerziale
P
Riferimento mobile
solidale al vagone

a  2 P * P
Accelerazione di P rispetto
al sistema solidale al vagone
In un sistema di riferimento non inerziale, in moto rotatorio uniforme rispetto ad un sistema di riferimento
inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza
legata alla velocità angolare  del sistema ed alla posizione del punto, detta forza centrifuga:

Fcentrifuga  m 2 CP
C = centro di curvatura
Lavoro ed Energia
Lavoro
Definizione
Sia F un forza costante agente su un punto P ed l lo spostamento del punto nell’ intervallo di tempo finito [t1,t2].
Si definisce lavoro compiuto dalla forza F su P nell’intervallo [t1, t2], e si indica con L, la grandezza scalare:
 
L  F  l  F l cos 

F

F

l
Il lavoro caratterizza la forza agente su un punto, in
relazione allo spostamento subito dal punto stesso

F


l
 
F  l  Fl

F


l
 
F l  0

l
 
F l  0
Se la forza F agente su P è costante e parallela a l
L   Fl


 
F l  0

F
 
F  dl   Fl
dove vale il segno più se i due vettori sono
concordi, il segno meno se sono discordi
Dimensioni ed unità
L  FL   MLT L  ML T 
2
2
2

l
Nm  kg m 2 s 2  Joule ( J )
Energia
Definizione
Capacità di compiere lavoro.
Tipi di energia in meccanica
• Energia cinetica:
Energia (capacità di compiere lavoro) legata al moto del punto
EC 
1 2
mv
2
• Energia potenziale
Energia (capacità di compiere lavoro) legata alla posizione di un punto materiale all’interno
di un campo di forze conservativo (forza peso, forza elastica, forza di attrazione gravitazionale, …) .
E P ( peso )  mgh
E P (gravitaz. )  G
Mm
r
E P (elastica ) 
h = quota rispetto ad un piano orizzontale di riferimento
r = distanza dal centro della forza elastica/gravitazionale
• Energia meccanica
Somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale
EM  EC  EP
1 2
kr
2
Energia Cinetica

F
m

vo
v0
Lavoro compiuto per arrestare un punto materiale di massa m e velocità v0.
a  F /m
d arr
v02

2a
v02
1
L   d arr F  
F   mv 02
2a
2
Il punto esercita sul sistema frenante una forza uguale ed opposta (3° principio della dinamica),
e compie sul sistema frenante un lavoro (uguale ma di segno contrario) pari a:
L
1 2
mv0
2
Un punto solo per il fatto di avere una massa m e una velocità v è in grado di compiere una quantità di lavoro pari a:
EC 
1
mv 2
2
Questa capacità di compiere lavoro legata alla velocità di P prende il nome di energia cinetica.
Teorema del lavoro
Ritornando all’esempio precedente

F
m

vo
v0
Possiamo scrivere
L
1
1

mv 02  0   mv 02   E C ( finale )  E C ( iniziale )
2
2

questo è un caso particolare di un teorema generale detto del teorema del lavoro
Enunciato del teorema del lavoro
La variazione di energia cinetica di un sistema materiale in un qualsiasi intervallo di tempo è pari al
lavoro compiuto dalle forze agenti sul punto nello stesso intervallo di tempo.
E c ( t 2 )  E c ( t1 )  Lt1 t 2
Forze conservative, energia potenziale
Definizione
Una forza si dice conservativa se il lavoro che compie su un punto materiale che si sposta da un punto
P1 a un punto P2 dipende soltanto dalla posizione di questi punti e non dal percorso seguito per andare
dal primo al secondo.
1
P1
2
P2
Si può quindi uguagliare questo lavoro alla differenza dei valori assunti in P1 e P2 da una funzione uniforma e
generalmente regolare delle coordinate, detta energia potenziale Ep
LP1 P2  E P ( P1 )  E P ( P2 )
Per qualsiasi percorso  che congiunge P1 e P2
ESERCIZIO
Dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza peso per i tre percorsi indicati, congiungenti P1 e P2 , è il medesimo
P1
P1
P1

mg


mg

mg
h
P2
LP1P2  mgh
E P  mgh
P2

mg
LP1P2  0  mgh  0  mgh
risulta infatti

mg
h
P2

l

mg
LP1P2  0  mgl cos   mgh
LP1P2  E P ( P1 )  E P ( P2 )  mgh  0  mgh
L’ energia potenziale mgh può
essere utilizzata per compiere
lavoro (per esempio sollevare un
carico da terra)
h
Principio di conservazione dell’energia meccanica
Enunciato
Se un punto materiale è soggetto all’azione di sole forze conservative,
allora la sua energia meccanica si conserva costante nel tempo
Dimostrazione
LP1P2  EC ( 2)  EC (1)
LP1P2  E P (1)  E P ( 2)

E P (1)  E P ( 2)  EC ( 2)  EC (1)
EC (1)  EP (1)  EC (2)  E P (2)
E M (1)  E M ( 2)
E M  cost.
Teorema del lavoro
Definizione di forza conservativa
Potenza
Potenza media
Sia L il lavoro elementare compiuto dalla forza F nell’ intervallo di tempo [t, t+t]. Si definisce
potenza media erogata dalla forza F nell’intervallo di tempo considerato la grandezza scalare:
WM
 
L F  l


t
t
La potenza caratterizza il lavoro
compiuto della forza e la rapidità con
cui tale lavoro è compiuto
Potenza istantanea
La potenza istantanea si ottiene dalla potenza media facendo il limite per t→0
Dimensioni ed unità
W   FLT
1
  MLT
2
LT
1
  ML T 
2
3
kg m 2 s 3 
J
 watt (W )
s
ESERCIZIO: la caduta di un grave
Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo da quota h. Determinare
la velocità del punto al momento dell’impatto col suolo e l’istante di impatto.
L’unica forza agente sul punto è la forza peso. Questa forza è conservativa, si può quindi
applicare il principio di conservazione dell’energia meccanica.
v0
EC (iniziale)  E p (iniziale)  EC (impatto)  E P (impatto)
0  mgh 
1 2
mvimp  0
2
h

vimp  2 gh

vimp
ESERCIZIO: grave lanciato verso l’alto
Problema: Un punto materiale viene lanciato verso l’alto con velocità vo. Determinare la
massima quota raggiunta h e l’istante in cui tale quota viene raggiunta (tempo di arresto).
Come in precedenza si applica il principio di conservazione dell’energia meccanica.
v0
EC (iniziale)  E p (iniziale)  EC ( h)  E P ( h)
1 2
mv0  0  0  mgh
2

v02
h
2g
h

v0
Meccanica dei sistemi
Centro di massa di un sistema materiale
Definizione
Centro della distribuzione della massa del sistema
Esempio: 2 punti di uguale massa m, e due punti di massa m e 2m
m
m
C
m
C
2m
Centri di massa di un sistema particellare: N punti di massa m1, m2, m3, …, mN-1, mN.
m2
m1

r1

r2
mi
C

ri
O



m r  m2 r2    m N rN
1
OC  1 1

m1  m2    m N
M
mN

rN

m
r
 ii
N
i 1
ESERCIZIO
Applichiamo la formula



m1r1  m2 r2    m N rN
OC 
m1  m2    m N
• 2 punti di uguale massa m
C
O→

r
m
•
m


 
m1r1  m2 r2 m  0  mr r
OC 


m1  m2
mm
2
due punti di massa m e 2m
m
O→
C

r
2m



m1r1  m2 r2 m  0  2 mr 2 
OC 

 r
m1  m2
m  2m
3
Proprietà del centro di massa
Dalla definizione di centro di massa, derivando si ricava
La forza peso è una forza
distribuita: agisce su tutte le
parti di un corpo
Se il corpo è rigido: la forza
peso equivale ad un’unica
forza, pari al peso del corpo
intero, applicata nel suo
centro di massa
C

mi g

Mg
La forza risultante è la stessa






R  m1 g  m 2 g    m N g  ( m1  m 2    m N ) g  Mg
Velocità ed accelerazione del cento di massa
1
OC 
M

 mi ri
N
i 1

M OC   mi ri
N
i 1
N


M vC   mi vi
i 1
N


M a C   mi a i
i 1
Forze interne e forze esterne al sistema
Definizione
Dato un sistema di N punti materiali, chiamiamo forze interne quelle che si esplicano vicendevolmente
fra i vari punti del sintema, forze esterne quelle esercitate sui punti del sistema da parte di elementi
materiali che non fanno parte del sistema.
Per il terzo principio della dinamica, le forze interne che si esplicano vicendevolmente due punti sono uguali
e contrarie, quindi la risultante (somma) delle forze interne agenti su un sistema è sempre nulla.
 (int)
R 0
sistema
Punto appartenete al sistema
Punto non appartenete al sistema
forza interna
forza esterna
La somma delle forze interne agenti su un
punto del sistema non è in generale nulla.
Al contrario, la somma delle forze interne
agenti su tutti i punti del sistema (risultante
delle forze interne) è sempre nulla.
Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi
 (int)  ( est )

m1a1  f1  f1
 (int)  ( est )

m2 a 2  f 2  f 2

 (int)  ( est )

mN a N  f N  f N






 (int)  ( est )

 mi a i  R  R
N
Seconda equazione della dinamica
scritta per ciascun punto del sistema
 (int)
fi
Somma delle forze interne
agenti sull’i-esimo punto
 (est )
fi
Somma delle forze esterne
agenti sull’i-esimo punto
 (int)
fi
mi
 (est )
fi
La somma dei primi membri di
queste equazioni deve essere uguale
alla somma dei secondi membri
i 1
Dalle relazioni


N
  mi a i  M a C
 i 1 
 R (int)  0

segue
 (est )

M aC  R
Teorema del moto del centro di massa
Il centro di massa di un qualsiasi sistema materiale
si muove come un punto materiale dotato della massa dell’intero sistema
e soggetto alla risultante delle forze esterne applicate al sistema
Prima equazione cardinale
della dinamica dei sistemi
 (est )

M aC  R
 
ma  F
Momento di una forza
Definizione
Dato un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso privo di attrito,
e una forza agente sul corpo e appartenente a un piano perpendicolare a tale asse,
si definisce momento della forza rispetto all’asse
il prodotto del modulo della forza per il suo braccio.
Il braccio è la minima distanza fra l’asse e retta di applicazione della forza.
M a   Fb
asse di rotazione
corpo rigido

F
Dimensioni ed unità di misura
M a   FL   MLT 2 L   ML2T 2 
Nm  kg m 2 s 2
C
corpo rigido

F
C
corpo rigido

F
Il braccio della forza (ed il momento)
aumenta all’aumentare della distanza
fra punto di applicazione della forza e
centro di rotazione
Il braccio della forza (ed il momento)
aumenta quanto più la forza è
perpendicolare alla retta fra il punto di
applicazione della forza e il centro di
rotazione
Il braccio della forza (e il momento) è nullo
quando la retta di applicazione della forza
passa per il centro di rotazione C
Momento di inerzia
Definizione
Data un asse a, si definisce momento di inerzia di un sistema rispetto all’asse a, e si indica con il simbolo Ia ,
la somma dei prodotti delle masse dei punti del sistema per i quadrati delle rispettive distanze dall’asse.
I a  m1d12  m2 d 22    m N d N2
asse
d1
asse
m1
d2
m2
M
di
M
mi
dN
mN
i due sistemi hanno uguale massa M, ma il momento di
inerzia del primo è minore di quello del secondo
Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi
Grandezze traslazionali
massa
Accelerazione del centro di massa
Risultante delle forze esterne
Grandezze rotazionali
m

aC
 ( est )
R
Prima equazione cardinale della
dinamica dei sistemi
 (est )

M aC  R

Ia
Momento di inerzia


Accelerazione angolare

M a( est )
Momento assiale delle forze esterne
Seconda equazione cardinale
della dinamica dei sistemi
I a   M a(est )
Equazioni cardinali della statica dei sistemi
In condizioni statiche le accelerazioni che compaiono nelle equazioni cardinali della dinamica si annullano
 ( est )

 M aC  R

( est )
I


M
a
 a

 aC  0

 0
Si ottengono 2 equazioni vettoriali che prendono il nome di equazioni cardinali della statica:
 ( est )
R
0
 ( est )
M a  0
Le leve
Leve
Corpo rigido vincolato ad asse fisso (fulcro) sollecitato da due forze (dette forza F e resistenza R) che producono
momenti assiali di segno opposto (rotazioni di verso opposto).


Braccio della
resistenza, bR

F

R  mg
retta di applicazione
della resistenza
Regola d’equilibrio
M a( est )  0
Se
bF  10bR
bF F  bR R  0

1
F
R
10
bF F  b R R
F
bR
R
bF
(per equilibrare la resistenza basta una forza 10 volte più piccola).
E’possibile equilibrare/spostare un carico elevato con una forza minima

F
bF
bR

R
Leve vantaggiose e leve svantaggiose
Leve vantaggiose
Braccio della forza è maggiore del braccio della resistenza
Per equilibrare la resistenza è sufficiente una forza il cui modulo è minore di quello della resistenza
bF F  bR R
vantaggiose
bF  bR

FR

F
bF
bR

R
Leve svantaggiose
Braccio della forza è miniore del braccio della resistenza
Per equilibrare la resistenza è necessaria una forza il cui modulo è maggiore di quello della resistenza
bF F  bR R
svantaggiose
bF  bR

FR
bF

F
bR

R
Leve di primo, secondo e terzo tipo
Leve di primo tipo
Fulcro in posizione intermedia fra forza e resistenza
Le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose
1° tipo

R
Esempio di leva anatomica di primo tipo
Estensione dell’articolazione atlanto-occipitale

F
Leve di secondo tipo
Resistenza in posizione intermedia fra forza e fulcro
Le leve di secondo genere sono in generale vantaggiose

F

R
2° tipo
Esempio di leva anatomica di secondo tipo
Estensione della caviglia nel sollevamento
del peso del corpo
Leve di terzo tipo
Forza in posizione intermedia fra resistenza e fulcro
Le leve di terzo genere sono in generale svantaggiose

F
3° tipo
Esempio di leva anatomica di terzo tipo
Flessione dell’articolazione del gomito

R
Leve di forza e leve di velocità
Le leve anatomiche sono in maggioranza svantaggiose. Ciò appare un controsenso. In realtà una leva svantaggiosa dal
punto dinamico(delle forze) è vantaggiosa dal punti di vista cinematico (degli spostamenti e delle velocità) e viceversa.
R
bR  nbF


sR
F
e s R  ns F
n
F  s F  R  s R  LF  LR
R
Il lavoro compiuto dalla forza e la resistenza è lo stesso
sF
E’ necessaria una grande forza per spostare una piccola
resistenza, ma lo spostamento della resistenza è grande
rispetto a quello del punto di applicazione della forza e punto di
applicazione della resistenza si sposta ad una velocità più
elevata di quello della forza

F
Calcolo della forza agente sul fulcro (reazione vincolare)


Braccio della
resistenza, bR

F

R  mg

F
retta di applicazione
della resistenza


Regola d’equilibrio
 ( est )
R
0
  
F R0

 
  ( F  R )

R
15. Dinamica delle leve


Braccio della
resistenza, bR

F

R  mg
retta di applicazione
della resistenza
M a( est )  I
bF F  bR R  I 
F
bR R  I 
bF
 = accelerazione angolare
 = velocità angolare
bF F  bR R    0   aumenta
 =cost: movimento isocinetico
bF F  bR R    0   costante
In particolare:
bF F  bR R    0   diminuisce
=0: equilibrio statico
Condizione di equilibrio di un corpo appoggiato su un piano
Per corpi in appoggio, la condizione di equilibrio è che la verticale passante per il centro di massa
(retta di applicazione della forza peso cada dentro la base di appoggio

Mg

Mg
Stabilità di un corpo appoggiato su un piano

F

Mg
braccio della forza
braccio della forza

F
Per corpi in appoggiati su un piano, a parità di
massa, più basso è il centro di massa e più è larga è
la base di appoggio, più stabile è il sistema
braccio del peso

Mg
braccio del peso
Per corpi in appoggiati su un piano, a parità di
massa, più basso è il centro di massa e più è larga è
la base di appoggio, più stabile è il sistema

Mg

Mg
Application: human movement kinetics
KINEMATICS
Pesi liberi: flessione del gomito con manubri

mg
bR
bR

mg

mg
bR

mg
• Il peso del manubrio mantiene direzione (verticale verso il basso)
ed intensità costante
• Il braccio della resistenza bR prima aumenta (fino a 90° di flessione
del gomito) poi diminuisce
• Il momento della resistenza (prodotto del braccio per la resistenza)
prima aumenta (fino a 90° di flessione del gomito) poi diminuisce
M R  b R mg
Pesi liberi: estensione del ginoccihio con cavigliera
bR
bR

mg

mg

mg
• Il peso della cavigliera mantiene direzione (verticale verso il basso) ed
intensità costante
• Il braccio della resistenza bR prima aumenta sempre da zero fino al massimo
all’estensione competa del ginocchio
• Il momento della resistenza (prodotto del braccio per la resistenza) aumenta
sempre da zero fino al massimo all’estensione competa del ginocchio
M R  bR Mg
Macchine a leva: estensione del ginocchio al leg extension
bR
bR
bR

R

R

R
• La resistenza R resta costante e pari al peso del pacco di
piastre selezionate, e cambia direzione mantenendosi
perpendicolare alla tibia
• il braccio della resistenza bR resta costante
• il momento della resistenza (prodotte del braccio per la
resistenza) resta costante
M R  bR R
Pesi vincolati ai cavi: estensione del ginocchio ai cavi
• La resistenza R resta costante e pari al peso
del pacco di piastre selezionate, e cambia
direzione seguendo il cavo
• il braccio della resistenza bR diminuisce
• il momento della resistenza (prodotte del
braccio per la resistenza) diminuisce
bR

R

mg
Estensione del ginocchio con elastici
bR

Fel
bR
bR

Fel

Fel
• La forza dell’elastico resta aumenta mentre l’elastico si tende
• il braccio della resistenza bR resta diminuisce
• il momento della resistenza (prodotte del braccio per la
resistenza) … ?????
M R  bR Fel
Implicazioni posturali
Ankle. For the ankle, the gravity line is anterior to the joint, so it
tends to rotate the tibia forward about the ankle. Stability is
provided by the plantarflexor muscles, primarily the soleus muscle.
Knee. The normal gravity line is anterior to the knee joint, which
tends to keep the knee in extension. Stability is provided by the
anterior cruciate ligament, posterior capsule (locking mechanism of
the knee), and tension in the muscles posterior to the knee (the
gastrocnemius and hamstring muscles). The soleus provides active
stability by pulling posteriorly on the tibia. With the knees fully
extended, no muscle support is required at that joint to maintain an
upright posture; however, if the knees flex slightly, the gravity line
shifts posterior to the joint, and the quadriceps femoris muscle
must contract to prevent the knee from buckling.
Hip. The gravity line at the hip varies with the swaying of the body.
When the line passes through the hip joint, there is equilibrium, and
no external support is necessary. When the gravitational line shifts
posterior to the joint, some posterior rotation of the pelvis occurs,
but is controlled by tension in the hip flexor muscles (primarily the
iliopsoas). During relaxed standing, the iliofemoral ligament
provides passive stability to the joint, and no muscle tension is
necessary. When the gravitational line shifts anteriorly, stability is
provided by active support of the hip extensor muscles.
Trunk. Normally, the gravity line in the trunk goes through the
bodies of the lumbar and cervical vertebrae, and the curves are
balanced. As the trunk shifts, contralateral muscles contract and
function as guy wires. Extreme or sustained deviations are
supported by inert structures.
Head. The center of gravity of the head falls anterior to the atlantooccipital joints. The posterior cervical muscles contract to keep the
head balanced.
Forza muscolare

F

F
Componente
rotatoria
Componente
rotatoria
Compressione
articolare
Compressione
articolare
Forza di reazione articolare

F

F



R
M a( est )
0
bF F  bR R

R
 ( est )
R
0
  
F R0
quadriceps quadriceps
hamstrings

FH
flexion
TF compression

FQ
quadriceps
PCL load
hamstrings

FQ
quadriceps
quadriceps
hamstrings

FQ
TF compression

FH
PCL load
quadriceps
Stazione eretta
bR=0
perso della
parte superiore
del corpo

R
F 
bR
R0
bF
l’attività
muscolare è
trascurabile
(tono posturale)
 
R0


  R
la giunzione lombosacrale sopporta il
peso della parte
superiore del corpo
colonna in neutro
e in parziale scarico
Sollevamento di un carico
Stazione eretta
bR=0
perso della
parte superiore
del corpo

R
F 
bR
R0
bF
l’attività
muscolare è
trascurabile
(tono posturale)
 
R0


  R
la giunzione lombosacrale sopporta il
peso della parte
superiore del corpo
colonna in neutro
e in parziale scarico
Flessione della colonna vertebrale nel sollevamento di un carico
colonna in neutro
e in carico
bF

F
bR
attività dei muscoli
estensori del
rachide lombare
perso della
parte
superiore
del corpo
e del carico

R
colonna in neutro e in scarico
colonna in flessione e in scarico
colonna in flessione e in carico
colonna in neutro e in carico
The nuclear material may impinge
against the spinal cord or nerve
roots. This potentially painful
impairment is frequently referred
to as a herniated or prolapsed disc,
or more formally a herniated
nucleus pulposus.
Persons with a herniated disc may
experience pain or altered
sensation, muscle weakness, and
reduced reflexes in the lower
extremity, consistent with the
specific motor and sensory
distribution of the impinged nerve
root .
Inclinazione del tronco nel sollevamento di un carico
bR
bF F  bR R
bR

R
bF

F

R
bF

F
Anterior shear force at the L5-S1 junction
L1 to L4 Region
In normal posture the superior surfaces of the bodies of the
middle lumbar vertebrae are typically positioned in a more
horizontal orientation. The erector spinae muscle fibers
that cross this region more likely produce a posterior shear
across the lumbar interbody joints. This muscle-produced
shear may be physiologically useful, offering resistance to
the anterior shear that may be produced during bending
and lifting loads in front of the body.
L5-S1 Junction
• The base (top) of the sacrum is naturally inclined
anteriorly and inferiorly, forming an approximate 40degree sacrohorizontal angle when one is standing.
• For this reason, the force vector of the erector spinae
muscle that crosses L5-S1 (ES/5-1) creates an anterior
shear force (ES/5-1S) parallel to the superior body of the
sacrum. A greater muscular force increases the anterior
shear at the L5-S1 junction, especially if the muscle
activation exaggerates the lordosis.
• the resultant force resulting from body weight (BW)
creates an anterior shear force (BWS), and a compressive
force (BWC) acting perpendicular to the superior surface
of the sacrum.
Stabilization of the L5-S1 junction
Several structures resist the natural anterior shearing force produced at the L5-S1 junction
and provide bony stabilization to the L5-S1 junction:
• The wide and strong anterior longitudinal ligament
• The iliolumbar ligament
• the wide, sturdy articular facets of the L5-S1 apophyseal joints
L1 to L4 Region
The facet surfaces of most lumbar apophyseal
joints are oriented nearly vertically, with a
moderate-to-strong sagittal plane bias. This
orientation favors sagittal plane motion at the
expense of rotation in the horizontal plane.
L5-S1 Junction
The facet surfaces of the L5-S1 apophyseal
joints have a nearly frontal-plane orientation,
This orietantation is ideal for resisting the
anterior shear at this region.
Anterior and posterior pelvic tilt
• Anterior pelvic tilt (A) extends the lumbar spine and increases the lordosis. This action tends to shift the nucleus
pulposus anteriorly and reduces the diameter of the intervertebral foramen (C).
• Posterior pelvic (B) tilt flexes the lumbar spine and decreases the lordosis. This action tends to shift the nucleus
pulposus posteriorly and increases the diameter of the intervertebral foramen (D).
Anterior spondylolisthesis at L5-S1 junction
Body weight and lumbar extensor muscles create a compression force within the L5-S1 apophyseal joints.
Increased lumbar lordosis increases the normal
sacrohorizontal angle, thereby increasing the anterior shear
force between L5 and S1. Exercises or other actions that
create a forceful hyperextension of the lower lumbar spine
can impose excessive compression on the facet surfaces of
the L5-S1 apophyseal joints
Without adequate stabilization, the lower
end of the lumbar region can slip forward
relative to the sacrum. This abnormal,
potentially serious condition is known as
anterior spondylolisthesis.
squat
Lumbar spine flexion
Flessione del rachide lombare (40-50°)
assetto unità LPF
forame e canale
Forza di compressione sui dischi
intervertebrali
Cambiamento di forma del disco
intervetebrale
sollecitazione dell’anello fibroso
effetto della flessione
ogni vertebra si inclina e scivola leggermente in avanti rispetto alla
vertebra sottostante
aumento della forza di compressione sul disco specialmente nella
sua parte anteriore
diminuzione di spessore nella parte anteriore e aumento di
spessore nella parte posteriore
aumento di tensione sule fibre posteriori dell’anello fibroso
Spostamento del nucleo polposo
il nucleo polposo viene spinto all’indietro
Pressione del nucleo polposo sulle fibre
dell’anello fibroso
aumento di pressione sulle fibre posteriori dell’anello fibroso
Movimento relativo delle facce articolari
delle articolazioni interapofisarie
la faccie aticolari inferiori di una vertebra (L2) scivola
superiormente e anteriormente, rispetto alla feccette articolari
superiori della vertebra sottostante (L3).
diminuzione
Area di contatto fra le superfici articolari
interapofisarie
variazione della tensione della capsula
dell’articolazione interapofisaria
tensionamento (allungamento)
forza di compressione sulle facce articolari
il carico è trasferito dalle articolazioni interapofisarie al disco e i
corpi vertebrali
incerto (la compressione aumento ma l’area contatto diminuisce)
pressione sulle facce articolari
legamento longitudinale anteriore
legamento longitudinale
posteriore
legamento giallo
legamento intertasversario
legamento interspinoso
legamento sovraspinoso
diametro del forame intervertebrale
detensionamento
tensionamento (allungamento)
diametro del canale vertebrale
aumento
variazione di tensione del midollo spinale
tensionamento (allungamento)
movimento pelvico associato
retroversione con diminuzione del grado di lordosi lombare
limiti al movimento
fibre posteriori dell’anello fibroso, capsula dell’articolazione inerapofisaria, tutti i legamenti tranne il legamento longitudinale
anteriore
Tensione dei
legamenti
legamenti
articolazioni interapofisarie
vertebre e disco
grandezza fisica
Movimento relativo dei corpi vertebrali
tensionamento (allungamento)
tensionamento (allungamento)
tensionamento (allungamento)
tensionamento (allungamento)
aumento (19%)
implicazioni biomeccaniche
A chronic posture of increased flexion of the lumbar spine
places a disproportionally larger compressive load on the
intervertebral discs, theoretically increasing their likelihood
for degeneration.
A disc with a weak, cracked, or distended posterior annulus
may experience a posterior migration (or oozing) of the
nucleus pulposus. In some cases the nuclear material may
impinge against the spinal cord or nerve roots (herniated or
prolapsed disc, or more formally a herniated nucleus
pulposus). Persons with a herniated disc may experience pain
or altered sensation, muscle weakness, and reduced reflexes
in the lower extremity, consistent with the specific motor and
sensory distribution of the impinged nerve root.
Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to
temporarily reduce the pressure on a lumbar spinal nerve root
that is impinged on by an obstructed foramen
Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to
temporarily reduce the pressure on spinal cord due to a
stenosis of vertebral canal
Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to
mobilization of spine neural tissues
La posizione del cocchiere seduti con il rachide in flessione
può essere consigliato in caso di accentuata iperlordosi e a chi
soffre di lombalgia da spondilolisi e spondilolistesi
A habitually slouched sitting posture with lumbar spine in
complete flexion may, in time, overstretch and thus weaken
the posterior annulus fibrosus, reducing its ability to block a
posteriorly protruding nucleus pulposus.
Lumbar spine hyperextension
Estensione del rachide lombare (40-50°)
lordosi
forame e canale
legamenti
articolazioni interapofisarie
vertebre e disco
grandezza fisica
Movimento relativo dei corpi vertebrali
Forza di compressione sui dischi
intervertebrali
Cambiamento di forma del disco
intervetebrale
sollecitazione dell’anello fibroso
Spostamento del nucleo polposo
Pressione del nucleo polposo sulle fibre
dell’anello fibroso
Movimento relativo delle facce articolari
delle articolazioni interapofisarie
Area di contatto fra le superfici articolari
interapofisarie
tensione della capsula dell’articolazione
interapofisaria
forza di compressione sulle facce articolari
pressione sulle facce articolari
legamento longitudinale anteriore
legamento longitudinale posteriore
legamento giallo
legamento intertasversario
legamento interspinoso
legamento sovraspinoso
diametro del forame intervertebrale
effetto della estensione
ogni vertebra si inclina indietro e scivola leggermente in indietro
rispetto alla vertebra sottostante
diminuzione della forza di compressione sul disco
aumento di spessore nella parte anteriore e leggera diminuzione di
spessore nella parte posteriore
aumento di tensione sule fibre anteriori dell’anello fibroso
il nucleo polposo viene spinto in avanti
aumento di pressione del nucleo sulle fibre anteriori dell’anello fibroso
la faccie aticolari inferiori di una vertebra (L2) scivolano inferiormente e
leggermente posteriormente, rispetto alla fecce articolari superiori
della vertebra sottostante (L3).
aumenta dalla posizione neutra ad una posizione in leggera estensione,
ma diminuisce all’approssimarsi della iperestensione completa
implicazioni biomeccaniche
Therapeutic approaches that emphasize sustained active and
passive extension (McKenzie) has been shown to reduce
pressure within the disc and to yield relief of symptoms and
improvement of function in persons with a known posterior or
posterior-lateral disc herniationin (the anterior displacement of
the nucleus reduces the contact pressure between the
displaced nuclear material and the neural tissues.
a chronic posture of lumbar hyperlordosis can place large and
potentially damaging stress on the apophyseal joints and
adjacent regions.
detensionamento
il carico è trasferito dal disco e i corpi vertebrali alle articolazioni
interapofisarie
costante dalla posizione neutra a leggera estensione (aumenta la forza
di compressione, diminuisce la superficie di contatto) ,
aumenta all’approssimarsi della iperestensione completa (aumenta la
forza di compressione, dimunuisce la superficie di contatto, e il bordo
inferiore delle facce articolari inferiori della vertebra sovrastante
entrano in contatto con le lamine della vertebra sottostante).
tensionamento (allungamento)
detensionamento
detensionamento
detensionamento
detensionamento
detensionamento
Relative to the neutral position, full lumbar extension reduces the
diameter of the intervertebral foramina by 11%
diametro del canale vertebrale
diminuzione
variazione di tensione del midollo spinale
movimento pelvico associato
detensionamento
anteroversione con aumento del grado di lordosi lombare
limiti al movimento
contatto delle facce articolari dell’articolazione interapofisaria,
legamento longitudinale anteriore, fibre anteriori dell’anello fibroso
hyperextension of the lumbar spine can compress the
interspinous ligaments, possibly creating a source of low-back
pain
A person with nerve root impingement caused by a stenosed
intervertebral foramen should limit activities that involve
hyperextension, especially if they cause weakness or altered
sensations in the extremities.
Lumbar extension may increase the pressure on spinal cord due
to a stenosis of vertebral canal
exaggerated lordosis increases the sacrohorizontal angle and
thus the anterior shear force at the lumbosacral junction,
possibly favoring the development of an anterior
spondylolisthesis of the lower lumbar region
increased compression within the lumbar apophyseal joints,
and between posterior elements of lumbar vertebrae
3. MECCANICA DEI FLUIDI
• I fluidi
• Statica dei fluidi
• Dinamica dei fluidi
I fluidi
Fluidi
Stati di aggregazione: caratteristiche macroscopiche
Isolidi hanno forma e volume propri.
I liquidi hanno volume proprio ed assumono la forma del contenitore.
I gas non hanno forma e volume propri ma assumono la forma ed il volume del contenitore che li contiene.
Stati di aggregazione: caratteristiche microscopiche
Solidi, liquidi e gas possono essere distinti anche in base alla diversa entità delle forze intermolecolari :
Nei solidi le interazioni sono più intense e le particelle possono solo oscillare attorno a pozioni fisse nello spazio.
Nei gas le molecole sono in moto individuale disordinato e sono in media a distanze tali che le mutue interazioni
sono trascurabili, tranne che durante le collisioni con altre molecole del gas o con e pareti del recipiente.
Nei liquidi si ha una situazione intermedia, le particelle possono muoversi all’interno del volume occupato,
tuttavia le forze mantengono la coesione (prossimità) fra le particelle.
Fluido
Un particolare stato della materia che comprende i liquidi e i gas.
Fluidi ideali
Come per i sistemi materiali si introduce anche per i fluidi un modello ideale. Un fluido si dice ideale se é
• Incomprimibile (densità e volume indipendenti dalla pressione),
• Privo di viscosità (assenza di forze di taglio fra strati adiacenti di fluido in moto relativo).
Statica dei fluidi
Forze esercitate dalle particelle di un fluido
Le forze che le particelle di fluido esercitano su un elemento di superficie S di un corpo posto al suo interno:
 sono forze a corto raggio (ogni particella interagisce solo con le particelle adiacenti per contatto)
 non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie S;
 sono forze di spinta (non trazione o taglio) sempre perpendicolari alla superficie del corpo e dirette verso il suo interno
questa particella trasferisce sulla
superficie del solido il peso di tutte
particelle sovrastanti
liquido
S
solido
Ogni particella di fluido spinge con la stessa forza in tutte le direzioni:
tutte le superfici del solido sono soggette a forze di pressione
liquido
solido
S
Ogni particella di fluido spinge con la stessa forza in tutte le direzioni:
tutte le superfici del solido sono soggette a forze di pressione
liquido
solido
S
Pressione (P)
Consideriamo un liquido contenuto in un recipiente.
Le forze che le particelle di fluido esercitano sul fondo del recipiente hanno queste caratteristiche:
 sono forze a corto raggio date dal peso del fluido soprastante
 non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie del fondo
 sono forze di spinta (non di trazione o taglio) sempre perpendicolari alla superficie del fondo
h
2M

2F
2S
M

F
S
h
La forza sul fondo del recipiente più grande è doppia rispetto a quello più piccolo, ma agisce su una superficie che è
due volte più grande:
 la forza per unità di superficie (la forza agente su ogni mattonella) è la stessa
 la forza agente sulla superficie diviso l’area della superficie (pressione) è la stessa

F
S

2F
2S
2F F
P

2S
S
la pressione
P è la stessa
F
P
S
Il liquido esercita una pressione su tutte le superfici che sono al suo interno:
la pressione esercitata su una superficie S non dipende dal fatto che quella sia la superficie di un solido o dello
stesso liquido, o del recipiente
F
p
S
liquido
la pressione è la stessa
S
S
liquido
pressione esercitata dal liquido
su una superficie del liquido
stesso
solido
pressione esercitata dal liquido
su una superficie di un solido
p
pressione
esercitata dal
liquido su una
superficie del
liquido stesso
pressione esercitata dal liquido sul fondo del recipiente
F
S
pressione esercitata dal liquido
su una parte della superficie
laterale del recipiente
p
F
S
pressione
esercitata dal
liquido su una
superficie del
liquido stesso
pressione esercitata dal liquido
su una parte della superficie
laterale del recipiente
pressione esercitata dal liquido sul fondo del recipiente
Unità di misura della pressione
Unità del SI: il Pascal
1 Pascal  1 N/m2
L’ atmosfera
1 atmosfera = 1.013·105 Pa
Il kgpeso/cm2
kgpeso/cm2 = 0.981·105 Pa
Il torr (mmHg)
760 torr = 1 atm;

1 torr = 1/760 atm = 1.013x105 / 760 Pa = 1.333x102 Pa
I multipli del Pascal
1 bar  105 Pa
1 mbar  10-3 bar =102 Pa

1 atm = 1.013 bar
kgpeso/cm2 = 0.981 bar

1 torr = 1.333 mbar
Tabella di conversione delle unità di pressione.
atm.
Torr
kgpeso/cm2
bar
mbar
Pascal
1 atmosfera
1 Torr
1 kgpeso/cm2
=
=
=
1
1 / 760  10-3
0.968
760
1
736
1.033
1.32·10-3
1
1.013
1.333x10-3
0.981
1.013·103
1.333
0.981·103
1.013·105
1.333·102
0.981·103
1 bar
1 mbar
1 Pascal
=
=
=
0.987
0.987·10-3
0.987·10-5
750
0.750
0.750·10-2
1.019
1.019·10-3
1.019·10-5
1
10-3
10-5
103
1
10-2
105
102
1
Legge di Stevino
Enunciato
In un fluido omogeneo, incomprimibile, pesante ed in equilibrio la pressione
aumenta linearmente con la profondità
patm
z=0
p ( z 2 )  p ( z1 )  g ( z 2  z1 )
z1
p ( z )  p atm  gz
p ( z1 ) S
 = densità del liquido
g = accelerazione di gravità
z = profondità
Mg
z2
p( z 2 )S
z
Effetto della pressione idrostatica
In posizione eretta, la pressione media del sangue nei vari distretti viene
notevolmente alterata dall’effetto della pressione idrostatica.
La pressione nei vasi inferiori viene incrementata in maniera importante.
Effetto della pressione idrostatica sui vasi arteriosi
Le pareti di vasi sono costituite da tessuto elastico e tessuto muscolare
in grado di sostenere pressioni fino a 200 mmHg
→ Nei vasi arteriosi l’effetto ha scarse conseguenze.
Il sangue a causa della forza peso tende a portarsi al livello più basso
compatibilmente con la capienza e la dilatabilità dei vasi.
→ Il cuore deve quindi deve esercitare una pressione supplementare per
fare equilibrio al peso del sangue sovrastante, e un maggior lavoro per
far salire il sangue fino al cervello
→ Se la pressione idrostatica della colonna di sangue sovrastante supera
la pressione esercitata dal cuore, il sangue non arriva più al cervello.
760 mmHg → colonna di 10 m di acqua
100 mmHg → pressione di una colonna di acqua (o sangue) di 1,3 m
Una pressione sistolica di 100 mmHg può fare equilibrio a un dislivello di
oltre un metro (la distanza cuore cervello non supera mezzo metro)
In condizioni di accelerazioni intense la circolazione cerebrale si può
arrestare
Valori della pressione media venosa e arteriosa
in un soggetto in posizione eretta
La densità del mercurio è 13,6 volte più grande di quella del’acqua
10 mmHg
10*13.56= 136 mmH2O = 13.6 cmH20
100 mmHg
100*13.58 = 136 mmH2O = 1.36 mH20
acqua
Hg
100 mm
1.36 m
Effetto della pressione idrostatica sui vasi venosi
Le pareti dei vasi venosi sono sottili e contengono poco tessuto
elastico.
→ La pressione idrostatica nei vasi degli arti inferiori tende a far
dilatare le vene.
Questo inconveniente in parte ovviato da
• la presenza nelle vene delle valvole a nido di rondine: hanno la
funzione di spezzare la colonna di sangue e di diminuire la
pressione sulla parete venosa
• la contrazione dei muscoli, intorno alla vena, aiuta il ritorno del
sangue al cuore, impedendo la stasi del sangue nelle vene
Un cattivo funzionamento delle valvole venose e dei muscoli degli
arti inferiori ha come conseguenza l’indebolimento e la
deformazione della parete venosa (vene varicose)
Quando un individuo passa bruscamente dalla posizione supina a
quella eretta, si può verificare un rallentamento della circolazione
nelle regioni cerebrali, dovuta a una temporanea stasi del sangue
nei territori venosi degli arti inferiori, dove la pressione idrostatica
aumenta bruscamente
Forze agenti su un corpo immerso in un fluido
?
Principio di Archimede
Enunciato
Un corpo completamente o parzialmente immerso in fluido è soggetto ad una forza (spinta di
Archimede) diretta verticalmente dal basso verso l’alto, in modulo pari al peso del fluido spostato, ed
applicata nel centro di massa del fluido spostato (centro di spinta S).
FA  M fl .sp . g  V fl .sp . fl . g
centro di
massa del
fluido
spostato
peso del
fluido
spostato
fluido spostato
S
S
h
H
H
H
il peso del corpo è uguale al peso
di un volume di fluido minore di
quello del corpo
il peso del corpo è uguale al peso
di un uguale volume di fluido
il peso del corpo è minore del peso
di un uguale volume di fluido
 s.   fl .
 S   fl .
 S   fl .
tessuto
densità (g/cm3)
osso corticale
1.990
pelle
1.100
sangue
1.060
muscolo
1.041
acqua
0.993
grasso
0.928
aria
0.0012
Applicazioni: compressione articolare
80 kg
80
?
?
80 kg
80
?
?
80 kg
80
40
40
80 kg
80
?
?
80 kg
70
?
?
80 kg
70
35
35
80 kg
80 kg
50
?
80 kg
50
50
50
70
80
35
40
40
35
50
72
Percent of
Bodyweight
10%
33%
50%
80
80
?
Depth of
Immersion
C7
Xyphoid
ASIS
?
40
40
72
Percent of
Bodyweight
10%
33%
50%
80
80
4
Depth of
Immersion
C7
Xyphoid
ASIS
4
40
40
Depth of
Immersion
C7
Xyphoid
ASIS
80
?
Percent of
Bodyweight
10%
33%
50%
80
40
?
40
40
Depth of
Immersion
C7
Xyphoid
ASIS
80
20
Percent of
Bodyweight
10%
33%
50%
80
40
20
40
40
65
70
?
70
?
35
35
65
70
2.5
70
2.5
35
35
70
70
10
?
?
35
35
70
70
10
30
30
35
35
45
50
50
5
50
50
50
?
50
50
50
50
50
Equilibrio del corpo umano in acqua

Farch

P
Dinamica dei fluidi e
Circolazione del sangue
Moto stazionario
Moto Stazionario
Il moto di un fluido si dice stazionario se il valore delle grandezze fisiche (pressione, densità e velocità del
fluido) in un punto qualsiasi dello spazio interessato dal moto del fluido si mantiene costante nel tempo.
A

vA
Nel punto A, la pressione, la
densità e la velocità del fluido
restano costanti nel tempo
B

vB
Nel punto B, la pressione, la
densità e la velocità del fluido
restano costanti nel tempo
La pressione, la densità e la velocità nel punto A possono essere diverse da quelle nel punto B
Equazione di continuità
• Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la massa
di fluido compresa fra due sezioni S1 e S2 del tubo resta costante nel tempo.
• Dunque, la massa di fluido che attraversa le sezioni S1 in un certo intervallo di tempo deve essere
uguale alla massa di fluido che attraversa la sezione S2 nello stesso intervallo di tempo.
• Affinché ciò accada deve risultare:
S1v1  S 2 v2
Se la sezione del tubo diminuisce,
allora la velocità del fluido aumenta.
(Equazione di continuità)
S1
S2
v2
v1
il prodotto
Sv
(portata) è lo stesso in tutte le sezioni del tubo.
Velocità del sangue
I capillari sono i vasi sanguigni di sezione
minore, posti tra l'estremo terminale di
un'arteria e quello distale di una vena.
A livello dei capillari avviene lo scambio
di acqua, ossigeno, anidride carbonica, e
molti altri nutrienti chimici e sostanze di
scarto tra sangue e tessuti limitrofi.
Il capillare è capace di nutrire tessuto
per un raggio di 1mm. Quindi, il numero
di capillari in un tessuto dipende dalla
massa del tessuto stesso.
È questo particolare che impedisce o
permette lo sviluppo di un tumore. Se il
tumore ha capacità angiogeniche (di
sviluppare nuovi vasi sanguigni a partire
da altri già esistenti) avrà quindi
possibilità di aumentare di volume.
Teorema di Bernoulli
1
p  gh  v 2
2
In un fluido ideale e pesante, in moto stazionario in un sottile tubo di flusso, la somma
è la stessa in tutte le sezioni del tubo
p1
v1
S1
S2
p2
v2
h1
h2
1 2
1 2
p1  gh 1  v1  p2  gh 2  v2
2
2
Effetto Venturi
placca
S1
v1
S2
arteria
v2
p1 = pest
p2 < pest
pest
pest
equazione
di continuità
S1v1  S 2 v2
teorema
di Bernoulli
1
1
p1  gh 1  v12  p2  gh 2  v22
2
2
v1  v2
p1  p2
In corrispondenza della strozzature la velocità aumenta, ma la pressione diminuisce (effetto Venturi).
Stenosi di un arteria
A livello della strozzatura, la pressione esterna non è più equilibrata dalla pressione interna e la sezione S2 tende a
restringersi ancora, deformando la parete dell’arteria.
placca
arteria
v1
v2
S1
S2
p2 < pest
p1 = pest
Fel.
pest
pest
Ciò provoca un ulteriore aumento di v2 e un ulteriore diminuzione di p2 (effetto Venturi) e dunque un
ulteriore restringimento di S2, innescando un circolo vizioso.
Questo si arresta quando la forza di reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua
deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione.
Se l’arteria si chiude completamente, v2 si annulla, ma allora, per il teorema di Bernoulli, p2 diventa
maggiore di p1 e l’arteria si riapre.
placca
S1
p2 > pest
v1
S2 = 0
v2 = 0
p1 = pest
Fel.
pest
pest
1 2
1 2
p1  gh 1  v1  p2  gh 2  v2
2
2
p2  p1
Appena riaperta, tuttavia, l’arteria tende a richiudersi, per effetto Venturi (spasmi dell’arteria).
Tipicamente l’interruzione del flusso (infarto) ha luogo quando un frammento di placca si distacca dalla parete
dell’arteria, entra in circolo, e va ad occludere una stenosi (restringimento) pre-esistente.
placca
Aneurisma
pest
pest
Fel.
p2 > pest
p1 = pest
S1
arteria
S2
v1
v2
In corrispondenza dell’allargamento la velocità diminuisce, ma la pressione aumenta (effetto Venturi).
A livello dell’allargamento, la pressione interna non è più equilibrata dalla pressione esterna e la sezione S2 tende
a dilatarsi ancora, deformando la parete dell’arteria.
Ciò provoca un ulteriore diminuzione di v2 e un ulteriore aumento di p2 (effetto Venturi) e dunque un
ulteriore allargamento di S2, innescando un circolo vizioso.
Questo si arresta quando la forza della reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua
deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione.
Tuttavia la parete dell’arteria, sotto sforzo, perde elasticità nel tempo ed il processo diventa inarrestabile, fino
alla rottura della parete dell’arteria.
Portanza
S2
p2
S1
p1
La pressione al di sopra dell’ala è minore
di quella imperturbata a monte dell’ala
(il tubo di flusso si restringe).
S1  S 2
p1
p1= pimp

p1  pimpert  p2
La pressione al di sotto dell’ala coincide
circa con quella imperturbata a monte
dell’ala (il tubo di flusso mantiene sezione
circa uguale).
Questa differenza di pressione fra la parte inferiore e la parte superire dell’ala genera una forza diretta verso l’alto
nota col nome di portanza.
Viscosità
Fluidi ideali in moto stazionario
Fluidi viscosi in moto stazionario (laminare)
R
l
Il moto del fluido si mantiene anche senza una
differenza di pressione fra 2 qualsiasi sezioni del
condotto.
R0
Per mantenere il fluido in moto è necessario applicare
agli estremi del condotto una differenza di pressione,
che serve per vincere il lavoro delle forze di attrito.
resistenza la flusso
R
8 l
R 4
: coefficiente di viscosità)
Visualizzazione del moto laminare in un condotto cilindrico
Sezione del condotto cilindrico contenente il suo asse
Sezione del condotto
cilindrico ortogonale
al suo asse
Moto turbolento
Se la velocità del fluido nel condotto viene progressivamente incrementata , aumentando la differenza di pressione agli
estremi del condotto, si ha il passaggio dal regime di moto laminare al regime di moto turbolento
Moto laminare
vmax  

 vcrit
( d / 2 )
silenzioso
Moto turbolento
v max  vcrit
rumoroso
Caratteristiche del moto turbolento
Numero di Reynolds 
• Aumento della resistenza del condotto e della dissipazione di
energia per attrito.
• Un volumetto di fluido catturato in un vortice, pur avendo
una velocità propria notevole, avanza nel condotto assieme
al vortice, che si muove in modo relativamente lento.
• Vale circa 1200 per condotti rettilinei
• In corrispondenza di strozzature o gomiti
diminuisce (in corrispondenza di irregolarità
il moto diventa più facilmente turbolento).
Effetto della distensibilità dei vasi
Aorta
Se i vasi fossero rigidi la pressione del sangue nelle arterie cadrebbe rapidamente a zero durante la fase del ciclo
cardiaco in cui la valvola aortica rimane chiusa (linea continua).
A causa della distensibilità delle arterie, durante la sistole la parete dell’aorta si dilata. Quando la valvola aortica si
chiude, inizia la fase diastoica in cui la pressione nell’aorta diminuisce gradualmente, senza annullarsi, a causa
dell’effetto di compressione da parte della parete elastica dell’arteria, che tende a ritornare nelle condizioni di
partenza
La distensibilità delle arterie permette di immagazzinare, durante la sistole, parte dell’energia cinetica del sangue
sotto forma di energia potenziale elastica, accumulata nelle pareti, che si riconverte in energia cinetica del sangue
durante la fase di diastole.
Si ottiene così un andamento della
pressione che varia da un valore
massimo, o sistolico, ad un valore
minimo, o diastolico.
Arterie
La dilatazione delle pareti delle arterie inizia nell’aorta, all’uscita del sangue dal cuore, e si propaga via via
lungo le arterie: la pressione sistolica produce una deformazione elastica che si propaga lungo le pareti
delle arterie (onda sfigmica) con una velocità u che dipende dalle caratteristiche elastiche delle pareti ed è
superiore alla velocità media del sangue v. Questa deformazione elastica delle pareti aiuta il moto del
sangue e mantiene una portata relativamente costante malgrado l’intermittenza della pompa cardiaca.
L’aumento della rigidità delle pareti arteriorse (arteriosclerosi) provoca un aumento della velocità dell’onda
sfigmica, e dunque spinte brevi nel tempo sulla massa locale di sangue che avanza con velocità molto
minore e non riesce a seguire l’impulso elastico. In questo caso, la pulsatitilità della parete fornisce un
minor aiuto all’avanzamento del sangue che deve essere compensato da un aumento di pressione generato
da un maggior lavoro della pompa cardiaca (ipertensione).
Misura della pressione del sangue
Lo sfigmomanometro
Lo sfigmomanometro consiste in una fascia di materiale non dilatabile che nella parte interna forma una
camera di gomma in cui si pompa aria e che è connessa a un manometro. L’aria viene immessa mediante un
palloncino munito di una valvola.
Misura della pressione del sangue
1.
La fascia viene applicata al braccio, l’aria viene pompata in modo da comprimere l’arteria sottostante, fino ad
applicare su questa una pressione p1 maggiore di quella sistolica (pressione massima), bloccando così il
trasporto del sangue. L’arresto delle pulsazioni può essere rilevato con uno stetoscopio applicato
sull’articolazione interna dell’avaraccio dove l’arteria scorre superficialmente.
2.
A partire dal valore p1 (arteria completamente chiusa), si apre la valvola in modo che l’aria esca lentamente e la
pressione della fascia elastica diminuisca gradualmente. In questo modo si determinano:
Pressione sistolica (ps) o pressione massima:
pressione a cui si avverte la ripresa delle pulsazioni, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione
(p1 → ps → p2) da silenzio (arteria completamente chiusa) a rumore turbolento pulsato (successiva apertura e
chiusura dell’arteria) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.
Pressione diastolica (pd) o pressione minima:
pressione a cui scompare il rumore pulsato, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p3 → pd
→ p4) da rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) a silenzio in regime laminare
(arteria completamente aperta) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.
Dal momento che il braccio è allo
stesso livello del cuore, le misure
di pressione del sangue al braccio
fornisce valori prossimi a quelli
vicino al cuore (nelle grandi
arterie la dissipazione di energia
per attrito e la corrispondente
diminuzione di pressione è
modesta anche per percorsi di
alcune decine di cm).
Pressione in una grossa arteria
Pressione nella fascia elastica
4. ONDE IN MEZZI ELASTICI
• Onde meccaniche in mezzi elastici
• Il suono e gli ultrasuoni
• Gli ultrasuoni in medicina
Onde meccaniche in mezzi elastici
Onde elastiche
Onde elastiche
• Se in una regione limitata di un mezzo materiale viene prodotta una piccola deformazione, si generano forze di
richiamo di tipo elastico (proporzionali alla deformazione) che tendono a riportare le particelle del mezzo nella
posizione di equilibrio.
• Le particelle del mezzo, essendo sottoposte a forze di richiamo di tipo elastico, si muovono di moto armonico
attorno alla posizione di equilibrio.
• A causa dell’interazione a corto raggio esistente fra tra le particelle del mezzo, questa perturbazione vibratoria si
propaga nel mezzo con una velocità che dipende dalla natura del mezzo, dalla direzione di propagazione (se il
mezzo non è isotropo), e dal carattere trasversale o longitudinale della vibrazione.
Esempio
Il lancio di un sasso in uno specchio d’acqua inizialmente in quiete produce una perturbazione ondosa che si
manifesta con l’apparire di una serie di anelli concentrici di liquido perturbato che si allontanano dal punto dove è
caduto il sasso. L’arrivo dell’onda produce nelle particelle di liquido via via interessate dal fenomeno un moto
oscillatorio su orbita chiusa; passata l’onda le particelle tornano in quiete nella stessa posizione di equilibrio che
occupavano prima dell’arrivo dell’onda.
Propagazione di energia
Ciò che si propaga non è materia, ma solo il movimento di particelle attorno alle loro posizioni di equilibrio, a cui
è associato un trasferimento di energia (cinetica e potenziale).
Onde longitudinali e onde trasversali
Onde trasversale
Le particelle del mezzo si spostano perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda
(onda in una corda o in una fascia in tensione)
direzione di
propagazione
dell’onda
Onda longitudinali
Le particelle del mezzo si spostano parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda
(onda di densità in un gas contenuto in un recipiente chiuso da un pistone che si muove di moto armonico)
Onde sinusoidali: lunghezza d’onda
Onda sinusoidale
y
t
A
t + t
x
-A
Lunghezza d’onda
  lunghezza d’onda: minima distanza fra
due punti del mezzo che vibrano in fase
y


x
Onde sinusoidali: periodo e frequenza
Periodo
T

v
Periodo: tempo necessario ad un
punto P del mezzo per compiere
un’oscillazione completa
t
P
Frequenza
f 
1
T
Frequenza: numero di oscillazioni che un
punto del mezzo compie al secondo
t T
P
Effetto Doppler
L’effetto Doppler
L'effetto Doppler consiste nel cambiamento apparente della frequenza fR di
un'onda percepita da un ricevitore (R), rispetto alla frequenza fS emessa dalla
sorgente (S) dell’onda, quando S ed R sono in moto relativo fra loro:
• se R ed S si avvicinano fra loro: fR > fS
• se R ed S si allontanano fra loro: fR < fS
Analisi quantitativa
Se S e R si muovono lungo la medesima retta di moto uniforme si trova che:
(c = velocità di propagazione dell’onda)
esempi di avvicinamento

vS
fR 
c  (vR )
fS
c  (vS )
esempi di allontanamento

vR

vR

vS
x

vS
x

vS

vR
x

vR
x
Effetto Doppler: sorgente in quiete
Sorgente in quiete rispetto al mezzo di propagazione
fR 
c  (vR )
fS
c  (vS )
vS  0 
fR 
c  (vR )
fS
c

vR
• R si allontana da S
x
fR 
c  vR
fS
c

fR  fS

vR
• R si avvicina a S
x
fR 
c  vR
fS
c

fR  fS
Effetto Doppler: ricevitore in quiete
Ricevitore in quiete rispetto al mezzo di propagazione
fR 
c  (vR )
fS
c  (vS )
vR  0

fR 
c
fS
c  (vS )

vS
• S si allontana da R
x
fR 
c
fS
c  vS

fR  fS

vS
• S si avvicina a R
x
fR 
c
fS
c  vS

fR  fS
Il suono e gli ultrasuoni
Il suono
Il suono
L’orecchio umano è in grado di percepire onde elastiche la cui frequenza f è compresa fra 20 Hz e 20 kHz.
In questo intervallo di frequenze le onde elastiche sono chiamate suoni.
Velocità del suono
Poiché la velocità vs del suono in aria è di circa 340 m/s (alla temperatura di 15 °C e a pressione
atmosferica) la lunghezza d’onda del suono in aria (  = vs / f ) è compresa fra 17 mm e 17 m
Pressione sonora
Nei gas la propagazione di un’onda dà luogo a
zone di compressione e di rarefazione, e
determina una variazione di pressione
istantanea che con successive compressioni e
rarefazioni, è in grado di porre in vibrazione una
membrana, ad esempio il timpano nell’orecchio
umano.
Gli ultrasuoni
Ultrasuoni
Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori a 20 kHz.
Produzione e rilevazione
• Per produrre ultrasuoni si ricorre in generale a cristalli piezoelettrici: quando a questi cristalli viene applicata
una differenza di potenziale elettrico alternata essi si mettono a vibrare con una frequenza uguale a quella
delle oscillazioni elettriche che li sollecitano.
• L’effetto inverso si sfrutta nella rilevazione degli ultrasuoni: questi stessi cristalli, sottoposti a vibrazioni
meccaniche ultrasonore, generano una d.d.p. elettrico alla stessa frequenza, facilmente misurabile con
opportuni dispositivi elettronici.
+
+
+
+
-
-
-
+
animazione
-
+
+
-
-
• In questo modo si possono emettere o rilevare ultrasuoni con frequenza f fino a 1 GHz e lunghezza d’onda  in
aria (v ≈ 340 m/s) di 0.34 m ed in acqua (v ≈ 1500 m/s) di 1.5 m ( = v / f ). La lunghezza d’onda così piccola di
questi ultrasuoni, circa dell’ordine di quelle della luce, fa sì che essi si propaghino rettilineamente, costituendo
dei veri e propri raggi sonori: un fascio di simili ultrasuoni è altamente direzionale.
• I generatori di ultrasuoni utilizzati in medicina hanno intensità I che varia da 10-4 a 10 W/cm2.
Interazione degli ultrasuoni con la materia
• Per I =10 W/cm2 e f = 1 MHz si ottengono onde di pressione di 5.5 atmosfere di ampiezza: due punti
situati a mezza lunghezza d’onda di distanza (0.75 m nell’acqua) sono sottoposti ad una differenza di
pressione istantanea di 11 atmosfere, cui corrisponde un’accelerazione istantanea delle particelle del
mezzo, sottoposte ad un simile gradiente di pressione, di circa 2.3∙105 volte l’accelerazione di gravità.
• Un fascio di ultrasuoni ad alta intensità può dare luogo ad intense azioni meccaniche e alla produzione di
calore nei materiali, provocare la rottura di grosse molecole, generare fenomeni di cavitazione nei
liquidi, e aumentare la velocità di reazioni chimiche.
• L’energia trasportata da un fascio di ultrasuoni viene assorbita nei mezzi materiali secondo una legge di
tipo esponenziale
I ( x )  I 0 e  x
I0= intensità incidente;
I(x) = intensità trasmessa dopo l’attraversamento di uno spessore x
 = coefficiente di assorbimento (dipende da f e dal materiale attraversato)
Per i materiali biologici e frequenze comprese fra 0.5 e 15 MHz,  è proporzionale a f.
Gli ultrasuoni in medicina
Gli ultrasuoni nella diagnostica medica
Flussimetria Doppler
Tecnica che consente la misura della velocità (portata) del sangue in modo non invasivo utilizzando l’effetto
doppler con onde ultrasonore.
Sonda
(sorgente in quiete)
trasmittente
ricevitore
fascio ultrasonoro
emesso dalla sonda
globuli rossi
(ricevitore mobile)
vB
c
Sonda
(ricevitore in quiete)
c  vB
fS
c  vB
fascio ultrasonoro
riflesso dal sangue
fR  fS 
globuli rossi
(sorgente mobile)
c

c  vB
fS
c
(B = blood)
trasmittente
ricevitore
fR 
fB 
fR  fS 
vB
2v B
2v
fS  B fS
c  vB
c
2v B cos 
2v cos 
fS  B
fS
c  v B cos 
c
Nel caso in cui il vaso forma
un angolo  col fascio
Misurando la variazione di frequenza fra fascio emesso e fascio ricevuto
per riflessione è possibile ottenere la velocità media del sangue VB
fR 
c
fB
c  vB
Ecografia
L’ecografia è una tecnica basata sulla riflessione da parte di interfacce tra mezzi
acustici diversi attraversati da un fascio ultrasonoro.
• Un trasduttore piezoelettrico viene posto a contatto con la pelle tramite un gel,
che agisce come sostanza conduttrice del suono, ed emette brevi impulsi di onde
ultrasonore (della durata da 1 a 5 s, per circa 200 volte al secondo, ciascuno a
frequenze da 1 a 15 MHz).
• Il fascio ultrasoro viene riflesso da parte delle interfacce tra mezzi acustici diversi
(grasso/muscolo etc.) che si trovano a diverse distanze lungo la direzione del
fascio.
• Lo stesso trasduttore piezoelettrico riceve le onde riflesse (echi) prodotti dalle
superfici poste perpendicolarmente alla traiettoria del fascio in tempi diversi a
secondo della distanza complessiva percorsa dal fascio.
• Il tempo che intercorre fra tra l’emissione degli impulsi e la ricezione delle onde
riflesse dalle interfacce, nota la velocità di propagazione nel mezzo, consente di
misurare la distanza tra il trasduttore e le interfacce stesse.
• I segnali ecografici ricevuti dalla sonda vengono elaborati elettronicamente per
fornire una immagine della anatomia della zona esplorata.
Una sonda ecografica è costituita da numerosi elementi piezoelettrici
che consentono di esplorare un angolo superiore a 60°.
tessuto
densità (g/cm3)
v (m/s)
Z ( kg m-2 s-1)
osso
1.990
3760
7.48
pelle
1.100
1537
1.69
sangue
1.060
1584
1.68
muscolo
1.041
1580
1.64
acqua
0.993
1527
1.52
grasso
0.928
1476
1.36
aria
0.0012
340
0.0004
Gli ultrasuoni nella terapia medica
Terapia fisica
Gli ultrasuoni svolgono un’azione diretta, di tipo meccanico e termico, impiegata localmente su determinati
tessuti, per la cura di nevralgie, artrosi, lombalgie e reumatismi.
Nel caso in cui si richiede un effetto termico localizzato, il fascio di ultrasuoni, a bassa intensità, viene
spostato continuamente sull’area da trattare, in modo da non sottoporre la zona stessa ad un’azione
prolungata per più di qualche secondo, per evitare danni cellulari.
Terapia dei calcoli
I calcoli vengono frantumanti da onde meccaniche ultrasoniche impulsate ad alta intensità (litotrizione).
Odontoiatria
L’azione frantumatrice degli ultrasuoni viene sfruttata, anche se con intensità inferiore, per eliminare il
tartaro (formazione calcarea che si forma alla base dei denti).
Gli ultrasuoni vengono anche impiegati per devitalizzare i nervi dei canali dentari
Oculistica
Negli interventi sulla cataratta, il cristallino viene eliminato frantumandolo con ultrasuoni ed aspirandone i
residui.
Urologia
Gli ultrasoni sono impiegati negli interventi per la cura del tumore alla prostata e dell’ipertrofia prostatica.
Chirurgia vascolare
Impiegando generatori e rilevatori miniaturizzati di ultrasuoni montati all’apice di cateteri, si possono
eseguire interventi per stabilire la composizione della placca arteriosclerotica e causarne la frantumazione,
disostruendo le arterie.
5. TERMOLOGIA
• Calorimetria
• Termoregolazione del corpo umano
• Termodinamica
Calorimetria
Stato termico di un corpo
La temperatura è una grandezza che viene introdotta per descrivere quello che si chiama lo stato termico di un corpo.
La sua introduzione è suggerita dalle sensazioni che di provano toccando corpi diversi: uno di essi ci può apparire più
caldo di un altro.
Osservazioni sperimentali
• Se due corpi, dei quali uno è stimato più caldo dell’atro, vengono lasciati a contatto per un tempo sufficientemente lungo, finiscono per sembrare ugualmente caldi: si dice che hanno raggiunto l’equilibrio termico.
• Al variare dello stato termico di un corpo (della sensazione di più o meno caldo che esso può dare) variano i
valori che per esso assumono alcune grandezze fisiche come la lunghezza, il volume, il colore, etc.
Termoscopio
Si può pensare di scegliere uno di questi corpi (sostanza termometrica) e porre attenzione ad una sua proprietà
che dipende dallo stato termico del corpo (proprietà termometrica) per realizzare uno strumento
(termoscopio) che consente di paragonare oggettivamente gli stati termici dei corpi.
Esempio di termoscopio
Si introduce mercurio (sostanza termometrica) in un recipiente formato da un bulbo ed un capillare e si osserva
l’altezza della colonna liquida nel capillare (proprietà termometrica).
Utilizzo del termoscopio
Disponendo il termoscopio successivamente a contatto
con ciascuno dei corpi in esame, stabilito l’equilibrio
termico, la proprietà termometrica assume valori che
possono essere usati per il confronto dello stato termico
dei corpi stessi.
corpo 1
corpo 2
Temperatura
Scale termometriche
Per giungere ad una valutazione numerica della temperatura (T) si prendono in considerazione stati termici
che diano affidamento di stabilità e di facile riproducibilità (ad esempio i punti di fusione o ebollizione di
sostanze semplici a pressione atmosferica normale) e si assegnano ad essi valori convenzionali di T. Si realizza
così un termometro in gradi di valutare quantitativamente la temperatura di un corpo
Scala centigrada
Punto fisso di riferimento
Temperatura in gradi centigradi (°C)
Punto di fusione del ghiaccio a pressione atmosferica normale
0 °C
Punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica normale
100 °C
Si pone il termoscopio nel ghiaccio fondente e successivamente nei vapori di acqua bollente a p.a.n.,
l’intervallo delle posizioni raggiunte dall’indice della proprietà termometrica nelle due misure viene diviso in
100 parti. Questa taratura fra 0 °C e 100 °C viene estesa al di sopra e al di sotto usando una legge lineare.
Scala delle temperature assolute
Oltre alla sostanza e alla proprietà termometrica, è possibile scegliere anche la scala termometrica basandosi
sulle proprietà dei gas perfetti. Con al scala delle temperature assolute
Tass  Tcent  273 .15
• le equazioni termodinamiche che riguardano i gas perfetti diventano particolarmente semplici,
• lo zero della scala ha un significato fisico importantissimo: è una temperatura limite inferiore che non può
essere raggiunta (si violerebbe il secondo principio della termodinamica).
Calore
Interpretazione microscopica
Il calore è legato a quella particolare energia (cinetica e potenziale) che i corpi posseggono in virtù dello
stato di moto individuale e disordinato delle particelle che lo costituiscono (moto di agitazione termica).
Calore e temperatura
Al variare della temperatura questi moti sono alterati, nel senso che ad essi compete una maggior
energia all’aumentare della temperatura.
Equipartizione dell’energia
Il raggiungimento dell’equilibrio termico fra due corpi posti a contatto, e inizialmente a temperature
diverse, corrisponde ad un passaggio di energia dalle particelle del corpo più caldo a quelle dell’altro, e ad
una ripartizione dell’energia totale fra i gradi di libertà delle particelle componenti i corpi del sistema.
Questo trasferimento di energia dovuto alla differenza di temperatura corrisponde a quantità di calore
che dal corpo più caldo passano a quello più freddo.
Definizione di calore
La quantità di calore richiesta per far passare un corpo da una temperatura T1 a una temperatura T2 non è
altro che l’energia che il corpo deve scambiare con l’esterno in modo che i moti delle sue particelle
passino da quelli caratteristici per il primo stato a quelli caratteristici per il secondo stato.
Dimensioni fisiche e unità di misura del calore
Il calore ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia; l’ unità di misura nel S.I. è il Joule.
Calore specifico, caloria
Calore specifico
La quantità di calore necessaria per far passare un corpo da una temperatura T1 ad una T2 (non distante da T1) è:
1) proporzionale alla massa del corpo
2) dipende dalla natura del corpo
3) proporzionale a T2 -T1 ;
Q  cm (T2  T1 )
c = calore specifico.
Rappresenta la natura del corpo nei riguardi della quantità
di calore richiesta per variare la sua temperatura
cm = capacità termica del corpo
Caloria
Viene spesso utilizzata un’altra unità di misura per le quantità di calore, la caloria, definita come la
quantità di calore richiesta per innalzare la temperatura di un grammo di acqua da 14,5 a 15,5 °C
1 caloria  4.1868 joule
Trasmissione del calore: convezione
Trasmissione del calore
La trasmissione del calore consiste nel passaggio di quantità di calore da un corpo ad un altro, o da una
parte di un corpo ad un’altra. Essa avviene attraverso tre diversi meccanismi: convezione, conduzione e
irraggiamento.
Convezione
La convezione è il modo di propagazione del calore a cui è associato movimento di materia: essa può
presentarsi nei liquidi e negli aeriformi nei quali le particelle sono libere di muoversi e cambiano densità
con la temperatura.
Descrizione quantitativa della convezione
Quantità di calore trasmessa per convezione nell’unità di tempo attraverso la superficie S
Q
 K conv S T
t
Meccanismo della convezione
Ad eccezione dell’acqua al di sotto di 4 °C, l’aumento
della temperatura produce una diminuzione della
densità (aumento il volume a parità di massa).
Per il principio di Archimede le particelle calde tendono
a portarsi nella parte più elevata della massa fluida e
quelle più fredde nella parte inferiore.
Si creano correnti nella massa ed un rimescolamento in
conseguenza dei quali il calore è trasmesso da una
parte all’altra del fluido.
Esempi
• Liquido in una pentola scaldata sul fondo
• Impianti a termosifone
• Correnti oceaniche
• Impianti di ventilazione
• Formazione dei venti
• Brezza di terra e brezza di mare
Trasmissione del calore: conduzione
Conduzione
La conduzione è il modo di propagazione del calore a cui non è associato movimento di materia. Si verifica
soprattutto nei solidi quando due corpi a diversa temperatura sono posti a contatto o due parti dello stesso
corpo si trovano a temperature diverse.
Descrizione quantitativa
Quantità di calore (Q) trasmessa nell’unità di tempo (t) attraverso una qualsiasi sezione S di una sbarra di
lunghezza l le cui estremità sono mantenute a temperature T1 e T2 differenti (legge di Fourier):
Q
T
 K cond S
t
l
T2
S
Conducibilità termica di alcune
sostanze a T ambiente
T1
l
Meccanismo microscopico
Le molecole dei solidi, nel loro moto di agitazione termica,
oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio con
ampiezza proporzionale alla loro energia. La trasmissione
di calore per conduzione corrisponde al trasferimento di
energia dalle molecole più calde alle molecole più fredde
per interazione fra molecole adiacenti.
sostanza
Kcond (J m-1 s-1 °C-1)
rame
ferro e acciaio
ghiaccio
vetro
acqua
pelle secca
neve
legno
sughero
polistirolo
lana di vetro
aria
3.85·102
4.60
2.17
0.84
0.585
0.251
0.210
0.125
0.042
0.040
0.0389
0.0230
Trasmissione del calore: irraggiamento
L’irraggiamento è quel processo di trasmissione del calore nel quale l’energia è trasportata nello spazio fra un
corpo e l’altro mediante onde elettromagnetiche (radiazione).
Elettromagnetismo
Termoregolazione del corpo umano
Termoregolazione
La temperatura del corpo umano è relativamente uniforme e costante (a circa 37 °C) indipendentemente
dalle condizioni ambientali esterne.
• La convezione del sangue è il meccanismo principale con cui il corpo umano è in grado di mantenere una
temperatura quasi uniforme fra le sue parti.
• Affinché la temperatura del corpo resti costante è necessario che la quantità di calore prodotto nel corpo
sia uguale alla quantità di calore eliminata (dissipata) dal corpo attraverso la superficie cutanea.
quantità di calore
prodotto nel corpo
=
quantità di calore eliminato (dissipato)
dal corpo attraverso la superficie cutanea
La dissipazione del calore ha luogo per mezzo di tre meccanismi
Dissipazione di calore per conduzione
– Se Tambiente < Tcorpo una parte del calore superfluo viene dissipata per conduzione fra la pelle e l’aria.
– Il calore dissipato per conduzione dal corpo è proporzionale a Tcorpo - Tambiente (legge di Fourier).
Dissipazione di calore per irraggiamento
– A 37 °C il corpo umano emette nello spazio circostante radiazioni principalmente nel campo dell’ infrarosso.
– Se Tambiente < Tcorpo la quantità di energia emessa dal corpo per irraggiamento è superiore a quella assorbita.
– Il calore dissipato per irraggiamento dal corpo è approssimativamente proporzione a Tcorpo - Tambiente
Dissipazione di calore per sudorazione e respirazione
– In entrambi i casi si ha evaporazione di acqua dalla superficie del corpo.
– Il calore necessario per l’evaporazione del sudore (o dell’acqua all’interno dei polmoni) viene sottratto dal corpo.
– Il calore dissipato per evaporazione aumenta all’aumentare di Tambiente.
– Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore.
Contributo relativo dei meccanismi di dissipazione
A 23 °C il calore viene eliminato per il 15% per conduzione, per il70% per irraggiamento, e per il 15% per sudorazione.
A 30 °C il calore viene eliminato per il 10% per conduzione, per il45% per irraggiamento, e per il 45% per sudorazione.
Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore
Termoregolazione del corpo umano in presenza di condizioni ambientali estreme
Effetti sul corpo e
reazioni del corpo
Effetto sui meccanismi di
trasmissione del calore
Condizioni
ambientali
Ambiente freddo
(temperature esterna bassa)
Ambiente secco
(umidità relativa bassa)
Ambiente umido
(umidità relativa elevata)
la quantità di calore dissipata dal
corpo verso l’esterno per
conduzione ed irraggiamento
tende ad aumentare.
Per mantenere la T cost. bisogna
aumentare la produzione di calore
nel corpo e diminuire la
dissipazione verso l’esterno.
la quantità di calore dissipata dal
l’evaporazione di acqua dalla
corpo verso l’esterno per
superficie del corpo è
conduzione ed irraggiamento tende fortemente favorita
a diminuire.
Per mantenere la T cost. bisogna
diminuire la produzione di calore
nel corpo e aumentare la
dissipazione verso l’esterno.
l’elevato grado di umidità
ostacola l’evaporazione del sudore e
rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore
Per diminuire la dissipazione il
corpo reagisce con una
vasocostrizione che ha l’effetto
di ridurre il trasferimento di calore
dall’interno alla superficie del
corpo (ridurre la differenza di
temperatura fra superficie del
corpo e l’aria circostante) e quindi
di ridurre la sua dissipazione per
conduzione.
Per aumentare la dissipazione di
calore il corpo reagisce con la
sudorazione e con una
vasodilatazione che ha l’effetto di
aumentare il trasferimento di
calore dall’interno alla superficie
del corpo (aumentare la differenza
di temperatura fra la superficie del
corpo e l’aria circostante) e quindi
di aumentare la sua dissipazione
per conduzione.
Aumentare la dissipazione di
calore: vestiti leggeri e larghi,
ventilazione, ombra.
L’eccessiva siccità può
provocare disturbi
dell’apparato respiratorio,
poiché la notevole
evaporazione all’interno delle
vie respiratorie produce una
pericolosa disidratazione di
queste vie.
in presenza di un
ambiente esterno molto
caldo sarebbe necessario
poter sudare
abbondantemente, ma
l’elevato grado di umidità
ostacola l’evaporazione
del sudore, provocando
una sensazione di caldo
soffocante
E’importante mantenere il
giusto grado di umidità
relativa (50-69%) nelle
abitazioni
In ambiente umido e’ difficile per il corpo difendersi dagli
eccessi di temperatura.
Ridurre la dissipazione di calore:
vestiti basso coeff. cond. termica.
Precauzioni
e Commenti
Ambiente caldo
(temperatura esterna elevata)
Aumentare la produzione di
calore: esercizio fisico, cibo
elevato contenuto calorico.
Ridurre la produzione di calore:
riposo, cibi ridotto contenuto
calorico.
Se l’ambiente esterno è
freddo, anche se è umido,
l’ambiente interno delle
abitazioni riscaldate può
essere pericolosamente
secco (l’umidità relativa, a
parità di umidità assoluta,
diminuisce all’aumentare
della temperatura)
se l’ambiente esterno è
molto freddo, sarebbe
necessario poter isolare il
corpo dall’ambiente
esterno, mentre invece
l’elevata umidità rende la
pelle e i vestiti migliori
conduttori di calore e
quindi ostacola la difesa
dal freddo.
Al contrario, in climi secchi il corpo umano è in grado di
sopportare temperature estreme molto meglio che non in
climi umidi
Termodinamica
Termodinamica
Termodinamica
La termodinamica studia il comportamento di sistemi complessi, costituiti da un gran numero di particelle
in processi in cui sono coinvolti scambi di calore e/o variazioni di temperatura.
Uno dei sistemi termodinamici di maggior interesse è il gas perfetto: tutti gas ad elevate rarefazioni ed
alte temperature mostrano il medesimo comportamento e per essi è stato introdotto un modello ideale
(gas perfetto) che ne riproduce il comportamento limite.
Variabili stato
Per questi sistemi non è possibile determinare lo stato di moto delle singole particelle del sistema
(microstato del sistema) applicando i metodi della meccanica.
Il comportamento macroscopico del sistema può tuttavia essere descritto per mezzo di un numero limitato
di grandezze globali (variabili di stato) fra le quali è compresa la temperatura:
Pressione (P), Volume (V), Temperatura (T), Potenziale chimico () , Numero di moli (n)
I valori che esse assumono per un certo stato di equilibrio sono caratteristici di quello stato e non
dipendono dal modo in cui lo stato è raggiunto.
Equazioni di stato
Le variabili di stato non sono tutte fra loro indipendenti.
La natura del sistema fissa infatti delle relazioni (equazioni di stato) fra esse.
Per tutti i gas rarefatti a temperature elevate rispetto al punto di liquefazione (gas perfetti) si ha una
relazione che prende il nome di equazione di stato dei gas perfetti:
pV  nRT
R  8.314
J
K mol
Costante universale
dei gas perfetti
Primo principio della termodinamica
Osservazioni sperimentali
Alcune esperienze suggeriscono che la diminuzione di energia meccanica di un sistema soggetto a forze di
attrito (o ad altre forze non conservative) corrisponde esattamente alla quantità di calore prodotta per
attrito. Quindi, considerando anche le quantità di calore nel bilancio complessivo degli scambi di energia
possiamo dire che l’energia totale resta costante.
E P  mgh  0
1
E C  mv 2
2
E P  mgh  0
EC  0

v
si produce calore per attrito

v 0
Primo principio della termodinamica
Il primo principio rappresenta il principio di conservazione dell’energia anche in presenza scambi di quantità
di calore e di trasformazioni di calore in altre forme di energia e viceversa.
Enunciato del Primo principio della termodinamica
Il primo principio si può enunciare dicendo che l’energia dell’universo resta costante.
Secondo principio della termodinamica
Esistono tutta una serie di processi in cui intervengono scambi di quantità di calore o trasformazioni di calore
in altre forme di energia, che pur soddisfacendo il primo principio (conservazione dell’energia), non avvengono
mai nella realtà. Queste limitazioni sono l’oggetto del secondo principio delle termodinamica.
Questo principio può essere espresso in varie maniere, ciascuna delle quali pone in evidenza un aspetto
diverso con cui tali limitazioni si manifestano. E’ possibile però dimostrare che tutte queste espressioni si
equivalgono, giacché una porta di conseguenza l’altra.
Enunciato di Kelvin
E’ impossibile trasformare integralmente e con continuità in lavoro il calore estratto da una
sorgente termica
Enunciato di Clausius
E’ impossibile che una quantità di calore passi spontaneamente (senza che si compia lavoro
dall’ esterno ) da un corpo ad un altro a temperatura maggiore.
Elementi di
6. ELETTROMAGNETISMO
• Campo elettrico e campo magnetico
• Onde elettromagnetiche
• Le radiazioni in medicina
Campo elettrico e campo magnetico
Carica elettrica, legge di Coulomb
Particelle elementari
Particella
Protone
Neutrone
Elettrone
Massa (kg)
mp = 1.6725210- 27
mn = 1.6748210- 27
me = 0.9109110- 30
Dimensioni (m)
 10- 15
 10- 15
< 10- 16
Carica elettrica (Coulomb, C)
e = 1.610-19
0
-e = -1.610-19
Legge di Newton

Mm
Fgr  G 2 rˆ
r
(G = 6.710-11 Nm2kg-2)
M

r  r rˆ
r̂
m
r
Interazione di due cariche puntiformi nel vuoto (legge di Coulomb)

Qq
Fel  K 2 rˆ
r
(K =
9109
Nm2C-2)
Q
r̂

r  r rˆ
q
r
Confronto: atomo di idrogeno
Fel
Fgr

19 2
K e
9  10
(1.6  10 )
39


10
G m p m e 6.7  10 11 1.67  10  27  0.91  10 30
2
9
r  0.5  10 10 m
prot.
elettr.
Campo elettrico
Campo elettrico:
La carica Q genera nello spazio circostante un campo elettrico che può essere rilevato come una forza agente su
una carica di prova q posta in quella regione dello spazio:
 
 
F ( r )  qE ( r )
Campo elettrico: generato da una carica

 
F
Q
E ( r )   K 2 rˆ
q
r
q
r

r  r rˆ

Il vettore r  r rˆ
individua una specifica
la posizione nello spazio
r̂
Q
Unità di misura
Newton/Coulomb
 
 
F ( r )  qE ( r )
Potenziale elettrico
Energia potenziale gravitazionale
Energia potenziale della massa m, nel campo di forza gravitazionale generato dalla massa M
La massa m tende a muoversi verso punti ad energia potenziale minore

r  r rˆ
r̂
M
m
E P ( M , m, r )   G
Mm
r
r
Energia potenziale elettrica
Energia potenziale della carica q, nel campo di forze elettriche generato dalla carica Q
Q
r̂

r  r rˆ
q
E P (Q , q , r )  K
Qq
r
r
Potenziale elettrico
Potenziale elettrico V generato dalla carica Q
Unità di misura
Joule/Coulomb = Volt (V)
V (Q , r ) 
EP
Q
K
q
r
Proprietà
La carica q positiva (negative) tende a muoversi verso punti dello spazio a potenziale elettrico minore (maggiore).
Confronto fra grandezze gravitazionali ed elettriche
Interazione gravitazionale
M
r̂

r  r rˆ
Interazione elettrica
m
Q
r̂
r

r  r rˆ
q
r
Forza generata dalla massa
M sulla massa m


Mm
F ( M , m, r )  G 2 rˆ
r
Forza generata dalla
carica Q sulla carica q


Qq
F (Q , q, r )  K 2 rˆ
r
Campo elettrico generato
dalla carica Q



F
Q
E (Q , r )   K 2 rˆ
q
r
(unità di misura: Newton/Coulomb)
Energia potenziale della massa
m, nel campo di forze generato
dalla massa M
E P ( M , m, r )   G
Mm
r
Energia potenziale della carica q,
nel campo di forze generato
dalla carica Q
E P (Q , q , r )  K
Qq
r
Potenziale elettrico
generato dalla della
carica Q
V (Q , r ) 
EP
Q
K
q
r
Corrente elettrica
Corrente elettrica
Se un conduttore metallico è immerso in un campo elettrico uniforme si stabilisce ai sui capi una differenza di
potenziale V=VA-VB e le cariche libere nel conduttore (elettroni di conduzione) sono soggette ad una forza qE.
Si stabilisce un moto ordinato di cariche nella direzione del campo (corrente elettrica).
+
+
+
+
+
+
+
+

E

E
corrente elettrica


F  qE
VA

E
elettrone di
conduzione

E
VB
-
Intensità di corrente elettrica
Rapporto fra la carica dQ che attraversa una qualsiasi sezione del conduttore nel tempo
dt, e l’intervallo dt Convenzionalmente si prende come verso della correte quello in cui si
muovono le cariche positive (quello opposto al moto delle cariche negative).
Unità di misura:
Coulomb/secondo = Ampere (A)
EP=mgh


F  mg
EP=0
dQ
I
dt
Corrente elettrica stazionaria
Generatori
Esistono dei dispositivi che sono in grado di mantenete
costante la differenza di potenziale ai capi del conduttore. In
questo caso la corrente che lo attraversa è costante nel
tempo (corrente stazionaria I ).
VA
VB
I
A
-
+
Legge di Ohm
In condizioni stazionarie, per una vasta varietà di conduttori
(conduttori ohmici) esiste una relazione di proporzionalità fra
V e I:
B
R
V  RI
I
La costante di proporzionalità R prende il nome di resistenza
elettrica del conduttore.
+
-
Schema di un semplice circuito
costituito da un conduttore di
resistenza R e da un generatore
di forza elettromotrice
Campo magnetico
Osservazioni sperimentali
In un sistema di riferimento (laboratorio) siano presenti uno o più circuiti fermi
e percorsi da corrente stazionaria, ed una carica q dotata di velocità v. Si
osserva sperimentalmente che la carica è soggetta ad una forza:
•
•
•
•
•
dipendente dalla posizione
perpendicolare alla velocità
modulo proporzionale alla carca q
modulo proporzionale al modulo v della velocità
in ogni posizione il modulo di F dipende dall’orientamento di v: c’è sempre
una direzione di v per cui F si annulla; la direzione di v per cui la forza è
massima è perpendicolare alla direzione per cui la forza è nulla
q

v
I
+
-
Forza di Lorentz e campo magnetico
Diciamo che i circuiti percorsi da corrente generano nello spazio circostante un campo B0 (detto campo
magnetico) dipendente dalla posizione, il quale determina sulla carica q dotata di velocità v una forza F (detta
forza di Lorentz) data dalla legge:

 
F  qv  B ( x , y , z )
Unità di misura
NC 1m 1s  Tesla (T )
Campo elettromagnetico
Connessioni fra campo elettrico e campo magnetico in condizioni stazionarie
Le cariche elettriche sono sorgenti del campo elettrico.
Le correnti elettriche sono sorgenti del campo magnetico.
Ma una corrente non è altro che un moto ordinato di cariche elettriche.
Il fatto che una cariche sia ferma o in movimento dipende dal sistema di riferimento scelto.
La natura del campo (elettrico o magnetico) dipende dal sistema di riferimento adottato.
Connessioni nei fenomeni non stazionari
• Un campo magnetico B0 variabile nel tempo genera un capo elettrico variabile nel tempo (legge di Faraday).
• Analogamente, un campo elettrico E0 variabile nel tempo genera un capo magnetico B0 variabile nel tempo
Campo elettromagnetico
Queste considerazioni lasciano intuire che campo elettrico e campo magnetico sono diverse manifestazioni di
una unica entità fisica: il campo elettromagnetico
Onde elettromagnetiche
Onde elettromagnetiche
Onde elettromagnetiche
Il campo elettromagnetico può propagarsi nel vuoto sotto forma di
onde trasversali (onde elettromagnetiche): Il campo elettrico e
magnetico oscillano mantenendosi perpendicolari fra loro e alla
direzione di propagazione dell’onda.
T

c

1 c

T 
direction of
propagation
Velocità della luce
Velocità della luce
La velocità c delle onde elettromagnetiche nel vuoto è una costante universale
c  3  10 8 m/s  300000 km/s
Linea che mostra la velocità della luce in un modello in scala. Dalla terra alla luna, 384 400 km, la luce impiega circa
1,280 888 6126 secondi considerando la distanza media centro terra/centro luna.
Indice di rifrazione di un mezzo
In un mezzo materiale un’onda elettromagnetica si propaga con una velocità v < c. Il rapporto c/v > 1 prende il
nome di indice di rifrazione del mezzo:
n
c
v
Il fotone
Il fotone
L’interazione della radiazione elettromagnetica con la materia può essere descritta in termini di una particella
elementare priva di massa, il fotone, definito come il quanto della radiazione elettromagnetica e il mediatore
dell’interazione elettromagnetica.
Gli scambi di energia tra radiazione elettromagnetica e materia non possono avvenire con continuità, ma solo
per quantità discrete En, multipli interi di un valore elementare e detto quanto di energia elettromagnetica o
fotone) proporzionale alla frequenza della radiazione:
E n  ne
e  h
La costante di proporzionalità h, detta costante di Planck, ha un valore pari a
h  6.62  10 34 J  s
Questa teoria rivoluzionaria fu formulata da Max Planck nel 1900,
e gli valse il premio Nobel per la fisica del 1918.
Max Planck
Interazione delle onde elettromagnetiche con la materia
Le onde elettromagnetiche vengono emesse o assorbite dalla materia sempre sotto forma di fotoni:
– L’assorbimento di un fotone fa passare l’atomo, o la molecola, da un livello
fondamentale (di energia E1) a un livello eccitato (ad es. di energia E3),
cedendogli tutta la propria energia:
E3  E1  h
– Una volta eccitato, l’atomo torna spontaneamente al livello fondamentale. La
diseccitaizone può avvenire in un salto unico o con una successione di passaggi a
livelli energetici sempre più bassi: ad ogni transizione fra due stati corrisponde
l’emissione di un fotone la cui energia è pari alla differenza di energia dei livelli
fra cui avviene la transizione:
h '  E 3  E 2
h' '  E 2  E1
( h '  h ' '  h )
Quando i livelli energetici dell’atomo sono molto distanti tra loro, lo spettro della
radiazione emessa o assorbita è discontinuo (spettro a righe) e le frequenze hanno
valori caratteristici che permettono di riconoscere l’atomo o la molecola che le
assorbe o le emette.
Quando i livelli sono numerosi e fitti, lo spetto appare praticamente continuo.
Legame fra frequenza, lunghezza d’onda ed energia del fotone
Lunghezza d’onda 
La lunghezza d’onda  si esprime tipicamente in metri
Frequenza
1 c
 
T 

10 8
 ( Hz )  3 
(m)
L’elettronvolt
1 eV  1.6 10 19 Coulomb 1Volt  1.6 10 19 J
6.62 10 34
15
h
eV

s

4.14

10
eV  s
19
1.6 10
Energia
E  h
hc
E  h 

E (eV )  4.14 10 15   ( Hz )


3 10 8 m / s  4.14 10 15 eV  s
E (eV ) 
 (m)

10 6
E (eV )  1.24
 (m)
Lo spettro delle onde elettromagnetiche
Le radiazioni in Medicina
(da Scannicchio, Fisica Medica, Edises )
Le microonde

 (Hz)
E
1 m - 1 mm
300 MHz - 300 GHz
≈ 1 eV - 1 meV
Produzione
Questa radiazione viene ottenuta mediante l’impiego di circuiti oscillanti e di speciali valvole o tubi elettronici
(klystron, magnetron)
Interazione con la materia
Quando le microonde attraversano un materiale producono oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa
per attrito il riscaldamento del materiale stesso.
Assorbimento nei tessuti
L’assorbimento nei tessuti è determinato da una legge di tipo esponenziale.
I ( x)  I 0e
x / D
I(x) = intensità che perviene alla profondità x del corpo
I0 = intensità incidente sulla superficie
D = spessore corrispondente all’assorbimento del 63%
della radiazione incidente
Sperimentalmente si osserva che l’assorbimento delle microonde è legato alla
quantità di acqua presente nei tessuti e che la produzione di calore conseguente è
determinata dall’interazione del campo elettrico variabile delle microonde ed il
momento di dipolo elettrico della molecola dell’acqua: il suo continuo riorienamento e allineamento, lungo il campo elettrico variabile, causa un
assorbimento di energia da parte della molecola e quindi del tessuto, con
produzione di calore. D è funzione della frequenza ed ha valori molto diversi in
tessuti con differente contenuto di acqua.
Effetti biologici ed applicazioni delle microonde
Effetti biologici
L’effetto più rilevante delle microonde sul corpo umano è quello termico (diatermia).
Utilizzo a scopo terapeutico
L’effetto termico viene utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Poiché
queste radiazioni penetrano abbastanza profondamente nel corpo, si riesce ad ottenere il riscaldamento di
zone profonde senza che l’epidermide raggiunga temperature troppo elevate. Vengono così curate artriti,
borsiti e lesioni muscolari.
Le apparecchiature per diatermia utilizzano microonde (in genere con  pari a circa 2450 MHz) che sono
indirizzate sulla regione del corpo da trattare mediante piccole antenne poste in un riflettore semisferico che
permette di focalizzare le onde in una regione limitata. Il riflettore viene situato ad alcuni centimetri dal
corpo per evitare i pericoli di bruciature, sempre possibili nell’uso di elettrodi a contatto con la pelle.
Danno biologico
La sovraesposizione alle microonde può causare danni, in particolare agli occhi e ai testicoli. A causa di questi
pericoli, è fissato un limite di intensità, pari a 10 mW/cm2, per l’esposizione alle microonde per lunghi periodi
di tempo. A titolo di confronto, questo limite è solo un decimo della massima potenza radiante solare che
può essere assorbita dal corpo umano (100 mW/cm2).
Altre applicazioni
• Comunicazioni satellitari
• Telefonia mobile, bluetooth, Wi-fi
• Radar
• Forno a microonde
La radiazione infrarossa

 (Hz)
E
1 mm – 0.7 m
3 · 1011 – 4.3 · 1014 Hz
1.24 · meV – 1.77 eV
Produzione:
Transizioni molecolari ed emissione termica da sorgenti ad alta temperatura.
Emissione termica
Nella materia il moto di agitazione termica genera:
• un moto disordinato di particelle cariche (protoni ed elettroni): cariche elettriche in moto accelerato producono onde
elettromagnetiche.
• transizioni fra livelli energetici molecolari dal livello fondamentale ad un livello eccitato: nel processo di diseccitazione
vengono emessi uno o più fotoni la cui energia è pari alla differenza di energia fra i livelli energetici.
Il processo di emissione termica è regolato dalle leggi di Stefan e Wien:
Legge di Stefan
L’energia radiante emessa in un secondo da un
elemento di area unitaria della superficie di un corpo è
direttamente proporzionale alla quarta potenza della
temperatura assoluta (s = 1.36∙10-12 cal∙cm-2∙ s-1∙ K-4):
I  sT 4
Legge di Wien
La lunghezza d’onda per la quale l’emissione raggiunge
il massimo d’intensità è inversamente proporzionale
alla temperatura assoluta (k= 2.897∙10-3 m∙K):
 max  kT 1
• La produzione di radiazione X per emissione termica comporta temperature elevatissime: dalla legge di Wien per
1 nm ≤  ≤ 1 pm si ottiene 3∙106 ≤ T ≤ 3∙109 . Queste temperature sono raggiungibili solo in alcune stelle (sorgenti
X stellari).
• Alla temperatura del corpo umano (≈ 37 °C) si ottiene max = 9.3 m. Il corpo umano emette energia termica
nell’infrarosso, tuttavia l’intensità della radiazione emessa è molto bassa: dalle legge di Stefan si ottiene I = 1.25
∙10-2 cal∙cm-2∙ s-1
• Quando un metallo viene riscaldato diventa lumisoso indicando che parte della radiazione emessa cade nel
visibile. Inoltre, la colorazione dei corpi incandescenti passa dal rosso, all’arancio ed al bianco, man mano che si
aumenta la temperatura, indicando che il massimo d’intensità della radiazione emessa si sposta verso le lunghezze
d’onda minori all’aumentare di T.
• Il sole ha uno spettro di emissione che è ben approssimato da quello di una sorgente ideale che si trova a circa
T=5800 K a cui corrisponde max = 0.5 m. Il massimo di emissione si ha nel visibile.
sole
lampadina
lampada da
infrarosso
Effetti biologici ed applicazioni della radiazione infrarossa
Effetti biologici
Il corpo umano percepisce la radiazione infrarossa sotto forma a di calore. L’effetto della radiazione sul corpo
umano è puramente termico: la radiazione infrarossa attraversando un tessuto produce oscillazioni di ioni e
particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso.
• per il vicino infrarosso ( ≈ 0.7 m) la penetrazione è di alcuni cm
• il lontano infrarosso ( > 1.4 m) viene assorbito completamente dagli strati superficiali dell’epidermide
Utilizzo a scopo terapeutico
L’effetto termico (diatermia) può essere utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo
umano. Viene tipicamente impiegato per il trattamento di artriti, borsiti, lesioni muscolari.
• Se si vuole eseguire una terapia termica in profondità bisogna utilizzare lampade con filamento ad alta
temperatura (3000 K).
• Le sorgenti a bassa temperatura (1200 K), come una stufa o una comune lampada al rosso, producono un
riscaldamento limitato alla superficie esterna del corpo, da dove poi il calore passa agli strati più profondi
per conduzione.
Utilizzo per scopo diagnostico
Mediante la fotografia all’infrarosso o la termografia è possibile ottenere una mappa delle temperature della
superficie del corpo umano, sfruttando il calore emesso dall’organismo attraverso la cute sotto forma di
radiazioni elettromagnetiche infrarosse. In questo modo è possibile:
• Ottenere un’immagine del profilo dei vasi sanguigni superficiali, poiché essi si trovano ad una temperatura
superiore a quella dell’epidermide e pertanto emettono raggi infrarossi con maggiore intensità. In questo
modo si possono valutare eventuali alterazioni del flusso del sangue.
• Localizzare un centro di infiammazione (del sistema muscolo scheletrico) o un tumore (della pelle, della
mammella, o della tiroide), poiché esso è in generale caratterizzato da una temperatura locale superiore a
quella del tessuto sano circostante.
Altre applicazioni
• Visione notturna
La radiazione visibile

 (Hz)
E
0.7 m – 0.4 m
4.3 · 1014 Hz – 7.5 · 1014 Hz
1.77 eV – 3.1 eV
La luce
Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla
porzione dello spettro elettromagnetico visibile
dall'occhio umano, ed è approssimativamente
compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza
d'onda
I colori
Le differenti lunghezze d'onda vengono
interpretate dal cervello come colori, che vanno
dal rosso delle lunghezze d'onda maggiori
(frequenze più basse), al violetto delle
lunghezze d'onda minori (frequenza più alte).
Ottica
La radiazione ultravioletta (UV)


E
0.4 m - 1 nm
7.5 · 1014 - 3 · 1017 Hz
3.1 eV - 1.24 keV
Sottoclassificazione
regione
UVA
UVB
UVC

400-315 nm
315-280 nm
280-100 nm
Produzione
• Emissione termica da sorgenti ad altissima temperatura.
• Eccitazioni atomiche (transizioni elettroniche esterne).
• Lampade a fluorescenza, lampade UVA.
• Radiazione solare.
Lampade a flouresecenza. In medicina si usano
lampade contenenti un tubo di quarzo (che,
contrariamente al vetro, è trasparente agli UV)
contenente vapori di Hg. Il mercurio, eccitato da
scariche elettriche, emette diseccitadosi una
serie di righe nella regione spettrale del violetto e
dell’ultravioletto, la più intensa delle quali ha
 = 253.7 nm. Le lampade sono rivestite da
opportuni fosfori che si eccitano proprio per una
 di 253.7 nm e riemettono radiazione UV in uno
spettro continuo con 270 ≤  ≤ 400 nm.
Lampade UVA. Sono lampade a fluorescenza il
cui spettro è limitato fra 315 e 400 nm.
Effetti biologici ed applicazioni della radiazione ultravioletta
Interazione con la materia
L’energia dei fotoni della radiazione ultravioletta è sufficiente a produrre eccitazioni di atomi e molecole o addirittura
la ionizzazione di atomi e la disintegrazione di grosse molecole. Quando interagisce con la materia, questa radiazione
è in grado di causare, oltre ad un effetto termico, importanti effetti chimici .
Effetti biologici sulla pelle
L’esposizione della pelle a radiazioni ultraviolette produce un eritema (dilatazione dei vasi sanguigni dovuta a
sostanze prodotte dalla radiazione) seguito da un’abbronzatura (determinata da un pigmento che si deposita nei
tessuti cutanei e che serve ad assorbire i raggi ultravioletti, proteggendo così gli strati sottostanti). Per  inferiori a
320 nm, le radiazioni UV giocano un ruolo eziologico nella formazione del cancro della pelle.
Effetti biologici sugli occhi
Gli occhi sono protetti dai raggi ultravioletti che vengono completamente assorbiti dalla cornea, dall’umor acqueo e
dal cristallino. I danni agli occhi, causati da eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, per esempio sulla neve o sul
ghiaccio, sono dovuti all’assorbimento di queste radiazioni da parte della cornea.
Attivazione della sintesi della vitamina D
Nella pelle vengono prodotte delle sostanze come l’ergosterolo, le quali si trasformano in vitamina D in seguito
all’assorbimento di radiazione ultravioletta nella regione spettrale di 300-250 nm, con un massimo a circa 280 nm.
Azione battericida
Gli ultravioletti hanno una potente azione battericida (la cui efficacia è massima per  ≈ 260 nm e si estende fino a
circa 320 nm) conseguenza delle modifiche chimiche indotte dalla radiazione nel nucleo delle cellule batteriche.
Trattamento dell’epidermide in dermatologia
Si utilizzano lampade UVA a fluorescenza il cui spettro di emissione è limitato fra 315 e 400 nm
Produzione di ozono nell’alta atmosfera terrestre
Negli strati più elevati dell’atmosfera, la radiazione ultravioletta solare con  < 180 nm è assorbita dall’ossigeno che
viene così attivato e si trasforma in ozono. Le radiazioni con  compresa fra 200 e 300 nm circa vengono a loro volta
assorbite dall’ozono stesso.
Raggi X

 (Hz)
E
1 nm - 1 pm
3 · 1017 - 3 · 1020 Hz
1.24 · keV - 1.24 M eV
Produzione
• Nell’emissione termica i raggi X sono pressoché assenti, anche per temperature molto elevate del radiatore.
• Nell’emissione caratteristica di atomi e di molecole, eccitate termicamente o con scariche elettriche, sono presenti
al massimo raggi UV. La differenza di energia tra il livello energetico fondamentale degli elettroni di valenza e gli
stati eccitati degli elettroni di valenza è inferiore all’energia di un fotone X.
1. Per ottenere raggi X bisogna quindi produrre delle transizioni di elettroni da orbitali esterni agli orbitali più interni.
2. In alternativa bisogna generare elettroni liberi con un’energia cinetica molto più elevata di quella che si può
ottenere con una sorgente termica: elettroni liberi ad alta energia possono generare raggi X se vengono
bruscamente frenati.
In medicina vengono utilizzati tubi a raggi X che fruttano entrambi questi processi.
Interazione dei raggi X con la materia
Assorbimento nella materia
L’assorbimento dei raggi X nella materia è determinato da una legge di tipo
esponenziale
I ( x )  I 0 e  x
I0 = intensità incidente sulla superficie del materiale
I(x) = intensità che perviene a profondità x rispetto alla superficie di incidenza
Coefficiente di assorbimento lineare totale 
1/ = spessore corrispondente all’assorbimento
del 63% della radiazione incidente
(e = 2.718, e-1 = 0.37)
Assorbimento nei tessuti
Il corpo umano è costituito da tessuti con
coefficienti di assorbimento molto diversi, il cui
valore dipende dal numero atomico Z, dallo stato
di aggregazione dei tessuti e dall’energia dei
fotoni incidenti.
Meccanismi di assorbimento
In generale l’interazione dei aggi X con al materia
avviene secondo i seguenti processi:
• diffusione
• effetto fotoelettrico
• effetto Compton
• produzione di coppie elettrone-positrone
I raggi X in diagnostica medica
L’immagine radiologica
• La differente opacità ai raggi X delle varie strutture anatomiche permette di ottenere una loro immagine radiologica:
un fascio di raggi X proveniente da una sorgente quasi puntiforme, attraversando una porzione del corpo umano
viene assorbito in modo differente dai vari tessuti; nel fascio dei raggi X che emerge dal corpo si ottiene un massimo
(minimo) di intensità in corrispondenza delle zone in cui l’assorbimento è stato minimo (massimo).
• L’immagine radiologica del fascio trasmesso può essere trasformata con varie tecniche in immagine visibile:
Radioscopia
Si intercetta il fascio di raggi X emergente dal corpo mediante uno schermo fluorescente che emette luce in proporzione
all’intensità di radiazione X che lo colpisce. Si produce un’immagine positiva nel senso che appaiono più scure le zone più
opache ai raggi X (cioè quelle a maggiore attenuazione).
Radiografia
Il fascio di raggi X emergente impressiona una pellicola fotografica sensibile ai raggi X. Si produce un’immagine
negativa nel senso che le zone più scure rappresentano le regioni a minor attenuazione, mentre quelle più chiare
rappresentano le ombre di oggetti più opachi.
Raggi 

 (Hz)
E
< 1 pm
> 3 · 1020 Hz
> 1.24 M eV
Produzione
• Decadimento di nuclei radioattivi.
• Possono essere ottenuti artificialmente come radiazione di frenamento accelerando particelle cariche a energie
superiori al MeV (come accade ad esempio negli acceleratori lineari) e frenandole in opportuni assorbitori.
Interazione con la materia
A causa della loro elevata energia, i fotoni  provocano al loro passaggio un’intensa ionizzazione del materiale
attraversato mediante gli stessi meccanismi descritti nel caso dei raggi X (effetto fotoelettrico, effetto Compton,
produzione di coppie) cui si aggiunge l’effetto cumulativo determinato dai fotoni e dagli elettroni secondari. La
radiazione , penetrando nella materia, produce quindi uno sciame elettromagnetico di fotoni e particelle.
Effetti sui sistemi biologici
• La produzione di ioni nei sistemi biologici consiste nella formazione di radicali liberi dall’acqua e da molecole
organiche.
• Il danno biologici da radiazione ionizzanti si esplica proprio tramite l’azione chimica dei radicali liberi i quali
rilasciano la loro energia rompendo i legami chimici delle macromolecole presenti nelle cellule, in particolare quelli
del DNA.
• Il danno può causare la disfunzione di cellule, con effetti sul funzionamento degli organi che possono portare
anche alla morte, oppure all’alterazione della struttura genetica (mutazione).
• I danni possono pertanto manifestarsi direttamente sulle persone irraggiate (danni somatici), oppure sui loro
discendenti (danni genetici ereditari).
• Non tutti gli organi e i tessuti sono ugualmente sensibili alle radiazioni. I più sensibili sono: gli organi emopoietici
(organi in cui avviene la produzione degli elementi corpuscolari del sangue), le gonadi (ovaie e testicoli), il
cristallino e la pelle.
Utilizzo della radiazione  a scopo diagnostico
I radioisotopi sono utilizzati come segnalatori della distribuzione topografica di particolari atomi, molecole, cellule
all’interno dell’organismo: quando un radionuclide è introdotto in un paziente questo diffonde nell’organismo e
partecipa ai processi metabolici come il corrispondente isotopo non radioattivo. La sua maggiore concentrazione in
determinate zone costituisce una indicazione di normalità o di anormalità nelle funzioni dell’organismo o dell’organo
interessato, da cui trarre una diagnosi. Poiché è possibile rilevare anche la disintegrazione di un singolo nucleo, la
sensibilità del metodo è eccezionalmente alta e sono sufficienti concentrazioni molto piccole di composti radioattivi.
• Sostituzione di un atomo con un suo isotopo radioattivo: studio diagnostico della tiroide.
La tiroide utilizza lo iodio per produrre gli ormoni che controllano il metabolismo del corpo. In un soggetto con la
tiroide poco attiva (ipotiroideo) questa assorbe meno iodio che in un soggetto normale, mentre in un soggetto con
la tiroide molto attiva (ipertiroideo) ne assorbe una maggiore quantità. Facendo ingerire una piccola quantità di
iodio radioattivo 131I, dopo 24 ore viene misurata l’emissione radioattiva dello 131I. La misura può essere effettuata
− contando il numero di emissioni b- e  per un tempo prefissato (misura integrale di radioattività)
− misurando la distribuzione geometrica della radioattività, ottenendo un immagine dell’organo interessato
(scintigrafia)
• Sostituzione di un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: assorbimento idrico di una pianta.
Si utilizza l’acqua marcata con trizio, cioè in cui alcune molecole hanno un atomo di H sostituito con il suo isotopo
radioattivo trizio (3H). Quando la pianta ha le radici immerse in acqua marcata, la misura della radioattività nelle
foglie permette di valutare la velocità di assorbimento idrico.
• Sostituzione di una molecola con una marcabile con simile comportamento biologico: metabolismo dell’albumina.
Non sempre è possibile sostituire direttamente un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: si
impiega allora una molecola marcabile molto simile, il cui comportamento biologico sia del tutto analogo a quello
della molecola naturale. E’ il caso dello studio del metabolismo dell’albumina, la cui molecola non contiene iodio:
si utilizza invece albumina iodata, marcata con 131I o 125I, che non è chimicamente identica all’albumina, ma ad essa
molto simile nel comportamento biologico.
• Anche le cellule possono essere marcate: misure di volume e portata del sangue
In questo caso i globuli rossi vengono marcati con 197Hg
Utilizzo della radiazione  a scopo terapeutico
numero di cellule sopravissute
Utilizzo a scopo terapeutico
Il danno provocato dalle radiazioni ionizzanti può essere utilizzato nella terapia medica per distruggere tessuti malati
(cellule tumorali). Questa tecnica è chiamata radioterapia. Il problema principale è dato dal fatto che le cellule
normali sono spesso sensibili alla radiazioni quasi quanto le cellule anormali. La dose del trattamento radiante, per
dare una ragionevole probabilità di cura, è appena inferiore alla dose sufficiente a causare gravi danni ai tessuti sani.
L’uso delle radiazioni a questo scopo si avvale di vari metodi:
• Sono utilizzate sorgenti radioattive sotto forma di pasticche, aghi o fili che vengono chirurgicamente impiantati
nella zona del tumore per periodi di tempo programmati
• I radionuclidi possono essere anche utilizzati per generare un fascio di radiazioni opportunamente diretto sulla
zona da trattare.