Università degli Studi di Perugia Corso di Laurea in Fisioterapia Fisica Applicata Prof. Andrea Biscarini Alcune illustrazioni in questa presentazione sono tratte dal libro di testo adottato nel corso: D. Scannicchio, Fisica Biomedica, Edises. Capitolo 1: INTRODUZIONE • Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura • Elementi di algebra vettoriale Capitolo 2: MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI • • • • • Cinematica del punto materiale Dinamica del punto materiale Lavoro ed energia Meccanica dei sistemi Biomeccanica del sistema muscolo scheletrico (presentazione separata) Capitolo 3: MECCANICA DEI FLUIDI • Stati di aggregazione della materia. Elasticità. I fluidi • Statica dei fluidi • Dinamica dei fluidi e circolazione del sangue Capitolo 4: ONDE IN MEZZI ELASTICI • Onde in mezzi elastici • Il suono e l’orecchio umano • Gli ultrasuoni in medicina Capitolo 5: TERMOLOGIA • Calorimetria • Termoregolazione del corpo umano • Termodinamica Capitolo 6: ELERROMAGNETISMO • Interazioni elettriche e magnetiche • Onde elettromagnetiche • Le radiazioni in medicina 1. INTRODUZIONE • Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura • Elementi di algebra vettoriale Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura La Fisica Campo di indagine La Fisica si occupa dello studio degli aspetti più generali dei fenomeni naturali cercando in essi quello che vi è di essenziale per risalire alle leggi che governano questi fenomeni e ai principi universali da cui queste leggi derivano. Leggi e Principi • Nelle scienze sperimentali, un principio è un enunciato che costituisce la generalizzazione di una vasta evidenza sperimentale e che si assume come vero per ogni possibile ulteriore esperienza: esso funziona quindi come criterio guida per la formulazione di leggi e teorie (che non devono ammettere conseguenze in contraddizione con il principio) o per deduzioni e dimostrazioni teoriche (dove funziona come premessa inviolabile). • Il riferimento all’evidenza sperimentale distingue il principio dal postulato (in quanto semplice premessa di un sistema ipotetico-deduttivo). • L’ampiezza del campo di applicazione (che può essere comune a diverse teorie e addirittura a diverse discipline) lo distingue dalla legge che si riferisce ad un fenomeno specifico. • Un principio si distingue da un teorema, che è un enunciato (o proposizione o formula o proprietà) che può essere dimostrato, cioè che può essere dedotto logicamente dagli enunciati primitivi, detti assiomi o postulati e dagli stessi principi. Teorie scientifiche Formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principî e leggi generali che consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare, a varî livelli di generalità, aspetti della realtà naturale. I tre capitoli fondamentali della fisica classica La fisica classica (codificata prima del XX secolo) può essere suddivisa in tre capitoli fondamentali: Meccanica • Cinematica: studio del moto dei sistemi, indipendentemente dalle cause che generano il moto. • Dinamica: studio del moto dei sistemi in relazione alle cause (forze) che lo generano. • Statica: studio delle configurazioni di equilibrio dei sistemi e delle condizioni per cui tali configurazioni si realizzano. Termodinamica Studio del comportamento macroscopico di sistemi termodinamici (sistemi complessi costituiti da un grande numero di particelle, ovvero costituiti da un gran numero di gradi di libertà) per i quali i metodi della meccanica risultano inefficaci. Elettromagnetismo Studio dei fenomeni e delle interazioni di natura elettrica e magnetica e delle loro connessioni. Grandezze fisiche Definizione Una grandezza fisica è una proprietà fisica di un fenomeno naturale o di sistema materiale che può essere quantificata mediante una misura. Dunque, una grandezza fisica deve essere definita in maniera operativa, cioè mediante le operazioni che conducono alla sua determinazione numerica. Una grandezza fisica è definita quando: - sia possibile stabilire, senza possibilità di equivoco, la validità dei principi di uguaglianza e di somma (e differenza); - sia fissata una unità di misura. *** Grandezze Scalari Grandezze determinate dal numero che fissa il loro rapporto alla corrispondente unità di misura scelta. Esempi: volume, massa, energia, pressione, temperatura. Grandezze vettoriali Grandezze la cui determinazione richiede l’individuazione di un numero (intensità o modulo della grandezza), una direzione ed un verso. Esempi: spostamento, velocità, accelerazione, forza, quantità di moto, campo elettrico, campo magnetico. Sistemi di unità di misura Grandezze fondamentali: grandezze per le quali l’unità di misura è definita in modo arbitrario mediante l’individuazione di un campione. Grandezze derivate: grandezze per le quali l’unità di misura si deduce per mezzo delle relazioni che legano queste grandezze alle grandezze fondamentali. Criteri di scelta delle grandezze fondamentali: • Grandezze scelte siano facilmente misurabili. • Sia possibile scegliere per queste grandezze dei campioni facilmente riproducibili e stabili nel tempo. *** Sistema di unità di misura: Un sistema di unità di misura è definito quando sia stata compiuta una scelta delle grandezze fondamentali e delle corrispondenti unità di misura (mediante l’individuazione dei relativi campioni) in numero sufficiente da poter esprimere l’unità di misura di tutte le altre grandezze (grandezze derivate) mediante le unità delle grandezze fondamentali. Sistemi di unità più diffusi: • Sistema internazionale • Sistema c.g.s. • Sistema di Gauss • Sistema tecnico o degli ingegneri Sistema internazionale Grandezza fondamentale Unità SI Nome Simbolo Intervallo di tempo (Tempo) secondo s Lunghezza metro m Lunghezza percorsa dalla luce nel vuoto nell’intervallo di tempo 1 / 299.792.458 s. Massa kilogrammo kg Massa di un campione di platino-iridio conservato nel laboratorio di pesi e misure di Sevres . Temperatura termodinamica kelvin K Frazione 1/ 273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua. A Intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e posti alla distanza di 1 m l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra i due conduttori la forza di 2x10-7 N su ogni metro di lunghezza. cd Intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540·1012 hertz e che ha un’ intensità di radiazione in quella direzione di 1/683 watt per steradiante. mol Quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12. Le entità elementari devono essere specificate e possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, ecc. ovvero gruppi specificati di tali particelle Intensità di corrente elettrica Intensità luminosa Quantità di sostanza ampere candela mole Definizione Intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133. Grandezze fondamentali supplementari Angolo piano radiante rad Angolo piano al centro che su una circonferenza intercetta un arco di lunghezza uguale a quella del raggio Angolo solido steradiante sr Angolo solido al centro che su una sfera intercetta una calotta di area uguale a quella del quadrato il cui lato ha la lunghezza del raggio Il radiante Il radiante sR 1 rad s R Misura degli angoli in radianti ( radianti ) s R angolo giro : 2R 2 R 2R / 2 angolo piatto : R 2R / 4 angolo retto : R 2 s R Multipli e sottomultipli fattore di moltiplicazione Distanza che la radiazione cosmica ≈ 1026 m di fondo ha percorso dal Big Bang Distanza media terra-sole = 1.495 ×1011 m Diametro equatoriale della Terra = 1.2756 107 m Dimensioni di una cellula umana ≈ 5x10-5 m Raggio covalente atomico ≈ 10-10 m Dimensioni del nucleo atomico ≈ 10-14 m Raggio classico del protone ≈ 10-15 m Dimensione di un quark ≈ 10-21 m 10-35 prefisso simbolo Massa dell'universo osservabile = 3 × 1052 kg Massa del sole = 2 × 1030 kg 24 10 10 21 10 18 10 15 10 12 10 9 10 6 10 3 10 2 10 1 10 -1 10 -2 10 -3 10 -6 10 -9 10 -12 10 -15 10 -18 10 -21 10 -24 yotta zetta exa peta tera giga mega chilo etto deca dieci centi milli micro nano pico femto atto zepto yocto Lunghezza di Planck = 1,616 252 × metri (la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico) Y Z E P T G M k h da d c m µ n p f a z y Massa della terra = 6 × 1024 kg Massa di una cellula umana ≈ 10-12 kg 1 unità di massa atomica = 1,6605402 × 10-27 kg (1/12 massa dell'isotopo 12 del carbonio) (≈ massa dell'atomo di idrogeno) Massa dell’elettrone = 9.1093836 × 10-31 kg Massa del neutrino ≈1.2 × 10-35 kg Dimensioni fisiche ed equazioni dimensionali Equazione dimensionale Le funzioni che legano le grandezze derivate (A , B , … ) alle grandezze fondamenti (F1 , F2 , F3 , … ) sono funzioni omogenee rispetto alle grandezze fondamentali, cioè possono esprimersi come il prodotto delle grandezze fondamentali elevate ad esponenti interi positivi o negativi. Ciò viene descritto formalmente mediante l’equazione dimensionale della grandezza derivata A: [ A] [ F1n1 F2n2 F3n3 ] Esempi: velocità ed accelerazione [v ] [ L1T 1 ] [ a ] [ L1T 2 ] Dimensioni fisiche I coefficienti n1 , n2 , n3 , … che intervengono nell’equazione dimensionale della grandezza derivata A prendono il nome di dimensioni fisiche di A rispetto alle grandezze fondamentali F1 , F2 , F3 , … Unità di misura delle grandezza derivate L’unità di misura di una grandezza derivata si deduce immediatamente dalla sua equazione dimensionale: è il prodotto delle unità fondamentali elevate agli esponenti che compaiono nell’equazione dimensionale. Esempi: unità della velocità: ms-1 o m/s; unità di misura dell’accelerazione ms-2 o m/s2. Prodotto di grandezze fisiche Per un prodotto di grandezze fisiche (fondamentali o derivate) la relazione dimensionale si ottiene dalla relazione analitica che rappresenta il prodotto, sostituendo alle grandezze le corrispondenti relazioni dimensionali ed applicando ai prodotti dei simboli delle grandezze fondamentali le normali regole dell’algebra. A mal t [ A] [ M ][ LT 2 ][ L ][T 1 ] [ MLT 2 LT 1 ] [ ML2T 3 ] Unità : kg∙m2∙s-3 (watt) Analisi dimensionale Analisi dimensionale I due membri di un’equazione fisica e tutti gli addendi che appaiono in ciascun membro di tale equazione devono avere le stesse dimensioni fisiche. L’analisi dimensionale fornisce un supporto fondamentale per la verifica della correttezza di un’equazione o del risultato di un problema. ESERCIZIO Un punto materiale lanciato verso l’alto con velocità vo raggiunge la massima quota h data da (g = accelerazione di gravità): vo2 h 2g Verificare che questa equazione è dimensionalmente corretta. vo2 L / T 2 L2T 2 L 2 2 2 g L / T LT Elementi di algebra vettoriale Definizione di vettore e sua rappresentazione Definizione Ente geometrico definito da una direzione, un verso ed un modulo (numero reale positivo) Rappresentazione Può essere rappresentato da un segmento orientato AB: direzione = quella della retta che congiunge A e B verso = quello che porta da A a B lungo tale retta modulo = lunghezza del segmento AB Denotazione Si denota con il segmento orientato che lo rappresenta, o con una freccia al di sopra di una lettera, o con una lettera in grassetto: B AB v v v Il modulo del vettore si denota rispettivamente con IABI o v AB v A Somma di n vettori Definizione Dati n vettori si applichi il primo vettore in un punto qualsiasi, il secondo nell’estremo del primo, il terzo nell’estremo del secondo e così via fino ad applicare l’ultimo vettore nell’estremo del penultimo. Si definisce risultante o somma degli n vettori e si indica con il simbolo v1 v 2 v n il vettore che ha origine coincidente con l’origine del primo vettore ed estremo coincidente con l’estremo dell’ultimo vettore v2 v3 v n 1 v1 R vn Somma di due vettori: regola del parallelogramma v2 v1 v 2 v1 v1 v2 Proprietà La somma di due vettori si ottiene applicando i vettori in un punto, costruendo il parallelogramma di lati v1 e v2 e prendendo la diagonale a partire dal comune punto di applicazione. Prodotto di un vettore per uno scalare Definizione Dato un vettore v ed uno scalare a si definisce prodotto di v per a e si indica con av il vettore con: direzione = quella del vettore v verso = il verso di v se a è positivo quello opposto se a è negativo modulo = il prodotto del modulo di a e del modulo di v Esempi v 2v 2v v 2 1v v Differenza fra due vettori Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce differenza fra v2 e v1 e si indica con v2 – v1 il vettore v2 v1 v2 v1 v 2 ( 1)v1 Proprietà Per determinare la differenza v2 – v1 si applicano i vettori in un medesimo punto e si traccia il vettore che va dall’estremo di v1 all’estremo di v2 v1 v 2 v1 v2 v1 v 2 v1 v2 Versore Definizione Dato un vettore v si dice versore di v e si indica con il simbolo v̂ il vettore di lunghezza unitario che ha la direzione ed il verso di v v v̂ v 1 Proprietà Un qualsiasi vettore può essere scritto come il prodotto del suo modulo per il suo versore v v vˆ Versori degli assi cartesiani z Versori degli assi cartesiani iˆ vesrsore asse x ˆj vesrsore asse y kˆ vesrsore asse z k̂ ĵ iˆ y x v 3iˆ verso modulo vettore di modulo pari a 3, diretto come l’asse delle x, ma in verso opposto direzione Prodotto scalare fra 2 vettori Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto scalare fra v1 e v2 e si indica con il simbolo v1 v2 la grandezza scalare: v1 v2 v1v2 cos v1 v2 1° caso 0 v1 v2 v1 v2 v1v2 cos 0 cos 1 v1 v2 v1v2 2° caso v1 0 90 v2 v1 v2 v1v2 cos 0 90 0 cos 1 v1 v2 0 3° caso v1 90 v2 v1 v2 v1v2 cos 90 cos 0 v1 v2 0 Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano perpendicolari è che il loro prodotto scalare sia nullo 4° caso 90 180 v1 v2 v1 v2 v1v2 cos 90 180 1 cos 0 v1 v2 0 5° caso 180 v1 v2 v1 v2 v1v2 cos 180 cos 1 v1 v2 v1v2 v1 v2 v1 v2 cos v2 v2 v1 v1 v2 v1v2 v1 v1 v2 0 v2 v1 v1 v2 0 v2 v1 v1 v2 0 v2 v1 v1 v2 v1v2 0 0 90 90 90 180 180 cos 1 0 cos 1 cos 0 1 cos 0 cos 1 Prodotto vettoriale fra 2 vettori Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto vettoriale fra v1 e v2 e si indica con il simbolo il vettore: v1 v2 v1 v2 v1v2 sin nˆ v1 v2 v2 n̂ v1 Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano paralleli è che il loro prodotto vettoriale sia nullo 2. MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI • • • • Cinematica del punto materiale Dinamica del punto materiale Lavoro ed energia Meccanica dei sistemi Cinematica del punto materiale Il punto materiale Un sistema meccanico può essere schematizzato come un punto geometrico (punto materiale) se: • le sue dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle che intervengo nel problema specifico (es. distanze percorse) • non ha interesse studiare i cambiamenti di orientamento del sistema e le sue deformazioni *** Esempi: 1) La terra può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rivoluzione attorno al sole. 2) La terra non può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rotazione diurna attorno all’asse polare. Uno stesso sistema può essere o non essere schematizzato come un punto materiale, a seconda del problema considerato. Equazione oraria Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria rettilinea P(t) traiettoria (rettilinea) Posizione di P all’istante t Stabiliamo sulla traiettoria rettilinea un sistema di ascisse (asse delle x): 1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse 2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza 3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore x pari alla distanza di P da O presa con segno: valore positivo (negativo) se il verso di OP è concorde (discorde) con quello dell’asse x traiettoria (rettilinea) O x(t) P(t) Equazione oraria Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza del valore di x (posizione di P) ad ogni istante, cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di x ad ogni istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria x x x (t ) Vettore posizione Vettore posizione Posizione di P all’istante t P(t) Traiettoria r (t ) k̂ ĵ x O Individua la posizione di P all’istante t O 0,0,0 P (t ) x (t ), y (t ), z (t ) z iˆ OP (t ) r (t ) y Vettore spostamento P(t ) r P(t+t ) r (t ) r (t t ) Vettore spostamento nell’intervallo di tempo [t, t +t ] r r (t t ) r (t ) Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ] Vettore velocità media P(t ) r P(t +t ) vM r (t ) r (t t ) Vettore velocità media nell’intervallo di tempo [t, t +t ] vM r r (t t ) r (t ) t t direzione: retta che congiunge P(t) e P(t+t) verso: quello che porta da P(t) e P(t+t) modulo: quello di P(t) P(t+t) diviso t Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto. Vettore velocità istantanea v (t ) P(t ) vM P(t +t ) Vettore velocità istantanea all’istante t r r ( t t ) r (t ) dr v (t ) lim lim t 0 t t 0 t dt direzione: individua la direzione del moto: retta tangente alla traiettoria in P(t) verso: individua il verso del moto modulo: caratterizza la rapidità con cui cambia la posizione del punto all’istante t Vettore accelerazione media e istantanea v (t ) v (t t ) Vettore variazione di velocità nell’intervallo di tempo [t, t +t ] v v (t t ) v (t ) Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ] Vettore accelerazione media nell’intervallo di tempo [t, t +t ] aM v v ( t t ) v (t ) t t Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta. Vettore accelerazione istantanea all’istante t v v ( t t ) v (t ) dv a (t ) lim lim t 0 t t 0 t dt Caratterizza in modulo, direzione e verso la rapidità con cui cambia la velocità del punto all’istante t Accelerazione tangenziale il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo) v (t t ) v (t ) v (t t ) v (t ) a (t ) v v v (t t ) v (t ) v a (t ) lim t 0 t Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione tangenziale. Accelerazione centripeta il vettore velocità varia in direzione ma non in modulo (es. moto circolare uniforme) v (t ) v (t ) v (t t ) v (t t ) v (t t ) v (t t ) aM aM aM a (t ) aM aM aM a (t ) Se il vettore velocità varia perché varia la sua direzione (moto curvilineo) e non il suo modulo (moto uniforme), allora il vettore accelerazione è perpendicolare al vettore velocità e quindi alla traiettoria, è diretto verso il centro di curvatura della traiettoria, e prende il nome di accelerazione centripeta. Accelerazione tangenziale e centripeta il vettore velocità varia in direzione e in modulo (es. moto curvilineo non uniforme) aT P aC a a aC aT centro di curvatura in P cerchio osculatore in P Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo (moto non uniforme) e la sua direzione (moto curvilineo), allora il vettore accelerazione è la somma di un componente tangenziale (accelerazione tangenziale), legato alla variazione del modulo della velocità, e di un componente centripeto (accelerazione centripeta), legato alla variazione della direzione della velocità Moto rettilineo, moto uniforme Moto Moto rettilineo Velocità vettore velocità costante in direzione vˆ vers( v ) cost Moto uniforme vettore velocità costante in modulo v cost Moto rettilineo uniforme vettore velocità costante (in direzione e modulo) v cost Accelerazione accelerazione centripeta nulla aC 0; a aT accelerazione tangenziale nulla aT 0; a aC vettore accelerazione nullo (accelerazione tangenziale e centripeta nulle) aT aC 0; a 0 Moto rettilineo uniforme v cost. P v x Equazione oraria x ( t ) vt x 0 +v -v x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0 se la velocità è diretta nello stesso verso dell’ asse x se la velocità è diretta in verso opposto all’ asse x Equazione oraria del moto rettilineo uniforme vario a cost. ( v0 velocità iniziale) a P Moto uniformemente accelerato (l’accelerazione ha lo stesso verso della velocità) v0 x Moto uniformemente decelerato (l’accelerazione ha verso opposto rispetto alla velocità) v ( t ) v 0 at v ( t ) v 0 at Equazione oraria x (t ) +vo -vo +a -a 1 2 at v 0 t x 0 2 se la velocità iniziale ha stesso verso dell’ asse x se la velocità iniziale ha verso opposto all’ asse x v0 = Modulo della velocità all’istante iniziale t = 0 se l’accelerazione ha lo stesso verso dell’ asse x x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0 se l’accelerazione ha verso opposto all’ asse x ESERCIZIO Problema: un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme con velocità V0 paria 10 m/s. Ad un certo istante inizia a frenare con decelerazione costante pari a 2 m/s2. Determinare la distanza dF percorsa nel corso della frenata ed il relativo intervallo tempo (tempo di frenata tF). Scegliamo come istante iniziale l’istante in cui il punto inizia a frenare. Prendiamo l’asse x coincidente con la traiettoria, verso quello del moto, ed origine coincidente con la posizione del punto all’istante iniziale. t tF t0 x0 a v0 v0 x dF Il moto è uniformemente vario (decelerato). Scriviamo le equazioni del moto: v ( t ) v 0 at Nel nostro caso 1 2 x at v 0 t x 0 2 v ( t ) v 0 at x 1 2 at v 0 t 2 All’istante di arresto tarr la velocità si annulla: v0 v0 at arr 0 t arr v0 a La posizione del punto all’istante di arresto si determina calcolando il valore di x all’istante di arresto : xarr v0 1 2 1 v02 1 v02 v02 v02 x (t arr ) at arr v0 t arr a 2 v0 2 2 a a 2 a a 2a Il tempo di frenata è la differenza fra l’istante di arresto e l’istante t0=0 in cui il punto inizia a frenare t F t arr t0 v0 v 0 0 a a tF v0 a La distanza percorsa nel corso della frenata è data dal valore di x all’istante di arresto meno il valore di x all’istante in cui il punto inizia a frenare (x0=0): d F xarr v02 v02 x0 0 2a 2a Sostituendo i valori numerici si trova: tF 5 s v02 dF 2a d F 25 m Dalle precedenti equazioni, noto a e v0 determino dF e tF v02 dF 2a v tF 0 a Le precedenti sono due equazioni nelle quattro variabili a, v0 , dF e tF . Note due di queste variabili si determinano le altre due Noto a e tF determino dF e v0 1 d F at F2 2 v0 at F Noto v0 e tF determino dF e a vt dF 0 F 2 v a 0 tF Noto dF e tF determino v0 e a 2d v0 tF a 2d F t F2 Noto a e dF determino v0 e tF v0 2 ad F tF 2d F a Noto v0 e dF determino a e tF v02 a 2d F tF 2d F v0 Velocità angolare Spostamento angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ] P(t+t) (t t ) (t ) P(t) Velocità angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ] M (t t ) (t ) t t Caratterizza in modulo e segno lo spostamento angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto. Velocità angolare istantanea all’istante di tempo t (t ) lim t 0 (t t ) ( t ) d lim t 0 t t dt Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la coordinata angolare del punto all’istante t Accelerazione angolare Variazione di velocità angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ] (t+t) (t t ) (t ) (t) Accelerazione angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ] M (t t ) (t ) t t Caratterizza in modulo e segno la variazione di velocità angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta. Accelerazione angolare istantanea all’istante t (t ) lim t 0 (t t ) (t ) d lim t 0 t t dt Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la velocità angolare del punto all’istante t Moto circolare uniforme Equazione oraria Nel moto circolare uniforme la velocità angolare è costante (t ) t 0 cost Periodo T v 2 T T 2 P(t) aC Frequenza f f (t) R 1 T 2 f Velocità v R Accelerazione aC 2 R f 2 Moto armonico Definizione Dato un punto che si muove di moto circolare uniforme, chiamiamo moto armonico il moto della proiezione di P su un diametro (es. asse x) della circonferenza descritta da P. Equazione oraria x (t ) R cos(t ) R cos( t 0 ) P(t) 2 f (t) R x(t) Px x f 2 t t+t Application: human movement kinematics KINEMATICS Osteokinematics Definition (Neumann) Osteokinematics describes the motion of bones relative to the three cardinal (principal) planes of the body: sagittal, frontal, and horizontal. Definition (Kisner and Colby) Physiological movements (movement of the bony lever or swing) are movements the patient can do voluntarily (e.g., the classic or traditional movements, such as flexion, abduction, and rotation). The term osteokinematics is used when these motions of the bones are described. Definition (O’Sullivan et al.) Osteokinematics refers to the gross angular motions of the shafts of bones. These motions are described as occurring in the three cardinal planes of the body: flexion and extension in the sagittal plane, abduction and adduction in the frontal plane, and medial and lateral rotation in the transverse plane. Planes of motion Piano frontale Piano sagittale Piano trasverso Axis of rotation Asse longitudinale Asse trasversale Asse sagittale Joint movements in the Sagittal Plane (around a ML axis) Flexion A decrease in joint angle (in the sagittal plane) Extension An increase in joint angle (in the sagittal plane) Joint movements in the Frontal Plane (around an AP axis) Abduction Movement away from the midline of the body (in the frontal plane). Adduction Movement toward the midline of the body (in the frontal plane). Lateral Flexion Displacement of the trunk away from the midline in the frontal plane (in the frontal plane). Joint movements in the Transverse Plane (around a longitudinal axis) External (lateral) Rotation Movement of the anterior side of a segment away from the midline of the body. Internal (medial) Rotation Movement of the anterior side of a segment toward the mid-line of the body. Horizontal Adduction (flexion) Horizontal motion that results in movement toward the midline. Horizontal Abduction (extension) Horizontal motion that results in movement away from the midline. Osteokinematics of upper limb Scapula & Clavicle (Sternoclavicular, Acromioclavicular) Abduction (Protraction) Adduction (Retraction) Depression Elevation Rotation Upward (Superior Rotation) Rotation Downward (Inferior Rotation) Internal Rotation Extrenal rotation Anterior tilt Posterior tilt Wrist & Midcarpals Flexion Extension / Hyperextension Adduction (Ulna Deviation) Abduction (Radial Deviation) Shoulder (Glenohumeral) Flexion Extension / Hyperextension Adduction Abduction Transverse Adduction Transverse Flexion Transverse Abduction Transverse Extension Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Fingers (Interphalangeal) Flexion Extension Elbow Flexion Extension Forearm (Radioulnar) Pronation Supination Fingers (Metacarpophalangeal) Flexion Extension / Hyperextension Adduction Abduction Thumb (Carpometacarpal) Flexion Extension Adduction Abduction Opposition Thumb (Metacarpophalangeal) Flexion Extension Adduction Abduction Thumb (Interphalangeal) Flexion Extension / Hyperextension Osteokinematics of lower limb Hip Flexion Extension Adduction Abduction Transverse Adduction Transverse Abduction Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Knee Flexion Extension Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Ankle Plantar Flexion Dorsi Flexion Foot (Intertarsal) Inversion Eversion Plantarflexion Toes (Metatarsophalangeal) Flexion Extension / Hyperextension Abduction Adduction Toes (Interphalangeal) Flexion Extension Osteokinematics of spine Atlanto-occipital joint Flexion Extension Lateral Flexion Atlanto-axial joint Flexion Extension Rotation C3-C7 Flexion Extension Lateral Flexion Rotation Thoracic Spine Flexion Extension Lateral Flexion Rotation Lumbar Spine Flexion Extension Lateral Flexion Rotation Mobilized segment knee flexion describes only the relative motion between the thigh and leg. It does not describe which of the two segments is actually rotating. Often, to be clear, it is necessary to state the bone that is considered the primary rotating segment. For example, the terms tibial-on-femoral movement and femoral-on-tibial movemen adequately describe the osteokinematics Knee flexion femoral-on-tibial movement tibial-on-femoral movement Arthrokinematics Definition (Neumann) Arthrokinematics describes the motion that occurs between the articular surfaces of joints. Definition (Kisner and Colby) Joint play describes the motions that occur between the joint surfaces and also the distensibility or “give” in the joint capsule, which allows the bones to move. The movements are necessary for normal joint functioning through the ROM and can be demonstrated passively, but they cannot be performed actively by the patient. The term arthrokinematics is used when these motions of the bone surfaces within the joint are described. Definition (O’Sullivan et al.) Arthrokinematics refers to the motion of joint surfaces. These motions, often called accessory or joint play motions, are used to determine joint mobility and integrity. Fundamental movements between joint surfaces Additional movements between joint surfaces Compression: decrease in the joint space between joint surfaces Separation: decrease in the joint space between joint surfaces Roll Characteristics of one bone rolling on another: • The surfaces are incongruent. • New points on one surface meet new points on the opposing surface. • Rolling results in angular motion of the bone (swing). • Rolling, if it occurs alone, causes compression of the surfaces on the side to which the bone is swinging and separation on the other side. • Passive stretching using bone angulation alone may cause stressful compressive forces to portions of the joint surface, potentially leading to joint damage. • In normally functioning joints, pure rolling does not occur alone but in combination with joint sliding and spinning. Slide Characteristics of one bone sliding (translating) across another: • For a pure slide, the surfaces must be congruent, either flat or curved • The same point on one surface comes into contact with the new points on the opposing surface. • Pure sliding does not occur in joints, because the surfaces are not completely congruent. Spin Characteristics of one bone spinning on another: • There is rotation of a segment about a stationary mechanical axis. • The same point on the moving surface creates an arc of a circle as the bone spins. • Spinning rarely occurs alone in joints but in combination with rolling and sliding. Compression Compression • Compression is the decrease in the joint space between bony partners. • Compression normally occurs in the extremity and spinal joints when weight bearing. • Some compression occurs as muscles contract, which provides stability to the joints. • As one bone rolls on the other, some compression also occurs on the side to which the bone is angulating. • Normal intermittent compressive loads help move synovial fluid and, thus, help maintain cartilage health. • Abnormally high compression loads may lead to articular cartilage changes and deterioration Distraction (separation) Definitions distraction, joint traction, or joint separation: the joint surfaces are to be separated long-axis traction: pulling on the long axis of a bone (may result in slide) distraction For joint mobilization/manipulation techniques, distraction is used to control or relieve pain when applied gently or to stretch the capsule when applied with a stretch force. A slight distraction force is used when applying gliding techniques. Convex-on-concave and concave-on-convex arthrokinematics Convex-on-concave arthrokinematics ROLL Concave-on-convex arthrokinematics SLIDE SPIN Arthrokinematic Principles of Movement • Rolling is always in the same direction as bone motion,whether the moving bone is convex or concave. • For a convex-on-concave surface movement, the convex member rolls and slides in opposite directions. • For a concave-on-convex surface movement, the concave member rolls and slides in similar directions. Control of Arthrokinematic Movements The arthrokinematic motions between joint surfaces is controlled by • Shape of the articular surfaces • Tension in periaricular connective tissue (ligaments, capsule, ...) • muscle forces A limited or faulty arthrokinematic movement of the joint surfaces may result in • limited ostoekinematic motion of bone levers • abnormal joint mechanics • microtrauma and joint dysfunction • pain Shoulder abduction and rotator cuff muscles During shoulder abduction, the rotator cuff muscles cause the caudal sliding motion of the humeral head If this function is lost, the resulting abnormal joint mechanics may cause subacromial impingement Knee extension and cruciate ligament tibiofemoral compression roll posterior tibial slide knee extension tibiofemoral compression anterior tibial slide roll knee extension anterior tibial slide tibiofemoral compression external tibial spin roll knee extension Applications: manual therapy techniques The principles serve as a basis for some manual therapy techniques. Gentle mobilizations may be used to treat pain and muscle guarding, whereas stretching techniques are used to treat restricted movement. Painful joints, reflex muscle guarding, and muscle spasm Small-amplitude distraction or gliding movements of the joint are used to cause synovial fluid motion, which is the vehicle for bringing nutrients to the avascular portions of the articular cartilage (and intra-articular fibrocartilage when present). Gentle jointplay techniques help maintain nutrient exchange and, thus, prevent the painful and degenerating effects of stasis when a joint is swollen or painful and cannot move through the ROM. When applied to treat pain, muscle guarding, or muscle spasm, these techniques should not place stretch on the reactive tissues. Reversible Joint Hypomobility Reversible joint hypomobility can be treated with progressively vigorous joint-play stretching techniques to elongate hypomobile capsular and ligamentous connective tissue. Sustained or oscillatory stretch forces are used to distend the shortened tissue mechanically. Positional Faults/Subluxations A faulty position of one bony partner with respect to its opposing surface may result in limited motion or pain. This can occur with a traumatic injury, after periods of immobility, or with muscle imbalances. The faulty positioning may be perpetuated with maladapted neuromuscular control across the joint, so whenever attempting active ROM, there is faulty tracking of the joint surfaces resulting in pain or limited motion. MWM techniques attempt to realign the bony partners while the person actively moves the joint through its ROM. Subluxations Thrust techniques are used to reposition an obvious subluxation, such as a pulled elbow or capitate-lunate subluxation. Progressive Limitation Diseases that progressively limit movement can be treated with joint-play techniques to maintain available motion or retard progressive mechanical restrictions. The dosage of distraction or glide is dictated by the patient’s response to treatment and the state of the disease. Functional Immobility When a patient cannot functionally move a joint for a period of time, the joint can be treated with nonstretch gliding or distraction techniques to maintain available joint play and prevent the degenerating and restricting effects of immobility. Dinamica del punto materiale Primo principio della dinamica Sistemi di riferimento inerziali Un Sistema di riferimento inerziale è definito dalla condizione che rispetto ad esso lo spazio è omogeneo ed isotropo ed il tempo omogeneo. In particolare, un punto materiale libero (non soggetto ad alcuna interazione con altri sistemi) che ad un dato istante si trovi in uno stato di quiete in un sistema di riferimento inerziale, permarrà in quiete per un periodo di tempo illimitato (in un sistema di riferimento inerziale ogni posizione è posizione di equilibrio per un punto libero). Principio di inerzia In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale libero permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Principio di relatività galileiana (Galileo) I fenomeni meccanici si svolgono con leggi dello stesso tipo in tutti i sistemi di riferimento in moto traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. Dal principio di relatività segue che se un sistema di riferimento è inerziale ogni altro sistema di riferimento che si muova rispetto al primo di moto traslatorio rettilineo uniforme è anch’esso inerziale. Il secondo principio della dinamica Forza Ente in grado di perturbare lo stato di quiete o di moto rettilineo di un punto in un riferimento inerziale. La forza può essere definita in modo operativo, staticamente, mediante la deformazione che produce su un sistema facilmente deformabile, quale ad esempio una molla (dinamometro). Secondo principio della dinamica (Newton) L’applicazione di una forza ad un punto materiale, produce un’accelerazione con direzione e verso coincidenti con quello della forza, e modulo proporzionale a quello della forza. F a m m = massa inerziale del punto F ma Dimensioni e unità di misura della forza. F Ma MLT 2 kg m s 2 Newton ( N ) Principio di sovrapposizione Quando più forze sono applicate contemporaneamente ad un punto, l’effetto complessivo è uguale a quello che si ottiene applicando al punto la risultante (somma vettoriale) delle singole forze. F f1 f 2 f 3 f1 f2 F Il terzo principio della dinamica Enunciato Due punti materiali esplicano l’uno sull’altro due forze di uguale modulo, dirette lungo la congiungente ed aventi verso opposto. P1 P2 F21 P1 F21 F1 2 P2 F1 2 Le leggi delle forze: forza elastica Forza elastica di centro O Forza sempre diretta verso un punto fisso O (detto centro della forza elastica) in modulo proporzionale alla distanza di P da O OP r rrˆ r̂ O Fel r Fel kr kr rˆ P k = costante elastica Esempio: punto materiale attaccato all’estremità di una molla allungata o accorciata rispetto alla lunghezza di riposo molla a riposo molla allungata O molla accorciata P O P Oscillazioni libere Studio del moto rettilineo di un punto materiale di massa m soggetto a una forza elastica m O x A equazione oraria: moto armonico x(t ) A cos( 0t 0 ) 0 k m kOP x0 P x xA A x pulsazione delle oscillazioni libere -A t Forza di attrazione gravitazionale Forza di attrazione gravitazionale fra 2 punti materiali Un punto di massa m1 esercita su un punto di massa m2 posto a distanza r una forza di attrazione gravitazionale data da: m1m2 F1 2 G 2 r̂12 r r m2 G = costante di gravitazione universale m1 F1 2 r̂12 G 6.67 10 11 Nm 2 kg 2 Teorema di Newton Una sfera omogenea di massa M esercita su un punto m (esterno alla sfera) la stessa forza che eserciterebbe se tutta la massa M della sfera fosse concentrata nel suo centro. Mm Fgr G 2 rˆ r M m Fgr r̂ r Forza peso Forza peso Forza esercitata dalla terra su un punto materiale P che si trova in quiete nei pressi della sua superficie. Il peso è la risultante della forza di attrazione gravitazionale e della forza centrifuga legata al moto di rotazione diurna attorno all’asse polare. mg r̂ Espressione della forza peso • In regioni di spazio limitate nei pressi della superficie terrestre la forza centrifuga può essere trascurata. • Considerando la terra come una sfera omogenea si può applicare il teorema di Newton Mm M P G 2 rˆ m G 2 rˆ mg r r Accelerazione di gravità P M g G 2 rˆ m r g = 9.8 m/s2 sulla superficie terrestre O rˆ vers (OP ) P Resistenze di mezzi fluidi Resistenze di mezzi fluidi Quando un corpo si muove all’interno di un fluido esercita una forza sulle particelle del fluido. Le particelle, per il terzo principio, esercitano sul corpo forze uguali e contrarie: la somma di queste forze costruisce la resistenza offerta dal mezzo fluido al moto del corpo. F Avvˆ F Avvˆ Av bv = densità del fluido = coefficiente di forma A = superficie investita fluido Esempio: I due corpi rappresentati hanno lo stesso valore di A ma differenti valori di . v v A Reazione del piano di appoggio e forza di attrito N A RNA Relazione vincolare Il componente della reazione perpendicolare al piano Il componente della reazione parallelo al piano (attrito) Legge dell’attrito statico 0 Ast Ast . max S N Legge dell’attrito dinamico Adin D N Ast . max N S ( D S ) D coefficiente di attrito statico coefficiente di attrito dinamico N F v 0 N F v 0 Ast Ast . max N F N a Ast . max v 0 v 0 F v Adin a0 Forza di trascinamento - moto traslatorio Il sistema mobile (solidale al vagone) si muove di moto traslatorio rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie. Rispetto al sistema solidale alle rotaie il punto permane nel suo stato di moto con accelerazione nulla (quiete o in moto rettilineo uniforme). Rispetto al sistema solidale al vagone il punto si muove con accelerazione a a a Piano liscio Accelerazione del vagone In un sistema di riferimento non inerziale, in moto traslatorio rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata all’accelerazione a del sistema, detta forza apparente di trascinamento: Ftr ma Forza di trascinamento - moto rotatorio uniforme Il sistema mobile (vagone) si muove di moto rotatorio uniforme rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie. Accelerazione, rispetto al sistema fisso, del vagone nella posizione occupata da P a 2 PC C riferimento fisso inerziale P Riferimento mobile solidale al vagone a 2 P * P Accelerazione di P rispetto al sistema solidale al vagone In un sistema di riferimento non inerziale, in moto rotatorio uniforme rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata alla velocità angolare del sistema ed alla posizione del punto, detta forza centrifuga: Fcentrifuga m 2 CP C = centro di curvatura Lavoro ed Energia Lavoro Definizione Sia F un forza costante agente su un punto P ed l lo spostamento del punto nell’ intervallo di tempo finito [t1,t2]. Si definisce lavoro compiuto dalla forza F su P nell’intervallo [t1, t2], e si indica con L, la grandezza scalare: L F l F l cos F F l Il lavoro caratterizza la forza agente su un punto, in relazione allo spostamento subito dal punto stesso F l F l Fl F l F l 0 l F l 0 Se la forza F agente su P è costante e parallela a l L Fl F l 0 F F dl Fl dove vale il segno più se i due vettori sono concordi, il segno meno se sono discordi Dimensioni ed unità L FL MLT L ML T 2 2 2 l Nm kg m 2 s 2 Joule ( J ) Energia Definizione Capacità di compiere lavoro. Tipi di energia in meccanica • Energia cinetica: Energia (capacità di compiere lavoro) legata al moto del punto EC 1 2 mv 2 • Energia potenziale Energia (capacità di compiere lavoro) legata alla posizione di un punto materiale all’interno di un campo di forze conservativo (forza peso, forza elastica, forza di attrazione gravitazionale, …) . E P ( peso ) mgh E P (gravitaz. ) G Mm r E P (elastica ) h = quota rispetto ad un piano orizzontale di riferimento r = distanza dal centro della forza elastica/gravitazionale • Energia meccanica Somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale EM EC EP 1 2 kr 2 Energia Cinetica F m vo v0 Lavoro compiuto per arrestare un punto materiale di massa m e velocità v0. a F /m d arr v02 2a v02 1 L d arr F F mv 02 2a 2 Il punto esercita sul sistema frenante una forza uguale ed opposta (3° principio della dinamica), e compie sul sistema frenante un lavoro (uguale ma di segno contrario) pari a: L 1 2 mv0 2 Un punto solo per il fatto di avere una massa m e una velocità v è in grado di compiere una quantità di lavoro pari a: EC 1 mv 2 2 Questa capacità di compiere lavoro legata alla velocità di P prende il nome di energia cinetica. Teorema del lavoro Ritornando all’esempio precedente F m vo v0 Possiamo scrivere L 1 1 mv 02 0 mv 02 E C ( finale ) E C ( iniziale ) 2 2 questo è un caso particolare di un teorema generale detto del teorema del lavoro Enunciato del teorema del lavoro La variazione di energia cinetica di un sistema materiale in un qualsiasi intervallo di tempo è pari al lavoro compiuto dalle forze agenti sul punto nello stesso intervallo di tempo. E c ( t 2 ) E c ( t1 ) Lt1 t 2 Forze conservative, energia potenziale Definizione Una forza si dice conservativa se il lavoro che compie su un punto materiale che si sposta da un punto P1 a un punto P2 dipende soltanto dalla posizione di questi punti e non dal percorso seguito per andare dal primo al secondo. 1 P1 2 P2 Si può quindi uguagliare questo lavoro alla differenza dei valori assunti in P1 e P2 da una funzione uniforma e generalmente regolare delle coordinate, detta energia potenziale Ep LP1 P2 E P ( P1 ) E P ( P2 ) Per qualsiasi percorso che congiunge P1 e P2 ESERCIZIO Dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza peso per i tre percorsi indicati, congiungenti P1 e P2 , è il medesimo P1 P1 P1 mg mg mg h P2 LP1P2 mgh E P mgh P2 mg LP1P2 0 mgh 0 mgh risulta infatti mg h P2 l mg LP1P2 0 mgl cos mgh LP1P2 E P ( P1 ) E P ( P2 ) mgh 0 mgh L’ energia potenziale mgh può essere utilizzata per compiere lavoro (per esempio sollevare un carico da terra) h Principio di conservazione dell’energia meccanica Enunciato Se un punto materiale è soggetto all’azione di sole forze conservative, allora la sua energia meccanica si conserva costante nel tempo Dimostrazione LP1P2 EC ( 2) EC (1) LP1P2 E P (1) E P ( 2) E P (1) E P ( 2) EC ( 2) EC (1) EC (1) EP (1) EC (2) E P (2) E M (1) E M ( 2) E M cost. Teorema del lavoro Definizione di forza conservativa Potenza Potenza media Sia L il lavoro elementare compiuto dalla forza F nell’ intervallo di tempo [t, t+t]. Si definisce potenza media erogata dalla forza F nell’intervallo di tempo considerato la grandezza scalare: WM L F l t t La potenza caratterizza il lavoro compiuto della forza e la rapidità con cui tale lavoro è compiuto Potenza istantanea La potenza istantanea si ottiene dalla potenza media facendo il limite per t→0 Dimensioni ed unità W FLT 1 MLT 2 LT 1 ML T 2 3 kg m 2 s 3 J watt (W ) s ESERCIZIO: la caduta di un grave Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo da quota h. Determinare la velocità del punto al momento dell’impatto col suolo e l’istante di impatto. L’unica forza agente sul punto è la forza peso. Questa forza è conservativa, si può quindi applicare il principio di conservazione dell’energia meccanica. v0 EC (iniziale) E p (iniziale) EC (impatto) E P (impatto) 0 mgh 1 2 mvimp 0 2 h vimp 2 gh vimp ESERCIZIO: grave lanciato verso l’alto Problema: Un punto materiale viene lanciato verso l’alto con velocità vo. Determinare la massima quota raggiunta h e l’istante in cui tale quota viene raggiunta (tempo di arresto). Come in precedenza si applica il principio di conservazione dell’energia meccanica. v0 EC (iniziale) E p (iniziale) EC ( h) E P ( h) 1 2 mv0 0 0 mgh 2 v02 h 2g h v0 Meccanica dei sistemi Centro di massa di un sistema materiale Definizione Centro della distribuzione della massa del sistema Esempio: 2 punti di uguale massa m, e due punti di massa m e 2m m m C m C 2m Centri di massa di un sistema particellare: N punti di massa m1, m2, m3, …, mN-1, mN. m2 m1 r1 r2 mi C ri O m r m2 r2 m N rN 1 OC 1 1 m1 m2 m N M mN rN m r ii N i 1 ESERCIZIO Applichiamo la formula m1r1 m2 r2 m N rN OC m1 m2 m N • 2 punti di uguale massa m C O→ r m • m m1r1 m2 r2 m 0 mr r OC m1 m2 mm 2 due punti di massa m e 2m m O→ C r 2m m1r1 m2 r2 m 0 2 mr 2 OC r m1 m2 m 2m 3 Proprietà del centro di massa Dalla definizione di centro di massa, derivando si ricava La forza peso è una forza distribuita: agisce su tutte le parti di un corpo Se il corpo è rigido: la forza peso equivale ad un’unica forza, pari al peso del corpo intero, applicata nel suo centro di massa C mi g Mg La forza risultante è la stessa R m1 g m 2 g m N g ( m1 m 2 m N ) g Mg Velocità ed accelerazione del cento di massa 1 OC M mi ri N i 1 M OC mi ri N i 1 N M vC mi vi i 1 N M a C mi a i i 1 Forze interne e forze esterne al sistema Definizione Dato un sistema di N punti materiali, chiamiamo forze interne quelle che si esplicano vicendevolmente fra i vari punti del sintema, forze esterne quelle esercitate sui punti del sistema da parte di elementi materiali che non fanno parte del sistema. Per il terzo principio della dinamica, le forze interne che si esplicano vicendevolmente due punti sono uguali e contrarie, quindi la risultante (somma) delle forze interne agenti su un sistema è sempre nulla. (int) R 0 sistema Punto appartenete al sistema Punto non appartenete al sistema forza interna forza esterna La somma delle forze interne agenti su un punto del sistema non è in generale nulla. Al contrario, la somma delle forze interne agenti su tutti i punti del sistema (risultante delle forze interne) è sempre nulla. Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi (int) ( est ) m1a1 f1 f1 (int) ( est ) m2 a 2 f 2 f 2 (int) ( est ) mN a N f N f N (int) ( est ) mi a i R R N Seconda equazione della dinamica scritta per ciascun punto del sistema (int) fi Somma delle forze interne agenti sull’i-esimo punto (est ) fi Somma delle forze esterne agenti sull’i-esimo punto (int) fi mi (est ) fi La somma dei primi membri di queste equazioni deve essere uguale alla somma dei secondi membri i 1 Dalle relazioni N mi a i M a C i 1 R (int) 0 segue (est ) M aC R Teorema del moto del centro di massa Il centro di massa di un qualsiasi sistema materiale si muove come un punto materiale dotato della massa dell’intero sistema e soggetto alla risultante delle forze esterne applicate al sistema Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi (est ) M aC R ma F Momento di una forza Definizione Dato un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso privo di attrito, e una forza agente sul corpo e appartenente a un piano perpendicolare a tale asse, si definisce momento della forza rispetto all’asse il prodotto del modulo della forza per il suo braccio. Il braccio è la minima distanza fra l’asse e retta di applicazione della forza. M a Fb asse di rotazione corpo rigido F Dimensioni ed unità di misura M a FL MLT 2 L ML2T 2 Nm kg m 2 s 2 C corpo rigido F C corpo rigido F Il braccio della forza (ed il momento) aumenta all’aumentare della distanza fra punto di applicazione della forza e centro di rotazione Il braccio della forza (ed il momento) aumenta quanto più la forza è perpendicolare alla retta fra il punto di applicazione della forza e il centro di rotazione Il braccio della forza (e il momento) è nullo quando la retta di applicazione della forza passa per il centro di rotazione C Momento di inerzia Definizione Data un asse a, si definisce momento di inerzia di un sistema rispetto all’asse a, e si indica con il simbolo Ia , la somma dei prodotti delle masse dei punti del sistema per i quadrati delle rispettive distanze dall’asse. I a m1d12 m2 d 22 m N d N2 asse d1 asse m1 d2 m2 M di M mi dN mN i due sistemi hanno uguale massa M, ma il momento di inerzia del primo è minore di quello del secondo Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi Grandezze traslazionali massa Accelerazione del centro di massa Risultante delle forze esterne Grandezze rotazionali m aC ( est ) R Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi (est ) M aC R Ia Momento di inerzia Accelerazione angolare M a( est ) Momento assiale delle forze esterne Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi I a M a(est ) Equazioni cardinali della statica dei sistemi In condizioni statiche le accelerazioni che compaiono nelle equazioni cardinali della dinamica si annullano ( est ) M aC R ( est ) I M a a aC 0 0 Si ottengono 2 equazioni vettoriali che prendono il nome di equazioni cardinali della statica: ( est ) R 0 ( est ) M a 0 Le leve Leve Corpo rigido vincolato ad asse fisso (fulcro) sollecitato da due forze (dette forza F e resistenza R) che producono momenti assiali di segno opposto (rotazioni di verso opposto). Braccio della resistenza, bR F R mg retta di applicazione della resistenza Regola d’equilibrio M a( est ) 0 Se bF 10bR bF F bR R 0 1 F R 10 bF F b R R F bR R bF (per equilibrare la resistenza basta una forza 10 volte più piccola). E’possibile equilibrare/spostare un carico elevato con una forza minima F bF bR R Leve vantaggiose e leve svantaggiose Leve vantaggiose Braccio della forza è maggiore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è sufficiente una forza il cui modulo è minore di quello della resistenza bF F bR R vantaggiose bF bR FR F bF bR R Leve svantaggiose Braccio della forza è miniore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è necessaria una forza il cui modulo è maggiore di quello della resistenza bF F bR R svantaggiose bF bR FR bF F bR R Leve di primo, secondo e terzo tipo Leve di primo tipo Fulcro in posizione intermedia fra forza e resistenza Le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose 1° tipo R Esempio di leva anatomica di primo tipo Estensione dell’articolazione atlanto-occipitale F Leve di secondo tipo Resistenza in posizione intermedia fra forza e fulcro Le leve di secondo genere sono in generale vantaggiose F R 2° tipo Esempio di leva anatomica di secondo tipo Estensione della caviglia nel sollevamento del peso del corpo Leve di terzo tipo Forza in posizione intermedia fra resistenza e fulcro Le leve di terzo genere sono in generale svantaggiose F 3° tipo Esempio di leva anatomica di terzo tipo Flessione dell’articolazione del gomito R Leve di forza e leve di velocità Le leve anatomiche sono in maggioranza svantaggiose. Ciò appare un controsenso. In realtà una leva svantaggiosa dal punto dinamico(delle forze) è vantaggiosa dal punti di vista cinematico (degli spostamenti e delle velocità) e viceversa. R bR nbF sR F e s R ns F n F s F R s R LF LR R Il lavoro compiuto dalla forza e la resistenza è lo stesso sF E’ necessaria una grande forza per spostare una piccola resistenza, ma lo spostamento della resistenza è grande rispetto a quello del punto di applicazione della forza e punto di applicazione della resistenza si sposta ad una velocità più elevata di quello della forza F Calcolo della forza agente sul fulcro (reazione vincolare) Braccio della resistenza, bR F R mg F retta di applicazione della resistenza Regola d’equilibrio ( est ) R 0 F R0 ( F R ) R 15. Dinamica delle leve Braccio della resistenza, bR F R mg retta di applicazione della resistenza M a( est ) I bF F bR R I F bR R I bF = accelerazione angolare = velocità angolare bF F bR R 0 aumenta =cost: movimento isocinetico bF F bR R 0 costante In particolare: bF F bR R 0 diminuisce =0: equilibrio statico Condizione di equilibrio di un corpo appoggiato su un piano Per corpi in appoggio, la condizione di equilibrio è che la verticale passante per il centro di massa (retta di applicazione della forza peso cada dentro la base di appoggio Mg Mg Stabilità di un corpo appoggiato su un piano F Mg braccio della forza braccio della forza F Per corpi in appoggiati su un piano, a parità di massa, più basso è il centro di massa e più è larga è la base di appoggio, più stabile è il sistema braccio del peso Mg braccio del peso Per corpi in appoggiati su un piano, a parità di massa, più basso è il centro di massa e più è larga è la base di appoggio, più stabile è il sistema Mg Mg Application: human movement kinetics KINEMATICS Pesi liberi: flessione del gomito con manubri mg bR bR mg mg bR mg • Il peso del manubrio mantiene direzione (verticale verso il basso) ed intensità costante • Il braccio della resistenza bR prima aumenta (fino a 90° di flessione del gomito) poi diminuisce • Il momento della resistenza (prodotto del braccio per la resistenza) prima aumenta (fino a 90° di flessione del gomito) poi diminuisce M R b R mg Pesi liberi: estensione del ginoccihio con cavigliera bR bR mg mg mg • Il peso della cavigliera mantiene direzione (verticale verso il basso) ed intensità costante • Il braccio della resistenza bR prima aumenta sempre da zero fino al massimo all’estensione competa del ginocchio • Il momento della resistenza (prodotto del braccio per la resistenza) aumenta sempre da zero fino al massimo all’estensione competa del ginocchio M R bR Mg Macchine a leva: estensione del ginocchio al leg extension bR bR bR R R R • La resistenza R resta costante e pari al peso del pacco di piastre selezionate, e cambia direzione mantenendosi perpendicolare alla tibia • il braccio della resistenza bR resta costante • il momento della resistenza (prodotte del braccio per la resistenza) resta costante M R bR R Pesi vincolati ai cavi: estensione del ginocchio ai cavi • La resistenza R resta costante e pari al peso del pacco di piastre selezionate, e cambia direzione seguendo il cavo • il braccio della resistenza bR diminuisce • il momento della resistenza (prodotte del braccio per la resistenza) diminuisce bR R mg Estensione del ginocchio con elastici bR Fel bR bR Fel Fel • La forza dell’elastico resta aumenta mentre l’elastico si tende • il braccio della resistenza bR resta diminuisce • il momento della resistenza (prodotte del braccio per la resistenza) … ????? M R bR Fel Implicazioni posturali Ankle. For the ankle, the gravity line is anterior to the joint, so it tends to rotate the tibia forward about the ankle. Stability is provided by the plantarflexor muscles, primarily the soleus muscle. Knee. The normal gravity line is anterior to the knee joint, which tends to keep the knee in extension. Stability is provided by the anterior cruciate ligament, posterior capsule (locking mechanism of the knee), and tension in the muscles posterior to the knee (the gastrocnemius and hamstring muscles). The soleus provides active stability by pulling posteriorly on the tibia. With the knees fully extended, no muscle support is required at that joint to maintain an upright posture; however, if the knees flex slightly, the gravity line shifts posterior to the joint, and the quadriceps femoris muscle must contract to prevent the knee from buckling. Hip. The gravity line at the hip varies with the swaying of the body. When the line passes through the hip joint, there is equilibrium, and no external support is necessary. When the gravitational line shifts posterior to the joint, some posterior rotation of the pelvis occurs, but is controlled by tension in the hip flexor muscles (primarily the iliopsoas). During relaxed standing, the iliofemoral ligament provides passive stability to the joint, and no muscle tension is necessary. When the gravitational line shifts anteriorly, stability is provided by active support of the hip extensor muscles. Trunk. Normally, the gravity line in the trunk goes through the bodies of the lumbar and cervical vertebrae, and the curves are balanced. As the trunk shifts, contralateral muscles contract and function as guy wires. Extreme or sustained deviations are supported by inert structures. Head. The center of gravity of the head falls anterior to the atlantooccipital joints. The posterior cervical muscles contract to keep the head balanced. Forza muscolare F F Componente rotatoria Componente rotatoria Compressione articolare Compressione articolare Forza di reazione articolare F F R M a( est ) 0 bF F bR R R ( est ) R 0 F R0 quadriceps quadriceps hamstrings FH flexion TF compression FQ quadriceps PCL load hamstrings FQ quadriceps quadriceps hamstrings FQ TF compression FH PCL load quadriceps Stazione eretta bR=0 perso della parte superiore del corpo R F bR R0 bF l’attività muscolare è trascurabile (tono posturale) R0 R la giunzione lombosacrale sopporta il peso della parte superiore del corpo colonna in neutro e in parziale scarico Sollevamento di un carico Stazione eretta bR=0 perso della parte superiore del corpo R F bR R0 bF l’attività muscolare è trascurabile (tono posturale) R0 R la giunzione lombosacrale sopporta il peso della parte superiore del corpo colonna in neutro e in parziale scarico Flessione della colonna vertebrale nel sollevamento di un carico colonna in neutro e in carico bF F bR attività dei muscoli estensori del rachide lombare perso della parte superiore del corpo e del carico R colonna in neutro e in scarico colonna in flessione e in scarico colonna in flessione e in carico colonna in neutro e in carico The nuclear material may impinge against the spinal cord or nerve roots. This potentially painful impairment is frequently referred to as a herniated or prolapsed disc, or more formally a herniated nucleus pulposus. Persons with a herniated disc may experience pain or altered sensation, muscle weakness, and reduced reflexes in the lower extremity, consistent with the specific motor and sensory distribution of the impinged nerve root . Inclinazione del tronco nel sollevamento di un carico bR bF F bR R bR R bF F R bF F Anterior shear force at the L5-S1 junction L1 to L4 Region In normal posture the superior surfaces of the bodies of the middle lumbar vertebrae are typically positioned in a more horizontal orientation. The erector spinae muscle fibers that cross this region more likely produce a posterior shear across the lumbar interbody joints. This muscle-produced shear may be physiologically useful, offering resistance to the anterior shear that may be produced during bending and lifting loads in front of the body. L5-S1 Junction • The base (top) of the sacrum is naturally inclined anteriorly and inferiorly, forming an approximate 40degree sacrohorizontal angle when one is standing. • For this reason, the force vector of the erector spinae muscle that crosses L5-S1 (ES/5-1) creates an anterior shear force (ES/5-1S) parallel to the superior body of the sacrum. A greater muscular force increases the anterior shear at the L5-S1 junction, especially if the muscle activation exaggerates the lordosis. • the resultant force resulting from body weight (BW) creates an anterior shear force (BWS), and a compressive force (BWC) acting perpendicular to the superior surface of the sacrum. Stabilization of the L5-S1 junction Several structures resist the natural anterior shearing force produced at the L5-S1 junction and provide bony stabilization to the L5-S1 junction: • The wide and strong anterior longitudinal ligament • The iliolumbar ligament • the wide, sturdy articular facets of the L5-S1 apophyseal joints L1 to L4 Region The facet surfaces of most lumbar apophyseal joints are oriented nearly vertically, with a moderate-to-strong sagittal plane bias. This orientation favors sagittal plane motion at the expense of rotation in the horizontal plane. L5-S1 Junction The facet surfaces of the L5-S1 apophyseal joints have a nearly frontal-plane orientation, This orietantation is ideal for resisting the anterior shear at this region. Anterior and posterior pelvic tilt • Anterior pelvic tilt (A) extends the lumbar spine and increases the lordosis. This action tends to shift the nucleus pulposus anteriorly and reduces the diameter of the intervertebral foramen (C). • Posterior pelvic (B) tilt flexes the lumbar spine and decreases the lordosis. This action tends to shift the nucleus pulposus posteriorly and increases the diameter of the intervertebral foramen (D). Anterior spondylolisthesis at L5-S1 junction Body weight and lumbar extensor muscles create a compression force within the L5-S1 apophyseal joints. Increased lumbar lordosis increases the normal sacrohorizontal angle, thereby increasing the anterior shear force between L5 and S1. Exercises or other actions that create a forceful hyperextension of the lower lumbar spine can impose excessive compression on the facet surfaces of the L5-S1 apophyseal joints Without adequate stabilization, the lower end of the lumbar region can slip forward relative to the sacrum. This abnormal, potentially serious condition is known as anterior spondylolisthesis. squat Lumbar spine flexion Flessione del rachide lombare (40-50°) assetto unità LPF forame e canale Forza di compressione sui dischi intervertebrali Cambiamento di forma del disco intervetebrale sollecitazione dell’anello fibroso effetto della flessione ogni vertebra si inclina e scivola leggermente in avanti rispetto alla vertebra sottostante aumento della forza di compressione sul disco specialmente nella sua parte anteriore diminuzione di spessore nella parte anteriore e aumento di spessore nella parte posteriore aumento di tensione sule fibre posteriori dell’anello fibroso Spostamento del nucleo polposo il nucleo polposo viene spinto all’indietro Pressione del nucleo polposo sulle fibre dell’anello fibroso aumento di pressione sulle fibre posteriori dell’anello fibroso Movimento relativo delle facce articolari delle articolazioni interapofisarie la faccie aticolari inferiori di una vertebra (L2) scivola superiormente e anteriormente, rispetto alla feccette articolari superiori della vertebra sottostante (L3). diminuzione Area di contatto fra le superfici articolari interapofisarie variazione della tensione della capsula dell’articolazione interapofisaria tensionamento (allungamento) forza di compressione sulle facce articolari il carico è trasferito dalle articolazioni interapofisarie al disco e i corpi vertebrali incerto (la compressione aumento ma l’area contatto diminuisce) pressione sulle facce articolari legamento longitudinale anteriore legamento longitudinale posteriore legamento giallo legamento intertasversario legamento interspinoso legamento sovraspinoso diametro del forame intervertebrale detensionamento tensionamento (allungamento) diametro del canale vertebrale aumento variazione di tensione del midollo spinale tensionamento (allungamento) movimento pelvico associato retroversione con diminuzione del grado di lordosi lombare limiti al movimento fibre posteriori dell’anello fibroso, capsula dell’articolazione inerapofisaria, tutti i legamenti tranne il legamento longitudinale anteriore Tensione dei legamenti legamenti articolazioni interapofisarie vertebre e disco grandezza fisica Movimento relativo dei corpi vertebrali tensionamento (allungamento) tensionamento (allungamento) tensionamento (allungamento) tensionamento (allungamento) aumento (19%) implicazioni biomeccaniche A chronic posture of increased flexion of the lumbar spine places a disproportionally larger compressive load on the intervertebral discs, theoretically increasing their likelihood for degeneration. A disc with a weak, cracked, or distended posterior annulus may experience a posterior migration (or oozing) of the nucleus pulposus. In some cases the nuclear material may impinge against the spinal cord or nerve roots (herniated or prolapsed disc, or more formally a herniated nucleus pulposus). Persons with a herniated disc may experience pain or altered sensation, muscle weakness, and reduced reflexes in the lower extremity, consistent with the specific motor and sensory distribution of the impinged nerve root. Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to temporarily reduce the pressure on a lumbar spinal nerve root that is impinged on by an obstructed foramen Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to temporarily reduce the pressure on spinal cord due to a stenosis of vertebral canal Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to mobilization of spine neural tissues La posizione del cocchiere seduti con il rachide in flessione può essere consigliato in caso di accentuata iperlordosi e a chi soffre di lombalgia da spondilolisi e spondilolistesi A habitually slouched sitting posture with lumbar spine in complete flexion may, in time, overstretch and thus weaken the posterior annulus fibrosus, reducing its ability to block a posteriorly protruding nucleus pulposus. Lumbar spine hyperextension Estensione del rachide lombare (40-50°) lordosi forame e canale legamenti articolazioni interapofisarie vertebre e disco grandezza fisica Movimento relativo dei corpi vertebrali Forza di compressione sui dischi intervertebrali Cambiamento di forma del disco intervetebrale sollecitazione dell’anello fibroso Spostamento del nucleo polposo Pressione del nucleo polposo sulle fibre dell’anello fibroso Movimento relativo delle facce articolari delle articolazioni interapofisarie Area di contatto fra le superfici articolari interapofisarie tensione della capsula dell’articolazione interapofisaria forza di compressione sulle facce articolari pressione sulle facce articolari legamento longitudinale anteriore legamento longitudinale posteriore legamento giallo legamento intertasversario legamento interspinoso legamento sovraspinoso diametro del forame intervertebrale effetto della estensione ogni vertebra si inclina indietro e scivola leggermente in indietro rispetto alla vertebra sottostante diminuzione della forza di compressione sul disco aumento di spessore nella parte anteriore e leggera diminuzione di spessore nella parte posteriore aumento di tensione sule fibre anteriori dell’anello fibroso il nucleo polposo viene spinto in avanti aumento di pressione del nucleo sulle fibre anteriori dell’anello fibroso la faccie aticolari inferiori di una vertebra (L2) scivolano inferiormente e leggermente posteriormente, rispetto alla fecce articolari superiori della vertebra sottostante (L3). aumenta dalla posizione neutra ad una posizione in leggera estensione, ma diminuisce all’approssimarsi della iperestensione completa implicazioni biomeccaniche Therapeutic approaches that emphasize sustained active and passive extension (McKenzie) has been shown to reduce pressure within the disc and to yield relief of symptoms and improvement of function in persons with a known posterior or posterior-lateral disc herniationin (the anterior displacement of the nucleus reduces the contact pressure between the displaced nuclear material and the neural tissues. a chronic posture of lumbar hyperlordosis can place large and potentially damaging stress on the apophyseal joints and adjacent regions. detensionamento il carico è trasferito dal disco e i corpi vertebrali alle articolazioni interapofisarie costante dalla posizione neutra a leggera estensione (aumenta la forza di compressione, diminuisce la superficie di contatto) , aumenta all’approssimarsi della iperestensione completa (aumenta la forza di compressione, dimunuisce la superficie di contatto, e il bordo inferiore delle facce articolari inferiori della vertebra sovrastante entrano in contatto con le lamine della vertebra sottostante). tensionamento (allungamento) detensionamento detensionamento detensionamento detensionamento detensionamento Relative to the neutral position, full lumbar extension reduces the diameter of the intervertebral foramina by 11% diametro del canale vertebrale diminuzione variazione di tensione del midollo spinale movimento pelvico associato detensionamento anteroversione con aumento del grado di lordosi lombare limiti al movimento contatto delle facce articolari dell’articolazione interapofisaria, legamento longitudinale anteriore, fibre anteriori dell’anello fibroso hyperextension of the lumbar spine can compress the interspinous ligaments, possibly creating a source of low-back pain A person with nerve root impingement caused by a stenosed intervertebral foramen should limit activities that involve hyperextension, especially if they cause weakness or altered sensations in the extremities. Lumbar extension may increase the pressure on spinal cord due to a stenosis of vertebral canal exaggerated lordosis increases the sacrohorizontal angle and thus the anterior shear force at the lumbosacral junction, possibly favoring the development of an anterior spondylolisthesis of the lower lumbar region increased compression within the lumbar apophyseal joints, and between posterior elements of lumbar vertebrae 3. MECCANICA DEI FLUIDI • I fluidi • Statica dei fluidi • Dinamica dei fluidi I fluidi Fluidi Stati di aggregazione: caratteristiche macroscopiche Isolidi hanno forma e volume propri. I liquidi hanno volume proprio ed assumono la forma del contenitore. I gas non hanno forma e volume propri ma assumono la forma ed il volume del contenitore che li contiene. Stati di aggregazione: caratteristiche microscopiche Solidi, liquidi e gas possono essere distinti anche in base alla diversa entità delle forze intermolecolari : Nei solidi le interazioni sono più intense e le particelle possono solo oscillare attorno a pozioni fisse nello spazio. Nei gas le molecole sono in moto individuale disordinato e sono in media a distanze tali che le mutue interazioni sono trascurabili, tranne che durante le collisioni con altre molecole del gas o con e pareti del recipiente. Nei liquidi si ha una situazione intermedia, le particelle possono muoversi all’interno del volume occupato, tuttavia le forze mantengono la coesione (prossimità) fra le particelle. Fluido Un particolare stato della materia che comprende i liquidi e i gas. Fluidi ideali Come per i sistemi materiali si introduce anche per i fluidi un modello ideale. Un fluido si dice ideale se é • Incomprimibile (densità e volume indipendenti dalla pressione), • Privo di viscosità (assenza di forze di taglio fra strati adiacenti di fluido in moto relativo). Statica dei fluidi Forze esercitate dalle particelle di un fluido Le forze che le particelle di fluido esercitano su un elemento di superficie S di un corpo posto al suo interno: sono forze a corto raggio (ogni particella interagisce solo con le particelle adiacenti per contatto) non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie S; sono forze di spinta (non trazione o taglio) sempre perpendicolari alla superficie del corpo e dirette verso il suo interno questa particella trasferisce sulla superficie del solido il peso di tutte particelle sovrastanti liquido S solido Ogni particella di fluido spinge con la stessa forza in tutte le direzioni: tutte le superfici del solido sono soggette a forze di pressione liquido solido S Ogni particella di fluido spinge con la stessa forza in tutte le direzioni: tutte le superfici del solido sono soggette a forze di pressione liquido solido S Pressione (P) Consideriamo un liquido contenuto in un recipiente. Le forze che le particelle di fluido esercitano sul fondo del recipiente hanno queste caratteristiche: sono forze a corto raggio date dal peso del fluido soprastante non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie del fondo sono forze di spinta (non di trazione o taglio) sempre perpendicolari alla superficie del fondo h 2M 2F 2S M F S h La forza sul fondo del recipiente più grande è doppia rispetto a quello più piccolo, ma agisce su una superficie che è due volte più grande: la forza per unità di superficie (la forza agente su ogni mattonella) è la stessa la forza agente sulla superficie diviso l’area della superficie (pressione) è la stessa F S 2F 2S 2F F P 2S S la pressione P è la stessa F P S Il liquido esercita una pressione su tutte le superfici che sono al suo interno: la pressione esercitata su una superficie S non dipende dal fatto che quella sia la superficie di un solido o dello stesso liquido, o del recipiente F p S liquido la pressione è la stessa S S liquido pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso solido pressione esercitata dal liquido su una superficie di un solido p pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso pressione esercitata dal liquido sul fondo del recipiente F S pressione esercitata dal liquido su una parte della superficie laterale del recipiente p F S pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso pressione esercitata dal liquido su una parte della superficie laterale del recipiente pressione esercitata dal liquido sul fondo del recipiente Unità di misura della pressione Unità del SI: il Pascal 1 Pascal 1 N/m2 L’ atmosfera 1 atmosfera = 1.013·105 Pa Il kgpeso/cm2 kgpeso/cm2 = 0.981·105 Pa Il torr (mmHg) 760 torr = 1 atm; 1 torr = 1/760 atm = 1.013x105 / 760 Pa = 1.333x102 Pa I multipli del Pascal 1 bar 105 Pa 1 mbar 10-3 bar =102 Pa 1 atm = 1.013 bar kgpeso/cm2 = 0.981 bar 1 torr = 1.333 mbar Tabella di conversione delle unità di pressione. atm. Torr kgpeso/cm2 bar mbar Pascal 1 atmosfera 1 Torr 1 kgpeso/cm2 = = = 1 1 / 760 10-3 0.968 760 1 736 1.033 1.32·10-3 1 1.013 1.333x10-3 0.981 1.013·103 1.333 0.981·103 1.013·105 1.333·102 0.981·103 1 bar 1 mbar 1 Pascal = = = 0.987 0.987·10-3 0.987·10-5 750 0.750 0.750·10-2 1.019 1.019·10-3 1.019·10-5 1 10-3 10-5 103 1 10-2 105 102 1 Legge di Stevino Enunciato In un fluido omogeneo, incomprimibile, pesante ed in equilibrio la pressione aumenta linearmente con la profondità patm z=0 p ( z 2 ) p ( z1 ) g ( z 2 z1 ) z1 p ( z ) p atm gz p ( z1 ) S = densità del liquido g = accelerazione di gravità z = profondità Mg z2 p( z 2 )S z Effetto della pressione idrostatica In posizione eretta, la pressione media del sangue nei vari distretti viene notevolmente alterata dall’effetto della pressione idrostatica. La pressione nei vasi inferiori viene incrementata in maniera importante. Effetto della pressione idrostatica sui vasi arteriosi Le pareti di vasi sono costituite da tessuto elastico e tessuto muscolare in grado di sostenere pressioni fino a 200 mmHg → Nei vasi arteriosi l’effetto ha scarse conseguenze. Il sangue a causa della forza peso tende a portarsi al livello più basso compatibilmente con la capienza e la dilatabilità dei vasi. → Il cuore deve quindi deve esercitare una pressione supplementare per fare equilibrio al peso del sangue sovrastante, e un maggior lavoro per far salire il sangue fino al cervello → Se la pressione idrostatica della colonna di sangue sovrastante supera la pressione esercitata dal cuore, il sangue non arriva più al cervello. 760 mmHg → colonna di 10 m di acqua 100 mmHg → pressione di una colonna di acqua (o sangue) di 1,3 m Una pressione sistolica di 100 mmHg può fare equilibrio a un dislivello di oltre un metro (la distanza cuore cervello non supera mezzo metro) In condizioni di accelerazioni intense la circolazione cerebrale si può arrestare Valori della pressione media venosa e arteriosa in un soggetto in posizione eretta La densità del mercurio è 13,6 volte più grande di quella del’acqua 10 mmHg 10*13.56= 136 mmH2O = 13.6 cmH20 100 mmHg 100*13.58 = 136 mmH2O = 1.36 mH20 acqua Hg 100 mm 1.36 m Effetto della pressione idrostatica sui vasi venosi Le pareti dei vasi venosi sono sottili e contengono poco tessuto elastico. → La pressione idrostatica nei vasi degli arti inferiori tende a far dilatare le vene. Questo inconveniente in parte ovviato da • la presenza nelle vene delle valvole a nido di rondine: hanno la funzione di spezzare la colonna di sangue e di diminuire la pressione sulla parete venosa • la contrazione dei muscoli, intorno alla vena, aiuta il ritorno del sangue al cuore, impedendo la stasi del sangue nelle vene Un cattivo funzionamento delle valvole venose e dei muscoli degli arti inferiori ha come conseguenza l’indebolimento e la deformazione della parete venosa (vene varicose) Quando un individuo passa bruscamente dalla posizione supina a quella eretta, si può verificare un rallentamento della circolazione nelle regioni cerebrali, dovuta a una temporanea stasi del sangue nei territori venosi degli arti inferiori, dove la pressione idrostatica aumenta bruscamente Forze agenti su un corpo immerso in un fluido ? Principio di Archimede Enunciato Un corpo completamente o parzialmente immerso in fluido è soggetto ad una forza (spinta di Archimede) diretta verticalmente dal basso verso l’alto, in modulo pari al peso del fluido spostato, ed applicata nel centro di massa del fluido spostato (centro di spinta S). FA M fl .sp . g V fl .sp . fl . g centro di massa del fluido spostato peso del fluido spostato fluido spostato S S h H H H il peso del corpo è uguale al peso di un volume di fluido minore di quello del corpo il peso del corpo è uguale al peso di un uguale volume di fluido il peso del corpo è minore del peso di un uguale volume di fluido s. fl . S fl . S fl . tessuto densità (g/cm3) osso corticale 1.990 pelle 1.100 sangue 1.060 muscolo 1.041 acqua 0.993 grasso 0.928 aria 0.0012 Applicazioni: compressione articolare 80 kg 80 ? ? 80 kg 80 ? ? 80 kg 80 40 40 80 kg 80 ? ? 80 kg 70 ? ? 80 kg 70 35 35 80 kg 80 kg 50 ? 80 kg 50 50 50 70 80 35 40 40 35 50 72 Percent of Bodyweight 10% 33% 50% 80 80 ? Depth of Immersion C7 Xyphoid ASIS ? 40 40 72 Percent of Bodyweight 10% 33% 50% 80 80 4 Depth of Immersion C7 Xyphoid ASIS 4 40 40 Depth of Immersion C7 Xyphoid ASIS 80 ? Percent of Bodyweight 10% 33% 50% 80 40 ? 40 40 Depth of Immersion C7 Xyphoid ASIS 80 20 Percent of Bodyweight 10% 33% 50% 80 40 20 40 40 65 70 ? 70 ? 35 35 65 70 2.5 70 2.5 35 35 70 70 10 ? ? 35 35 70 70 10 30 30 35 35 45 50 50 5 50 50 50 ? 50 50 50 50 50 Equilibrio del corpo umano in acqua Farch P Dinamica dei fluidi e Circolazione del sangue Moto stazionario Moto Stazionario Il moto di un fluido si dice stazionario se il valore delle grandezze fisiche (pressione, densità e velocità del fluido) in un punto qualsiasi dello spazio interessato dal moto del fluido si mantiene costante nel tempo. A vA Nel punto A, la pressione, la densità e la velocità del fluido restano costanti nel tempo B vB Nel punto B, la pressione, la densità e la velocità del fluido restano costanti nel tempo La pressione, la densità e la velocità nel punto A possono essere diverse da quelle nel punto B Equazione di continuità • Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la massa di fluido compresa fra due sezioni S1 e S2 del tubo resta costante nel tempo. • Dunque, la massa di fluido che attraversa le sezioni S1 in un certo intervallo di tempo deve essere uguale alla massa di fluido che attraversa la sezione S2 nello stesso intervallo di tempo. • Affinché ciò accada deve risultare: S1v1 S 2 v2 Se la sezione del tubo diminuisce, allora la velocità del fluido aumenta. (Equazione di continuità) S1 S2 v2 v1 il prodotto Sv (portata) è lo stesso in tutte le sezioni del tubo. Velocità del sangue I capillari sono i vasi sanguigni di sezione minore, posti tra l'estremo terminale di un'arteria e quello distale di una vena. A livello dei capillari avviene lo scambio di acqua, ossigeno, anidride carbonica, e molti altri nutrienti chimici e sostanze di scarto tra sangue e tessuti limitrofi. Il capillare è capace di nutrire tessuto per un raggio di 1mm. Quindi, il numero di capillari in un tessuto dipende dalla massa del tessuto stesso. È questo particolare che impedisce o permette lo sviluppo di un tumore. Se il tumore ha capacità angiogeniche (di sviluppare nuovi vasi sanguigni a partire da altri già esistenti) avrà quindi possibilità di aumentare di volume. Teorema di Bernoulli 1 p gh v 2 2 In un fluido ideale e pesante, in moto stazionario in un sottile tubo di flusso, la somma è la stessa in tutte le sezioni del tubo p1 v1 S1 S2 p2 v2 h1 h2 1 2 1 2 p1 gh 1 v1 p2 gh 2 v2 2 2 Effetto Venturi placca S1 v1 S2 arteria v2 p1 = pest p2 < pest pest pest equazione di continuità S1v1 S 2 v2 teorema di Bernoulli 1 1 p1 gh 1 v12 p2 gh 2 v22 2 2 v1 v2 p1 p2 In corrispondenza della strozzature la velocità aumenta, ma la pressione diminuisce (effetto Venturi). Stenosi di un arteria A livello della strozzatura, la pressione esterna non è più equilibrata dalla pressione interna e la sezione S2 tende a restringersi ancora, deformando la parete dell’arteria. placca arteria v1 v2 S1 S2 p2 < pest p1 = pest Fel. pest pest Ciò provoca un ulteriore aumento di v2 e un ulteriore diminuzione di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore restringimento di S2, innescando un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza di reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione. Se l’arteria si chiude completamente, v2 si annulla, ma allora, per il teorema di Bernoulli, p2 diventa maggiore di p1 e l’arteria si riapre. placca S1 p2 > pest v1 S2 = 0 v2 = 0 p1 = pest Fel. pest pest 1 2 1 2 p1 gh 1 v1 p2 gh 2 v2 2 2 p2 p1 Appena riaperta, tuttavia, l’arteria tende a richiudersi, per effetto Venturi (spasmi dell’arteria). Tipicamente l’interruzione del flusso (infarto) ha luogo quando un frammento di placca si distacca dalla parete dell’arteria, entra in circolo, e va ad occludere una stenosi (restringimento) pre-esistente. placca Aneurisma pest pest Fel. p2 > pest p1 = pest S1 arteria S2 v1 v2 In corrispondenza dell’allargamento la velocità diminuisce, ma la pressione aumenta (effetto Venturi). A livello dell’allargamento, la pressione interna non è più equilibrata dalla pressione esterna e la sezione S2 tende a dilatarsi ancora, deformando la parete dell’arteria. Ciò provoca un ulteriore diminuzione di v2 e un ulteriore aumento di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore allargamento di S2, innescando un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza della reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione. Tuttavia la parete dell’arteria, sotto sforzo, perde elasticità nel tempo ed il processo diventa inarrestabile, fino alla rottura della parete dell’arteria. Portanza S2 p2 S1 p1 La pressione al di sopra dell’ala è minore di quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso si restringe). S1 S 2 p1 p1= pimp p1 pimpert p2 La pressione al di sotto dell’ala coincide circa con quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso mantiene sezione circa uguale). Questa differenza di pressione fra la parte inferiore e la parte superire dell’ala genera una forza diretta verso l’alto nota col nome di portanza. Viscosità Fluidi ideali in moto stazionario Fluidi viscosi in moto stazionario (laminare) R l Il moto del fluido si mantiene anche senza una differenza di pressione fra 2 qualsiasi sezioni del condotto. R0 Per mantenere il fluido in moto è necessario applicare agli estremi del condotto una differenza di pressione, che serve per vincere il lavoro delle forze di attrito. resistenza la flusso R 8 l R 4 : coefficiente di viscosità) Visualizzazione del moto laminare in un condotto cilindrico Sezione del condotto cilindrico contenente il suo asse Sezione del condotto cilindrico ortogonale al suo asse Moto turbolento Se la velocità del fluido nel condotto viene progressivamente incrementata , aumentando la differenza di pressione agli estremi del condotto, si ha il passaggio dal regime di moto laminare al regime di moto turbolento Moto laminare vmax vcrit ( d / 2 ) silenzioso Moto turbolento v max vcrit rumoroso Caratteristiche del moto turbolento Numero di Reynolds • Aumento della resistenza del condotto e della dissipazione di energia per attrito. • Un volumetto di fluido catturato in un vortice, pur avendo una velocità propria notevole, avanza nel condotto assieme al vortice, che si muove in modo relativamente lento. • Vale circa 1200 per condotti rettilinei • In corrispondenza di strozzature o gomiti diminuisce (in corrispondenza di irregolarità il moto diventa più facilmente turbolento). Effetto della distensibilità dei vasi Aorta Se i vasi fossero rigidi la pressione del sangue nelle arterie cadrebbe rapidamente a zero durante la fase del ciclo cardiaco in cui la valvola aortica rimane chiusa (linea continua). A causa della distensibilità delle arterie, durante la sistole la parete dell’aorta si dilata. Quando la valvola aortica si chiude, inizia la fase diastoica in cui la pressione nell’aorta diminuisce gradualmente, senza annullarsi, a causa dell’effetto di compressione da parte della parete elastica dell’arteria, che tende a ritornare nelle condizioni di partenza La distensibilità delle arterie permette di immagazzinare, durante la sistole, parte dell’energia cinetica del sangue sotto forma di energia potenziale elastica, accumulata nelle pareti, che si riconverte in energia cinetica del sangue durante la fase di diastole. Si ottiene così un andamento della pressione che varia da un valore massimo, o sistolico, ad un valore minimo, o diastolico. Arterie La dilatazione delle pareti delle arterie inizia nell’aorta, all’uscita del sangue dal cuore, e si propaga via via lungo le arterie: la pressione sistolica produce una deformazione elastica che si propaga lungo le pareti delle arterie (onda sfigmica) con una velocità u che dipende dalle caratteristiche elastiche delle pareti ed è superiore alla velocità media del sangue v. Questa deformazione elastica delle pareti aiuta il moto del sangue e mantiene una portata relativamente costante malgrado l’intermittenza della pompa cardiaca. L’aumento della rigidità delle pareti arteriorse (arteriosclerosi) provoca un aumento della velocità dell’onda sfigmica, e dunque spinte brevi nel tempo sulla massa locale di sangue che avanza con velocità molto minore e non riesce a seguire l’impulso elastico. In questo caso, la pulsatitilità della parete fornisce un minor aiuto all’avanzamento del sangue che deve essere compensato da un aumento di pressione generato da un maggior lavoro della pompa cardiaca (ipertensione). Misura della pressione del sangue Lo sfigmomanometro Lo sfigmomanometro consiste in una fascia di materiale non dilatabile che nella parte interna forma una camera di gomma in cui si pompa aria e che è connessa a un manometro. L’aria viene immessa mediante un palloncino munito di una valvola. Misura della pressione del sangue 1. La fascia viene applicata al braccio, l’aria viene pompata in modo da comprimere l’arteria sottostante, fino ad applicare su questa una pressione p1 maggiore di quella sistolica (pressione massima), bloccando così il trasporto del sangue. L’arresto delle pulsazioni può essere rilevato con uno stetoscopio applicato sull’articolazione interna dell’avaraccio dove l’arteria scorre superficialmente. 2. A partire dal valore p1 (arteria completamente chiusa), si apre la valvola in modo che l’aria esca lentamente e la pressione della fascia elastica diminuisca gradualmente. In questo modo si determinano: Pressione sistolica (ps) o pressione massima: pressione a cui si avverte la ripresa delle pulsazioni, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p1 → ps → p2) da silenzio (arteria completamente chiusa) a rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente. Pressione diastolica (pd) o pressione minima: pressione a cui scompare il rumore pulsato, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p3 → pd → p4) da rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) a silenzio in regime laminare (arteria completamente aperta) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente. Dal momento che il braccio è allo stesso livello del cuore, le misure di pressione del sangue al braccio fornisce valori prossimi a quelli vicino al cuore (nelle grandi arterie la dissipazione di energia per attrito e la corrispondente diminuzione di pressione è modesta anche per percorsi di alcune decine di cm). Pressione in una grossa arteria Pressione nella fascia elastica 4. ONDE IN MEZZI ELASTICI • Onde meccaniche in mezzi elastici • Il suono e gli ultrasuoni • Gli ultrasuoni in medicina Onde meccaniche in mezzi elastici Onde elastiche Onde elastiche • Se in una regione limitata di un mezzo materiale viene prodotta una piccola deformazione, si generano forze di richiamo di tipo elastico (proporzionali alla deformazione) che tendono a riportare le particelle del mezzo nella posizione di equilibrio. • Le particelle del mezzo, essendo sottoposte a forze di richiamo di tipo elastico, si muovono di moto armonico attorno alla posizione di equilibrio. • A causa dell’interazione a corto raggio esistente fra tra le particelle del mezzo, questa perturbazione vibratoria si propaga nel mezzo con una velocità che dipende dalla natura del mezzo, dalla direzione di propagazione (se il mezzo non è isotropo), e dal carattere trasversale o longitudinale della vibrazione. Esempio Il lancio di un sasso in uno specchio d’acqua inizialmente in quiete produce una perturbazione ondosa che si manifesta con l’apparire di una serie di anelli concentrici di liquido perturbato che si allontanano dal punto dove è caduto il sasso. L’arrivo dell’onda produce nelle particelle di liquido via via interessate dal fenomeno un moto oscillatorio su orbita chiusa; passata l’onda le particelle tornano in quiete nella stessa posizione di equilibrio che occupavano prima dell’arrivo dell’onda. Propagazione di energia Ciò che si propaga non è materia, ma solo il movimento di particelle attorno alle loro posizioni di equilibrio, a cui è associato un trasferimento di energia (cinetica e potenziale). Onde longitudinali e onde trasversali Onde trasversale Le particelle del mezzo si spostano perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda (onda in una corda o in una fascia in tensione) direzione di propagazione dell’onda Onda longitudinali Le particelle del mezzo si spostano parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda (onda di densità in un gas contenuto in un recipiente chiuso da un pistone che si muove di moto armonico) Onde sinusoidali: lunghezza d’onda Onda sinusoidale y t A t + t x -A Lunghezza d’onda lunghezza d’onda: minima distanza fra due punti del mezzo che vibrano in fase y x Onde sinusoidali: periodo e frequenza Periodo T v Periodo: tempo necessario ad un punto P del mezzo per compiere un’oscillazione completa t P Frequenza f 1 T Frequenza: numero di oscillazioni che un punto del mezzo compie al secondo t T P Effetto Doppler L’effetto Doppler L'effetto Doppler consiste nel cambiamento apparente della frequenza fR di un'onda percepita da un ricevitore (R), rispetto alla frequenza fS emessa dalla sorgente (S) dell’onda, quando S ed R sono in moto relativo fra loro: • se R ed S si avvicinano fra loro: fR > fS • se R ed S si allontanano fra loro: fR < fS Analisi quantitativa Se S e R si muovono lungo la medesima retta di moto uniforme si trova che: (c = velocità di propagazione dell’onda) esempi di avvicinamento vS fR c (vR ) fS c (vS ) esempi di allontanamento vR vR vS x vS x vS vR x vR x Effetto Doppler: sorgente in quiete Sorgente in quiete rispetto al mezzo di propagazione fR c (vR ) fS c (vS ) vS 0 fR c (vR ) fS c vR • R si allontana da S x fR c vR fS c fR fS vR • R si avvicina a S x fR c vR fS c fR fS Effetto Doppler: ricevitore in quiete Ricevitore in quiete rispetto al mezzo di propagazione fR c (vR ) fS c (vS ) vR 0 fR c fS c (vS ) vS • S si allontana da R x fR c fS c vS fR fS vS • S si avvicina a R x fR c fS c vS fR fS Il suono e gli ultrasuoni Il suono Il suono L’orecchio umano è in grado di percepire onde elastiche la cui frequenza f è compresa fra 20 Hz e 20 kHz. In questo intervallo di frequenze le onde elastiche sono chiamate suoni. Velocità del suono Poiché la velocità vs del suono in aria è di circa 340 m/s (alla temperatura di 15 °C e a pressione atmosferica) la lunghezza d’onda del suono in aria ( = vs / f ) è compresa fra 17 mm e 17 m Pressione sonora Nei gas la propagazione di un’onda dà luogo a zone di compressione e di rarefazione, e determina una variazione di pressione istantanea che con successive compressioni e rarefazioni, è in grado di porre in vibrazione una membrana, ad esempio il timpano nell’orecchio umano. Gli ultrasuoni Ultrasuoni Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori a 20 kHz. Produzione e rilevazione • Per produrre ultrasuoni si ricorre in generale a cristalli piezoelettrici: quando a questi cristalli viene applicata una differenza di potenziale elettrico alternata essi si mettono a vibrare con una frequenza uguale a quella delle oscillazioni elettriche che li sollecitano. • L’effetto inverso si sfrutta nella rilevazione degli ultrasuoni: questi stessi cristalli, sottoposti a vibrazioni meccaniche ultrasonore, generano una d.d.p. elettrico alla stessa frequenza, facilmente misurabile con opportuni dispositivi elettronici. + + + + - - - + animazione - + + - - • In questo modo si possono emettere o rilevare ultrasuoni con frequenza f fino a 1 GHz e lunghezza d’onda in aria (v ≈ 340 m/s) di 0.34 m ed in acqua (v ≈ 1500 m/s) di 1.5 m ( = v / f ). La lunghezza d’onda così piccola di questi ultrasuoni, circa dell’ordine di quelle della luce, fa sì che essi si propaghino rettilineamente, costituendo dei veri e propri raggi sonori: un fascio di simili ultrasuoni è altamente direzionale. • I generatori di ultrasuoni utilizzati in medicina hanno intensità I che varia da 10-4 a 10 W/cm2. Interazione degli ultrasuoni con la materia • Per I =10 W/cm2 e f = 1 MHz si ottengono onde di pressione di 5.5 atmosfere di ampiezza: due punti situati a mezza lunghezza d’onda di distanza (0.75 m nell’acqua) sono sottoposti ad una differenza di pressione istantanea di 11 atmosfere, cui corrisponde un’accelerazione istantanea delle particelle del mezzo, sottoposte ad un simile gradiente di pressione, di circa 2.3∙105 volte l’accelerazione di gravità. • Un fascio di ultrasuoni ad alta intensità può dare luogo ad intense azioni meccaniche e alla produzione di calore nei materiali, provocare la rottura di grosse molecole, generare fenomeni di cavitazione nei liquidi, e aumentare la velocità di reazioni chimiche. • L’energia trasportata da un fascio di ultrasuoni viene assorbita nei mezzi materiali secondo una legge di tipo esponenziale I ( x ) I 0 e x I0= intensità incidente; I(x) = intensità trasmessa dopo l’attraversamento di uno spessore x = coefficiente di assorbimento (dipende da f e dal materiale attraversato) Per i materiali biologici e frequenze comprese fra 0.5 e 15 MHz, è proporzionale a f. Gli ultrasuoni in medicina Gli ultrasuoni nella diagnostica medica Flussimetria Doppler Tecnica che consente la misura della velocità (portata) del sangue in modo non invasivo utilizzando l’effetto doppler con onde ultrasonore. Sonda (sorgente in quiete) trasmittente ricevitore fascio ultrasonoro emesso dalla sonda globuli rossi (ricevitore mobile) vB c Sonda (ricevitore in quiete) c vB fS c vB fascio ultrasonoro riflesso dal sangue fR fS globuli rossi (sorgente mobile) c c vB fS c (B = blood) trasmittente ricevitore fR fB fR fS vB 2v B 2v fS B fS c vB c 2v B cos 2v cos fS B fS c v B cos c Nel caso in cui il vaso forma un angolo col fascio Misurando la variazione di frequenza fra fascio emesso e fascio ricevuto per riflessione è possibile ottenere la velocità media del sangue VB fR c fB c vB Ecografia L’ecografia è una tecnica basata sulla riflessione da parte di interfacce tra mezzi acustici diversi attraversati da un fascio ultrasonoro. • Un trasduttore piezoelettrico viene posto a contatto con la pelle tramite un gel, che agisce come sostanza conduttrice del suono, ed emette brevi impulsi di onde ultrasonore (della durata da 1 a 5 s, per circa 200 volte al secondo, ciascuno a frequenze da 1 a 15 MHz). • Il fascio ultrasoro viene riflesso da parte delle interfacce tra mezzi acustici diversi (grasso/muscolo etc.) che si trovano a diverse distanze lungo la direzione del fascio. • Lo stesso trasduttore piezoelettrico riceve le onde riflesse (echi) prodotti dalle superfici poste perpendicolarmente alla traiettoria del fascio in tempi diversi a secondo della distanza complessiva percorsa dal fascio. • Il tempo che intercorre fra tra l’emissione degli impulsi e la ricezione delle onde riflesse dalle interfacce, nota la velocità di propagazione nel mezzo, consente di misurare la distanza tra il trasduttore e le interfacce stesse. • I segnali ecografici ricevuti dalla sonda vengono elaborati elettronicamente per fornire una immagine della anatomia della zona esplorata. Una sonda ecografica è costituita da numerosi elementi piezoelettrici che consentono di esplorare un angolo superiore a 60°. tessuto densità (g/cm3) v (m/s) Z ( kg m-2 s-1) osso 1.990 3760 7.48 pelle 1.100 1537 1.69 sangue 1.060 1584 1.68 muscolo 1.041 1580 1.64 acqua 0.993 1527 1.52 grasso 0.928 1476 1.36 aria 0.0012 340 0.0004 Gli ultrasuoni nella terapia medica Terapia fisica Gli ultrasuoni svolgono un’azione diretta, di tipo meccanico e termico, impiegata localmente su determinati tessuti, per la cura di nevralgie, artrosi, lombalgie e reumatismi. Nel caso in cui si richiede un effetto termico localizzato, il fascio di ultrasuoni, a bassa intensità, viene spostato continuamente sull’area da trattare, in modo da non sottoporre la zona stessa ad un’azione prolungata per più di qualche secondo, per evitare danni cellulari. Terapia dei calcoli I calcoli vengono frantumanti da onde meccaniche ultrasoniche impulsate ad alta intensità (litotrizione). Odontoiatria L’azione frantumatrice degli ultrasuoni viene sfruttata, anche se con intensità inferiore, per eliminare il tartaro (formazione calcarea che si forma alla base dei denti). Gli ultrasuoni vengono anche impiegati per devitalizzare i nervi dei canali dentari Oculistica Negli interventi sulla cataratta, il cristallino viene eliminato frantumandolo con ultrasuoni ed aspirandone i residui. Urologia Gli ultrasoni sono impiegati negli interventi per la cura del tumore alla prostata e dell’ipertrofia prostatica. Chirurgia vascolare Impiegando generatori e rilevatori miniaturizzati di ultrasuoni montati all’apice di cateteri, si possono eseguire interventi per stabilire la composizione della placca arteriosclerotica e causarne la frantumazione, disostruendo le arterie. 5. TERMOLOGIA • Calorimetria • Termoregolazione del corpo umano • Termodinamica Calorimetria Stato termico di un corpo La temperatura è una grandezza che viene introdotta per descrivere quello che si chiama lo stato termico di un corpo. La sua introduzione è suggerita dalle sensazioni che di provano toccando corpi diversi: uno di essi ci può apparire più caldo di un altro. Osservazioni sperimentali • Se due corpi, dei quali uno è stimato più caldo dell’atro, vengono lasciati a contatto per un tempo sufficientemente lungo, finiscono per sembrare ugualmente caldi: si dice che hanno raggiunto l’equilibrio termico. • Al variare dello stato termico di un corpo (della sensazione di più o meno caldo che esso può dare) variano i valori che per esso assumono alcune grandezze fisiche come la lunghezza, il volume, il colore, etc. Termoscopio Si può pensare di scegliere uno di questi corpi (sostanza termometrica) e porre attenzione ad una sua proprietà che dipende dallo stato termico del corpo (proprietà termometrica) per realizzare uno strumento (termoscopio) che consente di paragonare oggettivamente gli stati termici dei corpi. Esempio di termoscopio Si introduce mercurio (sostanza termometrica) in un recipiente formato da un bulbo ed un capillare e si osserva l’altezza della colonna liquida nel capillare (proprietà termometrica). Utilizzo del termoscopio Disponendo il termoscopio successivamente a contatto con ciascuno dei corpi in esame, stabilito l’equilibrio termico, la proprietà termometrica assume valori che possono essere usati per il confronto dello stato termico dei corpi stessi. corpo 1 corpo 2 Temperatura Scale termometriche Per giungere ad una valutazione numerica della temperatura (T) si prendono in considerazione stati termici che diano affidamento di stabilità e di facile riproducibilità (ad esempio i punti di fusione o ebollizione di sostanze semplici a pressione atmosferica normale) e si assegnano ad essi valori convenzionali di T. Si realizza così un termometro in gradi di valutare quantitativamente la temperatura di un corpo Scala centigrada Punto fisso di riferimento Temperatura in gradi centigradi (°C) Punto di fusione del ghiaccio a pressione atmosferica normale 0 °C Punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica normale 100 °C Si pone il termoscopio nel ghiaccio fondente e successivamente nei vapori di acqua bollente a p.a.n., l’intervallo delle posizioni raggiunte dall’indice della proprietà termometrica nelle due misure viene diviso in 100 parti. Questa taratura fra 0 °C e 100 °C viene estesa al di sopra e al di sotto usando una legge lineare. Scala delle temperature assolute Oltre alla sostanza e alla proprietà termometrica, è possibile scegliere anche la scala termometrica basandosi sulle proprietà dei gas perfetti. Con al scala delle temperature assolute Tass Tcent 273 .15 • le equazioni termodinamiche che riguardano i gas perfetti diventano particolarmente semplici, • lo zero della scala ha un significato fisico importantissimo: è una temperatura limite inferiore che non può essere raggiunta (si violerebbe il secondo principio della termodinamica). Calore Interpretazione microscopica Il calore è legato a quella particolare energia (cinetica e potenziale) che i corpi posseggono in virtù dello stato di moto individuale e disordinato delle particelle che lo costituiscono (moto di agitazione termica). Calore e temperatura Al variare della temperatura questi moti sono alterati, nel senso che ad essi compete una maggior energia all’aumentare della temperatura. Equipartizione dell’energia Il raggiungimento dell’equilibrio termico fra due corpi posti a contatto, e inizialmente a temperature diverse, corrisponde ad un passaggio di energia dalle particelle del corpo più caldo a quelle dell’altro, e ad una ripartizione dell’energia totale fra i gradi di libertà delle particelle componenti i corpi del sistema. Questo trasferimento di energia dovuto alla differenza di temperatura corrisponde a quantità di calore che dal corpo più caldo passano a quello più freddo. Definizione di calore La quantità di calore richiesta per far passare un corpo da una temperatura T1 a una temperatura T2 non è altro che l’energia che il corpo deve scambiare con l’esterno in modo che i moti delle sue particelle passino da quelli caratteristici per il primo stato a quelli caratteristici per il secondo stato. Dimensioni fisiche e unità di misura del calore Il calore ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia; l’ unità di misura nel S.I. è il Joule. Calore specifico, caloria Calore specifico La quantità di calore necessaria per far passare un corpo da una temperatura T1 ad una T2 (non distante da T1) è: 1) proporzionale alla massa del corpo 2) dipende dalla natura del corpo 3) proporzionale a T2 -T1 ; Q cm (T2 T1 ) c = calore specifico. Rappresenta la natura del corpo nei riguardi della quantità di calore richiesta per variare la sua temperatura cm = capacità termica del corpo Caloria Viene spesso utilizzata un’altra unità di misura per le quantità di calore, la caloria, definita come la quantità di calore richiesta per innalzare la temperatura di un grammo di acqua da 14,5 a 15,5 °C 1 caloria 4.1868 joule Trasmissione del calore: convezione Trasmissione del calore La trasmissione del calore consiste nel passaggio di quantità di calore da un corpo ad un altro, o da una parte di un corpo ad un’altra. Essa avviene attraverso tre diversi meccanismi: convezione, conduzione e irraggiamento. Convezione La convezione è il modo di propagazione del calore a cui è associato movimento di materia: essa può presentarsi nei liquidi e negli aeriformi nei quali le particelle sono libere di muoversi e cambiano densità con la temperatura. Descrizione quantitativa della convezione Quantità di calore trasmessa per convezione nell’unità di tempo attraverso la superficie S Q K conv S T t Meccanismo della convezione Ad eccezione dell’acqua al di sotto di 4 °C, l’aumento della temperatura produce una diminuzione della densità (aumento il volume a parità di massa). Per il principio di Archimede le particelle calde tendono a portarsi nella parte più elevata della massa fluida e quelle più fredde nella parte inferiore. Si creano correnti nella massa ed un rimescolamento in conseguenza dei quali il calore è trasmesso da una parte all’altra del fluido. Esempi • Liquido in una pentola scaldata sul fondo • Impianti a termosifone • Correnti oceaniche • Impianti di ventilazione • Formazione dei venti • Brezza di terra e brezza di mare Trasmissione del calore: conduzione Conduzione La conduzione è il modo di propagazione del calore a cui non è associato movimento di materia. Si verifica soprattutto nei solidi quando due corpi a diversa temperatura sono posti a contatto o due parti dello stesso corpo si trovano a temperature diverse. Descrizione quantitativa Quantità di calore (Q) trasmessa nell’unità di tempo (t) attraverso una qualsiasi sezione S di una sbarra di lunghezza l le cui estremità sono mantenute a temperature T1 e T2 differenti (legge di Fourier): Q T K cond S t l T2 S Conducibilità termica di alcune sostanze a T ambiente T1 l Meccanismo microscopico Le molecole dei solidi, nel loro moto di agitazione termica, oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio con ampiezza proporzionale alla loro energia. La trasmissione di calore per conduzione corrisponde al trasferimento di energia dalle molecole più calde alle molecole più fredde per interazione fra molecole adiacenti. sostanza Kcond (J m-1 s-1 °C-1) rame ferro e acciaio ghiaccio vetro acqua pelle secca neve legno sughero polistirolo lana di vetro aria 3.85·102 4.60 2.17 0.84 0.585 0.251 0.210 0.125 0.042 0.040 0.0389 0.0230 Trasmissione del calore: irraggiamento L’irraggiamento è quel processo di trasmissione del calore nel quale l’energia è trasportata nello spazio fra un corpo e l’altro mediante onde elettromagnetiche (radiazione). Elettromagnetismo Termoregolazione del corpo umano Termoregolazione La temperatura del corpo umano è relativamente uniforme e costante (a circa 37 °C) indipendentemente dalle condizioni ambientali esterne. • La convezione del sangue è il meccanismo principale con cui il corpo umano è in grado di mantenere una temperatura quasi uniforme fra le sue parti. • Affinché la temperatura del corpo resti costante è necessario che la quantità di calore prodotto nel corpo sia uguale alla quantità di calore eliminata (dissipata) dal corpo attraverso la superficie cutanea. quantità di calore prodotto nel corpo = quantità di calore eliminato (dissipato) dal corpo attraverso la superficie cutanea La dissipazione del calore ha luogo per mezzo di tre meccanismi Dissipazione di calore per conduzione – Se Tambiente < Tcorpo una parte del calore superfluo viene dissipata per conduzione fra la pelle e l’aria. – Il calore dissipato per conduzione dal corpo è proporzionale a Tcorpo - Tambiente (legge di Fourier). Dissipazione di calore per irraggiamento – A 37 °C il corpo umano emette nello spazio circostante radiazioni principalmente nel campo dell’ infrarosso. – Se Tambiente < Tcorpo la quantità di energia emessa dal corpo per irraggiamento è superiore a quella assorbita. – Il calore dissipato per irraggiamento dal corpo è approssimativamente proporzione a Tcorpo - Tambiente Dissipazione di calore per sudorazione e respirazione – In entrambi i casi si ha evaporazione di acqua dalla superficie del corpo. – Il calore necessario per l’evaporazione del sudore (o dell’acqua all’interno dei polmoni) viene sottratto dal corpo. – Il calore dissipato per evaporazione aumenta all’aumentare di Tambiente. – Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore. Contributo relativo dei meccanismi di dissipazione A 23 °C il calore viene eliminato per il 15% per conduzione, per il70% per irraggiamento, e per il 15% per sudorazione. A 30 °C il calore viene eliminato per il 10% per conduzione, per il45% per irraggiamento, e per il 45% per sudorazione. Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore Termoregolazione del corpo umano in presenza di condizioni ambientali estreme Effetti sul corpo e reazioni del corpo Effetto sui meccanismi di trasmissione del calore Condizioni ambientali Ambiente freddo (temperature esterna bassa) Ambiente secco (umidità relativa bassa) Ambiente umido (umidità relativa elevata) la quantità di calore dissipata dal corpo verso l’esterno per conduzione ed irraggiamento tende ad aumentare. Per mantenere la T cost. bisogna aumentare la produzione di calore nel corpo e diminuire la dissipazione verso l’esterno. la quantità di calore dissipata dal l’evaporazione di acqua dalla corpo verso l’esterno per superficie del corpo è conduzione ed irraggiamento tende fortemente favorita a diminuire. Per mantenere la T cost. bisogna diminuire la produzione di calore nel corpo e aumentare la dissipazione verso l’esterno. l’elevato grado di umidità ostacola l’evaporazione del sudore e rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore Per diminuire la dissipazione il corpo reagisce con una vasocostrizione che ha l’effetto di ridurre il trasferimento di calore dall’interno alla superficie del corpo (ridurre la differenza di temperatura fra superficie del corpo e l’aria circostante) e quindi di ridurre la sua dissipazione per conduzione. Per aumentare la dissipazione di calore il corpo reagisce con la sudorazione e con una vasodilatazione che ha l’effetto di aumentare il trasferimento di calore dall’interno alla superficie del corpo (aumentare la differenza di temperatura fra la superficie del corpo e l’aria circostante) e quindi di aumentare la sua dissipazione per conduzione. Aumentare la dissipazione di calore: vestiti leggeri e larghi, ventilazione, ombra. L’eccessiva siccità può provocare disturbi dell’apparato respiratorio, poiché la notevole evaporazione all’interno delle vie respiratorie produce una pericolosa disidratazione di queste vie. in presenza di un ambiente esterno molto caldo sarebbe necessario poter sudare abbondantemente, ma l’elevato grado di umidità ostacola l’evaporazione del sudore, provocando una sensazione di caldo soffocante E’importante mantenere il giusto grado di umidità relativa (50-69%) nelle abitazioni In ambiente umido e’ difficile per il corpo difendersi dagli eccessi di temperatura. Ridurre la dissipazione di calore: vestiti basso coeff. cond. termica. Precauzioni e Commenti Ambiente caldo (temperatura esterna elevata) Aumentare la produzione di calore: esercizio fisico, cibo elevato contenuto calorico. Ridurre la produzione di calore: riposo, cibi ridotto contenuto calorico. Se l’ambiente esterno è freddo, anche se è umido, l’ambiente interno delle abitazioni riscaldate può essere pericolosamente secco (l’umidità relativa, a parità di umidità assoluta, diminuisce all’aumentare della temperatura) se l’ambiente esterno è molto freddo, sarebbe necessario poter isolare il corpo dall’ambiente esterno, mentre invece l’elevata umidità rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore e quindi ostacola la difesa dal freddo. Al contrario, in climi secchi il corpo umano è in grado di sopportare temperature estreme molto meglio che non in climi umidi Termodinamica Termodinamica Termodinamica La termodinamica studia il comportamento di sistemi complessi, costituiti da un gran numero di particelle in processi in cui sono coinvolti scambi di calore e/o variazioni di temperatura. Uno dei sistemi termodinamici di maggior interesse è il gas perfetto: tutti gas ad elevate rarefazioni ed alte temperature mostrano il medesimo comportamento e per essi è stato introdotto un modello ideale (gas perfetto) che ne riproduce il comportamento limite. Variabili stato Per questi sistemi non è possibile determinare lo stato di moto delle singole particelle del sistema (microstato del sistema) applicando i metodi della meccanica. Il comportamento macroscopico del sistema può tuttavia essere descritto per mezzo di un numero limitato di grandezze globali (variabili di stato) fra le quali è compresa la temperatura: Pressione (P), Volume (V), Temperatura (T), Potenziale chimico () , Numero di moli (n) I valori che esse assumono per un certo stato di equilibrio sono caratteristici di quello stato e non dipendono dal modo in cui lo stato è raggiunto. Equazioni di stato Le variabili di stato non sono tutte fra loro indipendenti. La natura del sistema fissa infatti delle relazioni (equazioni di stato) fra esse. Per tutti i gas rarefatti a temperature elevate rispetto al punto di liquefazione (gas perfetti) si ha una relazione che prende il nome di equazione di stato dei gas perfetti: pV nRT R 8.314 J K mol Costante universale dei gas perfetti Primo principio della termodinamica Osservazioni sperimentali Alcune esperienze suggeriscono che la diminuzione di energia meccanica di un sistema soggetto a forze di attrito (o ad altre forze non conservative) corrisponde esattamente alla quantità di calore prodotta per attrito. Quindi, considerando anche le quantità di calore nel bilancio complessivo degli scambi di energia possiamo dire che l’energia totale resta costante. E P mgh 0 1 E C mv 2 2 E P mgh 0 EC 0 v si produce calore per attrito v 0 Primo principio della termodinamica Il primo principio rappresenta il principio di conservazione dell’energia anche in presenza scambi di quantità di calore e di trasformazioni di calore in altre forme di energia e viceversa. Enunciato del Primo principio della termodinamica Il primo principio si può enunciare dicendo che l’energia dell’universo resta costante. Secondo principio della termodinamica Esistono tutta una serie di processi in cui intervengono scambi di quantità di calore o trasformazioni di calore in altre forme di energia, che pur soddisfacendo il primo principio (conservazione dell’energia), non avvengono mai nella realtà. Queste limitazioni sono l’oggetto del secondo principio delle termodinamica. Questo principio può essere espresso in varie maniere, ciascuna delle quali pone in evidenza un aspetto diverso con cui tali limitazioni si manifestano. E’ possibile però dimostrare che tutte queste espressioni si equivalgono, giacché una porta di conseguenza l’altra. Enunciato di Kelvin E’ impossibile trasformare integralmente e con continuità in lavoro il calore estratto da una sorgente termica Enunciato di Clausius E’ impossibile che una quantità di calore passi spontaneamente (senza che si compia lavoro dall’ esterno ) da un corpo ad un altro a temperatura maggiore. Elementi di 6. ELETTROMAGNETISMO • Campo elettrico e campo magnetico • Onde elettromagnetiche • Le radiazioni in medicina Campo elettrico e campo magnetico Carica elettrica, legge di Coulomb Particelle elementari Particella Protone Neutrone Elettrone Massa (kg) mp = 1.6725210- 27 mn = 1.6748210- 27 me = 0.9109110- 30 Dimensioni (m) 10- 15 10- 15 < 10- 16 Carica elettrica (Coulomb, C) e = 1.610-19 0 -e = -1.610-19 Legge di Newton Mm Fgr G 2 rˆ r (G = 6.710-11 Nm2kg-2) M r r rˆ r̂ m r Interazione di due cariche puntiformi nel vuoto (legge di Coulomb) Qq Fel K 2 rˆ r (K = 9109 Nm2C-2) Q r̂ r r rˆ q r Confronto: atomo di idrogeno Fel Fgr 19 2 K e 9 10 (1.6 10 ) 39 10 G m p m e 6.7 10 11 1.67 10 27 0.91 10 30 2 9 r 0.5 10 10 m prot. elettr. Campo elettrico Campo elettrico: La carica Q genera nello spazio circostante un campo elettrico che può essere rilevato come una forza agente su una carica di prova q posta in quella regione dello spazio: F ( r ) qE ( r ) Campo elettrico: generato da una carica F Q E ( r ) K 2 rˆ q r q r r r rˆ Il vettore r r rˆ individua una specifica la posizione nello spazio r̂ Q Unità di misura Newton/Coulomb F ( r ) qE ( r ) Potenziale elettrico Energia potenziale gravitazionale Energia potenziale della massa m, nel campo di forza gravitazionale generato dalla massa M La massa m tende a muoversi verso punti ad energia potenziale minore r r rˆ r̂ M m E P ( M , m, r ) G Mm r r Energia potenziale elettrica Energia potenziale della carica q, nel campo di forze elettriche generato dalla carica Q Q r̂ r r rˆ q E P (Q , q , r ) K Qq r r Potenziale elettrico Potenziale elettrico V generato dalla carica Q Unità di misura Joule/Coulomb = Volt (V) V (Q , r ) EP Q K q r Proprietà La carica q positiva (negative) tende a muoversi verso punti dello spazio a potenziale elettrico minore (maggiore). Confronto fra grandezze gravitazionali ed elettriche Interazione gravitazionale M r̂ r r rˆ Interazione elettrica m Q r̂ r r r rˆ q r Forza generata dalla massa M sulla massa m Mm F ( M , m, r ) G 2 rˆ r Forza generata dalla carica Q sulla carica q Qq F (Q , q, r ) K 2 rˆ r Campo elettrico generato dalla carica Q F Q E (Q , r ) K 2 rˆ q r (unità di misura: Newton/Coulomb) Energia potenziale della massa m, nel campo di forze generato dalla massa M E P ( M , m, r ) G Mm r Energia potenziale della carica q, nel campo di forze generato dalla carica Q E P (Q , q , r ) K Qq r Potenziale elettrico generato dalla della carica Q V (Q , r ) EP Q K q r Corrente elettrica Corrente elettrica Se un conduttore metallico è immerso in un campo elettrico uniforme si stabilisce ai sui capi una differenza di potenziale V=VA-VB e le cariche libere nel conduttore (elettroni di conduzione) sono soggette ad una forza qE. Si stabilisce un moto ordinato di cariche nella direzione del campo (corrente elettrica). + + + + + + + + E E corrente elettrica F qE VA E elettrone di conduzione E VB - Intensità di corrente elettrica Rapporto fra la carica dQ che attraversa una qualsiasi sezione del conduttore nel tempo dt, e l’intervallo dt Convenzionalmente si prende come verso della correte quello in cui si muovono le cariche positive (quello opposto al moto delle cariche negative). Unità di misura: Coulomb/secondo = Ampere (A) EP=mgh F mg EP=0 dQ I dt Corrente elettrica stazionaria Generatori Esistono dei dispositivi che sono in grado di mantenete costante la differenza di potenziale ai capi del conduttore. In questo caso la corrente che lo attraversa è costante nel tempo (corrente stazionaria I ). VA VB I A - + Legge di Ohm In condizioni stazionarie, per una vasta varietà di conduttori (conduttori ohmici) esiste una relazione di proporzionalità fra V e I: B R V RI I La costante di proporzionalità R prende il nome di resistenza elettrica del conduttore. + - Schema di un semplice circuito costituito da un conduttore di resistenza R e da un generatore di forza elettromotrice Campo magnetico Osservazioni sperimentali In un sistema di riferimento (laboratorio) siano presenti uno o più circuiti fermi e percorsi da corrente stazionaria, ed una carica q dotata di velocità v. Si osserva sperimentalmente che la carica è soggetta ad una forza: • • • • • dipendente dalla posizione perpendicolare alla velocità modulo proporzionale alla carca q modulo proporzionale al modulo v della velocità in ogni posizione il modulo di F dipende dall’orientamento di v: c’è sempre una direzione di v per cui F si annulla; la direzione di v per cui la forza è massima è perpendicolare alla direzione per cui la forza è nulla q v I + - Forza di Lorentz e campo magnetico Diciamo che i circuiti percorsi da corrente generano nello spazio circostante un campo B0 (detto campo magnetico) dipendente dalla posizione, il quale determina sulla carica q dotata di velocità v una forza F (detta forza di Lorentz) data dalla legge: F qv B ( x , y , z ) Unità di misura NC 1m 1s Tesla (T ) Campo elettromagnetico Connessioni fra campo elettrico e campo magnetico in condizioni stazionarie Le cariche elettriche sono sorgenti del campo elettrico. Le correnti elettriche sono sorgenti del campo magnetico. Ma una corrente non è altro che un moto ordinato di cariche elettriche. Il fatto che una cariche sia ferma o in movimento dipende dal sistema di riferimento scelto. La natura del campo (elettrico o magnetico) dipende dal sistema di riferimento adottato. Connessioni nei fenomeni non stazionari • Un campo magnetico B0 variabile nel tempo genera un capo elettrico variabile nel tempo (legge di Faraday). • Analogamente, un campo elettrico E0 variabile nel tempo genera un capo magnetico B0 variabile nel tempo Campo elettromagnetico Queste considerazioni lasciano intuire che campo elettrico e campo magnetico sono diverse manifestazioni di una unica entità fisica: il campo elettromagnetico Onde elettromagnetiche Onde elettromagnetiche Onde elettromagnetiche Il campo elettromagnetico può propagarsi nel vuoto sotto forma di onde trasversali (onde elettromagnetiche): Il campo elettrico e magnetico oscillano mantenendosi perpendicolari fra loro e alla direzione di propagazione dell’onda. T c 1 c T direction of propagation Velocità della luce Velocità della luce La velocità c delle onde elettromagnetiche nel vuoto è una costante universale c 3 10 8 m/s 300000 km/s Linea che mostra la velocità della luce in un modello in scala. Dalla terra alla luna, 384 400 km, la luce impiega circa 1,280 888 6126 secondi considerando la distanza media centro terra/centro luna. Indice di rifrazione di un mezzo In un mezzo materiale un’onda elettromagnetica si propaga con una velocità v < c. Il rapporto c/v > 1 prende il nome di indice di rifrazione del mezzo: n c v Il fotone Il fotone L’interazione della radiazione elettromagnetica con la materia può essere descritta in termini di una particella elementare priva di massa, il fotone, definito come il quanto della radiazione elettromagnetica e il mediatore dell’interazione elettromagnetica. Gli scambi di energia tra radiazione elettromagnetica e materia non possono avvenire con continuità, ma solo per quantità discrete En, multipli interi di un valore elementare e detto quanto di energia elettromagnetica o fotone) proporzionale alla frequenza della radiazione: E n ne e h La costante di proporzionalità h, detta costante di Planck, ha un valore pari a h 6.62 10 34 J s Questa teoria rivoluzionaria fu formulata da Max Planck nel 1900, e gli valse il premio Nobel per la fisica del 1918. Max Planck Interazione delle onde elettromagnetiche con la materia Le onde elettromagnetiche vengono emesse o assorbite dalla materia sempre sotto forma di fotoni: – L’assorbimento di un fotone fa passare l’atomo, o la molecola, da un livello fondamentale (di energia E1) a un livello eccitato (ad es. di energia E3), cedendogli tutta la propria energia: E3 E1 h – Una volta eccitato, l’atomo torna spontaneamente al livello fondamentale. La diseccitaizone può avvenire in un salto unico o con una successione di passaggi a livelli energetici sempre più bassi: ad ogni transizione fra due stati corrisponde l’emissione di un fotone la cui energia è pari alla differenza di energia dei livelli fra cui avviene la transizione: h ' E 3 E 2 h' ' E 2 E1 ( h ' h ' ' h ) Quando i livelli energetici dell’atomo sono molto distanti tra loro, lo spettro della radiazione emessa o assorbita è discontinuo (spettro a righe) e le frequenze hanno valori caratteristici che permettono di riconoscere l’atomo o la molecola che le assorbe o le emette. Quando i livelli sono numerosi e fitti, lo spetto appare praticamente continuo. Legame fra frequenza, lunghezza d’onda ed energia del fotone Lunghezza d’onda La lunghezza d’onda si esprime tipicamente in metri Frequenza 1 c T 10 8 ( Hz ) 3 (m) L’elettronvolt 1 eV 1.6 10 19 Coulomb 1Volt 1.6 10 19 J 6.62 10 34 15 h eV s 4.14 10 eV s 19 1.6 10 Energia E h hc E h E (eV ) 4.14 10 15 ( Hz ) 3 10 8 m / s 4.14 10 15 eV s E (eV ) (m) 10 6 E (eV ) 1.24 (m) Lo spettro delle onde elettromagnetiche Le radiazioni in Medicina (da Scannicchio, Fisica Medica, Edises ) Le microonde (Hz) E 1 m - 1 mm 300 MHz - 300 GHz ≈ 1 eV - 1 meV Produzione Questa radiazione viene ottenuta mediante l’impiego di circuiti oscillanti e di speciali valvole o tubi elettronici (klystron, magnetron) Interazione con la materia Quando le microonde attraversano un materiale producono oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso. Assorbimento nei tessuti L’assorbimento nei tessuti è determinato da una legge di tipo esponenziale. I ( x) I 0e x / D I(x) = intensità che perviene alla profondità x del corpo I0 = intensità incidente sulla superficie D = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente Sperimentalmente si osserva che l’assorbimento delle microonde è legato alla quantità di acqua presente nei tessuti e che la produzione di calore conseguente è determinata dall’interazione del campo elettrico variabile delle microonde ed il momento di dipolo elettrico della molecola dell’acqua: il suo continuo riorienamento e allineamento, lungo il campo elettrico variabile, causa un assorbimento di energia da parte della molecola e quindi del tessuto, con produzione di calore. D è funzione della frequenza ed ha valori molto diversi in tessuti con differente contenuto di acqua. Effetti biologici ed applicazioni delle microonde Effetti biologici L’effetto più rilevante delle microonde sul corpo umano è quello termico (diatermia). Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico viene utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Poiché queste radiazioni penetrano abbastanza profondamente nel corpo, si riesce ad ottenere il riscaldamento di zone profonde senza che l’epidermide raggiunga temperature troppo elevate. Vengono così curate artriti, borsiti e lesioni muscolari. Le apparecchiature per diatermia utilizzano microonde (in genere con pari a circa 2450 MHz) che sono indirizzate sulla regione del corpo da trattare mediante piccole antenne poste in un riflettore semisferico che permette di focalizzare le onde in una regione limitata. Il riflettore viene situato ad alcuni centimetri dal corpo per evitare i pericoli di bruciature, sempre possibili nell’uso di elettrodi a contatto con la pelle. Danno biologico La sovraesposizione alle microonde può causare danni, in particolare agli occhi e ai testicoli. A causa di questi pericoli, è fissato un limite di intensità, pari a 10 mW/cm2, per l’esposizione alle microonde per lunghi periodi di tempo. A titolo di confronto, questo limite è solo un decimo della massima potenza radiante solare che può essere assorbita dal corpo umano (100 mW/cm2). Altre applicazioni • Comunicazioni satellitari • Telefonia mobile, bluetooth, Wi-fi • Radar • Forno a microonde La radiazione infrarossa (Hz) E 1 mm – 0.7 m 3 · 1011 – 4.3 · 1014 Hz 1.24 · meV – 1.77 eV Produzione: Transizioni molecolari ed emissione termica da sorgenti ad alta temperatura. Emissione termica Nella materia il moto di agitazione termica genera: • un moto disordinato di particelle cariche (protoni ed elettroni): cariche elettriche in moto accelerato producono onde elettromagnetiche. • transizioni fra livelli energetici molecolari dal livello fondamentale ad un livello eccitato: nel processo di diseccitazione vengono emessi uno o più fotoni la cui energia è pari alla differenza di energia fra i livelli energetici. Il processo di emissione termica è regolato dalle leggi di Stefan e Wien: Legge di Stefan L’energia radiante emessa in un secondo da un elemento di area unitaria della superficie di un corpo è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta (s = 1.36∙10-12 cal∙cm-2∙ s-1∙ K-4): I sT 4 Legge di Wien La lunghezza d’onda per la quale l’emissione raggiunge il massimo d’intensità è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta (k= 2.897∙10-3 m∙K): max kT 1 • La produzione di radiazione X per emissione termica comporta temperature elevatissime: dalla legge di Wien per 1 nm ≤ ≤ 1 pm si ottiene 3∙106 ≤ T ≤ 3∙109 . Queste temperature sono raggiungibili solo in alcune stelle (sorgenti X stellari). • Alla temperatura del corpo umano (≈ 37 °C) si ottiene max = 9.3 m. Il corpo umano emette energia termica nell’infrarosso, tuttavia l’intensità della radiazione emessa è molto bassa: dalle legge di Stefan si ottiene I = 1.25 ∙10-2 cal∙cm-2∙ s-1 • Quando un metallo viene riscaldato diventa lumisoso indicando che parte della radiazione emessa cade nel visibile. Inoltre, la colorazione dei corpi incandescenti passa dal rosso, all’arancio ed al bianco, man mano che si aumenta la temperatura, indicando che il massimo d’intensità della radiazione emessa si sposta verso le lunghezze d’onda minori all’aumentare di T. • Il sole ha uno spettro di emissione che è ben approssimato da quello di una sorgente ideale che si trova a circa T=5800 K a cui corrisponde max = 0.5 m. Il massimo di emissione si ha nel visibile. sole lampadina lampada da infrarosso Effetti biologici ed applicazioni della radiazione infrarossa Effetti biologici Il corpo umano percepisce la radiazione infrarossa sotto forma a di calore. L’effetto della radiazione sul corpo umano è puramente termico: la radiazione infrarossa attraversando un tessuto produce oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso. • per il vicino infrarosso ( ≈ 0.7 m) la penetrazione è di alcuni cm • il lontano infrarosso ( > 1.4 m) viene assorbito completamente dagli strati superficiali dell’epidermide Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico (diatermia) può essere utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Viene tipicamente impiegato per il trattamento di artriti, borsiti, lesioni muscolari. • Se si vuole eseguire una terapia termica in profondità bisogna utilizzare lampade con filamento ad alta temperatura (3000 K). • Le sorgenti a bassa temperatura (1200 K), come una stufa o una comune lampada al rosso, producono un riscaldamento limitato alla superficie esterna del corpo, da dove poi il calore passa agli strati più profondi per conduzione. Utilizzo per scopo diagnostico Mediante la fotografia all’infrarosso o la termografia è possibile ottenere una mappa delle temperature della superficie del corpo umano, sfruttando il calore emesso dall’organismo attraverso la cute sotto forma di radiazioni elettromagnetiche infrarosse. In questo modo è possibile: • Ottenere un’immagine del profilo dei vasi sanguigni superficiali, poiché essi si trovano ad una temperatura superiore a quella dell’epidermide e pertanto emettono raggi infrarossi con maggiore intensità. In questo modo si possono valutare eventuali alterazioni del flusso del sangue. • Localizzare un centro di infiammazione (del sistema muscolo scheletrico) o un tumore (della pelle, della mammella, o della tiroide), poiché esso è in generale caratterizzato da una temperatura locale superiore a quella del tessuto sano circostante. Altre applicazioni • Visione notturna La radiazione visibile (Hz) E 0.7 m – 0.4 m 4.3 · 1014 Hz – 7.5 · 1014 Hz 1.77 eV – 3.1 eV La luce Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, ed è approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d'onda I colori Le differenti lunghezze d'onda vengono interpretate dal cervello come colori, che vanno dal rosso delle lunghezze d'onda maggiori (frequenze più basse), al violetto delle lunghezze d'onda minori (frequenza più alte). Ottica La radiazione ultravioletta (UV) E 0.4 m - 1 nm 7.5 · 1014 - 3 · 1017 Hz 3.1 eV - 1.24 keV Sottoclassificazione regione UVA UVB UVC 400-315 nm 315-280 nm 280-100 nm Produzione • Emissione termica da sorgenti ad altissima temperatura. • Eccitazioni atomiche (transizioni elettroniche esterne). • Lampade a fluorescenza, lampade UVA. • Radiazione solare. Lampade a flouresecenza. In medicina si usano lampade contenenti un tubo di quarzo (che, contrariamente al vetro, è trasparente agli UV) contenente vapori di Hg. Il mercurio, eccitato da scariche elettriche, emette diseccitadosi una serie di righe nella regione spettrale del violetto e dell’ultravioletto, la più intensa delle quali ha = 253.7 nm. Le lampade sono rivestite da opportuni fosfori che si eccitano proprio per una di 253.7 nm e riemettono radiazione UV in uno spettro continuo con 270 ≤ ≤ 400 nm. Lampade UVA. Sono lampade a fluorescenza il cui spettro è limitato fra 315 e 400 nm. Effetti biologici ed applicazioni della radiazione ultravioletta Interazione con la materia L’energia dei fotoni della radiazione ultravioletta è sufficiente a produrre eccitazioni di atomi e molecole o addirittura la ionizzazione di atomi e la disintegrazione di grosse molecole. Quando interagisce con la materia, questa radiazione è in grado di causare, oltre ad un effetto termico, importanti effetti chimici . Effetti biologici sulla pelle L’esposizione della pelle a radiazioni ultraviolette produce un eritema (dilatazione dei vasi sanguigni dovuta a sostanze prodotte dalla radiazione) seguito da un’abbronzatura (determinata da un pigmento che si deposita nei tessuti cutanei e che serve ad assorbire i raggi ultravioletti, proteggendo così gli strati sottostanti). Per inferiori a 320 nm, le radiazioni UV giocano un ruolo eziologico nella formazione del cancro della pelle. Effetti biologici sugli occhi Gli occhi sono protetti dai raggi ultravioletti che vengono completamente assorbiti dalla cornea, dall’umor acqueo e dal cristallino. I danni agli occhi, causati da eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, per esempio sulla neve o sul ghiaccio, sono dovuti all’assorbimento di queste radiazioni da parte della cornea. Attivazione della sintesi della vitamina D Nella pelle vengono prodotte delle sostanze come l’ergosterolo, le quali si trasformano in vitamina D in seguito all’assorbimento di radiazione ultravioletta nella regione spettrale di 300-250 nm, con un massimo a circa 280 nm. Azione battericida Gli ultravioletti hanno una potente azione battericida (la cui efficacia è massima per ≈ 260 nm e si estende fino a circa 320 nm) conseguenza delle modifiche chimiche indotte dalla radiazione nel nucleo delle cellule batteriche. Trattamento dell’epidermide in dermatologia Si utilizzano lampade UVA a fluorescenza il cui spettro di emissione è limitato fra 315 e 400 nm Produzione di ozono nell’alta atmosfera terrestre Negli strati più elevati dell’atmosfera, la radiazione ultravioletta solare con < 180 nm è assorbita dall’ossigeno che viene così attivato e si trasforma in ozono. Le radiazioni con compresa fra 200 e 300 nm circa vengono a loro volta assorbite dall’ozono stesso. Raggi X (Hz) E 1 nm - 1 pm 3 · 1017 - 3 · 1020 Hz 1.24 · keV - 1.24 M eV Produzione • Nell’emissione termica i raggi X sono pressoché assenti, anche per temperature molto elevate del radiatore. • Nell’emissione caratteristica di atomi e di molecole, eccitate termicamente o con scariche elettriche, sono presenti al massimo raggi UV. La differenza di energia tra il livello energetico fondamentale degli elettroni di valenza e gli stati eccitati degli elettroni di valenza è inferiore all’energia di un fotone X. 1. Per ottenere raggi X bisogna quindi produrre delle transizioni di elettroni da orbitali esterni agli orbitali più interni. 2. In alternativa bisogna generare elettroni liberi con un’energia cinetica molto più elevata di quella che si può ottenere con una sorgente termica: elettroni liberi ad alta energia possono generare raggi X se vengono bruscamente frenati. In medicina vengono utilizzati tubi a raggi X che fruttano entrambi questi processi. Interazione dei raggi X con la materia Assorbimento nella materia L’assorbimento dei raggi X nella materia è determinato da una legge di tipo esponenziale I ( x ) I 0 e x I0 = intensità incidente sulla superficie del materiale I(x) = intensità che perviene a profondità x rispetto alla superficie di incidenza Coefficiente di assorbimento lineare totale 1/ = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente (e = 2.718, e-1 = 0.37) Assorbimento nei tessuti Il corpo umano è costituito da tessuti con coefficienti di assorbimento molto diversi, il cui valore dipende dal numero atomico Z, dallo stato di aggregazione dei tessuti e dall’energia dei fotoni incidenti. Meccanismi di assorbimento In generale l’interazione dei aggi X con al materia avviene secondo i seguenti processi: • diffusione • effetto fotoelettrico • effetto Compton • produzione di coppie elettrone-positrone I raggi X in diagnostica medica L’immagine radiologica • La differente opacità ai raggi X delle varie strutture anatomiche permette di ottenere una loro immagine radiologica: un fascio di raggi X proveniente da una sorgente quasi puntiforme, attraversando una porzione del corpo umano viene assorbito in modo differente dai vari tessuti; nel fascio dei raggi X che emerge dal corpo si ottiene un massimo (minimo) di intensità in corrispondenza delle zone in cui l’assorbimento è stato minimo (massimo). • L’immagine radiologica del fascio trasmesso può essere trasformata con varie tecniche in immagine visibile: Radioscopia Si intercetta il fascio di raggi X emergente dal corpo mediante uno schermo fluorescente che emette luce in proporzione all’intensità di radiazione X che lo colpisce. Si produce un’immagine positiva nel senso che appaiono più scure le zone più opache ai raggi X (cioè quelle a maggiore attenuazione). Radiografia Il fascio di raggi X emergente impressiona una pellicola fotografica sensibile ai raggi X. Si produce un’immagine negativa nel senso che le zone più scure rappresentano le regioni a minor attenuazione, mentre quelle più chiare rappresentano le ombre di oggetti più opachi. Raggi (Hz) E < 1 pm > 3 · 1020 Hz > 1.24 M eV Produzione • Decadimento di nuclei radioattivi. • Possono essere ottenuti artificialmente come radiazione di frenamento accelerando particelle cariche a energie superiori al MeV (come accade ad esempio negli acceleratori lineari) e frenandole in opportuni assorbitori. Interazione con la materia A causa della loro elevata energia, i fotoni provocano al loro passaggio un’intensa ionizzazione del materiale attraversato mediante gli stessi meccanismi descritti nel caso dei raggi X (effetto fotoelettrico, effetto Compton, produzione di coppie) cui si aggiunge l’effetto cumulativo determinato dai fotoni e dagli elettroni secondari. La radiazione , penetrando nella materia, produce quindi uno sciame elettromagnetico di fotoni e particelle. Effetti sui sistemi biologici • La produzione di ioni nei sistemi biologici consiste nella formazione di radicali liberi dall’acqua e da molecole organiche. • Il danno biologici da radiazione ionizzanti si esplica proprio tramite l’azione chimica dei radicali liberi i quali rilasciano la loro energia rompendo i legami chimici delle macromolecole presenti nelle cellule, in particolare quelli del DNA. • Il danno può causare la disfunzione di cellule, con effetti sul funzionamento degli organi che possono portare anche alla morte, oppure all’alterazione della struttura genetica (mutazione). • I danni possono pertanto manifestarsi direttamente sulle persone irraggiate (danni somatici), oppure sui loro discendenti (danni genetici ereditari). • Non tutti gli organi e i tessuti sono ugualmente sensibili alle radiazioni. I più sensibili sono: gli organi emopoietici (organi in cui avviene la produzione degli elementi corpuscolari del sangue), le gonadi (ovaie e testicoli), il cristallino e la pelle. Utilizzo della radiazione a scopo diagnostico I radioisotopi sono utilizzati come segnalatori della distribuzione topografica di particolari atomi, molecole, cellule all’interno dell’organismo: quando un radionuclide è introdotto in un paziente questo diffonde nell’organismo e partecipa ai processi metabolici come il corrispondente isotopo non radioattivo. La sua maggiore concentrazione in determinate zone costituisce una indicazione di normalità o di anormalità nelle funzioni dell’organismo o dell’organo interessato, da cui trarre una diagnosi. Poiché è possibile rilevare anche la disintegrazione di un singolo nucleo, la sensibilità del metodo è eccezionalmente alta e sono sufficienti concentrazioni molto piccole di composti radioattivi. • Sostituzione di un atomo con un suo isotopo radioattivo: studio diagnostico della tiroide. La tiroide utilizza lo iodio per produrre gli ormoni che controllano il metabolismo del corpo. In un soggetto con la tiroide poco attiva (ipotiroideo) questa assorbe meno iodio che in un soggetto normale, mentre in un soggetto con la tiroide molto attiva (ipertiroideo) ne assorbe una maggiore quantità. Facendo ingerire una piccola quantità di iodio radioattivo 131I, dopo 24 ore viene misurata l’emissione radioattiva dello 131I. La misura può essere effettuata − contando il numero di emissioni b- e per un tempo prefissato (misura integrale di radioattività) − misurando la distribuzione geometrica della radioattività, ottenendo un immagine dell’organo interessato (scintigrafia) • Sostituzione di un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: assorbimento idrico di una pianta. Si utilizza l’acqua marcata con trizio, cioè in cui alcune molecole hanno un atomo di H sostituito con il suo isotopo radioattivo trizio (3H). Quando la pianta ha le radici immerse in acqua marcata, la misura della radioattività nelle foglie permette di valutare la velocità di assorbimento idrico. • Sostituzione di una molecola con una marcabile con simile comportamento biologico: metabolismo dell’albumina. Non sempre è possibile sostituire direttamente un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: si impiega allora una molecola marcabile molto simile, il cui comportamento biologico sia del tutto analogo a quello della molecola naturale. E’ il caso dello studio del metabolismo dell’albumina, la cui molecola non contiene iodio: si utilizza invece albumina iodata, marcata con 131I o 125I, che non è chimicamente identica all’albumina, ma ad essa molto simile nel comportamento biologico. • Anche le cellule possono essere marcate: misure di volume e portata del sangue In questo caso i globuli rossi vengono marcati con 197Hg Utilizzo della radiazione a scopo terapeutico numero di cellule sopravissute Utilizzo a scopo terapeutico Il danno provocato dalle radiazioni ionizzanti può essere utilizzato nella terapia medica per distruggere tessuti malati (cellule tumorali). Questa tecnica è chiamata radioterapia. Il problema principale è dato dal fatto che le cellule normali sono spesso sensibili alla radiazioni quasi quanto le cellule anormali. La dose del trattamento radiante, per dare una ragionevole probabilità di cura, è appena inferiore alla dose sufficiente a causare gravi danni ai tessuti sani. L’uso delle radiazioni a questo scopo si avvale di vari metodi: • Sono utilizzate sorgenti radioattive sotto forma di pasticche, aghi o fili che vengono chirurgicamente impiantati nella zona del tumore per periodi di tempo programmati • I radionuclidi possono essere anche utilizzati per generare un fascio di radiazioni opportunamente diretto sulla zona da trattare.