C il SEGNO 24 ottobre 2014 HIESA LOCALE 17 CON L’AC SPETTACOLO TEATRALE A TRE SANTI Modi di dire T anti sono i “Giobbe” che attraversano la storia e che, come il loro “progenitore biblico” si ritrovano ad affrontare grandi dolori e sofferenze, che mettono a dura prova la loro fede. Hanno nomi diversi, sono vissuti e vivono in epoche e terre diverse, ma sono accomunati dallo stesso insidioso percorso di vita, intessuto di fatiche e scelte lancinanti. La vita di uno di questi “Giobbe” è stata raccontata martedì scorso (28 novembre) nella chiesa di Tre Santi a Bolzano dalla compagnia teatrale “Il servo muto”, che ha messo in scena, con la regia di Michele Segreto, “Giobbe, romando di un uomo semplice”, liberamente tratto dall’omonimo racconto di Joseph Roth. Mendel Singer (il Giobbe moderno protagonista del racconto e dello spettacolo) è un ebreo russo osservante che vive nei primi anni del Novecento e che da uomo saggio, giusto, assennato e grande timorato di Dio qual è, insegna la Bibbia e ogni giorno ringrazia il Signore pregando al risveglio, per lodare il Signore per il sonno e per il giorno nascente, al tramonto, quando il cielo si riempie di stelle, e prima di coricarsi. Mendel incontra Deborah, dalla quale ha tre figli. Schemarjah, Mirjam e Menuchim. Proprio con la nascita di Menuchim iniziano le prime difficoltà: il bambino nasce deforme ed è affetto da epilessia. Che fare? Mendel e Deborah si rivolgono a Dio, per chiedergli aiuto, per cercare di capire la scelta giusta da fare. Una preghiera che sale al cielo attraverso i due microfoni posti al lato della scena, allestita al centro della chiesa di via Duca d’Aosta a Bolzano. Mirjam si rivolge anche al rabbino, che la invita a non abbandonare il piccolo, annunciandole che proprio quel bimbo con tanti problemi sarà un giorno fonte di gioia per la sua famiglia. La nascita di Menuchim con i suoi problemi è la prima grande sofferenza che la famiglia di Mendel deve affrontare. Di lì a breve iniziano a spirare venti di guerra e il maggiore dei suoi figli, Schemarjah, corre il rischio di essere reclutato. Un pericolo che Mirjam vuole scongiurare e per questo si priva di tutti i suoi risparmi per cercare di garantire al figlio un futuro sicuro in America. Schemarjah attraversa l’oceano e arriva a New York, dove si rifà una vita e da dove invita la sua famiglia a raggiungerlo. Quando arriva la lettera di Schemarjah, Mendel e Deborah non sanno cosa fare. Deborah non vuole partire, perché sa che questo significa abbandonare Menuchim, che non è in grado di affrontare il viaggio in nave. La decisione viene presa quando Mendel scopre che la figlia Mirjam intrattiene rapporti con i soldati cosacchi. Per strapparla alle loro mani decide di trasferirsi con la sua famiglia La pazienza di Giobbe Avere la pazienza di Giobbe. Quante volte, di fronte alle difficoltà del quotidiano ci è capitato di ripensare a quel personaggio della Bibbia, che ha conservato la fede in Dio in mezzo a mille travagli e sofferenze e che Dio – come ricorda san Giacomo nella sua lettera – ha ricompensato con grande generosità? La figura di Giobbe è stata al centro, martedì scorso (28 ottobre) della penultimo appuntamento del ciclo che l’Azione cattolica sta dedicando in queste settimane ai modi di dire tratti dalla Bibbia. Una serata un po’ particolare. A raccontare, infatti, la pazienza di Giobbe – secondo il racconto di Joseph Roth – sono stati gli attori de “Il servo muto” di Brescia, che hanno messo in scena uno spettacolo teatrale particolarmente apprezzato dalle tante persone che hanno affollato per l’occasione la chiesa di Tre Santi, trasformata per l’occasione in un grande teatro, in cui gli spazi del palco e della sala si fondevano tra loro, contribuendo così al coinvolgimento del pubblico alle vicende che si dipanavano sul palco. La “pazienza di Giobbe” ha fatto da filo conduttore alla vita di Mendel Singer, ebreo russo dei primi anni del Novecento, e della sua famiglia. Il primo momento di difficoltà: l’arrivo di Menuchim, il terzogenito che nasce deforme e malato di epilessia Schemarjah si trasferisce a New York e la famiglia decide di raggiungerlo; questo comporterà l’abbandono di Menuchim Schemarjah cade in guerra e la madre Deborah muore distrutta dal dolore (fotoservizio Fernando Gardini) LA COMPAGNIA TEATRALE “Il servo muto” e Joseph Roth A mettere in scena “Giobbe, storia di un uomo semplice” sono stati gli attori della compagnia “Il servo muto” di Brescia. Per la regia di Michele Segreto, sul palco si sono alternati martedì scorso a Bolzano Pavel Zelinskiy, Michele Segreto, Elisa Proietti e Marzia Gallo; tecnico di compagnia Mauro Faccioli. a New York. Qui la vita sembra riprendere una sua certa normalità, ma lo scoppio della seconda guerra mondiale porta nuovo dolore nella casa di Mendel Singer. Shemarjah – che ora si fa chiamare Sam – decide di arruolarsi e di partire alla volta della Francia. Mendel e Deborah, con la morte nel cuore, lo vedono partire e attendono a casa il suo ritorno. Un’attesa che sarà spezzata un giorno all’improvviso. Sul palco, da una fessura sul fondale, vengono fatte passare tante camicie bianche, l’una legata all’altra, a raffigurare le tante vite cadute in guerra. Deborah le fa scivolare una dopo l’altra tra le sue mani, fino a quando, tra quelle camicie appare quella rossa di Schemarjah. Il dolore è troppo forte per la donna, che muore tra le braccia di Mendel. L’uomo si ritrova ora senza la sua amata Deborah, senza il primogenito Schemarjah e senza Menuchim, che aveva lasciato in Russia. Al suo fianco – ma ancora per poco – Mirjam, che ben presto dà segni di schizofrenia e per questo viene internata in manicomio. Mendel, che in tutto questo tempo aveva affidato a Dio la sua esistenza e quella dei suoi familiari, che aveva cercato una risposta alle sue domande nella preghiera e nella lettura della Bibbia, entra in crisi. Il dialogo con Dio si interrompe e quella Scrittura da cui per anni aveva tratto ispirazione e indicazione, gli appare come una nemica, una traditrice. Ed è a questo punto, proprio quando arriva a toccare il fondo della disperazione, che la fede di Mendel si riaccende. Il perché della scelta di portare in scena uno spettacolo come Giobbe è lo stesso regista Michele Segreto a spiegarlo: “Credo che il dubbio sul volere di Dio sia parte della riflessione di ogni uomo. Quando siamo colpiti da qualche evento drammatico inevitabilmente ci chiediamo perché sia successo, perché a noi, perché ora. Poi ciascuno può chiamare in causa Dio, la sfortuna, il karma o la meccanica quantistica. I credenti sono - o dovrebbero essere - consolati dalla consapevolezza che niente accade per caso, ma è una consolazione a volte difficile da trovare, e su questo punto ruota l’intera drammaturgia ed il protagonista dello spettacolo”. i.a.