Torre Eiffel a Parigi: come, dove, quando e perché La Torre Eiffel è un gigante di ferro che si innalza per 312,27 metri su Champ de Mars a Parigi; fu voluta per celebrare il primo centenario della Rivoluzione Francese con la realizzazione dell’edificio più alto al mondo, simbolo della civiltà industriale, a quei tempi all’apice, e che tutti potessero ammirare in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Dopo vent’anni doveva essere smantellata, invece è diventata emblema della città. La storia della Torre Eiffel inizia nel 1884 quando due ingegneri dello studio di Gustave Eiffel, Emile Nouguier e Maurice Koechlin, elaborarono il primo progetto di una torre metallica di 300 metri; Gustave Eiffel, ingegnere ed imprenditore, prese in considerazione il progetto solo dopo che l’architetto Sauvestre vi aggiunse una ricca ornamentazione. Il progetto venne presentato al concorso indetto nel 1886 dalle autorità francesi per la costruzione dell’edificio più alto al mondo da ammirare in occasione dell’Esposizione Universale del 1889. Il progetto vinse il concorso ed i lavori vennero iniziati il 26 gennaio 1887 e terminarono il 31 marzo 1889, in tempo per l’inaugurazione dell’Esposizione Universale, avvenuta due mesi dopo. Il progetto iniziale di Koechlin e Nouguier (fonte Wikipedia) foto Il progetto finale ritoccato dall’architett o Sauvestre (fonte foto Wikipedia) Il progetto fu molto complesso, frutto di dettagliate analisi condotte da circa 40 ingegneri e disegnatori che realizzarono 700 disegni di complessivo e 3600 disegni di fabbricazione. Essi dovettero superare due problemi: impedire che la torre si rovesciasse, a causa dell’altezza e del peso, e che oscillasse troppo, a causa dell’azione del vento. Il problema del rovesciamento fu risolto mediante il tracciato campaniforme (cioè di forma svasata) dei suoi quattro pilastri, che le fornirono sufficiente stabilità. Il problema dell’oscillazione fu risolto con quadrilateri triangolati di montanti e traversi che connetterono i quattro grandi pilastri della torre e determinarono una struttura di rigidità elevata. I lavori iniziarono il 26 gennaio 1887 e durante i primi cinque mesi vennero costruite le fondamenta; anche qui non fu facile perché i due pilastri vicini alla Senna crearono problemi, al punto che fu necessario scavare per cinque metri al di sotto del livello freatico per raggiungere il terreno solido. Per realizzare gli scavi, Eiffel impiegò con successo un sistema di cassoni pneumatici che era stato introdotto in Inghilterra nel 1830, ma che non era mai stato applicato ad un’opera delle dimensioni della Torre Eiffel. L’avanzamento dei lavori fu regolare e rapido; nel settembre del 1888 si raggiunse il secondo piano ad un’altezza di 115 metri. Da qui la costruzione fu più semplice in quanto la torre prendeva la forma di un pilone. L’ultima fase fu l’installazione degli ascensori, tre tipi di diversi ascensori, uno per ogni piano, costruiti appositamente per la torre. Durante la costruzione della Torre Eiffel: le fondamenta Wikipedia) (fonte foto Durante i lavori si verificò un solo incidente mortale, peraltro fuori dall’orario di lavoro, nonostante le condizioni di lavoro rischiose in piedi sulle travi di metallo (a quei tempi non esistevano le norme di sicurezza che ci sono oggi!) e quelle climatiche. La giornata lavorativa era di nove ore che diventavano dodici in estate. Alla torre lavorarono contemporaneamente dai 150 ai 300 operai, il cui compito era quello di assemblare e montare i pezzi che altri 100 operai fabbricavano e premontavano negli stabilimenti di Gustave Eiffel. All’assemblaggio si procedeva unendo i diversi pezzi mediante rivetti; in totale, la Torre Eiffel contiene 2,5 milioni di rivetti. Torre Eiffel, due operai durante la costruzione (fonte foto Wikipedia) La Torre Eiffel fu concepita al di fuori di qualsiasi utilità pratica, con l’unico scopo di essere l’edificio più alto al mondo e diventare un simbolo della civiltà industriale. Il suo record fu però battuto nel 1930, sette anni dopo la morte di Gustave Eiffel, con il Chrysler Building dell’architetto William van Allen, di 319 metri e nel 1931 dall’Empire State Building dell’architetto William F. Band, di 381 metri, entrambi a New York. Dopo ne vennero tanti altri, oggi (2017) l’edificio più alto si trova a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti: è un grattacielo di 163 piani, alto ben 829 metri. Curiosità. Per l’Esposizione Universale del 1889, la Torre Eiffel fu verniciata di rosso scuro (dal 1968 è dipinta di color bronzo) e sulla cuspide Eiffel collocò una serie di fari che illuminavano i monumenti della città. Per attirare il pubblico, al primo piano furono aperti negozi di articoli da regalo, ristoranti e persino un teatro; gran parte di queste strutture venne eliminata qualche decennio dopo. Torre durante Eiffel l’Esposizione Universale del 1889, disegno di Georges Garen La Torre Eiffel si trova in pieno centro di Parigi, a due passi dalla Senna, davanti a Champ de Mars. Si sale con gli ascensori o con le scale, ogni giorno, per gli orari visita il sito ufficiale. Naturalmente, da lassù la vista sulla città è straordinaria! Quando andrete a visitare la Torre Eiffel a Parigi ricordatevi della storia che vi ho raccontato, vi piacerà di più! Buona visita! Cinzia Malaguti Bibliografia: I. Lopez César, La Torre Eiffel, su Storica NG, nr. 99 J. Jones, Storia della Tour Eiffel, Roma, Donzelli, 2011 D. Lamberini, La torre in ferro di Gustave Eiffel, Firenze, EDIFIR, 2012 Bianca Maria Visconti Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti (1425 – 1468) fu figlia legittimata di Filippo Maria Visconti, ultimo Duca di Milano della dinastia viscontea. Fatta strumento di controllo del potere da parte di un padre pieno di paturnie maniacali e paranoiche, Bianca Maria fu promessa in sposa all’età di sette anni all’abile condottiero Francesco Sforza, di ventiquattro anni più anziano di lei, nel tentativo di condizionarne l’operato sfruttandone l’ambizione di diventare l’erede ducale. Le nozze tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza ebbero luogo nel 1441, ma solo dopo diversi intrighi, opportunistici, legati al potere e all’espansione territoriale, perpetrati sia da parte del duca Filippo Maria Visconti che del condottiero Francesco Sforza, spesso con manovre a sorpresa. Le nozze ebbero luogo a Cremona, ma dopo un breve soggiorno di Bianca Maria a Ferrara ospite di Niccolò d’Este, lì mandata dal duca Filippo Maria in uno dei tanti suoi cambi d’umore e per irretire Francesco. Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza in un ritratto di Bonifacio Bembo, Pinacoteca di Brera Dopo il matrimonio, Francesco e Bianca Maria fecero il loro viaggio di nozze a Venezia, dal doge Foscari, inizialmente alleato e committente dello Sforza, ma maggior nemico del Visconti; la politica espansionistica di Filippo Maria Visconti si scontrava con quella del Doge, contendendosi gli stessi territori, ma nel sogno di Francesco Sforza non c’erano altre guerre o intrighi, bensì pace e complementarietà tra le diverse signorie; un sogno impossibile da realizzare con Filippo Maria in vita. Dopo il matrimonio, Bianca Maria seguì Francesco nelle Marche dove egli aveva dei possedimenti da difendere perché continuamente minacciati da piccole o grandi nemici. Dopo la vita ovattata di Abbiate, Bianca Maria si ritrovò in mezzo a guerre o contese violente, ma dimostrò intraprendenza e diplomazia. Bianca Maria pretendeva fedeltà dalla sua corte, ma non la ottenne mai da Francesco, impenitente adultero; pare che fece uccidere un’amante che, peraltro, gli diede un altro figlio, tra i tanti che ebbe dalle sue amanti. Bianca Maria ebbe il primo figlio nel 1444 ed il nome venne fatto scegliere dal padre Visconti e suocero di Francesco, in segno di pace, ne fu lieto e scelse il nome del nonno Galeazzo a cui venne aggiunto Maria, come per tutti i discendenti di casa Visconti, sancendo così la discendenza Visconti nel ramo Sforza. Alla morte di Filippo Maria Visconti, Bianca Maria e Francesco si trovavano nelle Marche, a difendere territori frammentati e divisi, ambiti da vari signori ed ecclesiasti; essi cercarono di rientrare in fretta a Milano perché la successione al ducato era contesa da francesi, aragonesi, imperiali, veneziani, non essendoci una discendenza viscontea di linea maschile, ma giunsero in prossimità di Milano che Filippo Maria era già deceduto ed era stata proclamata la Repubblica Ambrosiana. Filippo Maria Visconti, ultima duca visconteo in linea di discendenza maschile Francesco Sforza, grazie all’aiuto di fedeli alla corte viscontea, in primo luogo la madre di Bianca Maria, riuscì a conquistare territori milanesi, a volte con aspre battaglie, a volte con la diplomazia o la strategia o l’opportunismo, fino ad accerchiare ed assediare Milano; nel 1450, una delegazione degli assediati milanesi, pur di non sottomettersi ai veneziani, anch’essi alle porte di Milano, si recò ad offrire il ducato di Milano a Francesco Sforza. Francesco Sforza si presentò ai milanesi in veste di discendente di un’antica stirpe, ma era cosciente di aver conquistato il potere con la spregiudicata rapacità dell’avventuriero; il suo primo gesto fu regale ed opportunistico: accorse a Milano portando tutto il pane che riuscì a raccogliere e che fece lanciare sulla folla stremata per farsi acclamare. Fu così che Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti furono proclamati sovrani per acclamazione popolare. La popolazione milanese, comunque, dopo i trentacinque anni di dominio del misantropo duca Filippo Maria e dopo i tre caotici anni della Repubblica, sentiva forte il bisogno di godere dell’apparato signorile e della munificenza dei pubblici festeggiamenti. D’altra parte, il progetto di governo di Francesco Sforza era rassicurante: intenzionato alla pace, ma sorretto dalla forza. Francesco Sforza iniziò stimolando le attività commerciali e l’autosufficienza alimentare, fece ricostruire la Rocca, abbattuta in precedenza dal popolo quale simbolo della tirannia, su progetto che seguì personalmente, poi divenuto il Castello Sforzesco, diede nuovo impulso alla costruzione del Duomo. Il Duomo di Milano Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti raccolsero via via crescenti consensi, ma non mancarono i nemici, con i quali Venezia annodò i suoi intrighi per liberarsi dello Sforza e ci fu persino un tentativo di avvelenamento non andato a segno. Francesco Sforza dovette conciliare gli impegni di battaglia con quelli di governo, ma siccome non poteva avere il dono dell’ubiquità, delegava Bianca Maria, colta e diplomatica, nei compiti esecutivi. Quando il marito era al campo, Bianca Maria restava a Milano ad occuparsi dell’ordinaria amministrazione; rispettava le direttive del marito, ma non le eseguiva supinamente e, a volte, cercava di convincere il marito, a cui comunque cercava sempre di compiacere, a cambiare posizione. Bianca Maria, a dire la verità, non voleva scontentare nessuno; gravata da un’immagine paterna distante ed inaffidabile, non sorprende che Bianca Maria sentisse un bisogno impellente ed ansioso dell’approvazione altrui. Bianca Maria mantenne verso il marito un profilo che combinava grande affettuosità e dedizione a ironia e tratti pungenti, rilevabile dalla numerosa corrispondenza intercorsa nei lunghi periodi durante i quali Francesco era impegnato in guerra. Ducato di Milano, casato degli Sforza, stemma La fine della guerra contro Venezia venne firmata a Lodi il 9 aprile 1454; Francesco Sforza restituiva ai veneziani il Bergamasco, il Cremasco e il Bresciano e teneva la Ghiara d’Adda e i territori dell’Adda già appartenuti a Venezia. Ad essa seguirono lunghi anni di pace e di diplomazia che Francesco e Bianca Maria seppero tessere abilmente, anche grazie all’amicizia dei signori di Firenze, i Medici. Francesco Sforza morì di malattia l’8 marzo del 1466 e gli successe al ducato di Milano il primogenito Gian Galeazzo Maria, uomo arrogante e cinico moralmente, ma che continuò l’attività del padre nel rendere più florida l’economia del ducato, attraverso la valorizzazione dei prodotti locali e del commercio. Gian Galeazzo Maria fu assassinato e gli successe l’ambizioso fratello Ludovico Maria, detto il Moro, per i suoi capelli corvini. Durante il governo di Ludovico il Moro, Milano conobbe il pieno Rinascimento d’arte e bellezza; fu lui a commissionare l’Ultima Cena a Leonardo da Vinci. A Ludovico il Moro (1452 – 1508) successe il figlio Massimiliano (1493 – 1530) , a cui subentrò il fratello Francesco II (1495-1535), ultimo Duca di Milano. La famiglia Sforza resse il Ducato di Milano dal 1450 al 1535. Cinzia Malaguti Bibliografia: D. Pizzagalli, La signora di Milano, vita e passioni di Bianca Maria Visconti, Milano, BUR Saggi, 2016 Leggi anche: Milano da vedere in un giorno Elisabetta Farnese, dal ducato di Parma a regina consorte di Spagna Elisabetta Farnese (1692-1766), duchessa di Parma e ultima della famiglia Farnese con questo titolo, divenne regina consorte di Spagna sposando Filippo V Borbone rimasto vedovo di Maria Luigia di Savoia. Elisabetta entrò alla corte di Spagna in tono dimesso, ma seppe attivarsi con efficacia per collocare in posizioni d’influenza i figli, Carlo (III) e Filippo (I), svantaggiati rispetto agli eredi di primo letto. Amore di madre. Non era bella con quelle cicatrici lasciatele dal vaiolo e alcuni critici dell’epoca non la ritenevano nemmeno intelligente, ma la realtà è che, tra adattamenti ed opportunismi e complice la scarsa vocazione del re per il potere, Elisabetta Farnese seppe influire su molte scelte politiche con il fine di sistemare i figli. Elisabetta Farnese Carlo, il primogenito, nel 1732, riprese possesso del ducato di Parma e Piacenza, dove rimase meno di due anni, ma lì non lasciò un buon ricordo perché quando si diresse alla conquista del Regno di Napoli portò con sé le opere d’arte che avevano abbellito i palazzi e le pinacoteche dei Farnese a Parma e a Piacenza, nonché il loro archivio. A Napoli, invece, Carlo (III) fu molto amato. Leggi l’articolo: Carlo III di Borbone amato re di Napoli. Alla morte del fratellastro Ferdinando, senza eredi diretti, la corona di Spagna passò a Carlo III che dovette rientrare a Madrid nel 1759. Incoronato il figlio e coronato il proprio sogno materno, Elisabetta morì nel 1766, ma prima vediamo cosa successe al suo secondogenito, Filippo. Carlo III di Borbone-Farnese Con Filippo I di Borbone, Elisabetta riuscì a riprendersi le terre del ducato di Parma, di nuovo sotto occupazione imperiale e ci riuscì grazie all’alleanza tra Francia e Spagna durante la guerra di successione austriaca. Il 15 settembre 1745 Filippo occupò Parma per divenire tre anni dopo il duca di Parma, Piacenza e Guastalla, primo del ramo Borbone-Parma. Filippo I di Borbone-Farnese Elisabetta Farnese riuscì ad assicurare posizioni di potere anche ad altri figli: Marianna Vittoria divenne regina consorte di Giuseppe I di Portogallo, Maria Teresa fu moglie del delfino Luigi Ferdinando di Borbone-Francia, Maria Antonia fu consorte del re Vittorio Amedeo III di Savoia. Reggia di Colorno o Palazzo Ducale La Reggia di Colorno fu una delle residenze di Carlo III Borbone nel ducato di Parma; si trova a nord della città capoluogo da cui dista meno di venti chilometri; esternamente è molto bella, elegante e con un bel giardino, ma internamente è spoglia! La costruzione passò nel 1731 a Carlo III di Borbone che spogliò il palazzo delle sue ricche collezioni per trasferirle nella sua nuova capitale a Napoli. Sarà poi suo fratello Filippo ad affidare all’architetto francese Ennemond Alexandre Petitot la ristrutturazione della reggia così come la vediamo oggi. La Reggia di Colorno subì un’altra spogliazione con l’arrivo delle truppe napoleoniche. Pur spoglia di mobili ed opere d’arte, la visita all’interno merita per ammirare i soffitti affrescati, gli stucchi e i pavimenti in marmo rosa, nonché la cappella ducale di San Liborio ed l’affascinante giardino storico. Quando passeggerete lungo i sentieri del giardino o all’interno delle stanze immaginatevi le dame e i signori di corte Farnese che nel XVII e XVIII secolo erano lì dove ora siete voi! Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 94/2017 G. Fragnito (a cura di), Elisabetta Farnese. Principessa di Parma e Regina di Spagna, Roma, Viella, 2009 M. Mafrici, Fascino e potere di una regina. Elisabetta Farnese sulla scena europea (1715-1759), Roma, Avagliano, 1999 La diaspora degli ebrei La diaspora degli ebrei o esilio iniziò con la conquista di Gerusalemme da parte dell’Impero Romano e conseguente ribellione giudaica soffocata nel sangue; migliaia di sopravvissuti vennero deportati o venduti come schiavi in Europa e nelle aree del Mediterraneo. Affrancati dalla schiavitù, divennero abili commercianti, poi prestatori di denaro, ma furono oggetto di falsità e persecuzioni, alimentate da interessi o invidie, ghettizzati, espulsi, perseguitati, capri espiatori con pochi periodi di relativa tranquillità. Assedio e distruzione di Gerusalemme in un dipinto di David Roberts Dopo la deportazione in Europa e fino al 1095, gli ebrei vissero periodi di relativa tranquillità, se confrontati con ciò che gli succederà nei secoli successivi. Era, infatti, il 1095 quando la convocazione della prima crociata scatenò gli attacchi contro gli ebrei accusati di essere responsabili della morte di Gesù e lo stesso accadde con la seconda e la terza crociata; i primi attacchi furono scatenati a Rouen, in Francia, il 26 gennaio 1096, quando numerosi ebrei vennero rinchiusi in una chiesa cittadina e quelli che rifiutarono il battesimo vennero sterminati. Presto la guerra di religione si estese in Germania, nella valle del Reno, dove migliaia di ebrei andarono incontro ad una morte brutale per mano dei guerrieri cristiani. Attacco agli ebrei di Metz per mano di alcuni nobili, in maggior parte tedeschi, e di pellegrini infiammati dalla predicazione della prima crociata, dipinto di Auguste Migette Gli ebrei, però, facevano comodo ai governanti cristiani dell’Europa centrale perché procuravano loro enormi benefici economici con la loro attività di prestito di denaro, vietata ai cristiani. Enrico IV, ad esempio, consentì loro di praticare la loro religione, pur suscitando le proteste del papa. Tuttavia, l’acredine, l’ostilità alimentate dagli ecclesiastici attirò verso gli ebrei l’odio delle masse popolari. Gli ebrei vennero screditati ed accusati di estorsione ai danni dei poveri, per lo più alimentato da coloro che desideravano liberarsi dei debiti o dall’invidia per la loro competenza. Nacquero così le calunnie antisemite; gli ebrei vennero accusati di crimini rituali, di profanazione di ostie consacrate, di avvelenamento diffusione della pesta nera. delle acque, di Ebrei di Worms, Germania, XVI secolo La prima accusa di profanazione di ostie consacrate risale al 1247; nel 1321 gli ebrei vengono accusati di avvelenare pozzi e fiumi, mentre nel 1348 diventano il capro espiatorio della peste nera. Nel 1290 cominciano le espulsioni: dall’Inghilterra nel 1290, dalla Francia nel 1306, ma definitivamente nel 1394, dalla Spagna nel 1492; in Germania gli imperatori delegarono il dominio sulle comunità ebraiche ai governanti locali, quindi le eventuali espulsioni furono differenziate. Gli ebrei espulsi dall’Europa centrale (ashkenaziti) si stabilirono in Polonia; quelli espulsi dalla Spagna (sefarditi) si stabilirono in Italia e nei territori dell’impero ottomano (Nord Africa, Grecia, Turchia). In tutti i casi gli ebrei furono messi davanti ad una scelta: convertirsi al cristianesimo e rimanere, oppure mantenere la loro fede scegliendo la via dell’esilio, l’ennesimo esilio. Gli ebrei espulsi vennero collocati dai paesi ospitanti in appositi spazi cittadini, i ghetti. Commerciante ebreo Il successivo periodo di relativa tranquillità durò fino agli inizi del Novecento con la salita al potere di Hitler in Germania; con il nazismo la guerra contro gli ebrei divenne strategica, un vero e proprio genocidio; campi di concentramento e camere a gas causarono la morte di migliaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale, fino alla liberazione. Olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale, genocidio di circa sei milioni di ebrei ad opera della Germania nazista Oggi assistiamo, in certi strati della popolazione giovanile, ad un pericoloso negazionismo, cioè la negazione dell’eccidio degli ebrei, che occorre contrastare. Le scuole di ogni grado, ma anche i media, hanno l’importante compito di mantenere viva la memoria affinché simili orrori non debbano più accadere. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 94 R. Calimani, Storia del pregiudizio contro gli ebrei – Antigiudaismo – Antisemitismo – Antisionismo, Milano, Mondadori, 2007 S. Schama, La storia degli ebrei. In cerca delle parole. Dalle origini al 1492, Milano, Mondadori, 2014 R. Finzi, L’antisemitismo: dal pregiudizio contro gli ebrei ai campi di sterminio, Firenze, Giunti, 1997 Il Tesoro di Pouan In un villaggio del nord-est della Francia, un contadino scoprì casualmente un tesoro risalente al V secolo, il Tesoro di Pouan, oggi conservato al Museo Saint-Loup di Troyes. Il ritrovamento fu fatto in una pianura vicino all’odierna Chalons-en-Champagne, ritenuta teatro di una storica battaglia, la battaglia dei Campi Catalaunici, avvenuta proprio nel V secolo; ciò che è stato ritrovato forse apparteneva ad un re visigoto, Teodorico I. Poster di Teodorico I re dei Visigoti, University of Oxford Il tesoro di Pouan fu ritrovato nel 1842 e potete immaginarvi la sorpresa del contadino quando vide comparire sotto la terra mossa dai suoi attrezzi uno scheletro, una serie di gioielli d’oro e due spade le cui else erano anch’esse placcate d’oro. Gli studi appurarono che i resti erano appartenuti ad un guerriero di stirpe germanica vissuto nel V secolo; il francese Peignè-Delacourt ipotizzò che i resti ritrovati, essendo così prestigiosi, fossero di Teodorico I, re dei visigoti, morto nella battaglia dei Campi Catalaunici nel 451, ma l’ipotesi – pur possibile – non è mai stata confermata. Rimane, comunque, lo splendore di un tesoro oggi conservato al Museo Saint-Loup di Troyes; Troyes si trova vicino al luogo del ritrovamento, nel nord est della Francia, dipartimento Aube, regione Grand Est. La battaglia dei Campi Catalaunici avvenne nel 451 e vide fronteggiarsi gli Unni di Attila ai Visigoti di Teodorico I, alleati dell’esercito dell’Impero Romano d’Occidente guidato da Flavio Ezio. Attila perse lo scontro e si ritirò, il re dei Visigoti vinse, ma cadde in battaglia. Battaglia dei Campi Catalaunici, manoscritto del XIV secolo, Biblioteca Nazionale Olandese I Visigoti erano una popolazione germanica alleata dei Romani, come lo erano altre, delle cui abilità militari Roma si serviva, contro popolazioni germaniche ostili come gli Unni, in cambio della concessione di territori della Gallia. La tenuta dell’Impero Romano d’Occidente durò fino al 476, quando si frammentò in regni barbari. Troyes con il suo Museo Saint-Loup, che ci ricorda le battaglie di Attila contro i Visigoti e i Romani, si trova a 163 chilometri a est di Parigi. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 94 P. Heather, La caduta dell’Impero romano, Milano, Garzanti, 2008 P. Howarth, Attila re degli Unni, Casale Monferrato, Piemme, 1997 Jordanes, Storia dei Goti, Milano, Tea, 1991 Successe a Place Concorde, Parigi de la Era il 16 ottobre 1793 quando Maria Antonietta d’Asburgo, regina di Francia, venne decapitata in Place de la Révolution, oggi Place de la Concorde; a gennaio dello stesso anno era stato ghigliottinato il marito re Luigi XVI. Dove ieri dominava un patibolo, oggi dominano un obelisco e due imponenti fontane con statue. Place de la Concorde, la seconda piazza più grande di Francia dopo Place des Quinconces di Bordeaux, fu progettata a metà del XVIII secolo per ospitare una monumentale statua equestre di Luigi XV, ma dopo l‘insurrezione popolare del 10 agosto 1792 che portò alla caduta della monarchia, divenne luogo delle esecuzioni della giustizia rivoluzionaria. Place de la Revolution, patibolo con ghigliottina (1793) Nel 1793 (a quel tempo era Place de la Révolution) fu lo scenario delle esecuzioni con la ghigliottina di Luigi XVI e di Maria Antonietta d’Asburgo. La regina Maria Antonietta era odiata dal popolo francese, più del marito Luigi XVI che ritenevano da lei manovrato. Maria Antonietta era donna dedita al lusso e agli sprechi e il suo atteggiamento altero, unito alla provenienza asburgica, la fecero un bersaglio dei rivoluzionari. Dopo la cattura e un periodo di severa prigionia nel Palazzo della Conciergerie, divenuto prigione politica, Maria Antonietta fu processata dal Tribunale rivoluzionario e condannata a morte. I capi d’accusa furono istigazione al tradimento di Luigi XVI quando aveva cercato di lasciare la Francia (la fuga di Varennes, nel giugno del 1791), avere cospirato con i nemici della Francia (gli austriaci) e aver sperperato soldi pubblici, oltre ad essersi sempre opposta a misure rivoluzionarie. Insomma, fu giudicata la nemica numero uno del popolo che acclamò ripetutamente “Viva la Repubblica. Viva la libertà!” dopo che il boia mostrò al pubblico la testa della regina decapitata. Place de la (Révolution) Concorde con il patibolo nel 1793 In Place de la Concorde, al posto del patibolo, oggi domina un obelisco egizio di Luxor, risalente al XIII secolo a.C. con geroglifici che narrano la storia di Ramses II. La bella piazza ottagonale, testimone di oltre due secoli di storia francese, è – inoltre – abbellita da due imponenti fontane e da statue rappresentanti ciascuna una città francese. Place de la Concorde ex Place de la Révolution, Parigi Place de la Concorde si trova nel cuore di Parigi, affacciata sulla Senna e ai piedi degli Champs-Elysées. Quando andrete a Parigi e metterete i piedi e lo sguardo in Place de la Concorde, potrete immaginarvi in un’altra epoca, ascoltare i clamori della folla ed il furore rivoluzionario contro una donna ritenuta il flagello e la sanguisuga dei francesi. Cinzia Malaguti Leggi anche: Viaggiare: ritorno a Parigi Bibliografia: Storica NG nr. 95, 2017 A. Fraser, Maria Antonietta. La solitudine di una regina, Milano, Mondadori, 2004 E. Lever, Maria Antonietta. L’ultima regina, Milano, Rizzoli, 2001 S. Zweig, Maria Antonietta, Roma, Castelvecchi, 2013