Torre Eiffel a Parigi: come, dove, quando e perché,Bianca Maria

Torre Eiffel a Parigi: come,
dove, quando e perché
La Torre Eiffel è un gigante di ferro che si innalza per
312,27 metri su Champ de Mars a Parigi; fu voluta per
celebrare il primo centenario della Rivoluzione Francese con
la realizzazione dell’edificio più alto al mondo, simbolo
della civiltà industriale, a quei tempi all’apice, e che tutti
potessero ammirare in occasione dell’Esposizione Universale di
Parigi del 1889. Dopo vent’anni doveva essere smantellata,
invece è diventata emblema della città.
La storia della Torre Eiffel inizia nel 1884 quando due
ingegneri dello studio di Gustave Eiffel, Emile Nouguier e
Maurice Koechlin, elaborarono il primo progetto di una torre
metallica di 300 metri; Gustave Eiffel, ingegnere ed
imprenditore, prese in considerazione il progetto solo dopo
che l’architetto Sauvestre vi aggiunse una ricca
ornamentazione. Il progetto venne presentato al concorso
indetto nel 1886 dalle autorità francesi per la costruzione
dell’edificio più alto al mondo da ammirare in occasione
dell’Esposizione Universale del 1889. Il progetto vinse il
concorso ed i lavori vennero iniziati il 26 gennaio 1887 e
terminarono il 31 marzo 1889, in tempo per l’inaugurazione
dell’Esposizione Universale, avvenuta due mesi dopo.
Il
progetto
iniziale
di
Koechlin e Nouguier
(fonte
Wikipedia)
foto
Il progetto
finale
ritoccato
dall’architett
o Sauvestre
(fonte foto
Wikipedia)
Il progetto fu molto complesso, frutto di dettagliate analisi
condotte da circa 40 ingegneri e disegnatori che realizzarono
700 disegni di complessivo e 3600 disegni di fabbricazione.
Essi dovettero superare due problemi: impedire che la torre si
rovesciasse, a causa dell’altezza e del peso, e che oscillasse
troppo, a causa dell’azione del vento. Il problema del
rovesciamento fu risolto mediante il tracciato campaniforme
(cioè di forma svasata) dei suoi quattro pilastri, che le
fornirono sufficiente stabilità. Il problema dell’oscillazione
fu risolto con quadrilateri triangolati di montanti e traversi
che connetterono i quattro grandi pilastri della torre e
determinarono una struttura di rigidità elevata.
I lavori iniziarono il 26 gennaio 1887 e durante i primi
cinque mesi vennero costruite le fondamenta; anche qui non fu
facile perché i due pilastri vicini alla Senna crearono
problemi, al punto che fu necessario scavare per cinque metri
al di sotto del livello freatico per raggiungere il terreno
solido. Per realizzare gli scavi, Eiffel impiegò con successo
un sistema di cassoni pneumatici che era stato introdotto in
Inghilterra nel 1830, ma che non era mai stato applicato ad
un’opera delle dimensioni della Torre Eiffel. L’avanzamento
dei lavori fu regolare e rapido; nel settembre del 1888 si
raggiunse il secondo piano ad un’altezza di 115 metri. Da qui
la costruzione fu più semplice in quanto la torre prendeva la
forma di un pilone. L’ultima fase fu l’installazione degli
ascensori, tre tipi di diversi ascensori, uno per ogni piano,
costruiti appositamente per la torre.
Durante la costruzione
della Torre Eiffel: le
fondamenta
Wikipedia)
(fonte
foto
Durante i lavori si verificò un solo incidente mortale,
peraltro fuori dall’orario di lavoro, nonostante le condizioni
di lavoro rischiose in piedi sulle travi di metallo (a quei
tempi non esistevano le norme di sicurezza che ci sono oggi!)
e quelle climatiche. La giornata lavorativa era di nove ore
che diventavano dodici in estate. Alla torre lavorarono
contemporaneamente dai 150 ai 300 operai, il cui compito era
quello di assemblare e montare i pezzi che altri 100 operai
fabbricavano e premontavano negli stabilimenti di Gustave
Eiffel. All’assemblaggio si procedeva unendo i diversi pezzi
mediante rivetti; in totale, la Torre Eiffel contiene 2,5
milioni di rivetti.
Torre Eiffel, due operai
durante la costruzione
(fonte foto Wikipedia)
La Torre Eiffel fu concepita al di fuori di qualsiasi utilità
pratica, con l’unico scopo di essere l’edificio più alto al
mondo e diventare un simbolo della civiltà industriale. Il suo
record fu però battuto nel 1930, sette anni dopo la morte di
Gustave Eiffel, con il Chrysler Building dell’architetto
William van Allen, di 319 metri e nel 1931 dall’Empire State
Building dell’architetto William F. Band, di 381 metri,
entrambi a New York. Dopo ne vennero tanti altri, oggi (2017)
l’edificio più alto si trova a Dubai, negli Emirati Arabi
Uniti: è un grattacielo di 163 piani, alto ben 829 metri.
Curiosità. Per l’Esposizione Universale del 1889, la Torre
Eiffel fu verniciata di rosso scuro (dal 1968 è dipinta di
color bronzo) e sulla cuspide Eiffel collocò una serie di fari
che illuminavano i monumenti della città. Per attirare il
pubblico, al primo piano furono aperti negozi di articoli da
regalo, ristoranti e persino un teatro; gran parte di queste
strutture venne eliminata qualche decennio dopo.
Torre
durante
Eiffel
l’Esposizione
Universale
del
1889, disegno di
Georges Garen
La Torre Eiffel si trova in pieno centro di Parigi, a due
passi dalla Senna, davanti a Champ de Mars. Si sale con gli
ascensori o con le scale, ogni giorno, per gli orari visita il
sito ufficiale. Naturalmente, da lassù la vista sulla città è
straordinaria!
Quando andrete a visitare la Torre Eiffel a Parigi ricordatevi
della storia che vi ho raccontato, vi piacerà di più! Buona
visita!
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
I. Lopez César, La Torre Eiffel, su Storica NG, nr. 99
J. Jones, Storia della Tour Eiffel, Roma, Donzelli, 2011
D. Lamberini, La torre in ferro di Gustave Eiffel, Firenze,
EDIFIR, 2012
Bianca
Maria
Visconti
Francesco Sforza
e
Bianca Maria Visconti (1425 – 1468) fu figlia legittimata di
Filippo Maria Visconti, ultimo Duca di Milano della dinastia
viscontea. Fatta strumento di controllo del potere da parte di
un padre pieno di paturnie maniacali e paranoiche, Bianca
Maria fu promessa in sposa all’età di sette anni all’abile
condottiero Francesco Sforza, di ventiquattro anni più anziano
di lei, nel tentativo di condizionarne l’operato sfruttandone
l’ambizione di diventare l’erede ducale.
Le nozze tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza ebbero
luogo nel 1441, ma solo dopo diversi intrighi, opportunistici,
legati al potere e all’espansione territoriale, perpetrati sia
da parte del duca Filippo Maria Visconti che del condottiero
Francesco Sforza, spesso con manovre a sorpresa. Le nozze
ebbero luogo a Cremona, ma dopo un breve soggiorno di Bianca
Maria a Ferrara ospite di Niccolò d’Este, lì mandata dal duca
Filippo Maria in uno dei tanti suoi cambi d’umore e per
irretire Francesco.
Bianca Maria Visconti e
Francesco Sforza in un
ritratto
di
Bonifacio
Bembo, Pinacoteca di Brera
Dopo il matrimonio, Francesco e Bianca Maria fecero il loro
viaggio di nozze a Venezia, dal doge Foscari, inizialmente
alleato e committente dello Sforza, ma maggior nemico del
Visconti; la politica espansionistica di Filippo Maria
Visconti si scontrava con quella del Doge, contendendosi gli
stessi territori, ma nel sogno di Francesco Sforza non c’erano
altre guerre o intrighi, bensì pace e complementarietà tra le
diverse signorie; un sogno impossibile da realizzare con
Filippo Maria in vita.
Dopo il matrimonio, Bianca Maria seguì Francesco nelle Marche
dove egli aveva dei possedimenti da difendere perché
continuamente minacciati da piccole o grandi nemici. Dopo la
vita ovattata di Abbiate, Bianca Maria si ritrovò in mezzo a
guerre o contese violente, ma dimostrò intraprendenza e
diplomazia.
Bianca Maria pretendeva fedeltà dalla sua corte, ma non la
ottenne mai da Francesco, impenitente adultero; pare che fece
uccidere un’amante che, peraltro, gli diede un altro figlio,
tra i tanti che ebbe dalle sue amanti. Bianca Maria ebbe il
primo figlio nel 1444 ed il nome venne fatto scegliere dal
padre Visconti e suocero di Francesco, in segno di pace, ne fu
lieto e scelse il nome del nonno Galeazzo a cui venne aggiunto
Maria, come per tutti i discendenti di casa Visconti, sancendo
così la discendenza Visconti nel ramo Sforza.
Alla morte di Filippo Maria Visconti, Bianca Maria e Francesco
si trovavano nelle Marche, a difendere territori frammentati e
divisi, ambiti da vari signori ed ecclesiasti; essi cercarono
di rientrare in fretta a Milano perché la successione al
ducato era contesa da francesi, aragonesi, imperiali,
veneziani, non essendoci una discendenza viscontea di linea
maschile, ma giunsero in prossimità di Milano che Filippo
Maria era già deceduto ed era stata proclamata la Repubblica
Ambrosiana.
Filippo
Maria
Visconti, ultima duca
visconteo in linea di
discendenza maschile
Francesco Sforza, grazie all’aiuto di fedeli alla corte
viscontea, in primo luogo la madre di Bianca Maria, riuscì a
conquistare territori milanesi, a volte con aspre battaglie, a
volte con la diplomazia o la strategia o l’opportunismo, fino
ad accerchiare ed assediare Milano; nel 1450, una delegazione
degli assediati milanesi, pur di non sottomettersi ai
veneziani, anch’essi alle porte di Milano, si recò ad offrire
il ducato di Milano a Francesco Sforza.
Francesco
Sforza
si
presentò
ai
milanesi
in
veste
di
discendente di un’antica stirpe, ma era cosciente di aver
conquistato il potere con la spregiudicata rapacità
dell’avventuriero; il suo primo gesto fu regale ed
opportunistico: accorse a Milano portando tutto il pane che
riuscì a raccogliere e che fece lanciare sulla folla stremata
per farsi acclamare. Fu così che Francesco Sforza e Bianca
Maria Visconti furono proclamati sovrani per acclamazione
popolare.
La popolazione milanese, comunque, dopo i trentacinque anni di
dominio del misantropo duca Filippo Maria e dopo i tre caotici
anni della Repubblica, sentiva forte il bisogno di godere
dell’apparato signorile e della munificenza dei pubblici
festeggiamenti. D’altra parte, il progetto di governo di
Francesco Sforza era rassicurante: intenzionato alla pace, ma
sorretto dalla forza.
Francesco Sforza iniziò stimolando le attività commerciali e
l’autosufficienza alimentare, fece ricostruire la Rocca,
abbattuta in precedenza dal popolo quale simbolo della
tirannia, su progetto che seguì personalmente, poi divenuto il
Castello Sforzesco, diede nuovo impulso alla costruzione del
Duomo.
Il Duomo di Milano
Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti raccolsero via via
crescenti consensi, ma non mancarono i nemici, con i quali
Venezia annodò i suoi intrighi per liberarsi dello Sforza e ci
fu persino un tentativo di avvelenamento non andato a segno.
Francesco Sforza dovette conciliare gli impegni di battaglia
con quelli di governo, ma siccome non poteva avere il dono
dell’ubiquità, delegava Bianca Maria, colta e diplomatica, nei
compiti esecutivi. Quando il marito era al campo, Bianca Maria
restava a Milano ad occuparsi dell’ordinaria amministrazione;
rispettava le direttive del marito, ma non le eseguiva
supinamente e, a volte, cercava di convincere il marito, a cui
comunque cercava sempre di compiacere, a cambiare posizione.
Bianca Maria, a dire la verità, non voleva scontentare
nessuno; gravata da un’immagine paterna distante ed
inaffidabile, non sorprende che Bianca Maria sentisse un
bisogno impellente ed ansioso dell’approvazione altrui.
Bianca Maria mantenne verso il marito un profilo che combinava
grande affettuosità e dedizione a ironia e tratti pungenti,
rilevabile dalla numerosa corrispondenza intercorsa nei lunghi
periodi durante i quali Francesco era impegnato in guerra.
Ducato
di
Milano,
casato degli Sforza,
stemma
La fine della guerra contro Venezia venne firmata a Lodi il 9
aprile 1454; Francesco Sforza restituiva ai veneziani il
Bergamasco, il Cremasco e il Bresciano e teneva la Ghiara
d’Adda e i territori dell’Adda già appartenuti a Venezia. Ad
essa seguirono lunghi anni di pace e di diplomazia che
Francesco e Bianca Maria seppero tessere abilmente, anche
grazie all’amicizia dei signori di Firenze, i Medici.
Francesco Sforza morì di malattia l’8 marzo del 1466 e gli
successe al ducato di Milano il primogenito Gian Galeazzo
Maria, uomo arrogante e cinico moralmente, ma che continuò
l’attività del padre nel rendere più florida l’economia del
ducato, attraverso la valorizzazione dei prodotti locali e del
commercio.
Gian Galeazzo Maria fu assassinato e gli successe l’ambizioso
fratello Ludovico Maria, detto il Moro, per i suoi capelli
corvini. Durante il governo di Ludovico il Moro, Milano
conobbe il pieno Rinascimento d’arte e bellezza; fu lui a
commissionare l’Ultima Cena a Leonardo da Vinci. A Ludovico il
Moro (1452 – 1508) successe il figlio Massimiliano (1493 –
1530)
,
a
cui
subentrò
il
fratello
Francesco
II (1495-1535), ultimo Duca di Milano.
La famiglia Sforza resse il Ducato di Milano dal 1450 al 1535.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
D. Pizzagalli, La signora di Milano, vita e passioni di Bianca
Maria Visconti, Milano, BUR Saggi, 2016
Leggi anche:
Milano da vedere in un giorno
Elisabetta
Farnese,
dal
ducato di Parma a regina
consorte di Spagna
Elisabetta Farnese (1692-1766), duchessa di Parma e ultima
della famiglia Farnese con questo titolo, divenne regina
consorte di Spagna sposando Filippo V Borbone rimasto vedovo
di Maria Luigia di Savoia. Elisabetta entrò alla corte di
Spagna in tono dimesso, ma seppe attivarsi con efficacia per
collocare in posizioni d’influenza i figli, Carlo (III) e
Filippo (I), svantaggiati rispetto agli eredi di primo letto.
Amore di madre.
Non era bella con quelle cicatrici lasciatele dal vaiolo e
alcuni critici dell’epoca non la ritenevano nemmeno
intelligente, ma la realtà è che, tra adattamenti ed
opportunismi e complice la scarsa vocazione del re per il
potere, Elisabetta Farnese seppe influire su molte scelte
politiche con il fine di sistemare i figli.
Elisabetta Farnese
Carlo, il primogenito, nel 1732, riprese possesso del ducato
di Parma e Piacenza, dove rimase meno di due anni, ma lì non
lasciò un buon ricordo perché quando si diresse alla conquista
del Regno di Napoli portò con sé le opere d’arte che avevano
abbellito i palazzi e le pinacoteche dei Farnese a Parma e a
Piacenza, nonché il loro archivio. A Napoli, invece, Carlo
(III) fu molto amato. Leggi l’articolo: Carlo III di Borbone
amato re di Napoli. Alla morte del fratellastro Ferdinando,
senza eredi diretti, la corona di Spagna passò a Carlo III che
dovette rientrare a Madrid nel 1759. Incoronato il figlio e
coronato il proprio sogno materno, Elisabetta morì nel 1766,
ma prima vediamo cosa successe al suo secondogenito, Filippo.
Carlo
III
di
Borbone-Farnese
Con Filippo I di Borbone, Elisabetta riuscì a riprendersi le
terre del ducato di Parma, di nuovo sotto occupazione
imperiale e ci riuscì grazie all’alleanza tra Francia e Spagna
durante la guerra di successione austriaca. Il 15 settembre
1745 Filippo occupò Parma per divenire tre anni dopo il duca
di Parma, Piacenza e Guastalla, primo del ramo Borbone-Parma.
Filippo
I
di
Borbone-Farnese
Elisabetta Farnese riuscì ad assicurare posizioni di potere
anche ad altri figli: Marianna Vittoria divenne regina
consorte di Giuseppe I di Portogallo, Maria Teresa fu moglie
del delfino Luigi Ferdinando di Borbone-Francia, Maria Antonia
fu consorte del re Vittorio Amedeo III di Savoia.
Reggia di Colorno o Palazzo
Ducale
La Reggia di Colorno fu una delle residenze di Carlo III
Borbone nel ducato di Parma; si trova a nord della città
capoluogo da cui dista meno di venti chilometri; esternamente
è molto bella, elegante e con un bel giardino, ma internamente
è spoglia! La costruzione passò nel 1731 a Carlo III di
Borbone che spogliò il palazzo delle sue ricche collezioni per
trasferirle nella sua nuova capitale a Napoli. Sarà poi suo
fratello Filippo ad affidare all’architetto francese Ennemond
Alexandre Petitot la ristrutturazione della reggia così come
la vediamo oggi. La Reggia di Colorno subì un’altra
spogliazione con l’arrivo delle truppe napoleoniche. Pur
spoglia di mobili ed opere d’arte, la visita all’interno
merita per ammirare i soffitti affrescati, gli stucchi e i
pavimenti in marmo rosa, nonché la cappella ducale di San
Liborio ed l’affascinante giardino storico. Quando
passeggerete lungo i sentieri del giardino o all’interno delle
stanze immaginatevi le dame e i signori di corte Farnese che
nel XVII e XVIII secolo erano lì dove ora siete voi!
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 94/2017
G. Fragnito (a cura di), Elisabetta Farnese. Principessa di
Parma e Regina di Spagna, Roma, Viella, 2009
M. Mafrici, Fascino e potere di una regina. Elisabetta Farnese
sulla scena europea (1715-1759), Roma, Avagliano, 1999
La diaspora degli ebrei
La diaspora degli ebrei o esilio iniziò con la conquista di
Gerusalemme da parte dell’Impero Romano e conseguente
ribellione giudaica soffocata nel sangue; migliaia di
sopravvissuti vennero deportati o venduti come schiavi in
Europa e nelle aree del Mediterraneo. Affrancati dalla
schiavitù, divennero abili commercianti, poi prestatori di
denaro, ma furono oggetto di falsità e persecuzioni,
alimentate da interessi o invidie, ghettizzati, espulsi,
perseguitati, capri espiatori con pochi periodi di relativa
tranquillità.
Assedio e distruzione di
Gerusalemme in un dipinto
di David Roberts
Dopo la deportazione in Europa e fino al 1095, gli ebrei
vissero periodi di relativa tranquillità, se confrontati con
ciò che gli succederà nei secoli successivi. Era, infatti, il
1095 quando la convocazione della prima crociata scatenò gli
attacchi contro gli ebrei accusati di essere responsabili
della morte di Gesù e lo stesso accadde con la seconda e la
terza crociata; i primi attacchi furono scatenati a Rouen, in
Francia, il 26 gennaio 1096, quando numerosi ebrei vennero
rinchiusi in una chiesa cittadina e quelli che rifiutarono il
battesimo vennero sterminati. Presto la guerra di religione si
estese in Germania, nella valle del Reno, dove migliaia di
ebrei andarono incontro ad una morte brutale per mano dei
guerrieri cristiani.
Attacco agli ebrei di Metz
per mano di alcuni nobili,
in maggior parte tedeschi,
e di pellegrini infiammati
dalla predicazione della
prima crociata, dipinto di
Auguste Migette
Gli ebrei, però, facevano comodo ai governanti cristiani
dell’Europa centrale perché procuravano loro enormi benefici
economici con la loro attività di prestito di denaro, vietata
ai cristiani. Enrico IV, ad esempio, consentì loro di
praticare la loro religione, pur suscitando le proteste del
papa. Tuttavia, l’acredine, l’ostilità alimentate dagli
ecclesiastici attirò verso gli ebrei l’odio delle masse
popolari. Gli ebrei vennero screditati ed accusati di
estorsione ai danni dei poveri, per lo più alimentato da
coloro che desideravano liberarsi dei debiti o dall’invidia
per la loro competenza. Nacquero così le calunnie antisemite;
gli ebrei vennero accusati di crimini rituali, di profanazione
di ostie consacrate, di avvelenamento
diffusione della pesta nera.
delle
acque,
di
Ebrei di Worms, Germania,
XVI secolo
La prima accusa di profanazione di ostie consacrate risale al
1247; nel 1321 gli ebrei vengono accusati di avvelenare pozzi
e fiumi, mentre nel 1348 diventano il capro espiatorio della
peste nera.
Nel 1290 cominciano le espulsioni: dall’Inghilterra nel 1290,
dalla Francia nel 1306, ma definitivamente nel 1394, dalla
Spagna nel 1492; in Germania gli imperatori delegarono il
dominio sulle comunità ebraiche ai governanti locali, quindi
le eventuali espulsioni furono differenziate. Gli ebrei
espulsi dall’Europa centrale (ashkenaziti) si stabilirono in
Polonia; quelli espulsi dalla Spagna (sefarditi) si
stabilirono in Italia e nei territori dell’impero ottomano
(Nord Africa, Grecia, Turchia). In tutti i casi gli ebrei
furono messi davanti ad una scelta: convertirsi al
cristianesimo e rimanere, oppure mantenere la loro fede
scegliendo la via dell’esilio, l’ennesimo esilio. Gli ebrei
espulsi vennero collocati dai paesi ospitanti in appositi
spazi cittadini, i ghetti.
Commerciante
ebreo
Il successivo periodo di relativa tranquillità durò fino agli
inizi del Novecento con la salita al potere di Hitler in
Germania; con il nazismo la guerra contro gli ebrei divenne
strategica, un vero e proprio genocidio; campi di
concentramento e camere a gas causarono la morte di migliaia
di ebrei durante la seconda guerra mondiale, fino alla
liberazione.
Olocausto
durante
la
Seconda Guerra Mondiale,
genocidio di circa sei
milioni di ebrei ad opera
della Germania nazista
Oggi assistiamo, in certi strati della popolazione giovanile,
ad un pericoloso negazionismo, cioè la negazione dell’eccidio
degli ebrei, che occorre contrastare. Le scuole di ogni grado,
ma anche i media, hanno l’importante compito di mantenere viva
la memoria affinché simili orrori non debbano più accadere.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 94
R. Calimani, Storia del pregiudizio contro gli ebrei –
Antigiudaismo – Antisemitismo – Antisionismo, Milano,
Mondadori, 2007
S. Schama, La storia degli ebrei. In cerca delle parole. Dalle
origini al 1492, Milano, Mondadori, 2014
R. Finzi, L’antisemitismo: dal pregiudizio contro gli ebrei ai
campi di sterminio, Firenze, Giunti, 1997
Il Tesoro di Pouan
In un villaggio del nord-est della Francia, un contadino
scoprì casualmente un tesoro risalente al V secolo, il Tesoro
di Pouan, oggi conservato al Museo Saint-Loup di Troyes. Il
ritrovamento fu fatto in una pianura vicino all’odierna
Chalons-en-Champagne, ritenuta teatro di una storica
battaglia, la battaglia dei Campi Catalaunici, avvenuta
proprio nel V secolo; ciò che è stato ritrovato forse
apparteneva ad un re visigoto, Teodorico I.
Poster
di
Teodorico I re dei
Visigoti,
University
of
Oxford
Il tesoro di Pouan fu ritrovato nel 1842 e potete immaginarvi
la sorpresa del contadino quando vide comparire sotto la terra
mossa dai suoi attrezzi uno scheletro, una serie di gioielli
d’oro e due spade le cui else erano anch’esse placcate d’oro.
Gli studi appurarono che i resti erano appartenuti ad un
guerriero di stirpe germanica vissuto nel V secolo; il
francese Peignè-Delacourt ipotizzò che i resti ritrovati,
essendo così prestigiosi, fossero di Teodorico I, re dei
visigoti, morto nella battaglia dei Campi Catalaunici nel 451,
ma l’ipotesi – pur possibile – non è mai stata confermata.
Rimane, comunque, lo splendore di un tesoro oggi conservato al
Museo Saint-Loup di Troyes; Troyes si trova vicino al luogo
del ritrovamento, nel nord est della Francia, dipartimento
Aube, regione Grand Est.
La battaglia dei Campi Catalaunici avvenne nel 451 e vide
fronteggiarsi gli Unni di Attila ai Visigoti di Teodorico I,
alleati dell’esercito dell’Impero Romano d’Occidente guidato
da Flavio Ezio. Attila perse lo scontro e si ritirò, il re dei
Visigoti vinse, ma cadde in battaglia.
Battaglia
dei
Campi
Catalaunici,
manoscritto
del XIV secolo, Biblioteca
Nazionale Olandese
I Visigoti erano una popolazione germanica alleata dei Romani,
come lo erano altre, delle cui abilità militari Roma si
serviva, contro popolazioni germaniche ostili come gli Unni,
in cambio della concessione di territori della Gallia. La
tenuta dell’Impero Romano d’Occidente durò fino al 476, quando
si frammentò in regni barbari.
Troyes con il suo Museo Saint-Loup, che ci ricorda le
battaglie di Attila contro i Visigoti e i Romani, si trova a
163 chilometri a est di Parigi.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 94
P. Heather, La caduta dell’Impero romano, Milano, Garzanti,
2008
P. Howarth, Attila re degli Unni, Casale Monferrato, Piemme,
1997
Jordanes, Storia dei Goti, Milano, Tea, 1991
Successe
a
Place
Concorde, Parigi
de
la
Era il 16 ottobre 1793 quando Maria Antonietta d’Asburgo,
regina di Francia, venne decapitata in Place de la Révolution,
oggi Place de la Concorde; a gennaio dello stesso anno era
stato ghigliottinato il marito re Luigi XVI. Dove ieri
dominava un patibolo, oggi dominano un obelisco e due
imponenti fontane con statue.
Place de la Concorde, la seconda piazza più grande di Francia
dopo Place des Quinconces di Bordeaux, fu progettata a metà
del XVIII secolo per ospitare una monumentale statua equestre
di Luigi XV, ma dopo l‘insurrezione popolare del 10 agosto
1792 che portò alla caduta della monarchia, divenne luogo
delle esecuzioni della giustizia rivoluzionaria.
Place de la Revolution,
patibolo con ghigliottina
(1793)
Nel 1793 (a quel tempo era Place de la Révolution) fu lo
scenario delle esecuzioni con la ghigliottina di Luigi XVI e
di Maria Antonietta d’Asburgo. La regina Maria Antonietta era
odiata dal popolo francese, più del marito Luigi XVI che
ritenevano da lei manovrato. Maria Antonietta era donna dedita
al lusso e agli sprechi e il suo atteggiamento altero, unito
alla provenienza asburgica, la fecero un bersaglio dei
rivoluzionari.
Dopo la cattura e un periodo di severa prigionia nel Palazzo
della Conciergerie, divenuto prigione politica, Maria
Antonietta fu processata dal Tribunale rivoluzionario e
condannata a morte. I capi d’accusa furono istigazione al
tradimento di Luigi XVI quando aveva cercato di lasciare la
Francia (la fuga di Varennes, nel giugno del 1791), avere
cospirato con i nemici della Francia (gli austriaci) e aver
sperperato soldi pubblici, oltre ad essersi sempre opposta a
misure rivoluzionarie. Insomma, fu giudicata la nemica numero
uno del popolo che acclamò ripetutamente “Viva la Repubblica.
Viva la libertà!” dopo che il boia mostrò al pubblico la testa
della regina decapitata.
Place
de
la
(Révolution)
Concorde
con
il
patibolo nel 1793
In Place de la Concorde, al posto del patibolo, oggi domina un
obelisco egizio di Luxor, risalente al XIII secolo a.C. con
geroglifici che narrano la storia di Ramses II. La bella
piazza ottagonale, testimone di oltre due secoli di storia
francese, è – inoltre – abbellita da due imponenti fontane e
da statue rappresentanti ciascuna una città francese.
Place de la Concorde ex
Place de la Révolution,
Parigi
Place de la Concorde si trova nel cuore di Parigi, affacciata
sulla Senna e ai piedi degli Champs-Elysées.
Quando andrete a Parigi e metterete i piedi e lo sguardo in
Place de la Concorde, potrete immaginarvi in un’altra epoca,
ascoltare i clamori della folla ed il furore rivoluzionario
contro una donna ritenuta il flagello e la sanguisuga dei
francesi.
Cinzia Malaguti
Leggi anche:
Viaggiare: ritorno a Parigi
Bibliografia:
Storica NG nr. 95, 2017
A. Fraser, Maria Antonietta. La solitudine di una regina,
Milano, Mondadori, 2004
E. Lever, Maria Antonietta. L’ultima regina, Milano, Rizzoli,
2001
S. Zweig, Maria Antonietta, Roma, Castelvecchi, 2013