Qualche idea sul monopolio Il testo di Varian-Shapiro-Farrel sottolinea verso l’inizio il fatto che le tecnologie dell’informazione si fondano frequentemente su una struttura di costi particolare: un elevato costo fisso di ideazione o progettazione o allestimento della prima copia del prodotto (un software, un libro, un brano musicale), e un basso costo di replicazione delle copie, detto anche costo variabile. Un basso costo di riproduzione di ogni nuova copia equivale ad un ridotto costo marginale (si ricorda che la definizione di costo marginale è: di quanto aumenta il costo totale se voglio produrre una unità in più). Vediamo di rappresentare questa situazione: il costo totale (CT) di produrre una qualsiasi quantità, cioè un qualsiasi numero di unità, si compone del costo fisso (CF), che cioè rimane lo stesso per qualsiasi numero di unità io voglia produrre, a cui si somma poi il costo di replica di tutte le unità che io voglio produrre, cioè il costo variabile (CV) che si può supporre sempre lo stesso all’aumentare del numero di unità. Dunque il grafico seguente descrive come varia questo costo totale CT al variare della quantità prodotta (Q): CT D Costo fisso = CF CT C B A CV Q La retta CV cresce molto lentamente perché abbiamo supposto che ogni nuova unità da replicare costi molto poco in più (basso costo marginale). Si noti che il costo fisso CF (linea tratteggiata orizzontale) deve comunque essere sopportato, per definizione, anche se si producono poche unità, e che rimane lo stesso (è fisso, appunto) per ogni diversa quantità. Osservate inoltre che il CV è rappresentato come una retta che passa per l’origine, e dunque la sua espressione è del tipo CV = c⋅Q, dove c è il costo variabile di ogni singola unità (ed è anche il costo marginale). I costi sono misurati in verticale: dunque, per ottenere il costo totale, devo considerare il segmento verticale che misura il costo variabile di una data quantità, e poi devo sommare a quello un altro segmento verticale, quello che misura il costo fisso. Per esempio, in corrispondenza della quantità A il costo variabile è pari al segmento AB, mentre il costo fisso è pari al segmento AC: sommando verticalmente questi due segmenti ottengo il segmento AD. Devo replicare questo ragionamento per tutte le diverse quantità sull’asse delle ascisse. Siccome il costo fisso è costante, capite bene che la retta CT è semplicemente parallela alla (ha la stessa distanza verticale dalla) curva CV. A partire dal costo totale possiamo calcolare il cosiddetto costo medio: il costo medio è, ovviamente, quanto costa in media ogni unità, e si calcola banalmente come CMe = CT/Q. Ma il costo totale è la somma di fisso e variabile, dunque CT = CF + CV, e dunque CMe = CF/Q + CV/Q. Ora, date le nostre ipotesi, il costo variabile è semplicemente dato da c⋅Q, quindi CV/Q = c, una costante. Per trovare l’intero costo medio devo sommare a c il termine CF/Q in corrispondenza delle diverse quantità Q. Il termine CF/Q, però, è molto grande quando Q è piccolo, e viceversa diminuisce quando Q cresce. Graficamente abbiamo allora la seguente situazione: 1 CMe c Q1 ½ Q1 Q Per ottenere il costo medio complessivo che corrisponde ad ogni diversa quantità, occorre sommare verticalmente al costo variabile medio, sempre pari a c, segmenti che sono molto lunghi (cioè rappresentano termini CF/Q elevati) quando la quantità è piccola, e invece diventano sempre più corti all’aumentare di Q. Cosa succede in questa situazione? Immaginate che la quantità prodotta Q1 venga prodotta da una singola impresa monopolista; poi immaginate invece che la stessa quantità venga prodotta da due imprese, ciascuna delle quali deve fare l’investimento iniziale, che comporta il medesimo costo fisso, e poi produce metà della quantità Q1. Nel secondo caso, ovviamente, l’economia deve sopportare costi medi (e quindi anche totali) più grandi che nel primo caso, semplicemente perché abbiamo costretto entrambe le imprese a fare l’investimento (pensate a due reti ferroviarie, a reti telefoniche, a due editori che pubblicano contemporaneamente lo stesso libro, eccetera). Quindi, in questo caso è meglio accettare di avere un monopolista, anziché avere ‘più concorrenza’. Non solo, ma se il prezzo di vendita non può essere molto elevato per qualche ragione, allora la presenza di due imprese potrebbe costringere entrambe a fare delle perdite (costo medio di ogni unità maggiore del prezzo a cui quella unità può essere venduta), mentre se ci fosse una sola impresa questa potrebbe fare profitti positivi, visto che il costo medio sarebbe più basso. Ci possono essere altre ragioni per cui un mercato è servito da un monopolista. Ciò può derivare da una norma vigente (monopolio legale): per esempio, in Italia la produzione e vendita di tabacchi è per legge in mano ad un monopolio. Oppure può derivare da “barriere economiche” che il monopolista presente riesce ad imporre: per esempio, il monopolista potrebbe annunciare che è disposto ad abbassare drasticamente il prezzo di vendita se un concorrente entra nel mercato, così da infliggergli delle perdite. Occorre però che questa “minaccia” sia credibile: se abbassare il prezzo drasticamente comporta perdite anche per il monopolista già presente, quest’ultimo potrebbe poi non attuare la minaccia. Ma è probabile che chi è già nel mercato da tempo abbia in qualche modo già ammortizzato i costi fissi dell’investimento iniziale, e dunque abbia più possibilità di sopportare, almeno per un certo periodo, di vendere a prezzi bassi il proprio prodotto. In ogni caso, la causa principale dell’esistenza di monopoli nel mondo delle tecnologie dell’informazione pare essere quella che abbiamo esplorato (forma delle curve di costo); talvolta si registra anche il fenomeno delle “barriere economiche all’entrata”. Prima ho detto ‘accettare di avere un monopolista, anziché avere ‘più concorrenza’: perché? La ragione è che agli economisti, in genere, il monopolio non piace. E il motivo è il seguente. Ricordate una proprietà generale (che abbiamo visto nel documento chiamato “surplus e efficienza al punto 1 della parte di lezioni dedicate a “problemi dell’informazione”: v. mia pagina web) delle decisioni prese da soggetti che ambiscono ad ottenere il massimo risultato per sé: costoro devono spingere il proprio livello di attività (produzione, consumo, ecc.) sino al punto in cui il loro 2 beneficio marginale eguaglia il loro costo marginale (MBa = CMa). In tal modo essi otterranno il massimo surplus privato. Nel caso di un’impresa, il lato ‘beneficio’ è costituito da suoi ricavi ottenuti dalla vendita del prodotto, dunque anziché utilizzare la dizione ‘beneficio marginale’ diremo ‘ricavo marginale’ (RMa). Il lato costo ha l’usuale significato (costo di produzione). Allora, per massimizzare il proprio surplus, che poi è il suo profitto, un’impresa farebbe bene a produrre sino al punto in cui vale l’uguaglianza RMa = CMa. Nel caso che stiamo esaminando (impresa monopolista con elevato costo fisso e basso costo di replica) il costo marginale è piccolo, e supponiamo come prima che esso sia costante: quindi è una retta orizzontale piuttosto vicina all’asse orizzontale; nessun problema a disegnarlo. Dobbiamo ora scoprire come disegnare il suo ricavo marginale; solo dopo sapremo finalmente individuare la quantità in corrispondenza della quale accade RMa = CMa. Come nel caso del costo marginale (v. inizio di questo pezzo), il ricavo marginale si definisce così: di quanto varia il ricavo se l’impresa produce una unità in più. Ora, dovete ricordare che un’impresa monopolista, per definizione, è l’unica che soddisfa l’intera domanda di mercato (che, come al solito, supporremo essere una retta decrescente per le ragioni ormai note). Dunque sa che se vuole vendere di più deve ridurre il prezzo, ovvero che se aumenta il prezzo potrà vendere meno. Nel caso più diffuso, si badi bene, un’impresa di questo tipo deve vendere ogni unità di quelle da lei prodotte al medesimo prezzo: se così non fosse, gli acquirenti che sanno che in seguito altre unità verranno vendute a prezzo inferiore aspettano ad acquistare sino a quando il prezzo non sia sceso. In altri termini, l’impresa monopolista ha di fronte a sé un insieme di soggetti anonimi, che non svelano la propria disponibilità a pagare (e sappiamo che davvero esistono individui che sono disposti a pagare di più ed altri a pagare di meno): non gli conviene. Dunque, stiamo dicendo che il monopolista non riesce, in genere, a discriminare i propri acquirenti in base a quanto sono disposti a pagare, ed è costretto a vendere ad un prezzo uniforme1. L’unica cosa che sa è che se per caso volesse vendere di più, dovrebbe abbassare il prezzo per catturare altri consumatori disposti a pagare meno del prezzo ora vigente. Bene: cerchiamo di capire allora come varia il ricavo (totale) dell’impresa quando questa decidesse ipoteticamente di vendere una unità in più. In seguito all’aggiunta di una unità accadono le seguenti due cose: (a) la nuova unità viene venduta al suo prezzo (più basso di prima), e dunque pro tanto contribuisce a fare aumentare il ricavo; (b) tuttavia anche le unità che già prima vendeva vengono ora vendute al nuovo prezzo più basso: ergo c’è un minor ricavo sulle unità che già prima vendevo. Sintesi: il ricavo varia per due ragioni: (a) un’aggiunta positiva (il prezzo della nuova unità) e (b) un’aggiunta negativa (il minor ricavo sulle unità che già prima vendevo). Ne segue che la variazione di ricavo (il ricavo marginale) è pari al nuovo prezzo meno qualcosa, dunque è inferiore al prezzo (di vendita della nuova unità). Esempio (un po’ diverso da quello fatto a lezione): prima vendevo 10 unità al prezzo unitario di 20, cioè il ricavo totale era 200. Ora vendo una unità in più, cioè 11 unità, al prezzo unitario di 19, e dunque il ricavo totale è pari a 11x19=209. Il ricavo è aumentato di 9 in seguito all’aumento di una unità, vale a dire che il ricavo marginale è appunto 9. Di quali parti si compone questo ricavo marginale? (a) la nuova unità venduta al prezzo di 19 fa aumentare il ricavo di 19, appunto; (b) le precedenti 10 unità, che prima venivano vendute al prezzo unitario di 20, ora sono vendute al prezzo unitario di 19, vale a dire che su quelle unità ho un minor ricavo di 10. Sommando +19 e −10 ottengo appunto +9. Chiaro? Cosa ne deduco? Che il ricavo marginale è inferiore al prezzo di vendita! Notate però quanto segue: quando immagino di non produrre nulla e poi suppongo di aumentare di uno la quantità vendu1 Si veda però la parte successiva di questo documento, dove si analizzano proprio casi in cui il monopolista riesce a discriminare i propri consumatori sulla base della loro disponibilità a pagare, o beneficio marginale. 3 ta, il secondo addendo (la parte (b) dei precedenti ragionamenti) non esiste. Infatti, se prima non vendevo nulla, non alcun minor ricavo sulle unità precedentemente vendute. Ne segue che l’addendo (b), quello negativo, è in questo caso pari a zero; allora il ricavo marginale è pari al prezzo. Dunque, in corrispondenza della primissima unità il ricavo marginale è uguale al prezzo, mentre procedendo verso destra il ricavo marginale è inferiore al prezzo di vendita. Ma il prezzo di vendita delle diverse quantità è rappresentato dalla curva di domanda. Ecco allora che abbiamo la seguente rappresentazione grafica delle curve di domanda e di ricavo marginale P, RMa D RMa Q La curva D è quella di domanda. Una volta che avete disegnato (liberamente) questa curva, per tracciare la curva di ricavo marginale (RMa) basta partire dalla stessa intercetta verticale, visto che la ‘primissima’ unità ha un ricavo marginale pari al prezzo, indicato appunto dalla curva di domanda; le unità successive implicano invece un ricavo marginale inferiore al prezzo: cioè, la curva RMa sta più in basso della curva D. Bene, dotati di questo pezzo di analisi, procediamo a vedere qual è la scelta ottima del monopolista. Come abbiamo detto, essendo il massimo profitto privato l’obiettivo del monopolista, la sua scelta ricade sulla quantità tale per cui RMa = CMa. Rispetto al grafico appena precedente, ci basta aggiungere la curva di costo marginale, che come abbiamo detto prima possiamo supporre orizzontale (costo marginale costante). P, RMa PM B D RMa 0 CMa Q QM La figura che precede illustra la situazione. La scelta del monopolista, al fine di massimizzare il profitto, ricade sulla quantità QM, perché proprio in corrispondenza di quella si verifica la condizione RMa = CMa. Usando poi la curva di domanda D, possiamo anche dire quale deve essere il prezzo di vendita per quella quantità: tale prezzo non può che essere PM, visto che solo per quel prezzo i consumatori sono disposti ad acquistare proprio la quantità QM. Con il grafico precedente siamo anche in grado di dire quanto profitto ottiene il monopolista. Il profitto è la differenza tra ricavi totali e costi totali. I ricavi totali sono dati dal prodotto della quantità venduta (QM) per il prezzo unitario di vendita (PM), dunque sono pari al segmento O-QM molti4 plicato per il segmento O-PM. ma questo dà semplicemente l’area del rettangolo O-PM-B-QM. I costi totali, come già sappiamo da precedenti lezioni, sono dati da tutta l’area sotto la curva di costo marginale. Allora il profitto, che poi è anche il surplus del produttore, è dato dall’area del rettangolo ombreggiato della figura precedente. Ora, siccome il monopolista è l’unico che produce, e quindi sopporta costi, per produrre il bene in questione, la sua curva di costo marginale corrisponde anche a quella di costo marginale sociale (CMaS). D’altra parte, come sappiamo, la curva di domanda coincide con la curva di beneficio marginale sociale (BMaS). Dunque siamo in grado di scoprire quale sarebbe la quantità socialmente efficiente, cioè quella in cui il surplus sociale è massimo, e cioè deve valere BMaS = CMaS (si veda ancora documento chiamato “surplus e efficienza al punto 1 della parte di lezioni dedicate a “problemi dell’informazione”, sulla mia pagina web). Graficamente nella figura che segue la quantità QEFF è la quantità socialmente efficiente: P, RMa PM C RMa QEFF QM CMaS D=BMaS Q Qual è dunque il problema sollevato dagli economisti a carico del monopolio? Se lasciato a se stesso, il monopolista produce la quantità QM. In corrispondenza di tale quantità possiamo facilmente individuare il surplus di consumatori e produttori (si veda ancora documento chiamato “surplus e efficienza al punto 1 della parte di lezioni dedicate a “problemi dell’informazione”, sulla mia pagina web): si tratta delle due aree tratteggiate in diagonale nella figura appena precedente (il surplus dei consumatori è il triangolo superiore, mentre quello dei produttori è il rettangolo inferiore). Il surplus sociale è la somma dei due. Se si riuscisse invece a indurre il monopolio a produrre e vendere ai consumatori la quantità QEFF, il surplus sociale aumenterebbe, perché a quello precedente si aggiungerebbe anche la parte costituita dall’area triangolare tratteggiata in orizzontale. Questo è il difetto del monopolio: fornire alla società un surplus sociale inferiore a quello che sarebbe altrimenti possibile. L’attività con cui lì autorità pubblica cerca di indurre il monopolista a produrre e vendere la quantità socialmente efficiente si chiama regolazione. Affinché non solo il monopolista produca quella quantità, ma anche i consumatori la acquistino, occorre che il prezzo di vendita sia C: solo a quel prezzo, infatti, i consumatori domandano QEFF. Se però il prezzo è C, vedete facilmente che è sì vero che la quantità prodotta e consumata diventa quella socialmente efficiente, ma il monopolista non fa più alcun profitto, perché vende ogni unità del suo prodotto ad un prezzo esattamente pari al suo costo. In altri termini tutto il surplus sociale va ai consumatori! Non è detto che sia facile indurre il monopolista ad accettare questo stato di cose, ma nell’ipotesi di riuscita di tale politica, si deve capire che il suo scopo principale è fare aumentare il surplus sociale, prima che ridistribuirlo ai consumatori. In Italia, per esempio, l’Autorità per l’energia fissa appunto il prezzo a cui Enel o Eni devono vendere i propri prodotti. Analogo lavoro è svolto dall’autorità Antitrust in altri campi. Il mondo delle tecnologie dell’informazione (editoria classica o elettronica, posto che la seconda abbia sufficiente ‘protezione’; produzione di certi tipi software come i sistemi operativi; produzione 5 di certi tipi di hardware come i processori) è caratterizzato sostanzialmente da monopolio. Dunque si capisce quanto esso sia di interesse per l’economista. *** Spesso si osserva un monopolista che riesce a praticare ad alcuni un prezzo inferiore a quello che pratica ad altri: questo fenomeno si chiama discriminazione di prezzo. Lo fa perché vuole bene ad alcuni consumatori? No, semplicemente perché ciò gli consente di ottenere più profitto. Vediamo la discriminazione di prezzo del primo tipo. Supponete che i consumatori non siano più anonimi agli occhi del monopolista, ma che invece costui li riconosca uno per uno, individuando di ciascuno di essi la cosiddetta disponibilità a pagare. Questa disponibilità è rappresentata dalla curva di domanda stessa: il consumatore della prima unità è disposto a pagare un prezzo alto, il secondo un po’ più basso, e così via. Se il monopolista riesce a far pagare a ciascuno prezzi diversi, e in particolare a riesce a far pagare a ciascuno il massimo (o quasi) che costui è disposto a pagare, allora non è più vero che il ricavo marginale abbia una componente positiva (il prezzo) ed una negativa (il minori ricavo sulle unità precedenti), come visto sopra a pagina 3: semplicemente il secondo addendo negativo scompare e il ricavo marginale viene a coincidere con il prezzo, cioè con la curva di domanda. Fino a quando è allora conveniente per monopolista produrre e vendere? Semplicemente, sino alla quantità socialmente efficiente! Vendendo a ciascuno una unità ad un prezzo pari al massimo che costui è disposto a pagare, il monopolista ‘estrae’ dal consumatore un surplus pari alla differenza fra il prezzo pagato e il costo marginale del monopolista. Tutti questi surplus individuali son rappresentati dai segmenti verticali dell’area tratteggiata in verticale della figura che segue, e il surplus incamerato dal monopolista corrisponde a tutta questa area: P, RMa D=RMa=BMaS CMaS QM=QEFF Q Il surplus sociale diventa dunque massimo, ma va tutto al monopolista! Questo è ovviamente un caso estremo, puramente teorico e di difficile realizzazione. Ma pensate all’e-commerce, dove i siti riconoscono i consumatori (che si sono appunto iscritti al sito) e dopo un po’ riescono ad individuarne almeno qualche caratteristica sulla base delle loro azioni passate (al punto che riescono a proporre pubblicità o menù personalizzati)… Se la discriminazione di prezzo del primo tipo appare un caso estremo, lo è meno quella di secondo tipo, dove il monopolista, proponendo segmenti qualitativi lievemente diversi del proprio prodotto, lascia scegliere ai consumatori in quali situarsi, pagando prezzi diversi per ogni segmento. Questa pratica è descritta nel libro di Varian-Shapiro-Farrel, al paragrafo 5.2. In pratica, non riesce proprio a distinguere tutti i consumatori, ma alcuni segmenti di essi. Il risultato qualitativo, però, e simile a quello visto sopra. Per quanto riguarda la discriminazione di prezzo del terzo tipo, si veda il pezzo che segue. 6 7.1. Software e buoni sconto (Tratto dal cap. 6 di I. Lavanda e G. Rampa, Microeconomia. Scelte individuali e benessere sociale, Roma, Carocci, 2004) Talvolta chi produce software sembra molto generoso nei confronti degli studenti, ai quali offre il suo prodotto ad un prezzo inferiore a quello richiesto ad altri clienti. Chi produce beni di consumo, peraltro, talvolta può sembrare irrazionale, perché non offre uno sconto ai suoi clienti, ma offre la possibilità di avere uno sconto ai clienti che possono mostrare una prova di acquisto del prodotto. Poiché si può dubitare che coloro che producono e vendono per ottenere un profitto siano generosi oppure irrazionali, ci si può domandare perché costoro si comportino in questo modo. Supponiamo che un monopolista scopra che il suo prodotto è acquistato da due gruppi di clienti che hanno curve di domanda diverse, come quelle riportate nella Fig. 7 (una domanda ‘meno elastica’ è descritta da una curva di domanda più verticale: gli acquirenti reagiscono ad aumenti di prezzo −in verticale− con modeste variazioni di quantità −in orizzontale; inoltre chi è caratterizzato da una domanda di questo tipo è anche disposto a pagare prezzi maggiori. Da qui la figura). Quando si accorge che sostanzialmente sta servendo due mercati diversi, il monopolista capisce che vendere allo stesso prezzo tutto ciò che produce non è il modo migliore di vendere il suo prodotto. Figura 7 La discriminazione di prezzo: domanda meno elastica (a) e più elastica (b) (a) Prezzo Prezzo P1 P (b) P P2 R2 R R R1 Domanda1 Domanda2 RMa1 0 Q1 M1 RMa2 Quantità 0 M2 Q2 Quantità Supponiamo che il monopolista abbia già prodotto una quantità pari a OM, e quindi ne abbia già sopportato i costi e non gli resti che venderla in modo da ottenere il massimo ricavo. Se la vende in entrambi i mercati allo stesso prezzo, per esempio OP, la quantità venduta nel primo mercato è OM1 e quella venduta nel secondo mercato è OM2. Nel primo mercato, però, il ricavo marginale è solamente OR1, mentre nel secondo mercato è OR2. Cosa succede allora se il monopolista modifica di un’unità le vendite nei due mercati? Se riduce le vendite di un’unità nel primo mercato e le aumenta nel secondo, il ricavo ottenuto nel primo mercato diminuisce meno di quanto aumenta nell’altro. Il ricavo complessivo del monopolista, quindi, può continuare a crescere fino a quando è possibile sfruttare questa differenza dei ricavi marginali nei due mercati. Il monopolista, dunque, otterrà il ricavo più alto se il prezzo è OP1 nel primo mercato e OP2 nel secondo mercato: poiché la quantità venduta nel primo mercato sarà OQ1 e quella venduta nel secondo mercato sarà OQ2, in entrambi i mercati si avrà lo stesso ricavo marginale, OR, e non sarà possibile far crescere ulteriormente il ricavo totale cambiando la distribuzione delle vendite tra i due mercati. 7 Il monopolista, quindi, ottiene il ricavo totale più alto da ciò che produce quando fa pagare per lo stesso prodotto prezzi diversi a clienti che hanno una domanda diversa, distribuendo le vendite tra i due mercati in modo da avere in entrambi lo stesso ricavo marginale. In particolare, poiché deve ridurre il prezzo nel mercato dove il ricavo marginale è più alto, il monopolista deve far pagare un prezzo più basso ai clienti con la domanda più elastica. Il ricavo marginale, infatti, è la variazione dei ricavi che si ottiene quando il prezzo diminuisce e le vendite aumentano di una unità. Poiché la riduzione di prezzo necessaria per fare aumentare di una unità le vendite è più bassa quando la domanda più elastica, il ricavo marginale è più alto quando la domanda è più elastica. Il monopolista può discriminare i consumatori (terzo tipo), cioè praticare prezzi diversi a consumatori che hanno una domanda caratterizzata da un’elasticità diversa, solo in alcune circostanze. Anzitutto, per vendere a consumatori diversi lo stesso prodotto a prezzi diversi, è necessario che coloro che acquistano il prodotto dal monopolista non possano rivenderlo. Se ciò fosse possibile, nessun consumatore comprerebbe il prodotto dal monopolista ad un prezzo alto, perché potrebbe acquistarlo ad un prezzo inferiore da coloro ai quali il monopolista lo vende a un prezzo basso. Come si può indurre i consumatori a non rivendere ciò che comprano dal monopolista? Alcuni beni per la loro stessa natura non possono in alcun modo essere rivenduti da chi li acquista, come accade per i servizi personali. Altri beni non possono essere rivenduti perché i costi di transazione sono troppo alti, come succede quando i consumatori che pagano prezzi diversi si trovano in paesi diversi. Altri beni, infine, non possono essere rivenduti perché il monopolista riesce ad impedirlo con contratti di vendita che vietano che il bene sia ceduto ad altri consumatori. Inoltre, per poter vendere il suo prodotto a prezzi diversi, il monopolista deve poter distinguere i consumatori che hanno una domanda più elastica da quelli che hanno una domanda meno elastica. In alcune circostanze ciò è piuttosto facile. La domanda di software degli studenti probabilmente è più elastica di quella dei professionisti, perché gli studenti sono più disposti ad usare software copiato che può essere un buon sostituto di quello originale. Il venditore, quindi, è interessato a vendere il software agli studenti ad un prezzo inferiore a quello che può richiedere ai professionisti. Poiché è possibile distinguere uno studente da un professionista, chiedendo a chi pretende uno sconto di mostrare un certificato di iscrizione all’università, il venditore non avrà alcuna difficoltà a vendere lo stesso software a prezzi diversi. In qualche circostanza, però, non è possibile vendere lo stesso prodotto a prezzi diversi, perché non è possibile distinguere i consumatori che hanno una domanda meno elastica da quelli che hanno una domanda più elastica. Il venditore, quindi, deve trovare qualche accorgimento che gli consenta di far pagare ai clienti con una domanda meno elastica un prezzo più alto. Quando un prodotto di consumo è venduto in un supermercato, non è possibile distinguere consumatori che hanno una domanda diversa. Il venditore, quindi, talvolta offre uno sconto ai consumatori che possono provare di aver già acquistato il prodotto. Chi è meno sensibile al prezzo non sarà disposto a fare la fatica di raccogliere ed usare le prove di acquisto necessarie per avere lo sconto, ma chi è più sensibile al prezzo non vorrà perdere l’opportunità di ottenere lo sconto che si può avere mostrando le prove di acquisto. In questo modo lo stesso prodotto sarà venduto a prezzi diversi a consumatori che hanno una domanda caratterizzata da una diversa elasticità rispetto al prezzo. Le differenze nei prezzi pagati dai consumatori per lo stesso prodotto talvolta potrebbero essere giustificate da qualche differenza nei costi che il produttore deve sostenere quando serve mercati diversi. Tuttavia, quando osservate che un prodotto è offerto a prezzi diversi a persone che differiscono per qualche caratteristica come l’età, il sesso, il reddito oppure la professione, è ragionevole sospettare che il venditore stia tentando di discriminare i suoi clienti: auguratevi di appartenere al gruppo che ha la domanda più elastica! 8