Festa dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum 25 marzo 2015 Lettera del Rettore Magnifico, P. Jesús Villagrasa, L.C. alla Comunità Accademica e agli amici Adveniat Regnum Tuum! 25 marzo 2015 Solennità dell’Annunciazione del Signore Anno della Vita Consacrata Alla comunità accademica e agli amici dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum Carissimi, con grande gioia celebriamo oggi la festa dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Ci onora con la Sua presenza S.E. Mons. José Rodríguez Carballo, Arcivescovo Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, proprio durante l'anno che Papa Francesco ha voluto dedicare alla vita consacrata. Questa felice circostanza ci offre l’occasione per riflettere sull’impegno cui è chiamata la nostra comunità accademica per realizzare gli obiettivi indicati da papa Francesco per l’Anno della Vita Consacrata nella sua Lettera ai consacrati: guardare il passato con gratitudine; vivere il presente con passione; abbracciare il futuro con speranza. In un certo modo, questi punti riprendono quanto aveva già indicato san Giovanni Paolo II nell’Esortazione postsinodale Vita consecrata: «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande sto3 ria da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi» (n. 110). Il primo obiettivo è guardare il passato con gratitudine. All’origine del nostro Ateneo sta la realtà carismatica e istituzionale della Congregazione dei Legionari di Cristo e, più in profondità, “l’azione di Dio che, nel suo Spirito, chiama alcune persone alla sequela ravvicinata di Cristo, a tradurre il Vangelo in una particolare forma di vita, a leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, a rispondere con creatività alle necessità della Chiesa” (I.1). L’esperienza degli inizi è poi cresciuta e si è sviluppata, “dando vita a modi nuovi di attuare il carisma, a nuove iniziative ed espressioni di carità apostolica. È come il seme che diventa albero espandendo i suoi rami”. La prima scuola dei Legionari di Cristo è stata l’Istituto Cumbres, fondato nel 1948 a Città del Messico. La prima università è stata l’Università Anáhuac nella stessa città, che l’anno scorso ha celebrato il 50º anniversario della sua fondazione. Sarà opportuno ricordare in questi prossimi mesi gli inizi e lo sviluppo storico del nostro Ateneo, fondato nel 1993, per ringraziare Dio che offre alla Chiesa tanti doni che la rendono bella e attrezzata per ogni opera buona (cfr. Lumen gentium, 12) Raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità e il senso di appartenenza, per rinsaldare l’unità della famiglia, per cogliere la scintilla ispiratrice, gli ideali, i progetti, i valori che hanno mosso le generazioni passate. “È un modo anche per prendere coscienza di come è stato vissuto il carisma lungo la storia, quale creatività ha sprigionato, quali difficoltà ha dovuto affrontare e come sono state superate. Si potranno scoprire incoerenze, frutto delle debolezze umane, a volte forse 4 anche l’oblio di alcuni aspetti essenziali del carisma. Tutto è istruttivo e insieme diventa appello alla conversione. Narrare la propria storia è rendere lode a Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni” (I.1). Guardare la storia recente della Legione e dell’Ateneo ci permette di far proprio l’augurio di papa Francesco: “Sia quest’Anno della Vita Consacrata un’occasione anche per confessare con umiltà, e insieme con grande confidenza in Dio Amore (cfr. 1 Gv 4,8), la propria fragilità e per viverla come esperienza dell’amore misericordioso del Signore; un’occasione per gridare al mondo con forza e per testimoniare con gioia la santità e la vitalità presenti nella gran parte di coloro che sono stati chiamati a seguire Cristo nella vita consacrata” (I.1). Il secondo obiettivo è vivere il presente con passione. Ciò significa lasciarsi interpellare dal Vangelo, “vademecum” per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo, non basta meditarlo. “Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole” (I.2). Se Gesù è davvero il grande amore delle nostre vite, potremo amare nella verità e nella misericordia ogni persona che incontriamo sul nostro cammino; avremo quella fantasia della carità che sa aprirsi “innumerevoli strade per portare il soffio del Vangelo nelle culture e nei più diversi ambiti sociali” (I.2). Questo Ateneo è nato - e deve vivere sempre animato - dalla fantasia creativa della carità apostolica che è la fonte della gioia evangelica e che sarà sempre la migliore risorsa promozionale dell’Ateneo. Infatti, “la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione” (Evangelii Gaudium, n. 14). 5 L’Ateneo sarà attrattivo “se le giovani e i giovani che ci incontrano si sentono attratti da noi, se ci vedono uomini e donne felici! […] È la vostra vita che deve parlare, una vita dalla quale traspare la gioia e la bellezza di vivere il Vangelo e di seguire Cristo” (II.1). Attrarre con la testimonianza della fede, dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione è tutto un programma di vita e azione. La carità apostolica ci farà essere fedeli alla missione a noi affidata. Come comunità universitaria, domandiamoci: il nostro Ateneo sta compiendo davvero la sua missione? I suoi programmi e attività “sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella Chiesa di oggi? C’è qualcosa che dobbiamo cambiare? Abbiamo la stessa passione per la nostra gente, siamo ad essa vicini fino a condividerne le gioie e i dolori, così da comprendere veramente le necessità e poter offrire il nostro contributo per rispondervi?” (I.2). Se la nostra missione deve ispirare ogni aspetto del nostro Ateneo, rispondere bene a queste domande e a questi richiami è di capitale importanza. Vivere con passione il presente significa, inoltre, costruire l’unità della comunità; essere esperti di comunione e della cultura dell’incontro. Vogliamo dare vita nell’università all’unità dei Dodici attorno a Gesù e fare di questo Ateneo una “scuola di comunione”. Papa Francesco ci ricorda che “la comunione si esercita innanzitutto all’interno delle rispettive comunità”, e non si stanca di ripetere che “critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie, antagonismi sono atteggiamenti che non hanno diritto di abitare nelle nostre case” (II.3). In una società dello scontro e dello scarto, il papa chiede a tutti noi, e in particolare ai consacrati, di essere donne e uomini di comunione, che si rendono “pre6 senti con coraggio là dove vi sono differenze e tensioni”, che vivono la mistica dell’incontro per “la capacità di sentire, di ascolto delle altre persone”. Il papa si aspetta che cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti. In questi mesi come rettore ho sperimentato l’amicizia e la cordialità che anima gli incontri tra i rettori dei pontifici atenei romani. Ho apprezzato molto che nel recente congresso sul filioque, organizzato dalla facoltà di Teologia, siano stati invitati relatori provenienti da otto atenei pontifici romani. Mi chiedo se non sono maturi i tempi per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio Ateneo per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di ricerca, di estensione e innovazione. Sarà una bella ed efficace testimonianza. “La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un cammino di speranza. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità” (II.3). L’orizzonte di collaborazione di una università pontificia non ha confini, si possono stabilire sinergie con iniziative delle chiese locali, col mondo della scienza, della cultura, della politica. La sfida è far crescere la spiritualità della comunione prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini. Tutto un programma. Il terzo obiettivo di questo anno è abbracciare il futuro con speranza. Esso implica il conoscere le difficoltà e le incertezze di tanti nostri contemporanei. Proprio in esse, si attua la nostra speranza, frutto della fede nel Signore della storia. La speranza nostra si fonda su Colui nel quale 7 abbiamo posto la nostra fiducia (cfr. 2 Tm 1,12) e per il quale “nulla è impossibile” (Lc 1,37). È questa la speranza che non delude e che ci permetterà di scrivere un grande futuro. Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso del nostro impegno. Dobbiamo essere profeti che “svegliano il mondo”. Profeti che ricevono da Dio la capacità di scrutare la storia e di interpretare gli avvenimenti; che conoscono Dio e gli uomini del proprio tempo; che sono capaci di discernimento e anche di denunciare il male del peccato e le ingiustizie. Profeti che non tengono vive delle “utopie”, ma che sanno creare “altri luoghi”, dove si vive “la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco”. L’Ateneo è chiamato a diventare sempre di più uno di questi luoghi dove la carità e la creatività carismatica diventa “sempre più il lievito per una società ispirata al Vangelo, la ‘città sul monte’ che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù” (II.2). La speranza ci apre alla missione. “Andate in tutto il mondo” fu l’ultima parola che Gesù rivolse ai suoi e che continua a rivolgere oggi a tutti noi (cfr. Mc 16,15). La nostra è una comunità accademica missionaria. Siamo chiamati ad uscire da noi stessi per andare nelle periferie esistenziali. Abbiamo identificato le periferie esistenziali che ci aspettano? È bene domandarselo. Siamo inviati a “persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie in difficoltà, bambini abbandonati, giovani ai quali è precluso ogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomini e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino…” (II.4). Le nostre facoltà e istituti si rivolgono a queste periferie e ad altre più specifiche? Questa missione è la preoccupazione e la passione che anima i nostri docenti e studenti? “Non ri8 piegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altri a risolvere i loro problemi e ad annunciare la buona novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza dando speranza, l’amore amando” (II.4). Il papa si aspetta che ci interroghiamo su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano. In questo Anno nessuno dovrebbe sottrarsi “ad una seria verifica sulla sua presenza nella vita della Chiesa e sul suo modo di rispondere alle continue e nuove domande che si levano attorno a noi, al grido dei poveri. Soltanto con questa attenzione ai bisogni del mondo e nella docilità agli impulsi dello Spirito, quest’Anno della Vita Consacrata si trasformerà in un autentico kairòs, un tempo di Dio ricco di grazie e di trasformazione” (II.5). Alla luce degli obiettivi descritti e dell’impegno già abbondantemente profuso per la loro realizzazione, rinnovo ulteriormente l’invito a far sì che essi costituiscano sempre le coordinate dell’agire della nostra comunità accademica. Se camminiamo verso questi obiettivi siamo sulla buona strada. Proseguiamo, dunque, questo cammino di cultura e di fede, al servizio della Chiesa cattolica e dell’intera famiglia umana, invocando l’aiuto del nostro Salvatore Gesù Cristo, il sostegno dello Spirito Santo e la protezione della Celeste Madre Maria, “Regina Apostolorum”. P. JesúsVillagrasa, L.C. Rettore 9