S.I.A.R.E.D SOCIETÀ ITALIANA DI ANESTESIA RIANIMAZIONE EMERGENZA E DOLORE ATTI 4º CONGRESSO NAZIONALE Napoli, 19-20-21 giugno 2006 Centro Congressi Città della Scienza SOCIETÀ ITALIANA DI ANESTESIA RIANIMAZIONE EMERGENZA E DOLORE PRESIDENTE Giuseppe A. Marraro VICE PRESIDENTE Vincenzo Carpino CONSIGLIERI Tiziano Rosafio – Abruzzo Marcello Ricciuti – Basilicata Annibale Musitano – Calabria Marco Ingrosso – Campania Paolo Gregorini – Emilia Romagna Luciano Silvestri – Friuli, Venezia Giulia Nicola Pirozzi – Lazio Salvatore Palermo – Liguria Carlo Capra – Lombardia Raffaella Pagni – Marche Romeo Flocco – Molise Gian Maria Bianchi – Piemonte, Valle D’Aosta Gaetano Perchiazzi – Puglia Giovanni Maria Pisanu – Sardegna Emanuele Scarpuzza – Sicilia Adriana Paolicchi – Toscana Franco Auricchio – Provincia di Bolzano Maurizio Azzolini – Provincia di Trento Alcide Moroni – Umbria Giampiero Giron – Veneto SEGRETARIO Umberto Vincenti TESORIERE Leonardo Masullo S.I.A.R.E.D. SOCIETÀ ITALIANA DI ANESTESIA RIANIMAZIONE EMERGENZA E DOLORE 4º CONGRESSO NAZIONALE Napoli, 19-20-21 Giugno 2006 PRESIDENTE Giuseppe A. Marraro COMITATO SCIENTIFICO Gian Battista Anguissola Cesare Arienta Vincenzo Carpino Enrico Croce Antonio Fantoni Antonino Gullo Pasquale Mastronardi Alberto Pesci Nicola Pirozzi COMITATO ORGANIZZATORE Elio Recchia Benedetta Finelli Giuseppe Galano Mario Guariglia Marco Ingrosso Vittoriano L’Abbate Roberto Mannella COORDINAMENTO Claudio Spada DI SEGRETERIA SEGRETERIA ORGANIZZATIVA S.I.A.R.E.D. – A.A.R.O.I. Via XX Settembre, 98/E - 00187 Roma Tel. 06 47825272 - Fax 06 47882016 e-mail: [email protected] - web: www.siared.it INFORMAZIONI GENERALI SEDE DEL CONGRESSO + Centro Congressi – Città della Scienza – Napoli ISCRIZIONE + L’iscrizione al Congresso deve essere effettuata compilando in ogni sua parte la scheda allegata da inviare a: Segreteria Nazionale S.I.A.R.E.D.-A.A.R.O.I. – Via XX Settembre, 98/E – 00187 Roma, unitamente alla copia del relativo bonifico bancario. Si ricorda che il 10 giugno 2006 scade il termine per la pre-iscrizione. Dopo tale data sarà possibile iscriversi solo in sede congressuale. QUOTE DI ISCRIZIONE + Entro il 30 aprile 2006 – Soci AAROI, Specializzandi ed Accompagnatori: 200,00 euro – Soci SIARED: 300,00 euro – Non Soci: 400,00 euro Dopo il 30 aprile 2006 – Soci AAROI, Specializzandi ed Accompagnatori: 250,00 euro – Soci SIARED: 350,00 euro – Non Soci: 450,00 euro L’ISCRIZIONE AL CONGRESSO DÀ DIRITTO A: + – Kit congressuale – Partecipazione ai lavori scientifici – Partecipazione agli eventi ECM e rilascio dei crediti formativi – Atti del Congresso – Attestato di partecipazione – Coffee break durante i lavori – Buffet di benvenuto di lunedì 19 giugno 2006 – Colazione di lavoro di martedì 20 giugno 2006 – Cena sociale e spettacolo di martedì 20 giugno 2006 – Parcheggio dell’auto nel piazzale antistante il Centro Congressi Nell’Anfiteatro del Centro Congressi, sarà allestito un maxischermo per la visione delle partite dei mondiali di calcio. CANCELLAZIONE + In caso di rinuncia pervenuta per iscritto entro il 30 aprile 2006 sarà rimborsato il 50% della quota di iscrizione versata. Dopo tale data non si effettuerà alcun rimborso. 4 INFORMAZIONI GENERALI + PRENOTAZIONE ALBERGHIERA La prenotazione alberghiera si effettua compilando la scheda allegata da inviare a: Maliga Organizzazione Eventi Via Epomeo, 63b - 80126 Napoli Tel. 081 7678468 - Tel. e fax 081 7282538 e-mail: [email protected] + AREA ESPOSITIVA Per tutta la durata del Congresso sarà allestita un’area espositiva di circa 1.000 mq alla quale parteciperanno Aziende Farmaceutiche, Aziende produttrici di Apparecchiature Elettromedicali e Case Editrici Scientifiche. + COME RAGGIUNGERE NAPOLI In auto Da Nord: Autostrada A1 Milano-Roma-Napoli; Da Est: Autostrada A16 Napoli-Bari; Da Sud: Autostrada A3 Napoli-Reggio Calabria; a Napoli seguire le indicazioni “Tangenziale”, prendere le uscite “Fuorigrotta” o “Agnano” della Tangenziale di Napoli e seguire le indicazioni per Bagnoli e Città della Scienza. In treno Dalla Stazione Centrale FS di Napoli, con la Metropolitana: scendere alla fermata “Cavalleggeri d’Aosta”, quindi procedere per circa 1.500 metri o prendere il bus C10 (per ulteriori informazioni: Azienda Napoletana di Mobilità numero verde 800.639525). In aereo Dall’Aeroporto Internazionale di Napoli: L’aeroporto è collegato con la stazione di Piazza Garibaldi (Stazione Centrale FS) con un bus-navetta Alibus ogni 30 minuti (feriale: 6:3023.39, sabato: 6:30-23:50; festivo: 6:30-23:50) oppure con la linea urbana di autobus ANM sempre per Piazza Garibaldi (Stazione Centrale FS) Linea 3S, partenze ogni 10 minuti circa (per ulteriori informazioni: Azienda Napoletana di Mobilità numero verde 800.639525). 5 INFORMAZIONI SCIENTIFICHE ABSTRACT PER POSTER E COMUNICAZIONI LIBERE + Il Congresso prevede la presentazione di contributi scientifici riguardanti l’Anestesia, la Rianimazione, l’Emergenza, il Dolore, la Terapia Iperbarica e le Scienze affini. Gli Abstract, per partecipare alla selezione dei lavori, da presentare oralmente, devono giungere improrogabilmente entro il 30 aprile 2006 per motivi strettamente organizzativi (richiesta al Ministero della Salute di validazione della Sessione). Gli Abstract, sia per le Comunicazioni libere che per i Poster, dovranno essere trasmessi a mezzo posta elettronica all’indirizzo: [email protected] redatti in modo conforme alle specifiche indicate nel modulo disponibile on-line nel sito www.siared.it. I contributi accettati come Poster dovranno avere le dimensioni di cm 100 di base per cm 120 d’altezza e dovranno essere affissi, a cura degli Autori, negli appositi spazi numerati a partire dalle ore 13:00 del 19 giugno e dovranno essere rimossi al termine del Congresso. Saranno accettati solo Abstract presentati da Autori regolarmente iscritti al Congresso. Sono previste visite guidate alla presenza degli Autori. L’accesso all’area Poster sarà possibile durante tutta la durata del Congresso. TRADUZIONE SIMULTANEA + È previsto un servizio di traduzione simultanea durante le sessioni con gli ospiti stranieri. CREDITI ECM + Per i cinque eventi congressuali è stato richiesto al Ministero della Salute l’accreditamento ECM per la figura professionale “Medico” disciplina di riferimento “Anestesia e Rianimazione”. La scelta degli eventi ECM della corrispondente sessione a cui partecipare dovrà essere effettuata utilizzando la scheda di iscrizione allegata al programma e scaricabile dai siti www.aaroi.it e www.siared.it. Per accedere alle sale in cui si svolgono gli eventi ECM bisognerà utilizzare la Smart Card AAROI. Per i Colleghi non in possesso della Smart Card AAROI è previsto il rilascio di una card provvisoria da ritirare presso la Segreteria e da restituire al termine dei lavori congressuali. CERTIFICAZIONE DEI CREDITI ECM + Poiché i Crediti possono essere assegnati solo dopo la correzione delle schede di apprendimento, la certificazione dei Crediti ottenuti dai singoli partecipanti sarà spedita dalla Segreteria Organizzativa entro tre mesi dalla fine del Congresso. ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE + L’attestato di partecipazione sarà rilasciato a tutti gli iscritti che ne faranno richiesta alla Segreteria, al termine dei lavori scientifici. 6 INFORMAZIONI SCIENTIFICHE + CENTRO PROIEZIONI È possibile effettuare le presentazioni direttamente da computer con programma PowerPoint. Il materiale dovrà essere consegnato al Centro proiezioni almeno un’ora prima dell’inizio della sessione per verificarne la corretta presentazione e dovrà essere ritirato al termine della stessa. + ATTI DEL CONGRESSO Tutti i contributi scientifici presentati al Congresso verranno pubblicati negli Atti che saranno distribuiti in sede congressuale. + SEGRETERIA ORGANIZZATIVA S.I.A.R.E.D. Via XX Settembre, 98/E - 00187 Roma Tel. 06 47825272 - Fax 06 47882016 e-mail: [email protected] + SCADENZE DA RICORDARE + 30 aprile 2006 - Invio abstract per Poster e Comunicazioni Libere. + 30 aprile 2006 - Iscrizione al Congresso con quota ridotta. + 15 maggio 2006 - Prenotazione alberghiera. + 10 giugno 2006 - Scadenza del termine per la pre-iscrizione. Informazioni e aggiornamenti relativi al Congresso sui siti : www.siared.it - www.aaroi.it 7 4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. 4° CONGRESSO NAZIONALE SIARED NAPOLI - CITTA’ DELLA SCIENZA 19 – 20 – 21 giugno 2005 PROGRAMMA SCIENTIFICO–SCIENTIFIC PROGRAM “IN PRIMA LINEA SEMPRE IN TUTTE LE EMERGENZE” “ALWAYS IN THE FIRST LINE IN EVERY EMERGENCY” LUNEDÌ 19 GIUGNO 10.00 - Apertura della Segreteria per accreditamento dei partecipanti Evento ECM – A LE GRANDI EMERGENZE E LE CATASTROFI / MAXIEMERGENCY AND CATASTROPHES Crediti ECM richiesti per l’evento 14:30-14:45 - Registrazione dei Partecipanti SESSIONE PLENARIA (Sala “Newton”) Moderatori: Giuseppe Nardi (Roma), Mario Landriscina (Como) 14:45-15:15 Lettura introduttiva David Lockey (Londra - UK) Londra: 7 luglio 2005 – disastro umano / London: 7 July 2005 – human disaster 15:15-15:45 Lettura introduttiva Marta di Gennaro (Roma) Asia: 26 dicembre 2004 lo tsunami – disastro naturale / Asia: 26 December 2004 tsunami – natural disaster 15:45-16:15 Lettura introduttiva Tom Jefferson (Roma) Bufale, polli e SARS – disastro non controllabile / Red herrings, birds and SARS – uncontrollable disaster 16:15-16:30 - Pausa caffé Sessione parallela 1 (Aula “Archimede”) – Sp-1A 16:30-19:30 Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emergenza in Italia / Comparative experiences in organization and managing of emergency in Italy – 4 Crediti ECM – Coordinatore: Antonio Morra (Torino) - Esperienza del 118 e dell’elisoccorso di Como / Como’s emergency call service and helicopter rescue Mario Landriscina, Franco Foti (Como) - Organizzazione e gestione del Soccorso Sanitario nei cantieri TAV e VAV dell’Appennino Tosco-Emiliano / Organization and management of emergency rescue in high speed railway and new road building sites in the appenines Giuseppe Grana e Marco Vigna (Bologna), Domenico De Luca (Firenze) - Il registro interospedaliero dei traumi gravi / Inter-hospital register of severe trauma Giuseppe Nardi (Roma), Stefano Di Bartolomeo (Udine) - La risposta ospedaliera: anello debole della catena dei soccorsi? / The hospital response: weak link in the rescue chain? Tiziano Rosafio (Chieti) Sessione parallela 2 (Aula “Averroé”) – Sp-2A 16:30-19:30 La gestione del politrauma / Management of politrauma – Coordinatore: Giuseppe Citerio - Il grande politraumatizzato / Severe politrauma patient Giuseppe Citerio (Monza) - La sindrome da schiacciamento / Crush syndrome Romeo Flocco (Campobasso) - Il trauma cranico / Brain trauma Davide Galli (Monza) - Il trauma midollare / Spinal trauma Sergio Aito (Firenze) - Il trauma toracico / Chest trauma Carmelo Denaro (Catania) - L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera / Anesthesia and sedation in out of hospital emergency Giovanni Maria Pisanu (Cagliari) Sessione parallela 3 (Aula “Saffo”) – Sp-3A In collaborazione con la Società di Anestesia Rianimazione Neonatale e Pediatrica (SARNePI) 16:30-19:30 Il politrauma in età pediatrica / Politrauma in pediatric age – 3 Crediti ECM – Coordinatore: Ida Salvo (Milano) - Le peculiarità del trauma pediatrico / Specifics of pediatric trauma Nicola Pirozzi (Roma) - La gestione delle vie aeree nel bambino / Airway management in children Simonetta Baroncini (Bologna) - Il trauma toracico in età pediatrica: nuove possibilità terapeutiche / Chest trauma in children: new therapies Antonio Cinquesanti (Foggia) - L'anestesia e la sedazione nell'emergenza extraospedaliera / Anesthesia and sedation in out of hospital emergency Andrea Messeri (Firenze) 1 4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. 19:30-19:45 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento 20:00 – Cerimonia inaugurale Gemellaggio tra SIARED/AAROI e SNPHAR Saluto del Presidente del “Syndicat National des Praticiens Hospitaliers Anesthésistes-Réanimateurs - SNPHAR” "Do anaesthetists need less sleep than others?" Michel Dru (Paris, Francia) “Ventilazione artificiale e monitoraggio in anestesia e rianimazione” (Sala “Newton”) Seminario organizzato in collaborazione con Maquet e Tyco 16:30-17:30 Moderatori: Elio Recchia, Alfonso Natale - Volume di Supporto come tecnica di svezzamento avanzata: dati clinici / Volume Support as advance weaning technique: clinical data (Maquet) Tiziana Principi (Ancona) - Il monitoraggio INVOS in Anestesia e Rianimazione / INVOS monitoring in Anaesthesia and Intensive Care (Tyco) Fabio Daino (Product Manager Tyco) COMUNICAZIONI LIBERE (Sala “Newton”) 17:30-19:00 Moderatori: Gian Maria Bianchi, Gaetano Perchiazzi - Utilizzo del surfattante attraverso BAL nelle patologie polmonari intensive non convenzionali: nostra esperienza preliminare Dante Lo Pardo (Salerno) - Il tromboelastogramma in chirurgia cardiaca: quale valore predittivo? Matteo De Martino (Salerno) - Fascite necrotizzante ad esito letale Marcello Difonzo (Bari) - Influenza del management perioperatorio sulla Nausea e Vomito postoperatori. Studio in un Acute Pain Service Daniele Amitrano (Pisa) - Monitoraggio della profondità dell’anestesia generale: tre metodiche a confronto Sonia Catarsi (Pisa) - L’anestesia pediatrica ad Antigua, Guatemala: un’esperienza Teresa Matarazzo (Bologna) 17:00 – Consiglio Direttivo S.I.A.R.E.D. 20:30 - Buffet di benvenuto MARTEDÌ 20 GIUGNO MATTINA Evento ECM – B IL TRAPIANTO D’ORGANI / ORGAN TRANSPLANTATION Crediti ECM richiesti per l’evento 08:15-08:30 - Registrazione dei partecipanti SESSIONE PLENARIA (Sala “Newton”) Moderatori: Paolo Feltracco (Padova), Patrizio Vitulo (Palermo) 08:30-09:00 - Lettura introduttiva Francesco Gabbrielli (Roma) Stato dell’arte alla luce dei reali dati epidemiologici / State of the art according to epidemiological data 09:00-09:30 - Lettura introduttiva Martin Langer (Milano) Problemi anestesiologici nel paziente da trapiantare / Anesthesiological problems of patients requiring transplants 09:30-10:00 - Lettura introduttiva Patrizio Vitulo (Palermo) Il post operatorio a breve e a lungo termine del trapiantato / Short and long term post operative care of post-transplants patients 10:00-10:15 - Pausa caffé Sessione parallela 1 (Aula “Archimede”) – Sp-1B 10:15-13:15 Il donatore d’organi / Organ donor – Coordinatore: Cristiano Martini (Lecco), Elena Galassini (Milano) - Generalità sul donatore d’organi / A portrait of the organ donor Paolo Pettinao (Cagliari) - Il mantenimento del paziente in attesa del prelievo / Maintenance of the patient awaiting a transplant Cristiano Martini (Lecco), Gabriella Tropea (Catania) - Nuove prospettive nel mantenimento del polmone / New perspectives in lung maintenance Sergio Pintaudi (Catania) - Il donatore marginale: fin quando si può donare? / Marginal donor: until when is it possible to be a donor? Serafina Berardi, Potenza 2 4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. Sessione parallela 2 (Aula “Averroé) – Sp-2B 10:15-13:15 Il trapianto d’organi / Organ transplantation – 3 Crediti ECM – Coordinatore: Paolo Feltracco (Padova) - Insufficienza d’organo end-stage e trapianto di organo solido: problematiche anestesiologiche / End-stage organ failure and transplantation of solid organ: anesthesiological problems Paolo Feltracco (Padova) - L’anestesia per chirurgia generale successiva al trapianto / Anesthesia for general surgery after transplant Eugenio Serra (Padova) - Il punto di vista chirurgico / The surgical point of view Alessandro Bertani (Palermo) - Ematologia, trasfusione e ruolo dei sostituti sintetici del sangue / Hematology, transfusion and role of the synthetic substitutes of the blood - Paolo Marcianò (Reggio Calabria) Sessione parallela 3 (Aula “Saffo”) – Sp-3B 10:15-13:15 Il trapianto in età pediatrica / Transplantion in pediatric age – Coordinatori: Marinella Astuto (Catania), Federica Ferrero (Novara) - Il trapianto di cuore / Heart transplantation Roberto Picardo (Roma), Carmelita Varano (Roma) - Il trapianto di fegato / Liver transplantation Valter Sonzogni (Bergamo) - Il trapianto di midollo / Bone marrow transplantation Franco Locatelli (Pavia), Maria Ester Bernardo (Pavia) - L’anestesia per chirurgia generale successiva al trapianto / Anesthesia for general surgery after transplant Nicola Zadra (Padova) 13:15-13:30 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento 13:30-14:30 - Colazione di lavoro PRESENTAZIONE ORALE POSTER (Sala “Newton”) 10:15-13:15 Moderatori: Annibale Musitano, Marcello Ricciuti 09:00 – Consiglio Direttivo A.A.R.O.I. 09:00 – Consiglio Direttivo S.I.C.D. MARTEDÌ 20 GIUGNO POMERIGGIO Evento ECM – C L’ASSISTENZA ANESTESIOLOGICA AL PARTO / ANESTHESIOLOGICAL ASSISTANCE AT DELIVERY In collaborazione con il Club Italiano di Anestesia in Ostetricia (CIAO) Crediti ECM richiesti per l’evento 14:30-14:45 - Registrazione dei partecipanti SESSIONE PLENARIA (Sala “Newton”) Moderatori: Pasquale Mastronardi (Napoli), Raffaella Pagni (Ancona) 14:45-15:15 - Lettura introduttiva Soonu Udani (Mumbai, India) La condizione della gravida e del neonato in India / Perinatal healthcare in India 15:15-15:45 - Lettura introduttiva Danilo Celleno (Roma) Anestesia generale ed anestesia locoregionale nel taglio cesareo a rischio materno e fetale / General and loco-regional anesthesia for high risk maternal and fetal cesarean section 15:45-16:15 - Lettura introduttiva Pasquale Mastronardi (Napoli) L’interruzione di gravidanza: il ruolo dell’anestesista / Pregnancy termination: the anesthetist’s role 16:15-16:30-Presentazione dell’indagine conoscitiva / Presentation of Italian survey on «Delivery-analgesia in Italy: «La partoanalgesia in Italia: indagine conoscitiva per un programma “organizzato” ... superando le disuguaglianze» National survey for the purposes of setting up an “organized” program ... getting over disparities» Adriana Paolicchi (Pisa), Consiglio Direttivo SIARED 16:30-16:45 - Pausa Caffè Sessione parallela 1 (Aula “Archimede”) – Sp-1C 16:45-19:30 L’anestesista e il parto / Anesthetist and the delivery – Coordinatore: Vincenzo Lanza (Palermo) - L’anestesia generale in gravidanza (escluso il parto) / General anesthesia in pregnancy (delivery excluded) Alberto Rutili (Firenze) - Problematiche anestesiologiche in gravidanza: l’epilessia e la gravida obesa / Anesthesiological problems in pregnancy: epilepsia and obesity Vincenzo Lanza, Giuseppina Di Fiore (Palermo) - La teratogenicità dei farmaci anestetici / Teratogenicy of anesthesia drugs Antonio Clavenna (Milano) - La parto-analgesia: un progetto regionale / Delivery-analgesia: a regional project Enzo Valtancoli (Forlì) 3 4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. Sessione parallela 2 (Aula “Averroé”) – Sp-2C 16:45-19:30 La rianimazione materno-fetale / Maternal-fetal resuscitation – Coordinatore: Giuseppe Marraro (Milano) - L’eclampsia / Eclampsia Maria Grazia Frigo (Roma) - La Sindrome di Mendelson / Mendelson syndrome Roberto Wetzl (Aosta) - L’arresto cardiaco e sue problematiche nella gravida / Cardiac arrest in pregnant women Carlo Capra (Saronno, Va) - Il neonato asfittico, il neonato high risk e il prematuro estremo / Asphyxiated newborn, high risk neonate and extreme prematurity Giuseppe Marraro (Milano) Sessione parallela 3 (Aula “Saffo”) – Sp-3C 16:45-19:30 Prevenzione e sicurezza nel blocco parto / Prevention and safety in delivery room – Coordinatore: Danilo Celleno (Roma) - Struttura, requisiti, ecc. secondo norme ministeriali / Structure, needs, etc. according to ministerial regulation Vittoriano L’Abbate (Napoli) - Problematica di chi rianima e che cosa fa / Who resuscitates the newborns and what they do Elena Galassini (Milano) - Il ruolo dell’anestesista-rianimatore negli ospedali con ostetricia ma senza neonatologia / The role of the anesthesist-intensivist in hospitals with obstetric department without neonatology Donata Ripamonti (Milano) - Il triage della gravida dall’accettazione alla sala parto / Triage of pregnant women from admission to the delivery room Danilo Celleno (Roma) 19:30-19:45 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento Evento ECM – SEM ALGOLOGIA: UNA SCIENZA IN EVOLUZIONE / ALGOLOGY: A SCIENCE IN EVOLUTION Seminario in collaborazione con la Società Italiana Clinici del Dolore (SICD) Crediti ECM richiesti per l’evento Sessione parallela (Sala “Newton”) – Sp-SEM – Moderatori: Adriana Paolicchi, Maurizio Azzolini 16:45-17:15 - La diagnosi in medicina del dolore / Diagnosis in pain relief medicine Sergio Mameli (Cagliari) 17:15-17:45 - Decisionalità e scelte terapeutiche nel trattamento del dolore / Therapeutical decision-making in pain treatment Guido Orlandini (Tortona , Al) 17:45-18:15 - Metodiche terapeutiche in algologia / Therapeutical methodologies in algology Luigi Follini (Parma) 18:15-18:45 - Cause di fallimento dell’analgesia postoperatoria / Failure of post-operative pharmacological therapy Giovanni Maria Pisanu (Cagliari) 18:45-19:15 - Role playing su casi clinici guidati / Role playing on paradigmatic clinical cases 19:15-19:30 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento 21:30 - Cena sociale e spettacolo MERCOLEDÌ 21 GIUGNO MATTINA Evento ECM – D IL PAZIENTE CON PROBLEMATICHE NEUROCHIRURGICHE E NEUROLOGICHE THE PATIENT WITH NEUROSURGICAL AND NEUROLOGICAL PROBLEMS Crediti ECM richiesti per l’evento 08:15-08:30 - Registrazione dei partecipanti SESSIONE PLENARIA (Sala “Newton”) Moderatori: Antonino Gullo (Catania), Antonio Fantoni (Milano) 08:30-09:00 - Lettura introduttiva Vincenzo D’angelo (San Giovanni Rotondo, Fg) Nuove frontiere in neurochirurgia / New frontiers in neurosurgery 09:00-09:30 - Lettura introduttiva Vincenzo Branca (Milano) Le nuove possibilità diagnostiche e la neuroradiologia interventistica / New diagnostic procedures and interventional neuroradiology 09:30-10:00 - Lettura introduttiva Antonino Gullo (Catania) La medicina perioperatoria nel paziente neurochirugico / Perioperative medicine in neurosurgical patients 10:00-10:15 - Pausa caffé Sessione parallela 1 (Aula “Archimede”) – Sp-1D 10:15-13:15 Problematiche perioperatorie nel paziente neurochirurgico / Perioperative management of neurosurgical patient – 3 Crediti ECM – Coordinatore: Paolo De Vivo (San Giovanni Rotondo, Fg) - Anestesia nel paziente neurochirurgico / Anesthesia in neurosurgical patients Pierluigi Ciritella (San Giovanni Rotondo, Fg) 4 4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. - Ipotensione ed ipertensione intra e postoperatoria / Intra and postoperative hypotension and hypertension Paolo De Vivo (San Giovanni Rotondo, Fg) - La protezione cerebrale e la dialisi cerebrale / Brain protection and brain dialysis Alfredo Del Gaudio (San Giovanni Rotondo, Fg) - La ventilazione protettiva polmonare / Protective lung ventilation Marco Luchetti (Milano) Sessione parallela 2 (Aula “Averroé”) – Sp-2D 10:15-13:15 Assistenza al paziente neurologico e neurochirurgico / Care of neurological and neurosurgical patients – 3 Crediti ECM – Coordinatore: Paolo Gregorini (Bologna) - L’assistenza respiratoria dalla terapia intensiva all’assistenza domiciliare / Respiratory care from intensive care unit to home care assistance Marco Ingrosso (Napoli) - La rottura di trachea post-intubazione: etiologia e terapia / Post intubation tracheal rupture: etiology and therapy Paolo Gregorini (Bologna) - La tracheotomia e le sue indicazioni nella gestione del lungodegente / The tracheotomy and its indications in long term treatment Antonio Fantoni (Milano) - Problematiche anestesiologiche nel trattamento chirurgico dell’epilessia farmaco resistente nell’età evolutiva / Anesthesiological problems in the surgical treatment of drug resistant epilepsy in evolutive age Marco Caruselli (Ancona) - Specificità anestesiologiche-rianimatorie nell'anziano / Anesthesiological and intensive care specificities in elderly patients Alcide Moroni (Foligno, Pg) Sessione parallela 3 (Aula “Saffo”) – Sp-3D 10:15-13:15 La riabilitazione del paziente neuroleso / Rehabilitation of neurologically compromised patients – 4 Crediti ECM – Coordinatore: Luciano Silvestri (Gorizia) - Il paziente con danno cerebrale non neurochirurgico (include la trombolisi nell’ospedale senza neurochirurgia) / Patients with brain damage not connected with neurosurgery Luciano Silvestri (Gorizia) - La ventilazione non invasiva nel paziente neuroleso / Non-invasive ventilation in neuro-damaged patients Cesare Gregoretti (Torino) - I sistemi per la mobilizzazione delle secrezioni (tosse artificiale) / Systems to mobilize and remove secretions (artificial cough) Vittorio Antonaglia (Trieste) - La riabilitazione del grave neuroleso / Rehabilitation of severe neurologically-damaged patients Enea Cominelli (Firenze) 13:15-13:30 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento 13:30 - Chiusura del Congresso 10:30 -Assemblea dei Soci S.I.A.R.E.D. 5 4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. Redazione Atti a cura di Claudio Spada 6 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Indice Valutazione clinica del danno neurologico S. Aito ...................................................................................................................................... pag. 14 Riabilitazione del paziente neuroleso. I sistemi per la mobilizzazione delle secrezioni V. Antonaglia, G. Buscema, A. Peratoner, V. Campanile, F. Piller, M. Umari ............................ » 14 Le grandi emergenze e le catastrofi. La gestione delle vie aeree nel bambino S. Baroncini.................................................................................................................................... » 17 Il Donatore «marginale» S. Berardi ....................................................................................................................................... » 18 L’arresto cardiaco e sue problematiche nella gravida C. Capra, G. Meazza, C. Chiaradia, P. Roncoroni, M. Traversa, M. Saporiti, F. Frattini............. » 19 Problematiche anestesiologiche nel trattamento chirurgico dell'epilessia farmaco resistente nell'età evolutiva M. Caruselli, R. Giretti, N. Zamponi , A. Ferretti, G. Piattellini, G. Camilletti, M. Amici, ........ F. Santelli, F. Catani, R. Pallotto, R. Pagni.................................................................................... » 24 Il trauma toracico in età pediatrica: nuove possibilità terapeutiche A. Cinquesanti................................................................................................................................ » 28 Anestesia nel paziente neurochirurgico P. Ciritella, A. Del Gaudio, P. De Vivo ......................................................................................... » 31 La teratogenicità dei farmaci anestetici A. Clavenna.................................................................................................................................... » 33 La riabilitazione precoce nel grave neuroleso midollare E. Cominelli, M. Taddei ................................................................................................................ » 34 Nuove frontiere in neurochirurgia V. A. D’Angelo.............................................................................................................................. » 42 Emergenza per le grandi opere: il modello toscano D. De Luca ..................................................................................................................................... » 43 Il monitoraggio del metabolismo cerebrale A. Del Gaudio, PL. Ciritella, P. De Vivo ...................................................................................... » 48 Ipotensione ed ipertensione intra e post operatoria P. De Vivo...................................................................................................................................... » 55 Il registro intraospedaliero dei traumi gravi S. Di Bartolomeo............................................................................................................................ » 56 7 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Problematiche anestesiologiche in gravidanza: la gravida obesa S.Di Fiore .............................................................................................................................. pag. 57 Do anaesthetists need less sleep than the others? M. Dru......................................................................................................................................... » 64 La tracheostomia e la sua gestione nel lungodegente A. Fantoni ................................................................................................................................... » 68 Insufficienza d’organo end-stage e implicazioni cliniche della sindrome da ischemiariperfusione nel trapianto di organo solido P. Feltracco, E. Michieletto, E. Serra, I Tiberio, S. Rizzi, F. Salvaterra, S. Barbieri, ............... M. Furnari, L. Brezzi, C. Ori ...................................................................................................... » 73 Il grande politraumatizzato. La sindrome da schiacciamento R. Flocco ..................................................................................................................................... » 90 Metodiche terapeutiche in algologia L. Follini ..................................................................................................................................... » 91 Preeclampsia ed eclampsia M.G. Frigo, D. Celleno, A. Veneziani ........................................................................................ » 93 “Il bel partorire”. Progetto di introduzione della analgesia del travaglio di parto presso la sala parto dell’ospedale “Morgagni-Pierantoni dell’AUSL di Forlì” G. Gambale, E. Valtancoli, M.R. Cosentino, R. Regoli, F. Rossi, G. Gori ................................ » 106 L’assistenza anestesiologica al parto: problematica di chi rianima e cosa fa E.M. Galassini............................................................................................................................. » 109 Nodo ferroviario "Alta Velocità" di Bologna. L’organizzazione del soccorso sanitario G. Grana e M. Vigna................................................................................................................... » 113 La ventilazione non invasiva nel paziente neuroleso C. Gregoretti ............................................................................................................................... » 120 La rottura di trachea post-intubazione: etiologia e terapia P. Gregorini, A. Bassani ............................................................................................................. » 121 L’assistenza respiratoria dalla Terapia Intensiva all’Assistenza Domiciliare M. Ingrosso ................................................................................................................................. » 121 Polli, bufale e SARS T. Jefferson.................................................................................................................................. » 123 Linee guida per la definizione degli standard di sicurezza e di igiene ambientale dei reparti operatori V. L’Abbate ................................................................................................................................ » 124 8 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Lessons learned from the pre-hospital medical response to the London bombings July 2005 D. Lockey.............................................................................................................................. pag.» 125 La ventilazione protettiva polmonare nel traumatizzato cranico M. Luchetti.................................................................................................................................. » 127 La rianimazione del neonato asfittico e del prematuro estremo G.A Marraro................................................................................................................................ » 129 Specificità anestesiologiche-rianimatorie nell’anziano A Moroni..................................................................................................................................... » 136 Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emrgenza in italia A. Morra, P. Bozzetto, S. Agostinis............................................................................................ » 139 Decisionalità e scelte terapeutiche nel trattamento del dolore G. Orlandini ................................................................................................................................ » 147 La partoanalgesia in Italia: indagine conoscitiva per un programma organizzato… superando le disuguaglianze A. Paolicchi, con la collaborazione del Direttivo SIARED........................................................ » 156 Il trapianto d’organi. Il donatore d’organi: generalità P. Pettinao ................................................................................................................................... » 163 Nuove prospettive nel mantenimento del polmone S. Pintaudi ................................................................................................................................... » 166 L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera G.M. Pisanu ................................................................................................................................ » 167 Cause di fallimento dell’analgesia postoperatoria G.M. Pisanu ................................................................................................................................ » 171 Il ruolo dell’anestesista-rianimatore negli ospedali con ostetricia ma senza neonatologia D. Ripamonti............................................................................................................................... » 174 Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emergenza in Italia. La risposta ospedaliera: anello debole della catena dei soccorsi? T. Rosafio, C. Cichella................................................................................................................ » 181 L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera F. Rossetti, A. Messeri................................................................................................................ » 184 L'assistenza anestesiologica al parto. L'anestesia generale in gravidanza (escluso il parto) A. Rutili....................................................................................................................................... » 187 Anestesia nei pazienti trapiantati E. Serra, P. Feltracco, I. Tiberio, F. Bertamini e C. Ori ............................................................. » 187 9 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il trapianto di fegato in età pediatrica V. Sonzogni, A. Benigni, D. Manzoni, A. Spotti, G. Starita ................................................ pag.» 198 A brief overview of the status of perinatal health care in India S. Udani....................................................................................................................................... » 201 Organizzazione e gestione del soccorso sanitario nei cantieri TAV e VAV dell’appennino tosco-emiliano: il modello emiliano M. Vigna e G. Grana................................................................................................................... » 204 La rianimazione materno-fetale. La sindrome di Mendelson R. Wetzl ...................................................................................................................................... » 213 L’anestesia per chirurgia generale successiva al trapianto N. Zadra, F. Giusti ...................................................................................................................... » 214 Comunicazioni libere e poster Influenza del management perioperatorio sulla Nausea e Vomito postoperatori. Studio in un Acute Pain Service D. Amitrano, A. Bardini, C. Maggini, N.Galleschi, S.Catarsi, A. Paolicchi.............................. » 218 Monitoraggio della profondità dell’anestesia generale: tre metodiche a confronto S.Catarsi, G. De Durante, P. Chiarugi, A. Paolicchi, F. Giunta ................................................. » 219 Il tromboelastogramma in chirurgia cardiaca quale valore predittivo? M. De Martino, I. Senese, C. D’Auria ........................................................................................ » 220 Fascite necrotizzante ad esito letale M.Difonzo, G.Colagrande, T.Trotta, P.Altamura ....................................................................... » 220 Utilizzo del surfattante attraverso bal nelle patologie polmonari intensive non convenzionali: nostra esperienza preliminare D. LoPardo, E.Colasanti, F.Marra .............................................................................................. » 223 L’anestesia pediatrica ad Antigua, Guatemala: un’esperienza T. Matarazzo, L. Droghetti, D. Battaglia, F. Zanotti, A. Zennaro, A. Franchella, A. Guberti ... » 224 Riflessi di un programma fast track sulla qualità del decorso postoperatorio D. Amitrano, A. Bardini, C. Maggini, M. Marcaccini, C. Sbrana, A. Paolicchi ........................ » 225 Qualità: significato e implicazioni A. Apicella, M. De Martino ........................................................................................................ » 225 10 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il progetto “Ospedale senza dolore” S. Baroncini, E.Marri, T. Matarazzo..................................................................................... pag.» 226 La partoanalgesia nell’area vasta centro della Regione Toscana:organizzazione e tipologia di utenza G. Bertelli, G. Buti, L. Ferri, P. Martini, S. Razzi ...................................................................... » 227 Intossicazione volontaria con antipsicotici F.Caputo, V.Caretto .................................................................................................................... » 227 Caso clinico: CSE per Taglio Cesareo in paz. Gestosica, obesa, diabetica ed insufficienza venosa arti inferiori D. Carbone, I. Odierna, D. Scarano, V. Stridacchio, S. Palmese, F. Di Marco, A. Natale ........ » 228 CSE e MAC: applicazioni ad una nuova tecnica chirurgica urologia HI-FU D. Carbone, I. Odierna, V. Stridacchio, D. Scarano, S. Palmese, G. Lubrano, A. Natale.......... » 228 Monitoraggio bis ed incidenza di nausea e vomito postoperatorio in pazienti sottoposti ad interventi di colecistectomia laparoscopica P. Carnesecchi, A. Pecchioni, M. Baldesi, M. Guarguaglini, D. Di Pasquale, G. Marconcini, N. Cioni, F. Marconcini .............................................................................................................. » 229 Sedazione controllata dal paziente (PCS) per interventi di ernioplastica inguinale: confronto propofol/midazolam P. Carnesecchi, M. Guarguaglini, E. Preziuso, C. Castiglioni, D. Di Pasquale, A. Pecchioni,.. M. Baldesi, N. Cioni, G. Marconcini e F. Marconcini ............................................................... » 230 Fast-track Anesthesia in Chirurgia Bariatrica Laparoscopica S. Catarsi, C. Di Salvo, G. De Durante, D. A. Abramo, B. Arezzi, F. Giunta............................ » 230 La gestione delle vie aeree nel “Grande Obeso” S. Catarsi, B. Pesetti, G. De Durante, C. Di Salvo, B. Arezzi, A. Paolicchi, F. Giunta ............. » 231 Risultati di un protocollo antalgico nella chirurgia bariatrica laparoscopica: tre tecniche anestesiologiche a confronto S. Catarsi, G. De Durante, M. Berrugi, G. Morelli, A. Paolicchi, F. Giunta .............................. » 232 Stabilità emodinamica durante Anestesia generale in pazienti con obesità patologica: tecniche a confronto S. Catarsi, C. Di Salvo, P. Chiarugi, E. Nicastro, S. Pardossi, F. Giunta ................................... » 232 Applicazione integrale della catena della sopravvivenza: un caso clinico S. D’Angelo, G. Ugolini, U. Piccolo, S. Rana, M. Spagnoli, M. Carnelli, C. Buccino.............. » 233 Il bypass aortocoronarico off-pump riduce il rischio di stato confusionale postoperatorio nei pazienti con severa aterosclerosi sistemica? M. De Martino, I. Senese ............................................................................................................ » 233 11 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Dissociazione elettromeccanica (PEA): una drammatica presentazione di sindrome di Schmidt S. De Natali, S. Carrer, G. Venturella, S. Basilico, R. Dagani, GM. Vaghi........................ pag.» 234 Impianto di catetere venoso centrale (CVC) con il supporto di ECG intracavitario: procedure e particolarità L. De Simone, T. Biscioni, E. Geminiani, G. Morelli, P. Buonavolontà, G. Fonti .................... » 235 L’ECG intracavitario: metodica sicura per il posizionamento della punta dei cateteri venosi centrali L. De Simone, G. Morelli, P. Buonavolontà, T. Biscioni, E. Geminiani, G. Fonti .................... » 235 Onda P intracavitaria (IC) come guida nel posizionamento della punta di catetere venoso centrale: descrizione della tecnica L. De Simone, E. Geminiani, G. Morelli, T. Biscioni, P. Buonavolontà, G. Fonti » 236 Encefalopatia iponatremica in paziente con polidipsia non psicogena M. Difonzo, T. Trotta, G. Colagrande, G. Ancona ..................................................................... » 237 I.O.T. difficile e video-laringoscopio Glidescope® S. Fabroni et al. A. Pinto et al. .................................................................................................... » 239 Miocardiopatia dilatativa diagnosticata in ii giornata dal TC. Evenienza inaspettata: case report T. Giusto, B. Baldi Santocchi, I. Pardelli, N. Baccellini ............................................................ » 239 Porpora trombotica trombocitopenica: “C’è plasmaferesi e plasmaferesi!!!” M. Lattaro, F. De Meo, V. Landi, M. Riondino, V, Settembre, P. Zannetti............................... » 240 Gastroresezione di neoplasia stenosante dell’antro gastrico in una paziente ad alto rischio con anestesia combinata spinale-epidurale (CSE) N. Maratea................................................................................................................................... » 240 Terapia Nutrizionale: a case report I. Odierna, D. Carbone, M. Loreto, M. Captano, S. Palese, V. Stridacchio ............................... » 241 Effetti del reclutamento manuale e peep post inflazione nel danno polmonare da polmonite e contusione S. Palmese, D. Carbone, F. Di Marco, I. Odierna, D. Scarano, A. C. Scibilia, A. Natale.......... » 242 Dinamica delle nascite e Partoanalgesia all’Ospedale Versilia di Viareggio C.Panizzi ..................................................................................................................................... » 243 Anestesia bisand vs inalatoria bilanciata e TiVA: qualità del risveglio G.M. Pisanu, A. Pedemonte, Z. Pusceddu, M.R. Melis, B. Mulas ............................................. » 243 TORAYMYXIN e CVVH nella sepsi addominale complicata da ARDS F. Piscitiello, E. Ciardulli, A. Ferrari, P. Scarano, N. Della Cioppa, M. Mazzarella, ............... O. Esposito .................................................................................................................................. » 244 12 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Autumn Emergency a Napoli – Ottobre 2005, Criticità e Considerazioni A.E. Rossi, G. Buffardi, R.A. Prudente, R. De Caro ............................................................ pag.» 244 Pronti per eventuali emergenze NBCR? Lo stato dell’arte nella città di Napoli A.E. Rossi, G. Buffardi, R.A. Prudente, R. De Caro .................................................................. » 245 Airway management:when more hospitals work toghether M. Scoponi, E. Adrario, S. Ventrella.......................................................................................... » 245 Postoperative analgesia after major orthopedic surgery: Sufentanyl iv vs Morphine iv M. Scoponi , B. Degl’Innocenti, E. Galiè., G. Di Serafino, S. Ventrella ................................... » 246 Esiti di un approccio riabilitativo multidisciplinare in pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite, precocemente trattati in una struttura di neuroriabilitazione con terapia intensiva P. Verrienti, A. Gismondi, M. Corvino, M.A. Lagna, M. Alemfalaki, A. Gigli, F. Massari, .... N. Corapi, L. Cioffi, P. Piscitelli................................................................................................. » 247 Le tecniche depurative continue extracorporee: davvero continue? P. Zannetti, M. di Perma, A. Troiano, A. Maddalena, N. Foderini, M, Lattaro ......................... » 247 13 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Valutazione clinica del danno neurologico S. AITO Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze La valutazione clinica neurologica del paziente medulloleso rappresenta un aspetto fondamentale del corretto approccio nel trattamento globale di questa patologia. L’esame clinico deve essere espletato con la massima accuratezza sia nella fase acuta che nelle fasi successive per definire l’esatto danno neurologico, la più corretta prognosi e l’impostazione dell’iter terapeutico e riabilitativo. L’ISCOS (International Spinal Cord Society) e la SOMIPAR (società Medica Italiana di Paraplegia) adottano lo standard di classificazione neurologica proposto dall’ASIA (American Spinal Injury Association). Nel rispetto di questo standard si deve valutare il livello neurologico della lesione, il tipo di lesione rispetto alla completezza o meno del coinvolgimento neurologico e i riflessi. Il livello neurologico deve essere definitivo per entrambi gli emisomi sia per quanto riguarda l’attività motoria ( valutazione della forza muscolare) sia per quanto riguarda la presenza di sensibilità tattile superficiale e profonda nei vari metameri. L’applicazione corretta di questo schema di valutazione, oltre a fornire una dettagliata valutazione neurologica, è indispensabile per la migliore comprensione degli aspetti clinici dei medullolesi nella comunicazione tra specialisti, sia a livello nazionale che internazionale. Riabilitazione del paziente neuroleso. I sistemi per la mobilizzazione delle secrezioni V. ANTONAGLIA, G. BUSCEMA, A. PERATONER, V. CAMPANILE, F. PILLER, M. UMARI Laboratorio di bio-meccanica respiratoria, MPTIE, Ospedale Cattinara, Trieste Parole chiave: tosse, clearance muco, umidificazione attiva, naso artificiale, circuiti riscaldati, high frequency oscillation, high frequency percussive ventilation Nei pazienti con compromissione neurologica acuta o neuromuscolare cronica l’insufficienza respiratoria acuta post-evento o quella cronica con adattamento della pompa respiratoria al danno neurologico permanente si complica a causa del potenziale danneggiamento del processo di deglutizione e dei riflessi che preservano la pervietà delle vie aeree e della scarsa capacità di espettorazione spontanea. Il rischio di ostruzione bronchiale incrementa soprattutto in caso di eventi infiammatori con broncorrea ed è nota la tendenza alla colonizzazione batterica delle vie aeree e alle infezioni. Risulta preminente quindi in questi pazienti una strategia di assistenza che salvaguardi a) gli scambi gassosi mediante supporto dell’ossigenazione, b) la ventilazione polmonare ricorrendo ad un processo convettivo di rimozione della CO2 mediante ventilazione noninvasiva o invasiva, c) l’affaticabilità dei muscoli respiratori con supporto pressorio inspiratorio ed eventuale PEEP per ridurre il carico soglia dei muscoli in condizioni di iperinflazione dinamica, d) l’umidificazione dei gas inspirati e e) la clearance del muco. Questi ultimi due presidi sono necessari non solo nei pazienti in cui la pervietà delle vie aeree è assicurata da una protesi, ma anche in quelli che ventilano spontaneamente in ossigeno terapia o che sono assistiti in ventilazione non invasiva. Nei primi, con by-pass delle vie aeree mediante protesi endotracheale o tracheostomica, sia che venga praticato il supporto dell’ossigenazione tramite ossigenoterapia in ventilazione spontanea o 14 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 tramite CPAP con qualunque tipo di ventilazione, cioè spontanea o supportata o controllata, risultano di fondamentale importanza le tecniche di umidificazione e di clearance del muco. Umidificazione Se vengono erogati gas medicali indipendentemente dal tipo di ventilazione, la presenza del tubo tracheale o della cannula tracheostomica impedisce che il punto delle vie aeree dove i gas inspiratori raggiungono la temperatura corporea di 37°, l’umidità assoluta (AH) di 44 mg/L e la pressione di vapor acqueo di 47 mmmHg corrisponda alla carena tracheale come normalmente avviene. A livello bronchiale arriva gas meno riscaldato con tasso di umidità minore, perché è venuta meno la funzione delle vie aeree sopra la carena come scambiatori di calore e umidità. Se gli effetti fisiologici relativi alla perdita di calore non sono preminenti, (se si ventila aria ambiente a 15° e 50% di umidità relativa, RH, sono persi dal polmone ogni giorno 250 ml di H2O e 1500 Joule di calore), quelli tissutali dovuti alla perdita di umidità lo sono: danni epiteliali, perdita dell’azione ciliare, danno alle ghiandole mucose, desquamazione cellulare, ulcerazioni, iperemia. Anche gli effetti funzionali sul sistema respiratorio sono rilevanti: riduzione compliance, atelettasie, diminuzione dell’attività del surfattante. Molte differenti tecniche possono essere usate per provvedere all’umidificazione delle vie aeree, dall’istillazione di soluzione salina nella trachea all’uso di nasi artificiali, di nebulizzatori e di umidificatori riscaldati. Secondo l’American National Standards Institute un umidificatore durante ventilazione meccanica deve provvedere ad almeno 30 mg H2O/L di gas a 30°. E’ evidente che queste prestazioni sono assicurate essenzialmente dagli umidificatori attivi anche se i vantaggi degli scambiatori di calore ed umidità di tipo passivo non vanno disconosciuti. L’ultima generazione di umidificatori attivi a circuito inspiratorio ed espiratorio riscaldato riduce i problemi di nursing relativi allo svuotamento delle trappole di condensa, e dovrebbe essere usato nel malato critico in caso di abbondanti secrezioni che possono occludere il tubo tracheale e rendere inutilizzabile un naso artificiale, quando durante il processo di weaning dalla ventilazione meccanica anche laq riduzione dello spazio morto del naso artificiale può essere importante, e quando la ventilazione assistita necessita di bassi volumi correnti per la patologia del paziente. Clearance del muco I Meccanismi normali di clearance del muco sono la tosse e il movimento delle ciglia epiteliali. Il muco viene mosso nel soggetto normale mediante 3 meccanismi: “slug flow”, il flusso anulare laminare e il flusso misto con il muco in sospensione aerosol. Se il paziente è intubato, tutti e tre i meccanismi sono alterati e la cuffia del tubo endotracheale altera la clearance del muco bloccando il movimento delle ciglia. A tale problema si aggiunge la capacità del fluido sottoglottico che si raccoglie sopra la cuffia di superare la barriera cuffia-parete tracheale e favorire la contaminazione e colonizzazione batterica endo bronchiale. Oltre alla compromissione dei meccanismi dell’eliminazione del muco nei pazienti neurologici in stato critico si ha spesso debolezza muscoli espiratori, capacità vitale marcatamente ridotta e meccanismo della tosse severamente compromesso. La tosse effettiva dipende dall’abilità di generare un flusso espiratorio adeguato, stimato >160 L/min. Il flusso espiratorio è determinato dall’elasticità del polmone e della gabbia toracica, dalla conduttanza delle vie aeree e dalla forza muscolare. La funzione muscolare inspiratoria contribuisce all’adeguatezza della tosse generando una capacità vitale adeguata (>2.5 L). Inoltre una tosse effettiva richiede una funzione glottica intatta che permette un “esplosivo” rilascio di una pressione intratoracica che genera alti picchi espiratori di flusso. Strategie per assistere la tosse Approcci per incrementare: il volume inspiratorio e il flusso espiratorio. 15 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La manovra più semplice è assistere la tosse: manual assist or “quad” coughing. Corrisponde a compressioni forti e veloci applicate all’addome e ritmate a coincidere con lo sforzo a tossire del paziente. Questa tecnica può aiutare la forza espiratoria ma non aumenta il volume inspiratorio. Insufflazione-desufflazione meccanica, il device rilascia una pressione positiva inspiratoria di 30-40 cmH2O attraverso una maschera facciale e quindi passa rapidamente ad una uguale pressione negativa. La pressione positiva assicura il rilascio di un adeguato VT, mentre la pressione negativa stimola flusso espiratorio rapido generato dalla tosse. Non vi sono trial controllati sulla valutazione dell’efficacia del device sulla produzione della tosse. Tecniche di clearance delle vie aeree Vengono ritenute utili nei pazienti iperproduttori di muco (>15 ml die). Sono tecniche di pertinenza del fisioterapista respiratoriocome il drenaggio posturale e la percussione manuale, il drenaggio autogeno, la tecnica dei cicli attivi di respiro, i metodi a pressione positiva espiratoria. Amplio consenso e molto studiate sono le tecniche ad alta frequenza di vibrazione che sono state considerate ad alto potere di rimozione delle secrezioni. Esse comprendono l’espirazione a pressione positiva mediante l’alta frequenza di occlusione delle vie aeree (flutter), che si è visto riduce il weaning dei pazienti COPD ventilati in maniera non invasiva; l’alta frequenza oscillatoria della gabbia toracica, che richiede però la sedazione del paziente; la pressione negativa peritoracica ad alta frequenza vibratoria, usata efficacemente nel bambino con malattia neuromuscolare; la ventilazione intrapolmonare percussiva ad alta frequenza, che abbina la ventilazione convettiva della pressione di supporto a quella diffusiva oscillatoria che aumenta l’ossigenazione e interagisce con il muco. References - Cook D, Richard JD, Reeve B. Ventilator circuit and secretion management strategies: a francocanadian survey. Crit Care Med 2000; 28:3547-54 - Boots RJ, George N, Foagali JL, Druery J, Dean K, Heller RF Double-heater-wire circuits and heat-and-moisture exchangers and the risk of ventilator-associated pneumonia Crit Care Med 2006; 34: 687-693 - Hardy KA, Anderson BD Noninvasive clearance of airway secretions. Respir Care Clin N Am 1996; 2: 323-345 - Fink JB, Mahlmaister MJ High-frequency oscillation of the airway and chest wall. Respir Care 2002; 47:797-807 - Natale JE, Pfeifle J, Homnick DN: Comparison of intrapulmonary percussive ventilation and chest physiotherapy. Chest 1994; 105:1789-1793 - Homnick DN, White F, de Castro C: Comparison of effects of an intrapulmonary percussive ventilator to standard aerosol and chest physiotherapy in treatment of cystic fibrosis. Pediatr Pulmonol 1995; 20:50-55 - Toussaint M, De Win H, Steens M, Soudon P: Effect of intrapulmonary percussive ventilation on mucus clearance in Duchenne muscolar dystrophy patients: a preliminary report. Respir Care 2003; 48:940-947 - Birnkrant DJ, Pope JF, Levarskj J, et al: Persistent pulmonary consolidation treated with intrapulmonary percussive ventilation: a preliminary report. Pediatr Pulmonol 1996; 21:246-249 - Deakins K, Chatburn RL: A comparison of intrapulmonary percussive ventilation and conventional chest physiotherapy for the treatment of atelectasis in the pediatric patient 2002; 47: 1162-1167 - Bellone A, Spagnolatti L, Massobrio M et al: Short term effect of expiration under positive pressure in patients with acute exacerbation of chronic obstructive pulmonary disease and mild acidosis requiring non-invasive positive pressure ventilation. Int Care Med 2002; 28: 581-585 16 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Le grandi emergenze e le catastrofi. La gestione delle vie aeree nel bambino S. BARONCINI Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico S: Orsola-Malpighi. Bologna I problemi respiratori rappresentano la causa principale di morbidità e mortalità nel bambino. l’A B C dell’algoritmo del soccorso, deve tener presente che vi sono differenze evidenti tra bambino ed adulto legate a condizioni anatomo-funzionali, diversa disponibilità di attrezzature ed alla inapplicabilità al bambino di alcune procedure consigliate nell'adulto. Sicuramente la descrizione delle “RACCOMANDAZIONI PER IL CONTROLLO DELLE VIE AEREE E LA GESTIONE DELLE DIFFICOLTA’ IN ETA’ PEDIATRICA” svolta dal Gruppo di Studio S.I.A.A.R.T.I “VIE AEREE DIFFICILI” in collaborazione con il Gruppo SARNePI, costituisce un documento cui fare riferimento sia per poter prevedere sia per poter fronteggiare la gestione delle vie aeree anche di fronte all’emergenza. L’esperienza quotidiana sul campo dell’anestesista rianimatore risulta preziosa nella gestione in condizioni di critiche ove la prevedibilità come il materiale più e meglio idoneo non sempre è disponibile ed utilizzabile. In tali condizioni, l’ obiettività clinica resta un elemento fondamentale che oltre a prevedere l’ esplorazione dell'orofaringe dello spazio mandibolare e sottomentoniero deve porre in atto la limitazione del movimento temporo-mandibolare e della testa-collo. Nell’approcciare la ventilazione e la protezione delle vie aeree, è stato definito un numero limitato di tentativi intubazione di laringoscopia pari a tre, per evitare di determinare traumatismi, che possono creare edema e sanguinamento e peggiorare sia la possibilità di ventilare che quella di realizzare la procedura di intubazione stessa assicurando, comunque che tra un tentativo e l’altro, si possa ossigenare il paziente, riportando la saturazione a livelli ottimali La mancata collaborazione da parte del paziente cosciente in età pediatrica, rende impossibile attuare un’intubazione tracheale senza ricorrere all’analgo-sedazione, considerando inoltre che l’anestesia topica delle vie aeree con lidocaina 1-2% (3 mgKg-1 - max 5 mgKg-1) a volte può essere di aiuto perché attenua la reattività delle vie aeree anche se questa può limitare o abolire il riflesso di protezione delle vie aeree . Il comportamento nella gestione della via aerea difficile è condizionato dal grado di ventilabilità con maschera facciale. Se vi è difficoltà nella ventilazione con maschera facciale, nonostante l’impiego di una appropriata cannula orofaringea, viene suggerita la manovra di sublussazione mandibolare/jaw thrust e, il posizionamento di una cannula rinofaringea . Quando, nonostante tutto ciò non si riesce a ventilare con maschera facciale, si far ricorso alla LMA, che consente, in assenza un ostacolo alla glottide di ventilare il bambino. E’ consigliabile che la ventilazione con maschera laringea non sia effettuata tardivamente e che i medici diventino esperti nel suo impiego non in condizioni di emergenza. Il blocco neuromuscolare è sconsigliabile se la ventilazione con la maschera facciale è impossibile o difficoltosa. Il corretto posizionamento del capo e la manipolazione del laringe dall’esterno, in particolare a laringoscopio inserito, rappresentano i passaggi iniziali obbligati, anche in presenza di condizioni anatomiche normali. Quando la visione è limitata o se non è visibile nessuna struttura laringea, l’intubazione diretta con fibrobronscopio, o attraverso una maschera laringea (con controllo fibroscopico), rappresenta l’approccio di scelta. L’impossibilità a ventilare ed ossigenare il bambino richiede l’accesso rapido tracheale (puntura cricotiroidea, cricotirotomia o alla tracheotomia chirurgica) e la ventilazione jet, eventualmente seguita da intubazione tracheale retrograda, come percorso salvavita. La puntura cricotiroidea e la critotirotomia percutanea nel bambino piccolo sono di difficile esecuzione per il ridotto diametro tracheale, per le limitate dimensioni della membrana cricotiroidea che peraltro risulta non ben localizzabile, per la estrema flaccidità e mobilità della trachea. Sono comunque disponibili kit per la cricotirotomia percutanea anche di 2 mm. La possibilità di eseguire una tracheotomia chirurgica non deve essere tralasciata. 17 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il Donatore «marginale» S. BERARDI U.O. Anestesia e Rianimazione, A.O. S. Carlo Potenza L’evoluzione delle tecniche di trapianto e di trattamento rianimatorio ed intensivo del donatore e dei pazienti trapiantati associato al crescente divario tra domanda e offerta ha indotto all’utilizzazione di diverse strategie con l’obiettivo di espandere il pool dei donatori. Dalla metà degli anni ’90, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite si è cercato di individuare quelle condizioni dell’organo che, sebbene non ottimali, possono risultare compatibili con taluni tipi di trapianto o con determinate caratteristiche del paziente ricevente. L’utilizzo di questi donatori, definiti anche marginali, ha portato quindi alla formulazione di nuovi protocolli e ci ha indotto ad affinare la capacità di valorizzare organi da donatori che in passato non venivano ritenuti ideali e pertanto non venivano presi in considerazione. Questo nuovo tipo di approccio ci ha portato da un lato a rivalutare i criteri di idoneità alla luce delle linee guida approvate nella loro versione definitiva della Conferenza Stato-Regioni del 30/09/2003 e operativa dal 01/03/2005 e, dall’altro lato, a stabilire le modalità operative del processo di valutazione del rischio stesso. Se è vero che la valutazione dei singoli organi è fatta sui dati raccolti nelle Rianimazioni, la valutazione di idoneità o non idoneità non è prerogativa del solo rianimatore ma è un processo multifasico e multidisciplinare che coinvolge direttamente i Centro trapianti anche attraverso i suoi esperti per eventuale “second opinion” ed ha come scopo quello di orientare la decisione sugli organi che possono essere trapiantati, escludere la trasmissione di malattie oncologiche ed infettive ed assicurare la ripresa funzionale degli organi trapiantati. Il messaggio che ne deriva è quello di considerare potenziali donatori tutti i pazienti che si trovano nelle condizioni di morte cerebrale e di avvalersi del CNT per eventuali dubbi. Da qui la necessità di segnalare tutti i casi al proprio Centro Regionale di riferimento. Entrando nel merito della valutazione dei singoli organi, vengono presi in considerazione i risultati ottenuti con reni da donatore <anziano>, la definizione di “qualità biologica” del rene anziano e le prospettive offerte dal doppio trapianto. E’ stato infatti documentato che i risultati ottenuti con reni di donatori marginali sono inferiori a quelli ottenuti con reni “ottimali” se utilizzati in singolo, ma sovrapponibili se utilizzati in doppio. La scarsità di donatori di cuore ha indotto i clinici a ottimizzare l’utilizzo degli organi disponibili aumentando i limiti di età per i donatori, accettando cuori dalla funzione non ottimale ma sufficiente per garantire una buona qualità di vita e mettendo a punto metodiche di preservazione tali da garantire prelievi a lunga distanza dalla sede di trapianto. Nello stesso tempo si sta cercando di mettere a punto metodiche diagnostiche alternative alla coronarografia, spesso impraticabile per cause logistiche, legali e cliniche, per un’affidabile valutazione dell’albero coronario. Tra queste si sta proponendo uno studio osservazionale dei pazienti sottoposti a trapianto di cuore con organi valutati mediante Eco-stress al dipiridamolo integrato al rapporto tra pressione e volume telesistolico. Se il test verrà valicato l’applicazione di questa semplice metodica al letto del paziente avrebbe l’enorme vantaggio di incrementare il numero di donazioni e di ridurre al minimo la discrezionalità sull’idoneità del cuore. Le nuove modalità di perfusione e preservazione d’organo hanno anche consentito l’espansione del pool di donatori epatici facendo ricorso ai donatori marginali per statosi, ICU stay, ipernatremia. E’ stato poi dimostrato che utilizzando fegati da donatori anziani sia la percentuale di complicanze post-operatorie, sia la sopravvivenza dell’organo e del paziente sono simili a quelle osservate con donatori più giovani, quando viene effettuata un’attenta selezione dei donatori, In conclusione si può affermare che l’utilizzo di donatori marginali può avere un grosso impatto sull’outcome a breve e lungo termine dei programmi di trapianto. 18 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’arresto cardiaco e sue problematiche nella gravida C. CAPRA, G. MEAZZA, C. CHIARADIA, P. RONCORONI, M. TRAVERSA, M. SAPORITI, F. FRATTINI Terapia Intensiva Azienda Ospedaliera Ospedale di Circolo di Busto Arsizio – Presidio di saronno La mortalità in corso di gravidanza è un evento fortunatamente raro, almeno nei paesi sviluppati. La maggior parte delle morti in questo periodo sono legate a cause acute, più spesso dovute a patologie mediche esacerbate dalle modificazioni fisiologiche indotte dalla gravidanza, oltre a condizioni peculiari alla gravidanza stessa (1). MODIFICAZIONI FISIOLOGICHE MATERNE INDOTTE DALLA GRAVIDANZA Lo sviluppo del feto nel grembo materno induce una serie importante di cambiamenti anatomofisiologici nella madre, che possono aggravare la fisiopatologia e rendere più difficoltoso il trattamento dell’arresto cardiaco in questo periodo della vita della donna (2,3). A partire dalla sesta settimana e soprattutto durante il secondo trimestre e l’inizio del terzo, si verifica un incremento significativo del volume plasmatico (circa 40-50 %); questo si associa ad aumento di portata cardiaca e di consumo d’ossigeno ed a riduzione delle resistenze vascolari sistemiche. Il conseguente aumento di flusso ematico si distribuisce prevalentemente a carico di utero, rene e distretto cutaneo. Dal punto di vista circolatorio, soprattutto durante il terzo trimestre, l’utero gravido può causare una compressione significativa sui vasi iliaci ed addominali, soprattutto in posizione supina, ostacolando il ritorno venoso al cuore con riduzione importante della gittata cardiaca. A carico del sistema respiratorio, nonostante l’aumento del volume minuto, legato in maggior misura ad aumento del volume corrente, in corso di gravidanza si osserva la progressiva riduzione della capacità funzionale residua, a sua volta dovuta ad alterato ritorno elastico del polmone e della gabbia toracica, oltre agli effetti gravitazionali dei contenuti intraaddominali. Le vie aeree superiori presentano un aumento del contenuto dell’acqua extracellulare risultante in edema del faringe e dell’aditus laringeo. Tutto questo risulterà in una scarsa riserva ossigenatoria, soprattutto nelle pazienti in sovrappeso, associata a potenziali difficoltà di ventilazione in maschera, di gestione della pervietà delle vie aeree e di intubazione tracheale. Anche a livello del tratto gastroenterico si verificano modificazioni peculiari alla gravidanza che possono interferire negativamente sulla sopravvivenza in caso di arresto cardiaco, quali l’allungamento dei tempi di svuotamento gastrico, l’incompetenza dello sfintere cardiale e l’aumento della pressione intragastrica, tutti fattori favorenti l’inalazione polmonare in caso di riduzione e/o assenza dei riflessi di protezione delle vie aeree. CAUSE Alle possibili cause di arresto cardiaco che si possono comunque verificare in una donna della stessa età non gravida si associano eventi scatenanti correlati direttamente allo stato gravidico, quali l’emorragia, la tossicità da farmaci, l’aggravamento di patologia cardiovascolare preesistente, la preeclampsia e l’eclampsia, l’embolia polmonare massiva e l’embolia amniotica. Misure preventive generali La maggior parte dei problemi cardio-vascolari nella donna gravida, soprattutto se sana, si verificano in maniera acuta, solitamente dopo la 20a settimana di gestazione e sono legati a fenomeni di compressione cavale da parte dell’utero, che compromette il ritorno venoso e la gittata cardiaca, causando ipotensione e shock (2,4,5). Pertanto, qualora l’arresto cardiaco sia preceduto da ipotensione, occorre posizionare la paziente in posizione laterale sinistra con un’angolazione di almeno 15 gradi (6), o spostare manualmente l’utero verso sinistra con le mani dall’esterno, assicurarsi un accesso venoso di grosse dimensioni e somministrare un carico volemico, somministrare ossigeno e chiedere, ove possibile, l’intervento del collega più esperto in servizio (3). 19 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Contemporaneamente bisogna programmare le procedure diagnostiche necessarie ad identificare la presenza di cause trattabili dell’ipotensione. Emorragia Le cause più frequenti di shock emorragico nella gravida sono la rottura tubarica da gravidanza ectopica, il distacco di placenta, la placenta previa, la rottura d’utero e l’atonia uterina. Pertanto tale evento si può verificare in qualsiasi momento della gravidanza, pur presentando una maggiore frequenza nel primo e nel terzo trimestre, rispetto al secondo, oltre che presentarsi nella fase postpartum. La presenza di un protocollo per l’approccio alle emorragie massive ed il ricovero delle pazienti a rischio in strutture dotate di servizio trasfusionale autonomo, di Unità di Terapia Intensiva e di equipes chirurgiche multidisiplinari favorisce il buon esito del trattamento dello shock emorragico in gravidanza (3). L’arresto cardiaco conseguente ad emorragia massiva postpatum può non rispondere al comune ALS, da cui la peculiarità della sua prevenzione e del suo trattamento che devono essere aggressivi e prevedere: accessi venosi multipli con cateteri di largo calibro e rapido carico volemico emotrasfusione di globuli rossi concentrati (GRC) in emergenza da donatore universale, se non ancora disponibile sangue compatibile e autoemorecupero (11) somministrazione di plasma fresco congelato (PFC) considerare l’eventuale utilizzo di fattore VII attivato per emorragie inarrestabili (12) somministrazione di ossitocina e prostaglandine per trattare l’atonia uterina (13) suture compressive uterine (14) embolizzazione radiologica (15) isterectomia clampaggio aortico per emorragie massive indominabili (16) supporto circolatorio meccanico, tipo circolazione extracorporea (ECMO), in casi di grave insufficienza circolatoria ed arresto cardiaco potenzialmente reversibili, refrattaria a trattamento convenzionale (17). Tossicità da farmaci Le cause più comuni di tossicità farmacologia nella gravida sono da ricondurre a iatrogenicità nel corso di trattamento dell’eclampsia (2, 3) o di blocco epidurale (2, 3, 18, 19). Un sovradosaggio da magnesio in corso di terapia di eclampsia è un evento possibile, soprattutto in presenza di oliguria, e, qualora questo sia la causa dell’arresto cardiaco, la terapia prevede la somministrazione di calcio cloruro 10% 10-40 ml per antagonizzarne la tossicità (2, 3). L’arresto cardiaco da blocco neurassiale è la causa più frequente di morte o danno cerebrale permanente conseguente ad anestesia loco-regionale sia in ambito ostetrico che non (19). Tale evento, in gravidanza, è gravato da un alta percentuale di prognosi infausta, pari circa al 90% (19) ed è correlato nell’84% dei casi a blocco subarcnoideo intenzionale o non (19). Fattori che possono influire negativamente sulla prognosi in ambito ostetrico rispetto ad altri ambiti chirurgici, sono dovuti al fatto che spesso l’arresto cardiaco da blocco neurassiale si verifica al di fuori della sala operatoria (84% vs 10%), con riconoscimento ritardato (55% vs 10%) e ritardato trattamento (91% vs 45%) (19). Inoltre non bisogna dimenticare che la bradicardia/asistolia dovute a blocco neurassiale hanno un’insorgenza improvvisa senza essere precedute da desaturazione arteriosa e senza lasciare il tempo di instaurare un’adeguato trattamento prima che si verifichi l’arresto cardiaco completo (20, 21)Un altro evento peculiare al blocco epidurale nella gravida come causa di arresto cardiaco è l’iniezione intravascolare accidentale (19). L’arresto cardiaco da tossicità di anestetico locale può essere refrattario al trattamento convenzionale per l’intenso blocco del sistema simpatico e per la deficitaria risposta neuroendocrina indotta (18, 22, 23). Alcuni autori suggeriscono di trattare le tachiaritmie dovute a tossicità da bupivacaina con cardioversione elettrica o bretilio, al posto della lidocaina (2). 20 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Patologia cardiovascolare preesistente Le modificazioni fisiologiche indotte dalla gravidanza possono precipitare una patologia cardiovascolare preesistente. In caso di malattia congenita cardiaca la causa di morte più frequente è l’instaurarsi di ipertensione polmonare. Tra gli eventi più facilmente coinvolti nel periodo periparto ricordiamo l’infarto miocardio acuto e la rottura di aneurisma o la dissecazione aortiche (24, 25). Senza dubbio l’evento più frequente è l’insorgenza di ischemia miocardia acuta in pazienti coronaropatiche, che, pertanto, vanno seguite in centri dotati di servizi di emodinamica, in quanto il trattamento d’elezione di riperfusione in caso di infarto miocardio acuto è l’angoiplastica percutanea, considerato anche il fatto che la gravidanza è una controindicazione relativa al trattamento fibrinolitico (3). Preclampsia ed eclampsia La preeclampsia è una patologia multisistemica che si verifica circa nell’8% delle gravidanze, a partire dalla ventesima settimane, manifestandosi con ipertensione, proteinuria ed edemi (26) e che può evolvere in una patologia più severa, denominata eclampsia, a sua volta caratterizzata dall’insorgenza di convulsioni e/o coma in pazienti con segni e sintomi di preeclampsia (3). L’utilizzo del solfato di magnesio nella prevenzione e nel trattamento dell’eclampsia periparto è ormai un dato assodato (3, 27, 28). Embolia polmonare massiva L’embolia polmonare massiva correlata alla gravidanza è un evento che si verifica soprattutto nell’imediato postpartum, con una frequenza maggiore dopo taglio cesareo, rispetto al parto vaginale (29). Oltre all’utilizzo dei fibrinolitici (30), è stata raccomandata, ove possibile eseguire l’intervento, l’esecuzione di prolungato ALS sino ad esecuzione di embolectomia (29). Embolia amniotica L’embolia amniotica è una patologia della gravidanza che si manifesta con sintomi aspecifici, quali dispnea, cianosi, aritmie, ipotensione e coagulopatia intravascolare disseminata (31). In un recente studio epidemiologico condotto nel Regno Unito è stata dimostrata una mortalità materna totale del 37% ed un’elevata percentuale di esiti neurologici gravi sia per le donne che per i bambini sopravvissuti (32). Il trattamento prevede il supporto intensivo dell’insufficienza organo (3). BASIC LIFE SUPPORT (BLS): CONSIDERAZIONI nella GRAVIDA E’ al di là dello scopo di questo scritto considerare in dettaglio i passaggi del BLS, per i quali si rimanda alle sedi opportune (7). Passeremo, però, in rassegna rapidamente ciò che ci sembra peculiare nel trattamento dell’arresto cardiaco che potrebbe verificarsi in corso di gravidanza. Ovviamente, vista l’aumentata richiesta d’ossigeno nella paziente gravida, è indispensabile istituire prontamente la ventilazione. Una volta liberate le vie aeree da materiale ostruente (es. vomito, protesi odontoiatriche, ecc.) è mandatoria la ventilazione in maschera con pallone ed ossigeno a frazione inspiratoria (FiO2) pari a 1, eseguendo contemporaneamente la compressione cricoidea (2). Essendo questa paziente, come già spiegato, ad elevato rischio di inalazione di materiale gastrico e potendo essere difficoltosa la ventilazione manuale per ostruzione delle vie aeree da edema tissutale e ridotta compliance del sistema respiratorio, è essenziale ricorrere all’intubazione tracheale prima possibile (vedi ALS) (3). Premesso il posizionamento in decubito laterale sinistro di 15 gradi o lo spostamento manuale a sinistra dell’utero dall’esterno, non esiste un’evidenza su dove posizionare le mani per l’esecuzione del massaggio cardiaco esterno (MCE) (3). Fattori che possono influenzare negativamente tale manovra nella gravida sono la ridotta compliance della gabbia toracica e l’aumento di volume del seno, soprattutto nelle pazienti obese (2). Viene suggerito di situare le mani per l’esecuzione del MCE in posizione più craniale rispetto al normale, per compensare lo spostamento craniale del 21 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 mediastino, causato dall’innalzamento del diaframma a sua volta dovuto all’aumento di volume del contenuto intraaddominale (3). In caso di fibrillazione ventricolare si devono somministrare shock elettrici di livello standard (8), preferibilmente utilizzando placche adesive, perché la posizione laterale sinistra e l’ipertrofia mammaria possono interferire con il corretto posizionamento soprattutto della placca apicale (2, 3). ADVANCED LIFE SUPPORT (ALS): CONSIDERAZIONI nella GRAVIDA E’ al di là dello scopo di questo scritto considerare in dettaglio i passaggi dell’ ALS, per i quali si rimanda alle sedi opportune (9). Come già detto in precedenza, è essenziale provvedere ad intubazione tracheale al più presto, continuando la manovra di compressione cricoidea sino a che le vie aeree non siano state protette (3). La ventilazione meccanica invasiva permetterà di ventilare più correttamente la paziente, anche in presenza di ridotta compliance toracica ed aumentata pressione addominale (2,3). E’ ben nota la possibilità di trovarsi di fronte a vie aeree di calibro ridotto, per edema. Pertanto è consigliabile utilizzare un tubo tracheale di 0.5-1 mm di diametro interno inferiore rispetto a quello utilizzabile per una donna pari non gravida, soprattutto considerando le possibilità di intubazione difficoltosa, sempre presenti in gravidanza (10). L’aiuto del collega più esperto in servizio, l’utilizzo del mandrino ed il ricorso a dispositivi alternativi per la gestione delle vie aeree, quali la maschera laringea, il Combitube, ecc. (9) devono essere sempre previsti in caso di mancata intubazione (3). TAGLIO CESAREO d’EMERGENZA Sebbene il pronto ripristino di un ritmo cardiaco efficace sia in grado di far portare a termine la gravidanza, soprattutto se l’arresto cardiaco si verifica nelle prime settimane, anche l’ALS condotto al massimo degli standard può non essere sufficiente a far ripartire l’attività cardiaca, soprattutto a causa della compressione aortocavale esercitata dall’utero gravido a partire dalla ventesima settimana in poi. Pertanto, il taglio cesareo (TC) d’emergenza deve essere preso immediatamente in considerazione nella donna gravida in arresto cardiaco, mentre si continuano le manovre di ALS. Una recente review indica che la letteratura supporta, anche se non prova definitivamente, che la percentuale migliore di sopravvivenza materno-fetale in corso di TC “perimortem”, per feti di età gestazionale superiore alla 24a-25a settimana, si ha per isterotomie condotte entro 4 minuti dall’insorgenza dell’arresto cardiaco (33), perché ciò permette di eliminare la compressione aortocavale materna e di avere accesso al neonato per iniziarvi le manovre rianimatorie (3), oltre a facilitare l’esecuzione del MCE materno per riduzione della pressione gravitazionale addominale sul torace (2). Ovviamente gli obbiettivi dell’intervento saranno differenti a seconda dell’età gestazionale del feto : < 20 settimane: TC d’emergenza non indicato perché l’utero non ha ancora raggiunto dimensioni tali da poter interferire con la gittata cardiaca ed il feto non è ancora vitale, se reso autonomo; 20-23 settimane: TC d’emergenza per garantire un’efficace trattamento rianimatorio della madre; la sopravvivenza del feto è inverosimile a questa età gestazionale; > 24-25 settimane: TC d’emergenza per cercare di salvare madre e figlio (3). CONCLUSIONI L’arresto cardiaco che si verifica in gravidanza è gravato da un’elevata mortalità materno-fetale, soprattutto per le modificazioni indotte nella fisiologia della donna da questo stato. Tutti gli sforzi devono essere rivolti alla diagnosi e al trattamento precoci delle patologie che possono evolvere in un tale evento catastrofico. Inoltre deve essere attivata immediatamente un’equipe multidisciplinare che coinvolga, come minimo l’anestesista, il rianimatore il ginecologo, l’ostetrica ed il personale del servizio trasfusionale insieme alla possibilità di provvedere ad un taglio cesareo d’emergenza da effettuarsi entro 4 minuti dall’insorgenza dell’arresto cardiaco. Occorre, pertanto, che esistano 22 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 all’interno dell’ospedale, dei protocolli condivisi e conosciuti, oltre a periodici momenti di training e retraining del personale addetto. BIBLIOGRAFIA 1. Geller SE, Rosemberg D, Cox SM et al The continuuum of maternal morbidity and mortality: factors associated with severity. Am J Obstet Gynecol 2004; 191: 939-944 2. Morris S. Stacey M Resuscitation in pregnancy. BMJ 2003; 29: 1277-1279. 3. Soar J, Deakin CD et al. European Resuscitation Council guidelines for resuscitation 2005 Section 7. Cardiac arrest in special circumstances. Resuscitation 2005; 67S1: S135-S170 4. 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Le principali terapie chirurgiche ablative sono: • Emisferectomia funzionale • Corticectomia • Lobectomia (spesso temporale) Quelle palliative sono: • Callosotomia • Impianto di stimolatore vagale L’epilessia cronica nel bambino può avere a lungo andare effetti molto gravi che vanno dalla difficoltà nell’apprendimento al ritardo psicomotorio; le cause sono essenzialmente da riferire sia alle crisi ipossiche e all’acidosi metabolica che si verificano durante le crisi sia all’uso intensivo di anticonvulsivanti. Il bambino da sottoporre a intervento chirurgico deve essere accuratamente selezionato in base alla responsività alla farmacoterapia antiepilettica, alla qualità di vita data dalla malattia e alla localizzabilità del focus epilettogeno. 24 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Se è presente una epilessia farmacoresistente, se la qualità di vita del bambino è negativamente influenzata dalla malattia e se è localizzabile una zona di displasia corticale (di solito presente dalla nascita) si decide per l’intervento chirurgico. Le patologie che più frequentemente causano epilessia farmacoresistente sono: • Displasia corticale • Emimegaloencefalia – quando uno dei due emisferi è displasico e maggiore dell’altro • Sclerosi tuberosa – malattia genetica caratterizzata dalla triade adenoma sebaceo, ritardo mentale ed epilessia • Sindrome di Sturge-Weber – alterazioni venose di un emiencefalo. E’ caratterizzata da ritardo mentale, angioma emifacciale, glaucoma, paresi con emianopsia controlaterale ed epilessia • Sindrome di West o spasmo infantile – caratterizzata da spasmi infantili in flessione e arresto dello sviluppo mentale. Riconosce principalmente tre cause: - criptogenetica, insorge in bambini sani - postvaccinica - sintomatica, avviene in bambini già encefalopatici • Sindrome di Lennox-Gastaut – ad esordio di solito tra i 2 e i 6 anni, può essere conseguenza di una S. di West. E’ caratterizzata da epilessia grave con ritardo psicomotorio Tipi di chirurgia ABLATIVA Emisferectomia funzionale – rimozione della porzione centrale e temporale di un emisfero. E’ indicata nell’epilessia intrattabile, nell’emimegaloencefalia, nella displasia corticale estesa, negli esiti di ipossia perinatale; viene preferita all’ emisferectomia anatomica in quanto meno demolitiva e meno gravata da complicanze.Lobectomia – rimozione di un lobo temporale; indicata nell’epilessia unilaterale del lobo temporale.Corticectomia – indicata nell’epilessia extra-temporale.Lesionectomia – indicata quando è identificabile precisamente una lesione corticale. Può essere effettuata sia a paziente sveglio che in anestesia generale. La lesionectomia viene realizzata in alcuni casi a paziente sveglio (awake craniotomy) utilizzando il monitoraggio elettrocorticografico intraoperatorio (ECoG), quando per resecare il focolaio epilettogeno è necessario intervenire vicino ad aree cerebrali nobili (solitamente area di Wernicke). PALLIATIVA Callosotomia – indicata nell’epilessia intrattabile con “drop attacks” quando non è identificabile un focus epilettogeno. In genere viene eseguita l’ exeresi dei due terzi anteriori; quella della parte posteriore viene eseguita solo se non ci sono deficit funzionali e cognitivi postoperatori e le crisi non si sono attenuate in maniera soddisfacente • Impianto di stimolatore vagale – indicato nell’epilessia intrattabile quando la demolizione chirurgica sia controindicata (epilettogenicità multifocale). Viene impiantato nella regione medio-cervicale del nervo vago sx un elettrodo che, tunnellizzato nella regione infraclavicolare, viene collegato ad un apparecchio generatore di impulsi programmabile a mezzo radiofrequenze. Possibili complicanze chirurgiche EMISFERECTOMIA Minori quando è funzionale e non anatomicaInfezione - Emorragia - Idrocefalo CALLOSOTOMIA Ipostenia transitoria 25 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 - Aprassia Mutismo Emorragia STIMOLATORE VAGALE Paralisi corda vocale - Paresi facciale - Infezione Problematiche anestesiologiche Un paziente in terapia farmacologia per epilessia cronica che deve essere sottoposto ad intervento chirurgico può presentare alcune condizioni più o meno gravi che devono essere valutate dall’anestesista nella visita preoperatoria. Spesso la funzionalità epatica è alterata ed è presente una leucopenia. Inoltre in certi casi possono essere presenti una iperplasia gengivale e una dentaura irregolare che devono essere valutate poiché possono complicare le manovre di intubazione. Nei casi più gravi il bambino è affetto da tetraparesi spastica e ha vizi di postura degli arti, del tronco e del collo che possono rendere più difficili anche in questo caso le manovre di intubazione. Il monitoraggio da prevedere è in funzione del tipo di intervento a cui deve essere sottoposto il paziente. Per gli interventi demolitivi sarà consigliabile monitorare oltre all’ECG,alla NIBP, alla pulsossimetria e all’ETCO2 anche il monitoraggio della pressione arteriosa cruenta. Inoltre durante l’intervento di lesionectomia bisogna prevedere l’uso dell’elettrocorticografia intraoperatoria. Questo esame consiste nella registrazione di segnali elettrici con speciali elettrodi posizionati direttamente sulla superficie corticale. I segnali registrati hanno un’ampiezza maggiore rispetto al tradizionale EEG e danno la possibilità di controllare gli effetti della stimolazione corticale diretta intraoperatoria. La metodica viene utilizzata quando il focus epilettogeno da resecare è molto vicino ad aree nobili del cervello per cui tramite stimolazione corticale si registrano le reazioni del paziente e le risposte elettrocorticografiche e si procede a una resezione il più possibile precisa senza conseguenze. Per realizzare questa procedura è necessario in alcuni casi (quando la fascia d’ età e la collaborazione psicologica del paziente lo consentono) tenere il paziente sveglio durante la stimolazione. Questo risultato viene ottenuto sedando il paziente profondamente con infusione di varie combinazioni di ipnotico e oppiaceo (in letteratura si trovano principalmente descritte esperienze con associazione propofol/ remifentanil, propofol/fentanyl, propofol/alfentanil) durante la craniotomia associando sempre una anestesia locale per le procedure più dolorose; una volta arrivati alla corteccia cerebrale e applicati gli elettrodi dell’ ECoG, l’infusione di ipnotico/oppiaceo viene interrotta o ridotta al minimo fino a che il paziente è in grado di rispondere alle domande in maniera appropriata. In alcuni casi, per identificare ancora meglio il focus epilettogeno, può essere richiesto all’anestesista di somministrare appositamente un farmaco proconvulsivante. E’ citato in letteratura a questo proposto l’uso degli oppiacei con successo sia in anestesia generale che in sedazione. La scelta dei farmaci per eseguire un’ anestesia per la chirurgia dell’epilessia deve tenere conto quindi delle loro proprietà pro- o anticonvulsivanti. Citiamo un elenco di farmaci di ambedue le categorie. PROCONVULSIVANTI Enflurane ( a concentrazioni superiori a 2.5 %) 26 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Sevorane Fentanyl Remifentanil - Alfentanil Ketamina Antistaminici Propofol NON CONVULSIVANTI Tiopentale sodico Isoflurano Alotano Midazolam Propofol Alfentanil Sevorane Come si noterà alcuni farmaci compaiono nell’una e nell’altra categoria. Questo è dovuto al fatto che riguardo ad essi la letteratura è discordante: in alcuni lavori sono segnalate reazioni neuroeccitatorie evocate da questi farmaci tanto da essere utilizzati appositamente per facilitare la localizzazione tramite ECoG del focus epilettogeno, in altri invece non sono segnalate alcune reazioni. TERAPIA MEDICA Dieta Chetogenica Conosciuta già dagli anni ’20, consiste nel realizzare una dieta ad alto contenuto di acidi grassi in modo da ottenere un effetto anticonvulsivante per stimolazione indiretta del nervo vago. Infatti gli acidi grassi e in particolare l’oleoiletanolamide riducono l’appetito attraverso un meccanismo mediato dall' attivazione del PPARα (functional peroxisome proliferator activated receptor α), presente a livello del fegato e dell’intestino in cellule adiacenti agli afferenti del nervo vago. E’ stato dimostrato che l'attivazione del PPARa ha un effetto anticonvulsivante I pazienti che effettuano dieta chetogenica e devono essere sottoposti ad una anestesia generale hanno un maggior rischio rispetto alla popolazione standard di sviluppare:1)acidosi metabolica 2)alterazioni severe della glicemia 3)sindrome da propofol (in particolare nei pazienti pediatrici). Per questi motivi per eseguire l’anestesia generale in questi pazienti bisogna monitorare nel periodo intra e postoperatorio la glicemia e lo stato metabolico tramite emogasanalisi seriate e scegliere accuratamente i farmaci da somministrare. Elenchiamo di seguito quelli che sono stati utilizzati senza conseguenze e quindi considerati sicuri: •Alogenati (alotano,isoflurano e sevorane)•Tiopentale sodico•Benzodiazepine (midazolam)•Oppiacei (fentanyl e morfina) •Curari (vecuronio , mivacurium, pancuronio e succinilcolina) Tra le soluzioni infusionali:•Soluzione Fisiologica•Ringer Lattato •Albumina BIBLIOGRAFIA 1. Munari C, Lo Russo G, Minotti L, Cardinale F, Tassi L, Kahane P, Arancione S, Hoffmann D, Benabid AL. Presurgical strategies and epilepsy urgery in children: comparison of literature and personal experiences. Child’s Nerv Syst. 1999; 15:149-57 27 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 2. William O, Tatum IV, Selim R, Benbadis MD, Fernando L. The neurosurgical treatment of epilepsy. Arch Fam Med 2000; 9: 1142-7 3. Pomata HB, Gozales R, Bartuluchi M, Petre CA, Circolo C, Caraballo R, Cersocimo R, Tenembaum S, Soprano AM, Medina CS, Rabinowicz A, Waisburg H, Taratuto AL, Monges J. Extratemporal epilepsy in children:candidate selection and surgical treatment. Childs Nerv Syst 2000; 16: 842-50. 4. Soriano SG, Eldredge EA, Wang FK, Kull L, Madsen JR, Black PM, Riviello JJ, Rockoff MA. The effect of propofol on intraoperative electrocorticography and cortical stimulation during awake craniotomies in children. Paediatr Anaesth 2000; 10: 29-34 5. Keene DL, Whiting S, Ventureyra EC. Electrocorticography. Epileptic Disord 2000; 2:57-63 6. Inoue S, Hayashi K, Shigemi K, Tanaka Y. An anesthetic experience of epileptic focus resection in a nine month-old girl under monitoring by electrocorticography. Masui 2000; 49: 667-70 7. Mc Neely JK. Perioperative management of a paediatric patient on the ketogenic diet: case report. Paediatr Anaesth 10: 103-6; 2000 8. Hisada K, Morioka T, Fukui K, Nishio S, Kuruma T, Irita K, Takahashi S, Fukui M. Effects of sevoflurane and isoflurane on electrocorticographic activities in patients with temporal lobe epilepsy. J Neurosurg Anesthesiol 2001; 13:333-7 9. Wass CT, Grady RE, Fessler AJ, Cascino GD, Lozada L, Bechtle PS, Marsh WR, Sharbrough FW, Schroeder DR. The effects of remifentanil on epileptiform discharges during intraoperative electrocorticography in patients undergoing epilepsy surgery. Epilepsia 2001; 42: 1340-4 10. Valencia I, Pfeifer H, Thiele E: General anesthesia and the ketogenic diet:clinical experience in nine patients. Epilepsia 2002; 43: 525-29 11. Fu J, Gaetani F, Oveisi F : Oleylethanolamide regulates feeding and body weight through activation of the nuclear receptor PPARα. Nature 2003; 425: 90-93 12. Baumeister FAM, Oberhoffer R, Liebhaber GM, Kunkel J, Eberhardt J, Holthausen H, Peters J: Fatal propofol syndrome in association with ketogenic diet. Neuropediatrics 2004;35: 250-2 13. Cullingford T: The vagus nerve : a common route for epilepsy therapies? The Lancet Neurol 2004; 9: 518 14. Kossoff EH : More fat and fewer seizures: dietary therapies for epilepsy Lancet Neurol 2004;3: 415-20 Il trauma toracico in età pediatrica: nuove possibilità terapeutiche A. CINQUESANTI S.S. Rianimazione Pediatrica Azienda Ospedaliera "Ospedali Riuniti" di Foggia Il politrauma è responsabile della metà dei decessi in età pediatrica. Nei 2/3 dei casi è conseguente a caduta od incidente d’auto. Ruolo importante nella prognosi del politrauma è rappresentato dalla presenza di un trauma toracico.Quando al trauma toracico si associa il trauma addominale e/o cranico la mortalità cresce notevolmente. Le cause di morte per trauma toracico più frequenti sono l’emotorace ed il pneumotorace ipertensivo, quest’ultimo in grado, per la elevata compliance del mediastino nel bambino, di determinare spostamenti tali da dare immediate gravi ripercussioni emodinamiche. Il trauma toracico chiuso, più frequente di quello penetrante (85% vs. 15%), è dovuto ad improvvisa trasmissione di energia cinetica (contatto diretto con superficie o trasmissione di onda d’urto in un’esplosione) sulla parere toracica, la cui elasticità può far sì che tutta l’energia si trasmetta ai visceri intratoracici, senza che vi siano lesioni ossee della gabbia. 28 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La contusione di uno od entrambi i polmoni è quindi una della evenienze che possono verificarsi in caso di trauma chiuso del torace. Anatomopatologicamente la lesione da trauma toracico si configura in una rottura alveolocapillare con edema perilesionale, successiva infiltrazione emorragica alveolare ed interstiziale con un quadro di vera e propria alveolite necrotico-emorragica. A ciò si aggiunge un passaggio di fluido ad alto contenuto proteico nell’alveolo, per un aumento della permeabilità della membrana alveolocapillare, conseguente ad un danno sia dell’endotelio sia dell’epitelio alveolare. Quindi passaggio di liquido e di cellule dal capillare all’interstizio e da questi nell’alveolo, formazione nell’alveolo di membrane ialine, liberazione da parte dei macrofagi di citokine (Il 1-6-8-10) e di fattore di necrosi tumorale alfa (TNFa) stimolanti la chemiotassi e l’attivazione dei neutrofili che a loro volta migrano e liberano proteasi, leucotrieni, sostanze ossidanti, fattore di attivazione delle piastrine (PAF) ed altre sostanze ad azione proinfiammatoria. A questa situazione si aggiunge spesso il danno da ventilazione meccanica tradizionale, in situazioni in cui è richiesto un aumento della FiO2 e si verifica un incremento delle pressioni di picco inspiratorio. Clinicamente il danno polmonare acuto si manifesta con aree di atelettasia e soprattutto con riduzione dell’ossigenazione ematica. Sono state proposte varie modalità di trattamento. Tra queste ruolo predominante è rivestito da una ventilazione polmonare di tipo protettivo in cui i polmoni, reclutati con manovra opportuna, vengono mantenuti aperti con una PEEP di almeno 8 cmH2O e con un volume corrente ridotto tale da evitare un volutrauma. Alla ventilazione protettiva si associano manovre di pronosupinazione ed il BAL con surfattante. Il surfattante è una sostanza lipoproteica, prodotta soprattutto da pneumociti di II tipo, in grado di ridurre la tensione superficiale all’interfaccia aria-acqua nell’alveolo, senza interferire con gli scambi gassosi e prevenendo il collasso alveolare in fase espiratoria. E’per gran parte costituito da lipidi ( tra i fosfolipidi è abbondantissima la DIPALMITOILFOSFATIDILCOLINA, la sostanza più direttamente responsabile della funzione tensioattiva del surfattante) mentre la quota proteica sembra essere più direttamente interessata alle funzioni antibatteriche e di difesa che pure ha il surfattante. Tra le principali funzioni del surfattante, alcune delle quali direttamente interessate a contrastare il meccanismo fisiopatologico dell’ARDS, particolare importanza riveste la funzione di stabilizzazione della pervietà delle vie aeree più piccole. Da ricordare anche l’attività diretta ed indiretta contro agenti patogeni, legata soprattutto alla componente proteica. Nella contusione polmonare le funzioni del surfattante sono compromesse, non tanto per una sua minore produzione o per una riduzione del suo turnover conseguenti a danno cellulare alveolare, quanto perché si verificano modificazioni chimico-fisiche del surfattante presente o prodotto, tali da renderlo inefficace o inattivo (azione anche delle proteine plasmatiche fuoriuscite nell’alveolo e dei mediatori dell’infiammazione provenienti dai neutrofili) Nella pratica clinica esistono vari tipi di surfattante: naturali (modificati) e sintetici. Nella nostra pratica clinica abbiamo impiegato surfattante naturale modificato, di origine suina, (Curosurf®), privo di quella componente proteica che ha funzione di difesa contro agenti patogeni. Diverse sono le modalità di somministrazione del surfattante. 29 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’instillazione tracheale viene eseguita mediante un sondino che superi di poco l’estremità distale della sonda tracheale. In genere viene eseguita dopo un BAL, dopo aver reclutato il polmone, per mantenerlo aperto (insieme con la PEEP) L’instillazione selettiva viene eseguita (con vario strumentario) per trattare specificamente una circoscritta regione polmonare atelettasica. L’aerosolizzazione del surfattante è la metodica che dà risultati meno soddisfacenti (solo il 5% raggiunge gli alveoli e spesso il surfattante viene denaturato dal processo di aerosolizzazione) Il BAL è la metodica utilizzata per i nostri casi clinici: consente di rimuovere mediante lavaggio con soluzione tensioattiva materiale necrotico e comunque estraneo, consente di rimuovere i fattori di flogosi inibenti ed inattivanti e, con il bolo suppletivo finale, consente di mantenere pervio il polmone reclutato prevenendone l’atelettasia. La metodica prevede il recupero della maggior quantità possibile di liquido instillato, una ventilazione con O2 al 100%, l’esecuzione di manovre posturali per favorire la diffusione del surfattante. I risultati attesi e raggiunti stabilmente riguardarono il miglioramento degli scambi gassosi, la riduzione della PIP con aumento della compliance, risultati che verosimilmente hanno ridotto i tempi di ventilazione e di conseguenza i tempi di ricovero in TI. 1. Bambino di 2 anni. Giunge intubato da un ospedale della provincia di Bari (Barletta) Trauma chiuso del torace con contusione basale dx ed atelettasia lobo superiore sn (muco?) Sottoposto subito a BAL : a 3 ore netto miglioramento con minima disventilazione del segmento dorsale lobo superiore dx Il bambino viene ventilata per un solo giorno e subito dopo dimessa dalla TI (in Pediatria dopo 3 gg.) 2. Bimba di 3 anni ricoverata per trauma chiuso del torace con contusioni polmonari basali bilaterali e frattura di femore sn. BAL e miglioramento del quadro emogasanalitico L’Rx torace a distanza di 3 h mostra completa risoluzione delle contusioni Estubata dopo 1 giorno. Esito positivo 3. Vittima di incidente stradale. 14 anni trauma chiuso del torace e trauma cranico La TAC torace evidenzia una contusione polmonare apicale dx, basale dx e minima a sn Il BAL fu eseguito immediatamente ed altrettanto immediati furono i risultati clinici. La TAC a 3 ore dimostra la risoluzione Per il BAL rimangono ancora una serie di problemi ancora aperti, riguardanti la modalità di esecuzione, il volume da somministrare, la diluizione ottimale, il tipo di surfattante da usare, il timing (la somministrazione deve essere sicuramente precoce ma si discute se eseguirla profilatticamente, prima che si verifichi l’atelettasia, o alla comparsa del quadro clinico. 30 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 E’ comunque di estrema importanza, a nostro parere, la scelta della patologia da trattare. Per quella che è la nostra esperienza, il BAL è efficacissimo quando c’è un danno polmonare primitivo caratterizzato dalla presenza di materiale necrotico o comunque estraneo nel polmone, efficace in altre patologie primitive polmonari quali le polmoniti, le bronchioliti. Molto meno efficace quando la patologia polmonare è secondaria ad una malattia sistemica: mucoviscidosi, grave sindrome respiratoria secondaria ad un trattamento antiblastico, nelle cardiopatie congenite non correggibili, nella MOF. Anestesia nel paziente neurochirurgico P. CIRITELLA, A. DEL GAUDIO, P. DE VIVO SC Anestesia e Rianimazione Il Ospedale "casa Sollievo della Sofferenza" IRCCS - San Giovanni Rotondo (Fg) “Based general anestesia increased the amount of brain swelling and worsened the outcome of neurosurgical procedures when compared to local anesthesia ...". Così scriveva H. Cushing, uno dei padri della neurochirurgia, il 23.02.1918. Nonostante questa affermazione, in particolare negli ultimi 20 anni, le tecniche di neuroanestesia hanno contribuito notevolmente allo sviluppo della neurochirurgia. In particolare dalla fine degli anni '80 in poi l'impiego degli anestetici endovenosi (propofol) si è dimostrato più vantaggioso rispetto agli agenti inalatori, negli interventi neurochirurgici, anche se studi clinici definitivi in tal senso non sono stati ancora pubblicati. In neuroanestesia va posta particolare attenzione all'azione dei farmaci sul flusso ematico cerebrale (cerebral blood flow = CBF). Il CBF, infatti, provvede a fornire al cervello sia il necessario substrato energetico, e rientra nel meccanismo di controllo, sia pur indirettamente, della pressione intracranica (intracranial pressure = ICP). L’anestesia per la neurochirurgia presenta, quindi, delle problematiche diverse rispetto all’anestesia per altre branche chirurgiche; deve infatti, tenere in considerazione i suoi effetti i sull' ICP e sulla pressione arteriosa sistemica il cui controllo è di estrema importanza nella chirurgia di alcune neoplasie intracraniche, nel clipping di aneurismi e nell' asportazione di malformazioni artero-venose (MAV). Inoltre non è da sottovalutare l' azione di protezione cerebrale svolta dagli anestetici generali endovenosi, in particolare tiopentone sodico e propofol. Gli anestetici endovenosi garantiscono un' induzione più pronta ed il superamento della fase eccitatoria con un rapido approfondimento dell'anestesia che si accompagna a riduzione dell'attività simpatica. Sebbene i boli di ipnotici e particolarmente del propofol posssono determinare brusche riduzioni della pressione arteriosa e quindi della pressione di perfusione cerebrale, questo effetto è generalmente predicibile e dose dipendente. Inoltre piego di tecniche più avanzate di somministrazione del farmaco e cioè la Target Controlled Infusion (TCI) riesce a fronteggiare meglio questo problema. Gli anestetici endovenosi offrono una maggiore stabilità dell'omeostasi intracranica ed un maggior controllo del metabolismo cerebrale rispetto agli anestetici inalatori. Sono vasocostrittori cerebrali e deprimono il metabolismo cerebrale sia del glucosio che dell' ossigeno. Svolgono azione antiepilettica e l'accoppiamento flusso/metabolismo, la reattività alla CO2, e l'autoregolazione cerebrale restano immodificati durante il loro utilizzo. La nocicezione e l'attivazione simpatica aumentano la richiesta metabolica del sistema nervoso centrale e contribuiscono, attraverso meccanismi di tipo biochimico (rilascio di aminoacidi eccitatori ed attivazione dei pathways dell’ossido nitrico) e neuroplastico, ad attivare la cascata di eventi innescata dall'ischemia cerebrale. 31 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Per questi motivi un più adeguato controllo del dolore è un altro riconosciuto vantaggio dell 'anestesia totale endovenosa. In considerazione delle caratteristiche della nocicezione in neurochirurgia (molto alta in alcune fasi come IOT, posizionamento testiera di Mayfield, apertura lembo osteo-durale, chiusura osteo-durale, chiusura tegumenti, estubazione, ma pressocchè assente nelle fasi centrali dell'intervento e cioè durante le manipolazioni del parenchima) e delle vantaggiose caratteristiche farmacologiche del remifentanil, questo è l'oppiaceo di scelta nella neurochirurgia delle lesioni intracraniche. Il remifentanil è un agonista dei recettori μ le cui più significative caratteristiche farmacocinetiche consistono in un rapido onset ed in un altrettanto rapido context sensitive halftime. Infatti il metabolismo del remifentanil non segue le usuali tappe di degradazione e di eliminazione epato-renali ma utilizza l’azione e di esterasi plasmatiche che ne scindono direttamente e rapidamente la molecola, inattivandola. Queste caratteristiche ben si addicono ad un farmaco da utilizzare in neurochirurgia in quanto esso consente: 1) di modulare il piano di anestesia "titolandolo" secondo le necessità del momento chirurgico e delle necessità del paziente; 2) di programmare un risveglio molto rapido e senza code, nel caso in cui l'intervento chirurgico e le condizioni pre-operatorie ed attuali del paziente lo consentano; 3) di instaurare un regime di analgo-sedazione in terapia intensiva, continuando la somministrazione degli stessi farmaci utilizzati durante l'anestesia, riducendo le dosi di propofol utilizzate ed assicurando un risveglio molto rapido, senza accumulo di farmaco, alla fine del più o meno lungo periodo di sedazione. Riassumendo: il remifentanil è farmaco di scelta per coprire le fasi a maggior componente nocicettiva sia in schemi di anestesia endovenosa, che inalatoria con alogenati, vanno esercitate precauzioni per evitare depressione di circolo e di respiro sia in induzione che al risveglio, permette di realizzare tutti gli schemi e tipi di analgosedazione, anestesia generale e anestesia "da sveglio", permette di passare dall'anestesia all'analgosedazione in T.I., va prevista e contrastata l'insorgenza di dolore alla sua sospensione. In conclusione riteniamo che al momento attuale la disponibilità di farmaci per la TIVA come il propofol ed il remifentanil, soprattutto se impiegati in TCI, costituisca la migliore risposta alle richieste della moderna neurochirurgia. Non ultima la neurochirurgia di aree eloquenti in cui è raccomandata la craniotomia a paziente sveglio. Bibliografia 1. Todd MM, Wamer DS, et al: A prospective, comparative trial of three anesthetics for craniotomy. 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A review. J Neurosurg Anesthesiol 1999; 11:282-293. 32 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 8. Zattoni J, Rossi A, Cella F, et al: Propofol 1 % and propofol 2% are equally effective and well tolerated during anaesthesia of patients undergoing elective craniotomy for neurosurgical procedures. Minerva Anestesiol 2000;66:531-537 9. Coles JP, Leary TS, Monteiro JN, et al: Propofol anesthesia for craniotomy: a double-blind comparison of remifentanil, alfentanil, and fentanyl. J Neurosurg Anesthesiol 2000;12:15-20 10. Del Gaudio A.. CiritellaP: TIVA/TCI in neurochirurgia. In TIVA-Anestesia Totalmente Endovenosa. I principi e la pratica clinica. Eds: P. De Vivo e P. Mastronardi. Edizioni Madeia, Napoli, dicembre 2001 11. Del Gaudio A, Ciritella P, Perrotta F, et al: Remifentanil vs fentanyl with a target controlled propofol infusion in patients undergoing craniotomy for supratentorial lesions. Minerva Anestesiol. 2006 May;72(5):309-19. La teratogenicità dei farmaci anestetici A. CLAVENNA Centro di Informazione sul Farmaco e la Salute, Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano La prescrizione e l’impiego di farmaci in gravidanza rappresenta una scelta delicata: alle considerazioni riguardanti l’efficacia e sicurezza dei medicinali si aggiungono, infatti, quelle sui possibili effetti indesiderati a carico del feto. A complicare ulteriormente le decisioni terapeutiche c’è la scarsità di studi e ancor più di disponibilità di informazioni nel momento decisionale sulla sicurezza di impiego dei farmaci nel corso di un evento (gravidanza, parto) che è nella maggioranza dei casi fisiologico. Il 2-3% delle gravidanze ha come esito la nascita di un neonato con una malformazione; nella maggior parte dei casi la causa è sconosciuta, e solo il 10% dei difetti congeniti sarebbe associato a fattori ambientali (malattie materne, esposizione materna a sostanze tossiche, radiazioni o farmaci). Tutti i farmaci sono in grado di attraversare la placenta, ad eccezione di alcune molecole di grosse dimensioni (insulina, eparina). Il passaggio dei farmaci attraverso la placenta avviene prevalentemente attraverso un meccanismo di diffusione passiva, e il gradiente di concentrazione del farmaco che si instaura tra il plasma materno e quello fetale è il principale fattore che determina il passaggio transplacentare. Ciò implica che per farmaci a breve emivita o scarsamente assorbiti (farmaci ad uso topico) la quantità che attraversa la placenta è trascurabile. Il passaggio transplacentare dei farmaci dipende inoltre dalle caratteristiche fisico-chimiche del farmaco (peso molecolare, liposolubilità; grado di ionizzazione, legame proteico); dallo spessore e superficie della placenta che variano con il progredire della gravidanza; dal flusso plasmatico uteroplacentare. Il fatto che un farmaco passi la placenta non significa necessariamente che causi malformazioni in tutti i feti esposti in utero. Tra i fattori che possono determinare l’effetto di un farmaco sul prodotto del concepimento, i principali, oltre alla teratogenicità “intrinseca”, sono: la dose, la durata della terapia e il periodo in cui il farmaco è stato assunto. Dose: per quanto siano poco conosciuti i meccanismi alla base degli effetti teratogeni, per molti dei medicinali in grado di interferire con il normale sviluppo del feto sembra esistere una dosedipendenza. Per alcuni medicinali sembra esistere una soglia al di sotto della quale non compaiono gli effetti sul feto; spesso però non è possibile determinare con precisione quale possa essere tale soglia di “non tossicità”. In ogni caso, maggiore è la dose di farmaco assunto e più elevati saranno i livelli plasmatici; una quota maggiore di farmaco sarà quindi in grado di attraversare la placenta e di raggiungere il compartimento embrionale. 33 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Durata della terapia: l’assunzione occasionale di un farmaco è raramente in grado di causare malformazioni o danni funzionali. Maggiore è la durata dell’esposizione al farmaco e maggiore è il rischio di comparsa di malformazioni o di altri effetti avversi sullo sviluppo fetale. Periodo gestazionale: La possibilità di causare effetti sullo sviluppo del feto e il tipo di effetti dipende dal periodo della gravidanza in cui il farmaco viene assunto. Periodo preconcezionale. Ci sono farmaci (p.es. alcuni antiblastici) che possono alterare il corredo cromosomico della linea germinale maschile e femminile. La loro assunzione prima del concepimento può comportare un aumento del rischio di malformazioni. Anche l’assunzione preconcezionale di teratogeni dotati di un’emivita molto lunga può causare malformazioni. In alcuni casi l’assunzione di farmaci prima del concepimento è in grado di ridurre il rischio di comparsa di malformazioni. È il caso dell’acido folico: l’efficacia della supplementazione con questa vitamina nel ridurre l’incidenza dei difetti del tubo neurale è ampiamente documentata. Concepimento-impianto. I primi 21 giorni dopo il concepimento rappresentano il periodo in cui l’effetto del farmaco è definito “tutto o nulla”. In questo periodo, infatti, il farmaco o causa un aborto spontaneo, oppure la gravidanza procede normalmente. Periodo dell’organogenesi. III-VIII settimana di gravidanza. Rappresenta il periodo di maggiore sensibilità per eventuali malformazioni. Dal momento che la formazione e differenziazione degli organi avviene in tempi differenti, la sensibilità ad un teratogeno in un determinato periodo gestazionale varia a seconda degli organi e apparati. Periodo dello sviluppo fetale (II-III trimestre). Terminata l’organogenesi, i possibili effetti indesiderati di un farmaco sono rappresentati soprattutto da difetti funzionali, rallentamento della crescita intrauterina, rischio di aborto spontaneo/morte fetale. Travaglio e parto. Alcuni farmaci possono aumentare o ridurre la contrattilità uterina e sono perciò in grado di allungare o diminuire la durata del travaglio. Alcuni farmaci se assunti in prossimità del parto possono causare effetti indesiderati nel neonato. Questi effetti possono essere dovuti alla sospensione dell’esposizione al farmaco (sindrome di astinenza neonatale), oppure all’azione del farmaco stesso. Per quanto riguarda gli anestetici, gli studi epidemiologici riguardanti l’uso in gravidanza non hanno osservato un’associazione con un aumento del rischio teratogeno. L’impiego di anestetici durante il parto può, invece, causare effetti indesiderati fetali (p.es. alterazioni della frequenza cardiaca) e/o neonatali (p.es. depressione respiratoria). Alcuni studi epidemiologici hanno, infine, osservato un aumento del rischio di aborto spontaneo in seguito a esposizione occupazionale a gas anestetici. È stato segnalato anche un aumento del rischio di malformazioni, ma un’associazione causale con l’esposizione a gas anestetici non è ad oggi documentata. In ogni caso, al primo sospetto di gravidanza le lavoratrici addette alla sala operatoria devono essere adibite ad altre mansioni. La riabilitazione precoce nel grave neuroleso midollare E. COMINELLI, M. TADDEI* Responsabile della degenza, *Terapista della riabilitazione Unità Spinale di Careggi - Firenze La lesione midollare è un evento talmente drammatico ed invalidante da porre il problema degli esiti funzionali ancora prima che sia sciolta la prognosi sulla vita. In effetti nel giro di pochi giorni si possono instaurare meccanismi autonomi di compenso che richiederanno un grande impegno sia al paziente che all’ équipe riabilitativa per essere superati e neutralizzati, quando si sia ancora in tempo. 34 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Nella fase dell’emergenza si può non avere un inquadramento clinico definitivo quoad valetudinem, ed in effetti per molti soggetti si riesce ad avere una valutazione del recupero neurologico ben approssimata solo all’uscita dalla fase di shock (dopo 1 / 2 settimane dal trauma). In questo caso l’esperienza specifica del clinico che esegue la prima valutazione al Pronto Soccorso può fare la differenza, ma l’esame principale su cui si base la diagnosi, cioè l’ASIA, richiede un paziente cosciente, non alterato, capace di collaborazione ; quando queste caratteristiche non sono presenti aumenta il rischio di attribuire residui funzionali in realtà assenti o, peggio, sottostimare il danno. E’ quindi una misura prudenziale trattare ogni neurologico midollare grave in prospettiva di una lesione non reversibile. Tradizionalmente il paziente midollare ha una decubito supino obbligato, almeno fino all’intervento di stabilizzazione, ma spesso anche oltre. Anche se l’impiego di letti e materassi altamente protettivi ha drasticamente ridotto la necessità del posizionamento alternato, ha comunque ridotto anche i benefici legati ai cambi di posizione, soprattutto per la cura della cute e per la ventilazione polmonare. La prima prevenzione per le lesioni da decubito è rappresentata dalla: Cura posturale Strettamente legata al livello di lesione sarà la posizione spontanea che il paziente tenderà ad assumere (fig.1). In particolare l’innervazione residua dei muscoli trapezio,scaleni, sternocleidomastoideo, romboide, spleni del capo e del collo imporranno un avvicinamento rigido ed obbligato del torace alla testa con perdita della lunghezza del collo. Questa postura non verrà contrastata da alcuna struttura muscolare per la paralisi dei muscoli addominali e del gran dentato. Oltre ad essere un pericolo per la deformità del cingolo scapolare e per l’atteggiamento della testa , in questo modo il paziente escluderà l’unico movimento di compenso all’eventuale insufficienza ventilatoria e cioè il reclutamento degli apici polmonari mediante l’elevazione attiva del cingolo. Il tronco deve essere ben allineato, evitando che l’angolo tronco coscia superi i 30° , con una postura stabile che non permetta alcun tipo di scivolamento sul sacro. Peraltro ricordiamo che la posizione semiseduta svantaggia notevolmente la ventilazione in questi soggetti e si deve limitare agli intervalli dei pasti. 35 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Fig. 1 Posizionamento Semifowler 30° Gli arti inferiori dovrebbero essere in lieve elevazione rispetto al tronco e comunque mai declivi, il ginocchio mantenuto in lieve flessione per non bloccare il cavo popliteo e l’anca allineata per evitare l’extrarotazione. L’angolo della caviglia va mantenuto a 90°. Ovviamente la mancanza di sensibilità sia proprio che esterocettiva impone un controllo costante del posizionamento da parte del personale e un riposizionamento immediato in caso di postura scorretta (il cingolo scapolare può necessitare di un aggiustamento praticamente orario). 36 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Preparazione della mano automatica Gran parte dell’autonomia futura di un tetraplegico passa dall’impostazione di un efficiente effetto tenodesico delle mani. Inoltre la presenza di un livello C5 integro a fronte di una mano denervata impone un atteggiamento di flessione del gomito e supinazione dell’avambraccio che non viene contrastata dagli antagonisti , con una postura dell’arto superiore non funzionale che si istaura nel giro di pochi giorni ( fig!) Per quanto riguarda il gomito, se il paziente non riuscirà ad avere un appoggio sul gomito esteso, anche solo passivamente, le sue possibilità di trasferirsi in modo autonomo saranno ridotte a zero. Sulla mano automatica il problema è ancora più complesso. Infatti l’effetto tenodesico si realizza solo se la loggia flessoria conseguirà un effettivo accorciamento delle strutture tendineoligamentose, il che si realizza nelle prime settimane dal trauma o mai più; inoltre presuppone che durante l’iter terapeutico le mani vengano salvaguardate in modo particolare, evitando l’edema da posizione declive, o peggio, da terapia infusiva, evitando lo stiramento a mano piatta durante le manovre di nursing e pulizia, controllando accuratamente le zone di contatto e macerazione della pelle. In linea di massima la posizione consigliata è il “key grip”, cioè quella della mano che usa una chiave per aprire la porta; si può realizzare con semplici bendaggi a T o anche con fasce morbide o cerotto di carta, a patto di controllare la cute ogni due ore ed eseguire una mobilizzazione accurata di tutte le articolazioni almeno due volte al giorno. Prevenzione dell’insufficienza ventilatoria Presupponendo che il soggetto al momento del trauma non avesse patologie respiratorie conclamate, si può affermare che l’insufficienza respiratoria derivi da un esclusivo deficit di volume, eventualmente complicato da deficit di scambio in caso di compromissione diretta del parenchima polmonare; nelle lesioni dorsali alte e medie in particolare l’associazione con emo37 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 pneumotorace, o necessità di intervento sui grossi vasi o sul mediastino fanno lievitare la gravità del quadro iniziale. A ciò va aggiunto il trauma chirurgico specifico con accesso per via toracotomica. Nelle lesioni dorsali basse o della cerniera dorsolombare in genere si ha un andamento migliore perché la muscolatura è in gran parte conservata, sia per gli intercostali che per gli addominali. Nel tetraplegico e nel dorsale alto la ventilazione è quasi esclusivamente diaframmatica ( se C4 è conservato). Secondo le linee guida AHRQ del 2000 ( vedi bibl.) circa il 35 % dei tetraplegici richiederà una ventilazione meccanica nella fase acuta, e viene sottolineato come il ricorso alla ventilazione invasiva possa tradursi in un ritardo notevole dell’inizio della riabilitazione estensiva dati i tempi di weaning dilatati. La paralisi muscolare che si stabilisce in modo improvviso e massivo induce una modalità ventilatoria faticosa e svantaggiosa che si chiama “discinesia da denervazione” , meglio conosciuta come “ respiro paradosso “ . Durante l’inspirazione il piano sternale si abbassa : dal punto di vista meccanico questa “aspirazione” dello sterno verso la colonna è dovuta alla paralisi dei muscoli parasternali ed alla pressione negativa intratoracica esercitata dal movimento inspiratorio del diagramma. Il deficit che ne risulta è un basso volume inspirato a fronte di un impegno energetico notevole perché il diaframma, perdendo la zona apposizionale per paralisi dei muscoli addominali lavora con una lunghezza tensione svantaggiosa ( legge di Laplace) ; dal punto di vista clinico si traduce in ipossiemia ed in stato di fatica. Perdita della zona apposizionale del diaframma 38 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il basso volume di aria comporta zone disventilate e microatelectasie che a loro volta innescheranno l’iperproduzione di muco e l’ingombro bronchiale ( desaturazione, ipercapnia). Alcuni centri francesi stanno promuovendo il posizionamento prono per tre ore consecutive due volte al giorno per contrastare la disventilazione delle basi, sembra con buoni risultati, ma al momento non ci sono studi pubblicati. Il diaframma posteriore per la sua collocazione anatomica con una larga inserzione su strutture fisse paravertebrali è di norma in grado di assicurare un volume corrente stabile, ma a fronte di richieste energetiche aumentate ( per ingombro o febbre) non possono essere reclutati che piccoli volumi di riserva dal momento che il diaframma anteriore, con una inserzione mobile su strutture senza controllo nervoso, non può contrarsi in modo efficace. A fronte di una richiesta di alti volumi il deficit si evidenzia, soprattutto quando si richiede la massima forza espulsiva per tossire. Dal momento che la tosse fisiologica avviene ad alti volumi e con cocontrazione delle strutture toraciche e addominali, è ovvio che con volumi minimi e muscoli paralizzati la tosse non sarà realizzabile. Nel trattamento di questa fase si cerca di contrastare gli effetti meccanici della paralisi con la stabilizzazione della parete addominale e della parte bassa del torace ( contenimento dei visceri con pancera e/o fascia toracica per avvantaggiare la parte apposizionale del diaframma) , con un posizionamento adeguato che mantenga le spalle protratte e depresse, con la somministrazione di boli di aria e manovre di accompagnamento toracico per mimare la tosse, eventuale uso di inexufflator a scopo di drenaggio bronchiale, con trattamenti di riespansione periferica e contrasto del gap disventilatorio ( cambi di posizione, freno espiratorio alla bocca, insufflazione con apparecchi specifici- bipap, IPV2 percussionaire). Con il passare delle settimane il tono sottolesionale crescerà (de Troyer sostiene che l’ipertono sarà proporzionale alla gravità della instabilità precedente ) stabilizzando la gabbia e minimizzando il paradosso. Ma anche questo compenso è destinato a diventare svantaggioso perché ne conseguirà il grado di restrittività effettivo della fase cronica. Nell’AHRQ si trovano riferimenti all’utilità di iniziare manovre di riespansione meccanica a scopo di stretching toracico per contrastare questa tendenza. Prevenzione delle complicanze vascolari : trombosi venosa profonda e embolia polmonare Contendono all’insufficienza respiratoria il primato di causa di morte in fase precoce dopo danno midollare. Ammontano ad una percentuale stimata di 25-30% in fase acuta ( in letteratura dal 5 al 100 % a seconda dei metodi di indagine e del campione di pazienti indagati ). La frequenza di TVP non mostra significative differenze fra lesioni complete e incomplete. Il trattamento preventivo comprende : - uso di calze lunghe a basso livello di compressione nelle 24 ore - posizionamento degli arti inferiori in lieve scarico e mai in posizione declive - mobilizzazione attiva assistita o passiva di tutti i distretti con particolare attenzione alla suola venosa coinvolta dalla dorsiflessione della caviglia - pressoterapia pneumatica alternata per almeno tre ore al giorno nei primi trenta giorni dal trauma - terapia farmacologia con eparina a basso peso molecolare - controlli seriati con ecocolordoppler. Al momento che la TVP fosse instaurata il suo trattamento contempla l’ uso di farmaci quali la Eparina sodica e.v, dicumarolici, filtro cavale ( se trombo flottante ), oltre che l’immobilizzazione. 39 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Prevenzione delle lesioni da pressione L’incidenza delle piaghe da decubito varia dal 50% all’80% della popolazione mielolesa con un’incidenza del 32-40% durante il primo ricovero. Peraltro il dato più sconfortante riguarda le recidive, che interessano il 60 -80 % dei pazienti già colpiti. ( fonti del Model System USA ). La pressione diretta su una sporgenza ossea è il primo fattore riconosciuto e per ogni tessuto è prevedibile una soglia pressione/tempo: in linea di massima una pressione minore per un tempo prolungato è più dannosa di una pressione elevata mantenuta per breve tempo. La soglia di ischemizzazione è strettamente legata alla pressione arteriosa: in un paziente fortemente ipoteso come il tetraplegico si raggiunge in tempi molto ridotti ( in decubito supino la compressione sull’osso sacro può raggiungere i 100 – 150 mmHg , in posizione seduta la pressione sulle tuberosità ischiatiche arriva a 300 mmHg). Al fattore pressione tempo si aggiungono le forze di taglio, da scivolamento, che determinano microtrombosi locali, ostruzione e ressi dei piccoli vasi con conseguente infarcimento ematico, ipossia e necrosi tissutale profonda. Possiamo aggiungere aggravanti come l’attrito o frizione (spostamenti nel letto) e macerazione ( incontinenza urinaria o fecale). Va da sè che la mancanza di sensibilità, l’immobilità e fattori metabolici legati allo stato di autonomic impairment giocano a loro volta un ruolo fondamentale. In conclusione si può definire riabilitazione precoce nel paziente con lesione midollare la attenta cura delle condizioni del paziente che impediscano lo svilupparsi di quelle complicanze della fase acuta che rappresentano il danno terziario della mielolesione. Il midollo spinale di un paziente traumatizzato midollare può mantenere delle chances di ripresa neurologica che devono essere potenziate e non ridotte dal trattamento intensivo spesso necessario per mantenere in vita il paziente stesso. BIBLIOGRAFIA 1. De Vivo M.J., Black K.J., Stover S.L.. Causes of death during the first 12 years after spinal cord injury. Arch Phys Med Rehabil 1993; 74: 248-54 2. Agency for Healtcare Research and Quality U.S.Department of Healt and Human Service: Evidence Report/ Tecnology Assessment on treatment of pulmonary disease following 40 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Cervical spine Cord Injury AHRQ publication n0 01-E014 sep. 2001 (www.ahrq.gov/) 3. Jackson A.B., Groomes T.E.. Incidence of respiratory complications following spinal cord injury. Arch Phys Med Rehabil 1994; 75 (3): 270-275 4. Aito S.. Indagine epidemiologica sulle lesioni midollari in Toscana. Associazione Toscana Paraplegici, Regione Toscana Firenze, Ottobre 1999 5. Frankel H.L., Coll J.R., Charlifue S.W., Whiteneck K.R., Nuseibet I., Savic G., Sett P.. Long-term survival in spinal cord injury : a fifty year investigation. Spinal cord 1998; 36 (4): 266-274 6. Società medica italiana di paraplegia. Manuale So.M.I.Par. Edizioni Goliardiche 7. Soudon P. Steens M. Toussaint M Daèsobstruction tracheobronchique chez les patients restrictifs majeurs paralisis Respir. 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Neurochirurgia,Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”IRCCS,San Giovanni Rotondo I progressi degli ultimo 30 anni nel campo dell’informatica,della fisica e delle scienze biomediche insieme all’introduzione del microscopio operatorio hanno creato i presupposti per una”nuova” neurochirurgia caratterizzata dalla precisione nell’orientamento anatomico e nelle manipolazioni delle strutture nervose fino al raggiungimento di un progressivo “minimalismo” chirurgico.Gli sviluppi dell’imaging e una più raffinata conoscenza dell’anatomia chirurgica sono stati coniugati attraverso avanzati sistemi computerizzaticon le componenti anatomiche e funzionali dell’atto chirurgico. (neuronavigazione,neurofisiologia intraoperatoria).Nuovi concetti di Stereotassi si stanno delineando con l’utilizzo del controllo vocale,dell’olografia real-time,della robotica e della telerobotica.Nel campo della Neurochirugia Funzionale la radiochirugia stereotassica ha visto l’estensione di applicazioni ,oltre che alle patologie neoplastiche e malformative vascolari, al trattamento dei disordini del movimento,del dolore,dell’epilessia e dei disturbi psichici.La neurostimolazione di target profondi è divenuta popolare per il trattamento del m.di Parkinson e di altri disrordini del movimento.Sono in studio applicazioni per l’epilessia,i disturbi ossessivicompulsivi e per la neuroriparazione . La Neuroendoscopia si sta mostrando un utile strumento chirurgico per il trattamento dell’idrocefalo e di patologie intraventricolari e spinali.La possibilità di utilizzare unità di simulazioni per l’endoscopia virtuale offre promesse di applicazioni cliniche. La Chirurgia Endovascolare sta attraversando un periodo di grande espansione e sta sempre più validamente sostituendo la chirurgia a cielo aperto nel trattamento delle lesioni cerebrovascolari steno-occlusive e malformative. Le nuove frontiere della neurochirurgia sono fortemente condizionate dallo sviluppo nel campo delle scienze informatiche,dell’imaging,della biologia molecolare,della bioingegneria e della farmacologia anestesiologica e rianimatoria.I rapidi cambiamenti caleidoscopici degli ultimi anni stanno reinventando quei concetti fondamentali della neurochirurgia acquisiti solo poche decadi fa Il futuro vede l’emergere dei concetti di neurochirugia molecolare e ellulare (Nanoneurochirurgia) (trasferimento di informazioni genetiche, di cellule staminali,etc.) .Grazie all’utilizzo di nanotecnologie questa metodica potrà avere un ruolo significativo sia nella terapia delle patologie neoplastiche e neurodegenerative che nei recuperi funzionali di aree cerebrali o midollari lese. (Neurochirurgia Riparatrice) 42 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Emergenza per le grandi opere: il modello toscano D. DE LUCA Azienda Sanitaria di Firenze, UFMA Emergenza Grandi Opere LE FINALITA’ DEL PROGETTO Nei primi mesi del 1996 la Regione Toscana convocò la società Treno Alta Velocità (TAV), il Consorzio Alta velocità Emilia Toscana (CAVET), l’Azienda Sanitaria 10 – Firenze, l’Azienda Ospedaliera Careggi facendosi promotrice di un accordo che consentisse la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Firenze-Bologna in condizioni di massima sicurezza. La realizzazione di questa opera suscitava viva preoccupazione in quanto la statistica relativa agli infortuni in opere analoghe (8 Km di galleria in località Incisa durante la realizzazione della tratta Roma-Firenze) faceva prevedere un incidente mortale per ogni Km di scavo oltre a decine di infortuni sul lavoro di rilevante gravità. L’Azienda Sanitaria 10 di Firenze ed il Consorzio CAVET furono invitati a stipulare una apposita convenzione con la finalità di: 1. prevenire gli infortuni sul lavoro e limitarne la gravità garantendo il soccorso sanitario, superando la normativa prevista dal D.P.R. 320/56, secondo i criteri previsti dalla Regione Toscana, anche nei luoghi di lavoro comprese le gallerie. 2. garantire ai lavoratori i servizi e le prestazioni sanitarie fruibili dai cittadini residenti nel territorio della ASL 10. 3. garantire e possibilmente migliorare la qualità e la fruibilità dei servizi sanitari per i cittadini residenti, nonostante l’aumento della popolazione conseguente all’insediamento dei lavoratori impegnati nella realizzazione dell’opera. L’accordo fu raggiunto per la disponibilità dei soggetti interessati, non era obbligatorio né previsto da alcuna normativa. Per la tipologia dei lavori la realizzazione del progetto ha richiesto da parte della ASL 10 di Firenze la costituzione di una struttura che potesse far fronte alle richieste del committente (Consorzio CAVET) con tempestività, flessibilità ed efficacia. I costi relativi alla realizzazione del progetto sono stati sostenuti dal datore di lavoro. Al 31/12/2005 sul versante toscano sono stati realizzati 60564 mt di linea ferroviaria previsti dal progetto. IL SISTEMA DEI SOCCORSI Le modalità con le quali l’Azienda Sanitaria 10 ha operato per la realizzazione di tali obbiettivi consistono in primo luogo nell’organizzazione di un sistema di soccorso sanitario dedicato ai cantieri dell’alta velocità adeguato alla elevata pericolosità delle lavorazioni, tenendo conto del fatto che: ● ogni sistema di soccorso sanitario per quanto complesso ed efficace non deve ingenerare nei lavoratori il convincimento che si possa abbassare la guardia sulla scrupolosa osservanza delle norme di prevenzione degli infortuni. ● che tale sistema dedicato nei luoghi di lavoro non doveva essere finalizzato solo alla gestione delle emergenze ma doveva far fronte anche alle comuni richieste di prestazioni sanitarie da parte dei lavoratori. La scelta del sistema dedicato è stata motivata dalle seguenti ragioni: 43 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 ● la dislocazione dei cantieri in zone decentrate, orograficamente complesse, con viabilità critica non raggiungibili in tempi accettabili dal sistema 118 ● la necessità di disporre di mezzi ed attrezzature idonee per il soccorso nei cantieri e nelle gallerie comprese quelle grisoutose, non comunemente in possesso della rete di soccorso 118. ● la necessità di poter contare su personale sanitario specificamente addestrato all’intervento nei luoghi di lavoro e in gallerie. ● l’opportunità di assicurare ai lavoratori direttamente nei campi base una struttura in grado di fornire l’assistenza sanitaria di base. LE RISORSE DEL SISTEMA DEI SOCCORSI Il sistema di soccorso sanitario nei cantieri CAVET è costituito da: 1. sicuristi preparati da CAVET e dalla Azienda Sanitaria di Firenze alla gestione delle emergenze. 2. personale sanitario della Azienda Sanitaria – Firenze. 3. strutture e mezzi dedicati al soccorso nei cantieri CAVET 4. personale medico impegnato nell’organizzazione del soccorso, preparato dall’Università degli Studi di Firenze – Scuola di specializzazione in Anestesia e Rianimazione 5. sistema di emergenza sanitaria territoriale gestito dalla centrale operativa del 118 – Firenze soccorso 6. personale volontario delle associazioni di volontariato della zona. Il sistema di soccorso sanitario si avvale: 1. della collaborazione del servizio di prevenzione del CAVET 2. della collaborazione del servizio di prevenzione e protezione della ASL di Firenze La responsabilità del coordinamento del sistema compete alla direzione sanitaria aziendale per l’alta velocità nell’ambito della direzione sanitaria della ASL 10. LE COMPONENTI DEL SISTEMA DEI SOCCORSI Il sistema di soccorso dedicato interno ai cantieri è costituito da: • il CIS (coordinamento interno dei soccorsi) gestito da medici che sono a conoscenza della dislocazione dei cantieri della viabilità di soccorso, dei punti di chiamata di soccorso, dei punti di incontro con il sistema 118. Sono responsabili della attivazione in caso di emergenza delle strutture del 118, dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile • 4 infermerie situate nei campi base ed attrezzate per il primo soccorso. Nell’infermeria situata nel CBT5 – Firenzuola e sede del CIS è presente un medico h 24/24 • 1 infermeria in sotterraneo attualmente situata nella galleria Vaglia • personale sanitario (50 medici e 50 infermieri) formato ed addestrato al soccorso sanitario in condizioni critiche al rispetto delle norme di sicurezza all’uso delle protezioni individuali e non, alla conoscenza dei luoghi di lavoro, della planimetria dei cantieri e della relativa viabilità di soccorso • un sistema di collegamenti telefonici in doppia linea e via radio che collegano tra loro i luoghi di lavoro, le infermerie, il CIS, il 118, i VVF ed i mezzi di soccorso interno ai cantieri. • 4 mezzi mobili di soccorso diesel, idonei al soccorso in galleria collegati via radio ed attrezzati per il primo intervento. 44 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 • • 2 mezzi mobili di soccorso in assetto antideflagrante per l’intervento di soccorso nelle gallerie grisoutose. 4 elisuperfici situate in prossimità dei cantieri di lavoro e presso l’ospedale di Borgo S. Lorenzo di cui quella situata nel campo base più decentrato (CBT5) e quella presso l’Ospedale predisposte per l’atterraggio notturno. LE MODALITA’ OPERATIVE DEL SISTEMA • • • • • • • • • • Il sicurista (operatore CAVET che ha ricevuto apposita formazione) attiva il sistema dei soccorsi chiamando con un numero di telefono codificato o via radio il CIS e compie il primo intervento sull’infortunato mettendolo in sicurezza. Attraverso un linguaggio codificato con chi effettua la chiamata il medico del CIS identifica il cantiere, il luogo dell’evento, la sua gravità, il numero e le condizioni dei lavoratori coinvolti. Il CIS allerta l’infermiere dell’infermeria di riferimento per il luogo di lavoro interessato, che si reca sul luogo dell’evento con il mezzo di soccorso attrezzato. Il CIS allerta il 118 comunicando il luogo dell’incontro tra l’equipe dell’unità mobili di soccorso del 118 e quella del soccorso interno ai cantieri. Il CIS allerta gli altri soggetti coinvolti (VVF, protezione civile) oltre al responsabile della sicurezza del CAVET e l'Unità Operativa PISLL (Prevenzione Infortuni Sui Luoghi di Lavoro). Se l’infortunio si verifica nei cantieri afferenti al CBT5, dove l’intervento del 118 è più problematico per la scarsità delle postazioni sul territorio, il medico del CIS si reca sul luogo dell’evento con l’infermiere e dispone di locali ed attrezzature idonee al controllo delle condizioni del ferito fino all’arrivo dei mezzi di soccorso del 118 o dell’eliambulanza. I mezzi di soccorso 118 non entrano in galleria ma si arrestano al punto di incontro concordato ove esistano le condizioni di sicurezza per i soccorritori. Si compone così una equipe formata dall’infermiere del sistema interno di soccorso, dal medico e dai volontari del 118. In relazione all’informazione avuta dal medico del CIS, il 118 decide l’invio di ambulanze medicalizzate, ordinarie o dell’elisoccorso e provvede all’ospedalizzazione nella struttura ospedaliera più idonea. A causa del maggiore impegno nel sistema di emergenza dei cantieri il sistema di emergenza sanitaria territoriale è stato potenziato con 24 ore aggiuntive di presenza medica sui mezzi di soccorso. LE DIFFICOLTA’ INCONTRATE • • • Addestrare il personale CAVET presente all’evento ad effettuare correttamente la chiamata di soccorso. Ad oggi sono stati effettuati dalla ASL 10 FIRENZE 60 corsi di formazione per scuristi (54 per CAVET e 6 per la Società Autostrade), nei quali sono stati insegnati elementi di primo soccorso. Il colloquio dei sicuristi con il personale sanitario per attivare il sistema si svolge secondo protocolli conosciuti e condivisi anche dai lavoratori CAVET. Far conoscere i luoghi di lavoro e la viabilità di soccorso al personale sanitario. Svolgendosi il soccorso in luoghi decentrati e spesso non conosciuti da parte del personale sanitario, i medici, gli infermieri, il personale del 118 e delle associazioni di volontariato hanno effettuato sopralluoghi dei cantieri, sono stati dotati di documentazione relativa alla planimetria dei cantieri ed alla viabilità di soccorso. Organizzare il soccorso nelle gallerie grisoutose. Si è intervenuti tenendo conto della direttiva interregionale in materia. L’accesso alle gallerie grisoutose prevede l’utilizzo di appositi mezzi di soccorso antideflagranti e di una attrezzatura sanitaria idonea a non provocare lo scoppio o 45 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 • • l’incendio del gas eventualmente presente. Il personale sanitario ed il personale CAVET sono tenuti a rispettare per i soccorsi in tali gallerie un apposito protocollo. La formazione del personale. I medici hanno effettuato anche corsi di BLSD, ACLS, PHTLS e addestramento con stazioni di simulazione attraverso l’utilizzo del manichino robotizzato SimMan della ditta Laerdal. Gli infermieri hanno frequentato corsi di BLSD. Dall’inizio dei lavori sono stati effettuati n° 9 corsi per medici e n°22 corsi per infermieri. Particolare riguardo si è avuto nella formazione inerente la sicurezza personale. Tutto il personale sanitario è stato messo in grado di conoscere i dispositivi di protezione individuale e non, compreso l’uso degli autorespiratori, autosalvatori ed attrezzature anticaduta. Tale formazione è stata effettuata dal servizio di prevenzione e protezione dell’ASL 10, che ha inoltre verificato l’idoneità delle strutture sanitarie e dei mezzi di soccorso, con la collaborazione del servizio di prevenzione del CAVET. Garantire la costante comunicazione tra i soggetti coinvolti nel soccorso. Per rendere possibile la costante possibilità di comunicare tra le strutture ed il personale interessato attraverso un sistema radiotelefonico sono stati installati ripetitori necessari per coprire in UHF l’intera area dell’azienda sanitaria 10 utilizzando il finanziamento CAVET e Società Autostrade. Tutte le infermerie sono collegate tra loro e con il CIS per radio e attraverso 2 linee telefoniche. Tuttavia un decisivo salto di qualità nelle comunicazioni per quanto attiene all’allertamento del sistema si è verificato nel corso del 2002, quando ogni postazione di soccorso, posizionata ad ogni 500 mt di scavo delle gallerie, è stata collegata al CIS con una specifica linea telefonica ed un numero di rete identificativo della postazione che compare sul display del centralino che riceve la chiamata, riducendo notevolmente le possibilità di errore nell’identificare il luogo dell’infortunio. IL COORDINAMENTO DEI SOCCORSI L’allestimento del CIS è stato possibile grazie ad una specifica convenzione tra la ASL 10 e la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze ed in particolare la Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione. Tale convenzione è stata progettata nell’intento di potenziare l’attività di formazione degli specializzandi per quanto concerne le funzioni di organizzazione della Emergenza Sanitaria Territoriale. A questo scopo la Scuola di Specializzazione ha previsto un percorso formativo che comprende la frequenza ai corsi di Rianimazione Cardiopolmonare e di Prehospital Trauma Care, oltre a garantire una specifica conoscenza del Sistema di Soccorso interno ai cantieri dell’Alta Velocità (effettuata anche con periodiche riunioni e sopralluoghi), delle norme per la prevenzione degli infortuni in ambiente di lavoro e dell’uso dei dispositivi di protezione individuali. La convenzione raggiunta ha permesso, oltre al pagamento di numero 6 borse di studio in più alla Scuola di Specializzazione, anche l’acquisto di un manichino particolarmente studiato per poter effettuare stazioni di simulazione in anestesia-emergenza . La stazione di simulazione permette di raggiungere obiettivi didattici e di ricerca attraverso l’introduzione di un laboratorio di simulazione modulare basato sull’allestimento di una postazione robotizzata connessa ad un apparecchio di anestesia. Il manichino SimMan della ditta Laerdal riproduce fedelmente l’anatomia esterna ed alcune funzioni vitali di base di un individuo adulto. Il simulatore, attraverso il controllo di tutte le variabili da parte di un istruttore tramite di un terminale indipendente, permette di simulare vari quadri, quali la gestione delle vie aeree, manovre rianimatorie avanzate, fibrobroncoscopie, risposta all’iniezione di farmaci. Il compito degli specializzandi, inerente agli aspetti organizzativi del Soccorso Sanitario, viene svolto sia secondo le direttive impartite dal tutore indicato dalla Scuola di Specializzazione, sia attraverso l’applicazione di Protocolli Operativi discussi e condivisi dagli stessi medici. Secondo quanto previsto dal Piano elaborato dalla ASL 10, tutte le richieste di soccorso sono convogliate presso il CIS e il medico specializzando presente svolge la funzione di coordinamento 46 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 operativo interno ai cantieri, valutando ciascuna richiesta pervenuta e attivando, conseguentemente, il personale infermieristico in servizio presso gli altri campi. Indica inoltre quali mezzi e attrezzature devono essere utilizzate nella specifica situazione, eventualmente attivando il “118” e garantendo con quest’ultimo il “triage”. Per gli interventi sanitari non inerenti all’organizzazione dei soccorsi che si possono verificare presso i cantieri, i medici in formazione specialistica, in quanto abilitati all’esercizio della professione medica, svolgono attività assistenziali in coordinamento con gli infermieri specificamente formati. I RISULTATI Nel corso degli anni il sistema di soccorso è stato testato più volte attraverso il metodo della simulazione. Sono state effettuate complessivamente n° 14 esercitazioni durante le quali si è verificata la possibilità di raggiungere i luoghi di lavoro, fronti scavo delle gallerie comprese, entro il limite di 20 minuti che costituisce il nostro obbiettivo. Nel corso di questi anni la statistica ufficiale, fino al 31 dicembre 2005 compreso, evidenzia 5482 infortuni ripartiti per gravità in base alla prognosi tra cui, purtroppo, sul versante toscano 3 mortali. Classificando gli infortuni secondo il luogo di lavoro in cui si sono verificati, si evidenzia che circa il 70% degli infortuni sono avvenuti in galleria. In conclusione, per quanto concerne il primo obbiettivo, considerata la pericolosità delle lavorazioni, possiamo dire che il numero degli infortuni è stato largamente inferiore a quanto previsto all’inizio dell’opera e che quando un infortunio si è verificato il sistema di soccorso è stato in grado di garantire il massimo delle possibilità di sopravvivenza e di recupero. L’ASSISTENZA SANITARIA DI BASE Per quanto concerne il secondo obbiettivo le infermerie di cantiere hanno funzionato anche come terminali dei distretti sanitari portando a conoscenza dei lavoratori la possibilità di ottenere il medico di medicina generale anche nel comune nel cui territorio è situato il campo base di appartenenza senza dover rinunciare al medico di medicina generale nel comune di residenza. Tale possibilità è stata resa possibile da un accordo con i medici di medicina generale, recepito dalla regione toscana a fronte di un finanziamento della TAV. I lavoratori presso l’infermeria di cantiere possono effettuare la scelta di tale medico presentando la fotocopia del loro libretto sanitario; a seguito di tale richiesta il distretto sanitario predispone il documento sanitario che consente di accedere ad ogni prestazione di medicina generale presso il medico prescelto. Il personale sanitario delle infermerie di cantiere e del CIS ha rappresentato inoltre per gli operai residenti nei campi base il punto di riferimento primario per ogni bisogno sanitario; pertanto la scelta del sistema dedicato ha consentito al personale sanitario di non essere impegnato soltanto nell’emergenza sanitaria ma anche di svolgere una rilevante attività sanitaria di base nei confronti di persone che hanno comprensibili difficoltà di accesso alle strutture sanitarie, in parte direttamente, in parte favorendone l’accesso ai servizi sanitari, specialistici ed ospedalieri, effettuando prenotazioni, attivando quando necessario i medici di medicina generale. Il sistema dedicato ha consentito, coordinando le attività del personale sanitario con gli operatori dei servizi di prevenzione, di rilevare attraverso le attività sanitarie la presenza di situazioni di rischio sui luoghi di lavoro. 47 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’IMPATTO SANITARIO SUI SERVIZI DELL’ASL 10 FIRENZE Il terzo obbiettivo, mitigare l’impatto sanitario sui servizi dedicati ai cittadini residenti, è stato raggiunto: • Potenziando le strutture sanitarie dell’Ospedale di Borgo S. Lorenzo • Incrementando di 24 h giornaliere la presenza di medici nel sistema 118 • Risolvendo, nell’ambito del sistema interno, i problemi sanitari dei lavoratori addetti alla realizzazione dell’opera, infatti sono stati trattati nelle infermerie di cantiere 30365 casi, di cui 27784 sono stati risolti senza ricorrere a strutture esterne. Nel corso di questa esperienza un quarto obbiettivo di grande importanza è stato raggiunto. Infatti al termine dei lavori all’Azienda Sanitaria di Firenze, e dunque ai cittadini residenti, resteranno non soltanto un patrimonio di attrezzature consistenti in apparecchiature, mezzi di soccorso, sistemi di comunicazione radiotelefonici come previsto dalla convenzione con il consorzio CAVET, ma soprattutto resterà un patrimonio di conoscenze e di personale sanitario adeguatamente formato al soccorso in condizioni critiche che potrà proficuamente essere impiegato nella rete di soccorso sanitario territoriale nell’ambito del sistema 118. Per quanto riguarda gli infermieri che hanno operato ed operano nei cantieri dell’Alta Velocità già alcuni di essi prestano servizio sulle ambulanze del 118. Per quanto riguarda i medici, che nel corso di questi anni hanno acquisito competenze e professionalità in questo settore, sarebbe opportuno prevedere un loro impiego sulle Unità mobili di soccorso medicalizzate e presso la centrale operativa del 118, anche in considerazione della difficoltà di reclutamento di personale medico nel settore dell’emergenza sanitaria. Il monitoraggio del metabolismo cerebrale A. DEL GAUDIO, PL. CIRITELLA, P. DE VIVO II U.O. Anestesia e Rianimazione IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Introduzione I primi tentativi di monitoraggio del metabolismo cerebrale risalgono alla fine degli anni settanta ed agli inizi degli anni ottanta ad opera di Ungerstedt e si sono incrementati nei tempo grazie all’opera di ricercatori svedesi dei gruppi di Lund e Stoccolma. (1,2) Oggi la microdialisi cerebrale è una tecnica di monitoraggio cerebrale diffusa in tutto il mondo, la sua rappresentatività nel mondo scientifico è ampiamente dimostrata da più di 8000 pubblicazioni, anche se ancora molti dubbi sorgono sulla attendibilità dei dati raccolti e sulla loro interpretazione nella pratica clinica. A questo proposito del tutto recentemente è stata organizzata una “consensus conference” (3) che ha cercato di tracciare delle linee guida nell’uso di questa tecnica nel monitoraggio del paziente neurologico critico. Principio della Microdialisi cerebrale Un catetere di microdialisi, inserito nel parenchima cerebrale, monitorizza il metabolismo dell’interstizio cerebrale mimando la funzione di un capillare (Fig.1). Le sostanze chimiche dell’interstizio diffondono attraverso la membrana dializzatrice nel liquido di perfusione, che viene 48 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 spinto all’interno del catetere da una pompa di infusione a velocità regolabile, finchè non viene raggiunto l’equilibrio tra il compartimento interstiziale e lo spazio endoluminale. I campioni vengono raccolti in micropipette ed analizzati al letto del paziente con uno spettrofotometro che consente di monitorizzare una serie di markers (glucosio, piruvato, lattato, glutammato, glicerolo,urea) ogni volta che lo si ritenga necessario, generalmente ogni ora.(2,4) La concentrazione dei markers nel dializzato dipende dalla lunghezza del catetere, dal flusso e dalla qualità del liquido di perfusione, dalla qualità della membrana dializzatrice e dal coefficiente di diffusione del tessuto. La lunghezza della membrana nella pratica clinica varia da 4 a 30 mm. Una pompa infusionale collegata al catetere consente l’infusione del liquido di perfusione , generalmente Ringer Lattato.In determinate circostanze può essere utilizzata la soluzione salina allo 0.9%.La velocità di flusso può variare da 0.3 μl/m a 2 μl/m. Una seconda linea consente il recupero del liquido in equilibrio con l’interstizio cerebrale nelle micropipette. (Fig.2). Una volta recuperato il campione viene analizzato al letto del paziente con uno spettrofotometro che attraverso la reazione di ciascun analita con il corrispettivo reagente ne consente di valutare la concentrazione nel liquido di recupero che si presume in equilibrio con l’interstizio cerebrale. (Fig.3) Il recupero di ciascuna sostanza viene definito come la concentrazione nel dializzato rapportata in termini percentuali alla concentrazione nell’interstizio cerebrale.Si parla in questo caso di recupero relativo che viene espresso dalla formula: Cmd/Cecf= 1-exp-K0 A/F dove Cmd è la concentrazione nel microdialisato, Cecf, quella nell’interstizio,K0 il coefficiente di trasferimento A l’area di superficie di membrana ed F il flusso. Quanto più è lunga la membrana e quanto più lento è il flusso più il recupero sarà vicino al 100%.Quanto più il recupero è vicino al 100% tanto più il liquido di raccolta è in equilibrio con l’interstizio cerebrale. Un recupero inferiore al 100% può essere anche determinato da un aumento della sostanza in esame nel liquido di infusione o da un aumento dell’uptake cellulare di quella stessa sostanza rispetto all’interstizio.(5) Il metabolismo del glucosio: la glicolisi aerobica ed anaerobica Per meglio comprendere ed utilizzare i dati provenienti dal metabolismo cerebrale è utile ricordare brevemente le vie del metabolismo del glucosio. In condizioni di aerobiosi una molecola di glucosio viene degradata a CO2 ed acqua con la produzione di 36 molecole di ATP, un ruolo centrale in questa degradazione è assunto dall’acido piruvico che in presenza di ossigeno entra nel ciclo dell’acido citrico e garantisce appunto la produzione di composti ad alto contenuto energetico.(Fig.4) In assenza di ossigeno la glicolisi vira verso la fase anaerobica con produzione di acido lattico e di sole 2 molecole di ATP.(Fig. 5) Si riduce in questo modo drasticamente l’enegia disponibile per la funzionalità delle pompe ATP dipendenti. Con queste viene meno la possibilità di mantenere l’equilibrio del glutammato nello spazio intersinaptico, nel citoplasma ed all’interno delle vescicole citoplasmatiche, aumenta di fatto il glutammato intersinaptico che interferisce con i recettori NMDA, consente l’apertura dei canali del calcio ed ,attraverso la penetrazione di questo all’interno del neurone, dà inizio all’attivazione enzimatica che porta alla necrosi neuronale. (6) Ischemia cerebrale e danno secondario L’ischemia cerebrale è la prima causa di danno secondario nel trauma cranico severo ed influenza pesantemente l’outcome.Il metabolismo ossidativo cerebrale generalmente rimane depresso per le 49 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 prime due settimane che seguono un trauma cranico severo ed il grado di questa riduzione è stato dimostrato essere strettamente correlato con outcome negativo. Come già detto il momento patogenetico centrale è la riduzione della delivery di O2 al di sotto della soglia critica con aumento della sintesi di acido lattico e riduzione della produzione di energia, aumento del glutammato intersinaptico che è il primum movens per la penetrazione intracellulare del calcio con l’attivazione dei processi enzimatici con danno di membrana e necrosi neuronale da un lato e digestione ad opera delle endonucleasi con viraggio verso l’apoptosi cerebrale.(7) Il rapido riconoscimento di queste alterazioni consente di individuare una terapia mirata alla prevenzione del danno ischemico nei pazienti a rischio. La proposta di utilizzare la microdialisi in questo campo significa rendere possibile il rapido riconoscimento a livello metabolico di questi danni, riconoscimento impossibile con altre tecniche di monitoraggio. Le modificazioni biochimiche che si accompagnano all’ischemia cerebrale sono ben conosciute in seguito ad innumerevoli studi sugli animali. Di particolare importanza è la variazione dello stato ossido-reduttivo che induce un aumento del rapporto lattato/piruvato. In pazienti con trauma cranico severo c’è una correlazione certa tra un rapporto lattato/piruvato alto ed un cattivo outcome. In questo caso il monitoraggio del metabolismo cerebrale consente di fatto di precedere aumenti della PIC e riduzioni della PPC.(7) L’ischemia cerebrale attraverso la lisi delle membrane cellulari comporta anche la scissione dei fosfolipidi di membrana in acidi grassi e glicerolo, l’aumento di quest’ultimo può essere considerato un indice più tardivo ma certamente affidabile del danno cerebrale in pazienti con traumi cranici severi. Infine è da stressare nuovamente il ruolo del glutammato nel determinismo del danno ischemico cerebrale. E’ di fatto l’aumento del glutammato indotto dalla riduzione della produzione dell’ATP ad innescare come abbiamo visto il danno biologico che porta da una parte alla necrosi neuronale e dall’altra alla degenerazione apoptotica.(7) La localizzazione del catetere di microdialisi Con la microdialisi quindi è possibile monitorizzare il metabolismo di una area di tessuto cerebrale, area che ha un volume cilindrico grossolanamente equivalente alla lunghezza della membrana di dialisi e con un diametro di pochi millimetri. L’estensione distale di questo cilindro è visibile alla TAC grazie alla punta dorata del catetere.(Fig. 6) La caratteristica principale di questo tipo di monitoraggio è che esso rappresenta una valutazione focale del metabolismo cerebrale; questa condizione determina vantaggi e svantaggi. Il catetere si può inserire nel tessuto a rischio, nella zona di penombra ischemica dove il tessuto è più vulnerabile e più facilmente si determina il danno ischemico secondario: questo ci permette di riconoscere l’evoluzione dell’ischemia e guidare la terapia. Di contro, le indicazioni sono strettamente legate al danno focale e quindi circoscritte alla zona di impianto del catetere ed un catetere mal posizionato può dare indicazioni falsamente negative ed indirizzare la terapia sulla base di dati non pertinenti. Un modo per risolvere questo problema è il posizionamento di un secondo catetere di riferimento nel tessuto cerebrale sano in modo da poter comparare i dati provenienti dalle zone più a rischio di ischemia con quelli provenienti da aree meglio perfuse, questo secondo catetere viene di solito posizionato nel lobo frontale in una zona di parenchima adiacente al catetere intraventricolare per il monitoraggio della pressione intracranica. Non ha senso, ovviamente il posizionare il catetere all’interno del focolaio contusivo nella zona di necrosi, area in cui il danno si è irreversibilmente compiuto. 50 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Interpretazione dei dati L’ interpretazione dei dati è molto complessa e nel corso degli anni ha ricevuto diverse critiche. In linea di massima esiste un range di normalità per tutti i metaboliti utilizzati, elaborato monitorizzando il parenchima cerebrale in soggetti sottoposti ad interventi chirurgici per asportazione di processi espansivi in fossa cranica posteriore (tab.1). Nello studio gli autori partono dal convincimento che la zona analizzata fosse dal punto di vista fisiologico indenne . Questi dati fanno, però, riferimento a pazienti trattati con cateteri della lunghezza di 10 mm e perfusi con una velocità di flusso di 0.3 μl/min, e non tengono conto delle variazioni eventualmente indotte dai farmaci dell’anestesia.(8) Un altro aspetto da molti considerato un limite della metodica è il danno determinato al parenchima cerebrale dall’introduzione del catetere,tanto che alcuni ironizzano sul dubbio che la metodica serva a controllare i danni da essa stessa determinati. Questi timori sono stati superati grazie a lavori di istopatologia sull’animale che hanno dimostrato che le reazioni locali all’introduzione del catetere non alterano significativamente i livelli dei metaboliti se non nella primissima fase dell’impianto, dal momento che la gliosi e la crescita di cellule epiteliali intorno al catetere non alterano la sua funzionalità.(9) Artefatti legati alla metodica (problemi all’analizzatore, malfunzionamento del catetere o della pompa, errori umani), sono facilmente riconoscibili ed identificabili ma comportano un enorme dispersione dei dati (50%). Questo tipo di dispersione è tanto maggiore durante gli spostamenti del malato come può accadere per effettuare procedure diagnostiche o chirurgiche.(5) E’ invece un limite della metodica la difficoltà di assemblare i dati e valutarli in funzione di medie statistiche. Il monitoraggio del metabolismo cerebrale è infatti assolutamente individuale e le cause di questo fenomeno vanno ricercate nella fisiopatologia del trauma cranico che include diversi tipi di lesione con diverse localizzazioni e differenti patterns di danno cellulare. Inoltre per esempio i livelli di glucosio ematico possono alterare il valore nel liquido interstiziale ed interferire sui dati globali. Ciononostante in numerosi studi sembra evidente una buona correlazione tra aumento del rapporto lattato piruvato, diminuzione del glucosio, aumento di glutammato e glicerolo e l’outcome.(10) Conclusioni La microdialisi può essere utile nei pazienti con trauma cranico severo. In questi pazienti in associazione con altre tecniche di monitoraggio può assistere e guidare la terapia per la prevenzione del danno ischemico secondario. E’ un monitoraggio focale e come tale testimonianza di quello che accade in un area molto limitata di parenchima cerebrale, necessita di un buon livello di conoscenza del metabolismo basale e cerebrale e della biochimica della fase ischemica ma consente a sua volta di migliorare la comprensione dei meccanismi fisiopatologici che sono alla base dell’evoluzione dei focolai lacero contusivi. In definitiva se la fisiologia e la patologia del cervello umano sono funzione della sua biochimica, l’uso del monitoraggio biochimico sembra una logica ed inevitabile conseguenza nello sviluppo del trattamento neurointensivo.(10) Resta dubbio quanto questa conoscenza possa influenzare e modificare la terapia. E’ allo stato dell’arte più ragionevole pensare che il monitoraggio del metabolismo cerebrale vada inserito nel monitoraggio integrato del trauma cranico severo e ne possa guidare la terapia in armonia con le altre variazioni migliorando il livello di attenzione quando indica modifiche in evoluzione e non ancora manifestatesi con alterazioni della pressione intracranica e della pressione di perfusione cerebrale 51 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Bibliografia 1. Ungerstedt U. Microdialysis principles and applications for studies in animals and men. J. Intern Med 230:3673, 1991 2. Persson l, Hillered L Chemical monitoring of neurosurgical intensive care patients using intracerebral microdialysis. J Neurosurg 76, 72-80, 1992 3. Hutchinson P. Third international satellite conference in neurochemical monitoring : proposed guidelinees. Acta Neurochir 81, 341-342, 2002 4. Bellander BM. Consensus meeting on microdialysis in neurointensive care. Itensive Care Med 10,1007,2461-8,2004 5. Hutchinson PJ. Clinical cerebral microdialysis: a methodological study. 93,1,37-49,2000 6. Siesjo BK. Brain energy metabolism. Wiley, New York, 1978 7. Siesjo BK. Pathophysiology and treatment of cerebral ischemia Part. I. . Pathophysiology.J. Neurosurg 77:169-184,1992 8. Rstrup P. Itracerebral microdialysis in clinical practice: baseline values for chemical markers durig wakefulness, anesthesia and neurosurgery. Neurosurgery 47,701-710,2000 9. Whittle JR Neuropathological findings after intracerebral implantation of microdialysis catheter. Neuroreport 9,2821-2825,1999 10. Nelson W. Cerebral microdialysis of patients with severe traumatic brain injury exhibits highly individualistic patterns as visualized by cluster analysis with self organizing maps. CCM 32,12,2428-.2436, 2004 Analyte Glucose Lactate Pyruvate Lactate/pyruvate Glycerol Glutamate Approx. Value 2 mM 2 mM 120 µM 15-20 20-50 µM 10 µM Tab. 1: Valori normali dei principali analiti valutati Fig. 1: Il catetere di microdialisi si comporta come un capillare cerebrale, la membrane semipermeabile posta alla sua estremità distale mima l’attività dell’endotelio capillare e cosente il raggiungimento dell’equilibrio tra liquido di perfusione ed interstizio cerebrale. 52 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Fig 2: Il liquido di recupero viene raccolto in micropipette ed analizzato al letto del paziente da uno spettrofotometro. Fig 3: Lo spettrofotometro ha in dotazione una serie di reagenti che consentono di analizzare una serie di metabolici e darne la concentrazione nel liquido in esame che si presuppone in equilibrio con l’interstizio cerebrale. 53 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Fig. 4: La glicolisi aerobica consente a partire da una molecola di glucosio la produzione di acqua ed anidride carbonica e di 36 molecole di ATP. Fig.5: La glicolisi anaerobica consente a partire da una molecola di glucosio la produzione di acido lattico e soltanto 2 molecole di ATP. In questa condizione aumenta la produzione di lattato e sale il rapporto lattato/piruvato. Fig. 6: Il catetere viene posizionato nella zona di penombra ischemica ed è visibile alla TAC. 54 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Ipotensione ed ipertensione intra e post operatoria P. DE VIVO IRCCS “Casa Sollievo Della Sofferenza” Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” IRCCS S. Giovanni Rotondo - FG In neurochirurgia ed in generale in tutte le patologie acute cerebrali, l’interpretazione diagnostica, la conoscenza delle possibili conseguenze e l’eventuale trattamento di alterazioni della pressione arteriosa sistemica, non possono prescindere dalla conoscenza delle specificità anatomo-fisiologiche del cervello. Quest’organo rappresenta solo il 2% della massa corporea, tuttavia, essendo sede di un metabolismo molto vivace è responsabile di circa il 20% del consumo totale di Ossigeno e non avendo forme di deposito di questo essenziale metabolita, non può mantenere la sua integrità anatomo-funzionale se non attraverso un metabolismo aerobio. E’ fondamentale dunque il mantenimento di un flusso ematico cerebrale (FEC) importante ( rappresenta normalmente circa il 15% della Portata Cardiaca), ma soprattutto costante ed adeguatamente correlato al metabolismo. CONSIDERAZIONI ANATOMICHE Il FEC è assicurato per l’80% dalle arterie carotidi interne e per il 20% dalle arterie vertebrali. Tra questi due sistemi esistono collegamenti ( Comunicante Anteriore e Comunicanti posteriori) che realizzano un unico distributore e cioè il poligono di Willis che può mantenere il FEC anche in presenza di occlusione di un ramo affluente. Benché il circolo di Willis sia il maggior sistema “collaterale” di apporto ematico al cervello, va annotato che altri sistemi di compenso sono rappresentati dalla arteria oftalmica che collega circolo carotideo interno ed esterno e numerose anastomosi pio-piali o leptomeningee che proteggono le zone di confine tra i territori di irrorazione delle maggiori arterie cerebrali. Tali connessioni di superficie tra le arterie piali di “confine” costituiscono collegamenti tra territori vascolari ad uguale regime pressorio e pertanto non sono di norma attivi; lo divengono se il regime pressorio in un territorio prevale su quello del territorio adiacente. Va ricordato che l’assenza di un adeguato circolo collaterale costituisce una normale variante anatomica e questo di per sé già spiega perché cali di flusso o variazione della pressione di perfusione possono dare o non dare segno di sé. CONSIDERAZIONI FISIOLOGICHE Oltre ad una adeguatezza strutturale il FEC, perché sia funzionalmente efficace deve potersi mantenere costante a fronte di variazioni della pressione di perfusione cerebrale (PPC) che è la risultante della pressione arteriosa media (PAM) diminuita della pressione intracranica (PIC). E’questo il concetto di Autoregolazione Cerebrale che sostanzialmente consiste in una dilatazione o costrizione arterio-arteriolare in risposta a diminuzioni od aumenti della PPC al fine di mantenere costante il FEC. Il meccanismo che governa questa risposta ancora oggi non è del tutto chiaro e probabilmente è un insieme di meccanismi sequenziali con componenti miogeniche, endoteliali, metaboliche, e neurovegetative. Generalmente la rappresentazione diagrammatica del fenomeno mostra come vi sia una risposta vasale attiva capace di mantenere stabile il FEC tra 50 e 150 mmHg di PPC e come vi sia un rapido declino di FEC al di sotto di 50 ed un brusco progressivo aumento oltre i 150 mmHg. Per la verità questa è una semplificazione forse eccessiva di una risposta fisiologica che si sviluppa in pochi secondi, ma si può completare nel giro di alcuni minuti ( Autoregolazione Dinamica e Statica). I limiti della curva devono essere mobili così come deve essere un efficiente meccanismo”omeostatico”: esso deve avere nella flessibilità la sua dote caratteristica. La curva con i suoi limiti della risposta deve potersi rapidamente spostare verso destra o verso sinistra, cioè verso PPC più alta o più bassa ad esempio con il variare del tono simpatico. 55 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Alla stessa maniera deve potersi spostare più in alto o in basso cioè su valori di FEC più alti o più bassi con il variare in più o in meno dei valori di PaCO2 o dopo l’uso di farmaci vasodilatatori o costrittori cerebrali come gli anestetici alogenati o quelli endovenosi (Barbiturico, Propofol). Tra i meccanismi omeostatici cerebrali, che tutto sommato, sono meccanismi di difesa di organo rispetto a perturbazioni sistemiche possibili, relativamente a variazioni della PPC va considerata anche la Barriera Emato-Encefalica (BEE) La sua spiccata “impermeabilità” è fondamentale per la regolazione dello scambio di acqua tra plasma ed interstizio che avviene principalmente per gradiente osmotico. L’integrità anatomica e funzionale della BEE può essere più o meno gravemente alterata da regimi pressori di perfusione troppo alti che superando i limiti dell’autoregolazione determinano aumenti eccessivi di flusso e passaggio indiscriminato trans endoteliare di acqua e soluti . E’ questo il caso dell’edema vasogenico da crisi ipertensiva. Anatomia vascolare cerebrale, autoregolazione del FEC , BEE e livello di PIC integri o potenzialmente alterati sono dunque le guide alla valutazione ed alla ricerca della adeguatezza della pressione arteriosa sistemica nelle varie patologie acute cerebrali. Naturalmente per ciascuna patologia e all’interno di questa per ciascun ammalato esisterà il prevalere di considerazioni ed attenzioni su uno o più dei meccanismi anatomo-funzionali citati e sarà quindi opportuno mantenere o correggere i valori della pressione arteriosa in più o in meno. In generale si può dire che normovolemia e normotensione sono sempre da perseguire, che in rarissimi casi si può ricercare una modesta ipotensione controllata (sanguinamento intraoperatorio da aneurisma rotto e da MAV), che in alcune condizioni intraoperatorie e post operatorie è addirittura consigliabile innalzare la pressione arteriosa (clip temporanee, verifica tenuta clip definitiva, vasospasmo, aumenti PIC). Comunque sempre è da ricercare stabilità emodinamica contrastando sia crisi ipertensive ( se non dovute a riflesso di Cushing) che ipotensione (trauma cranico!!!). Bibliografia Gelb A.W. ASA R.C. 2005 P. De Vivo. Minerva Anestesiologica 1999;65:115-24 Il registro intraospedaliero dei traumi gravi S. DI BARTOLOMEO Istituto di Igiene ed Epidemiologia – DPMSC – Università di Udine Nella Regione Europea ottocentomila persone all’anno muoiono per lesioni traumatiche, la cui grande maggioranza è causata da incidenti stradali. I traumi sono la prima causa di morte nella popolazione giovane tra i 15 e 34 anni. Per ogni decesso, almeno 30 persone subiscono delle lesioni che richiedono un ricovero in ospedale e 3 restano invalide per tutta la vita. La necessità di aumentare le informazioni sulla patologia traumatica viene enfatizzata da tutte le organizzazioni sanitarie internazionali. Già nel lontano 1966 l’Accademia Americana delle Scienze aveva definito il trauma “un’epidemia tragica e trascurata e questo grido di allarme era stato accompagnato da precise indicazioni sulle priorità da perseguire per ridurne la mortalità e gli esiti invalidanti. Su queste indicazioni, che comprendevano anche l’istituzione dei Registri Ospedalieri dei Traumi, si è basato negli anni successivi lo sviluppo negli Stati Uniti dei “Trauma System” che tanta importanza hanno avuto nell’abbassare la mortalità e morbilità da trauma. Il progetto di ricerca finalizzata intitolato “Creazione di un Registro Intraospedaliero dei Traumi Gravi Multiregionale, finanziato 56 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 dal ministero della Salute, ha l’obiettivo di costruire in tre importanti ospedali italiani un sistema di raccolta dati sui pazienti con trauma grave. Questi dati possono essere utilizzati per verifica e miglioramento della qualità dei processi assistenziali, ricerca, sorveglianza epidemiologica. Tale progetto è iniziato nell’Aprile 2004 e terminato nel Febbraio 2006 e costituisce una novità per l’Italia. Sono stati arruolati circa 850 pazienti nel periodo 1° Luglio 2004-Luglio 2005. Verranno mostrate le caratteristiche del sistema costruito ed i risultati di alcune analisi sui dati raccolti, in particolare quelli che potrebbero portare all’identificazione degli aspetti migliorabili nelle strutture partecipanti. Problematiche anestesiologiche in gravidanza: la gravida obesa G. DI FIORE U.O.S. Anestesia in Ostetricia Ospedale Buccheri la Ferla FBF - Palermo Introduzione L’obesità complica dall’8 al 10 % di tutte le gravidanze, L’incidenza di obesità in gravidanza è in aumento, parallelamente all’aumento registrato nella popolazione generale (figura 1) Figura 1 – Il grafico mostra l’incremento dell’incidenza dell’obesità (BMI >30) negli ultimi anni L'obesità in gravidanza è associata ad un aumento significativo delle complicanze materne e fetali: 35 % delle donne che muoiono in gravidanza sono obese, il 50% in più rispetto alla popolazione generale. 57 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Definizione L’obesità è una condizione in cui si ha un aumento del grasso corporeo causata generalmente da un aumento del numero di calorie assunte rispetto al consumo. Soltanto in una piccola percentuale di pazienti l’obesità è causata da alcune malattie neurologiche o endocrine (tabella 1). Tabella 1 Obesità: diagnosi differenziale (<1% dei casi) Ipotiroismo Distrofia adiposogenitale Lesioni ipotalamiche Parziale lipodistrofia Craniofaringioma Ovaio policistico Ipogonadismo Cushing syndrome Insulinoma Comunemente il BMI (Body Mass Index cioè l’Indice di Massa Corporea) viene utilizzato per definire l’obesità. Il Body Mass Index (BMI) e' un indice dello stato corporeo in termini antropometrici che correla l'altezza con il peso del soggetto. Si misura dividendo il peso, espresso in kg, all'altezza, espressa in metri, elevata al quadrato: Calcolo Indice Massa Corporea - BMI = peso (Kg) / altezza2(metri) L'indice di massa corporea è semplice da calcolare ma non da un'indicazione precisa circa la quantità di massa grassa del soggetto, che può essere ottenuta solamente con una analisi plicometrica, eseguita con una bilancia impedenzometrica, con una plicometria o con una pesata idrostatica. Il calcolo del BMI risulta valido soprattutto per definire le situazioni di rischio cardiovascolare, poichè viene introdotto in formule o tabelle, oppure per calcolare il valore del peso ideale nei soggetti con una muscolatura "normale", per i quali il calcolo del peso ideale con il BMI consente un errore non superiore a ± 2 kg Fisiopatologia L'obesità in gravidanza è associata ad un aumento significativo delle complicanze materne e fetali (tabella 2) L'obesità amplifica, in proporzione all'aumento di peso, le modificazioni fisiologiche a carico del sistema respiratorio (tabella 3) e cardiovascolare (tabella 4) determinando un aumento del consumo di ossigeno in una condizione in cui questi apparati sono già sotto stress. A differenza della gravidanza fisiologica, l'ipertensione polmonare è frequente nelle pazienti obese, dovuta alla cronica ipossiemia. L'obesità inoltre aumenta il rischio di ipertensione di almeno 3 volte con conseguente ipertrofia ventricolare sinistra ed alterazione della funzione diastolica. Nelle pazienti obese si ha una significativa alterazione della fisiologia respiratoria. Infatti le pazienti obese mostrano una riduzione della capacità funzionale residua, e tranne il volume polmonare residuo, tutti i volumi polmonari (capacità vitale, capacità polmonare totale) sono ridotti.. Inoltre in proporzione all'obesità, si ha una riduzione della paO2 e della compliance della parete toracica e del polmone. La compliance totale nell'obesità è diminuita in media del 50%. Le modificazioni respiratorie nelle pazienti obese, in gravidanza, determinano un aumento del lavoro respiratorio anche di tre volte. L'incremento della massa corporea causa un aumento del consumo di ossigeno e 58 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 della produzione di CO2 che richiederebbe un aumento delle ventilazione minuto che non è sempre sostenibile data la massa corporea. L'aumento di volume dell'addome riduce i movimenti del diaframma, soprattutto nella posizione supina e Trendeleburg, ostacolando ulteriormente la ventilazione. Le modificazioni della funzione cardiopolmonare nell'obesa sono schematizzate nella tabella 5. Tabella 2 Outcome materno e fetale nelle gravidanze di pazienti obese OUTCOME MATERNO Complicanza Odds Ratio Preeclampsia 4,82 Diabete gestazionale 4,00 Macrosomia fetale 3,82 Morte neonatale 3,41 Ipertensione gestazionale 3,2 Distocia di spalla 3,14 Aspirazione di meconio 2,85 Morte intrauterina fetale (MIF) 2,79 Taglio cesareo 2,69 Distress Fetale 2,52 Parto strumentale 1,34 OUTCOME FETALE Complicanza >Mortalità perinatale Basso punteggio Apgar IUGR Macrosomia Distocia di spalla Asfissia alla nascita > NICU Tabella 3 Modificazioni del sistema respiratorio in gravidanza, nell’obesa e nella gravida obesa Parametro Gravidanza Obesità Gravidanza+Obesità Progesterone ↑ Sensibilità alla CO2 ↑ ↓ ↑ Tidal Volume ↑ ↓ ↑ Frequenza Respiratoria ↑ o↑ ↑ Volume minuto ↑ ↓o ↑ Capacità inspiratoria ↑ ↓ ↑ Volume di riserva inspiratoria ↑ ↓ ↑ Volume di riserva espiratoria ↓ ↓↓ ↓ Volume residuo ↓ Capacità funzionale residua ↓↓ Capacità vitale FEV1 ↑ ↓o ↑ ↓↓↓ ↓↓ ↓ ↓ ↓o FEV1/VC 59 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 ↓ Capacitàà totale polmonare Compliance ↓↓ ↓ ↓↓ ↓ Lavoro respiratorio ↑ ↑↑ ↑ Resistenze ↓ ↑ ↓ Alterazione del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q) ↑ ↑ ↑↑ Capacità di diffusione polmonare del monossido di carbonio (DLco) ↑ or Pao2 ↓ ↓↓ ↓ Paco2 ↓ ↑ ↓ Tabella 4 Modificazioni cardiovascolari Parametri Gravidanza Obesità Gravidanza+Obesità Frequenza cardiaca ↑ ↑↑ ↑↑ Volume d'eiezione ↑↑ ↑ ↑ Gittata cardiaca ↑↑ ↑↑ ↑↑↑ Indice cardiaco or ↓ ↑ or Ematocrito ↓↓ ↑ ↓ Volume plasmatico ↑↑ ↑ ↑ Resistenze vascolari sistemiche ↓↓ ↑ or ↓ Pressione arteriosa media ↑ ↑↑ ↑↑ Ipotensione in posizione supina Presente Presente ↑↑ Morfologia ventricolo sn ipertrofia Tono adrenergico ↑ ipertrofia e dilatazione ipertrofia e dilatazione ↑↑ ↑↑↑ Funzione sistolica or ↓ or ↓ Funzione diastolica ↓ ↓ Pressione venosa centrale ↑ ↑↑ Pressione capillare polmonare di incuneamento ↑↑ ↑↑ può essere presente può essere presente n/a ↑↑ Ipertensione polmonare Pre-eclampsia 60 assente Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Tabella 5 Obesità e funzione cardiopolmonare Riduzione dei volumi polmonari Riduzione della compliance polmone-parete toracica Riduzione efficacia scambi gassosi Ipossia relativa Shunt polmonare Iniziale compenso cardiaco Aumento del volume plasmatico (obesità, gravidanza) Aumento lavoro cardiaco riduzione efficienza Ischemia/infarto INSUFFICIENZA CARDIORESPIRATORIA Cuore polmonare Ipertensione polmonare Obesità / sindrome da ipoventilazione Sistema gastrointestinale Nelle pazienti obese si ha una maggiore prevalenza di ernia iatale con un ritardo dello svuotamento gastrico. A stomaco pieno il contenuto gastrico è di almeno 25ml con un pH inferiore a 2,5. Per tale motivo le pazienti gravide obese dovrebbero essere sempre considerate a stomaco pieno, con un rischio di ab ingestis molto alto. A tal fine in caso di inetrvento chirurgico andrebbe sempre somministrato un 'antiacido e un anti H2. GESTIONE ANESTESIOLOGICA Nelle pazienti obese la mancanza di una pianificazione delle procedure può comportare conseguenze disastrose. L'obesa deve essere a tutti gli effetti considerata come una potenziale paziente con malattia multiorgano . Le possibilità di intervento chirurgico urgente od in emergenza, in una gravida con un peso superiore a 120Kg, sono maggiori del 30%. Un piano anestesiologico è essenziale per ottimizzare il management della paziente obesa in gravidanza, compresa la consultazione anestesiologica preoperatoria. Durante la valutazione 61 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 preoperatoria particolare attenzione va posta all'approccio alle vie aeree ed alla funzione cardiorespiratoria (anamnesi, esame obbiettivo e strumentale). Inoltre la paziente dovrebbe essere adeguatamente informata sulla tecnica anestesiologica, con particolare riguardo all'anestesia locoregionale, sottolineando gli innumerevoli vantaggi di questa tecnica rispetto all'anestesia generale, ma anche preparando la paziente alle possibili difficoltà di esecuzione dell'anestesia locoregionale. Un'adeguata preparazione preoperatoria contribuisce a ridurre l'ansia preoperatoria, aumenta la compliance della paziente durante l'esecuzione dell'anestesia regionale ed in ultima analisi aumenta la percentuale di successo della tecnica. Posizione La posizione semiseduta o laterale in travaglio di parto e durante il parto migliora la compliance polmonare e minimizza lo stress cardiovascolare. In questa posizione il pannicolo adiposo è posto al di fuori della cavità addominale, riducendo così la pressione intraaddominale con una maggiore escursione diaframmatica. Utile anche l'apporto di ossigeno in travaglio di parto e durante il parto per aumentare il margine di sicurezza. La posizione supina va assolutamente proscritta, anche durante l'esecuzione di un taglio cesareo; il taglio cesareo può essere tranquillamente effettuato sollevando le spalle della paziente di almeno 40-45° attraverso il posizionamento di un comune cuscino sotto le spalle della paziente. Attrezzature Il monitoraggio della paziente obesa può essere più difficoltoso per le condizioni obbiettive della paziente (difficile approccio venoso) e per la mancanza di attrezzature adeguate alle dimensioni della paziente (ad es. bracciale per monitorizzare la pressione arteriosa incruenta) . In commercio esistono bracciali per misurare la pressione arteriosa incruenta di diverse misure: queste attrezzature deveno essere sempre disponibili nel complesso operatorio della sala parto. In ogni caso la pressione arteriosa deve essere sempre monitorizzata ed in ultima analisi, in caso di difficoltà, può essere incannulata l'arteria radiale per il monitoraggio della pressione arteriosa cruenta. Questo tipo di monitoraggio deve essere sempre disponibile in sala parto per essere prontamente utilizzato in caso di complicanze quali l'emorragia, l'insufficienza cardiaca o respiratoria. Anestesia epidurale in travaglio di parto L’anestesia regionale (epidurale, spino-epidurale) è indubbiamente il trattamento analgesico più efficace. Il blocco centrale neuroassiale, correttamente eseguito, riduce significativamente la risposta neuroendocrina simpatico-adrenergica al dolore, determina una maggiore stabilità dei parametri emodinamici , migliora il flusso utero-placentare e di conseguenza migliora l’outcome fetale. Inoltre previene l’iperventilazione e la conseguente ipocapnia che può determinare vasocostrizione e riduzione del flusso ematico utero-placentare. La riduzione del lavoro respiratorio e del consumo di ossigeno previene l’acidosi lattica materna.. Un vantaggio addizionale, in termini di sicurezza delle tecniche anestesiologiche applicate alla popolazione ostetrica, è rappresentato dal minore ricorso all’anestesia generale in caso di taglio cesareo urgente, in pazienti con catetere epidurale posizionato per l’analgesia in travaglio di parto. Infatti in pazienti ad alto rischio, quali le obese o le preeclamptiche, il catetere epidurale andrebbe posizionato precocemente riducendo così la possibilità di dovere ricorrere ad un'anestesia generale in urgenza in queste pazienti a così alto rischio operatorio. Riguardo la tecnica, va considerato che il repertamento dello spazio epidurale così come per lo spazio subaracnoideo può risultare più difficoltoso nelle pazienti obese. La maggiore distanza tra la 62 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 cute e lo spazio epidurale contribuisce ad un maggior numeri di insuccessi della tecnica in caso di minimi errori di direzione dell'ago. Anestesia spinale per il taglio cesareo L'esecuzione dell'anestesia spinale per il taglio cesareo nella paziente obesa spesso è più indaginosa rispetto alla norma.Qualche accorgimento tecnico e l'utilizzazione corretta del materiale può, in questi casi, facilitare l'esecuzione dell'anestesia spinale: 1. Posizione della paziente: in questo caso può essere più conveniente posizionare la paziente seduta per effettuare l'anestesia spinale rispetto alla posizione in decubito laterale. Questa posizione, infatti, nella maggior parte dei casi, consente, più facilmente, di apprezzare i processi spinosi delle vertebre lombari e quindi facilita il raggiungimento dello spazio subaracnoideo 2. Scelta dello spazio: I processi spinosi delle ultime vertebre lombari (L4-5) generalmente si apprezzano peggio dei processi spinosi delle vertebre immediatamente superiori (L2-3 ; L3-4) 3. Calibro dell'ago: l'utilizzazione di un ago da spinale con un calibro molto sottile (25G od addirittura 27G) riduce la sensibilità dell'operatore nell'apprezzare la diversa resistenza opposta dai tessuti attraversati (sottocute - legamenti interspinosi) riducendo in tal modo la percentuale di successo della tecnica. Inoltre il deflusso di liquor con un ago da spinale 25-27G sarà ovviamente molto più lento rispetto a quello che si realizza con un ago 22G. Quindi in questi casi utilizzerei un ago spinale con un calibro 22G, ovviamente sempre con punta atraumatica (Withacre o Sprotte). 4. Lunghezza dell'ago da spinale: la lunghezza dell'ago da spinale comunemente utilizzata è di 90mm. Esistono però in commercio degli aghi da spinale un pò più lunghi (120mm), sempre con punta atraumatica (Whitacre-Sprotte) che nella nostra esperienza sono risultati molto utili per raggiungere lo spazio subaracnoideo in pazienti obese. Dopo aver effettuato l'anestesia spinale particolare cura dovrà essere posta al posizionamento dedlla paziente al fine di ridurre i fenomeni di compressione aorto-cavale e minimizzare l'interferenza negativa della pressione endoaddominale sull'escursione toracica (posizione semiseduta) Anestesia generale Nelle pazienti obese, così come in tutte le pazienti gravide, l'anestesia generale andrebbe riservata laddove l'anestesia locoregionale è controindicata. Nelle pazienti obese l'incidenza di intubazione difficile è del 33% in caso di taglio cesareo, rispetto ad un'incidenza del 13% nelle obese per la chirurgia generale. Ove possibile, in considerazione dell'alta percentuale di difficoltà all'intubazione, sarebbe auspicabile la presenza di un 2° anestesista almeno durante l'induzione dell'anestesia generale. A causa della riduzione della capacità funzionale residua , la gravida, ed in maggior misura la paziente obesa, è maggiormente esposta a gravi episodi di ipossiemia che congiuntamente all'ipercapnia possono scatenare improvvise ipertensioni polmonari ed aritmie cardiache. Vista l'alta incidenza di ab ingestis, 30 minuti prima della chirurgia andrebbe somministrato un'antiacido (30ml) per os ed un anti H2 per via sistemica (cimetidina o ranitidina) . La preossigenazione è altamente raccomandata per almeno 3 minuti prima dell'induzione dell'anestesia generale. Imperativa è l'utilizzazione del capnografo e del pulsoossimetro in sala operatoria, oltre al routinario monitoraggio della traccia ECG e della pressione arteriosa incruenta. Infine è necessario trattare efficacemente il dolore postoperatorio al fine di minimizzare l'ipoventilazione dovuta al dolore. Letture consigliate Foley Strong: Obstetric Intensive Care - Ed. Saunders 1997 M. C. Norris Handbook of Obstetric Anesthesia - Ed. Lippincott Williams & Wilkins 2000 63 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Carrol et al. Vaginal birth after cesarean section versus elective repeat cesarean delivery:Weightbased outcomes Am J Obstet GynecolVolume 188, Number 6 2003 Isaacs JD, Magann EF, Martin RW, Chauhan SP, Morrison JC. Obstetric challenges of massive obesity complicating pregnancy. J Perinatol 1994;14:10-4. Chauhan SP, Magann EF, Carroll CS, Barrilleaux PS, Scardo JA, Martin JN. Mode of delivery for the morbidly obese with prior cesarean: vaginal versus repeat cesarean section. Am J Obstet Gynecol 2001;185:349-5 Thomas D. Myles et al.: Obesity as an Independent Risk Factor for Infectious Morbidity in Patients Who Undergo Cesarean Delivery VOL. 100, NO. 5, PART 1, NOVEMBER 2002 © 2002 by The American College of Obstetricians and Gynecologists. Published by Elsevier Science Inc Perlow JH, Morgan MA. Massive maternal obesity and perioperative cesarean morbidity. Am J Obstet Gynecol 1994;170:560 –5. Do anaesthetists need less sleep than the others? M. DRU Presidente Nazionale “Syndicat National des Praticiens Hospitaliers Anesthésistes-Réanimateurs – Let us sleep and we may save Our patients from early grave R. A. J. Asher (1) Why such a question? Rumour has it that anaesthetists don’t need much sleep since they often perform overnight duty. Considering various aspects of sleep it just appears the opposite. There is a chronic sleep deprivation which is never recovered. Moreover, acute lack of sleep clearly impacts on professional activity. Night work is a widespread demand of modern societies. In Western countries it is estimated that up to 20% of the working population is involved. Activities requiring a high degree of concentration and alertness have replaced physical duties in a period normally dedicated to sleep. Ability to adapt to this pattern is very different from one individual to another and is generally good until the age of 35–40. Sleep is an essential daily physiological need for our survival. At the age of 50, a healthy individual has slept for nearly 16.5 years. Set like clockwork, sleep regularly occurs in two time frames: by night-time and between 1pm and 3pm. Ageing brings about a gradual disruption of the wake and sleep pattern. Sleeping in one go, followed by a period of time with no sleepiness, is replaced by a more fragmented pattern. Thus, short periods of sleep alternate periods of arousals with a need for naps. Human body wake and sleep pattern is linked to natural day and night cycle. Other parameters such as hormonal patterns, temperature variations, noise, and situation-related factors also interfere. Synchronization dysfunctions can depend on both extrinsic (time lag, work shift) and intrinsic factors (blindness, neurological pathologies). For any given individual, poor quality sleep implies a fatigue that shows in various ways the day after. After a sleepless night, some people do feel very tired in the morning but do not however feel like going to bed. Such a phenomenon is known as “the circadian effect”. Many studies have been carried out in different professional fields about the effects of sleep deprivation, sometimes leading to amend the regulation. Disruptions in the quality of awakeness 64 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 associated with sleeping difficulties have frequently been recorded for a few days after a time difference of several time zones (≥ 3 hours). According to where the flight is heading to, the wake/sleep pattern runs ahead or late due to synchronizing factors. In this case, we talk about external desynchronization. Various biological patterns adjust more or less quickly to make up for an internal desynchronization. Referring to the existing literature on air travel, nuclear power, haulage and sport, A. Heins and B. Euerle have come up with identical conclusions: lack of sleep and night work result in performance indices deterioration (2). A study on pilots flying across 6 time zones revealed that ability to perform simple tasks is recovered within 3 days while more complex tasks can need more than 5 days (3). Studies carried out in the car industry showed that most accidents occur during or right after a night shift (4). The minimum amount of sleep required to maintain alertness and adequate cognitive functions is estimated to 5 hours (5). In a less recent article, Smith-Coggins et al. highlighted an increased time needed to perform an intubation on dummies after a 24 hour oncall among experienced emergency physicians (6). According to Harrison’s team, physicians’ ability to think is altered after a 36 hour period without sleep (7). These outcomes fit in with the study led by Taffindor (8) showing that surgeons who have been awake all night make more mistakes and perform more slowly than those who have had a full night of sleep. This study was corroborated by the late prospective work by T. P. Grantcharov (9). Some works have been carried out as well in anaesthesiology. It has been demonstrated that the more complex the anaesthetic task is, the more impaired memory becomes and the more oversights and lacks of concentration occur (10). About 41% of anaesthetists undergoing training admitted making fatigue related mistakes (11). A New Zealander study, performed amongst anaesthetist physicians both at junior and senior levels, has reported an increasing number of medical mistakes being linked to fatigue as soon as the person concerned had gone beyond his/her own safety limit. This may vary from one individual to another, as far as the number of hours worked are concerned (12). On the other hand, Dawson and Reid surprisingly concluded that the psychomotor performances of an individual after a 24 hour period of wake were the same as those of someone with a blood alcohol level of 1 g/l (13). Theses results have been matched by those of a more recent study which compared the effect of sleep deprivation on the performance of various tasks: thought process and memory. Thirty-nine volunteers were tested both after a 28 hour period of wake and after taking an increasing volume of alcohol. Similar behaviour could be found again amongst volunteers when they had not slept for 17 to 19 hours and when they reached a blood alcohol level of 0.5 g/l and after a 18 to 20 hour period of wake and whilst being under the influence of a blood alcohol level of 1 g/l (14). We studied the repercussions of on-call on sleep and on daytime activities, over a fortnight period which included at least 3 on-calls. Objective assessment was achieved using an actimeter (15). This is a small monitor designed to be carried on the non dominant wrist and continuously detecting accelerations linked to movements through piezo-electrical sensors, then digitally stored. Actigraphy, as an approved method for identifying wake/sleep periods (16) offers a great correlation with electroencephalogram for finding out the subject is sleeping/awake and what the duration of sleep has been (17). Along with this recording, physicians filled out on a daily basis a wake-sleep diary in which they assessed the quality of their days and nights. During the on-call, results demonstrated a considerable decrease in sleep, which one could expect, with a mean duration of 4 hours and 37 minutes (68%) but most of all with poor quality of sleep both objectively and subjectively. Like Gaba and his colleagues, it was reported that during an on-call, even when sleep was not disrupted by the service, it seemed often limited and most of all fragmented (18). Increase in sleep during the night following on-call is limited to 20 minutes on average in comparison with a normal (control) night, without any obvious improvement in its quality. When the day following on-call is a normal working day, motor activity is only reduced in the evening, probably owing to the fact that fatigue and sleepiness are hidden during the day by work demand. 65 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 The results of Stepanski’s study have shown that fragmentation of sleep has a bearing on daytime sleepiness, even when there is no shortening of the overall sleep time (19). A given level of alertness can be maintained, if required, in spite of a state of sleepiness but it is a high “price to pay” as Clodoré and his colleagues suggest (20). The phenomenon needs to be compared with top athletes who draw energy from their personal reserves to reach the required level, even when exhausted… On the other hand, when on-call is followed by a rest period, sleepiness and fatigue show; there are longer and more frequent episodes of motor hypoactivity and lower level of activities from midday onwards, in accordance with M. M. Mitler’s research (21). From a chronobiological perspective, being awake and active by night interferes with 2 processes of regulation of wake/sleep cycle amongst on-call physicians: increase in waking period and decrease in sleeping period on one hand, the bedtime being delayed on the other. Results show that their restactivity cycle remains synchronized with light-darkness cycle like in normal control subjects. Repeated disruption of night-day cycle (work-sleep) seems to have an effect on stability of activity-rest pattern without desynchronizing it altogether. For D. F. Dinges (22), it has been proved that many people do not biologically adapt to night work and that, even amongst those who cope well with it, strips of overnight periods of work in a daytime work require up to a 3 day adaptation period. For Minors and Waterhouse (23), a four hour sleeping period at night, called «anchor sleep» is sufficient to maintain 24 hour synchronization of the body heat. From a subjective point of view, all the parameters (daytime quality, irritability, sleepiness, concentration, fatigue and mood) are being altered on the day following on-call. Poor quality of overnight on-call, as shown in wakesleep diary, correlates with data collected amongst engineers on stand-by who expected to be woken up (24). On the second post on-call day, despite a night of sleep recovery, fatigue is still present and mood as well as concentration is still deteriorated. Those persistent negative effects suggest that recovery has been incomplete as demonstrated above. Return to normal cognitive functions only occurs after 2 nights of rest recovery. This study stresses out the role played by a sufficient post on-call rest in order to protect patients’ safety as well as physicians’ health. The introduction of this rest requires the implementation of a restructuring within hospital units. All these studies point out that medical on-calls impact on sleep and next day activities. Anaesthetists therefore need as much sleep as any other medical doctors or patients. As far as overnight duty is concerned it would be appropriate to assess the need for on-calls and to check if the required number of practitioners to set up an on-call schedule is met within a hospital. Six to eight physicians are necessary for adequate monthly on-calls schedule as well as appropriate level of activities in hospital where on-calls take place. Everyone must watch out for the next revision of the European working time directive especially in respect of adequate rest, maximum weekly working time (48 hours including on-calls). Bibliography 1. Asher RAJ. The danger of going to bed. Br Med J 1947;2:967-968. 2. Heins A, Euerle B. Application of chronobiology to resident physician work scheduling. Ann Emerg Med. 2002; 39: 444-447 3. Klein K, Bruner H, Gunther E. Psycholgical and physiological changes caused by desynchronisation following transzonal air travel. In: Colquhoun WP, eds. Aspects of Human Efficiency: Diurnal rhythm and loss of sleep. London: English Universities Press, 1972. 4. Horne J, Reyner L. Vehicle accidents related to sleep: a review. Occ Enrion Med 1999;56:289-294 5. Hartmann E, Baekeland F, Zwilling G, Hoy P. Sleep need: how much sleep and what kind? Am J Psychiatr 1971;127:41–48. 66 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 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Sleep 1988; 11: 35–38. 67 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La tracheostomia e la sua gestione nel lungodegente A. FANTONI Primario Emerito Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera “San Carlo Borromeo” di Milano Importanza di una scelta oculata La tracheotomia non è un atto medico di importanza minore. Può essere decisiva nel risolvere molti problemi assistenziali ma può anche incidere fortemente sul buon esito di un trattamento se diventa fonte di serie complicanze. Appare evidente come la scelta della tecnica più sicura costituisca una premessa indispensabile per assicurare al paziente il migliore livello assistenziale, specialmente nel caso di trattamenti prolungati. E’ doveroso ammettere, tuttavia, che i criteri attuali di valutazione di una tecnica sono irrazionali e contradditori. Di conseguenza anche la comparazione di tecniche diventa del tutto inaffidabile e fuorviante. Da tempo mi sono dedicato all’analisi di questo problema (1). Recentemente ho esposto in un congresso internazionale sulla tracheostomia, la necessità di nuovi criteri di confronto quale argomento prioritario, trovando unanime consenso sull’opportunità di riunire un comitato di esperti per studiare con maggiore razionalità il problema. Nel mio intervento venivano elencate le assurdità rilevate in letteratura in questo particolare settore (2), che qui riporto. Inaffidabilità degli attuali criteri di valutazione e comparazione delle tecniche 1. Negli studi che finora sono stati pubblicati sull’argomento non si fa alcun cenno ai dati anatomici del collo, i soli che possono definire le difficoltà che l’operatore deve affrontare durante la tracheostomia. Indispensabili alla creazione di una valutazione delle difficoltà di ogni singolo paziente, e dell’intera casistica nel suo complesso, risultano essere la circonferenza del collo e la distanza cricosternale, rapportate all’altezza ed al peso del paziente. 2. Le condizioni respiratorie. Anche questo è un dato completamente trascurato, pur essendo noto che ben diverse sono le difficoltà che si prospettano in un paziente con ARDS ed in un paziente con normale situazione respiratoria. 3. Nessuna menzione viene fatta delle difficoltà di accesso alle vie aeree che possono condizionare sensibilmente i cambi di tubi e la ventilazione del paziente. 4. Non vengono segnalate le condizioni della trachea prima della tracheostomia, molto più significative della durata dell’intubazione stessa. Eventuali decubiti, membrane, edema della mucosa e deposizioni organizzate di fibrina possono creare complicanze sia durante la procedura che nel decorso post-intervento. 5. Non si riscontra omogeneità nella valutazione delle complicanze, in particolare delle emorragie e delle lesioni della parete posteriore della trachea, per le quali vi è una generale tendenza alla sottostima. 6. Tutte le comparazioni tra tecniche sono state fatte su casistiche dalle quali sono stati esclusi i pazienti più impegnativi, quelli che per generale consenso vengono controindicati alle percutanee basate sulla forzatura di strumenti, dilatatori vari e cannule tracheostomiche, dall’esterno del collo all’interno della trachea, da noi raggruppate sotto l’acronimo OIT (Outside /Inside Tracheostomy). 68 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La selezione può essere accettata quando il confronto viene effettuato tra tecniche OIT che hanno le stesse controindicazioni, ma non nel confronto tra tecniche OIT e tracheostomia chirurgica (ST) o translaringea (TLT) che queste controindicazioni non hanno. La selezione in quest’ultimo caso è un autentico nonsenso in quanto viene a privilegiare le tecniche con maggiori controindicazioni, le OIT, perché risultano esclusi quei pazienti che creerebbero, con queste tecniche, più frequenti e severe complicanze. 7. Nessuna attenzione è stata mai posta sul fatto che il numero delle controindicazioni può essere assunto quale indice di pericolosità intrinseca di una tecnica. Le controindicazioni nascono dall’osservazione della ripetizione di gravi complicanze occorse in un determinato tipo di paziente con un determinato tipo di tecnica, anche con operatori esperti. L’introduzione forzata degli strumenti dall’esterno all’interno della trachea, è decisamente pericolosa e non sempre, specie in presenza di spiccata rigidità della parete tracheale, l’abilità dell’operatore è in grado di evitare le complicanze che ne possono derivare. Complicanze di questo tipo, non operatore dipendenti, sono quelle che obbediscono alla legge di Murphy, “se qualcosa può accadere, prima o poi accade”. Esiste quindi, nelle OIT, una pericolosità intrinseca che condiziona l’aleatorietà dei risultati. Considerevole è infatti il numero di lavori che segnalano lesioni della parete posteriore anche in centri qualificati e con il sistematico impiego del controllo endoscopico, ma ancora più consistente si calcola sia il numero degli incidenti non pubblicati (3). Nel loro insieme queste complicanze hanno portato le OIT a notevoli limitazioni, in pratica all’accettazione dei soli malati che presentano una normalità anatomica. E come rimedio estremo, l’abolizione dei dilatatori rigidi, preconizzata da Ciaglia (4) perché giudicati troppo pericolosi, specialmente quando si incontrano resistenze elevale. Se si considera che tutte le OIT utilizzano necessariamente dilatatori rigidi,sia pur di varia forma e funzione, (la stessa Blue Rhino li prevede per l’inserimento della cannula), appare evidente come la dichiarazione di Ciaglia, nonostante l’autorevolezza della fonte, sia stata rapidamente accantonata onde evitare sconvolgimenti a livello clinico e commerciale. La TLT in questa classificazione ha una collocazione di assoluto vantaggio, dal momento che la manovra di dilatazione è completamente priva di rischi. Il cono–cannula passa attraverso le corde vocali entra in trachea, si fa strada tra i tessuti e affiora alla superficie del collo senza poter provocare danni, qualsiasi siano le resistenze incontrate. Questa fase è talmente sicura da poter essere effettuata da chiunque sia in grado di esercitare una manovra di trazione. La sua pericolosità intrinseca è uguale a zero, un dato difficilmente riscontrabile in un atto medico. 8. Un fattore che indubbiamente contribuisce a rendere poco significative le comparazioni è il riportare la semplice elencazione delle varie complicanze senza alcun dettaglio di riferimento e caratterizzazione. Da questa constatazione è nata l’idea che sarebbe stato necessario poter effettuare un’analisi più dettagliata dei vari metodi. Dall’osservazione che tutte le tecniche tracheostomiche possono essere frazionate in tre distinti momenti, abbiamo creato una tabella che riporta la suddivisione in fasi delle metodiche di cui abbiamo maggiore esperienza, ST (300 adulti e 50 bambini), PDT (56 adulti), TLT (400 adulti e 26 bambini). 69 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Tabella I Suddivisione in fasi delle tracheostomie ST dissezione apertura inserimento pretracheale trachea cannula PDT inserimento dilatazione inserimento ago cannula TLT inserimento dilatazione inversione ago cannula Oltre a permettere lo studio circostanziato di una tecnica, questa suddivisione si è rivelata utile anche nelle comparazioni perchè dà la possibilità di confrontare, fase per fase, le manovre più significative di ogni singola tecnica e di valutarne i rispettivi pregi e difetti. 9. La tecnica e la sua dipendenza dall’operatore è un altro punto che non viene debitamente considerato. La ST, ad esempio, è il metodo in assoluto più operatore-dipendente: se viene eseguita da un abile chirurgo non ha controindicazioni, non dà luogo a complicanze (5). Anche i fenomeni infiammatori a carico dello stoma possono essere ridotti a livelli insignificanti mediante la creazione di piccole fenestrature della parete e lo scarso traumatismo dei tessuti. Al contrario, operatori inesperti ipossono creare gravissime complicanze, come si verificava in passato quando la tracheostomia era considerata un intervento di secondaria importanza ed era affidata ai giovani medici, quasi come apprendistato per compiti di maggiore impegno. La definizione di questa caratteristica è importante perchè riveste anche un interesse medico-legale da non sottovalutare, in quanto oggigiorno, in caso di grave incidente nel corso di ST, un intensivista di estrazione non chirurgica potrebbe risultare non pienamente difendibile. Tra le percutanee, la tecnica di Griggs ha una componente chirurgica rilevante (la dissezione dei tessuti pretracheali, l’uso di forcipi divaricatori, la maggior invasività che si traduce in emorragie più frequenti ed importanti rispetto alle altre percutanee) e per tale ragione viene ad occupare una posizione intermedia tra ST e PDT nella scala di dipendenza dall’operatore. La PDT Ha una parte chirurgica minore, anche se non trascurabile (la dissezione dei tessuti pretracheali viene considerata indispensabile per ridurre le resistenze all’introduzione di dilatatori e cannule). Non sono pochi coloro che auspicano la pronta reperibilità di un chirurgo quando si debba effettuare una percutanea. Nella TLT non esistono manovre chirurgiche. 10. Non deve essere confuso il concetto di manovra nuova, non tradizionale e quello di manovra difficile e pericolosa. Nella TLT, il raddrizzamento ed il cambio di direzione cranio-caudale della parte interna della cannula (fase 3) richiede delle manovre che solo apparentemente sembrano complesse perché appartengono ad una tecnica totalmente innovativa, ma che in pratica si sono rivelate di rapido apprendimento e, soprattutto, sicure. Infatti, il massimo rischio in cui si può incorrere, è quello di una decannulazione accidentale che può essere facilmente corretta dalla reintroduzione di un nuovo cono-cannula con l’aiuto del filo di sicurezza lasciato in situ a questo scopo. Possiamo concludere che la fase 3 in minima parte è dipendente dall’operatore, in quanto rare sono state decannulazioni da noi riscontrate e tutte avvenute nel periodo di training, ed una pericolosità intrinseca, molto esigua in quanto la decannulazione non espone il paziente a rischi aggiuntivi in quanto la ventilazione tramite l’apposito catetere non viene interrotta. Si può quindi affermare che la decannulazione può essere tranquillamente derubricata da complicanza a semplice inconveniente tecnico. 70 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Le conseguenze degli attuali criteri di valutazione La sommazione di difetti e incongruenze che abbiamo sopra elencato, ha creato l’assoluta inaffidabilità delle attuali comparazioni. Ognuno è in grado oggi di affermare che la sua tecnica è più sicura e più facile di un’altra. Dove possa portare una situazione di questo genere, lo si può facilmente dedurre dal caso Ciaglia, sopra ricordato, una ricusa di un metodo dopo ben 14 anni di generale incensamento della tecnica da parte di decine di pubblicazioni che ne evidenziavano la sicurezza e la superiorità sulla ST. Problemi del periodo post-procedurale Sulla comparsa di complicanze tardive il tipo di tecnica tracheostomica svolge certamente un ruolo primario. Le tracheostomie OIT provocano notevoli danni all’impalcatura cartilaginea, come si può dedurre dalla frequente presenza di monconi aggettanti nel lume e di fenomeni emorragici intraluminali dovuti all’effetto introflettente o volvente della manovra di dilatazione. La percentuale della rottura di anelli può essere considerata un’importante e specifico indice della lesività di una tecnica sulla parete tracheale anteriore, la cui integrità dovrebbe essere salvaguardata in quanto costituisce la migliore prevenzione dell’inquinamento batterico, proveniente dal lume tracheale, dei tessuti peritracheali. Tuttavia va ricordato che la gestione di una tracheostomia viene condizionata anche, e forse in pari misura rispetto alla tecnica, da una serie numerosa di altri fattori non direttamente correlabili con la procedura per se stessa, fattori che troviamo elencati qui sotto. 1. Le cannule rigide dovrebbero essere abolite, talmente elevato è il pericolo di decubiti della parete posteriore da spostamento in avanti del tratto esterno, la più frequente causa di fistola tracheo-esofagea e,con lo stesso meccanismo di impegno dell’estremità della cannula sulla parete posteriore della trachea, di improvvise ostruzioni respiratorie. Preferibili quelle armate flessibili che si allineano spontaneamente con l’asse tracheale, non risentono delle trazioni e delle inclinazioni esercitate sul segmento esterno e quindi prevengono le complicanze sopra ricordate. La presenza di controcannule non è indispensabile in un reparto intensivo, dove frequenti aspirazioni e gas fisiologicamente umidificati eliminano il pericolo di ostruzioni. La cannula rigida con controcannula è invece d’obbligo se il paziente viene trasferito in reparti a basso livello assistenziale. 2. Dopo una percutanea, il cambio cannula non dovrebbe essere effettuato prima di 2-3 settimane. Per lo stoma di recente formazione questo provvedimento rappresenta sempre un trauma ed un momento di rischio inutile. In caso di necessità, la sostituzione di una cannula deve essere attuata in clima di assoluta sicurezza, con tutte le precauzioni suggerite dalle linee guida vigenti. 3. L’inalazione di gas non fisiologicamente umidificati è una delle cause più frequenti di lesioni tracheali sia per l’aumentato attrito delle vie aeree artificiali sulla mucosa, sia per i depositi di secrezioni disidratate che tendono precocemente ad organizzarsi e trasformarsi in restringimenti cicatriziali. Nei lunghi trattamenti respiratori, gli umidificatori a riscaldamento sono apparecchiature che non hanno valide alternative. 4. Le prolungate trazioni sulla cannula tendono ad allargare lo stoma ed a trasformarlo in una ferita saniosa ed infetta. E’ buona norma adottare un doppio raccordo girevole nel circuito respiratorio e cannule flessibili in modo da ammortizzare le sollecitazioni. 5. Paralisi muscolare, sedazione, disturbi della deglutizione da presenza di cannula sono condizioni che favoriscono l’accumulo di secrezioni nel retrofaringe e il loro passaggio in trachea. Per ovviare a questo inconveniente, responsabile di processi infettivi polmonari, abbiamo iniziato a 71 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 praticare, molti anni addietro, l’aspirazione intermittente faringea per mezzo di sonde poste in faringe in prossimità delle corde vocali ed apparecchi adattati per questa funzione. Questo metodo è molto più razionale di quello più recentemente messo in commercio che si basa sull’impiego di cannule tracheostomiche con una porta situata prossimalmente alla cuffia e perciò destinata all’aspirazione di materiale che ha già superato una prima barriera fisiologica di sicurezza, la glottide , ed è più difficile da eliminare. 6. I drenaggi posturali, supino-prono, rappresentano un altro valido ed insostituibile mezzo per rimuovere le secrezioni nel paziente in ventilazione meccanica. Nonostante la crescente produzione di lavori a favore di questo provvedimento, sono ancora pochi i centri in cui viene applicato. 7. Per quanto riguarda la decannulazione accidentale, il grande vantaggio della ST rispetto alle percutanee è la maggior facilità di reintroduzione della cannula. L’ancoraggio cute–parete tracheale, la breccia più ampia e rigida, ed eventuali ponti di scivolamento eliminano i problemi del reinserimento. Deve essere ricordato che questi vantaggi hanno il loro prezzo: la ST causa un trauma non trascurabile dei tessuti, espone a complicanze infiammatorie più rilevanti e, non ultimo, evidenzia maggiori difficoltà di chiusura. Le percutanee richiedono attenzioni particolari da parte del personale, soprattutto nei primi giorni, quando lo stoma tende a restringersi rapidamente. Con il passare del tempo le differenze tra percutanee e ST si attenuano progressivamente, fino a scomparire del tutto dopo una quindicina di giorni. Per tale ragione, l’affermazione fatta da alcuni, che la previsione di un trattamento domiciliare debba imporre la ST non sembra avere una giustificazione plausibile. 8. Si afferma che il passaggio dalla ST alle percutanee abbia ridimensionato il problema della chiusura definitiva dello stoma.Va ricordato tuttavia che se una ST è praticata da mani esperte con piccola fenestratura, le difficoltà di chiusura vengono notevolmente ridotte. Comunque, a mio avviso, la forte riduzione dei casi che richiedono una plastica di chiusura dello stoma che si è notata in questi ultimi anni, deve essere attribuita in massima parte alla marcata riduzione del calibro delle cannule tracheostomiche rispetto al passato, quando misure di 11-12 mm I.D. rientravano negli standard comunemente adottati. Bibliografia 1. Fantoni A. Nuovi criteri di comparazione: le fasi della tracheostomia e i dati anatomici essenziali. Minerva Anestesiol 2004;70(1):445-448 2. Fantoni A. The need to compare different techniques of tracheostomy in a more reliable way. Journal fur Anasthesie und Intensivbehandlung 2006, 3,S. 61 3. Fish. WH, Boheimer NO, Cadle DR, Sinclair DG. A life-threatening complication following percutaneous tracheostomy. Clinical Intensive Care 1996,; 7: 206-208 4. Ciaglia P. Technique, complications, and improvements in percutaneous dilatational tracheostomy. Chest 1999; 115: 1229-1230 5. Porter JM, Ivatury RR. Preferred route of tracheostomy- Percutaneous versus open at the bedside: a randomized, prospective study in the surgical intensive care unit. Am Surgeon 1999; 65: 142-146) 72 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Insufficienza d’organo end-stage e implicazioni cliniche della sindrome da ischemiariperfusione nel trapianto di organo solido P. FELTRACCO, E. MICHIELETTO, E. SERRA, I TIBERIO, S. RIZZI, F. SALVATERRA, S. BARBIERI, M. FURNARI, L. BREZZI, C. ORI Dipartimento di Farmacologia e Anestesia, Sezione di Anestesia, Università di Padova Key-words: sindrome da ischemia-riperfusione, post-reimplantion injury, end-stage organ failure. Il trapianto d’organo rappresenta oggi una realtà terapeutica ben codificata sul piano delle indicazioni e della procedura. I risultati ottenuti negli anni recenti in termini di sopravvivenza e qualità di vita confermano l’appropriatezza e l’efficacia della sostituzione d’organo quando l’insufficienza dello stesso sia arrivata alla sua fase irreversibile e terminale. L’idea di un trapianto, inteso come la mera sostituzione di un organo ormai non più funzionante con un altro, è francamente restrittiva e non contempla invece un’ottica più allargata che comprende la scelta delle indicazioni, le controindicazioni, i risultati, le complicanze, i fallimenti ecc. La complessità delle manifestazioni cliniche e delle relative implicazioni anestesiologicorianimative dei riceventi sfugge per lo più all’interesse dei non operatori; le problematiche fisiopatologiche dei vari organi in end-stage dovrebbero tuttavia stimolare all’approfondimento, se non altro per i molteplici risvolti di una potenziale chirurgia di elezione o di urgenza su questo tipo di pazienti. Di seguito riportiamo succintamente alcune note sugli aspetti clinici più significativi delle insufficienze dei comuni organi solidi suscettibili di trapianto. END-STAGE LIVER DISEASE L’epatite fulminante e lo stadio terminale della cirrosi sono le condizioni di grave insufficienza epatica che, in quanto tali o per le conseguenze a carico di organi ed apparati, necessitano di intervento di trapianto. L’epatite fulminante determina un quadro di encefalopatia associato a grave insufficienza parenchimale che s’instaura entro 8 settimane dall'esordio di una patologia epatica acuta in assenza di precedenti malattie a carico del fegato. Il quadro di insufficienza epatica acuta è conseguenza della necrosi epatocellulare massiva, con distruzione del parenchima e perdita pressoché totale degli epatociti. A questo consegue l’insufficienza delle funzioni di sintesi, deposito, trasformazione, detossificazione e secrezione normalmente svolte dagli epatociti, con ripercussioni sistemiche. La classica presentazione è caratterizzata da alterazione dello stato di coscienza a cui si sommano variazioni brusche dei parametri ematici: iperbilirubinemia, alterazione dei parametri coagulativi, elevazione delle transaminasi che, in un secondo stadio, dopo la necrosi massiva, si riducono rapidamente [1]. Ai dati laboratoristici si aggiungono la comparsa di edema cerebrale, squilibri emodinamici e respiratori, alterazione della funzione renale e dell’emostasi. Aumenta, inoltre, l’incidenza di complicanze infettive. La cirrosi epatica costituisce di gran lunga la causa più frequente di malattia epatica cronica che può portare a insufficienza acuta. Al danno epatocitario iniziale e/o al perdurare dello stimolo tossico segue rigenerazione e degenerazione fibrotica, con aumento del tessuto connettivo, 73 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 sovvertimento delle strutture vascolari da parte del tessuto nodulare rigenerativo ed aumento delle resistenze intraepatiche. L'aumento compensatorio del flusso epatico determina un ulteriore incremento della pressione portale e lo sviluppo di circoli collaterali. Un aumento eccessivo della pressione nei circoli collaterali esofageo ed emorroidario provoca il sanguinamento spontaneo a livello del tratto gastroenterico (rottura di varici). L'aumento del flusso linfatico intraepatico concorre alla produzione di ascite. Le manifestazioni patologiche sono legate sia al danno epatocellulare che alla condizione di ipertensione portale. La necrosi epatocitaria determina la perdita delle capacità sintetiche, metaboliche, di deposito e di depurazione ed è associata a ittero, alterazioni della coagulazione, ipoalbuminemia [2]. Le principali modificazioni indotte dall’insufficienza epatica terminale sono: • Encefalopatia epatica; • Alterazioni del profilo cardiovascolare; • Sindrome epatorenale; • Complicanze a carico dell'apparato respiratorio ed alterazione degli scambi gassosi; • Modificazioni dell’emostasi e della coagulazione; • Alterazioni del profilo metabolico; • Ipertensione portale; • Infezioni. L’encefalopatia epatica L’encefalopatia epatica è caratterizzata da disturbi del comportamento ed alterazioni dello stato di coscienza legati alla insufficienza dell’epatocita. Essa si osserva obbligatoriamente nell’epatite fulminante mentre è una complicanza possibile della cirrosi di grado avanzato, dove prende il nome di encefalopatia portosistemica. Sebbene i meccanismi patogenetici siano molto complessi e poco noti, la possibile e completa reversibilità depone per una sindrome metabolica sostenuta da: • ammonio e sostanze a formazione gastroenterica non rimosse o inattivate dal fegato con azione sul sistema nervoso; • GABA; • endozepine; • falsi mediatori; • alterazioni dell’equilibrio degli aminoacidi. Il fattore patogenetico più importante è rappresentato dalla grave alterazione della funzionalità epatocellulare e dalla presenza degli shunt tra circolo venoso portale e circolo sistemico (nel cirrotico) che escludono ampiamente il fegato. Ne risulta che varie sostanze tossiche assorbite dall’intestino non vengono detossificate dal fegato, determinando alterazioni metaboliche nel sistema nervoso centrale. L’ammoniaca è la sostanza più frequentemente coinvolta; in molti casi, ma non in tutti, i livelli ematici di ammoniaca sono elevati, per ridursi dopo la risoluzione dell’episodio encefalopatico. Dal punto di vista clinico, l’encefalopatia epatica può presentarsi con qualsiasi alterazione neurologica, sistemica o focale. Nell’encefalopatia acuta, i deficit neurologico regrediscono con la correzione dei fattori scatenanti mentre nell’ecefalopatia cronica le alterazioni neurologiche possono essere ingravescenti ed irreversibili. Caratteristica di questa forma di encefalopatia è la presenza all’elettroencefalogramma di aspecifiche onde lente (2-5 al secondo), simmetriche e ad alto voltaggio [3]. Nella seguente tabella sono riportati i vari stadi dell’encefalopatia epatica: 74 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 stadio 1 Stadio 2 Stadio 3 Stadio 4 Stadio 5 Moderato stato confusionale; alterazioni comportamentali Stordimento e stato confusionale; alterazioni comportamentali Sopore e sonnolenza; stato irritativo corticale Depressione rilevante con risposta mantenuta allo stimolo doloroso Stato di coma profondo → formazione di edema cerebrale → aumento della pressione intracranica Alterazioni del profilo cardiovascolare Il profilo cardiocircolatorio del paziente con insufficienza epatica acuta è caratterizzato da sindrome ipercinetica, con elevato indice cardiaco, pressione arteriosa media ai limiti inferiori di norma, basse resistenze vascolari sistemiche e polmonari, pressioni di riempimento medio-basse. L'aumento di portata è sostenuto sia da un aumento del volume sistolico che da un aumento della frequenza cardiaca, quest’ultima non sempre presente. Nella insufficienza epatica avanzata si osserva un’imponente vasodilatazione sistemica che determina ipovolemia relativa e sindrome ipercinetica; essa è sostenuta da elevati livelli di endotossine circolanti, prostaglandine, peptidi intestinali ad azione vasoattiva, ferritina e glucagone (per mancata inattivazione da parte del fegato). Nonostante l’indice cardiaco elevato e la buona disponibilità di O2, si verifica una ridotta estrazione di ossigeno in periferia per la anomala vasodilatazione e la maldistribuzione del flusso ematico, con conseguente ipossia tessutale [4]. Sindrome epatorenale L’insufficienza epatica è frequentemente accompagnata dalla compromissione della funzione renale (sindrome epatorenale) [5]. Il meccanismo patogenetico di questo fenomeno è correlato alle modificazioni emodinamiche sistemiche e splancniche (vasodilatazione) e allo stato di ipovolemia relativa a cui si oppone una vasocostrizione renale compensatoria mediata sia da un aumento del tono ortosimpatico che da un aumento della attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone [6][7]. Complicanze a carico dell'apparato respiratorio ed alterazione degli scambi gassosi Il paziente epatopatico terminale può presentare un quadro di ipossia dovuto a ipoventilazione alveolare. Questa può essere la conseguenza di versamenti pleurici e ascitici addominali con sopraelevazione del diaframma. Deve essere ricordato che il soggetto cirrotico tende ad una moderata iperventilazione con associata alcalosi respiratoria (con o senza ipossia). La perdita del riflesso di vasocostrizione ipossica dei vasi polmonari in presenza di ipossia alveolare determina un aumento della perfusione nelle zone malventilate. A contribuire all’alterazione del rapporto ventilazione-perfusione contribuisce l’aumento del volume di chiusura e la ridotta differenza tra Capacità Funzionale Residua (FRC) e Capacità di Chiusura (CC) [8]. Anche la presenza di shunts arterovenosi (intrapolmonari, portopolmonari) destro-sinistri si traduce in una riduzione di PaO2. E' infine da ricordare come, in una percentuale inferiore all'1%, alla cirrosi si associ ipertensione polmonare, istologicamente caratterizzata da proliferazione endoteliale e fibrosi intimale. A questi meccanismi si affiancano la perdita dei riflessi di difesa delle vie aeree, il rischio di inalazione di contenuto gastrico ed il conseguente sviluppo di patologia respiratoria con quadri di edema alveolointerstiziale tipo ARDS ed aumento del gradiente alveolo-arterioso di O2 [9]. Sporadicamente condizioni di grave ipossia in assenza di infezioni o edema sono state riportate anche in corso di epatite fulminante. Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nella apertura di shunt polmonari arterovenosi in analogia a quanto osservabile nella epatopatia cronica. Modificazioni della emostasi e della coagulazione Il fegato svolge un ruolo centrale nel mantenimento della bilancia emostatica. La maggior parte dei fattori coagulativi (fibrinogeno, i fattori II, V, VII, IX, X, XI, XII della famiglia delle serinproteasi), 75 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 gli anticoagulanti fisiologici (Antitrombina III, Proteina C e Proteina S), il plasminogeno (precursore della plasmina, enzima fibrinolitico) e la a2antiplasmina (inattivatore della plasmina circolante, antifibrinolitico) sono di sintesi epatica [10][11]. Il sistema reticoloendoteliale del fegato gioca inoltre un ruolo fondamentale nella clearance di fattori procoagulanti attivati e delle sostanze profibrinolitiche [12]. Nel portatore di insufficienza epatica terminale si possono riscontrare alterazioni di tutte le fasi della emostasi: • Alterazione della fase vascolare per vasocostrizione inefficace; • Alterazione della fase piastrinica per disordini del numero e della funzione piastrinica (raramente presenti nella epatite fulminante); • Deficit coagulativo per ridotta sintesi fattori procoagulanti (vit.K dipendenti), ridotta clearance fattori attivati, aumentato consumo di fattori procoagulanti, riduzione di sintesi di procoagulanti e di anticoagulanti fisiologici (ATIII, PC, PS); • tendenza alla iperfibrinolisi per aumento attivatori (ridotta clearance plasminogeno, aumentati livelli di tPA, aumento attività proteasica), ridotta sintesi inibitori (a2 antiplasmina – PAI). Alterazioni del profilo metabolico I pazienti con insufficienza epatica spesso presentano ipoglicemia per un aumento dei livelli circolanti di insulina, ridotta gluconeogenesi e ridotti depositi di glicogeno. In alcuni casi può essere osservata alcalosi metabolica, correlata a perdita di potassio e a ridotta sintesi di urea. L’acidosi metabolica è associata ad acidosi lattica, la cui origine è dovuta sia ad aumento di produzione per deficit di perfusione periferica che a ridotta capacità di clearance epatica [13]. Ipertensione portale Nel cirrotico, l’ipertensione portale consegue all’aumento delle resistenze vascolari a livello dei sinusoidi epatici. Poiché il sistema venoso portale è privo di valvole, lo sviluppo di resistenze a qualsiasi livello tra il cuore e i vasi spalncnici dà luogo alla trasmissione retrograda di una pressione elevata. Le principali manifestazioni dell’ipertensione portale sono l’emorragia da varici gastroesofagee, l’ipersplenismo, la formazione di ascite e l’encefalopatia epatica da shunt. L’ipertensione portale svolge un ruolo importante nello sviluppo di ascite; essa infatti determina un aumento della pressione idrostatica nel circolo splancnico. Nel cirrotico al mantenimento dell’ascite contribuiscono anche fattori renali. Questi pazienti presentano un elevato grado di riassorbimento renale di sodio e non sono in grado di eliminare normalmente un carico idrico [14]. Infezioni Infezioni e sepsi sono frequenti complicanze associate alla epatite fulminante, e peggiorano il quadro della epatopatia cronica. Sono sostenute per il 30-40% da germi Gram negativi, probabilmente di derivazione intestinale e responsabili di parte delle batteriemie primarie, e per il 60-70% da microorganismi Gram positivi [15]. Nel paziente con cirrosi terminale, le più comuni infezioni sono a carico delle vie urinarie o si presentano come peritoniti batteriche spontanee. Le infezioni delle vie aeree non sono un evento particolarmente frequente. Nel 20% dei casi è presente diffusione ematica. I batteri maggiormente rappresentati sono Gram negativi (origine enterica o comunque esogena), la cui diffusione sistemica appare facilitata sia dal fenomeno della traslocazione batterica, legata a fenomeni ischemici viscerali in grado di aumentare la permeabilità di parete (vasocostrizione, ipovolemia) che dalla ridotta clearance operata dalle cellule di Kupffer e dal sistema RI (la cui capacità fagocitica è ridotta sia per difetti intrinseci di fagocitosi che per presenza di shunt porto-sistemici o intraepatici). 76 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 END-STAGE RENAL DISEASE L’insufficenza renale cronica (IRC) è una complessa condizione clinico-metabolica conseguente alla progressiva distruzione della massa nefronica. A seconda dell’entità della compromissione funzionale renale possono schematicamente distinguersi tre fasi dell’IRC: 1. IRC in fase di compenso: la funzione renale è ridotta sotto al 50-60%. Questa fase è caratterizzata dall’assenza di alterazioni biochimiche e cliniche importanti, essendo i nefroni residui in relativa ipertrofia compensatoria. 2. IRC in fase di scompenso funzionale con funzione residua del 40-10%. Si sviluppano progressivamente alterazioni biochimiche (iperazotemia, iperuricemia, alterazioni idricoelettrolitiche) e sintomi clinici a carico di vari organi e sistemi (anemia, ipertensione, sintomi gastro-intestinali, neurologici). 3. IRC in fase uremica (o terminale): la funzione renale residua è inferiore al 10%. Si aggravano tutte le alterazioni biochimiche e sono presenti segni e sintomi che possono interessare tutti gli organi e apparati (cardio-circolatorio, respiratorio, emopoietico, osteoarticolare, nervoso, cutaneo, endocrino). Quando la funzione renale residua diviene inferiore al 20%, le manifestazioni cliniche e le alterazioni biochimiche che inizialmente differenziavano la diversa eziologia del danno renale, divengono similari [16]. In questo modo, l’aumento dell’urea plasmatica diviene relativamente indipendente dall’apporto esogeno e ulteriori decrementi della funzione renale si accompagnano ad aumenti importanti della concentrazione plasmatici di urea [17]. Nella IRC in fase uremica o terminale (VFG inferiore al 15-10%) tutti i segni e sintomi si aggravano ulteriormente [18] e tutti gli apparati possono essere interessati con: • ipertensione arteriosa; • anemia; • aumento della creatinina plasmatici; • alterazioni biochimiche e cliniche legate al deficit delle funzioni renali escretoria ed endocrina; • coma uremico. Alterazioni idro-elettrolitiche e dei cataboliti azotati nell’IRC L’adattamento del rene ad un’ipofunzione dei nefroni determina ipertrofia e iperplasia dei nefroni funzionanti. Tuttavia questo si realizza con un diminuito riassorbimento di acqua, che si manifesta con una diminuzione della capacità di concentrazione o ipostenuria e poliuria. E’ in un secondo tempo che compare l’incapacità del rene a diluire l’urina, incapacità che si rende manifesta con l’escrezione di urina con osmolarità relativamente costante o isotenuria. Il bilancio idrico dell’organismo, tuttavia può essere mantenuto normale fino a valori di VFG residuo di 10-15 ml/min [19]. Sodio: nella maggior parte dei pazienti con IRC stabile possono essere documentati modesti aumenti del sodio e dell’acqua totale corporea. Negli stadi più avanzati dell’IRC vi è una limitata capacità ad aumentare l’escrezione di sodio al punto che un aumento dell’apporto di sodio con la dieta può essere sufficiente a determinare un’insufficienza cardiaca o un sovraccarico idrico. Potassio: l’escrezione di potassio è di solito normale fino agli stadi tardivi dall’IRC. La capacità di compenso del bilancio del potassio è dovuta a meccanismi di adattamento del tubulo distale e del colon, in risposta all’aldosterone. Ciò spiega come l’oliguruia o la rottura di questi importanti meccanismi di adattamento possano indurre iperkaliemia con effetti sfavorevoli sulla funzione cardiaca. L’iperkaliemia nel paziente con IRC può essere anche la conseguenza di acidosi. Calcio e del fosforo: l’iperfosfatemia è secondaria alla ritenzione di fosfati. Con il progredire della malattia la quantità totale di fosfato filtrato dai nefroni residui si riduce progressivamente 77 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 elevando in modo persistente il livello di ormone paratiroideo; quest’ultimo aumenta l’escrezione del fosfato inibendo il processo di riassorbimento mentre, contemporaneamente, provoca un aumento della concentrazione sierica del calcio. Equilibrio acido-base: man mano che va riducendosi l’escrezione di acidi si rende manifesta un’acidosi metabolica. La produzione di tamponi urinari e la disponibilità dell’ammoniaca cadono al di sotto dei livelli necessari per fronteggiare un improvviso carico acido esogeno o endogeno. Manifestazioni gastro-intestinali Anoressia, nausea e vomito e singhiozzo sono estremamente frequenti e determinano malnutrizione e alterazioni idrico-elettrolitiche. Ulcerazioni, spesso multiple, possono insorgere in qualunque parte del tubo gastro-intestinale. Sintomi neurologici Le alterazioni neurologiche dell’uremia interessano sia il sistema nervoso centrale (encefalopatia uremica) che il sistema nervoso periferico (neuropatia uremica). L’encefalopatia uremica, causata da alterazioni metaboliche proprie dell’uremia, si manifesta con incapacità a concentrarsi, ottundimento, insonnia notturna e sonnolenza diurna, alterazioni della personalità, depressione, irritabilità, ansia. Possono manifestarsi segni di irritabilità neuromuscolare con tremori, crampi, fascicolazioni. In fase terminale sono comuni asterissi, mioclonie, stato stuporoso, clonie, coma [20]. La neuropatia periferica compare clinicamente nelle fasi più avanzate dell’IRC; si tratta di una neuropatia distale, generalmente simmetrica, di tipo mista, motoria e sensitiva (specie agli arti inferiori). Manifestazioni cardio-vascolari e polmonari L’ipertensione arteriosa è la complicanza più frequente nei pazienti con IRC avanzata e rappresenta a sua volta un fattore di aggravamento della nefropatia. I meccanismi responsabili dell’ipertensione sono l’espansione del volume extracellulare causata dalla ritenzione di sodio e l’ipersecrezione di renina da parte dei nefroni residui. La ritenzione di liquidi nei pazienti uremici porta spesso a scompenso cardiaco congestizio e ad edema polmonare. Sono frequenti le alterazioni miocardiche aterosclerotiche, verosimilmente in rapporto alle alterazioni metaboliche (iperlipidemia, iperuricemia) proprie dell’uremia cronica [21]. Alterazioni ematologiche Nell’insufficienza renale cronica avanzata vi è regolarmente una anemia di tipo ipoproliferativo, normocitica, normocromica L’eritropoiesi è depressa sia per effetto delle tossine uremiche sul midollo sia per la diminuita sintesi di eritropoietina da parte del rene malato [22]. Altri fattori che contribuiscono all’anemia sono la ridotta sopravvivenza dei globuli rossi, l’inibizione dell’eritropoiesi da parte dei metabolici tossici, l’osteite fibrosa associata al’iperparatiroidismo, il deficit di ferro e di folati [23]. Le alterazioni della coagulazione compaiono in genere nella fase terminale, quando la funzione renale residua è inferiore al 10%, e sono caratterizzate da un’anormale tendenza al sanguinamento e da fragilità vascolare. L’allungamento del tempo di sanguinamento, la diminuita funzionalità piastrinica e il diminuito consumo di protrombina costituiscono i meccanismi del disordine emocoagulativo in questi pazienti. Le alterazioni dei globuli bianchi possono essere a carico sia delle cellule linfoidi che dei granulociti. È presente una riduzione della chemiotassi e dell’attività fagocitarla mentre le alterazioni linfocitarie sono caratterizzate da linfopenia, ridotta risposta blastogenica, riduzione delle reazioni cutanee di ipersensibilità ritardata. Anche la risposta anticorpale primaria nei 78 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 confronti di antigeni nuovi risulta depressa. Queste alterazioni, clinicamente, possono manifestarsi con un aumentato rischio di infezioni. La retinopatia Il paziente con insufficienza renale uremica spesso presenta un quadro di retinopatia sovrapponibile a quella che si riscontra nell’ipertensione arteriosa. Le manifestazioni dermatologiche La cute del paziente uremico mostra numerose alterazioni; spesso ha un peculiare colorito giallo pallido, che deriva dalla combinazione dell’anemia con l’accumulo di pigmenti urocromici. Le manifestazioni a carico dell’apparato respiratorio Nell’uremia sono variabili; spesso dipendono dall’acidosi che può portare all’iperpnea o anche al respiro di Kussmaul. La polmonite uremica viene di solito descritta come una radiopacita ilare che si estende verso l’esterno come una nube con l’aspetto di "farfalla" o di "ala di pipistrello". Alterazioni ossee: osteodistrofia renale È un’alterazione ossea conseguenza della ridotta produzione dell’attivatore della produzione della vitamina D e della presenza di iperparatiroidismo. Le alterazioni ossee della osteodistrofia renale comprendono: osteite fibrosa, osteomalacia, osteosclerosi, osteoporosi. Alterazioni del metabolismo glucidico In oltre il 50% dei pazienti con uremia è presente un’intolleranza ai carboidrati caratterizzata da una riduzione della velocità con la quale la glicemia ritorna ai valori normali dopo la somministrazione di un carico glucidico. Poiché l’insulina viene in larga misura degradata dal rene, i livelli plasmatici di questo ormone tendono ad accumularsi e, in risposta ad un carico di glucosio, vi è un notevole rilascio di insulina in circolo. Metabolismo protidico e lipidico Nell’insufficienza renale avanzata la capacità di eliminare i prodotti azotati derivanti dal catabolismo proteico è fortemente ridotta [24]. L’alterazione del metabolismo proteico porta ad un bilancio azotato negativo e perdita di massa magra corporea (soprattutto muscolare). END-STAGE HEART DISEASE Tra le patologie cardiovascolari, senza dubbio la cardiopatia ischemica rappresenta la causa più comune di scompenso cardiaco evolutivo e ingravescente. I meccanismi patogenetici con cui la cardiopatia ischemica può determinare insufficienza cardiaca terminale sono essenzialmente tre: l’ischemia miocardica, i danni anatomici postinfartuali e la disfunzione cronica. Oltre alle forme ischemiche l’insufficienza cardiaca può comparire nelle cardiopatie congenite e nelle cardiopatie acquisite di lunga durata quali la stenosi mitralica con ipertensione polmonare o la stenosi aortica calcifica; nella maggior parte delle altre cardiopatie, la comparsa dello scompenso cardiaco appare legata alla disfunzione ventricolare sinistra. Fisiopatologia Quasi tutte le forme di insufficienza cardiaca sono precedute da un periodo più o meno lungo di adattamento del muscolo cardiaco alla malattia del cuore. Questa fase è caratterizzata dalla comparsa di disfunzione ventricolare e di vari tipi di ipertrofia. Nella disfunzione ventricolare vengono alterati contrattilità, postcarico, precarico e compliance del ventricolo sinistro [25]. 79 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La causa generale della comparsa dell’insufficienza cardiaca, della sua gravità, evoluzione e clinica, risiede nella depressione della funzione ventricolare sistolica. Una grave depressione della contrattilità è presente nella maggior parte delle cardiopatie in scompenso, specie se avanzato mentre altri casi sono caratterizzati da un inappropriato rapporto tra postcarico e precarico (afterload mismatch). Quanto alla fase diastolica, le alterazioni proprie dell’insufficienza cardiaca possono essere classificate in alterazioni del rilasciamento e alterazioni della distensibilità. Fattori scatenanti lo scompenso • non osservanza della terapia; • assunzione di dieta inappropriata; • attività fisica eccessiva; • stress psicologici; • situazioni ambientali non idonee; • embolia polmonare; • infezioni; • anemia; • tireotossicosi e gravidanza; • aritmie; • miocarditi reumatiche e di altra eziologia; • patologia respiratoria; • malattie generali ricorrenti; • nuova cardiopatia, Segni clinici maggiori Dispnea: l’insufficienza respiratoria è il sintomo più comune di scompenso cardiaco. Inizialmente la dispnea è osservabile solo durante lo sforzo fisico ma con il progredire dell’insufficienza arriva a comparire anche a riposo. Il meccanismo di questo tipo di dispnea è legato soprattutto all’ipertensione venosa polmonare, dipendente a sua volta dall’ipertensione diastolica ventricolare sinistra e dall’ipertensione atriale sinistra [26]. Ortopnea: è in parte secondaria alla ridistribuzione di liquidi dall’addome e dalle estremità inferiori verso il torace che determina un aumento della pressione idrostatica nei capillari polmonari. Dispnea parossistica notturna: è collegata alla depressione dei centri respiratori durante il sonno; questo fenomeno riduce la ventilazione ad un livello tale da diminuire la tensione arteriosa di ossigeno e ridurre ulteriormente la compliance polmonare. Edema polmonare acuto: è la manifestazione più importante dello scompenso cardiaco; è tipicamente notturno, quando non associato a fattori scatenanti. La trasudazione di liquidi all’interno degli alveoli è il risultato di un brusco incremento della pressione capillare polmonare [27]. Sintomi urinari: la nicturia è una frequente manifestazione dell’insufficienza cardiaca; durante il giorno, infatti, l’attività muscolare richiama gran parte della gittata cardiaca, limitando il flusso renale [28][29]. Sintomi digestivi: sono la conseguenza della stasi portale, mesenterica e dell’ischemia splancnica, pertanto sono sintomi tradivi, salvo l’eptalgia da sforzo. Il dolore da attività fisica legato alla distensione della glissoniana è particolarmente frequente nei bambini e adolescenti. Sintomi cerebrali: vertigini, confusione, sonnolenza, insonnia si osservano più spesso negli anziani. Segni e sintomi generali: affaticabilità, sudorazioni, edema periferico, turgore giugulare, idrotorace e ascite, ittero, cachessia cardiaca, iponatremia [30]. 80 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 END-STAGE LUNG DISEASE Con il termine di “insufficienza respiratoria cronica end-stage” si definisce una condizione caratterizzata da una progressiva e costante alterazione della pressione parziale dei gas (riduzione dell’ossigenazione e ritenzione di CO2) associata a ingravescente fatica ed esaurimento della pompa muscolare. A livello dei vari organi essa comporta alterazioni metaboliche per mancanza di un adeguato apporto di ossigeno ai mitocondri (metabolismo anaerobico, produzione acido lattico e acidosi metabolica). L’insufficienza respiratoria cronica terminale determina conseguenze emodinamiche che interessano dapprima le sezioni destre del cuore, quale effetto della vasocostrizione arteriolare polmonare innescata dall’ipossiemia cronica (rimodellamento vascolare, ipertensione polmonare pre-capillare, cuore polmonare cronico) ma in un secondo tempo anche delle sezioni sinistre. L’insufficienza respiratoria ipossiemica è caratterizzata da una PaO2 inferiore a 60 mmHg con una PaCO2 normale o bassa. È la forma più frequente e si osserva in molte patologie che comportano alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q). L’insufficienza respiratoria ipercapnica è invece caratterizzata da una PaCO2 maggiore di 50 mmHg; l’ipossiema è comune in questi pazienti se non vengono sottoposti ad ossigenoterapia. Il valore di pH dipende dai livelli di bicarbonati che, a loro volta, dipendono dalla durata dell’ipercapnia. Se esula da questa trattazione il considerare le innumerevoli cause di insufficienza respiratoria vale tuttavia la pena di sottolineare come dal punto di vista funzionale esse realizzino fondamentalmente tre condizioni: a) pattern respiratorio di tipo ostruttivo (ad es. enfisema, asma, deficit di alfa1-antitripsina, ecc); b) pattern di tipo restrittivo (es. fibrosi primitive e secondarie, sarcoidosi, pneomoconiosi, ecc.); c) pattern misto (fibrosi cistica, bronchiectasie, ecc.). Clinica Segni e sintomi di ipossia cronica: desaturazione ossiemoglobinica; ridotto apporto di O2 agli organi periferici; meccanismi di compenso (es. poliglobulia); concomitante alterazione del livello di CO2 (sia ipocapnia per iperventilazione secondaria all’ipossiemia, che ipercapnia per il sovrapporsi di un deficit di pompa all’insufficienza polmonare). Dispnea : condizione di limitazione funzionale; • Cianosi (Centrale): colorazione bluastra dei tegumenti (labbra, lingua, congiuntive) per aumento della concentrazione di Hb ridotta. Ippocratismo digitale Alterazioni neuropsichiche Segni emodinamici: • ↑ FC, PAS e della portata cardiaca (per stimolazione adrenergica); • vasocostrizione viscerale, vasodilatazione coronarica e cerebrale; ipertensione polmonare e CPC • turgore giugulari, edemi declivi, epatomegalia dolente; • facile stancabilità, palpitazioni, dolore toracico similanginoso; • tosse ed emoftoe. 81 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Segni e sintomi di ipercapnia cronica: L’ipercapnia da ipoventilazione si sovrappone invariabilmente ad una condizione di ipossiemia preesistente (es. BPCO, fase terminale delle interstiziopatie). Sintomi neuropsichici: • movimenti involontari ipertono muscolare; • Obnubilamento del sensorio; • Alterazioni della ritmicità del respiro; • “Cianosi calda” per effetto complessivo dell’ipossiemia e della vasodilatazione cutanea; • fasi di scompenso con progressiva depressione dello stato di coscienza (carbonarcosi) fino al coma. Emodinamici: • Vasocostrizione viscerale su base simpatica; • Vasodilatazione cerebrale con cefalea frontale, al risveglio mattutino. • Nausea e vomito (per ipertensione endocranica) Sindrome da ischemia-riperfusione e rilevanza clinica in corso di trapianto di organo solido L’ischemia è uno stato di deprivazione tissutale di ossigeno associata ad un contemporaneo ridotto washout dei metaboliti cellulari stessi. Nell'ipossia la produzione di energia può continuare, seppure in modo modesto, attraverso la glicolisi mentre, nell’ischemia, viene meno la disponibilità dei substrati energetici (portati dal flusso sanguigno) compreso il glucosio. In questo modo, la produzione di energia per via aerobica si ferma dopo che i substrati per la glicolisi sono esauriti e dopo che la funzione glicolitica è inibita dall'accumulo di cataboliti, che in condizioni normali sarebbero rimossi dal flusso sanguigno. Entro un periodo di tempo variabile da un tipo cellulare all'altro, il danno può essere riparato e le cellule colpite possono tornare ad uno stato di normalità se i substrati metabolici sono nuovamente resi disponibili dal ripristino della circolazione sanguigna. Si definisce danno ischemico reversibile un danno ischemico che permette alla cellula di ripristinare una condizione normale qualora gliene venga data l'opportunità. Nel caso in cui l'ischemia sia invece prolungata nel tempo, i danni cellulari si rilevano irreparabili. E' questo il caso del danno ischemico irreversibile. La riperfusione comporta il ripristino del flusso ematico in tessuti ischemici. Nonostante l’inequivocabile effetto benefico costituito dalla ripresa del flusso sanguigno, la stessa riperfusione può scatenare una serie di reazioni avverse che il più delle volte danneggiano il tessuto. Danni da riperfusione sono stati ampiamente descritti in letteratura quali causa di lesioni d’organo a livello cerebrale, cardiaco, polmonare, epatico, renale e muscolare. La suscettibilità di un singolo tessuto al danno da ischemia-riperfusione costituisce il principale ostacolo al successo della rivascolarizzazione coronarica e dei trapianti di organi. Meccanismo Il meccanismo fisiopatologico del danno da ischemia-riperfusione (Ischemia reperfusion injury, IRI) è complesso e comprende l’interessamento di componenti cellulari e umorali. Alla base del danno tessutale mediato da leucociti, sono stati ipotizzati vari meccanismi: occlusioni microvascolari, rilascio di radicali liberi dell’ossigeno, rilascio di enzimi citotossici, aumento della permeabilità vascolare, rilascio di citochine [31]. A seguito della diminuzione dell’ossigeno all'interno della cellula si verifica anzitutto una riduzione della fosforilazione ossidativa mitocondriale e la produzione di ATP si riduce con importanti effetti su molti sistemi enzimatici: 1. alterazione dell'attività della pompa Na+/K+ ATP-dipendente. Nel settore intracellulare si accumula sodio mentre il potassio passa all’esterno della cellula. L'entrata netta di soluti è 82 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 accompagnata da acquisto di acqua per osmosi: la cellula si rigonfia e si dilata il reticolo endoplasmatico; 2. alterazione del metabolismo cellulare energetico: termina la fosforilazione ossidativa e la cellula inizia la glicolisi anaerobia per la produzione energetica. Questo comporta che i depositi di glicogeno intracellulari vengano rapidamente esauriti. La glicolisi determina inoltre accumulo di acido lattico e fosfati inorganici con riduzione del pH intracellulare; 3. distruzione dell'apparato di sintesi delle proteine che si manifesta sotto forma di distacco dei ribosomi dal reticolo endoplasmatico rugoso e nella dissociazione dei polisomi a monosomi, con conseguente riduzione della sintesi proteica. Se si ripristina l'afflusso di ossigeno, tutte queste alterazioni sono reversibili; se invece l'ischemia persiste, si arriva al danno irreversibile. Vengono associati al danno irreversibile un rigonfiamento mitocondriale, un danno esteso alla membrana plasmatica, un rigonfiamento dei lisosomi. Si verifica una continua perdita di proteine, enzimi, coenzimi e acidi ribonucleici attraverso la membrana oramai eccessivamente permeabile. In questo modo la cellula perde metaboliti importanti per la sintesi di ATP. Se la zona ischemica viene riperfusa, si verifica un massiccio ingresso di calcio all'interno della cellula conseguente sia all'elevata permeabilità della membrana plasmatica sia al rilascio dello stesso da parte dei mitocondri e dal reticolo endoplasmatico. L’aumento della concentrazione di calcio citosolico causa danno a livello delle membrane lisosomiali seguito da fuoriuscita dei loro enzimi nel citoplasma e attivazione delle idrolasi acide. I lisosomi contengono RNasi, DNasi, proteasi, fosfatasi, glucosidasi e catepsine, la cui attivazione da parte del calcio provoca la digestione enzimatica delle componenti cellulari. Con la morte della cellula e la progressiva degradazione dei suoi componenti, gli enzimi vengono liberati nello spazio extracellulare mentre, contemporaneamente, all'interno della cellula morente entrano macromolecole dallo spazio interstiziale. La cellula morta viene successivamente sostituita da grandi masse di fosfolipidi che verranno poi fagocitate da altre cellule o ulteriormente degradate ad acidi grassi. Le alterazioni cellulari che rendono il danno irreversibile e che sono alla base della morte cellulare sono principalmente due: l'impossibilità di ripristinare la disfunzione mitocondriale causata dalla marcata perdita di ATP e le gravi alterazioni nel funzionamento della membrana plasmatica. I maggiori danni a livello del funzionamento della membrana plasmatica sono riscontrabili con: − Perdita di fosfolipidi di membrana; − Alterazioni del citoscheletro; − Formazione di radicali dell'ossigeno (ROS); − Prodotti della degradazione dei lipidi; − Perdita di aminoacidi intracellulari. DANNO DA RIPERFUSIONE Il ripristino del flusso sanguigno all’atto della riperfusione può determinare il recupero delle cellule soltanto se queste sono state danneggiate in modo reversibile o, al contrario, aggravare il danno tissutale se si è verificata una lesione irreversibile. Il tipo di danno che si instaura include l’insufficienza del microcircolo e la produzione di citochine. Queste molecole reclutano leucociti polimorfonucleati dalla circolazione verso il tessuto riperfuso e l'infiammazione che ne deriva propaga ulteriormente i danni tessutali [32]. Nei tessuti riperfusi possono essere prodotti anioni superossido (O2⎯) per l'incompleta riduzione dell'ossigeno ad opera dei mitocondri danneggiati. Come conseguenza all’insulto ischemico, le cellule possono andare incontro a morte secondo due meccanismi: l’apoptosi e la necrosi classicamente intesa. L’apoptosi (o morte cellulare programmata) è un meccanismo fisiologico per la rimozione di cellule senescenti, danneggiate o 83 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 anomali. Le cellule apoptotiche vengono rimosse dai macrofagi senza rilascio di enzimi proteolitici o radicali dell’ossigeno e, in questo modo, il processo non si accompagna ad infiammazione. Contrariamente, la necrosi è un processo patologico che evoca una reazione infiammatoria locale in quanto la cellula morente riversa al suo esterno i prodotti della degradazione intracellulare [33]. Mediatori del danno da riperfusione 1) Radicali liberi (RL): includono il radicale idrossilico (OH), il perossido di idrogeno (H2O2) e il radicale superossido (O2). Le fonti principali di RL sono i polimorfonucleati attivati e la xantina ossidasi. L'ipoxantina deriva dal metabolismo dell'ATP che viene degradato in AMP e rappresenta il substrato naturale della xantina ossidasi. In presenza di ipossia o ischemia la xantina ossidasi aumenta a spese della xantina deidrogenasi ed è responsabile della formazione di ac. urico e di RL dell'O2: superossido anione, acqua ossigenata, radicale idrossilico, radicale perossilico e alcossilico, ossigeno singoletto. Nella fase di riperfusione dopo un'ischemia, il contatto dell'O2 molecolare con ipoxantina e xantina ossidasi stimola l'attività dell'enzima con abnorme produzione di RL [32]. 2) Ossido nitrico (NO): esplica azione protettiva regolando il tono vascolare, inibendo l’aggregazione piastrinica, e attenuando l’aderenza dei leucociti all’endotelio. Funzionando da scavenger nei confronti dei RL, mantiene la normale permeabilità vascolare e stimola la rigenerazione delle cellule endoteliali. E’ noto che il danno da ischemia-riperfusione è caratterizzato da una grave disfunzione a carico dell’endotelio, associata ad un ridotto rilascio di NO [34][35]. 3) Interazione tra leucociti e cellule endoteliali: il richiamo di leucociti ai tessuti costituisce un punto chiave nello sviluppo del danno da ischemia-riperfusione [36]. L’adesione di alcune molecole della superficie dei leucociti con i ligandi delle cellule endoteliali da inizio ad una serie di eventi che porta al passaggio dei leucociti all’interstizio [34][37][38]. 4) Sistema del complemento: può essere rapidamente attivato da aggregati di immuno-globuline, prodotti di tessuti traumatizzati, lipopolisaccaridi (LPS) e altri complessi polisaccaridi [39][40]. 5) Sistema callicreina-chinine: i LPS attivano il Fattore XII e la via intrinseca della coagulazione; il fattore di Hagemann attivato è capace di convertire la precallicreina in callicreina, un enzima proteolitico che agisce sul chininogeno formando bradichinina; essa provoca vasodilatazione ed aumento della permebilità microvascolare. 6) Prostanoidi: sono mediatori infiammatori derivati dall'ac. arachidonico attraverso l'enzima ciclossigenasi. I trombossano TxA2 causa aggregazione piastrinica e attivazione neutrofila, vasocostrizione, broncocostrizione, e aumenta la permeabilità capillare. La prostaciclina (PGI2) causa disaggregazione piastrinica e vasodilatazione. I leucotrieni (C-4, D-4, E-4) causano vasocostrizione, broncocostrizione, aumento della permeabilità microvascolare. 7) Il fattore attivante le piastrine (PAF): sintetizzato principalmente da piastrine, neutrofili, monociti, macrofagi e cellule endoteliali, provoca aggregazione piastrinica, attivazione dei neutrofili, broncocostrizione, cambiamenti della permeabilità vascolare, vasocostrizione coronarica, ipotensione, danno polmonare, depressione miocardica, insufficienza renale acuta. 8) Citochine: sono piccole proteine secrete dalle cellule immuni quali mediatori del sistema infiammatorio: TNFα (tumor necrosis factor), IL-1 ed IL-6. E’ stato osservato che il livello di IL-10 dopo la riperfusione è correlato inversamente con l’età del donatore; questo può spiegare il motivo per cui organi di donatori di età più avanzata sono più suscettibili al danno da ischemia-riperfusione [41]. NOTE CLINICHE DELLA SINDROME DA I-R IN CORSO DI TRAPIANTO TRAPIANTO DI RENE La lesione ischemica nel trapianto renale può portare ad una necrosi tubulare acuta, chiaramente associata ad un’aumentata incidenza di rigetto acuto così come a precoce perdita della funzione del 84 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 graft. I reni che subiscono una ischemia calda o fredda solitamente presentano un infiltrato cellulare di grado moderato, soprattutto con polimorfonucleati ma anche con monociti. Dati recenti, dimostrano anche l’attivazione di una risposta immune mediata dai linfociti T [42]. Nel rene, la lesione ischemica conseguente all’ipossia si localizza principalmente nella parte interna della midollare, anche se si verifica solitamente una distribuzione eterogenea del danno apoptotico e necrotico. La sequela di eventi dopo l’evento ischemico e la successiva riperfusione renale comprende una risposta infiammatoria precoce e una tardiva (tra il 3° e il 5° giorno dopo il trapianto); in entrambi i casi vi è l’espressione tissutale di antigeni MCH di classe I e II, tipicamente associati al rigetto [43]. Dal punto di vista clinico la riperfusione renale non comporta generalmente manifestazioni emodinamiche di rilievo, in qualche caso tuttavia possono manifestarsi segni e sintomi da iperkaliemia derivanti dalla liberazione dello stesso ione dalle cellule del graft (effetti da preservazione + ischemia fredda); il fenomeno è più evidente se concomita una preesistente iperpotassiemia e acidosi metabolica. Il mantenimento di un adeguato volume intravascolare nell’intraoperatorio, oltre a favorire una precoce ripresa del graft appare proteggere dalle ripercussioni circolatorie post-riperfusive. L’incapacità del rene trapiantato di regolare il bilancio dei fluidi e del sodio predispone a situazioni di ipovolemia e di disionia con conseguente ipotensione e disidratazione, L’ipotensione post-riperfusione è tra le cause primarie di ritardata ripresa del graft. Il rigetto iperacuto è una grave complicanza che può manifestarsi immediatamente dopo la riperfusione, ed è inevitabilmente accompagnato da perdita irreversibile della funzione primaria. Tra le cause soprattutto l’incompatibilità ABO o la presenza di preesistenti anticorpi citotossici. Più frequenti e conclamate le ripercussioni emodinamiche osservate dopo riperfusione di trapianto combinato rene-pancreas. L’instabilità emodinamica trova ragione non soltanto nella massiva liberazione di mediatori vasoattivi dal pancreas conservato ma anche dalla scarsa risposta compensatoria messa in atto da questi riceventi, di solito cardiopatici e vasculopatici a seguito del diabete prolungato. TRAPIANTO DI CUORE Il danno da ischemia-riperfusione sul cuore non è limitato soltanto ai miocardiociti ma si estende anche alle cellule endoteliali coronariche [44]. Queste alterazioni sono associate ad una ridotta produzione di NO da parte delle cellule endoteliali e ad un aumento dei RL dell’ossigeno [45]. Dall’osservazione dell’endotelio con la microscopia elettronica, si può evidenziare la vasta estensione delle lesioni, con adesione di piastrine e leucociti. Le conseguenze del danno endoteliale a livello cardiaco dipendono dal calibro e dalla localizzazione dell’arteria. A livello delle arterie ad alta resistenza, la vasocostrizione associata alla disfunzione endoteliale può portare al cosiddetto “no-reflow phenomenon”, ossia all’insufficiente perfusione di alcuni territori miocardici nonostante la corretta riapertura dei loro vasi tributari. A livello microcircolatorio la disfunzione endoteliale favorisce la vasocostrizione e l’aggregazione piastrinica, con rischi di vasospasmo e trombosi. La clinica della riperfusione miocardica è prevalentemente caratterizzata da segni di insufficiente adattamento del ventricolo destro alle nuove dinamiche della circolazione polmonare. Gli effetti combinati della sindrome da I-R, la chirurgia, i fenomeni di “stunning”, la denervazione miocardica ecc, deprimono consistentemente la funzione ventricolare. Nelle forme più gravi si assiste in un primo tempo ad una disfunzione del ventricolo destro, seguita da una disfunzione biventricolare e poi da un’insufficienza prevalente del ventricolo sinistro [46]. L’ipertensione polmonare che complica la cardiopatia cronica terminale viene ulteriormente aggravata dal by-pass cardiopolmonare; questa evenienza può non essere sopportata dal “nuovo” ventricolo destro, ovviamente non ipertrofico. Si assiste infatti ad una dilatazione acuta dello stesso, con conseguente insufficienza tricuspidale. Lo scompenso destro provoca ipoemia nell’albero arterioso polmonare, ridotto riempimento diastolico sinistro e ipotensione. Generalmente un appropriato trattamento 85 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 cronotropo e inotropo positivo, in associazione con la vasodilatazione polmonare (ad es. isoproterenolo + NO) riescono a favorire il recupero funzionale post-circolazione extracorporea (CEC); nel caso di bassa risposta ai farmaci è soltanto l’assistenza meccanica che riesce a sostenere un adeguato “coupling” ventricolodestro-circolo polmonare-ventricolo sinistro [47]. TRAPIANTO DI FEGATO Nelle prime fasi della riperfusione epatica, il rigonfiamento delle cellule endoteliali, la vasocostrizione, il richiamo di leucociti e l’aggregazione piastrinica a livello dei sinusoidi portano a danno del microcircolo. Questi meccanismi comportano diminuzione della velocità dei leucociti e di conseguenza il contatto tra leucociti e cellule endoteliali aumenta e i leucociti stessi tendono ad impilarsi. Ne consegue che la circolazione intraparenchimale continua ad essere deficitaria, con aree epatiche che rimangono ischemiche anche dopo la riperfusione dell’organo [48][49]. Tra i fattori che possono contribuire alla gravità del danno da ischemia-riperfusione, senza dubbio la qualità dell’organo; la riperfusione di un fegato steatosico è certamente più gravata da mal irrorazione rispetto a quella di un fegato sano [50]. Altri fattori negativi sono ad esempio la riduzione del flusso portale o arterioso, la lunga durata dei tempi di ischemia fredda e calda, la durata della procedura, gli episodi ipotensivi e l’entità dell’ischemia splancinca. Un altro fenomeno del danno post-riperfusione è il danno a carico dei globuli rossi. I globuli rossi sono molto suscettibili all’azione dei radicali liberi che ne comportano deformazione e aggregazione, aumentando la viscosità e la resistenza al flusso nei sinusoidi [51][52]. Clinicamente la ripefusione epatica è un evento emodinamicamente rilevante. L’arrivo in circolo di prodotti tossici accumulati durante il prelievo e la conservazione (acido lattico, potassio, chinine, elementi del disfacimento cellulare ecc.) associato al flush del liquido freddo di preservazione e ad eventuali emboli aerei presenti nella cava inferiore, comporta una depressione più o meno transitoria della gittata cardiaca ed un innalzamento temporaneo delle resistenze polmonari. Bradicardia e ipotensione, ma talora anche arresto sinusale complicano molto frequentemente la fase riperfusiva. Se il graft è adeguato, il recupero emodinamico avviene di solito in 15-20 min.; se invece la rivascolarizzazione è anomala, o la vitalità del graft è depressa l’equilibrio circolatorio rimane instabile e il sostegno con amine cardiovasoattive diventa obbligatorio. Una cattiva riperfusione comporta quasi sempre l’aggravamento della funzione coagulativa con perdite ematiche persistenti e ulteriore instabilità circolatoria [53]. Altri segni peculiari di danno da IR sono l’aumento dell’acido lattico (ridotta o assente riconversione dell’acido piruvico), l’iperglicemia refrattaria (ridotta captazione epatocitaria del glucosio circolante) e la bassa estrazione di ossigeno nonostante l’aumento della disponibilità periferica (ridotta utilizzazione da parte dell’epatocita per ritardato recupero del metabolismo aerobio intracellulare). La persistenza di ipotermia è un’altra espressione di alterato recupero funzionale del graft; molteplici sono tuttavia i fattori che contribuiscono alla sua genesi: perdite abbondanti, durata delle procedure, ampia superficie di esposizione, ridotta massa muscolare e adiposa, prolungata ventilazione con gas freddi, ecc [54]. TRAPIANTO DI POLMONE Il danno da IR a livello del polmone è caratterizzato da lesioni alveolari non specifiche, edema polmonare e alterazioni significative della membrana alveolo-capillare [41]. Dopo una fase di ischemia fredda di 6-12 ore le cellule epiteliali polmonari vanno incontro a morte per apoptosi; l’entità del danno apoptotico aumenta quando la qualità dell’organo donato è insufficiente, quando l’ischemia fredda e calda sono protratte, e quando la rivascolarizzazione è deficitaria [55]. Il danno ischemico parenchimale sembra essere indipendente dalla tipologia della soluzione di conservazione e dalla durata della ventilazione meccanica prima del prelievo. Una rallentata ripresa del graft sembra associarsi all’entità della necrosi cellulare e non a quella della apoptosi [56]. Questo fenomeno si spiega con l’elevato numero di mediatori infiammatori che si 86 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 attivano con la necrosi cellulare e che invece sono assenti nel caso dell’apoptosi. Le cellule apoptotiche vengono infatti fagocitate dai macrofagi limitando notevolmente tale fenomeno [35]. La presentazione clinica può variare da una ipossia moderata con deboli effetti circolatori ad un quadro di massivo edema con scompenso totale cuore-polmonare. Il danno di barriera può promuovere la fuoriuscita nell’interstizio e successivamente all’interno dell’alveolo di liquido plasmatico a ricca componente proteica e cellulare; questo fenomeno talora determina la comparsa di materiale schiumoso rosaceo che arriva ad innondare completamente le vie aeree (edema da riperfusione). La reattività arteriolare polmonare può accentuarsi con fenomeni vasocostrittivi ad alto impatto sulle resistenze al flusso. Se l’ipossia da diffusione è marcata le resistenze polmonari si aggravano ulteriormente con notevole sovraccarico per il ventricolo destro (già insufficiente per la pneumopatia cronica). I riflessi locali di vasocostrizione polmonare ipossica (HPV), di broncodilatazione ipossica e di broncocostrizione ipocapnica sono in genere insufficienti nelle prime fasi dopo la rivascolarizzazione. L’accumulo di liquidi, di proteine e di cellule nell’interstizio tende a persistere in ragione del fatto che il trapianto di polmone prevede l’interruzione definitiva della circolazione linfatica intraparenchimale (che normalmente è deputata alla rimozione di queste componenenti). La cellularità interstiziale stimola processi infiammatori locali che contribuiscono ad “ispessire” la membrana alveolo-capillare e a rallentare i processi diffusivi dei gas [57]. Conclusioni Il paziente sottoposto a trapianto per malattia d’organo irreversibile e terminale rappresenta tutt’ora una sfida dal punto di vista gestionale anche per l’anestesista più esperto. Le tematiche peculiari di ciascuna insufficienza end-stage costringono a processi di approfondimento fisiopatologico e terapeutico che diventano obbligatoriamente propedeutici per un corretto e specifico “management” intra e post-operatorio. Va ancora sottolineato come le malattie epatiche, renali, cardiache e polmonari rappresentino nella loro fase avanzata non soltanto l’espressione di una funzione d’organo esaurita ma piuttosto una situazione di insufficienza di molti sistemi correlati; questo comporta ripercussioni di solito imprevedibili e negative sulle risposte di adattamento alle manovre farmacologiche e anestesiologiche. L’induzione dell’anestesia e la chirurgia possono essere momenti precipitanti di un equilibrio instabile dal punto di vista metabolico, neurovegetativo, endocrino, cardiovascolare o respiratorio; questi eventi invariabilmente determinano maggiori difficoltà nel mantenimento e predispongono a pesanti complicanze durante e dopo la fase riperfusiva. L’aumento dell’utilizzo di donatori marginali comporta un impegno assistenziale di alta esperienza nella fase intraoperatoria e una maggiore e prolungata assiduità di cure nel postoperatorio. L’aggiornamento continuo delle conoscenze e una pratica di lunga durata consentono di gestire le varie manifestazioni della sindrome da I-R, anche nelle sue forme più complicate. Vi sono tuttavia malati in end stage le cui riserve funzionali non consentono di sostenere il carico di stress fisico derivante dall’impianto di un nuovo graft. In questa tipologia di pazienti l’incidenza di scompensi è molto alta e costringe all’adozione delle più avanzate procedure di sostegno. Bibliografia 1. Hoofnagle JH, Carithers RL Jr, Shapiro C, Ascher N Fulminant hepatic failure: summary of a workshop Hepatology 1995; 21:240-52. 2. The Merck Manual of Diagnosis and Therapy Section 4. Hepatic And Biliary Disorders Chapter 41. Chronic Liver Disease Editors Beers MH, Berkow R http://www.merck.com/mrkshared/mmanual/section4/chapter41/41b.jsp 3. Faint V The pathophysiology of hepatic encephalopathy Nurs Crit Care 2006; 11:69-74. 4. 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Neurorianimazione Ospedale “Cardarelli” di Campobasso La sindrome da schiacciamento o crush syndrome è una condizione critica caratterizzata da shock e compromissione renale successiva ad una danno da schiacciamento del tessuto muscolare (1). In termini di definizione si possono distinguere le seguenti situazioni (2): • Crush Injury: danno diretto provocato dallo schiacciamento di estese masse muscolari • Crush Sindrome: insieme delle manifestazioni sistemiche derivanti dal danno cellulare muscolare risultante dalla pressione dello schiacciamento. (Consensus Meeting on Crush Injury and Crush Syndrome, Faculty of Pre-Hospital Care of the Royal College of Surgeons of Edimburg, May 2001). L’associazione tra trauma da schiacciamento, mioglobinuria ed insufficienza renale acuta venne descritta per la prima volta da Eric Bywaters in occasione del Bliz dei bombardieri tedeschi su Londra nel 1941 (3). Le cause della crush syndrome sono grossi traumatismi in occasione di terremoti (4-5-6), eventi bellici o terroristici, incidenti stradali o ferroviari, adunate di grandi masse (7); ma anche compressione muscolare prolungata per il solo peso corporeo in soggetti privi di coscienza per effetto di alcool o sostanze stupefacenti. La riperfusione dei tessuti compressi determina il passaggio in circolo di prodotti tossici per il rene. Laboratorio: CK > 10.000-100.000 U/L, ipocalcemia, iperkaliemia, iperfosfatemia, mioglobinuria. I meccanismi fisiopatologici sono: mioglobinuria con compromissione renale, iperkaliemia e ipocalcemia con effetti cardiotossici, acidosi metabolica da iperfosfatemia, ipovolemia da perdita di plasma, coagulopatia. Il trattamento consiste nel prevenire o curare la necrosi tubulare acuta e nel correggere l’equilibrio idroelettrolitico, acido-base e la coagulopatia. Iperidratazione sulla scena (8) Diuresi forzata alcalina Dialisi Start 1000 ml soluzione salina (I ora) Successivamente 400-500 ml/h 1000 ml SF 0,9 % (1 ora) successivamente 400ml/h NaHCO3 1,4 %: 50-100 ml/h Furosemide 20-40 mg Indications: Refractory hyperkalemia, Metabolic acidosis, Volume overload, Mental status changes Fasciotomia (9-10) Ossigeno Terapia Iperbarica (11-12) Analgesia Riferimenti bibliografici 1. Gonzalez D. Crush syndrome. Crit Care Med. 2005 Jan;33(1 Suppl):S34-41. Review. 2. Greaves I, Porter KM.Consensus statement on crush injury and crush syndrome. Accid Emerg Nurs. 2004 Jan;12(1):47-52. Review. 3. Bywaters EG, Beall D. Crush injuries with impairment of renal function. Br Med J 1941; 1: 427-32. 90 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 4. Reis ND, Better OS. Mechanical muscle-crush injury and acute muscle-crush compartment syndrome: with special reference to earthquake casualties. J Bone Joint Surg Br. 2005 Apr;87(4):450-3. Review. 5. 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L’artificiosa distinzione tra dolore oncologico e dolore non oncologico va superata anche se per convenzione possiamo tenere distinti i due ambiti in considerazione di alcuni trattamenti neurolesivi che trovano elettiva applicazione nel paziente oncologico e del fatto che proprio in tali pazienti il contesto in cui si opera assume caratteristiche di fondamentale importanza. Il trattamento farmacologico ben condotto rappresenta il cardine di ogni intervento algologico. Non ribadiremo mai a sufficienza che esso va impostato sulla base di un preciso inquadramento patogenetico e non su una generica sequenza di potenza analgesica del farmaco stesso. Per quanto riguarda il dolore nel paziente oncologico, le linee guida dell’Oms e la famosa scala paiono finalmente lasciare il posto, dopo oltre un decennio di positivo ruolo per una maggiore conoscenza di base ed utilizzo delle sostanze analgesiche, a strategie terapeutiche differenziate e complementari superando il concetto assolutamente teorico che riconosceva al trattamento farmacologico sistemico la capacita’ di controllare qualunque tipo di sintomatologia dolorosa. 91 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il dolore nel paziente non oncologico va distinto in acuto, persistente o cronico. Metodiche infiltrative temporanee o definitive alcune di chiara derivazione anestesiologica , anche se modificate sostanzialmente nella tecnica, sono utilizzabili in situazioni caratterizzate da dolore infiammatorio-degenerativo a piu’ livelli:blocco delle faccette, blocco selettivo peridurale singolo o con catetere temporaneo per radicolopatie, blocchi periferici perineurali, intrarticolari o periarticolari etc. Rispetto al dolore persistente o cronico non vi dovrebbero essere limiti all’utilizzo continuativo di farmaci analgesici in assenza di alternative ne’ pregiudizi all’utilizzo degli oppioidi che attualmente e finalmente anche in Italia sono caratterizzati da una discreta scelta di sostanze base e di formulazioni oltre che da una maggiore facilita’ di ricettazione. Blocchi temporanei o definitivi sul sistema neurovegetativo sono effettuati in dolori mantenuti da una componente simpatica. Nuove modalita’ di intervento sul disco intervertebrale quali la coblazione e l’IDET sono indicati nel low-back pain e nelle radicolopatie e fanno ormai parte del bagaglio tecnico di molti Algologi. La recente introduzione di nuovi devices quali il catetere di Pasha e metodiche come l’epiduroscopia anche in radiofrequenza hanno aperto nuovi orizzonti con indicazioni e risultati al momento ancora da definire con certezza. Identifichiamo poi come APT (Advanced Pain Therapies) metodiche quali la stimolazione elettrica midollare (SCS) e periferica nervosa (PNS) e la somministrazione spinale di farmaci analgesici ed antispastici attraverso l’impianto di devices infusionali sempre piu’ sofisticati ed efficienti. Le metodiche di stimolazione hanno la loro indicazione precipua nel dolore neuropatico periferico come nelle lesioni di nervo, radice o plesso da intrappolamento, trauma accidentale e lesioni postchirurgiche, nelle radicolopatie croniche cervicali e lombosacrali dovute ad ischemia, compressione, nelle sindromi dolorose miste da interventi chirurgici, nella neuropatia post-herpetica nella plessopatia post-attinica e nelle sindromi complesse quali le CRPS type 1 e 2. Ulteriori indicazioni sono rapppresentate dal dolore anginoso e di origine vascolare periferica . Le somministrazioni spinali trovano indicazione elettiva nel momento in cui un dolore nocicettivo non risponde piu’ ai farmaci oppioidi per via sistemica oppure il dosaggio efficace e’ tale da determinare effetti collaterali insopportabili. Il razionale e’ di veicolare l’oppioide direttamente a contatto con il recettore by-passando tutta una serie di passaggi metabolici e di barriere anatomiche con il risultato finale di un rapporto di efficacia pari a 1:200, 1:300 rispetto alla somministrazione orale. Ma non solo, perche’ attraverso la somministrazione spinale possiamo utilizzare in associazione o in alternativa tutta una serie di altre sostanze analgesiche la categoria piu’ importante delle quali e’ rappresentata dagli anestetici locali. Ovviamente la somministrazione spinale trova indicazione sia nel dolore nel paziente oncologico che non oncologico. Sara’,come accennato all’inizio, il contesto in cui si opera, a porre la scelta tra sistemi semplici di infusione o sistemi totalmente impiantabili. La prognosi potra’ essere un elemento dirimente ma non assoluto, considerando che ad una maggiore complessita’ di impianto e di devices si accompagna sempre una migliore qualita’ di gestione e quindi di vita del paziente stesso. Le neurolesioni, tranne quella trigeminale, sono essenzialmente finalizzate al trattamento del dolore nei pazienti oncologici. Abbandonate per fugacia ed incostanza di risultati nonche’ per l’elevata percentuale di complicanze le lesioni chimiche spinali, ancora oggi puo’ avere una indicazione il ricorso alla neurolisi fenolica L5-S1 per trattare dolori perineali, altrimenti non controllati, a patto che l’evoluzione della malattia oncologica sia tale da aver gia’ minato la funzione vescicale e quella rettale. Per controllare dolori nocicettivi profondi viscerali dell’alto addome da neoplasie epatiche, gastriche, ma soprattutto pancreatiche, la neurolisi celiaca e splancnica possono rappresentare una tecnica di scelta adeguata in mani esperte. 92 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Citiamo anche il blocco del plesso ipogastrico e del ganglio impari di Walther per il controllo di dolori addominali dei quadranti inferiori e del perineo anche se la letteratura in proposito non risulta particolarmente numerosa. La cordotomia percutanea con radiofrequenza infine o trattotomia spino-talamica ha indicazione per tutti quei dolori controllati in modo insufficiente con farmaci antinocicettivi o in presenza di effetti collaterali indesiderati intollerabili. Il dolore deve avere caratteristiche di monolateralita’ anche se in determinate situazioni puo’ essere prevista l’esecuzione della lesione bilateralmente. La loro irreversibilita’ ha in passato ingenerato storiche ma infondate polemiche e la convinzione che dovessero avere una indicazione esclusivamente ultimativa. In effetti, anche se in una percentuale che alcuni Autori identificano in un 3-5% ma che altri non temono di considerare il 10% dei pazienti, vi sono dolori con tali importanti caratteristiche incident da essere controllati solamente con tali manovre. In questi casi solamente un intervento precoce puo’ riconsegnare al paziente una qualita’ di vita eccellente e per un lungo periodo di tempo. Sarebbe pertanto auspicabile un maggior recupero di considerazione di tali metodiche ed in particolare della Cordotomia poste naturalmente e con rigore, come forse in modo non sufficiente e’ stato fatto in passato, le corrette indicazioni basate sulla corretta diagnosi algologica. Queste manovre, definite di terzo livello, andrebbero eseguite in pochi Centri specializzati ai quali far afferire pazienti gia’ selezionati. Tutto il campo applicativo poi della radiofrequenza con correnti pulsate secondo Sluijter, che oggi sta conoscendo un momento di auge, deve ancora essere sottoposto ad una seria revisione dei benefici ottenibili ma potrebbe aprire il campo ad una serie di interventi sui pazienti anche non oncologici e divenire una strategia aggiunta non indifferente nel bagaglio terapeutico dell’Algologo. Preeclampsia ed eclampsia M.G. FRIGO, D. CELLENO, A. VENEZIANI* Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina Roma, *Ospedale Nuovo San Giovanni di Dio ASL Firenze La preeclampsia è una sindrome esclusiva della gravidanza caratterizzata da uno stato ipertensivo con un aumento delle resistenze sistemiche e del tono venoso a livello degli arti inferiori. La vasocostrizione generalizzata che la contraddistingue, aggravata da una aumentata reattività vascolare uterina ai vasocostrittori (catecolamine, angiotensina II)1 trasforma la rete vascolare utero-placentare in un sistema ad alte resistenze e a basso flusso: ne consegue una ipoperfusione che compromette l’ossigenazione fetale e rappresenta l’espressione fondamentale della malattia2. Sulla base della relazione PA = CO x SVR, l’ipertensione arteriosa risulta da uno squilibrio tra gittata e resistenze sistemiche. L’emodinamica è tuttavia controversa, anche per la difficoltà metodologica del condurre studi su casistiche ampie. In genere, la preeclampsia è caratterizzata da una riduzione del volume plasmatico e da una gittata leggermente ridotta rispetto alla gravidanza normale, con resistenze vascolari sistemiche (SVR) moderatamente elevate e normale pressione capillare polmonare (CPWP) 3, 4, ma lo stato emodinamico può presentare ampia variabilità, basata sulla severità della malattia, sulla somministrazione di fluidi o farmaci anti ipertensivi, e dalla concomitanza di altri fattori come ad esempio la presenza di una cardiomiopatia. Yang, in chiave più attuale rispetto ai primi studi , identifica in base alla tipologia delle pazienti due gruppi: uno, a cosiddetto basso rischio, di cui fan parte circa il 75% delle pazienti, caratterizzato da un CO aumentato, SVR ai limiti superiori o moderatamente elevate e con il volume plasmatico lievemente 93 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 ridotto,l’altro, comprendente, circa un terzo delle pazienti, presenta invece un basso CO con alte SVR ed in tale sottogruppo l’incidenza dei parti d’emergenza si è dimostrata assai più elevata rispetto ai gruppi con basse SVR 5 a causa di una perfusione placentare compromessa e con riserve minime. Tale interpretazione trova conferma nei dati di una indagine ecocardiografica su un gruppo di pazienti preeclamptiche, in cui il riscontro di una alterata geometria del ventricolo sinistro (geometria concentrica) è più frequentemente associato ad un successivo sviluppo di complicanze materne e/o fetali6. La perfusione globale e regionale nelle pazienti eclamptiche è deficitaria per la vasocostrizione e il danno endoteliale con conseguente ridotta estrazione d’ossigeno. Va inoltre considerato che, essendo l’utero privo di autoregolazione, il flusso uterino ed il flusso intervilloso variano e dipendono in modo direttamente proporzionale alla pressione di perfusione (pressione arteriosa uterina – pressione venosa uterina)7. Perciò per il feto di madre preeclamptica, che dispone cronicamente di una riserva di ossigeno ridotta, diviene particolarmente importante che non si determino eccessive cadute pressorie e/o aumenti del tono adrenergico che possono essere indotti anche dalla terapia8, 9 o dallo stress materno10. L’analgesia o l’anestesia epidurale ostetrica possono influenzare il flusso mediante un cambiamento della pressione di perfusione, o per un’azione diretta, variando le resistenze vascolari uterine con modifiche del loro tono, o indirettamente alterando la contrattilità o il tono muscolare uterino8. In uno studio sugli effetti emodinamici dell’epidurale nelle pazienti preeclamptiche, l’epidurale sia usata per l’analgesia del travaglio che per la anestesia per taglio cesareo riduce significativamente la pressione arteriosa media, le resistenze vascolari polmonari, la pressione venosa centrale o la PCWP con una riduzione modesta ma statisticamente significativa delle resistenze vascolari periferiche, senza alterare l’indice cardiaco11. Queste basi fisiopatologiche costituiscono il razionale dei numerosi studi che hanno valutato gli effetti e l’applicabilità clinica dell’epidurale in questa popolazione di pazienti, sia per l’analgesia che per l’anestesia del parto ma anche, sebbene sporadicamente, per un possibile impiego terapeutico di questa tecnica nella preeclampsia. In questa ottica, sicuramente affascinante, si è dimostrato il possibile effetto benefico della somministrazione perimidollare di oppiacei (fentanile e morfina) sul controllo dei valori pressori, realizzata con iniezioni singole. L’autore lamentava la difficoltà di una erogazione programmabile oppure a demand irrealizzabile negli anni ’80 con le pompe elettroniche d’infusione di cui oggi disponiamo12. Più recentemente, un gruppo di autori giapponesi ha dimostrato che con un blocco epidurale mantenuto per una settimana si riscontravano, rispetto al gruppo di controllo, significativi abbassamenti della pressione arteriosa media e della proteinuria ed un aumento delle piastrinemia e delle proteine totali13. Sebbene lo studio mostri risultati più che incoraggianti, obiettivamente il mantenimento a lungo termine di un catetere peridurale può creare problemi di gestione e non mancano commenti negativi su tali iniziative dubitando della loro reale efficacia e mettendo in guardia contro i loro potenziali rischi14. ANALGESIA NEL TRAVAGLIO La analgesia epidurale (AE) nel travaglio permette di ridurre la concentrazione materna di catecolamine abnormemente elevate nelle pazienti preeclamptiche10, probabilmente eliminando lo stress psicofisico associato con le contrazioni dolorose o denervando la midollare surrenale15. Inoltre l’AE agisce sui recettori α2 adrenergici piastrinici che riflettono la popolazione di questi recettori presente nei tessuti periferici, specialmente nella muscolatura liscia vasale e che sono responsabili dell’aumentata responsività vascolare tipica di questa malattia: il blocco epidurale riduce la loro densità riportandola a valori identici a quelle di pazienti normotese di controllo16. La riduzione del dolore e dell’attività del sistema simpatico indotta dalla AE aumenta significativamente il flusso ematico uterino nelle pazienti preeclamptiche. Ciò è stato dapprima dimostrato con studi di perfusione utero-placentare con xenon-13317, e confermato successivamente con uno studio non invasivo mediante velocimetria Doppler, che mostra una caduta del rapporto sisto-diastolico nell’arteria uterina ai livelli di donne normotese dopo l’applicazione di un blocco 94 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 epidurale. Da ciò si deduce che il blocco simpatico indotto dall’epidurale è in grado di ridurre la vasocostrizione utero-placentare, perché tali cambiamenti non si osservano né in gravidanza normale né in donne ipertese cronicamente, ove probabilmente il danno vascolare ormai permanente è legato a lesioni organiche e vi è una minor responsività alle variazioni del tono simpatico. Le donne preeclamptiche mostrano dopo epidurale una significativa caduta della pressione arteriosa media MAP, che potrebbe riflettere il blocco simpatico lombare e la riduzione dei livelli circolanti di catecolamine18. Sul versante fetale la velocimetria Doppler, non mostra variazioni sull’arteria ombelicale indotte dall’AE né nelle donne preeclamptiche, né in quelle cronicamente ipertese o normali dei gruppi di controllo, come anche dimostrato da studi clinici nella gravidanza normale19. Le implicazioni cliniche che si ricavano sono che un blocco epidurale ben eseguito e controllato può avere un duplice beneficio sia verso la madre che il feto: riducendo il vasospasmo arterioso materno può migliorare la perfusione utero-placentare, e quindi l’ossigenazione e l’equilibrio acidobase fetale e può essere ridotta l’ipertensione materna riducendo il rischio di accidenti vascolari e di danno d’organo oltre che provvedere una analgesia del travaglio sicura. Nonostante ciò la scelta dell’analgesia del travaglio nella paziente preeclamptica è controversa20: il volume intravascolare ridotto di queste pazienti potrebbe renderle più suscettibili ai cambiamenti emodinamici associati alla AE risultando in una più frequente ipotensione materna da blocco simpatico o in anomalie del battito21 o entrambe, con una risultante di una maggior incidenza di TC. In aggiunta l’AE potrebbe aumentare il tasso di TC per mancata progressione fetale. In uno studio retrospettivo22 volto a verificare queste ipotesi, non sono state riscontrate differenze nell’incidenza di TC per fetal distress o mancata progressione fra chi riceveva o meno l’AE. Anche l’incidenza di edema polmonare fu simile e non vi furono influenze negative della peridurale sull’outcome fetale. Questi dati sono confermati da uno studio prospettico randomizzato recente che confronta, in donne con preeclampsia severa l’ analgesia in travaglio con oppioidi parenterali con quella ottenuta con AE23. Non vi sono stati risultati differenti nel tasso di TC nella popolazione studiata fra i 2 gruppi nemmeno per quel che concerne la causa. Il 9% delle pazienti con AE richiesero efedrina ma in questo gruppo il controllo del dolore era migliore e maggiore era la soddisfazione materna. Le complicanze materne furono rare; (un edema polmonare in entrambi i gruppi), gli outcome neonatali simili come pure gli Indici di Apgar. Unica differenza un maggior ricorso al Naloxone per i neonati del gruppo trattato con oppiacei. Quindi dallo studio l’AE oltre che fornire una migliore analgesia di quella ottenuta con oppiacei, risulta una tecnica sicura, essendo oltretutto il tasso risultante di TC del 15% contenuto rispetto alle previsioni in questo tipo di popolazione pur ammettendo gli autori che il gruppo di studio avrebbe dovuto essere più numeroso. Un altro studio, precedente, metteva a confronto nel travaglio di donne affette da ipertensione gravidica l’AE con la infusione endovenosa di meperidina mediante PCA: si evidenziano risultati simili circa incidenza di TC, outcome neonatale, controllo del dolore e soddisfazione materna, ma viene evidenziato che la peridurale era associata a uno secondo stadio del travaglio significativamente più lungo, a una maggior frequenza di parti strumentali e corioamniotiti24. Secondo l’American College of Obstetricians and Gynaecologists le tecniche locoregionali sia per l’analgesia di parto che per il parto cesareo sono da preferirsi nelle pazienti preeclamptiche a meno che non esistano controindicazioni alla loro esecuzione25. TAGLIO CESAREO L’anestesia generale per il taglio cesareo è controindicata ogni qualvolta sia possibile realizzare una anestesia locoregionale. Questa decisa affermazione di Barbara Morgan 26, che ha trovato consensi sempre maggiori è forse ancor più valida nelle pazienti preeclamptiche. Questa tipologia di paziente è esposta durante anestesia generale ad un rischio particolarmente elevato di un aumento brusco dei valori pressori da risposta all’intubazione tracheale che il labetalolo si è dimostrato efficace nel minimizzare, ma che incide pesantemente sulle cause di mortalità da accidente vascolare cerebrale . Inoltre l’edema del faringe e della laringe può sovvertire l’aspetto anatomico e rendere 95 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 problematiche le manovre di intubazione; né vanno dimenticati i possibili problemi legati ad eventuali lacerazioni della lingua dopo crisi convulsive che possono rendere difficoltosa la laringoscopia. . Anche l’estubazione, quando fa seguito ad una intubazione particolarmente difficile, va fatta con estrema cautela e spesso va posticipata 24 ore almeno dopo il parto ponendo attenzione sia alla riduzione del picco ipertensivo dell’intubazione che all’eventuale edema residuo del viso e delle vie aeree al momento dell’estubazione 27, 28. I vantaggi dell’anestesia locoregionale (peridurale, spinale o combinata peridurale-spinale) nel TC sono legati ad una minor risposta emodinamica e neuroendocrina da stress, all’assenza di una stimolazione ipertensiva legata alle manovre di intubazione e alla possibilità di monitorare durante l’intervento lo stato neurologico delle pazienti. L’anestesia locoregionale, tuttavia può provocare nelle pazienti preeclamptiche un’ipotensione talora accentuata. Nel primo studio sulla per fusione placentare anestesia peridurale per TC realizzato con la metodica dello xenon-133, si evidenziava che il flusso tendeva a diminuire leggermente dopo l’esecuzione del blocco con una riduzione media di circa il 13% non statisticamente significativa29. Solo nelle donne che mostrarono anche la maggior depressione del flusso intervilloso, si verificò un calo importante della PA media anche se privo di conseguenze in tutti i neonati. Gli autori confermano che il flusso intervilloso dipende principalmente dalla pressione arteriosa di perfusione7 e che con misure profilattiche adeguate a contenere il calo pressorio nelle pazienti preeclamptiche, non vi sono modificazioni del circolo utero-placentare. L’aggiunta dell’adrenalina all’anestetico locale AL per l’epidurale è controversa30 e non si può escludere una sua possibile interferenza sul flusso ematico intervilloso29. Se in pazienti normotese, senza problemi di asfissia fetale, non si riscontrano marcati cambiamenti sul circolo utero-placentare e fetale 31, 32, nelle pazienti preeclamptiche mediante color Doppler è stato evidenziato che l’adrenalina aggiunta alla bupivacaina aumenta significativamente gli indici di velocità di flusso delle arterie uterine e placentari e diminuisce quelli delle arterie renali e medio cerebrali fetali, segno evidente di resistenze vascolari utero-placentari aumentate e quindi di un’alterazione della perfusione. Sebbene l’outcome neonatale valutato con l’indice di Apgar e il pH fetale fosse simile nei due gruppi l’epinefrina addizionata ad AL per il TC non è raccomandabile per le pazienti preeclamptiche33. Un blocco epidurale che si estenda sino a T4 confrontato all’anestesia generale AG per il TC nelle donne con preeclampsia severa, attenua la risposta emodinamica e la secrezione neuroendocrina da stress (ACTH, beta endorfine, catecolamine) senza modificare la risposta neuroendocrina neonatale alla nascita20. I neonati dopo TC con un indice di Apgar >7 erano più numerosi nel gruppo ANE anche se tale differenza era riferita solo al solo al 1° minuto, mentre pH ombelicale, PO2 e PCO2 erano simili nei due gruppi. Un’attenta valutazione, un buon monitoraggio, una induzione lenta e una gestione accorta del blocco epidurale contribuiscono alla stabilità pressoria dell’ANE in contrasto ad una risposta esagerata con rialzo della MAP ed incremento ormonale sollecitate dall’intubazione seguita dalla stimolazione chirurgica sotto AG leggera. In uno studio randomizzato, che metteva a confronto varie tecniche ALR compresa anche l’anestesia combinata epidurale-spinale CSE con l’AG per il TC in donne con severa preeclampsia, tutte le tecniche risultarono accettabili provvedendo ad un approccio attento con ogni metodo34. L’esecuzione e l’estensione graduale di un blocco peridurale continuo può conferire alcuni vantaggi: minor sbilanciamento emodinamico, vasodilatazione nell’area del blocco, un certo grado di protezione vascolare renale, ridotta probabilità di crisi convulsive, e un miglior controllo della pressione vascolare sistemica unita a una migliore perfusione utero-placentare e periferica 35. Per tale motivo l’ANE spesso diviene di scelta per pazienti preeclamptiche20,22,36, anche se negli ultimi anni anche l’anestesia spinale AS ha guadagnato ampi consensi per il TC37 . Sebbene sia stato evidenziato che anche questa tecnica sia associata con una relativa stabilità emodinamica, sovrapponibile a quella ottenibile con la peridurale e con un ricorso simile in termini quantitativi all’efedrina per ridurne gli effetti38, le considerazioni precedenti assieme all’osservazione che l’acidosi fetale possa essere più frequente dopo AS che dopo AE per la rapidità con cui si instaura il blocco spinale39, dovrebbero indurre ad una prudenza maggiore. Sarebbe preferibile per questo tipo di pazienti utilizzare di scelta per il TC la AE, riservando l’AS per situazioni in cui l’epidurale sia 96 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 controindicata o di grave urgenza in alternativa ad una AG40. Questo concetto trovare conferma in un recente lavoro in cui due gruppi di pazienti con preeclampsia grave definite sulla base di una valutazione ecocardiografica in eucinetiche e ipocinetiche sono state sottoposte a TC con anestesia peridurale o spinale. Mentre l’anestesia peridurale era in grado di ridurre l’afterload delle pazienti e di aumentare il cardiac output (sia il cardiac index CI che il sistolic index SI) e la perfusione fetoplacentare indipendentemente dal gruppo emodinamico di appartenenza, l’anestesia spinale era in grado di diminuire la vasocostrizione ma non provoca un aumento del preload e l’incremento dell’indice cardiaco avviene in entrambi i gruppi solo a spese di un aumento della frequenza cardiaca. Quindi solo l’anestesia epidurale si dimostra adeguata nelle pazienti con insufficienza placentare scompensata o decompensata indipendentemente dal gruppo emodinamico di appartenenza41. Se l’anestesia epidurale diviene probabilmente la scelta migliore per il TC delle pazienti preeclamptiche, è però importante avere con il resto dell’equipe un ottimo livello di comunicazione: il catetere epidurale andrebbe inserito tempestivamente, specie nelle pazienti obese o particolarmente edematose, dopo un’attenta valutazione dei parametri emocoagulativi. Il blocco dovrebbe essere esteso lentamente modulandone gli effetti con un accorto regime infusivo. L’anestesia spinale dovrebbe essere riservata in situazioni di grave urgenza in alternativa alla anestesia generale che va riservata a situazioni di emergenza specie in caso di coagulopatia e nei casi di rifiuto materno. Per quel che concerne la scelta anestesiologica per il TC in corso di HELLP nel caso di scelta di un blocco di conduzione per un parto con taglio cesareo si dovrà tenere conto del numero ma anche della ridotta funzionalità piastrinica. L’anestesia generale, nonostante il potenziale rischio in pazienti con funzione epatica alterata che non è in grado di metabolizzare gli agenti anestetici, rimane di scelta nelle classi 1 e 2 di malattia42. Per quel che riguarda la scelta migliore per l’anestesia in corso di eclampsia, questo costituisce ancora un dibattito. La maggior parte degli anestesisti considera l’ALR una scelta inappropriata quando c’è una aumentata possibilità di perdita di controllo delle vie aeree e dove vi è un ulteriore rischio di crisi convulsive eclamptiche. Non di meno le donne eclamptiche hanno una variabilità clinica considerevole, da quelle emodinamicamente stabili e coscienti perfettamente a quelle comatose con un’ipertensione incontrollabile, anuria e coagulopatia. D’altronde l‘ALR nella paziente eclamptica stabile potrebbe ovviare ai noti pericoli dell’AG. La scelta quindi deve essere valutata da caso a caso, basandola sui rischi di una intubazione problematica, sulla conta piastrinica, sulla compromissione fetale. In uno studio retrospettivo viene confrontato l’outcome dei TC in AE e in AG in donne cooperanti con eclampsia stabile, (GCS >14, PLT > 100.000, PVC >5, battito fetale normale in assenza di complicazioni fetali o materne aggiuntive). L’AE non era associata con eventi avversi maggiori ed era accettabile e sicura come la AG in pazienti selezionate come anche riportano altri autori34, 38. I neonati che richiesero una rianimazione immediata (basso I di Apgar al 1’) erano più numerosi nel gruppo AG. Pur essendo modesto il campione studiato, in un gruppo di pazienti preeclamptiche selezionate, l’AE, associata con una bassa incidenza di ipotensione, peraltro moderata, e con l’assenza di complicanze maggiori, oltre che ovviare ai consueti rischi di una AG, si è rivelata vantaggiosa per il neonato nell’immediato periodo dopo la nascita tanto da renderla giustificata in tali circostanze per il TC43. In conclusione, nessuna tecnica loco-regionale o di AG è completamente sicura nella paziente preeclamptica da sottoporre a TC. Sicuramente una preparazione perioperatoria esperta e aggressiva della donna con preeclampsia severa , con un adeguato monitoraggio è in definitiva ciò che condiziona maggiormente l’outcome intra e postoperatorio della donna e l’outcome neonatale. TERAPIA DELLE CRISI IPERTENSIVE La terapia anti ipertensiva è il caposaldo delle misure di supporto 44, 45. Essa ha lo scopo di prevenire la morbilità che deriva dall’ipertensione, mantenendo al contempo la perfusione utero97 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 placentare e degli organi vitali. Il target è di mantenere una PA diastolica <110 mmHg , ovvero al di sotto di 150 mmHg di PA media, valore a cui si perde l’autoregolazione cerebrale ed aumentano i rischi di encefalopatia ipertensiva e di emorragia cerebrale ma anche di distacco di placenta e d’ischemia miocardica. Per una somministrazione acuta in genere si preferisce l’idralazina, vasodilatatore diretto sulla muscolatura vasale che riduce l’afterload e migliora il CO; è il farmaco di scelta (il solo suo effetto collaterale che può limitarne l'impiego è la tachicardia materna) ma il suo utilizzo deve essere fatto con cautela monitorando le dosi iniziali e procedendo ad un adeguato riempimento infusivo per non provocare episodi ipotensivi in pazienti con ridotta volemia, che farebbero precipitare la perfusione placentare già compromessa. Dovrebbe essere impiegata a dosi di 5 mg i.v ripetibili o aumentabili fino a 10 mg ogni 20-30 min . Ha una lunga durata d’azione che fa sì che non sia previsto l’utilizzo in infusione continua. Anche il labetalolo, agente beta bloccante non selettivo con alcune proprietà alfa è in grado di ridurre la pressione materna senza influire negativamente sulla perfusione placentare anche se la risposta individuale è variabile. La nifedipina ha una valida azione vasodilatante e per os ha rapida insorgenza. di effetti cui si unisce la semplicità d’uso. Inoltre, rispetto al labetalolo è in grado di incrementare l’indice cardiaco delle pazienti46 , ma va ricordata una interazione farmacologica fra calcioantagonisti e solfato di magnesio che può limitare l’impiego di questo farmaco. Tuttavia il farmaco ha guadagnato grossa popolarità per il fatto che è possibile impiegarlo sia per somministrazioni acute che croniche utilizzando in questo caso le compresse a lento rilascio. Il calo pressorio nella donna avviene senza apparenti riduzioni del flusso utero-placentare, riducendo le SVR ed aumentando la frequenza cardiaca, il CO e lo stroke volume. Altri farmaci assai potenti come il nitroprussiato di sodio o i nitroderivati sono raramente necessari, mentre gli ACE inibitori sono controindicati per le possibili controindicazioni fetali (oligodramnios, ritardo di crescita)47, 48. Un approccio razionale della terapia antipertensiva nelle fasi acute di malattia potrebbe essere fatto, dal momento che non esistono studi controllati sulla maggiore efficacia di un farmaco rispetto ad un altro, sulla base delle considerazioni emodinamiche precedentemente esposte. Nelle donne con CO ridotto, SVR elevate, volume plasmatico marcatamente ridotto, l’Idralazina rappresenta la prima scelta, va titrata sulla risposta a meno che la paziente non sia tachicardica (>120bt/min): 20 mg seguiti ogni 10’ da 40-80 mg fino a una dose complessiva di 300 mg. Andrà monitorata la dose iniziale garantendo al tempo stesso un adeguato riempimento volemico. Il Labetalolo in bolo 50 mg o i.c 20-160 mg/h ma anche 200 mg per os, controindicato in pazienti asmatiche, in caso di oliguria e di bradicardia neonatale, può essere una valida alternativa . La Nifedipina, a rapida insorgenza di effetti e semplicità d’uso, 5 mg sublinguale o 10 mg per os è diventata per la sua praticità d’uso, uno dei farmaci più impiegati. Nel Gruppo di pazienti con CO aumentato , SVR ai limiti superiori o poco elevate e con un Volume Plasmatico lievemente ridotto il labetalolo è il farmaco di scelta per le sue proprietà sui recettori α e β. I nitroderivati , combinabili con Dopamina a basse dosi nelle pazienti oliguriche, possiedono un’azione vasodilatante usata per generare NO, e rappresentano una scelta razionale nella diffusa disfunzione endoteliale e vasospasmo. Il solfato di magnesio riduce sia la pressione arteriosa che le resistenze vascolari sistemiche incrementando il CO ma gli effetti con le dosi basse comunemente impiegate sono transitori. Punti chiave della terapia antipertensiva sono il fatto che c’è una enorme variabilità individuale nella risposta ai farmaci, i cui effetti non sono predittivi, perciò un abbassamento eccessivo o troppo brusco può provocare distress fetale. L’anestesia epidurale abbassa i valori pressori di circa un 15% rende spesso non necessario l’uso di agenti antipertensivi. Va inoltre tenuto conto che la gravida con insufficienza renale cronica è molto più problematica per la maggior espansione plasmatica. Un’ipertensione severa in assenza di proteinuria deve far sospettare l’uso di cocaina. In caso di perdita di coscienza prolungata , papilledema, convulsioni sotto terapia con solfato di magnesio o crisi convulsiva oltre 48 ore dal parto, va eseguita una TAC cerebrale48. 98 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 TERAPIA DELLA CRISI CONVULSIVA Le convulsioni sono la variante più comune delle complicanze neurologiche (0.056% di tutte le gravidanze). Il solfato di magnesio è il caposaldo riconosciuto da numerosi trials della terapia e della profilassi anticonvulsivante. Il Collaborative Eclampsia Trial aveva valutato la sua efficacia dimostrando un rischio ridotto rispetto al Diazepam di sviluppare crisi (13,2% vs 27,9%) ed un rischio più basso di episodi ricorrenti (5,7 vs 17,1%)49 . Il recente studio multicentrico per la prevenzione dell’ eclampsia che ha studiato gli effetti del solfato di magnesio versus placebo in 10.141 pazienti preeclamptiche, ha definitivamente dimostrato l’importanza di questo farmaco come trattamento di scelta nella prevenzione e trattamento delle convulsioni nella eclampsia. Con esso si riduce il rischio di sviluppare l’eclampsia del 58% (0,8 vs 1,9%) indipendentemente dalla gravità della malattia, e si riduce la mortalità materna (0,2 vs 0,47%) e il rischio di distacco placentare (2 vs 3,7%) con effetti collaterali nel 24% delle pazienti ma in genere modesti. Il suo uso va continuato per 24 ore ed ai dosaggi consigliati non si rende necessario un monitoraggio delle concentrazioni plasmatiche il che rende fruibile tale terapia anche per ospedali di modeste dimensioni. La dose carico consigliata è di 4 g (2 fiale al 20% =20 ml ) i.v. in 10-15’ seguite da un mantenimento di 1 g/h. Se subentrano convulsioni vanno eseguiti boli addizionali di 2-4 g in 10’ o boli di TPS di 50 mg. Per evitare il ricorso al laboratorio vanno monitorati ogni 30’ il riflesso patellare (la sua perdita costituisce il 1° segno di tossicità), la frequenza respiratoria (> 16 atti /min) e la diuresi (> 25 ml/h) . Il suo uso, esclusivamente per infusione endovenosa, deve essere continuato fino a 24 ore dopo il parto 50. Il solfato di magnesio sembra agire sui recettori dell’Nmetl-d-aspartato51 e riduce l’ischemia cerebrale annullando la vasocostrizione con un effetto sui canali del calcio52. Da tener presente che l’infusione troppo rapida può condurre ad arresto cardiorespiratorio (antagonista il calcio gluconato). Particolari cautele inoltre vanno prese se impiegato in associazione con altri Ca-antagonisti, nella paziente emorragica poiché riduce l’adesività piastrinica e aumenta il tempo di sanguinamento per una riduzione del rapporto Ca/Mg, ed infine nel blocco neuromuscolare con curari non depolarizzanti, poiché ne aumenta la sensibilità (raro a concentrazioni > 5 mmo/l). Infine va ricordato che nel post partum può avere un’azione miorilassante sull’ utero che può incrementare il rischio di sanguinamento53. E’ importante prevedere nella crisi eclamptica la protezione delle vie aeree, l’arresto e la prevenzione dell’attività convulsiva (eventualmente con boli di TPS o Diazepam) che genera ipossia ed acidosi. Il controllo della pressione arteriosa che può ulteriormente aumentare flusso e pressione intracerebrali durante le crisi e la rimozione urgente di feto e placenta costituiscono la terapia risolutiva. L’intubazione endotracheale va attuata nelle pazienti semi coscienti e protratta per 24 ore almeno dopo il parto ponendo attenzione sia alla riduzione del picco ipertensivo dell’intubazione che all’eventuale edema residuo del viso e delle vie aeree al momento dell’estubazione 53, 54. CONSIDERAZIONI SUL POSTPARTUM Il periodo di osservazione della paziente preeclamptica deve estendersi almeno alle prime 24 ore del postpartum. In questo periodo si verifica il nadir della pressione colloido-osmotica. In questa fase aumenta il volume centrale come si risolve il blocco simpatico e ritorna il tono vascolare al termine dell’anestesia locoregionale per il TC. Inoltre le perdite ematiche e la somministrazione peripartum di cristalloidi, contribuiscono ad una ulteriore riduzione della pressione colloido-osmotica e questa associata, al danno delle membrane capillari alveolari rende particolarmente elevato il rischio di edema polmonare che è tra le cause più temute di complicanze talora mortali36. Sebbene non sia stata dimostrata una buona correlazione tra i valori di pressione venosa centrale CVP e pressione d’incuneamento capillare polmonare CPWP specie per valori di CVP superiori a 6 mmHg55 il valore della CVP preso in assoluto può essere utile per il monitoraggio di queste pazienti e fornisce nella maggior parte delle situazioni delle utili informazioni se si ha l’accortezza di posizionare accuratamente il trasduttore (5 cm sotto il margine sternale a livello del quarto spazio intercostale)56. L’obiettivo è mantenere la CVP al massimo attorno a 6-8 mmHg, eventualmente facendo ricorso a diuretici. Il monitoraggio emodinamico invasivo può trovare indicazione nei casi 99 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 d’ipertensione arteriosa irresponsiva o refrattaria, in caso di edema polmonare in cui sia difficile dirimere tra una desaturazione arteriosa persistente di origine cardiaca o non cardiaca, in caso di oliguria che non risponde a modesti carichi fluidici57. Non vi è però al momento letteratura sufficiente per stabilire se tale metodica possa o meno migliorare l’outcome materno e fetale e sicuramente il suo uso non va considerato per un impiego routinario58, 59. L’edema polmonare nella paziente preeclamptica potrebbe sembrare paradossale dato che in queste pazienti il volume plasmatico è in genere ridotto. Nelle preeclamptiche lievi il volume plasmatico è circa il 9% al di sotto delle gravidanze normali, ma nella preeclampsia severa è ulteriormente ridotto fino ad un 30-40% con valori quindi di ematocrito ed emoglobina elevati. L’edema polmonare è’ causato sia da una aumentata perdita da parte dei capillari polmonari che da sovraccarichi fluidici che aumentano ulteriormente la pressione idrostatico diminuendo al contempo la pressione colloido-osmotica. Ha un’incidenza del 3% ed è responsabile del 40% delle morti di tali pazienti36. Può essere sia cardiogenico (da alterata funzionalità sistolica o diastolica del ventricolo sinistro con basso CO, elevata CPWP ed alte SVR) che non cardiogenico . Quest’ultimo, dovuto ad una combinazione di fattori come una aumentata permeabilità capillare, un sovraccarico fluidica iatrogeno, uno squilibrio tra pressione colloidoosmotica e pressione idrostatica o di entrambe, è il più frequente, ed è caratterizzato emodinamicamente da una CPWP normale o ridotta. Sono sufficienti minimi carichi fluidici per provocarlo per cui norma generale nella terapia infusionale è di non superare nel rimpiazzo gli 80 ml/h . L’acume clinico può essere utile sia nel prevenire questa complicanza che nel monitorizzare la paziente: la saturimetria venosa può essere il miglior aiuto strumentale per seguire l’evoluzione di una paziente che potrebbe presentare come unico sintomo la richiesta di una venti-mask per respirare meglio. Nel trattamento dell’edema polmonare, qualora si rendesse il ricorso ad una assistenza ventilatoria della paziente, debbono essere prese in considerazione anche tecniche non invasive come la CPAP o BiPAP. Queste consentono di minimizzare il danno polmonare da volo e baro trauma che comporta la ventilazione controllata a pressione positiva intermittente IPPV specialmente nelle pazienti che manifestano un edema polmonare dopo una politrasfusione in cui la possibilità di sviluppare una ARDS ( maggior causa di morte negli anni ’94-’96) è particolarmente alta60. Quanto all’oliguria nel postpartum, è un fenomeno che interessa circa il 30% delle pazienti preeclamptiche. Generalmente le pazienti recuperano spontaneamente una diuresi efficace ma può rendersi necessario controllare l’osmolarità urinaria e se l’oliguria persiste monitorare la CVP e nei casi refrattari la CPWP. Secondo Clark si possono distinguere tre tipologie emodinamiche caratterizzate da oliguria. Nel primo gruppo vi sono i caratteristici segni della ipovolemia come evidenziato da basse pressioni di riempimento, SVR elevate e una funzione cardiaca iperdinamica. Queste pazienti rispondono bene ad una terapia infusiva. Il secondo gruppo è caratterizzato da pazienti oliguriche con pressioni di riempimento normali o elevate, CO elevato ed alte SVR. Tali pazienti vanno trattate con vasodilatatori e restrizione fluidica. Il terzo gruppo , il più esiguo è caratterizzato da SVR elevate e funzionalità cardiaca marcatamente depressa: tale gruppo risponde bene ad una riduzione dell’afterload57. TERAPIA FLUIDICA L’idratazione endovenosa prima di una anestesia locoregionale è una pratica routinaria atta a minimizzare gli effetti dell’ipotensione causata dal blocco simpatico ed è prudenziale somministrare liquidi prima di ogni anestesia ma ci son pochi dati sulla quantità e sul tipo di fluidi da somministrare. Nella paziente preeclamptica vi è una contrazione del volume plasmatico variabile dal 9% fino al 40% nei casi gravi, che causa emoconcentrazione e ipovolemia relativa, ma le pressioni di riempimento del ventricolo sinistro rimangono adeguate probabilmente sulla base di una capacitanza venosa ridotta I primi studi emodinamici riscontrarono una bassa CPWP e PVC che furono attribuite alla contrazione di volume tipica della preeclampsia. Gli studi successivi chiarirono che le pressioni di riempimento erano normali. Quindi sebbene sia vero il fatto che nella preeclampsia il volume ematico è contratto, la venocostrizione mantiene normali le pressioni di 100 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 riempimento poiché il 70 % del sangue è nel sistema venoso (compartimento di capacitanza distensibile) e solo il 30 % nelle arterie ed arteriole e nei capillari. Solo agli estremi della volemia, in situazioni come lo shock emorragico o la ritenzione acuta di sodio ed acqua nelle glomerulonefriti, il volume ematico può influenzare la pressione ematica. Nella maggior parte delle situazioni tuttavia non è il volume ematico a determinare direttamente il CO o la PA, ma l’elevazione delle SVR che riflette l’azione di molteplici meccanismi che modificano le caratteristiche ed il lume del vaso61. In genere, le pazienti con preeclampsia lieve non necessitano di un monitoraggio particolare e tollerano bene la preidratazione profilattica prima di un blocco centrale. Nella maggior parte dei casi anche le pazienti con preeclampsia severa possono essere trattate similmente, specie se hanno un output urinario adeguato. Se la diuresi è inadeguata, va eseguito un challenge fluidico di 250-500 ml di cristalloidi in 20’. Se la paziente risponde con un incremento della diuresi si possono somministrare con cautela carichi fluidici successivi prima del blocco locoregionale. Se non vi è risposta al bolo iniziale andranno monitorizzate CVP o CPWP62. Anche se correntemente una espansione di volume fino a raggiungere 6-8 mmHg viene considerata sicura, va tenuto conto che le misurazioni della PVC si correlano poco con le pressioni di riempimento del ventricolo sinistro specie quando la PVC è > 6 mmHg. Il gradiente CVP-CPWP nella preeclampsia potrebbe essere anche di 8-10 mmHg per cui una CVP di 8 mmHg corrisponde in realtà ad una PCWP di 18 mmHg e quindi probabilmente, qualora si disponga del solo monitoraggio della CVP, è sufficiente con la terapia fluidica raggiungere una CVP di 4 mmHg59. Nei casi più gravi l’uso di un catetere di Swan Ganz potrebbe essere indicato per ottimizzare il cardiac output assieme all’uso di un monitoraggio arterioso invasivo e nella guida della fluido terapia specie quando vi siano compromissioni cardio polmonari63 anche se non vi è una evidenza di dati a supporto di un migliore outcome con tale metodo58. La terapia fluidica può essere particolarmente impegnativa e non esistono dati della letteratura da cui ricavare un razionale 64. Il razionale della espansione plasmatica si basa sulla contrazione del volume plasmatico che è stata ben documentata in queste donne. Contro un routinario impiego della espansione plasmatica c’è il rischio di edema polmonare che insorge nel puerperio specie nelle pazienti trattate con un regime infusivo aggressivo sia con colloidi che con cristalloidi per via di una ritardata mobilizzazione dei fluidi extravascolari nel postpartum. Va poi tenuto presente che gli effetti dell’infusione di liquidi son solo transitori, e che l’espansione plasmatica rende questi pazienti più refrattari ai vasodilatatori che debbono essere impiegati a dosaggi maggiori. Sono state proposte sia una restrizione fluidica (60-150 ml/h di cristalloidi o 1 litro di cristalloidi più l’output urinario nel travaglio e nelle prime 24 ore dopo il parto senza ricorrere all’uso di un monitoraggio invasivo sia un trattamento più aggressivo con colloidi in modo da ottimizzare la CPWP ma probabilmente entrambe le strategie possono ritenersi valide secondo la clinica: la restrizione fluidica è particolarmente indicata nei casi di necrosi tubolare ed edema polmonare acuto mentre l’espansione plasmatica diviene necessaria nei casi di oliguria da insufficienza renale pre-renale 65, 66. Un rimpiazzo volemico con colloidi sembra la scelta più appropriata anche se l'uso dell'albumina non migliora il flusso placentare nelle pazienti con severa preeclampsia e non è stata dimostrata la superiorità dei colloidi verso i cristalloidi in queto tipo di pazienti55 . Uno schema esemplificativo del management fluidico in corso di preeclampsia è riportato nella tabella soprastante. Tab. Modello di un corretto regime fluidico nella paziente preeclamptica Ringer L 85 ml/h per 12 h al fine di mantenere un diuresi > 100 ml/4h .Altrimenti valutare la CVP Se CVP è compresa tra 5 e 10 attendere: se la diuresi è > 100 ml/4 h tornar alla infusione di Ringer a 85 ml/h; se è < 100 ml/4h challenge con soluzione contenente albumina 200 ml in 5'. Se CVP< 4 infondere 500 ml di soluzione contenente Albumina in 5' e valutare l'output urinario. Se si mantiene > 100 ml/4h tornare alla infusione di Ringer a 85 ml/h altrimenti 101 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 ripetere il challenge Se PVC > 10 con segni di edema polmonare iniziale e SaO2<92% ---> Rx torace ed eventualmente furosemide 20 mg ripetibili. Se non si ha ripresa della diuresi considerare di introdurre un catetere di Swan Ganz Se persiste oliguria valutare azotemia e creatinina e potassio. Valutare Dopamina 1mcg/kg Se vi è un rapido incremento della creatinina e del K+ > 6 mmol/l persistendo l'oliguria, restringere l'apporto fluidico e contattare tempestivamente i nefrologi CONCLUSIONI Le indagini triennali sulla casistica delle morti materne nel Regno Unito dimostrano che vi è stata una progressiva diminuzione della mortalità causata dalla preeclampsia: si è passati da 9,5 decessi per milione di maternità del triennio 1994-9667 ai 7, 5 del triennio 1997-9968. Dal confronto con i report precedenti si evince che sicuramente uno dei successi è dovuto ad una miglior controllo del regime pressorio ottenuto con la terapia che ha ridotto considerevolmente il numero delle complicanze in questo tipo di pazienti. Ciò nonostante una attenta analisi dimostra che all’origine di 12 dei 15 decessi dell’ultimo triennio, vi è quella che gli inglesi chiamano substandard care, ovvero una inadeguatezza di cure sia per quel concerne il tipo di trattamento che l’inappropriata gestione delle risorse umane con una insufficiente livello di comunicazione interdisciplinare. Nell’edizione precedente del report sulla mortalità venivano enunciate una serie di raccomandazioni chiave basate su quest’ultimo aspetto, come ad esempio l’opportunità di stilare e aggiornare protocolli specifici con training dello staff per aumentarne le competenze, assicurare sempre la disponibilità di un medico esperto, seguire la politica di trasferire al momento opportuno le pazienti preecalmptiche a centri di riferimento, migliorare l’educazione sanitaria delle gravide sull’imprevedibilità e rapida ingravescenza dei sintomi. Nell’ultimo report tra le raccomandazioni chiave ne vengono aggiunte altre, come alcune attenzioni preliminari quali misurare la PA e controllare la proteinuria ad ogni donna gravida che manifesti cefalea di una certa entità o un dolore epigastrico. Viene segnalata la possibile sottostima nella misurazione della PA dei sistemi automatici . Viene ribadito il concetto di trattare efficacemente le crisi ipertensive severe, e viene introdotto il solfato di magnesio come trattamento di scelta dell’eclampsia. Ma soprattutto in questa catena della comunicazione interdisciplinare, viene sottolineata l’importanza di un coinvolgimento precoce degli intensivisti nei casi di preeclampsia severa risultato del sempre più emergente ruolo della cosiddetta near miss mortality ovvero situazioni ad alto rischio che possono compromettere la vita della donna nel determinare la morbilità materna peripartum69. In quest’ottica viene ribadito che dovrebbero esistere criteri di accordo locali per il trasferimento delle pazienti in Terapia Intensiva considerata non come un luogo ma come un Servizio, in modo che dal momento che la tempestività può essere un fattore determinante vengano adottati criteri d'ingresso meno restrittivi non esclusivamente orientati al sostegno d'organo ma volti a trattare non solo le condizioni obiettivamente critiche delle pazienti ma anche quelle in rapido deterioramento. BIBLIOGRAFIA 1. Talledo OE. Renin-angiotensin system in normal and toxemic pregnancies. .Angiotensin infusiontest. Am J Obstet Gynecol 1966; 96: 141-143. 2. Weiner CP, Martinez E, Chestnut DH, Ghosdi A. Effects of pregnancy on uterine and carotid artery response to norepinephrine , epinephrine in vessels with documented functional endothelium. Am J Obstet Gynecol 1989; 161: 1605. 3. Mabie WC, Ratts TE, Sibai BM. The central hemodinamycs of severe preeclampsia. 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ACOG Practice Bulletin n° 36 July 2002 103 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 104 Morgan B III ESRA Meeting Barcelona 1994 Linton DM, Antony J Critical care management of severe pre-eclampsia. Intensive Care Med 1997; 23; 248-55 Brodie H Malinow AM. Anesthetic management of preeclampsia-eclampsia. Int J of Obstet Anesthesia 1998; 8: 220-124. Jouppila R, Jouppila P, Kuikka J, Hollmén A. Placental blood flow during caesarean section under lumbar extradural analgesia. Br J Anaesth 1978; 50: 275-279. Robinson DA, e Heller PJ Epinephrine should not be used with local anesthetics for epidural anesthesia in pre-eclampsia. Anestehsiology 1987; 66: 577-79. Alahuhta S, Rase, J, Jouppila R, Jouppila P Dolmen AI. Effects of extradural bupivacaine with adrenaline for caesarean section on uteroplacental and fetal circoulation. Br J Anaesth 1991; 67: 678-82 . 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Il servizio sanitario pubblico è stato stimolato nel trovare una risposta adeguata a tale esigenza ed anche l’azienda di Forlì vuole porsi su questa lunghezza d’onda considerando prioritaria l’equità di accesso per tutte le donne, quindi non basata prevalentemente sul censo. Attualmente l’analgesia peridurale è la metodica considerata più efficace nel ridurre il dolore da travaglio e parto. Le più recenti acquisizioni scientifiche, dimostrano i vantaggi dell'analgesia epidurale nel travaglio di parto che, riducendo il dolore, diminuisce le richieste metaboliche, migliora la perfusione placentare con benefici conseguenti sull'omeostasi materno-fetale (1). Se da un lato però l'analgesia epidurale assicura un migliore controllo del dolore rispetto a forme alternative di terapia, dall’altro può prolungare la durata del travaglio, determinare un maggiore ricorso all’infusione ossitocica e comportare una maggiore frequenza di parti operativi vaginali, ma non di tagli cesarei (2). In Italia la diffusione di tali metodiche purtroppo ha limiti imposti da fattori socio-culturali e soprattutto da difficoltà economico-organizzative. Anche riguardo le tecniche di anestesia in corso di parto cesareo, la scelta di anestesia regionale non è così frequente come accade invece in altre nazioni (3, 4). L'esperienza di riferimento è quella anglosassone, dove all'anestesia in ostetricia viene riconosciuta da tempo un ruolo di primaria importanza. OBIETTIVI L’Ospedale “Morgagni-Pierantoni” dell’AUSL di Forlì vuole poter garantire, quando richiesto, un parto con riduzione della componente dolorosa a tutte le donne che lo richiedano. L’azienda, per la sua dimensione, si propone come soggetto sperimentatore per un modello di fattibilità esportabile ad altre aziende, ove questo non avvenga. L’Azienda coadiuvata dai professionisti interessati, principalmente anestesisti, ginecologi, personale ostetrico ed infermieristico, è concorde nella scelta di mettere in atto al più presto una strategia atta a portare la struttura suddetta nelle condizioni di poter fornire tale supporto h24 quando necessario. Si rammenta che tale risposta non si limiterà alla mera procedura anestesiologica, ma vorrà essere articolata all’interno di una visione globale del momento della nascita, evitando quindi il porsi come evento isolato, “scarsamente informato”, nella sola sala parto. MODALITA’ ATTUATIVE L’esigenza di poter fornire quanto suddetto deve prevedere un’adeguata formazione dei sanitari coinvolti (Anestesisti, Ginecologi, Ostetriche, Infermieri) interna ed esterna all’Ospedale con un programma a medio termine che anticiperà l’avvio delle attività. 106 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il personale sanitario sarà coinvolto in un progetto obiettivo aziendale che prevederà oltre al percorso formativo anticipatorio, il supporto all’analgesia al parto svolta durante la normale attività istituzionale con ridefinizione dei carichi di lavoro, dell’organizzazione interna, in rapporto all’attività svolta. In sintesi il progetto consentirà la disponibilità h 24 su chiamata di 1 Medico Anestesista assistito da 1 Infermiere di Anestesia od 1 Ostetrica per le manovre di cateterizzazione peridurale, per il tempo necessario, come da requisiti di accreditamento regionale per il Servizio di Parto Indolore (5). Le indicazioni regionali prevedono la presenza di un servizio di parto indolore attuato secondo procedure e protocolli condivisi tra le diverse professionalità coinvolte, basati su Linee Guida validate dalle società scientifiche di riferimento. In particolare devono esistere protocolli/procedure per il consenso informato, per l’identificazione della madre e del neonato,per le tecniche anestesiologiche ed per le attività in urgenza. Il processo va monitorato per valutare il numero delle procedure attuate e per verificarne gli esiti. La sua fattibilità con l’équipes già presenti (grazie ad una soluzione organizzativa complessa) e l’equità di accesso per le partorienti rappresentano i punti di forza per questo progetto. Tempi di attuazione 1a Fase Avvio formativo del Personale coinvolto (Anestesisti, Ostetriche, Ginecologi) entro i primi sei mesi del 2006. Vi è l’intenzione di partire con un gruppo ristretto di partorienti a cui fornire tale servizio proprio per poter permettere lo sviluppo formativo ed organizzativo degli operatori. Il progetto dovrebbe coinvolgere inizialmente circa 120-150 donne/anno (10-15 % dei parti). Si è pensato, sentito il parere dei Direttori delle U.O. di Anestesia e Rianimazione e di Ostetricia e Ginecologia, di definire degli iniziali criteri di inclusione ristretti quali: - Travaglio proteatto e doloroso che configura il rischio di parto cesareo Ipertensione gestazionale medio-grave Malattie sistemiche materne (diabete, asma, epilessia, ecc.) Condizioni psicosociali a rischio (età particolarmente giovane od anziana, gravidanza “preziosa”, assenza del partner, etc) Ovviamente ogni situazione clinica che si potrebbe prestare all’applicazione dall’analgesia dovrà essere valutata, discussa e validata dagli specialisti (Medico Anestesista e Ginecologo in accordo con l’Ostetrica che sta seguendo il travaglio) presenti, tenendo conto ovviamente delle controindicazioni relative ed assolute alla procedura. Tali criteri ristretti di inclusione alla partoanalgesia saranno mantenuti per tutto il periodo necessario a formare (secondo i criteri enunciati dalle LG dell’ OAA (6)) tutto il personale che poi possa garantire il servizio a chiunque lo richieda h24. Tale periodo può essere stimato in 8-12 mesi necessari per la formazione progressiva degli operatori, a partire dal febbraio 2006. Durante il medesimo periodo verrà costituito un gruppo multidisciplinare (Ostetriche, Ginecologi, Anestesisti e neonatologi) per valutare l’introduzione anche di metodi complementari o alternativi per il controllo del dolore in travaglio. La presente proposta vuole quindi da un lato evitare che una partenza troppo precoce del servizio, esteso invece che ad un gruppo ristretto a tutte le donne che lo richiedano, possa non riuscire a garantire una risposta a tutto tondo rischiando di fallire pertanto il suo obiettivo primario e dall’altro ad esplorare tutte le conoscenze disponibili in una visione solistica e multidisciplinare dell’assistenza. 107 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 2a Fase Allargamento verso la fine del 2006, dei criteri di inclusione, a tutte le primipare che lo richiedano, con estensione della visita anestesiologica ed informativa sulla partoanalgesia a tutte le donne gravide rispondenti ai criteri di inclusione. 3a Fase Per i primi 6 mesi del 2007, se non vi saranno intoppi organizzativi imprevisti, si stima si possa liberalizzare la procedura a tutte le donne gravide richiedenti (circa 300-350 donne su circa 900 parti non cesarei, basandosi sulle percentuali desunte da letteratura medica). Si ricorda come sia importante sostenere, da Parte delle Istituzioni coinvolte (Regione, AUSL, Comune di FO), in maniera visibile il progetto nel tempo, anche un pronunciamento esplicito a supporto, che accompagni gli Operatori nella loro impegnativa attività sostenendo, secondo competenze, la loro ‘forte componente motivazionale con opportuno sistema incentivante qualificante l’impegno profuso. Conlusioni L agravidanza è un viaggio lungo e speciale per la donna. E’ un viaggio che comporta un cambiamento fisico, psicologico e sociale. Generazioni di donne hanno fatto la stessa esperienza ma ogni viaggio è unico. La donna dovrebbe avere la possibilità di essere inserita al centro dell’assistenza e di essere coinvolta nel monitoraggio e nella programmazione dei servizi sanitari per assicurarsi che rispondano ai bisogni di una società che cambia. I centri nascita garantiranno non solo il diritto alla salute delle donna e del bambino, ma anche la libera scelta del “ BEL PARTORIRE “. Bibliografia 1. Bocci A. In: Margaria E: Protocolli di analgesia, anestesia e rianimazione in Ostetricia, Torino, 1995,11 2. Howell CJ. Epidural versus non-epidural analgesia for pain relief in labour. Date of most recent substantive amendment: 24 May 1999. In: The Cochrane Database of Systematic Reviews 1999, Issue 3. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. 3. Grenon A., Lacore V.: Resultats de l'enquete retrospective sur les conditions de l'analgesie obstetricale en 1985. In Blane B., Thouloum J.M. eds.: 17es Journees Nationales de Medicine Perinatale, Paris, 1987, 55-62 4. Kestin I.G.: Spinal anaesthesia in obstetrics. Br J Anaesth 1991, 66: 596-607 5. B.U. Regione Emilia Romagna 27/02/2004 parte 2°, n.28 pag. 165. 6. OAA/ AAGBI Guidelines for Obstetric Anaesthetic Services Revised Edition 2005. The Association of Anaesthetists of Great Britain and Ireland Obstetric Anaesthetists’Association. May 2005 108 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’assistenza anestesiologica al parto: problematica di chi rianima e cosa fa E.M. GALASSINI S.C. Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera “Fatebenefratelli e Oftalmico” di Milano Dimensione del problema Nonostante negli ultimi anni si siano notevolmente affinate le tecniche per lo screening di fattori di rischio ostetrico, l’ecografia, la diagnosi perinatale ed il monitoraggio intrapartum, la necessità di rianimazione neonatale è attualmente stimata dall’1al 6% dei nati vivi e, nello specifico, nel 5,4% dei nati TC vs 3,4% da parto vaginale. In un’indagine retrospettiva di qualche anno fa, relativa al periodo 1995-1999 sulla possibilità di prevenzione delle morti in età pediatrica, basata sull’esame delle cartelle cliniche e diagnosi di dimissione in Arizona, (Arizona Child fatality review teams CFRTs), erano state individuate 29% morti (1416/4806) prevenibili, ma di esse solo il 5% (81/1781) erano morti neonatali, ove le cause erano riconducibili a prematurità (1036), anomalie congenite (470) o 263 SIDS. Un approccio multidisciplinare e un’ottima comunicazione sono fondamentali tra ostetrica, ginecologo, anestesista e neonatologo. Prima della nascita Il pediatra consulente in ostetricia raccoglie informazioni per pianificare l’intervento dopo la nascita e ragguaglia ostetrico sulle possibilità assistenziali in NICU. E’ opportuno che in questa fase la presenza di gravidanze patologiche (quando esiste una elevata probabilità di morbilità e/o mortalità per la madre e/o il feto, con un’incidenza maggiore di quella esistente nella popolazione generale di gestanti), sia resa nota il più velocemente possibile all’anestesista. La valutazione della possibilità di assistenza in loco o di trasferimento presso un centro di assistenza di terzo livello, in considerazione dei rischi specifici della madre o del feto, necessita di tempi e confronti interdisciplinari sereni e non pressati dall’emergenza. Nel caso infatti siano evidenziabili carenze della struttura, incombe l'obbligo del medico, specie se esiste un rapporto di tipo privatistico, di informare la partoriente, in quanto non può essere considerato meno responsabile per i danni subiti dal neonato, per difetto di assistenza nelle varie fasi del parto (Sentenza N°11316 del 21 luglio 2003). Compiti dell’èquipe ostetrica e del pediatra neonatologo in sala parto In sala parto l’attività deve essere integrata con una chiara divisione dei compiti. All’équipe ostetrica è affidato l’immediato controllo delle condizioni alla nascita, una sommaria toilette naso faringea, la recisione del cordone (precoce in caso di asfissia o isoimmunizzazione) e manovre atte ad evitare raffreddamento e contaminazione. Nei neonati depressi e di basso peso l’ instabilità termica consiglia di rimandare bagno; in casi selezionati (rottura prematura delle membrane, amnioite o piodermite) agenti disinfettanti possono essere usati localmente per ridurre la contaminazione batterica. La legge prevede l’esecuzione e relativa annotazione della profilassi congiuntivale antiblenorragica con nitrato d’Ag 1% e la somministrazione di vitamina K. Ostetrico e/o ginecologo presente in sala parto devono assumere la completa responsabilità della cura del neonato nell’immediato periodo postnatale, fino a che non sia affidato al pediatra. Alla recisione del funicolo il neonato passa al pediatra neonatologo, cui viene normalmente delegata la gestione dell’isola neonatale; egli completa disostruzione delle vie aeree e attribuisce il punteggio di vitalità. La visita medica e manovre assistenziali sono ridotte al minimo indispensabile, evitando eccessive stimolazioni e per procedere in caso di necessità alle manovre di rianimazione. Nel caso il pediatra non sia sufficientemente preparato, è previsto l’intervento dell’anestesista, lasciando al primo la rianimazione metabolica e/o farmacologica. 109 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’alta percentuale di parti cesarei, le cui cause sono ampiamente discusse in letteratura, porterà inevitabilmente ad un aumento nei prossimi anni della necessità anestesiologica al momento del parto. Già nel 1999 Halliday segnalava un aumentato rischio, considerati la necessità di rianimazione in sala parto, il tasso di ricovero in terapia intensiva e lo sviluppo di RDS in neonati a termine nati da taglio cesareo elettivo (Morrison et al 1995; Madar et al.1999). Il tentativo di stabilire un timing appropriato per l’esecuzione dei tagli cesarei elettivi, stabilendo come prevedibile, l’optimum intorno alla 38°5 giorni, non ha ancora mostrato effetti sulla riduzione dell’incidenza di necessità di manovre rianimatorie in sala parto. Non è detto inoltre che l’anestesista sia in assoluto il professionista più esperto di intubazione neonatale; in un recente studio sulle performance dei tentativi intubazione, posti 20” come tempo limite per l’intubazione tracheale, i risultati su 122 registrazioni erano 62% tentativi corretti, ed in dettaglio: • Resident (24% di successo) = 49” • Fellows (78% di successo) = 32” • Consultants (86% di successo) = 25” L’accordo tra le professionalità deve essere definito a priori, nulla deve essere lasciato al caso, soprattutto in caso di decisione di sospensione delle manovre. La recente revisione (2005) delle linee guida dell’ European Resuscitation Council riviste dall’ILCOR ha apportato alcune modifiche riguardo all’utilizzo di ossigeno al 100% nella rianimazione primaria, il trattamento dell’aspirazione da meconio, le strategie ventilatorie, i dispositivi per la verifica della corretta intubazione, l’uso della maschera laringea, farmaci, il mantenimento della temperatura corporea e considerazioni per l’inizio/sospensione delle manovre di rianimazione. In particolare per l’ultimo aspetto si raccomanda che: • in caso di anomalie congenite associate ad altissima probabilità di morte precoce o alta morbidità (età gestazionale < 23 settimane o peso < 400gr; anencefalia o trisomia 13 o 18) non sia indicato intraprendere la rianimazione • In condizioni associate ad un’alta possibilità di sopravvivenza e morbidità accettabile, sia opportuno procedere quasi sempre alla rianimazione • Nelle condizioni associate a prognosi incerta, con probabilità di sopravvivenza borderline ed alta morbidità , debba essere preso in considerazione anche il punto di vista dei famigliari. Se corrette manovre rianimatorie avanzate non producono effetti dopo 10’, è considerato giustificabile sospenderle definitivamente. CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI IN TEMA DI RESPONSABILITA' PROFESSIONALE IN OSTETRICIA E GINECOLOGIA L'ostetricia e la Ginecologia costituiscono, fra le diverse specializzazioni della Medicina, due settori di particolare e delicato interesse medico-legale, etico e giuridico. La nostra Costituzione, all'art. 31 sancisce che "La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo". Viene, recepito pertanto come garantito non solo il diritto di nascere - e di nascere sano - ma anche di ricevere adeguate cure pre e post-natali, senza perdere di vista la tutela della stessa madre e della maternità. Dal punto di vista normativo, la letteratura riporta una ampia serie di sentenze a riguardo: ogni sala parto (in ospedale o casa di cura) prevede ad ogni parto la presenza indispensabile di personale medico cui sia affidato il compito specifico di prestare le prime cure al neonato. Si raccomanda 110 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 anche la disponibilità di un’ostetrica o di una vigilatrice d’infanzia o di una infermiera esperta in rianimazione che assista il medico, secondo quanto previsto dal D.M. del Ministero della sanità 17 gennaio 1997. Si evince quindi l’importanza dell’insegnamento e dell’addestramento nella rianimazione primaria di tutto il personale della sala parto. Prendendo in esame i vari momenti dell'assistenza dello specialista in Ginecologia ed Ostetricia alla gestante ed al parto, la condotta censurabile si può riconoscere in una errata assistenza al momento del parto e si delinea: • per inadeguato monitoraggio nelle ultime fasi di gravidanza protratta • per mancato, o intempestivo, ricorso al taglio cesareo • per mancato riconoscimento di lesioni o di perforazioni uterine • per inadeguato trattamento di complicanze infettive. Affrontando in maniera specifica il problema della responsabilità professionale dell'ostetrico, si deve tener presente che l'imperizia, l'imprudenza, la negligenza o l'inosservanza di precise norme devono costituire la causa diretta della morte o del danno alla gestante o al neonato. In tale evenienza l'ostetrico risponde da solo e direttamente del proprio operato in regime di attività liberoprofessionale. Il D.M. 14/9/1994 al punto 1 dell'art. 1 precisa che: "l'ostetrico è l'operatore sanitario che conduce e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato"; e ribadisce all'art. 5 che: "l'ostetrico è in grado di individuare situazioni potenzialmente patologiche che richiedono intervento medico e di praticare, ove occorra, le relative misure di particolare emergenza". La Corte di Cassazione ha stabilito che l'esercizio dell'attività di ostetrico implica l'obbligo di rilevare con diligenza l'andamento del parto o di sollecitare l'intervento del medico ogni qualvolta nel corso del parto e successivamente ad esso si manifestino fatti non riferibili ad un regolare svolgimento del parto stesso. Quando un'ostetrica che assiste ad un parto rilevi l'esistenza di fattori di rischio per la madre o per il feto, deve richiedere l'ausilio del medico, con assoluto divieto di praticare interventi manuali o strumentali, fatta eccezione per quelli consentiti dalle istruzioni tecniche sull'esercizio professionale delle ostetriche, emanate dal Ministero della Sanità. Quando si registri una collaborazione con il medico, l'ostetrico è soggetto al vincolo della subordinazione, rispondendo in merito al danno solo per quello che compete alla sua partecipazione all'evento, pur mantenendo sempre un'autonomia intrinseca alla prestazione di un'attività intellettuale che gli viene riconosciuta. Importante è il ruolo ricoperto dall'ecografista: gli può venire attribuito un errore di tipo diagnostico nell'interpretazione e nell'elaborazione dei dati obiettivi, o anche un errore dovuto all'incompletezza o all'imprecisione nella stesura del referto, o per mancata trasmissione dei dati alla paziente. Si configura così una responsabilità civile diretta per mancata diagnosi di malformazione fetale, che avrebbe potuto portare la donna a decidere di interrompere la gravidanza, soprattutto se in presenza di una condizione di grave pericolo per la sua salute psico-fisica. Anche al medico anestesista competono delle responsabilità legali durante l'esercizio della propria professione, le quali possono estrinsecarsi: • nel trattamento anestetico-rianimatorio • nell'omessa vigilanza dopo anestesia • nell'errato posizionamento della paziente sul letto operatorio • nell'omesso controllo delle apparecchiature tutte sostenute da sentenze della Cassazione. 111 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 In tale contesto si possono determinare due situazioni: l'anestesista opera in autonomia con un altro medico di diversa specializzazione, ma di uguale professionalità, oppure l'anestesista entra in un rapporto gerarchico in funzione dei compiti di direzione che esercita sul personale infermieristico. Nel primo caso, ogni problema può essere superato con il riconoscimento di un principio di fiducia in virtù del quale le prestazioni fra colleghi specialisti, che partecipano ad un trattamento comune, siano corrispondenti all'arte medica. Nel secondo caso, invece, si ha l'obbligo di evitare il danno e l'anestesista deve impartire al personale infermieristico in modo dettagliato tutte le istruzioni del caso, per non rispondere successivamente di condotta imprudente e negligente. In occasione di intervento chirurgico in cui esista un contratto diretto fra anestesista e paziente, ed il chirurgo si trovi ad operare con un anestesista diverso da quello che di solito opera alle dipendenze di una casa di cura, nell'eventualità che si verifichi un danno, si tende ad escludere la responsabilità solidale del chirurgo, in base al principio dell'affidamento. In merito all'assistenza alla nascita ed ai rischi per il neonato, il neonatologo esplica il suo intervento in tre fasi: • sola collaborazione con l'ostetrico • collaborazione in equipe con l'ostetrico e l'anestesista • assistenza sul neonato. Nel caso dell'attività collegiale, in sala parto, possono riscontrarsi diverse ipotesi di responsabilità professionale: la responsabilità è unica e singolare, per il neonatologo, ogni qualvolta il suo parere è autonomo rispetto al contributo degli altri specialisti, tenendo invece conto del fatto che diventa responsabile tutta l'equipe in caso di errori professionali grossolani e non inerenti alle competenze strettamente ed altamente specialistiche del neonatologo. Tenendo conto della complessità dei trattamenti medici in ambito ginecologico ed ostetrico, e la conseguente necessità del lavoro di équipe, risulta palese la difficoltà di individuare il momento causativo dell'atto illecito tale da ascriverlo ad un unico responsabile. BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1. European Resuscitation Council Guidelines for resuscitation 2005 Resuscitation (2005) 67,S1:171-180 2. European Resuscitation Council Guidelines for resuscitation 2005 Resuscitation (2005) 67,S1:293-303 3. Christiansen LR, Collins KA:Pregnancy-associated deaths: a 15-year retrospective study and overall review of maternal pathophysiology. Am J Forensic Med Pathol. 2006 Mar;27(1):11-9. 4. Zanardo V, Simbi KA, Vedovato S, Trevisanuto D. The influence of timing of elective cesarean section on neonatal resuscitation risk. Pediatr Crit Care Med. 2004 Nov;5(6):566-70. 5. Loebel G, Zelop CM, Egan JF, Wax J: Maternal and neonatal morbidity after elective repeat Cesarean delivery versus a trial of labor after previous Cesarean delivery in a community teaching hospital. J Matern Fetal Neonatal Med. 2004 Apr;15(4):243-6. 6. Gancia P, Pomero G: Rianimazione in sala parto e neuroprotezione Atti 3°Congresso Nazionale SIARED Napoli 2005 in Acta Anaesth. Italica 2005, 56 (4):377-383 7. Marraro G:Atti Corso itinerante nazionale ECM AAROI 2003 “Rianimazione neonatale e pediatrica – gestione delle emergenze e del trasporto” 8. O’Donnell Colm PF et al Endotracheal intubation attempts during neonatal resuscitation: Success rates, duration and adverse effects. Pediatrics jan 2006 117(1):16-21 9. Rimsza ME et al Can child deaths be prevented? The Arizona Child Fatality Program experience. Pediatrics 2002 Jul; 110-11 112 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Nodo ferroviario "Alta Velocità" di Bologna. L’organizzazione del soccorso sanitario G. GRANA* e M. VIGNA** * Coordinatore Area dipartimentale Spoke e Direttore UO Anestesia Bazzano - 118 Sud Bologna; ** Responsabile Servizio Assistenziale Tecnico e Riabilitativo (SATeR) Azienda USL di Bologna - Dipartimento di Emergenza A. CENNI SUL PROGETTO, SUI CANTIERI E SULLE MODALITÀ DI LAVORO Non è compito degli operatori sanitari parlare della progettazione del nodo, dei cantieri e delle modalità di lavoro. Qui se ne fa un brevissimo cenno finalizzato esclusivamente a meglio comprendere la relazione con il Servizio di Soccorso Sanitario 118. Il nodo ferroviario "Alta Velocità" (AV) di Bologna La lunghezza complessiva del nodo ferroviario AV di Bologna è di circa 17,8 km: si sviluppa per circa 7 km allo scoperto, per 9,3 km in galleria (naturale e artificiale) e per 1,6 km in viadotto. Partendo dal quartiere Savena-San Ruffillo, punto in cui ha inizio la tratta AV Bologna - Firenze, il tracciato attraversa il ponte sul fiume Savena e dopo un breve tragitto in superficie, si immette in galleria fino a raggiungere la futura stazione sotterranea per le nuove linee veloci a 23 m di profondità rispetto al piano di campagna. I binari, seguendo approssimativamente il percorso della linea esistente posta in superficie, proseguono fino al camerone di Fascio Salesiani (zona di manutenzione dei treni a est della stazione), passando sotto le vie: Corelli, degli Orti, Emilia Levante, Fossolo, Rimesse, Massarenti, Libia e Stalingrado. Da qui il tracciato continua per circa 1 km fino alla stazione sotterranea per le linee veloci. Dalla stazione, con un tratto in galleria a doppio binario, si prosegue in direzione Milano, sottopassando il torrente Navile e via Zanardi, per poi risalire e allacciarsi alla tratta AV Bologna Milano nel comune di Anzola Emilia. Ad Anzola e San Ruffillo sono previste due interconnessioni tra linea veloce e linea storica: l'interconnessione di San Ruffillo è costituita da due gallerie situate nel territorio dei comuni di Pianoro e San Lazzaro di Savena; l’interconnessione di Lavino si sviluppa interamente nel territorio del comune di Anzola ed è costituita da due rami che collegano la nuova linea veloce alla linea di Cintura e alla linea esistente, in corrispondenza della stazione di Lavino. All'interno del Nodo di Bologna, in prossimità del deposito locomotive (situato tra l'ospedale Maggiore e via Agucchi) sono previste altre due interconnessioni: l’interconnessione con la linea per Padova-Venezia e l’interconnessione con la linea per Verona. I cantieri del nodo di Bologna Per limitare al massimo l'impatto ambientale causato dai cantieri, in un territorio fortemente urbanizzato come Bologna, il consorzio TAV (Treno Alta Velocità) si è impegnata a trasportare su ferrovia, ove possibile, i materiali in ingresso ed uscita dai cantieri. Sono stati predisposti tre cantieri principali (Stazione Centrale/Stazione Arcoveggio, San Ruffillo, Deposito locomotive) e sei cantieri ausiliari (Fascio Salesiani, Ponte sul Reno, Poste, Lavino, Intermodale di Anzola, Innesto Bologna - Padova). I cantieri principali comprendono, oltre all'area dove vengono effettuati i lavori, un campo base totalmente attrezzato ed autosufficiente destinato ad alloggiare il personale; i cantieri ausiliari possono essere invece adibiti esclusivamente alla produzione. Il personale impegnato mensilmente nel corso del 2005 è stato in media di 800 unità. Alla fine dei lavori in tutte le zone interessate dai cantieri verrà effettuata una completa opera di ripristino ambientale per riportare il territorio alle condizioni iniziali. 113 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La stazione del Nodo di Bologna La stazione per le nuove linee veloci, posta a 23 metri sotto il piano stradale, è la chiave di volta di tutto il progetto di potenziamento del Nodo di Bologna. Sarà riservata ai treni a media/lunga percorrenza e sarà situata in corrispondenza dell'attuale piazzale della Stazione Centrale nell'area occupata dagli ultimi cinque binari, dal lato di via Carracci. La nuova struttura sarà in grado di sostenere un significativo incremento giornaliero del traffico passeggeri e merci. Le modalità di lavoro Per interferire al minimo con la vita della città e causare il minor disagio possibile alla popolazione, lo scavo delle gallerie viene realizzato con gigantesche frese e il trasporto del materiale di scavo/costruzione avviene prevalentemente attraverso ferrovia. B. L’ORGANIZZAZIONE DEL SOCCORSO SANITARIO Sono state previste due postazioni di soccorso sanitario dedicate al nodo ferroviario di Bologna. Il servizio è stato affidato all’Unità Operativa Anestesia Bazzano - 118 Sud Bologna che ha maturato un’esperienza pluriennale di soccorso in galleria durante la realizzazione della tratta appenninica AV Bologna - Firenze. Delle due postazioni, quella infermierizzata, ubicata presso il cantiere di S. Ruffillo è operativa sin dall’ottobre 2003, quella medicalizzata, sarà operativa entro il 2006 e sarà ubicata presso il cantiere di Via Carracci (Stazione Centrale). L’attivazione in tempi diversi è dovuta alla diversa tempistica di inizio dei lavori. Possiamo perciò distinguere 2 fasi: – nella prima fase, che volge ormai al termine, è stata operativa una sola postazione “infermierizzata”, dedicata prevalentemente al cantiere “S. Ruffillo”. L’attivazione della postazione è coincisa con l’avvio dell’attività delle frese. Questa è tuttora l’unica postazione dedicata prevalentemente ai cantieri del nodo; – nella seconda fase, il cui inizio è previsto per la fine del 2006, alla postazione di S. Ruffillo si aggiungerà la postazione medicalizzata della Stazione che sarà operativa fino al termine dei lavori, presumibilmente insieme a quella di S. Ruffillo. Qui di seguito viene descritto nel dettaglio l’operatività delle due postazioni che, non va dimenticato, si avvalgono del coordinamento della Centrale Operativa 118 di Bologna e, in caso di necessità, operano in rete con tutti i mezzi del Sistema 118 che è in grado di schierare, entro un’ora, 4 elicotteri con rianimatore a bordo e circa 100 ambulanze di cui alcune con capacità operativa specifica per il soccorso nelle gallerie in costruzione (ambienti con possibile carenza di aria respirabile). L’accesso degli operatori sanitari alle gallerie di San Ruffillo Gli imbocchi delle 2 gallerie che da San Ruffillo si dirigono verso la Stazione di Bologna sono ubicati all’interno di uno spazio ipogeo denominato camerone frese. I mezzi di soccorso sanitari su gomma entrano nel camerone frese tramite la rampa di accesso alle frese. Nei pressi della rampa è presente anche una scalinata di sicurezza che permette di raggiungere a piedi gli imbocchi delle gallerie. La galleria di sinistra è denominata Binario Pari (TBM Emilia), mentre quella di destra è denominata Binario Dispari (TBM Felsinea). La sigla TBM è l'acronimo di "Tunnel Boring 114 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Machine": il nome tecnico delle grandi frese che eseguono lo scavo delle gallerie. All’imbocco di ogni galleria è stato posizionato un cartello identificativo della galleria e due cartelli che si illuminano al bisogno: uno per l’allarme incendio e uno per le emergenze sanitarie in corso. Un sistema di semafori a due colori (verde e rosso) ha la funzione di regolamentare la viabilità dei treni sui due binari di ogni galleria, al fine di lasciare sempre libero un binario in caso di emergenza. Per poter, infatti, entrare in galleria ogni qualvolta si manifesti un evento che richiede l’intervento del 118 o del 115 è necessario utilizzare un mezzo specifico denominato treno d’emergenza. Il treno d’emergenza Questo mezzo è posto all’interno del camerone frese, in prossimità degli imbocchi delle gallerie. Il treno riservato alle emergenze sanitarie, utilizzabile anche dai vigili del fuoco, è dotato di un locomotore dedicato e di una telecamera ad infrarossi. Un sistema ad aria compressa (4 bombole) può generare una sovrapressione che impedisce l’ingresso dei fumi nell’abitacolo. Il vagone ha due porte scorrevoli ad apertura manuale. La velocità massima è di circa 40 km/h. Il treno è condotto da un locomotorista, sempre presente all’imbocco delle gallerie o nei pressi del centro di betonaggio. Il locomotorista è immediatamente identificabile dal caschetto di colore blu. Il sistema di Emergenza Sanitaria della fase 1 Nel Campo Base “S. Ruffillo” è stata allestita un’infermeria per le esigenze delle maestranze ed è sempre presente un mezzo di soccorso sanitario denominato Stilo 1, con un solo operatore che, fino all’ autunno 2005, interveniva su tutte le emergenze sanitarie dei seguenti cantieri TAV versante Nord: cantiere E4 Rio Laurenziano, cantiere E3 Rio Munazzano, cantiere E2 Rio Pecore, cantiere E1 Pianoro Nord, cantiere E0 Interconnessione binario pari e dispari, campo base e cantiere S. Ruffillo, incluso soccorso nelle 2 TBM. Con il crescere della lunghezza delle gallerie (12/04/2006: poco più di 4.500 metri per entrambe le TBM) e conseguentemente del tempo necessario al treno d’emergenza per raggiungere il fronte di scavo, la zona di competenza della Stilo 1 è stata limitata all’area del cantiere S. Ruffillo, per ottimizzare i tempi di intervento. Il modello è assolutamente innovativo: la Stilo 1 è un’automobile, guidata e gestita da un unico infermiere, equipaggiata con monitor defibrillatore semiautomatico, zaino infermieristico, aspiratore per secreti, autorespiratore a ciclo aperto1. La Stilo 1 osserva gli stessi orari delle frese: al momento è operativa 24h/24h, in precedenza (ottobre 2003 - maggio 2005) era operativa dalle ore 6.00 del lunedì fino alle ore 8.00 della domenica. Figura 1 - Cantieri TAV, versante Nord 115 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il sistema che utilizza i mezzi con un unico operatore è stato pensato per ottimizzare i costi pur garantendo, grazie alla “rete”, una risposta immediata e qualificata sul territorio di competenza. Il modello operativo dell’infermiere stilo è basato sulla capacità di: raggiungere velocemente il target; fornire indicazioni precise all’infermiere capoturno (alla Centrale Operativa 118 se il capoturno è già impegnato in un servizio di soccorso) che provvederà ad inviare uno o più mezzi presenti in zona; iniziare il trattamento del paziente o dei pazienti, in attesa dell’arrivo dei rinforzi. I mezzi di soccorso con capacità di intervento in galleria (gli equipaggi sono addestrati al soccorso in ambienti confinati con possibile carenza di aria respirabile), in grado di intervenire in tempo utile nei cantieri di pertinenza della Stilo 1 sono: 1. innanzitutto l’ambulanza GECAV 1 (infermieri USL a servizio esclusivo dei cantieri), in postazione presso il CBE 1 di Pianoro; 2. l’ambulanza Setta 1 (infermieri USL a servizio esclusivo dei cantieri), in postazione presso la postazione di Lama di Setta; 3. Auto medica Echo 34 (un medico e un infermiere dipendenti USL a supporto delle ambulanze per la popolazione e per i cantieri), in postazione a Barbarolo; 4. Ambulanza Loiano 40 (infermieri USL a servizio esclusivo dei cantieri), in postazione presso il cantiere E 8, località “La Fiumana” (Monghidoro); 5. Ambulanza Loiano 34 (infermieri USL a servizio prevalente della popolazione, ma addestrati ad operare in galleria), in postazione presso l’Ospedale di Loiano. Figura 2 - Mezzi di soccorso con capacità di intervento nelle gallerie in costruzione Gli altri mezzi di soccorso non hanno equipaggi addestrati al soccorso in ambienti confinati e possono intervenire nei cantieri all’aperto ma non in galleria. Ci riferiamo a: – Ambulanza Mike 5 (autista soccorritore + infermiere convenzionati USL a servizio prevalente della popolazione), in postazione presso il campo base di San Ruffillo. – Ambulanza Pianoro 47 (volontari convenzionati USL a servizio prevalente della popolazione), in postazione a Pianoro; – Ambulanza Monterenzio 41 (volontari convenzionati USL a servizio prevalente della popolazione), in postazione a Monterenzio; – Ambulanze e auto medicalizzate cittadine; L’operatore della Stilo 1, con la logica del Sistema in rete, può richiedere, se necessario, supporti più o meno, avanzati, come: l’intervento di un’ambulanza BLSD (in grado di effettuare il soccorso di base fino alla defibrillazione cardiaca con apparecchi semiautomatici); il supporto di un auto medicalizzata (interviene su richiesta delle ambulanze che operano in zona e ritorna subito in postazione se la patologia è di lieve entità. In caso di patologie importanti, il medico diventa un componente dell’ambulanza che ha richiesto l’appoggio, 116 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 fino al ricovero del paziente, mentre l’infermiere rimasto solo sull’auto medica continua a presidiare il territorio che non rimane mai completamente scoperto); l’intervento dell’Elisoccorso (equipe di rianimazione a bordo). Le modalità operative della Stilo 1 sono regolamentate da una istruzione operativa specifica per il cantiere S. Rufillo (TBM). Oltre all’attività di soccorso, l’infermiere della Stilo 1, quotidianamente controlla la viabilità e gli ingressi in galleria di tutta l’area di competenza del mezzo. Tale attività, procedurata mediante la Scheda Rilevazione Dati Percorribilità Cantiere S.Ruffillo - Talpa (procedura MO 0221 042 SVF), è fondamentale per conoscere le diverse trasformazioni che quotidianamente si verificano all’interno dell’area cantieristica e delle gallerie, come ad esempio, tratti di pista chiusi, nuove lavorazioni, profondità di scavo delle gallerie ecc.). Modalità operative dell’auto infermieristica Stilo 1 1- L’istruzione operativa IO 0221 007 MOS in sintesi In caso di chiamata, l’infermiere si reca, con l’auto Stilo 1, sul luogo dell’evento, valuta le condizioni cliniche del paziente e comunica il “Confermato” o il “Negativo” sia all’ambulanza GECAV 1 (o Setta 1, se GECAV 1 è già impegnata) sia all’auto medica Echo 34 (o Echo 2 se Echo 34 è già impegnata). Nel caso venga richiesto un intervento in galleria, l’infermiere della Stilo 1 si reca sul luogo dell’evento munito di: zaino di soccorso; aspiratore; defibrillatore semiautomatico; barella a cucchiaio; autorespiratore Dräger PA 90 Plus; DPI (casco protettivo, gilet alta visibilità, guanti, stivali e mascherina per le polveri); radio portatile. Nel caso in cui venga richiesto un intervento all’interno della talpa, l’infermiere della Stilo 1: accede al camerone fresa tramite la rampa, in alternativa utilizzerà la scala di sicurezza; si accerta che sia stata attivata l’ambulanza GECAV 1 (o Setta 1, se GECAV 1 è già impegnata); si reca all’imbocco del tunnel; se la GECAV 1 ha uno stimato di arrivo uguale o superiore a 8 minuti: comunica che sta entrando in galleria e quindi inizia il silenzio radio; si reca sul luogo dell’evento; valuta le condizioni cliniche del paziente e conferma o annulla l’intervento di ulteriori mezzi. Attualmente l’unico sistema per comunicare con l’esterno della galleria è rappresentato dal telefono (colonnine SOS posizionate ogni 250 metri circa). Nel caso che la GECAV 1 abbia uno stimato inferiore ad 8 minuti, l’infermiere attende l’equipaggio della GECAV 1 all’imbocco della galleria, predispone e coordina, insieme al locomotorista, il treno di soccorso per l’ingresso in galleria; Dopo l’arrivo della GECAV 1, un infermiere deve comunque rimanere all’imbocco, mentre gli altri due operatori (un infermiere + l’autista soccorritore) entrano con tutto l’occorrente, raggiungono il target e iniziano la prestazione sanitaria. 117 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 2- La scheda sui dati di percorribilità del Cantiere S. Ruffillo - Talpa (MO 0221 042 SVF): Viene compilata quotidianamente dall’operatore della Stilo 1 in collaborazione con l’equipaggio della GECAV 1 che ha sede a Pianoro, presso il CBE 1. L’operatore Stilo o l’equipaggio GECAV 1, a turno, attraversano in lungo e in largo il cantiere S. Ruffillo (ponte Baily, spazio intermodale, pista officina-magazzino, cantiere distaccato Escrivà, scale sicurezza, imbocco talpa ecc.) e annotano sulla scheda i tempi, gli ostacoli, il fondo stradale, le condizioni meteo ecc. In tal modo gli operatori sono sempre a conoscenza delle nuove lavorazioni, della profondità di scavo delle gallerie, delle variazioni stradali e di quanto altro possa essere utile per ottimizzare i tempi e le modalità del soccorso. 3- La newsletter periodica di aggiornamento Periodicamente tutti i medici, gli infermieri e gli autisti ricevono una e-mail di aggiornamento, corredata da numerose fotografie, su: • viabilità (chiusura strade, percorsi alternativi, tempi di percorrenza); • tipologia delle lavorazioni; • profondità di scavo, nuovi by-pass tra le due gallerie, iperbarismo ecc. In tal modo, il personale di altre postazioni è in grado di operare in sicurezza se chiamato ad intervenire in questo cantiere, anche quando è richiesto il rimpiazzo improvviso per assenze non programmabili. Un cenno sull’iperbarismo L’art. 4 dell'accordo del 21/10/2003 fra l'Azienda USL e la S. Ruffillo S.c.r.l. (Sistema integrato di pronto soccorso e trasporto infermi - Campo base e cantiere industriale S. Ruffillo), prevede la sottoscrizione, tra S. Ruffillo S.c.r.l. e Azienda USL, di uno specifico accordo per disciplinare il servizio di soccorso in iperbarismo. Le TBM sono in grado di lavorare in sovrapressione, al fine di garantire lo scavo anche in presenza di acqua. Ogni TBM è dotata di 2 camere iperbariche per il passaggio del personale dalla testa fresante (per eseguire eventuali manutenzioni in sovrapressione) alla parte della fresa non in sovrapressione. Va qui precisato che non è previsto l’utilizzo di pressioni superiori a 1,5 bar. Attualmente (02/04/2006) ambedue le TBM stanno lavorando in ambiente normobarico ma, una parte del personale sanitario è già selezionato per operare anche in iperbarismo qualora le frese dovessero raggiungere un sottosuolo particolarmente ricco di acqua. La formazione del personale del 118 (25 operatori), destinato ad operate in ambiente iperbarico, prevede un corso teorico-pratico che ha lo scopo di fornire le necessarie nozioni di fisiopatologia dell’iperbarismo per l’autotutela del personale del 118 e per la corretta gestione del soggetto infortunato in ambiente iperbarico. Oltre alla parte teorica, il corso comprende esercitazioni pratiche e test psico-attitudinali in ambiente iperbarico confinato. Il personale 118 individuato per il lavoro in iperbarismo, in conformità all’art. 34 D.P.R. 321/56 viene sottoposto a valutazione di idoneità iniziale, propedeutica alle esercitazioni pratiche in camera iperbarica e ai test psico-attitudinali. Il sistema di Emergenza Sanitaria della fase 2 Entro l’anno verrà attivata la “Postazione auto medicalizzata e Punto di Primo intervento” in corso di realizzazione presso l’area di cantiere della Nuova Stazione AV di Bologna Centrale finalizzata a garantire il servizio di emergenza e il soccorso sanitario nelle aree interne ed esterne dei cantieri relativi ai lotti del Nodo di Bologna individuati con i numeri 5, 8a, 11-50. 118 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il servizio verrà assicurato dal Sistema 118 con i mezzi di soccorso attrezzati presenti all’interno del Campo Base di Via Corelli e con il mezzo di soccorso attrezzato (auto medicalizzata) da attivare presso il cantiere di Via Carracci. Nella postazione di Via Carracci, il personale del 118 adibito alla specifica attività di soccorso territoriale presso i cantieri sarà lo stesso che erogherà i servizi di “infermeria” e l’assistenza propria del medico di medicina generale per le maestranze del nodo. Figura 3 - Le postazioni di soccorso del nodo ferroviario AV di Bologna La postazione della Stazione e la postazione S. Ruffillo saranno coordinate stabilmente da un infermiere. Tale operatore gestirà gli orari del personale, i rifornimenti del materiale e altre attività tipiche della funzione del Capo Sala. Quando presente presso la postazione, effettuerà anche prestazioni infermieristiche ambulatoriali. In accordo con le imprese appaltatrici dei lotti 5, 8 e 11-50, qualora le lavorazioni nei cantieri S. Ruffillo, E0 ed E1 vengano ad esaurirsi prima dei lavori della stazione, si potrebbe concordare il trasferimento in stazione dell’ambulanza infermierizzata là presente. In tal caso è stata prevista anche la possibilità che l’auto medica e l’ambulanza infermierizzata possano essere trasformate in un'unica ambulanza medicalizzata, con conseguente contenimento dei costi senza pregiudizio per l’efficienza del servizio. Concludiamo con qualche dato di attività Attività Infermeria San Ruffillo Traumi Sul lavoro Extra Sul lavoro Extra Non traumi Totale Di cui dimessi Ospedale S. Orsola Di cui trasporta Istituto Ortopedico Rizzoli ti Altro ospedale 2003 (da ottobre) 72 0 61 114 247 231 10 6 2004 20052 72 29 388 319 1157 1023 78 49 5 296 69 158 433 956 812 106 33 5 130 di cui 26 da TBM e 104 da infermeria 14 Trasporti con ambulanza (da net 118) 39 108 Trasporti con mezzi propri nc nc Note 119 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 1 Autorespiratore a ciclo aperto – E’ un DPI (Dispositivo di Protezione Individuale) per la protezione delle vie aeree. L’operatore che lo utilizza è isolato dall’aria ambiente in cui opera. Gli operatori del Servizio 118 GECAV hanno in dotazione l’autorespiratore Dräger PA 90 Plus, composto da una bombola in acciaio di 7 litri contenente aria compressa a 200 bar (1400 litri d’aria a disposizione). Il contenuto della bombola (aria) è riconoscibile dall’ogiva di colore bianco e nero. La bombola è sistemata su di uno schienale che può essere indossato come uno zaino. Il peso complessivo dell’autorespiratore carico è di circa 14 kg. L’autorespiratore PA 90 plus è composto da un primo stadio di riduzione, che porta la pressione da 200 bar a 6-9 bar. Tali valori sono ancora molto elevati per l’apparato respiratorio, ma indispensabili per superare lo “spazio morto”, vale a dire la lunghezza del tubo che dal primo stadio di riduzione porta alla maschera. Al primo stadio di riduzione, prima della caduta di pressione da 200 a 6-9 bar, è collegato il manometro che indica il contenuto d’aria della bombola. Nel secondo stadio di riduzione (situato all’interno dell’erogatore) la pressione passa da 6-9 bar a 3,5 mb, pressione compatibile con la respirazione. L’erogatore utilizzato dall’operatore è a “sovrapressione” (di colore rosso), vale a dire che all’interno della maschera continua ad essere erogata una pressione di 3.5 mb superiore rispetto a quella atmosferica. In tal modo si evita l’ingresso di gas tossici, anche se la maschera non aderisce perfettamente al volto dell’utente. Nel caso in cui la pressione all’interno della maschera superi i 5 mb, una valvola di sicurezza posizionata sulla maschera interviene facendo disperdere nell’ambiente la pressione in eccesso. Inoltre, i PA 90 plus, sono dotati di doppia utenza che consente di erogare aria ad una seconda persona (collega o vittima in difficoltà). 2 Il cantiere è rimasto praticamente chiuso dal novembre 2004 al maggio 2005 Bibliografia 1. DPR 20/03/1956, n. 321 - Norme per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro nei cassoni ad aria compressa. G.U. 5 maggio 1956, n. 109, supplemento ordinario; 2. Massimiliano Bringiotti - Guida al tunnelling, l’arte e la tecnica. Edizioni PEI, Parma, 1996; 3. GECAV118 - Istruzione Operativa IO 0221 007 MOS: Modalità operative auto infermieristica “Stilo1” in postazione Corelli, quartiere S. Ruffillo Bologna. Revisione 01 del 01/11/2004; 4. GECAV118 - Istruzione Operativa MO 0221 042 SVF: Scheda Rilevazione Dati Percorribilità Cantiere S. Ruffillo / Necso – Talpa. Revisione 00 del 20/01/2004; 5. GECAV118 - Procedura P-009-GECAV – Postazione CBE2-GECAV: Gestione ambulanze e auto medica. Revisione 01 del 20/03/2003; 6. GECAV118 - Procedura MOD01P00205050, Check-list materiale zaino BLSD e presidi. Revisione 02 del 01/06/2005; 7. Le notizie relative al progetto del nodo di Bologna sono state tratte dal sito Internet www.tav.it La ventilazione non invasiva nel paziente neuroleso C. GREGORETTI Dipartimento Emergenza Accettazione, Azienda Ospedaliera CTO CRF M. Adelaide – Torino La ventilazione non invasiva (VNI) del paziente neuroleso si identifica nella maggioranza dei casi nel trattamento delle lesioni traumatiche e non del midollo spinalo del tratto cervico –dorsale.(paratetraplegie). A questa popolazione si aggiungono le patologie neuro-muscolari insorte in età 120 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 infantile o adulta (ie.distrofoe muscolari , sclerosi laterale amiotrofica etc). La VNI ha dimostrato in sudi prospettici randomizzati e non di essere in grado da sola o in associazione a presidi di ausilio alla espettorazione bronchiale di ridurre lo sforzo muscolare e ripristinare gli scambi gassosi. Le interfacce impiegate sono dipendenti dalla gravità della patologia trattata, dall’anatomia del viso e del naso e dall’adattamento elettivo da parte del paziente. La rottura di trachea post-intubazione: etiologia e terapia P. GREGORINI, A. BASSANI U. O. Anestesia e Terapia Intensiva – A.U.S.L. Bologna – Ospedale Maggiore – Bologna La rottura iatrogena della trachea e’ una complicanza rara ma potenzialmente mortale dell’intubazione tracheale. In letteratura vengono riportati casi di rottura sia in caso di intubazioni difficili che in caso di intubazioni avvenute senza difficoltà. Tra i fattori anatomici predisponenti vi e’ una maggiore lassità della mucosa, come si osserva spesso nel sesso femminile. I meccanismi della lesione sono legati piu’ frequentemente a una iperinsufflazione della cuffia del tubo tracheale e/o a una “aratura” della punta sulla mucosa della pars membranacea della trachea. I sintomi clinici comprendono la dispnea e la comparsa di enfisema sottocutaneo. La terapia puo’ essere sia medica che chirurgica in funzione del tipo di lesione. Nel nostro centro sono afferiti negli ultimi anni alcuni casi di rottura tracheale postintubazione. I tipi di lesione riscontrata ci inducono a ritenere che il meccanismo piu’ frequentemente implicato e’ legato all’azione lesiva diretta sulla mucosa tracheale della punta del tubo utilizzato. L’assistenza respiratoria dalla Terapia Intensiva all’Assistenza Domiciliare M. INGROSSO S.C. Anestesia e Rianimazione, A.S.L. Salerno 2 di Salerno ASL SA2 U.O. Anestesia e Rianimazione Osp. S.Maria della Speranza Battipaglia Il paziente con danno cerebrale acuto medio severo, di qualunque origine, nel quale si instaura una compromissione dello stato di coscienza dalla letargia al coma severo necessita del controllo delle vie aeree e, successivamente di ventilazione meccanica che, spesso, acquista i caratteri di un vero e proprio trattamento terapeutico. Infatti se in prima istanza il controllo delle vie aeree ha il suo target nel contrastare l'ipossia, l'ipercapnia ed i rischi di inalazione del contenuto gastrico, conseguenti alla compromissione dello stato di coscienza e dei meccanismi di difesa connessi alla deglutizione, successivamente la ventilazione meccanica è adoperata per proteggere l'omeostasi intracerebrale intervenendo sui meccanismi correlati ai livelli di PaO2 e PaCO2 i quali a loro volta intervengono nella autoregolazione del tono vascolare cerebrale e sui livelli di perfusone cerebrale. Come è noto la pressione di perfusione cerebrale (PPC) è strettamente correlata alla Pressione Arteriosa media (PAM) ed alla Pressione Intracranica (PIC) se quest'ultima aumenta come in tutte le situazioni nelle quali aumenta il volume contenuto all'interno della scatola cranica, si determinano le situazioni per una riduzione della PPC e, di conseguenza crescono i rischi di danno cerebrale secondario. Studi clinici ormai consolidati assegnano alla PaCO2 in particolare la capacità di intervenire utilmente su questi meccanismi quando il suo valore si mantiene intorno ai 30-35 mmhg; valori superiori 121 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 provocano vasodilatazione e accrescono l'edema cerebrale valori inferiori innescano vasocostrizione e accentuano i rischi di ischemia cerebrale, il limite inferiore da non superare è di 25mmHg. L'efficacia di questo trattamento è massima per 48 ore poi intervengono meccanismi di compenso renali che ne vanificano gli effetti. L'iperventilazione mantenuta per 48 ore non dovrebbe essere interrotta bruscamente per evitare effetti rebound. Parimenti va accuratamente evitata ogni forma di ipoventilazione, in quanto gli incrementi di flusso ematico e la vasodilatazione ad essa correlata possono indurre rapidamente aumenti della PIC a valori potenzialmente letali. Nelle prime 72 ore dovrebbero essere evitate interruzioni della iperventilazione se non per brevi momenti; anche i test di valutazione della ventilazione spontanea in questi pz. mediante sospensioni prolungate della VAM andrebbero evitate i questo ambito temporale. Altro parametro che deve essere attentamente valutato è l'applicazione o meno della PEEP che notoriamente interferisce con il ritorno venoso che, a sua volta impedisce un adeguato drenaggio del sangue refluo dal circolo cerebrale. E' evidente che specie in soggetti quali i politraumatizzati, nei quali concomitano frequentemente danni toracici che rendono imprescindibile una ventilazione aggressiva, quali problematiche si pongano agli intensivisti. A seconda dell'evoluzione clinica il supporto ventilatorio può protrarsi per un tempo più o meno lungo, di qui la necessità di procedere nei tempi previsti alla tracheotomia percutanea per le note indicazioni. La Letteratura internazionale nulla dice sulla tipologia di ventilazione applicata, volumetrica o pressometrica, limitandosi a indicare le indicazioni, i target terapeutici e gli effetti collaterali da evitare. L'evoluzione clinica è anche la determinante del destino di questi pazienti; nei casi più favorevoli ove il recupero delle funzioni superiori consente una autonomia respiratoria indipendente dal ventilatore si può giungere anche rapidamente alla decannulazione ed al ripristino della pervietà delle vie aeree naturali. I casi meno fortunati, ove gli esiti del danno cerebrale determinano una compromissione più o meno grave del livello di coscienza e/o delle funzioni respiratorie definitivi, il persistere della necessità di protezione delle vie aeree e di supporto respiratorio può non essere più evitato, per far fronte alle condizioni di ipossiemia che fanno seguito all'accumulo di secrezioni, aggravato dalla depressione del riflesso della tosse, con conseguente atelettasia e ricorrenti infezioni broncopneumoniche. Il destino di questi pazienti, proprio in virtù della loro dipendenza dal ventilatore più o meno costante, è di sostare per un periodo anche molto lungo in un reparto di terapia intensiva stante la scarsità sul territorio nazionale di strutture sanitarie sia pubbliche sia private che se ne facciano carico. Reparti di lungodegenza in grado di assicurare un' adeguata assistenza al pz trachestomizzato non auto sufficiente non suscettibile di miglioramento sono pochissimi e con liste d'attesa enormi; l'unica alternativa praticabile, in presenza di un nucleo familiare in grado di farsene carico sia in termini economici sia psicologici, è avviare questi pazienti al proprio domicilio istruendo i familiari nella gestione del ventilatore domiciliare e degli altri presidi sanitari necessari, con l'indispensabile supporto del distretto territoriale di competenza. Riassunto: Nel paziente con danno cerebrale acuto assume un ruolo centrale la ventilazione meccanica. Le indicazioni alla sua implementazione sono, come è noto, un valore di GCS ≤ 8, la necessità di ottenere una moderata ipocapnia per contrastare l'edema cerebrale, e proteggere la pressione di perfusione cerebrale. Le modalità di ventilazione applicate in questa fase sono la CMV, volumetrica o pressometrica, con la dovuta attenzione a non provocare ostacolo al ritorno venoso. Se il decorso lo richiede c'è indicazione alla tracheotomia percutanea. Nelle fasi successive il supporto ventilatorio viene progressivamente ridotto e, ove possibile, si giunge allo svezzamento ed al ritorno alla ventilazione spontanea. In una percentuale di casi che varia da reparto a reparto, lo svezzamento dal ventilatore fallisce ed il paziente ne resta dipendente. Il destino di questi ammalati, in assenza di strutture di lungo degenza, è di restare a vegetare in un centro di rianimazione o, nel migliore dei casi, essere avviati all domiciliazione protetta e successivamente alla assistenza domiciliare integrata. L'industria biomedicale ha messo a disposizione modelli di ventilatori domiciliari con software e modalità di ventilazione molto flessibili che ben si adattano a questo genere di pazienti. 122 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Bibliografia 1. Marini JJ Wheeler A Critical Care Medicine the essential, chapter 35 2nd Edition William & Wilkins ed. 1997 2. Oh's Intensive care manual Elsevier ed. 2004 3. The American Thoracic Society and the Canadian Thoracic Society clinical practice guidelines. Chest. 2006;129:1-25 4. Guentner K., Hoffman L.A. Preferences for Mechanical Ventilation Among Survivors of Prolonged Mechanical Ventilation and Tracheostomy Am J Crit Care. 2006;15(1):65-77 Polli, bufale e SARS T. JEFFERSON Collaborazione Cochrane [email protected] – www.attentiallebufale.it La vita, questo meraviglioso dono di Dio, ci riserva delle interessanti sorprese. Una di queste per me è stata la comprensione che spesso ciò che appare è diverso da ciò che è. Non vi è branca dell’esperienza umana a cui questo aforisma si applichi meglio della ricerca scientifica in campo biomedico. La scienza ha sempre avuto un’immagine a metà fra l’ammirazione e la venerazione da parte dei non addetti ai lavori e non solo. La comunicazione radiotelevisiva ed elettronica della scienza ha reso possibile ritrovarci degli esperti nel nostro salotto o nel nostro studio di casa ad offrirci suggerimenti e spiegazioni. Ciò ha reso queste figure, e tutti coloro che lavorano in contesti scientifici, ancora più capaci di suggestionare le coscienze e indurre cambiamenti di costume, abitudini e, qui casca l’asino, di mercato. Da un po’ di tempo, chi, come me, lavora alla sintesi delle prove scientifiche si è reso conto (fatti alla mano) che la stragrande maggioranza di ciò che si legge e si dice nella scienza biomedica è di dubbia qualità. A questa pattuglia di strani personaggi se ne è aggiunta un’altra ben più potente e (agli occhi del pubblico) più qualificata: i direttori delle più grandi riviste scientifiche internazionali. Gli editor dei principali periodici biomedici, figure mistiche a metà fra giornalisti e ricercatori, sono sinceramente preoccupati della qualità di ciò che pubblicano ed è per questo che le loro riviste sono “autorevoli”. Si sono anche accorti che i sistemi di controllo della qualità sono fallibili, nella migliore delle ipotesi. Un esempio recentissimo di questa divario fra ciò che è e ciò che sembra è la recente pandemia di disinformazione sull’impatto dell’influenza aviaria, la sua confusione con una possibile ma incerta pandemia influenzale e la “volgare” influenza stagionale. Questa pandemia, che ha agitato e continua ad agitare i cittadini del globo si regge su alcuni regole per creare o gonfiare le storie: 1. Esagera la minaccia. Il tono allarmistico - catastrofico delle comunicazioni di cosiddetti esperti e media cozza con la realtà di meno di 200 morti su scala mondiale tutti concentrati in situazioni di alta promiscuità fra uomini ed animali. 2. Esagera i benefici di farmaci e vaccini. I vaccini antinfluenzali contro l’influenza stagionale hanno un beneficio modesto. Ciò è stato visto da revisioni sistematiche di trial clinici ed enormi studi di coorte. Gli antivirali o non funzionano (come nel caso dei “vecchi” amantadina e rimantadina) o hanno benefici imprevedibili contro una possibile pandemia. Anche a questa 123 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 conclusione si è giunti tramite revisioni sistematiche Cochrane di trial clinici pubblicate su riviste come Lancet. 3. Confondi le acque. Questo è successo soprattutto con la confusione fra influenza stagionale e pandemia influenzale (data comunque per certa). Le due sono cose diverse per natura e per espressione clinica oltrechè per caratteristiche epidemiologiche. La confusione è servita soprattutto per fare passare messaggi errati come la protezione parziale conferita da vaccini antinfluenzali contro una possibile influenza aviaria. E’necessario dare suggerimenti utili per tutti coloro che leggono articoli scientifici o ascoltano oratori scientifici o leggono notizie sui giornali per limitare il rischio di farsi manipolare. Le ricette che propongo per minimizzare il rischio di bufale non sono infallibili, ma si basano sulla mia esperienza pratica maturata leggendo e valutando migliaia di lavori in tutte le lingue e provenienti da ogni contrada del mondo e soprattutto su quella che è l’essenza della cosiddetta medicina basata sulle prove (o EBM, sigla di Evidence Based Medicine): un atteggiamento critico. La EBM, da modeste origini, è assurta al rango di scienza occulta praticata da una ristretta cerchia di stregoni, osannati da governi e potentati vari. In questa sua evoluzione (ma forse si dovrebbe parlare di involuzione) sta probabilmente il germe della sua disfatta. Più l’EBM diventerà incomprensibile e arcana e meno servirà all’operatore sanitario comune mortale. Diventerà cioè un altro modo per guadagnarsi onorificenze e orpelli e perderà la sua anima rivoluzionaria con lontane radici storiche e culturali al servizio della salute. Offro quindi una serie di strumenti pratici e semplici da usare (la cui applicazione non dovrebbe richiedere più di uno o due minuti), insieme a strumenti più complessi per chi ha più tempo e, soprattutto, più voglia. Gli strumenti rapidi e quelli complessi che presenterò sono pubblicati sul mio libro Attenti alle Bufale (Il Pensiero Scientifico Editore). Linee guida per la definizione degli standard di sicurezza e di igiene ambientale dei reparti operatori V. L’ABBATE S. C. Anestesia e Rianimazione, A. O. “S.Gennaro” di Napoli Questo argomento è il frutto di un lavoro intenso di una Commissione Permanente paritetica istituita con decreto ministeriale presso l’ISPESL di Roma per la definizione dei requisiti normativi standard assistenziali nel blocco parto e comprende le caratteristiche strutturali tecnologiche generali, quelle strutturali specifiche, quelle tecnologiche specifiche, le igienico ambientali e comportamentali e le caratteristiche organizzative gestionali. Il testo completo delle Linee Guida è disponibile on-line al sito http://www.ispesl.it/linee_guida/soggetto/saleop.htm 124 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Lessons learned from the pre-hospital medical response to the London bombings July 2005 D. LOCKEY London Helicopter Emergency Service – [email protected] On July 7th 2005 a series of terrorist bombs exploded in London. The transport system was targeted and 57 passengers were killed and around 700 injured. This lecture describes the immediate prehospital medical response to the four scenes. From the perspective of the London Helicopter Emergency Medical Service the deployment, difficulties on scene and the initial lessons learned are discussed. London has had a long history of terrorist attacks and major incidents. Some have involved considerable loss of life and many have not. The recent bombings have sharply focussed the emergency services on the latest threat – the suicide bomber. The events in New York in 2001 were a dramatic illustration of the new threat and it was considered by many inevitable that the UK would also be a target at some point. After 2001 preparations were rapidly made for the possibility of suicide bomb and chemical attacks. It was recognised that the security arrangements for the city were designed for a more conventional threat and changes were made quickly. Further warnings of the type of attack to expect came with a number of bomb attacks in Europe. They occurred in Istanbul in November 2003 (1) and Madrid in March 2004 (2) and were very relevant to the London attacks. All three attacks involved bombs detonated in multiple locations in major cities. The new plans were tested with several large emergency service exercises with both conventional and chemical threats in mind. As in Madrid, the London bombings targeted the transport system. Every morning in London approximately 370,000 passengers use the underground train service and a further 325,000 passengers use buses (3). In the UK the pre-hospital ambulance response is provided predominantly by ambulance paramedics and technicians. In London a helicopter and fast response cars are available to deliver a senior doctor and flight paramedic to the scene of trauma and major incidents when required. The same group provide a 365 day response to major trauma in the city and see an average 3-4 cases per day. All doctors are capable of the full range of trauma procedures and are capable of acting as MIOs (Medical Incident Officers). London also has a pool of doctors who take on the role of MIO and who work alongside senior ambulance officers at the scene of major incidents. The medical response to major incidents in the UK is based mainly on the MIMMS (Major Incident Medical Management and Support) course which originated in the UK but is now taught in many other countries. We deployed doctors and flight paramedics to all of the incidents. These teams provided the formal medical presence at some incidents and worked with other doctors from the London MIO pool at others. A large number of self responding doctors also provided basic care. Three bombs exploded on underground trains at approximately 08.50. Initial reports suggested that there were multiple incidents, possibly due to an electrical power surge. Casualties with smoke inhalation were reported and a few minutes later fatalities were confirmed at Aldgate Underground Station. Major incidents were declared at this point. Although three bombs were detonated almost simultaneously confirmation of casualties and declaration of major incident was delayed in two of the incidents. This delay seemed to be due to a lack of accurate information coming from the scenes and occurred before the severe technical communication problems that occurred later. Doctor – paramedic teams were immediately mobilised to the incidents. At around 09.47 another bomb exploded on a bus. Two doctors and one paramedic attended this incident by car. Communications were difficult between the scenes and ambulance control because all but one mobile telephone network failed and radio communications were also very difficult. Two members of the Medical Incident Officer pool were dispatched to the control room at central ambulance control and played a strategic role addressing the wider healthcare needs of London. They also dealt 125 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 with offers of mutual aid from doctors around the country. There were severe difficulties in radio and telephone communications which isolated the control room from on scene teams. The individual scenes will be described. Every major incident is unique and provides lessons for the emergency services. Like the recent incidents in Madrid and Istanbul, the London bombings were complicated because multiple incidents occurred simultaneously. Despite this the seriously injured were rescued relatively quickly, provided with critical interventions on-scene where necessary and transported to appropriate hospitals. The local medical infrastructure was well able to cope with the sudden influx of patients and a number of centres rapidly set up minor injury assessment areas to treat the large numbers of patients with minor injuries. This ensured that the seriously injured had the full attention of the emergency departments. Initially 56 were confirmed dead out of an estimated 700 casualties (7.7%). Approximately 350 were treated on scene and 350 transported to hospital (4). This compares with 191 deaths and 2062 casualties (9.2%) in Madrid (2). For our service the following points were emphasised: • Multiple scenes create difficult command and communication problems. • Rapid removal of the seriously injured with minimal medical intervention from potentially unsafe scenes is a priority and senior doctors are in a good position to direct and support these difficult tasks. • Our helicopter was essential to deploy staff and equipment (but not patients) to the various scenes. • Full personal protective equipment and familiarity with the pre-hospital environment was essential for effective underground work. • Scene safety is a major concern for rescuers. Any of these scenes may have contained secondary explosive devices. This is a well recognised risk at terrorist incidents. In addition, risk of structural collapse, inhalation of airborne particulate matter and contamination were also issues of concern. A recent article published in the US literature discusses the use of evidence based planning for disasters (5). The author makes the point that many assumptions made about major incidents (e.g. that casualties will be triaged on scene and the most serious sent to hospital first) are simply not true. Many of the ‘assumptions’ were also shown to be incorrect at this incident. Self dispatch (rather than dispatch by control centres) by some of the emergency services (including ourselves) occurred after communications became unreliable. Initial triage, first medical response and search was often carried out by survivors and passing professionals rather than by members of the formal medical response who were on scene later. Facilities must be available to deal with victims bypassing the on-scene infrastructure and presenting to hospitals distant from the scenes. This is particularly important for those who are potentially contaminated. Although these incidents were entirely due to conventional explosives the possibility of chemical agent use was initially of concern. Casualties may not necessarily be triaged equally to receiving hospitals. This is particularly true after communications fail. Self referral and actions by medical staff outside the formal response will lead to unpredictable referral patterns. An example of this in this incident was the admission of some adult patients to a paediatric hospital. ‘Reverse Triage’. Triage at scene is often assumed to lead to the most severely injured patients being transported to hospital first. In fact the opposite may be true and this was the case in some of these incidents. Those that can walk are, by definition, in the lowest triage category and will remove themselves first from the scene. This is particularly true when there is a perception of ongoing danger. Those that are trapped may have severe injuries and may be removed from the scene last. There are two important points which arise from this. Firstly the receiving hospitals must have a system which effectively separates the less severely injured from the resuscitation areas which may be required later. Secondly, severely injured patients may spend a long time outside hospital. Prehospital physicians with critical care skills are required to treat patients in this period. We know that there are countries that deal with similar atrocities on an almost weekly basis and incidents like this help us to recognise the hard work and efficiency of their emergency personnel 126 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 and the suffering of their populations. This incident was dreadful for those affected by it but we recognise that the number of casualties could have been much higher and recognise that our future plans need to reflect this. References - Rodoplu U, Arnold JL, Tokyay R, Ersoy G, Cetiner S & Yucel T. Mass-casualty terrorist bombings in Istanbul, Turkey, November 2003: report of the events and the prehospital emergency response. Prehospital Disaster Med. 2004 Apr-Jun;19(2):133-45. - Gutierrez de Ceballos JP, Turegano Fuentes F, Perez Diaz D, Sanz Sanchez M, Martin Llorente C & Guerrero Sanz JE. Casualties treated at the closest hospital in the Madrid, March 11, terrorist bombings. Crit Care Med. 2005 Jan;33(1 Suppl):S107-12. - Transport for London Website: http://www.tfl.gov.uk/tfl/ - Metropolitan Police Press release 8th July 2005. - Auf der Heide E. The importance of evidence based disaster planning. Ann Emerg Med 2006;47:34-49. La ventilazione protettiva polmonare nel traumatizzato cranico M. LUCHETTI S.C. Anestesia e Rianimazione I Ospedale “A. Manzoni” – Lecco L’Acute Lung Injury (ALI) e l’Acute Respiratory Distress Sindrome (ARDS) rappresentano complicazioni note dopo trauma cranico severo. Studi autoptici hanno dimostrato la presenza di edema polmonare nell’85% dei casi di pazienti deceduti per trauma cranico isolato. La presenza di ALI/ARDS è associata ad un aumentato rischio di morte e ad esiti neurologici a lungo termine peggiori. D’altra parte, è ormai ampiamente accettato che la ventilazione meccanica può essa stessa iniziare e propagare un danno polmonare istologicamente indistinguibile da quello derivante da altre cause (Ventilator-Induced Lung Injury – VILI). Alla patogenesi di questo danno concorrono diversi meccanismi: • barotrauma (danno da elevate pressioni transpolmonari) • volutrauma (danno da sovradistensione) • atelectrauma (danno da collasso ciclico) • biotrauma (danno da mediatori chimici) • tossicità dell’ossigeno (danno da radicali liberi). Il concetto di danno polmonare indotto dal ventilatore ha rivoluzionato il nostro approccio alla ventilazione dei pazienti con ALI e ARDS negli ultimi 10 anni, dando impulso allo sviluppo della cosiddetta ventilazione protettiva. Questa, in sintesi, utilizza: • ridotti volumi correnti (6-8 ml/kg), in modo da evitare la sovradistensione e minimizzare il volutrauma • livelli di PEEP relativamente elevati, in modo da assicurare un adeguato volume di fineespirazione ed evitare il collasso ciclico che conduce all’atelectrauma • concentrazioni di ossigeno inspirato più basse possibili. L’estensione di questi principi ai pazienti con danno cerebrale rappresenta una sfida impegnativa, in quanto alcuni di essi contrastano apparentemente con l’usuale trattamento protettivo cerebrale, ponendoci a volte davanti al dilemma se prediligere la protezione polmonare o quella cerebrale. 127 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Infatti, volumi correnti ridotti possono determinare ipercapnia e aumento del flusso ematico cerebrale, mentre elevati livelli di PEEP possono provocare aumento delle pressioni intratoraciche che si ripercuotono sulla perfusione cerebrale, concorrendo entrambi nel causare aumento della pressione intracranica. Tuttavia, le conoscenze attuali ci consentono di trattare con sicurezza molti pazienti con ALI/ARDS e danno cerebrale acuto, entro i margini di una strategia di ventilazione protettiva polmonare. L’ipercapnia moderata (45-55 mmHg), se necessaria, può essere usata, tenendo sotto controllo la pressione intracranica e lo stato clinico del paziente. Livelli medio-elevati di PEEP sembrano essere sicuri in pazienti con trauma cranico e ALI/ARDS, particolarmente quando il livello è impostato al di sotto di quello della pressione intracranica, quando i pazienti hanno una bassa compliance respiratoria o quando la PEEP determina un significativo reclutamento polmonare. Le manovre di reclutamento dovrebbero essere effettuate con estrema cautela, monitorando pressioni respiratorie e intracraniche, ed essere applicate per un breve periodo di tempo. In pazienti con ipertensione endocranica refrattaria l’equilibrio ottimale tra cervello e polmone non è ancora ben definito. In questi casi sembra preferibile privilegiare la protezione cerebrale a scapito di quella polmonare. Sono in corso numerose ricerche su altre strategie di protezione polmonare nella popolazione dei pazienti neurotraumatizzati. Queste includono l’uso della posizione prona oppure di tecniche ventilatorie diverse, quali la ventilazione ad alta frequenza o l’insufflazione tracheale. Bibliografia 1. Pinhu L, Whitehead T, Evans T, Griffiths M. Ventilator-associated lung injury. Lancet 2003; 361:332–340. 2. Bratton SL, Davis RL. Acute lung injury in isolated traumatic brain injury. Neurosurgery 1997; 40:707–712. 3. Holland MC, Mackersie RC, Morabito D, et al. The development of acute lung injury is associated with worse neurologic outcome in patients with severe traumatic brain injury. J Trauma 2003; 55:106–111. 4. Contant CF, Valadka AB, Gopinath SP, et al. Adult respiratory distress syndrome: a complication of induced hypertension after severe head injury. J Neurosurg 2001; 95:560– 568. 5. Lopez-Aguilar J, Villagra A, Bernabe F, et al. Massive brain injury enhances lung damage in an isolated lung model of ventilator-induced lung injury. Crit Care Med 2005; 33:1077–1083. 6. Slutsky AS. Lung injury caused by mechanical ventilation. Chest 1999; 116:9S–15S. 7. Lachmann B. Open up the lung and keep the lung open. Intensive Care Med 1992; 18:319– 321. 8. The Acute Respiratory Distress Syndrome Network. Ventilation with lower tidal volumes as compared with traditional tidal volumes for acute lung injury and the acute respiratory distress syndrome. N Engl J Med 2000; 342:1301–1308. 9. Brower RG, Lanken PN, MacIntyre N, et al. National Heart Lung and Blood Institute ARDS Clinical Trials Network: Higher versus lower positive endexpiratory pressures in patients with the acute respiratory distress syndrome. N Engl J Med 2004; 351:327–336. 10. Stocchetti N, Maas AI, Chieregato A, van der Plas AA. Hyperventilation in head injury: a review. Chest 2005; 127:1812–1827. 11. Coles JP, Minhas PS, Fryer TD, et al. Effect of hyperventilation on cerebral blood flow in traumatic head injury: clinical relevance and monitoring correlates. Crit Care Med 2002; 30:1950–1959. 12. Roberts I. Hyperventilation therapy for acute traumatic brain injury. Cochrane Database of Systematic Reviews 2005; 3. 128 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. McGuire G, Crossley D, Richards J, Wong D. Effects of varying levels of positive endexpiratory pressure on intracranial pressure and cerebral perfusion pressure. Crit Care Med 1997; 25:1059–1062. Huynh T, Messer M, Sing RF, et al. Positive end-expiratory pressure alters intracranial and cerebral perfusion pressure in severe traumatic brain injury. J Trauma 2002; 53:488–492. Caricato A, Conti G, Della CF, et al. Effects of PEEP on the intracranial system of patients with head injury and subarachnoid hemorrhage: the role of respiratory system compliance. J Trauma 2005; 58:571–576. Mascia L, Grasso S, Fiore T, et al. Cerebro-pulmonary interactions during the application of low levels of positive end-expiratory pressure. Intensive Care Med 2005; 31:373–379. David M, Karmrodt J, Weiler N, et al. High-frequency oscillatory ventilation in adults with traumatic brain injury and acute respiratory distress syndrome. Acta Anaesthesiol Scand 2005; 49:209–214. Salim A, Miller K, Dangleben D, et al. High-frequency percussive ventilation: an alternative mode of ventilation for head-injured patients with adult respiratory distress syndrome. J Trauma 2004; 57:542–546. Bein T, Kuhr LP, Bele S, et al. Lung recruitment maneuver in patients with cerebral injury: effects on intracranial pressure and cerebral metabolism. Intensive Care Med 2002; 28:554– 558. Reinprecht A, Greher M, Wolfsberger S, et al. Prone position in subarachnoid hemorrhage patients with acute respiratory distress syndrome: effects on cerebral tissue oxygenation and intracranial pressure. Crit Care Med 2003; 31:1831–1838. Martinez-Perez M, Bernabe F, Pena R, et al. Effects of expiratory tracheal gas insufflation in patients with severe head trauma and acute lung injury. Intensive Care Med 2004; 30:2021– 2027. La rianimazione del neonato asfittico e del prematuro estremo G.A. MARRARO, MD g. Direttore S.C. Anestesia e Rianimazione Terapia Intensiva Pediatrica, A. O. Fatebenefratelli ed Oftalmico, Milano E-Mail: [email protected] Generalità Si definisce neonato prematuro il feto che nasce prima della 37. settimana di età gestazionale mentre si definisce neonato prematuro ad alto rischio quello che nasce prima della 30. settimana e con peso inferiore ai 1000 g. Il neonato che nasce al di sotto della 25. settimana di età gestazionale è considerato neonato estremo. La maggior parte dei neonati con età gestazionale superiore alla 32. settimana non presenta alla nascita particolari problemi che richiedano manovre rianimatorie immediate atte a favorire l’adattamento alla vita extra-uterina. I neonati di età inferiore alla 32. rappresentano l’1% dei nati e il 45% della mortalità perinatale è segnalata in questa categoria di piccoli. Questi neonati richiedono spesso un'assistenza rianimatoria immediata e qualificata. La rianimazione del neonato prematuro, al di sotto di 30 settimane di età gestazionale e di 1000 g di peso, è gravata da maggiori rischi e elevate complicanze rispetto al neonato a termine perché questi prematuri: 129 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 1. sviluppano con maggiore facilità l’insufficienza respiratoria per incompleto sviluppo anatomico del polmone nel quale prevalgono i sacculi terminali rispetto agli alveoli; 2. sono predisposti all’ipotermia per la presenza di cute molto sottile, di strato corneo non completamente sviluppato e per la scarsa presenza e scarsa capacità di accumulo nel sottocute di grasso bruno; 3. l'encefalo presenta una notevole fragilità vascolare della matrice germinale subependimale per cui è più facile il sanguinamento a seguito dell’ipossia, della rapida variazione dell’osmolarità plasmatici, della pressione arteriosa, e risulta particolarmente fragile rispetto a manovre rianimatorie invasive e di nursing. La rianimazione del prematuro estremo diviene controversa man mano che si riduce l’età gestazionale ed il peso del feto. La sopravvivenza aneddotica in neonati di 450 g o meno senza esiti neurologici è stata segnalata da tempo. Spesso, però; il basso peso alla nascita non è correlato all'età gestazionale. Questo tipo di neonato è chiamato piccolo per l’età gestazionale; “small for date”, e presenta una sopravvivenza migliore rispetto a quello con età gestazionale inferiore. La corretta valutazione dell’età gestazionale, piuttosto che del peso, permette di fornire una migliore prognosi sulla possibilità di sopravvivenza del neonato prematuro. Molti autori segnalano per i neonati al di sotto della 23. settimana di gestazione una sopravvivenza inferiore al 25%, con un aumento della sopravvivenza al 66% quando il feto ha superato la 25. settimana. Altri ritengono che al di sotto di 23 settimane di età gestazionale è bene non intraprendere manovre rianimatorie primarie, specialmente se il neonato nasce non vitale, in quanto l’esito finale del trattamento sarà presumibilmente negativo, sia quod vitam sia quod valetudinem. Diverso deve essere l'atteggiamento terapeutico nel caso in cui la stima dell’età gestazionale può non essere corretta per irregolarità del ciclo mestruale materno. In questo caso, il neonato deve essere considerato nella sua vitalità e il trattamento deve essere intrapreso in ogni caso di dubbio. L'astensione o la sospensione del trattamento rianimatorio alla nascita del neonato asfittico o prematuro deve tenere conto delle seguenti situazioni cliniche in cui la rianimazione può assumere le caratteristiche dell’accanimento terapeutico: 1. neonati in cui l'attesa di vita è molto breve, a prescindere dal trattamento intensivo applicato; 2. neonati in cui il trattamento impone gravi sofferenze che vanno oltre il beneficio ottenibile. Caratteristiche essenziali anatomo-fisiologiche del neonato prematuro I prematuri, e in modo particolare i prematuri estremi differiscono quasi completamente dai neonati a termine e dai prematuri di età gestazionale più avanzata per i seguenti fattori: 1. I polmoni presentano una scarsa quantità di alveoli ed al loro posto prevalgono i bronchioli terminali ed i sacculi. Queste strutture anatomiche polmonari non permettono un adeguato scambio gassoso, con facilità si collassano, risultano difficili da aprire e mantenere continuativamente aperte e conseguentemente la ventilazione in queste condizioni cliniche risulta molto difficoltosa e gravata da gravi effetti indesiderati; 2. Il mancato o l'incompleto sviluppo degli pneumociti di tipo II (cellule epiteliali alveolari) provoca una riduzione della produzione del surfattante per cui il bronchiolo terminale e i sacculi alveolari risultano altamente da un lato estremamente instabili e difficili da mantenere aperti e dall’altro possono permettere la migrazione dall’interstizio di liquido ricco in proteine verso l'alveolo (edemizzazione del polmone e formazione di membrane ialine); 130 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 3. La cute è molto sottile e altamente permeabile per la ridotta presenza dello strato corneo protettivo. La mancanza di questo strato favorisce la perdita di calore e di liquidi e lo sviluppo di lesioni cutanee; 4. I capillari dell'encefalo (specialmente per quanto riguarda la matrice germinale) sono molto fragili e facilmente vanno incontro al sanguinamento (emorragia intraventricolare) quando il neonato è sottoposto a manipolazioni molto vigorose o se la testa viene mantenuta a lungo in posizione declive. I capillari, inoltre, sono poco resistenti alla rapida espansione del volume vascolare e agli aumenti di pressione; 5. Presenza di infezioni in atto alla nascita e facilità del loro sviluppo nei primi giorni di vita. Preparazione al parto La conoscenza in anticipo della possibile nascita di un neonato a rischio permette di allertare tempestivamente personale altamente qualificato, capace di assistere il parto e di rianimare il piccolo appena nato. L’asfissia, che deve essere evitata il più possibile, predispone alla insufficienza respiratoria idiopatica, all’emorragia periventricolare e all’enterocolite necrotizzante. Spesso fa aumentare il rischio della mortalità e della comparsa di gravi esiti neurologici. Anche la valutazione alla nascita di tutti i neonati, anche del neonato estremo; è fatta mediante l’Indice di Apgar. Se questo è inferiore a 4 al 1. minuto dalla nascita, l’incidenza della mortalità nel grave prematuro è di circa il 60%. Nei neonati al di sotto dei 1500 g se l’indice alla nascita è tra 4 e 10 la mortalità si riduce al 15%. La sala parto deve essere attrezzata adeguatamente al fine di far fronte a tutte le emergenze e deve disporre di un'area a temperatura controllata per evitare la perdita di calore del neonato. Il materiale deve essere stato attentamente controllato e scelto in rapporto al peso e all’età gestazionale del neonato da trattare. In modo particolare deve essere posta attenzione nella scelta della lama del laringoscopio, dei tubi endotracheali e della pinza che favorisce l'intubazione. La ristrettezza della bocca può condizionare la scelta dell'intubazione nasotracheale rispetto a quella oro tracheale in quanto, il posizionamento del tubo dal naso, permette una migliore visione dell'accesso laringeo rispetto a quanto è possibile qualora il tubo sia posizionato dalla bocca. L’intubazione nasale necessita l'impiego di tubi morbidi e di ridotto calibro (da evitare i tubi termolabili che all'inizio presentano una certa rigidità) che facilmente attraversano le vie aeree superiori senza provocare lesioni. L'impiego di tubi molto grossi, introdotti in trachea forzando l'accesso laringeo, possono provocare lesioni gravi alle corde vocali, al laringe e alla trachea che potranno complicare il decorso clinico (comparsa di stenosi e di tracheomalacia) e rendere difficile e problematica l'estubazione. Per una migliore visione laringoscopia ed un corretto posizionamento, è preferibile accompagnare il tubo attraverso le corde vocali facendo uso di una pinza a baionetta piccola o della pinza di Magill pediatrica, evitando di usare presidi che possono risultare inadatti ed ingombranti. I sondini d'aspirazione devono essere di due differenti tipi e in stretto rispetto al loro impiego: per liberare le vie aeree superiori e il cavo orale è necessario un maggiore diametro, mentre per l'aspirazione endobronchiale è indispensabile l’uso di un diametro più piccolo. La scelta del calibro del sondino endotracheale è di fondamentale importanza in quanto un sondino di troppo piccolo non permette un’efficace aspirazione delle secrezioni entotracheali mentre uno di grosso calibro occlude in larga parte il lume del tubo e favorisce il collasso del polmone per l’effetto della pressione negativa applicata durante l’aspirazione. 131 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Rianimazione alla nascita Esistono delle raccomandazioni per la rianimazione del neonato che si basano in larga parte su opinioni di esperti clinici o su limitati studi clinici controllati. Spesso alcune indicazioni o proposte terapeutiche possono risultare estremamente personali e nel breve volgere di tempo non essere più applicate. Nonostante gli sforzi negli ultimi anni per realizzare linee guida sicure e accettate da tutti, non si dispone ad oggi di protocolli basati sull'evidenza. Il neonato gravemente prematuro si adatta alla vita extrauterina con difficoltà per cui spesso richiede iniziali supporti rianimatori anche se il parto è avvenuto nelle migliori condizioni. Più immaturo è il neonato e più probabile sarà la necessità di un intervento rianimatorio invasivo e complesso alla nascita. L’Indice di Apgar non è impiegato per porre la necessità di un intervento rianimatorio primario in quanto, nelle situazioni più gravi, il trattamento del neonato avviene prima del suo rilevamento. In modo particolare non ha valore significativo nel neonato pretermine in cui l’evoluzione dell’insufficienza respiratoria è a rapida ed imprevedibile, per cui l’attesa nell’inizio di un adeguato trattamento può risultare fatale per la sopravvivenza e per il futuro neurologico del piccolo. Attualmente c’è la tendenza ad intubare e a ventilare immediatamente alla nascita tutti i neonati al di sotto della 28. settimana di età gestazionale per favorire un’adeguata espansione dei polmoni, per ridurre l’incidenza della sindrome respiratoria idiomatica (RDS o malattia a membrane ialine) e per favorire l’adattamento cardiocircolatorio senza eccessiva fatica da parte del neonato. E’ stato dimostrato un miglioramento della sopravvivenza dal 51 al 77% dei neonati con peso inferiore ai 1500 g quando erano stati elettivamente intubati alla nascita. Nel prematuro vitale il trattamento invasivo è più modulato nel tempo e solo qualora non si instaura rapidamente un’adeguata ventilazione si suggerisce la ventilazione manuale con maschera. In ogni caso, i prematuri che non instaurano un’efficace respirazione entro 1 minuto di vita, devono essere intubati immediatamente e ventilati manualmente per favorire l'adattamento respiratorio alla vita extrauterina (espansione del polmone, riassetto della circolazione). La ventilazione manuale con maschera è difficile nel neonato a termine e si rende ancora più difficile nel neonato prematuro. La sua reale efficacia appare spesso molto discutibile. La ventilazione manuale con maschera può avere un valore terapeutico nell’assistenza del respiro spontaneo, qualora questo sia presente ma non completamente sufficiente. L’impiego di un tubo di 2 mm di diametro è controverso e le linee guida internazionali lo sconsigliano per le resistenze che lui offre alla ventilazione, per la facilità della sua ostruzione e per la difficoltà dell’aspirazione delle secrezioni. Il suo uso può essere necessario per mancanza di valide alternative, ma deve far tenere conto delle resistenze offerte e della difficoltà all’espansione del polmone se non si usano pressioni d'insufflazione adeguate. Le resistenze e la ventilabilità possono essere migliorate accorciando in lunghezza il tubo. Alcuni prematuri hanno polmoni molto elastici e necessitano di basse pressioni di insufflazione per la loro espansione. L'elevata elasticità della gabbia toracica gioca un ruolo sfavorevole nella stabilizzazione della ventilazione in quanto per un mancato adeguato tono della gabbia toracica necessario per la distensione e deflazione del polmone. Alcuni prematuri necessitano di pressioni di insufflazione elevate per favorire la rimozione del liquido fetale 132 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 intrapolmonare ancora esistente e per espandere adeguatamente i polmoni. Anche in questi piccoli possono essere necessarie, nei primi atti respiratori, pressioni di apertura che superano i 40 cm di H2O. In tutti questi piccoli, e in generale nel neonato con difficoltà respiratorie alla nascita, l'impiego della PEEP in respiro spontaneo (CPAP) risulta fondamentale per mantenere un'adeguata capacità residua funzionale e migliorare lo scambio gassoso. In molti neonati prematuri, e in particolare in quelli al di sotto di 28 settimane di età gestazionale, è consigliabile procedere all’immediata somministrazione di surfattante esogeno al fine di permettere un migliore stabilità dell’alveolo e del bronchiolo e quindi migliorare lo scambio gassoso e ridurre le pressioni necessarie per la ventilazione. Esistono chiare evidenze che una terapia precoce con surfattante migliora la sopravvivenza del grave prematuro. Il momento della somministrazione rimane ancora controverso per il rischio di trattare piccoli che potrebbero sopravvivere anche senza la supplementazione del surfattante. Durante le manovre di rianimazione, deve essere posta particolare attenzione all’impiego non strettamente controllato dell’ossigeno. Concentrazione di ossigeno superiori al 40% possono risultare altamente tossici. E’ bene ricordare che in molti casi l'ipo-ossigenazione, legata a problemi ventilatori, si corregge ventilando adeguatamente il piccolo in aria ambiente. I prematuri sono altamente sensibili alle elevate tensioni di ossigeno che possono creare lesioni sia a livello polmonare, dove le cellule alveolari possono essere direttamente danneggiate e/o possono favorire la formazione di radicali liberi. La retinopatia del prematuro chiama in causa un eccessivo impiego di ossigeno. E’ stato dimostrato che non esiste la necessità assoluta di impiegare l'ossigeno al 100% nella rianimazione primaria. Alcuni autori hanno segnalato da vari anni di non aver riscontrato differenze sia negli esiti neurologici sia nella sopravvivenza, nei neonati asfittici rianimati con FiO2 0.21 invece dell’ossigeno al 100% . La quantità di ossigeno da impiegare alla nascita resta ancora irrisolta anche se si suggerisce un suo ridotto impiego sia in concentrazione sia in durata. Lo pneumotorace e l’enfisema interstiziale sono facili e frequenti complicanze della ventilazione del prematuro per cui viene suggerito di iniziare la ventilazione d’apertura del polmone con pressioni tra 20 e 25 cmH2O e di aumentarle progressivamente sino ad ottenere la distensione controllata della gabbia toracica e un adeguato ingresso d’aria nel polmone. L’arresto cardiaco nel neonato, e nel prematuro in particolare, è conseguente all’ipossia o all’anossia e si risolve nella maggior parte dei casi spontaneamente dopo un’adeguata ventilazione. In caso di persistenza dell’arresto cardiaco, il massaggio cardiaco segue le stesse linee guida usate per il nato a termine. In caso di non ripresa dell’attività cardiaca, una volta instaurata la corretta ventilazione, si può fare uso dell’adrenalina, alla dose di 0.01 – 0.03 mg/kg. In caso di insuccesso della prima dose, la seconda dose deve essere aumentata di 10 volte. In caso di rianimazione primaria, l'infusione rapida di elevate quantità di liquidi al fine di normalizzare il circolo, può favorire l’emorragia intraventricolare per cui corre l'obbligo di somministrare lentamente sia i liquidi sia i farmaci e in dosi controllate per evitare i rapidi cambiamenti del volume circolante e dell’osmolarità plasmatica. Il prematuro che ha presentato problemi gravi alla nascita è ad alto rischio dell’enterocolite necrotizzante. In questi piccoli l’alimentazione deve essere iniziata con estrema cautela e 133 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 immediatamente sospesa nel caso in cui compaia vomito, distensione addominale e feci striate di sangue. Mantenimento Una rianimazione che ha dato risultati positivi deve prevedere il controllo continuo della funzione cardiopolmonare nel tempo. La sospensione troppo rapida dell'intervento rianimatorio può far correre il rischio di perdere i benefici ottenuti. La strategia ventilatoria deve mirare a provvedere un adeguato apporto di ossigeno e a ridurre la CO2 tenendo contro di non creare barotrauma o volutrauma. La normocapnia è da ricercare per evitare gli effetti negativi sull'encefalo sia dell'ipercapnia sia dell'ipocapnia. L'ipercapnia permissiva è da sconsigliare perché espone il neonato al rischio di complicanze emorragiche così come può avvenire per il rapido passaggio dall'ipercapnia all'ipocapnia. Nella fase successiva all’arresto cardiaco, può persistere una ridotta gittata cardiaca per cui può essere necessario somministrare farmaci inotropi. L’ipoglicemia e l’ipocalcemia sono di facile e frequente riscontro nel neonato asfittico per cui devono essere indagate e prontamente trattate. La correzione dell’acidosi metabolica deve essere fatta solo quando la ventilazione è divenuta efficace e la CO2 si è normalizzata. L’acidosi, in buona parte, si corregge con l’instaurazione di efficienti scambi gassosi e con l’eliminazione della CO2. In un neonato che ha avuto una rianimazione alla nascita importante e prolungata è necessario il controllo del danno cerebrale e delle convulsioni in quanto il persistere dello stato convulsivo determina un ulteriore danneggiamento cerebrale. E’ stata impiegata una moderata ipotermia che ha sortito lusinghieri risultati dopo ischemia cerebrale focale o generale sull’animale. Poche segnalazioni sono state fatte nell’uomo per cui il trattamento ipotermico non è ancora confermato nella sua reale validità clinica. Il preciso meccanismo per cui la modesta ipotermia che viene impiegata possa fornire una neuroprotezione rimane poco chiaro e non può essere spiegato con la modesta riduzione del consumo di ossigeno che si osserva riducendo la temperatura corporea a 34 °C. Probabilmente l’effetto neuroprotettivo è legato alla riduzione del rilascio di aminoacidi eccitatori, della sintesi proteica, del consumo di risorse energetiche e della formazione di radicali liberi. Spesso i bambini rianimati, dopo arresto cardiaco prolungato, muoiono nelle ore o nei gironi successivi alla rianimazione per insufficienza multiorgano grave. La validità della rianimazione deve essere confermata non solo dalla sopravvivenza del neonato ma anche dal limitato numero di esiti neurologici. Segni quali le convulsioni, anomalie del ritmo respiratorio e le apnee, ipertonia o ipotonia mono o bilaterale, movimenti scoordinati del corpo, ipotonia generalizzata e la presenza di fontanelle rigonfie a seguito dell'aumento della pressione intracranica, devono far sospettare un esito neurologico sfavorevole. Il danno ipossico-ischemico può evolvere nel tempo provocando gravi handicap neurologici, convulsività accentuata, paralisi cerebrale e ritardo mentale. Il neonato ad alto rischio ed il grave prematuro devono essere trattati in ambiente altamente qualificato. La centralizzazione delle gravidanze a rischio risulta fondamentale per ridurre la morbilità e la mortalità materna e neonatale. Nel caso in cui il parto avvenga in sale parto di I° o di II° livello, il trasporto del neonato deve avvenire quando si sono stabilizzati i parametri vitali e quando il trasferimento neonato non 134 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 arreca un deterioramento delle funzioni riattivate. Per le brevi distanze è preferibile l'uso dell'ambulanza, mentre per le lunghe distanze è preferibile l'uso dell'elicottero. Ne limitano il suo impiego l’operatività rispetto alle ore di luce, alle condizioni atmosferiche e gli alti costi. Bibliografia 1. Ammari A et al. Variables associated with early failure of nasal CPAP in very low birth weight infants. J Pediatr 2005; 147:341 2. Burchfield DJ. Medication use in neonatal resuscitation. Clin Perinatol 1999;26:683 3. Burri PH. Development and regeneration of the human lung. In Fishman AP (ed): Pulmonary diseases and disorders. New Yourk, Mc-Graw Hill 1988, pp 61-78 4. De Leeuw R et al. Treatmen t choices for extremely preterm infants: an international perspective. J Pediatr 2000; 137:608 5. Finer NN et al. Delivery room continuous positive pressare/positive end-expiratory pressare in extremely low birth infants: a feasible trial. Pediatrics 2004; 114:651 6. Goldsmith JP et al. Ethical decisions in the delivery room. 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Qui di seguito si rappresenta graficamente la distribuzione per classi di età nell’Unione Europea, ma problematiche simili si ritrovano ovunque, tanto per dire negli Stati Uniti il 12% dell’intera popolazione è ultrasessantacinquenne e rende conto di più del 35% degli interventi chirurgici totali. In questo momento nel ns. Paese l’aspettativa di vita è di 77 aa. per l’uomo e di 81 per la donna. Nella letteratura medica internazionale si fa riferimento ad una definizione di invecchiamento come di “progressivo, globale fenomeno fisiologico clinicamente caratterizzato da modificazioni degenerative nella struttura e riserva funzionale di organi e tessuti”; in questo continuum si suole distinguere gli “elderly” fino a 74 aa., gli “old” fino a 84 aa., i “very old” oltre gli 85. Vi sono quindi aspetti: - fisiologici - biochimici - nutrizionali - genetici - patologie intercorrenti Il concetto che ne deriva con forza è quello, di “riserva funzionale” (a sua volta cardiopolmonare, epatorenale, immunologia, neurologica, metabolico-nutrizionale), che fa parlare di una distinzione non anagrafica ma tra “physiologically young/old”. La motivazione ultrastrutturale di quest’ambito si ritrova nelle seguenti alterazioni cellulari: - Alterazioni sintesi proteica (proteine modificate, difettose) - Trascrizione di acidi nucleici difettosi (modificati) - Alterazioni di nDNA - Alterazioni di mtDNA - Aumento dei radicali liberi / riduzione degli “scavengers” – S.O.D. - “Stress ossidativo” / deficit energetico mitocondriale In ambito perioperatorio le problematiche più peculiari sono, seguendo la terminologia anglosassone: - Persistent POCD - Poor wound healing - Impaired immune responsiveness Esaminando più da vicino le problematiche dei vari organi ed apparati, si evidenzia nel sistema neuromuscolare: - Intelligenza/memoria (persistent POCD) - Atrofia cerebro/cerebellare (sostanza grigia) - Riduzione dei neuroni (talamo, locus coeruleus, nuclei della base) - Riduzione dei neurotrasmettitori (serotonina – catecolamine – acetilcolina) - Riduzione fibre motorie / sensitive / autonomiche - Termoregolazione - Riduzione della massa muscolare scheletrica 136 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Quanto al sistema ormonale, gli aspetti più evidenti sono: - Diminuzione Growth Hormone - Diminuzione Insulin Like Growth Factor 1 - Diminuzione ormoni androgeni - Aumento del tono simpatico - Disidratazione intracellulare - Atrofia muscoloscheletrica - Aumento frazione lipidica Di ovvia rilevanza perioperatoria sono le modificazioni cardiovascolari: - Resting C.I. - Diminuzione possibilita’ di aumento frequenza cardiaca - Aumento del precarico sin. (LVEDV) (Frank Starling) - Tendenza a disfunzioni ventricolari diastoliche - Riduzione elasticità grosse arterie (aumento PAOS) - Diminuzione effetto beta-adrenergici (beta down regulation) A livello respiratorio le problematiche sono le più varie, ma parlando in via puramente generale predominano: - Enfisema (riduzione tessuto elastico) - COPD (fumo di sigaretta) - CV diminuita CFR aumentata - PAO2/SaO2 diminuita - PaCO2 senza sostanziali modifiche - FEV1 diminuzione del 12% ogni 10 anni Il sistema metabolico, ed in particolare quello epato-renale, riconosce le seguenti modificazioni: - Diminuzione clearance creatinina - Diminuzione flusso plasmatico renale efficace - Diminuzione filtrazione glomerulare - Ridotta capacità di concentrazione urinaria (perdita di acqua libera) - Diminuzione massa epatica funzionante - Ridotto flusso epato-splancnico - Diminuzione sintesi colinesterasi plasmatiche Andando più da vicino ad esaminare il periodo perioperatorio, di ovvia importanza sono le interazioni farmacologiche (pazienti in multiterapia) così come le variazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche: - TBW diminuita - VDss diminuita - MAC/MEAC ridotta anche del 25-35% In termini d’organizzazione del perioperatorio geriatrico, sarebbe necessario implementare strategie volte alla dimissione domiciliare più precoce possibile, con ovvie ripercussioni sull’organizzazione dell’ospedale in un’ottica di “day surgery”. Per ciò che concerne la valutazione preoperatoria: - Anamnesi ed E.O. (importanza di malattie preesistenti e relative terapie) - Analisi di laboratorio (emocromo, funzionalità renale, glicemia, coagulazione, ionogramma plasmatici) - ECG (12derivazioni), ecocardiografia doppler (DDVS) 137 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 - RX torace Una complicanza che si segnala come particolarmente rilevante è il Declino Cognitivo PostOperatorio (POCD) dopo chirurgia ed anestesia apparentemente senza complicanze, che può riflettere la complessa interazione tra modificazioni neuroendocrine da stress, danni preesistenti ippocampali ed alterazioni evolutive più generali cerebrali propria di questa classe d’età. Tale disturbo, che può interessare fino al 15% degli anziani operati (a fronte del 10 – 65% degli anziani ospedalizzati), ha un’interessante evoluzione temporale, in quanto avviene in 1° giornata nel 36% dei paz. anziani, in 7° nel 26%, ed a 3 mesi dall’intervento residua nel 10% dei paz. anziani. Una forma di prevenzione può essere l’attenzione a: - Farmaci anticolinergici (polifarmacologia) - Malnutrizione (disidratazione) - Limitazioni fisiche - Cateteri vescicali /sonde SNG / drenaggi. Per quanto concerne il tipo d’anestesia, generale, centroassiale, o tronculare periferica, in questa classe d’età ovviamente è ancora più valido il concetto dell’individualizzazione del trattamento farmacologico perioperatorio, evitando la ipossia/ipercapnia e con un adeguato controllo del dolore. E’ quindi opportuno utilizzare farmaci a rapida cinetica ed eliminazione, per minimizzare gli effetti residui. Le complicanze cardiache postoperatorie in età geriatrica non riguardano tanto la funzione sistolica a riposo, mantenuta anche in età avanzata in assenza di patologie, ma la disfunzione diastolica ventricolare sinistra, con una ridotta capacità di rilasciamento del ventricolo sinistro ed un aumento della pressione atriale e ventricolare. In sede intraoperatoria, accanto ad un monitoraggio cardiaco avanzato (CVP, PCWP), è quindi importante: - Ritmo sinusale /volume adeguato - Evitare tachicardia ed ipertensione - Diagnosi e trattamento ischemia miocardica E’ quindi ovvio che l’ipotensione può essere meglio tollerata, purché non prolungata ed in assenza di occlusione carotidea e stenosi aortica/mitralica. Le complicanze polmonari sono ovviamente correlate agli usuali fattori di rischio, quali il fumo di sigaretta, l’obesità, le pneumopatie preesistenti (COPD, asma). Infine, è forse più interessante riassumere il tutto considerando che non è l’invecchiamento, ma le malattie correlate all’invecchiamento che occupano tanta parte della nostra attività quotidiana. Bibliografia - Barash P.G., Cullen B.F., Stoelting R.K. “Clinical Anestesia”4th edition 2001, p. 1205-1216 - ASA Refresher Courses in Anesthesiology vol. 29, 2001, p.175-188 - ASA Refresher Courses in Anesthesiology vol. 31, 2003, p.139-150 - Atti Congresso APICE 2000, p.555-588 - Atti Congresso APICE 2001, p.873-902 - Minerva Anestesiologica vol. 70, n.5, 2004, p.273-278 - Minerva Anestesiologica vol. 70 Suppl. 1 n.9, 2004, p.151-160 - Minerva Anestesiologica vol. 71 Suppl.1 n.10, 2005, p.451-453 - Minerva Anestesiologica vol. 71 Suppl.1 n.10, 2005, p.687-696 138 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emrgenza in italia A. MORRA1; P. BOZZETTO2; S. AGOSTINIS3 1 Direttore S..S..I. “Gestione dell’Emergenza” Dipartimento Emergenza e Accettazione Ospedale Martini, Torino, Italia, 2 I.P. S.S.I. “Gestione dell’Emergenza” Ospedale Martini, Torino, 3 I.P. Centrale Operativa 118, D.E.A. ASO C.T.O. Torino, Italia L’introduzione ricalca il testo della relazione inserita nel 59° Congresso S.I.A.A.R.T.I. del 2005. Per Grande Emergenza si intendono due scenari complessi. • Disastro o Catastrofe: in cui i sistemi di soccorso sono danneggiati • Maxiemergenza: in cui i sistemi di soccorso inclusi gli Ospedali sono intatti. Nel corso della relazione ci riferiremo sopratutto a questo secondo scenario, per una semplificazione degli aspetti organizzativi. Principi fondamentali della Medicina delle Catastrofi La Medicina delle Catastrofi ha lo scopo di fornire la risposta sanitaria corretta quando le risorse sono insufficienti rispetto alle necessità dell’evento; si basa sull’integrazione delle varie componenti dei soccorsi. Vanno considerati due aspetti basilari: 1. l’integrazione tra le istituzioni dei soccorsi ossia la condizione per giungere ad una sinergia operativa finalizzata ad un obiettivo comune. 2. il concetto di vittima esteso nella sua globalità, ossia non soltanto morti e feriti ma tutti coloro che sono stati colpiti negli affetti e nella psiche. Strumenti della Medicina delle Catastrofi La medicina delle catastrofi rappresenta in realtà l’insieme di vari tipi di discipline rivolte al raggiungimento di obiettivi comuni cioè alla limitazione delle sequele e della perdita di vite umane. L’ambiente ostile dove si svolgono le operazioni necessita di una capacità di adattamento tipica della medicina da campo, l’identificazione delle priorità caratterizza la medicina d’urgenza, la presa in carico sanitaria di un gran numero di vittime deve tenere conto della medicina di massa ed il concetto di vittima inteso nella sua globalità è peculiare della medicina globale. Occorre partire da una pianificazione preventiva applicabile sul campo tipica della medicina di dottrina mantenendo una gerarchia dei compiti ed una essenzialità dei trattamenti caratteristici della medicina di guerra. L’aspetto peculiare di ogni disciplina scientifica è l’utilizzo di strumenti operativi; quelli che caratterizzano la medicina delle catastrofi sono tre: 1. la strategia, ossia l’arte di ideare i piani di emergenza 2. la logistica, con cui s'intende l’insieme di personale, mezzi e materiali finalizzato alla realizzazione dei piani. 3. la tattica, in altre parole l’applicazione dei piani con lo svolgimento della catena dei soccorsi. 1. Strategia La strategia è l’arte di ideare i piani di emergenza e tre capisaldi ne rappresentano il cardine: • Top Management I piani di emergenza devono essere predisposti dagli operatori più esperti ideando situazioni realisticamente possibili • Piani di Emergenza 139 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La stesura dei piani di emergenza ha come punto di partenza l’analisi dei rischi presenti nel contesto territoriale; è bene sottolineare che la realizzazione di una risposta deve basarsi sulla previsione degli eventi relativa alle conseguenze degli stessi. • Preparazione degli Operatori La formazione degli operatori è un requisito imprescindibile 2. Logistica La logistica è tutto quanto permetterà al sistema di sopravvivere, è letteralmente definibile come l’arte del provvedere e di permettere un equo e razionale dispiegamento sul campo di uomini materiali e mezzi. Occorre stabilire a priori alcuni criteri di valutazione: • La tipologia dell’evento: il crollo di una struttura abitativa in ambiente urbano determinerà una risposta diversa rispetto al deragliamento ferroviario. • L’ambiente operativo: le condizioni ambientali influenzano pesantemente la risposta del sistema. L’azione che si svolge su luoghi impervi, la presenza di possibili ulteriori rischi, le difficoltà legate all’accesso delle vittime, le condizioni climatiche e la possibilità di convogliare le risorse sul teatro dell’evento, rappresentano aspetti vincolanti che devono essere considerati. • La durata delle operazioni: l’autonomia dei soccorritori è un’importante variabile ai fini logistici 3. Tattica La tattica è l’applicazione dei piani di soccorso attraverso procedure operative consequenziali finalizzate alla creazione della catena dei soccorsi. Questa sequenza è applicabile in ogni evento, indipendentemente dal tipo di catastrofe e deve essere considerata il modello operativo a cui riferirsi. Gli aspetti peculiari della catena dei soccorsi devono rispondere a determinati requisiti: a) Un unico ente di ricezione dell’allarme che dimensioni l’evento e fornisca prontamente una risposta b) La medicalizzazione costituisce il fulcro della medicina delle catastrofi, benché i problemi riscontrabili nelle emergenze ordinarie risultino amplificati, l’errore più comune è il pensiero di affrontarli aumentando disordinatamente lo spiegamento di forze in campo. L’approccio più corretto sarà stabilire la priorità di evacuazione verso i luoghi di cura definitivi per le vittime. La medicalizzazione sarà condotta a diversi livelli e nello specifico all’interno del Posto Medico Avanzato ossia una struttura interposta tra il sito dell’evento e gli ospedali dove le vittime potranno essere messe in condizioni di affrontare la successiva evacuazione. c) L’evacuazione è il circuito ininterrotto dei mezzi dal posto medico avanzato ai luoghi di cura definitivi. L’evacuazione può svolgersi con l’ausilio di mezzi usati nella quotidianità o di mezzi speciali. d) L’ospedalizzazione è l’ultimo anello della catena dei soccorsi; i nosocomi dovranno predisporre piani di emergenza per un gran numero di vittime. Analizzeremo seguito ciascuna fase temporale insita nella Tattica: a. Fase di allarme L’ente preposto alla ricezione dell’allarme di pertinenza sanitaria è la Centrale Operativa (C.O.) del sistema 118. È compito della C.O. stilare procedure operative conosciute da tutti coloro che verranno inviati sul campo, dimensionare l’evento attraverso una mirata raccolta di informazioni e modulare la risposta sulla base delle necessità. 140 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 b. Zona dei Soccorsi sanitari La zona dei soccorsi deve essere allestita in prossimità dell’area colpita, possibilmente al riparo da rischi evolutivi. Nelle prime fasi dell’evento lo stress e la confusione raggiungeranno livelli elevatissimi. Il primo equipaggio ad intervenire deve essere indottrinato, perché avrà il compito di confermare e trasmettere le informazioni necessarie per fornire una risposta adeguata all’evento. Aspetti e compiti della zona dei soccorsi: • L’improvvisazione: è la prima fase osservabile sull’area colpita; è caratterizzata da tensioni emotive e risposte psichiche di vario tipo. La soluzione proponibile rimane l’educazione sanitaria che attraverso l’informazione, il coinvolgimento e la partecipazione attiva ad esercitazioni e momenti formativi simulati deve identificare il suo primo bersaglio nella popolazione. • La ricognizione preliminare: fornisce gli elementi per modulare una risposta adeguata all’evento, è effettuata dall’alto tramite mezzo aereo oppure dal primo mezzo terrestre che giunge sul luogo. Si tratta di un insieme di operazioni importanti che devono essere svolte da personale addestrato poiché l’obiettivo non è il soccorso immediato alle vittime bensì la trasmissione di una descrizione della scena ed in particolare la tipologia del sinistro, il numero presunto delle vittime e la patologia prevalente. La ricognizione è finalizzata a rilevare inoltre a valutare l’estensione del sinistro rilevandone i limiti topografici, la persistenza di zone a rischio e la presenza di pericoli, le conseguenze sull’ambiente con valutazione di danni a strutture, identificazione di aree di atterraggio, valutazione del sito ove impiantare il PMA e le aree di parcheggio per i mezzi in arrivo. • La settorializzazione: si intende la ripartizione in aree funzionali di lavoro allo scopo di razionalizzare le risorse disponibili. Questa fase obbligatoriamente condotta con le forze di polizia e con i vigili del fuoco presuppone un approccio tecnico che raramente è in possesso delle squadre sanitarie. È necessaria la conoscenza dei perimetri di sicurezza e la corretta distribuzione delle equipes. Ciascuna area deve essere frazionata localmente allo scopo di convogliare equamente le risorse di soccorso, e si avranno rispettivamente zone a loro volta suddivise in cantieri di lavoro. • L’integrazione: è la condizione finalizzata all’esecuzione dei compiti istituzionali delle componenti dei soccorsi. Questo concetto assolutamente semplice a livello teorico risulta anche nelle emergenze ordinarie assai difficile da realizzare. In mancanza di un linguaggio comune e di procedure condivise le Squadre sanitarie, i Vigili del Fuoco, le Forze dell’Ordine e personale volontario si troveranno ad operare in condizioni estreme perseguendo ciascuno il suo obiettivo. • Il Recupero e la Raccolta delle vittime Suddiviso in: 1. il salvataggio ossia l’insieme delle operazioni finalizzate allo spostamento della vittima in luogo sicuro; può essere svolto da personale tecnico. 2. il soccorso, in alcuni casi, il recupero di una vittima deve essere preceduto dall’esecuzione di rapide manovre salvavita. La lunga durata delle operazioni di recupero, la potenzialità evolutiva delle lesioni e la necessità di manovre cruente per una disincarcerazione complicata (amputazione di arti) sono situazioni che frequentemente richiedono l’intervento sanitario sul punto di ritrovamento. La soluzione migliore è a nostro giudizio la creazione di equipes tecnico sanitarie specializzate nella ricerca e nel soccorso in aree urbane ed extraurbane. c. Medicalizzazione Essa comprende tutte le operazioni sanitarie necessarie a stabilizzare le vittime e va distinta in due ambiti separati: 141 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 • • intervento di prima linea, cioè nel “cantiere”, dove verranno compiuti pochi gesti terapeutici essenziali, con la finalità unica di far sopravvivere i feriti fino all’accesso del Posto Medico Avanzato. intervento al Posto Medico Avanzato (P.M.A.), in questa struttura verranno convogliate TUTTE le vittime recuperate dai cantieri e sottoposte al Triage. Il posto medico avanzato è una struttura sanitaria dove le vittime verranno stabilizzate ed evacuate verso luoghi di cura definitivi secondo ordini di priorità stabiliti dal triage. Posto Medico Avanzato (P.M.A.) Il P.M.A. viene definito nella G.U. del 12 maggio 2001 come un “dispositivo funzionale di selezione e trattamento sanitario delle vittime, localizzato ai margini esterni dell'area di sicurezza o in una zona centrale rispetto al fronte dell'evento…” che “...può essere sia una struttura che un’area funzionale dove radunare le vittime, concentrare le risorse di primo trattamento, effettuare il triage ed organizzare l’evacuazione sanitaria dei feriti nei centri ospedalieri più idonei”. Il luogo idoneo di installazione verrà deciso dal Coordinatore dei Soccorsi Sanitari di concerto con il Direttore tecnico dei soccorsi. Sono da prediligere strutture preesistenti in muratura quali Hangar, magazzini, palestre, scuole; o in alternativa moduli di attendamento gonfiabili inviati dalla Centrale Operativa 118 di competenza. Il Posto Medico Avanzato deve possedere alcuni requisiti: • collocazione in area sicura, al riparo da rischi evolutivi. • collocazione agevole rispetto alle vie di comunicazione • adeguata segnalazione con accesso e deflusso separati • caratteristiche ottimali di temperatura, luminosità e climatizzazione. La struttura è geograficamente interposta tra il sito della catastrofe e gli ospedali Personale e struttura All’interno del PMA operano medici ed infermieri; ma possono trovarvi collocazione anche soccorritori non sanitari che espleteranno funzioni logistiche. Il triage Il triage è un processo decisionale finalizzato alla selezione delle vittime e nel contesto extraospedaliero verrà applicato in due momenti: 1. direttamente sullo scenario con l’obiettivo di stabilire una priorità d’accesso al Posto Medico avanzato. 2. al PMA con l’obiettivo di stabilire un ordine di evacuazione verso gli ospedali o strutture alternative. d. Azione di Comando e coordinamento La normativa vigente (Decreto 116 G.U. n.81/2001) prevede che sul luogo dell’evento il responsabile della C.O.118 o il responsabile del DEA o un Medico delegato dal responsabile medico del 118 svolga il ruolo di Direttore dei soccorsi sanitari (DSS) , rapportandosi con referenti analoghi di altre Istituzioni deputate alla gestione dell’emergenza. Egli si assumerà la responsabilità di ogni dispositivo di intervento sanitario nella zona delle operazioni, mantenendo un collegamento costante con la CO118. Sul sito è previsto un posto di comando avanzato (P.C.A.), in cui operano il Direttore Tecnico dei soccorsi e il DSS. In riferimento al ruolo statunitense dell'Incident Commander, l’Associazione Italiana di Medicina delle Catastrofi ha proposto una nuova denominazione per il Direttore dei Soccorsi Sanitari cioè il Medical Disaster Manager identificandolo come colui che, sotto il profilo sanitario, è in grado di coordinare tutte le fasi sequenziali dell'evento. Sotto il profilo formativo l’obiettivo didattico del corso Medical Disaster Manager è la creazione di una catena di comando ove figure legate da una 142 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 gerarchia funzionale opereranno in autonomia ciascuno nel proprio settore di competenza. La direzione dei soccorsi spetterà ad un sovra coordinatore il quale avrà il compito di stabilire un punto di comando avanzato, ottimizzare le risorse a disposizione, garantire collegamenti comunicazioni e rifornimenti alle aree funzionali di lavoro ed ultimo, ma non in ordine di importanza, verificare che sussistano le condizioni di sicurezza per gli operatori. Team di gestione della Maxiemergenza: la filosofia proposta nel sistema MDM è sicuramente innovativa perché scardina la figura di comando che accentra su di sé gli oneri che il ruolo comporta. Una gestione di questo tipo è destinata a fallire per l’enorme carico di lavoro e richieste che in breve tempo giungeranno. La soluzione proposta è affidare il coordinamento ad un team di figure esperte schierate nelle aree decisionali della catena dei soccorsi. Ciascun leader è legato al coordinatore da una gerarchia funzionale, mantiene cioè un’autonomia quasi assoluta all’interno della propria area di competenza. L’identificazione dei ruoli: Uno degli aspetti cruciali relativi al coordinamento è l’identificazione dei ruoli sul campo. Il soccorso sanitario incontra questa problematica anche nella quotidianità degli interventi di emergenza routinaria ma è indispensabile utilizzare casacche colorate per evidenziare i compiti dei coordinatori. Tabella riassuntiva dei Ruoli nel Sistema di Coordinamento Medical Disaster Management: 143 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 MDM Coordinatore Responsabile INFORMAZIONI MDM Info Settore COLLEGAMENTI Settore LOGISTICA Settore MORGUE MDM LOGISTICA Settore RIFORNIMENTI Settore SERVIZI Team di SUPPORTO PSICOLOGICO MDM Recupero Settore SICUREZZA Settore RECUPERO VITTIME 1 MDM PMA Settore RECUPERO VITTIME n.. MDM Evacuazione Settore TRIAGE AREA ATTESA MEZZI Settore TRATTAMENTO MDM AREA ROSSI AREA GIALLI AREA VERDI AREA CONTAMINATI AREA ROSSI e. Trasporto delle vittime (Evacuazione) L’evacuazione, ossia il trasferimento verso le strutture ospedaliere è coordinata dalla Centrale Operativa 118, avviene in genere via terra (ambulanze normali o attrezzate per la rianimazione) o con elicotteri, non va tuttavia escluso l’utilizzo di autobus preventivamente attrezzati per il trasporto protetto, o di mezzi speciali per disastri di grande entità. Il circuito ininterrotto tra il Posto Medico Avanzato e le strutture di ricovero come già esposto precedentemente prende il nome di Noria. f. Piani di Emergenza Ospedalieri In caso di catena dei soccorsi sanitari per catastrofi limitate, il trasporto termina in uno o più ospedali della zona, che dovranno predisporre i piani relativi ad un afflusso massiccio di feriti come da normativa vigente. La trattazione delle problematiche legate alla gestione della maxiemergenza ospedaliera esula dai contenuti di questo testo, tuttavia vogliamo specificare che il concetto della catena di comando rimane valido anche nell’ambito ospedaliero; a tal fine l’Associazione Italiana di Medicina delle Catastrofi ha messo a punto la figura dell’Hospital Disaster Manager (H.D.M.) che pur movendosi in un contesto operativo diverso mantiene inalterata la filosofia proposta. 144 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Gli ospedali rappresentano l’ultimo anello della Catena dei Soccorsi, iniziata con l’attivazione dell’allarme alla C.O.118. Esperienze a confronto In Italia l’organizzazione dei soccorsi in caso di Grande Emergenza non ha ancora una connotazione uniforme. Molti Sistemi 118 hanno adottato una politica gestionale che si basa sull’adozione di procedure importate da Paesi stranieri, con la convinzione che ciò che funziona all’Estero, possa funzionare da noi; in fondo perché no! Ma la cultura di Paesi diversi dal nostro si basa su sistemi operativi sperimentati, che si avvalgono di criteri categorici di formazione e rispetto dei ruoli , inseriti in una Catena di Comando tipicamente militare (mi riferisco al Sistema anglosassone MIMMS che contempla un grande numero di Comandanti sul campo improponibile da noi), dove non è concepibile l’iniziativa personale tanto cara nelle nostre latitudini. Non è ragionevole pensare che un sistema “copiato ed importato” equivalga ad un sistema efficace. Altri Sistemi utilizzano come strumento operativo la Formazione degli Operatori, senza farla seguire da procedure conosciute, e per conosciute intendo che l’operatore le apprende e gestisce veramente. Questa modalità spesso applica sistemi di apprendimento teorici: mi riferisco al fatto che negli ultimi anni molti Atenei o Enti privati hanno attivato Master in Medicina delle Catastrofi, i cui programmi di studio comprendono ore dedicate al BLS, alla suture chirurgiche nei campi profughi cambogiani o alle malattie infettive, che per quanto interessanti non rientrano tra le competenze dei medici che devono affrontare i soccorsi in caso di incidente ferroviario. Molti operatori dei Sistemi di Emergenza si sono ammantati di un’aura di autoreferenzialità nel campo della Medicina dei Disastri. Mi riferisco a nomine a sfondo “politico” che nulla hanno da spartire con chi si è costruito un’esperienza operativa o culturale, maturata negli anni, condivisa con Colleghi stranieri e convalidata da confronti in campo manageriale e organizzativo, che raramente è possibile ottenere in Italia. Per ciò che attiene alle problematiche della gestione della Grande Emergenza intraospedaliera, il discorso non muta di molto. Da almeno 8 anni il metodo esiste, è stato proposto dall’Associazione Italiana di medicina delle Catastrofi, analizzato e trasformato in Linee Guida dal Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, e confermato dal Ministero della Salute in un recente lavoro di Pianificazione attuato in favore della Regione Calabria, ma i cui contenuti sono estrapolabili ed utilizzabili da ciascuno dei circa 2.000 ospedali italiani. La pianificazione della risposta ospedaliera si basa su una “piramide” procedurale e dottrinale che analizza i punti che devono essere attivati per ottenere un Piano di Emergenza efficace ed attuabile nella nostra realtà: I gradini di questa piramide sono: • Formazione e Progetto • Analisi del rischio • Verifica delle risorse • Scenari possibili • Management • Piani • Verifica del Sistema • Operatività Rispettando e attivando questi steps si otterrà un Piano efficace e gestibile, simile nei criteri di dottrina al sistema dei soccorsi sul campo. 145 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’abitudine di importare ed utilizzare sistemi di pianificazione stranieri, come è stato fatto di recente con il Sistema H-MIMMS, appare quanto meno ridicola, visto che si copiano procedure non applicabili in Italia che sfruttano sistemi operativi tipici degli ospedali anglossassoni. Risulta altrettanto poco credibile l’idea, visto gli “importatori” di tale dottrina sono Ufficiali delle Forze Armate che non dispongono di quell’esperienza intraospedaliera necessaria per adattare tali metodiche di pianificazione alla nostra realtà quotidiana. In conclusione credo occorra considerare con attenzione queste critiche e ricordare che si migliora attraverso la valutazione degli errori ed il coraggio di attuare dei cambiamenti necessari. Vorrei però dire che la “colpa” è non è tutta a carico degli operatori (responsabili in testa). Una parte di colpa morale è sicuramente da ascrivere agli Enti e agli Organi Istituzionali che devono vigilare e indirizzare i Sistemi operativi verso una reale capacità di intervento, non solo basata sui numeri ma soprattutto sulla qualità. La Grande Emergenza non può essere affrontata come un’emergenza ordinaria, ma necessita di una mentalità specifica che si acquisisce con l’applicazione della dottrina, l’adattabilità delle componenti operative e la verifica dei risultati (verifica vera che spesso richiede coscienza, coraggio e umiltà, almeno in senso culturale). Il Dipartimento della Protezione Civile, le Regioni e le Aziende Sanitarie, e marginalmente il Ministero della Salute, devono uscire dal limbo in cui hanno lasciato i Sistemi 118 e gli stessi ospedali per confrontare i risultati ottenuti, attuare le verifiche e promuovere la cultura necessaria per consentire il raggiungimento di quegli standards così scontati ed evidenti all’estero. Il panorama non mi sembra confortante, ma spesso i miglioramenti si hanno dopo molti anni di confronti con Sistemi che funzionano o che comunque garantiscono la corretta applicazione di quei criteri di dottrina già esistenti, che se applicati nel modo giusto contribuiscono a rendere più efficace la qualità del nostro lavoro ed a mitigare i danni che gli eventi arrecano alla collettività, di cui noi facciamo parte a pieno titolo. Schöpenauer ci ricorda l’ovvietà e la ripetitività della vita umana: “Ogni problema riconosciuto attraversa tre stadi: Nel primo viene deriso, nel secondo combattuto, nel terzo è considerato ovvio!” Bibliografia 1. Auf der Heide E. (1989) - Disaster response. Principles of preparation and coordination. Mosby Ed - St Louis- U.S.A. 2. Dipartimento della Protezione Civile (2001) Adozione dei “Criteri massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi”– n.116 – Roma 3. Dipartimento della Protezione Civile (1998) – Pianificazione dell’Emergenza ospedaliera a fronte di una maxi-emergenza – n. 54 – Roma 4. FEMA (Federal Emergency Management Agency) (1998) ICS – Incident Command System (basic) - Emergency Management Insitute 5. Hrouda P. (1987) - Principles of the organization of medical action in case of disaster in France - Convergences - 6,6,391-395 – Paris 6. Larcan A., Noto R., (1989) Catégorisation des victimes et règles du triage en cas de grande catastrophe civile – Urg. Méd.Paris 7. Morra A. – Odetto L. – Bozza C. – Bozzetto P. (2003) Disaster Management: Gestione dei Soccorsi in caso di disastro” Edito da: Presidenza della Giunta della Regione Piemonte 8. Noto R., Huguenard P., Larcan A. (1989). Medicina delle catastrofi. Masson, Milano 146 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 9. Linee Guida (2006) “Attività di assistenza tecnica per il miglioramento delle attività ospedaliere ed il mantenimento delle funzioni strategiche in situazioni di emergenza”- Roma – Ministero Salute Decisionalità e scelte terapeutiche nel trattamento del dolore G. ORLANDINI Medicina del Dolore, Ospedale di Tortona - Tortona (AL) INTRODUZIONE Come le altre specialità mediche, la pratica clinica della medicina del dolore prevede tre fasi che, in successione, sono la diagnosi, la decisione terapeutica e l’esecuzione della terapia. La fase della decisione terapeutica consiste nel ragionamento che consente di scegliere fra tutti i mezzi terapeutici disponibili (farmacologici, infiltrativi e chirurgici) quelli più adatti (perché più efficaci) e più convenienti (perché gravati da minori effetti collaterali) per contrastare i meccanismi patogenetici del dolore individuati con la diagnosi (Tabella 1). Per comprendere l’importanza e la complessità della decisione terapeutica occorre sfatare l’opinione comune, purtroppo ancora diffusa, che considera il dolore un semplice sintomo che, come un’unica entità che cambia solo per la sua importanza, risponde sempre a quella categoria di farmaci appositamente studiati per esso: gli analgesici. Se fosse così, basterebbe scegliere l’analgesico sulla base dell’intensità del dolore [WHO 1986 e 1996] e non vi sarebbe bisogno di una specializzazione per curare il dolore. Classificazione patogenetica del dolore Cutaneo Superficiale Mucoso Tessutale Viscerale Profondo Muscoloscheletrico Somatico Nerve trunk pain Periferico Neuropatico Da persistente ipereccitabilità dei nocicettori Da dismielinosi-neuroma Da deafferentazione Centrale Psicogeno Cronico 147 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Figura 1 – Il dolore normale, fisiologico, tessutale nocicettivo Dall’errata convinzione che il dolore sia un’unica entità deriva che quando gli analgesici classici (FANS e oppiacei) non lo controllano molti operatori sanitari si sentono autorizzati a dubitare che il paziente l’abbia davvero o a sospettare che esso sia d’origine psichica. Per comprendere perché gli analgesici a volte funzionano e a volte no, occorre premettere un concetto fondamentale: ben lontano dall’essere un’unica entità, esiste un dolore normale o fisiologico ed un dolore anormale o patologico (Figure 1 e 2). In particolare, se c’è lo stimolo nocicettivo è normale che vi sia il dolore (che è, in questo caso, il fisiologico dolore tessutale, nocicettivo), viceversa se c’è il dolore ma non c’è lo stimolo nocicettivo qualcosa non funziona come dovrebbe. Il dolore in una certa sede come se lì vi fosse una lesione tessutale che non c’è può significare che la lesione non è dove il dolore è avvertito ma da un’altra parte (dolore tessutale secondario) oppure che la lesione non c’è affatto, nè nella sede del dolore, né altrove. In questo caso si tratta di un dolore anormale (patologico), non nocicettivo che configura la malattia dolore e che può essere dovuto ad un danno del dispositivo di segnalazione del dolore (dolore neuropatico), ad un fenomeno d’apprendimento (dolore cronico) o ad un disturbo nell’elaborazione delle emozioni (dolore psicogeno). Figura 2 – Il dolore anormale, patologico, non nocicettivo Se si tiene presente quanto sopra, non deve stupire che gli analgesici possano funzionare o no. Essi, infatti, sono stati progettati per contrastare la nocicezione e funzionano solo se il dolore è 148 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 dovuto ad essa. Quindi, gli analgesici funzionano nel normale dolore nocicettivo (Figura 1) e non funzionano in quello anormale non nocicettivo (Figura 2). Ne deriva che la maggior parte dei farmaci utili nel dolore nocicettivo non lo sono nel dolore neuropatico e che molti farmaci utili nel dolore neuropatico non lo sono nel dolore nocicettivo. Fatte queste premesse generali, cerchiamo ora di illustrare il ragionamento che sostiene la razionale scelta della terapia antalgica sulla base della diagnosi patogenetica del dolore. SCELTE TERAPEUTICHE NEL DOLORE TESSUTALE Se abbiamo riconosciuto che quel che abbiamo da curare è un normale dolore tessutale, nocicettivo, sappiamo che il meccanismo patogenetico che lo sostiene è attivato da una lesione algogena flogistica o simil-flogostica e che, dal punto di vista molecolare, è riconducibile ad un’aumentata disponibilità ad aprirsi dei canali del Na presenti nella membrana dei nocicettori. La disponibilità ad aprirsi dei canali del Na è, a sua volta, aumentata dalle sostanze prodotte dai tessuti in flogosi fra le quali le prostaglandine che fanno sì che stimoli d’intensità relativamente debole siano in grado di produrre il potenziale transmembrana d’azione (PTA) in un recettore che in condizioni normali richiederebbe uno stimolo d’intensità più elevata. Una volta prodotto, il PTA è trasportato elettrotonicamente lungo la fibra nervosa e trasferito da un neurone a quello successivo attraverso la corrispondente sinapsi: in altre parole, si ha la conduzione dell’informazione nocicettiva. In queste circostanze, la terapia analgesica appropriata è una delle misure in grado di contrastare la nocicezione con uno dei seguenti meccanismi d’azione: 1. prevenzione della produzione del PTA e quindi dell’attivazione dei nocicettori con farmaci che agiscono chiudendo i canali del Na (come fanno gli anestetici locali depositati in vicinanza dei nocicettori mediante l’infiltrazione del tessuto) o limitando l’apertura dei canali del Na (come fanno i FANS che bloccano la sintesi delle prostaglandine e quindi prevengono l’aumento della disponibilità ad aprirsi dei canali del Na indotto da queste sostanze); 2. blocco della conduzione elettrotonica del PTA nelle fibre nervose con gli anestetici locali depositati sulle fibre stesse mediante le tecniche di blocco nervoso; 3. blocco della conduzione elettrotonica del PTA nelle fibre nervose mediante l’interruzione della loro continuità con le tecniche neurolesive; 4. blocco del trasferimento sinaptico del PTA da un neurone a quello successivo con gli oppiacei. La scelta della terapia antinocicettiva che sfrutta l’uno o l’altro meccanismo d’azione è subordinata ad una serie di ulteriori valutazioni cliniche, tra le quali le principali concernono la precisazione se il dolore è acuto, persistente o cronico, se è non incident o incident, qual è il suo sottotipo patogenetico e qual è la sede anatomica della nocicezione. Per quanto riguarda il dolore acuto, persistente o cronico [Orlandini 2005], si tenga presente che se il dolore è acuto è sufficiente scegliere un metodo la cui principale caratteristica sia d’essere prontamente efficace mentre se è persistente occorre sceglierne uno in grado d’essere efficace a lungo. In particolare, se si decide di usare i FANS occorre scegliere quelli che hanno una più lunga durata d’azione ed una migliore tollerabilità, se si decide di usare gli oppiacei occorre ottimizzarne il dosaggio e scegliere la via di somministrazione più opportuna e se si decide di impiegare il blocco nervoso conviene scegliere una sede di blocco che consenta d’inserirvi un dispositivo di somministrazione per attuare una protratta infusione di anestetico locale: gli spazi peridurale e subaracnoideo rispondono bene a quest’esigenza. Infine, se il dolore è cronico, si consideri che di solito le misure antinocicettive non sono indicate. A proposito del carattere non incident o incident del dolore, si ricorda che è non incident il dolore che non cambia col movimento, il carico e la postura ed è incident quello prodotto da uno stimolo meccanico-termico improvviso che raggiunge rapidamente un'elevata intensità e diminuisce in poco tempo se il soggetto, allertato dal dolore, interrompe l'attività che l'ha prodotto [Bonezzi e Orlandini 1992]. Si ricorda, inoltre, che il dolore incident è dovuto a boli d’impulsi che improvvisamente ed in massa raggiungono il SNC (Figura 3) e non sono sufficientemente frenati 149 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 dalle manovre antinocicettive che non prevedono il blocco completo della conduzione nervosa. In altre parole, nel dolore incident sono inefficaci gli oppiacei, parzialmente efficaci i FANS e totalmente efficaci soltanto le tecniche di blocco nervoso e quelle neurolesive. Ai fini della decisione terapeutica, la constatazione che il dolore è incident dev’essere correlata con quella che concerne il tipo acuto o persistente del dolore, tenendo presente che nel dolore incident acuto è appropriato il blocco nervoso con anestetico locale mentre nel dolore incident persistente la tachifilassi nei confronti degli anestetici locali (che sono farmaci nati per l’anestesia e destinati ad un uso limitato nel tempo e non per l’uso protratto) può limitare l’efficacia del blocco nervoso e richiedere un intervento neurolesivo. Figura 3 La diga. A = la diga è in grado di controllare il transito di un corso d’acqua che scorre con un flusso costante (dolore non incident). B = se la massa idrica aumenta oltre un valore soglia, l’eccesso travalica la diga (dolore incident). [da Orlandini, Manuale di chirurgia per cutanea del dolore, Edimes, Pavia 1996, p.8] Circa il sottotipo patogenetico del dolore, si tenga presente che il dolore superficiale ha spesso carattere incident (per cui per esso valgono le considerazioni già fatte) e che il dolore profondo è condotto dalle afferenze viscerali se è viscerale e dalla afferenze somatiche se è muscoloscheletrico: è ovvia l’importanza di questa precisazione per la scelta del blocco nervoso o della tecnica neurolesiva. Infine, l’accertamento della sede anatomica della nocicezione (localizzazione della lesione algogena) consente di decidere razionalmente l’indicazione al blocco peridurale selettivo (che è utile soltanto se la nocicezione consiste nella flogosi di una radice nervosa ed il dolore è radicolare), all’infiltrazione di una articolazione (che ha significato solo se la nocicezione proviene da essa), all’infiltrazione di un trigger point miofasciale (che dev’essere esattamente individuato come sede da cui la nocicezione origina e riferisce il dolore a specifiche target areas) o ad una tecnica neurolesiva (per decidere quale area somatica va resa analgesica). - il dolore ha distribuzione metamerica (se la lesione algogena è in una radice dorsale, in un ganglio o in un nervo radicolare), periferica (se la lesione algogena è in un plesso o in un nervo periferico), cordonale (se la lesione algogena è in un fascio midollare o troncale) o somatotopica centrale (se la lesione algogena è nel talamo, nella proiezione talamocorticale o nella corteccia) - il dolore è avvertito superficialmente o profondamente ed è a medio grado di localizzazione; - il dolore ha carattere uniforme (urente, aching o disestesico) o parossistico (folgorante o a pugnalata). - il dolore ha carattere qualitativo disestesico il dolore (il paziente afferma che il dolore è strano, che assomiglia a “spilli sotto la pelle” o ad un senso di “stiramento”, di “intorpidimento fastidioso”, di “insopportabile prurito” e spesso che non assomiglia a nessuna sensazione provata prima); - la cute è integra o presenta una soluzione di continuo o una cicatrice sopra un tronco nervoso o, addirittura, corrispondere all’amputazione di un segmento corporeo; - in loco dolente possono aversi disturbi sensitivi ed eventualmente deficit motori ed alterazioni dei riflessi osteotendinei; - c’è allodinia superficiale (di vario tipo) con cute integra; 150 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 - il dolore interferisce col sonno provocando difficoltà d’addormentamento più che risveglio precoce - il dolore è esordito dopo un trauma che ha provocato un danno nervoso dimostrabile ed anatomicamente correlato; - l’esame obiettivo e gli accertamenti strumentali non hanno evidenziato la lesione algogena nella sede del dolore: un’appropriata indagine strumentale può però evidenziare la patologia della radice, del ganglio, del nervo radicolare, del plesso, del nervo periferico o delle strutture centrali correlati con la sede del dolore. Tabella 2 - Criteri per riconoscere il dolore neuropatico [Orlandini 2005b] SCELTE TERAPEUTICHE NEL DOLORE NEUROPATICO Posto che gli analgesici classici sono quasi sempre inefficaci nel dolore neuropatico, la decisione terapeutica concerne la scelta fra alcune altre categorie di farmaci (antidepressivi triciclici, anticonvulsivi, antiaritmici ed anestetici locali), le tecniche di neuromodulazione elettrica e le procedure neurolesive. Il dolore neuropatico e la terapia farmacologica Mentre, ancorché complesso, è abbastanza definito il ragionamento che guida la decisione terapeutica nel dolore tessutale, non lo è altrettanto quello che la guida nel dolore neuropatico. Dal punto di vista pratico, se sulla base dei criteri elencati nella Tabella 2, abbiamo riconosciuto che il dolore è neuropatico, si deve capire dov’è la lesione nervosa per individuare il sottotipo patogenetico del dolore ed il meccanismo molecolare che lo sostiene. Il primo obiettivo è più semplice e porta ad una delle diagnosi elencate nella Tabella 1 che, però, sono di poco aiuto nella decisione terapeutica. Al contrario, la definizione del meccanismo molecolare è assai più utile allo scopo ma è molto più complessa ed è praticamente impossibile con la semeiotica clinica. Questa difficoltà comporta un grosso limite alla decisione terapeutica nel dolore neuropatico, la cui cura, ancora oggi, continua ad essere pianificata per tentativi impiegando in successione ed eventualmente in associazione i pochi farmaci che si sono rivelati efficaci. Per superare questo grave ostacolo alla razionale e consapevole scelta terapeutica, la ricerca ha proceduto testando i farmaci che agiscono sui diversi meccanismi molecolari (Tabella 3) e valutando quali espressioni cliniche (o sintomi) del dolore neuropatico vengono modificati [Jensen e Baron 2003]. FARMACI LIDOCAINA (1,5-5 mg/Kg/pc) MEXILETINA (>600 mg/die) CARBAMAZEPINA (<1800 mg/die) DIFENILIDANTOINA (300 mg/die) OXACARBAZEPINA (900 – 2400 mg/die) LAMOTRIGINA (200 mg/die) AMITRIPTILINA (50-75 mg/die) GABAPENTIN (1800-2400 mg/die) PREGABALIN (150-300 mg/die) TOPIRAMATO (400 mg/die) ZICONOTIDE (intratecale…) CLONIDINA BACLOFENE KETAMINA Azione sui meccanismi molecolari Blocco Blocco Rinforzo Rinforzo canali del canali inibizione inibiz.da Na del Ca da sist.discen GABA d. Sorot.noradr. +++ +++ +++ +++ +++ +++ +++ +++ +-+++ +++ +++ +++ +++ +++ Inibizione facilitaz.da Glutammat o (NMDA) Alfa 2 recettori +++ +++ +++ +++ +++ Tabella 3 – Su quali meccanismi molecolari agiscono i diversi farmaci per il dolore neuropatico 151 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Questo studio ha consentito di cominciare a comprendere da quale meccanismo molecolare dipendono i diversi sintomi e questa correlazione dovrebbe consentire nella pratica clinica di risalire al meccanismo molecolare a partire dall’espressione clinica. Purtroppo siamo appena agli albori di questo percorso che è particolarmente complesso perchè le varie espressioni cliniche possono dipendere da uno o più meccanismi molecolari e i diversi farmaci possono agire su uno o più meccanismi molecolari. Siamo quindi ancora lontani dal poter correlare tutte le espressioni del dolore neuropatico con il rispettivo meccanismo molecolare e col farmaco adatto: credo che al momento un tentativo di correlazione possa esser fatto soltanto per il dolore spontaneo con grave deficit sensitivo (stimulus-independent pain) che risponde al trattamento con l’amitriptilina e per il dolore provocato con lieve deficit sensitivo (stimulus-evoked pain o dolore allodinico) che risponde al trattamento con la lidocaina e i suoi analoghi (mexiletina) nonché con alcuni anticonvulsivi come la carbamazepina, la difenilidantoina, l’oxacarbazepina e la lamotrigina [Rowbotham e Fields 1989, Rowbotham et al.1998, Baumgartner et al.[2002]. Il dolore neuropatico e la neuromodulazione elettrica Per la ridotta invasività della procedura e la reversibilità dell’effetto terapeutico, l’impiego della neuromodulazione elettrica, specie la Spinal Cord Stimulation (SCS) e, più recentemente la Motor Cortex Stimulation, ha guadagnato largo consenso nel trattamento di alcuni dolori neuropatici. Il successo della SCS è subordinato all’evocazione di parestesie dov’è il dolore e, quindi, all'integrità delle afferenze provenienti da quella regione. La procedura non è efficace se lo stimolo è portato distalmente alla lesione e nel dolore deafferentazione. A questo proposito, Sindou [1997] fece osservare che in alcuni pazienti con dolore neuropatico le fibre lemniscali provenienti dall’area del dolore non possono essere stimolate perché non esistono più. Questo si verifica quando la lesione nervosa consiste nella completa interruzione dell’afferente primario fra il ganglio e il midollo spinale (dolore da deafferentazione) o nella sezione delle fibre lemniscali distalmente al livello dell’elettrocatetere (dolore centrale di origine midollare). In questi casi non si possono avere parestesie nell’area del dolore e non si ha pain relief. Da questo si deduce che la SCS è indicata nel dolore neuropatico periferico (Tabella 4). Sindromi da lesione di radici spinali Failed back surgery syndrome Radicolopatia cervicobrachiale Radicolopatia toracica Post-thoracotomy pain syndrome Radicolopatia lombosacrale Nevralgia post-herpetica del I – II tipo [Orlandini 2005a] Sindromi da lesione di nervi periferici Sindrome da avulsione del plesso brachiale Sindrome da avulsione del plesso lombosacrale Distrofia simpatica riflessa (CRPS I) Causalgia (CRPS II) Dolore da amputazione (phantom limb pain e stump pain) Neuropatia diabetica Tabella 4 - Indicazioni della SCS nel dolore neuropatico 152 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il dolore neuropatico e le tecniche neurolesive Spesso si afferma che le tecniche neurolesive non sono indicate nel dolore neuropatico: in realtà, è più corretto dire che esse sono indicate solo in alcuni dolori neuropatici. Non si scordi, infatti, che la nevralgia del trigemino è un dolore neuropatico e in essa è efficace la termorizotomia. Altri dolori neuropatici dove l’esperienza clinica insegna che c’è indicazione alle procedure neurolesive sono alcuni dolori da neuroma nei quali è efficace l’exeresi del neuroma (che a tutti gli effetti è una neurotomia) purchè questo si riformi in una sede meno soggetta a stimoli esogeni o endogeni ed il dolore da invasione neoplastica dei plessi lombosacrale o brachiale che risponde alla cordotomia. Per contro non v’è indicazione alla termorizotomia nella neuropatia trigeminale e nella nevralgia post-herpetica e non v’è indicazione a nessuna tecnica neurolesiva nel dolore centrale. Poiché vi sono idee piuttosto confuse ed è ancora diffusa la convinzione che, come extrema ratio, l’interruzione dell’afferenza nervosa debba in ogni caso rimuovere il dolore, credo sia opportuno discutere brevemente le indicazioni alle procedure chirurgiche neurolesive nel dolore neuropatico. Per comprendere le indicazioni di queste procedure e capire come esse agiscono quando sono indicate e perché non agiscono quando non lo sono, esamineremo una serie di diagnosi sindromiche. Si consideri che come nel caso della terapia farmacologica si sta tentando di correlare l’espressività clinica con il meccanismo patogenetico grazie alla conoscenza del target dei diversi farmaci, lo stesso si può fare con le tecniche neurolesive delle quali si conosce esattamente il target anatomico. Per esempio, sapendo che una procedura neurolesiva agisce ad un certo livello delle vie afferenti e su una particolare classe di fibre nervose, il funzionamento della procedura significa che il meccanismo che sostiene il dolore dipende da quelle fibre e il suo fallimento significa che non dipende da esse. Nevralgia del trigemino Nella nevralgia del trigemino il dolore è dovuto all’attivazione dei terminali centrali delle fibre C (indenni) da parte delle Aβ demielinizzate col meccanismo dell’eccessiva depolarizzazione presinaptica. Interrompendo le fibre C, la termorizotomia controlla il dolore della nevralgia del trigemino perchè blocca le afferenze nocicettive anormali. L’esperienza clinica insegna che anche la neurotomia periferica (dalla neurolisi chimica all’avulsione dei rami periferici del trigemino) può controllare il dolore della nevralgia del trigemino. Questa procedura è efficace perché produce la degenerazione retrograda delle fibre C, attuando, in definitiva, una lesione nervosa analoga a quella da rizotomia. Nonostante questo, a mio parere, la neurotomia dovrebbe essere abbandonata perché invariabilmente avvia i meccanismi che possono condurre al dolore da neuroma. Si tenga presente, infatti, che le lesioni chirurgiche delle radici dei nervi spinali o cranici non coinvolgono il nevrasse mentre quelle distali al ganglio avviano i processi riparativi che producono il neuroma, la degenerazione dei terminali centrali delle fibre C, lo sprounting delle Aβ e l’anormale connessione di queste fibre col secondo neurone nocicettivo non più raggiunto dalle fibre C. In definitiva, per quanto concerne il rischio dell’anestesia dolorosa, la rizotomia è più sicura della neurotomia. Quando, la termorizotomia trigeminale provoca l’anestesia dolorosa, si può ipotizzare che la lesione chirurgica abbia coinvolto oltre alla radice trigeminale anche il ganglio di Gasser e con esso la parte prossimale dell’assone, producendo così un’indesiderata neurotomia e l’avvio degli eventi che portano al dolore da neuroma. Neuropatia trigeminale ed altre neuropatie periferiche dolorose Nelle neuropatie periferiche dolorose e in particolare nella neuropatia trigeminale (da trauma facciale, estrazione dentale, interventi sui turbinati ed altre cause) il danno nervoso è distale al ganglio. Questo danno causa distalmente al ganglio la produzione del neuroma e prossimalmente ad esso la degenerazione delle fibre C e la proliferazione delle Aβ. Si determina così un’importante modifica morfofunzionale della REZ (Root Entry Zone) dove i neuroni nocicettivi sono attivati non 153 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 più dalle fibre C ma dalle Aβ, sia isosegmentali, sia provenienti dai segmenti indenni sopra e sottostanti. In queste condizioni una termolesione della radice retrogasseriana che interessi solo le fibre C, diretta ad ottenere analgesia con minima riduzione della sensibilità tattile, qual è quella indicata nella cura della nevralgia del trigemino, è inefficace perché quelle fibre sono già non funzionanti e l’attivazione degli WDR-n non dipende da esse. Per contro, da una termolesione più profonda, tale da coinvolgere anche le fibre Aβ e procurare riduzione della sensiblità tattile, ci si può attendere il blocco dell’attivazione dei neuroni nocicettivi da parte delle afferenze Aβ isosegmentali ma non di quelle che provengono dai segmenti sopra e sottostanti. E’ verosimile quindi che l’intervento non modifichi il dolore o lo trasferisca sulle zone di confine fra la cute ipoestesica e quella normoestesica. Inoltre, la termolesione più profonda determina la deafferentazione del II neurone e quindi potenzialmente il dolore da deafferentazione. A questo proposito va precisato che mentre in condizioni normali la lesione prossimale al ganglio provoca la deafferentazione ma raramente il dolore da deafferentazione, è possibile che la stessa lesione, sulla base di un precedente dolore da neuroma, con conseguente sovvertimento morfofunzionale della REZ abbia più probabilità di avviare il dolore da deafferentazione. Quindi, nel dolore da neuroma la rizotomia è controindicata: essa o non produce alcun risultato o produce un pain relief che dura finchè s’instaura il dolore da deafferentazione. Nevralgia post-herpetica Nella nevralgia post-herpetica il danno nervoso è in corrispondenza dell’ingresso della radice nel nevrasse e il dolore origina da queste sedi centrali prossimali al target della termorizotomia che quindi non può essere efficace. Radicoloplessopatia lombosacrale e brachiale Trattati con la Cordotomia Cervicale Percutanea, i pazienti con radicoloplessopatia lombosacrale o brachiale ottengono un completo controllo del dolore che può essere definitivo o durare per un certo tempo (di solito mesi) e poi recidivare. Cerchiamo di comprendere perché si ha il controllo del dolore e perché a volte esso recidiva. Nella radicoloplessopatia lombosacrale o brachiale il dolore può essere dovuto alla lesione nervosa distale al ganglio o prossimale al ganglio. Quando è dovuto ad una lesione distale al ganglio (dolore da dismielinosi-neuroma) la Cordotomia controlla il dolore perché agisce interrompendo le afferenze nocicettive nel II neurone ed è ininfluente che esso sia attivato dalle fibre C, come si ha nel dolore nocicettivo, o dalle Aβ come si ha nel dolore da neuroma. Quando il dolore è dovuto ad una lesione prossimale al ganglio (dolore da deafferentazione), la cordotomia può essere efficace finchè la sede della produzione ectopica degli impulsi nervosi è a livello della DREZ perché l’interruzione del fascio spinotalamico è prossimale a quella sede. Pur mantenendosi la completa insensibilità agli stimoli nocicettivi esogeni (analgesia) nel territorio trattato, un certo tempo dopo la Cordotomia il dolore può recidivare per l’instaurarsi di un’elettrogenesi ectopica ad un livello prossimale alla DREZ, nel III o nel IV neurone. Probabilmente è corretto intendere il dolore neuropatico non come un evento stabile ma come un processo in divenire che porta ad una progressiva centralizzazione del meccanismo patogenetico responsabile della nocicezione ectopica. Si ha quindi che quando la nocicezione ectopica origina dal I-II neurone le procedure neurolesive sul I e sul II neurone sono efficaci mentre quando origina dal III-IV neurone non lo sono più. CONCLUSIONI Non sarà sfuggito al lettore che i meccanismi patogenetici fondamentali o molecolari (per lo meno quelli noti) sono riconducibili a pochi modelli essenziali che concerno lo stato di apertura o chiusura dei canali ionici, specialmente quelli del Na, del Ca, del Cl e del K, che determina la 154 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 depolarizzazione della membrana della cellula nervosa e quindi l’avvio di un treno di PTA e con esso l’informazione nocicettiva. Quel che cambia da un tipo patogenetico di dolore all’altro sono il tipo e la sede della lesione che sostiene le modifiche dello stato di apertura-chiusura dei canali ionici. Si può dedurre da questo che alcuni farmaci dovrebbero agire su tutti i tipi patogenetici di dolore: per esempio, la somministrazione e.v. di lidocaina (che blocca i canali del Na) dovrebbe essere efficace sia nel dolore neuropatico, sia nel dolore tessutale. Di fatto, già molti anni fa è stato dimostrato che questo farmaco è efficace nel dolore post-operatorio [Bartlett e Hutaserani 1961] che è chiaramente tessutale e nocicettivo ma le dosi di farmaco necessarie espongono a probabili effetti tossici: per questa indicazione è preferibile che il mezzo per contrastare la nocicezione sia scelto fra quelli che agiscono prima dell’apertura dei canali del Na. Quindi gli inibitori della sintesi delle prostaglandine (i FANS) sono più convenienti della lidocaina. Per finire, è stata mia intenzione cercare d’illustrare il metodo di ragionamento per decidere la scelta terapeutica nel trattamento del dolore: è chiaro che questa breve nota è ben lontana dall’essere una trattazione sistematica sull’argomento. Molte situazioni sono state soltanto accennate ed altre non sono state affrontate per niente: per esempio, non s’è discusso quando scegliere l’una o l’altra via di somministrazione dei farmaci, non si sono affrontate le scelte terapeutiche nel dolore da patologia primaria vascolare, non s’è parlato dell’uso della morfina nel dolore neuropatico e tanti altri importanti argomenti non sono state affatto discussi. Quel che più mi premeva era di sottolineare che la maggior parte dei farmaci utili nel dolore nocicettivo non sono indicati nel dolore neuropatico (per esempio sono inutili i FANS e la morfina nella nevralgia del trigemino), che viceversa quelli utili per il dolore neuropatico non sono indicati per il dolore nocicettivo (per esempio, è discutibile l’uso del gabapentin nella sciatica in fase acuta dove il meccanismo patogenetico è riconducibile al nerve trunk pain) e che le procedure neurolesive sono più utili nel dolore tessutale nocicettivo ma non possono essere scartate a priori in tutti i dolori neuropatici (ricordiamoci della nevralgia del trigemino e delle radicoloplessopatie lombosacrali e brachiali dei pazienti neoplastici). BIBLIOGRAFIA 1. Bartlett E.E., Hutaserani O. Xylocaine for the relief of postoperative pain. Anesth.Analg., 40 (1961) 296-304 2. Baumgartner U., Magerl W., Klein T., Hopf H.C., Treede R.D. Neurogenic hyperalgesia versus painful hypoalgesia: two distinct mechanisms of neuropathic pain. Pain, 96 (2002) 141-151 3. Jensen T.S. and Baron R. Translation of symptoms and signs into mechanisms in neuropathic pain. Pain, 102 (2003) 1-8 4. Orlandini G. Elementi di fisiopatologia del dolore. In Orlandini G.(Ed.) La semeiotica del dolore. I presupposti teorici e la pratica clinica. Manuale d’uso pluridisciplinare. A.Delfino Editore, Roma, 2005 (a), pp.31-150 5. Orlandini G. La terza tappa dell’epicrisi: diagnosi patogenetica. In Orlandini G.(Ed.) La semeiotica del dolore. I presupposti teorici e la pratica clinica. Manuale d’uso pluridisciplinare. A.Delfino Editore, Roma, 2005 (b), pp.443-453 6. Rowbotham M.C. and Fields H.L. Post-herpetic neuralgia: the relation of pain complaint, sensory disturbance, and skin temperature. Pain, 39 (1989) 129-144 7. Rowbotham M.C. Petersen K.L., Fields H.L. Is postherpetic nevralgia more than one disorder? Pain Forum, 7 (1998) 231-237 8. Sindou M. Comment of the paper by Holsheimer: J. Effectiveness of spinal cord stimulation in the management of chronic pain: analysis of technical drawbacks and solutions. Neurosurgery, 40 (1997) 990-996 9. World Health Organization Cancer Pain Relief. WHO, Geneva 1986 10. World Health Organization. Cancer pain relief: with a guide to opioid availability. 2nd edition. WHO, Geneva 1996 155 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La partoanalgesia in Italia: indagine conoscitiva per un programma organizzato…superando le disuguaglianze A. PAOLICCHI CON LA COLLABORAZIONE DEL CONSIGLIO DIRETTIVO S.I.A.R.E.D. IV UO Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana Un particolare ringraziamento al Presidente Prof. G. Marrano e al prezioso collaboratore Dott. C. Spada Il parto e il travaglio pur essendo eventi fisiologici, rappresentano un’esperienza dolorosa di elevata entità, alla quale non è legato alcun beneficio per il feto e la madre. Questo dolore può essere controllato. Studi dimostrano, oltretutto, che l’analgesia nel travaglio di parto determina riduzione delle richieste metaboliche ed aumento della perfusione placentare con ovvi benefici sull’omeostasi materno fetale. Nel nostro paese, il diritto delle donne a poter scegliere come partorire, pur essendo varato da alcuni anni “L’ospedale senza dolore”, è un obiettivo ancora non completamente realizzato, incontrando ostacoli di varia natura. Resistenze culturali, scarsa conoscenza della metodica, timore d’interferenze della dinamica fisiologica del parto con conseguenze sul benessere materno fetale, tendenza a sottovalutare le richieste della donna, difficoltà organizzative ed economiche costituiscono limiti alla diffusione della analgesia del parto. In Italia si registra, inoltre, un grosso problema: l’incidenza di tagli cesarei rappresenta circa il 35% sul totale dei parti, con punte in alcune regioni del 50% ed oltre. Siamo ben lontani dalla soglia del 15%, proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche se ormai è condivisa la sua non applicabilità agli standard occidentali. Indagini effettuate negli ultimi anni evidenziano, anzi, nel nostro paese, un trend in aumento ed oggi siamo al primo posto in Europa per parti cesarei. Nel 2003 un gruppo di studio istituito dal Ministero delle Pari Opportunità d’intesa con il Ministero della Salute evidenziò la necessità di un cambiamento di rotta per “Troppi cesarei e troppo pochi parti indolore” nelle nostre ostetricie. E’ proprio di questi giorni la pubblicazione di un’indagine indagine multiscopo Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, a cura dell'Istat che evidenzia come l’evento nascita sia sempre più medicalmente assistito nel nostro Paese, una scelta non sempre motivata dalle condizioni di salute di madre e feto. L’indagine rivela, inoltre, una serie di diversità tra le regioni, che diventano, in certi casi, ingiustizie. Per contrastare il ricorso “eccessivo” al parto cesareo, è necessario un “sostegno al parto sicuro, senza dolore e naturale” ha dichiarato il Ministro della Sanità, Livia Turco, aggiungendo inoltre che “ridurre l’inappropriatezza vuol dire anche eliminare spese sbagliate che tolgono risorse alla buona sanità”. La diffusione del parto senza dolore può contribuire ad invertire la tendenza al parto cesareo? Inoltre, il diritto delle donne a partorire senza dolore è veramente applicato ed esteso a tutto il territorio nazionale o è un optional offerto ad un limitato numero di partorienti in alcune aree geografiche o in alcune strutture? Sicuramente siamo lontani anni luce dagli Usa dove sono utilizzati sistemi che permettono alla paziente di dosare autonomamente l’intensità dell’analgesia durante il travaglio. Senza dubbio, la mancanza di codifica con un DRG specifico per la partoanalgesia condiziona la distribuzione delle risorse in questo campo, con possibilità di differente sviluppo tra le strutture sanitarie. L’epidurale fino ad oggi non rientra nell’elenco delle prestazioni gratuite che “devono” essere garantite per legge in tutti i centri maternità pubblici. Un ulteriore ostacolo alla diffusione più ampia di programmi organizzati per la partoanalgesia è costituito dalla carenza di anestesisti negli ospedali italiani e dalla difficoltà della loro assunzione; il Piano Sanitario Nazionale ed il progetto obiettivo Materno Infantile (1998-2000) sono stati largamente disattesi su gran parte del territorio nazionale. In conseguenza di questa situazione solo in alcuni centri si rileva la presenza di anestesisti cosiddetti «dedicati », cioè assegnati esclusivamente a quel servizio 24 ore su 24 ed i modelli organizzativi, consolidati in termini di 156 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 efficacia ed efficienza, non sono così diffusi in ambito nazionale, determinando disomogeneità e rischio di utilizzo non ottimale delle risorse. Il risultato di tutto questo è il non soddisfacimento delle richieste della donna ed una profonda difformità di trattamento. Per le considerazioni sopraesposte, per il coinvolgimento, come professionisti, all’evento nascita, nelle scelte della donna di come partorire, per il ruolo primario nel trattamento del dolore, anche quello del parto, pur consapevoli che l’analgesia epidurale costituisce una delle offerte possibili all’interno di un ventaglio di proposte, abbiamo sentito la necessità effettuare un’indagine conoscitiva sullo stato dell’analgesia del parto, attraverso il coinvolgimento degli anestesisti che quotidianamente lavorano nell’area ostetrica. La Società Italiana Anestesia, Rianimazione, Emergenza, Dolore (S.I.A.R.E.D.) è stata il motore trainante dell’indagine-studio che ha preso avvio agli inizi del 2006, attraverso l’elaborazione di un questionario che successivamente è stato somministrato a cura delle Sedi Regionali S.I.A.R.E.D. – A.A.R.O.I., con la collaborazione attiva dei Delegati Scientifici, che hanno garantito un contributo decisivo alla diffusione e raccolta del questionario. Il lavoro è stato impegnativo; grazie ad un’azione capillare ed alla collaborazione degli anestesisti che lavorano nelle ostetricie degli ospedali italiani, si è effettuata una mappa della situazione nel nostro paese, attraverso la compilazione di un questionario per ogni ospedale Questo studio, del quale si presentano i dati preliminari, non entra in merito all’appropriatezza clinica della partoanalgesia, per la quale si rimanda a linee guida e raccomandazioni, ma ha l’obiettivo di fotografare la situazione attuale con il fine di portare un contributo alla promozione della partoanalgesia, affinché un progetto per il parto senza dolore si sviluppi in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Materiali e Metodi L’indagine è stata effettuata attraverso un questionario, diffuso nelle realtà regionali, da parte dei Delegati Scientifici, rappresentanti della S.I.A.R.E.D. nelle singole regioni. In alcune regioni il contributo dei Presidenti Regionali A.A.R.O.I. ha supportato in maniera determinante l’iniziativa. Il questionario (in allegato), include una parte per la presentazione del progetto, uno spazio per i dati personali dell’anestesista responsabile della compilazione (campo facoltativo), l’identificazione e le caratteristiche dell’Ospedale oggetto dell’indagine. Inoltre presenta 19 domande (15 a risposta multipla e 4 numeriche libere) che hanno lo scopo di conoscere le caratteristiche della struttura: il numero dei parti, la percentuale di cesarei effettuati, l’eventuale introduzione di metodiche di umanizzazione, compresa la partoanalgesia, con specifiche sull’organizzazione del servizio ed i risultati conseguiti. Completa il quadro delle informazioni richieste la conoscenza del valore economico della propria regione di alcune tipologie di prestazioni collegate al parto (DRG specifici). I questionari pervenuti, suddivisi per regione, sono archiviati ed elaborati tramite Microsoft Excel di Windows. Risultati Sono pervenuti, al 31 Maggio 2006, 384 questionari regolarmente compilati, corrispondenti ad un numero equivalente di Ospedali italiani. Questi provengono da tutte le regioni (ad eccezione della regione Lazio) e rappresentano 127 Ospedali del Nord Italia (Piemonte -Valle d’Aosta 48 Ospedali, Lombardia 17, Trentino Alto Adige 11, Friuli Venezia Giulia 18, Veneto 27, Liguria 6 Ospedali), 106 Ospedali del Centro Italia (Emilia Romagna 24 Ospedali, Toscana 27, Umbria 16, Marche 16, Abruzzo 21, Molise 2 Ospedali) e 151 Ospedali del Sud Italia e delle Isole (Campania 32 Ospedali, Basilicata 13, Puglia 14, Calabria 3, Sardegna 46, Sicilia 43 Ospedali ). 157 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’analisi dei dati pervenuti evidenzia come l’indagine coinvolga differenti tipologie di Ospedali, in base numero di posti letto: meno di 300 posti letto nel 61% del totale, tra 300 e 600 posti letto nel 24%, tra 600 e 1000 nel 10% e Ospedali con oltre 1000 posti letto nel 5%. La distribuzione geografica dei piccoli Ospedali (meno di 300 posti letto) prevale nel Sud Italia con il 44%, mentre nelle regioni del Nord e del Centro la percentuale si aggira tra il 30% ed il 25%. L’indagine è effettuata prevalentemente presso strutture pubbliche, appartenenti ad Aziende Sanitarie Locali (66%), Aziende Ospedaliere (20%) e Aziende miste Ospedaliere – Universitarie (7%); il privato convenzionato rappresenta il 6% del nostro campione, altre strutture costituiscono dati esigui. Dei 384 questionari analizzati, l’82% corrisponde ad Ospedali con punto nascita, pari a 318 punti nascita, rappresentando quindi un’ampia indagine conoscitiva. Distribuzione geografica dei 318 punti nascita: 101 Nord Italia, 95 Centro Italia, 122 Sud Italia ed Isole. Numero dei parti effettuati nei punti nascita dell’indagine (domanda a risposta multipla): meno di 500 parti per anno nel 29% delle strutture, tra 500 e 1000 parti per anno nel 36%, la quota sale tra 1000 e 1500 nel 20%, oltre 1500 parti per anno nel 15%. Il maggior numero dei punti nascita dell’indagine garantisce tra 500 e 1000 parti anno. Minor numero di parti per anno (<500) avviene frequentemente in Ospedali di più piccole dimensioni: 55% dei punti nascita con meno di 500 parti anno si trova in ospedali con meno di 300 posti letto. Percentuale di parti cesarei rispetto al numero dei parti per anno (domanda a risposta multipla): maggiore del 30% nel 59,5% delle ostetricie, il 27,5% delle quali effettua oltre il 40% dei parti cesarei. Solamente il 6% delle strutture riferisce il ricorso al cesareo in meno del 20% dei parti, mentre il 34,5% ricorre al cesareo tra il 20 ed il 30% rispetto al numero dei parti. Da notare che il ricorso al cesareo sale al diminuire del numero dei parti effettuati dalla struttura (Tabella 1) Numero Parti Cesarei >40% Anno <500 39% 500-1000 23,5% 1000-1500 21,5% >1500 22% Tabella 1 Cesarei tra 30 e Totale 40% >30% 38% 77% 34% 57,5% 27,5% 49% 20% 42% Cesarei Sono soprattutto le donne del sud a ricorrere al cesareo, infatti, dei 122 punti nascita del sud ed isole 74 denunciano una percentuale superiore al 40% di parti cesarei, pari al 60%, (con il picchi in Campania e Basilicata) mentre il nord ed il centro si comportano in maniera più virtuosa (3% e 9% rispettivamente). Organizzazione dell’attività anestesiologica nei punti nascita; dall’indagine emerge come il 64% degli ospedali faccia fronte all’attività notturna e festiva con la guardia anestesiologica per tutta l’area chirurgica, compresa l’ostetricia. La guardia dedicata esclusivamente all’ostetricia è attiva in 30 punti nascita (9%), e si effettua in 18 ospedali con più di 1500 parti anno, in 7 ospedali tra 1000 e 1500 e 5 tra 500-1000 parti anno. La presenza del punto nascita non ha comportato l’attivazione della guardia in 75 ospedali dell’indagine pari al 24%; se molto è stato fatto, ancora non abbiamo messo in sicurezza tutti i punti nascita. Metodiche di umanizzazione del parto sono completamente assenti nel 44% degli Ospedali oggetto dell’indagine. La partoanalgesia costituisce la metodica di umanizzazione più introdotta (42%), seguita da parto dolce e parto in acqua (23%), il parto extraospedaliero è un evento raro. 158 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Effettuare la partoanalgesia non significa, però, essere in grado di offrirla sempre, molto spesso questa metodica è sottoposta a limiti; infatti meno della metà degli ospedali che la promuovono, riescono a garantirla 24 ore su 24. Più spesso limiti organizzativi ostacolano l’offerta (43 ospedali), o questa avviene solo saltuariamente, forse quando è presente l’anestesista esperto (39 ospedali), o il parto senza dolore viene effettuato esclusivamente di giorno (5 ospedali) o su patologia accertata dal ginecologo(13 ospedali). Dall’indagine comunque emerge che se, l’offerta della partoanalgesia, in teoria, avviene in meno della metà dei punti nascita, di fatto, solo il 19% delle ostetricie italiane riescono a garantirla sempre. La distribuzione geografica dell’erogazione del servizio 24 ore su 24 risulta notevolmente concentrata al nord con il 30% (30 su 101 punti nascita), segue il centro con il 15% (14 su 95 punti nascita) al sud, pur presentando il maggior numero di punti nascita, il servizio è effettuato nel 12% (15 ospedali su 122). Sulla percentuale media d’effettuazione della metodica partoanalgesia, rispetto al numero dei parti naturali del 14,9% grava una notevole deviazione standard, tanto da rendere il dato non significativo ai fini dell’indagine. Analizzando in dettaglio i diversi modelli organizzativi, possiamo comprendere meglio la realtà italiana. - Quando la partoanalgesia è garantita come servizio “24 ore su 24”, assicura il 28% di parti rispetto al numero totale dei parti naturali, soddisfacendo ovviamente la domanda. - Quando la partoanalgesia è effettuata “saltuariamente” garantisce il 4,7 % dei parti naturali, non soddisfacendo la domanda. - La partoanalgesia sottoposta a “limiti organizzativi” riscontra un’applicazione in meno del 10% dei parti naturali; anche in questo caso il rapporto tra domanda ed offerta non risulta completamente soddisfatto (nell’88% dei casi). - La possibilità d’offerta “esclusivamente diurna” (solo 5 Ospedali del campione) migliora in parte il servizio, rilevando una percentuale d’applicazione del 21,4%, con maggiori opportunità d’erogazione. - L’applicazione della metodica su “patologia accertata dal ginecologo” è un evento raro, 2,8%. L’offerta della partoanalgesia 24 h è soprattutto a vantaggio dei centri che garantiscono un maggior numero di prestazioni (19 dei 45 punti nascita con oltre 1500 parti anno), ma dobbiamo considerare che il sevizio attualmente non è attivo in oltre la metà dei centri caratterizzati da elevata attività. Parallelamente al diminuire del numero dei parti diminuisce l’offerta (26%, 15% 7%, rispettivamente nei punti nascita con 1500-1000, 500-1000 e meno di 500 parti per anno). La modalità di erogazione avviene principalmente in regime istituzionale o convenzione senza alcun costo per l’utenza (59%), mentre il 30% delle ostetricie effettua la prestazione esclusivamente a pagamento individuale o in equipe. Raramente esistono progetti aziendali specifici senza costo per l’utenza. Alla miglior organizzazione del servizio (24 ore su 24) corrisponde il sistema istituzionalizzato (73%), senza costo per l’utenza, più raramente il sistema libero professionale (17%). All’occasionalità dell’offerta il rapporto si inverte (56% con un costo per l’utenza, mentre nel 31% è garantita istituzionalmente). E’ scarsamente sperimentata una attività incentivante per la partoanalgesia, riferita dal 16%, di solito elusivamente a favore dell’anestesista, ancor più raramente per l’ostetrica o il team Quando si effettua la partoanalgesia, l’anestesista non è impegnabile in altre attività, talvolta è supportato anche dall’ostetrica o raramente è l’ostetrica da sola a controllare la donna in analgesia. (18%). Qual è il nostro rapporto con la donna da sottoporre a partoanalgesia? E’ sempre effettuata una visita preventiva ed è redatta cartella per verificare l’idoneità alla procedura? Al 63% di risposte affermative, fa riscontro, il 26 % in cui la valutazione prima della procedura viene raramente effettuata e l' 11% in cui non viene mai effettuata, suggerendo la necessità di migliorare qualità e sicurezza del nostro lavoro. 159 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Soprattutto quando il servizio è offerto 24 ore su 24, la sua erogazione è organizzata secondo criteri di qualità e sicurezza (nel 79% di questo modello si effettuano visite preventive). Il valore economico del DRG del parto varia da regione a regione; a partire dai 729 Euro della regione Emilia Romagna ai 1517 Euro della regione Piemonte, fino ai 2844 Euro della regione Puglia previsti per il parto vaginale senza complicanze. La situazione è analoga per i codici che prevedono parti vaginali complicati o parti cesarei. In un panorama nazionale veramente difforme nelle diverse regioni si registra scarsa conoscenza della problematica da parte degli anestesisti. Conclusioni: L’evento nascita è ancora in gran parte affidato ad ostetricie che non superano i 500 parti anno, limite che diminuisce le garanzie di sicurezza per la minor esperienza degli operatori, per gli organici scarsi; tale situazione si presenta nel 29% dei punti nascita dell’indagine. Spesso si tratta di ospedali di piccole dimensioni come confermato dal rapporto posti letto e numero di parti (infatti il 55% dei punti nascita con meno di 500 parti anno si trova in ospedali con meno di 300 posti letto). Conforta il fatto che maggior numero di parti avviene in strutture che garantiscono un’attività ostetrica compresa tra 500 e 1000 parti anno (36% del campione). Purtroppo la nostra indagine conferma quanto evidenziato dalle recenti ricerche in termini di ricorso a cesarei: la percentuale più alta di cesarei (>30%) si ha nel 60% delle ostetricie italiane, delle quali 27,5% ne effettua oltre il 40%. Siamo ben lontani dalla quota 15% proposta dall’OMS. L’estrema parcellizzazione dei punti nascita che si verifica nel nostro territorio, facilita il numero dei tagli cesarei, infatti, l’incidenza maggiore di parti cesarei si ha nell’77% dei punti nascita con ridotto numero di parti anno, evidenziando la più alta percentuale di cesarei nel 39% di questi, contro il 50% della media degli altri ospedali. Nella recente indagine Istat Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, (già citata) rivela un ricorso al parto cesareo pari al 35,2% nell'anno 2004-2005 rispetto ad una media nazionale che si attestava sul 29,9% nell'anno 1999-2000. Il numero dei cesarei è altissimo non solo oltre i 40 anni (52,2%), ma già intorno ai 30 (36,6%). Sono soprattutto le donne del sud a ricorrere al cesareo, ben il 45,4%, secondo l’indagine Istat confermata dai risultati della nostra indagine: nei 122 punti nascita del sud ed isole, il 60% denunciano una percentuale superiore al 40% di parti cesarei (con i picchi massimi in Campania e Basilicata) mentre al nord ed al centro la situazione è migliore. L’umanizzazione delle nascite è interesse sociale, ma questo obiettivo ancora non si è realizzato nel nostro paese. L’indagine conferma come l’analgesia epidurale sia la metodica più introdotta per l’umanizzazione del parto (42% dei punti nascita), ma di fatto ristretta ad un limitato numero di ospedali italiani (19% dei punti nascita) e riguarda la minoranza delle nascite spontanee. Dall’ indagine emerge che solo una donna su quattro sceglie l’ epidurale per il parto, nei centri dove il servizio di partoanalgesia è presente 24 ore su 24, confermando l’esistenza di problemi ideologici sia da parte della partoriente che delle altre figure professionali che partecipano all’ evento nascita. Oltre alla ridotta domanda si riscontra una difformità di offerta conseguenza dei diversi modelli organizzativi di partoanalgesia che, di fatto, sono “attivi”più sulla carta che come reale servizio offerto alle partorienti. Il servizio di partoanalgesia deve essere istituzionale, gratuito, con copertura 24 ore su 24, rivolto a tutte le donne che afferiscono alla struttura. La dispersione territoriale dei parti è uno dei motivi che giustificano la scarsa diffusione della partoanalgesia. Necessità di una codifica nazionale della metodica ed inserimento dell’epidurale nei Livelli Essenziali di Assistenza possono favorire la sua implementazione. 160 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Gentile Collega, il questionario di seguito proposto, ha l’obiettivo di conoscere lo stato dell’analgesia del parto in Italia, attraverso una indagine rivolta agli anestesisti. Il tema è quanto mai attuale dal momento che anche dal punto di vista legislativo si registra una concreta risposta alla domanda di umanizzazione del percorso nascita prevedendo il diritto delle donne a partorire senza dolore (Pdl: Norme per la tutela dei diritti della partoriente, la promozione del parto fisiologico e la salvaguardia della salute del neonato” A.C. 193 XII Commissione 20/01/2005). Nel nostro paese questo diritto è esteso a tutto il territorio nazionale o ci stiamo organizzando per diffondere l’offerta di analgesia nel parto o piuttosto costituisce un optional offerto ad un numero limitato di partorienti di alcune aree geografiche? La problematica presenta alcuni punti critici su cui riflettere: - la mancanza di codifica con un DRG specifico per tale metodica, condiziona la distribuzione delle risorse trovando poco spazio in tale settore, - la carenza di anestesisti negli ospedali: ostacolo alla diffusione più ampia della partoanalgesia - la difficoltà alla diffusione di modelli organizzativi consolidati in termini di efficacia, ed efficienza, la disomogeneità sul territorio nazionale di percorsi programmati per rispondere alla domanda - l’esperienza e l’addestramento del personale a tale tematica - la limitata richiesta di partoanalgesia per scarsa informazione dell’utenza, in alternativa al cesareo La situazione è diversa tra strutture pubbliche e private? Nel 2003 un gruppo di studio istituito dal Ministero delle Pari Opportunità, d'intesa col Ministero della Salute, in seguito ad una indagine nei punti nascita italiani, ha evidenziato la necessità di un cambiamento di rotta per “troppi parti cesarei, troppo pochi parti indolori”. A fronte di una richiesta di umanizzazione del percorso nascita c'e' il dilagare dei parti cesarei, che in Italia rappresentano il 30%, con punte, in alcune regioni del 50 e del 60%. La compilazione del questionario richiederà solo pochi minuti; scopo di questa indagine, oltre a fotografare la situazione attuale, è promuovere la diffusione della partoanalgesia in tutto il territorio italiano, per rispondere al diritto di ogni donna di partorire senza dolore. Ringraziamo fin d’ora del tuo contributo a rendere più efficace l’iniziativa. La diffusione e la raccolta del questionario avviene a cura del Delegato Scientifico della tua regione, grazie della collaborazione Consiglio Direttivo SIARED – Commissione AAROI Partoanalgesia Regione di appartenenza…………………………….. Ospedale/ Casa di cura…………………………………………………Prov………… 1. Numero posti letto del tuo Ospedale: □ < 300 □ 300-600 □ 600-1000 □ >1000 2. Tipologia di Ospedale: □ Azienda ospedaliera □ Azienda sanitaria locale □ Azienda Ospedaliero –Universitaria □ Istituto ricerca □ Privato convenzionato □ Privato non convenzionato □ Altro 3. Punto nascita □ Si □ No (se no non procedere oltre col questionario) 4. Numero parti anno nel tuo Ospedale: □ < 500 □ 500-1000 □ 1000- 1500 □ >1500 5. Percentuale parti cesarei sul numero totale parti anno nel tuo Ospedale: □ < 20% □ 20-30% □ 30- 40% □ > 40% 161 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 6. Nel tuo Ospedale esiste: □ Guardia anestesiologica dedicata esclusivamente all’ostetricia □ Reperibilità anestesiologica esclusiva per ostetricia □ Guardia anestesiologica attiva per tutta l’area chirurgica compresa l’ostetricia □ Reperibilità anestesiologica con esperto per tutta l’area chirurgica compresa l’ostetricia 7. Nel tuo Ospedale sono state introdotte metodiche di umanizzazione del parto: □ No □ Parto dolce e/o Parto in acqua □ Parto extraospedaliero ( a casa o casa-parto) □ Partoanalgesia □ Altro 8. Nel tuo ospedale è assicurata la presenza del Mediatore Interculturale che svolge un ruolo educativo-sociale e collabora con l’equipe per favorire l’umanizzazione del parto? □ Si, in seguito a questioni legali (richiesta del reparto o della paziente) □ Si a richiesta della paziente a titolo informativo □ Si sempre □ No 9. Nel tuo Ospedale viene offerta la partoanalgesia? □ Si sempre (24h) □ Si sempre esclusivamente di giorno (12h) □ Si con previsti limiti organizzativi □ Si saltuariamente □ Su patologia accertata dal ginecologo □ No(se no non procedere oltre col questionario) 10. Indica la percentuale in cui viene effettuata la partoanalgesia rispetto al numero dei parti naturali nel tuo Ospedale? ………………………………………………….. 11. La domanda di partoanalgesia viene soddisfatta nel tuo ospedale? □ Si sempre □ Si in parte □ No 12. Principale modalità di erogazione del servizio: □ Istituzionale o convenzione senza alcun costo per l’utenza □ Regime libero professionale individuale □ Regime libero professionale intramoenia d’equipe dedicata □ Regime libero professionale intramoenia d’equipe □ Progetto specifico aziendale di attività incentivata senza alcun costo per l’utenza □ Altro 13. Se esiste il un progetto incentivato per la partoanalgesia questo coinvolge? □ esclusivamente il Medico Anestesista □ esclusivamente l’Ostetrica ed il ginecologo □ coinvolge tutto il team 14. Chi controlla la partoriente in analgesia nel tuo Ospedale? □ Anestesista non impegnabile in altre attività □ Medico ostetrico-ginecologo □ Ostetrica □ Altro 15. Nel tuo ospedale l’anestesista effettua, ad adeguata distanza dal travaglio, una visita preventiva con redazione di cartella atta alla verifica dell’idoneità della gestante ed all’illustrazione della tecnica della analgesia peridurale ? □ Mai □ Raramente □ Circa nella metà delle pazienti □ Sempre 16. Valore economico DRG del parto vaginale senza complicanze nella tua regione: € ……………… 17. Valore economico DRG del parto vaginale complicato nella tua regione : € ……………… 18. Valore economico DRG del parto cesareo nella tua regione: € …………………. 19. Nella tua regione è previsto un incremento del DRG per la partanalgesia con tecnica peridurale? □ No □ Si (specificare…………………………) □ Non so Dati personali (facoltativo )Nome Cognome ………………………………………………………….. Età…………… 162 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il trapianto d’organi. Il donatore d’organi: generalità P. PETTINAO Azienda Ospedaliera “G. Brotzu”, Cagliari Premessa Il trapianto d’organi a scopo terapeutico è una pratica ormai consolidata, fondata su basi scientifiche assolutamente certe e sicure. Esso rappresenta il terminale di un processo integrato, complesso, multidisciplinare, che si definisce come “Processo di Donazione-Trapianto”. Come si sa la donazione d’organi –o di tessuti- può provenire da due tipi di donatori: donatore vivente e donatore cadavere. A sua volta il donatore cadavere può appartenere a due categorie: cadavere a cuore fermo e cadavere a cuore battente. In questa breve relazione si farà riferimento esclusivamente al donatore cadavere a cuore battente. La Morte La premessa indispensabile perché si possa parlare di prelievo d’organi a scopo di trapianto è rappresentata dalla identificazione puntuale e dalla comprensione concettuale e scientifica, nonché dall’accettazione etica, della Morte Encefalica (ME), anche se, in realtà, si deve parlare solo di Morte, e basta, ossia senza alcuna aggettivazione, che in qualche modo ne alteri il significato, in quanto la morte è uno stato, per così dire, assoluto ed immodificabile, e che, in quanto tale, non ammette limitazioni o modulazioni di alcun genere. Esiste pertanto una sola morte, anche se essa può verificarsi con diverse modalità. E’ del tutto evidente a questo punto come sia necessario rispondere alla domanda: “ che cosa è la morte?” Nel tempo la risposta a tale domanda ha subito varie evoluzioni, partendo dalla definizione di coma depasseè, coniata da Mollaret e Goulon nel 1959, per finire all’accezione moderna, di whole brain death, ossia morte totale dell’encefalo, tronco incluso. Al riguardo è interessante ricordare la definizione che in merito hanno dato, circa 30 anni fa, due neurologi, Plum e Posner, i quali , in una loro mirabile pubblicazione, così si esprimono: “La morte encefalica è la conseguenza di una lesione encefalica irreversibile e di gravità tale che l’organo non è più in grado di mantenere l’omeostasi interna, vale a dire le funzioni respiratoria, cardiocircolatoria, renale, metabolica, ecc”. E per quanto quest’ultima sia certamente una definizione datata, essa purtuttavia può essere ancora ritenuta valida, se è vero che la legge 578 del 1993, che disciplina giuridicamente la materia, così recita all’art. 1 (definizione di morte): “La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”, ribadendo in questo modo il già citato concetto di whole brain death (encefalo = cervello + tronco, ossia tutto il contenuto della scatola cranica). La base anatomo-patologica della morte encefalica è la necrosi colliquativa appunto di tutto il contenuto della scatola cranica. La base fisiopatologia è a sua volta rappresentata dall’azzeramento della Pressione di Perfusione Cerebrale (PPC), secondo la seguente espressione: PPC = PAM – PIC In cui PAM = Pressione Arteriosa Media e PIC = Pressione Intra-Cranica Normalmente il valore della PPC è uguale a 60-90 mmHg; quando tale valore, per cause varie (trauma cranico, ictus, ascessi, tumori, ecc.) si abbassa fino ad avvicinarsi allo 0, si assiste ad una conseguente riduzione del Flusso Ematico Cerebrale (FEC). L’encefalo risponde infatti in maniera abbastanza stereotipata alle varie noxae patogene sopra elencate: esso infatti tende a rigonfiarsi – sviluppando cioè edema- e quindi ad aumentare di volume; e siccome tale rigonfiamento si verifica in un ambiente rigido (la scatola cranica), per una elementare legge fisica, tale aumento di volume si traduce in un aumento di pressione, ossia in un aumento della PIC, e di conseguenza, in base all’espressione precedente, in una riduzione del FEC. In ultima analisi si manifesta un quadro di 163 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 ischemia cerebrale; quando tale ischemia interessa il tronco, il che avviene dopo un periodo variabile dai 20 ai 30 m’ dall’inizio del processo, compaiono delle manifestazioni fisiopatologiche caratteristiche, definite “tempesta vegetativa” o “autonomic storm” . Tali manifestazioni, che sono comunque un fenomeno pre-mortale, sono caratterizzate fondamentalmente da una imponente attivazione dell’asse ipofisi-surrene, con conseguente massiva increzione di catecolamine, alla quale fa seguito una fase di esaurimento. Il Processo Donazione-Trapianto rappresenta, come è stato detto poco fa, un processo integrato, complesso e multidisciplinare, che vede impegnati numerosi specialisti, tra i quali un ruolo preponderante è svolto dall’anestesista-rianimatore. Tale processo parte dalla società in quanto il donatore, paziente venuto a morte, è stato sottratto alla società, e ad essa ritorna in quanto il ricevente, guarito dopo il trapianto, viene restituito alla sua dignità personale, esistenziale, familiare, in una parola sociale. Il donatore-cadavere Chi è il potenziale donatore? La risposta è semplice: è ogni soggetto in cui sia stata fatta diagnosi di morte encefalica a seguito di lesioni primitive o secondarie a carico dell’encefalo, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, esclusi i soggetti nei quali vi siano delle controindicazioni assolute alla donazione La diagnosi di ME rappresenta, per le strutture ospedaliere pubbliche, un compito clinico, ha un valore etico intrinseco e costituisce un obbligo legale. Il compito clinico è riassunto in un concetto semplice ma allo stesso tempo perentorio: l’obbligo di effettuare la diagnosi clinica e strumentale di morte, secondo quanto previsto e analiticamente indicato dalla normativa vigente, segnatamente la L 578/93 ed il DL 583/94, ricordando che tale diagnosi deve seguire un metodo rigoroso, puntuale, ripetibile ed immutabile. L’aspetto etico rappresenta un campo difficile, dalle molte sfaccettature, considerando che siamo di fronte ad una situazione estremamente drammatica, quale è la morte, in cui prevalgono momenti di irrazionalità, incredulità, rabbia, frustrazione, angoscia e quant’altro; in cui assume un valore fondamentale il momento della comunicazione, campo di difficile approccio, ma in cui, con impegno, umiltà e disponibilità da parte del personale dedito all’assistenza, è possibile instaurare, con i parenti del morto, una sorta di alleanza terapeutica, cementata proprio dalla richiesta della donazione. L’obbligo legale scaturisce direttamente, come già detto, dalla legislazione vigente la quale, nelle sue varie articolazioni, impone, in maniera perentoria, inderogabile ed indiscutibile che, in presenza di un individuo che si trovi nello stato di ME, vengano messe in atto tutte le procedure dirette ad accertare la morte. A seguito di tale accertamento, e solo a seguito di ciò, si possono predisporre gli aspetti organizzativi atti a valutare la possibilità di innescare il già citato processo donazione-trapianto. Per concludere quest’ultimo aspetto, occorre ricordare che il momento della morte coincide con l’inizio dell’esistenza simultanea delle condizioni previste dal comma 1, art 2, legge 578/93, ossia: - mancanza della coscienza, - assenza dei riflessi del tronco e del respiro spontaneo, - silenzio elettrico cerebrale all’EEG. Sono proprio queste le condizioni che impongono l’attivazione delle procedure poco prima elencate. Processo donazione-trapianto L’identificazione del potenziale donatore rappresenta una delle più difficili ma allo stesso tempo più esaltanti sfide cliniche che una struttura ospedaliera possa affrontare, e ciò è vero 164 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 soprattutto per l’anestesista-rianimatore e per il coordinatore locale ai prelievi ed ai trapianti. Perchè tale attività possa procedere in maniera corretta, è necessario innanzi tutto monitorizzare tutti i pazienti ricoverati nelle terapie intensive, che presentino una lesione cerebrale severa, sia essa primitiva (trauma cranico, emorragia cerebrale, tumori primitivi, ecc.) o secondaria (coma postanossico). Una volta che si verifichi uno stato di ME, va attivato il già citato processo di donazionetrapianto, il quale, sommariamente prevede le seguenti tappe: - diagnosi di morte, - accertamento della stessa secondo le norme di legge, - comunicazione della morte ai parenti, - richiesta della donazione, - valutazione dell’idoneità del soggetto deceduto in quanto donatore e dell’idoneità dei singoli organi, - mantenimento del donatore, - espletamento delle procedure medico legali ed organizzative, - prelievo degli organi ed eventualmente dei tessuti - trapianto. Fattori di rischio Tra i compiti da assolvere, certamente uno dei più sensibili è rappresentato dalla identificazione degli eventuali fattori di rischio, secondo la classificazione proposta dal Centro Nazionale Trapianti, proposta che prevede cinque livelli di rischio: -1°. Rischio standard, in cui non sono emersi, nel donatore, fattori di rischio per patologie trasmissibili. -2°. Rischio calcolato, quando sono stati evidenziati agenti specifici o stati sierologici, nel donatore, ed in cui i riceventi presentino lo stesso pattern, es. donatore HBsAg + e riceventi con lo stesso quadro sierologico. -3°. Rischio aumentato ma accettabile, in cui la valutazione evidenzia la presenza di agenti patogeni trasmissibili, non presenti nel ricevente, ma in cui l’utilizzo degli organi è giustificato dalla gravità delle condizioni cliniche dei riceventi. -4°. Rischio inaccettabile, quando il processo di valutazione evidenzia la presenza di fattori di rischio inaccettabili, es. neoplasie maligne metastatizzanti in atto, infezioni provocate da germi multiresistenti, infezioni da HIV, epatite HBsAg + e Delta + contemporaneamente, malattie da prioni accertate. -5°. Rischio non valutabile, in cui, per es., non sia possibile effettuare l’anamnesi. Conclusioni In conclusione, il Processo di Donazione-Trapianto rappresenta una delle attività cliniche più difficili ma contemporaneamente più cariche di significato, connotata com’è di risvolti, oltre che clinici, peraltro assai impegnativi, anche etici, umani e sociali. Il Donatore d’organi è un soggetto affatto particolare, considerando che le cure, le attenzioni, l’impegno assiduo da parte di tutti i professionisti coinvolti, ad esso riservati, in realtà non sono tesi ad ottenere risultati immediati sul soggetto sottoposto a tali procedure, ma sono finalizzati alla cura, al benessere, alla salute di altri pazienti, generalmente sconosciuti a coloro che sono impegnati in questo processo. E si tratta di una bella sfida! Bibliografia - Plum F, Posner JB (1976) Stupor e Coma. PSE - Pia HW (1986) Brain death. New Eng J Med 229: 338 - Soifer BE, Gelb AW (1989) The multiple organ donor. Ann Inter Med 110:814 165 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 - Salish MAM et al (1991) Potential availabilty of cadaver organs for transplantation. BMJ 302: 1053 Matesanz R, Miranda M (1996) Meeting the organ shortage. Current status and strategies for improvement of cadaveric organ donation. Organ donation: 135 Cooper DK, Basker M (1999) Physiologic changes following brain death. Transplant Proceeding. 31: 1001 Pettinao P, Donadio PP (2004) Morte Encefalica: criteri clinici e strumentali. In manuale TPM V ed: 151 Escalante Cobo JL (2004) Individuazione ed identificazione del donatore di organi e tessuti. In manuale TPM V ed: 47 Nuove prospettive nel mantenimento del polmone S. PINTAUDI S.C. Anestesia e Rianimazione, A. O. “Garibaldi” di Catania E’ noto come al successo della metodica terapeutica del trapianto di cuore, reni e fegato, non sia seguito un risultato altrettanto entusiasmante per il trapianto del polmone. Tutti gli studiosi impegnati nella tematica trapiantologia di questo organo, stanno oggi tentando di comprendere le cause che portano ad una minore riuscita di detta tipologia di trapianto e quasi tutti concordano nel ritenere come siano molteplici gli elementi di rischio che possono condurre ad un fallimento del trapianto di polmone. Si può certamente concordare nel ritenere che il successo del polmone trapiantato sia intimamente correlato alle condizioni del polmone-donatore; in effetti la selezione del polmone donatore consta di un processo molto complesso che si basa sulla valutazione di numerosi elementi che possono influire in maniera determinante sulla ripresa funzionale del polmone trapiantato. Non può però sottacersi come nel periodo 1.1.2002/31.12.2004, in Italia su 6024 donatori di organi: 5201 polmoni non sono stati neanche offerti dalle rianimazioni, 448 sono stati offerti e non prelevati perché non ritenuti idonei, 42 prelevati e successivamente non ritenuti idonei al trapianto. Da una analisi dei criteri seguiti per la selezione del polmone-donatore non sempre è risultato agevole rilevare criteri di cut-off basati su evidenze scientifiche; sono stati piuttosto messi in evidenza criteri soggettivi legati per lo più alle esperienze dei singoli centri trapianto. Inoltre la scarsità dei potenziali donatori, in uno con il consistente aumento dei pazienti in lista di attesa, impongono una revisione attenta sia dei criteri di selezione del donatore cadavere sia dei sistemi di mantenimento e di gestione del polmone-donatore. In via preliminare, è da considerare come per il passato la metodologia di mantenimento del potenziale donatore abbia mirato principalmente ad adeguare l’idratazione per assicurare un’ottimale funzione renale ed epatica senza però apportare i correttivi necessari a scongiurare un aumento abnorme della permeabilità dell’endotelio e dell’epitelio polmonare, causa prima della disfunzione polmonare acuta e progressiva. Nel trapiantato di polmone possiamo distinguere due momenti di eventi negativi: precoci (che si manifestano entro i primi 6 mesi dal trapianto) e tardivi (tab I). EVENTI PRECOCI Tecnica Chirurgica Infezioni Rigetto 166 EVENTI TARDIVI Sindrome da Bronchiolite Obliterante Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La revisione della bibliografia internazionale insieme alla revisione critica della casistica di donatori e potenziali donatori di organi, ci porta a ritenere che la gestione ottimizzata del donatore, principalmente dopo che si è realizzata la morte encefalica, può concorrere in maniera determinante alla riduzione drastica sia dei donatori giudicati non idonei per il prelievo di polmoni sia degli eventi negativi quali le infezioni, il rigetto e la sindrome bronchiolare obliterante. È da ritenere infatti, che le motivazioni della non idoneità del donatore di polmone quali: FATTORI INTRINSECI Contusione Polmonare Polmonite Chimica Polmonite Batterica, Virale, Micotica MODALITA’ TERAPEUTICHE Errata Ventilazione Pneumotorace iatrogeno Biotrauma Volutrauma Prolungata Ventilazione se trattate mediante una strategia che miri a rimuovere le cause della disfunzione polmonare ed a reclutare il parenchima polmonare in maniera tale da riportare gli indicatori di funzionalità polmonare a livelli accettabili, potrebbe indursi una revisione dei criteri di selezione del potenziale donatore di polmoni. Tale strategia deve avvalersi di metodiche di ventilazione adeguatamente conservative e sostituzione e/o implementazione di fattori fisiologicamente presenti nel polmone, quale il surfattante, che per eventi patologici sono stati resi inattivi. L’autore riferisce casistica di notevole miglioramento degli indici di funzionalità di polmoni contusi o affetti da polmonite chimica; oltre ad un caso di polmone contuso, trattato e prelevato a scopo di trapianto con attuale ottima funzionalità dello stesso nel paziente trapiantato. Polmone-donatore Contusione Polmone-ricevente ante trapianto Polmone-donatore in Trapiantato L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera G.M. PISANU Servizio Anestesia, P.O. San Giovanni di Dio – Cagliari Introduzione Solo pazienti con grave stato di shock ed in profonda ipotensione o in arresto cardiaco possono essere intubati senza l’uso di agenti induttori. Tutti gli altri pazienti soccorsi in emergenza che 167 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 necessitano di un’intubazione tracheale trarranno beneficio da un’adeguata anestesia, che precede la curarizzazione e l’intubazione. Per le intubazioni eseguite in emergenza senza l’associazione di sedazione e paralisi è descritto il 20% di fallimenti (1). I pazienti con grave trauma cranico che possono essere intubati senza farmaci induttori o miorilassanti (p. es. con GCS 3, privi di riflessi) hanno di solito una prognosi infausta (2). Allo stesso tempo, la laringoscopia e l’intubazione senza anestesia possono produrre un innalzamento della pressione intracranica con il rischio di un’erniazione cerebrale. Verranno analizzate e illustrate le varie situazioni che nell’emergenza extraospedaliera richiedono un opportuno intervento farmacologico di natura anestesiologica. Induzione a Sequenza Rapida (RSI) L’Induzione a Sequenza Rapida è una procedura finalizzata all’intubazione tracheale in emergenza comprendente specifiche fasi ed azioni che determinano una sedazione e paralisi rapide, senza (idealmente) ventilazione a pressione positiva. La RSI, proposta da Stept e Safar (3) nel 1970, determina le condizioni più favorevoli per l’intubazione oro-tracheale (IOT) in emergenza, in quanto previene il rischio di inalazione del contenuto gastrico. In tali circostanze, infatti, i pz sono sempre considerati a stomaco pieno (per pasto recente; per ritardato svuotamento gastrico, legato a trauma, addome acuto, morfinici; per incontinenza dello sfintere esofageo inferiore, legata ad obesità, gravidanza, ernia iatale) (4). Le indicazioni principali per la RSI sono: 1. Incapacità a proteggere o a tenere pervie le vie aeree 2. Insufficienza ventilatoria 3. Insufficiente ossigenazione 4. Prevedibile deterioramento clinico (ematoma espansivo del collo) 5. Lesioni craniche gravi (GCS <9) 6. Stati di overdose o di male epilettico 7. Traumatizzati agitati e combattivi 8. Probabili fratture cervicali, con pazienti in delirio non immobilizzabili. Monitoraggio. Il monitoraggio cardiovascolare e respiratorio sono essenziali per la procedura di RSI: monitoraggio cardiaco, pulsossimetria, rilevazione automatica della pressione e capnometria, attualmente, sono presidi indispensabili per una corretta esecuzione di questo atto medico vitale. Aspirazione. Un sistema di aspirazione ben funzionante, con cannula rigida (Yankauer tip) o con sondino flessibile di grosso calibro, messo in azione e posto alla destra dell’operatore, è obbligatorio prima di procedere alla RSI. Preossigenazione. Dev’essere somministrato O2 al 100% ad alti flussi per ottenere la denitrogenazione completa, con 8 respiri profondi in 30-60 sec., o con 3 min. in respiro normale (5). Il paziente va posizionato in “sniffing position”, sollevando la testa con un cuscino, in modo che il meato uditivo sia allineato con il processo xifoideo. La laringoscopia è una manovra molto dolorosa e altamente reflessogena, che può far aumentare la pressione arteriosa (PA) di 25-58 mmHg, così come la pressione intraoculare, intragastrica e la PIC di oltre 20 mmHg. Dopo la sequenza di RSI si può avere una disastrosa caduta della PA. E’ imperativo ridurre al minimo tali eventi pericolosi nell’anestesia in emergenza. La Lidocaina e.v. in bolo 1,5-2mg/kg data 2-3 min prima dell’IOT riduce il rialzo della PIC e le aritmie da stimolazione laringea. Alternativo è l’uso di Esmololo in bolo a 1-2 mg/kg dato sempre 2-3 min prima (6): ad esso è attribuito un effetto additivo se usato in combinazione con la lidocaina o con il fentanil. Il Fentanil a 2-3 mcg/kg dato 2-3 min prima è altrettanto efficace nel ridurre il rialzo della PIC post-intubazione. Induzione. L’induzione produce sedazione e anestesia, per effetto di vari farmaci scelti in base al quadro clinico, alla stabilità emodinamica ed alle patologie pregresse del paziente (7). Questi sono somministrati sotto forma di bolo rapido e la loro azione deve raggiungere il massimo effetto in meno di 1 minuto. Il Midazolam a 0,02-0,05 mg/kg ha solo un effetto sedativo, oltre che un effetto 168 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 neuroprotettivo; utilizzato come induttore, (0,1-0,2 mg/kg), ha un onset-time troppo lento per la sequenza di RSI e può risultare ipotensivo in pazienti ipovolemici, per cui va sostituito da altri farmaci. Il Tiopentone Sodico è un gabaergico analogo delle benzodiazepine, a 3-5 mg/kg fa perdere coscienza in 30-45 sec. L’azione neuroprotettiva lo rende ideale nei traumi cranici, ma non nei pazienti ipovolemici, in cui può determinare gravi cali pressori. In tali pazienti è ottimale l’Etomidate (non in commercio in Italia, ma diffuso e molto usato in emergenza in molti Stati Occidentali), un imidazol-carbossilato che, a 0,2-0,3 mg/kg , produce un’induzione con profilo emodinamico stabile e buona neuroprotezione (8). La Ketamina, oltre che un ottimo sedativoanalgesico specie nei bambini, può essere un agente induttore ad 1-2 mg/kg. Per le sue proprietà simpaticomimetiche è utile in pazienti ipotesi o in shock emorragico, ed in pazienti in stato di male asmatico; è stato, peraltro, dimostrato che non provoca aumento della PIC se si assiste la ventilazione o si associa il midazolam (9). Va sempre preceduta da una benzodiazepina a bassi dosaggi (per ridurre gli effetti allucinatori) e dall’atropina (per contrastare l’azione scialagoga). Il Propofol, infine, è il più diffuso induttore in sala operatoria; riduce il metabolismo cerebrale (come TPS ed etomidate), ha azione broncodilatatrice (come la ketamina) e, utilmente per l’IOT, rilascia la muscolatura faringo-laringea: tuttavia, alle dosi d’induzione di 2-2,5 mg/kg, riduce significativamente la PA in modo dose-dipendente. Analgesia. I farmaci più diffusi per l’analgesia in emergenza sono due oppiacei: il Fentanil, impiegato per il rapido onset e la breve durata d’azione, alle dosi di 2-3 mcg/kg, con effetti di rapida analgesia e buona stabilità emodinamica, che può essere titolato fino al raggiungimento dell’effetto desiderato; l’altro farmaco analgesico molto diffuso, a lunga durata d’azione, è la morfina alla dose di 0,1mg/kg, destinata, tuttavia, non tanto alla RSI ma, elettivamente, ai casi di dolore toracico da infarto miocardico acuto. Miorisoluzione. Due farmaci sono raccomandabili per la curarizzazione nella RSI: uno più diffusamente usato, la succinilcolina, curaro depolarizzante, che a dosi di 1,5-2 mg/kg ha un onset time di 30-40 sec per una durata di 7-10 min, gravato peraltro da notevoli effetti collaterali (aumento di PIC, pressione intragastrica ed endoculare, bradi-aritmie, Iperpotassiemia, Ipertermia Maligna,) (10); l’altro, il rocuronio, curaro non depolarizzante, che, a 0,3-0,6 mg/kg, è attivo in 6090 secondi per una durata media di 30-45 minuti e che possiede il più rapido onset-time della sua classe, con minimi effetti collaterali. In entrambi i casi occorre essere esperti non solo nella usuale gestione delle vie aere, ma anche nel presidio transcutaneo della glottide, per ovviare a situazioni di pazienti non intubabili e non ventilabili a seguito della loro somministrazione: il maggior rischio della RSI è, infatti, l’incapacità di controllare le vie aeree di un paziente paralizzato, che può portare ad esiti molto gravi, quali lesioni cerebrali ischemiche fino al decesso. Procedura di RSI. Dopo accurata preossigenazione del paziente, in O2 100% con maschera facciale ben adesa, mentre viene applicata la manovra di Sellick, si procede alla somministrazione in 20”dell’induttore, seguito in rapida sequenza dal curaro. Senza ventilare il paziente, si prosegue con la laringoscopia e l’IOT. Se questa viene conseguita regolarmente, si verifica con capnometria (ETCO2) e si assicura il fissaggio del tubo tracheale. Se la manovra fallisce, dopo il 3° tentativo, si posiziona LMA o Combitube, sempre sotto compressione cricoidea. Se anche tale tentativo è vano, si procede ad accesso tracheale rapido transcutaneo, mediante cricotireotomia (11). Scenari clinici La scelta dei farmaci induttori per la Rapid Sequence Induction (RSI) dev’essere mirata per quel singolo paziente, in quel dato scenario clinico (12). Non esiste un unico farmaco induttore adeguato a tutte le circostanze, per cui occorre fare alcune considerazioni, da tenere presenti nel momento delle scelte terapeutiche applicative. 1. I pazienti con trauma cranico dovrebbero ricevere un pretrattamento con lidocaina per ridurre gli aumenti della PIC conseguente all’intubazione; diverse fonti raccomandano anche l’uso di 169 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 2. 3. 4. 5. fentanil, ma questo è controverso perchè gli oppioidi potrebbero indurre un iniziale aumento della PIC. Nei pazienti con solo trauma cranico, il tiopentone è un’ottima scelta per i suoi effetti neuroprotettivi; tuttavia, poiché molti traumatizzati sono ipotesi e ipovolemici, qualora siano sospettate altre gravi lesioni, dovrebbe essere impiegato l’etomidate. Per i pazienti che non tollerano gli stimoli adrenergici della RSI, dovrebbe essere considerata la premedicazione con fentanil o esmololo. Questo include pazienti con crisi ipertensive sintomatiche, con aneurisma dissecante aortico toraco-addominale, malattia coronarica instabile e possibile incremento della pressione intracranica. Sebbene molti agenti siano sicuri per l’uso nello stato di male asmatico, l’istamino-liberazione indotta dal TPS può esacerbare il broncospasmo. Esiste un’evidenza riconosciuta per gli effetti benefici broncodilatatori indotti dalla ketamina. Quando si usa questo farmaco, occorre associare una sedazione con una benzodiazepina per ottundere gli stimoli simpatici e le reazioni disforiche viste al risveglio. L’etomidate sta diventando rapidamente l’agente di scelta nei pazienti con ipotensione, causata sia da trauma, sepsi o qualsiasi altra causa (13). Questo agente induttore ha il profilo emodinamico più stabile di qualsiasi altro agente ed il profilo degli effetti collaterali è minimo. La ketamina può essere usata nei pazienti ipotesi per quanto possano tollerare gli effetti simpatici. Il medico che attua una RSI dev’essere esperto nell’uso di diversi farmaci per i vari scenari che si possono presentare. Poiché la gestione critica delle vie aeree è contemplata nella sfera della pratica della medicina dell’emergenza, la conoscenza di tali farmaci è essenziale. La selezione corretta può essere vitale in situazioni oltremodo potenzialmente disastrose. Bibliografia 1. Li J, Murphy-Lavoie H, Bugas C, et al: Complications of emergency intubation with and without paralysis. Am J Emerg Med 1999 Mar; 17(2): 141-3 2. Demetriades D, Kuncir E, Velmahos GC, et al. Outcome and prognostic factors in head injuries with an admission Glasgow Coma Score of 3. Arch Surg 2004;139:1066-1068 3. Stept WJ, Safar P. Rapid induction-intubation for prevention of gastric-content aspiration. Anesth Analg 1970 Jul-Aug; 49(4): 633-6 4. Lafferty KA, Stettner T. Rapid Sequence Induction _ eMedicine Specialties > Emergency Medicine > Special Aspects Of Emergency Medicine -Last Updated: August 16, 2005 5. Baraka AS, Taha SK, Aouad MT, et al: Preoxygenation: comparison of maximal breathing and tidal volume breathing techniques. Anesthesiology 1999 Sep; 91(3): 612-6 6. Levitt MA, Dresden GM: The efficacy of esmolol versus lidocaine to attenuate the hemodynamic response to intubation in isolated head trauma patients. Acad Emerg Med 2001 Jan; 8(1): 19-24 7. El-Orbany MI, Wafai Y, Joseph NJ, Salem MR: Does the choice of intravenous induction drug affect intubation conditions after a fast-onset neuromuscular blocker. J Clin Anesth 2003 Feb; 15(1): 9-14 8. Smith DC, Bergen JM, Smithline H, Kirschner R: A trial of etomidate for rapid sequence intubation in the emergency department. J Emerg Med 2000 Jan; 18(1): 13-6 9. Bourgoin A, Albanàse J, Wereszczynski N, et al: Safety of sedation with ketamine in severe head injury patients: comparison with sufentanil. Crit Care Med 2003 Mar 10. Orebaugh SL: Succinylcholine: adverse effects and alternatives in emergency medicine. Am J Emerg Med 1999 Nov; 17(7): 715-21 11. Carley SD, Gwinnutt C, Butler J, et al: Rapid sequence induction in the emergency department: a strategy for failure. Emerg Med J 2002 Mar; 19(2): 109-13 12. Stettner T, Ufberg JW. Rapid Sequence Induction, Induction and Pretreatment Medications _ eMedicine Specialties > Emergency Medicine > Special Aspects Of Emergency Medicine Last Updated: February 6, 2004 170 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 13. Zuckerbraun NS, Pitetti RD, Herr SM, Roth KR, Gaines BA, King C.Use of Etomidate as an Induction Agent for Rapid Sequence Intubation in a Pediatric ED. Acad Emerg Med. published online before print 2006 Apr 24. Cause di fallimento dell’analgesia postoperatoria G.M. PISANU Servizio Anestesia, P.O. San Giovanni di Dio – Cagliari Definizione del dolore postoperatorio (p.o.) Il dolore postoperatorio è stato definito dall’American Society of Anesthesiology (1) come: “un dolore acuto persistente del paziente chirurgico causato dalla malattia preesistente, dall’atto chirurgico o dalla combinazione tra malattia preesistente e procedura chirurgica”. Da questa definizione si ricava il carattere di ineluttabilità e di prevedibilità del dolore postoperatorio: è un tipo di dolore che certamente comparirà al termine degli effetti dell’anestesia, con caratteristiche variabili legate alla sede, all’intensità ed alla durata, ma che chi gestisce l’anestesia ha il compito e l’obbligo di contrastare nei modi opportuni. Nel 2004 Cousins (2), su Pain, sostiene che il fallimento nel trattamento del dolore acuto denota una medicina di bassa qualità (“substandard”), gravata da notevoli effetti collaterali, non etica e che conduce a contenziosi di tipo medico-legale. Strategia anestesiologica L’anestesista, nell’impostazione della strategia perioperatoria, deve pertanto prevedere un’analgesia che sia del tutto efficace, anche in considerazione del fatto che l’attuale uso intraoperatorio di oppiacei e di alogenati caratterizzati da cinetiche rapide, modifica radicalmente la tempistica del riscontro di un’analgesia p.o. insufficiente. Già pochi minuti dopo il risveglio, infatti, cessano gli effetti dei farmaci anestetici e, conseguentemente, viene svelato l’inadeguato intervento antalgico p.o. Come nella favola di Hans Christian Andersen, già dalla sala operatoria si scopre che “il re è nudo”: l’analgesia p.o. è stata mal condotta e il pz soffre e si lamenta (3). Sottostima del dolore p.o. Questa affermazione ha riscontro oggettivo e quotidiano nella visione di pz sofferenti e spesso abbandonati alla loro sorte che tuttora si vedono nelle corsie dei reparti. Se, conseguentemente, come entità responsabile della scarsa “educazione degli operatori sanitari” è facile tirare in ballo le istituzioni, altre ragioni trovano una connotazione individuale di responsabilità propria degli operatori: la scarsa conoscenza della farmacologia degli analgesici a disposizione pregiudica la combinazione tra loro e l’aggiustamento posologico che andrebbe fatto sul singolo pz; altrettanto vale per la scarsa padronanza delle tecniche antalgiche (blocchi periferici; cateteri a permanenza; etc) e per la scarsa capacità di gestire le complicanze p.o. in reparto. Trattamento del dolore p.o. per via sistemica (4) I farmaci in uso nel trattamento antalgico sono ormai ritenuti classici (Paracetamolo, FANS, Tramadolo e Oppioidi), combinati variamente tra loro e supportati dai cosiddetti adiuvanti (N2O, ketamina, gabapentin, lidocaina, clonidina, cannabinoidi, MgSO4). Il massimo rendimento si ottiene con l’analgesia multimodale che ottimizza in modo massimale l’azione sinergica di farmaci con differente meccanismo d’azione. Pre-emptive o preventive analgesia 171 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il concetto di pre-emptive analgesia (trattamento antalgico che, precedendo l’incisione o l’atto chirurgico, previene la sensibilizzazione centrale causata dall’incisione e dalla risposta infiammatoria), che ha dominato la ricerca anestesiologica degli anni ’90, attualmente ha lasciato il posto a quello di preventive analgesia (trattamento antalgico che può essere o meno iniziato prima dell’intervento, ma la cui efficacia è tale che l’effetto è osservato per un periodo che eccede la durata d’azione attesa per l’analgesico principale): se la pre-emptive analgesia non ha effetto clinico significativo sulla riduzione del dolore p.o., tranne che per i farmaci antagonisti dei recettori NMDA (5), la preventive analgesia (o “protective”, dato che previene l’ipersensibilità al dolore, o dolore patologico) ha effetto clinico sulla riduzione del dolore p.o. e sul consumo di analgesici (6). L’analgesia p.o. è sempre efficace? Sappiamo bene che ancora oggi il dolore p.o. è inadeguatamente trattato. Una review condotta nel 2002 (7) su 165 lavori degli 800 esaminati (dal 1985 al 2001), con interventi di Chirurgia Addominale, Toracica, Ginecologica, Ortopedica, per un totale di 19900 pz, tesa a valutare l’incidenza di dolore p.o. moderato (VAS >30/100) o severo (VAS > 70/100), a seguito di 3 diverse tecniche antalgiche (IM, PCA, Epidurale), ha mostrato che in media veniva riscontrata un’incidenza di dolore moderato del 29,7% e di dolore severo del 10,9%. Questo dato dimostra che si è ben lontani dagli standard suggeriti dalla UK Audit Commission nel 1997 (8), la quale propugnava che, entro il 1977, meno del 20% degli operati avesse dolore severo e che tale valore si dovesse idealmente ridurre a meno del 5% per la fine del 2002. Quali ragioni determinano l’insuccesso dell’analgesia p.o.? Esaminiamo, a questo punto, alcune situazioni responsabili del fallimento dell’analgesia p.o. 1. Interazioni farmacologiche (9) Diverse interazioni tra i farmaci impiegati in corso di anestesia risultano potenzialmente dannose per il pz. Tra i meccanismi alla base di tali effetti negativi consideriamo: a) Le Interazioni Farmaceutiche, intese come combinazione chimica diretta tra i farmaci stessi o con il materiale delle linee d’infusione. P.es. Tramadolo, Ketorolac e Propacetamolo in Soluzione Fisiologica provocano un precipitato inattivo ed ostruente le linee d’infusione. b) Le Interazioni Farmacocinetiche. Nel processo di biotrasformazione epatica dei farmaci, il Citocromo P450 può subire un’induzione enzimatica: la Rifampicina attiva il metabolismo del Metadone (Del Fentanyl? Di altri oppioidi?), dimezzandone le concentrazioni plasmatiche; così pure Carbamazepina, Fenitoina e Barbiturici accrescono il metabolismo degli oppioidi. Altri farmaci, al contrario, producono inibizione enzimatica: l’Eritromicina, può ridurre l’eliminazione di Alfentanil e Midazolam, con rischio di depressione respiratoria, fino all’apnea. 2. Effetto “Placebo” o “Ansiebo” Nel dolore p.o., non è valutato appieno il ruolo dello stress psicologico legato all’atto chirurgico. Il contesto terapeutico sviluppa in alcuni pz un’influenza antalgica (Effetto Placebo), in altri algica (Effetto Ansiebo), non ancora ben studiate (10): la relazione terapista/paziente svolge, certamente, un ruolo centrale. Il pz “Placebo Responder” ha un’incondizionata fiducia nel personale e nella struttura in cui è assistito, mostra fiducia in sé stesso (autostima), che si traduce in ridotta percezione e progressiva attenuazione del dolore, fino alla scomparsa. Il pz “Ansiebo Responder” evidenzia sfiducia verso i curanti e l’intero ambiente che lo circonda, palesa convinzione di non poter ottenere nulla di positivo (disistima), ha spiccata paura degli eventi che sta per affrontare (atto chirurgico ed anestesiologico indistintamente), fatto che predispone ad una marcata percezione del dolore ad andamento crescente, con scarsa risposta ai farmaci (compresi gli oppioidi), quasi del tutto inefficaci. In costoro, spesso, si ottengono risultati sorprendenti trattando la componente ansiogena. 172 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 3. Farmacogenomica La farmacogenetica è lo studio della variabilità individuale nella risposta ai farmaci, che include l’identità e la sequenza dei geni che codificano per enzimi coinvolti nell’attività e nella tossicità dei farmaci; la farmacogenomica è lo studio non limitato ad un numero definito di geni noti, ma esteso all’intero genoma umano. Conoscendo i geni responsabili dell'efficacia e della tossicità dei farmaci, si potrebbe predire la dose appropriata e/o il farmaco giusto per ciascun individuo, riducendo il rischio di effetti collaterali o di mancanza di effetto: si costruirebbe, in tal modo, il “Profilo genetico di risposta al farmaco”. Che cosa s’intende per polimorfismo genetico? Sono le variazioni monogeniche che esistono nella popolazione in almeno 2 fenotipi; spesso basta un Single Nucleotide Polymorphism o SNP (snip) per avere la mutazione di una singola base, nel DNA a doppia elica, che sostituisce un nucleotide con un altro (11). Il CYP2D6 (Citocromo P 4502D6) è un enzima epatico che metabolizza diversi farmaci: Metoprololo, Alprenololo, Propafenone, Droperidolo, Ondansetron, Codeina e Tramadolo. Il suo difetto enzimatico può originare da una mutazione che dà un’alterata espressività dell’enzima: gli scarsi metabolizzatori hanno una delezione completa o la sostituzione di un singolo nucleotide del gene CYP2D6 che conduce ad un’aberrante codifica del gene. Conseguenze cliniche: la Codeina è un profarmaco che il CYP2D6 trasforma in morfina: nei pz con difetto enzimatico (metabolizzatori lenti) la codeina dà una quota di morfina scarsamente rilevabile, con effetto ridotto. In alcune popolazioni caucasiche o africane, che sono dei metabolizzatori ultrarapidi (URM), la codeina produce alti livelli di morfina, con rischi di gravi effetti collaterali. Il Tramadolo è trasformato dal CYP2D6 in O-Desmethyltramadolo, 2 volte più potente sui recettori μ: nei metabolizzatori lenti c’è una significativa caduta degli effetti analgesici del farmaco; nei metabolizzatori rapidi ci può essere un rischio di sovradosaggio. Altre variazioni genetiche sono state associate con ambiti strategici connessi all’anestesia. Bond et Al (12) hanno trovato nel 10% della popolazione un polimorfismo della posizione 118 del gene del recettore μ-oppioide: la proteina variante correlata risultava 3 volte più potente nell’interazione con le beta endorfine rispetto al suo allele normale. Befort et Al (13) hanno documentato la mutazione S268P che determina una perdita di funzione del recettore μ-oppioide umano. Questi fatti indicano come le variazioni genomiche possano svolgere un ruolo molto importante nel determinare la risposta dei pazienti agli analgesici oppioidi. Accorgimenti atti a ridurre i fallimenti della terapia antalgica Nell’ambito di una maggior attenzione per l’efficacia dell’analgesia p.o. è essenziale inquadrare psicologicamente i pz nei gruppi placebo o ansiebo, procedere ad un’attenta valutazione delle terapie in uso e delle combinazioni farmacologiche nel perioperatorio, perseguire la soppressione del dolore p.o. con trattamento antalgico preventivo, intensivo e multimodale, con particolare enfasi sulla condotta “mirata” a quel pz ed in quel contesto, unico ed irripetibile. Accanto a un nuovo modus operandi, va data debita considerazione alla prevenzione ed al controllo degli effetti collaterali legati ai farmaci analgesici, tenendo sempre a mente l’assunto che “il controllo del dolore p.o. è un diritto universale di ogni pz” (2). Bibliografia 1. ASA. Practice Guidelines for Acute Pain Management in the Perioperative Setting: An updated Report by the American Society of Anesthesiologists Task Force on Pain Management, Acute Pain Section. Anesthesiology 2004; 100:1573–81. 2. MJ Cousins et Al. Pain relief-a universal human right. Pain 2004;112:1-4. 3. GM Pisanu Quando le anestesie avevano la coda: desueto preconcetto in anestesia generale. Acta Anaesthesiol Italica, 2005;3:175-81. 4. ANZCA Australian and New Zealand College of Anaesthetists, Faculty of Pain Medicine. Acute Pain Management: Scientific Evidence, 2nd Edn. Melbourne: Australian and New Zealand College of Anaesthetists, 2005 173 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. S Møiniche et Al. A Qualitative and Quantitative Systematic Review of Preemptive Analgesia for Postoperative Pain Relief: Role of Timing Analgesia. Anesthesiology 2002; 96:725–41 J Katz et Al. Current status of pre-emptive analgesia. Curr Opin Anaesthesiol 2002;15:435-41 SJ Dolin et Al. Effectiveness of acute postoperative pain management: I. Evidence from published data Br. J. Anaesth. 2002;89:409-423 Audit Commission. Anaesthesia Under Examination. Audit Commission, London, 1997 JG Bovill. Adverse Drug Interactions in Anesthesia? Journ of Clin Anesth, 1997;Vol9 N6S1:3-13 P Svedman et Al. Anxiebo, placebo and postoperative pain. BMC Anesthesiology 2005, 5:9 BP Sweeney. Do genes influence outcome from anaesthesia? BJA, 2003, Vol. 90, No. 6 725727 Bond C et Al. Single nucleotide polymorphism in the human mu opioid receptor gene alters beta-endorphin binding and activity. Possible implications for opiate addiction. Proc Natl Acad Sci USA 1998; 95: 9608–13 K Befort et Al. A SNP Mutation in the Human µ-Opioid Receptor Severely Impairs Receptor Signaling. J Biol Chem, 2001;V 276, 5, Feb 2, 3130-3137 Il ruolo dell’anestesista-rianimatore negli ospedali con ostetricia ma senza neonatologia D. RIPAMONTI U.O. Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera Ospedale San Carlo Borromeo - Milano Introduzione L’assistenza e l’eventuale rianimazione del neonato alla nascita sono state particolarmente valorizzazione nelle Riforme Sanitarie e nei Piani Sanitari Nazionali. Da un esame dei decreti, degli ordinamenti e dei progetti obiettivi, riguardanti il neonato, che si sono succeduti dal 1969 ad oggi, si evince una parallela ed esclusiva valorizzazione delle figure del neonatologo e del pediatra. Infatti, l’Ordinamento dei Servizi Ospedalieri definito dalla Riforma Sanitaria pubblicata con decreto del Presidente della Repubblica n.128 del 27 marzo 1969 (1) e, per la Regione Lombardia, il Piano Ospedaliero Lombardo, L.R. 3 settembre 1975, n.55 (2), definivano l’assoluta competenza del Neonatologo nell’assistenza globale del neonato alla nascita. A distanza di circa trenta anni, il Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1998-2000 ha previsto, tra i suoi obiettivi prioritari la tutela della salute in ambito materno-infantile e, conseguentemente, con il D.M. 24 aprile 2000 (3) è stato decretato di adottare il Progetto Obiettivo Materno Infantile. Al punto 2, di tale Progetto, intitolato “Il percorso Nascita” è scritto che: “ La gravidanza ed il parto sono eventi fisiologici che possono talora complicarsi in modo non prevedibile e con conseguenze gravi per la donna, per il nascituro e per il neonato” “E’ necessario che ad ogni parto venga garantito un livello essenziale ed appropriato di assistenza ostetrica e pediatrico-neonatologica” “L’offerta dei servizi ospedalieri ostetrici e pediatrici/neonatologici non può prescindere da un’organizzazione a rete su base regionale o interregionale articolata in tre livelli, con differenti caratteristiche strutturali e competenze professionali, in modo da garantire la massima corrispondenza tra necessità assistenziali della singola persona e appropriatezza ed efficacia delle cure erogate” 174 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 “In tale contesto deve essere posta particolare attenzione, in sede di programmazione regionale, affinché si consegua una uniformità di livello assistenziale tra U.O. ostetriche e U.O. neonatologiche-pediatriche. Nelle rare realtà caratterizzate dell’esistenza in una Azienda di U.O di Neonatologia (U.O.N.) dotata di U.O. di Terapia Intensiva Neonatale (U.T.I.N.), ma non di U.O. ostetriche o viceversa, i contratti interaziendali ex D.Lgs.n.502/1992 e D.Lgs.n517/1993 garantiscono un’integrazione funzionale interaziendale che permette di superare gli effetti negativi dell’anomalia strutturale aziendale” “L’assistenza al neonato è affidata, a seconda del livello considerato, all’Unità Operativa di Neonatologia e Patologia Neonatale (U.O.N. – P.N.) (con o senza U.T.I.N.) o all’ Unità Operativa di Pediatria e Assistenza Neonatale (U.O.P. – A. N.) ed è soddisfatta da personale specializzato (pediatra, neonatologo) dei ruoli laureati delle suddette U.O. e da personale dei ruoli infermieristici e tecnici, anch’esso con competenze specifiche pediatrico-neonatologiche..” “Uno degli obiettivi del PSN è proprio quello della uniformità dell’assistenza alla nascita nelle varie aree del Paese”. Nello stesso decreto, al punto 2.1 “Trasporto materno e neonatale” si legge che: “Il trasporto della gravida e del neonato deve essere considerato una componente essenziale di un piano di regionalizzazione delle cure perinatali” “Anche in presenza di una corretta organizzazione assistenziale che preveda il trasferimento della gravidanza a rischio, circa l’1% dei nati vivi può avere la necessità di essere trasferito” “Il trasporto neonatale rappresenta la cerniera di collegamento tra punto nascita periferico e centro di riferimento di II livello e quindi deve provvedere ad un rapido, efficace e sicuro trasporto dei neonati che hanno bisogno di un livello assistenziale superiore a quello offerto dall’ospedale di nascita” ”L’attività di trasporto del neonato deve essere espletata da personale con provata esperienza in Terapia Intensiva Neonatale e non dovrebbe, di norma, essere effettuata a cura del punto nascita che generalmente dispone di minori risorse quantitative e qualitative di personale e di attrezzature”. Nel Piano Sanitario Nazionale per il triennio 2003-2005 (4), viene affermata la validità dell’Obiettivo Materno Infantile del PSN 1998-2000 ma parallelamente ne viene sottolineata la non totale applicazione. Vale la pena di citare alcuni passi significativi: “Esistono.. molte disuguaglianze sul piano organizzativo e gestionale nelle strutture dove avviene la nascita e questo pesa negativamente sulla mortalità perinatale e sugli esiti a distanza (handicap)” “La rete ospedaliera pediatrica….appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad altri Paesi europei….mentre la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un bambino è garantita nel 50% degli Ospedali, l’attività di pronto soccorso pediatrico è presente solo nel 30% degli Ospedali” “La guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il parto è garantita solo nel 45% dei reparti” “Malgrado la forte diminuzione della natalità, il numero dei punti nascita è ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private accreditate; tra queste poco meno della metà ha meno di 500 parti all’anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese” “Obiettivi strategici:……..attivare in ogni Regione il Servizio di trasporto di emergenza dei neonati e delle gestanti a rischio”. Il Pdl del 29 aprile 2004: ”Norme per la tutela dei diritti della partoriente, la promozione del parto fisiologico e la salvaguardia della salute del neonato” Nuovo testo unificato C.193 ed abbinate XII Commissione Permanente (Affari Sociali), stabilisce tra le finalità della legge quella di perseguire il benessere del nascituro (5). “ I criteri di riconoscimento delle gravidanze, dei parti e delle condizioni neonatali a rischio al fine del tempestivo riconoscimento nei punti nascita sono quelli individuati dalla OMS” “In caso di particolare gravità, il trasporto assistito del neonato deve essere effettuato da personale con competenze specifiche afferente, attraverso il servizio di trasporto d’emergenza neonatale, a 175 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 strutture assistenziali di III livello, utilizzando una unità mobile per le cure intensive da prestare in corso di trasferimento” “Tutti gli Ospedali pubblici e privati accreditati dotati di punto nascita, anche se privi di U.O. autonome di neonatologia e di terapia intensiva neonatale, devono disporre di posti letto per le cure minime ed intermedie, nell’ambito di U.O. di pediatria o neonatologia” “Presso ogni presidio sanitario pubblico o privato accreditato sono garantiti i servizi di rianimazione primaria neonatale. A tal fine, nell’ambito della sala parto…. deve essere predisposta una zona per le prime cure e l’eventuale intervento rianimatorio sul neonato, denominata “isola neonatale”, provvista di spazio ed attrezzature adeguate allo scopo” “Responsabile dell’assistenza nell’isola neonatale…. è un neonatologo o un pediatra con competenze neonatologiche. Nelle strutture in cui è prevista la guardia attiva 24 ore su 24 del neonatologo o del pediatra con competenze neonatologiche, questi devono garantire l’assistenza al neonato in sala parto”. Ruolo dell’Anestesista-Rianimatore Nei vari paragrafi sopra citati, si fa riferimento esclusivamente a Pediatri e Neonatologi mentre non vengono assolutamente nominati gli Anestesisti-Rianimatori che invece risultano altamente coinvolti nella rianimazione primaria, nella stabilizzazione e nel trasporto del neonato non solo nelle strutture con U.O. di Ostetricia e prive di Neonatologia, ma anche in quelle con Neonatologia. A conferma di questa affermazione vi sono sia i dati di una indagine effettuata nel 1991 dal gruppo di Studio di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica in Campo Ostetrico, Neonatale e Pediatrico A.A.R.O.I. Sezione Lombardia, coordinato dal Dott. Giuseppe Marrano, che quelli della “Indagine Conoscitiva Nazionale sulla Rianimazione Neonatale - A.A.R.O.I. - S.I.A.R.E.D. 2005“ presentati da Marrano e Ripamonti, al 3° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. Napoli 9-11 dicembre 2005. Scopo dell’indagine A.A.R.O.I. Sezione Lombardia, cui hanno partecipato in qualità di referenti e collaboratori il Servizio di Epidemiologia dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia e il C.E.R.G.A.S. S.D.A. Università Bocconi Milano, è stato quello di valutare quanto era stato realizzato a seguito della Riforma Sanitaria del 1969 in merito alle competenze rianimatorie in campo neonatale e pediatrico e di valutare chi rianimava effettivamente il neonato asfittico in sala parto e in camera operatoria. Per la raccolta dati è stato utilizzato un questionario rivolto ai Responsabili dei Servizi di Anestesia e Rianimazione dei 91 Ospedali Lombardi dotati di Divisione di Ostetricia. Il questionario poneva un solo quesito: “Chi esegue la rianimazione primaria del neonato, intesa come manovre di intubazione, ventilazione artificiale, massaggio cardiaco, controllo dei parametri vitali”. I risultati dell’indagine pubblicati da Marraro, su A.A.R.O.I. Notizie n.9 – dicembre 1991(6) hanno evidenziato che: - il neonatologo effettuava tutte le manovre rianimatorie sul neonato solo in 5 Ospedali (5.5%) mentre l’Anestesista-Rianimatore in 51 (56%). In 35 Ospedali (38.5%), l’Anestesista – Rianimatore veniva ancora chiamato in causa per supportare l’intervento del Neonatologo o del Pediatra nel caso in cui fosse necessario intubare o ventilare il neonato. - negli Ospedali Provinciali (48) e in quelli di zona (33), l’intervento dell’AnestesistaRianimatore era pari al 97.5% . Nelle considerazioni conclusive si sottolineava che la Riforma Sanitaria, in quel preciso ambito, non era stata applicata e si auspicava una collaborazione tra Pediatri, Neonatologi ed AnestesistiRianimatori, nei parti a rischio sia per problemi materni che fetali, allo scopo di evitare che l’intervento dell’Anestesista-Rianimatore avvenisse troppo tardi, quando i danni ipossico-ischemici erano tali da influire negativamente sia sulla sopravvivenza che sugli esiti neurologici. 176 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’ “Indagine Conoscitiva Nazionale sulla Rianimazione Neonatale” è stata svolta, mediante un questionario articolato, comprendente 20 domande relative alla rianimazione neonatale e pediatrica, distribuito durante i Corsi, itineranti, ECM A.A.R.O.I.-S.I.A.R.E.D. 2004-2005, cui hanno risposto circa 1000 Anestesisti-Rianimatori. L’analisi dei dati raccolti evidenzia, chiaramente, l’apporto fondamentale dell’AnestesistaRianimatore nella rianimazione del neonato, nella stabilizzazione e nel trasporto non solo nelle strutture con U.O. di Ostetricia e prive di Neonatologia, ma anche in quelle con Neonatologia. Dalle risposte si evince che: - le Aziende Polispecialistiche rappresentano il 40.65%, i Presidi Ospedalieri il 58.22% e gli Ospedali Pediatrici il 2,83% - l’84.85% di Aziende/Presidi Ospedalieri hanno U.O. di Ostetricia (Figura 1), mentre le U.O. di Neonatologia sono presenti nel 51.52% (Figura 2) - le guardie attive di Neonatologia sono presenti nel 35.42%, quelle di Pediatria nel 45.83% e quelle di Anestesia-Rianimazione nell’82.58% di Aziende/Presidi Ospedalieri (Figura 3) - l’Anestesista-Rianimatore è coinvolto nella gravidanza a rischio, nel parto a rischio e nella rianimazione del neonato sia in fase precoce che tardiva, con una partecipazione pari al 65.15% (Figura 4) - il primo intervento sul neonato patologico è effettato dal Neonatologo nel 40.15% dei casi, dal Pediatra nel 34.28% e dall’Anestesista-Rianimatore nel 34.85% dei casi (Figura 5), ma una attività di supporto, viene richiesta all’Anestesista-Rianimatore nel 71.59% dei casi in cui la rianimazione primaria venga effettuata da Neonatologi e/o Pediatri (Figura 6) - i protocolli di trattamento alla nascita del neonato patologico, risultano presenti nel 31.82% degli Ospedali (figura 7) - il neonato patologico viene ricoverato in U.T.I.N. nel 53,41% dei casi, in Terapia Intensiva Pediatrica nel 10.80% dei casi e in Terapia intensiva Generale nel 14.02% dei casi (Figura 8) - in assenza di guardia attiva 24/24 ore, l’intubazione e i problemi ventilatori del neonato ricoverato in U.T.I.N. e/o in P.I.C.U. sono gestiti dall’Anestesista-Rianimatore nel 33% dei casi (Figura 9) - la stabilizzazione e il trasporto del neonato sottoposto a rianimazione vengono eseguiti dall’Anestesista-Rianimatore nel 50% dei casi (Figura 10) - la distanza media tra Ospedale di partenza e Ospedale di arrivo in più della metà dei casi (52.65%) supera i 26 chilometri (Figura 11). E’ presente una Unità Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia? E’ presente una Unità Unità Operativa di Neonatologia? Neonatologia? 2.1 Si 84,85% 3.1 Si 51,52% 2.2 No 15,72% 3.2 No 47,73% 1 1 2 2 Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Figura 1 Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Figura 2 177 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Esiste una guardia attiva L’anestesista è coinvolto nella 4.1 Neonatologia 35,42% 4.2 Anestesia / Rianimazione 82,58% 4.3 Pediatria 45,83% 4.3 Altro – Specificare 5,00% 5.1 Gravidanza a rischio 33,33% 5.2 Parto a rischio 52,84% 5.3 Rianimazione del neonato 65,15% 1 2 1 3 2 4 3 - - Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Figura 3 Figura 4 Il primo intervento sul neonato patologico è effettuato da 6.1 Neonatologo 40,15% 6.2 Pediatra 34,28% 6.3 Anestesista 34,85% Un trattamento di supporto è richiesto a 7.1 Anestesista rianimazione 71,59% 7.2 Neonatologo 14,20% 7.3 Pediatra 12,69% 1 1 2 2 3 3 - Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Figura 5 Figura 6 Esiste un protocollo di trattamento del neonato patologico in sala parto? 9.1 Si 31,82% 9.2 No 50,57% 1 2 Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Figura 7 178 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il neonato patologico viene trattato 8.1 Terapia intensiva neonatale 53,41% 8.2 Terapia intensiva pediatrica 10,80% 8.3 Terapia intensiva generale 14,02% In assenza di guardia attiva 24/24 24/24 h, l’ l’intubazione e i problemi ventilatori del neonato ricoverato in T.I. Neonatale e/o Pediatrica sono gestiti da 16.1 Neonatologo 21,40% 16.2 Pediatra 8,33% 16.3 Anestesista 32,95% 1 1 2 2 3 3 - - Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Giuseppe A. Marraro, MD Figura 8 Figura 9 In caso di necessità necessità di trasferimento del neonato rianimato e immediatamente dopo la nascita, chi gestisce la stabilizzazione e il trasporto? 10.1 Neonatologo 36,93% 10.2 Pediatra 24,05% 10.3 Anestesista 49,81% Quale è la distanza media del trasporto del neonato? 14.1 <10km 14.2 tra 11 e 25 km 14.3 >26km 1 1 2 2 3 3 Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Figura 10 14.77% 14.58% 52.65% Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD. Figura 11 Considerazioni conclusive I progressi dell’ostetricia, dell’anestesia ostetrica, della rianimazione, della neonatologia e della pediatria neonatale associati ai paralleli cambiamenti organizzativi nell’ambito delle cure perinatali hanno sicuramente modificato e migliorato la gestione del neonato alla nascita (7). Il 5-10% dei neonati richiede semplici manovre rianimatorie, mentre l’asfissia perinatale definita da un indice di Apgar a 5 minuti < 5 ha un incidenza, negli USA, di 1-1.5 0/ 00. Numerose situazioni cliniche a rischio vengono diagnosticate e previste prima della nascita ma vale la pena di sottolineare che vi è ancora una quota elevata di neonati critici che nascono da gravidanze regolari e questo evento inaspettato può essere problematico specie quando si presenta in realtà ospedaliere non adeguatamente organizzate quali quelle dotate di U.O. di Ostetricia ma prive di Neonatologia. I dati contenuti nel PSN 2003-2005 (4), evidenziano che “la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un bambino è garantita nel 50% degli Ospedali… e che la guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il parto è garantita solo nel 45% dei reparti”. 179 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Tali dati sono in linea con quelli rilevati dall’Indagine Conoscitiva Nazionale - A.A.R.O.I.S.I.A.R.E.D. 2005 - sulla Rianimazione Neonatale, dove però viene parallelamente evidenziata la centralità della figura dell’Anestesista-Rianimatore nella rianimazione, nella stabilizzazione e nel trasporto del neonato. E’ quindi sorprendente il fatto che i legislatori, a fronte di un riscontro di gravi carenze assistenziali da parte delle figure preposte per legge alla cura del neonato, vale a dire Neonatologi e Pediatri (15), non abbiano prospettato soluzioni alternative e soprattutto non abbiano preso in considerazione il ruolo dell’Anestesista-Rianimatore. Sarebbero quindi necessari ed auspicabili da un lato un riconoscimento, a tutti gli effetti, a livello di Piano Sanitario Nazionale, del ruolo dell’Anestesista-Rianimatore e dall’altro una migliore collaborazione dell’Anestesista-Rianimatore, con Pediatri e/o Neonatologi oltre che con gli Ostetrici, in tutti i tipi di struttura ospedaliera. Questo secondo obiettivo dovrebbe essere raggiunto grazie alla stesura e all’applicazione di Percorsi Diagnostico-Terapeutici condivisi, che prevedano un coinvolgimento precoce dell’Anestesista Rianimatore nelle gravidanze e nei parti a rischio in modo da rendere il suo intervento più efficace e mirato, evitando che tale coinvolgimento, in quanto tardivo, avvenga, frequentemente, su neonati con compromissioni gravi o peggio con danni irreversibili. Dai dati dell’Indagine A.A.R.O.I.-S.I.A.R.E.D. 2005 si evince che protocolli di trattamento del neonato patologico sono presenti solo nel 31% delle strutture ospedaliere e questo risultato è piuttosto allarmante perché sottintende, soprattutto a livello di Punti Nascita con meno di 500 parti/anno, un problema non solo organizzativo ma culturale in senso lato specie per quanto concerne l’acquisizione di competenze specifiche su cui incide significativamente la numerosità. Le competenze e le procedure della rianimazione neonatale dovrebbero invece essere normate in modo preciso, questo anche per gli aspetti medico-legali, e costantemente aggiornate in base a linee guida Nazionali ed Internazionali (8,9,10). Andrebbe inoltre previsto un programma di formazione, teorico-pratica, sulla rianimazione in sala parto, di tutti gli operatori, comprensivo di certificazione di idoneità e ricertificazione periodica. Un altro aspetto che meriterebbe una più precisa valutazione/valorizzazione è quello relativo all’attività di trasporto del neonato che sempre secondo la legislazione vigente “ deve essere espletata da personale con provata esperienza in Terapia Intensiva Neonatale e non dovrebbe, di norma, essere effettuata a cura del punto nascita che generalmente dispone di minori risorse quantitative e qualitative di personale e di attrezzature” (4). I dati dell’Indagine A.A.R.O.I.-S.I.A.R.E.D. 2005, indicano, invece, un importante coinvolgimento (50%) dell’Anestesista-Rianimatore nel trasferimento e nella stabilizzazione delle funzioni vitali maggiori, non solo quando l’Anestesista-Rianimatore deve effettuare in prima persona rianimazione, stabilizzazione e trasporto ma spesso anche nell’ attesa dell’Unità Mobile di Trasporto Neonatale il cui arrivo non sempre è tempestivo. La stabilizzazione e il trasporto del neonato possono presentare criticità e, in analogia con quanto affermato in merito alla rianimazione, richiedono formazione teorico-pratica, esperienza e competenze specifiche oltre a una precisa definizione dei ruoli e delle responsabilità di ogni singolo operatore. Bibliografia 1. DPR n.128 27 marzo 1969 2. L.R.n.55 3 settembre 1975 3. D.M.24 aprile 2000 4. DPR 23 maggio 2003 5. Pdl (A.C. 193 ed abbinate) 24 aprile 2004 180 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 6. Marraro G. Indagine sulla Rianimazione del neonato in Sala Parto in Lombardia. A.A.R.O.I. Notizie n.9 – dicembre 1991 7. Chabernaud J.L. Rianimazione del Neonato in Sala Parto: EMC (Elsevier SAS, Paris), Urgenze, 24-215-A-15, 2006 8. American Heart Association in collaboration with the International Liaison Committee on Resuscitation Guidelines 2000 for Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care. Part 11: Neonatal Resuscitation. Circulation 2000;102 (8 Suppl):1343-57 9. International Liaison Committee on Resuscitation. Part 7 Neonatal Life Support. 2005 International Consensus on Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care Science with Treatment Recommendations. Resuscitation 2005;67:293-303 10. European Resuscitation Council Guidelines for Resuscitation 2005. Section 6. Paediatric Life Support. Resuscitation 2005; 67S1, S97-S133. Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emergenza in Italia. La risposta ospedaliera: anello debole della catena dei soccorsi? T. ROSAFIO1, C. CICHELLA2 1 Resp. Centro Formazione Emergenze, Elisoccorso 118 Pescara, Servizio di Anestesia e Rianimazione, P.O.SS.ma Annunziata ASL Chieti; 2 U.O.C. di Anestesia, Rianimazione, Terapia del Dolore, O.C. Spirito Santo ASL Pescara Dati epidemiologici rivelano un incremento nell’incidenza dei disastri: catastrofi naturali, incidenti da trasporto, malattie contagiose emergenti, disastri “complessi” (governi instabili, collasso della macroeconomia, violenza civile-militare, come scenari NBCR-E soprattutto terrorismo-correlati, esodo di popolazioni). La risposta ai disastri con elevato numero di vittime rappresenta la principale sfida per i sistemi di risposta alle emergenze della comunità. Appare evidente che un moderno modello di organizzazione del sistema sanitario deve garantire non solo l’intervento di soccorso, ma anche la continuità dello stesso, dal luogo dell’evento (fase territoriale) ai presidi ospedalieri idonei e logisticamente interessati. L’ospedale rappresenta l’ultimo anello della catena dei soccorsi, iniziata con l’attivazione dell’allarme alla CO 118. Dovrebbe essere, ed è ritenuto tale, nell’immaginario collettivo di cittadini e operatori sanitari “ottimisti”, l’anello più efficiente e risolutivo, in virtù: del complesso sistema organizzativo che lo caratterizza e della disponibilità di risorse. Nella realtà, spesso, rappresenta l’anello più debole della catena, perché deve trattare un numero elevato di vittime in scenari caratterizzati da disorganizzazione, comunicazioni inadeguate, disinformazione, limitate risorse, infrastrutture danneggiate e notevole rischio per gli operatori. Solo recentemente, la preparazione e l’addestramento a eventi catastrofici di massa hanno ricevuto un aumento dell’attenzione a livello ospedaliero, con modelli di approccio matematico, creando, in tal modo, un qualche grado di ordine nel caos, col risultato di una riduzione nella mortalità, morbilità e disabilità tra le vittime di una maxiemergenza. E’ inevitabile che il disastro sia seguito da una fase caotica; ed anche nella realtà in cui la risposta è organizzata nel modo migliore, è necessario un certo lasso di tempo prima che la macchina dei soccorsi possa mettersi in moto speditamente. Ciò che differenzia un sistema organizzato da una risposta disordinata è la capacità di ridurre o annullare, nel minor tempo possibile, le conseguenze provocate dallo sbilanciamento tra risorse necessarie e disponibili. Mentre in molte nazioni già da tempo si organizzano corsi di formazione per creare esperti in grado di affrontare i diversi problemi scatenati da un disastro, fornendo loro soluzioni organizzative efficaci, in Italia questo problema è stato affrontato da pochi anni attraverso la collaborazione tra Protezione Civile (PC) e AIMC (Associazione Italiana Medicina delle 181 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Catastrofi). Nella gestione della maxiemergenza ospedaliera è di fondamentale importanza, come sul territorio, il concetto della catena di comando. Personale addestrato e capace di prendere decisioni in relazione a come si modifica uno scenario è la sola risposta efficace in caso di disastro. L’AIMC ha proposto la creazione di due figure professionali: il Medical Disaster Manager (MDM) che si occupa del problema catastrofe in sede extraospedaliera, e l’Hospital Disaster Manager (HDM) che ha invece il compito di preparare l’ospedale a sopportare l’impatto generato da un disastro, dovuto sia ad un evento esterno sia ad un incidente interno alla struttura; sul modello californiano dell’ Hospital Emergency Incident Command System (HEICS) che provvede una formale struttura di comando indipendente da individui specifici, flessibile e graduabile, corrispondente alla struttura di comando dei Vigili del Fuoco, delle Forze dell’Ordine e Militare, rendendo, in questo modo, più facile la comunicazione durante la gestione dell’evento. Non esiste un sistema complesso che possa funzionare adeguatamente in una maxiemergenza senza un’azione di coordinamento (unità di crisi). Il sistema HDM prevede la presenza di personale addestrato per il coordinamento generale (HDM coordinatore), delle informazioni e comunicazioni, triage, stabilizzazione dei feriti critici, gestione dei vari codici e logistica. Come accennato, l’Ospedale può essere interessato da emergenze di massa che mettono in crisi la funzionalità a causa di eventi esterni (arrivo di un gran numero di feriti) o problemi interni (incendi, evacuazioni forzate per attentato, eventi alluvionali, crolli etc…). Ogni struttura ospedaliera dovrebbe disporre di strumenti operativi, attivi h 24, rappresentati dai piani di emergenza, come da normativa vigente: 1- Piano di Emergenza per Massiccio Afflusso di Feriti – PEIMAF 2- Piano di Emergenza Interna o antincendio – PEI 3- Piano di Evacuazione della struttura – PEVAC Questa triade di piani permette agli operatori una risposta organica e coordinata che garantisce un notevole grado di efficienza nella fase operativa, altrimenti non possibile in mancanza di piani che indichino le procedure standard da adottare e la metodologia di lavoro. Il PEIMAF deve indicare le modalità organizzative e cliniche per il trattamento dei pz che provengono dal luogo del disastro, ed è normato da linee guida del Dipartimento della PC; il PEI deve riportare le procedure per fronteggiare un’eventuale incendio di un reparto, tramite squadre di primo intervento (SPI), come evidenziato nel DLgs 626/94; il PEVAC deve contenere le fasi operative, i compiti di tutto il personale e le modalità di fuga da attuare in caso di evacuazione totale o parziale del nosocomio, sempre come da DLgs 626/94. I tre piani, seppur differenti tra loro per scopi e modalità di utilizzo, sono da considerarsi assolutamente complementari. Ogni piano dovrà essere predisposto per affrontare la peggiore situazione prevedibile con una massima efficace risposta operativa. Pur tuttavia devono essere previsti piani con una risposta graduata e modulare per rispondere all’evento con il minimo dispiegamento di risorse. Ma come si costruisce un piano di emergenza? Un elemento base della pianificazione è l’analisi del rischio, individuando i siti sensibili nell’orbita ospedaliera (aeroporto, porto turistico e commerciale, depositi di carburanti, ferrovia, nodo autostradale, zona industriale) e gli scenari possibili, così da preventivare procedure specifiche per l’arrivo di molti feriti per un incidente ferroviario o l’esplosione di un deposito carburanti, l’arrivo di feriti contaminati o pz intossicati (incendio, rilascio di sostanze chimiche o biologiche), come anche i degenti intossicati e/o ustionati da un incendio sviluppatosi in un reparto dell’ospedale. Quest’ultima non è una possibilità remota, visto la media annuale italiana di circa 100 incendi/anno nei 2000 ospedali esistenti, e la media statunitense di circa 2630 incendi/anno con morti e feriti, 100 incendi dei quali solo in sala operatoria (JCAHO, FDA, ECRI). Inoltre, per quanto riguarda lo scenario NBCR, poco è stato fatto per proteggere le strutture ospedaliere, vero bersaglio dell’azione terroristica e punto di riferimento per eventuali pz contaminati. Infatti sul territorio nazionale, a parte alcune strutture specifiche per scenari biologici, pochi nosocomi sono dotati di strutture di contenimento per pz contaminati da sostanze chimiche e di aree di 182 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 decontaminazione. Pertanto l’unica alternativa è quella di trattare le persone esposte sulla scena incidentale con l’impiego di sistemi di decontaminazione campale. A dispetto della convinzione comune, l’ospedale ha risorse limitate; è indispensabile, quindi, la valutazione delle risorse a disposizione, che devono essere conosciute, contate e disponibili; intendendo per risorse le disponibilità umane (operatori in servizio durante l’evento, e quelli reperibili e rintracciabili con modalità ben definite e conosciute); tecniche, tecnologiche e strumentali (di particolare interesse i sistemi di comunicazioni e la gestione degli spazi, come la disponibilità di “aree virtuali” di trattamento come un Pronto soccorso o una Terapia intensiva attivabili in un’altra area del nosocomio, nel caso di danneggiamento o saturazione di quelli “reali”, oltre la gestione appropriata dei materiali a disposizione, predisposti ad hoc). Particolare attenzione va riservata all’organizzazione preventiva degli accessi nei cosiddetti “colli di bottiglia” delle aree diagnostiche-terapeutiche (radiologia, sala operatoria), con un’accurata programmazione della turnazione e dei tempi di attesa. Ma costruire un piano di emergenza, anche ben strutturato, non è sufficiente a migliorare la risposta ospedaliera alla maxiemergenza se la pianificazione non è improntata sul rispetto di quattro capisaldi fondamentali: legittimità, conoscenza, familiarità e, come già detto, coordinamento. La formazione degli operatori ha un ruolo centrale nell’evitare ciò che più frequentemente si verifica sul nostro territorio nazionale (soprattutto per motivi economici oltre che per motivi culturali), una pianificazione basata esclusivamente sul documento cartaceo (paper plan sindrome, causa principale della debolezza dell’anello ospedaliero); non solo insufficiente per la corretta gestione del disastro, ma pericolosa, in quanto tende a creare la convinzione errata di essere in grado di affrontare l’evento semplicemente consultando il documento. Esistono due livelli di formazione: quello base per tutti gli operatori, e quello avanzato per i gestori di risorse critiche (coordinatori). La verifica del sistema misura l’efficacia della pianificazione, e si può ottenere con la simulazione in scala reale (scenari realistici, ma organizzazione complessa e costosa) o simulazioni a tavolini (costi contenuti, visione d’insieme, ma scenari scarsamente coinvolgenti). Il tipo di organizzazione sopra descritta non deve essere solo ad appannaggio degli ospedali sede di dipartimenti di II livello, ma di tutti gli ospedali in attività sul territorio nazionale (zonali, DEA di I e II livello). Infatti, soprattutto gli ospedali vicini ad un evento indotto da un attacco terroristico (con esplosivo) occupano un ruolo di primo piano nel trattamento dei pz traumatizzati in modo lieve, permettendo il trattamento dei gravi politraumi nei centri più idonei. Una complementarietà tra ospedali, e tra ospedali e CO 118 che conduca alla realizzazione di linee guida locali e di piani operativi specifici, conosciuti e condivisi, garantirà un certo grado di ordine nel caos proprio delle maxiemergenze, consentendo, a livello ospedaliero, una significativa diminuzione nel ritardo delle cure tramite una migliore distribuzione dei carichi di lavoro e l’appropriatezza dei ricoveri, oltre ad un più razionale utilizzo e coordinamento delle risorse disponibili. E’ fortemente raccomandabile che tutti gli ospedali si dotino, in tempi di pace, di un’unità di crisi prontamente attivabile nelle maxiemergenze e, predispongano inoltre, dei piani di emergenza costantemente aggiornati, conosciuti e verificati; piani in dotazione anche della CO 118 di riferimento che deve integrarli col piano interno per meglio affrontare eventi disastrosi. Una corretta analisi del rischio connesso con i vari scenari possibili per una determinata area, integrata con procedure di addestramento e formazione specifica, rappresenta il punto di forza per una risposta ospedaliera che deve trovare la capacità di formulare una propria strategia, uniforme e condivisa, almeno come fondamenta sulle quali costruire un anello forte. Bibliografia 1. Bradt DA et al. A strategic plan for disaster medicine in Australasia. Emerg Med (Fremantle). 2003 Jun;15(3):271-82. 2. Chan TC et al. Information technology and emergency medical care during disasters. Acad Emerg Med. 2004 Nov;11(11):1229-36. 183 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 3. Hsu EB et al. Effectiveness of hospital staff mass-casualty incident training methods: a systematic literature review. Prehospital Disaster Med. 2004 Jul-Sep;19(3):191-9. 4. De Boer J. Order in chaos: modelling medical management in disasters. Eur J Emerg Med. 1999 Jun;6(2):141-8. 5. Dipartimento della Protezione Civile. Pianificazione dell’emergenza intraospedaliera a fronte di una maxiemergenza. Pubblicazione n. 54, Roma, 1998. 6. D.L. 626/1994 7. Morra A, Odetto L. Come si costruisce un piano di emergenza ospedaliero. Minerva Anest.2005 Oct;71(10):257-8. 8. Zane RD, Prestipino AL. Implementing the Hospital Emergency Incident Command System: an integrated delivery system's experience. Prehospital Disaster Med. 2004 Oct-Dec;19(4):311-7. 9. Avitzour M et al. A multicasualty event: out-of-hospital and in-hospital organizational aspects. Acad Emerg Med. 2004 Oct;11(10):1102-4. 10. Einav S et al. Evacuation priorities in mass casualty terror-related events: implications for contingency planning. Ann Surg. 2004 Mar;239(3):304-10. 11. AORN Guidance Statement: Fire Prevention in the Operating Room, Recommended Practice and Guidelines, 2005 Standards 12. Yale D Podnos, Irvine CA, Russell A Williams, Orange CA. American College of Surgeons: Committee on Perioperative Care L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera F. ROSSETTI, A. MESSERI Servizio Terapia del dolore e Cure Palliative Osp. A.Meyer – Firenze Qualunque condizione patologica acuta con compromissione delle funzioni vitali è in genere associata a stress e dolore. Queste spiacevoli sensazioni portano il bambino ad essere spaventato, agitato e quindi non collaborante, rendendo difficili le manovre di supporto e di stabilizzazione del paziente; inoltre la reazione fisiologica allo stress determina ripercussioni negative sull’omeostasi dell’organismo con incremento del consumo di ossigeno, vasocostrizione splancnica e periferica, incremento della pic, etc. Per questi motivi l’impiego di analgesia e sedazione può diventare determinante nella gestione e nel trasporto di un bambino in condizioni critiche. Le situazioni di emergenza in cui è indicato l’impiego di tecniche di sedo-analgesia sono: 1. Procedure invasive nel paziente cosciente (es. venipuntura, posizionamento di drenaggi toracici, riduzione di fratture, intubazione orotracheale, etc.) 2. Politraumatizzato, traumatizzato cranico (dopo valutazione primaria e stabilizzazione di vie aeree e circolo) per la gestione del dolore o la necessità di intubazione orotracheale in caso di GCS<8 3. Necessità di riduzione della mobilità spontanea (es. stabilizzazione cervico-spinale) 4. Trasporto del bambino in condizioni critiche E’ necessario ovviamente adeguare l’analgesia-sedazione alle condizioni cliniche del paziente e al tipo di procedura da eseguire, decidendo caso per caso la strategia da impiegare. Esistono diversi livelli di sedazione che si possono ottenere: - Sedazione vigile (in cui la coscienza è conservata e il piccolo presenta una risposta appropriata allo stimolo verbale es.”apri gli occhi”) 184 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 - Sedazione profonda (in cui il paziente non risponde allo stimolo verbale e può non essere in grado di mantenere i riflessi protettivi e la pervietà delle vie aeree) - Anestesia generale (in cui non c’è mantenimento della coscienza, dei riflessi e della pervietà delle vie aeree) Una sedazione “ideale” dovrebbe essere un compromesso tra una sedazione efficace e la comparsa di effetti indesiderati come la depressione respiratoria e cardiocircolatoria o la perdita dei riflessi protettivi delle vie aeree; purtroppo questo non sempre è ottenibile perché la risposta dei piccoli pazienti ai farmaci è strettamente individuale potendo manifestarsi, a parità di dose, livelli variabili di sedazione e perché non esiste un preciso confine tra un livello di sedazione ed il successivo, potendo verificarsi il passaggio da uno stato all’altro senza che questo sia previsto o voluto (modificazione delle condizioni cliniche, accumulo dei farmaci, modificazioni cardiocircolatorie, etc). Per tali motivi è sempre necessario, prima di procedere ad una sedazione, eseguire una corretta valutazione del bambino (anamnesi, esame obiettivo testa-piedi) e predisporre anticipatamente il materiale per il controllo delle vie aeree e del respiro, nonché di un adeguato monitoraggio delle funzioni vitali e del circolo. A tal proposito possiamo dire che il pulsossimetro può essere sufficiente sul territorio o in condizioni di emergenza, è tuttavia auspicabile un monitoraggio completo con ECG e pressione arteriosa. I farmaci a nostra disposizione per la sedazione-analgesia-anestesia sono: 1. ANALGESICI OPPIODI (morfina, fentanyl, codeina, tramadolo) E NON (paracetamolo, ketorolac) 2. IPNOTICI (benzodiazepine: midazolam, diazepam, lorazepam) 3. ANESTETICI (propofol, tiopentale, ketamina) a cui possono essere eventualmente associati miorilassanti depolarizzanti (succinilcolina) e non (vecuronio, atracurio) 4. ANESTETICI LOCALI (lidocaina, bupivacaina, ropivacaina) Tra gli analgesici oppioidi i più impiegati sono morfina e fentanyl, somministrati per via ev e titolati fino alla dose minima efficace. Il fentanyl, per il suo più rapido tempo di onset e offset, può essere impiegato per il dolore associato a procedure di breve durata (es. riduzione di fratture) e per l’analgesia nella sequenza rapida di intubazione. Da ricordare tra le possibili complicanze l’insorgenza di rigidità toracica che può rendere difficile l’assistenza ventilatoria, più frequente con l’impiego di dosaggi elevati e la somministrazione in bolo rapido. Tutti gli effetti avversi sono comunque antagonizzabili con l’impiego di naloxone. Tra gli oppioidi deboli trova largo impiego la codeina, da sola o, più frequentemente, associata a paracetamolo, di cui ne potenzia l’effetto. Può essere somministrata per os o per via rettale e risulta molto utile nella gestione del dolore di media entità. Tutti i fans possono essere associati agli oppioidi nei casi di dolore intenso, essi ne potenziano l’effetto in quanto agiscono con meccanismo d’azione diverso. L’esistenza di formulazioni somministrabili per via ev (paracetamolo, ketorolac) ne permette l’impiego anche in condizioni di emergenza. L’effetto sedativo e ipnotico può essere garantito dall’impiego di benzodiazepine, che possiedono inoltre attività amnesica, anticonvulsivante e miorilassante, a fronte di scarse interferenze sull’emodinamica e sull’attività respiratoria. Da considerare per l’impiego in emergenza sono quelle somministrabili per via ev o rettale, come diazepam, lorazepam e midazolam. Quest’ultimo trova largo impiego per il suo rapido onset e la breve durata e per la possibilità di utilizzo anche in infusione continua titolandone la dose in base alla clinica (es. ansiolisi durante il trasporto del paziente al più vicino centro di assistenza, stato di male epilettico, etc.). Un suo peculiare effetto avverso è la comparsa di bradicardia e ipotensione, convulsioni e talora movimenti extrapiramidali quando somministrato in bolo rapido nei neonati. I farmaci anestetici dovrebbero essere impiegati solo da personale esperto, a conoscenza delle possibili complicanze ed effetti avversi legati alla loro somministrazione. 185 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il tiopentone ed il propofol possono essere entrambi impiegati per l’intubazione tracheale rapida e per la gestione dello stato di male epilettico, tenendo sempre a mente gli importanti effetti sull’emodinamica (ipotensione, depressione miocardica, bradicardia), sul respiro (apnea,laringospasmo, broncospasmo) e sul circolo cerebrale (vasocostrizione con riduzione del flusso ematico distrettuale, della pic e del consumo di ossigeno cerebrale). Sconsigliabili nel bambino emodinamicamente instabile. La ketamina, da sola o associata al midazolam, è il farmaco di scelta nel paziente ipoteso o in stato di shock. Dato che mantiene l’autonomia respiratoria e i riflessi di protezione può essere indicata nel caso di pazienti a stomaco pieno o di difficoltà prevista all’intubazione. Agisce come broncodilatatore, antagonizzano l’istamina, può quindi risultare utile nello stato asmatico. Gli effetti sul circolo cerebrale (aumento del flusso ematico, del consumo di ossigeno e della pic) rappresentano una controindicazione relativa al suo utilizzo nel traumatizzato cranico. Una accurata valutazione costo-beneficio è però necessaria nel caso in cui siano presenti ipotensione marcata o una prevista difficoltà di gestione delle vie aeree dato che in questi pazienti la prognosi è pesantemente condizionata dall’insorgenza di ipotensione, ipossia e ipercapnia. La sua associazione con midazolam è ideale per la sedo-analgesia dei pazienti ustionati. Può essere somministrata per via ev (a bolo o in infusione continua) e endorettale. Gli effetti avversi più importanti da ricordare sono la comparsa di ipertensione e tachicardia, movimenti tonico-clonici e l’aumento di secrezioni nelle vie aeree. L’anestesia locale è un’ottima tecnica di integrazione per il controllo del dolore e ci permette di ridurre grandemente la dose di analgesici impiegati. Lidocaina, bupivacaina e ropivacaina possono essere impiegate per l’infiltrazione dei margini delle ferite o il blocco dei nervi periferici (es. blocco del nervo femorale in caso di frattura del femore). Una considerazione a parte nell’approccio al paziente pediatrico riguarda i mezzi non farmacologici per la prevenzione del dolore e la gestione dell’ansia. Immobilizzare quanto più precocemente possibile un arto fratturato, limitare le procedure invasive a quelle strettamente necessarie e un trattamento non doloroso delle ferite cutanee con steri strip o colle di cianoacrilato riduce grandemente lo stress del bambino e accresce la fiducia nel suo soccorritore. Parlare e spiegare al bambino, anche se piccolo, le procedure che dovranno essere eseguite, prima e durante la loro esecuzione, riduce l’ansia anticipatoria e, nei bambini più grandi, aiuta a generare collaborazione. Inoltre, quando possibile, sarebbe sempre bene permettere ai genitori di stare vicino al piccolo per rassicurarlo e tranquillizzarlo, cercando a nostra volta di tranquillizzare il bambino e i suoi familiari. Bibliografia - AAP: American Academy of Pediatrics Commitee on drugs. Guidelines for monitoring and management of paediatric patients during and after sedation for diagnostic and therapeutic procedures. Pediatrics 1992; 89: 110-1115 - AAP: American Academy of Pediatrics, Canadian Paediatric Society. Prevention and managment of pain in neonate. Pediatrics 2000; 105: 454-461 - ACEP: The use of paediatric sedation and analgesia. American College of Emergency Physicians. Advanced pediatric life support manual. - American Academy of Pediatrics, Committee on Drugs and Section of Anesthesiology. Guidelines for elective use of conscoius sedation, deep sedation, and general anesthesia in pediatric patients. Pediatrics 1985; 76: 317-321 - American Academy of Pediatrics-American Pain Society. The assestment and Management of Acute Pain in Infants, Children and Adolescents. Pediatrics, 2001; 108: 793-797 - Analgesia and sedation guidelines: PICU, Royal Children’s Hospital, Melbourne - Maurice SC et al. Emergency analgesia in the pediatric population. Part I. Emerg Med J 2002; 19: 4-7. Part II. Emerg Med J 2002; 19: 101-105 186 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L'assistenza anestesiologica al parto. L'anestesia generale in gravidanza (escluso il parto) A. RUTILI U.O. Anestesia e Rianimazione Apuane, ASL 1 Toscana In gravidanza, l’1.5-2% di donne viene sottoposto ad anestesia per interventi chirurgici direttamente (es. cerchaggi) o indirettamente correlati alla gravidanza (es. patologia ovarica), o non correlati alla gestazione (es. neucrochirugia, chirurgia addominale, traumi, ecc.). La donna gravida presenta una situazione clinica unica (due “pazienti” contemporaneamente, con importanti cambiamenti fisiologici), e richiede una valutazione rischio-beneficio molto attenta. È fondamentale quindi garantire la sicurezza materna, evitare l’asfissia fetale intrauterina e cercare di prevenire il parto pretermine. Nelle fasi avanzate è necessario prevenire l’ipotensione da compressione cavale, ponendo se possibile, in decubito laterale sx per qualsiasi tipo di intervento chirurgico. È necessario anche ricordare la maggiore sensibilità ai farmaci, per cui è consigliabile una generale riduzione dei dosaggi degli anestetici, sia generali che locali. Tutti gli studi indicano che la chirurgia e l’anestesia durante la gravidanza non sono accompagnate da un aumento dell’incidenza di malformazioni congenite, ma è dimostrata una maggiore abortività, soprattutto correlata alla sede chirurgica (> addome e apparato genitale). Le principali indicazioni per l’equipe sono: se possibile rimandare l’intervento, cercare di essere “mini-invasivi” (es. laparoscopia, indicata nel I-II trimestre) e ricorrere all’Anestesia LocoRegionale. È importante seguire nel postoperatorio il monitoraggio CTG e somministrare tocolitici soltanto se necessario. Riferimenti bibliografici - Kuczkowski K.M. Nonobstetric surgery during pregnancy: what are the risks of anesthesia ? Obstet Gynecol Surv. 2004 - Goodman S. Anesthesia for nonobstetric surgery in the pregnant patient. Semin Perinatol 2002 - Levinson G, Shnider SM. “ Anestesia nella pratica ostetrica“ - Fatum M. Laparoscopic Surgery during pregnancy. Obstet Gynecol Surv 2001 Anestesia nei pazienti trapiantati E. SERRA, P. FELTRACCO, I. TIBERIO, F. BERTAMINI E C. ORI Clinica di Anestesia e Terapia Intensiva, Ospedale-Università di Padova E-mail [email protected] Riassunto L’aumento del numero di trapianti di organi solidi registrato negli ultimi anni, legato al maggior numero di centri trapianti attivi e alla crescita delle donazioni, associato alla maggiore sopravvivenza dei pazienti trapiantati, ha reso la popolazione dei trapiantati numericamente considerevole. La probabilità che anche un anestesista che non lavora presso un centro trapianti venga chiamato a confrontarsi con un paziente trapiantato è consistente. E’ utile pertanto conoscere le problematiche peculiari di ogni categoria di trapiantati al fine di evitare, in caso di richiesta di anestesia per una qualsiasi patologia da sala operatoria, danni al graft con deterioramento della funzione dopo l’intervento chirurgico. Un gruppo di notevole interesse anestesiologico sono le pazienti con trapianto di organo solido che vanno incontro ad una gravidanza dopo il trapianto. 187 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Molto interessanti le interazioni e i potenziamenti dei farmaci dell’anestesia con i farmaci immunosoppressori assunti dai pazienti oppure le variazioni farmacocinetiche o farmacodinamiche per la funzione non ottimale dell’organo trapiantato. Importante la diagnosi differenziale di eventuale rigetto o infezione in atto al fine di evitare una improprio aumento dell’immunosoppressione in un paziente con infezione o un trattamento antibiotico di un rigetto. Utile al riguardo, quando logisticamente non è possibile trasferire il paziente, il confronto anche telefonico con i medici del centro trapianto di riferimento. Introduzione I trapianti di organi solidi sono diventati delle valide opzioni terapeutche per pazienti affetti da malattie polmonari, renali, epatiche e cardiache in fase terminale. Il miglioramento delle tecniche chirurgiche, della condotta anestesiologica e rianimatoria, unitamente alla scoperta di nuovi e più efficaci immunosoppressori, hanno consentito un decisivo incremento della sopravvivenza anche a lungo termine con un miglioramento della qualità di vita, al punto che alcuni dei trapiantati tornano a svolgere una normale attività lavorativa e alcune pazienti hanno potuto portare a termine una o più gravidanze. L’incremento della sopravvivenza insieme all’incremento del numero di trapianti effettuati ha condotto negli ultimi anni ad un cospicuo aumento della popolazione dei trapiantati. E’, pertanto, sempre più frequente ritrovare pazienti portatori di un organo trapiantato in lista operatoria, talora in ospedali lontani dai Centri trapianto di riferimento, per interventi chirurgici di elezione o d’urgenza e non solo correlati al trapianto stesso, o addirittura in sala parto. (1) Condotta anestesiologica nei pazienti trapiantati La scelta del tipo di anestesia (locale, loco-regionale e generale) va fatta in base al tipo di intervento chirurgico ed alle condizioni cliniche del paziente (soprattutto cardio-respiratorie), considerando la situazione fisiopatologica dell’organo trapiantato e le problematiche legate all’addizionale carico farmacologico.(2) La prolungata intubazione tracheale per il rischio particolarmente elevato in tali pazienti di infezioni respiratorie va evitata e tutti gli sforzi devono essere tesi ad un rapido weaning e ad una precoce estubazione postoperatoria. Quando possibile sono da privilegiare le tecniche di anestesia locoregionale in tali pazienti, anche se la stessa anestesia generale, adottando opportuni accorgimenti, può essere condotta in tutta sicurezza. Anestesia nel paziente con trapianto di polmone L’anestesia subaracnoidea e l’anestesia epidurale qualora possibili e sufficienti per l’intervento chirurgico proposto, devono essere preferite all’anestesia generale in questi pazienti. I blocchi centrali possono infatti evitare l’intubazione endotracheale e la ventilazione meccanica con conseguenti minori rischi di aspirazione, atelettasie e polmoniti post-operatorie. Con tali procedure, ma soprattutto con l’anestesia epidurale toracica, va adottata cautela in quanto possono determinare una riduzione della forza sviluppata dai muscoli intercostali, funzione talora necessaria in pazienti trapiantati di polmone con prove di funzionalità “borderline”. Il pre-riempimento volemico è da evitare laddove non strettamente necessario, soprattutto nei pazienti che hanno ricevuto un trapianto polmonare doppio sequenziale (DSSLTx). Gli anestetici locali possono essere usati in sicurezza in tali pazienti. (3) In caso di blocco del plesso brachiale per via sovraclaveare, sottoclaveare o anche interscalenica va attentamente considerata la possibilità di pneumotorace, mentre va evitata la paralisi del nervo frenico (con relativa compromissione della funzione dell’emidiaframma omolaterale) in seguito a blocco del plesso cervicale profondo e/o interscalenico. Anestesia generale. Per l’induzione dell’anestesia generale vanno scelti anestetici a breve durata d’azione (propofol, tiopentale sodico) e la loro somministrazione deve essere fatta in modo da ridurre lo stato di coscienza molto dolcemente e senza grosse ripercussioni emodinamiche. Tra gli 188 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 agenti ipnoinducenti va scartato il diazepam, per la lunga emivita e le possibili ripercussioni sul recupero ventilatorio post-intervento, mentre utili possono essere le benzodiazepine a breve emivita (midazolam), soprattutto se usate nella coinduzione con altri agenti. Da evitare anche alte dosi di oppiacei a lunga e media emivita sia per l’induzione che per il mantenimento (rischio di ipoventilazione e depressione respiratoria postoperatoria) mentre con favore vengono visti, per il mantenimento dell’analgesia, i più recenti oppiacei a breve emivita somministrabili sia in bolo endovenoso (alfentanil) che in infusione continua (remifentanil). Il mantenimento dell’anestesia può avvenire sia con tecniche endovenose continue (TIVA) che con agenti inalatori. A tal proposito tutti gli agenti inalatori appaiono ben tollerati, anzi il loro utilizzo sarebbe preferibile in quanto permetterebbe una riduzione delle dosi di miorilassanti e di analgesici oppiacei con un più pronto ripristino della ventilazione spontanea. Il protossido d’azoto va sicuramente evitato in caso di enfisema bolloso del polmone nativo (e di trapianto polmonare singolo, SLTx). (4) La scelta del miorilassante deve tener conto dell’interazione con la terapia immunosoppressiva (ciclosporina A e azatioprina) e dell’insufficienza d’organo (fegato, rene) eventualmente presente. Per procedure chirurgiche di breve durata può essere suggerito il mivacurium in bolo. Per interventi chirurgici di più lunga durata possono essere utilizzati, con gli accorgimenti visti sopra, sia il vecuronio, sia il rocuronio che il cisatracurio. Appare utile evitare agenti a più lunga durata d’azione (pancuronio, doxacurio) per le loro eventuali influenze sul recupero della ventilazione spontanea e per la frequente coesistenza di insufficienza renale indotta dagli immunosoppressori. Per brevi interventi chirurgici può essere indicata una sedazione profonda con mantenimento del respiro spontaneo ed arricchimento dell’aria inspirata con ossigeno. Va osservato che talune posizioni sul letto operatorio (ad es. Trendelemburg) possono essere mal tollerate da pazienti sedati e con funzionalità respiratoria già al limite. Data la scarsa capacità di proteggere le vie aeree dall’inalazione è sconsigliabile applicare tecniche di ventilazione assistita in maschera con sedazione più o meno profonda. L’utilizzo della maschera laringea (LMA) va considerato con molta cautela, soprattutto se l’intervento chirurgico avviene in fase precoce post-trapianto quando una discreta percentuale di pazienti presenta atonia gastrica e rischio di rigurgito. In questi ed in tutti gli altri casi l’intubazione endotracheale risulta preferibile. La cuffia del tubo endotracheale va posizionata come in tutti gli altri pazienti: eccetto nei casi di trapianto en-bloque, infatti, le anastomosi delle vie aeree sono sui bronchi e non sulla trachea. Se è necessario l’introduzione di tubi a doppio lume, bisogna aiutarsi con un broncoscopio flessibile. Quando possibile, è sono da preferire tubi endotracheali di diametro più grande, relativamente alla taglia del paziente, in quanto questi offrono minor resistenza al flusso aereo in- ed espiratorio e permettono una migliore gestione delle secrezioni. (5) In casi particolari, come ad esempio nei SLTx per enfisema, la differenza di compliance tra il polmone nativo ed il graft può richiedere l’utilizzo intraoperatorio della ventilazione polmonare differenziata (DLV) attraverso un tubo endotracheale a doppio lume con ventilazione erogata da due differenti apparecchi. I pazienti sottoposti a DSSLTx o a trapianto cuore-polmoni non presentano solitamente marcate differenze di compliance tra i due polmoni e sono, in genere, ben ventilabili. Per quanto riguarda i parametri ventilatori, lasciando da parte specifiche situazioni della DLV, è generalmente desiderabile ottenere basse pressioni inspiratorie di picco con minor stress da tensione sull’anastomosi tracheale o bronchiale, soprattutto nel periodo precoce post-trapianto. La ventilazione-minuto dovrebbe essere aggiustata al fine di mantenere un livello di PaCO2 simile a quello preoperatorio ed evitare eccessi di ventilazione con rischio di volo- o baro-trauma ed evitare bassi valori di CO2 in pazienti con tendenza all’ipercapnia cronica compensata (clinicamente stabili ed asintomatici). Un uso giudizioso della PEEP può essere accettato nei pazienti sottoposti a DSSLTx, mentre è da evitare nei pazienti sottoposti a SLTx per malattia enfisematosa. In questi ultimi pazienti la posizione laterale sul letto operatorio può migliorare l’ossigenazione: utile, quando possibile, porre il polmone nativo in posizione dipendente (miglior rapporto V/Q). Qualora l’ipossiemia è refrattaria agli aggiustamenti della ventilazione, all’utilizzo di FiO2 del 100% e alle 189 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 manovre posturali, 10-80 ppm di ossido nitrico (NO) per via inalatoria talora (responders) migliorano l’ossigenazione. A fine intervento, condotto con monitoraggio neuromuscolare, è necessaria una completa reversibilizzazione della curarizzazione: una sia pur minima azione residua del miorilassante potrebbe influire negativamente sulla capacità inspiratoria, sul lavoro respiratorio e quindi sulla autonomia ventilatoria del paziente. Per la frequente compromissione dei riflessi delle vie aeree, l’estubazione va attuata solo a paziente sveglio, in grado di respirare autonomamente ed in grado di tossire, e con il polmone funzionalmente più compromesso in posizione dipendente (declive) al fine di proteggere l’altro polmone dal rischio di aspirazione. Anestesia nel paziente con trapianto di cuore La sopravvivenza nei pazienti con trapianto di cuore è dell’80% ad un anno, del 78% a 5 anni e maggiore del 70% a 10 anni. Come anche per i trapiantati di altri organi solidi, un sempre maggior numero di cardiotrapiantati ha bisogno di chirurgia cardiaca o non cardiaca. Le tipologie di intervento maggiormente richiesti sono: - procedure chirurgiche necessarie a risolvere patologie connesse al trapianto: broncoscopie ripetute, chirurgia dell’anca o del ginocchio (osteoporosi da steroidi o osteodistrofia renale), infezioni atipiche da immunosoppressione (micosi oculari o del sistema nervoso centrale). (6) - Chirurgia per la progressione della patologia originaria (aneurismi aortici, endoarterectomia, malattia ateromatosa e vasculopatia diffusa).(7) - Chirurgia ordinaria.(8) Nel preoperatorio l’anestesista deve valutare la funzionalità del cuore trapiantato (mediante ecocardiografia, ECG, visita cardiologica, risultati delle biopsie miocardiche, controllo di un eventuale pace-maker), l’Rx torace, gli esami ematochimici (emocromo, funzione renale, epatica, elettroliti, prove di funzionalità respiratoria, assetto coagulativo), la terapia preoperatoria e ricercare eventuali coronaropatie, vasculopatie o segni di rigetto. In caso di rigetto acuto del graft l’intervento, se non strettamente necessario, deve essere procrastinato. Il paziente trapiantato di cuore deve costantemente assumere una grande quantità di farmaci, immunosoppresivi e non, che l’anestesista deve tenere in adeguata considerazione per la gestione di una corretta anestesia. Per avere adeguate informazioni riguardo alla terapia immunosoppressiva, è utile mettersi in contatto con il centro trapianti di riferimento. L’immunosoppressione deve continuare anche nel periodo perioperatorio e la dose di steroidi dev’essere aumentata per sopperire alla insufficienza corticosurrenalica da steroidoterapia cronica. Gli steroidi sono inoltre causa di diabete, psicosi, ulcera peptica, osteoporosi, ritardata guarigione delle ferite, sindrome tipo Cushing. L’azatioprina, inibitore delle fosfodiesterasi, inibisce il blocco neuromuscolare. E’ sia epatotossica (causa danno epatocitario e favorisce la colestasi) che mielotossica, provocando leucopenia, anemia e trombocitopenia. La ciclosporina ed il tacrolimus, infine, sopprimono l’immunità umorale e cellulare, e quindi favoriscono le infezioni nel postoperatorio, provocano vasocostrizione generalizzata, nefrotossicità ed ipertensione, aumentano il rischio trombotico. Intraoperatorio. L’intervento va condotto in modo da ridurre al minimo il rischio di infezione, utilizzando un monitoraggio invasivo solo se strettamente necessario e, nel caso, utilizzando tecniche rigorosamente asettiche al momento dell’incannulazione di vene, arterie o dell’esecuzione di un’anestesia locoregionale. Un eventuale CVC va posizionato in giugulare interna sinistra, essendo la destra utilizzata per eseguire biopsie miocardiche. Se il paziente dev’essere sottoposto ad un intervento di chirurgia maggiore si può valutare l’utilizzo di una sonda ecografica transesofagea e di un monitoraggio volumetrico con il sistema PiCCO. 190 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il paziente trapiantato di cuore è spesso iperteso, talora già da prima del trapianto (ipertensione essenziale), a causa dell’assunzione cronica di steroidi ed immunosoppressori. Calcioantagonisti e ACE inibitori sono i farmaci di scelta. Da evitare i ß-bloccanti per il rischio di severe bradiaritmie: il cuore denervato è strettamente dipendente dalle catecolamine circolanti. La funzione renale è spesso compromessa a causa dell’utilizzo della ciclosporina o del tacrolimus, e deve essere salvaguardata, evitanto farmaci nefrotossici diretti o che potenziano l’attività degli immunosoppressori. E’ importante evitare disidratazione, ipovolemia e vasodilatazione, mantenendo un precarico adeguato. L’induzione dell’anestesia generale deve essere lenta, sì da evitare una rapida riduzione delle resistenza vascolari periferiche: utile a tal fine la ketamina, ma anche, con cautela, il tiopentale sodico o il propofol. Per il mantenimento si può adottare una tecnica standard (endovenosa o inalatoria associata ad un oppioide e ad un bloccante neuromuscolare).(9) Qualora sia possibile un’anestesia locoregionale si deve garantire un adeguato riempimento preventivo mediante colloidi o cristalloidi, preferire gli oppiacei agli anestetici locali, prestando sempre grande attenzione ad eventuali ipotensioni severe. Nel caso si verifichino bradicardia o ipotensione severe i farmaci di scelta sono: - isoprenalina (aumenta la frequenza, la gittata cardiaca e la pressione sistolica con effetto ßadrenergico); - efedrina (aumenta la pressione sistolica e diastolica, la frequenza cardiaca e la gittata sistolica, aumenta inoltre il ritorno venoso e la gittata cardiaca con effetto α- e β-adrenergico). Anestesia nel paziente con trapanto di rene Il rene è l’organo più frequentemente trapiantato: trapianto di rene singolo da vivente, di rene doppio, rene-pancreas, rene-fegato, rene-cuore, rene-polmone, da cadavere.(10) Nell’approccio al nefrotrapiantato, prima di qualsiasi tipo di intervento, deve essere ben valutata la funzionalità renale, di solito diminuita del 20% in questi pazienti sia per l’effetto nefrotossico diretto della ciclosporina, sia per il rigetto cronico del graft. Segni di rigetto sono: urea e creatinina in aumento, proteinuria, ipertensione, aumento dell’edema e quindi del peso. Patologie come ipertensione arteriosa, diabete e vasculopatie generalizzate sono spesso presenti fin da prima del trapianto e sono causa sia dell’insufficienza renale che ha portato al trapianto, sia del danno al graft dopo il trapianto.(11) L’ipertensione fa la sua comparsa nel 50% dei pazienti ad un anno dal trapianto ed il 100% dei pazienti assume antipertensivi a 5 anni dall’intervento. La causa dell’ipertensione può essere la stessa malattia di base del (es.: diabete mellito) oppure la stenosi dell’arteria renale del rene trapiantato, la terapia cronica con steroidi e ciclosporina o il rigetto cronico. Di frequente riscontro in tali pazienti gli squilibri idro-elettrolitici come iperkaliemia, ipercalcemia (da iperparatiroidismo secondario), ipofosfatemia ed ipomagnesemia (da ciclosporina). L’acidosi tubulare renale prossimale (da perdita di bicarbonati) o distale, l’iperglicemia e la glicosuria (da steroidi) sono pure frequenti.(12) E’ imperativo, per una gestione corretta dell’anestesia in un paziente trapiantato di rene, evitare farmaci nefrotossici, tra cui alcuni antibiotici (aminoglicosidi, vancomicina, amfotericina B, etc..) e i FANS. La morfina, in caso di insufficienza renale, può dare accumulo del suo metabolita morfina6-glucuronide. (13) Per evitare ipotensioni severe è utile il preriempimento. L’induzione dell’anestesia generale non richiede misure particolari (utili propofol, ketamina o tiopentale sodico) eccetto il non utilizzo della di succinilcolina, per il rischio di peggiorare un’iperkaliemia eventualmente presente. Il mantenimento può essere totalmente endovenoso (TIVA) o con neuroleptoanalgesia, in entrambi i casi in associazione con curari come il cis-atracurio o il vecuronio. Gli alogenati (il sevoflurano ad esempio) possono invece dare tossicità renale, provocando un danno a livello tubulare. (14-16) 191 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Anestesia nel paziente con trapianto di fegato I miglioramenti nella tecnica chirurgica e nella terapia immunosoppressiva hanno contribuito all’aumento della sopravvivenza anche dei pazienti sottoposti a trapianto di fegato con notevole incremento del numero di interventi chirurgici richiesti dopo il trapianto.(17,18) Come per i pazienti trapiantati di rene, polmone o cuore, anche in questa categoria di pazienti è necessaria un’attenta valutazione preoperatoria ponendo particolare attenzione alla funzionalità epatica. Oltre all’Rx torace, e all’ECG, alcuni esami ematochimici (emocromo, urea, creatinina, AST, ALT, γGT, bilirubina totale e diretta, ALP, LAD, PT, PTT, ATIII) hanno particolare valore nella valutazione preoperatoria. L’ecotomografia e l’ecodoppler dei vasi del fegato sono utili per una completa valutazione morfo-funzionale. Se il fegato trapiantato è in buone condizioni, in assenza di segni di insufficienza epatica o renale, si può sottoporre il paziente ad anestesia generale e/o locoregionale senza particolari accorgimenti, come fosse un normale paziente durante un intervento di routine.(19,20) Se invece si evidenzia un certo grado di insufficienza epato-renale, come già detto per quanto riguarda altri tipi di trapianto d’organo, l’anestesista deve seguire alcuni accorgimenti. Il 47% dei pazienti trapiantati di fegato (soprattutto quelli con già una pregressa alterazione di urea e creatinina prima dell’impianto del nuovo organo) sviluppa un’insufficienza renale e diabete nei 3 anni successivi al trapianto.(19,21) La valutazione dell’assetto emo-coagulativo, in particolare, è importante per decidere l’esecuzione di un’eventuale anestesia locoregionale.(21) Nel caso sia necessaria l’anestesia generale l’anestesista deve considerare che fentanyl, sufentanil ed alfentanil sono normalmente metabolizzati a livello epatico. Il metabolismo extraepatico, in preponderanza da enzimi renali, assume maggior importanza in presenza di una grave insufficienza epatica. La farmacocinetica di una singola dose di fentanyl e sufentanil non cambia in caso di insufficienza epatorenale, tuttavia in caso di infusione continua si osserva un fenomeno di accumulo e quindi di potenziamento degli effetti da oppioidi. In caso di insufficienza epatica si sconsiglia l’utilizzo di alfentanil: la clearance plasmatica e l’eliminazione ne sono notevolmente diminuiti, cosa che invece non accade in caso di sola insufficienza renale. Il remifentanil è l’oppioide di scelta per un paziente con insufficienza epatica e renale. Per quanto riguarda la morfina, si è visto che il suo metabolismo è ridotto nel caso di insufficienza epatica e si ha un accumulo di metaboliti attivi nel caso di insufficienza renale.(22) Gestione anestesiologica della paziente ostetrica trapiantata La gravidanza dopo un trapianto d’organo viene sconsigliata. La fertilità non è invece compromessa dalla terapia immunosoppressiva e, per scelta o per caso, le gravidanza dopo trapianto sono tutt’altro che rare. Sempre più spesso quindi il ginecologo e l’anestesista di sala parto si troveranno a fronteggiare gravidanze, travagli e cesarei di pazienti trapiantate. L’imunosoppressione ha un basso effetto teratogeno sull’embrione. L’organo trapiantato si adatta in genere molto bene ai numerosi cambiamenti fisiologici della gravidanza e l’incidenza di rigetto durante il periodo di gestazione non appare aumentata rispetto agli altri pazienti.(23,24) Se l’organo trapiantato risultasse deteriorato, l’anestesista deve saper gestire questa eventuale insufficienza d’organo durante l’intervento chirurgico o l’analgesia in travaglio di parto. La terapia immunosoppressiva deve continuare durante tutto il travaglio, eventualmente diminuendo i volumi dei liquidi necessari al fine di ridurre i rischi di inalazione. Da uno studio recente su 193 donne in età riproduttiva sottoposte a trapianto di rene, 41 hanno poi intrapreso una gravidanza nei successivi 3-5 anni (21,2%). Le complicanze più frequenti sono state: diabete gestazionale (5.7%), infezioni (13.4%), gestosi (19.2 %), rottura precoce delle membrane (17.3%), parto pretermine (40.9%), malformazioni congenite (5.7%; minori: 2 ernie inguinali ed un caso di ipotonia congenita), insufficienza 192 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 dell’organo trapiantato (30.7%), uropatia ostruttiva (9.6%), nessun caso dirigetto dell’organo trapiantato. (25) Dopo il parto pretermine quindi, la complicanza più frequente per una gravidanza in una paziente che ha ricevuto un trapianto è la gestosi, che secondo alcuni Autori si presenta addirittura nel 30% dei casi contro il normale 2-3% della popolazione non trapiantata. In realtà risulta spesso difficile porre diagnosi differenziale fra gestosi vera e propria e una condizione di proteinuria ed ipertensione dovuta all’assunzione di ciclosporina, associata al normale edema presente in quasi tutte le gravidanze a termine. Nelle gravide trapiantate, durante tutta la gravidanza devono essere periodicamente e attentamente controllati gli esami ematochimici (emocromo, coagulazione, funzionalità epatica e renale, ioni), la situazione clinica della gestante e del feto. L’edema generalizzato, ed in particolare delle prime vie aeree, spesso presente nelle gravide, può rendere difficile il controllo delle vie aeree. Un eventuale taglio cesareo richiede un monitoraggio invasivo della pressione arteriosa e la misura della diuresi, controllando la presenza di un’eventuale oliguria refrattaria al riempimento e una compromissione respiratoria della gestante. L’indicazione più frequente per il taglio cesareo è l’insufficienza d’organo trapiantato (50%) ed in secondo luogo la mancata progressione del travaglio (25%). L’anestesia per il taglio cesareo emergente può essere generale o subaracnoidea. Nel caso invece di un cesareo d’elezione vengono preferite l’anestesia subaracnoidea o la peridurale. Per le pazienti trapiantate di rene, polmone e fegato non ci sono problemi nell’utilizzo dei comuni farmaci vasoattivi come efedrina, atropina, fenilefrina, dopamina, nifedipina, diltiazem, magnesio, nitroprussiato o nitroglicerina.(26,27) Nelle trapiantate di cuore invece occorre un’attenzione particolare: la contrattilità cardiaca risulta spesso conservata, come anche il meccanismo di Frank-Starling, ma può essere presente una coronaropatia nel 30% dei casi a 3 anni dal trapianto, possibile causa di ischemia di non sempre facile diagnosi. E’ richiesto pertanto un attento monitoraggio di ECG, esami ematochimici (enzimi cardiaci) e possibilmente un’ecocardiografia recente.(28) In queste pazienti l’anestesia subaracnoidea o peridurale alta raramente provocano bradicardia. Nel caso di un overdose di anestetici locali tuttavia si può ricorrere alla somministrazione di simpaticomimetici diretti come l’isoproterenolo, l’efedrina, la dopamina e la noradrenalina.(29) Nel caso invece si presentasse un episodio di tachicardia si possono utilizzare esmololo o verapamile. Per risolvere l’ipotensione è di prima scelta l’efedrina perché aumenta le resistenze sistemiche preservando il flusso ematico uterino, senza apportare grandi modificazioni alla frequenza cardiaca. Tra i farmaci tocolitici, i più sicuri per tutte le pazienti trapiantate sono il magnesio e la nifedipina.(30) La ritodrina e la terbutalina (tocolitici ß-agonisti) sono sconsigliate nelle trapiantate di cuore, ma possono essere utilizzate nelle trapiantate di polmone, rene e fegato. Nelle pazienti trapiantate di rene il tasso di filtrazione glomerulare è aumentato, con un’ampia variabilità dei valori di clearance della creatinina. Queste presentano spesso una proteinuria di base e, a partire dalla 16a settimana di gestazione, un aumento della pressione media (che rende difficile la diagnosi differenziale con la gestosi). (31-33) In linea teorica il rene trapiantato può interferire con il parto vaginale trovandosi in fossa iliaca, il cesareo viene dunque più frequentemente consigliato in questi casi.(34) Tra i farmaci tocolitici, nelle nefrotrapiantate è da evitare l’indometacina per il potenziamento della nefrotossicità da ciclosporina.(35) Nelle pazienti trapiantate di rene e pancreas si è notata un’alta incidenza di ipertensione, prematurità e basso peso alla nascita del bimbo.(36) Per le trapiantate di polmone c’è da tener conto che la ventilazione/minuto ed il volume corrente aumentano del 40% durante la gravidanza e, come in tutte le gravide, l’aumento di volume 193 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 dell’addome ostacola la ventilazione polmonare, soprattutto in posizione supina. L’eventuale congestione delle mucose respiratorie verso il termine della gravidanza può contribuire all’aumento della dispnea o precipitare una severa compromissione respiratoria, soprattutto se associata a sovraccarico di fluidi o ad infezione polmonare o delle prime vie aeree. Nelle gravide trapiantate di fegato è ridotta l’attività delle colinesterasi sieriche e gli enzimi epatici sono sempre aumentati; i livelli bassi di albumina rendono difficile, anche in questo caso, la diagnosi differenziale con la gestosi vera e propria e interferiscono con il livello plasmatici dei farmaci immunosoppressori.(37-42) In linea generale, per tutte le gravide trapiantate si deve tenere presente che, essendo soppressa l’immunità umorale e cellulare, esse sono più soggette ad infezioni quindi, come si è visto anche per gli altri pazienti sottoposti a trapianto, si deve prestare particolare attenzione alla sterilità nelle tecniche utilizzate per l’accesso venoso, arterioso, alle vie aeree o per l’ anestesia locoregionale. Gli steroidi assunti cronicamente per l’immunosoppressione possono portare a: - osteodistrofia della pelvi, rendendo difficile un parto per via vaginale; - parti prematuri, per precoce rottura delle membrane e per indebolimento del tessuto connettivo; - aspetto cushingoide, con difficile gestione delle vie aeree; - ulcere, gastriti, reflusso gastroesofageo, con possibile rigurgito ed aspirazione; - soppresione della corticale del surrene, per cui è necessaria una dose supplementare di steroidi all’atto di un taglio cesareo; - iperglicemia, con possibile ipoglicemia del neonato (effetto rebound). Prima dell’anestesia subaracnoidea per il taglio cesareo, come per tutte le altre normali gestanti, è bene eseguire un riempimento volemico (500ml di colloidi o 1500ml di cristalloidi) per aumentare il precarico, la gittata cardiaca e la pressione arteriosa. Il preriempimento è da evitare tuttavia nelle trapiantate di polmone. Come sempre è bene osservare il decubito laterale sinistro per tutte le pazienti, per evitare la compressione della vena cava. Pazienti Nel periodo 2000-2005 sono stati eseguiti presso l’Azienda Ospedaliera-Università di Padova 121 trapianti di cuore, 82 trapianti di polmone, 410 trapianti di rene e rene-pancreas e 286 trapianti di fegato. Fra i trapiantati di cuore il 10% ha necessitato di un intervento chirurgico successivo al trapianto e si sono verificate 3 gravidanza portate a termine e il parto espletato mediante taglio cesareo. Fra i trapiantati di polmone il 17% ha richiesto un intervento chirurgico dopo il trapianto e non ci sono state gravidanze. Fra i riceventi di rene e rene-pancreas il 26% ha subito un intervento chirurgico dopo il trapianto e in questo gruppo si sono verificate 3 gravidanze. Infine, fra i trapiantati di fegato il 24,1% ha avuto bisogno di un intervento chirurgico e 3 pazienti hanno portato a termine una gravidanza. Conclusioni Il trapianto di organi solidi costituisce sempre più una reale opzione terapeutica per pazienti affetti da malattie polmonari, renali, epatiche e cardiache allo stadio terminale che non traggono giovamento dalla terapia medica e che fino a qualche decennio fa non avevano molte speranze di sopravvivenza. Il continuo evolversi e perfezionarsi delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche, la successiva assistenza in una terapia intensiva altamente specializzata ed il continuo monitoraggio del paziente nel periodo successivo al trapianto hanno permesso un deciso incremento della sopravvivenza anche a lungo termine ed un miglioramento della qualità di vita, tanto che alcuni pazienti sono riusciti a tornare a svolgere un’attività lavorativa, mentre alcune pazienti sono addirittura riuscite a portare a termine una o più gravidanze. 194 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Anestesisti e chirurghi hanno visto crescere sempre più il numero di pazienti trapiantati d’organo bisognosi di interventi chirurgici e quindi di anestesia per molteplici condizioni non obbligatoriamente legate alla situazione del loro graft, sia in elezione che d’urgenza, in sedi ospedaliere talvolta lontane dal Centro Trapianti di riferimento. In relazione alle cause che portano all’intervento chirurgico in fase successiva al trapianto, possiamo distinguere: - interventi per complicanze (precoci o tardive) legate direttamente al trapianto effettuato; - interventi chirurgici per condizioni non direttamente correlate al trapianto e/o all’evoluzione della malattia di base. Dai dati raccolti presso i diversi Centri Trapianti d’organo dell’Azienda Ospedaliera di Padova si può notare come siano frequenti gli interventi chirurgici eseguiti nel periodo post-trapianto (tra il 10 ed il 26% dei pazienti sottoposti a trapianto tra gli anni 2000 e 2005). Si sono avute anche 9 gravidanze, tutte condotte a termine con taglio cesareo. Una di queste pazienti ha avuto due gravidanze consecutive. In linea generale, per interventi svolti in elezione o anche d’urgenza, se il graft risulta avere una buona funzionalità, tali pazienti non presentano grossi problemi in corso di anestesia (sia locale, locoregionale o generale). E’ però necessario che l’anestesista tenga in considerazione alcune differenze tra questi particolari pazienti e i pazienti mai sottoposti a trapianto d’organo, a parità di patologie da affrontare chirurgicamente. Bisogna quindi che si comprendano bene la fisiopatologia dell’organo trapiantato, i problemi inerenti la gestione perioperatoria dell’immunosoppressione, le potenziali complicanze intra- e postoperatorie legate ad un’inadeguata gestione delle vie aeree e della ventilazione e che si adotti un atteggiamento aggressivo nei confronti della prevenzione delle infezioni. Il ricovero in Terapia Intensiva non è strettamente indispensabile, se non in presenza di un inadeguato recupero dell’autonomia respiratoria, per motivi chirurgici o in presenza di rigetto od infezione già in atto preoperatoriamente. Comunque, anche se inviati in reparto di degenza, tali pazienti dovrebbero comunque ricevere un monitoraggio di minima (saturimetria, pressione arteriosa non invasiva, frequenza cardiaca, temperatura e diuresi) per le prime 24-48 ore del postoperatorio. E’ anche obbligatoria una sorveglianza continua ed attenta per rilevare precocemente i segni clinici, radiologici o di laboratorio di un’eventuale infezione o rigetto ed un trattamento tempestivo ed aggressivo di tali condizioni con il supporto ed i suggerimenti del Centro Trapianti in cui viene seguito periodicamente il paziente. Riferimenti bibliografici 1. Goetzmann L, Klaghofer R, Wagner-Huber R, Halter J, Boehler A, Muellhaupt B, Schanz U, Buddeberg C. Quality of life and psychosocial situation before and after a lung, liver or an allogeneic bone marrow transplant. Swiss Med Wkly. 2006 Apr 29;136(17-18):281-90 2. 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Condizioni importanti che influenzano il management perioperatorio sono l’alterata funzione metabolica e di sintesi, il sovvertimento emodinamico e delle resistenze, l’ipertensione portale; ipossia, shunt intra ed extracardiaci, danno renale e cerebrale, sono condizioni che possono precludere o condizionare un trapianto. Benzodiazepine, fentanil o morfinosimili, vapori anestetici, curari non depolarizzanti, sono abitualmente usati per l’induzione e il mantenimento. La gestione di un trapianto pediatrico risulta più agevole rispetto a quello dell’adulto; il by pass veno-venoso non è mai utilizzato. Le competenze anestesiologiche nel postrapianto sono richieste per il reperimento o la cura di un catetere venoso centrale a permanenza, per la diagnostica e l’interventistica radiologica, per necessità chirurgiche alla comparsa di patologie iatrogene. INTRODUZIONE L’epatopatia ad evoluzione cirrogena ha avuto un radicale cambiamento a seguito dell’introduzione nella pratica clinica del trapianto di fegato (OLTx), terapia spesso risolutiva anche per situazioni cliniche irreversibili e talvolta terminali. Le migliorate e consolidate tecniche chirurgiche ed anestesiologiche hanno permesso di rivolgere l’attenzione alla ricerca di nuovi agenti immunosoppressori e alla sorveglianza dei rischi secondari alla stessa (patologie neoplastiche, insufficienza renale cronica) nonché all’attuazione di tecniche chirurgiche per sopperire al ridotto numero di donatori e alla mortalità dei pazienti in lista d’attesa. L’accettazione di organi marginali, la donazione da vivente, ma soprattutto la tecnica di “split-liver” hanno consentito di raggiungere in Italia l’autosufficienza; si calcola infatti che il fabbisogno di trapianti epatici in età pediatrica si attesti tra le 100 e le 120 unità. La definizione del momento ideale (timing) per effettuare un OLTx è cruciale per il buon esito dell’intervento e per la gestione del post-trapianto; se risulta corretto non sottoporre ad intervento un bambino con buon compenso e buona funzionalità epatica, questo dovrebbe essere attuato quando le condizioni cliniche sono sufficienti ad assicurare un recupero ottimale delle funzioni. Nella scelta del timing va distinta la malattia acuta dalla cronica; i buoni risultati ottenuti nell’ insufficienza epatica fulminante hanno permesso di formulare indici prognostici (bilirubinemia, PT INR, encefalopatia) utili alla individuazione del momento con maggiori garanzie di riuscita. Per tutte le patologie croniche oltre agli indici bioumorali e clinici viene data notevole rilevanza alla rapidità del peggioramento. INDICAZIONI AL TRAPIANTO Vi è indicazioni al trapianto di fegato in età pediatrica, anche in ordine alla frequenza di comparsa, in presenza di colestasi intra ed extraepatiche, disordini metabolici, epatiti acute e croniche e da una miscellanea in cui fibrosi cistica e tumori epatici primitivi sono le manifestazioni maggiormente rappresentate. L’atresia delle vie biliari intra ed extraepatiche è l’indicazione più 198 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 comune al trapianto (50% dei trapianti effettuati); l’approccio primario a questa patologia è rappresentato dalla precoce portoenteroanastomosi secondo Kasai (sostituzione del tratto atresico con un’ansa digiunale defunzionalizzata e abboccata alla porta hepatis). L’intervento permette di differire l’intervento in età successive a causa del migliorato drenaggio biliare. La sindrome di Alagille è caratterizzata da ipoplasia dei dotti biliari interlobulari e colestasi cronica; è variamente associata ad anomalie cardiache, scheletriche, renali, oculari, dimorfismo facciale e alterazioni del sistema nervoso centrale. I bambini con malattie metaboliche rappresentano, per frequenza, il secondo gruppo più numeroso; di queste il deficit di α1-antitripsina è prevalente seguito dalla tirosinemia e dal morbo di Wilson. Non meno importanti sono le indicazioni al trapianto in caso di insufficienza epatica acuta fulminante virale, metabolica, autoimmune, farmacologica e da intossicazione alimentare. Il quarto gruppo di patologie che beneficia di OLTx è variegato e comprende tumori epatici primitivi, la fibrosi cistica, la malattia di Caroli e il ritrapianto. VALUTAZIONE PRE-OPERATORIA Le cause che sostengono le alterazioni polmonari, cardiache, neurologiche, ematologiche, renali e gastrointestinali derivano dalla failure della funzione di sintesi e metabolica, dal ridotto flusso epatico e relativa ipertensione portale e dal conseguente aggiustamento della gettata cardiaca. Delle condizioni polmonari vanno indagata la riduzione dei volumi polmonari (per ascite, versamento pleurico, epatosplenomegalia), l’alterazione funzionale dei vasi polmonari per la presenza di shunt dx-sn intrapolmonari, l’edema polmonare (per ipoalbuminemia, sovraccarico di liquidi) tutte condizioni che possono portare a severa ipossiemia. L’apparato cardiocircolatorio si caratterizza per lo stato iperdinamico sostenuto dalla caduta delle resistenze sistemiche per insufficiente clearance dei mediatori vasoattivi, dall’ipossia tissutale, dall’apertura di shunt a-v, dall’iperattività simpatica. Questo si traduce in minore estrazione di ossigeno da parte dei tessuti e da una ridistribuzione dei flussi a scapito di fegato e reni. Un’ indagine ecocardiografica servirà ad escludere cardiopatie congenite (spesso presenti nella S. di Alagille), per valutare la presenza di ipertensione polmonare, la disfunzione ventricolare, la presenza di shunt intracardiaci. L’encefalopatia è frequentemente associata alle cause fulminanti; le manifestazioni vanno dalla sonnolenza al coma epatico. Un attento regime alimentare e terapeutico, il bilancio idroelettrolitico, il monitoraggio strumentale, l’assistenza ventilatoria devono prevenire il danno neurologico grave o irreversibile che poi controindica il trapianto. La valutazione preoperatoria indagherà le condizioni gastroenteriche in particolare l’ipersplenismo, il sanguinamento da varici, la peritonite e la colangite recidivante. La funzione renale, immatura nei primi anni di vita, può essere peggiorata da farmaci nefrotossici e dall’ipovolemia secondaria al trattamento diuretico e al sanguinamento; temibile (ma rara) risulta la sindrome epato-renale per riduzione del flusso ematico e del filtrato glomerulare. Il quadro ematologico è caratterizzato da trombocitopenia, anemia e riduzione dei fattori coagulanti secondari a ipersplenismo, alterata sintesi, malnutrizione, sanguinamento e fattori diluizionali. Il quadro metabolico si caratterizza per una neoglucogenesi meno efficiente, riduzione dei depositi epatici di glucosio, ridotto catabolismo dell’insulina con elevato rischio d’ipoglicemia. MANAGEMENT INTRAOPERATORIO Il team anestesiologico si preoccupa della verifica della check list di sala operatoria: farmaci, apparecchiature, presidi, riscaldamento della sala, sistemi infusori e di riscaldamento, disponibilità di emoderivati. L’induzione anestetica avviene dopo monitorizzazione e adeguata preossigenazione; normalmente non si pratica premedicazione. Tutti i bambini dovrebbero essere considerati come avessero lo stomaco pieno (pericolo di reflusso e aspirazione nelle vie aeree) per ingrandimento 199 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 degli organi addominali, ascite, assunzione recente di cibo) e pertanto l’induzione prevede la compressione cricoidea e l’intubazione in rapida sequenza. La cannulazione di una seconda vena periferica, della vena centrale, dell’arteria radiale, il cateterismo vescicale, le sonde termiche completano il monitoraggio ventilatorio e respiratorio. L’induzione viene eseguita con propofol o midazolam, fentanil o remifentanil e vecuronio, mentre nel mantenimento si possono associare vapori anestetici. Il tubo endotracheale è tradizionalmente non cuffiato anche se non sono da escludersi quelli con cuffia purchè a bassa pressione. Gli accessi vascolari devono essere sufficienti alla somministrazione di liquidi, emoderivati, catecolamine. Grande attenzione è posta ad evitare la somministrazione di bolle dalle linee infusorie. L’ipotermia è minimizzata dal riscaldamento ambientale, dalla copertura delle estremità, dalla presenza di materassini riscaldanti, dal riscaldamento di tutte le infusioni. L’instabilità emodinamica è comune a tutte le fasi del trapianto (anche se in misura inferiore rispetto all’adulto) sia per l’immaturità cardiaca, che per effetto della riperfusione, per le alterazioni elettrolitiche ed acido-base, per l’ipotermia, per il sanguinamento e le manipolazioni chirurgiche. Le maggiori variazioni avvengono subito dopo la riperfusione con ipotensione, bradicardia, aritmie fino all’arresto; l’embolia gassosa può complicare il quadro. L’uso di catecolamine può essere indicato in questa fase. L’anemia, la piastrinopenia, la carenza di fattori coagulanti sono correlati alla malattia, all’ipersplenismo, alla depressione midollare, a carenze alimentari. Il sanguinamento correla strettamente con l’instabilità emodinamica; questo può già verificarsi nella fase preanepatica. Con parametri coagulatori fortemente alterati è giustificata la somministrazione di globuli rossi, plasma, piastrine già in questa fase. L’ematocrito viene normalmente mantenuto a valori inferiori al 30%. La fase anepatica e la prima parte della post-anepatica peggiora ulteriormente la coagulazione; è pure presente fibrinolisi. L’infusione continua di acido tranexanico, l’infusione di plasma, piastrine e globuli rossi non deve mai tendere alla normalizzazione dei parametri coagulatori per evitare rischi di trombosi dei vasi epatici. La chiusura dell’addome a fine intervento può essere difficile a causa delle dimensioni dell’organo trapiantato, dell’imbibizione dei tessuti e della distensione delle anse intestinali; la ventilazione può risultare compromessa per cui si deve ricorrere alla chiusura della parete i due tempi. Al termine dell’intervento con paziente emodinamicamente stabile e in compenso metabolico, si può procedere all’alleggerimento del piano anestetico e instaurazione di una ventilazione assistita; il risveglio avviene spontaneamente senza l’ausilio di antidoti. Un decorso intraoperatorio complicato o condizioni preoperatorie critiche controindicano qualunque procedura di svezzamento in sala operatoria. BIBLIOGRAFIA 1. Yudkowitz FS, Chietero M. Anesthetic issues in pediatric liver tansplantation. Pediatr Transplantation 2005: 9 :666-672 2. Deshpande R, Bowles M, Vilca-Melendez H, Srinivasan P et al. Results of split liver transplantation in children. Annals of Surgery 2002: 236: 248-253 3. Hammer G, Krane E, Anesthesia for liver transplantation in children. Paediatric Anaesthesia 2001: 11: 3-18 4. Pregler J, Csete M. Anesthesia for liver transplantation. Current Opinion in Anaesthesiology 1996: 9: 263-266 5. Ozier Y, Le Cam B, Chatellier G. et al. Intraoperative blood loss pediatric liver transplantation : analysis of preoperative risk factors. Anesth Analg 1995: 81: 1142-7 6. Ulakaya S, Acar L, Ayanoglu HO. Transfusion requirements during cadaveric and living donor pediatric liver transplantation. Pediatr Transplantation 2005: 9: 332-337 200 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 A brief overview of the status of perinatal health care in India S. UDANI, MD Ass. Prof of Pediatrics. Mumbia, India P. D. Hinduja National Hospital & Medical Research Centre” Mumbai, India As a unified nation, India is only 59 years old, having been browbeaten into submission by 200 years of British imperialism and a conglomerate of small warring states ruled by feudal and decadent kings before that. In spite of that we are the world’s largest democracy and today boast one of the fastest growing economies of the region. But how does all this translate into the way we look after the most vulnerable and newest members of our population? How do we allocate resources to our perinatal programs? Who is responsible for health care delivery? Do we work together with other disciplines to achieve our goals? How do we educate our young doctors in the area of perinatal care? Finally, what does the future hold for the Indian newborn in the next half of this decade? These are some of the questions that I will try to discuss. India has an excellent infrastructure layout for the delivery of MCH(Maternal & Child Health) services in the community through a network of sub-centers, primary health centers, community health centers, district hospitals, state medical college hospitals, and other hospitals in the public and private sectors. However, the health pyramid does not function effectively because of limited resources, communication delays, sub-optimal commitment on the part of health professionals, and, above all, a lack of managerial skills, supervision, and political will. The allocation of financial resources for the delivery of health care continues to be meager. Nevertheless, in spite of obvious constraints, the country has made laudable progress in reducing post-neonatal mortality in recent years from 170/100 in the 1970s to 73/1000 in the 1990s.(1) The Government of India spends only 0.9% of its GDP on health care. With its population of over a billion, it leaves less than one Euro per person per year. Hence the vast majority of the population is either left out of the health care net or has to rely on its own or other private (nongovernmental) resources. There are two parallel systems of health care. One is run by the State, which provides care free of cost or at highly subsided rates to anyone who wishes to avail of it. The other is run by individuals, non-profit organisations or corporations and the cost varies depending on the quality of care and the type of organisation that runs the institution. The quality of care is highly variably in both types of institutions and dependant on the skills, training, commitment and integrity of the personnel involved. Regulations exist on paper but enforcement is mainly selfregulatory. Within this system a newborn may be conceived and born in a village hut without adequate assistance, or in a plush, state of the art hospital in a large city with all manner of help and equipment available. Perinatal care begins with good care of the mother India has the dubious distinction of having the 3rd highest maternal mortality in South East Asia. 407/100,000 births(as opposed to 40/100,000 even in Sri Lanka) and 25% of all global deaths. Mothers die of preventable illnesses. Severe anemia, post partum bleeding, unassisted labour, infection, malnutrition are common causes. If a mother dies in childbirth, the newly born has a very low chance of survival into his/her first birthday. The quality of life for the rest of the children also deteriorates, especially for any surviving girl child who will be called upon to become a surrogate caretaker to the family. The Federation of Obstetricians and Gynecological Societies of India (FOGSI) have undertaken an awareness program through the most underdeveloped part of the country from the delta of the river Ganges to its origins in the Himalayas across hundreds of villages with the aim of reducing 201 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 maternal mortality. The 3 Es: Education, Empowerment and Emphasis for the woman over her own body and her own children, is vital for her survival and well-being. Magsaysay Award winners, Drs Abhay and Rani Bang, showed that maternal and neonatal morbidity and mortality could be drastically reduced by simple inexpensive measures in rural India. This project was undertaken with minimal resources in an area called Gadchiroli. (2) In the 83 villages they targeted, they showed that: • 85% of rurals births are at home • 42% <1800 gms • 9/10 deaths are in LBWs • 52% of these LBWs need care • 2.6% get it • 0.6% go to hospital The surrounding villages were used as controls, having the same demographic and socioeconomic conditions. Using simple inexpensive methods enumerated below a 62% reduction in mortality was achieved. Mortality due to neonatal sepsis declined from 16% to 2.8%. These rather spectacular results were achieved by teaching local rural health workers: • Clean delivery practices • Cleaning secretions with mucous traps • Bag and mask resuscitation on room air • Warming babies with skin to skin contact and warm rooms • Feeding practices of breast feeding, clean substitutes Several other models have reproduced similar results with some success. Interestingly local women have acted as facilitators between the doctors and the population, rather than outsiders. The Urban Story As in every walk of life in India, the field of Medicine is not free of its contrasts. In urban India, the pregnant mother can get access to the best of monitoring and prenatal care. Diagnosis of genetic disorders by chorionic villous sampling and amniocentesis, high-level ultrasonogrphy & fetal echocardiograms for congenital anomalies, growth monitoring of the fetus, uterine blood flow studies, are all available in most cities. A few fetal interventions are also done in some specialized centers. Many hospitals are offering comfortable birthing suites with birthing chairs to make labour and delivery as natural and comfortable for the mother without compromising safety. This can cost upwards of 200 euros a day. The major metropolises have hospitals that are equipped and staffed for all manner of medical interventions for newborns and children. There are >100 level 3 NICUs with US/European equipment, UK/Australia/US trained staff, capable of extended and full life support. Currently there are 5 Units with NO capabilities but no ECMO units. These are almost all part of large private institutions. There are 3 centres doing exclusively neonatal cardiac surgery and several more routinely operate on complex congenital heart disease. Pediatric surgery is a well-advanced field and about a dozen liver transplants have been done in the country. The mortality and outcome figures for these units compares well with comparable units in developed countries. More than 1000 small stand-alone units with 1-2 ventilators, basic monitoring equipment exist and form the backbone of the network of health care in small towns. It is the villages that have nothing. To seek even the most rudimentary care, a villager may have to go 5-10 kilometers or more. The currently fragmented infant care must extend from prenatal through postnatal periods through a 3-tiered system. 80-85% of all infants need care at Level I; 15-20% require Level II care; 202 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 and 1-5% need Level III care.(3) However, young doctors are reluctant to return to their roots in the rural areas citing poor growth opportunities and every year more than 2000 medical graduates emigrate out of India. Medical education is heavily subsidized by the Government and unlike China, there is no enforcement of rural or social commitment for the trained graduate. Perinatal outcomes serve as markers of quality of care. Just as the maternal and infant mortality rates reflect on the health care delivery system of a nation, the neurological outcome of nursery graduates reflects on the quality of perinatal care delivered. In our own series on infantile hydrocephalus, we found that unrecognized or partially treated meningitis/ventriculitis was the most common cause of hydrocephalus in the first 3 months of life(4) as opposed to intraventricular hemorrhage as seen in western studies. In a study on etiology of epilepsy in early childhood, hypoglycemic brain injury sustained in the neonatal period was found to be a very prominent cause.(5) The news is not all bad though. In another study from New Delhi, there was a clear improvement in outcome in nursery graduates from 1981 to 1988 due to improved facilities and funding in a semi-Government teaching hospital.(6) Guidelines and Education Legally, the curriculum for all medical education comes under the purview of the Indian Medical Council, which is the approved national body. However, various disciplines have chosen to enhance the standards set in order to keep up with international trends. The National Neonatology Forum was formed in 1980 with the aim of reducing perinatal mortality in India through education at every level. The forum has been actively working with Governmental and non-Governmental agencies as well as with WHO and UNICEF in training more than 15,000 rural health workers. It has also formulated a national level curriculum for training medical graduates at every level. Ethical considerations Religious beliefs run deep through the entire population. An acceptance of their fate as being their “Karma” or the “will of Allah” helps parents in the most trying times. While doctors work on the most intricate aspects of life support, the parents will bring in priests, magicians and practitioners of alternative medicine to chant prayers and administer potions, all of which is allowed within reason. There are no clear guidelines on the smallest baby to be resuscitated. Considering the variable facilities and expertise available, it is left to the institution to decide on what can be handled or transported out safely. Often critical ethical decisions like withdrawing care for severely braindamaged infants or those with severe congenital anomalies are taken without recourse to published guidelines. Future considerations Every medical graduate will now be trained in neonatal care and resuscitation. There will be a joint effort to reduce neonatal mortality to 28/1000 by 2015 and maternal mortality to less than 28/100,000 births. The theme for the Indian Academy of Pediatrics for the year 2006-2007is “Every Child Counts” and we hope to make that a reality. Bibliography 1 Singh M, Paul VK. Maternal and child health services in India with special focus on perinatal services. Jour Perinatology 1997 Jan-Feb;17(1):65-69. 203 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 2 Bang AT, Reddy HM, Bang RA, Deshmukh MD. Why do neonates die in rural Gadchiroli, India? J Perinatology 2005 Mar;25 Suppl 1:S35-43 3 Indian Pediatrics 1991 Dec;28(12):1429-36. Current status of neonatal care and alternate strategies for reduction of neonatal mortality in the decade of nineties. Bhargava SK, Ramji S, Sachdev HP 4 Udani V, Udani S, Merani R, Bavdekar M. Unrecognised ventriculitis/meningitis presenting as hydrocephalus in infancy. Indian Pediatrics2003 Sep;40(9):870-3 5 Udani VP, Munot P, Ursekar M, Gupta M. Risk factors and clinical features for Neonatal Hypoglycemic Brain Injury - the commonest cause of infantile remote symptomatic epilepsy. Submitted for publication Indian Pediatrics 6 Kumari S, Sharma M, Yadav M, Saraf A, Kabra M, Mehra R. Trends in neonatal outcome with low Apgar scores. Trends in neonatal outcome with low Apgar scores. Indian J Pediatrics 1993 May-Jun;60(3):415-22. Organizzazione e gestione del soccorso sanitario nei cantieri TAV e VAV dell’appennino tosco-emiliano: il modello emiliano M. VIGNA* e G. GRANA** * Responsabile Servizio Assistenziale Tecnico e Riabilitativo (SATeR); ** Coordinatore Area dipartimentale Spoke e Direttore UO Anestesia Bazzano - 118 Sud Bologna, AUSL Bologna – Dipartimento di Emergenza L’Alta Velocità ferroviaria La costruzione della linea ad Alta Velocità della tratta Bologna-Firenze presenta peculiari aspetti di tipo strutturale (opera prevalentemente costituita da percorsi in galleria realizzati in terreno altamente instabile, con notevole probabilità di crolli e cedimenti, presenza di grisou) e organizzativo con presenza di 3.000 lavoratori. La tratta Bologna-Firenze è costituita da 73 Km di galleria. L’effettivo scavo è stato però di ben 101.393 Km per l’aggiunta di varianti in corso d’opera a seguito di modifiche del progetto, per la realizzazione di “interconnessioni” (gallerie monobinario di collegamento della rete ferroviaria esistente con la nuova rete ad alta velocità), di “by-pass” (gallerie di collegamento della galleria di Pianoro con punti di attacco intermedio per la realizzazione delle interconnessioni) e di “discenderie” (gallerie di servizio, utilizzate per raggiungere la diretta e aumentare i fronti di scavo). Si tratta sicuramente della più grande opera civile realizzata in Italia nel dopoguerra e ciò ha dato modo di sperimentare un nuovo modello per la gestione dell'emergenza sanitaria. Circa metà dell’opera interessa il territorio montano dell’Azienda USL di Bologna che ha dovuto adeguare il proprio sistema di soccorso territoriale per far fronte non solo alle emergenze generate dai lavori in galleria, ma anche ai problemi collaterali dello scavo come, ad esempio, lo smaltimento dei circa 6.230.000 m3 di materiale di riporto che vengono trasferiti tramite veicoli pesanti sulla viabilità ordinaria: strade statali e provinciali con carreggiate di ampiezza limitata. Per garantire l’adeguamento del servizio di emergenza è stata sottoscritta nel 1996 una specifica convenzione tra la ditta esecutrice dell’opera, CAVET (Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana), e l’allora Azienda USL Bologna Sud attualmente confluita nell’Azienda USL di Bologna. La convenzione prevede la realizzazione di uno specifico e articolato piano volto ad assicurare il soccorso sanitario in maniera adeguata, oltre che alla popolazione residente, alle seguenti categorie di persone: • lavoratori presenti in forma continua od occasionale presso i campi base ed i cantieri del CAVET; 204 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 • visitatori dei campi base e dei cantieri; • fornitori di materiali e di servizi; • tecnici, collaboratori e consulenti occasionali. Il piano è articolato avendo a base: • la normativa specifica per le lavorazioni in sotterraneo (DPR 20/03/56 n. 320); • i livelli assistenziali previsti nell’Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza (DPR 27/03/92); • il Comunicato PCM relativo al decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, recante Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza (Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 126 del 30/06/92, pp. 61 - 63). • le Linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del DPR 27/03/92 (Conferenza Stato-Regioni, seduta dell’11/04/96). L’arrivo dei soccorsi viene garantito, in un periodo di tempo di norma non superiore ai 20 minuti dal ricevimento della chiamata, mediante il Servizio "Bologna Soccorso" che: • convoglia le richieste di soccorso su una unica centrale operativa attivabile con il numero telefonico “118” da tutto il territorio provinciale; • effettua la valutazione delle richieste al fine di dare risposte differenziate in base alle caratteristiche delle chiamate; • gestisce tutti i mezzi di soccorso, dall'assegnazione del servizio fino alla ospedalizzazione; • garantisce già sul posto dell'evento un'affidabile triage che permette, poi, un trattamento adeguato sia sul luogo del sinistro che in itinere; • concorre all'identificazione della struttura ospedaliera più idonea al ricovero. Lo strumento fondamentale attraverso il quale viene gestito il soccorso preospedaliero è la Centrale Operativa che rappresenta il punto di governo del sistema territoriale. Questi i compiti: • accentrare tutte le comunicazioni; • gestire tutti i mezzi di soccorso sanitario indipendentemente dall'ente di appartenenza (USL, Croce Rossa Italiana - CRI, Associazioni di Volontariato, Cooperative e Istituzioni private); definire e applicare i protocolli di attivazione e operatività dei mezzi di soccorso e individuazione delle strutture ospedaliere di riferimento; • garantire la rete di comunicazioni dedicata all'emergenza sanitaria che gestisce e coordina tutte le risorse presenti sul territorio, attraverso vie afferenti radiotelefoniche dirette e privilegiate, tra cui il numero telefonico 118, e vie efferenti radiotelefoniche, anch'esse dirette e privilegiate; • gestire i mezzi di soccorso che dipendono dal GECAV (Gestione Emergenza Cantieri Alta Velocità – AUSL Bologna) con competenze differenziate in funzione delle diverse caratteristiche strutturali e della specializzazione del personale. La Variante di Valico Dal maggio 2002 ha aperto il primo cantiere Variante Autostradale Valico: 58 Km di sviluppo (di cui 43 in Emilia Romagna); 29 Km di gallerie tutte a doppia canna, insistenti sulla tratta emiliana; 5 lotti attualmente insediati sugli 11 previsti sulla tratta emiliana, 7 gallerie iniziate, una conclusa e 4 in fase di avvio; 4 imprese appaltatrici principali, circa 100 subappaltatrici e circa 1000 lavoratori finora coinvolti (compresi i subappalti). I lavori per la realizzazione della Variante di Valico coinvolgono, per la parte emiliana, 6 Comuni tutti dislocati nell'area sud dell'Azienda USL di Bologna: Casalecchio di Reno, Sasso Marconi, Monzuno, Marzabotto, Castiglione dei Pepoli, San Benedetto Val di Sambro. Sulla base dell’esperienza maturata nell’Alta Velocità è stato sottoscritto un accordo tra Autostrade per l’Italia SPA e la Regione Emilia-Romagna per garantire l’assistenza sanitaria e sociale durante i 205 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 lavori della Variante di Valico. L’Azienda USL di Bologna fornisce tutte le conoscenze professionali e tecniche. L’accordo prevede l’impegno di Autostrade S.p.A. per 12.400.000 Euro in 5 anni per contribuire agli oneri aggiuntivi per la Regione, dovuti alla maggiore domanda di assistenza sanitaria durante la fase di realizzazione dei lavori. In base a quanto contenuto nel citato accordo si è progettato e realizzato il complessivo riordino della rete territoriale 118 dei comuni interessati evitando interventi isolati, con l’obiettivo di garantire tempestività, omogeneità e qualità a tutti gli interventi comunque richiesti. Il sistema di emergenza e costituita da 4 maglie principali: 1. Castiglione dei Pepoli – Esiste un Punto di Primo Soccorso presso la Casa di Cura Nobili dove, per 24 ore al giorno, sono operativi: un medico, un infermiere e un autista soccorritore. Il medico non abbandona mai il Punto di Primo Soccorso, mentre l’infermiere e l’autista garantiscono il servizio di soccorso territoriale a mezzo ambulanza, con capacità di intervento anche in galleria, come i dipendenti USL. Il Punto di Primo Soccorso è a disposizione anche della popolazione residente; 2. Lama di Setta - La postazione è dotata: • di un Punto di Primo Soccorso a servizio prevalente delle maestranze VAV che garantisce anche le prestazioni di medicina di base; • di un’auto medicalizzata a servizio del territorio e dei lavoratori dei cantieri; • di un ambulanza infermierizzata a prevalente servizio dei lavoratori dei cantieri. Presso questa postazione è ubicato il Centro di Formazione per il personale sanitario; 3. Piano del Voglio – È stata attivata un’auto medicalizzata a servizio sia del territorio sia dei lavoratori dei cantieri ed è operativo un Punto di Primo Soccorso a servizio delle maestranze VAV e, occasionalmente, della popolazione; 4. Roncobilaccio – E’ stata attivata una postazione di soccorso dotata di ambulanza con infermiere a servizio dei cantieri VAV di Badia e Poggiolino. Gli operatori saranno specializzati nel soccorso in galleria. Il GECAV Il GECAV (Gestione Emergenza Cantieri Alta Velocità e Variante di Valico) è il gruppo operativo deputato alla gestione dell’Emergenza nei cantieri dell’Alta Velocità e della Variante di Valico. Il GECAV dipende dall'Unità Operativa di Emergenza Territoriale Sud dell’AUSL di Bologna (118 Sud Bologna) e opera sotto la direzione del Dr. Giuseppe Grana. Il GECAV nasce nell’estate del 1996 come potenziamento del Servizio di EmergenzaUrgenza Preospedaliera dell'ex AUSL Bologna Sud nei comuni di Loiano, Monghidoro, Monterenzio e Pianoro per affrontare la nuova esigenza di garantire il soccorso sanitario sia ai residenti sia ai lavoratori addetti alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità BolognaFirenze. Il GECAV si è adattato nel tempo alle necessità del CAVET, iniziando la propria attività con solo 6 operatori fino agli oltre 150 attuali, man mano che aumentavano i cantieri TAV dapprima, TAV e VAV oggi. La cessazione del servizio o perlomeno il suo ridimensionamento a copertura della sola Emergenza Territoriale dovrebbe avvenire alla conclusione dei lavori per l’alta velocità e quindi il 31 dicembre 2008. Dal 2002, il GECAV si occupa anche della Gestione dell’Emergenza dei Cantieri della Variante di Valico. Da quell’anno anno si sta progressivamente spostando il personale GECAV presso le 206 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 postazioni VAV (le esigenze TAV diminuiscono grazie al completamento di alcuni tratti di Alta Velocità, in coincidenza con un forte incremento delle esigenze VAV dettato dall’apertura di nuovi cantieri). Secondo le previsioni progettuali, il completamento dell' opera non è previsto prima di 6 anni. Oltre al soccorso per i lavoratori dell’Alta Velocità, che si concretizza in un bacino di utenza di circa 3000 lavoratori, distribuiti su 5 campi base e 10 cantieri composti da 13 fronti di scavo (fra discenderie e gallerie), il GECAV si fa carico dell’emergenza nei comuni di Loiano, Monghidoro, Monterenzio, Monzuno, Pianoro, per una popolazione di oltre 30.000 persone. Inoltre dal 2002, il GECAV dovendosi occupare della gestione dell’emergenza nei cantieri della Variante di Valico ha altresì assunto la competenza anche sulla popolazione residente nel territorio dei comuni di Sasso Marconi, Monzuno, Castiglione dei Pepoli, San Benedetto Val di Sambro, Marzabotto, oltre che di un tratto consistente dell’autostrada A1 tra Bologna e Firenze. Dotazione di Personale La gestione della dotazione del personale presente al GECAV, è sempre stata attenta a quelle che sono le reali esigenze dei cantieri. Ricordiamo che la scelta del GECAV è stata quella di utilizzare personale proveniente da più realtà operative (Consorzio Ambulanze Trasporto Infermi e Soccorso (oggi Fondazione CATIS), AUSL di Bologna area Sud, AUSL di Bologna area Città e CRI). Tale scelta è stata dettata dalla vastità delle lavorazioni in atto (l’Alta Velocità presenta cantieri dislocati da Bologna Centro fino al confine Toscano; i cantieri della Variante di Valico di nostra competenza iniziano nei pressi di Sasso Marconi e arrivano fino a Poggiolino in territorio Toscano), a garanzia di flessibilità ed eventuale riassorbimento di personale quando cesseranno tutte le attività. Attualmente la dotazione di personale è la seguente: • 26 MEDICI con rapporto di dipendenza o di convenzione (6 unità fornite da CRI Firenze); • 57 INFERMIERI (di cui 2 AFD e 3 Coordinatori), con rapporto di dipendenza o di convenzione (4 unità fornite da CATIS) ai quali si aggiungono circa 40 gettonisti dipendenti AUSL di Bologna (infermieri dei reparti di area critica di Bologna che prestano servizio a “gettone” presso i cantieri); • 6 AUTISTI, 1 con rapporto di dipendenza e 5 in convenzione (CATIS) ai quali si aggiungono circa 40 “gettonisti” dipendenti USL, con funzione di autista. Il modello operativo Il sistema di soccorso sanitario è graduato in funzione dell’attivazione dei singoli lotti, delle caratteristiche delle lavorazioni e dell’orario in cui si effettuano le lavorazioni ed è organizzato secondo la logica delle reti integrate dei servizi che prevede risposte differenziate a seconda della gravità dell’evento che ha generato la richiesta di soccorso sanitario. Il coordinamento operativo è affidato alla Centrale Operativa 118 di Bologna (Bologna Soccorso). La responsabilità organizzativa è affidata all' Unità Operativa 118 dell'area Sud di Bologna. Il sistema di soccorso sanitario è costituito da 5 sottosistemi: 1. sottosistema “Emergenza territoriale” 2. sottosistema “Pronto Soccorso e Punti di Primo Intervento ospedalieri” 3. sottosistema “Punti di Primo Intervento Territoriali” 4. sottosistema “Servizio medico di medicina generale” 5. sottosistema “Infermerie” 1. L’emergenza territoriale Modalità di attivazione del servizio di emergenza - Chiunque (lavoratori dei cantieri, visitatori occasionali, fornitori, operatori di Autostrade ecc.) si trova sul luogo di un’emergenza (sia in cantiere che nelle strade o nelle residenze) o ha notizia di un’emergenza può richiedere il 207 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 soccorso componendo il 118. La centrale operativa provvede ad inviare sul posto uno o più mezzi di soccorso in ragione delle dimensioni e della gravità dell’evento; nei casi più gravi potrà disporre l’invio di un mezzo medicalizzato e dell’elisoccorso. Oltre ai mezzi di soccorso dedicati alla popolazione, la riorganizzazione delle rete 118 prevede altri 2 livelli: • mezzi prevalentemente dedicati ai cantieri; • mezzi prevalentemente dedicati al soccorso alla popolazione ma con capacità ad intervenire nei cantieri; Postazioni con mezzi di soccorso prevalentemente dedicati ai cantieri • postazione ambulanza di Osteria, denominata Loiano 40, gestita da personale infermieristico GECAV USL di Bologna con copertura limitata ai cantieri CAVET della zona di Monghidoro, Loiano e Castelvecchio; • postazione ambulanza di Pianoro, denominata GECAV 1, gestita da personale GECAV e CATIS con copertura limitata ai cantieri CAVET della Zona di Pianoro e San Lazzaro; • postazione ambulanza in località “Lama di Setta” (Marzabotto), denominata Setta 1, gestita da personale GECAV e da personale in libera professione funzione Autista proveniente dalla USL di Bologna, con copertura limitata ai cantieri VAV della zona di Sasso Marconi; • postazione ambulanza in località “Roncobilaccio”, denominata Ronco 22 , gestita da personale GECAV e da personale della CRI di Firenze con copertura limitata ai Cantieri VAV della zona di Castiglione dei Pepoli. Postazioni con mezzi prevalentemente dedicati al soccorso per la popolazione ma con capacità di intervento nei cantieri • postazione di Castiglione dei Pepoli, gestita in convenzione dalla locale Casa di Cura Prof. Nobili; • postazione di Loiano (comprende ambulanza con infermiere, denominata Loiano 34), gestita da personale del CATIS (in convenzione con USL di Bologna) integrato da volontari della CRI e personale in libera professione (funzione Autista) proveniente dall'AUSL di Bologna; • postazione medicalizzata, con sigla operativa Echo 22, attiva 24 ore su 24 in postazione a Pian del Voglio, gestita da personale della CRI di Firenze; • postazione medicalizzata, con sigla operativa Echo 57, attiva 24 ore su 24 in località “Lama di Setta” , gestita da personale GECAV; • postazione medicalizzata, con sigla operativa Echo 34, attiva 24 ore su 24 in postazione presso il Campo Base CBE 2 di Barbarolo, gestita da personale del GECAV. Le auto infermieristiche Progetto assolutamente innovativo costituito da automobili denominate STILO, equipaggiate con monitor defibrillatore, zaino infermieristico, aspiratore per secreti, autorespiratore. Ogni stilo è guidata e gestita da un coordinatore (infermiere con mansioni organizzative), che in casi particolari si auto attiva seguendo una procedura precisa. Il territorio di competenza e l’orario di utilizzo di questo mezzo è quindi limitato all’attività dell’infermiere coordinatore che lo gestisce. Questo sistema a fronte di una “spesa” di personale limitata (il coordinatore sarebbe comunque in servizio), garantisce una risposta immediata nel territorio in cui è operativo. E’ uno strumento che si integra alle strutture presenti in zona (E34, E35, E22, P47, L40, L34, M41 ecc.), in grado di raggiungere velocemente il target e fornire indicazioni precise sull’evento in questione. Indicazioni, che dovranno orientare il proseguimento dell’intervento in sincronia con le 208 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 risorse in zona: • trattamento autonomo dell’evento; • intervento dell’ambulanza BLS; • intervento aggiuntivo dell’auto medicalizzata; • intervento aggiuntivo dell’Elisoccorso. Le 5 auto Infermierizzate “Stilo” sono così ubicate: • 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 2, presso il Campo Base CBE 2 di Barbarolo; • 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 3, in località Lama di Setta; • 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 4, in località Pian del Voglio, gestita dal coordinatore appartenente alla CRI di Firenze; • 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 5, presso la postazione di Marano; • 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 6, presso Ospedale di Loiano. Infine è previsto l’utilizzo dell’Elisoccorso che proviene dall’Ospedale Maggiore di Bologna in grado di raggiungere in tempi brevi zone lontane, fornire una risposta altamente specializzata (infermiere + anestesista) e trasportare velocemente all’Ospedale più idoneo (Cesena, Bellaria, Maggiore ecc.). 2. Pronto Soccorso e Punti di Primo Intervento ospedalieri Per le patologie a minor complessità sono disponibili 5 Punti di Primo Intervento o Pronto Soccorso. I 5 ospedali in cui è possibile usufruire di prestazioni di Primo Soccorso o Pronto Soccorso sono: Porretta, Vergato, Loiano, Bazzano e Castiglion dei Pepoli. Tali strutture sono dotate di risorse mediche ed infermieristiche che garantiscono continuità assistenziale h 24. 3. Punti di Primo Intervento territoriali Sempre per le patologie a minor complessità sono disponibili 2 Punti di Primo Intervento territoriali localizzati presso le postazione di automedica “Lama di Setta” e “Pian del Voglio”. Tali postazioni sono prevalentemente dedicate a precise esigenze dell’utente VAV. In assenza del medico (impegnato su un servizio), il personale eventualmente presente nel PPI può comunque eseguire prestazioni di tipo infermieristico. 4. Servizio medico di "medicina generale” Le maestranze TAV e VAV ricevono le prestazioni di "medicina generale” in deroga alle attuali norme regionali riguardanti l’obbligo di domicilio sul territorio dell’Azienda USL. Le prestazioni ambulatoriali vengono erogate dai medici presenti nei Punti di Primo Intervento Territoriale (limitatamente al tempo in cui gli stessi non sono impegnati in attività di soccorso territoriale o addestramento), nei Punti di Primo Intervento Ospedaliero 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. Tali prestazioni, in quanto sostitutive di quelle del “medico di medicina generale”, non sono soggette a pagamento di ticket anche se erogate dai PPI. Le visite domiciliari sono garantite dai medici di Guardia Medica ai soli lavoratori alloggiati nei campi basi o nelle abitazioni site nel territorio dell’Azienda USL di Bologna. Tali prestazioni sono limitate al periodo di apertura del servizio (notturno, prefestivo e festivo). 5. Le infermerie Nei campi base dove è presente la postazione di ambulanza è stata realizzata anche una infermeria. In totale sono state realizzate 5 infermerie dislocate come segue: • Pianoro presso il CBE 1 (Campo Base Emilia 1) a servizio delle maestranze TAV - Zona Nord; • Barbarolo presso il CBE 2 (Campo Base Emilia 2) a servizio delle maestranze TAV - Zona 209 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 • • • Sud; Osteria presso E8 (Cantiere Industriale Osteria) a servizio delle maestranze TAV - Zona Sud; Bologna presso Campo Base San Ruffillo a servizio delle maestranze TAV del Nodo di Bologna - Lotto 5; Roncobilaccio presso ex centro civico a servizio delle maestranze dei cantieri VAV Sud. La formazione Il carattere totalmente innovativo dell’attività del GECAV ha imposto un percorso formativo specifico. Per superare le difficoltà di intervento è stato necessario intraprendere un percorso formativo volto a ottimizzare tutte le fasi del soccorso. Oltre al classico corso di BLSD e allo stage di 15 giorni sulle ambulanze del 118 di Bologna, gli Infermieri GECAV hanno realizzato gli stradari delle zone di competenza GECAV, hanno realizzato le procedure operative per le varie postazioni. Sono stati quindi messi a punto meccanismi di affiancamento, corsi di conoscenza del territorio, corsi di conoscenza dei mezzi di soccorso, corsi di guida e altro. Man mano che si procedeva su questa strada, le figure impegnate nell’affrontare e nel risolvere uno specifico problema si sono andate delineando con precisione. Sono nati, così, i responsabili di settore, il cui compito non è solo quello di ricercare la soluzione di un problema, ma anche di mettere a punto il metodo di insegnamento, per la trasmissione ai colleghi. Alla fine di questo percorso, sfruttando le capacità e le esperienze dei singoli infermieri, che di volta in volta sono diventati docenti o discenti, sono nati i corsi di autoprotezione e salvataggio per il personale sanitario. Obiettivo dichiarato di tali corsi è quello di illustrare al personale infermieristico non solo le tecniche e i materiali di soccorso ma anche come intervenire sui disagevoli terreni montani o negli spazi confinati, in carenza di aria respirabile. I responsabili di settore Il responsabile dell'autoprotezione - Si occupa di autoprotezione. In collaborazione con i VVF insegna l’uso e la gestione degli autorespiratori (strumenti in grado di fornire aria respirabile, isolando l’operatore dall’ambiente esterno). Svolta fondamentale in questo settore, è stato l’acquisto da parte della USL di Bologna della Camera Fumi, struttura a norma in grado di addestrare tutto il personale GECAV sulle problematiche relative all’autoprotezione in ambienti con carenza di aria respirabile. Il percorso pieno di ostacoli, il buio e il fumo, estremizzano la prova in modo da formare l’operatore all’utilizzo degli strumenti di autoprotezione in condizioni particolari quali possono essere un ambiente saturo di fumo e/o costrittivo. Nella prova si misura il tempo impiegato ed il consumo di aria, in modo da rendere consapevole l’allievo dell’esigua riserva d’aria che un autorespiratore garantisce e dell’alterato consumo in condizioni disagevoli, impara quindi a gestire al meglio le proprie risorse, intese come riserva d’aria e di energia. L’allievo, tramite la rilevazione del proprio consumo d’aria per ogni minuto di utilizzo dello autorespiratore, ottiene una utilissima informazione: la propria autonomia di aria utilizzando un autoprotettore in condizioni disagiate. Lo stesso responsabile dell' autoprotezione insegna, altresì, le tecniche di salvataggio su terreni scoscesi con profondità non superiore ai 50 - 60 metri. Il Soccorso in Ambiente Montano serve per conoscere i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) di terza Categoria a disposizione come l'imbracatura Falcon ed accessori (Bretella Secur, Longe, 210 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Discensore Assicuratore Autofrenante, Bloccante Ventrale Croll, Maniglia Bloccante, Piastrina GiGI) Garantisce la conoscenza delle metodiche per costruire nodi quali otto, otto infilato, asola della guida con frizione, mezzo barcaiolo, barcaiolo, inglese, marchand, asola e contro asola. Il castello di manovra, struttura alta 16 metri, costruita con tubi “Innocenti”, ad utilizzo esclusivamente formativo consente di addestrare il personale GECAV al corretto utilizzo dei DPI da impiegare per il soccorso in terreni in pendenza e alla gestione della sosta per calata e risalita del soccorritore in corda doppia/singola e alla gestione della sosta per la calata di materiale necessario alla esecuzione dell’emergenza. Nello specifico l’addestramento prevede: • costruzione della sosta su 2 punti con fettuccia o corda; • calata del collega con mezzo barcaiolo; • calata del collega con discensore assicuratore autofrenanate; • calata con piastrina Gi-Gi e autobloccante. Ogni scenario è stato studiato per ottenere gradualmente la prestazione formativa attesa, passando essenzialmente da: • un primo approccio per sensibilizzare l’operatore al problema da affrontare, • un confronto diretto con le potenzialità offerte dall’attrezzatura, • una gestione autonoma della attrezzatura in dotazione, • un confronto diretto con le variabili che ogni scenario può offrire. Il responsabile delle simulazioni - Organizza simulazioni congiunte con personale CAVET / VAV. Le simulazioni in galleria vengono eseguite all’interno delle gallerie in costruzione in modo da familiarizzare con l’ambiente galleria e con i suoi rischi. Più in particolare servono per: • fornire informazioni sulle gallerie (differenziazione fra finestre, metodi di lavorazione, grisou ecc.), • testare l’efficienza di materiali in dotazione al 118 e alla ditta che gestisce i lavori di scavo, • individuare le strategie operative e tecnologiche in grado di garantire efficacia/sicurezza nei servizi di soccorso e salvataggio in galleria (Sicurezza & Leader), • divulgare le informazioni e l’esperienza acquisiti agli operatori che a vario titolo possono essere coinvolti in un intervento reale, • accrescere il livello di collaborazione e coordinamento fra il 118, sicuristi (addetti all’emergenza delle imprese costruttrici) e personale impegnato nell’attuazione del Piano di Emergenza TAV (addetto alla sicurezza, addetto al monitoraggio gas ecc. Il responsabile dell'emergenza in sicurezza - Organizza i corsi teorico-pratici di Emergenza in Sicurezza. Le lezioni teoriche vengono effettuate in aula. Le esercitazioni pratiche di “Emergenza in Sicurezza” si svolgono nell’area di addestramento Ca' di Moschino (area boschiva di proprietà USL a 500 metri dall’ospedale di Loiano), riproducono interventi reali in modo da addestrare il personale GECAV ad affrontare tutti i possibili scenari che possono verificarsi nella nostra realtà operativa, con particolare attenzione alla individuazione dei rischi e alle conseguenti contromisure. Per dare risposta alle maxiemergenze, eventi per fortuna rari, la simulazione diventa elemento essenziale nella formazione operativa delle squadre d'intervento. I punti salienti della prova sono : • la valutazione dello scenario e dei conseguenti rischi; • la conoscenza dei materiali e delle tecniche da impiegare; • il coordinamento della/e squadra/e e i ruoli dei singoli componenti (Leader Sicurezza); • il trasporto del materiale sul luogo dell’evento (si intende dalle autoambulanze all’infortunato). 211 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 I responsabili dei briefing mensili - coordinano le riunioni mensili a carattere organizzativo per: • discutere casi clinici complessi. Un forte momento di crescita del gruppo di lavoro è la discussione dei casi: discutere un errore o un evento complesso ed articolato, ha lo scopo di condividere con i colleghi un proprio vissuto personale, carico di dettagli ed emozioni,. La discussione di casi clinici può persino portare alla modifica delle procedure in atto, qualora comportino errori o rallentamenti della macchina del soccorso; • fornire chiarimenti organizzativi. In una realtà complessa ed articolata come quella dei cantieri in continua evoluzione, il GECAV è costantemente costretto ad adeguare le proprie procedure di soccorso; • proporre modifiche organizzative scaturite dalle schede GECO (GEstione Criticità Organizzative). Le schede GECO sono lo strumento per rilevare, identificare, catalogare eventuali irregolarità (criticità organizzative) riscontrate nell’effettuazione delle operazioni di soccorso. E’ la base delle azioni correttive; • amalgamare un gruppo sempre più ampio e vario (personale 118 USL, personale CATIS, gettonisti, convenzionati CRI Firenze, convenzionati Casa di Cura Nobili); • programmare nuove attività formative. Ogni riunione è totalmente organizzata (ordine del giorno, reclutamento docenti, preparazione materiale didattico ecc.), dai coordinatori GECAV che, a rotazione, assumono questo impegno a garanzia di coinvolgimento di tutte le figure che lavorano nell'Unità Operativa: medici, infermieri, autisti soccorritori. Il responsabile delle formazione "sicuristi" - Si occupa della formazione delle squadre di pronto soccorso aziendale ai sensi del D. L.vo 626. Vengono chiamati sicuristi gli operatori dei cantieri che hanno il compito di allertare il 118 e prestare i primi soccorsi, fino all’arrivo dell’ambulanza, qualora si verifichi un infortunio o un malore durante il lavoro. Per diventare sicurista è necessario partecipare alle lezioni di primo soccorso appositamente organizzate dal 118 GECAV. Sul modello del BLSD, è stato messo a punto un corso teorico-pratico adattato alle esigenze di cantiere. L'iter formativo dell' operatore 118 GECAV Oggi, tutti gli operatori del 118 GECAV seguono questo iter formativo: • 15 giorni di affiancamento a Bologna Soccorso sulle ambulanze cittadine ed in Centrale Operativa (formazione per il neoassunto); • 15 giorni di affiancamento nei vari Punti di Primo Intervento distribuiti sul territorio dell'area Sud di Bologna (Loiano, Vergato, Porretta), in modo da approfondire la conoscenza delle risorse che ogni struttura è in grado di erogare (formazione per il neoassunto); • affiancamento di almeno 3 giorni in ogni realtà operativa GECAV (Coordinamento di Loiano, postazione di Osteria, postazione di Pianoro, postazione di Lama di Setta formazione per il neoassunto), indipendentemente dalla destinazione definitiva; • BLSD (Basic Life Support Defibrillation) e successivi retraining • PBLS (Paediatric Life Support) e successivi retraining • PTC di base (Prehospital Trauma Care) e successivi retraining • ICLS (Intermediate Cardiac Life Support) • GEM (Gestione Extraospedaliera Maxiemergenze) • TES (Tecniche Salvavita in Emergenza) • Conoscenza delle ambulanze in dotazione • Lezioni di guida 212 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 • • • • • • Autoprotezione e Salvataggio Accesso in Galleria Simulazione in Galleria Soccorso in ambiente montano (con utilizzo di imbragature, verricello ecc.). Emergenza in Sicurezza Riunioni Mensili a carattere Organizzativo Il modello attuato per strutturare i corsi è il problem solving. Per ogni settore, il tutor (responsabile di settore), imposta i test, atti ad individuare il livello di conoscenza dell’allievo. In base ai problemi rilevati, imposta un iter formativo specifico, personalizzato. L’intervento del tutor esperto del territorio, ad es., può risolversi in una banale chiacchierata oppure in una vera e propria visita guidata nelle principali vie dei comuni di pertinenza GECAV, per rendere autonomo e sicuro il discente nella ricerca delle vie, utilizzando lo stradario. In seguito, durante le frequenti esercitazioni/simulazioni e durante gli incontri di formazione mensili che coinvolgono alternativamente la metà del personale, il tutor avrà modo di verificare se il proprio lavoro ha portato i risultati sperati. Conclusioni La provincia di Bologna è interessata fin dal 1996 dalla realizzazione delle più grandi opere civile del dopoguerra italiano. I volumi di gallerie che verranno realizzate si avvicinano a quelli del Tunnel della Manica. Le precedenti esperienze di realizzazione di lavori in sotterraneo prevedevano l’attivazione dei relativi servizi di emergenza sanitaria e soccorso da parte delle stesse imprese costruttici. La Regione Emilia-Romagna è invece riuscita a gestire direttamente, sulla base di specifiche convenzioni con le imprese costruttrici, i servizi di emergenza sanitaria e soccorso previsti dalla normativa sulle lavorazioni in sotterraneo. L'Unità Operativa 118 Sud di Bologna ha provveduto a implementare la preesistente rete di postazioni in funzione delle nuove necessità. La specificità del modello emiliano è appunto quello di avere ampliato il sistema esistente evitando quindi di creare un servizio ad hoc. La scelta di implementare la rete esistente, unito alla estrema complessità del soccorso ai cantieri, ha consentito di creare sinergie tra l’uno e l’altro settore arrivando a realizzare un unico servizio di emergenza oggi estremamente qualificato e professionalizzato. Oggi il GECAV (Gestione Emergenza cantieri Alta Velocità e variante di Valico) garantisce ai lavoratori impegnati nello scavo delle galleria, alla popolazione residente e agli utenti dell’Autostrada una capacità di intervento tecnico e assistenziale praticamente unico sullo scenario nazionale. La rianimazione materno-fetale. La sindrome di Mendelson R. G WETZL S.S. Anestesia, Ospedale “Beauregard” di Aosta Riassunto Pur diminuiti in valore assoluto, i problemi a carico delle vie aeree e la polmonite ab ingestis in caso di impiego di anestesia generale nel parto cesareo continuano a rappresentare una causa 213 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 importante di mortalità materna anche nel mondo occidentale avanzato. Nell’ultimo rapporto triennale inglese sulla mortalità materna (2000-2002), 5 casi mortali su 6 attribuiti all’anestesia (pari a 3 casi mortali per milione di maternità, 1 per 100.000 parti cesarei) furono legati a problemi a carico delle vie aeree ab ingestis. Questo dato preoccupante è dovuto alla concomitanza di vari fattori, tra cui: a) limitazione del ricorso all’anestesia generale nel parto cesareo alle sole emergenze ostetriche catastrofiche (rottura utero, prolasso funicolo, distacco massivo di placenta); b) diminuita pratica dell’anestesia generale nel cesareo (e conseguenti problemi di addestramento al trattamento delle difficoltà di accesso alle vie aeree in tale contesto); c) crescente prevalenza dell’obesità nelle popolazioni ostetriche del mondo occidentale avanzato. C’è accordo unanime che, per scongiurare il rischio di ab ingestis, nel cesareo elettivo la profilassi farmacologica preoperatoria debba comprendere, fin dalla sera prima dell’intervento, la somministrazione di antiH2 o inibitori di pompa protonica, in aggiunta a procinetici (metoclopramide). In caso di cesareo urgente, utile anche la somministrazione di antiacidi “chiari” (per evitare l’aspirazione polmonare di antiacidi particolati). In caso di cesareo elettivo, la donna deve essere a digiuno di cibi solidi secondo le usuali indicazioni, mentre in caso di parto vaginale la gravida può assumere liquidi “chiari” senza incrementare il rischio di ab ingestis in caso di cesareo urgente. In caso di cesareo in anestesia generale viene raccomandata l’induzione rapida, dopo denitrogenazione tramite 4 respiri forzati in ossigeno puro, se possibile senza ventilare manualmente la paziente prima del controllo delle vie aeree e attuando la manovra di Sellick. In caso di ab ingestis conclamata, può essere necessario rimuovere con broncoscopio rigido particelle di cibo che possono ostruire i bronchi. L’ipossiemia, più o meno grave, segnala il danno polmonare da polmonite chimica, il cui trattamento può richiedere ventilazione meccanica con PEEP più o meno prolungata. L’anestesia per chirurgia generale successiva al trapianto N. ZADRA, F. GIUSTI U.O. di Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera Padova E-Mail [email protected] L’espansione dei programmi di trapianto d’organo in età pediatrica fa si che non sia affatto raro dover gestire un’anestesia in un bambino trapiantato che deve sottoporsi ad altro intervento chirurgico. Il rigetto è la prima causa di morte a distanza dopo un trapianto e l’esecuzione di un intervento chirurgico durante la fase di rigetto espone il paziente ad un aumentato rischio di complicanze (1). La terapia immunosoppressiva ha effetti a lungo termine sul bambino che non sono ancora completamente noti. Ciclosporina A, azatioprina, cortisone, tacrolimus (FK506) e mofetil micofenolato sono i farmaci più utilizzati in pediatria nei protocolli di immunosoppressione post trapianto. La ciclosporina può indurre ipertensione arteriosa (vasospasmo renale), diabete, neuro e nefrotossicità (acidosi tubulare renale); l’azatioprina anemia, trombocitopenia e leucopenia; il tacrolimus insufficienza renale, diabete, ipertensione, neurotossicità e più raramente una miocardiopatia ipertrofica ostruttiva; gli steroidi ipertensione, anomalie elettrolitiche e diabete. Tutti i pazienti trapiantati sono a rischio per infezioni e possono sviluppare con maggior frequenza linfomi. 214 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Tutti i comuni farmaci dell’anestesia possono essere usati nei bambini trapiantati. L’unica interazione degna di nota è quella tra ciclosporina e miorilassanti non depolarizzanti, che può comportare una maggior durata d’azione di questi ultimi (2). Valutazione preoperatoria e preparazione all’intervento E’ importante conoscere la funzionalità dell’organo trapiantato, lo stato della terapia immunosoppressiva, la funzionalità renale e l’eventuale presenza di rigetto o di infezioni. Uno sguardo alla cartella anestesiologica compilata in occasione del trapianto può dare utili informazioni sulle più comuni problematiche anestesiologiche affrontate in precedenza. I bambini pluriospedalizzati sono spesso ansiosi, spaventati e difficili da gestire dal punto di vista emotivo per cui una premedicazione farmacologia, l’uso della pomata EMLA per la venipuntura e la presenza costante dei genitori fino all’induzione dell’anestesia sono strategie utili per ridurre lo stress preoperatorio. Non deve essere sospesa l’assunzione perioperatoria della terapia immunosoppressiva. In qualche caso dovrà essere cambiata la via di somministrazione, da orale a endovenosa, ricordando che l’azatioprina ha lo stesso dosaggio per le due vie e che il prednisone orale ha lo stesso dosaggio del metilprednisolone endovenoso (3). Una supplementazione preoperatoria di steroidi a copertura dello “stress chirurgico” non è giustificata a meno che la terapia cronica steroidea sia stata sospesa da pochi giorni (4). La profilassi antibiotica della chirurgia dev’essere quella standard per qualsiasi paziente, ma molto rigorose devono essere tutte le misure di asepsi legate alle manovre invasive (incannulazioni, manipolazioni di linee venose e arteriose…) al fine di prevenire infezioni perioperatorie. Prevenzione del dolore postoperatorio Paracetamolo e oppioidi (minori e maggiori a seconda del dolore atteso) sono i farmaci di scelta. L’uso dei FANS è meno indicato in quanto nefrotossici, soprattutto in associazione con ciclosporina e tacrolimus (5) Le tecniche di anestesia locoregionale vanno incoraggiate, quando indicate, perché consentono il risparmio di farmaci analgesici per via sistemica e forniscono eccellente analgesia. Anestesia nel bambino trapiantato di rene Anche con funzionalità renale normale la creatinina plasmatica può essere leggermente elevata. Intuitivamente andranno evitati tutti i farmaci nefrotossici come gentamicina e FANS (1). Il riempimento volemico del paziente è importante per garantire un adeguato flusso ematico renale; l’ipotensione va evitata. Se è necessario incannulare una vena centrale, la prima scelta deve cadere sulla vena giugulare interna. Vene succlavie e femorali devono essere risparmiate: nel primo caso per non interferire con il funzionamento di un’eventuale fistola arterovenosa per emodialisi (6), nel secondo caso per evitare trombosi venose del distretto inferiore presso cui sono anastomizzate le vene renali. Anestesia nel bambino trapiantato di fegato Il rigetto acuto si manifesta con ittero colostatico, aumento degli enzimi epatici, eosinofilia e linfocitosi e la diagnosi è confermata dalla biopsia epatica. Il rischio di trombosi dell’arteria epatica è piuttosto elevato nei lattanti e va quindi evitata l’emoconcentrazione e l’ipotensione perioperatoria. Anestesia nel bambino trapiantato di cuore Il cuore trapiantato è denervato, per cui non sono presenti le risposte vagali e di solito non c’è nessuna risposta all’intubazione. La frequenza è inferiore alla norma e all’ECG compare una doppia onda P dovuta alle due contrazioni striali. Il cuore trapiantato può incrementare la gittata solo aumentando i volumi ventricolari (legge di Starling) e questi cambiamenti sono mediati dalle 215 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 catecolamine circolanti. La gittata cardiaca in questi pazienti dipende soprattutto dal pre-carico e quindi il mantenimento di volemie adeguate è fondamentale. D’altro canto, la mancanza di controllo nervoso rende difficile la diagnosi di ipovolemia, che deve basarsi di più sulla diuresi e altri parametri indiretti (emoconcentrazione, variazioni elettrolitiche…) (1). Il cuore trapiantato non risponde all’atropina e l’isoproterenolo è il farmaco di scelta per un effetto cronotropo. La neostigmina può dare bradicardia e tutte le amine mantengono i loro effetti anche sul cuore denervato. Un’ipertensione post-trapianto non è rara (ciclosporina). Il rigetto si manifesta con aritmie e riduzione della gettata, ritenzione idrica e riduzione dei voltaggi all’ECG. La valutazione preoperatoria deve tener conto dell’ECG, dell’ecocardio, dell’emocromo e degli elettroliti plasmatici, ma fondamentale è l’esame obiettivo generale (dispnea, epatomegalia, edemi…) e la valutazione della tolleranza allo sforzo. Se è necessario un monitoraggio emodinamico invasivo la tecnica di prima scelta è il PICCO, ma anche l’ecocardiografia transesofagea è utilissima nella valutazione della performance cardiaca (7,8). Anestesia nel bambino trapiantato di polmone o cuore-polmone Nella valutazione preoperatoria di questi pazienti non può mancare una spirometria. Va ricordato che il riflesso della tosse non è presente sotto l’anastomosi tracheale e anche nel postoperatorio la capacità di espettorazione può essere ridotta. Un programma di FKT respiratoria postoperatoria è importante. A volte questi trapianti si complicano con stenosi tracheali o bronchiali e con broncomalacia, nonché con bronchioliti obliteranti, più frequenti nei bambini che negli adulti. Anestesia nel bambino trapiantato di midollo Il trapianto di midollo è oggi parte di protocolli di trattamento per molte condizioni patologiche pediatriche: neoplasie, malattie ematologiche, malattie immunitarie, malattie metaboliche. La complicanza più frequente associata a questo trapianto è la graft versus host disease, con effetti sistemici importanti (9). Questi pazienti devono essere valutati dal punto di vista ematolgico, perché possono essere anemici, leucopenici e piastrinopenici. La radioterapia a cui sono sottoposti può portare a miocardiopatia restrittiva, per cui anche una valutazione ecocardiografica non può mancare prima dell’intervento programmato (9). Tutti questi bambini sono portatori di catetere venoso centrale a lunga permanenza, che può essere utile durante l’anestesia ma che va maneggiato con la massima cura onde evitare contaminazioni o ostruzioni meccaniche; a tale scopo può essere più prudente utilizzare un accesso periferico (quando possibile) per l’iniezione di farmaci durante l’anestesia. Conclusioni Se il trapianto ha avuto successo e non vi sono complicanze, l’anestesia sarà la stessa che su qualsiasi altro paziente. Anche le manovre rianimatorie in caso di gravi traumi rispondono alle stesse regole applicate a tutta la popolazione pediatrica. E’ però rilevante per l’anestesista la conoscenza delle possibili complicanze che un trapianto d’organo e soprattutto la terapia immunosoppressiva possono causare. Bibliografia 1. Black AE. Anestesia for pediatric patients who have had a transplant. Int Anesthesiol Clin 1995; 33:107-123. 2. Sockalingam I, Green DW. Mivacurium-induced prolonged neuromuscular block. Br J Anaesth 1995; 74: 234-236. 216 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 3. Johnston TD, Katz SM. Special considerations in the transplant patient requiring other surgery. Surg Clin N Am1994; 72:1211-1221. 4. Shapiro R, Carroll PB, Tzakis A et al. Adrenal reserve in renal transplant recipients with cyclosporine, azathioprine and prednisone immunosuppression. Transplantation 1990; 49:10111013. 5. Mueller EA, Kovaric JM, Koelle EU et al. Pharmacokinetics of cyclosporine and multiple dose diclofenac during co-administration. J Clin Pharmacol 1993; 33. 936-943. 6. Cimochowski GE, Worley E, Rutherford WE et al. Superiority of the internal jugular over the subclavian access for temporary dialysis. Nephron 1990, 54: 154-161. 7. Della Rocca G, Costa GM, Coccia C et al. Preload index: pulmonary artery occlusion pressare versus intrathoracic blood volume monitorino durino lung transplantation. Anesth Analg 2002; 95: 835-843. 8. Lin CP, Chan KC, Chou JM et al. Transoesophageal echocardiographic monitoringof pulmonary venous obstruction induced by sternotomy closure during infant heart transplantation. Br J Anaesth 2002; 88: 590-592. 9. Stein RA, Massimo MJ, Hessel EA. Anesthetic implications for bone marrow transplant recipients. Can J anaesth 1990; 37:571-578. 217 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Comunicazioni libere e poster Influenza del management perioperatorio sulla Nausea e Vomito postoperatori. Studio in un Acute Pain Service D. AMITRANO*, A. BARDINI*, C. MAGGINI*, N.GALLESCHI*, S.CATARSI, A. PAOLICCHI Azienda Ospedaliero–Universitaria Pisana U.O. Anestesia e Rianimazione IV Universitaria, *Scuola di Specializzazione Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Pisa Introduzione: la presenza di nausea e vomito dopo intervento chirurgico, oltre a costituire discomfort, rappresenta un ostacolo al recupero del paziente. Ridurre il discomfort è un obiettivo del servizio del dolore acuto attivo presso il nostro istituto (Acute Pain Service-APS). La recente introduzione, inoltre, di metodiche atte a garantire una più rapida ripresa funzionale, come il programma fast track, ha reso ancor più necessari monitoraggio e controllo della PONV. Il programma fast track include: anestesia epidurale o regionale, approccio chirurgico mini-invasivo, controllo ottimale del dolore mediante analgesia multimodale e precoci nutrizione orale e mobilizzazione. Scopo dello studio: valutare l’incidenza di nausea e vomito postoperatori (PONV) in un APS, confrontando tre modelli di management perioperatorio. Materiali e metodi: pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia addominale ed urologica maggiore nel periodo febbraio-aprile 2006 suddivisi in base al trattamento anestesiologico–antalgico e all’adesione al programma fast track nei gruppi: Fast Track (GFT), Epidurale (GE), Endovenoso (GPCA). GFT: profilassi PONV intraoperatoria (PP) (dolasetron 12.5 mg e desametasone 8 mg) analgesia postoperatoria con infusione PCEA (levobupivacaina 0.1%, sufentanil 0.5 mcg/ml; v:5ml/h bolo 4ml), paracetamolo 1g x os/6 ore, alimentazione: liquidi 6 ore dopo l’intervento, dieta semiliquida o solida in I giornata. GE: profilassi PONV se anamnesi positiva, analgesia postoperatoria con infusione PCEA (levobupivacaina o ropivacaina 0.1%, sufentanil 0.5 mcg/ml; velocità 5 ml/h bolo 4 ml) e ketorolac 30 mg e.v. ogni 8 ore; alla ripresa della peristalsi dieta liquida e poi solida. GPCA: profilassi PONV se anamnesi positiva, analgesia postoperatoria con PCA e.v. (morfina bolo 1 mg, lockout 8min) e ketorolac 30 mg e.v. ogni 8 ore; alla ripresa della peristalsi dieta liquida e poi solida . L’analgesia postoperatoria viene somministrata per 48h. Si valuta la nausea occasionale (N), la nausea persistente (NP) ed il vomito (V) ogni 8 ore, considerando il peggior valore giornaliero riferito nelle prime quattro giornate postoperatorie. Risultati: numero totale di pz 80: 28 GFT, 29 GE, 23 GPCA. Percentuale di pazienti che ha lamentato N, NP, V nei giorni 0,1,2,3 postoperatori. N: 17.8% 25% 25% 14%(GFT); 7.1% 7.1% 14.3% 14.3%(GE); 30.4% 26.1% 17.4% 4.3%(GPCA). NP: 0% 7.1% 0% 3.6%(GFT); 0% 0% 3.6% 0%(GE); 13% 0% 0% 0%(GPCA); V: 3.6% 7.1% 7.1% 3.6%(GFT); 3.6% 3.6% 3.6% 0%(GE); 4.3% 8.7% 4.3% 13%(GPCA). Nessuna significatività statistica raggiunta. Conclusioni: come riportato in letteratura, l’analgesia peridurale garantisce minore incidenza di PONV rispetto all’infusione endovenosa; la precoce alimentazione nel GFT potrebbe influenzare negativamente questo beneficio. Tale osservazione necessita di uno studio mirato. 218 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Monitoraggio della profondità dell’anestesia generale: tre metodiche a confronto S.CATARSI, G. DE DURANTE, P. CHIARUGI, A. PAOLICCHI, F. GIUNTA U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana Oggi esistono metodiche strumentali di misurazione del “livello di coscienza” in maniera oggettiva e lineare. La via uditiva è il più recettivo canale sensitivo attivo durante l’anestesia generale ed è la via più attiva metabolicamente fra le parti “coscienti” del SNC tanto da essere l’ultima a venir soppressa dagli anestetici. L’apparecchio da noi utilizzato è Alaris AEP Monitor. Il BIS è un parametro di derivazione elettroencefalografica espresso da una scala di valori numerici da 0 (assenza di attività cerebrale, ossia EEG isoelettrico) a 100 (paziente completamente sveglio). Recentemente un monitor che utilizza l’entropia spettrale per misurare la profondità dell’anestesia è diventato disponibile in commercio ed è il Datex-Ohmeda S/5 Entropy Module che genera due indici, l’entropia di stato SE e l’entropia di risposta RE. Il seguente studio si propone di rilevare l’efficacia clinica dei diversi tipi di monitoraggio strumentale (BIS, AEP, ENTROPIA) in pazienti sottoposti ad anestesia generale totalmente endovenosa con propofol al 2% grazie all’utilizzo di un device che consente di infondere l’ipnotico con tecnica TCI programmando la concentrazione direttamente al sito effettore secondo un modello di farmacodinamica e farmacocinetica descritto da Schnider; il valore target da raggiungere varia da 5 a 8 mcg/ml per l’induzione, TIVA per il remifentanil. 30 pazienti ASA I-II, età > 18 < 60 sottoposti ad intervento di tiroidectomia totale: gruppo 1 AEP, gruppo 2 BIS, gruppo 3 entropia. I 3 sistemi di monitoraggio si sono dimostrati validi nella valutazione della profondità dell’ipnosi. Al momento dell’intubazione orotracheale PEA, RE, SE e BIS si riducono dopo l’induzione dell’anestesia in maniera consensuale per raggiungere i valori di profondità (20-40) consigliati per l’inizio della chirurgia. Durante il mantenimento i tre strumenti utilizzati sembrano registrare in modo univoco valori compresi tra 20 e 40 compatibili con piano di anestesia chirurgica. L’entropia si dimostra lo strumento maggiormente in grado di indicare la ripresa di attività elettrica cerebrale del paziente e in particolare nella derivazione RE che tiene conto dell’attività elettrica dei muscoli frontali. PEA rilevano in maniera attendibile con una variabilità di valori tra 75 e 100, la superficiale ripresa dello stato di coscienza. Anche in questa fase il monitoraggio BIS sembra non rilevare in tempi reali lo stato di veglia; in particolare si evidenzia un tempo di latenza tra 5 e 10 minuti dopo l’estubazione per tornare a registrare un valore superiore a 90. Di conseguenza possiamo affermare che il BIS, al momento dell’estubazione, si rileva essere inferiore, in termini di predicibilità di ripresa della coscienza statisticamente rispetto all’entropia ( P<0.005). - Kreuer S, Bruhn J, Larsen R, Hoepstein M, Wilhelm W. Comparison of Alaris AEP index and bispectral index during propofol-remifentanil anaesthesia.Br J Anaesth. 2003 Sep;91(3):336-40. - Soto R, Nguyen TC, Smith RA. A comparison of bispectral index and entropy, or how to misinterpret both. Anesth Analg. 2005 Apr;100(4):1059-6 219 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Il tromboelastogramma in chirurgia cardiaca quale valore predittivo? M. DE MARTINO, I. SENESE, C. D’AURIA Cardioanestesia A.O.R.N. “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” Salerno Introduzione L’indagine tromboelastografica rappresenta un metodo di esplorazione globale dell’emocoagulazione e della fibrinolisi. Il principio su cui si fonda è molto semplice: per mezzo di un apposito apparecchio viene registrato il movimento di un pistone immerso in una vaschetta termostatata a 37°C contenente del sangue in toto. La misurazione della forza viscoelastica del coagulo può guidare le modalità trasfusionali dopo intervento cardiochirurgico. I parametri angolo alfa (ALPHA che riflette la percentuale di sviluppo della forza del coagulo) e l’ampiezza massima (MA che riflette la forza del coagulo) sono correlati all’ipofibrinogenemia e alla disfunzione piastrinica. I vantaggi della tromboelastografia sono anche quelli di consentire a colpo d’occhio di distingure delle morfologie tipiche del tracciato come nell’iperfibrinolisi, trombofilia, piastrinopenia. Metodi Su 43 campioni di sangue perioperatori è stato effettuato l’INR, l’APTT, fibrinogenemia, conta PLT e tromboelastogramma. Successivamente è stato effettuato un prelievo alla fine dell’intervento ed è stato valutato l’entità del sanguinamento. Discussione L’utilizzo del tromboelastogramma rappresenta un valido ausilio per il monitoraggio dello stato emocoagulativo, soprattutto negli interventi cardiochirurgici in cui numerosi fattori e soprattutto la circolazione extracorporea possono influire sulla coagulazione. In accordo con i dati della letteratura abbiamo trovato una significativa correlazione tra la riduzione dell’MA e l’incidenza di sanguinamento postoperatorio. Bibliografia 1. Shore-Lesserson L et al. Anesthesia & Analgesia 1999; 88: 312-9 2. Ereth MH et al. Anesthesia & Analgesia 1997; 85: 259-64 Fascite necrotizzante ad esito letale M.DIFONZO1, G.COLAGRANDE1, T.TROTTA1, P.ALTAMURA2 1 U.O.C. di Anestesia e Rianimazione, 2 U.O.C. di Chirurgia Vascolare, Ospedale Di Venere, AUSL BARI 4, Bari Introduzione La fascite necrotizzante è un rara patologia caratterizzata da un’infezione grave dei tessuti molli con necrosi della fascia e del grasso sottocutaneo, che in un primo momento risparmia cute e muscoli. Le zone più frequentemente colpite sono l’inguine, l’addome e l’estremità, più raramente la faccia e il collo. La malattia fu descritta per la prima volta nel 1871 durante la guerra civile negli Stati Uniti d’America da Jones che la chiamò ‘gangrena ospedaliera’1. In precedenza Baurienne2 nel 1764 descrisse una gangrena dei genitali, a decorso fulminante, che colpiva in prevalenza giovani adulti. La patologia prese il nome da Jean Alfred Fournier3 che nel 1883 riportò cinque casi di gangrena genitale fulminante idiopatica in cinque giovani adulti, la ‘gangrena di Fournier’. Wilson4 nel 1952 usò il termine di ‘fascite necrotizzante’ per descrivere la stessa infezione nelle altre parti del corpo. Schwartz5 in relazione all’eziologia distingue tre principali sindromi di fascite necrotizzante: tipo I, polimicrobica, spesso dopo trauma o chirurgia; tipo II, da streptococchi β-emolitici gruppo A; tipo III, gas gangrena o mionecrosi da clostridi. La mortalità è elevata, Maynor riporta una morbilità e mortalità totale del 70-80%, per la gangrena di Fournier una mortalità del 75%. La malattia colpisce 220 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 più i maschi rispetto alle femmine, rapporto 2-3:1, l’età media dei pazienti sopravvissuti è di 35 anni, dei non sopravvissuti è di 49 anni, raramente sono colpiti i bambini6. La fascite necrotizzante può svilupparsi dopo una biopsia cutanea, un congelamento, una frattura ossea esposta, un morso d’insetto, una ferita chirurgica, un ascesso cutaneo, dopo una puntura d’ago in soggetti che fanno uso di droghe, in caso di ulcere venose croniche delle gambe. Può insorgere in pazienti con diabete mellito, traumi, dopo chirurgia o processi infettivi5. Tuttavia in molti casi non è riscontrabile alcuna associazione con i precedenti fattori di rischio. L’andamento della patologia è progressivo, rapido, con trombosi dei vasi sottocutanei, necrosi secondaria della cute e dei muscoli. Gli streptococchi β-emolitici di gruppo A e lo Staphylococcus aureus sono spesso i primi batteri responsabili del processo infettivo. In seguito si possono riscontrare altri patogeni, sia aerobi sia anaerobi: Bacteroides, Clostridium, Peptostreptococcus, Enterobacteriaceae, Coli, Proteus, Pseudomonas, Klebsiella6. Lo streptococco β-emolitico di gruppo A può essere responsabile di uno shock settico a rapida evoluzione verso il decesso7,8. Caso clinico Una paziente di 39 anni, casalinga, nella mattinata veniva accompagnata presso il Pronto Soccorso di un ospedale periferico, riferendo da circa 6 giorni dolore all’arto inferiore sinistro e febbre alta regredita con la somministrazione di analgesici. Da due giorni aveva iniziato ad accusare dolore molto intenso con tumefazione della coscia e dispnea a riposo. Obbiettivamente la coscia sinistra era tumefatta, dolente alla palpazione, la cute calda. All’ECG si rilevava tachicardia sinusale, nel sospetto clinico di embolia polmonare si eseguiva un'angio-TC del polmone che dava esito negativo. All’emogasanalisi si aveva pH 7,4, PaO2 61 mmHg, PaCO2 31,5 mmHg, HCO3- 21,5 mmol/l, basi excess - 4,6 mmol/l. Gli esami ematochimici: azotemia 34 mg/dl, LDH 854 U/l, C.K. 5180 U/l, C.K. MB 100 U/l, transaminasi GOT 157 U/I, GPT 67 U/I, profilo della coagulazione nella norma, eccetto D-dimeri 7117 ng/l, all’emocromo leucociti 2.340/mm3. Si sospettava una tromboflebite dell’arto inferiore sinistro e s'inviava la donna presso il nostro ospedale per una consulenza del chirurgo vascolare. La paziente giungeva dopo circa tre ore ed era ricoverata in UTIC. L’ecodoppler dell’arto inferiore rilevava una trombosi venosa iliaca-femorale sinistra non occludente, l’arto era edematoso, dolente, con cianosi periferica. La paziente presentava tachipnea, polso piccolo e frequente, pressione arteriosa 80-40 mmHg. La scintigrafia perfusionale polmonare evidenziava piccoli, multipli difetti perfusivi con un quadro di probabilità intermedia per embolia polmonare. L’emogasanalisi eseguita alle ore 12 non mostrava grandi differenze rispetto all’esame eseguito alcune ore prima. I markers cardiaci erano: troponina 0,21 ng/ml, mioglobina 10.832 ng/ml, CK-MB 236 ng/ml. Nel pomeriggio l’emogasanalisi rilevava: pH 7,35, PaO2 109 mmHg, PaCO2 25,6 mmHg, HCO3- 16,6 mmol/l, basi excess -12 mmol/l, sodio 134,7 mEq/l, potassio 4,8 mEq/l, cloro 102 mEq/l. La paziente presentava ipovolemia, cute fredda e sudata, iniziale oliguria. Dopo la terapia di riempimento volemico con colloidi e la correzione dell’acidosi metabolica, la paziente era ricoverata in Terapia Intensiva. Il quadro clinico era quello di uno shock settico grave, pressione arteriosa invasiva 70-45 mmHg, PVC 2 mmHg, f. cardiaca 95 b/min, ventilazione meccanica controllata con rapporto PaO2/FiO2 < 100, leucociti 3.700/mm3, piastrine 76.000/mm3, oliguria marcata (diuresi < 0,5 ml/kg/h), quadro di acidosi metabolica con pH < 7,3, iniziale disfunzione epatica: GOT 350 UI/l, GPT 91 UI/l. Si eseguiva una TC dell’addome e dell’arto inferiore sinistro che rilevava marcato ispessimento dei tessuti molli della coscia. Si richiedeva la consulenza dei chirurghi vascolari e ortopedici e si concordava, sia sulla base dell’obbiettività clinica, sia della TC, sulla diagnosi di fascite necrotizzante. Pertanto si allertava la sala operatoria per l’intervento urgente di fasciotomia, necessario allo sbrigliamento e alla rimozione dei tessuti necrotici. Nonostante il supporto inotropo ed emodinamico con catecolamine ad alte dosi, il riempimento volemico e i tentativi di correzione dell’acidosi metabolica, la paziente, dopo circa 17 ore dalla prima visita in pronto soccorso, andava incontro a decesso prima ancora di poter effettuare l’intervento chirurgico. Discussione 221 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La fascite necrotizzante è un processo necrotico che coinvolge il grasso sottocutaneo, la fascia superficiale e la fascia profonda al di sotto della cute. Successivamente per la trombosi dei vasi sottocutanei, può comparire necrosi della cute e mionecrosi. L’aria sottocutanea, classico segno clinico della fascite, è legata alla presenza di microrganismi produttori di gas. Il decorso clinico può essere ad andamento progressivo, rapido e in molti casi fatale. La patologia riconosce numerosi fattori eziologici causali e predisponenti che possono favorire il passaggio dei patogeni nel sottocutaneo, tuttavia in molti casi non si riesce a rilevare alcuna causa nota, né fattori di rischio. Si parla di fascite necrotizzante idiopatica per indicare la patologia che insorge in soggetti giovani e in buona salute. In questi casi l’eziologia più frequente è rappresentata da ceppi di streptococchi β-emolitici di gruppo A. Green1 riportò una frequenza di cause idiopatiche variabile tra il 13 e il 31% dei pazienti affetti. Le zone più colpite sono le estremità del corpo, il germe responsabile è lo Streptococcus pyogenes, l’esordio clinico è spesso rappresentato dalla sindrome da shock tossico da streptococco. La mortalità globale della fascite necrotizzante è molto elevata, le cause principali sono l’embolia polmonare e lo shock settico9. Rea e Wyrick8 in una revisione di 44 casi di fascite necrotizzante rilevarono che il tempo medio tra l’insorgenza della malattia e l’ammissione in ospedale era di 5,7 giorni, tra l’esordio della malattia e la diagnosi e il trattamento 5 giorni, nei pazienti sopravvissuti 4 giorni, nei pazienti deceduti 7 giorni. La sopravvivenza era maggiore dopo una diagnosi precoce, tra l’inizio dei sintomi e la morte l’intervallo era di 5-12 giorni7. Catena e coll.10 valutarono 11 casi di fascite necrotizzante, età media dei pazienti tra 33 e 80 anni, osservando una mortalità del 63,6% (sette decessi, due casi di embolia polmonare, cinque di shock settico). L’intervallo medio tra insorgenza dei sintomi e ricovero ospedaliero era di 5,4 giorni, 7,3 giorni nei pazienti deceduti, 2 giorni nei sopravvissuti. Quest’ultimi erano significativamente più giovani dei deceduti. La mortalità della patologia era correlata all’età avanzata e al ritardo diagnostico. Donaldson7 riportò cinque casi di fascite necrotizzante a decorso rapidamente fatale causati da un’infezione da Streptococcus pyogenes e dalla sindrome da shock tossico (Toxic Shock Syndrome TSS). Si tratta di una sindrome da risposta infiammatoria sistemica legata all’azione di endotossine prodotte dallo Staphylococcus aureus e dallo Streptococcus pyogenes. Le endotossine attivano la produzione di citochine responsabili della sintomatologia clinica con ipotensione, disfunzione d’organo respiratoria e cardiovascolare fino alla shock settico refrattario e al decesso. Nel caso clinico descritto la scintigrafia perfusionale polmonare evidenziava un quadro di embolia polmonare definito di intermedia probabilità, quindi non diagnostico. La scintigrafia polmonare può identificare tre categorie: scintigrafia ad alta probabilità: presenza di embolia polmonare (uno o più difetti di perfusione con ventilazione normale, probabilità superiore al 85%); scintigrafia a bassa/intermedia probabilità: non conclusiva, malattia non esclusa, non confermata; scintigrafia normale/quasi normale: assenza di embolia polmonare (normali valori di perfusione). La sensibilità dell’esame è 95% (bassa percentuale di falsi negativi per scintigrafia negativa e assenza di embolia polmonare), la specificità è 78% (alta percentuale di falsi positivi per scintigrafia positiva e presenza di embolia polmonare)11. L’embolia polmonare, non confermata dalla scintigrafia, e la trombosi femoro-iliaca sinistra erano complicanze della patologia di base e indussero inizialmente un diverso sospetto diagnostico. Nel caso clinico descritto non furono individuati né fattori causali, né fattori di rischio per la patologia. L’unico dato di laboratorio non concordante era la leucopenia infatti, in corso di fascite necrotizzante spesso avremo leucocitosi >14.000/mm3. Tra l’insorgenza dei sintomi e il ricovero l’intervallo fu di 6 giorni, tra il ricovero e il decesso l’intervallo fu di 17 ore. La fascite necrotizzante ad andamento rapidamente fatale della giovane paziente fu con molta probabilità provocata da un’infezione da Streptococcus pyogenes e dalla sindrome da shock tossico, condizione di tossicità sistemica responsabile dell’esito fatale. Le uniche terapie possibili sono rappresentate dalla terapia chirurgica di sbrigliamento della lesione necrotica, dalla poliantibioticoterapia e dall'ossigenoterapia iperbarica post-intervento. 222 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Bibliografia 1. Green RJ, Dafoe DC, Raffin TA. Necrotizing fasciitis. Chest 1996;110(1):219-229. 2. Baurienne H. Sur une plaie contuse qui s’est terminée par le sphacele de le scrotum. J Med Chir Pharm 1764 ; 20 : 251-257. 3. Jean-Alfred Fournier 1832-1914. Gangrène foudroyante de la verge (overwhelming gangrene). Sem Med 1883. Dis Colon Rectum 1988 Dec; 31(12): 984-8. 4. Wilson B. Necrotizing fasciitis. Am Surg 1952; 18:416-431. 5. Schwartz R A. Necrotizing fasciitis. Emedicine May 12, 2005. Available at: www.emedicine.com/DERM/topic743.htm 6. Maynor M. Necrotizing fasciitis. Emedicine January 12, 2005. Available at: www.emedicine.com/EMERG/topic332.htm. 7. Donaldson PMW, Naylor B, Lowe JW et al. Rapidly fatal necrotising fasciitis caused by Streptococcus pyogenes. J Clinic Pathol 1993; 46:617-620. 8. Rea WJ, Wyrick WJ. Necrotizing fasciitis. Ann Surg. 1970; 172:957-62. 9. Barillo DJ, McManus AT, Cancio LC et al. Burn center management of necrotizing fasciitis. J Burn Care Rehabil 2003 May-Jun; 24(3):127-32. 10. Catena F, La Donna M, Ansaloni L et al. Necrotizing fasciitis: a dramatic surgical emergency. Eur J Emer Med 2004 Feb; 11(1):44-8. 11. Favretto G. A proposito di scintigrafia polmonare nella diagnosi di embolia polmonare.Ital Heart J Suppl 2002; 3(1):95- 99. Utilizzo del surfattante attraverso bal nelle patologie polmonari intensive non convenzionali: nostra esperienza preliminare D. LOPARDO, E.COLASANTI, F.MARRA U.O.C. Anestesia Rianimazione Terapia Intensiva ed Iperbarica A.O.R.N.”S.Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” Salerno SCOPO DELLO STUDIO L’uso del Surfattante suino nelle patologie da prematurita’ polmonare neonatale,ha visto negli anni,il consolidarsi di una terapia che ormai oggi appare universalmente accettata. Non lo stesso dicasi per il suo uso nelle patologie intensive dell’adulto,vuoi nelle indicazioni,vuoi nei dosaggi,vuoi nel “timing”corretto. Gli Autori,quindi,rifacendosi ad una seppur limitata letteratura internazionale,ritengono di dover segnalare tre “case report” in adulti giunti alla loro osservazione,in cui, l’evoluzione verosimilmente infausta del quadro clinico, è stata risolta favorevolmente utilizzando,attraverso BAL (Lavaggio bronco-alveolare) Surfattante esogeno suino secondo schemi e modalita’ descritte nel testo. MATERIALI e METODI Trattasi di tre patologie polmonari su base etiopatogenetica certamente diversa ma che, avendo verosimilmente in comune il danno alveolo capillare,si perpetuano fino all’ARDS probabilmente attraverso una drastica modificazione qualitativa e/o quantitativa del fattore surfattante da parte dei pneumociti di II tipo: - La sindrome da pre-annegamento - La sindrome da inalazione di succhi gastrici (S.di Mendelson) - Il trauma contusivo chiuso del torace. RISULTATI e CONCLUSIONI Il risultato, clinicamente significativo ottenuto nei tre casi descritti,con dovizia di dati clinicolaboratoristici,viene anche suffragato da immagini TAC che inequivocabilmente sembrerebbero evidenziare il ruolo del fattore surfattante esogeno non solo nella pronta risposta migliorativa sugli 223 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 scambi gassosi alveolo capillari,ma anche e soprattutto nel ridurre le complicanze dovute alla invasivita’della ventilazione meccanica in relazione certamente al minor tempo di esposizione al volu-barotrauma. L’anestesia pediatrica ad Antigua, Guatemala: un’esperienza T. MATARAZZO*, L. DROGHETTI*, D. BATTAGLIA*, F. ZANOTTI*, A. ZENNARO*, A. FRANCHELLA**, A. GUBERTI* *Servizio Anestesia e Rianimazione,**Chirurgia Pediatrica Azienda Ospedaliero-Universitaria S.Anna di Ferrara Scopo:Una missione umanitaria e sanitaria ad Antigua in Guatemala, in un paese per il 54% “povero”, con un tasso di analfabetizzazione del 31%,. Ospiti di una struttura l’Ombras sociales Hermano Pedro Padres Franciscanos,con 250 dipendenti e 450 posti letto. Metodi:Un lavoro di équipe finemente pianificato con lo stretto obbiettivo di ridurre al massimo l’impegno economico della struttura che accoglie, ottimizzando i risultati,in assoluta sicurezza per i piccoli pazienti e per gli operatori sanitari coinvolti. L’équipe :2 anestesisti,2 chirurghi pediatrici,1 infermiere. La pianificazione :l’audit periodico con il team operativo, sul percorso strategico attuato negli anni ,ha permesso di rilevare e superare le criticità ,e di razionalizzare il sistema di approvvigionamento dei materiali necessari per incidere positivamente sull’azzeramento dei costi per la struttura d’accoglienza. L’utilizzo di prescrizioni comportamentali e terapeutiche condivise,in lingua spagnola,hanno snellito e omogeneizzato i percorsi riducendo le devianze in termini di risultati e di soddisfazione per i bimbi,per i genitori e per la struttura di accoglienza,in Guatemala. Risultati: Nel corso di 4 anni per un periodo di 15 giorni circa per anno, sono stati operati 126 bambini, prevalentemente di sesso maschile,con un tempo anestesiologico medio di 68 minuti.Le patologie trattate sono riassunte in tabella I,l’età media in mesi dei piccoli pazienti trattati negli anni è riportata in tabella 2 numero pazienti 100 80 60 76,4 60,5 57,9 47,6 40 20 0 anno Tabella I Tabella 2 Conclusioni: La corretta pianificazione, attraverso un percorso dinamico con protocolli validati, la collaborazione con i medici, il personale di sala operatoria e di reparto di Antigua (il pediatra, il laboratorista,la capo sala,gli infermieri), con gli amministrativi , con i responsabili di salute,unita alla formazione del personale,alla collaborazione, all’integrazione, al lavoro in team ottimizza l’utilizzo delle risorse, migliora la qualità dell’assistenza e riduce i rischi anche in un ambiente sanitario precario. 224 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Riflessi di un programma fast track sulla qualità del decorso postoperatorio D. AMITRANO*, A. BARDINI*, C. MAGGINI*, M. MARCACCINI*, C. SBRANA*, A. PAOLICCHI Azienda Ospedaliero–Universitaria Pisana U.O. Anestesia e Rianimazione IV Universitaria, *Scuola di Specializzazione Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Pisa Presso il nostro istituto è attivo un servizio del dolore acuto (Acute Pain Service-APS) con l’obiettivo di garantire un adeguato trattamento del dolore e del discomfort postoperatori. La necessità di perseguire un rapido recupero ed un miglior outcome, ha favorito l’introduzione di metodiche volte a tale scopo, come il programma fast track. Tale programma, rivolto ai pazienti destinati ad interventi in elezione, include: anestesia epidurale o regionale, approccio chirurgico mini-invasivo, controllo ottimale del dolore mediante analgesia multimodale e precoci nutrizione orale e mobilizzazione. Scopo dello studio: valutare la qualità del postoperatorio con l’introduzione di un programma fast track in confronto al modello tradizionale consolidato nel nostro ospedale. Materiali e metodi: pazienti sottoposti ad intervento di chirurgia addominale maggiore (resezione colon/sigma/retto senza confezionamento stomia) nel periodo febbraio–aprile 2006 (analisi retrospettiva), suddivisi in base al trattamento anestesiologico–antalgico e all’adesione al programma fast track nei seguenti gruppi: Gruppo Fast Track (GFT), Gruppo Epidurale (GE), Gruppo Endovenoso (GPCA). GFT: anestesia integrata, analgesia postoperatoria con PCEA (levobupivacaina 0.1%, sufentanil 0.5 mcg/ml; v:5ml/h bolo 4ml), paracetamolo 1g x os/6 ore, alimentazione: liquidi 6 ore dopo l’intervento, dieta semiliquida o solida in I giornata. GE: anestesia integrata, analgesia postoperatoria con PCEA (levobupivacaina o ropivacaina 0.1%, sufentanil 0.5 mcg/ml; velocità 5 ml/h bolo 4 ml) e ketorolac 30 mg e.v. ogni 8 ore; GPCA: anestesia bilanciata (sevoflurano+fentanest), analgesia postoperatoria con PCA e.v. (morfina bolo 1 mg, lockout 8min) e ketorolac 30 mg e.v. ogni 8 ore. Indicatori di qualità del postoperatorio considerati: dolore alla mobilizzazione (VAS al movimento:VASm≥4), nausea e vomito (PONV), prurito (P) e parestesie (PP). Tali parametri vengono rilevati ogni 8 ore nelle prime quattro giornate postoperatorie. Si considera, inoltre, la durata della degenza. Risultati: numero di pz: 73 di cui 28 GFT, 22 GE, 23 GPCA; i valori riferiti sono calcolati rispetto al numero totale di rilevazioni nei giorni 0,1,2,3 postoperatori: VASm ≥4: 7.6%, 15.5%,13.6%,10.6% (GFT);18.7%,22%,18%,0%(GE); 25%,34.9%,22%, 9%(GPCA); PONV: 8.3%,14.3%,11.9%,4.8%(GFT); 4.7%,6%,7.6%,12% (GE); 12.5%, 12%,9.1%, 13.6% (GPCA); P: 4.8%,7.1%,0%,0% (GFT); 6.3%,1.5%,0%,0% (GE); 3.1%,4.6%, 1.5%,0% (GPCA); PP: 10.7%,7.1%,1.2%,1.2% (GFT); 7.8%,6.1%, 1.5%,0%(GE); non riferite(GPCA). Degenza media: giorni 5.78 (GFT) vs 8.5 (GPCA e GE). Nessuna significatività statistica raggiunta. Conclusioni: si rileva un miglior outcome nel GFT (durata minore della degenza e miglior controllo del dolore); PONV meglio controllata nel GE, presumibilmente da riferirsi ad assenza di alimentazione e mobilizzazione precoci. Prurito e parestesie, considerati disturbi minori, presenti in GFT e GE necessitano, comunque, di interventi mirati. Qualità: significato e implicazioni A. APICELLA, M. DE MARTINO A.O.R.N. “ San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” IntroduzioneL’art. 1 del D.L. n° 502/92 prevede che, allo scopo di garantire la qualità dell’assistenza nei confronti della generalità dei cittadini, venga adottato in via ordinaria il metodo della verifica e revisione della qualità delle prestazioni (VRQ). L’art. 14, il dettato legislativo prevede che il Ministero della Sanità stabilisca i contenuti e le modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e di qualità Spetta comunque, alle Regioni di verificare l’efficacia delle prestazioni prevedendo nei loro piani sanitari strumenti e modalità di valutazione dei risultati conseguiti. La stesso art. 14 prevede ‘obbligo da parte delle ASL di informare i cittadini sulle prestazioni erogate, le sedi e le tariffe (Carta dei Servizi pubblici sanitari). Si comprende che la problematica della qualità assume un valore essenziale in questo periodo, ancorché la struttura pubblica risulta, almeno da un punto di vista normativo, competitivo con la struttura privata. DiscussioneEsistono due approcci nell’affrontare la discussione:Qualità Totale (Total Qualità Management) sviluppata in un contesto squisitamente manageriale.Assicurazione della Qualità (Qualità Assurance) da intendersi come approccio tipico della componente professionale che tende a migliorare la qualità con la coordinazione di attività di valutazione degli interventi sanitari e successive attività di revisione degli stessi (Indicatori di qualità, Verifica e Revisione della Qualità).Visto che la “Qualità Totale” copre i problemi organizzativi (management delle AA.SS.LL.) e l’”Assicurazione della qualità” considera principalmente il coinvolgimento di competenze specifiche degli operatoti interessati a elevare 225 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 la qualità delle loro prestazioni, entrambi i sistemi, ciascuno collocato al giusto livello nella struttura sanitaria, risultano necessari. Esistono tre condizioni che portano a raggiungere il miglioramento della qualità dell’assistenza:Soddisfazione (per i pazienti);Accettabilità (per le società tutte);Coerenza (con le conseguenze scientifiche). La assicurazione della qualità non può prescindere da una valutazione sulla situazione esistente e definire i problemi sui quali bisogna tentare di porre rimedio.Valutare la qualità dell’assistenza significa giudicare se interventi effettuati in un contesto operativo non modificato da particolari eventi contingenti un cambiamento organizzativo, l’acquisto di una nuova apparecchiatura ecc… sono efficaci, efficienti, soddisfacenti per chi li riceve e per chi li eroga.In recenti studi epidemiologici si evince che:i settori specialistici e gli ospedali maggiori erogano assistenza di qualità superiore;i pazienti anziani e poveri si accontentano di una assistenza di bassa qualità, rispetto ai ricchi e si rivolgono di più alle unità di emergenza;E’ prioritario perseguire e stimolare un nuovo atteggiamento culturale da parte di ogni operatore sanitario orientato a considerare la valutazione come componente costante e qualificante della propria attività ed ogni attività sanitaria valutabile e da valutare per migliorare i risultati. Bibliografia Callahan A, (2002), La medicina impossibile, Milano, Baldini e Castaldi Cipolla C,. ( a cura di ) (2005), Manuale di sociologia sanitaria, I vol., Milano, Franco Angeli Il progetto “Ospedale senza dolore” S. BARONCINI*, E.MARRI**,T. MATARAZZO*** *Responsabile COSD dell’Azienda Ospedaliero Universitaria S.Orsola Malpigli di Bologna, **Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali, Regione Emilia-Romagna, ***Responsabile COSD dell’Azienda Ospedaliero Universitaria S.Anna di Ferrara Scopo: il piano regionale ha integrato il progetto “Ospedale senza dolore” nel programma di Rete Cure Palliative/Hospice. Il progetto, ampio, intende favorire un cambiamento delle attitudini e dei comportamenti degli operatori sanitari e dei cittadini, per migliorare i processi assistenziali rivolti alla gestione del dolore di qualsiasi origine. Materiali e metodi: in ogni Azienda Sanitaria dell’Emilia-Romagna è stato istituito il Comitato “Ospedale senza dolore” (COSD) al fine di assicurare un osservatorio specifico del dolore nelle strutture ospedaliere, coordinare la formazione continua del personale medico e infermieristico, promuovere interventi idonei ad assicurare la disponibilità dei farmaci antalgici, in particolare degli oppioidi, dare impulso all’applicazione di protocolli di trattamento delle differenti sindromi dolorose. I comitati multidisciplinari e interprofessionali sono composti complessivamente da oltre 260 operatori, un terzo dei quali infermieri. L’attività dei COSD é pianificata e coordinata a livello regionale per promuovere la formazione continua e favorire l’applicazione delle linee guida del progetto. L’applicazione dei principi della terapia del dolore all’ambito pediatrico rappresenta un’importante evoluzione del progetto regionale: l’obiettivo è quello di curare il bambino, colpito da dolore di qualsiasi origine, minimizzare lo stress e la paura, migliorare la sua qualità di vita e quella dei familiari. Risultati: nel 2005 è stato programmato ed effettuato un corso di formazione regionale, in collaborazione con due Aziende Ospedaliero Universitarie, articolato in 4 moduli, dedicato a “Il sollievo dal dolore in età pediatrica”.Il corso di formazione rivolto agli operatori dei COSD aziendali, ha approfondito il tema del trattamento farmacologico e non farmacologico del dolore, della valutazione del dolore del bambino e dell’applicazione di raccomandazioni/linee Guida. Il gruppo di lavoro regionale, inoltre, ha elaborato un documento di raccomandazioni per il controllo del dolore da procedure medico-invasive in oncoematologia pediatrica. L’inutile dolore delle pratiche diagnostiche-terapeutiche, si somma alla patologia di base, aumentando il peso della malattia. L’adeguato trattamento antalgico migliora la qualità di vita del piccolo paziente e dell’intero nucleo familiare. Le indicazioni regionali intendono dare impulso alla diffusione di comportamenti e procedure corrette, ispirate ai principi della medicina basata sull’evidenza, e a garantire un’adeguata analgesia con ampi margini di sicurezza. Conclusioni: per il futuro è necessario mantenere attenzione e moltiplicare l’impegno perché la lotta al dolore rappresenta un aspetto essenziale della cura, un impegno etico e caratterizza la qualità dei sistemi sanitari. Bibliografia: Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano” (G.U. n.ro° 149 del 29/06/2001). 226 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 La partoanalgesia nell’area vasta centro della Regione Toscana:organizzazione e tipologia di utenza G.BERTELLI* G. BUTI* L. FERRI* P. MARTINI** S.RAZZI** *U.O.Anestesia e Rianimazione AUSL 11; **U.O.Ginecologia e Ostetricia AUSL 11 La partoanalgesia, in Italia, a differenza di molti paesi nordeuropei, è una metodica di assistenza al parto tradizionalmente poco diffusa, non sussistono modalità organizzative standardizzate per la sua realizzazione, conseguentemente si registra una disparita’ nella possibilità, da parte delle utenti, di usufruire di questa tecnica. Inoltre, per vari motivi, la partoanalgesia non viene utilizzata dalle gestanti extracomunitarie. Scopo dello studio: conoscere la situazione attuale in un’area della regione toscana (area vasta centro: numero abitanti:1.431.417) di cui la nostra azienda fa parte. Materiali e metodi. Della popolazione totale dell’area vasta centro, costituita da: AUSL 3 (H PT,Pescia), AUSL 4 (H PO) , AUSL 10 (H FI Torregalli-Ponte a Niccheri), AUSL 11 (H Empoli), Azienda Ospedaliera Careggi (H FI), abbiamo preso in considerazione la popolazione femminile pari a 743.947, il numero totale di parti, il numero di parti per ospedale, il numero delle partoanalgesie totali e la percentuale sui parti in ogni ospedale. Inoltre abbiamo esaminato alcune caratteristiche delle utenti che usufruiscono del sevizio di partoanalgesia: la cittadinanza ed il numero di gravidanze. Risultati. Numero totale parti 12.548, suddivisi percentualmente: 9,3% H. Empoli, 9,4% H. Pistoia, 7,1% H. Pescia, 13,5% H. Fi-Torregalli, 14% H. Fi-Ponte a Niccheri, 25% A. Careggi, 20% H. Prato. Partoanalgesie : 632 con le seguenti percentuali: 2,5% H. Empoli, 2% H. Pistoia, 15%H.Pescia, 22% H.Fi-Torregalli, 4% H.Fi-Ponte a Niccheri, H.Prato e Azienda Careggi 0%. Della partoanalgesia si sono avvalse più le nullipare (68,4%) rispetto alle pluripare (31,6%). Le italiane sono state 89% , le straniere 11% (albanesi, cinesi, marocchine, rumene). Conclusioni. Dall’indagine emerge notevole disomogeneita’ nella erogazione della partoanalgesia. La mancanza di offerta negli ospedali con elevato numero di parti (>2000 parti annui), potrebbe essere risolta con un adeguamento di organico dedicato. Negli ospedali con numero di parti compreso tra 1000 e 2000 si riesce a far fronte alla richiesta, probabilmente grazie a percorsi virtuosi. .Necessita’ comunque di percorsi organizzati e procedure condivise, per ridurre la disomogeneità tra le diverse realtà. Si rende necessario fornire alla popolazione un adeguato programma informativo tenendo conto anche della presenza di persone extracomunitarie. Intossicazione volontaria con antipsicotici F.CAPUTO – V.CARETTO Servizio Anestesia-Rianimazione P.O.”A.Perrino” Brindisi Nel caso riportato è descritto un quadro di intossicazione acuta per assunzione di olanzapina, ac. valproico e lorazepam. Nel Dicembre 2005 una giovane di 25 anni è ricoverata in T.I., in stato d’incoscienza, per aver ingerito due ore prima del ricovero, 30 cp di Depakin chrono 500 mg, 30 cp di Depakin chrono 300 mg, 56 cp di Zeprexa 10 mg, 7 cp di Tavor 2,5 mg. Esame neurologico:GCS= 7(O:1-M:5-V:1). Pupille isocoriche, miotiche, iporeagenti al fotostimolo; riflessi corneali conservati.Discreta ipotonia muscolare.E.O toracico: meccanica respiratoria conservata, assenza di rumori patologici. Toni cardiaci ritmici, pause libere, non edemi declivi. PA 120/50, FC 110/min, SpO2 98%. L’ECG: tachicardia sinusale. EGA: pH 7.37, pCO2 44.0, pO2 99.6, HCO3 25.4, BE 0.0, COHb 1.8, Met Hb 0.8. L’addome era trattabile. T.C. 36,5°C. Venne posizionata una V-mask FiO2 50% a 12 l/min ed iniziato monitoraggio continuo di PAS,PAD,PAM,ECG,FC, SpO2, diuresi oraria. Si eseguirono i prelievi per es. di routine e screening tossicologico, venne incannulata una vena periferica ed iniziata infusione con cristalloidi. Messo un SNG si effettuò gastrolusi con soluz. fisiol. ed iniziata terapia con carbone attivato 1 g/kg ogni 3 ore e catarsi con solfato di magnesio.In prima giornata la paz. era sonnolenta, risvegliabile; le condizioni respiratorie ed emodinamiche rimanevano stabili, la diuresi conservata. ECG e RX torace non evidenziarono alterazioni d’organo. Risultarono alterati: ammoniemia 70µml/L, CPK 490 UI/l, MB-CPK 5,9 ng/ml, ac. Valproico > 150 fg/ml (50-100), Olanzapina non dosata per assenza di laboratorio attrezzato, BDZ urinarie presenti ma inferiori al valore cut off. In seconda giornata la ragazza era sveglia, vigile, collaborante, respiro spontaneo sufficiente, emodinamica stabile, EGA nella norma; normalizzazione del tono muscolare. Si sospesero l’O2 ed il carbone attivato e rimosso il SNG. In terza giornata i valori di ammoniemia ed ac. Valproico rientrarono nel range di negatività con CPK e MB-CPK ancora elevati. In quarta giornata la paziente in ottime condizioni, dopo colloquio con lo psichiatra, venne dimessa e affidata ai genitori. CONCLUSIONI:La concentrazione delle sostanze nell’organismo,oltre che da assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione, è largamente influenzata dalla dose assunta, dalla presenza di più sostanze, dal tempo intercorso tra ingestione e trattamento.I farmaci antipsicotici presentano un ristretto margine terapeutico.L’overdose di 227 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 queste sostanze induce quadri clinici a rischio di vita per i pazienti.A causa dell’alto volume di distribuzione, spiccata tendenza alla diffusione nei tessuti, forte affinità alle proteine plasmatiche, non vi sono dati che raccomandano l’uso di emodialisi, emoperfusione, diuresi forzata ed alcalinizzazione urinaria. In mancanza di antitodi specifici la terapia è basata sul monitoraggio e supporto intensivo delle funzioni vitali, ma soprattutto su una precoce gastrolusi, decontaminazione gastrointestinale con carbone attivato e catarsi salina. Caso clinico: CSE per Taglio Cesareo in paz. Gestosica, obesa, diabetica ed insufficienza venosa arti inferiori D. CARBONE, I. ODIERNA, D. SCARANO, V. STRIDACCHIO, S. PALMESE, F. DI MARCO, A. NATALE U.O. Anestesia e Rianimazione “Umberto I” Nocera inferiore-SA Caso Clinico: donna di anni 31, massa corporea 118 kg, altezza 155 cm, 3 a gravida, due TC pregressi entrambi complicati da gestosi. Si presentava con gestosi EPH, obesità grave, diabete in gravidanza, insufficienza venosa arti inferiori (C2A EP AS PR). Introduzione: un’ adeguata anestesia per TC necessita di un blocco sensitivo da D4 a S5 limitando i rischi di effetti collaterali (ipotensione, tossicità da anestetici locali). Nella paziente gestosica la precaria stabilità emodinamica (ipertesa, ipovolemica) richiede oltre ad un adeguato riempimento volemico anche di minimizzare gli effetti α litici legati al blocco centrale, la concomitante presenza di varici impone inoltre una precoce mobilizzazione degli arti inferiori. A tale scopo si è scelta come tecnica anestesiologica la CSE. Materiali e metodi: Clexane 4000U/I 12h prima, Angiocat14G, elettr. reid.500ml (1/2 prima) Monitoraggio continuo SpO2, FC, ECG, NIBP (ogni 5 min) bendaggio elastico arti inferiori. CSE tecnica Ago nell’Ago, ESPOCAN-Braun (Tuohy 18G Whitacre 27G), spazio L3-L4 tecnica del mandrino liquido cateterino 20 G fatto risalire per 3 cm, mono puntura, assenza di sanguinamento. In Subaracnoidea si iniettano 4ml di soluzione contenente Levobupivacaina 5mg(0,125%)+ Sufentanil 5μg. In Peridurale: Levobupivacaina 5 mg (0,16%) FC NIBP SpO2 9:20 9:25 9.30 9:35 9:40 9:45 9:50 9.55 10.00 82 150/90 99 88 155/90 100 92 160/98 100 110 138/88 99 86 116/72 100 82 135/80 100 74 140/80 100 74 140/80 100 74 140/80 99 h9:30: CSE; h9:38: estrazione feto; h 9:40: voluven 500ml, levobup. 5mg; h 9:50: fine TC. Totale liquidi infusi intraoperatorio 1700ml; diuresi a fine intervento 200ml. Nascituro: ♀, massa corporea 3830 g, APGAR 8-9-10 Conclusioni: con la tecnica utilizzata si è avuta una buona stabilità emodinamica, conservati i movimenti antigravitari, buon confort per la paz., buona operabilità chirurgica. Il blocco sensitivo ha interessato i metameri da D4 a S5. Gli effetti collaterali verificatisi sono stati: sensazione di trazione in corso di uterorraffia( levobup. 3ml 0,16%), brivido di lieve entità e breve durata a fine intervento. La presenza del catetere peridurale ha permesso una analgesia postoperatoria della durata di 20h con pompa elastomerica 5 ml/h levobup. 0,150%+ Sufentanil 0,50 μg/ml, con VAS da 0 a 3. Clexane 4000UI reintrodotta a 12 h dalla CSE CSE e MAC: applicazioni ad una nuova tecnica chirurgica urologia HI-FU D. CARBONE, I. ODIERNA, V. STRIDACCHIO, D. SCARANO, S. PALMESE, G. LUBRANO, A. NATALE U.O.C. Anestesia e Rianimazione “Umberto I” ASL SA1 Nocera Inferiore (Sa) Scopo dello studio: HI-FU (High Intensive Focalizated Ultrasound) è una nuova tecnica chirurgica urologia per il trattamento dell’adenocarcinoma prostatico localizzato. Inizialmente si pratica una TURP; successivamente, introducendo una sonda ad ultrasuoni endorettale, si valuta la massa prostatica residua e la si tratta con gli ultrasuoni ad 228 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 alta intensità. La durata dell’HIFU varia in base al volume prostatico residuo; nella nostra esperienza la media è stata di 138 minuti (min) (122-156 min). Durante il trattamento il paziente (pz) deve rimanere immobile, altrimenti la sonda bloccherà l’emissione di ultrasuoni, per evitare di ledere tessuti adiacenti sani. L’elevata durata dell’atto chirurgico e la posizione da fare assumere al pz, ci ha indotto ad aggiungere alla CSE la MAC, metodica quest’ultima frequentemente usata nel nostro ospedale. Materiali e metodi: abbiamo arruolato sei pz da sottoporre ad HIFU, di età compresa tra i 64 ed i 72 anni, di altezza variabile tra i 165 ed i 172 cm, ASA II-III, dal settembre al dicembre 2005. Monitorizzati i parametri vitali: ECG, FC, SpO2, NIBP, TC. Preriempiti con cristalloidi 500 ml 30’ prima dell’esecuzione della CSE; premedicati con midazolam 0.03mg/kg ev; 4ml/kg/h erano i cristalloidi infusi durante l’intervento chirurgico, preriscaldati con HOT-line 42°C. La CSE veniva praticata in posizione seduta, con tecnica ago nell’ago, mandrino liquido, ago di Tuohy 18G e Whitacre 27G, cateterino 20G fatto risalire per 3 cm, livello L3-L4, in tutti i pz. Procedura agevole e senza complicanze. In spinale si iniettava Levobupivacaina (Levo) 0.5% 8mg + sufentanyl 8μg; in perdurale, Levo 0.5% 5ml. Dopo i primi 90 minuti venivano infusi in perdurale 5ml di Levo 0.5%. Risultati: la TURP della durata media di 46 min (38-56min) risultava scevra da complicanze emodinamiche; sempre valido il blocco sensitivo. Successivamente il pz veniva posizionato sul lettino per l’HIFU; qui iniziava la MAC, con Diprivan in TCI 0.5-1.0 μg/ml al sito cerebrale + Ultiva 0.02-0.04 μg/ml. La scala di sedazione usata era la Ramsey con uno sedation score di 3-4. Conclusioni: un intervento chirurgico di lunga durata (>3h) per una corretta gestione necessita del catetere perdurale. Nell’esperienza descritta, in due casi abbiamo infuso in perdurale un ulteriore carico di Levo 0.5% 5ml, per il protrarsi dell’atto chirurgico. La subaracnoidea è stata utile per il rapido on set time e per l’adeguata copertura del blocco metamerico per la TURP. La MAC associata alla CSE ci ha consentito di offrire al pz un elevato comfort, con notevole tolleranza ai tempi chirurgici, assenza di stress intraoperatorio e movimenti impropri. I chirurghi hanno giudicato ottimo la copertura anestetica durante la TURP, ed in nessun caso si è dovuto interrompere l’HIFU per movimento improvviso del paziente né per altre complicanze. Monitoraggio bis ed incidenza di nausea e vomito postoperatorio in pazienti sottoposti ad interventi di colecistectomia laparoscopica CARNESECCHI P, PECCHIONI A, BALDESI M, GUARGUAGLINI M, DI PASQUALE D, MARCONCINI G, CIONI N, MARCONCINI F. U.O. Anestesia e Rianimazione- Presidio Ospedaliero “F.Lotti”- Pontedera-Az.USL5 Pisa Scopo: osservare un possibile decremento dell’incidenza di nausea e vomito postoperatorio (PONV) grazie all’utilizzo del monitoraggio BIS durante l’intervento chirurgico. Materiali e metodi: previo consenso informato sono stati arruolati 27 pazienti, sottoposti ad intervento di colecistectomia per via laparoscopica, randomizzati in 3 gruppi. Gruppo A: non è stato utilizzato monitoraggio BIS, né adottata profilassi con antiemetici; Gruppo B: non è stato adottato monitoraggio BIS, ma fatta profilassi con antiemetici (ondasetron cloridrato 0,05-0,06 mg/kg). Gruppo C: è stata adottato monitoraggio BIS e nessuna profilassi antiemetica. Prima delliinduzione anestesiologica veniva applicato monitoraggio BIS con valori range 40-60. In tutti i gruppi di studio è stata impiegata la tecnica anestesiologica Total IntraVenous Anaesthesia (TIVA). Nel gruppo A e B: Propofol 2 mg/kg all’induzione e mantenimento 2-4 mg/kg/min; Remifentanil 0,5-1 γ/kg/min all’induzione, mantenimento 0,25-0,5 γ/kg/min). Nel gruppo C: il dosaggio di mantenimento è stato dalla valutazione dei valori BIS e dei parametri vitali. Il controllo dell’incidenza del PONV è stato valutato al risveglio, alla 3°, alla 6° ed alla 12° ora postoperatoria. In tutti i pazienti è stata impostata terapia antalgica con tramadolo 200 mg e ketoralac 60 mg nelle 24 ore postoperatorie. Risultati : Gruppo A: 3 pazienti su 9, hanno presentato vomito al risveglio e nausea al successivo controllo dopo 3 ore; 5 pazienti hanno avuto solo nausea al risveglio e nelle successive tre ore, mentre uno non ha presentato nessun sintomo di discomfort. Gruppo B: soltanto 1 paziente su 9 ha presentato vomito al risveglio, e nausea nelle sei ore successive, mentre 6 hanno presentato nausea nelle tre ore successive, e solamente 2 nausea persistente nelle 6 ore postoperatorie. Gruppo C: 3 pazienti su 9 hanno presentato nausea nelle tre ore successive all’intervento, 5 nessun sintomo di disconfort, mentre solamente un paziente ha presentato vomito alla terza ora, e nausea nelle ore successive. 229 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Conclusioni: il monitoraggio BIS, oltre ad offrire discreti vantaggi in termini di sicurezza ed efficacia, consente un miglior decorso post-operatorio, riducendo l’incidenza di PONV. Sedazione controllata dal paziente (PCS) per interventi di ernioplastica inguinale: confronto propofol/midazolam P.CARNESECCHI, M.GUARGUAGLINI, E.PREZIUSO, C.CASTIGLIONI, D.DI PASQUALE, A.PECCHIONI, M.BALDESI, N.CIONI, G.MARCONCINI & F.MARCONCINI U.O. Anestesia e Rianimazione-Presidio Ospedaliero-“F.Lotti” Pontedera Scopo dello studio: ridurre l’eventuale dolore residuo e minimizzare il discomfort e dei pazienti sottoposti ad interventi di ernioplastica inguinale monolaterale condotti in anestesia locale. Materiali e metodi: l’anestesia locale veniva eseguita dall’operatore tramite infiltrazione con ropivacaina 7,5% 150 mg e lidocaina 2% 20 mg. I pazienti, quindi, venivano randomizzati in due gruppi. Gruppo M: 5 minuti prima dell’inizio dell’intervento, i pazienti ricevevano un bolo di fentanyl 0,5γ/kg e midazolam 0,03 mg/kg e quindi, connessa la pompa infusionale PCS (patient controlled sedation) programmata con bolo di midazolam 1mg + fentanyl 2γ (lock out: 5 minuti; dose limite in 1 ora: midazolam 8 mg / fentanyl 100γ) Gruppo P: 5 minuti prima dell’inizio dell’intervento, i pazienti ricevevano un bolo di propofol 0,5 mg/kg e fentanyl 0,05 γ/kg e quindi, connessa la pompa infusionale PCS, programmata con bolo di propofol 20mg + fentanyl 2γ (lock out: 5 minuti; dose limite in 1 ora: propofol 200mg / fentanyl 100γ). Durante l’intervento chirurgico, ogni 5 minuti, venivano registrati i parametri vitali (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, sedazione e saturazione arteriosa di ossigeno), il dolore secondo la scala analogica visiva (VAS) e l’eventuale presenza di sintomi da discomfort. Il target VAS prefissato è stato ≤ 4. Risultati: lo studio ha analizzato 50 pazienti di età compresa tra 30 e 70 anni. Non differenze significative nella durata dell’intervento chirurgico, nell’età media e nel peso medio si sono riscontrate tra i due gruppi di studio. L’analisi del dolore non ha evidenziato differenze significative tra i due gruppi di pazienti con il raggiungimento del target prefissato nel 94% dei pazienti del gruppo P e nel 92% dei pazienti del gruppo M (P>0,5). La pressione arteriosa media si è sempre mantenuta al di sotto di quella basale in entrambi i gruppi. Non si sono presentate variazioni significative sulla sedazione fino al 20° minuto, al 25° minuto il 100% dei pazienti del gruppo P si presentava orientato e tranquillo, mentre il 17,4% dei pazienti rispondeva solo ai comandi verbali o al lieve stimolo gabellare (P=0,024). Non si sono manifestate desaturazioni clinicamente significative in nessun paziente. Non si sono manifestati in nessun gruppo sintomi da discomfort. Conclusioni: la PCS si è dimostrata efficace nel ridurre il dolore intraoperatorio e il discomfort dei pazienti sottoposti ad interventi di ernioplastica inguinale condotta in anestesia locale migliorando, così, anche la compliance del paziente. L’utilizzo di midazolam ha determinato un lieve aumento dello stato di sedazione dei pazienti dal 20° minuto intraoperatorio. Fast-track Anesthesia in Chirurgia Bariatrica Laparoscopica S.CATARSI, C. DI SALVO, G. DE DURANTE, D. A. ABRAMO, B. AREZZI, F. GIUNTA U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana La chirurgia bariatrica laparoscopica rappresenta oggi una nuova frontiera in anestesiologia. Le esperienze attuali ci hanno condotto a nuovi risultati che confermeranno o smentiranno le conoscenze finora acquisite per il trattamento anestesiologico ed intensivistico dei pazienti con obesità clinica severa. Il pz obeso più di quello normopeso richiede l’impiego di anestetici che siano in grado di riportarlo rapidamente alle condizioni preoperatorie. Il nostro obiettivo è dunque quello di utilizzare farmaci che siano in grado di produrre rapide modificazioni del piano anestetico durante l’atto chirurgico e rapidi tempi di risveglio. 42 pz (BMI≥30) sottoposti a chirurgia addominale laparoscopica in elezione (Bypass gastrodigiunale e Bendaggio gastrico). 1. Total intravenous anesthesia con tecnica TCI per propofol (Schnider al sito effettore Alaris Asena TCI & TIVA PK MK III), remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min; 2. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min; 3. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso O in una miscela di O 2/aria 1/1, fentanyl 2-3γ/kg induzione segue 1 γ/kg ogni ∼40 min. 230 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Per la miorisoluzione abbiamo scelto il cisatracurium, ed il monitoraggio comprendeva: ECG a 5 derivazioni, IBP cruenta e non cruenta, saturimetria, capnometria, diuresi. Per analisi effetti ipnotici dei farmaci tutti i pazienti erano monitorizzati con Potenziali Evocati Acustici (PEA). Al termine dell’intervento chirurgico sono stati registrati i minuti che intercorrono tra la sospensione della somministrazione dei farmaci ed il momento della ripresa dell’attività respiratoria spontanea valida e quindi dell’estubazione, assicurando normotermia, analgesia adeguata, decurarizzazione completa, posizione semiseduta e completa ripresa dello stato di coscienza, anche per minimizzare l’aumento del consumo di O2 viste le scarse capacità di adattamento del pz obeso. Grazie all’utilizzo della tecnica TCI al sito effettore con monitoraggio della profondità dell’anestesia, è possibile mantenere un livello adeguato di ipnosi con una ridotta somministrazione di farmaci e quindi un rapido risveglio con un immediato recupero della coscienza e dell’attività respiratoria valida. Nella nostra esperienza compare una differenza statisticamente significativa in termini di minuti intercorsi tra l’interruzione della somministrazione e l’estubazione nel gruppo 1 rispetto al gruppo 3; il primo infatti dimostra una maggiore rapidità nei tempi di estubazione. - AO Alvarez, A Cascando SA Menendez et al: Total Intravenous Anestesia with midazolam, Remifentanil, propofol and cisatracurium in morbid obesità; Obesità Surg, 10, 353-60, 2000 - Kreuer S, Bruhn J, Larsen R, Hoepstein M, Wilhelm W. Comparison of Alaris AEP index and bispectral index during propofol-remifentanil anaesthesia.Br J Anaesth. 2003 Sep;91(3):336-40. La gestione delle vie aeree nel “Grande Obeso” S.CATARSI, B. PESETTI, G. DE DURANTE, C. DI SALVO, B. AREZZI, A. PAOLICCHI, F. GIUNTA U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana La difficoltà di intubazione tracheale incide in maniera significativa sulla morbilità e mortalità correlate all’anestesia. Numerose reviews affermano che l’intubazione endotracheale risulta essere più difficile nel paziente obeso rispetto al normopeso. Nel nostro studio abbiamo considerato una popolazione di 42 pz con BMI≥30 valutati per essere sottoposti ad anestesia generale con intubazione orotracheale. Sono stati analizzati: parametri predittivi di intubazione difficile (classe di Mallampati), difficoltà alla ventilazione in maschera (necessità di un secondo operatore) e difficoltà di intubazione (uno tre tentativi). I dati ottenuti dimostrano che la distribuzione della Classe di Mallampati nel paziente obeso è sovrapponibile a quella della popolazione normopeso, mentre la ventilazione in maschera più facilmente richiede la presenza di un secondo operatore. L’intubazione invece non ricalca la distribuzione della Classe di Mallampati in quanto nel 99% dei casi i pz sono stati intubati alla prima laringoscopia. L’algoritmo decisionale del SIAARTI definisce a priori il pz obeso “difficile da intubare” e da ventilare in maschera. Nella più recente letteratura si dimostra oggettivamente la maggiore difficoltà alla ventilazione rispetto al normopeso. È quindi consigliabile che due anestesisti esperti siano presenti durante le manovre di induzione dell’anestesia. Mallampati - Distribuzione intubazione 50 5 40 30 20 Serie1 22 14 10 0 S1 1 tentativo 3 tentativi malla 1 malla 2 malla 3 ventilazione in maschera 35 30 25 20 15 Serie1 10 5 0 S1 1 operatore 2 operatori 231 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Anesthesiology 2006; 104:617 American Society of Anesthesiologists, Inc. Lippincott Williams & Wilkins, Inc.Obesity and Difficult Intubation: Where Is the Evidence? Risultati di un protocollo antalgico nella chirurgia bariatrica laparoscopica: tre tecniche anestesiologiche a confronto S.CATARSI, G. DE DURANTE, M. BERRUGI, G. MORELLI, A. PAOLICCHI, F. GIUNTA U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana Nell’obesità patologica un controllo ottimale del dolore post-operatorio è di considerevole importanza in quanto l’obesità stessa costituisce un fattore di rischio indipendente per le complicanze cardiovascolari e respiratorie postchirurgiche. Nel nostro studio valutiamo l’efficacia e la sicurezza dell’utilizzo di terapia multimodale con PCA morfina (bolo 1 mg, lock-out 8 min, limite in 4 h 15 mg) iv e FANS (ketorolac 30mg/8h) iv in pazienti obesi sottoposti a chirurgia bariatrica laparoscopica e l’incidenza di complicanze post-operatorie. I pz studiati sono stati randomizzati per essere sottoposti a diverse tecniche anestesiologiche: 1. Total intravenous anesthesia con tecnica TCI per propofol (Schnider al sito effettore), remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min; 2. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min; 3. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, fentanyl 2-3γ/kg induzione segue 1 γ/kg ogni ∼40 min. Quaranta minuti prima della fine dell’atto chirurgico sono stati somministrati iv: morfina 0,1 mg/kg calcolato sul peso ideale, ketorolac 30 mg, paracetamolo 1 g. Target VAS ≤3. Il controllo del dolore postoperatorio è stato soddisfacente in tutti i pz e l’andamento della Scala Analogica Visiva (VAS), al risveglio e dopo tre ore, sovrapponibile in tutti i gruppi. La durata media del ricovero in terapia subintensiva è stata di 4 gg; abbiamo riportato due casi di insufficienza respiratoria ( un pz ha necessitato di IOT e trasferimento in UTI). Un controllo adeguato del dolore postoperatorio ci sembra indispensabile per la prevenzione delle eventuali complicanze cardiocircolatorie e respiratorie. Box & Whisker Plot: VASRIS Box & Whisker Plot: VAS2R 5.5 4 4.5 3.4 3.5 2.5 VAS2R VASRIS 2.8 2.2 1.5 1.6 0.5 1 -0.5 0.4 1 2 ANESTES 3 ±1.96*Std. Err. ±1.00*Std. Err. Mean -1.5 1 2 3 ±1.96*Std. Err. ±1.00*Std. Err. Mean ANESTES Schuman R, Jones S, Ortz V, :Best practice raccommendations for anesthetic perioperativecare and pain managementin weight loss surgery.Obesity research vol 13 n2 February 2005. Stabilità emodinamica durante Anestesia generale in pazienti con obesità patologica: tecniche a confronto S.CATARSI, C. DI SALVO, P. CHIARUGI, E. NICASTRO, S. PARDOSSI, F. GIUNTA U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana L’obesità è una patologia cronica e multifattoriale la cui prevalenza è in aumento; è definita quando l’indice di massa corporea (BMI) è superiore a 30 Kg/m2; è associata a patologie che interessano il sistema cardiorespiratorio, il fegato, il metabolismo glucidico e l’apparato gastrointestinale. Per tale motivo la strategia anestesiologica deve essere accuratamente pianificata, anche per minimizzare le complicanze legate all’instabilità emodinamica. Descriviamo la gestione anestesiologica di 42 pz con BMI≥ 30, sottoposti a chirurgia addominale laparoscopica in elezione (Bypass gastrodigiunale e Bendaggio gastrico). 232 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Total intravenous anesthesia con tecnica TCI per propofol (Schnider al sito effettore), remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min; 2. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min; 3. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, fentanyl 2-3γ/kg induzione segue 1 γ/kg ogni ∼40 min. Miorisoluzione: cisatracurium 2mg/kg. Monitoraggio: ECG a 5 derivazioni, IBP cruenta e a bracciale, saturimetria, capnometria, diuresi oraria. Gli effetti ipnotici dei farmaci erano monitorizzati con Potenziali Evocati Acustici (PEA). Risultati: all’IOT e durante il mantenimento dell’anestesia la PAM mantiene in tutte le tecniche un range di variabilità all’interno del ± 20% rispetto al basale. Box & Whisker Plot: PAMRISV 145 Al risveglio la stabilità emodinamica è maggiormente garantita per il gruppo 1; infatti si osserva una differenza statisticamente significativa 135 (P< 0.05) tra il gruppo 3 e il gruppo 1, il primo manifesta valori di 125 PAM maggiori pur essendo garantita allo stesso modo la terapia antalgica postoperatoria. 115 PAM R ISV 1. Schuman R, Jones S, Ortz V, :Best practice raccommendations for anesthetic perioperativecare and pain managementin weight loss surgery.Obesity research vol 13 n2 February 2005. Ogunnaike BO, Jones SB, Jones DB, Anesthetic consideration for bariatric surgery. Anesth Analg 2002 ;95:1793-805 105 95 85 1 2 3 ±1.96*Std. Err. ±1.00*Std. Err. Mean ANESTES Applicazione integrale della catena della sopravvivenza: un caso clinico S. D’ANGELO,¹ G. UGOLINI,¹ U. PICCOLO,¹ S. RANA,¹ M. SPAGNOLI,¹ M.CARNELLI*C.BUCCINO* 1 Dipartimento di Emergenza-Urgenza, *Resident students U.O. Anestesia e Rianimazione II Servizio Sanitario Urgenza-Emergenza 118-Elisoccorso-Como Presidio Ospedaliero Sant’Anna (CO) Nell’attivazione della catena della sopravvivenza particolare enfasi è stata posta nel ribadire l’importanza dei quattro momenti fondamentali intrinseci a questo concetto. La precocità nell’attivazione dei soccorsi, nella rianimazione precoce(RCP), nella defibrillazione(DAE) e nel trattamento farmacologico(ALS) costituisce il “gold standard” per un positivo esito dell’intervento d’emergenza per arresto cardiaco. Le direttive ILCOR negli ultimi anni si sono focalizzate soprattutto nel miglioramento dei due momenti centrali della catena costituiti dall’RCP precoce e dalla defibrillazione precoce. Di recente sono comparsi alcuni lavori scientifici che testimoniano la rianimazione precoce praticata da astanti. Tuttavia è assai difficile poterne trarre indicazioni significative per la mancanza di una completa ed esauriente documentazione. Per questo motivo abbiamo ritenuto utile poter dare il nostro contributo descrivendo un caso documentato di arresto cardiaco in uomo di 47 anni in cui la rianimazione precoce è stata iniziata dai colleghi di lavoro su istruzioni telefoniche impartite dalla Centrale Operativa. Veniva poi defibrillato per cinque volte dall’equipaggio del Bls sopraggiunto, a bordo del quale era presente uno fra i 400 volontari da noi addestrati all’uso del defibrillatore semiautomatico nel nostro territorio. Infine il medico dell’Als iniziava, dopo altre due defibrillazioni per FV recidivante, il trattamento farmacologico secondo protocolli ACLS con pronto ripristino di un ritmo cardiaco spontaneo. Il paziente veniva ricoverato nel nostro reparto e quindi sottoposto a coronarografia la quale evidenziava una coronaropatia trivasale con ipocinesia inferiore medio-basale trattata con rivascolarizzazione chirurgica. Da segnalare è la totale mancanza di deficit o esiti neurologici invalidanti. A nostro avviso questo ed altri casi analoghi documentati confermano in maniera eclatante quanto sia vero il seguente fondamentale concetto dell’emergenza: come la principale determinante per la sopravvivenza del paziente, massimamente nell’arresto cardiaco, sia costituita dall’organizzazione generale sul territorio dei Servizi d’Emergenza. Il bypass aortocoronarico off-pump riduce il rischio di stato confusionale postoperatorio nei pazienti con severa aterosclerosi sistemica? 233 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 M. DE MARTINO, I. SENESE Cardioanestesia A.O.R.N. “ San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” Salerno Introduzione I recenti progressi nel trattamento delle lesioni coronariche con l’angioplastica percutanea hanno notevolmente incrementato l’età media dei pazienti che giungono alla rivascolarizzazione miocardica chirurgica. Purtuttavia nella popolazione anziana aumenta l’incidenza di aterosclerosi aortica e sistemica con conseguente maggiore vulnerabilità al danno ischemico inducibile dalla circolazione extracorporea. Uno dei benefici percepiti dalla tecnica off-pump del CABG è proprio quello della riduzione della percentuale di danno neurologico rispetto all’onpump CABG. Abbiamo pertanto deciso di confrontare l’incidenza di danno neuropsicologico nei pazienti anziani sottoposti a rivascolarizzazione miocardica con circolazione extracorporea e senza (on-pump CABG versus off-pump CABG). Materiali e metodiAbbiamo analizzato 93 pazienti anziani (età > 65 anni) sottoposti a rivascola rizzazione chirurgica di elezione con circolazione extracorporea (on-pump n= 31) e senza circolazione extracorporea (off-pump n= 62). La valuatazione cerebrovascolare preoperatoria prevedeva ecodoppler dei TSA e TC cranio. Venne successivamente valutata l’incidenza di eventi cerebrovascolari acuti e di stato confusionale postoperatorio nei pazienti on-pump e offpump CABG. Risultati Il gruppo di pazienti off-pump comprendeva più pazienti con malattie cerebrovascolari, arteriopatie periferiche, tabagismo, ateroscerosi aortica severa e lesioni ischemiche cerebrali. Nessun paziente off-pump e solo 1 paziente on-pump ebbe uno stroke intraoperatorio. In accordo con i dati della letteratura internazionale l’incidenza dello stato confusionale postoperatorio fu del 1,5% nei pazienti on-pump e del 1.1% in quelli off-pump. Conclusioni Dalla nostra esperienza emerge sicuramente una migliore compliance dell’intervento off-pump sull’esito neuropsicologico. Va però sottolineato come una adeguata valutazione preoperatoria debba considerare sia le condizioni cliniche ma anche la necessità di ottenere una adeguata rivascolarizzazione. Bibliografia 1. JAMA 2002;287:1405-12. 2. Ann Thorac Surg 2003; 76: 18-26. 3. Ann Thorac Surg 2003; 75: 1912-8. Dissociazione elettromeccanica (PEA): una drammatica presentazione di sindrome di schmidt DE NATALI S.; CARRER S.; VENTURELLA G.; BASILICO S.; DAGANI R.*;VAGHI GM. Servizio di Anestesia e Rianimazione, - Responsabile Dott. G. M. Vaghi; *U.O. Medicina II Presidio Ospedaliero di Rho (Mi) - Azienda Ospedaliera “G. Salvini” Garbagnate Mi Introduzione. La sindrome di Schmidt rappresenta il II tipo delle cosiddette “Sindromi Polighiandolari Autoimmuni”, con evidenza di familiarità. La diagnosi si basa solitamente su una clinica ad insorgenza graduale, rappresentando l’insufficienza cardiovascolare solo l’evento terminale di una malattia misconosciuta. Caso clinico. Femmina di 26aa, presentazione in PS in stato di coma (GCS=3), midriasi bilaterale, bradicardia spiccata con assenza di polsi centrali e periferici (PEA); ACLS con ripresa di polso carotideo dopo 5’. Agli esami ematochimici presenza di iposodiemia (126mEq/l) e iperkaliemia (6,9mEq/l). Negative le sostanze d’abuso; TC cerebrale normale. Evidenza di colorito bronzeo diffuso più importante alle estremità. A due ore dal ROSC insufficienza cerebrale (GCS=4). LCR negativo. In anamnesi episodi lipotimici ricorrenti negli ultimi mesi, oligo-amenorrea, calo ponderale del 30%, astenia ingravescente fino all’allettamento attribuito a sindrome depressiva (iniziato da 5 giorni trattamento con paroxetina). In UTI ipotensione refrattaria alle amine ad alto dosaggio, persistenza di squilibrio idroelettrolitico, Ht/Na=0,22, VAM per 36h ed estubazione in III giornata a recupero neurologico (GCS=14); agli esami importante ipotiroidismo primitivo. Nell’ipotesi di un quadro di ipocorticosurrenalismo inizia terapia sostitutiva con idrocortisone e repentina normalizzazione del quadro clinico. Gli esami ormonali confermano tale diagnosi (ipocortisolemia, incremento ACTH, presenza di anticorpi anti-surrene). In IV giornata viene trasferita in Medicina e dimessa a domicilio in XXII giornata con diagnosi di Sindrome Polighiandolare Autoimmune di tipo II (Sindrome di Schmidt) caratterizzata da insufficienza surrenalica e tiroidea (eco tiroide suggestiva per tiroidite, RMN encefalo e ipofisi negativa, presenza di anticorpi antisurrene e anti-tiroide) e posta in terapia con tiroxina e cortisone. Nello screening familiare emerge inoltre un IDDM misconosciuto nel fratello. Conclusioni. L’insufficienza circolatoria viene descritta nella clinica sia del morbo di Addison che dell’ipotiroidismo, correlata al deficit sia degli ormoni surrenalici che di quelli tiroidei. Riteniamo che il drammatico quadro di presentazione di questa sindrome e la difficoltà al trattamento iniziale possano essere determinate dalla concomitanza sinergica delle due patologie autoimmuni. 234 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Impianto di catetere venoso centrale (CVC) con il supporto di ECG intracavitario: procedure e particolarità L. DE SIMONE, T. BISCIONI, E. GEMINIANI, G. MORELLI, P. BUONAVOLONTÀ, G. FONTI Istituto U.O. Anestesia e Rianimazione IV Univ. Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana Scopo dello studio: utilizzo della registrazione dell’ECG intracavitario per l’immediata valutazione della posizione della punta nel posizionamento di CVC sia a breve che a medio-lungo termine. Innovazione della tecnica generalmente in uso che prevede la designazione del punto su basi antropometriche, l’inserimento alla cieca e la conferma della giusta posizione mediante RX torace. Materiali: set da cateterismo venoso centrale a breve e medio-lunga permanenza con scala centimetrica, un cavo di derivazione con clip da collegare al filo guida metallico, un adattatore universale (Certodyn®) con interruttore per lo switching dall’ECG di superficie all’ECG intracavitario. Metodi: repertata ed incannulata la vena di scelta, si procede al posizionamento del catetere sulla guida metallica sino alla fuoriuscita del J dalla punta distale, quindi si collega la guida metallica con l’adattatore universale e questo con l’elettrodo di superficie. Le differenze di segnale, registrate all’avanzamento del catetere attraverso la vena cava superiore verso l’atrio dx, sono rappresentate dalle variazioni di ampiezza dell’onda P. Da un’onda P ampia quanto il QRS ad indicare che la punta è in atrio, si retrocede sino ad un’ampiezza dell’onda P pari alla metà del QRS che si ha in corrispondenza della giunzione atrio-cava. Per i CVC a lungo termine la metodica è concettualmente identica ma necessita di alcuni accorgimenti legati alla tipologia del catetere (materiale, morbidezza, diametro, punta chiusa) ed alla tunnellizzazione. Utilizziamo un catetere monolume temporaneo inserendolo nel peel-away con la guida metallica posizionata come descritta per i temporanei. Posizionata la punta con la metodica descritta registriamo la lunghezza del catetere all’ingresso in vena, quindi rimuoviamo il CVC temporaneo e passiamo a posizionare il CVC a permanenza inserendolo in vena per la lunghezza ricavata con la metodica dell’ECG intracavitario. Conclusioni: sono stati posizionati 2257 CVC (530 a breve termine e 338/1389 a media/lunga permanenza). La percentuale di successo è stata elevata (98%), senza differenze statisticamente significative tra le differenti categorie di cateteri. E’ una tecnica di semplice esecuzione con risultato in tempo reale che permette l’utilizzo immediato e sicuro del catetere. Questo aspetto risulta particolarmente apprezzabile nei CVC a lunga permanenza poiché evitando il malposizionamento della punta si previene la necessità di reintervenire nonché le eventuali e possibili complicanze. L’impossibilità o l’inopportunità di applicare la metodica su alcuni CVC a lunga permanenza può essere superata con l’utilizzo di un CVC temporaneo che permette di reperire la distanza punta-cute da rispettare nel successivo posizionamento del CVC a lunga permanenza. L’ECG intracavitario: metodica sicura per il posizionamento della punta dei cateteri venosi centrali L. DE SIMONE, *G. MORELLI, *P. BUONAVOLONTÀ, *T. BISCIONI, *E. GEMINIANI, G. FONTI Azienda Ospedaliero–Universitaria Pisana U.O. Anestesia e Rianimazione IV Universitaria; *Scuola di Specializzazione Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Pisa Introduzione: La tecnica mediante la registrazione dell’ECG intracavitario, permette un’immediata valutazione della posizione della punta del CVC durante l’intervento di impianto senza necessità di disporre della fluoroscopia o di dover ricorrere alle regole delle misure anatomiche per posizionare correttamente il CVC. Esperienza: dal gennaio 1998 al dicembre 2005, impianto di 2257 cateteri venosi centrali con la tecnica ECG intracavitario su 2011 pazienti (uomini 1001, donne 1010) con età compresa tra 18-95 anni, età media 66 anni. Reparti di afferenza: Oncologia Medica nel 39%, Oncoematologia nel 34%, Nefrologia nel 17%, Medicina nel 5% altri nel 1%. Tipologia dei cateteri impiantati: 23 % cvc temporanei, 15% cvc a media permanenza, 20% CVC valvolati esterni, 27% CVC con port e 15% CVC per dialisi (3% temporanei e 97% definitivi). 235 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Motivo dell’impianto: 66% chemioterapia, 15% insufficienza renale o chiusura fistola artero/venosa o sostituzione di catetere non ben funzionante, 12 % supporto o nutrizione parenterale e somministrazione di farmaci endovena, 7 % esaurimento del patrimonio venoso superficiale. Metodo: Il posizionamento dei CVC con tecnica ECG intracavitaria è stato, successivamente all’impianto, valutato con radiografia standard del torace in due proiezioni e con paziente in piedi ed in espirazione. Risultati: su 2257 CVC impiantati con tale metodica, si è avuto un corretto posizionamento in 2212 CVC che corrisponde ad una percentuale di successo del 98%. Un posizionamento non corretto si è avuto in 45 CVC quindi una percentuale di insuccesso del 2%. Nell’ambito dei casi di insuccesso abbiamo avuto una reale malposizione in 10 CVC (0,47%), per 18 CVC (0,74%) non siamo riusciti ad registrare una chiara transizione dell’onda P, in 9 (0,42%) CVC si è verificata una fibrillazione atriale, in 8 (0,37%) CVC non si è registrata una onda P ampia. Conclusioni: possiamo affermare che l’impianto dei cateteri venosi centrali con ECG-IC per il posizionamento della punta è una tecnica di semplice esecuzione, veloce (circa 2-3 minuti), previene il malposizionamento e quindi la necessità di reintervenire e le possibili complicanze, non richiede l’esposizione a raggi X o la somministrazione di mezzo di contrasto, riduce tempi e costi dell’impianto. Limiti della metodica sono la presenza di una attività atriale e il fatto che l’ECG IC non riesca a distinguere se il CVC è posizionato in vena o in arteria. Onda P intracavitaria (IC) come guida nel posizionamento della punta di catetere venoso centrale: descrizione della tecnica LUIGI DE SIMONE, *ELEONORA GEMINIANI, *GIACOMO MORELLI, *TAMARA BISCIONI, *PIETRO BUONAVOLONTÀ, GIOVANNI FONTI Istituto U.O. Anestesia e Rianimazione IV Univ. Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana, *Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Pisa Repertata ed incannulata la vena di scelta con il set per cateterismo venoso centrale idoneo, si procede al posizionamento del catetere sulla guida metallica sino a posizionare il repere nero di tale guida a livello dell’ingresso prossimale del lume distale; ciò determina la fuoriuscita del “J” dalla punta e consente la registrazione del potenziale elettrico intracavitario. Quindi si collega la guida metallica tramite il cavo di collegamento con l’adattatore universale (Certodyn®) con interruttore per lo switching dall’ECG di superficie all’ECG intracavitario. La clip del cavo rosso del monitor viene connessa all’ adattatore e questo con il suo cavo all’elettrodo posizionato sulla spalla destra. Il segnale può essere così registrato sul monitor o cardiografo e mediante il pulsante per lo switching passare dall’ECG di superficie all’ECG intracavitario. La derivazione da utilizzare è DII. Le differenze di segnale, registrate all’avanzamento del catetere attraverso la vena cava superiore verso l’atrio dx, sono rappresentate dalle variazioni di ampiezza dell’onda P. Con il catetere in vena giugulare interna si registra un’onda P IC simile a quella di superficie che aumenta di ampiezza quando la punta procede distalmente. Muovendo all’unisono catetere e guida metallica ci si posiziona fino a registrare un’onda P di grande ampiezza che indica di essere con la punta in atrio, quindi si inizia a retrocedere guida e catetere ottenendo una graduale riduzione dell’ampiezza dell’onda P sino ad un ampiezza che è 1/2 dell’ampiezza del QRS intracavitario la punta del CVC è cosi posizionata a livello della giunzione atrio dx/vena cava sup. In Germania e in Belgio il tracciato cartaceo della transizione dell’onda P allegata in cartella è considerata ai fini medico-legali valida per dimostrare il corretto posizionamento della punta. 236 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Encefalopatia iponatremica in paziente con polidipsia non psicogena M. DIFONZO, T. TROTTA, G. COLAGRANDE, G. ANCONA U.O.C di Anestesia e Rianimazione Ospedale Di Venere, AUSL BARI 4, Bari Introduzione L’encefalopatia iponatremica è una sindrome clinica espressione di un disordine del bilancio idrico-salino. La riduzione della concentrazione di sodio, principale catione extracellulare osmoticamente attivo, assume un’importanza clinica quando riduce l’osmolalità plasmatica (osmolalità < 280 mOsm/kg)1. L’iponatremia, definita come concentrazione plasmatica di sodio < 135 mEq/l, può rappresentare un’emergenza clinica riguardo ai sintomi neurologici2. La gravità dei disturbi dipende sia dal livello della sodiemia sia dalla rapidità del suo sviluppo. Nausea e malessere generale compaiono per valori di sodio compresi tra 125 e 130 mEq/l. Cefalea, letargia, ottundimento, fino al coma e all’arresto respiratorio compaiono per valori di sodio tra 115 e 120 mEq/l3. I pazienti con iponatremia acuta (insorta entro 48 ore o meno) possono andare incontro ad edema cerebrale. L’iponatremia cronica (insorta dopo più di 48 ore), molto più comune rispetto alla forma acuta, può dare sintomi clinici con minor frequenza. Infatti, una riduzione della sodiemia in un periodo di settimane o mesi può portare a livelli plasmatici di sodio di 110 mEq/l con disturbi neurologici minimi4. L’iponatremia può essere associata ad un’osmolalità plasmatica alta, normale o bassa: iponatremia ipertonica, normotonica ed ipotonica1. L’iponatremia ipertonica (osmolalità plasmatica > 300 mOsm/kg) è l’espressione dell’aumento di sostanze osmoticamente attive, glucosio e mannitolo, che richiamano acqua dalle cellule e diluiscono il sodio sierico. L’iponatremia normotonica (osmolalità plasmatica = 280-300 mOsm/kg) è legata alla presenza di sostanze come lipidi e proteine che riducono la frazione d’acqua e sodio plasmatici. L’iponatremia ipertonica e normotonica sono definite anche pseudoiponatremia. L’iponatremia ipotonica (osmolalità plasmatica < 280 mOsm/kg) è la forma più comune, rappresenta un eccesso d’acqua rispetto al sodio esistente. Normalmente l’organismo umano è in grado di mantenere un normale livello plasmatico di sodio, 135-145 mEq/l, ed una normale osmolalità per mezzo di sistemi di controllo che coinvolgono la sete, l’ormone antidiuretico ADH e la funzione renale di regolazione del bilancio del sodio. L’iponatremia ipotonica (definita anche diluizionale) è legata ad un eccesso di acqua rispetto al sodio. Le cause più comuni sono l’incapacità del rene ad una normale escrezione di acqua (alterato output idrico) e l’eccessiva introduzione di acqua (aumentato intake)5. La polidipsia con iponatremia, indicata con termini vari ‘autointossicazione da acqua, polidipsia psicogena, polidipsia primaria’, è una sindrome relativamente frequente6. Conosciuta fin dagli anni ’307, uno studio del 1996 rilevava la presenza di polidipsia nel 26% dei pazienti schizofrenici ospedalizzati8. La polidipsia non psicogena con iponatremia (pazienti senza patologie psichiatriche, neurologiche o endocrine rilevabili) è al contrario una sindrome clinica molto rara6. Si descrive il caso clinico di un paziente che, in seguito all’ingestione volontaria di acqua, ha manifestato una condizione clinica di encefalopatia da iponatremia severa acuta. Caso clinico Un paziente di 43 anni era soccorso dal 118, avvisato dai parenti che lo avevano trovato in coma con presenza di vomito abbondante. Accompagnato in Ospedale era trasferito in Neurologia e subito dopo in Terapia Intensiva. All’ingresso la Glasgow Coma Scale aveva uno score di 9 (eye 2, motor 5, verbal 2), il paziente presentava letargia profonda da coma lieve. La TC encefalo non mostrava alterazioni densitometriche del parenchima dell’encefalo, i ventricoli apparivano in asse. I parametri emodinamici erano nella norma, pressione arteriosa invasiva 130-70 mmHg, FC 85 b/min, PVC 14 mmHg, l’Ecg mostrava solo segni aspecifici. L’emogasanalisi mostrava pH 7,42, paCO2 33 mmHg, paO2 70 mmHg, HCO3- 22,4 mEq/l, basi excess - 2,5 Na+ 117 mEql/l, K+ 3,46 mEq/l, Cl- 89 mEq/l, glicemia 131 mg/dl. Si provvedeva a sedazione e si poneva una ventilazione non invasiva. La diuresi raccolta in un’ora era 1100 ml. I parenti riferivano che il congiunto alcuni mesi prima era stato in cura per una forma di depressione e di precedenti episodi d’ingestione di grandi quantità di acqua senza sintomatologia. L’osmolalità plasmatica calcolata (2 x sodio + glucosio/18) era 243 mOsm/kg, eravamo in presenza di una sindrome da iponatremia ipotonica legata a sovraccarico idrico. Si trattava di un’iponatremia acuta, pertanto si effettuò la restrizione idrica (soluzioni di cristalloidi 1500 ml/die) con utilizzo di soluzioni saline ipertoniche 3% (513 mEq/l di sodio). Il sodio plasmatico era incrementato di 1-2 mEq/l nelle prime 3-4 ore fino alla regressione dello stato di coma. Si sostituivano quindi le soluzioni saline ipertoniche con soluzioni fisiologiche. Nel corso delle prime 24 ore la concentrazione di sodio plasmatico passava da 117 a 136 mEq/l. Il paziente si presentava sveglio, confuso ma collaborante. La diuresi della seconda giornata era 5850 ml. In terza giornata si trasferiva il paziente presso l’U.O. di Nefrologia per completare l’approfondimento diagnostico con una RMN e indagini di laboratorio. I parenti però richiedevano la dimissione anticipata del paziente, contro il parere dei sanitari, per proseguire le cure presso lo specialista psichiatra che in precedenza aveva curato l’ammalato. Discussione 237 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’encefalopatia iponatremica da intossicazione da acqua fu descritta per la prima volta nel 19239. Rowntree indagò gli effetti dell’eccessiva assunzione di acqua nell’uomo e negli animali, introducendo il trattamento dell’iponatremia con la somministrazione di soluzioni saline ipertoniche come terapia razionale. Le manifestazioni cliniche dell’iponatremia sono legate alla disfunzione del sistema nervoso centrale. I sintomi sono espressione della riduzione dell’osmolalità plasmatica che comporta una diminuzione della pressione osmotica, lo spostamento di acqua dallo spazio extracellulare a quello intracellulare con la possibilità di sviluppo di edema cerebrale e l’insorgenza di segni clinici di irritazione del sistema nervoso. Possiamo distinguere un’iponatremia lieve (sodio plasmatico tra 125 e 129 mEq/l), moderata (sodio tra 120 e 124 mEq/l) e severa (sodio < 120 mEq/l)10. La gravità della sintomatologia dipende sia dal livello della sodiemia, sia dalla rapidità del suo sviluppo. Nell’ iponatremia acuta i pazienti possono andare incontro ad edema cerebrale. La mortalità è legata alla compressione sul tronco encefalico, in questi casi è necessario correggere rapidamente la sodiemia. Nell’iponatremia cronica l’edema cerebrale è un evento meno frequente. Le principali cause di mortalità sono lo stato epilettico (per sodiemia < 110 mEq/l) e la mielolisi cerebrale pontina da correzione troppo rapida della sodiemia4. La polidipsia, eccessiva introduzione di acqua nell’organismo, associata ad iponatremia è stata descritta fin dagli anni ‘30 nei pazienti psichiatrici cronici7. La sindrome definita polidipsia non psicogena con iponatremia, che colpisce pazienti senza patologie psichiatriche, neurologiche o endocrine identificabili, è al contrario una patologia più rara. Weiss6 ha raccolto 27 casi clinici concernenti il periodo 1954-2004, distinguendo varie categorie: pazienti con introduzione eccessiva di soluti a bassa concentrazione di ioni (6 casi), eccessiva introduzione d’acqua su consiglio medico (6 casi), pazienti che si preparano ad un esame medico o radiologico (7 casi), pazienti con autointossicazione (3 casi), pazienti con polidipsia associata ad assunzione di farmaci (5 casi). L’eziopatogenesi della polidipsia è legata ad anomalie funzionali dell’ipotalamo e dell’ippocampo. L’eccessiva introduzione di acqua normalmente è regolata dal rene, la riduzione dell’osmolalità plasmatica riduce la liberazione di ADH permettendo l’escrezione di urine diluite. La capacità renale d’escrezione d'acqua libera è di circa 25 litri/die di urine, pertanto un’iponatremia non può svilupparsi solo per eccessiva introduzione di acqua. Nella polidipsia l’eccessiva introduzione di acqua è accompagnata da un’alterazione nella secrezione di ADH (non completamente soppressa), da difetti nella diluizione urinaria (urine non diluite al massimo) e da disturbi nella regolazione dell’assunzione di acqua11. La polidipsia dal punto di vista clinico può indurre sintomi quali la poliuria e l’intossicazione da acqua12. La poliuria corrisponde all’eliminazione di una quantità di urine giornaliere superiore a 2000 ml. L’intossicazione da acqua avviene quando la quantità di liquidi introdotti supera la capacità di eliminazione renale. Dal punto di vista terapeutico nei casi con iponatremia acuta sintomatica è necessario la restrizione idrica e la somministrazione di soluzioni saline ipertoniche fino alla scomparsa dei sintomi neurologici. La concentrazione di sodio plasmatico deve essere incrementata non oltre i 12 mEq/l nelle 24 ore e 18-20 mEq/l nei primi due giorni. Una correzione rapida dell’iponatremia, in presenza di fattori predisponenti2, può portare alla mielolisi centrale pontina, sindrome espressione della demielinizzazione della porzione centrale basale del ponte. Conclusione Nel caso clinico presentato un’eccessiva introduzione di acqua ha indotto un’iponatremia acuta sintomatica responsabile di un’encefalopatia. L’impossibilità di eseguire la misura dell’ADH non ha permesso di escludere una correlazione con la secrezione non osmotica di ADH o SIADH (sindrome da inappropriata secrezione di ADH). Infatti, la tendenza alla potomania si può riscontrare in pazienti con SIADH da assunzione di antidepressivi, farmaci di cui il paziente aveva fatto uso fino ad alcuni mesi prima. Tuttavia dall’anamnesi si rilevava l’abitudine del paziente ad ingerire grandi quantità d'acqua, fino a 12-14 litri al giorno. Inoltre la riduzione dell’apporto idrico associata al reintegro della sodiemia aveva normalizzato l’omeostasi permettendo la regressione della sintomatologia neurologica. L’episodio era pertanto inquadrato come una rara forma di polidispia non psicogena con iponatremia in accordo con la classificazione di Weiss. L’elevata quantità d'acqua ingerita aveva indotto la poliuria ed una manifestazione acuta di intossicazione da acqua, l’encefalopatia iponatremica. Bibliografia 1. El-Twal MS . Hyponatremia Emedicine January 4, 2006. Available at: www.emedicine.com/med/topic1130.htm 2. Moritz ML, Ayus CJ. The pathophysiology and treatment of hyponatraemic encephalopathy: an update. Nephrol Dial Transplant 2003 18: 2486-2491 3. Al-Salman J, Kemp D, Randall D. Hyponatremia. West J Med. 2002; 176(3): 173–176. 4. Craig S. Hyponatremia Emedicine January 4, 2006. Available at:www.emedicine.com/emerg/topic275.htm. 5. Adrogué HJ, Madias NE. Hyponatremia N Engl J Med 2000; 342: 1581-1589. 6. Weiss G J. Non-psychogenic polydipsia with hyponatremia. The Internet Journal of Nephrology. 2005; vol 2, n 1. 7. Jawetz RE. Water, water everywhere The etiology and treatment of polydipsia and hyponatremia. P&S Medical Review, fall 1999; vol 6, n 1. 8. de Leon J, Dadvand M, Canuso C, Odom-White A, Stanilla J, Simpson GM. Polydipsia and water intoxication in a long-term psychiatric hospital. Biol Psychiatry 1996;40:28-34. 9. Rowntree LG. Water intoxication. Arch Intern Med 1923;32:157-174. 10. Coletta RP, Rubeo L, Barbati G, Blasetti A. Cerebral salt wasting syndrome after head injury. Acta Anaesth Italica 56, 52-64, 2005. 238 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 11. Goldman MB, Luchins DJ, Robertson GL. Mechanisms of altered water metabolism in psychotic patients with polydipsia and hyponatremia. N Engl J Med 1988; 18;318(7):397-403. 12. Gherardelli S, Orlandi V, Bersani G. Brain morphofunctional characteristics and pharmacological treatment in a patient with chronic schizophrenia and polydipsic behaviour. Giornale Italiano di Psicopatologia February 2002; vol 8, 1 I.O.T. difficile e video-laringoscopio Glidescope® S. FABRONI ET AL. * A. PINTO ET AL ** Osp. Civ: Palestrina A.S.L. RMG* Osp. Civ. Anzio-Nettuno A.S.L RMH.** Scopo dello studio: dimostrazione estemporanea dell’utilità di GLIDESCOPE nel contesto di un’emergenza nel pronto soccorso di un piccolo Ospedale. Materiali e metodi: si usavano i normali presidi per la I.O.T., dopodiché veniva allertato il Chirurgo generale (nell’ipotesi di tracheostomia d’urgenza) facendo preparare in prima istanza il GLIDESCOPE per facilitare la I.O.T. Risultati: una Pz. Ultra- ottantenne con Insuff. respiratoria acuta febbrile d.n.d.d., con pregresso arresto cardiaco risoltosi e CPAP in corso, non rispondente alle terapie mediche. Praticate, con G.C.S. 5 e notevole agitazione psicomotoria, giunge all’osservazione dell’unico Anestesista Rianimatore in orario serale. Dopo tentativi di laringoscopia tradizionale, resi impossibili dalla ridotta apertura della bocca e dalla presenza di tessuto mammellonato e sanguinante nell’orofaringe e nelle strutture sottostanti (con rapporti anatomici alterati che in prima istanza facevano pensare a neoformazione ) , si procedeva all’inserzione delicata della lama del GLIDESCOPE , riuscendo ad individuare senza eccessivi traumi l’epiglottide estremamente edematosa , che veniva caricata in un secondo tempo tramite inserzione di laringoscopio con lama retta lunga tradizionale, permettendo la parziale visione dell’aditus ad laringem ristretto ed edematoso a cui faceva seguito l’I.O.T . La Pz veniva sedata e ventilata meccanicamente in P.s. e solo dopo diverse ore, diveniva possibile il trasferimento presso la rianimazione dell’Ospedale di Anzio-Nettuno (unica rianimazione disponibile ), con parametri vitali stabili. I colleghi rianimatori, dopo accurato studio della situazione clinica e ventilazione meccanica dela Pz , decidevano di far praticare dagli otorini laringoiatri tracheostomia chirurgica che permetteva dopo alcuni giorni il trasferimento in reparto O.R.L. per perfezionare la diagnosi e attuare le terapie del caso. La Pz veniva poi trasferita in reparto di medicina in attesa di dimissione con diagnosi anatomo patologica di intensa flogosi acuta e iper-reattiva delle prime vie aeree. Conclusioni: si può affermare che il laringoscopio a fibre ottiche con visione a colori GLIDESCOPE ( usato in precedenza anche in S. Operatoria), abbia permesso la I.O.T diminuendo il trauma relativo e l’eccessivo sanguinamento dei tessuti iperplasici cosa che avrebbe potuto creare una situazione anche letale. Miocardiopatia dilatativa diagnosticata in ii giornata dal TC. Evenienza inaspettata:case report T.GIUSTO,B.BALDI SANTOCCHI,I.PARDELLI,N.BACCELLINI III U.O.Anestesia e Rianimazione A.O.U.Osp.S.Chiara Pisa Introduzione. La cardiomiopatia peripartum è una rara patologia cardiaca ad eziologia sconosciuta caratterizzata da insufficienza cardiaca congestizia che si sviluppa nella fase avanzata della gravidanza o nei primi sei mesi dopo il parto ed è associata ad un alto rischio di mortalità materna. Può presentarsi in donne di età compresa tra i 18-41 anni con maggior incidenza dopo i 30 anni. L’incidenza di questa malattia varia in base alla localizzazione geografica (Nigeria 1%) con una frequenza che oscilla da 1:1500 a 1:15000 casi di gravidanze fisiologiche.La genesi non è ancora nota.Tra i fattori di rischio possibili si riscontrano:gravidanza multipla,storia di preeclampsia,ipertensione arteriosa cronica,abuso di farmaci e cocaina,obesità,alcoolismo,fumo,storia familiare di cardiomiopatia peripartum,miocardite. Caso clinico.Una donna primipara di 32 anni alla 40ªsett.di una gravidanza insorta spontaneamente con decorso fisiologico giunge c/o reparto di ostetricia e ginecologia riferendo comparsa di dispnea,sudorazione profusa e tachicardia dalla sera precedente. L’Holter pressorio riscontra un aumento di PA con valori di 145/105 mmHg ed una FC di 110 bpm. EGA eseguita dimostra una SpO2 di 93%,pCO2 27.6,pH 7.43,pO2 non calibrato. Il cardiologo contattato riferisce la sintomatologia su base funzionale legata alla gravidanza con ECG con RS tachicardico (FC 120 bpm),assenza di soffi patologici ed un EOP normale lievemente ridotto alla base dx. L’eco-addome ed il monitoraggio CTG assicurano la salute del feto e la sua maturità. In vista della situazione clinica rapidamente in evoluzione è stata presa la decisione insieme ai ginecologi di procedere immediatamente a TC che viene eseguito in anestesia subaracnoidea con Bupivacaina iperbarica 12 mg associata a Morfina 0.15 mg.La donna si presenta sempre dispnoica con una SpO2 di 90% con 5 l/min di O2 erogati mediante cannula nasale:per il disconfort presentato durante l’incisione 239 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 chirurgica si somministra Propofol 200 mg ev a piccoli boli e viene assistita la ventilazione in maschera con O2 al 100% .La SpO2 sale al 100%.A fine intervento le condizioni della donna migliorano lievemente:la dispnea si attenua,la FC è di 90 bpm,la PA è110/80 mmHg,SpO2 è di 96% in aria.In II giornata dal TC le condizioni della donna peggiorano manifestando dispnea intensa:viene contattato il cardiologo e con il sospetto di embolia polmonare viene trasferita in MCV. L’ecocardio eseguito dimostra una cariomiopatia dilatativa con FE di 25% e gli esami di laboratorio di pertinenza cardiologia (Troponina,CPK-MB,Mioglobina) sono lievemente mossi .La tp.medica prevede diuretici,digitale,ace-inibitori e nitrati ev.La paziente viene dimessa asintomatica dopo 10 gg con FE 38%. Conclusioni.Lo scopo di questo case report è quello di far comprendere le reali difficoltà ed i rischi che l’anestesista in ostetricia può incontrare difronte a patologie rare e a scelte anestesiologiche in caso di TC urgente. Porpora trombotica trombocitopenica: “C’è plasmaferesi e plasmaferesi!!!” M. LATTARO, F. DE MEO, V. LANDI, M. RIONDINO, V, SETTEMBRE, P. ZANNETTI U.O. C. Anestesia e Rianimazione P.O. San Paolo ASL Napoli 1 La porpora trombotica trombocitopenica (PTT) o sindrome di Moschkovitz, è una anemia emoliticaa microangiopatica con lesioni diffuse delle arteriole e dei capillari, ispessimento dell’endotelio, deposizione sotto-endoteliale di sostanze fibrinoidi e trombosi. Sulla base della eziopatogenesi distinguiamo due forme di PTT: familiare e sporadica. In entrambi i casi la comparsa della PTT sarebbe legata alla carenza plasmatica di una metalloproteasi deputata a scindere i multimeri del fattore von Willebrand in olecole di minori dimensioni. L’accumulo di tali multimeri ad alto peso molecolare induce la formazione di trombi piastrinici. Mentre nella forma familiare il difetto enzimatico sembra essere genetico, nella forma sporadica è legato alla presenza di un inibitore di natura anticorpale. La diagnosi di PTT è posta in presenza di: 1. Anemia emolitica 2. Trombocitopenia 3. Febbre 4. Turbe neurologiche 5. Insufficienza renale La mortalità della PTT è passata dall’80% al 20% con l’introduzione della PLASMAFERESI. Nell’U.O. dell’Ospedale San Paolo di Napoli abbiamo trattato due casi di PTT con due metodiche diverse: 1. Plasma Exchange “artigianale” con 5 sedute quotidiane (per 10 giorni) di salasso di 400 ml di sangue intero, seguito dalla centrifugazione con rimozione di plasmae successiva reinfusione delle emazie deplasmate ottenute e di plasma fresco eterologo. 2. TPE (Total Plasma Exchange) con device per CRRT (Aquarius Edwards-Life-Sciences) per 1,5 volumi di plasma al giorno (per 7 giorni, seguito da 3 sedute a settimana per altri 10 giorni (Protocollo GIPPT). Entrambi i casi si sono conclusi con la guarigione delle pazienti e la totale restitutio ad integrum, ma il trattamento con TPE appar meglio tollerato sotto il profilo emodinamico e con rischio minore di eventi evversi. Gastroresezione di neoplasia stenosante dell’antro gastrico in una paziente ad alto rischio con anestesia combinata spinale-epidurale (CSE) N. MARATEA Azienda USL N°5 – Ospedale Civile di Policoro (MT) L’anestesia spinale epidurale combinata (CSE) non è stata riportata come la tecnica principale per paziente ad alto rischio chirurgico con neoplasia stenosante dell’antro gastrico. Poiché questa era una paziente con malattia polmonare ostruttiva cronica severa (COPD), l’anestesia CSE era la tecnica anestetica preferita per questo caso (1). Una donna di 85 anni , del peso di 60 kg e 170 cm di altezza , aveva una neoplasia stenosante dell’antro gastrico. La dimensione della neoplasia si presentava di un diametro massimo longitudinale di circa 4 cm in direzione craniocaudale. La paziente soffriva di malattia polmonare cronica ostruttiva severa (COPD) di tipo misto (ostruttiva e restrittiva).In seguito alla consulenza cardiologia gli veniva diagnosticata una cardiopatia ischemica con (la frazione di eiezione del 30%) con un 21% di rischio secondo l’indice di Goldman. L’anestesia CSE sequenziale veniva eseguita nella posizione rigorosamente da seduto con la tecnica di minor resistenza tramite mandrino liquido, 5 mg di Levobupivacaina isobarica e 5 μg di sufentanil venivano somministrati intratecalmente con ago pencil-point 26G . Il catetere epidurale veniva posizionato nello stesso interspazio L1-L2 intervertebrale lombare con ago di Tuohy 16G. 240 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Questo era seguito da 25 mg di levobupivacaina isobarica 0,25% e 10 μg di sufentanil attraverso il catetere epidurale . Quando il blocco sensitivo raggiungeva il livello toracico T4, l’intervento veniva iniziato. Quando richiesta veniva somministrato , 6-10 ml allo 0,25% di bupivacaina e 25µg di sufentanil attraverso il catetere epidurale in modo intermittente. Durante l’intervento, i parametri emodinamici (frequenza cardiaca, pressione arteriosa media e pressione venosa centrale) erano stabili. L’intervento chirurgico durava 2 ore e 39 minuti. Un totale di 100 mg di levobupivacaina isobarica e 50 μg di sufentanil venivano somministrati in boli intermittenti. La sedazione intraoperatoria con 2 mg di midazolam endovenoso. Nel periodo postoperatorio , era emodinamicamente stabile. Questa tecnica anestetica può ridurre o eliminare alcuni degli svantaggi dell’anestesia spinale e epidurale , mentre preserva i loro vantaggi. Il blocco CSE sequenziale offre alta velocità di inizio, efficacia e tossicità minima del blocco spinale combinato con la possibilità di migliorare un blocco inadeguato o di prolungare la durata dell’anestesia con supplementi epidurali, ed estendere l’analgesia al periodo postoperatorio. Questi vantaggi rendono i blocchi CSE sempre più frequenti in ostetricia (3,4) , ortopedia (5-7) e nella chirurgia vascolare maggiore (8). L’anestesia generale ha effetti sul sistema respiratorio , come sul sistema cardiaco e sul tratto gastrointestinale. La presenza di grave insufficienza respiratoria ha un impatto favorevole sulla nostra decisione di usare l’anestesia CSE sequenziale senza anestesia generale. Noi crediamo che la CSE sia una tecnica di anestesia sicura per i pazienti ad alto rischio chirurgico che si presentano con neoplasia dello stomaco. Terapia Nutrizionale: a case report I. ODIERNA, D. CARBONE, M. LORETO, M. CAPTANO, S. PALESE, V. STRIDACCHIO UOC di Anestesia e Rianimazione PO “Umberto I”Nocera Inferiore ASL SA1-Direttore A. Natale Scopo dello studio Scopo del lavoro è presentare il caso clinico di una giovane donna affetta da disturbo dell’alimentazione (anoressia) particolarmente complicato per la mancata collaborazione tra l’attività del rianimatore e quella degli altri specialisti (endocrinologo e psichiatra) della stessa paziente ritardando l’adeguata terapia. Case Report Giovane donna di anni 19, razza caucasica, nubile. Si presentava alla visita ambulatoriale accompagnata dalla madre, peso 38 Kg., altezza 160 cm, BMI: 14,8 Kg/m2. In anamnesi patologica remota: nulla da rilevare; all’anamnesi patologica prossima: da circa 1 anno calo ponderale di 20 Kg ed amenorrea, riferibili a fallimento scolastico, ma associato a regolare alimentazione secondo quanto riferito dalla madre. L’alimentazione consisteva in 1 fetta di crackers al mattino 1 cucchiaio di pasta condita a pranzo o alternativamente 1-2 bocconi di carne o pesce 1 panino di circa 30 gr con prosciutto cotto o crudo a cena Quadro ematochimico di ipoalbuminemia 1,8g/dl, linfocitopenia 0.9 K/uL, Hct 53% Na 136 mmol/l, K 3 mmol/L, Ca 8 mg/dl, P 2,7 mg/dl. Assenza di edemi declivi e/o di versamento pleurico; ecocardio nei limiti. La paziente era già in trattamento con nutrizione parenterale integrativa con sacca precostituita per vena periferica presso il DH endocrinologico con prescrizione di terapia psichiatrica domiciliare e non era stata data indicazione al ricovero in struttura ospedaliera. Alla visita presso il nostro ambulatorio viene posta l’indicazione al ricovero in reparto sub-intensivo per il riequilibrio idro-elettrolitco e metabolico, che la paziente supportata dalla madre rifiuta in maniera categorica. Lo psichiatra non pone indicazione al ricovero coatto. La paziente continua la terapia domiciliare già in corso, per il subentrare di un importante flebite all’arto superiore destro si rivolge nuovamente alla struttura ospedaliera e viene ricoverata in reparto sub-intensivo. Qui inizia terapia reidratante e supporto nutrizionale parenterale (arricchito di potassio, fosforo e complessi vitaminici) ed albumina per via periferica dal momento che la paziente rifiutava in maniera categorica l’apposizione del sondino nasogastrico, non aderiva alle regole alimentari impostele e rifiutava un accesso venoso centrale. In terza giornata dal ricovero compare flebite all’arto superiore controlaterale e rifiutando categoricamente di nutrirsi per os, rifutando l’apposizione del SNG e l’accesso venoso periferico agli arti inferiori acconsente al posizionamento di un accesso venoso centrale. In settima giornata si assiste ad una progressiva stabilizzazione dei parametri ematochimici senza aumento del peso corporeo e finalmente lo psichiatra pone indicazione al ricovero in dipartimento di igiene mentale per disturbi dell’alimentazione. Discussione e Conclusioni Il corretto trattamento della patologia di cui era affetta la paziente avrebbe richiesto: ricovero immediato presso un centro per i disturbi dell’alimentazione con controllo continuo dell’equilibrio idroelettrolitico e metabolico; 241 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 integrazione dell’alimentazione per os o per via entrale con SNG. La gestione della paziente, anche se in maniera non corretta, ha imposto il ricorso ad una nutrizione per via parenterale, che in un primo tempo è stata eseguita per via periferica, compromettendo ulteriormente lo stato vascolare periferico e in seguito ha imposto il ricorso ad un accesso venoso centrale con tutti i rischi ad esso connessi. La cattiva gestione della paziente l’ha esposta alla sindrome da “refeeding”, che può essere mortale per complicanze cardiache, metaboliche, convulsioni e coma. Questo caso clinico ci mostra come l’anoressia nervosa è ancora oggi un disturbo sottovalutato e la mancanza della collaborazione interdisciplinare ritarda se non addirittura rende impossibile il corretto trattamento. Bibliografia Linee guida SINPE per la Nutrizione Artificiale Ospedaliera 2002. Nutrizione Artificiale nel paziente con disturbi del comportamento alimentare. RINPE 2002: 20-21 Effetti del reclutamento manuale e peep post inflazione nel danno polmonare da polmonite e contusione S. PALMESE, D. CARBONE, F. DI MARCO, I. ODIERNA, D. SCARANO, A. C. SCIBILIA, A. NATALE U.O.C. Anestesia e Rianimazione, Ospedale “Umberto I” Nocera Inferiore (SA) Obiettivo Abbiamo valutato la risposta alle manovre di reclutamento manuali e l’impostazione della PEEP post inflazione, nel danno polmonare dovuto a polmonite e a contusione polmonare traumatica. Metodo Sono stati arruolati 10 pazienti con danno polmonare (polmonite n = 5, contusione polmonare = 5). Per entrambi i gruppi sono stati utilizzati gli stessi parametri ventilatori: tidal volume 7 ml/Kg, frequenza respiratoria/min. 12 – 15, I: E ratio 1:2. Le manovre di reclutamento manuali sono state effettuate con insufflazioni sostenute, con pallone da 2 litri, per circa 2 minuti. La PEEP post reclutamento, partendo dal valore di 12 cmH2O, era progressivamente ridotta, fino a raggiungere il valore di best – PEEP. Se la Pressione Max respiratoria superava il valore di 45 cmH2O con 12 cmH2O di PEEP, questa veniva gradatamente ridotta di 1 cmH2O. Emogasanalisi arteriosi erano effettuati al tempo 0, dopo 5 minuti e dopo 6 ore dalla manovra di reclutamento. Risultati I dati demografici sono rappresentati nella tabella 1. I livelli di PEEP post reclutamento sono stati rispettivamente 8,8 ± 1,09 cmH2O nel gruppo polmonite e 9,2 ± 1,09 cmH2O nel gruppo contusione (two-sample t test. P = 0,580). Dopo le manovre di reclutamento manuali si ottenne un miglioramento della PaO2 (Tabella 2). Tab. 1 Polmonite Contusione Mann – Whitney U APACHE II 18,2 ± 8,5 20 ± 2,7 0,596 LIS 2 2,4 ± 0,5 0,134 MODS 3 ± 1,4 5,2 ± 1,6 0,08 Conclusioni Le manovre di reclutamento manuali con alti livelli di PEEP post inflazione, hanno aumentato in maniera statisticamente significativa l’ossigenazione sia nel gruppo contusione, che nel gruppo polmonite. Tab. 2 PaO2 cmH2O PaO2 cmH2O Test t dati appaiati Tempo 0 post 6 ore Polmonite 51,6 ± 4,2 78,2 ± 19,5 P = 0,029* Contusione 58,8 ± 11,5 121,4 ± 51,2 P = 0,025* *P < 0,05 242 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Dinamica delle nascite e Partoanalgesia all’Ospedale Versilia di Viareggio C. PANIZZI U.O.C. di Anestesia e Rianimazione - Az . U.S.L. 12 di Viareggio SCOPO: Valutazione dell’impatto sull’andamento delle nascite a seguito dell’introduzione di un gruppo di Anestesisti dedicati all’area Materno- infantile. MATERIALI E METODI: si analizza il periodo che va dall’inizio dell’anno 1996 fino alla fine dell’anno 2005. Nel periodo 1996 – 2001 il gruppo di medici che si occupava dell’area materno- infantile era coinvolto anche nella gestione delle sale operatorie di chirurgia e nelle consulenze ad altre U.O. (Pronto soccorso, medicina, nefrologia, dialisi, ecc.). Dall’anno 2002 al 2005 tale gruppo si è dedicato, impegnando tutte le proprie risorse, alla sola gestione, sul versante Anestesiologico, del Dipartimento Materno- Infantile. RISULTATI: i dati dimostrano in maniera particolarmente eloquente come applicarsi a fondo in un’attività, oltretutto delicata e complessa come quella della Sala Parto, porti dei frutti straordinari. Nel primo periodo (1996 – 2001) la percentuale delle Partoanalgesia ha altalenato fra l’8 e il 10% dei parti vaginali, mentre il numero delle nascite (1197 nell’anno ’96) è andato diminuendo (valore minimo toccato 1030) in accordo con il trend generale. Nel secondo periodo la percentuale delle Partoanalgesie è andata via, via crescendo per toccare, a fine 2005, il 56,48% dei parti vaginali. Il numero delle nascite ha avuto, altresì, un’impennata superando, sempre a fine 2005, le 1500 unità. CONCLUSIONI: In un’epoca in cui il numero delle nascite è particolarmente basso in tutto l’Occidente ma, soprattutto in Italia, ottenere risultati così eclatanti è indubbiamente la dimostrazione della bontà del lavoro svolto ma anche, secondo me, la riprova che una migliore attenzione e una maggiore cura portata alla maternità potrebbero aiutare a risolvere il grave problema della denatalità. Anestesia bisand vs inalatoria bilanciata e TiVA: qualità del risveglio G.M. PISANU, *A. PEDEMONTE, °Z. PUSCEDDU,^M.R. MELIS, #B. MULAS Serv. Anestesia - PO S. Giovanni di Dio; *Serv. Anestesia e Rianimazione PO Marino; °Clinica ORL; ^Dipart. Neuroscienze; #Dipart. Psicologia -Università CAGLIARI INTRODUZIONE. Permane radicato in molti addetti ai lavori il pregiudizio che la narcosi sia uno “stato di coma farmacologico reversibile”, condizione che attiene alla patologia dello stato di coscienza, con connotazioni negative, quali l’assenza di manifestazioni oniriche e il riscontro di risvegli torpidi e protratti. Noi riteniamo che le nuove tecniche anestesiologiche consentano una riproduzione molto vicina del sonno fisiologico, con le prerogative positive che questo comporta1: manifestazioni oniriche2, sensazioni piacevoli al risveglio e senso di ristoro propri della classica “buona dormita”. Per verificare questo principio, abbiamo messo a confronto 3 moderne tecniche di anestesia generale: l’inalatoria bilanciata (AIBil), con sevoflurano (S.) e remifentanil (R.), la Total Intravenous Anhaestesia (TIVA), con propofol (P.) e (R.) e la Bilanciata Sandwich, (BiSand), con (S.), (P.) e (R.). MATERIALI E METODI. Presso il reparto ORL di Cagliari sono stati studiati 174 pz, [112 F (64,4%) e 62 M (35,6%); età compresa tra 8 e 75 aa] suddivisi in tre gruppi: BiSand 76 pz; AIBil 49 pz; TIVA 49 pz. E’ stato valutato il tempo di risveglio del pz ed il tempo di risposta orientata. Ai pazienti è stato proposto, inoltre, un questionario con il metodo del “faccia a faccia” che riguardava l’eventuale esperienza onirica del pz in corso di anestesia [opzioni di risposta a = si, b = no]. Le tre differenti anestesie, sono state valutate mediante Test non parametrici, il Chi Quadro, e test parametrici, quali l’Anova ed il Post Hoc Test di Bonferroni. Per l’elaborazione dei dati è stato usato il programma di statistica SPSS. RISULTATI. Tempo di risveglio: nel Gruppo (Gr.) Bisand ha oscillato tra 2’ e 10’ (5,48±1,50); nel Gr. AIBil tra 10’ e 15’ (11,28±1,70); nel Gr. TIVA tra 5’ e 25’ (12,77±3,36). Tempo di risposta orientata: nel Gr. Bisand tra 1’ e 4’ (2,01±0,94); nel Gr. AIBil, tra 3’ e 11’ (5,69 ±1,48); nel Gr. TIVA tra 1’ e 11’ (5,32±1,73). Ricorda di aver sognato durante l’anestesia: nel Gr. Bisand 61 pz su 76 (80,3%); nel Gr. AIBil 13 pz su 49 (26,5%); nel Gr. TIVA 10 pz su 49 (20,4%). CONCLUSIONI. Le moderne anestesie generali sono molto sicure e gravate da bassa incidenza di effetti collaterali. La ricerca da noi condotta conferma, tuttavia, che il risveglio dall’anestesia senza complicanze post operatorie, l’immediata interrelazione dei pz con l’ambiente circostante, l’elevata incidenza dei sogni, sono i fattori che determinano un notevole apprezzamento per l’anestesia BiSand. Con questa metodica, che utilizza farmaci a cinetiche rapide con una dose minima di anestetici, si sta arrivando a riprodurre le caratteristiche fisiologiche del sonno3. 243 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 L’atteggiamento osservato in alcuni pazienti, al momento del risveglio dall’anestesia, è analogo al risveglio da un sonno normale. Sarebbe opportuno tentare di studiare meglio gli effetti di questa metodica anestesiologica, valutandone i pregi e gli eventuali difetti, in modo tale da condurre l’anestesia generale in un terreno sempre più prossimo a quello sicuro e garantito del sonno fisiologico. BIBLIOGRAFIA. 1. G.M. Pisanu, A. Pedemonte*, F. Cossu Anestesia BiSand: variante strategica dell’anestesia generale. SMART P33, 2003 2. Kasmacher H, Petermeyer M, Decker C. Incidence and quality of dreaming during anesthesia with propofol in comparison with enflurane Anaesthesist. 45(2):146-531996. 3. G. M. Pisanu Il sogno in anestesia: un vantaggio o un problema. Atti V Congresso Regionale AAROI- Cagliari 9-12 Giu 2004:64-66 TORAYMYXIN e CVVH nella sepsi addominale complicata da ARDS PISCITIELLO F.,CIARDULLI E.,FERRARI A.,SCARANO P.,DELLA CIOPPA N.,MAZZARELLA M.,ESPOSITO O. ASL Na 1 - Ospedale “S. Giovanni Bosco”. U.O.C. di TERAPIA INTENSIVA. SCOPO: L’utilizzo di metodiche di emoperfusione per neutralizzare le endotossine ed emofiltrazione per rimuovere mediatori della sepsi inducono un rapido miglioramento delle condizioni cliniche nel pz settico. MATERIALI E METODO: Studio osservazionale di due casi clinici.CASO 1Pz M, aa 35,obeso, peritonite stercoracea per perforazione intestinale; severa dispnea a due giorni dall’intervento chirurgico, FC 122 bpm ,PA 90/60 mmHg sostenuta da espansione volemica, FR 35 a/m, sensorio obnubilato, TC 38.4 C°, SpO2 92%, FiO2 60%, PO2 71, P/F 118, PaCO2 46, Lattati 2.5, PCR 36.8, Pct >10, ATIII 47% CR 1.6, Btot 2.1, GB 9.8. La valutazione degli indici impone ricovero in UTI per ARDS secondaria a sepsi, ove si posiziona Helmet per CPAP, si incannula vena femorale con catetere a doppio lume da 11.5 F ed inizia emoperfusione su colonna di Polimixina B HP-PMX con pompa sangue 80 ml/h per 120’ ripetuto a 24 h. Segue CVVH (pompa sangue 180 ml/h, flusso UF 3000 ml,Eparina 300 U/h, sottrazione 50 ml/h) per altri tre giorni. CASO 2 Pz M, aa 20, politrauma (scoppio colon dx con secondaria peritonite stercoracea). A due giorni dall’intervento chirurgico:severa dispnea, FC 120 bpm, PA 100/60 mmHg sostenuta da espansione volemica, FR 35 a/m, sensorio obnubilato, TC 38.7°C, SpO2 86%, FiO2 35%, PO2 51, P/F 145, PaCO2 28, Lattati 1.1, PCR 28, Pct >10, AT III 59%, CR 1.8, Btot 2.6, GB 10.1.Si dispone ricovero in UTI ove si posiziona Helmet per CPAP, si incannula vena femorale con catetere a doppio lume da 11.5 F ed inizia emoperfusione su colonna di Polimixina B HP-PMX con pompa sangue 80 ml/h per 120’. ripetuto a 24 h. Segue CVVH (pompa sangue 180 ml/h, flusso UF 3000 ml, Eparina 300 U/h, sottrazione 50 ml/h) per altri tre giorni. RISULTATI (CASO 1) Al quarto giorno di ricovero in UTI: respiro spontaneo con MdV FiO2 40%, P/F 375, TC 370 C, lattati 0.8, PCR 1.2, PCT < 0.5, ATIII 102%, CR 0.8, BT 1.0,GB 10.1, PA 150/80 mmHg, FC 80 bpm; (CASO 2) Al quarto giorno di ricovero in UTI: respiro spontaneo con MdV 40%, PO2131 ,P/F 327,TC 36.7° C, lattati 0.6, PCR3.97, PCT>0.5,ATIII 104%, CR 0.7, BT 0.9, GB 11.00, PA 120/70 mmHg, FC 85 bpm CONCLUSIONI:L’ARDS secondaria a sepsi è associata ad elevata morbilità e mortalità con lunga degenza in UTI. In questi due casi l’utilizzo di metodiche di depurazione extracorporea (CVVH) associata ad emoperfusione con Toraymyxin, ha indotto una risoluzione dello stato settico e dell’ARDS per di più senza necessità di IOT e con precoce dimissione.BIBLIOGRAFIA:Blood purification, 2004, n.22, pp. 256-260 Intensive Care Med, 2004, n.30, pp. 1838-1841 Autumn Emergency a Napoli – Ottobre 2005, Criticità e Considerazioni A.E.ROSSI**, G. BUFFARDI*, R.A. PRUDENTE, R. DE CARO Direzione Sanitaria ASL NA 1- **Resp. Servizio SIRES ASL NA 1, *Resp. Cot AORN Cardarelli Gli attentati terroristici dello scorso luglio a Londra hanno provocato una rapida accelerazione dei programmi di prevenzione approntati allo scopo. Si sono succedute in Italia nelle città più grandi specifiche esercitazioni per testare la macchina organizzativa per detti eventi. Gli autori descrivono la prima esercitazione antiterroristica svoltasi a Napoli il 22 ottobre 2005. Sono descritti i dettagli operativi del piano predisposto dalla Prefettura in collaborazione con le diverse forze dell’ordine. Il sistema SIRES 118 e l’UCR sono intervenuti secondo quanto predisposto minuziosamente dalla Prefettura. In dettaglio l’esercitazione comprendeva quattro scenari di cui solo tre interessavano la parte sanitaria dell’organizzazione: I Evento: Esplosione a bordo di un autobus della linea 140, in transito in Via Partenope, all’altezza dell’hotel Excelsior con il coinvolgimento di 2 autovetture e 5 passanti. con un bilancio di 7 deceduti, 15 codici rossi, 5 gialli, 15 verdi 244 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 II Evento Esplosione di un ordigno al Varco Immacolatella (porto) con un bilancio di 3 Deceduti, 5codici rossi , 11 codici verdi. III Evento Esplosione di un ordigno all’interno di un vagone della circumvesuviana, alla fermata del Centro Direzionale con il coinvolgimento di 5 viaggiatori in attesa, con un bilancio di 16 deceduti, 31 codici rossi, 8 codici gialli 50 codici verdi I tre interventi si sono succeduti in un arco temporale che è andato dalle ore 8.15 alle ore 9.35. Sono stati allestiti un PMA mobile sullo scenario del I evento ed è stato individuato un PMA nelle strutture esistenti sullo scenario del III evento. Alle ore 11.00 tutte le vittime erano state processate, stabilizzate ed inviate nei PP.OO.. Sono state impiegate in tutto n. 25 mezzi di soccorso n 40 infermieri 30 medici e 30 autisti. Criticità:Le comunicazioni radio e telefoniche sono state difficili.Tra le 9.00 e le 11.00 vi sono stati 51 gruppi assenti. In particolare nel I evento la telefonata di allertamento della centrale è giunta prima alle ambulanze e successivamente ai vigili del fuoco. Nel III evento non è mai giunta in centrale la telefonata di allertamento in centrale operativa. Alcuni pazienti sono stati prelevati e trasportati dalle forze dell’ordine senza passare per il PMA. Considerazioni: E’ necessario che l’UCR Regionale sia coinvolta maggiormente nell’organizzazione e nella preparazione di questi eventi e che questa coinvolga direttamente la centrale operativa e la ASL che che mette a disposizione le risorse. Hanno funzionato contemporaneamente, non avendo perfettamente chiari quali fossero i propri compiti, troppe centrali operative (118, polizia, prefettura e protezione civile). Rapido e professionale l’allestimento dei PMA nonchè la processazione, la stabilizzazione e il trasporto delle vittime negli ospedali. Pronti per eventuali emergenze NBCR? Lo stato dell’arte nella città di Napoli A.E.ROSSI**, G. BUFFARDI*, R.A. PRUDENTE, R. DE CARO Direzione Sanitaria ASL NA 1- **Resp. Servizio Emergenza Territoriale ASL NA 1, *Resp. COT AORN Cardarelli Successivamente ai recenti eventi terroristici che hanno evidenziato i gravi rischi per la pubblica e privata incolumità il Presidente del Consiglio dei Ministri, in data 28/03/2003, ha emanato un’ordinanza con cui vengono disposte misure per tutelare la cittadinanza dalle conseguenze di possibili attacchi terroristici. In particolare si richiede di pedisporre piani di emergenza recanti l’individuazione di interventi medico-sanitari specifici per il rischio nucleare biologico chimico e radiologico (NBCR). La Regione Campania con delibera n. 495 del 25/03/04 ha istituito l’Unità di Crisi Regionale (U.C.R.) che assume, in caso di emergenza, la funzione F2 prevista dalla legge Guzzanti. La U.C.R. assume la gestione della funzione 2 attraverso due suoi “componenti”; il primo opera presso la Sala Operativa Unificata Regionale il secondo opera presso la Sala Operativa attivata presso la Prefettura entrambe in diretto contatto con la COT. L’UCR ha elaborato procedure di difesa civile con il coinvolgimento dei DEA cittadini e regionali che, a loro volta, hanno studiato specifici piani legati ad un eventuale massiccio afflusso di pazienti. In particolare per i DEA della città di Napoli, al fine di verificare l’eventuale disponibilità di posti letto nei primi 60’ successivi all’evento, sono state fatte indagini a campione sui pazienti dimissibili. Il primo PMA realizzato in una tenda fornita dalla protezione Civile del Comune di Napoli, in cui opererebbero 4 medici e 4 infermieri, è attivabile in 30/60 minuti A supporto del PMA saranno disponibili una ambulanza ed una autovettura. Nella città di Napoli sono presenti presidi di “primo soccorso” (PSAUT) ubicati in aree strategiche della città; in tali circostanze questi possono essere impiegati come PMA Le sedi sono: Stazione Centrale di Piazza Garibaldi (h. 24), Aeroporto Civile (h.24), Palazzo di Giustizia del Centro Direzionale (h.12), ex Pretura (h.6), Castel Capuano (h.6), Tribunale di Pace (h.6). E’ in avanzata fase di allestimento, in accordo con il Ministero della Salute, l’attivazione di un ulteriore PSAUT nel Porto di Napoli. La ASL NA 1, inoltre, ha in dotazione una stazione mobile di decontaminazione e i dispositivi per organizzare 12 squadre di decontaminazione anche per le AASSLL regionali e così divise: sei squadre di decontaminazione per Napoli e provincia, due per Salerno e provincia, due per Caserta e provincia, una per Avellino e provincia, una per Benevento e provincia. Allo stato attuale si stanno approntando, in collaborazione con i VV.F, corsi specifici di formazione per il personale del Servizio 118. La formazione sarà fatta a cascata e riguarderà sia gli aspetti sanitari che quelli tecnico-comportamentali in caso di attacco terroristico NBCR. La parte sanitaria sarà curata dai 9 responsabile delle C.O.T. 118 della Regione abilitati grazie a corsi specifici; la parte tecnico comportamentale (uso dei DPI) sarà effettuata dai Comandi Provinciali dei VV.FF mediante una apposita convenzione stipulata con la Regione Campania. 245 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Airway management: when more hospitals work together SCOPONI M.1, ADRARIO E.2, VENTRELLA S.1 1 Hospital “A. Murri” ASUR 11, Fermo 2Department of Anaesthesia University of Ancona Difficult airway management is a critical skill for every anaesthetist. Inadaguate ventilation and difficult tracheal intubation are very common in anaesthesia practise1, despite the development of new devices and strategies to manage and secure the difficult airway. The incidences of difficult laryngoscopy (1,5-13%), difficult intubation (1,2-3,8%), and difficult mask ventilation (0,01-0,5%) are not well defined and are subject to physician variability. Preoperative evaluation is important to screen patients with high risk for difficult airway management but at the moment there is not concordance on variables chosen for evaluation. Some anaesthesiological scientific society (SIAARTI, ASA, DAS, EAMS, ESA and others) proposed guidelines2 to lower the risk of unexpected airway difficulties. The purpose of this project was to determine whether anesthesiology residents (from 5 Hospitals of Marche) are receiving specialized instruction in the various techniques and mechanical devices currently recommended for airway management in patients with anticipated or unanticipated difficult airways. Although there is not a sctrictly correlation between operator and anatomic clinical predictive score, a routinary use of the assesment form was useful to sensibilize young and senior anesthetists , not only for the preoperative evaluation but also for improving the knowledge of guidelines and for a correct management of predictable or unpredictable difficult airways, nevertheless to prevent and to collect in a systematic way possible adverse events. Debriefing of all critical airway management shortly after the event might be ideal and may well happen on occasion in individual departments to focus attention to problems with airway management3. 1. Anesth Anal 2004; 99:1774-9 2. S.I.A.A.R.T.I Difficult Airways Task Force Minerva Anestesiol.2005 in press 3. Anaesthesia 2004, 59:631-635 Postoperative analgesia after major orthopedic surgery: Sufentanyl iv vs Morphine iv SCOPONI M., DEGL’INNOCENTI B., GALIÈ E., DI SERAFINO G., VENTRELLA S. Hospital “A. Murri” ASUR 11, Fermo The aim of this study was to compare sufentanyl vs morphine to control pain after elective major orthopedic surgery. Methods: case-controlled, prospective, randomized study. 50 patients (20 male, 30 female), age 72,35 + 8,58, weight 73,57 + 12,46, ASA II-III. Patients were allocated in two groups: Gr S (sufentanyl 0,1 γ/kg/h), Gr M (morphine 0,01 mg/kg/h). In each group were associated ketorolac (3mg/h) and ondansetron (0,2 mg/h). Duration 35 hours with continuous infusion at 2ml/h. Blood pressure, heart rate, respiratory rate, SpO2, VAS at rest, VAS incident, Ramsey Scale, Bromage Scale, pruritus, nausea, vomiting were registered three times: discharge of recovery room, after 12 and 24 hours. Data were analyzed with t-test (p<0,05). Results: no statistically differences were found with regard to pain scores, hemodinamics differences and side effects. Conclusion: we concluded that the postoperative analgesia is effective and safe for both groups with patients satisfaction. Patients Discarge Recovery Room VAS at rest VAS incident Respiratory Rate Heart Rate Mean Blood Pressure Pruritus PONV Valutation after 12 hours VAS at rest VAS incident Respiratory Rate Heart Rate Mean Blood Pressure Pruritus PONV Valutation after 24 hours VAS at rest VAS incident Respiratory Rate Heart Rate Mean Blood Pressure Pruritus PONV 246 SUFENTANYL GROUP 25 MORPHINE GROUP 25 4,78 + 7,30 12,61 + 13,89 14 + 2 74 + 8,5 100,00 + 11,7 5 11,30 + 19,37 20,00 + 23,93 14 + 2 75 + 7,5 93,7 + 14,2 5 10,87 + 16,21 27,39 + 19,12 15 + 2 76 + 7 103,00 + 16,2 6 17,39 + 17,89 30,43 + 20,77 15 + 2 77 + 12 92,7 + 11,5 2 3 10,02 + 11,68 21,30 + 17,40 15 + 1 83 + 9,8 101,08 + 12,7 1 4 12,17 + 12,78 21,3 + 13,59 15 + 2 79 + 15 90,00 + 10 2 5 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Esiti di un approccio riabilitativo multidisciplinare in pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite, precocemente trattati in una struttura di neuroriabilitazione con terapia intensiva VERRIENTI P.1, GISMONDI A.1, CORVINO M.1, LAGNA M.A.1, ALEMFALAKI M. 1,GIGLI A.1, MASSARI F.1, CORAPI N.1 , CIOFFI L2., PISCITELLI P.2 1 Casa di Cura Villa Verde, Lecce - 2LUM, Bari Obiettivi. Valutare gli esiti di un approccio riabilitativo multidisciplinare in pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite, precocemente trattati in una struttura di neuroriabilitazione con terapia intensiva ad alta specialità. Materiali e metodi. Abbiamo esaminato un totale di 196 pazienti provenienti da rianimazioni con sequele di lesioni neurologiche acute: gravi compromissioni dello stato di coscienza, del controllo motorio e delle funzioni vegetative, trattati dal 1999 al 2004 in una struttura di neuroriabilitazione con terapia intensiva secondo un approccio multidiscipli- nare, con la presenza costante di rianimatori, neurologi, infermieri qualificati in T.I., fisioterapisti, logopedisti e psicologi, oltre alla disponibilità di vari servizi diagnostici. All’ingresso, i pazienti si presentavano in coma a seguito di trauma cranico (n=79), anossia da varie cause (n=10), ischemia (n=46) o emorragia cerebrale (n=61) e necessitavano di assistenza infermieristica e medica continua, monitoraggio costante dei parametri vitali, eventuale protesi respiratoria e nutrizione parenterale o con PEG/SNG. All’ingresso, 147 soggetti analizzati - dei quali 32 ancora collegati a ventilatore meccanico - mostravano incapacità ad utilizzare le normali vie aeree senza tracheotomia. I pazienti sono stati valutati all’inizio e alla fine di un periodo riabilitativo di 3-6 mesi in base al grado di disabilità ed agli esiti (outcomes) raggiunti per la funzione respiratoria, piaghe da decubito e disfagia. Risultati. Per quanto riguarda la valutazione del grado medio di disabilità (scala DRS) si registravano i seguenti esiti, rispettivamente all’ingresso (i) e alla dimissione (d): - trauma cranico (n=79) DRS = 3 (i) DRS = 5 (d) - ischemie cerebrali (n=46) DRS = 3 (i) DRS = 4 (d) - emorragie cerebrali (n=61) DRS = 3 (i) DRS = 4 (d) - anossie da varie cause (n=10) DRS = 1 (i) DRS = 2 (d) *DRS 3=disabilità estremamente severa DRS 5 = disabilità moderatamente severa Per quanto riguarda funzione respiratoria, piaghe e disfagia, tra i 196 pazienti considerati si registravano i seguenti esiti, rispettivamente all’ingresso (i) e alla dimissione (d): - portatori di tracheostomia: 147 (i) 42 (d) (-71,4%) - in ventilazione meccanica: 32 (i) 1 (d) (- 96,8%) - presenza piaghe da decubito: 74 (i) 7 (d) (-90,5%) - riscontro di disfagia: 180 (i) 59 (d) (-67,2 %) Conclusioni. I risultati ottenuti dimostrano la validità di un trattamento precoce dei soggetti con gravi cerebrolesioni acquisite in una neuroriabilitazione provvista di terapia intensiva. Le tecniche depurative continue extracorporee: davvero continue? P. ZANNETTI, M. DI PERMA, A. TROIANO, A. MADDALENA, N. FODERINI, M, LATTARO U.O. C. Anestesia e Rianimazione P.O. San Paolo ASL Napoli 1 Il ricorso alle tecniche depurative extracorporee è sempre più frequente, specie in ambito intensivistico. E’ oggi indicata in molteplici condizioni: dalla insufficienza renale a quella epatica, dallo scompenso cardiaco alle intossicazionim alla sepsi. Nei pazienti critici le tecniche continue vanno considerate di prima scelta: in tal modo è possibile ottenere una efficace attività depurante con impatto emodinamico ridotto. Purtroppo il concetto di “continuo” è puramente filosofico e descrittivo della metodica: studi non controllati hanno evidenziato una sospensione del trattamento che può arrivare al 30%! Tali sospensioni possono essere divise in INEVITALBILI (esecuzione di esami fuori dalla sala di Terapia Intensiva, manovre di RCP, sostituzione di circuiti esausti...) ed EVITABILI. Queste ultime (gestione degli allarmi, ottimizzazione dei materiali e della metodica, prevenzione dei problemi di circuito, riduzione dei tempi di sostituzione delle sacche, ecc.) sono state individuate, valutate e “trattate” presso la nostra U.O. La conoscenza dei materiali utilizzati, del tipo di circuito, delle problematiche emocoagulative del paziente, della patologia di base e soprattutto un costante addestramento del personale dedicato alla metodica ha consentito di ridurre in maniera significativa le sospensioni evitabili. In questa comunicazione mettiamo a disposizione oltre 6 anni di esperienza con centinaia di trattamenti e i vari “trucchi” e precauzioni per ridurre i tempi di mancata funzionalità depurativa. 247 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Indice degli autori Camilletti G., 24 Abramo D.A., 230 Campanile V., 14 Adrario E., 245 Capra C., 19 Agostinis S., 139 Captano M., 241 Aito S., 14 Caputo F., 227 Alemfalaki M., 247 Carbone D., 228, 228, 241, 242 Altamura P., 220 Caretto V., 227 Amici M., 24 Carnelli M., 233 Amitrano D., 218, 225 Carnesecchi P., 229, 230 Ancona G., 237 Carrer S., 234 Antonaglia V., 14 Caruselli M., 24 Apicella A., 225 Castiglioni C., 230 Arezzi B., 230, 231 Catani F., 24 Catarsi S., 218, 219, 230, 231, 232, 232 Baccellini N., 239 Celleno D., 93 Baldesi M., 229, 230 Chiaradia C., 19 Baldi Santocchi B., 239 Chiarugi P., 219, 232 Barbieri S., 73 Ciardulli E., 244 Bardini A., 218, 225 Cichella C., 181 Baroncini S., 17, 226 Cinquesanti A., 28 Basilico S., 234 Cioffi L., 247 Bassani A., 121 Cioni N., 229, 230 Battaglia D., 224 Ciritella P., 31 Benigni A., 198 Ciritella PL, 48 Berardi S., 18 Clavenna A., 33 Berrugi M., 232 Colagrande G., 220, 237 Bertamini F., 187 Colasanti E., 223 Bertelli G., 227 Cominelli E., 34 Biscioni T., 235, 235, 236 Corapi N., 247 Bozzetto P., 139 Corvino M., 247 Brezzi, L., 73 Cosentino M.R., 106 Buccino C., 233 Buffardi G., 244, 245 D’Angelo S., 233 Buonavolontà P., 235, 235, 236 D’Angelo V. A., 42 Buscema G., 14 D’Auria C., 220 Buti G., 227 Dagani R., 234 De Caro R., 244, 245 248 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 De Durante G., 219, 230, 231, 232 Galleschi N., 218 Degl’Innocenti B., 246 Gambale G., 106 De Luca D., 43 Geminiani E., 235, 235, 236 De Martino M., 220, 225, 233 Gigli A., 247 De Meo F., 240 Giretti R., 24 De Natali S., 234 Gismondi A., 247 De Simone L., 235, 235, 236 Giunta F., 219, 230, 231, 232, 232 De Vivo P., 31, 48, 55 Giusti F., 214 Del Gaudio A., 31, 48 Giusto T., 239 Della Cioppa N., 244 Gori G., 106 Di Bartolomeo S., 56 Grana G., 113, 204 Di Fiore S., 57 Gregoretti C., 120 Di Marco F., 228, 242 Gregorini P., 121 Di Pasquale D., 229, 230 Guarguaglini M., 229, 230 di Perma M., 247 Guberti A., 224 Di Salvo C., 230, 231, 232 Di Serafino G., 246 Ingrosso M., 121 Difonzo M., 220, 237 Direttivo SIARED, 156 Jefferson T., 123 Droghetti L., 224 Dru M., 64 L’Abbate V., 124 Lagna M.A., 247 Esposito O., 244 Landi V., 240 Lattaro M., 240, 247 Fabroni S., 239 Lockey D., 125 Fantoni A., 68 LoPardo D., 223 Feltracco P., 73, 187 Loreto M., 241 Ferrari A., 244 Lubrano G., 228 Ferretti A., 24 Luchetti M., 127 Ferri L., 227 Flocco R., 90 Maddalena A., 247 Foderini N., 247 Maggini C., 218, 225 Follini L., 91 Manzoni D., 198 Fonti G., 235, 235, 236 Maratea N., 240 Franchella A., 224 Marcaccini M., 225 Frattini F., 19 Marconcini F., 229, 230 Frigo M.G., 93 Marconcini G., 229, 230 Furnari M., 73 Marra F., 223 Galassini E.M., 109 Marraro G.A., 129 Galiè E., 246 Marri E., 226 249 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Martini P.. 227 Preziuso E., 230 Massari F., 247 Prudente R.A., 244, 245 Matarazzo T., 224, 226 Prudente R.A. Mazzarella M., 244 Pusceddu Z., 243 Meazza G., 19 Melis M.R., 243 Rana S., 233 Messeri A., 184 Razzi S., 227 Michieletto E., 73 Regoli R., 106 Morelli G., 232, 235, 235, 236 Riondino M., 240 Moroni A., 136 Ripamonti D., 174 Morra A., 139 Rizzi S., 73 Mulas B., 243 Roncoroni P., 19 Rosafio T., 181 Natale A., 228, 228, 242 Rossetti F., 184 Nicastro E., 232 Rossi A.E., 244, 245 Rossi F., 106 Odierna I., 228, 228, 241, 242 Rutili A., 187 Ori C., 73, 187 Orlandini G., 147 Salvaterra F., 73 Santelli F., 24 Pagni R., 24 Saporiti M., 19 Palese S., 241 Sbrana C., 225 Pallotto R., 24 Scarano D., 228, 228, 242 Palmese S., 228, 228, 242 Scarano P., 244 Panizzi C., 243 Scibilia A.C., 242 Paolicchi A., 156, 218, 219, 225, 231, 232 Scoponi M., 245, 246 Pardelli I., 239 Senese I., 220, 233 Pardossi S., 232 Serra E., 73, 187 Pecchioni A., 229, 230 Settembre V., 240 Pedemonte A., 243 Sonzogni V., 198 Peratoner A., 14 Spagnoli M., 233 Pesetti B., 231 Spotti A., 198 Pettinao P., 163 Starita G., 198 Piattellini G., 24 Stridacchio V., 228, 228, 241 Piccolo U., 233 Piller F., 14 Taddei M.. 34 Pintaudi S., 166 Tiberio I., 73, 187 Pinto A., 239 Traversa M., 19 Pisanu G.M., 167, 171, 243 Troiano A., 247 Piscitelli P., 247 Trotta T., 220, 237 Piscitiello F., 244 Udani S., 201 250 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006 Ugolini G., 233 Vigna M., 113, 204 Umari M., 14 Wetzl R., 213 Vaghi GM., 234 Valtancoli E., 106 Zadra N., 214 Veneziani A., 93 Zamponi N., 24 Ventrella S., 245, 246 Zannetti P., 240, 247 Venturella G., 234 Zanotti F., 224 Verrienti P., 247 Zennaro A., 224 251