CINQUECENTO Il Cinquecento fu un secolo di grandi conflitti politici e religiosi: la Spagna conquistò gran parte del territorio italiano e la Chiesa cattolica attraversò una profonda crisi a causa della Riforma protestante. Per l’arte fu invece uno dei periodi più ricchi e fecondi: Bramante, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Giorgione, Tiziano sono solo alcuni dei grandi artisti di questo secolo. Gli artisti del Cinquecento non furono audaci innovatori come quelli del Quattrocento, ma migliorarono e perfezionarono ciò che quelli avevano conquistato. Continuarono ad ammirare e studiare l’arte classica per trarne ispirazione e approfondirono lo studio della prospettiva e del corpo umano: furono così in grado di progettare edifici maestosi dalle proporzioni perfette ed armoniose, di descrivere lo spazio senza alcuna difficoltà, di disegnare figure immobili o in movimento in ogni atteggiamento o posizione. Per indagare e scoprire i segreti del corpo umano, alcuni artisti si dedicarono allo studio dell’anatomia: di notte, alla luce delle candele, sfidavano la proibizione delle autorità, sezionavano i cadaveri e osservavano la struttura degli organi, delle ossa e dei muscoli. Nessuno considerava più gli artisti solo come abili artigiani: papi, principi, imperatori, cardinali, banchieri facevano a gara per assicurarsi le loro opere. All’inizio del secolo la capitale dell’arte era ancora Firenze, ma ben presto si affermarono due altri centri artistici importanti: Venezia e Roma. In particolare, a Roma, papa Giulio II e papa Leone X, chiamarono alla loro corte artisti di altissimo pregio come Bramante, Michelangelo e Raffaello, per realizzare interventi architettonici volti a riqualificare la città e per decorare le proprie residenze private. In breve tempo vengono realizzati, in Vaticano, la Basilica di San Pietro e l’ampliamento dei Palazzi Pontifici. Sotto il profilo artistico svolge un ruolo importante la Controriforma cattolica, avviata a metà del secolo dal Concilio di Trento (1545-1563). Essa affida all’arte un ruolo importante: quello di fornire, attraverso le immagini. Motivi convincenti per la fede. L’IDEALIZZAZIONE DELLA FORMA In questo secolo trovano compimento le ricerche effettuate nel Quattrocento sul recupero del linguaggio classico. I modelli della classicità sono funzionali alle esigenze rappresentative dei papi, in quanto espressione di valori considerati eterni. Per questo motivo il classicismo cinquecentesco si esprime con un linguaggio ordinato e solenne, che pone al centro la ricerca di equilibrio tra le parti e di forme idealizzate. Il riferimento principale non è più la realtà naturale, ma le regole fissate dagli stessi artisti: così in scultura e in pittura, la bellezza dell’opera è data dalla fusione delle parti migliori tratte da diversi modelli, mentre in architettura ha fortuna la pianta centrale, concepita come forma perfetta. LA PIANTA CENTRALE Già Leon Battista Alberti, nel Quattrocento, aveva considerato l’edificio a pianta centrale “degno della casa di Dio”, l’unico che potesse assumere dignità di tempio. La sua forma è considerata perfetta poiché in essa ogni parte è posta armonicamente in relazione con l’insieme, senza gerarchie. L’edificio a pianta centrale culmina con la cupola, uguale da qualsiasi parte la si veda, ad esaltare la perfezione di Dio. La ricerca del centro si manifesta anche in pittura e in scultura, con composizioni basate su schemi piramidali. IL MANIERISMO L’arte manierista esprime la fine delle certezze rinascimentali. È un periodo caratterizzato da una molteplicità di linguaggi, elaborati in modo personale dai singoli artisti, che si allontanano dalle regole rinascimentali. LA PITTURA 1. la diversa concezione dello spazio, meno unitario e meno appariscente di quello rinascimentale. Per esempio, nella «Deposizione» di Jacopo Pontormo (chiesa di Santa Felicita, Firenze) non compaiono immagini prospettiche di paesaggi o di architetture; le immagini delle persone non sono disposte su piani rigidamente definiti dalle regole, spesso spostate dal centro dell'opera; passando dal primo piano allo sfondo i colori passano da tonalità naturali e reali a tonalità fantastiche, innaturali. Anche la prospettiva, quando presente, era spesso distorta. 2. la diversa concezione delle proporzioni nella figura umana; tutte le regole che imponevano particolari proporzioni per il corpo umano erano volutamente violate. Per esempio, «La Madonna dal collo lungo» del Parmigianino, rappresentata proprio con il collo allungato rispetto a quanto può essere definito normale, questa scelta conferisce alla figura una forte espressività. 3. la maggiore utilizzazione di luci e ombre, in quanto questa scelta permetteva di lasciare una parte delle figure indefinita, quasi nascosta, per dare modo allo spettatore di immaginare il resto, coinvolgendolo emotivamente. 4. l'utilizzo di sguardi e espressioni legate ai soggetti e alle situazioni per sottolineare gli stati d'animo, la metafisica dell'opera, finanche l'innaturale. LA SCULTURA Lo stesso modo di concepire colore, spazio e ombre, sono visibili nella «Fontana di Nettuno» (di Piazza della Signoria, Firenze, detta del Biancone) di Bartolomeo Ammannati, con forme allungate e sinuose, e nel «Perseo» di Benvenuto Cellini, dove troviamo tutta la sua capacità inventiva e la sua leziosa tecnica con forme nuove e incredibilmente agili. L’ARCHITETTURA I mutamenti riscontrati in pittura e scultura, possono essere notati anche in architettura. Gli edifici mutarono l'equilibrio rinascimentale, per prendere forme più movimentate, con giochi di luce e ombra. . Le opere di Vignola, come Villa Farnese a Viterbo e la Chiesa del Gesù a Roma, esprimono egregiamente i tratti caratteristici dell'architettura di corrente manierista. Anche le ville Venete del Palladio mostrano la diversa concezione dello spazio, che si espande verso l'esterno: dal nucleo centrale della villa, in ombra, si passa al corpo quadrangolare per finire nella luce delle ali laterali. . BRAMANTE All’iniziale formazione avvenuta ad Urbino segue un trasferimento a Milano dove è chiamato come architetto. Si presume abbia soggiornato a Mantova (Cristo alla colonna), dove fu ispirato dalle opere del Mantegna per le soluzioni alla prospettiva nella pittura. Nel 1480 viene incaricato di completare la chiesa di santa Maria presso San Satiro. Tale chiesa ha una pianta a tau: il braccio del transetto coincide con il presbiterio. Questa pianta esclude un equilibrio fra le parti terminali dell’edificio. Lui è chiamato proprio per risolvere questo problema. Deve creare uno spazio illusorio che all’occhio del fedele posto sotto la cupola suggerisca la stessa profondità dei bracci del transetto. Con una serie di soluzioni virtuali, con dispositivi architettonici, una serie di disegni e di dipinti e grazie alla prospettiva, riesce a dare una buona profondità illusoria al presbiterio che in realtà è profondo solo 90 centimetri. Egli usa molto il colore per creare l’effetto della concavità della superficie architettonica. Bisogna porsi però frontalmente. Bramante, nella risoluzione di questo problema è ispirato da Leon Battista Alberti, dal Mantegna (camera degli sposi) e da Piero della Francesca (catino absidale nella chiesa di san Bernardino ad Urbino). E’ chiamato poi a terminare Santa Maria delle Grazie, in particolare la zona della tribuna e la cupola: egli crea un incastro di volumi, un quadrato con incastrato un cerchio; sceglie il cotto come rivestimento esterno, dove realizza una varietà cromatica. E’ proprio durante la realizzazione di questo progetto che Bramante incontra Leonardo: mentre egli completa Santa Maria delle Grazie, Leonardo dipinge il Cenacolo. L’incontro con Bramante e Leonardo fu fecondo dal punto di vista culturale. Sia Leonardo sia Bramante in questo periodo studiano gli edifici a pianta centrale (tempi a pianta circolare, etc.). Le chiese a pianta centrale finora non sono molto diffuse perché il presbiterio si può isolare meno rispetto alle navate; la parte centrale è quella sotto la cupola. La pianta centrale è l’immagine della perfezione e riprende alcuni modelli paleocristiani (S Costanza a Roma, i primi martiria) e alcuni modelli orientali (S. Sofia a Costantinopoli). Bramante viene chiamato a Roma dove progetta la nuova basilica di San Pietro che progetta quasi a pianta centrale. Il papa che chiama Bramante a Roma è Giulio II della Rovere, il quale chiamò molti artisti urbinati: i della Rovere era la dinastia succeduta ai Montefeltro ad Urbino. Giulio II chiede a Bramante di rifare la basilica di San Pietro, che allora era una chiesa paleocristiana, voluta da Costantino dopo la liberalizzazione del cristianesimo, a cinque navate con quadriportico. Giulio II voleva rinnovare e adeguare tale chiesa incaricando di progettare una nuova pianta. Di tali progetti è rimasto solo un disegno conservato negli Uffizi a Firenze. Bramante fa il progetto e partono i lavori ma muore e gli subentra Raffaello che ripropone la pianta longitudinale; anche Raffaello muore e gli subentrano altri architetti che complicano la pianta introducendo absidi e altre strutture architettoniche. Tale spreco di soldi porterà il papa a dare incarico del completamento della basilica a Michelangelo il quale dice che la pianta giusta è quella di Bramante. Egli aggiunge solo l’atrio con la scalinata anteriore. Nello stesso periodo in cui realizza il progetto della basilica di san Pietro, Bramante si dedica al tempietto di San Pietro in Montorio (1502), che è a pianta centrale e sembra un modello in piccolo della pianta della basilica di San Pietro. Tale tempietto sorge nel cortile di un palazzo, sede dell’ambasciata di Spagna; è un edificio a ricordo del luogo del martirio di San Pietro. Tale edificio è a pianta centrale e ricorda i templi greci, con il giro di colonne di ordine tuscanico con fregio dorico su una base, tre gradini anteriori, balaustra, tamburo dove poggia la cupola stretto, cupola che sormonta il tutto. Il fregio ha nelle metope simboli cristiani (calice, immagini legate alla vita di San Pietro). LEONARDO Leonardo da Vinci è stato uno dei più noti artisti rinascimentali italiani, il simbolo stesso della genialità umana. La sua attività, che non è stata esclusivamente artistica, lo ha portato a occuparsi di moltissimi campi, oggi rientranti nell’ambito delle scienze o dell’ingegneria. Uomo eclettico per natura, si è interessato di tutto, sacrificandovi spesso anche la sua attività artistica che, in effetti, è stata abbastanza esigua e limitata ad un piccolo numero di opere pittoriche. Tuttavia la sua grande arte ha prodotto una notevole influenza sull’arte successiva, a volte anche in maniera indiretta, in quanto la sua attività ha indubbiamente influenzato i due maestri rinascimentali più imitati di tutti: Michelangelo e Raffaello. Figlio naturale di un notaio, passò la sua infanzia presso il nonno paterno. Nel 1469 lavorava presso la bottega di Andrea del Verrocchio, uno dei maggiori artisti allora presenti a Firenze. Nel 1472 era già iscritto nella Compagnia dei Pittori di Firenze. La sua attività fiorentina si interruppe nel 1482 quando si trasferì a Milano, presso la corte di Ludovico Sforza detto il Moro. Rimase a Milano fino al 1499, e questo periodo milanese fu sicuramente quello più importante e produttivo della sua vita. Nei venti anni successivi girò molto, senza mai stabilirsi in un luogo per molto tempo. Fu a Mantova, poi a Venezia. Nel 1501 era a Firenze, nel 1502 in Romagna e Umbria, al servizio di Cesare Borgia. Nel 1503 fu di nuovo a Firenze per poi tornare a Milano nel 1506. Nel 1512 si trasferì a Roma per restarvi fino al 1517. Erano gli anni che vedevano nella città eterna la contemporanea presenza dei due più importanti e attivi artisti italiani: Michelangelo e Raffaello. Tuttavia Leonardo evitò una diretta competizione con i due artisti, preferendo continuare a dedicarsi ai suoi studi e ai suoi manoscritti. Lasciò Roma per la Francia, su invito di Francesco I, trascorrendovi i suoi due ultimi anni di vita, fino alla morte avvenuta ad Amboise il 2 maggio 1519. In campo artistico Leonardo è stato un incessante sperimentatore, a volte in campo stilistico a volte in campo tecnico. Per la verità gli esperimenti tecnici da lui compiuti non sono stati sempre efficaci: nel caso dell’Ultima Cena, forse la sua opera pittorica più importante, proprio lo sperimentare nuove tecniche sui colori e i fissanti lo ha portato a scelte rivelatesi col tempo errate, al punto da compromettere quasi irrimediabilmente la conservazione dell’opera. Molto più importante, per i nostri interessi, sono invece le sue innovazioni stilistiche. I suoi interessi sulla rappresentazione della figura umana, lo portarono a considerare quest’ultimo non come un semplice volume o involucro di una sostanza che restava nascosta. Nacquero preziosi studi di anatomia che, non solo ampliarono la conoscenza del corpo umano, ma diedero agli artisti una nuova percezione di esso: una macchina di cui bisognava conoscere alla perfezione il funzionamento, se si voleva darne una corretta rappresentazione non solo nelle proporzioni ma anche nei gesti, fermati sulla tela o nel marmo. Questo approccio essenzialmente scientifico lo accompagnò in un altro grande problema: quello di capire con esattezza i meccanismi della percezione visiva. Egli fu il primo a capire, ad esempio, il perché l’uomo ha due occhi e non uno. Possedere due occhi ci permette, in sintesi, di avere una migliore percezione della spazialità che ci circonda, in quanto le due immagini che i due distinti occhi inviano al cervello, consentono a quest’ultimo di misurare immediatamente la distanza che ci separa dagli oggetti che stiamo osservando. Si tratta di un meccanismo che può essere approssimativamente paragonato a quello della “messa a fuoco” negli apparecchi fotografici. Se in pratica vedo nitidamente gli oggetti in primo piano, non posso vedere con la stessa nitidezza gli oggetti più lontani, o viceversa. Da qui nacquero diverse riflessioni di Leonardo sul fatto che la semplice prospettiva lineare, o geometrica, non poteva bastare a dare una corretta rappresentazione della tridimensionalità. Occorreva considerare anche la “messa a fuoco”: da qui nacque la sua tecnica dello sfumato, che grande influenza produsse negli artisti successivi. In pratica si trattava di rendere più sfumate (o sfocate) le immagini che si ponevano sui piani di profondità progressivamente più lontani. Ma altre grandi innovazioni stilistiche Leonardo doveva suggerire, seppure indirettamente, dall’affrontare un altro problema percettivo oggi ben noto: quello che non esiste una linea di contorno alle figure che noi percepiamo. Abolire la linea di contorno significava far venir meno la razionalità principale dell’immagine che si esprime nel disegno, e ciò per un artista come Leonardo non era assolutamente possibile. Ecco così che egli supera il problema rendendo il contorno impercettibile perché assorbito dal passaggio tra luce ed ombra. In pratica, osservando un qualsiasi quadro di Leonardo, appare evidente che egli alterna sapientemente zone chiare a zone scure, in modo da non dover mai rendere visibile la linea del disegno. Nelle immagini di Leonardo il contrasto tonale non è funzionale solo ad una nitidezza percettiva, ma anche a rendere impalpabili i contorni, al punto da creare un inedito e insuperato effetto di piccoli spostamenti percettivi: spostando l’occhio nell’immagine si ha quasi la sensazione che le figure abbiano una espressione incerta e cangiante al variare del nostro sguardo. L’arte di Leonardo rappresenta di certo il livello più alto raggiunto dallo spirito scientifico del rinascimento italiano: in lui arte e scienza sembrano convivere perfettamente, in quanto entrambe tese alla conoscenza e alla rappresentazione. Leonardo è il traguardo più alto al quale poteva giungere un uomo di formazione medievale nel suo sforzo di conquistare la razionalità. Ma di lì a qualche decennio, arte e scienza avrebbero preso percorsi molto diversi e in pratica inconciliabili, così che, di fatto, un altro Leonardo non poteva più apparire nei tempi successivi. Leonardo stupisce per le iconografie, i personaggi sono espressione di una razionalità consapevole, con dignità, umanità (sia per i personaggi maschili che femminili). Leonardo si definiva” homo sanza lettere”, cioè non conosceva greco e latino e di questo se ne faceva un vanto in quanto egli dava importanza all’osservazione. Ha usato sempre il disegno come linguaggio. OPERE: ANNUNCIAZIONE (1472): dipinto che denuncia la formazione presso il Verrocchio per le decorazioni della base del leggio. La posizione dell’angelo e la Vergine seduta ricordano l’Annunciazione di Simone Martini. La Vergine di S. Martini è chiusa, ha un atteggiamento più riservato; in Leonardo la Vergine è più serena, ha un atteggiamento più aperto (gesto delle mani). La Vergine è una donna non più giovanissima. RITRATTO GIOVANILE DI GINEVRA DEI BENCI: la testa è quasi coronata da una siepe di ginepro; l’acconciatura, l’abbottonatura della camicia sono riferimenti al Verrocchio. ADORAZIONE DEI MAGI: dipinto commissionato da un ordine di monaci, gli agostiniani di san Donato, che gli avevano chiesto un’adorazione dei magi. Non porterà mai a compimento quest’opera perché viene chiamato a Milano dal duca, per progettare le nuove fortificazioni della città e per realizzare una statua equestre che non verrà mai realizzata. Anche le fortificazioni vennero realizzate secondo un altro progetto. Quest’oprea aiuta a capire il valore del disegno e le soluzioni nuove: al centro c’è la Vergine all’aperto dove c’è un albero di alloro e una palma; intorno una folla; sullo sfondo ruderi, cavalli imbizzarriti, scene di battaglia. Le figure intorno al Cristo sono sconvolte, perché la nascita di Cristo segna la fine del passato e l’inizio dei tempi nuovi, quindi c’è uno sconvolgimento che determina incertezza e disorientamento. Leonardo fornisce una chiave moderna della nascita di Cristo. I tempi vecchi sono sullo sfondo. Le uniche figure serene sono la Vergine e il Bambino.