Edy Bernasconi
Noti cine
VINCENZO VELA E LA MUSICA
Noticine, cioè appunti, estratti o ritagli della nostra storia, quella di casa nostra, il Ticino, che ci sono
appartenuti, ma… passati e…, purtroppo, così in fretta dimenticati.
A P R O P O S I T O D I…
VINCENZO VELA E LA MUSICA
Ritratto di Vincenzo Vela del 1865 (Incisione apparsa su “Il Giornale Illustrato”)
Vincenzo Vela nacque a Ligornetto da umile famiglia il 3 maggio 1820 ultimo dei sei figli di
Giuseppe e Teresa nata Casanova; il padre era contadino e la madre gestiva una piccola osteria.
Cavatore di pietra e scalpellino a Besazio, apprendista abbozzatore a Viggiù, fu chiamato a Milano dal
fratello ornatista Lorenzo che lo fece studiare all'Accademia di Brera. Una sua brevissima visita a
Roma, nel 1847, lo avvicinò a Pietro Tenerani, Giovanni Dupré e Giovanni Strazza. Combatté nelle
Cinque giornate di Milano e nel 1852 si trasferì a Torino dove rimase sino al 1867 quale insegnante
all'Accademia Albertina, anno in cui, amareggiato per l'esito del concorso per il monumento a Cavour,
se ne tornò a Ligornetto per restarvi fino alla morte avvenuta il 3 ottobre 1891.
Fra le sue prime opere ricordiamo: la "Preghiera del Mattino" (palesemente ispirata alla "Fiducia in
Dio" di Lorenzo Bartolini) fu presentata all’Esposizione di Brera nel 1846 e oggi si trova nella cripta
della chiesa di S. Maria delle Selve a Vedano al Lambro e legata dalla famiglia Litta all’Ospedale
Maggiore di Milano.
LO SPARTACO E IL CASTELLO DI TREVANO
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Lo “Spartaco
”, del 1847-1848, diede all’artista di Ligornetto la prima celebrità per il realismo
“Spartaco”,
spregiudicato e per l'atteggiamento romantico della figura, facendolo qualificare tra i più dotati e seri
esponenti del “Romanticismo Italiano”. Del periodo torinese sono le opere più celebrate del Vela, in
cui lo scultore cede ad una via di mezzo fra verismo e idealismo; si veda "La
"La Desolazione"
Desolazione" (scultura
eseguita nel 1852 per il monumento funerario della famiglia Ciani di Lugano e attualmente non più
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presente nell’omonimo parco…chissà per quali motivi!), l'"Addolorata
l'"Addolorata"" di Arcore, la "Flora
"Flora"" della
galleria d'arte Moderna di Milano e le stesse figure "Regine
"Regine Maria Teresa e Maria Adelaide"
Adelaide" (1861)
del Santuario della Consolata a Torino, nelle quali si avverte una sfumatura di virtuosismo, un che di
agghindato nella minuziosità del disegno delle trine e dei gioielli. Nelle statue di "Cesare
"Cesare Balbo"
Balbo" a
Torino, di "Tommaso
"Tommaso Grossi"
Grossi" (1858) a Milano (Brera), di "Antonio
"Antonio Rosmini"
Rosmini" (1858) a Stresa, rifulgono
altissime le sue migliori qualità: l'acutezza d’analisi dei singoli caratteri, la resa di un particolare
momento emotivo sono fissate con schietta semplicità e con rara evidenza essenziale, pregi questi che
raggiungono la maggiore altezza nel "Napoleone
"Napoleone morente"
morente" del Castello di Versailles, rievocazione
eroica priva di enfasi e di teatralità. Più significativa, fra le ultime opere del Vela, il grande altorilievo
in bronzo "Le
"Le vittime del lavoro"
lavoro" (1882-83) (conservato a Roma nella Galleria d’Arte Moderna e una
copia, eseguita negli anni ‘30, è ad Airolo sul piazzale della Stazione e che rammenta le vittime del
traforo della ferrovia del S.Gottardo) é forse l’opera che cade nel momento in cui la pittura e scultura
volgevano decisamente verso il pittoricismo, onde l'artista rinnovò la sua tecnica adottando una
modellazione più attuale, con superfici tormentate da zone d'ombra e piani di luce e una attenzione
nuova a spunti psicologici e sociali che, in accordo con l'ambiente umanitario del tempo, esalta le
classi diseredate dei poveri e dei lavoratori. e piani di luce e una attenzione nuova a spunti psicologici
e sociali che, in accordo con l'ambiente umanitario del tempo, esalta le classi diseredate dei poveri e
dei lavoratori.
Riparlando dello “Spartaco
”, quella sua opera giovanile venne acquistata dal mecenate milanese il
“Spartaco”,
duca Antonio Litta che gli commissionerà la versione di marmo, per la sua villa di Vedano al Lambro
e che sarà poi esposta a Brera nel 1851. L’impressione prodotta a Milano di quest’opera fu fortissima,
evidentemente per la diretta allusione alla situazione politica contemporanea contenuta in quest’opera.
Evidentemente, dopo questa forte opera, la presenza di Vincenzo Vela incominciò ad essere piuttosto
sgradita al governo austriaco. La sua partecipazione al movimento patriottico, il suo comportamento
durante i moti del 1848, l’indirizzo dato alla sua attività di scultore non gli conciliano certo le simpatie
delle autorità. Provocatoriamente eletto socio onorario di Brera (l’Accademia era in quegl’anni
strettamente legata agli ambienti governativi) e insignito di un’onorificenza, rifiuta: si ha in questo
modo il pretesto per allontanarlo dal Governo Lombardo-Veneto. L’ammirazione per la notevole
scultura dello “Spartaco” non colpì solo la Milano e i suoi contemporanei ma anche la grande Parigi
d’allora che la volle in occasione dell’Esposizione mondiale del 1855 “…tra altri mediocri lavori
italiani…” così dissero i giornali dell’epoca.
Giuseppe Verdi (1813 – 1901), già affermato compositore in tutta Europa e presente alla prima
esecuzione della sua opera “Les Vèpres siciliennes” (Théâtre de l’Opéra, 13 giugno 1855) scrisse il 28
giugno 1855 alla contessa Clara (vezzosamente chiamata dal Maestro Clarina) Maffei (1814 – 1886): …Ho scorso le sale ove vi sono cose italiane. Lo dico con dispiacere, avrei desiderato meglio!…
nonostante, vi è una cosa bella, sublime… lo Spartaco del Vela. Gloria a Lui!…-.
Lui!…-.
Questa famosa scultura, ammirata dal grande bussetano, dopo un lungo peregrinare per l’Europa, fu
acquistata dal barone russo di nome Paul von Derwies che la portò a Lugano quando costruì, nella
nostra regione una delle dimore più sontuose in Svizzera, il suo favoloso Castello di Trevano
(inaugurato ufficialmente il 14 agosto 1878 con l’opera “Un ballo in maschera” [1859] di Giuseppe
Verdi). Già proprietario di un suntuoso castello a Valrose tra Brancolar e Cimiez (cittadine nelle
vicinanze di Nizza), von Derwies era stato segretario particolare - e per i pettegolezzi dell’epoca forse, figlio illegittimo dello zar di tutte le Russie. Arricchitosi mediante la costruzione di reti
ferroviarie in Russia ed Europa, il barone “…diede effettivamente luogo ad una vicenda che rasenta la
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leggenda…”,
leggenda…”, morì d’apoplessia il 17 giugno 1881 sul treno che lo portava a Nizza. - Alcune notizie
dell’epoca scrissero che Paul von Derwies, sconvolto dall’improvvisa morte della figlia Romana
caduta da cavallo, avrebbe tentato il suicidio gettandosi in mare dalla torre del castello di Valrose il 2
giugno del 1881 -. Violinista, compositore e mecenate di musicisti dell’epoca, concepì il suo ulteriore
castello quale ”tempio della musica” da contrapporsi addirittura al sacrario wagneriano di Bayreuth;
infatti possedeva un’orchestra e una compagnia d’opera privati.
La costruzione fu ideata dagli architetti Francesco Botta, Antonio Croci e Bernardino Maraini (già
esecutori del castello di Valrose tra il 1867 e il 1870) con la collaborazione artistica di Vincenzo Vela,
i quali sposarono il fasto dei grandi palazzi parigini al rigore ed alla funzionalità delle antiche case di
Pompei. Il castello si apriva agli ospiti in un atrio (superficie di 250 mq) con pavimento in mosaico e
colonnato di marmo di Carrara, dal quale si elevava uno scalone a due rampe con balaustrata di 300
colonnine di cristallo di Boemia. Ai piani superiori c’era l’appartamento privato e le camere per gli
ospiti; inoltre il salone d’onore, la sala da pranzo, la sala egizia, la sala dell’imperatrice Eugenia, la
biblioteca, la sala da biliardo, la cappella per le funzioni secondo il rito russo-ortodosso. L’ala sinistra
era stata destinata al teatro, interamente addobbata con arazzi del 1600, nonché con tesori della
collezione dei sovrani francesi Caterina de’Medici ed Enrico IV. Il parco circostante (superficie di
120'000 mq) fu affidato al capo giardiniere di Valrose, Albert Bérenger, ed illuminato da quattrocento
lampioni a gas alimentati tramite un’autonoma officina sotterranea. Il costo complessivo della notevole
opera architettonica raggiunse i 12 milioni di franchi dell’epoca. Trevano divenne un centro artistico di
rinomanza europea e per alcuni anni vi approdò il fior fiore della nobiltà: lo zar Alessandro III, la
regina Vittoria d’Inghilterra e le imperatrici Elisabetta d’Austria “Sissi” ed Eugenia di Francia.
Il
Castello di Trevano in una fotografia del 1949 (Proprietà: Edy Bernasconi, Montagnola)
Dopo la morte del barone Paul von Derwies ed il completo disinteresse dei diretti eredi, la proprietà fu
acquistata, il 15 novembre 1900, dalla famiglia del professore franco-americano Louis Lombard (1861
– 1927) autentico mecenate dell’arte musicale.
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Egli volle aggiornare la dimora dopo vent’anni d’abbandono, ricreando un cenacolo d’incontri
d’altissimo livello. Pure lui violinista, direttore d’orchestra e compositore, promosse fino al 1911, 856
concerti aperti al pubblico, ospitando nel suo castello famosi personaggi dell’epoca quali: Teresa Stolz,
Luisa Tetrazzini, Teresina Tua, Ernesto Consolo, Victor Maurel, Giuseppe Kaschmann, Antonio
Fogazzaro, Ruggero Leoncavallo, Pietro Mascagni, Gabriel Fauré, Ermete Novelli e Luigi Illica. Il
castello, dopo che Louis Lombard partì, cadde in rovina e fu ritirato dallo Stato del Cantone Ticino che
lo demolì attorno agli anni ’60 per fare spazio all’attuale SUPSI (ex STS) Lugano-Trevano. Lo
“Spartaco” che mantiene intatto quel sempre suo attuale bel realismo spregiudicato che ancora lo
distingue, così ammirato, sin dalla sua nascita, sia dal conte Litta che lo volle e sia dai suoi illustri
ospiti a Vedano al Lambro (provincia di Milano) e sempre stimato anche in quel suo continuo
peregrinare in Europa dalle maggiori personalità dell’Ottocento giace, oggi, nella più irriverente
penombra, all’entrata di Palazzo Civico a Lugano. Il gesso è conservato al museo di Ligornetto.
LA BALLERINA AMINA BOSCHETTI
V. Vela: Busto della ballerina Amina Boschetti
Amina Boschetti in una fotografia del 1869
(Gesso conservato al Museo Vela di Ligornetto)
Amina Boschetti nacque a Milano nel 1836 e morì a Portici il 2 gennaio del 1881. Fu educata nel
collegio di M. Grande di Milano. Si trasferì poi a Torino; e qui Maria Taglioni (1804 – 1884) la vide
imitare i passi da lei eseguiti in teatro, e la volle con sé quale interprete di Cupido nel ballo “ L’ Allieva
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d’Amore”.
”;
d’Amore”. Passò poi a Parma, dove Francesca Cerrito (1817 – 1909) la fece ballare nella “Gitana
“Gitana”;
poi, di nuovo richiesta dalla Taglioni per replicare a Trieste nel 1845 “L’Allieva
“L’Allieva d’Amore”,
d’Amore”, con grande
successo. Amina Boschetti decise allora di studiare danza e tornata a Milano divenne allieva di Carlo
Blasis (1795 – 1878), che nel 1848 la fece debuttare come prima ballerina assoluta al Teatro Re.
Nel 1849 passò, in qualità di prima ballerina, al Teatro Filarmonico di Verona, dove la vide Domenico
Ronzani, che le offrì una scrittura di due anni: rimase sei mesi come prima ballerina a Barcellona, dove
ottenne enorme successo, sebbene avesse come antagonista la Guy Stephan; quindi, fu applaudita, a
Trieste nell’autunno del 1851, a Firenze nel carnevale e a Vienna nella primavera del 1852.
Terminata la scrittura con il Ronzani, fu al Teatro Carignano di Torino (autunno del 1852),
nuovamente a Firenze (carnevale 1852-53, interprete fra l’altro del ballo di D. Costa “Semiramide
“Semiramide sul
trono d’Assiria”),
d’Assiria”), Milano (primavera del 1853), Bergamo (Fiera del 1853), Palermo (autunnocarnevale del 1854), Milano (autunno del 1855), Palermo e Trieste (carnevale del 1856), Senigallia
(Fiera del 1856). Il 16 maggio dello stesso anno debuttò al Her Majesty’s Theater di Londra in una
nuova versione di “Les
“Les Quatre saisons”
saisons” (nella parte dell’Inverno) di Lucien Petipa (1815 – 1898) e
l’impresario Lumley la scritturò per vari anni. Nel 1862 fu “prima
“prima ballerina assoluta di rango
francese”
francese” al Teatro alla Scala (carnevale e autunno). Nel 1863 venne scritturata all’Opéra di Parigi
dove debuttò il 19 febbraio 1864 nel ballo “La
“La Maschera ou Les Nuits de Venise” di Giuseppe Rota
(1822 – 1865). Nel 1865 la troviamo al Teatro La Pergola di Firenze in “Neda
“Neda”” di Giovanni Coluzzi e
al Teatro Argentina di Roma in “Grazyna
“Grazyna”” di Federico Fusco; nel 1866 e nel carnevale del 1868-69 a
Trieste. Ritiratasi a Napoli nel 1870 rifiutò un’offerta per l’America. Ma tre anni dopo tornò alle scene
nel “Brama
“Brama”” di Monplaisir (Ferrara, maggio 1873); nel 1874 ballò al S. Carlo di Napoli e nel carnevale
1875-76 al Teatro Carlo Felice di Genova. Nella professione di coreografa si cimentò col ballo “Il
“Il
Vello d’oro”
d’oro” (musica di G. Giaquinto) che ottenne buon successo.
Si ritirò infine nella sua villa di Portici, dove costruì anche un teatro. La Boschetti fu tra le più
celebrate esponenti della scuola del coreografo Carlo Blasis. Nella biografia contenuta nella “Strenna
“Strenna””
del 1856 è descritta come: “…di snella figura e assai ben tagliata, dal volto delicato e coperto da un
leggero color di rosa, dagli occhi cerulei e scintillanti come due stelle, dai capelli quasi neri
acconciati alla Pompadour, che lasciano scoperta una spaziosa e levigata fronte… “.
IL MONUMENTO FUNEBRE A GAETANO DONIZETTI
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Gaetano Donizetti a Vienna nel 1842. Litografia su disegno di J. Kriehuber
Domenico Gaetano Maria Donizetti nacque a Bergamo il 29 novembre del 1797, da famiglia
poverissima. Gaetano passò l’infanzia in un tugurio di Borgo Canale, che s’inerpicava su una serie di
colline, fuori le mura. Il nome deriva dal canale delle acque che in epoca romana approvvigionava la
città. Il borgo era stato certamente un centro importante, come mostrano i ruderi di un’antica Basilica.
Diede i natali, oltre che a Donizetti, anche al famoso violoncellista Alfredo Piatti (1822 – 1901) e
ancor prima agli organari Bossi, che anche in Ticino hanno lasciato meravigliosi strumenti di chiesa.
Gaetano Donizetti in una lettera al M° Simone Mayr (1763 – 1845), suo primo maestro, scrive: “La
“La
mia nascita fu segreta, poiché nacqui sotto terra in Borgo Canale. Scendevasi per una scala di
cantina, ov’ombra di luce mai penetrò…”. Il piccolo Gaetano era quinto di sei figli, tra maschi e
femmine, e insieme alla famiglia condivideva due piccole stanze con lo zio e la sorellastra Angela,
sposata al musicista Giacomo Corini. Andrea Donizetti, quarto di tredici figli e padre del compositore
aveva subíto la povertà del nonno Ambrogio. Nel 1786 si era accasato con una ragazza del Castello,
Domenica Oliva Nava, entrambi tessitori squattrinati, com’era solito incontrare nel panorama sociale
di fine Settecento. Il padre non aveva grandi aspirazioni, non incoraggiò mai il figlio, a quanto sembra,
ma cercò un lavoro diverso dai suoi antenati. Ne trovò finalmente uno e onorevole, che almeno gli
garantiva un alloggio decente e gratuito. Dal 1808 Andrea Donizetti si sistemerà come portiere e poi
come usciere al Monte dei Pegni, sito in contrada Santa Grata. Da bambino, Gaetano, è cantore nella
Basilica di Santa Maria Maggiore della sua città. Il 6 novembre 1808 entra nella scuola Caritatevole di
Musica. Occorre ricordare che, per essere mantenuto al corso gratuito di tale scuola, occorreva avere
soprattutto una bella voce e, anche se il Donizetti è considerato il migliore degli allievi, viene
allontanato perché ha una voce piuttosto debole e non promette di diventare un “grande
“grande cantore”.
cantore”. Per
intercessione del M° Mayr è riammesso a frequentare “pro
“pro tempore”
tempore” e a seguitare gli studi per
completarli, in seguito, a Bologna, con Padre Stanislao Mattei (1750 – 1825).
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“Il Pigmalione”,
Pigmalione”, prima prova teatrale di un Donizetti diciannovenne, sta a metà strada fra il saggio
scolastico e il biglietto da visita da mostrare al mondo operistico e in particolare agli impresari, dopo
gli otto anni di studio con il Mayr a Bergamo. I quaderni d’esercizi attestano tuttora la sua diligenza e
il suo impegno e vari testimoni contemporanei ci riferiscono la buona opinione che Mattei aveva del
suo allievo bergamasco. Non sappiamo molto sui due anni e mezzo trascorsi da Donizetti a Bologna,
se non che alla metà circa del suo soggiorno compose quest’opera su libretto proprio, tratto dalle
“Metamorfosi” di Ovidio. Il giovane compositore così annotò sulla partitura - “cominciato il 15
settembre e finito il 1° ottobre [1816],
[1816], ore 2 antimeridiane”.
Ritorna a Bergamo, si perfeziona nello studio del quartetto e compone musica da camera e sacra.
All’età di venticinque anni, Mayr gli procura un contratto con il Teatro Argentina di Roma dove porta
in scena “Zoraide
“Zoraide in Granata”
Granata” (1822) che è accolta con entusiasmo.
Da quel momento la sua carriera inizia una rapida ascesa.
La sua fantasia creatrice gli permette di comporre, in dieci anni, trenta opere tra cui “Anna
“Anna
Bolena”
Bolena” (1830) e ”L’Elisir
”L’Elisir d’amore”
d’amore” (1832). La sua fama si espande anche all’estero quando, nel
1835, va in scena a Napoli la prima della “Lucia
“Lucia di Lammermoor”.
Lammermoor”. Anni luttuosi lo attendevano: gli
muore il padre nel 1835 e poi, nel 1836 la madre e il secondogenito e nel 1837 la moglie, Virginia
Vasselli, in conseguenza di un aborto per la nascita del terzo figlio. Donizetti è sconvolto: “Se
“Se non
avessi una costituzione talmente forte ch’io stesso ne stupisco sarei, e per sempre, anch’io a
raggiungere gli altri!…”. L’immenso dolore gli fa quasi trascurare la sua produzione che riprenderà
però nel 1840 con “Rita
“Rita”” (che sarà rappresentata postuma nel 1860), “La
“La figlia del reggimento”,
reggimento”,
“Poliuto”
Poliuto” e “La
“La favorita”.
favorita”. Nel 1842, dopo il trionfo di “Linda
“Linda di Chamounix”
Chamounix” [sic], gli vengono
conferite le cariche di Compositore e Maestro di Cappella presso la Corte Imperiale di Vienna, posto
che avevano già occupato Franz Joseph Haydn e Antonio Salieri. L’anno successivo compone il
trionfale “Don
“Don Pasquale”,
Pasquale”, un’opera frizzante che rientra nella tradizione della commedia dell’arte. Nel
1844 appoggia attivamente il giovane Verdi, imponendo l’”Ernani
l’”Ernani”” al pubblico viennese. Viaggia
nelle principali città italiane e infine ritorna, malato, a Vienna dove lo coglie la notizia che i napoletani
gli hanno fischiato la sua opera “Caterina
“Caterina Cornaro”,
Cornaro”, applaudita nel 1842 e 1843 a Parigi e a Vienna.
Ma la malattia è galoppante e, con un inganno, viene internato nel 1846 nella casa di cura di Ivry,
presso Parigi, dove le sue condizioni peggiorano rapidamente. Vanno a vuoto i numerosi tentativi per
riportare l’infermo in Italia. Gli amici ottengono il suo rimpatrio nel 1847 e rientra quindi a Bergamo
accompagnato dal fratello Francesco e dal nipote Andrea. Nella città natale viene accolto nel palazzo
dei baroni Basoni-Scotti. La sua vita lentamente si spegne; non compone più, appare molto invecchiato
e irrequieto. La sifilide cerebro-spinale lo portano all’infermità totale e alla pazzia.
Muore alle cinque del pomeriggio del 8 aprile 1848.
Scrisse 91 opere teatrali, 3 oratori, 144 musiche sacre tra mottetti, canzoni e parti staccate per l’
“Ordinarium Missae”,
Missae”, 65 composizioni di musica profana per voce e orchestra, 155 liriche per canto e
pianoforte pubblicate e 128 liriche rimaste manoscritte, 21 composizioni per orchestra, 5 brani per
strumento solista, 40 brani di musica da camera, 60 composizioni per strumento solo, 40 brani
miscellanei; per un totale di 756 composizioni.
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Schizzo per il monumento e tomba di Donizetti.
Tomba e monumento a Gaetano Donizetti
(Entrambi conservati al Museo Vela di Ligornetto)
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Il monumento funebre a Donizetti nella Basilica di S. Maria Maggiore a Bergamo
A Vincenzo Vela venne commissionata, dalla famiglia, la tomba in memoria di Donizetti. Il
monumento, noto anche come “L’Armonia dolente” o “L’Armonia in lacrime”, fu realizzato, in
marmo bianco, fra il 1852 e il 1855 e si trova nella Basilica di S. Maria Maggiore a Bergamo Alta.
Sullo zoccolo si legge:
“A GAETANO DONIZETTI
TROVATORE FECONDO DI SACRE E PROFANE MELODIE
I FRATELLI GIUSEPPE E FRANCESCO
CON MEMORE AFFETTO PONEVANO MDCCCLV“
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Il monumento è risolto dal Vela in chiave allegorica con il ricorso a una figura di giovane esile donna, coronata di stelle e
melanconicamente ripiegata sulla lira priva di corde. Ella piange la perdita del compositore ritratto al di sotto, entro un
medaglione sormontante le ali del tempo, circondato da spartiti musicali e da una tastiera di pianoforte.
Curiosa la scelta di inscenare sul rilievo del monumento questa vivace rappresentazione dei putti personificanti le sette note e
immortalati ora nel pianto, ora nella rabbia, ora nel cruccio per essere rimasti orfani dell’amato compositore. Lo scultore
attualizza qui con esito sorprendente la iconografia dei putti musicanti, di ascendenza rinascimentale, cui conferisce una schietta
vitalità espressiva.
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BIBLIOGRAFIA: AA.VV., Enciclopedia della Musica Rizzoli-Ricordi, Rizzoli, Milano, 1972; AA.VV., Enciclopedia “Le
Muse”,
Muse”, De Agostini, Novara; F. Abbiati, Verdi , Ricordi, Milano, 1959; G. Appolonia, Duecento anni di opera a Lugano,
Ricerche Musicali nella Svizzera italiana, Lugano, 1996; G. Barblan–B. Zanolini, Gaetano Donizetti, Bolis, Bergamo,
1983; G. Bianchi, Gli artisti ticinesi, Bianchi, Lugano, 1900; C. Gatti, Verdi,
Verdi, Mondadori, Milano, 1981; R. Manzoni,
Vincenzo Vela: l’homme, le patriote, l’artiste Hoepli, Milano, 1906; G. Martinola, Lettere di Vincenzo Vela, S.A.
Tipografia Ticinese, Lugano, 1940; D. Massola, Vincenzo Vela, Arte & Moneta, Lugano, 1983; L. Rocca, Vincenzo Vela,
Arte in Italia, 1869; E. Saracino, Invito all’ascolto di Donizetti, Mursia, Milano, 1984; H. Weinstock, Donizetti,
Kunzelmann, Adliswil, 1983.
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