I media e gli scandali, due pesi e due misure È lecito chiedersi cosa debba ancora succedere prima che il più potente tycoon mediatico si ritiri. Rupert Murdoch non ricopre in effetti nessun incarico pubblico paragonabile a Christian Wulff, presidente della Repubblica federale tedesca, o a Philipp Hildebrand, fino al 9 gennaio di quest’anno presidente della Banca nazionale svizzera. Rimane ancora da chiarire se Murdoch sia legalmente perseguibile per il più grande scandalo di intercettazioni telefoniche, in cui un sia stato coinvolto un magnate dei media. In ogni modo, non sussiste alcun dubbio che il tycoon condivida la responsabilità politica e morale con i suoi giornalisti che hanno intercettato illegalmente le conversazioni di più di 6000 telefoni. Ormai non si tratta solo di singole pecore nere, come ce ne sono in altre grandi redazioni. Con il beneplacito di Murdoch si è sviluppata una mala cultura imprenditoriale che ha screditato il giornalismo come mai era accaduto prima. Raramente la libertà di stampa è stata manipolata in maniera così plateale, oltretutto mettendola a rischio, perché tali atti criminali provocano delle controreazioni orientate ad imbavagliare i media. E soprattutto: perché i media non si occupano dello scandalo Murdoch nello stesso modo in cui si sono accaniti per settimane e mesi nei confronti di dirigenti della politica o della finanza per vicende molto meno rilevanti del “Phone Hacking Scandal” ? Come può Murdoch aver la faccia tosta di offrire graziosamente agli inglesi un Sun on Sunday (un altro giornale scandalistico che sostituisce il News of the World, da lui chiuso qualche mese fa)? Ci si chiede come mai i media rimangano quasi imperturbabili, quando Murdoch si permette di acquartierarsi a Londra invece di andare a nascondersi pieno di vergogna nell’angolo più remoto dell’Australia? Ho l’impressione che i media applichino agli scandali due pesi e due misure. Sarebbe ora che mostrino i muscoli anche nei riguardi di Murdoch e non solo contro i Wulff e Hildebrand di turno. Traduzione dall’originale tedesco “Zweierlei Mass bei der Skandalisierung” a cura di Alessa Filippi *da John Mair/Richard L. Keeble: The Phone Hacking Scandal: Journalism on Trial, Suffolk: Abramis Publ. Il futuro del giornalismo è già iniziato? Corriere del Ticino, 09.02.2011 A una settimana dalla nascita di The Daily , il primo quotidiano digitale per iPad, lo abbiamo chiesto in un’intervista a Guido Romeo, science editor di Wired Italia Niente carta, niente inchiostro, niente spese di spedizione. Piuttosto una grafica da urlo, degna delle migliori riviste patinate, fotografie, audio e video ad alta definizione, 100 pagine al giorno di contenuti di qualità, navigazione intuitiva e veloce, informazioni condivisibili sui social network, possibilità di interagire e commentare, collegamento a link esterni. Si chiama The Daily, è il primo quotidiano che nasce digitale, pensa digitale e si legge solo sull’iPad. O meglio si tocca, si ascolta, si scorre, si guarda, si commenta, si condivide, in una esperienza immersiva totale che rivela un nuovo modo di raccontare fatti e storie. Ad un lettore che non è più tale, ma diventa un consumatore e un fruitore di notizie e di più mezzi di comunicazione riuniti in un solo medium. Il quale nulla vuole avere in comune con il suo più vecchio fratello cartaceo. Anzi, mira ad esserne l’alternativa nel prossimo futuro. Murdoch, ottant’anni il prossimo marzo, punta a vendere «milioni di copie» del giornale e di renderlo – nel lungo termine- un progetto sostenibile grazie ad un 50% delle entrate date da abbonamenti e l’altro 50% dalla pubblicità. Nell’immediato però, a fare da traino saranno in particolare gli abbonamenti. Significa, secondo Peter Preston del Guardian, arrivare ad avere almeno 650.000 abbonati. Non certo uno scherzo. Ma il tycoon, si sa, è ambizioso. Anche se, smaltita la sbornia della novità del primo momento, a una settimana dal lancio arrivano puntuali le prime critiche. A non piacere sono soprattutto i contenuti: troppo leggeri, aggiornati con poca frequenza, mancano storie di inchiesta, reportage di approfondimento, giornalismo di qualità. John Gapper del Financial Times fa un esempio molto concreto: «Ho appena scaricato l’edizione di lunedì 7 febbraio per accorgermi che contiene solo 4 articoli su temi e notizie nuove. Due di questi sono sul Superbowl, il terzo è a proposito della difficoltà di vendere grandi abitazioni e l’ultimo è un video di Jimmy Fallon, un attore americano che viene ripreso mentre scuote veemente la testa e fa ondeggiare i capelli». Anche questo, secondo molti, è un problema: troppi video ed effetti speciali, poco testo. In un format per altro, che per quanto pretenda di essere lontano dal tradizionale giornale cartaceo, in realtà gli somiglia molto già solo per la sua suddivisione in sezioni: notizie, opinioni, intrattenimento, sport. Dunque davvero il Daily di Murdoch è la risposta giusta del giornalismo ai nuovi tempi, modi e consumi digitali, oppure è una bella vetrina tecnologica tutta luce e sfavillii con poca sostanza? E soprattutto è un modello esportabile in Europa? Lo abbiamo chiesto a Guido Romeo, per diversi anni giornalista de Il Sole 24 Ore oggi science editor per la rivista «Wired Italia» del gruppo Condè Nast, il primo, un anno fa, a sbarcare su iPad negli Stati Uniti con alcuni dei suoi prodotti editoriali. Tra questi la rivista Wired USA considerata «la Bibbia di Internet». Come è andata? «Wired USA è stato talmente innovativo da arrivare prima della tecnologia dell’iPad, tanto da dover poi adattare il prodotto al sistema di Jobs. Ed è stato quello che ha venduto di più come applicazione per iPad. Però sia Wired USA che ha fatto numeri strepitosi nelle sue prime due edizioni, sia Vanity Fair, in capo poi a 4 mesi hanno avuto una caduta molto forte di venduto sull’applicazione. Un segnale positivo che indica come ci fosse molta attenzione, ma anche negativo perché dimostra come non ci fosse valore aggiunto nell’edizione per iPad rispetto a quella cartacea». Nel caso del The Daily, visto che non c’è un cartaceo di partenza, è un discorso diverso? «Certamente è più furbo. Murdoch come mossa editoriale ci ha sicuramente azzeccato investendo relativamente pochi soldi: 30 milioni di dollari, infatti, per un gruppo come News Corp. che ha 36 miliardi di fatturato, non sono un grosso problema». Dunque promette bene? «È una sperimentazione, bisogna capire che è una sperimentazione, non è la forma definitiva. Anche per i contenuti bisogna aspet- tare e vedere come evolvono, per ora ci sono tante idee. L’altro indicatore sono i numeri positivi delle vendite dell’iPad, nel senso che i tablet sono destinati a esplodere, a crescere esponenzialmente. Al Ces di Las Vegas (importante fiera tecnologica) sono stati presentati un sacco di tablet diversi, anche meno costosi dell’iPad che renderanno il mercato molto più diversificato». Numeri alla mano, l’iPad quanto ha venduto? «In un anno l’iPad ha venduto 30 milioni di device, molto di più del Kindle della Amazon che ne ha venduti 10 milioni. Quindi l’effetto è andato, il device multifunzione piace. E la scommessa di Murdoch sul Daily è giusta e proporzionata, non si è impiccato con gli investimenti e i prezzi sono estremamente interessanti. Certo bisogna vedere cosa ci riserva sulla lunga distanza». Infatti, è un discorso sostenibile sul lungo termine? «Ho parlato con molti colleghi e diversi amici che lavorano per le testate di Murdoch e credo che le abilità dei loro manager permettano di rendere sostenibile qualsiasi prodotto. Penso che per i numeri che sono stati presentati, sia un progetto sostenibile, soprattutto per il discorso della pubblicità e dei nuovi formati che offre. In un certo senso rappresentano davvero l’innovazione più interessante. Lo scoglio maggiore fino adesso è stato capire come vendere la pubblicità su questi tablet. Murdoch ha il vantaggio che disponendo di un grosso gruppo e avendo predisposto tanti formati diversi per la pubblicità, anche se forse un po’ invasivi per il prodotto editoriale, riuscirà sicuramente a vendere i suoi spazi e a far quadrare i conti». Chi comprerà il Daily? «Murdoch con questo progetto si rivolge a una generazione di nuovi lettori, i “nativi digitali” che non provengono dal quotidiano di carta e non hanno pregiudizi nei confronti del prodotto digitale. Bisogna vedere se questa si tradurrà in una sua forza, e dunque i conti torneranno, oppure se sarà una debolezza perchè i “nativi digitali” comunque non hanno l’abitudine di leggere il quotidiano, oppure sono abituati a farlo gratuitamente. Certo a 99 centesimi è come se fosse gratuito». Dall’Europa, per ora, l’applicazione del Daily per iPad non è accessibile… «Qui si entra nel campo delle questioni più tecniche e anche più congiunturali. Cioè il fatto, per esempio, che in Apple in questo momento, e visti i problemi di salute non si sa per quanto ancora, manchi Steve Jobs che potrebbe fare “l’evangelist” su questo tipo di cose. Se si riuscisse a fare un’operazione tipo quella che Jobs fece per lanciare l’iPhone, questo prodotto decollerebbe. Resta quindi da capire quanto in Apple ci sia la forza di evolvere senza di lui. Il problema di iTunes o dell’Apple store digitale poi è quello che manca una edicola vera e propria per vendere un tipo di applicazione come quella del Daily». È pensabile un Daily per il contesto europeo? «Nel contesto europeo francamente il problema sono la frammentazione linguistica e le ridotte dimensioni del mercato. Noi lo vediamo in Italia perché abbiamo guardato a questo tipo di progetti e, per quanto i numeri di vendita di tablet e iPhone siano interessanti, i numeri francamente non ci sarebbero e si avrebbe un prodotto per tanti piccoli mercati. Potrebbe essere un discorso interessante per la lingua spagnola ad esempio, perché ci si potrebbe rivolgere a tutto il mercato sudamericano». Ma lei si abbonerebbe? «Non ho l’iPad altrimenti mi abbonerei. Anche se sono un lettore fuori campione perché sarei motivato da una curiosità professionale». I PUNTI DI FORZA Quali sono i principali punti di forza di The Daily? Ecco un breve elenco: - non è gratuito ma quasi: costa 14 centesimi al giorno, 1 dollaro a settimana, 40 dollari l’anno; - ha costi di realizzazione modesti: 30 milioni di dollari di investimento iniziale e costi di mantenimento stimati intorno ai 500.000 dollari a settimana; - vanta uno staff di 120 giornalisti professionisti guidati da Jesse Angelo, fedelissimo di Murdoch, proveniente dal New York Post; - si rivolge al mercato e al pubblico americano, in particolare ai giovani, i cosiddetti «nativi digitali» che non leggono il cartaceo e sono abituati ad informarsi gratuitamente; - ha un sito www.thedaily.com per condividere e rendere accessibile una parte dei contenuti anche in rete ed essere visibile agli internauti che non hanno l’iPad. - Ideatori e fautori dell’impresa sono due attori di prim’ordine del panorama mediatico e tecnologico attuale: il tycoon di razza Rupert Murdoch, proprietario dell’impero News Corporation, e la Apple di Steve Jobs, lontano dalle scene per qualche tempo a causa dei suoi problemi di salute. The Daily: da oggi informarsi costa meno di un dollaro H o m e p a g e d e l sito del The Daily 14 centesimi al giorno, 1 dollaro a settimana, 40 dollari all’anno. Sono questi i costi per leggere il nuovo giornale The Daily che New Corp. propone in versione esclusivamente iPad. Incredibile se si pensa cosa promette l’ultima intuizione di Rupert Murdoch realizzata in collaborazione con la Apple per il mercato americano: contenuti di qualità, fotografia, audio e video ad alta definizione, edizione mattutina con aggiornamenti 24 ore su 24, informazioni condivisibili sui social network, via mail, interazione, navigazione intuitiva e veloce, 100 pagine al giorno, collegamento a link esterni, una intera sezione dedicata alle apps…. Tutto questo grazie ad uno staff di 120 giornalisti professionisti guidati da Jesse Angelo, fedelissimo di Murdoch, proveniente dal New York Post e ad un capitale iniziale di investimento pari a 30 milioni di dollari al quale si sommano costi settimanali per 500.000 dollari. Cifre al cospetto delle quali, dati i tempi di crisi, in particolare negli States, a qualsiasi editore digitale tremerebbero un poco le gambe. Non è il caso del tycoon, 80 anni il prossimo marzo, che in mezzo ai molto più giovani Eddy Cue, vice presidente della Apple e al direttore Angelo è parso essere il vero innovatore e il vero precursore del nuovo giornalismo nella “tablet era”. Rispondendo alle domande dei giornalisti si è detto speranzoso di riuscire a vendere “milioni” di copie del quotidiano digitale sottolineando “abbiamo grandi ambizioni a costi bassi”. Resi possibili grazie alla scomparsa della carta e ai costi ad essa connessi: produzione, stampa e distribuzione. Per quanto riguarda la profittabilità dell’impresa all’inizio il traino sarà dato dagli abbonamenti e in piccola parte dalla pubblicità. Poi con l’affermarsi del prodotto sul mercato, il delinearsi dei propri consumatori e la conspevolezza da parte degli inserzionisti delle enormi potenzialità audio e video che il prodotto offre, secondo il team del The Daily, pubblicità e abbonamenti renderanno entrambi al 50%. Insomma le aspettative coltivate per tanti mesi non sono state deluse. Murdoch e la Apple hanno davvero inaugurato la rinascita digitale del giornale che da oggi si legge ma al contempo si tocca, si ascolta, si scorre, si guarda, si commenta, si condivide in una immersione totale che rivela un nuovo modo di raccontare fatti e storie. E il lettore diventa un consumatore e un fruitore di notizie e di più mezzi di comunicazione riuniti in un solo medium. A partire da oggi, e per due settimane, i lettori americani potranno provare il The Daily gratuitamente non solo sul’iPad ma anche sul pc scaricandolo dal sito del quotidiano. Nel lungo termine bisognerà vedere se anche la qualità e la scelta delle notizie sono all’altezza della tecnologia. Per ora non sembra, come commenta il Corriere della Sera, la prima edizione è a metà strada tra un tabloid popolare e il settimanale con molti colori e reportage fotografici. E nessuna traccia di inchieste o giornalismo investigativo. Ma verrà anche questo, ha detto Jesse Angelo. Intanto vediamo come risponde il mercato editoriale e come si muoverà la Apple: l’industria di Cupertino aprirà anche ad altri competitor che volessero seguire l’esempio di Murdoch? I concorrenti dell’iPad come il Galaxy Tab penseranno a liaison simili con altri editori? E le grandi testate come reagiranno? Il dado è tratto, stiamo a vedere. Times, inizia la nuova era a pagamento Inaugurati i nuovi siti. Costi di accesso: 1 sterlina al giorno o 2 sterline a settimana Inizia una nuova era per il Times e Sunday Times di Rupert Murdoch. Da domani saranno disponibili i siti completamente rinnovati che andranno a sostituire quelli fino ad oggi utilizzati. A partire dalla fine di giugno potranno essere visitati soltanto a pagamento. I costi equivalgono a 1 sterlina per il singolo accesso giornaliero e a 2 sterline per l’accesso settimanale; sarà garantito invece l’accesso gratuito a coloro cha sono attualmente abbonati al giornale cartaceo. Times e Sunday Times inaugurano così una nuova fase sulle cui prospettive esiste non poca diffidenza: impostare una politica di accesso a pagamento in un quotidiano generalista è considerata dai più un suicidio, in quanto limiterebbe il numero di visitatori determinando una debolezza in termini di potenziali ricavi pubblicitari. La decisione di rendere i propri contenuti protetti da un paywall è frutto di un’attenta riflessione: non ha senso avere siti che riescono ad attrarre milioni di visitatori se non esiste un modello di business in grado di garantire la sostenibilità dell’attività editoriale, afferma il management della testata londinese. E’ giusto rischiare e rivendicare un valore per i contenuti prodotti, sostiene implicitamente il Times: se esiste la qualità, esiste un pubblico capace di riconoscerla e apprezzarla e disposto a pagare. In base a una ricerca condotta in Gran Bretagna solo il 9% degli utenti internet dichiara di essere disposto a pagare per leggere le notizie sul Times. Sembra poco, ma a conti fatti, i risultati potrebbero essere confortanti. Il Times dichiara infatti di avere attualmente una media di 21 milioni di visitatori al mese; se un 9% di questi fosse disposto a pagare, vale a dire circa 2 milioni di visitatori, vorrebbe dire garantire un ricavo annuo pari a 24 milioni di sterline, superiore agli attuali introiti pubblicitari che, secondo le stime correnti, sono comprese i tra 15 e i 20 milioni di sterline all’anno. Non solo, ma il valore di 24 milioni è calcolato sulla base di un unico accesso giornaliero al mese. Questo vuol dire che il valore generato dal pagamento potrebbe essere anche superiore ai 24 milioni. In definitiva, anche se il Times perdesse il 95% del traffico i ricavi potrebbero essere superiori a quelli oggi percepiti dalla pubblicità. Il nuovo sito del Times è stato completamente rivisitato. La home page è stata radicalmente trasformata, più elegante e funzionale rispetto all’attuale. In particolare si è mirato a rendere più efficace il sistema di navigazione, privilegiando la ricerca di un percorso attraverso menu che sono resi disponibili cliccando sulle sezioni tematiche che appaiono sotto il logo della testata. Il Times vuole infatti trasferire l’idea che il passaggio al nuovo sito e alla formula di pagamento corrisponda a tutti gli effetti alla volontà di rendere disponibile un’informazione e un servizio superiore a quanto finora realizzato. Il New York Times verso un sistema a pagamento? Osservatorio europeo di giornalismo Il quotidiano si allinea alle politiche di Murdoch? Se il NYT adottasse un sistema a pagamento, seppure parziale, questo metodo potrebbe diventare un modello di riferimento per molti grandi giornali Sulla stampa americana si rincorrono voci di un imminente decisione del New York Times in merito all’introduzione di un accesso a pagamento per i contenuti online. Si dovrà pagare per leggere le notizie del popolare giornale? Più che di introduzione si dovrebbe parlare di re-introduzione di un modello a pagamento poiché in passato esisteva già un sistema, Time Select, che impediva l’accesso gratuito a parte dei contenuti, sistema che fu dismesso nel corso del 2007. Time Select venne allora considerato controproducente in quanto bloccava un numero potenziale di visitatori che avrebbe potuto contribuire a valorizzare al meglio il sito in una logica internet: più visitatori, più pubblicità, più profitto. Così non è stato, sebbene il numero di vistatori sia costantemente in crescita, i ricavi pubblicitari languono. Con un totale di circa 16 milioni di visitatori al mese, il nytimes.com garantisce solo circa il 12% dei profitti complessivi del giornale e, al di là del pesante clima recessivo che ha compromesso duramente i ricavi, gli editori mostrano sempre più scetticismo sulla capacità di sostenere economicamente le attività online senza un sistema di compensazione complementare all’investimento pubblicitario. La cancellazione di Time Select è stata molto controversa e mai pienamente condivisa. Dal 2007 la posizione del NYT riguardo al pagamento è stata altalenante. Tra il 2008 e il 2009, gli anni più difficili vissuti dall’editoria americana, l’editore Arthur Sulzberger Jr. ha più volte affermato che, in assenza di un viatico pubblicitario sufficiente, il giornale avrebbe valutato tutte le ipotesi per recuperare profittabilità, tra queste anche l’introduzione o re-introduzione di un sistema a pagamento. Ma il NYT non introdurrà un sistema a pagamento generalizzato. Il metodo più accreditato e sponsorizzato dal management della proprietà seguirebbe il modello adottato dal Financial Times, vale a dire obbligo di sottoscrizione se viene superata la lettura di un certo numero di notizie. In questo modo verrebbe preservato l’alto numero di accessi provenienti dai motori di ricerca, mentre il sistema a pagamento coinvolgerebbe soprattutto i cosiddetti heavy user, ovvero quei lettori che consultano abitualmente il nytimes.com. Le prime reazioni dei lettori sono molto controverse. Da una parte coloro che si chiedono, “ma se Time Select è stato abbandonato per quale motivo reintrodurlo? Quali sarebbero oggi le ragioni perché un meccanismo di questo genere possa avere successo? E ancora, “L’introduzione di un balzello di accesso si rifletterà inevitabilmente in una perdita di lettori e in una conseguente perdita di influenza e autorevolezza del Times”. Dall’altra non mancano le persone che condividono e sostengono questa nuova impostazione, se i contenuti hanno valore perché non pagare? La questione, ovviamente, è molto complessa. Se il NYT adottasse un sistema a pagamento, seppure parziale, questo metodo diventerebbe un modello di riferimento per molti, e si ritroverebbe ad essere un alleato di Rupert Murdoch, finora il più accesso sostenitore di un simile cambiamento. E’ corretto che un giornale ragioni in una logica diversa da quella normalmente adottata in un contesto di mercato governato da Internet? Da un punto di vista strettamente economico l’idea di mettere a punto un sistema in grado di attrarre un sempre più ampio numero di lettori non rappresenta un meccansimo un po’ perverso? Un giornale online non è l’equivalente di un social network, Facebook, MySpace o altro. Se per questi ultimi è essenziale continuare a incrementare il numero di utenti, sempre e comunque in un’ottica di servizio gratuito, possono i giornali avere una identica impostazione? Avere raddoppiato il proprio numero di visitatori quali benefici ha prodotto per il NYT? O quali benefici può produrre per un qualsiasi giornale che abbia già raggiunto un audience di tutto rispetto? Passare da10 o 20 milioni di visitatori non significa raddoppiare il fatturato online e obbliga in qualche modo a diversificare i contenuti per accontentare un pubblico sempre più eterogeneo, ma non sempre questo significa accrescere il valore e la qualità del servizio generato.