Guida alla comunicazione con l`anzianoPratikaCe

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VADEMECUM – DISPENSA
STORIE ATTIVE
LETTURA E ANZIANI
FORMAZIONE OPERATORI KOINE’
A CURA DELL’ASSOCIAZIONE PRATIKA e del Ce.Ne.A.
LE FUNZIONI DELLA LETTURA di Federico Batini Le narrazioni ovunque Le narrazioni riempiono le conversazioni in famiglia, le discussioni con i colleghi al lavoro, le chiacchiere con gli amici perché "la forma tipica di strutturazione dell'esperienza, e del nostro ricordo di essa, è narrativa" (Bruner, 1992). La ricerca educativa, la ricerca psicologica e sociale più recente si interessano alla narrazione come attività di “produzione di senso” che gioca un ruolo fondamentale nei processi di orientamento (Batini, 2009 b, Batini e Giusti, 2008), nelle narrazioni del sé e nella memoria autobiografica (Smorti, 1994, 2007, 2009), nella costruzione dell’esperienza e della conversazione quotidiana (Jedlkowski, 2000, 2009), nel discorso come azione sociale condivisa, contestata e negoziata con gli altri (Mantovani, 2008). Le narrazioni sono la “porta del senso”, “il varco personale, riservato a te” (Longo, 2009, p. 24) che costituisce il cuore profondo di ogni processo educativo ed auto-­‐educativo. Memoria e storie La memoria autobiografica può essere definita come il ricordo degli eventi della propria vita, ricordati dall’unica prospettiva del Sé in rapporto con gli altri (Nelson e Fivush, 2004). E’un tipo di memoria che riveste pertanto un ruolo fondamentale nella costruzione del Sé e del senso di identità della persona (Brewer, 1996). Questi autori hanno messo in rilievo come, sia le perdite e le distorsioni a cui va incontro la memoria sia il modo di comprendere il proprio passato, fossero legati al Sé ed al suo sviluppo. La base che ha improntato gli studi sui rapporti tra Sé e memoria è che il Sé sia provvisto di schemi che vengono creati in rapporto alle esperienze di vita ed in particolare al modo in cui l’individuo realizza o meno i propri scopi. La nozione di schematizzazione delle esperienze ci porta a prendere in esame il tema della conoscenza ed il modo in cui questa è organizzata. Infatti l’attribuzione di significato alle esperienze e la loro organizzazione dipende dal modo in cui la nostra conoscenza organizza i depositi della memoria. La memoria autobiografica non costituisce un concetto unitario, ma è composta da molteplici sistemi. Alcuni ricordi vengono mantenuti come episodi (la volta che sono andato in gita a vedere il Museo Archeologico di Arezzo), altri sotto forma di conoscenze (so che il Museo Archeologico si trova all’Anfiteatro di Arezzo), altri come procedure (sapere come si fa a visitare un museo), altri ancora come voci di persone, schemi, rumori, odori, sensazioni (l’odore di umido nel corridoio vetrato che precede l’ingresso al Museo Archeologico). In alcuni casi invece i ricordi sono rappresentati in modo narrativo, così che un episodio come quello ricordato diventa: la maestra che ci ha portato a visitare il Museo Archeologico e, mentre ci spiegava le varie opere, sentivo le voci dei turisti che affollavano le varie sale ed ero incuriosito dai vasi che affollavano in gran numero le sale del museo e che costituivano un esempio dell’arte etrusca etc… Esiste un legame importante tra la memoria autobiografica ed il mondo delle storie. Lo studio delle storie ha avuto un’influenza sugli studi dedicati alla memoria proprio perché questa assume talvolta la struttura di una storia. Negli ultimi anni, la psicologia ha contribuito alla ricerca sul pensiero narrativo valorizzando lo studio delle storie che sono dotate di senso e che implicano un contesto culturale e sociale in cui essere collocate. Nelle storie convergono infatti processi psicologici diversi. La storia si esprime attraverso il linguaggio, comporta il ricorso alla memoria episodica degli eventi passati, l’uso della memoria semantica e delle conoscenze su come funziona il mondo, l’attivazione delle aspettative sulle conseguenze e sugli sviluppi futuri delle azioni. Con la storia emergono sentimenti di empatia per i personaggi del racconto e questo processo di identificazione con le vicende narrate, chiama in gioco il mondo emotivo della persona. Inoltre, come prodotto di una cultura, essa costituisce fonte di conoscenza, di trasmissione educativa e di valori. I testi narrativi sono tra le esperienze precoci e frequenti nell’esistenza di una persona che entrano nella vita quotidiana come discorsi, aneddoti, autobiografie (Smorti, 1994). In particolare il testo narrativo è stato studiato per dimostrare la presenza nell’individuo di una grammatica interna della storia e come questa si modifichi con lo sviluppo delle capacità simboliche, degli schemi mentali e della nozione di spazio-­‐tempo. Fondamentalmente la grammatica mentale consiste in uno schema mentale della storia, ovvero un sistema di aspettative molto astratte su come le storie funzionano, in grado di elaborare la sintassi della narrazione più che il suo contenuto. Questa ci suggerisce pertanto “come” gli eventi si succederanno, ma non il “cosa” accadrà. Ecco che allora occorre fare riferimento ad un diverso concetto di schema che prende in considerazione il livello semantico di un racconto, ovvero il suo contenuto. Gli schemi di evento, o copioni, sono tipi di conoscenza schematica che viene sviluppata a proposito di eventi nei quali una sequenza di azioni si svolge in un dato contesto temporale e verso cui il soggetto ne possiede aspettative. Nella produzione e nella comprensione di una storia intervengono sia processi schematico-­‐sintattici che regolano la successione degli eventi sia processi schematico-­‐semantici che ne regolano il contenuto (Smorti, 2007). Dal punto di vista psicologico di colui che la crea, la storia può essere considerata come uno strumento linguistico flessibile per interpretare e dare un senso alla realtà, vale a dire a Sé e al mondo. Il soggetto narratore risulta guidato dall’esigenza di riconoscere se stesso e di costruire una propria identità. Pur essendo una procedura linguistica una storia ha enormi implicazioni sul piano cognitivo e sociale. La nostra storia, personale e collettiva, è fatta di una serie di eventi e di azioni il cui senso costruiamo nelle narrazioni che condividiamo con gli altri. Il narratore, quando utilizza questi resoconti, finisce per rendere comprensibile la propria vita “normalizzandosi”, rendendosi simile agli altri sotto qualche aspetto. Attraverso la normalizzazione egli costruisce un aspetto della propria identità personale: ciò che il soggetto ha in comune con gli altri quanto alla sua storia di vita. In tal modo il narratore può percepirsi come facente parte di una cultura, di un popolo, di una ideologia. È attraverso invece l’inserimento nella propria storia di eventi critici, di svolte, di eccezioni che si afferma invece l’individualità del narratore, la sensazione che quella è la sua vita e di nessun altro, permettendo così di costruire quel versante “intensionale” della sua identità. Ogni storia autobiografica è quindi in tensione tra canonicità ed eccezionalità. Potremmo dire che la memoria autobiografica è un tipo di memoria specializzata a gestire informazioni legate al Sé ed al senso di identità della persona. La costruzione dell’identità è una parte importantissima della memoria autobiografica, senza la memoria autobiografica non si è più esseri umani. La memoria autobiografica già a partire dalla costruzione dell’identità nell’infanzia e successivamente nella crescita del Sé gioca un ruolo fondamentale, senza la quale non potrebbe manifestarsi nessuno sviluppo della persona, né cognitivo, né emotivo, né relazionale, né di immagine del Sé (grado di autostima, conoscenza dei propri limiti e possibilità, consapevolezza delle proprie radici e senso di appartenenza). Essa svolge quindi una funzione centrale per riflettere sugli aspetti di unicità e di originalità dell’individuo; ha il compito specifico di aiutare le persone a conservare e rielaborare continuamente la conoscenza di se stesse. Al pari di un qualsiasi tipo di altro racconto anche un ricordo autobiografico non solo viene ad articolarsi in un agente, un’azione, uno scopo, uno strumento e una scena (per essere sufficientemente costruito) ma deve anche essere coerente e persuasivo (per essere credibile) e deve essere raccontabile (per essere ascoltato). Un ricordo autobiografico ha dunque la struttura e il funzionamento di una storia. In tal modo la possibilità e anche la capacità di narrare i propri ricordi permette alla persona di dare un significato sufficientemente consensuale all’esperienza vissuta. La lettura agisce sulle competenze narrative, stimola la produzione di ricordi, consente l’identificazione e dunque l’interpretazione in un rapporto di reciprocità con la propria esperienza: la lettura ridefinisce e risignifica la propria esperienza e la propria esperienza consente di “completare” la lettura. Alcune funzioni della lettura La lettura contribuisce significativamente ai percorsi di vita anche nel dominio delle professioni e del lavoro: aiutando ad attribuire significato all’esperienza, arricchendo il nostro repertorio di comportamenti possibili, aprendo l’immaginazione a nuove strade e nuove possibilità, la frequentazione assidua di storie aiuta le persone a costruire il proprio futuro professionale. Nel maggio 2011 Science Daily ha dato abbondante risalto ai risultati di una ricerca di Mark Taylor del dipartimento di sociologia dell’Università di Oxford relativa alla lettura. Taylor ha analizzato 17.200 risposte a questionari di persone nate nel 1970. Il questionario aveva lo scopo di ottenere la restituzione di informazioni circa le attività extrascolastiche svolte dall’età di 16 all’età di 33 anni unitamente ad informazioni circa la loro carriera. I risultati (presentati alla British Sociological Association il 4 maggio 2011) hanno mostrato come le ragazze che avevano letto frequentemente libri, per piacere, all’età di 16 anni avevano il 39% di probabilità di ottenere un lavoro manageriale o di diventare professioniste in qualche campo entro i 33 anni, mentre solo il 25% di probabilità per le coetanee non lettrici. Per i maschi che hanno letto regolarmente, la cifra sale dal 48% di possibilità per i non lettori fino al 58% per i lettori. Nessuna delle altre attività extracurricolari mostra un’incidenza percentuale sulle prospettive di lavoro futuro (dalla pratica di qualche sport sino alle attitudini alla socializzazione, dalla fruizione di attività culturali di vario tipo sino alle attività pratiche nessuna ha evidenziato un effetto costante e quantificabile sulla carriera futura). Taylor sostiene che dai risultati che ha rilevato nella propria ricerca “c’è qualcosa di speciale” nella lettura fatta per piacere personale. Taylor stesso sostiene che Il dato parla da solo in modo inequivocabile: tra i ragazzi di 6-­‐14 anni legge il 78,1% di chi ha entrambi i genitori lettori e soltanto il 39,2% di quelli che hanno entrambi i genitori non lettori. Tra i 6 ed i 10 anni le percentuali sono del 75,3% per coloro che hanno entrambi i genitori lettori e del 30,8% per coloro che hanno entrambi i genitori che non leggono (il 60,6% se legge solo la madre, il 49,2% se legge solo il padre). La correlazione potrebbe essere dovuta ad un rapporto invertito, ovvero gli studenti già destinati alle carriere migliori potrebbero tendere a leggere di più comunque. Un’altra correlazione si stabilisce con la probabilità di frequentare l’Università: le ragazze che leggono libri hanno il 48% di possibilità di frequentare l’Università contro il 20%-­‐30% delle loro coetanee non lettrici, i ragazzi hanno il 54% contro il 24%-­‐35% dei coetanei non lettori (si tratta di un sottocampione costituito da ragazzi/e che hanno famiglie con situazioni economiche e professionali simili, l’unica variabile diversa era l’abitudine o meno alla lettura personale), mentre la possibilità di frequentare l’Università si riduceva per quegli adolescenti (24-­‐19% per i ragazzi e 20-­‐14% per le ragazze) che avevano come attività principale i videogiochi. La ricerca dimostra come l’abitudine alla lettura sia legata ad una carriera più prestigiosa ma non significa, necessariamente, godere di un stipendio più alto: in effetti nessuna delle attività extra-­‐
curriculari a 16 anni è associata ad un reddito maggiore o minore a 33 anni. Notevole la mole, per esempio, di ricerche che affrontano il ruolo della lettura come apertura al possibile, come strumento per evitare strade già tracciate e disegnate che portano, inevitabilmente a ripetere ciò che si è già fatto o altri hanno fatto prima di noi, in particolare in relazione alla popolazione carceraria. Una ricerca inglese (Clark, Dugdale, 2008) ha evidenziato, in effetti, come la popolazione carceraria abbia, molto spesso, abilità di lettura molto basse: secondo questa ricerca il 25% dei detenuti ha abilita di lettura a livello di un bambino di 7 anni, il 48% al livello di un bambino di 11 anni ed oltre il 60%, complessivamente ha difficoltà nelle abilità di base necessarie alla lettura ed alla comprensione di ciò che si sta leggendo. La ricerca stima che circa il 90% delle offerte di lavoro richiedano il possesso di adeguate competenze e abilità di base per la lettura o anche abilità più avanzate, per questo si stabilisce una correlazione con le recidive: senza saper leggere bene gli ex detenuti hanno maggiore probabilità di tornare in prigione perché non trovano lavoro (la ricerca ha evidenziato come tale fenomento riguardasse addirittura il 64% della popolazione carceraria nel corso di soli due anni). Nel giugno e luglio 2010 una ricerca in Inghilterra ha compreso, nel proprio campione, 6865 giovani (47 istituti scolastici coinvolti) di età compresa tra gli 8 e i 16 anni ed ha indagato sulla percezione relativa al possesso o meno delle abilità comunicative a seguito di una ricerca precedente che aveva mostrato una correlazione estremamente significativa tra perdita di abilità comunicative fondamentali e scarsa o nulla propensione alla lettura. Una ricerca durata un anno, condotta al Buffalo State College (Friedland E.S., Truscott D.M., 2005), su giovani che avevano diverse disabilita o difficoltà con la scuola, oppure che volevano abbandonarla, ha mostrato gli effetti della lettura su questo tipo di problemi. I tutor li hanno seguiti facendo loro leggere libri che potevano scegliere autonomamente (l’autonomia di scelta appare, in modo ricorrente, nelle esperienze in cui la lettura è stata utilizzata con livelli di efficacia che abbiano superato la sola piacevolezza). Alla fine dell’anno i risultati erano molto positivi perché i ragazzi compresi nella ricerca avevano incrementato il loro vocabolario, avevano fatto progressi notevoli e misurabili nella comprensione dei testi, avevano impostato un metodo di studio, migliorato le abilità di scrittura, e, soprattutto, avevano incrementato le capacità di relazionarsi, probabilmente perché ai tutor era richiesto di mettersi al loro livello, di leggere assieme a loro cose che li interessavano e, attraverso questi mezzi, avvicinarsi al loro mondo. Così facendo hanno loro aperto una porta attraente verso lo studio, la scuola e la socializzazione. Riferimenti bibliografici Batini, F. (2009 a), Verso una pedagogia dell’ orientamento narrativo, in F. Batini, S. Giusti, P. Jedolowski, G. Mantovani, L. Scarpa, A. Smorti, Le storie siamo noi. Gestire le scelte e costruire la propria vita con le narrazioni, (pp. 81-­‐122), Napoli, Liguori. Batini, F. (2009 b), La ricerca sull’ orientamento narrativo, in F. Batini e S. Giusti (a cura di), Costruttori di storie. Convegno nazionale sull’ orientamento narrativo, pp. 14-­‐19, Lecce, Pensa MultiMedia. Batini, F. e Giusti, S. (2008), L’ orientamento narrativo a scuola, Trento, Erickson. Batini F., Giusti S. (a cura di), Costruttori di storie. II Convegno nazionale sull’ orientamento narrativo, pp. 20-­‐21, Lecce, Pensa MultiMedia. Brewer W.F. (1996), What is recollective memory? In DC Rubin (Ed), Remembering our Past: Studies in Autobiographical Memory (pp. 19-­‐66), Cambridge University, New York. Bruner, J. (1992), Acts of meaning, Cambridge, Mass., Harvard University Press (tr. it. La ricerca del significato, Torino, Bollati Boringhieri, 1993). Clark C., Dugdale G. (2008), “The role of literacy in offending behaviour”, London: National literacy trust (disponibile anche nel sito Literacy chan-­‐ ges). Friedland E.S., Truscott D.M. (2005), “Literacy tutoring”, in: Journal of adolescent and adult literacy, 48:7, April 2005. Giusti S., Batini F. (2013), Imparare dalla lettura, Torino, Loescher. Giusti, S. (2009), Leggere i classici con il cervello, in F. Batini, S. Giusti, P. Jedolowski, G. Mantovani, L. Scarpa, A. Smorti, Le storie siamo noi. Gestire le scelte e costruire la propria vita con le narrazioni, (pp. 53-­‐80), Napoli, Liguori. Jedlowski, P. (2000), Storie comuni, Milano, Bruno Mondadori. Jedlowski, P. (2000), Parlami di te. Le narrazioni di sé nelle conversazioni ordinarie, in F. Batini e S. Longo, G.O. (2009), Il senso e la narrazione, in F. Batini e S. Giusti (a cura di), Costruttori di storie. Convegno nazionale sull’ orientamento narrativo, pp. 22-­‐24, Lecce, Pensa MultiMedia. Mantovani, G. (2008 a), Analisi del discorso e contesto sociale, Bologna, il Mulino. Nelson K., Fivush R. (2004), “The emergence of autobiografical memory: a social cultural developmental theory”, Psychologica Review, 111, 486-­‐511. Smorti, A. (1994), Il pensiero narrativo, Firenze, Giunti. Smorti, A. 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La memoria a breve termine è associabile a tempi variabili fra i secondi e i minuti. Ne può essere un esempio il ricordare un numero di telefono appena fornitoci. La memoria a lungo termine si misura in giorni o anni: un evento della nostra infanzia o un qualcosa che è accaduto la settimana scorsa. La memoria a breve termine è soggetta a severe limitazioni di capacità, ha una temporalità che va da secondi a pochi minuti ed è facilmente accessibile alla coscienza. Studi sugli effetti dell'oblio misero in luce che l'interferenza in fase di acquisizione del materiale da ricordare poteva avere dei risvolti negativi nell'immagazzinamento a breve termine; quindi l'oblio viene visto come un decadimento temporale della traccia in MBT. Di qui la dicotomia dei due magazzini quello a breve e quello a lungo termine. Il modello modale tenta di spiegare l'immagazzinamento in memoria secondo un processo per il quale le informazioni vengono depositate nel magazzino sensoriale (tutte) di qui ciò che viene selezionato dall'attenzione passa al magazzino a breve termine e se c'è abbastanza ripetizione queste poi passano quindi al magazzino a lungo termine. In ogni fase ci può essere decadimento. Questa teoria però non spiegava gli altri fattori che possono influenzare la memoria a lungo termine. Il modello della teoria dei livelli di elaborazione andò a sostituirsi a questo modello Alcuni esperimenti misero in risalto il fatto che maggiore era il livello di codifica migliore era la prestazione al compito. Allo stesso modo studi con i pazienti evidenziano che ci può essere compromissione selettiva di MBT e non di MLT (ed anche il contrario). Viene quindi introdotto il concetto di memoria di lavoro. La memoria di lavoro viene definita come magazzino dove si può ritenere un informazione da pochi secondi ad alcuni minuti per potervi inoltre effettuare operazioni sugli elementi ritenuti. Secondo il modello questa ha tre componenti: il taccuino visuo spaziale, il loop fonologico e l'esecutivo centrale. L'esecutivo centrale impone il proprio controllo sopra l'esecuzione routinaria dei comportamenti appresi , quando circostanze insolite richiedono di modificare lo schema d'azione usuale. Il loop fonologico è un ipotetico magazzino per la ritenzione di materiale verbale acustico. Il taccuino visuo spaziale consente l'immagazzinamento dell'informazione secondo un codice visivo o visuo spaziale. Per quel che riguarda la memoria a lungo termine gran parte delle ricerche si sono incentrate sulle suddivisioni funzionali della MLT. Si distinguono due suddivisioni principali della MLT, che riflettono le caratteristiche dell'informazione immagazzinata e tengono conto del dato empirico che le conoscenze immagazzinate non sono tutte uguali. Questa distinzione è fra memoria dichiarativa e non dichiarativa. Per memoria dichiarativa si intende l'insieme delle conoscenze a cui abbiamo accesso consapevolmente e che comprendono le nostre conoscenze generali del mondo e le esperienze personali. Invece con memoria non dichiarava si intendono tutte le conoscenze alle quali non abbiamo accesso coscientemente, come le abilità motorie e cognitive (conoscenza procedurale), il priming percettivo e i comportamenti appresi più semplici derivati da processi di condizionamento, assuefazione o sensibilizzazione. La memoria dichiarativa o esplicita può infine essere ulteriormente suddivisa nella memoria riguardante la nostra vita (memoria episodica) e nelle conoscenze relative al mondo (memoria semantica), che non si riferiscono a specifici eventi della nostra vita (Tulving). Il ricordarsi la storia che abbiamo letto fa quindi parte del sistema di memoria episodica, ed apre le porte ad una riflessione profonda sul significato di leggere in quanto esperienza attiva di elaborazione di un vissuto, organizzato temporalmente, che diventa in sostanza attraverso il processo di mentalizing e di simulazione, parte della storia di noi stessi. MEMORIA AUTOBIOGRAFICA E NARRATIVA Da un punto di vista psicologico, la narrazione è un processo prettamente umano (Nelson, 2003) che viene costruito ed opera a diversi livelli cognitivi. Studi di psicolinguistica hanno investigato largamente l'organizzazione delle aree deputate al processamento degli input linguistici evidenziando tutti i vari processi di riconoscimento fonologico, grammaticale, semantico, di frasi e di discorsi assegnando ad ogni operazione una diretta correlazione spaziale in diverse subregioni della corteccia sia per quel che riguarda la produzione che il riconoscimento linguistico. Queste scoperte completano e ampliano il tradizionale modello neuropsicologico del linguaggio (discusso in Caplan 1994 Zurif & Swinney 1994): l'area di Wernicke è coinvolta nell' elaborazione semantica, l'area di Broca è coinvolta nella sintassi e nella produzione, e altre regioni principalmente distribuite nell'emisfero sinistro che processano componenti linguistiche come fonologia o ortografia. Una storia però è la rappresentazione di eventi, che sono guidati da comportamenti intenzionali di personaggi con obiettivi unici, in ambienti immaginati che possono rimandare al mondo reale (Marr, 2004). Di conseguenza, processare un elemento di narrazione da parte del cervello umano diventa qualcosa di più complesso del mero processamento linguistico. Significa comprendere le intenzioni, gli obiettivi, le emozioni e altri stati mentali dei personaggi, ciò che viene definito come mentalising (Frith & Frith, 2003). In più la comprensione della narrazione prevede la realizzazione di una rappresentazione dello stato delle cose descritte nel testo (Zwaan & Radvansky, 1998). Queste rappresentazioni di informazioni testuali sono detti modelli di situazione (ad esempio, vedere Gernsbacher, 1990; Kintsch, 1998; van Dijk & Kintsch, 1983; Zwaan & Radvansky, 1998). Un modello situazione consiste di varie dimensioni, come il tempo, lo spazio, intenzionalità e il protagonista, compreso il suo stato emotivo (Ferstl & von Cramon, 2007; Ferstl, Rinck, e von Cramon, 2005; Zwaan & Radvansky 1998 ). Quindi un gran numero di regioni del cervello contribuiscono alla comprensione narrativa. Qualsiasi rete che supporta il linguaggio, la memoria, e anche percezione è probabile che giuochi un ruolo fondamentale (Maar 2005). In letteratura, attraverso una serie di studi di imaging sulla comprensione narrativa, si riscontrano diverse aree cerebrali coinvolte in tale processo. La presenza di regioni frontali è prominente, compreso i giri frontali mediali e dorsolaterali, ventrolaterali, regioni ventromediali e alcune aree motorie. Un certo numero di regioni temporali sono anche implicate, compreso il giro medio temporale; aree più superiori come il giro temporale superiore e la giunzione temporoparietale, così come regioni temporali inferiori quali il solco temporale inferiore e i poli temporali. Infine, il cingolo posteriore anche appare associato con la comprensione narrativa. Queste regioni sono in gran parte simili a quelle identificate in una revisione 2003 di neuroimaging e di linguaggio (Gernsbacher & Kashak, 2003). Per quel che riguarda la memoria, non può sfuggire di notare che le aree frontali individuate sono rilevanti anche per altri processi, come ad esempio la codifica e il recupero dei ricordi episodici e autobiografici (Conway, Pleydell-­‐Pearce, Whitecross, & Sharpe, 2002, 2003; Robertson et al, 2000.; Tulving, 2002; Wheeler, Stuss, & Tulving, 1997). Questa somiglianza può essere correlata alla ricerca precedente che ha dimostrato che i lettori recuperano ricordi personali durante la lettura, e che questi ricordi tendono ad essere più attivamente orientati sul se, quando si utilizzano storie rispetto a testi espositivi (Larsen & Seilman, 1988). Il fatto che la comprensione di storie attiva aree parzialmente parallele a quelle associate alla memoria episodica o autobiografica è quindi una piattaforma teorica interessante per la ricerca futura (Rubin & Greenberg, 2003), soprattutto per la prevenzione e il trattamento dei disturbi derivanti da deterioramento cognitivo in soggetti anziani. GUIDA ALLA COMUNICAZIONE CON L’ANZIANO MALATO di Aimone Pignattelli Introduzione Una piccolissima premessa va fatta sulla filosofia dell’approccio con l'anziano, che promuove il concetto di empowerment, cioè “accrescere la potenzialità dei singoli e dei gruppi di poter controllare attivamente la propria vita”. Nella pratica significa concentrarsi e lavorare più sulle risorse che sulle mancanze. A questo scopo si utilizza la stimolazione cognitiva che si configura come un intervento strategicamente orientato al benessere complessivo della persona in modo da incrementarne il coinvolgimento. Nel caso dell’ascolto attivo, esso è finalizzato alla riattivazione delle componenti residue della personalità, delle emozioni, della memoria, dell'attenzione, ecc., ed al contrasto del rallentamento della perdita funzionale generale dovuta alla patologia. Concetto chiave del rapporto con gli anziani sarà pertanto quello di stimolare ad ascoltare, ad esprimere e ad apprendere. Per questo motivo occorre prestare attenzione alla qualità della propria comunicazione; è necessario inviare messaggi comprensibili all’interlocutore decodificandoli nella maniera più corretta per quello specifico interlocutore (anziano con deficit cognitivi, anziano con patologie senili, ecc.) cercando di captare lo stato d'animo e le reazioni emotive: stato collaborativo, frustrato, flemmatico, eccitato, sorpreso, triste, gioioso, rabbioso, ecc. La comunicazione: è un processo che si compone di una parte verbale e una non verbale. Infatti, contemporaneamente, comunichiamo sul piano del contenuto (linguaggio parlato) e su quello della relazione (linguaggio del corpo). La forma comunicativa che predilige l'anziano è prevalentemente quella non verbale. Analisi problema È piuttosto difficile comunicare con l’anziano malato. Tuttavia dovremmo leggere a voce alta accertandosi che ci sia attenzione, ascolto e partecipazione. Questi sono tutti aspetti che possono essere difficili da ottenere dovuto alle varie difficoltà dell’anziano legate a: deficit cognitivi, alterazioni del comportamento, e dello stato funzionale in generale, che incidono sulla personalità, causano malattie fisiche, influiscono sulle storie personali. Soggetti a cui ci si rivolge: gli anziani in RSA che partecipano agli incontri di lettura. Obiettivo generale: rendere gli incontri di lettura ad alta voce un’esperienza efficace e valida per gli obiettivi della ricerca. Obiettivi specifici Favorire una buona comunicazione: la possibilità di comunicare con l’anziano malato è fortemente ridotta. Mantenere l'attenzione: la difficoltà a mantenere l'attenzione può dipendere dall'uso di farmaci, dalla de-­‐stabilità del ritmo sonno e veglia, dagli aspetti emotivi e psicologici come la depressione. Stimolare la memoria: la perdita della memoria è uno dei sintomi che accomuna quasi tutte le demenze. L'anziano, spesso, nella malattia è più confuso e turbato di fronte ai continui vuoti di memoria. Stimolare l'interesse: ci sono argomenti comuni interessanti per tutti di cui spesso l'anziano è più disposto a parlare. Favorire l'interazione: avere un approccio alla conversazione sia con la dimensione psicologica che con quella fisica. Limitare il disorientamento: spesso sono disorientati nel tempo e nello spazio. Questo li può agitare molto Metodo e strumenti: Adottare delle tecniche di conduzione efficace del gruppo, utilizzare le tecniche di comunicazione verbale e non verbale per compensare le difficoltà cognitive (memoria, attenzione e disorientamento) e quelle della relazione (interlocuzione). Metodo di conduzione • Giro di presentazioni; • Focalizzarsi su un singolo episodio raccontato nel caso in cui ci siano dei momenti emotivi legati a dei ricordi; • Focalizzarsi sulle parole lette che suscitano emozioni o reazioni; . • Ricordarsi di sintetizzare e fare dei confronti tra i partecipanti che hanno racconti simili; • Focalizzarsi sul risultato ottenuto, fare sintesi di cosa è accaduto, prima cambiare argomento; • Porre l’attenzione sull’obiettivo del gruppo, cioè quello di ascoltare la lettura. Strumenti: Comunicazione: Accertarsi dell’integrità visiva e uditiva nell’interazione individuale. Parlare chiaramente e senza fretta, ponendosi di fronte all’anziano e guardandolo negli occhi. Non parlare da lontano o da dietro; usare un tono di voce alto, ma senza urlare. Mostrare affetto con il contatto fisico, sempre se questo è benaccetto. Fare attenzione al linguaggio del corpo: l’anziano, infatti, si può esprimere anche attraverso messaggi non verbali (il linguaggio corporeo può esprimere ansia, paura, dolore). In particolare sono cinque le categorie non verbali da assumere:. • L’atteggiamento: postura, posizione del corpo e i movimenti. Porsi di fronte agli anziani, orientandoli a semi-­‐cerchio, alla stessa altezza, quindi leggere da seduti. • La mimica: espressioni del volto, con particolare importanza dello sguardo. Parlare mantenendo il contatto visivo, con espressione interessata e se necessario sorridente. • La gestualità: movimenti delle mani e delle braccia. Utilizzare una gestualità lenta che accompagni le parole chiavi. • La distanza: la posizione assunta rispetto agli altri e il contatto fisico. Non stare né troppo lontani per chi ha difficoltà uditive, né troppo vicini per chi soffre di accerchiamento. Distanza consigliata circa due metri e mezzo. Spostare eventualmente i pazienti ipoacustici più vicini alla lettura. Toccare l'anziano su una spalla o prendergli la mano, mettendosi di fronte e allo stesso livello, allo scopo di esprimere calore e comprensione se si trovasse in difficoltà. •
Il tono: il modo in cui si parla, cioè intonazione, melodia, pause, volume della voce, ritmo dell’eloquio. Parlare con calma adottando un volume adeguato non fare troppe pause prolungate e mettere enfasi in ciò che viene letto. L’uso di un tono a voce particolarmente alto, alle persone cognitivamente compromesse, può generare aggressività, accertarsi quindi del che il volume del tono della propria voce sia gradevole al gruppo. Stimolare la memoria • Mantenere un atteggiamento positivo; • Ricordare gli aspetti emotivi, i sentimenti del racconto precedente; • Usare una lavagna in cui verranno appuntate delle parole chiavi che fungano da promemoria anche per le volte dopo; • Cercare di mantenere un ambiente stabile, assegnando lo stesso posto dall'inizio degli incontri fino al termine. • Non parlare né troppo velocemente né troppo lentamente; • Evitare frasi lunghe e complesse; • Utilizzare nei dialoghi il più possibile i nomi o i cognomi degli anziani; • Dire o domandare una cosa alla volta, verificando ogni volta se gli anziani abbiano capito; Mantenere l’attenzione • Se si coglie che la maggior parte degli anziani sono in un momento in cui non sono in grado di concentrarsi, interrompersi ogni tanto e riassumere con poche parole chiavi e semplici ciò che si è letto; • Segnalare sempre in modo esplicito e se necessario più volte il tema del racconto; • Dare un preavviso quando cambia totalmente lo scenario o l'argomento che si sta raccontando. Ad esempio soffermarsi un attimo prima di passa ad un capitolo per volta. Stimolare interesse • La famiglia: rappresenta uno degli argomenti più graditi poiché sfrutta al meglio quello che è già una tendenza naturale dell’anziano sano, vale a dire la spontanea rievocazione (reminiscenza) di eventi del proprio passato riferiti alla famiglia di origine e non quella dei figli o nipoti. • Il lavoro e il mestiere: alle donne piace raccontare dei loro lavori di gioventù e farsi raccontare cosa fanno di mestiere i figli e parenti. I malati maschi amano parlare del loro mestiere ed è sorprendente con quale accuratezza a volte si ricordino molti aneddoti e siano desiderosi di riceverne informazioni aggiornate. • L’hobby: rimane uno degli argomenti di conversazione prediletta, anche se il disinteresse per il proprio hobby è spesso uno dei primi sintomi di una malattia grave. • Il tempo: è argomento abbastanza impersonale ma spesso apprezzato dall’anziano malato. • Il giornale o le riviste: anche se l’anziano solitamente non è più in grado di leggere gli articoli stessi, ama sempre leggere insieme i titoli e guardare e commentare le foto. • Altri argomenti: il giardino, animali, sport, festività, compleanni, casate reali, malattie, racconti di guerra, viaggi, ecc. Favorire l’interazione • Cercate di apparire rilassati e mandate dei segnali che facciano capire che avete intenzione di fermarvi e di dedicare tempo all’anziano che vuole esprimere qualcosa (ad esempio, mettetevi a sedere davanti a lui/lei, o chiudete per un attimo il libro che state leggendo); • Guardate gli interlocutori negli occhi, possibilmente tenendo lo sguardo allo stesso livello. Mettetevi a sedere di fronte a loro. Il contatto visivo li fa sentire accolti e ascoltati; • Se in un momento doloroso non riuscite a guardarli negli occhi, avvicinatevi e stingetegli la mano, oppure toccategli la spalla, ponendovi dal davanti, mai da dietro o di lato; • Può capitare che l'anziano non si senta o non abbia voglia di parlare dell'argomento specifico, tuttavia ci si può avvicinare alla conversazione stimolando l'anziano a parlare anche di cose più banali ( episodi di vita quotidiana o opinioni di altro tipo), incoraggiandolo piano piano a focalizzare l'attenzione sul nostro obiettivo, con domande: “Ti va di parlare un po' di quello che vi ho letto?”oppure “parlatemi di quello che vi ho letto, solo se ve la sentite”; • Ascoltate quando vi parlano, comunicando di prestare attenzione, anziché pensare a quello che dovrete dire. Evitare quindi di anticipare le loro parole o di interpretare il loro pensiero, ma concentratevi su quello che vi stanno esprimendo. Non intervenite mentre parla e se a interrompere sono loro con un “ma” o un “però”, fermatevi e lasciatelo parlare; • Incoraggiateli, ci sono semplici espressioni che vanno bene, dire: “Si” (annuendo con il capo) oppure “Capisco”, “Vada avanti”. Nei momenti più tesi sono proprio le cose semplici che facilitano le situazioni. Si può anche ripetere le ultime due parole per dimostrare che si sta ascoltando. Ricordarsi di sintetizzare a tutti i presenti, il concetto espresso; “Allora, il big, Rossi o il sig. Mario intende dire che... o ci ha appena raccontato che” oppure “Se ho ben capito, ci sta dicendo.”; • Se l'anziano si interrompe bruscamente o intende comunicare che sta pensando a qualcosa di fortemente emotivo, fate rispettare il silenzio, poi sedetegli accanto, magari prendetegli la mano e provate a chiedergli con dolcezza a cosa stia pensando. Non mettere fretta anche se il silenzio sembra non finire mai. • Esprimete autenticità. Non temete di manifestare il vostro disagio e usate l'espressione come “ Mi è difficile parlare di questo.”,“ Non sono molto bravo a parlare di...” oppure “Non so cosa dire in questo momento”; • Accertarsi di non aver frainteso: cercare di capire lo stato d'animo sottolineando con frasi come “Ti sento molto abbattuto...” oppure “ immagino che ciò ti ha fatto infuriare”. “ come ti sentivi?” “Che ne pensi?” “ Come ti senti ora?”. Non fare supposizioni che possano portare a fraintendimenti; • Non dare consigli ma semmai porre la domanda “Hai provato a chiedere... ”, “Hai pensato a provare... ” oppure “Mio un nonno un giorno ha provato a...”; • Usare l'umorismo, anche per sdrammatizzare. Argomenti comuni trattati su cui ridere sopra: la suocera, paura di volare, il sesso, i dottori, l'ospedale, la mensa, ecc. Disorientamento: • Rassicurarli; •
Dare dei riferimenti temporali basati su quello che facciamo, ricordare perché siamo li, e cosa stiamo leggendo. Conclusione Riassumendo: l’obiettivo di un atteggiamento di ascolto reciproco sensibile e attento è comprendere nel modo più completo possibile ciò che l’anziano sente, provocato dalla capacità di interpretare con i giusti toni enfatici l’argomento significativo di ciò che si sta leggendo. Sarà molto improbabile raggiungere una comprensione totale e favorire l’attenzione attiva, ma quanto più si riesce a capire gli anziani presenti, nella loro complessità, tanto migliore sarà la comunicazione tra di voi. Tanto più cercherete di comprendere i suoi sentimenti, la sua disponibilità, i suoi bisogni rispetto agli incontri, maggiore sarà l’aiuto che gli darete ad ascoltare la lettura. 
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