Anna Rita Properzi Guida Turistica Via del Rivellino n° 16 – 01017 Tuscania (VT) Tel. 0761.434301 – 333.4912669 e-mail: [email protected] LA VIA AMERINA DA NEPI A FALERI NOVI percorso: andata e ritorno; lunghezza percorso: 9 km; dislivello: partenza m. 202, altitudine max. m. 216, altitudine min. 177 m. Luogo di partenza: prima traversa sterrata a destra (indicazione “Via Amerina – Cavo degli Zucchi”) lungo la SP 149 Nepesina, subito dopo località San Lorenzo (con ampio parcheggio), provenendo dall’uscita A1 Magliano Sabina. Prima tappa del percorso Torre sull’isola Conversina (con guado) (Coordinate GPS 42.277372,12.355399). Villaggi Fortificati nell’Agro Falisco La guerra Gotica (535-553) il lungo conflitto tra Ostrogoti e Impero Bizantino più che la caduta dell’Impero Romano (476 d.c.) pose fine alla pax romana. Con la caduta dell’impero romano le campagne vennero abbandonate quasi definitivamente nel VI secolo con l’arrivo dei Longobardi. Nessuno più se la sentiva di vivere e coltivare campi con la minaccia delle invasioni. I grandi proprietari terrieri rappresentati dalle diocesi e dalle abbazie si limitarono a far pascolare i gregge nei territori. Ma l’Agro Falisco conserva anche in questo periodo un grande potenziale. Per secoli fino alla Roma Papale, la via Amerina che si incunea tra i Ducati longobardi di Spoleto e Benevento diventò l’asse strategico di collegamento tra il Ducato di Roma e l’Esarcato di Ravenna che doveva essere strenuamente difeso. La particolare posizione geografica e la particolare situazione orografica determinano la nascita del fenomeno altomedievale chiamato “Incastellamento”. Le alture circondate da profondi dirupi furono fortificate già nel VI/VII secolo. In reazione alle scorrerie longobarde la popolazione si rifugiò in questi villaggi fortificati rioccupando spesso gli antichi siti falisci del periodo villanoviano. Inizia il medioevo con la sua opera più tipica il castello. Siti e Villaggi strategicamente protetti da una serie di torri di avvistamento costruite sulle alture circostanti determinarono la nascita del nome della città più importante della zona: Civita Castellana. Anna Rita Properzi Pagina 1 Torre dell’Isola Conversina La posizione scenografica della Torre posta su un promontorio tra il fosso dell’Isola e il Fossitello è protetta da un profondo vallo. Vicino si trovano resti di mura e del borgo con la chiesa di San Pancrazio. Il Castrum Insulae a protezione della Via Amerina fu abitato sin dall’antichità, abbandonato in epoca Romana e rioccupato nel periodo altomedievale. Da fonti antiche (989) si sa che l’Insula Conversina fu affidata al monastero dei Santi Cosma e Damiano insieme al mulino. Già nel XIV secolo il sito risulta in decadenza tanto che nel 1427 sarà definitivamente abbandonato. Attualmente in mezzo alla vegetazione si scorge la torre con rifiniture in terracotta. Di questi villaggi ne esistono ancora molti come Castel Porciano, Borghetto, Castel Paterno Casale Santa Bruna.. La Via Amerina Nell’ambito dell’espansione romana, realizzata attraverso un disegno viario che comprendeva percorsi di terra e d’acqua, la Via Amerina costituiva una di quelle importanti vie di comunicazione attraverso le quali Roma, per circa sette secoli, ebbe modo di controllare tutto il bacino del Mediterraneo. La strada, che prende il nome dell’antica città di Ameria, punto di arrivo del primo tratto, venne realizzata, intorno alla metà del III sec. a.C. In quel periodo Roma affrontava uno dei momenti di maggiore difficoltà: impegnata a difendere il dominio del mare nostrum, minacciato da Cartagine, era costretta a consolidare il proprio potere sulle popolazioni italiche, non sempre disponibili ad essere sottomesse da una città più potente. In tale contesto si inserisce la creazione della Via Amerina che doveva costituire l’asse centrale del processo di occupazione del territorio falisco, permettendo un rapido collegamento fra la sede del potere romano e le zone già sotto controllo, fino in Umbria. Anna Rita Properzi Pagina 2 La conquista nel 241 a.C. di Faleri Veteres, capitale delle popolazioni falische, e la successiva fondazione di Faleri Novi, in una zona pianeggiante e meglio controllabile da Roma, costituì l’occasione per la realizzazione della nuova via. La strada, staccandosi dalla Cassia nei pressi della Statio ad Vacanas(attuale valle di Baccano), collegava Roma alla nuova colonia di Faleri, dove veniva a formare il decumanus maximus, per poi proseguire, con andamento pressoché rettilineo e parallelo al fiume Tevere che attraversava nei pressi di Orte. Da qui raggiungeva poi l’antichissimo oppidum umbro di Amelia. Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, riferisce che secondo Catone la città fu fondata 963 anni prima della guerra contro Perseo, re di Macedonia, combattuta fra il 171 ed il 168 a.C. In base a questa notizia, il centro umbro dovrebbe risalire al 1134 a.C. Recenti rinvenimenti archeologici, effettuati all’interno del centro storico, sembrerebbero confermare una frequentazione del colle già all’epoca del bronzo. La Tabula Peutingeriana, un itinerario picto di epoca medievale realizzato sulla base di un documento tardo imperiale, elenca lungo la Via Amerina i centri di Nepe, Faleros, Castellum Amerinum, Ameria, Tuder,Vettona, Piru sio e Clusio (Chiusi), dove la strada si riallacciava alla via Cassia. Il tratto più importante fu, senz’altro, quello meridionale, che collegava i territori di Veio, Faleri ed Amelia; notevole interesse rivestì anche la sua prosecuzione che, attraverso Todi, arrivava fino a Perugia, costituendo una valida alternativa alla via Flaminia. Con la fine dell’impero romano e la successiva crisi economica e demografica, la via iniziò a perdere importanza; tuttavia in epoca longobarda il suo tracciato servì come via di comunicazione all’interno del “corridoio bizantino” che collegava Roma con Ravenna. L’ultima notizia sulla effettiva utilizzazione della via Amerina risale al 1497, quando Cesare Borgia ne decretò la fine, ordinando di distruggere il ponte sul Tevere nei pressi di Orte. Anna Rita Properzi Pagina 3 L’inizio della nostra escursione può cominciare dal luogo di parcheggio che, presumibilmente, potrà essere il piazzale sterrato prima del ponte romano del II secolo a.C. presso il fosso dei Tre Ponti. Recentemente restaurato e seminascosto tra la rigogliosa vegetazione, un buon punto di osservazione consiste nello scendere per uno degli stradelli che permettono di avvicinarsi al fosso sottostante per ammirare l’imponenza del manufatto costruito in blocchi squadrati in tufo. Proseguiamo verso nord, superando il ponte, lungo la strada sterrata il cui rettifilo che ricalca esattamente l’antica Via Amerina. Il rettifilo, dopo un po’ in discesa, taglia i primi banchi di tufo e conduce alle prime tombe, di alcune chiuse con grate per impedire nuove devastazioni; più avanti a sinistra la tagliata si fa più alta e presenta una caratteristica lavorazione con illusione ottica di un muro in opera quadrata. La stradina si avvicina così nel sottobosco verso il fosso che potrà essere scavalcato scendendo lungo il viottolo che si incontra a destra e poi, dopo pochi metri, in rapida discesa a sinistra. Se ci si sofferma nel bosco, cercando la linea ideale rispetto alla strada finora percorsa dal ponte, si individua nella vegetazione, un pilone di un nuovo ponte, che doveva scavalcare il fosso stesso. Questo ponte, ora crollato, era databile tra la fine del II secolo e la fine del I secolo a.C., caratterizzato da blocchi squadrati di tufo locale. Si riesce a notare l’occhio ovvero apertura che alleggeriva la struttura del ponte ed in caso di piena permetteva all’acqua di tracimare. Si attraversa il ponticello di tubi metallici e si risale sull’altra sponda per il viottolo che in breve condurrà ad una nuova necropoli (sulla sinistra, salendo, si vede il pilone nord del ponte). Quella che ci si propone quasi per prima è la tomba della Regina, con la facciata a tre archi sorretti da due pilastri; all’interno presenta due panchine laterali ed al centro una porta con fregi identificativi delle ricche famiglie proprietarie. Entrati nella prima porta si vede in alto la caditoia che metteva in comunicazione la camera funeraria, a loculi e nicchie con una sovrastante terrazza. Continuando e girato l’angolo a destra si apre alla vista una magnifica prospettiva: una tagliata nel tufo, usata per le tombe rupestri, percorsa al centro dal perfetto basolato originale dell’Amerina, qui largo circa 2,45 metri. Si tratta del risultato di un lavoro di recupero condotto dai volontari del Gruppo Archeologico Romano: hanno così recuperato l’antica pavimentazione a lastre di basalto, oltre alle crepidines (gli argini della strada) ed alcune opere di drenaggio; in numero consistente sono le tombe presenti ai lati della strada. Tra le più notevole, procedendo lungo il tracciato chiamato qui “Cavo degli Zucchi”, si incontra sulla destra un tratto di muro trattato a finti conci con iscrizioni in numeri romani (XVIII) sul Anna Rita Properzi Pagina 4 prospetto esterno di una tomba a camera preceduta anch’essa da un piccolo vestibolo; le iscrizioni indicavano lo spazio occupato dalla tomba, una sorta di limite di proprietà. Sull’altro lato della strada vi è un’altra tomba delimitata da una fascia rupestre, con affreschi a riquadri. Continuando altre sepolture segnano il cammino, di cui alcune a fossa nel pavimento. Sul finire del tratto riportato alla luce, si vede un bellissimo esempio di colombario del I secolo d.C., aperto verso l’esterno, con opera ad archi appoggiati a delle basi. Si tratta del colombario più grande della necropoli del Cavo degli Zucchi, ha forma quadrangolare con numerose nicchie per cinerari e fosse sul pavimento. Vi sono anche tracce di decorazioni pittoriche e al centro conserva l’ambito della caratteristica mensa, posta per lasciare le offerte ai defunti. Gli studi fatti attestano in questa area circa 186 tombe. Alla fine della tagliata si segue la strada, ora di nuovo sterrata, per circa 500 metri fino al rio Calello; lungo la via, aperta ora alla vista della piana e delle alture in lontananza (ad est si staglia la cuspide del Monte Soratte), si notano tra gli arbusti del lato destro resti di sepolcri, questa volta costruiti e non ricavati scavando il tufo come le precedenti. Falerii Novi è spesso indicata con il toponimo di Falleri essendo Novi e Veteres una specificazione utilizzata per distinguere la città romana, fondata nel 241 a.C., da quella falisca (corrispondente alla vicina Civita Castellana) distrutta e abbandonata dopo la sconfitta per opera dei Romani. L’impianto urbano della città è evidentemente impostato su una maglia ortogonale, dove la via Amerina, ne costituisce il suo asse portante orientato nordsud, il cosiddetto cardo. Il decumanus, invece, era costituito da una via legata ai traffici locali (la Via Cimina, probabilmente). Tutt’intorno si vedono le imponenti mura, in gran parte ancora in piedi, a costituire una cinta difensiva di circa 2,5 km, difesa originariamente da cinquanta torri quadrate e nove porte d’accesso. Chi erano i Falisci Nonostante i contatti con la cultura etrusca, i Falisci avevano lingua ed entità etnica diversa da questo popolo. Il loro territorio era compreso tra confini naturali costituiti dal Tevere, dai Monti Cimini e Sabatini che corrispondeva all’attuale zona a nord di Roma e alla parte meridionale della provincia di Viterbo. I principali centri abitati erano Vignanello, Fescennium, Felerii che era anche la loro capitale e corrispondeva all’attuale Civita Castellana, Sutri, Nepi, Capena e Narce. Il ceppo linguistico dei Falisci ricade nell’area indoeuropea, area a cui appartenevano diverse altre lingue di popoli italici e tra le quali ` presente anche il latino. Se la loro lingua è simile a quella dei latini, per quanto riguarda la cultura, in base agli oggetti risalenti all'età del Ferro e rinvenuti in territorio falisco, si nota una certa affinità culturale con la civiltà Villanoviana e quindi con gli Etruschi. Diffusi sono infatti i vasi ad impasto rosso di varia forma e decorati utilizzando la tecnica dell’excisione, che consisteva nell’incidere l’argilla non ancora cotta lasciando in rilievo i particolari che si volevano far risaltare. I ricchi corredi funebri posti nelle tombe a camera esposti nel Museo Nazionale dell’Agro Falisco di Civita Castellana, attestano il notevole sviluppo raggiunto da alcuni centri falisci nel VII secolo a.C.. La loro capitale Falerii nel VI secolo a.C. raggiunse il suo massimo splendore. E' durante il periodo arcaico infatti, che si assiste Anna Rita Properzi Pagina 5 all’ellenizzazione della cultura falisca e Falerii ne è il centro dal quale questa cultura viene trasmessa al resto del territorio. A testimoniare l’abilità dei suoi artisti ed in particolare di quegli artigiani impegnati nella produzione di piccoli oggetti o in statue di terracotta, sono le decorazioni architettoniche scoperte nei templi della capitale falisca. La vicinanza con gli Etruschi fu spesso motivo di scelte politiche comuni; si hanno notizie di alleanze strette allo scopo di arginare la politica di espansione romana, che a partire dal V secolo a.C. tende ad allargare le proprie mire espansionistiche nell’Italia centrale. Nella guerra per la difesa di Veio gli Etruschi avranno come alleati proprio i Falisci ma, nonostante quest’unione porti ad una serie di vittorie, alla fine della guerra Veio verrà conquistata dai romani nel 396 a.C.. L’anno successivo cadrà la falisca Capena e poco tempo dopo anche Sutri e Nepi seguiranno la stessa sorte. Nel 394 a.C. viene stipulato un accordo di pace tra Roma e i Falisci, ma già nel 351 a.C. essi appoggeranno la rivolta degli abitanti di Tarquinia contro la prepotenza romana. Tutto si conclude con una grave sconfitta a seguito della quale i Falisci sottoscriveranno nel 343 a.C. una tregua quarantennale ed un’alleanza con Roma. La tregua sarà così longeva che nel 298 a.C. Falerii ospiterà una guarnigione romana. Ma le vessazioni amministrative e fiscali a cui la città verrà sottoposta indurranno i Falisci a nuove rivolte che porteranno nel 241 a.C. alla completa distruzione della capitale falisca e alla deportazione dei suoi abitanti a Falerii Novi. In seguito anche questo popolo subirà la romanizzazione. Anna Rita Properzi Pagina 6