ORSI C N I e CO ESAM COLLANA TIMONE SCIENZA POLITICA • Natura, storia e metodologia della scienza politica • L’oggetto della scienza politica SIMONE EDIZIONI GIURIDICHE ® Gruppo Editoriale Esselibri - Simone Estratto della pubblicazione 252 Estratto della pubblicazione TUTTI I DIRITTI RISERVATI Vietata la riproduzione anche parziale Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30) Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo: E5 2/2 226/2 226/3 - La Costituzione esplicata Compendio di Diritto Costituzionale Le fonti del diritto Elementi di diritto parlamentare Direzione scientifica del Prof. Federico del Giudice Il presente volume è a cura dei dott. Giovanna Cammilli, Gianluca De Nicola, Teresa Lombardi e Pietro Emanuale Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.it ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati Finito di stampare nel mese di novembre 2010 dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., n. 24 - Arzano (NA) per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 (NA) Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno PREMESSA Ha ancora senso oggi parlare di «scienza politica»? La «crisi della rappresentanza politica», infatti, investe il mondo intero «sfigurando» la forma di governo «mondiale» oltre che quella «sovranazionale» e «nazionale». I Paesi del G8 o del G20 privi di qualsivoglia mandato da parte del «resto del mondo» decidono liberamente e indistintamente delle sorti dello stesso; la stessa Unione europea impone i suoi dictat con un acclarato deficit di rappresentanza. Per non parlare del sistema adottato in alcuni Stati, soprattutto l’Italia, in cui la rappresentanza politica, di fronte alla «prepotenza» della «dittatura della maggioranza» è ridotta a un mero ectoplasma. Così lo strapotere dei leaders e delle segreterie, l’introduzione delle liste bloccate, i premi di maggioranza, la scelta dei Ministri per «favore politico», la «nomina» e non l’«elezione» dei parlamentari, e tanto altro «fango», soprattutto mediatico, hanno seppellito la volontà politica del «rappresentato» (il popolo) e depotenziato la figura del «rappresentante», sempre più servo fedele del potere (democraticamente?) costituito. Occorre cambiare al più presto questo stato di cose, partendo dalla legge elettorale e dal sistema dei partiti, rendendo la prima più rappresentativa e il secondo più partecipativo. La stessa valorizzazione delle autonomie locali non può ridursi al solo federalismo fiscale, ma deve condurre all’autonomismo responsabile. Il cammino è lungo e tutto in salita. Ci auguriamo che nella prossima edizione potremo prendere atto di qualche passo in avanti verso il recupero della democrazia nel nostro Paese! L’Editore Novembre 2010 Estratto della pubblicazione Vol. 254 Lexikon di dottrine e scienze politiche pp. 160 • € 9,00 I maggiori ostacoli nella preparazione degli esami di Scienza politica e Storia delle dottrine politiche risiedono nella comprensione dei termini più «ostici» e dei concetti che presuppongono conoscenze di discipline propedeutiche (storia, filosofia) senza le quali non è possibile avvicinarsi adeguatamene alla disciplina. I Lexikon hanno l’obiettivo di ridurre questi problemi per consentire agli studenti di entrare nello «spirito» e nella «lettera» di ciascuna materia e così affrontare con maggior competenza e sicurezza la prova d’esame. Questo volume offre un valido apporto che, colmando le lacune di base, consente l’apprendimento delle materie politologiche previste dai corsi di laurea di Scienze politiche, Lettere, Filosofia, Lingue, Sociologia, Giurisprudenza, Scienza della formazione e della comunicazione. Attraverso un efficace utilizzo dei rinvii, durante la lettura del testo, si può «navigare» e operare opportuni paralleli e differenze tra pensatori, correnti di pensiero etc., che permettono a chi fa un sapiente uso di questo Lexikon di ottenere una votazione di eccellenza. Principali lemmi contenuti nel volume: Agostino, Aristotele, Assolutismo, Autoritarismo, Bakunin, Beccaria, Bodin, Bruno, Calvino, Capitalismo, Cartesio, Comunismo, Confucio, Constant, Contrattualismo, Costituzionalismo, Costituzione, Cristianesimo, Croce, Democrazia, Dittatura, Engels, Fascismo, Federalismo, Fichte, Gentile, Giusnaturalismo, Gramsci, Grozio, Hegel, Hitler, Hobbes, Hume, Illuminismo, Jhering, Kant, Kelsen, Lenin, Liberalismo, Libertà, Locke, Lutero, Machiavelli, Mao, Marx, Mazzini, Mencio, Montesquieu, More, Nazionalismo, Platone, Potere, Proudhon, Pufendorf, Rawls, Rivoluzione, Rousseau, Schmitt, Socialismo, Sovranità, Stato, Tirannide, Tocqueville, Tolleranza, Totalitarismo, Utilitarismo, Vico, Weber, Weil, Zwingli. Estratto della pubblicazione PARTE PRIMA NATURA, STORIA E METODOLOGIA DELLA SCIENZA POLITICA Capitolo Primo: Lo studio scientifico della politica ................ Pag. 7 Capitolo Secondo: Origine ed evoluzione storica della scienza politica ............................................................................ » 18 Capitolo Terzo: Metodologia della scienza politica ................. » 33 Estratto della pubblicazione CAPITOLO PRIMO LO STUDIO SCIENTIFICO DELLA POLITICA Sommario: 1. La scienza della politica. - 2. La politica. - 3. Le tre dimensioni della politica. - 4. Il contributo della scienza politica alla crescita della società. 1. LA SCIENZA DELLA POLITICA Per scienza della politica si intende «lo studio o la ricerca, con la metodologia delle scienze empiriche, sui diversi aspetti della realtà politica al fine di spiegarla il più compiutamente possibile» (BOBBIO). Il metodo della disciplina è quello delle scienze empiriche; il suo oggetto è la realtà politica. Una variabile così complessa non può essere spiegata da chi non possiede tecniche analitiche specifiche, da chi non è in grado di utilizzare strumenti appositi. Lo studio scientifico della politica è ben altro rispetto ad una discussione su temi politici da parte di non esperti ed è tutt’altro anche rispetto al «fare politica». L’analisi scientifica della politica ha fini conoscitivi e viene prodotta da un gruppo di esperti che cercano di separare «ciò che è da ciò che dovrebbe essere», l’apparenza dalla realtà. Gli scienziati politici non sono gli unici «addetti ai lavori» che si occupano di politica, ed è opportuno perciò distinguere ed evidenziare le differenze tra la scienza politica e le altre discipline: la filosofia politica, il diritto pubblico, la sociologia politica e la storia, che pure pongono al centro dei loro studi lo stesso oggetto. A) Scienza politica e filosofia politica Le due discipline per lungo tempo sono state legate tra loro da un rapporto di inclusione: la scienza politica come parte integrante della filosofia politica. Relazione divenuta di intersezione quando solo parte degli argomenti di politica sono entrati a far parte dell’ambito filosofico. Oggi, invece, la scienza politica è una disciplina autonoma ed accademicamente consolidata. La filosofia politica studia i fatti della realtà con il chiaro intento di indicare il come «dovrebbero essere». È una disciplina con intenti normativi ma che esprime anche giudizi di valore e morali. 8 Parte I - Natura, storia e metodologia della scienza politica La scienza politica, al contrario, osserva i fatti e formula teorie in grado di spiegarli. La mera descrizione dei fatti, se non accompagnata da teorie, costituirebbe solo un punto di vista superficiale, non in grado di fornirci una spiegazione della realtà politica. B) Scienza politica e diritto pubblico In questo caso tra le due discipline non vi è mai stato un rapporto di inclusione totale, perché il diritto pubblico si è sempre limitato a studiare l’azione politica all’interno dei confini della norma giuridica, accantonando lo studio della politica come fenomeno non giuridico. Solo in un’epoca non molto lontana, quando l’oggetto privilegiato, se non esclusivo, della scienza politica era lo Stato, i due tipi di analisi sono confluiti in un’unica materia. La scienza politica ha un ambito di studio molto più ampio del diritto pubblico. Sebbene quest’ultimo studi le norme che regolano la condotta politica dei membri di una determinata nazione e delle sue istituzioni politiche, non si può confondere con la scienza politica giacchè essa è una scienza empirica che spiega, descrive ed ha l’ambizione di predire i fenomeni politici e le relazioni di potere: ciò la rende una scienza autonoma rispetto al diritto. La scienza politica si concentra sui processi socio-politici reali, mentre il diritto su quelli formali-legali. C) Scienza politica e sociologia politica La scienza politica in un particolare periodo storico, l’era del positivismo Comtiano e post-Comtiano, rientra nei confini delle teorie sociologiche. Per lungo tempo si è ritenuto che la differenza tra le due discipline fosse solo di natura amministrativa e didattica (tra i principali sostenitori di tale pensiero Maurice Duverger) e non di sostanza. Oggi, possiamo affermare senza dubbio, che esse studiano un oggetto diverso, occupandosi l’una dell’analisi delle strutture sociali, l’altra di quella delle strutture politiche, ma entrambe adottano la stessa metodologia. D) Scienza politica e storia La scienza politica si distingue della storia quando l’analisi dei dati empirici mira a generalizzazioni piuttosto che a conoscenze circoscritte a una realtà, come quella storica, legata allo spazio e al tempo (DELLA PORTA). Capitolo I - Lo studio scientifico della politica 9 2. LA POLITICA A) Definizione Se la politica è l’oggetto indiscusso di studio della scienza politica, non altrettanto immediate e semplici sono la sua definizione e la sua concettualizzazione. La politica ha assunto vari significati, mutando connotati nello spazio e nel tempo, prestandosi a diverse visioni ed interpretazioni. Generalmente le origini della politica e la sua stessa radice etimologica vengono rintracciate nella polis greca. Definita a lungo come arte del «bene vivere», come architettura della convivenza umana, da Machiavelli come strumento di dominio, da Hobbes pura grammatica dell’obbedienza, da Locke semplice assicurazione sulla vita e sugli averi, oggi, si ritiene che una definizione ottimale del concetto di politica deve essere il più universale possibile, deve varcare i confini spaziali e temporali ed essere in grado di abbracciare le esperienze più diverse, dalle tribù primitive a quelle di uno Stato contemporaneo, democratico e non, e capace di cogliere gli elementi di politicità presenti anche al di fuori della sfera statuale. Alla luce di tali considerazioni e premesse la politica può definirsi come l’insieme di attività svolte da uno o più soggetti individuali o collettivi, caratterizzate da comando, potere e conflitto, ma anche da partecipazione, cooperazione e consenso, inerenti al funzionamento della collettività umana alla quale compete la responsabilità primaria del controllo della violenza e della distribuzione al suo interno di costi e benefici, materiali e non (DELLA PORTA, MORLINO). In breve la politica è l’attività di costituzione e gestione dell’attività umana responsabile dell’ordine pacifico (COTTA). Si giunge a questa definizione, il cui grado di universalità è ampio, solo dopo avere indagato sugli attori della politica, sulle sue peculiarità, sui luoghi entro cui si realizza e sugli obiettivi della stessa. B) Attori e protagonisti della politica Gli attori della politica sono coloro che operano all’interno delle architetture del potere politico ovvero dei regimi politici. In un sistema democratico questi elementi (individuali e collettivi) sono: leaders, partiti, gruppi di pressione, movimenti, elettori, etc. 10 Parte I - Natura, storia e metodologia della scienza politica Oggi la politica è svolta in massima parte da politici di professione. Non mancano le eccezioni: sempre più spesso, infatti, si cimentano nell’arte della politica individui che hanno raggiunto la notorietà attraverso la loro attività economica, o per le ricchezze accumulate, o attraverso i media. Ci sono casi in cui la ricchezza rappresenta la base e le risorse per raggiungere e mantenere il potere politico, come nel caso di Silvio Berlusconi. Il rapporto tra ricchezza e accesso alla politica, però, non è direttamente proporzionale non sono pochi i magnati dell’economia che non sono riusciti a convertire il loro potere economico in politico (Agnelli, Rockefeller). In passato, e per lungo tempo, gli attori principali della politica sono state le famiglie, quelle dei sovrani assoluti o comunque le famiglie dell’antica aristocrazia. Anche se l’ereditarietà come principio di trasmissione del potere è pressoché scomparso, MORLINO, ci fa notare che anche in epoca più recente sono individuabili «dinastie democratiche», come nel caso dei Kennedy o dei Ghandi, dei Bush, degli Aquino (Filippine), e in Italia dei Berlinguer, dei Bossi, dei Gava, quasi a giustificare la presenza nel D.N.A. della politica in queste «grandi» famiglie. L’individuazione degli attori politici non rende possibile distinguere nettamente tra politica e altre sfere dell’agire umano, ma ci permette di individuare diverse tipologie di politica, di differenziare la politica democratica da quella autoritaria, nonché una politica esercitata su base aristocratica da una tecnocratica o teocratica. C) Il «modus operandi» della politica Diverse e molteplici sono le forme in cui si esprime la politica: non è possibile individuarne un modus operandi univoco e generalizzato. Determinati comportamenti e modalità di azione possono assumere una rilevanza peculiare nell’attività politica, ma non sono in grado di caratterizzare l’intera politica, potendo piuttosto aiutare a distinguere tra varie tipologie di politica (politica democratica, autoritaria etc.). Generalmente, parlando di politica si fa riferimento ad un modus operandi basato sul dialogo e contrapposto ad uno coercitivo; caratterizzato dal ricorso a valutazioni di interesse pubblico e non dettate da considerazioni di utilità economica; dal carattere pluralistico piuttosto che monistico. Tali considerazioni non sono sufficienti ad offrire una definizione universale di politica. Se è vero che spesso si parla di modo politico di risolvere Estratto della pubblicazione Capitolo I - Lo studio scientifico della politica 11 un conflitto, facendo riferimento ad una soluzione pacifica e contrapposta ad una militare e coercitiva, è anche vero che la guerra e la forza non sono estranee alla politica, anzi, spesso sono considerate una modalità estrema di manifestazione della politica internazionale. Neanche l’approccio alla politica come potere permette di fare passi avanti verso la definizione del fenomeno della politica. Per lungo tempo la ricerca, la conquista, l’utilizzazione e la difesa del potere sono stati l’oggetto quasi esclusivo della scienza politica. Tuttavia, il potere è un fenomeno diffuso in ogni sfera della vita umana e che, quindi, mal si presta a delimitare una sfera ben precisa e specifica dell’agire umano. Attraverso lo studio dei diversi «modus operandi» della politica è possibile individuare ed approfondire le diversità interne alla politica sebbene non definirla in senso assoluto. D) I differenti luoghi storici della politica La politica si distingue dalle altre sfere dell’agire umano in quanto esiste un luogo privilegiato, un ambito ben definito all’interno del quale l’esperienza politica si colloca. Si tratta di uno spazio circoscritto anche se variamente definito nel corso degli anni ed esteso: tribù, città-stato, regni, imperi, Stati-nazione, associazioni di Stati. Il carattere collettivo, cioè riferibile ad uno specifico ambito di svolgimento, relativamente delimitato, costituisce un aspetto peculiare dell’esperienza politica. Anche se non esiste una soglia dimensionale capace di definire in modo univoco la politicità di una comunità, la dimensione collettiva ci permette di individuare un criterio specifico rispetto ad altre importanti sfere dell’agire umano, quali quella economica, morale e religiosa. Per l’economia generalmente gli ambiti spaziali circoscritti sono visti come un fattore limitante; per la morale poco conta il rapporto con gli altri quanto piuttosto quello con se stessi, con il proprio io; per la religione il rapporto con Dio trascende l’appartenenza del singolo ad un gruppo. E) Gli obiettivi della politica: la convivenza pacifica Se è facilmente individuabile il fine dell’economia e della morale, rispettivamente l’utile e il bene, non altrettanto semplice lo è per la politica, giacchè non sembrano esserci fini fissati per sempre. 12 Parte I - Natura, storia e metodologia della scienza politica Esiste un obiettivo minimo attribuibile alla politica all’interno di ogni tipo di collettività ed è quello di garantire l’ordine, mezzo che rende possibile il raggiungimento di altri fini. La politica ha, quindi, il compito di assicurare la convivenza pacifica all’interno di determinati confini. Le entità politiche possono mutare, cessare di esistere o essere inglobate in altre entità, ma con la loro scomparsa il fine dell’ordine non viene meno. Oggi, la responsabilità dell’ordine pacifico è affidata allo Stato, domani potrebbe essere competenza dell’Unione europea. È questo elemento che conferisce il carattere politico ad una collettività. 3. LE TRE DIMENSIONI DELLA POLITICA Nell’indagine sui tre volti della politica ci avvaliamo di una terminologia mutuata dal linguaggio statunitense, giacchè nel vocabolario italiano i concetti ed il significato di politics, policy e polity ricadono sotto un unico termine «generico» di «politica». Solo analizzando questi tre diversi aspetti del fenomeno si può giungere ad una piena comprensione della realtà politica. A) Politics: sfera del potere Con il termine moderno di politics, si fa riferimento ad un concetto assai antico, ovvero alla sfera del potere, inteso come una relazione tra attori in cui un soggetto, imponendo la propria volontà, ottiene dall’altro un comportamento che questi altrimenti non avrebbe tenuto. Studiare il potere significa indagarne la natura, la sua distribuzione e le sue modalità di trasmissione, l’esercizio ed i limiti dello stesso. Uno studio del potere parte necessariamente dall’analisi di quelle che chiamiamo «architetture» del potere, ovvero i regimi politici; segue un’indagine sugli attori (leaders, movimenti, partiti, elettori etc.) che in esse agiscono e si muovono. B) Policy: governo e processi decisionali pubblici La politica non è solo competizione per il potere ma è anche governo, cioè decidere per affrontare e risolvere i problemi di una comunità (MORLINO). Con il termine policy si fa riferimento proprio a questo elemento della vita politica, ossia ai programmi d’azione e provvedimenti che vengono proposti dagli attori politici e decisi nelle sedi politiche e che influenzano direttamente la vita quotidiana dei cittadini. Estratto della pubblicazione Capitolo I - Lo studio scientifico della politica 13 Studiare le policies significa analizzarne i contenuti e mostrare la distribuzione dei costi e benefici che esse comportano. In secondo luogo, significa studiare il processo decisionale nelle varie fasi, ossia dal momento in cui viene individuato un problema, la formulazione di proposte e la decisione finale adottata per la sua risoluzione. Il termine policy è l’unico dei tre che si presta ad una corretta traduzione: con esso si fa riferimento a quelle che in italiano sono definite politiche pubbliche. C) Polity: ambito spaziale e strutturale della comunità politica La terza dimensione della politica è quella legata al territorio rispetto al quale alcune decisioni si applicano. A questa dimensione si riferisce il termine inglese polity, che comprende tutti quegli aspetti della politica che riguardano la definizione della comunità politica, cioè del territorio e della popolazione che si muove e agisce su esso, e le relative strutture e processi di mantenimento e cambiamento, dalla polizia alla magistratura, dalla burocrazia all’esercito, dalla difesa dei confini al mantenimento dell’ordine interno (COTTA, DELLA PORTA, MORLINO). La dimensione territoriale fondamentale della politica moderna è costituita dallo Stato nazionale, autonomo e indipendente, affermatosi dopo il trattato di Westfalia nel 1648, che ha segnato la fine della Respubblica Christiana caratterizzata dalla soggezione, almeno formale, dei diversi regimi ai due grandi poteri universali del papato e dell’impero. Gli Stati come entità territoriali e politiche sono soggette a mutamenti, che sono meno frequenti rispetto a quelli che intervengono in altri ambiti della vita politica, ma sono sicuramente più consistenti e spesso drammatici, basta ricordare gli sconvolgimenti che hanno caratterizzato la storia recente del’ex-Jugoslavia. Cambiando i confini muta il territorio, la comunità politica e la polity, ossia il potenziale di attuazione delle decisioni prese dagli organi politici centrali. Attraversando i confini di uno Stato, possiamo passare da una realtà democratica ad una totalitaria, da una realtà pacifica ad una violenta, da una forma di governo all’altra, essendo caratterizzata ciascuna di queste realtà da proprie regole e proprie istituzioni. Estratto della pubblicazione 14 ○ Parte I - Natura, storia e metodologia della scienza politica ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Come è cambiata la politica negli ultimi due secoli? Gli ultimi duecento anni sono stati caratterizzati da evidenti mutamenti sia nell’ambito della politics, sia della policy che della polity. Per quanto riguarda la politics, seppur possiamo affermare che si è registrata una forte affermazione della democrazia anche in aree del mondo che generalmente sono state sottoposte a regimi dittatoriali (America Latina, Asia ed in parte anche in Africa), dall’altro lato non si può ignorare un aspetto precoccupante e cioè la sempre minore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e la sempre minor fiducia nelle istituzioni democratiche. Sul piano della policy, è opportuno far notare che dopo uno sviluppo, che sembrava inarrestabile, del welfare State, oggi, assistiamo ad un suo ritrarsi. Sul piano della polity, invece, da un lato abbiamo assistito all’affermazione e sempre maggiore diffusione dell’entità Stato nazionale, dall’altro fenomeni come l’integrazione europea, e la nascita di altri organismi sovranazionali che hanno messo in luce una tendenza alla limitazione della sovranità degli Stati a favore di comunità politiche sovranazionali a più ampio respiro. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 4. IL CONTRIBUTO DELLA SCIENZA POLITICA ALLA CRESCITA DELLA SOCIETÀ Dall’immediato dopoguerra si dichiara che il fine della scienza politica deve essere quello di produrre una conoscenza utile per l’uomo politico oltre che essere capace di operare una previsione politica. Possiamo dire che la scienza politica ha raggiunto tale obiettivo e si è quindi imposta come una disciplina politicamente rilevante? I pareri sono vari e talvolta discordanti. La scienza politica ha saputo documentare in modo convincente l’importanza delle variabili politiche nelle collettività organizzate. Oggi, più che in passato, sembra esserci bisogno di tale disciplina per continuare a scandagliare la sempre più complessa realtà politica. Pur riconoscendo tutti i meriti alla scienza politica sono ancora in molti gli studiosi che ritengono che i politologi (e in generale la loro disciplina) non sono riusciti ad avere un’influenza politicamente rilevante. Secondo DELLA PORTA quella stessa base di conoscenze che la «materia» politica dovrebbe mettere a disposizione di politici e pubblico è stata carente per la mancanza di una serie aggiornata di dati empirici nei diversi settori, ma anche per i limiti dei finanziamenti della ricerca, soprattutto in Italia. Glossario Filosofia politica: la (—) è lo studio e l’analisi di tutto ciò che riguarda le attività dell’uomo in qualche modo legate alle cose dello Stato. Estratto della pubblicazione Capitolo I - Lo studio scientifico della politica 15 Uno dei problemi fondamentali della (—) è il rapporto tra politica e morale o meglio tra potere e morale. La politica — o potere — e la morale hanno in comune il dominio dell’azione umana, e si distinguono solo in base al diverso criterio di valutazione di tale azione: ciò che si deve fare secondo morale non necessariamente corrisponde a ciò che si deve fare secondo politica; e viceversa. Il primo che esplicitamente separò i due campi fu Machiavelli; il quale specificò che la politica, o meglio la gestione del potere, era a-morale (cioè privo di morale ma non immorale): perché il suddito viva bene, il Principe deve fare tutto ciò che è possibile, anche mentire ed uccidere; ed è così che si può spiegare la massima, ormai famosa, «il fine giustifica i mezzi». Si è parlato di politica come potere, perché un altro problema di cui da sempre si è occupata la (—) è proprio la definizione della politica come «l’insieme di mezzi che permettono di ottenere gli effetti voluti»: così era per Aristotele quando nel suo trattato, intitolato non a caso Politica, tenta di definire non soltanto le funzioni dello Stato, le sue forme di governo, le partizioni dello stesso, ma formula anche ipotesi per una migliore gestione delle cose della città. Hobbes, influenzato in parte dalle guerre di religione del suo periodo, teorizza la necessità di un potere, per la gestione della cosa pubblica, nelle mani di un unico individuo, un Sovrano assoluto (dal latino absolutus che vuol dire sciolto da ogni vincolo nei confronti dei sudditi). Rousseau, nel XVIII secolo, momento cruciale per la Francia, afferma la necessità di una volontà generale al fine di tutelare la vita dello Stato. Per arrivare all’epoca contemporanea dove il termine ha ripreso il suo originale significato indicando, quindi, lo studio e l’analisi, non solo dello Stato in senso lato, ma di tutto ciò che riguarda il pubblico, incluso problemi di natura sociale ed economica. Hobbes, Thomas (1588 – 1679): filosofo empirista inglese, considerato il maggiore teorico dell’Assolutismo. Come egli spiega nella sua opera più celebre, il Leviatano (1651), la nascita dello Stato è legata al desiderio degli uomini di uscire da un originario “stato di natura” al fine di tutelare il proprio fondamentale diritto alla vita. Nello stato di natura, infatti, dal momento che tutti godono della stessa libertà di affermare il proprio diritto alla vita e ai mezzi necessari per difenderla e sostenerla, anche a scapito degli altri, vige una condizione permanente di lotta di tutti contro tutti (espressa dalla formula latina homo homini lupus). Tale lotta, in assenza di un potere superiore in grado di disciplinarla, si risolve in una costante minaccia proprio alla vita e ai beni. Per far fronte a tale situazione gli uomini decidono di trasferire la propria sovranità a un soggetto esterno, lo Stato appunto, conferendo ad esso la pienezza del potere e lasciandolo completamente libero di esercitarlo nei modi da esso ritenuti più opportuni. Questo potere deve necessariamente essere assoluto, cioè non limitato da alcun altro potere o principio, proprio perché solo in tal modo esso può assolvere alla sua fondamentale funzione di mantenimento dell’ordine, anche laddove questo ordine dovesse rivelarsi moralmente ingiusto. Locke, John (1632 – 1704): è il principale teorico del liberalismo. Nei due Trattati sul governo (1690), riprendendo i concetti cardine del giusnaturalismo – l’esistenza di un primitivo stato di natura e l’origine contrattualistica dello Stato – Locke sostiene per primo l’esistenza di alcuni diritti inviolabili dell’individuo: il diritto alla vita e il diritto di proprietà. Tali diritti caratterizzano lo stato di natura, all’interno del quale essi sono minacciati solo dalle cattive inclinazioni di qualcuno. Il patto che segna la nascita dello Stato si giustifica quindi con l’esigenza di una loro migliore tutela. Proprio perché nasce con questo scopo preciso, lo Stato teorizzato da Locke non è titolare di un potere assoluto (come invece 16 Parte I - Natura, storia e metodologia della scienza politica accade per Hobbes), bensì si presenta come Stato costituzionale, legittimo fino a che rispetta i diritti inalienabili e inviolabili dei suoi cittadini. Machiavelli, Niccolò (Firenze, 1469 – 1527): filosofo, politico e storico italiano. Tra le sue opere maggiori sono i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513), Il Principe (1513), Dell’arte della guerra (1519 – 1520), le Istorie fiorentine (1520). Osservatore attento della realtà effettuale, degli uomini e delle forme di governo, Machiavelli si sforzò di individuare, ad uso dei governanti e attraverso la costante comparazione con gli esempi del passato, i modi in cui si acquisisce il potere, come lo si conserva e come lo si perde. Nella sua analisi la politica si presenta come un’arte, una tecnica, del tutto autonoma dalla morale cui, secondo uno schema di derivazione aristotelico-tomistica, era stata legata nei secoli precedenti. Proprio per la sua concezione della politica come dimensione autonoma, all’interno della quale trovano giustificazione anche gli inganni e i raggiri cui talvolta i governanti sono costretti per il “mantenimento dello Stato” – espressi dalla celebre formula “il fine giustifica i mezzi” – Machiavelli è considerato il padre di una nuova etica realistica. Norma giuridica: nel linguaggio giuridico tradizionale, la norma è definita come un comando generale ed astratto rivolto a tutti i consociati, con il quale si impone una particolare condotta, sotto la minaccia di una sanzione. Caratteristiche della norma sono la generalità e l’astrattezza, in quanto suscettibili di applicazione a un numero indefinito di casi e a un numero indeterminato di destinatari. Dal punto di vista strutturale la norma si compone di due elementi: il precetto, cioè il comando contenuto nella norma e la sanzione, cioè la minaccia di una punizione in caso di inosservanza del precetto. Ordinamento giuridico: il concetto di (—) è stato elaborato dalla teoria generale del diritto in tempi relativamente recenti ed assume un’importanza centrale in numerose teorie del diritto contemporanee, in particolare in quelle che definiscono il diritto come ordinamento normativo. L’(—) può essere definito come l’insieme di norme giuridiche individuate da altre norme giuridiche (dette norme di struttura o metanorme). Le metanorme di un (—), dunque, stabiliscono quali norme si considerano parte di quell’ordinamento e, quindi, sono giuridiche. Nella teoria dell’(—) la metanorma è detta norma superiore, (o di livello superiore) mentre la norma derivata è chiamata norma inferiore (o di livello inferiore). Normalmente si afferma anche che tra norme di livello diverso si stabilisce un rapporto gerarchico, quando le norme di livello superiore dispongono un’autorità e una procedura per la creazione di altre norme e non possono essere da queste ultime modificate. Un concetto basilare nella teoria dell’(—) è quello di validità: le norme giuridiche si ritengono valide quando appartengono all’(—) in base ai criteri di appartenenza fissati da quest’ultimo nelle metanorme. Si discute circa i caratteri che necessariamente un (—) deve avere per la sua esistenza. Se, in base ad una prospettiva normativa, si considerano le norme e l’ordinamento un complesso di ragioni volte a giustificare le scelte di comportamento, l’(—) può dirsi esistente qualora trovi posto in tale ragionamento giustificativo, indipendentemente dal fatto che l’ordinamento sia usato dai consociati o sia tra i motivi per cui i consociati compiono effettivamente le loro scelte d’azione. La prospettiva sociologica e storica, invece, considera esistente un (—) solo qualora sia dotato di una certa effettività nella realtà sociale. Estratto della pubblicazione Capitolo I - Lo studio scientifico della politica 17 Alcuni teorici e giuristi, infine, individuano nella coerenza e nella completezza i caratteri essenziali di un (—) vero, sebbene l’opinione prevalente preferisce considerare la coerenza e la completezza solo caratteristiche a cui i diritti positivi possono tentare di avvicinarsi, magari utilizzando norme di chiusura. Polis greca: con tale termine si indica la particolare forma di organizzazione del potere che caratterizza le città-stato greche tra XVIII e XVII secolo a.C. Nel tempo tale organizzazione è stata assunta come modello ideale di democrazia diretta, dal momento che all’interno della polis il potere era esercitato collegialmente da tutti i cittadini liberi, cioè dai proprietari terrieri. Gli organi della polis sono infatti un’Assemblea (che prende diverso nome a seconda delle diverse città), di cui fanno parte appunto tutti i cittadini liberi: essa ha potere legislativo, sceglie i membri del Consiglio e i magistrati e al suo interno le decisioni sono prese a maggioranza; un Consiglio, un collegio ristretto che ha il compito di organizzare i lavori dell’Assemblea; i Magistrati, cittadini scelti incaricati di eseguire compiti di pubblico interesse. Il numero dei membri dell’Assemblea e del Consiglio, nonché la durata in carica dei magistrati dipendono dall’organizzazione delle singole città. Politiche pubbliche: l’insieme di scelte ed azioni compiute dal decisore pubblico per la soluzione di problemi di rilevanza collettiva. Spesso si traducono in leggi e provvedimenti amministrativi. Stato nazionale: essendo lo Stato un’entità sia politica che geopolitica e la nazione un’entità culturale o etnica; lo Stato nazione (o nazionale) implica la loro coincidenza geografica. In uno Stato nazione i cittadini condividono lingua, cultura, costumi, religione e altri valori diversamente da quanto può accadere in altri modelli istituzionali. Teocrazia: Etimologicamente il termine significa «governo di Dio» ed indica un ordinamento politico in cui il potere è esercitato da uomini (sacerdoti, profeti) che si dichiarano investiti direttamente del mandato divino e che, conseguentemente, identificano il potere politico con quello religioso. La salvezza spirituale dei fedeli è l’obiettivo fondamentale di un regime teocratico e ciò comporta, a differenza del cesaropapismo, una subordinazione degli interessi temporali a quelli spirituali. Esempi tipici di governi teocratici furono nell’antichità quelli dei giudici e dei sommi sacerdoti per il popolo ebreo, il Lamaismo nel Tibet e, in occidente, quello realizzato dal papato tra la fine dell’XI e l’inizio del XIV secolo. Il regime papale venne meno nel secolo XVI, con la riforma protestante. Welfare State: rappresenta il modello si Stato verso cui tendono i sistemi democratici dell’Europa occidentale. Caratteristica precipua dello Stato sociale è l’azione politica finalizzata alla rimozione delle disuguaglianze di fatto esistenti nella società, al fine di realizzare i presupposti per conseguire l’eguaglianza sostanziale fra i cittadini. Esso si propone come Stato interventista, partendo dal presupposto che ostacoli di ordine economico e sociale possono frapporsi al godimento dei diritti civili e politici, alla effettiva e concreta partecipazione dei consociati alla vita pubblica e alla gestione del potere. Tale tipo di Stato si distingue per i seguenti caratteri: tutela della libera, sicura e dignitosa esistenza di tutti i cittadini (attraverso il riconoscimento del diritto al lavoro); garanzia della piena occupazione e suo mantenimento; intervento statale nel sistema economico, a favore di tutti i cittadini. Dal punto di vista istituzionale lo Stato sociale si presenta come un’integrazione dello Stato di diritto, nel rispetto della tradizionale ripartizione dei poteri, dell’assolutezza dei diritti di libertà, del valore primario della legge. Estratto della pubblicazione CAPITOLO SECONDO ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DELLA SCIENZA POLITICA Sommario: 1. Introduzione: oggetto e metodo di studio. - 2. La preistoria della scienza politica. - 3. La scienza politica contemporanea. 1. INTRODUZIONE: OGGETTO E METODO DI STUDIO La scienza politica nasce come forma di pensiero filosofico all’interno delle altre scienze sociali e diventa disciplina autonoma solo alla fine del XIX secolo. Non è possibile individuare una data precisa cui far risalire la nascita della scienza politica perché l’interesse per la politica risale alla «notte dei tempi». È altrettanto difficile delinearne l’evoluzione storica per l’intreccio con altre discipline che pur indagano la politica. Tale evoluzione deve essere tracciata in riferimento al suo oggetto (che cosa è la politica) e al suo metodo di studio (che cosa è scienza) che, nel caso della scienza politica, sono paradigmi che vengono continuamente ridefiniti. Si è soliti individuare una scienza politica in «accezione più ampia» e in «senso stretto». Nel primo caso si fa riferimento a qualsiasi studio dei fenomeni, delle strutture e delle dinamiche politiche condotto con rigore e sistematicità su un accurato esame dei fatti ed esposto in maniera razionale e attraverso un lessico appropriato. Secondo questa prima accezione la scienza politica ha una storia lunghissima che vede i suoi albori nel IV secolo a. C. e trova in Aristotele (vedi infra) uno dei suoi padri fondatori. In senso stretto, la scienza politica designa un’area ben individuata di studi specializzati che, seguendo il principio di verificazione come criterio di validità, la spiegazione come scopo e l’avalutatività come presupposto etico, producono una descrizione del mondo politico fondata sull’adozione di metodi e tecniche di ricerca di taglio eminentemente quantitativo. Estratto della pubblicazione Capitolo II - Origine ed evoluzione storica della scienza politica 19 2. LA PREISTORIA DELLA SCIENZA POLITICA Lo studio della politica come scienza empirica è un fenomeno recente anche se non si possono ignorare secoli di studi che hanno assunto come oggetto privilegiato della loro indagine la politica. L’espressione «preistoria della scienza politica» intende far riferimento proprio a tali studi, quelli che fin dal IV secolo a.C. hanno posto al centro della riflessione il problema delle relazioni tra governanti e governati, ovvero il rapporto comando-obbedienza. In tempi antichissimi già si comincia a distinguere tra problemi di valore e analisi oggettive della realtà e nello stesso tempo si preferisce l’osservazione dei fatti al metodo deduttivo. Studiosi e pensatori come Aristotele, Platone, Cicerone, Machiavelli, Hobbes, Bodin, Locke, Hume, Rousseau, Montesquieu, Kant hanno poi dato un contributo inestimabile alla scienza politica moderna e contemporanea: — Platone, è uno dei primi filosofi politici che intraprende la ricerca della «migliore forma di governo». Formula la teoria di uno Stato ideale, simile ad un corpo umano ove la testa è rappresentata dai filosofi, le braccia dai guerrieri, lo stomaco dal popolo. Il suo pensiero non può essere considerato scientifico perché le sue teorie sono frutto di giudizi di valore, piuttosto che di una oggettiva ricerca; — Aristotele come Platone incentra le sue analisi sulla ricerca della migliore forma di governo e dello Stato ideale, ma lo fa attraverso l’osservazione dei fatti e attraverso un metodo sperimentale. Nella sua opera Politica descrivendo i regimi politici esistenti al suo tempo anticipa la classificazione delle forme di Stato; — Machiavelli. Se Aristotele pose il primo elemento della scienza politica, ossia il metodo dell’osservazione, Machiavelli pose il secondo, il metodo oggettivo, slegato cioè da vincoli morali; può essere considerato, inoltre, l’ideatore di un metodo di comparazione storica, molto importante per la scienza politica; — Bodin, giurista di professione, combina ragionamenti giuridici con riflessioni sociologiche. Concorre allo sviluppo delle teorie sulla sovranità, ma pur privilegiando il metodo dell’osservazione i suoi scritti sono infarciti di giudizi di valore che lo allontanano dalla moderna concezione di scienza. — Montesquieu ha cercato di distinguere, partendo da un’analisi di se stesso, il cittadino coinvolto moralmente e politicamente dall’osservatore Estratto della pubblicazione 20 Parte I - Natura, storia e metodologia della scienza politica scientifico, che si sforza di raggiungere l’oggettività totale. Predilige il ragionamento induttivo a quello deduttivo. Egli usa ampiamente il metodo dell’osservazione su base geografica, e alla comparazione nel tempo preferisce quella nello spazio. La scienza politica classica si basa su quattro postulati di base: 1) concepire il potere come un elemento costante ed ineliminabile in tutte le forme di vita associata; 2) ritenere la sete di potere una delle spinte più forti della natura umana in ogni epoca e in ogni latitudine; 3) interpretare la disuguaglianza nella distribuzione del potere politico come la differenziazione più rilevante da cui deriva ogni altro tipo di disuguaglianza sociale o economica; 4) descrivere la politica come un’incessante lotta per acquisire una posizione di preminenza sugli altri. 3. LA SCIENZA POLITICA CONTEMPORANEA Lo sviluppo della scienza politica contemporanea può essere affrontato in relazione a quattro distinti periodi storici. A) Primo periodo (fine ’700- ultimo quarto dell’Ottocento) Nel primo periodo, dalla fine del Settecento all’ultimo quarto dell’Ottocento, si gettano le basi per la moderna scienza politica: la disciplina tende ad accreditarsi come conoscenza concreta della realtà, fondata non su opinioni, preferenze e aspettative ma sull’individuazione di condizioni, condizionamenti e rapporti oggettivi tra fenomeni (SOLA). Protagonisti di questo periodo sono, in America, Madison, Hamilton, Jefferson, e in Europa Saint-Simon, Comte, il «fondatore» del Positivismo e il primo a sostenere la necessità di un metodo scientifico per l’analisi dei fenomeni sociali; Tocqueville la cui opera politica, Democrazia in America, segna il passaggio da un’ osservazione sistematica ad una empirica; Stuart Mill e Marx, quest’ultimo, che segna il passaggio dal socialismo utopico al socialismo scientifico, apporta alla scienza politica una nuova concezione e spiegazione del fenomeno «potere» basato sull’eguaglianza genetica ed economica degli individui. Capitolo II - Origine ed evoluzione storica della scienza politica 21 B) Secondo periodo (dal 1870-75 al 1920) Il secondo periodo, dal 1870-75 al primo ventennio del Novecento, è caratterizzato dalla nascita delle prime riviste specializzate di scienza politica e dall’istituzione delle prime cattedre universitarie. Nel 1871 nasce a Parigi l’école libre des sciences politiques; nel 1874 a Firenze sorge la Scuola di scienze politiche; nel 1880 a New York viene fondata la School of Political Science presso la Columbia University. Sono gli anni in cui la scienza politica afferma la sua piena autonomia e prende le distanze dal diritto costituzionale e dall’economia, mentre non riesce a svincolarsi del tutto dalla sociologia, come dimostrano gli studi di Weber, Pareto, Durkheim. C) Terzo periodo (Primo dopoguerra) Il terzo periodo che corrisponde agli anni tra le due guerre mondiali (1919-1939) è caratterizzato in Europa da un arretramento della scienza politica a seguito dell’instaurazione di regimi dittatoriali, mentre, negli Stati Uniti, il consolidarsi delle istituzioni democratiche favorisce una sempre maggiore diffusione della disciplina. L’università di Chicago diventa la sede più importante della politologia americana. In questi anni si allargano gli orizzonti della Scienza politica che non ha più come oggetto di studio solo il potere o lo Stato ma anche i partiti, le amministrazioni locali, i gruppi di interesse e di pressione; si presta attenzione alla raccolta di dati quantitativi circa il comportamento elettorale, si analizzano il nazionalismo e la propaganda. Sono gli anni degli studi di Ortega y Gasset, Mannheim, Schmitt, Ferrero, Gramsci, Merriam. Il concetto di potere Il Potere in senso politico e giuridico indica la capacità di un soggetto di determinare la condotta di altri soggetti o gruppi e ottenerne l’obbedienza. Il concetto ha subìto molteplici trasformazioni storiche e diverse giustificazioni. Platone nella Repubblica considera il potere estrinsecazione della conoscenza e ne affida l’esercizio ad una classe di re-filosofi, gli unici che, in quanto depositari dell’idea del bene, del vero e della virtù, sono in grado di indirizzare gli uomini (facili prede dei propri istinti e di opinioni fallaci) al bene generale. In tale ottica il potere si legittima in quanto espressione di ordine sociale e morale. Estratto della pubblicazione 22 Parte I - Natura, storia e metodologia della scienza politica Aristotele ritiene necessario che le leggi, che governano la società, tengano conto delle diverse opinioni e dei contrastanti interessi degli uomini. L’esigenza di porre dei limiti e dei controlli all’esercizio del potere ed evitare una sua degenerazione in abuso e tracotanza, viene avvertita anche da Cicerone, per il quale esso deve ispirarsi ad un criterio di giustizia universale. Con l’avvento del Cristianesimo, la concezione del potere viene relativizzata. Nessuna istituzione sociale o politica è depositaria assoluta dei valori di verità e giustizia, che invece attengono al mondo della coscienza, perennemente tesa alla salvezza eterna. Dio informa di sé tutte le cose e l’ordine della città terrena è il riflesso dell’ordine celeste. Anche il potere temporale di imperatori e re deriva da Dio e per questo ogni cristiano deve obbedienza ai sovrani. Fu nel XVI secolo che emersero teorie politiche più realistiche sulle prerogative e le attribuzioni del potere. Secondo Machiavelli l’ordine sociale non si fonda su equilibri prestabiliti dettati dalla legge naturale e il potere non persegue necessariamente i fini prescritti dalla morale. Il potere può proporsi obiettivi diversi e la sua forza consiste nel predisporre, attraverso calcoli di utilità e valutazioni di interessi, i mezzi adeguati al perseguimento degli obiettivi prefissati. Anche per Bodin il potere si esprime senza condizionamenti. Nei Sei libri della Repubblica egli identifica il potere con la sovranità dello Stato, da cui deriva l’ordine politico e giuridico. Le tendenze assolutistiche di Bodin trovano un ordine definito nel pensiero di Hobbes; nel Leviatano egli individua nell’attribuzione allo Stato di un potere (politico e giuridico) egemonico la soluzione inevitabile per conferire alla realtà sociale il giusto assetto e superare la brutalità degli uomini insita nello stato di natura. L’obbedienza che i consociati riservano al potere dello Stato, rinunciando ai propri diritti e alle proprie libertà, è frutto di un sostanziale utilitarismo, volto a rendere possibile il sussistere della società. La posizione di Locke, espressa nei Due Trattati di Governo, è critica nei confronti dell’assolutismo. Secondo il filosofo inglese, nello Stato di natura, preesistente allo Stato politico, è già possibile una vita sociale ma manca un giudice imparziale, che risolva i conflitti tra gli individui. A ciò provvede lo Stato, il cui potere non è quindi esclusivo ed incondizionato, ma persegue l’obiettivo di garantire i diritti naturali, senza imporre alcuna rinuncia agli uomini delle proprie libertà. Il potere trova il suo fondamento in un sistema contrattualistico a cui viene affidato il compito di tutelare i diritti individuali, preesistenti alla formazione dello Stato. Per Rousseau, in particolare, il potere ha la sua legittimazione nella sovranità popolare. Allo Stato viene attribuito il compito di interpretare la volontà collettiva attraverso un sistema di norme cogenti e incondizionate. I rivolgimenti economici e sociali verificatisi nel corso del XIX secolo in seguito alla rivoluzione industriale diedero vita a numerose teorie riformiste che fondarono la legittimazione del potere sul lavoro e l’attività produttiva. Secondo Saint-Simon è legittimo il potere che ha come obiettivo lo sviluppo economico della società attuato attraverso l’impiego della scienza e della tecnica. Fourier configura un potere che, anziché reprimere o condizionare le attività sociali, intellettuali e morali degli individui, ne esalti la spontaneità attraverso l’organizzazione del lavoro. Estratto della pubblicazione Capitolo II - Origine ed evoluzione storica della scienza politica 23 Marx rifiuta sia le tradizionali teorie giustificative del potere, sia le diverse tesi riformiste. Egli considera il potere lo strumento utilizzato dalle classi dominanti per ostacolare e reprimere i tentativi di emancipazione delle classi subalterne. Allo scopo di porre fine alle discriminazioni e ingiustizie diffuse nella società divisa in classi è necessario riformare, completamente, attraverso la rivoluzione, il sistema economico e produttivo. Secondo Weber la fonte del potere è la legge, a cui sono sottoposti non solo coloro che devono obbedienza (i consociati) ma anche chi comanda. Di tale potere legittimo, Weber individua tre modelli astratti: — il potere legale (fondato sulla convinzione della legittimità di ordinamenti che espressamente definiscono il ruolo di chi governa); — il potere tradizionale (fondato sul carattere sacro del potere, che si presume esistente da sempre); — il potere carismatico (fondato sul carattere affettivo che lega il popolo ad un capo, dotato di potere eccezionale). D) Quarto periodo: la prima fase: il comportamentismo Il Quarto periodo, che coincide con la seconda metà del Novecento, può essere a sua volta ripartito in due fasi: la prima, dal 1950 al 1970 caratterizzato dal ritorno e dal consolidamento della democrazia in Europa, che apre la strada ad un nuovo sviluppo della scienza politica. Sono gli anni in cui trionfa il paradigma comportamentista. Il comportamentismo è «un approccio allo studio della politica che sottolinea la necessità di studiare il comportamento politico reale degli individui e quindi mira a spiegare tutti i fenomeni di governo in termini di comportamenti umani osservati ed osservabili» (TRUMAN). Gli esponenti di tale corrente cercano di bandire la storia per privilegiare metodi di ricerca più avanzati, quali la ricerca per sondaggio e le analisi quantitative del comportamento elettorale. Protagonisti indiscussi della rivoluzione comportamentista sono Simon, Key, Adorno, Lane, Easton, Dahl etc. Il modello di Easton e il comportamentismo politico Per riconoscere la scientificità della scienza politica, Easton si avvicina al comportamentismo, focalizzando le sue analisi sul comportamento degli attori politici attraverso tecniche specifiche, quali le interviste, i sondaggi, le analisi quantitative. Egli, definendo la politica come «assegnazione imperativa di valori per una società», anticipa quanti anche oggi sostengono che la politica non è una prerogativa dello Stato, che esisteva politica prima del suo avvento, e che perdurerà anche quando lo Stato, come forma di organizzazione sarà superato. 24 Parte I - Natura, storia e metodologia della scienza politica Ciò implica l’esistenza della politica a livelli inferiori a quelli dello Stato (partiti politici) e a livello superiore (organismi sovrastatali come può essere l’Unione europea). Luogo privilegiato della politica è il sistema politico attraverso il quale i valori vengono assegnati in modo imperativo per una società. Il processo di allocazione di tali valori, beni materiali e non, avviene attraverso la consuetudine, il comando politico e lo scambio, inteso come libera interazione di soggetti che negoziano tra loro. Secondo Easton un sistema per poter assolvere alle sue funzioni ha innanzitutto bisogno di una serie di immissioni (inputs) distinguibili in domande e sostegno. Le domande sono la richiesta di soddisfacimento di bisogni a coloro che decidono. Il sostegno sono i comportamenti e gli atteggiamenti che esprimono intenzioni positive rispetto al sistema. Il sistema politico si dota di regolatori di accesso (gatekeepers) che selezionano le domande che entrano nella scatola nera (black box) dove vengono prese le decisioni. I regolatori di accesso sono sia di tipo strutturale, i partiti, che culturale, ossia l’insieme di quelle norme, regole e procedure che caratterizzano la società politica. Il flusso arriva nella black box, ossia nel sistema politico, dove operano tre componenti: — la comunità politica (insieme delle persone che condividono una comune identità nazionale); — il regime (l’insieme di norme, regole, procedure e istituzioni del sistema politico, che i cittadini devono rispettare per non incorrere in sanzioni); — l’autorità (coloro che occupano ruoli di attività nel sistema politico). Dalla scatola nera, dopo un processo di elaborazione delle decisioni, vengono emesse le politiche pubbliche (outputs), che aiutano la formazione di sostegno. E) La seconda fase (1970 ad oggi) La seconda fase, dal 1970 ai nostri giorni, è caratterizzata dalla crisi del comportamentismo e dal sorgere di almeno tre paradigmi alternativi: — Il paradigma della scelta razionale colloca in una posizione centrale l’individuo che in quanto dotato di razionalità si muove ed agisce, anche politicamente, nell’intento di massimizzare il suo interesse. Partendo da tale presupposto gli studiosi ritengono di poter elaborare modelli e prevedere comportamenti in tutti gli ambiti che interessano la politica, come avviene, ad esempio, per le scelte elettorali. Secondo tale paradigma gli elettori sono da paragonare ai consumatori, che avrebbero nel mercato politico delle preferenze o utilità. I politici, invece sarebbero da assimilare alle imprese che, indifferenti al prodotto offerto, mirano solo a massimizzare il profitto. I candidati, quindi, appoggerebbero o formulerebbero qualsiasi politica che permetta loro di guadagnare il maggior numero di voti (DELLA PORTA). — Il paradigma neo-istituzionalista pone al centro dell’attenzione le istituzioni intese però non come organigramma di funzioni ma come tessuEstratto della pubblicazione