bio01073 - Giuseppe Bonghi - Biografia di Luigi Pirandello

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Giuseppe Bonghi
Biografia di Luigi Pirandello
03
Dalla narrativa al teatro
Col passare degli anni le condizioni di salute di Antonietta Portulano diventano sempre più delicate
e difficili e le sue crisi sempre più gravi; neanche l'aria e i sapori e le conoscenze della sua Girgenti le
giovano più, così dal 1916 non vi farà più ritorno. Nello stesso tempo Lietta diventa il bersaglio più
immediato del suo male. Lietta è remissiva, è rassegnata (la sua abnegazione pare quasi incomprensibile
in una ragazza della sua età), ma a un certo punto compie un gesto inaspettato che rivela al padre la sua
disperazione: tenta il suicidio – scrive Maria Luisa Aguirre -, ma il colpo di rivoltella non parte, perché
la capsula non è esplosa.
Tra un eccesso e l'altro della malattia di Antonietta, in casa si ritorna a vivere una parvenza di
serenità, Lietta riacquista una certa forza d'animo che le consente di affrontare i duri momenti degli
accessi della malattia: è l'atmosfera che viene descritta nel romanzo Quaderni di Serafino Gubbio
operatore: il timido Cavalena,
Egli è medico e sa che questa gelosia feroce è una vera e propria malattia mentale, una forma di pazzia
ragionante. Tipica, tipica forma di paranoja, anche coi delirii della persecuzione. Lo va dicendo a tutti.
Tipica, tipica! Arriva finanche a sospettare, la sua povera Nene, ch'egli voglia ucciderla per appropriarsi,
insieme con la figliuola, del denaro di lei! Ah che vita beata, allora, senza di lei... Libertà, libertà: una
gamba qua, una gamba là! Dice cosí, povera Nene, perché lei stessa s'accorge che la vita, cosí com'ella la fa
a se stessa e agli altri non è possibile; è la soppressione della vita; si sopprime da sé, povera Nene, con la
sua follia, e crede naturalmente che vogliano sopprimerla gli altri: col coltello, no, ché si scoprirebbe! a
furia di dispetti! E non s'accorge che i dispetti se li fa lei, da sé; se li fa fare da tutte le ombre della sua follia
a cui dà corpo. Ma non è medico lui? E se egli, da medico, capisce tutto questo, non ne segue che dovrebbe
trattar la sua povera Nene come un'inferma, irresponsabile del male che gli ha fatto e séguita a fargli?
Perché si ribella? contro chi si ribella? Egli deve compatirla e averne pietà, starle attorno amoroso,
sopportarne paziente e rassegnato l'inevitabile sevizia.
la moglie Nene malata di folle gelosia:
assalita dalle furie della gelosia, perde ogni ritegno di pudore; e innanzi a tutti, senza badar piú neanche alla
figliuola che sta a sentire, a guardare, sculaccia nude (nude, come in quelle furie le balenano davanti agli
occhi) le pretese colpe del marito: colpe inverosimili.
e la figlia Luisetta
E poi c'è la povera Luisetta, lasciata sola in quell'inferno, a tu per tu con la mamma che non ragiona...
rispecchiano in modo evidente Pirandello, Antonietta e la figlia Lietta. Inoltre c'è da pensare a Stefano,
prigioniero al fronte, a reperire e confezionare pacchi con indumenti, vettovaglie e sigarette.
E intanto, Pirandello continua a lavorare molto, e soprattutto comincia a dare largo spazio al teatro,
più che alla narrativa, anche se il tempo è abbastanza scarso visto quanto ne occorre per il suo lavoro di
insegnante. Dopo la recita di Se non così (La ragione degli altri) il 19 aprile 1915 al Teatro Manzoni di
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Milano con la Compagnia Stabile Milanese diretta da Marco Praga, con scarso successo e una sola
replica, nel 1916 comincia la vera stagione teatrale pirandelliana che si sviluppa con questo quadro
presentato in Appendice.
Col 1916 comincia quindi la grande carriera teatrale di Pirandello con Pensaci, Giacomino! e Liolà.
Così scrive di Liolà al figlio Stefano: È dopo Il fu Mattia Pascal la cosa mia a cui tengo di più: forse la
più fresca a viva. Già sai che si chiama Liolà. L'ho scritta in 15 giorni, quest'estate; ed è stata la mia
villeggiatura. Di fatti si svolge in campagna. Mi pare d'averti già detto che il protagonista è un
contadino poeta, ebro di sole, e tutta la commedia è piena di canti e di sole. È così gioconda, che non
pare opera mia.
Gaspare Giudice nella sua biografia pirandelliana pubblicata dalla Utet, così la ambienta nella vita
dell'autore e nel particolare panorama sia personale che politico-sociale del tempo:
"Liolà è l'unica invenzione di quei giorni, in cui l'autore tenti di evadere dalla presente disperazione. Scritta
fra il pensiero continuo della prigionia del figlio, la follia della moglie e il pozzo profondo in cui dirà di
avere immaginato Così è (se vi pare), rivela, ancor più di ogni altra opera e di ogni altra testimonianza, la
possibilità che lo scrittore aveva di chiudersi ermeticamente in un suo mondo privato, di fantasia. In Liolà,
opera-villeggiatura, egli chiama a raccolta le cose serene della sua vita: qui (come non era avvenuto ne I
vecchi e i giovani) gli riesce di recuperare felicemente il tempo perduto della campagna della sua
fanciullezza e, nel personaggio contadino, il processo veloce e innocente dei movimenti istintivi
dimenticati; come anche, per una volta, riesce a ricreare immediatamente l'esperienza rasserenante della
lettura di certi classici per esempio della commedia rusticana umanistica. E certo, anche in quest'opera,
sono in fondo l'amarezza e lo scetticismo che dettano le altre commedie contemporanee, ma qui, quel
sentimenti rimangono come involontari, segreti all'autore, sotto la pelle del suo personaggio vivo".
Comincia così una attiva collaborazione, destinata a durare negli anni, con l'amico Nino Martoglio
e l'attore Angelo Musco col quale spesso i rapporti saranno difficili, e lo erano diventati già a partire
dalla rappresentazione di Pensaci, Giacomino!, perché Pirandello era preoccupato soprattutto dal fatto
che Musco, abbandonandosi alla sua irresistibile comicità, spesso sfrenata e volgare, trascinava il
pubblico nel gioco della farsa allontanandolo dalla comprensione vera del dramma che anima i suoi
personaggi: in qualche caso i rapporti sono stati veramente tempestosi, tanto che il Pirandello qualche
volta lo minaccia di ritirargli il permesso di rappresentare il suo teatro, e una volta lo attuerà anche per
qualche mese; la tempestosità di questi rapporti rischierà di rompere perfino l'amicizia quasi fraterna che
aveva per Martoglio.
Più collaborativi e sereni saranno i rapporti con un altro degli attori importanti dell'epoca,
sicuramente uno tra i più grandi, Ruggero Ruggeri, che porterà sulla scena opere importanti già dalla
prima fase della produzione teatrale pirandelliana, a partire dal 1917 con Il piacere dell'onestà,
rappresentata per la prima volta il 27 novembre al Teatro Carignano di Torino insieme a Vera Vergani
nella parte di Agata (è la commedia che verrà scelta come rappresentazione a Stoccolma nel 1934 in
occasione dei festeggiamenti per la consegna a Pirandello del premio Nobel): la commedia fa leva
soprattutto sul paradosso e sull'anormalità, ma già vi si avverte il conflitto tra realtà e apparenza e tra la
vita e le forme che vengono messe in evidenza nello svolgimento della vicenda insieme alla vera natura
dei personaggi nel bene come nel male: un grande successo, ovunque viene rappresentata, perché mette
in risalto le capacità dell'attore principale della compagnia.
Il piacere dell'onestà - Agata, una ragazza di buona famiglia, ha una relazione segreta con il marchese
Fabio Colli, che vive separato dalla moglie; ma il segreto amore sta per essere svelato perché la ragazza
rimane incinta. Per evitare lo scandalo, bisogna trovare un marito di comodo che salvi le apparenze, sposi
Agata, dietro lauto compenso, e permetta che la tresca possa continuare indisturbata. Viene così trovato un
uomo che sembra proprio quello giusto: Angelo Baldovino, un povero e un fallito nella vita, che non gode
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di alcun credito. Ma le cose non vanno come i due amanti avevano prospettato: Baldovino, che per la prima
volta sente di avere un compito serio da assolvere, si rivela un uomo integerrimo e si appresta a recitare la
parte del marito fino in fondo: Sposerò per finta una donna; ma sul serio io sposo l'onestà, ottenendo
innanzitutto che tutti stiano ai patti che stanno per essere stipulati, secondo un rigido rigore morale che
mette tutti in difficoltà. Smascherando, di fronte ad Agata, una trappola tesagli da Fabio Colli, che l'avrebbe
fatto passare addirittura per ladro, Baldovino si dice pronto ad andarsene, anche pensando al bene del
nascituro. A questo punto tutti lo pregano di restare; in particolare Agata che comincia a dimostrare per lui
un senso di profondo rispetto e una crescente insofferenza per Fabio che si è rivelato meschino nella sua
mediocrità e disonestà.
Sempre nel 1917, il 18 giugno, era stata messa in scena al Teatro Olimpia di Milano Così è (se vi
pare), tratta dalla famosa novella La signora Frola e il signor Ponza suo genero, dalla compagnia di
Virgilio Talli, reputato da Nino Martoglio il solo capocomico capace di comprenderne l'alto significato,
con Maria Melato nella parte della signora Frola, Annibale Betrone in quella di Laudisi e Ruggero Lupi a
rappresentare il signor Ponza. È un grande successo, come scrive lo stesso Pirandello alla sorella Lina,
non dico per gli applausi, ma per lo sconcerto e l'intontimento e l'esasperazione e lo sgomento
diabolicamente cagionati al pubblico. L'opera verrà pubblicata nel 1925 rinnovata profondamente in
molte battute e arricchita nelle didascalie, anche sulla scorta delle esperienze teatrali che era venuto
facendo in quegli anni: in questa nuova veste verrà allestita nel 1925 dallo stesso Pirandello con la
Compagnia del Teatro d'Arte e gli attori Marta Abba, Lamberto Picasso ed Egisto Olivieri, e toccherà le
ottanta repliche nei tre anni in cui la Compagnia rimase unita.
Pirandello definisce la sua nuova commedia una "parabola" che ha per tema la verità, da tutti
affannosamente cercata sin dall'inizio, ma da nessuna nemmeno avvicinata: è il dramma della
inconoscibilità prima ancora che della follia: anzi, la follia è la manifestazione esterna di questa
impossibilità di conoscenza. Una grande Maria Melato (cui dedicherà la commedia con le parole: «A
Maria Melato per la sua passione d'arte, fatta d'amore, di dolore, di poesia» e che sarà interprete di altri
grandi drammi pirandelliani) impersona la parte della signora Frola:
Così è (se vi pare) - A Valdana arriva il signor Ponza con la moglie e la suocera, ma prende in affitto due
appartamentini, anziché uno solo, come la gente si sarebbe aspettata. La suocera vive sola e sembra
addirittura che non possa nemmeno andare a casa della figlia ma può comunicare con lei unicamente
attraverso dei bigliettini portati a destinazione attraverso un panierino calato giù dalla finestra. Le
supposizioni e i pettegolezzi sullo strano rapporto fra la coppia di sposi e l'anziana signora, che evita ogni
contatto coi vicini, sono sulla bocca ormai di tutti i valdanesi. Quasi costretto dalla moglie e dalla figlia e
spinto dalla curiosità generale, che rischiava di creare anche qualche problema, il superiore del signor
Ponza induce a fargli visita la signora Frola che davanti a tutti racconta la sua penosa e triste storia: tutti i
familiari suoi e del genero sono morti durante il terremoto e questi, addolorato, impedisce a tutti, anche a
lei, alla madre, di vedere la moglie. Ma appena uscita la signora Frola, entra il signor Ponza che subito
avverte che la signora è pazza: la povera donna ritiene che la figlia sia viva ed invece è morta da quattro
anni, e lui, con l'aiuto altruista e nobile della seconda moglie è ricorso allo stratagemma della gelosia per
evitare di farle provare il grande dolore che la perdita della figlia le avrebbe causato. Uscito il signor Ponza,
però, rientra la signora Frola, che smentisce il genero dando la sua versione dei fatti. L'enigma non si
scioglie nemmeno con l'ingresso sulla scena di Giulia: Io sono sì la figlia della signora Frola ... ma anche
la seconda moglie del signor Ponza ... e per me nessuna! La risata finale di Laudisi (il Pirandello sulla
scena) suggella il mancato svelamento della identità della signora Frola come contrappunto dello
svelamento della miseria umana del pettegolezzo e della curiosità superficiale della società.
Nello stesso mese di giugno, il 27, viene allestita al Teatro Nazionale di Roma, dalla Compagnia di
Angelo Musco, in dialetto siciliano, la commedia 'A birritta cu' i cincianeddi, che verrà rappresentata per
la prima volta in italiano il 15 dicembre 1923 al Teatro Morgana di Roma dalla Compagnia di Gastone
Monaldi e fu replicata per tre sere: non ebbe un grande successo, ma non fu nemmeno un fiasco; ai più
sembrò un ritorno alle origini dell'arte pirandelliana, un momento di stasi.
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Ancora due piccoli fatti interessano il 1917. Il primo è la partenza di Fausto per la visita di leva col
rischio di dover partire militare, mentre Stefano è ancora prigioniero: viene fatto abile ai servizi
sedentari, sebbene soffra di una grave forma di enterocolite. Pirandello deve partire per Firenze, dove lo
raggiunge il figlio, e brigando ottiene il suo ricovero all'Ospedale di Santa Maria Nuova. Dopo tante
ansie e trepidazioni, finalmente Lulù (come affettuosamente lo chiama il padre) viene fatto rivedibile ed
ottiene una licenza per tornare a casa, dove la situazione comunque è sempre tristemente dolorosa.
Il secondo fatto riguarda il trasloco: la casa abitata per tanti anni deve essere lasciata: il villino è
stato venduto e il proprietario per propria abitazione ha scelto appunto le stanze in cui si trovava
Pirandello. Dopo qualche ricerca, nel marzo 1918 va ad abitare al n. 12 di via Pietralata (ora G.B. De
Rossi) nel villino Ciangottini.
Il 1918 è un anno pieno di lavoro, di un po' di contentezza (il ritorno del figlio Stefano dalla
prigionia nel mese di Novembre) e di molto successo nel campo del teatro: ormai la strada è segnata, il
nome è conosciuto, le grandi compagnie portano nei maggiori teatri italiani la sua opera che non lascia
mai indifferenti gli spettatori. Cominciata già nell'agosto del '17, fino a febbraio è alle prese con Ma non
è una cosa seria, una commedia che viene letta in marzo dall'autore in casa di Giulio Torlonia, presenti
insieme al Duca Poli, Nino Martoglio, Guasti (Direttore della Compagnia Guasti-Galli-Bracci) e Dina
Galli: ai presenti piace e il Guasti si impegna a metterla in scena; ma dopo circa un mese il manoscritto
viene respinto al mittente con generiche scuse. Sabatino Lopez presenta l'opera prima alla Compagnia
Talli, che la rifiuta, e poi suggerisce al Pirandello Emma Gramatica che ne sarà la prima interprete. La
commedia, che ha le sue radici nelle novelle La signora Speranza del 1902 e Non è una cosa seria del
1910, viene rappresentata per la prima volta il 22 novembre al Teatro Rossini di Livorno dalla
Compagnia di Emma Gramatica, che riveste la parte di Gasparina, con Camillo Pilotto in quella di
Memmo Speranza e Aristide Arista in quella di Barranco.
Ma non è una cosa seria - antefatto: Memmo Speranza, un incallito dongiovanni, prende la singolare decisione di
prender moglie per evitare di sposarsi e quindi evitare quelle disavventure dolorose che potrebbero essere funeste, come
l'ultima che gli era capitata con un mancato cognato, col quale si era battuto a duello ed era rimasto gravemente ferito
scampando per miracolo alla morte. La convalescenza è durata due mesi.
primo atto
sala da pranzo della Pensione
Torretta in una città qualsiasi
dell'Italia settentrionale
Memmo Speranza è tornato alla Pensione, dove era solito consumare i suoi pasti, e
festeggiare con alcuni amici e due donnine allegre (Loletta e Fanny) lo scampato
pericolo. Durante il pranzo Memmo annuncia agli amici di aver trovato il rimedio
per evitare altri rischi simili a quello vissuto: sposarsi davanti alla legge ma
lasciando liberi sia se stesso che la sposa di continuare a comportarsi come prima,
come se il matrimonio non ci fosse mai stato, in modo da essere libero di continuare
ad avere tutte le donne che vuole. La prescelta è Gasparina, la proprietaria della
pensione, una donna che dimostra dieci anni più dei suoi ventisette, e bersaglio
talvolta delle battute ironiche e talvolta volgari degli avventori. Addolorato per la
proposta indecente è il maturo professor Barranco, l'unico che veramente rispetta
Gasparina, anche perché ne è segretamente innamorato, ma non trova mai il coraggio
di dichiararsi. Gasparina, per togliersi da quella vita piena di finti equivoci e di
piccole umiliazioni quotidiane, accetta di sposare Memmo.
intervallo 1 - Trascorrono due mesi dal "matrimonio per burla", celebrato in Municipio. Gasparina Torretta è andata a
vivere in una villetta con annesso giardinetto messa a sua disposizione dal marito, che però non vi ha mai messo piede,
mantenendo i patti stabiliti, non andando mai a farle visita. Nel frattempo Memmo viene a sapere che la sua ex fidanzata,
per la quale s'era battuto, è fuggita di casa dopo un alterco col fratello, durante il quale ne aveva preso le difese, e lo
attende, sempre innamorata. Si riaccende l'amore e con questo ricominciano i litigi col fratello di lei, col quale nel
frattempo ha avuto uno scontro verbale. Gasparina, intanto, dopo due mesi di riposo e di tranquillità, pare un'altra. Il
sole della villetta rustica l'ha un po' colorita. Veste benino, con grazia modesta. Ha l'aria ancora umile, ma già si sente
che la vivacità naturale comincia a rinascerle
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secondo atto
Grazioso salotto nel quartierino
da scapolo di Memmo Speranza
Memmo se la prende con gli amici, che, mentre lui era in convalescenza, non gli
hanno detto nulla di quanto stava accadendo alla sua "fidanzata" e non gli hanno
impedito la «follia» di quel matrimonio per burla, che pure era il trionfo della logica
che tutto raffredda, purifica ed idealizza, ma proprio per questo toglie agli uomini il
senso vero della vita. Caccia via Loletta, una "fiamma" di nessuna importanza.
All'improvviso viene annunciato l'arrivo della «signorina»: Memmo crede che si
tratti della "fidanzata" e invece è Gasparina, e l'accoglie con un moto istintivo
d'orrore, mentre gli amici la accolgono con risate un po' sguaiate chiamandola
Gasparotta. Memmo vorrebbe cacciarla via, ma Gasparina, tutta seria, lo supplica di
essere ascoltata. Andati via gli amici, confessa di sapere tutto e di essere lì per dirgli
che non avrebbe nulla in contrario, che sarebbe anzi contenta, se lui volesse
sciogliere il nodo di quel loro assurdo matrimonio nato tra le risa di tutti gli amici:
ora la cosa è seria e la soluzione l'ha trovata proprio il professor Barranco. Se
Memmo vuol sapere qual è la via d'uscita, non ha da fare altro che andare alla
villetta, dove il signor Barranco gliela spiegherà personalmente: vorrebbe saperla
subito, ma Gasparina si oppone.
intervallo 2 – Trascorrono tre mesi, Memmo non si è recato alla villetta perché non crede al rimedio di Barranco e i suoi
furori amorosi, come sempre gli è accaduto, sono notevolmente diminuiti. Ma Gasparina, spinta da Barranco che ormai
non nasconde più il suo amore, non sopporta più la situazione un po' assurda di quel finto matrimonio e invita con una
lettera Memmo a un incontro a tre nella villetta.
terzo atto
È il giorno fissato per la riunione a tre. Da Gasparina giungono in visita alcuni amici
che frequentavano la Pensione, la Maestrina, Rosa e il professor Virgadamo, che ha
Un'allegra stanza piena d'aria e avuto un colpo apoplettico ed ha i giorni contati. Gasparina in quella delizia di
di sole, nella villetta rustica di
campagna è diventata veramente un'altra: è come rinata e ringiovanita. Arriva per
Gasparina ... Vi sono appese le
primo il signor Barranco, che spiega la sua idea del matrimonio e cosa pensa della
tende a frange giallo d'uovo
situazione di Memmo e Gasparina, spiegando inoltre i motivi che gli hanno impedito
dell'antica Pensione smessa, ed
di rivelare prima a Gasparina le sue intenzioni; arriva poi Memmo, annunciato da
anche il divano e le poltroncine... una Rosa tutta contenta. Sulla scena restano i tre protagonisti: Gasparina è
visibilmente emozionata e Memmo appare molto sorpreso di vedersela davanti così
rifiorita, un bocconcino niente male che il suo occhio esperto di dongiovanni rivaluta
all'istante: è un'altra donna che lui conosce in quel momento, e per di più è sua
moglie. Memmo non vuol saperne di lasciarla libera, ma questo non sta più bene a
Gasparina, che non se la sente più di vivere in quella villetta a rappresentare una
parte diventata ormai amara e insopportabile, per cui rinuncia a tutti gli agi derivatile
dal "matrimonio per burla". Barranco spiega che il matrimonio in effetti è nullo
perché non è stato mai consumato, e basterebbe a dimostrarlo una semplice visita
medica: Memmo rimane molto stupito di aver sposato una donna illibata, mentre
tutti ritenevano il contrario. È un colpo di fulmine: Memmo è ripreso dalla sua follia
di amatore, fa andare via Barranco, decide di "non scherzare più", confessa di essersi
stancato della pazza vita di scapestrato condotta fino a quel momento e di dire le
cose con una sincerità che gli fa quasi paura perché ciò che prova è una sorpresa
anche per lui: per questo il matrimonio nato per burla ridiventa una cosa seria. E non
c'è più nemmeno bisogno di ripensarci, perché si trova ad esser marito senza aver più
il fastidio di prender moglie.
Sul finire dell'anno Ruggeri porta sulle scene a Roma Il giuoco delle parti, accolta freddamente,
riproponendola sia a Genova che a Torino e infine a Milano, dove fra gli spettatori si scatena un'accesa
battaglia anche di pugilato fra sostenitori e avversari.
Il giuoco delle parti - La commedia presenta un triangolo amoroso: il marito Leone Gala che «guarda e
capisce tutto punto per punto, ogni mossa, ogni gesto, facendoti prevedere con lo sguardo l'atto che or ora
farai» e dice di aver capito il giuoco della vita creando nel suo animo come un vuoto nel quale non possono
più entrare passioni e sentimenti; la moglie Silia che detesta gli atteggiamenti razionali del marito; Guido
Venanzi, amico di Leone e amante di Silia, un personaggio debole che subisce da entrambi. Leone ha
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accettato la situazione ridando piena libertà alla moglie andandosene di casa e lasciando campo libero
all'amico senza comunque venir meno al rispetto delle regole imposte al suo ruolo di marito. Ma Silia è
esasperata dalla disponibilità così assoluta e disinteressata del marito e comincia ad essere assillata dal
pensiero di liberarsene; elabora così un piano che sembra astuto e diabolico: spingere il marito a sfidare a
duello un giovane e spensierato marchese, celebre spadaccino, dal quale ritiene di essere stata offesa. Leone
accetta e manda proprio Venanzi dal Marchese a presentare la sfida nel rispetto delle regole del caso.
Venanzi detta dure condizioni, credendo di porle per Leone e non per sé, per il duello che dovrà svolgersi
fino all'ultimo sangue. Ma la mattina del duello, quando tutto è pronto, Leone si rifiuta di battersi, dicendo
che come marito ha fatto il suo dovere, ma il duello dovrà sostenerlo colui che gode di fatto le grazie di
Silia e vive con lei. A questo punto a Venanzi non resta che accettare la parte assegnatagli da destino nel
grande gioco della vita e va incontro alla morte costretto dalle regole della cavalleria. Leone ha raggiunto il
suo scopo, rovesciando il desiderio della moglie e facendo ricadere su di lei l'angoscia per una morte
imprevista che lascia le cose come prima, anzi peggio di prima: ma per lui non è una vendetta che mette
allegria.
Proprio nel 1918 Pirandello trova il titolo generale per le sue opere teatrali: Maschere nude, una
invenzione fortunata nata dalla raggiunta consapevolezza di quello che il suo teatro aveva detto e che
doveva continuare a dire. Il primo volume, pubblicato da Treves, comprendeva Pensaci, Giacomino!,
Così è (se vi pare) e Il piacere dell'onestà e veniva dedicato all'amico Ruggero Ruggeri, altro grande
interprete del suo teatro.
Ai primi di giugno Lietta, distrutta dalla malattia della madre, e poco sostenuta dalla presenza del
padre che spesso è lontano per assistere alle prove delle sue opere teatrali, fugge di casa: per tutto il
giorno girovaga per Roma; alla sera si rifugia presso il parroco di Sant'Agnese, che conosce la famiglia e
la conduce nel collegio di suore Stella Viae, pensionato per giovinette di buona famiglia sulla via
Nomentana. Pirandello rimane sgomento e capisce che la situazione ormai è insostenibile; prega la
sorella Lina di accogliere Lietta in casa a Firenze, e la ragazza vi viene accompagnata verso la metà di
luglio, in attesa che Antonietta venga internata. E l'attesa riguarda il ritorno a casa di Stefano dalla
prigionia della guerra: Pirandello vuole che il figlio, al quale erano state taciute le vere condizioni della
madre, torni in una casa che sia come l'aveva lasciata ormai da oltre tre anni. Stefano dal campo di
concentramento di Plan, in Boemia, giungerà a Trieste probabilmente il 6 novembre, dove viene
imbarcato per Ancona; qui sbarcherà rientrando finalmente in Italia il giorno 13, invierà ai suoi una
cartolina:
« da bordo del "Leopolis" nel porto di Ancona - Piccoli, sono libero! Giungo, dopo mille peripezie, da
Trieste. Dovremo fare una quarantena forse di cinque giorni, ancora non sappiamo dove. Vi supplico di non
muovervi da casa: voglio ritrovarvi lì, tutti uniti, nella santa pace di casa nostra, casa mia! [...] A presto,
piccoli, a presto! Il vostro Stenù ». (v. L. Pirandello, Maschere nude, vol. II, a cura d'Alessandro D'Amico,
Meridiani Mondadori, Milano 1993, pag. 124)
Stefano verrà chiamato a far parte di una commissione per l'interrogatorio dei prigionieri. Una
decina di giorni dopo Luigi si reca ad Ancona (tra una prova e l'altra del Giuoco delle parti) per
riabbracciare il figlio, e lo informa della grave situazione che s'era creata in casa durante la sua prigionia
e della malattia della madre: è un incontro prima lieto, poi tragicamente teso, che Stefano descriverà nelle
ultime pagine del suo romanzo Il muro di casa. Stefano ha un crollo, e nel successivo scambio di lettere
col padre propone di non ricoverare la madre e chiede che la affidassero a lui, offrendosi di vivere con
lei, in un appartamentino, separati dal resto della famiglia anche se questo avrebbe significato la rinuncia
a una sua propria vita.
Nel mese di febbraio del 1919, su consiglio dei medici, Antonietta viene internata nella casa di
salute Villa Giuseppina, sulla via Nomentana: ormai non era più soltanto ostile, ossessivamente al
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marito, ma era stata colta da una mania di persecuzione che sempre più negli ultimi anni aveva coinvolto,
come abbiamo visto il mondo familiare, fino a dubitare dell'affetto che legava Luigi alla figlia Lietta, un
affetto che le appariva come la prova di una passione incestuosa.
La sua vita non è certamente stata fortunata, anche al di là del fallimento della solfatara che l'aveva
così scossa nell'intimo: non è riuscita ad accettare l'idea di condividere il marito con l'arte e di
allontanarsi da quel quieto vivere che Girgenti le aveva riservato sin dall'infanzia, nella sicurezza di
abitudini assimilate da bambina, di un modo di pensare e di esistere in cui si sarebbe sentita protetta:
sradicata, a Roma le pesa il fardello di prendere decisioni in prima persona, di accollarsi quelle
responsabilità che nella casa paterna qualche altro si era sempre assunto per lei, a cominciare dalle
piccole cose quotidiane, sostituendo il marito che era assente per lavoro. La follia per Antonietta diventa
anche il rifugio per sfuggire alla paura di essere incapace di far fronte a questo cumulo di occupazioni
quotidiane che rappresentano il fondo dell'assennatezza e della normalità di una donna, per lo meno
all'inizio del Novecento, in cui la normalità era l'obbedienza a regole precostituite e valide per l'intera
collettività.
Quale il ruolo di Pirandello durante i lunghi anni di malattia della moglie e infine del suo ricovero?
Antonietta aveva bisogno di assistenza continua, assicurata soprattutto da Lietta e occasionalmente da
persone di fiducia: manca Pirandello, che per potersi dedicare alla moglie avrebbe dovuto tralasciare il
lavoro di insegnamento e abbandonare la sua "vocazione artistica", cosa impossibile se non altro perché
entrambi rappresentano quella fonte di guadagno indispensabile per sostentare la famiglia.
Certamente la presenza delle sue donne (la madre Caterina, la moglie Antonietta, la figlia Lietta,
l'adorata sorella Lina, diventano sfaccettature diverse di uno stesso dolore (o di uno stesso amore, il che è
in fondo lo stesso), di un affetto mai goduto fino in fondo per motivi importanti e diversissimi fra loro
(pensiamo ad esempio alla lontananza da studente a Bonn e da sposato a Roma rispetto alla madre e alla
sorella, al lavoro rispetto alla moglie, agli impegni di teatro e di lavoro rispetto a Lietta).
In quell'anno 1919, il 2 maggio, dalla Compagnia di Antonio Gandusio viene rappresentata al
Teatro Olimpia di Milano L'uomo la bestia e la virtù, «apologo in tre atti», come ebbe a definirlo lo
stesso Pirandello, scritta nei primi mesi dell'anno e pubblicata sulla rivista «Comoedia» il 10 settembre di
quello stesso anno; la commedia è tratta dalla novella Richiamo all'obbligo del 1906. Così la presenta a
Gandusio, al quale dà dei consigli preziosi per la sua messa in scena, in una lettera del 22 febbraio, che
contiene le linee interpretative dell'opera:
«Ella avrà certamente notato il riposto senso di essa, pieno d'amarezza beffarda, che la fa una delle più
feroci satire contro l'umanità e i suoi astratti valori. La comicità esteriore della favola non è che la maschera
grottescamente arguta di questa amarezza: l'avrei voluta anche, se non avessi temuto d'offender troppo il
pubblico e gli attori che debbon recitar le parti, più sguajata, per una superiore coerenza estetica. Deve
avere per forza una faccia di buffoneria salace, spinta fin quasi alla sconcezza, vorrei dire una faccia di
baldracca, questa commedia ove l'umanità è beffata così amaramente e ferocemente nei suoi valori morali.
L'espressione di questo senso riposto culmina chiara, lampante, nella scena del secondo atto, in cui l'uomo,
cioè il signor Paolino, trucca la signora Petella (nell'edizione a stampa diventa Perella, ndr.), cioè la Virtù,
come una baldracca appunto. Perché questo senso riesca esplicito, tutta l'impostazione delle singole scene,
la truccatura bestiale degli attori, in una parola, tutta la rappresentazione della commedia dev'essere
caricaturale, per modo che la commedia appaja veramente un apologo. Difficilissima è senza dubbio la
parte della Signora Petella, che dev'esser come il fantoccio della Virtù, una squallida, afflitta, ridicolissima
marionetta inverisimilmente pudica, tanto più buffa, quanto più tragica nei suoi pudori grottescamente
violati e che così passivamente ella si lascia violare. L'inversione dei valori, all'ultimo, l'uomo che dice:
"Sono una bestia" - e la bestia che dice: - "Bisogna esser uomini" - non potrà risultare, se veramente il
Capitano Petella e gli altri personaggi non saranno truccati da bestie, senza troppa esagerazione tuttavia:
basterà segnare nel volto d'ognuno con segni recisi la sagoma bestiale, del cinghiale, della volpe, della
scimmia, ecc. ». (D'amico, op. cit, vol. II, p. 289)
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Per la prima volta Pirandello riesce a seguire molte prove di una sua commedia, e per questo
motivo si reca a Torino verso la metà di aprile, dove essa avrebbe dovuto essere rappresentata per la
prima volta; ma il debutto vero viene spostato a Milano, come abbiamo detto, dallo stesso Gandusio per
motivi di opportunità e di organizzazione e rimandato al periodo pasquale. La "prima" è un fallimento, il
più grande insuccesso della carriera di Pirandello: nella generale irritazione la borghesia milanese grida
allo scandalo e non viene replicata neppure una sera, caso unico nella storia del teatro pirandelliano.
L'uomo la bestia e la virtù - Viene rappresentato il caso grottesco del "trasparente" professor Paolino
(l'uomo), un insegnante obeso e rispettabile, era diventato l'amante della "virtuosa signora Perella" madre di
un ragazzo al quale impartisce lezioni private, e l'aveva resa madre durante una delle frequenti assenze del
marito, un ammiraglio dal comportamento animalesco, definito la bestia, (che era infedele e insensibile al
fascino della moglie e si era costruito addirittura una seconda famiglia in un'altra città, con una donna meno
attraente della moglie, che da qualche anno ormai non tocca nemmeno più, dalla quale ha avuto figli). La
bestia sta per tornare a casa e la "virtuosa signora Perella" conferma a Paolino di essere rimasta incinta: è lo
scandalo e quindi il disonore per i due insospettabili e rispettati amanti. Per evitare la tragedia c'è una sola
possibilità: che il brutale ammiraglio tornando a casa compia il suo sacrosanto dovere di marito e non
trascorra la notte barricato nella sua stanza com'è solito fare da qualche anno. Il tempo a disposizione è
scarso: tornato verso sera, ci sarà a disposizione una sola notte, dovendo ripartire il giorno dopo. L'uomo
Paolino, per raggiungere questo intento, fa preparare una torta e si fa aiutare da due amici, un dottore e un
farmacista, per renderla fortemente afrodisiaca: tutto è stato preparato nei minimi dettagli: la cena, la
vestizione e il trucco della signora Perella, perfino il segnale (un vaso da fiori alla finestra) che nella notte
tutto è andato secondo i desideri di tutti. La torta fa il suo effetto. Il signor Paolino passa una notte insonne,
non per la gelosia ma per il timore che qualcosa poteva andare storto. Al mattino presto, come un
innamorato "verace" passa sotto la finestra di lei, ma non vede il vaso di fiori. Il timore lo assale, ma i due
colombi hanno semplicemente fatto tardi, impiegando buona parte della nottata a recuperare il tempo
perduto negli ultimi anni. All'improvviso si sente chiamare, e ben presto la sua angoscia si tramuta in
dolcezza: la torta ha fatto effetto, la virtù della Signora Perella è salva, lo scandalo è evitato e la morale
trionfa.
Tutti i personaggi vengono grottescamente paragonati ad animali e il tradizionale triangolo
amoroso (marito, moglie e amante) è rovesciato nel senso che è l'amante a gettare la donna nelle braccia
del marito. È questa la società che Pirandello ci rappresenta in questa commedia: una falsa onestà
praticata da persone che in apparenza accettano le norme comuni che nel privato vengono trasgredite:
questa volta sotto l'apparenza dell'umorismo ritroviamo la satira feroce contro tutte le apparenze
perbeniste di una società che di fuori mostra un modello di comportamento che non è sentito e seguito
nell'intimo. La commedia, che nelle prime rappresentazioni era andata incontro a un grave insuccesso,
pian piano si afferma, a cominciare da Roma, e col tempo diventerà la seconda commedia più
rappresentata del teatro pirandelliano.
Il 10 novembre 1919 Pirandello chiede un congedo di due mesi dall'insegnamento, per cui può
seguire più da vicino l'andamento delle prove teatrali dopo l'internamento della moglie. Da questo
momento è un susseguirsi di richieste di permessi e congedi e aspettative e assenze per motivi di salute;
Pirandello ingaggia quasi una lotta con l'ancora semplice Regio Commissario Giovanni Gentile, finché
nel 1922 dopo 24 anni di insegnamento chiede un anno di aspettativa o il collocamento a riposo: Gentile,
diventato nel frattempo Ministro sotto Mussolini, si affretta a dare disposizioni per il suo collocamento a
riposo.
Nel 1920, lasciando la Treves, per le sue pubblicazioni sottoscrive un contratto con la società
editrice Bemporad di Firenze, con un accordo che prevede anche la ristampa di tutto quanto aveva
pubblicato fino a quel momento.
Tre le Prime importanti di questo periodo:
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- Tutto per bene, nata tra il 1919 e il gennaio dell'anno seguente, viene rappresentata da Ruggero
Ruggeri, per il quale era stata appositamente scritta, ha come fonte la novella che porta lo stesso titolo, e
mette in scena il caso grottesco di un individuo, su cui poggia tutta l'attenzione dello scrittore e degli
spettatori, costretto a subire, seguendole, le usanze, le convenzioni e le regole e soprattutto i pregiudizi
della società; fanno comunque da contrasto potente il comportamento giocoso e a volte gioioso di Palma
e compagni con quello un po' da misantropo di Martino Lori che con la morte della moglie si sente
staccato dalla vita e da tutto ciò che esso rappresenta:
Tutto per bene - Martino Lori vive esclusivamente nell'affetto per l'unica figlia, Palma, e nella
venerazione del ricordo della moglie, morta ormai da molti anni. Ma la moglie lo aveva tradito con lo
scienziato e senatore Salvo Manfroni e Palma era appunto il frutto della loro relazione e su di essa lo
scienziato aveva sempre riversato cure ed affetto, prodigandosi anche per il Lori, favorendolo nell'ascesa ad
alti e importanti incarichi fino a farlo diventare Consigliere di Stato. Tutti conoscono la situazione e tutti
credono che Martino Lori la vivesse pienamente cosciente di quanto era successo e lo disprezzano
apertamente trattandolo con freddezza davanti e con scherno alle spalle. Ma Martino Lori, nella sua
semplicità, non capisce mai la realtà. Palma si sposa e il matrimonio (compresa la preparazione della casa e
degli arredi) viene preparato e messo in opera da Salvo Manfroni. A Martino non resta che andare a casa del
genero Flavio Gualdi, molto raramente. Ma una sera, dopo che la cameriera lo ha messo in guardia su certe
carte che hanno fatto la fortuna di Salvo Manfroni, che si era comportato disonestamente proprio col Lori,
si trova protagonista di un errore della stessa figlia, che lo chiama papà scambiandolo nella penombra col
senatore Manfroni. È il dramma: Martino Lori viene inopinatamente messo al corrente della sconvolgente
verità e si sente crollare addosso quel mondo nel quale aveva sempre creduto, fatto di amore per la moglie e
la figlia, dell'amicizia disinteressata di Manfroni, del buon concetto che la gente aveva di lui e della sua
onestà e della sua moralità. D'un tratto rimane come svuotato di tutto davanti allo spettro di una vita passata
fatta di illusioni e di cui non può restare più nulla, nemmeno quella donna che aveva sempre creduto figlia e
che ora davanti a quella situazione nuova invano gli dice che può essere per lui quella che lui credeva.
- Come prima, meglio di prima, ricavata dalle novelle La veglia (pubblicata sul «Marzocco» del 2
maggio 1904) e Vexilla Regis (nel 1897 sulla rivista L'Italia), viene rappresentata dalla Compagnia
Ferrero-Celli-Paoli al teatro Goldoni di Venezia il 24 marzo. Il tema è difficile: una donna abbandona il
marito (perché? è questo il nodo primo da sciogliere per la comprensione della commedia), si lascia
andare a una vita disordinata, dopo 13 anni tenta il suicidio, viene salvata proprio dal marito col quale
torna a casa, e infine abbandona definitivamente il marito portandosi questa volta dietro le figlie: da un
lato i problemi della convivenza coniugale, dall'altro quelli della società; non a caso da una parte
abbiamo il doppio triangolo amoroso Silvio-Fulvia-Mauri e quello familiare Silvio-Fulvia-Livia e
dall'altra la società non coi suoi problemi, ma coi suoi pregiudizi e le sue regole bellamente fissate che
però stanno troppo strette allo spirito umano.
Come prima, meglio di prima – Atto I - Anche questa commedia presenta come tema di fondo la
polemica contro le rigide convenzioni della società che vi è presentata. A differenza di Martino Lori, la
protagonista, Fulvia Gelli sceglie volontariamente la propria strada: lascia la casa, abbandona il marito
Silvio Gelli e la figlia Livia e passa da un amante all'altro, di volta in volta ingannata e ingannatrice. Dopo
tredici anni avventurosi, tenta il suicidio con un colpo di pistola che la colpisce al ventre e viene salvata
proprio dal marito dottore che la opera; la prima parte è ambientata nella casa che la ospitava e insieme ad
estranei che rappresentano il "coro della società" è presente anche l'amante, il pretore Marco Mauri, che
intanto ha lasciato il posto di lavoro e abbandonato i quattro figli e la moglie; anzi, è stato praticamente
cacciato dalla moglie dopo che questa ha scoperto il suo tradimento con Fulvia. Mauri crede di aver
abbandonato per sempre il silenzio, il vuoto e il nulla in cui era vissuto per dieci anni e ora con Fulvia crede
di potersi rifare una vita dando libero sfogo alle sue passioni, come quella per la musica, che da giovane
aveva studiato. Arriva Silvio Gelli e tutti sono pregati di lasciare la stanza: restano in tre; Mauri vorrebbe
parlare ed esporre le sue ragioni al Gelli, ma Fulvia lo interrompe: è con Silvio il vero dialogo, sotto la
minaccia di partire definitivamente con Mauri. Tornano indietro nel tempo, torna la figura della figlia che
ormai crede morta la madre. Fulvia, spinta da Silvio, acconsente di tornare a casa come moglie per Silvio
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anche se non più come prima perché deve accettare le apparenze createsi nel frattempo e perciò non come
madre di sua figlia.
Il secondo atto, a quattro mesi di distanza dal primo, la scena si svolge nella villa di Gelli: Fulvia sta
preparando il corredino per il bambino che deve nascere, ma proprio in quel giorno in chiesa vengono
celebrate tre messe per la "defunta moglie" del marito. Fulvia, che nessuno del paese aveva riconosciuto,
deve spingere il marito ad andare ad assistere alla messa funebre in suo onore: ritorna il tema del "fu Mattia
Pascal", mentre la figlia Livia la tratta con una certa durezza perché si era frapposta tra la "madre" e lei. La
vita diventa una recita in cui ogni personaggio è il fantasma di se stesso. Anche la zia Ernestina non la
riconosce, e a lei Fulvia è costretta a rivelarsi. Nel colloquio finale con Livia, Fulvia usa strane parole,
parole che solo una madre può usare; ma la ragazza non le capisce: anzi, dette da colei che non crede sua
madre, quelle parole le fanno un ribrezzo, che viene acuito dal tentativo naturale materno di lei di
accarezzarle i capelli.
Nel terzo atto, sei mesi dopo il secondo, tutti sono in attesa del ritorno di Fulvia e della bambina a un
mese dal parto avvenuto in una località abbastanza lontana. C'è una prima chiarificazione: da indagini
effettuate Livia viene a sapere che recentemente non ci può essere stato matrimonio tra Fulvia e Silvio,
perché né in municipio né in chiesa risultano le rituali pubblicazioni; per questo dice a zia Ernestina che
quel giorno stesso sarebbe andata via perché non avrebbe potuto tollerare in casa un'altra donna, anzi una
donnaccia, accanto a suo padre e non avrebbe potuto tollerare l'amore di suo padre per quella donna, perché
ciò che la sdegna "è che questo suo amore si vede così chiaro che lo riporta alla sua gioventù, proprio ai
tempi di mia madre - come un'irriverenza tanto più cruda alla memoria di lei". Intanto nell'attesa entra in
scena anche Mauri, che dichiara subito di non poter più vivere senza Fulvia. Quando finalmente i coniugi
arrivano, Fulvia si dimostra contenta e sempre disposta a sopportare la doppia parte di se stessa, ma una
madre non può sopportare il ribrezzo e l'odio di una figlia, e così davanti alla decisione di Livia di
abbandonare la casa, si rivela e decide di andare via di nuovo e definitivamente, e questa volta non più da
sola, perché si sarebbe portata via con sé anche Livia insieme alla bambina.
- La Signora Morli, uno e due è la terza 'Prima' del 1920, scritta in quello stesso anno forse proprio a
Francavilla a Mare, dove era andato insieme a Lietta, che vi trascorre la sua prima vera vacanza, e lavora
alla stesura del discorso celebrativo per gli ottant'anni di Verga che terrà in settembre a Catania. La
commedia è tratta dalle novelle La morta e la viva (pubblicata sulla "Rassegna contemporanea" nel
novembre 1910) e Stefano Giogli uno e due (su «Il Marzocco» del 18 aprile 1909) e rappresentata per la
prima volta a Roma al Teatro Argentina dalla Compagnia di Emma Gramatica. La commedia presenta
analogie con la precedente, ma qui il protagonista è un uomo che non è propriamente sottomesso alle
regole di comportamento generalmente accettate, e già il solo fatto di essere gaudente e spendaccione,
sempre disposto a commettere qualche pazzia, lo renderà pure un po' simpatico, ma anche e soprattutto
disprezzabile agli occhi delle gente "per bene", che vuole persone posate e "con la testa sul collo".
La signora Morli uno e due - Col fallimento e la fuga del marito Ferrante Morli, Evelina si trova sola con
un figlio, ma viene soccorsa e aiutata dall'avvocato Carpani, col quale allaccia una relazione da cui nasce
anche una figlia. All'improvviso ritorno del marito la situazione si complica: sente una col marito e una col
secondo uomo della sua vita: alla fine decide di restare con chi l'ha aiutata, dopo che questi ha accettato, se
non proprio capito, la condizione nuova della donna. Evelina è Eva, allegra e spensierata, libera e
appassionata nella sua vita col marito o Lina silenziosa e schiva, resa tale dalla sventura che la vita le ha
fatto cadere addosso senza che se lo aspettasse? Sono i due aspetti coi quali deve fare i conti non solo il
personaggio Eva-Lina ma anche tutti coloro che la circondano, dalle bisbetiche e malevole "amiche" al
marito, all'amante, ai figli. Ma sono poi soltanto due gli aspetti della nostra essenza che appaiono agli occhi
degli altri?. Il finale della commedia è agrodolce: Evelina come Lina abbandonerà per sempre il suo essere
come Eva accettando le forme e le formule di comportamento della società, che comunque da ora in poi non
potrà più pensare che ognuno di noi è fatto in un modo che sarà quello per sempre e per tutti.
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Biblioteca
indice
Progetto Pirandello
© 2001 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - [email protected]
Ultimo aggiornamento: 30 maggio, 2001
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