le invalidità del provvedimento amministrativo prof

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“LE INVALIDITÀ DEL
PROVVEDIMENTO
AMMINISTRATIVO”
PROF. GIOVANNI SABBATO
Università Telematica Pegaso
Le invalidità del provvedimento amministrativo
Indice
1 PROFILI GENERALI -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 ANNULLABILITÀ DEL CONTRATTO ED ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO:
CARATTERISTICHE COMUNI E NOTE DIFFERENZIALI -------------------------------------------------------------- 5 3 ILLEGITTIMITÀ, INVALIDITÀ ED ANNULLABILITÀ IN RELAZIONE ALLA DISCIPLINA
INTRODOTTA DALL’ART. 21 OCTIES L. N. 241/1990 -------------------------------------------------------------------- 10 4 PROFILI APPLICATIVI DELL’ART. 21 OCTIES L. N. 241/1990 ------------------------------------------------ 20 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
1 Profili generali
Su di un piano generale, l’invalidità è la conseguenza della difformità di un atto
giuridico rispetto al modello prefigurato dalla legge ai fini della sua formazione: in
termini di fattispecie e di rapporto tra fattispecie astratta e fattispecie concreta, l’invalidità
consegue alla non perfetta sovrapponibilità della fattispecie concreta a quella astratta
disegnata
dal legislatore per quel determinato tipo di atto. All’interno della categoria
generale della invalidità, poi, sono individuabili diverse sub- categorie in relazione al tipo
di difformità sussistente tra l’atto concretamente posto in essere ed il suo schema
normativo: al diverso tipo di difformità, infatti, si correla la specifica sanzione
apprestata dall’ordinamento per reagire all’atto posto invalidamente in essere. In particolare,
la sanzione della inefficacia definitiva dell’atto, che consegue all’invalidità dello stesso,
può essere automatica, come nel caso della nullità, o necessitare di una apposita
applicazione giudiziale, come nel caso dell’annullabilità.
L’illustrato concetto di invalidità si attaglia, con i limiti che vedremo, anche al
provvedimento amministrativo. Se infatti il legislatore non concede ai privati una illimitata
libertà di azione nel costituire i presupposti per la produzione di effetti giuridici, dettando le
condizioni in presenza dei quali gli effetti perseguiti possono trovare realizzazione, tale
esigenza si presenta con accresciuto vigore nel campo pubblicistico, dove i fini da perseguire
mediante l’adozione di ciascun tipo di provvedimento sono previsti dalla legge e dove
l’autoritatività dell’azione amministrativa impone di circondarla di limiti e temperamenti a
salvaguardia degli interessi individuali dei cittadini: limiti che, ove superati, si traducono
appunto nella invalidità del provvedimento adottato.
La categoria della invalidità, storicamente elaborata con riguardo ai rapporti
disciplinati dallo ius civile, è stata quindi trapiantata,
con dovuti aggiustamenti, nel
settore pubblicistico: essa tuttavia, una volta trasferita in tale ambito, si è manifestata in
forma semplificata rispetto alla sua versione originaria. Mentre infatti in campo privatistico
l’invalidità, nella sua configurazione normativa, si presenta in forma essenzialmente bipartita
(nullità/annullabilità), in campo pubblicistico ha assunto
tradizionalmente
valore
assorbente, se non pressoché esclusivo, la figura della annullabilità, relegando la figura
della nullità ad ipotesi marginali ed espressamente testualizzate dal legislatore. Deve a
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questo punto sottolinearsi che la individuazione dei requisiti di validità di un atto giuridico,
abbia esso carattere negoziale
o
provvedimentale,
e
la
disciplina
delle
conseguenze che si riconnettono alla mancanza degli stessi costituiscono questioni di stretto
diritto positivo: esse inoltre risentono della diversa natura giuridica dell’atto di volta in volta
considerato. A tale proposito, è agevole cogliere la diversa valenza che l’elemento volontà
possiede, rispettivamente, nel sistema delle invalidità contrattuali e provvedimentali:
nell’un caso, infatti, il legislatore si ispira all’esigenza soggettivistica di assicurare che il
procedimento di formazione della volontà del contraente si svolga correttamente, nell’altro,
invece, balza in primo piano l’esigenza oggettiva che la funzione amministrativa sia stata
esercitata in modo da garantire l’ottimale perseguimento del pubblico interesse. Va adesso
osservato che sebbene la patologia dell’atto amministrativo abbia da sempre costituito una
delle tematiche di maggiore
interesse del diritto amministrativo, fino all’entrata in
vigore della riforma della legge n. 241/90 (operata dalla legge n. 15/2005) è mancata
una codificazione
delle
varie tipologie di invalidità
del provvedimento. Con
riguardo al regime delle invalidità nel diritto amministrativo, il legislatore si era
limitato a prevedere che il giudice amministrativo decidesse sui ricorsi per incompetenza,
per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e provvedimenti di un'autorità
amministrativa (art. 26, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, Testo Unico delle leggi sul Consiglio
di Stato ed art. 2 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei Tar). Con tale disposizione,
di contenuto solo processuale, era stato comunque codificato il principio secondo cui la
tipica sanzione prevista per l’illegittimità del provvedimento amministrativo è l’invalidità
sub specie di annullabilità del provvedimento medesimo.
E’ stata la giurisprudenza a
delineare i contenuti di altre tipologie di vizi: quelli più gravi, che operano di diritto e
comportano, in via automatica, la nullità del provvedimento amministrativo o addirittura
l’inesistenza, e quelli minori, che ne determinano la mera irregolarità. Tuttavia, proprio
l’assenza di un intervento di codificazione aveva determinato profonde incertezze in ordine a
contenuti, ai confini ed alla stessa configurabilità di tali istituti, quali appunto quelli della
nullità, dell’inesistenza o della mera irregolarità dell’atto amministrativo.
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2 Annullabilità del contratto ed annullabilità del
provvedimento: caratteristiche comuni e note
differenziali
Sebbene le norme che disciplinano l’azione amministrativa abbiano generalmente
connotazione
imperativa, non essendo suscettibili di deroga ed essendo ispirate al
perseguimento di finalità di interesse generale (appartenendo quindi al genus di quelle che,
nel settore privatistico, producono la cd. nullità virtuale ex art. 1418, comma I, c.c.), la
conseguenza prevista dal legislatore per l’ipotesi della loro violazione, in chiave di
patologia del provvedimento, ricalca molto da vicino quella che, in ambito privatistico,
assume il nomen iuris di annullabilità. Il carattere centrale della annullabilità nel sistema
delle invalidità di diritto amministrativo si spiega con l’esigenza di garantire la stabilità
delle decisioni amministrative e delle situazioni giuridiche che alle stesse si correlano:
risultato
raggiungibile
mediante
la sottoposizione
dell’azione giurisdizionale
di
annullamento adun termine breve di decadenza. Della annullabilità di matrice civilistica, la
patologia che inficia il provvedimento possiede le seguenti caratteristiche comuni:
-
ininfluenza della invalidità del provvedimento sulla idoneità dello stesso a
produrre, fino alla pronuncia di annullamento, gli effetti che gli sono propri: tale connotato
della invalidità provvedimentale si desume indirettamente dall’art. 39 R.D. 26 giugno 1924,
n. 1054 (Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), ai sensi del quale “i ricorsi in via
contenziosa non hanno effetto sospensivo” (se infatti la proposizione del ricorso non incide
sulla efficacia del provvedimento impugnato, a maggior ragione questa non è inficiata
dalla mera sussistenza del vizio invalidante);
-
necessità che l’invalidità del provvedimento viziato costituisca oggetto di
una espressa pronuncia giurisdizionale di annullamento: ai sensi dell’art. 45, comma
1, R.D. n.1054/1924, infatti, “se il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale accoglie il
ricorso per motivi di incompetenza annulla l’atto e rimette l’affare all’autorità competente.
Se accoglie il ricorso per altri motivi, annulla l’atto o provvedimento, salvo gli ulteriori
provvedimenti dell’autorità amministrativa”; nello stesso senso l’art. 26, comma 2, l. 7
dicembre 1971, n. 1034, dispone che se il Tribunale Amministrativo Regionale “accoglie il
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
ricorso per motivi di incompetenza, annulla l’atto e rimette l’affare all'autorità competente.
Se accoglie per altri motivi annulla in tutto o in parte l’atto impugnato”;
-
necessità che l’invalidità del provvedimento sia fatta valere da un soggetto
giuridico portatore di un interesse individuale, il quale proponga al giudice una espressa
domanda di annullamento, con il correlato divieto per il giudice di pronunciare d’ufficio
l’annullamento: ai sensi dell’art. 26 R.D. n. 1024/1954, infatti, “spetta al Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale di decidere sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di
potere o per violazione di legge, contro atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa o
di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse d’individui o di
enti morali giuridici”;
-
necessità che il ricorrente rispetti, nella proposizione del ricorso, un termine
prescritto a pena di decadenza (di prescrizione per l’azione contrattuale di annullamento);
-
suscettibilità di convalida del provvedimento annullabile: così come il
contratto annullabile, ai sensi dell’art. 1444 c.c., può essere emendato dal vizio che ne mina
la validità, anche la pubblica amministrazione che ha adottato il provvedimento annullabile
ha il potere di convalidarlo. Con la convalida l’amministrazione rimuove, con effetto
retroattivo, i vizi che inficiano il provvedimento di primo grado e, con una dichiarazione
esplicita, esprime la volontà di eliminare il vizio di cui riconosce l’esistenza. Non tutti i vizi
sono però suscettibili di convalida: la convalida non potrebbe infatti logicamente intervenire
con valenza retroattiva per rimediare alla mancanza di presupposti e di requisiti di legge non
sussistenti al momento dell’adozione dell’atto che si intenderebbe convalidare.
L’ammissibilità della convalida del vizio di incompetenza già da tempo ha trovato
soluzione positiva a livello normativo, perché l’art. 6 della legge 18 marzo 1968 n. 249 contenente la "Delega al Governo per il riordinamento dell'Amministrazione dello Stato,
per il decentramento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni
dei dipendenti statali" - ha espressamente sancito che "alla convalida degli atti viziati
di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e
giurisdizionale". Più in generale, poi, l’art. 21 nonies, comma II, l. n. 241/1990 prevede che
“è fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le
ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”.
L’annullabilità del
provvedimento, se è assimilabile a quella contrattuale sotto il profilo delle modalità
attuative (fondate sul principio della non rilevabilità ex officio), non lo è dal punto di vista
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della sua ragione ispiratrice. La necessità della domanda di parte, al fine di pronunciare
l’annullamento del contratto, si correla infatti al carattere individuale dell’interesse leso per
effetto della stipulazione di un contratto annullabile (l’interesse, solitamente, alla corretta
formazione
della volontà contrattuale); la necessità della domanda di parte, al fine di
conseguire l’annullamento del provvedimento, per contro, si correla alla connotazione
soggettiva della giurisdizione esercitata dal giudice amministrativo, quale giurisdizione
posta a tutela delle posizioni individuali dei cittadini lesi dall’adozione di provvedimenti
illegittimi. Del resto, l’annullabilità provvedimentale si differenzia sotto molti altri aspetti da
quella contrattuale, assumendo in alcuni casi connotazioni tipiche della nullità civilistica, in
altri casi connotazioni del tutto originali. Cominciamo ad esaminare le prime:
-
carattere generale della clausola normativa che prevede i casi in cui il
giudice procede all’annullamento del provvedimento: ai sensi dell’art. 26, comma 1, R.D.
n. 1054/1924, infatti, “spetta al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale di decidere
sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e
provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante”; a
sua volta, l’art. 2, comma 1, lett. b) l. n. 1034/1971 prevede che “il tribunale amministrativo
regionale decide “sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di
legge contro atti e provvedimenti”. Quindi,
l’annullamento del provvedimento non è
correlata al ricorrere di ipotesi tassative, ma alla mera illegittimità dello stesso: la stessa
tripartizione delle ipotesi di illegittimità (nelle categorie della violazione di legge,
dell’eccesso di potere e della incompetenza) non ha la funzione di delimitare l’ambito dei
vizi adducibili a fondamento della domanda di annullamento, ma quella di sistematizzare, su
di un piano prettamente classificatorio, l’altrimenti indistinta ed onnicomprensiva categoria
della illegittimità;
-
carattere generale della legittimazione a proporre la domanda volta a far
valere l’invalidità del provvedimento, semplicemente ancorata alla titolarità di un interesse
legittimo da parte del ricorrente: mentre infatti la legittimazione a proporre la domanda di
annullamento del contratto è circoscritta ai soggetti “nel cui interesse l’annullamento è
stabilito dalla legge” (art. 1441 c.c.), la legittimazione a proporre il ricorso al giudice
amministrativo si avvicina, quanto alla sua latitudine, all’azione contrattuale di nullità, che
può essere fatta valere da “chiunque vi ha interesse” (art. 1421 c.c.), ed è integrata dalla
mera titolarità in capo al ricorrente di un interesse legittimo;
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- efficacia travolgente
della pronuncia di
annullamento nei confronti delle
posizioni giuridiche acquistate dai terzi in forza del provvedimento annullato: tale
efficacia è contemperata, nella disciplina dell’azione contrattuale di annullamento, dalla
salvezza dei diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede (art. 1445 c.c.). Vediamo
adesso le caratteristiche della annullabilità provvedimentale che la collocano in una posizione
autonoma rispetto alla annullabilità ed alla nullità contrattuale:
- possibilità che l’annullamento sia pronunciato dallo stesso soggetto che è stato autore
dell’atto annullato: a tale riguardo, mentre le parti del contratto non dispongono del potere di
produrre, nei confronti del contratto posto in essere, effetti giuridici assimilabili a quelli
derivanti dalla
sentenza
di annullamento, tale
potere
è riconosciuto alla
pubblica
amministrazione che ha adottato il provvedimento annullabile, la quale può esercitarlo senza
essere vincolata al rispetto di rigorosi termini decadenziali (cd. potere di autotutela);
- preordinazione delle norme presidiate dalla sanzione di annullamento alla
tutela di interessi di carattere complesso, non riducibili all’interesse dell’autore
dell’atto o del soggetto pregiudicato dal provvedimento. Invero, le norme dalla cui
violazione scaturisce l’annullabilità del provvedimento sono generalmente funzionali al
perseguimento
del pubblico interesse, anche quando possono apparire immediatamente
rivolte alla tutela degli interessi della pubblica amministrazione come soggetto giuridico. Ad
esempio, la norma che impone che l’istanza da presentare alla pubblica amministrazione
sia corredata dalla fotocopia del documento di riconoscimento dell’interessato, ai sensi
dell’art. 38 d.P.R. n. 445/2000, è sì funzionale ad alleggerire gli oneri del soggetto
pubblico destinatario, sollevato da ogni particolare verifica circa la paternità dell’istanza
stessa, ma in via mediata mira alla protezione dell’interesse pubblico alla certezza
dell’azione amministrativa ed alla esigenza di prevenire contestazioni quanto alla identità dei
soggetti che la stimolano. Inoltre, nel caso in cui l’istanza debba essere prodotta, ad esempio,
ai fini della partecipazione ad una gara per l’aggiudicazione di un pubblico appalto, agli
interessi sopra evidenziati si aggiunge l’interesse dell’impresa concorrente al rispetto della
norma che impone la suddetta formalità, a tutela della par condicio dei partecipanti alla gara.
E’ noto, invece, che mentre le norme che conducono all’annullabilità contrattuale sono
funzionali alla tutela degli interessi individuali dei contraenti, quelle che generano la
nullità
sono
funzionali
alla
tutela
di interessi generali: ciò non deve peraltro far
dimenticare che l’introduzione nell’ordinamento di ipotesi di cd. nullità di protezione ha
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finito per alterare la linearità dell’originario impianto codicistico.
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
3 Illegittimità, invalidità ed annullabilità in
relazione alla disciplina introdotta dall’art. 21
octies l. n. 241/1990
Come accennato, la ripartizione dei vizi invalidanti entro le tre tipologie dianzi
ricordate (violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere) ha acquisito carattere
meramente classificatorio, dal momento che l’inquadramento del vizio di illegittimità entro
una delle tre tipologie suindicate non produce effetti di rilievo quanto al regime giuridico
applicabile: tale circostanza, del resto, si spiega con il fondamento comune delle tre tipologie,
ravvisabile nel principio di legalità, ovvero nel vincolo di conformità alla legge che pervade
l’intera attività amministrativa. Invero, anche la figura apparentemente più distante, nelle
sue ragioni ispiratrici, rispetto a tale vincolo, ovvero l’eccesso di potere, viene ricondotto
all’area della illegittimità mediante la sua ricostruzione come vizio che tradisce il cattivo
perseguimento da parte dell’amministrazione dei fini di pubblico interesse determinati dalla
legge. Si tratta adesso di analizzare i rapporti esistenti tra le categorie della illegittimità, della
invalidità e della annullabilità. Tali figure sono state tradizionalmente viste come aspetti di
un’unica nozione, se non addirittura come modi equivalenti per designare lo stato
patologico del provvedimento (non potendo darsi un provvedimento illegittimo che non
fosse allo stesso tempo invalido ed annullabile). Tuttavia, recenti novità legislative hanno
imposto di approfondire il loro autonomo significato. In via di prima approssimazione, può
comunque affermarsi che:
- l’illegittimità indica la contrarietà del provvedimento ad una norma di legge o
principio giuridico, costituenti parametro di legittimità dell’azione amministrativa;
- l’invalidità indica
la non rispondenza del provvedimento, a causa della
sua
illegittimità, allo schema delineato dalla legge per la sua valida formazione (schema di cui la
legittimità del provvedimento integra, appunto, un elemento costitutivo): il provvedimento
invalido è un provvedimento cui l’ordinamento non attribuisce la capacità di modificare,
con effetti stabili, la realtà giuridica, apprestando reazioni diversificate in relazione alla
gravità del vizio invalidante;
- l’annullabilità, infine, indica la specifica sanzione concepita dall’ordinamento per
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
reagire nei confronti del provvedimento illegittimo: essa, quindi, costituisce una species del
genus invalidità, e si risolve nella possibilità dell’annullamento del provvedimento
illegittimo ad opera degli organi competenti e su impulso dei soggetti legittimati. Come si è
anticipato, il legislatore è in tempi recenti intervenuto espressamente sul sistema delle
invalidità amministrative.
In particolare, ai sensi dell’art.
21 octies, comma 2, l.
n.
241/1990, “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul
procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia
palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per
mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato”. Alla base della disposizione vi è una diversa concezione del processo
amministrativo e dello stesso interesse legittimo i cui segnali anticipatori possono
individuarsi in quel filone giurisprudenziale che, in tema di art. 7 della legge n. 241, ha
stabilito che la
mancata comunicazione non può comportare l’annullamento dell’atto
impugnato allorchè l’eventuale apporto partecipativo del privato non avrebbe potuto indurre
l’amministrazione ad adottare una decisione diversa (Cons. Stato, IV, 22.6.2004, n. 4445 e
3.7.2003, n. 3969). Questa concezione si fonda sulla nozione di interesse legittimo come
interesse sostanziale al raggiungimento di un bene della vita, con la considerazione che la
sua lesione potrebbe avvenire solo se la aspirazione al bene può essere soddisfatta, ed è cioè
fondata. Sul piano processuale questo significa che il motivo di ricorso può essere accolto
solo se vi è un collegamento stretto tra vizio denunciato e possibilità di realizzazione
della pretesa sostanziale. L’art. 21-octies si inserisce quindi nel
trasformazione
del
solco
della
processo amministrativo da giudizio sull’atto in giudizio sul
rapporto: il rischio che la norma comporta è però che questa trasformazione possa
avvenire, per così dire a senso unico, cioè attraverso
una
riduzione
della
tutela
giurisdizionale perchè sono stati introdotti nuovi strumenti per il rigetto del ricorso senza
che però, nel contempo, si siano introdotti obblighi per il giudice di valutazione della pretesa
sostanziale, quando invece il ricorso venga accolto per motivi formali e vengono assorbiti gli
altri motivi. Costituisce oggetto di discussione l’inerenza della norma al piano della
legittimità, della invalidità o della annullabilità del provvedimento; in altre parole, si tratta di
verificare:
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
- se essa incida sullo stesso carattere imperativo delle norme che prevedono requisiti
di carattere formale o procedimentale del provvedimento, espungendole dall’ambito dei
parametri di legittimità del provvedimento stesso;
-
se
essa,
pur
lasciando
intatta
la
qualificazione
di
illegittimità
del
provvedimento contrastante con le norme suindicate, produca l’effetto di escludere che tale
qualificazione si riverberi nella invalidità del provvedimento: il provvedimento adottato in
violazione di norme sulla forma o sul procedimento, quindi, sarebbe illegittimo ma non
invalido;
- se essa, pur non toccando la qualificazione come illegittimo ed invalido del
provvedimento contrastante con le norme dettate in tema di forma e di procedimento, incida
sul regime della annullabilità, vietando in concreto l’applicazione da parte del giudice
amministrativo, in presenza delle condizioni da essa delineate, della sanzione di
annullamento. In primo luogo, dal tenore testuale della disposizione non sembra potersi
desumere che il provvedimento adottato in violazione di norme sulla forma o sul
procedimento
sia ugualmente legittimo. Tale assunto è smentito in primo luogo dal fatto
che la norma fa espressamente riferimento alla “violazione di norme”, e questa, quale che sia
il contenuto della norma violata ovvero il profilo
dell’atto
amministrativo
da
essa
disciplinato, integra il nucleo costitutivo del concetto di “illegittimità”: se vi è violazione,
vuol dire che le norme in materia di forma e di procedimento continuano a rappresentare
altrettanti vincoli per l’azione della pubblica amministrazione. Che poi la norma non
giustifichi alcuna attenuazione della forza
imperativa delle norme sulla forma
o sul
procedimento si coglie anche da un altro punto di vista: invero, in mancanza delle
condizioni cui la norma subordina la “non annullabilità” del provvedimento, questo, ove
contrastante con le norme suindicate, non può sfuggire alla sanzione di annullamento.
Se appare corretto, come pure si è fatto, descrivere il contesto giuridico-culturale nel quale
trova spiegazione la norma in esame come caratterizzato da un fenomeno di “dequotazione”
dei vizi formali e delle norme dalla cui violazione essi derivano: essi cioè, pur generando la
illegittimità del provvedimento, non sarebbero sufficienti ad integrare la fattispecie
“invalidità” dello stesso, dando luogo ad una fattispecie invalidante minore cui viene dato il
nome di mera “irregolarità”, caratteristica principale della quale sarebbe l’inidoneità a dare
luogo all’annullamento del provvedimento (nonché la sanabilità sine die, di cui la norma in
esame costituirebbe appunto manifestazione). L’assunto, per quanto detto,
non sembra
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
condivisibile, ove si consideri che l’irregolarità indica le ipotesi in cui la difformità dallo
schema normativo del provvedimento da luogo a conseguenze diverse dalla annullabilità
dello stesso: conseguenze individuabili, ad esempio, nella applicazione di sanzioni nei
confronti del funzionario responsabile. La violazione delle norme di carattere formale,
invece, resta suscettibile di generare l’annullabilità del provvedimento, salva la possibilità
che il potere del giudice di disporla in concreto resti paralizzato dalla correttezza
contenutistica del provvedimento stesso.
L’irregolarità, invero, designa un fenomeno molto secondario e si verifica allorchè vi
è una lieve divergenza nelle forme, una discrasia tra atto e norma che non inficia il
provvedimento, poichè l’anomalia è del tutto superabile attraverso una interpretazione
complessiva del provvedimento stesso: si tratta di quella categoria che la dottrina ha definito
“irregolarità per minimalità”. L’esclusione della configurabilità dell’atto non annullabile ex
art. 21 octies in termini di irregolarità ha condotto parte della dottrina ad aderire alla tesi del
raggiungimento dello scopo. La c.d. “regola del raggiungimento dello scopo” è mutuata
dalla previsione ex art. 156, comma 3, c.p.c., che stabilisce che “la nullità non può mai
essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”. La regola del
raggiungimento dello scopo presuppone, diversamente dall’irregolarità, che l’invalidità
dell’atto sussista in astratto, ma che essa venga reputata in concreto irrilevante, in ragione del
fatto che, da un’indagine operata ex post da parte del giudice, rispetto a quel singolo caso,
emerge che lo scopo dell’atto è stato comunque raggiunto, nonostante il vizio riscontrato.
Proprio in tema di violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90, più volte la giurisprudenza ha
ritenuto che tale disposizione non può essere applicata meccanicamente e formalisticamente,
dovendosi escludere il vizio nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato
comunque raggiunto o vi sia comunque un atto equipollente alla formale comunicazione.
Neanche tale ricostruzione della ratio dell’art. 21 octies è parsa tuttavia
condivisibile:
la disposizione, invero, rende irrilevante la
violazione delle norme sul
procedimento o sulla forma dell’atto, per una ragione diversa che non attiene al
(sostanziale) rispetto della specifica disposizione sulla forma o sul procedimento, bensì
al fatto che il contenuto dispositivo dell’atto “non avrebbe potuto essere diverso da quello
in concreto adottato”. Qui, si è in presenza di una norma che si muove in un’altra ottica ben
definita come quella (non del raggiungimento dello scopo, ma) del “raggiungimento del
risultato”. Né sarebbe corretto inquadrare la funzione della norma attraverso il ricorso
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
all’istituto della sanatoria: questo infatti si fonda sull’elisione del vizio inficiante l’atto
invalido,
a prescindere da ogni valutazione concernente l’idoneità dell’atto stesso a
rappresentare uno strumento per la corretta composizione degli interessi che vi sono sottesi.
La norma in esame, invece, opera secondo un meccanismo inverso a quello che anima la
vera e propria sanatoria: essa prescinde dalla eliminazione del vizio formale, ruotando la sua
applicazione intorno alla valutazione della idoneità del provvedimento a corrispondere ad
una corretta regolamentazione della fattispecie che ne costituisce oggetto. Deve quindi
ritenersi che la norma in esame non sia orientata a disciplinare l’astratta condizione
sostanziale del provvedimento illegittimo per violazione di norme sul procedimento
o sulla forma: infatti, la sussistenza delle condizioni che impediscono di pronunciare
l’annullamento del provvedimento illegittimo, così come delineati dalla norma citata, è
destinata ad emergere solo in ambito processuale, non potendosi prevedere, prima ed al di
fuori del processo (e quindi secondo una valutazione di ordine strettamente
sostanziale), se nel corso di questo sarà “palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato” né tantomeno se, nell’ipotesi in cui sia
stata omessa la comunicazione dell'avvio del procedimento, l'amministrazione sarà in grado
(o semplicemente vorrà) “dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Tale conclusione trova
conforto nella considerazione secondo cui, qualora
la norma incidesse
sulla stessa
qualificazione sostanziale del provvedimento illegittimo per violazione di norme sulla
forma o sul procedimento, il ricorso volto a lamentare tale violazione, in presenza
delle condizioni da essa previste, dovrebbe essere considerato inammissibile, perché
volto ad ottenere l’annullamento di un provvedimento che la legge considera “non
annullabile” (e quindi, sostanzialmente, valido): l’inaccettabilità di tale tesi si coglie
facilmente, tuttavia, ove si consideri che l’inammissibilità costituisce una qualità originaria
del ricorso, indipendente da eventi successivi ed inerenti allo svolgimento del processo
(quali sono quelli cui la norma subordina la non annullabilità del provvedimento contrastante
con le norme sulla forma o sul procedimento).
E’ evidente, quindi,
la connotazione
puramente processuale della norma, siccome volta a disciplinare non l’astratta condizione
sostanziale del provvedimento contrastante con le norme sulla forma o sul procedimento né
ad incidere sulla sua invalidità, ma il concreto potere del giudice di pronunciare il suo
annullamento: il provvedimento quindi rimane illegittimo, invalido ed annullabile, ma la
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
pronuncia di annullamento è impedita, nell’ambito della concreta vicenda processuale, dal
divieto opposto dalla disposizione esaminata. Così ricostruito il modus operandi della
norma, essa si presta ad essere tacciata di illegittimità costituzionale, dando luogo ad una
divaricazione tra la disciplina sostanziale delle situazioni giuridiche ed il relativo sistema di
tutela giurisdizionale: questo, infatti, non garantisce al ricorrente, titolare di un interesse
legittimo leso da un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione, di
ottenere il risultato cui avrebbe diritto (l’annullamento del provvedimento illegittimo).
Tali dubbi, tuttavia, possono essere facilmente fugati ove si consideri che la massima
chiovendiana, secondo cui il processo deve garantire all’attore di ottenere tutto ciò che gli
riconoscono le norme di diritto sostanziale, deve essere applicata al processo amministrativo
avendo chiaro che il “bene della vita”, il cui conseguimento da parte dell’avente diritto essa
si propone di salvaguardare, non si risolve nel mero annullamento del provvedimento
illegittimo, ma nel soddisfacimento dell’interesse “finale” che costituisce il sostrato
sostanziale dell’interesse legittimo. Così definito il “bene della vita” in relazione al quale
deve essere misurata l’idoneità delle norme processuali a proteggere adeguatamente gli
interessi del cittadino, non resta che concludere nel senso della perfetta consonanza
costituzionale della norma in esame: questa infatti esclude la praticabilità del rimedio
dell’annullamento solo quando sia accertata, secondo canoni di ragionevole certezza,
l’ininfluenza del vizio formale o procedimentale sul contenuto
provvedimento impugnato,
ovvero
su
quella
parte
dispositivo
del
del provvedimento destinata a
stabilire la spettanza o meno al cittadino del bene della vita cui egli aspira.
Problemi maggiori si pongono, invece, quando la norma formale o procedimentale
con la quale il provvedimento si pone in contrasto abbia derivazione comunitaria: secondo
infatti una giurisprudenza comunitaria consolidata, spetta a tutte le autorità degli Stati
membri garantire il rispetto delle norme di diritto comunitario nell’ambito delle loro
competenze. Inoltre, va segnalato che, pur avendo il diritto comunitario ripreso dal diritto
francese la nozione di violazione di forme sostanziali, contrapposta alla violazione di forme
formali (prescrizione sulla forma che non incide sulla sostanza dell’esercizio del potere e
che pertanto non determina annullabilità), la giurisprudenza comunitaria fa rientrare tra le
forme sostanziali tutte le disposizioni che garantiscono il contraddittorio nel procedimento.
Ebbene, la mancata applicazione della sanzione di annullamento potrebbe indirettamente
risolversi nell’attenuazione della portata vincolante della disposizione comunitaria, con la
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conseguente violazione
attuazione.
Le invalidità del provvedimento amministrativo
dell’obbligo dello Stato membro di dare ad essa completa
Il riconoscimento che la norma in esame attiene alla disciplina processuale
dell’annullabilità, lasciando intatta l’invalidità che inficia il provvedimento sul piano
sostanziale, non è priva di rilevanti ricadute in ordine all’applicazione di altri istituti di
diritto sostanziale e processuale. In primo luogo, infatti, resta salva la potestà di autotutela
dell’amministrazione nei confronti del provvedimento viziato sotto il profilo formale o
procedimentale: l’art. 21 octies l. n. 241/1990, infatti, contiene disposizioni insuscettibili di
ricevere applicazione al di fuori del contesto strettamente processuale.
Naturalmente,
proprio perché il vizio attiene al piano strettamente formale o procedimentale, la
valutazione concernente la sussistenza di un interesse pubblico atto a giustificare l’esercizio
del potere di autotutela deve essere condotta con particolare rigore: si pensi, ad esempio, ad
un permesso di costruire rilasciato senza l’acquisizione di un parere obbligatorio
ed
all’interesse pubblico al suo annullamento derivante dall’esigenza di salvaguardare il
valore paesaggistico dell’area interessata dai lavori.
Acclarata l’inapplicabilità dell’art. 21 octies al potere di autotutela della p.a., va
osservato che la natura discrezionale di quest’ultimo (ovvero il fatto che in tanto
l’annullamento d’ufficio
nell’esigenza
possa
essere
pronunciato
in
quanto
trovi
fondamento
di perseguimento di uno specifico interesse pubblico) non consente di
ravvisare un surplus di efficacia che le norme sulla forma e sul procedimento
acquisirebbero
quando
la
loro violazione sia accertata da parte della stessa
amministrazione piuttosto che da parte del giudice amministrativo: se così non fosse, sarebbe
legittimo dubitare della ragionevolezza dell’art. 21 octies l. n. 241/1990, ponendo esso il
cittadino-ricorrente in una posizione deteriore, quanto alla possibilità di far discendere
l’annullamento del provvedimento dalla sua illegittimità formale o procedimentale, rispetto
alla pubblica amministrazione. Problemi si pongono, tuttavia, alla luce della recente
lettura che la giurisprudenza comunitaria ha offerto del potere di riesame della pubblica
amministrazione, attenuando la sua connotazione discrezionale ed accrescendone il
valore
di
strumento
di
tutela
degli interessi legittimi del cittadino, lesi da un
provvedimento amministrativo contrastante con le disposizioni di matrice comunitaria. I
punti salienti della giurisprudenza in esame ( 1 ) sono così riassumibili:
1
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Grande Sezione,
Kempter KG e Hauptzollamt Hamburg-Jonas
sentenza
12
febbraio
2008,
Willy
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
- il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di
termini ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela
giurisdizionale, contribuisce alla certezza del diritto e da ciò deriva che il diritto comunitario
non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una
decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo ( 2 );
- in circostanze particolari, un organo amministrativo nazionale può essere
tenuto,
in applicazione del principio di
riesaminare
una decisione
all’esaurimento
dei
cooperazione
amministrativa
rimedi giurisdizionali
dell’interpretazione della
derivante
divenuta
interni,
dall’art. 10
definitiva
al
in
fine di
CE, a
seguito
tener
conto
disposizione pertinente di diritto comunitario nel frattempo
3
accolta dalla Corte ( );
- tra le condizioni che possono fondare un tale obbligo di riesame la Corte ha preso in
considerazione, in particolare, il fatto che la sentenza del giudice di ultima istanza, in virtù
della quale la decisione amministrativa contestata è divenuta definitiva, alla luce di una
giurisprudenza della Corte successiva alla medesima risultasse fondata su un’interpretazione
errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse stata adita in via pregiudiziale
alle condizioni previste all’art. 234, terzo comma, CE;
- il sistema introdotto dall’art. 234 CE per assicurare l’unità dell’interpretazione del
diritto comunitario negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i
giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti;
- non si può dunque dedurre dalla sentenza Kühne & Heitz, citata, che le parti
debbano aver sollevato dinanzi al giudice nazionale la questione di diritto comunitario di cui
trattasi: infatti, basterebbe o
che detta questione
di diritto comunitario, la
cui
interpretazione si è rivelata erronea alla luce di una sentenza successiva della Corte, sia
stata esaminata dal giudice nazionale che statuisce in ultima istanza, oppure che essa avesse
potuto essere sollevata d’ufficio da quest’ultimo;
- a tal riguardo occorre ricordare che, sebbene il diritto comunitario non imponga ai
giudici nazionali di sollevare d’ufficio un motivo vertente
sulla
violazione
di
disposizioni comunitarie se l’esame di tale motivo li obbligherebbe ad esorbitare dai
limiti della controversia come è stata circoscritta dalle parti, tali giudici sono tenuti a
2
3
sentenza Kühne & Heitz
v., in tal senso, la citata sentenza Kühne & Heitz
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
sollevare d’ufficio i motivi di diritto relativi ad una norma comunitaria vincolante quando, in
virtù del diritto nazionale, essi hanno l’obbligo o la facoltà di farlo con riferimento ad una
norma interna di natura vincolante ( 4 );
- di conseguenza, occorre risolvere la prima questione proposta nel senso che,
nell’ambito di un procedimento dinanzi ad un organo amministrativo diretto al riesame di
una decisione amministrativa divenuta definitiva in virtù di una sentenza pronunciata da un
giudice di ultima istanza, la quale, alla luce di una giurisprudenza successiva della Corte,
risulta basata su un’interpretazione erronea del diritto comunitario, tale diritto non
richiede
che
il ricorrente nella causa principale abbia invocato il diritto comunitario
nell’ambito del ricorso giurisdizionale
di
diritto interno da esso
proposto
contro
tale decisione;
- il diritto comunitario non impone alcun termine preciso per la presentazione di
una domanda di riesame;
- occorre tuttavia precisare che, secondo una costante giurisprudenza, in mancanza
di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno
Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei
ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle
norme di diritto comunitario, purché tali modalità, da un lato, non siano meno favorevoli di
quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né,
dall’altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti
conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) Da questa
giurisprudenza costante deriva che gli Stati membri possono richiedere, in nome del
principio della certezza del diritto, che una domanda di riesame e di rettifica di una decisione
amministrativa divenuta definitiva e contraria al diritto comunitario così come interpretato
successivamente dalla Corte venga presentata all’amministrazione competente entro un
termine ragionevole.
Ebbene, dai principi di diritto formulati dal giudice comunitario deriva che un organo
amministrativo, al verificarsi delle condizioni contemplate dalla sentenza richiamata, sia
tenuto a riesaminare (ergo, ad annullare) un provvedimento contrastante con una norma
comunitaria, anche di carattere formale o procedimentale, e ciò anche quando, qualora il
giudice amministrativo avesse attribuito alla norma il significato poi individuato dalla Corte
4
v., in tal senso, sentenza van Schijndel e van Veen
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, non avrebbe potuto pronunciare
l’annullamento del provvedimento perché impedito dalla disposizione di cui all’art. 21 octies
l. n. 241/1990. Quanto ai riflessi processuali della persistente illegittimità-invalidità del
provvedimento, nonostante il ricorrere delle
condizioni ostative alla sua annullabilità
contemplate dalla disposizione in esame, merita di essere menzionato quello relativo
alla possibilità di avanzare domanda di risarcimento del danno prodotto dalla omissione
procedimentale: si pensi alla mancata comunicazione del provvedimento di esclusione da un
procedimento di gara, che abbia indotto l’impresa concorrente a confidare sulla sua
perdurante possibilità di concorrere
all’aggiudicazione
dell’appalto,
in
tal
modo
inducendola a non concorrere all’aggiudicazione di altro appalto analogo.
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
4 Profili applicativi dell’art. 21 octies l. n. 241/1990
Su di un piano concretamente applicativo, la norma si prefigge di accrescere i
contenuti di accertamento della sentenza amministrativa: essa persegue tale risultato
stimolando l’attività di allegazione delle parti e rendendola più complessa rispetto alla
tradizionale unilateralità che la caratterizzava in passato. Nella struttura tradizionale del
processo amministrativo, infatti, l’onere di allegare i fatti (ovvero i profili di illegittimità
del provvedimento), e quindi di delimitare l’oggetto del giudizio, fa carico al ricorrente,
mentre all’amministrazione fa capo una posizione di carattere sostanzialmente passivo:
essa deve difendere il provvedimento dalle censure formulate dal ricorrente, senza poter
tuttavia modificare quest’ultimo, emendandolo dei vizi che ne inficiano eventualmente la
legittimità, mediante un’attività meramente processuale (potendo essa solo rinnovarlo,
nell’esercizio del potere pubblico di cui è titolare, ovvero adottare un provvedimento
nuovo sostitutivo di quello impugnato ed immune dai vizi lamentati dal ricorrente). A
tale ricostruzione ha contribuito la stessa giurisprudenza, elaborando regole e principi che
rendono inutile, ai fini della
definizione
della
controversia,
qualsiasi
attività
dell’amministrazione volta a modificare l’oggetto del giudizio così come cristallizzato dal
provvedimento e dalle censure formulate dal ricorrente: basti pensare alla regola che
sancisce il divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimento che ne fosse
eventualmente carente. Lo stesso ricorso incidentale, quale mezzo per allargare l’oggetto del
giudizio rispetto al perimetro delle allegazioni del ricorrente, ha in comune con il ricorso la
funzione destruens, sebbene rivolta nei confronti di un provvedimento diverso da quello
impugnato principaliter (ovvero nei confronti dello stesso provvedimento gravato dal
ricorrente, ma relativamente ad aspetti diversi da quelli sui quali si appuntano le censure
attoree). La norma in esame, invece, rompe il rigido schematismo del processo
amministrativo, incentrato sull’onere del ricorrente di allegare i fatti a fondamento
della domanda di annullamento:
l’illegittimità
dell’accertamento
formale
della
essa,
aprendo
o procedimentale
sua
del
alla
possibilità
provvedimento
di
sulla
superare
scorta
legittimità sostanziale e contenutistica, sprona
l’amministrazione a collaborare con il giudice allo scopo di indurlo ad escludere che
sussistessero alternative plausibili al provvedimento adottato e, di riflesso, spinge lo stesso
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
ricorrente a fornire elementi di giudizio travalicanti l’aspetto della mera legittimità formale
del provvedimento impugnato (poco significativa ai fini della individuazione di un assetto di
interessi conforme a legge). In tal modo, la dialettica processuale subisce un netto
incremento e miglioramento qualitativo rispetto alla sua configurazione tradizionale e si
accresce, di riflesso, la capacità definitoria dell’assetto sostanziale di interessi proprio della
sentenza del giudice amministrativo. Si è anche osservato che la disposizione produce la
conversione dell’azione di annullamento in azione di accertamento: il fuoco del sindacato
giurisdizionale non è circoscritto ai fatti accertati dall’amministrazione e posti a fondamento
del provvedimento, ma si allarga a ricomprendere tutti i fatti rilevanti ai fini della
individuazione
dell’assetto
di
interessi conforme alle norme di legge (sostanziale).
L’applicazione della norma non solleva particolari questioni relativamente alla sua prima
parte: il carattere vincolato del provvedimento rappresenta un terreno congeniale per
l’esplicazione del potere di accertamento del giudice amministrativo, senza alcun rischio di
sconfinamento nell’area
delle
valutazioni
(discrezionali)
amministrazione. Quanto poi al carattere “palese” che
riservate
l’assenza
alla
pubblica
di alternative
contenutistiche del provvedimento deve presentare, esso deve intendersi come “ragionevole
certezza” circa la mancanza di soluzioni regolatrici alternative a
quella
recepita
dal
provvedimento impugnato: un accertamento consentito, nell’ipotesi di provvedimenti
vincolati, dal fatto che, date determinate circostanze di fatto, unico è essere l’assetto di
interessi conforme a legge. Meno semplice è determinare quando il contenuto del
provvedimento
impugnato
non sarebbe stato diverso anche qualora, nell’ipotesi di
provvedimenti discrezionali, sia stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento.
Deve in primo luogo osservarsi che la norma, coerentemente con la riserva di cui gode la
pubblica amministrazione in tema di valutazioni discrezionali, demanda alla stessa
amministrazione, quale parte del giudizio, il compito di addurre elementi atti a convincere il
giudice dell’assenza di ipotesi regolatrici diverse da quella consacrata nel provvedimento
impugnato. Nell’assolvimento di tale onere, l’amministrazione non fa altro che arricchire il
corredo istruttorio e motivazionale del provvedimento impugnato: sembra, in altri termini,
che al giudice, per quanto questo possa risultare adeguatamente motivato e suffragato
da un congruo accertamento dei fatti rilevanti, sia precluso, in mancanza di un ulteriore
sforzo istruttorio e motivazionale dell’amministrazione resistente, di ritenere l’irrilevanza
della omissione comunicativa lamentata dal ricorrente. Anche in tale caso, sarà interesse
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del
ricorrente
contrastare
Le invalidità del provvedimento amministrativo
le
allegazioni
difensive dell’amministrazione: ciò,
naturalmente, abbandonando il terreno delle censure di carattere meramente formale, ed
adducendo quegli elementi di carattere istruttorio, che l’omissione partecipativa gli ha
impedito di travasare nell’alveo procedimentale, suscettibili di orientare l’esercizio del
potere discrezionale verso esiti diversi da quelli che hanno trovato espressine nel
provvedimento impugnato. Deve aggiungersi che la possibile diversità contenutistica del
provvedimento illegittimo sul piano formale o procedimentale non potrebbe essere ancorata
al mutamento della disciplina successivo all’adozione del suddetto provvedimento: ad
esempio, colui che impugna il permesso di costruire ottenuto da terzi, adducendo
violazioni di carattere formale o procedimentale, non potrebbe sostenere che il contenuto
del provvedimento, dopo il suo annullamento, sarebbe diverso in quanto il permesso, nel
nuovo contesto normativo, non potrebbe essere rilasciato. In altre parole, la valutazione circa
il contenuto che il provvedimento avrebbe assunto ove fossero state rispettate le prescrizioni
formali e procedimentali deve assumere a riferimento la situazione di fatto e di diritto
esistente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato: ove così non fosse,
infatti,
la regola interpretativa correttamente desumibile dalla disposizione in esame,
secondo cui non può essere annullato il provvedimento il cui contenuto sarebbe stato
identico anche qualora fossero state osservate le norme in tema di forma e di procedimento,
verrebbe tradotta nell’altra secondo cui non può essere annullato il provvedimento il cui
contenuto, anche dopo l’annullamento, sarebbe identico a quello del provvedimento
annullato. Così opinando, a tacer d’altro, verrebbe violato il principio che impone che la
valutazione della legittimità del provvedimento deve essere rapportata alla situazione di fatto
e di diritto esistente al momento della sua adozione. Alla stressa conclusione deve
pervenirsi qualora il ricorrente assuma che, annullato il provvedimento per vizi di forma
o di procedimento, il potere di cui esso è espressione non sarebbe riesercitabile, come nel
caso di impugnazione di un atto che poteva essere adottato solo entro un breve termine.
Particolare attenzione deve essere altresì prestata alla delimitazione delle norme alla cui
violazione fa riferimento la norma in esame: deve infatti escludersi la riconducibilità alla
nozione di “norme sul procedimento” di quella che, ad esempio, pur nell’ambito del
procedimento inteso alla adozione di un provvedimento di carattere vincolato, esige
l’acquisizione del
nulla-osta o dell’autorizzazione di un’autorità diversa da quella
procedente, costituente espressione di un potere di carattere discrezionale.
Una norma
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
siffatta, infatti, non prevede un mero adempimento procedimentale funzionale all’esercizio
del potere vincolato di cui è espressione il provvedimento finale, ma delinea un potere
autonomo, di carattere discrezionale, il quale concorre alla costruzione dell’assetto di
interessi, relativamente ad aspetti la cui valutazione è appunto demandata all’autorità
deputata al rilascio del nulla-osta o dell’autorizzazione. Si discute di quale debba essere
l’esito del processo, una volta accertato il sussistere delle condizioni applicative della norma
in esame. Si è sostenuto che si attaglierebbe, ad individuare l’esito del ricorso una volta
accertata la sussistenza delle condizioni per applicare la disposizione in esame, la
formula
della improcedibilità per sopravvenuta carenza dell’interesse del ricorrente
all’accoglimento della proposta domanda di annullamento: formula la quale descrive
sinteticamente, appunto, il sussistere di una situazione, sopravvenuta nel corso del giudizio,
tale da escludere che dall’accoglimento del ricorso la parte ricorrente possa ottenere una
qualsiasi utilità. Potrebbe infatti addursi che l’assenza di alternative contenutistiche al
provvedimento impugnato,
procedimentale,
sebbene illegittimo
privi il ricorrente
di
ogni
per profili di
serio
e
concreto
carattere formale o
interesse
al
suo
annullamento, essendo comunque destinato ad essere sostituito, ove annullato dal giudice,
da un provvedimento avente lo stesso contenuto di quello impugnato sebbene depurato dai
vizi formali o procedimentali che lo inficiavano. A tale riguardo, si è anche sostenuto che la
norma rinviene i suoi immediati antecedenti nei tentativi
giurisprudenziali
volti
a
rescindere il legame necessario tra illegittimità del provvedimento per vizi di carattere
formale e suo annullamento: tali tentativi, in mancanza di espressi appigli di carattere
normativo idonei a dare ad essi fondamento, hanno fatto essenzialmente leva su istituti di
carattere processuale, come l’ammissibilità del ricorso. In particolare, la mancanza di
alternative
contenutistiche
al
provvedimento
impugnato, accertata dal giudice
eventualmente su sollecitazione dell’amministrazione resistente, ha fatto propendere per la
carenza a monte dell’interesse del ricorrente al
suo annullamento, con la conseguente
declaratoria di inammissibilità del ricorso. Tuttavia, tale impostazione presentava limiti
evidenti, tali da ridurne al minimo le possibilità applicative: basti considerare che, almeno
relativamente ai provvedimenti lesivi di interessi legittimi oppositivi, l’annullamento del
provvedimento impugnato per vizi di carattere formale o procedimentale, pur quando
esso
rappresenti
l’unica
soluzione regolatrice possibile di una determinata fattispecie
amministrativa, è foriera quantomeno della utilità per il ricorrente rappresentata dalla
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Le invalidità del provvedimento amministrativo
possibilità di richiedere il risarcimento dei danni verificatisi nelle more, possibilità che
ha sovente indotto il giudice amministrativo ad evitare la statuizione di inammissibilità
del ricorso. La norma in esame invece, introducendo un ostacolo assoluto (cioè non legato a
valutazioni relative all’interesse del ricorrente) all’annullabilità del provvedimento, non si
presta ad essere spiegata sulla scorta di considerazioni di ordine esclusivamente processuale:
non si spiegherebbe, altrimenti, la preclusione da essa opposta all’annullabilità del
provvedimento, anche quando dal suo annullamento il ricorrente possa aspettarsi il
soddisfacimento di un interesse succedaneo come quello di carattere risarcitorio. Si è quindi
osservato
che
essa
estende
il
richiamato
principio
giurisprudenziale
(circa
l’inammissibilità del ricorso nell’ipotesi di assenza di alternative contenutistiche al
provvedimento impugnato) agli interessi legittimi di tipo oppositivo, correggendo forse
quella che era stata definita una iperprotezione di tali interessi. La non annullabilità del
provvedimento, sulla scorta della norma
in esame, non è
d’altro canto adducibile a
fondamento di una pronuncia di rigetto del ricorso, quale discende normalmente
dall’accertamento della insussistenza dei vizi lamentati dal ricorrente: si è visto infatti che
il provvedimento contrastante con le norme in tema di forma e di procedimento non
è legittimo né valido, ma semplicemente soggetto ad una forma di “annullabilità
condizionata” (all’accertamento del giudice circa la non ineluttabilità, sul piano
contenutistico, del provvedimento impugnato). Deve altresì escludersi che l’assenza di
ipotesi contenutistiche alternative a quella trasfusa nel provvedimento impugnato costituisca
oggetto di una eccezione in senso sostanziale formulabile dall’amministrazione intimata: la
norma infatti è ispirata ad una visione di carattere oggettivo, dalla quale esula ogni onere di
parte, sì che anche l’oggettiva evidenza della mancanza di alternative contenutistiche,
rilevabile
ex
officio
dal giudice amministrativo, si presta a dare luogo alla “non
annullabilità” del provvedimento ai sensi della norma de qua. Deve quindi concludersi nel
senso che la disposizione contiene una direttiva indirizzata al giudice prima che alle parti,
volta a circoscriverne e condizionarne il potere di statuire l’annullamento
del
provvedimento: essa, quindi, opera secondo uno schema analogo a quello che ispira
l’art. 43 d.P.R. n. 327/2001 (oggi, dopo la declaratoria di incostituzionalità della norma,
sostituito dall’art. 42 bis), laddove dispone che “qualora sia impugnato uno dei
provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione volta alla
restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l’amministrazione che ne ha
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso
Le invalidità del provvedimento amministrativo
interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di
fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno,
con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo”.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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