Criteri di tecnologia in zona sismica per il recupero di strutture con calcestruzzi ad alta tecnologia Prof. Agostino Catalano, Università degli Studi del Molise Il concetto di progetto strutturale in zona sismica è teso ad innalzare quello di resistenza strutturale sotto l’azione di sollecitazione da terremoto in funzione della classificazione territoriale stabilita dalla normativa in funzione di statistiche di eventi tellurici verificatisi nella nostra nazione. In sostanza, non si tratta di progettare sistemi costruttivi diversi da quelli già conosciuti, ma di aumentare il rispettivo livello di sicurezza mediante analisi ed applicazioni specifiche delle procedure di calcolo della struttura e l’adozione di particolari costruttivi idonei a raggiungere il descritto livello di sicurezza. È bene precisare che tale metodologia progettuale è legata ai parametri stabiliti dalla normativa relativamente alle quattro zone in cui è stato suddiviso il territorio nazionale; pertanto, le sollecitazioni derivanti da un sisma con valori esuberanti da quelli previsti non sono relazionabili alle modalità di resistenza insite nella parte strutturale del sistema costruttivo adottato. Il concetto di ideazione geometrica della struttura in zona sismica è estremamente importante e non riguarda solo le varie sezioni resistenti componenti le singole parti, ma la complessiva configurazione del sistema costruttivo con riflessi, conseguenti, sulla espressione formale e compositiva dell’edificio. In particolare, va segnalato come una forma regolare, caratterizzata, tra l’altro, da una contenuta presenza di strutture a sbalzo, anche se di limitata luce, costituisca il modello di riferimento per le costruzioni in zona sismica caratterizzate da un elevato grado di sicurezza. Tale riferimento formale contraddistinto da un progetto esecutivo improntato su un sistema costruttivo teso a rendere l’effetto scatolare compatto della struttura non deve essere considerato limitativo delle possibilità formali che il progettista intende rendere alla propria ideazione. Questi deve percorrere il giusto percorso progettuale, il solo che definisce la qualità finale di una qualsivoglia architettura, che vede una tecnica esecutiva tesa a rendere la necessaria garanzia di sicurezza al progetto strutturale integrando con essa, unitamente alla buona funzionalità della pianta e ai requisiti di illuminazione, acustica e trasmissione del calore, la forma finale. In sostanza, la dinamica formale deve tendere a quella giusta distribuzione delle masse, richiamata precedentemente, partendo dalla consapevolezza che dell’applicazione della forza sismica non possiamo conoscere a priori né il punto di applicazione né l’intensità. Partendo da tale considerazione occorre creare un sistema strutturale che consenta di assorbire l’incremento sismico lungo tutte le direzioni e, quindi, nel caso di struttura intelaiata ciò si può ottenere realizzando telai spaziali, con i pilastri collegati con travi in tutte le direzioni sia nella parte in elevazione che in quella in fondazione escludendo la realizzazione di strutture intelaiate piane in cui non si prevede tale collegamento tra i pilastri, ma solo lungo una delle direzioni; inoltre, è giusto l’allineamento dei pilastri lungo le direzioni ortogonali tra loro. La seconda regola che deve seguire il progettista esecutivo è quella di evitare il nascere di effetti torsionali tra le masse. In realtà, ogni sistema costruttivo nella sua essenza strutturale è caratterizzato da un baricentro geometrico G, facilmente individuabile, ed un baricentro di applicazione delle forze, il baricentro torsionale T. Quanto maggiormente i due baricentri sono ravvicinati tanto minori sono gli effetti torsionali in presenza dell’incremento sismico; in pratica, SETTEMBRE14 1 occorre diminuire quanto più è possibile l’eccentricità tra i due baricentri delle masse e delle forze. Come è evidente, l’incremento sismico, oltre che dai coefficienti elencati e che sono legati a logiche tecnico-normative, è fondamentalmente esaltato dalla forza peso. Essa costituisce l’unico valore numerico che il progettista può gestire per contenere il valore totale dell’incremento sismico da considerare nella resistenza globale al momento dell’evento tellurico. Occorre sottolineare come anche per la resistenza sismica occorra condurre criteri che nascano dalla fase ideativa e progettuale e che, comunque, vanno verificati e legittimati da quella di calcolo. Il criterio ispiratore in tal senso è quello di realizzare una struttura “chiusa” nel senso di impedimento di svincolamento dei nodi strutturali. Infatti, l’azione più pericolosa indotta dal sisma è costituita dalla tendenza alla “apertura” della scatola strutturale in funzione dell’applicazione dell’incremento ai vari livelli di piano. Tale condizione di sicurezza può essere fortemente esaltata tramite l’effetto di collegamento dei solai che esplicano la prestazione di tenere compatta la struttura, ai rispettivi ordini, e di distribuire l’incremento sismico tra le travi ed i pilastri in funzione, inoltre, della capacità deformativa del solaio stesso. Se tali sono le condizioni per la nuova progettazione, tecnologicamente le condizioni si complicano quando si entra nella “fascia” riguardante il recupero e la conservazione degli edifici. In tale ottica è evidente come il territorio nazionale italiano sia caratterizzato da un patrimonio edilizio differenziato sia per quanto attiene le caratteristiche dei materiali utilizzati che per le tipologie edilizie e modalità di posa in opera dei materiali stessi. I rischi inoltre si aggravano ogni qualvolta si presentano su un tessuto urbano caratterizzato da particolari condizioni di vulnerabilità agli eventi sollecitativi esterni. Le suddette tipologie di rischio si sommano a particolari modalità costruttive e tipologiche che nel tempo inducono ad una perdita o ad una riduzione indicativa dei margini di sicurezza strutturale. In sostanza si tratta di fare affidamento unicamente su quella che viene definita “resistenza residua” dell’elemento strutturale sia nelle sue specifiche sezioni geometriche che di quella valutata nell’organizzazione generale del sistema costruttivo. In questa ottica l'utilizzo di indagini a seguito di terremoti e la capacità di gestire i meccanismi di collasso forniscono allo specialista tecnologo la possibilità di prevenire i fenomeni di danneggiamento dell’impianto strutturale. Infatti, la gran parte dei meccanismi di collasso sono caratteristici di determinate tipologie edilizie e di specifiche tecniche di assemblaggio dei materiali. Sembra, quindi, opportuno individuare indicatori di vulnerabilità strutturale su cui intervenire per ottenere l’innalzamento delle prestazioni sia di sicurezza statica che dinamica dell'edificio. In letteratura tecnica il rischio strutturale è funzione di tre parametri fondamentali: pericolosità, esposizione, vulnerabilità. La pericolosità individua la probabilità che un fenomeno avvenga in un determinato sito producendo sollecitazioni eccezionali che investendo i fabbricati esistenti ne può provocare il collasso strutturale. La pericolosità è legata al sito di costruzione ed è strettamente connessa alle caratteristiche geologiche dei terreni che possono amplificare i suddetti fenomeni. L'esposizione è legata all’area di influenza dell’edificio e cresce in maniera esponenziale in funzione del numero di vittime e di danni che possono generarsi a seguito del collasso strutturale dell'edificio in esame. In sintesi più una fascia territoriale è abitata maggiore sarà la sua "esposizione" al rischio strutturale. SETTEMBRE14 2 Il terzo fattore di rischio strutturale è la vulnerabilità che definisce la tendenza al danno di un edificio per sollecitazioni sia statiche che dinamiche. È il fattore che maggiormente si lega alle argomentazioni di tipo tecnologico in quanto è strettamente connesso alle modalità costruttive e ai materiali utilizzati. Intervenendo sulla tecnologia è possibile contenere il rischio di vulnerabilità di un fabbricato entro valori di sicurezza. L'approccio progettuale ad ogni intervento di innalzamento dei livelli prestazionali strutturali di un edificio deve essere avviato attraverso una attenta indagine dello stato esistente, peraltro prevista dalle normative vigenti, anche superando le problematiche specifiche di ogni tecnologia edilizia espressa nell’organizzazione della struttura. È pertanto fondamentale acquisire informazioni e valori per determinare gli indicatori di vulnerabilità e di danno ai fini delle esatte tecniche di intervento invertendo la tendenza che ha troppo spesso caratterizzato indagini tese maggiormente alla ricerca di indicatori di danno piuttosto che ad indicatori di vulnerabilità. In ogni caso i due concetti si integrano per l'individuazione del danno esistente e per la necessità di prevenire il rischio strutturale. A tale scopo appare di particolare interesse una logica diagnostica che si sviluppi secondo: indagine per la caratterizzazione dei materiali costitutivi i macroelementi strutturali, alla valutazione delle caratteristiche di resistenza dei materiali ed allo stato di conservazione degli stessi; valutazione degli indicatori di danno rilevabili; valutazione degli indicatori di vulnerabilità in funzione delle sollecitazioni; valutazione delle condizioni di vulnerabilità prima dell’intervento; progettazione degli interventi tesi alla riduzione delle condizioni di vulnerabilità strutturale; verifica, in sede di progetto, della soluzione prescelta mediante il calcolo di un nuovo indice di vulnerabilità "post-operam". Tale filosofia di approccio alla problematica del rischio strutturale consente un controllo continuo del grado di sicurezza strutturale dell'edificio. In tale ottica si possono definire gli indicatori di vulnerabilità tecnologica per gli edifici intelaiati in calcestruzzo armato secondo una classificazione ampiamente accettata: Tipo ed organizzazione del sistema resistente/Efficienza dei collegamenti: tiene conto dell'efficienza dei collegamenti tra orizzontamenti e strutture verticali e quindi del funzionamento scatolare dell'organismo. Qualità del sistema resistente: considera la qualità, l'omogeneità e l'organizzazione delle strutture verticali. Tali fattori rivestono particolare importanza ai fini della garanzia di funzionamento strutturale in quanto da essi dipende per esempio la capacità di trasmettere in maniera efficiente i carichi trasmessi dai solai in funzione della loro rigidità. Resistenza convenzionale: evidenzia l'effetto della qualità e della quantità delle strutture resistenti attraverso un'analisi che tiene conto sia delle caratteristiche di resistenza sia della loro sezione resistente. Posizione dell'edificio e delle fondazioni: tiene conto di alcuni aspetti relativi alle fondazioni ed al terreno di fondazione ritenuti influenti sul comportamento sismico globale. In particolare, in zona sismica tale indicatore tiene conto di due aspetti fondamentali. Il primo è legato alla natura geologica dei terreni in sito che possono talvolta produrre una amplificazione delle sollecitazioni sismiche, l'altro è legato alla SETTEMBRE14 3 morfologia del sito ed alla variazione geometrica dell'edificio in altezza, che si evidenzia ad esempio nel caso di edifici fondati su piani a quote diverse. Orizzontamenti e Strutture orizzontali: tiene conto del tipo e dell'efficacia dei collegamenti tra gli orizzontamenti e le strutture verticali. In relazione infatti alla capacità di trasferire in maniera uniformemente ripartita le azioni orizzontali ai pilastri può essere valutata l'efficienza dei solai. Configurazione planimetrica: tiene conto della forma in pianta attraverso la valutazione dei rapporti tra le dimensioni dell'edificio oltre ad eventuali difformità planimetriche; Configurazione in elevazione: tiene conto delle variazioni e discontinuità in elevazione quali piani porticati, eventuali variazione di massa, etc.. Strutture di copertura: la copertura è considerata come un orizzontamento "speciale" dove si valutano gli elementi strutturali e le forze che essi generano, i pesi e la lunghezza degli appoggi. Elementi non strutturali: tiene conto della tipologia e delle caratteristiche di tutti quegli elementi non portanti quali murature d’ambito, cornicioni, piccoli aggetti etc., presenti nell'edificio. Stato di fatto: tiene conto della diminuzione di resistenza conseguente ad uno stato di danno quale presenza di lesioni, dissesti, stato di degrado dovuto a carenze manutentive presenti negli elementi strutturali. La carenza di interventi di manutenzione, infatti riduce progressivamente la sezione resistente con grave pregiudizio per la staticità dell'edificio. A seguito di sollecitazioni esterne di tipo ordinario o straordinario, le strutture principali e secondarie costituenti un edificio reagiscono utilizzando tutte le risorse disponibili al fine di resistere alle suddette azioni. Se le stesse superano le soglie di resistenza caratteristiche dei materiali costituenti le strutture, queste si plasticizzano e, deformandosi, dissipano il surplus di energia esterna non smaltito con le "risorse ordinarie". A seguito di tali plasticizzazioni, perdurando lo stato sollecitativo esterno, i materiali costituenti le strutture, avendo fatto appello a tutte le risorse interne, "collassano", snervandosi prima e disgregandosi immediatamente dopo con rotture in genere di tipo fragile quando la struttura non è caratterizzata da adeguata duttilità o a seguito di deformazioni plastiche più vistose, se tali doti di duttilità sono presenti e vengono utilizzate a pieno durante le fasi di sollecitazione strutturale. Tali fenomeni, così esposti in maniera "qualitativa", si generano in ogni tipo di struttura ed a seguito di qualsiasi sollecitazione. Infatti ogni tipologia strutturale, ogni materiale costituente le strutture, è caratterizzato da resistenze caratteristiche sotto le varie sollecitazioni (compressione, trazione, flessione, taglio, torsione, sollecitazioni composte). Tali caratteristiche di resistenza a seguito di una serie di fattori esterni decadono nel tempo (carbonatazione che riduce la resistenza a compressione dei conglomerati cementizi, dilavamento delle malte di calce, ossidazioni delle armature metalliche, etc.) e riducono quindi le soglie di resistenza ultima dei singoli manufatti. Ma non sono solo tali fenomeni "naturali" ad intaccare le risorse di resistenza dei materiali; spesso infatti sono le modifiche sollecitative imposte durante la vita utile dell'opera, a modificare drasticamente le capacità di resistenza strutturale degli edifici (sopraelevazioni, alterazione di porzioni di struttura ai piani bassi, sostituzione di solai e coperture con tipologie più pesanti, riduzione di sezione resistente dei pilastri per esigenze funzionali etc.). Analogamente, quindi, a quanto fatto per gli indicatori di vulnerabilità, è possibile focalizzare l'attenzione su alcuni indicatori di danno. SETTEMBRE14 4 FASE DI INDAGINE E DIAGNOSTICA A tale scopo, le prove che si possono eseguire sul calcestruzzo indurito e posto già in opera, possono essere distinte in distruttive e non distruttive. Per le prove di quest’ultimo tipo vale l’impiego dei metodi combinati che, se tarati su prove di rottura a compressione, consentono di estendere i risultati puntuali riferiti alle carote a zone più ampie delle strutture. Le prove distruttive sulle strutture in genere consistono in saggi eseguiti su piccole parti di zone ritenute più significative (ad esempio all’intradosso di solette, in travi, in pilastri, etc.), al fine di controllare le caratteristiche meccaniche dei materiali, di constatare il grado di ossidazione delle armature, di verificare il tipo e la disposizione delle armature presenti, etc.. Le prove non distruttive eseguite in situ per la valutazione indiretta delle caratteristiche del calcestruzzo, oltre a non arrecare danni alle strutture ed al funzionamento dell’edificio, comportano costi relativamente contenuti e sono di agevole esecuzione. Accanto alle prove del tipo: sonda Windsor che consiste nella determinazione della resistenza del calcestruzzo in opera mediante la misurazione della profondità di penetrazione di una speciale sonda. Infatti tale profondità è inversamente proporzionale alla resistenza del calcestruzzo e tale metodo può dirsi concettualmente simile a quello sclerometrico. In ogni caso, contrariamente a quanto avviene per le indagini sclerometriche, questa prova ha il vantaggio di evitare l’influenza degli strati superficiali eventualmente deteriorati, in quanto la superficie di prova risulta mediamente ubicata ad una profondità di circa 5 centimetri, pull-out che viene utilizzata per determinare le proprietà meccaniche del calcestruzzo già in opera. La prova può essere condotta o introducendo nel getto di calcestruzzo un inserto di acciaio e misurando la forza di estrazione oppure mediante foratura con trapano inserendo nella struttura un tassello ad espansione e successivamente misurando la forza di estrazione dal calcestruzzo indurito, il metodo maggiormente utilizzato, nel settore delle indagini non distruttive, è comunque il metodo microsismico. Esso consente di ottenere indicazioni sui valori delle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo già indurito misurando la velocità di propagazione di onde ultrasoniche longitudinali aventi frequenza variabile tra i 40 ed i 120 kHz che attraversano il materiale. La velocità di propagazione dipende dalle caratteristiche del materiale (elasticità, densità, presenza di vuoti, microfessurazioni, etc.). La strumentazione di misura è costituita da un trasmettitore ultrasonico (che genera l’impulso) e da un ricevitore. Dal segnale, opportunamente amplificato, viene misurato l’intervallo di tempo intercorso tra l’istante di emissione e quello di ricezione dell’impulso. La trasmissione dell’impulso, a seconda del posizionamento delle sonde, può essere: 1. diretta (o per trasparenza) quando le sonde trasmittente e ricevente sono applicate su due facce opposte dell’elemento strutturale; 2. semi-diretta: quando le sonde trasmittente e ricevente sono applicate su due facce adiacenti, solitamente ortogonali, dell’elemento strutturale; 3. indiretta (o per superficie): quando le sonde trasmittente e ricevente sono applicate sulla stessa faccia dell’elemento strutturale. SETTEMBRE14 5 Delle tre, quella maggiormente adottata è la diretta, poiché con tale sistema si ha la massima trasmissione di energia alla sonda ricevente e quindi la massima sensibilità. Se l’indagine microsismica si integra con l’indagine sclerometria si può applicare il metodo combinato SONREB che con la combinazione dei metodi non distruttivi mediante sclerometro ed ultrasuoni consente di ottenere i risultati più attendibili sulla resistenza del calcestruzzo sia in sito che sulle carote. I vantaggi del metodo possono essere così riassunti: - annullamento dell’influenza dell’umidità e del grado di maturazione del calcestruzzo sui risultati dell’analisi in quanto essi hanno, a parità di effettiva resistenza a rottura, effetto opposto sulle misure della velocità di propagazione degli ultrasuoni e dell’indice di rimbalzo; - riduzione, rispetto al metodo ultrasonico, dell’influenza della granulometria dell’inerte, del dosaggio e del tipo di cemento e dell’eventuale additivo utilizzato per il getto del calcestruzzo; - diminuzione, rispetto al metodo sclerometrico, dell’importanza delle variazioni di qualità tra strati superficiali e strati profondi del calcestruzzo. Il metodo viene applicato determinando per ogni area di saggio due coppie di valori: - velocità media di propagazione degli impulsi ultrasonici (mediata su tre misure); - indice di rimbalzo medio (mediato su 10 misure). I parametri misurati con queste indagini, e cioè velocità di propagazione ed indice di rimbalzo, possono essere messi in correlazione con la resistenza a compressione del calcestruzzo secondo la seguente legge di variazione ottenuta sperimentalmente: Rc = A x IB x VC dove: Rc= resistenza a compressione del calcestruzzo; I= indice medio di rimbalzo; V= velocità media degli ultrasuoni (m/s); A,B,C= costanti da ricavarsi sperimentalmente. Dal confronto tra le resistenze SONREB e quelle ottenute dalle prove di schiacciamento delle carote si può mettere a punto la taratura di un sistema di correlazione tra prove dirette (eseguite sulle carote) e prove indirette (eseguite sia in sito che sulle carote) che consente di estendere i risultati puntuali riferiti alle carote a zone più ampie delle strutture. Infine, la misura della carbonatazione misura la profondità di carbonatazione dello strato superficiale esterno del calcestruzzo che, in relazione all’entità di tale profondità può provocare l’ossidazione delle armature con conseguente distacco del copriferro. Infatti la presenza di biossido di carbonio nell’atmosfera causa la formazione di carbonato di calcio con conseguente indurimento dello strato superficiale che, specialmente nel caso di prove sclerometriche, può indurre a sovrastimare la resistenza del calcestruzzo stesso. Nei calcestruzzi di buona qualità lo spessore interessato dalla carbonatazione è limitato a profondità di alcuni millimetri, mentre per strutture degradate, incendiate ed in ambienti aggressivi, lo spessore può raggiungere profondità significative. SETTEMBRE14 6 MATERIALI PER INTERVENTI DI RECUPERO Esaurita la fase di indagine e diagnostica, attualmente si possono effettuare interventi di recupero strutturale mediante l’utilizzo di calcestruzzi ad alta tecnologia che assicurano prestazioni che fino a pochi anni fa erano considerate impossibili. Infatti, con tali conglomerati si può considerare la duttilità una proprietà non solo delle armature ma anche dei conglomerati. Tale fondamentale livello prestazionale si definisce nell’innalzamento del controllo del cracking che permette di elevare in maniera considerevole la capacità deformative del calcestruzzo adoperato con conseguente innalzamento anche della resistenza sismica. Infatti, l’applicazione di tali microcalcestruzzi, caratterizzati da minimi spessori di getto è tesa fondamentalmente proprio al raggiungimento del miglioramento sismico richiesto dalla normativa come uno dei livelli da ottenere in alternativa all’adeguamento sismico quasi mai raggiungibile per strutture esistenti. Molta strada si sta facendo in questo settore consentendo il recupero dei livelli prestazionali di un impianto costruttivo caratterizzato da un conglomerato datato con una resistenza residua inadeguata per i carichi sismici richiesti dalla normativa vigente. Ciò è particolarmente evidente in quelle fasce di territorio che sono state inserite in una determinata zona sismica con un patrimonio costruito in calcestruzzo armato che risulterebbe non a norma. In particolare, il riferimento è a particolari tipologie edilizie definite “strategiche” a cui viene richiesto in molti casi l’adeguamento sismico. Ci sembra, poi, di particolare importanza il recupero delle strutture degli edifici scolastici che sono nella quasi totalità patrimonio costruito assolutamente da verificare e su cui intervenire in quanto figlie di una tecnologia caratterizzata da altri parametri di sicurezza statica e dinamica. In tale ottica, nelle opere di consolidamento delle strutture in calcestruzzo potranno essere adoperati conglomerati ad alta tecnologia come, ad esempio, il calcestruzzo HPFRCC (High Performance Fiber Renforced Cementitious Compiosites). In particolare, dovranno essere adoperati calcestruzzi compatibili per interventi con una tecnologia di consolidamento di pilastri e travi passando attraverso la preparazione del supporto tramite la scarifica meccanica per rimuovere tutte le parti degradate del calcestruzzo esistente e garantire la corretta adesione del nuovo getto di completamento. Successivamente occorre attuare la saturazione con acqua ed il getto di microcalcestruzzo fibrorinforzato HPFRCC per uno spessore di 3,00 cm. Andranno, inoltre, trattate le armature esistenti con boiacca bicomponente anticorrosione. La tecnica prevede uno scalpellamento molto spinto ed occorre superare lo spessore del copriferro per arrivare a superare la posizione delle armature. Occorre avere molte precauzioni in questa fase che vede la drastica riduzione della sezione resistente della parte di struttura su cui si sta intervenendo. I risultati ottenibili sono di affidamento come dimostrano gli interventi già effettuati. Nelle immagini da 1 a 4 le fasi di recupero dei pilastri di un edificio scolastico in Umbria che ha consentito il recupero anche sismico di una struttura realizzata negli anni ’70 applicando la metodologia e tecnologia descritta. SETTEMBRE14 7 Foto 1. Pilastro in fase di isolamento Foto 3. Predisposizione della cassaforma SETTEMBRE14 Foto 2.: Pilastro scalpellato oltre la posizione delle armature e reso scabro per l’aderenza del nuovo getto Foto 4. Pilastro dopo il getto. Si nota la perfetta faccia a vista del conglomerato 8