Scienze della Natura e loro valore conoscitivo

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Epistemología de las Ciencias. El punto de partida del conocimiento (1999) CIAFIC
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Scienze della Natura
e loro valore conoscitivo
G. M. Prosperi*
In questo mio intervento ripeterò in parte cose già dette negli
anni scorsi. Per affrontare il problema del valore conoscitivo
della scienza della natura mi sembra infatti essenziale partire
ancora da quello del metodo, da come cioè la scienza viene
costruita e da come le teorie scientifiche si articolano ed
evolvono. Mi sembra importante da questo punto di vista porre
a confronto la concezione della scienza nel mondo greco e
quella della nostra moderna scienza sperimentale e allo stesso
tempo cercare di capire che cosa di nuovo sia accaduto nel
Rinascimento perché una scienza della natura nel senso che
noi oggi diamo a questo termine potesse svilupparsi.
L’idea di Scienza senza aggettivi nasce certamente
nell’antica Grecia. Furono i Greci a giungere per primi al
concetto di dimostrazione, a rendersi conto che non era
importante solo sapere come le cose sono, ma anche capire
perché sono come sono.
Il mondo egiziano e quello mesopotamico erano in possesso
di un buon numero di cognizioni che noi oggi diremo
scientifiche; conoscenze di tipo geometrico, come regole per il
calcolo di aree e volumi, di tipo algebrico, conoscenze di
anatomia, sull’efficacia di erbe o altri medicamenti, conoscenze
sul moto apparente degli astri. Tutte queste nozioni però erano
strettamente finalizzate a scopi di carattere pratico; tracciare
nuovi confini nei campi dopo le inondazioni, risolvere problemi
relativi all’amministrazione dello stato o alla costruzione degli
*
Attualmente è Professore e ricercatore di istituzioni di Fisica Teorica presso
l'Università di Milano, Dipartimento di Fisica dell’Università di Milano, Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare, sezione di Milano.
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edifici, curare ferite e malattie, fissare un calendario (necessario
per le esigenze dell’agricoltura e del culto), formulare oroscopi
(in Mesopotamia era molto sviluppata la cultura del magico).
Mancava invece ogni tentativo di giustificazione teorica delle
conoscenze acquisite; ciò che interessava erano i risultati; se
qualche metodo di carattere generale esisteva, come è
probabile, esso era visto esclusivamente in funzione
strumentale e non è stato tramandato. Mancava ogni sforzo di
sistemazione organica, e qualunque cosa che possa anticipare
l’idea di un trattato.
L’atteggiamento cambia completamente con l’emergere della
cultura greca. A Talete è già accreditata la dimostrazione di
cinque teoremi di Geometria elementare e gran parte del
vocabolario generale della Matematica che noi ancora oggi
usiamo (termini come assioma, postulato, ipotesi, dimostrazione ...) sembra risalire alla scuola eleatica. La scuola
pitagorica porta avanti importanti riflessioni sulla natura del
numero e dell’armonia, compaiono i primi tentativi di
organizzazione delle conoscenze matematiche, vengono
formulati i primi modelli cosmologici, ci si pone in maniera
esplicita il problema di cosa sia una scienza, del suo valore e
dei suoi fondamenti.
LA CONCEZIONE DELLA SCIENZA IN ARISTOTELE E LA
NASCITA DELLA SCIENZA MODERNA
Nei suoi Analitici Anteriori Aristotele si preoccupa di stabilire
innanzitutto le regole del ragionamento corretto (la Logica) e poi
negli Analitici Posteriori affronta il discorso su come una
scienza debba essere organizzata e come possa essere
fondata.
Secondo Aristotele una scienza deve basarsi su un certo
numero di concetti e di proposizioni primitive; queste ultime di
tipo generale, comuni a tutte le scienze (assiomi) oppure
specifiche della particolare scienza (postulati). A partire da tali
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concetti primitivi si introducono gli altri concetti di cui la scienza
ha bisogno attraverso definizioni formali. Dalle proposizioni
primitive si traggono con metodo puramente deduttivo tutte le
altre proposizioni (i teoremi) in cui essa si articola e tutta la
solidità dell’edificio dipende da quella dei suoi postulati.
I concetti e le proposizioni primitive secondo Aristotele si
originano da un processo che egli chiama intuizione intellettiva,
nella sostanza una sorta di processo di astrazione, e va quindi
giudicata in qualche modo a priori e non sulla base delle
conseguenze che ne derivano. Nella sua concezione
l’esperienza svolge un ruolo essenziale evocativo e di stimolo,
ma non è importante per i contenuti particolari che fornisce.
Un’applicazione sostanzialmente fedele delle regole dettate
da Aristotele si può vedere negli "Elementi" di Euclide, con le
sue spiegazioni sostanzialmente ostensive dei concetti di
punto, linea, figura, ..., i suoi sette assiomi e i suoi cinque
postulati, da cui tutti i teoremi sono o vorrebbero essere
successivamente dedotti. E’ chiaro che l’idea di un carattere a
priori dei concetti può essere molto congeniale alla Matematica
(almeno in una suo momento precritico), ma è anche molto
lontana dall’idea di una scienza sperimentale di tipo ipotetico
deduttivo, in cui la validità dei principi si giudica a posteriori,
dalla conformità all’esperienza di conseguenze che possono
essere anche il risultato di una lunga catena di deduzioni.
Nel mondo greco anticipazioni del metodo sperimentale si
hanno innanzitutto nella formulazione dei modelli cosmologici.
Sia pure con un pregiudizio a favore del moto circolare, la
giustificazione di questi sta infatti in ultima analisi nella loro
capacita` di "salvare i fenomeni", cioè di dar ragione della
posizione apparente degli astri e permettere previsioni. E’
questo il caso del modello a sfere omocentriche di Eudosso e
Callippo, del primo tentativo di un modello eliocentrico da parte
di Aristarco, del modello geocentrico basato sui concetti di
deferente ed epiciclo sviluppato da Apollonio e Ipparco e
ripreso da Tolomeo. Altre anticipazioni si possono vedere
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nell’opera dei meccanici alessandrini, in Archimede e più in
generale nel complesso della scienza ellenistica (le cui opere
sono andate però in larga parte perdute).
L’ideale dominante della cultura greca resta però quello di
poter ricondurre tutto a principi necessari. Bisognerà attendere
il Rinascimento perchè una Scienza della Natura nel senso
moderno del termine possa affermarsi e un ruolo particolare in
questo contesto è comunemente riconosciuto alla figura di
Galileo. Il merito di quest'ultimo sta non tanto, o non solo, nelle
scoperte di tipo astronomico e negli studi sulla caduta dei gravi,
quanto nell'aver per primo saputo prender piena coscienza di
un metodo che caratterizza la disciplina almeno quanto i suoi
contenuti, e che con i dovuti aggiornamenti e sviluppi resta
tutt'oggi alla base del nostro modo di procedere.
All'origine della scienza sperimentale nel Rinascimento e
nell'Europa occidentale stanno certamente molti fattori. Tali
sono il ricupero di gran parte del pensiero greco nella sua
espressione originale (molto importante tra le altre l'opera di
Archimede); i notevoli progressi nella Matematica, legati in
parte agli sviluppi del commercio e della navigazione; i
progressi in vari rami della tecnologia, dalla lavorazione dei
metalli alla molatura delle lenti, che rendevano possibile la
costruzione di strumenti sempre più perfetti. Alcuni autori, però,
come Pierre Duemme, Alfred Whitehead e successivamente lo
storico californiano Lynn Whyte, rivendicano un ruolo
particolare a tutto il complesso delle Filosofia e della Teologia
medievale e sottolineano che la "Rivoluzione Scientifica" è stata
il risultato di un lungo processo di maturazione iniziatosi nel
‘200 e che ha avuto espressione per esempio nella la scuola di
Oxford (Ruggero Bacone, Roberto Grossatesta, Guglielmo di
Okham, ...) e nei suoi epigoni francesi (Giovanni Buridano,
Nicola di Oresme, ...), e ha portato ad una rivalutazione dei
contenuti specifici dell'esperienza come fonte di conoscenza.
Tale processo ha origine nel clima culturale in cui questi
movimenti sono nati e ha una chiara radice nella concezione
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ebraico-cristiana di un Dio creatore, che portava a respingere
aspetti del pensiero aristotelico che apparivano inaccettabili alla
luce di quella. Di questo tipo era l'idea di un mondo eterno e
necessario, che non potesse essere diverso da come era e che
appariva in contrasto con la libertà di Dio. Se il mondo è il risultato di una libera scelta di Dio, la pretesa di una conoscenza
fondata esclusivamente su principi filosofici di carattere generale diviene inconcepibile e il ricorso ad unesperienza specifica
diviene essenziale. E' così che nell'opera degli studiosi citati, in
particolare in Nicola di Oresme, l'idea di un metodo ipotetico
deduttivo comincia a delinearsi.
L'esperienza a cui i tardo medievali si riferivano restava però
sempre l'esperienza ordinaria, cioè un'esperienza sostanzialmente passiva. Il merito di Galileo è non solo quello di avere
applicato il metodo ipotetico sistematicamente e con piena
consapevolezza, ma soprattutto di aver introdotto il concetto di
esperimento, o sensata esperienza, come "interrogazione"
ragionata ed esplicita della Natura, come esperienza guidata da
un'ipotesi interpretativa e riguardante eventi riprodotti in
laboratorio nelle condizioni più favorevoli per l'osservazione.
LA SCIENZA SPERIMENTALE
Nonostante l'atteggiamento polemico di Galileo verso gli
aristotelici del suo tempo, l'ideale ultimo della Fisica in senso
moderno resta quello di un sapere organizzato secondo i
canoni aristotelici, con le sue definizioni, i suoi principi i suoi
teoremi. Questo è ovvio per i Principia di Newton, che ricalcano
sotto molti aspetti la linea degli Elementi di Euclide, ma è già
evidente in Galileo, per esempio nell'immaginario trattato
riportato all'interno della sua opera più matura, i Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze.
Ancora oggi le formulazioni cosiddette assiomatiche, delle
teorie che hanno raggiunto un grado sufficiente di sviluppo e di
elaborazione, tendono a strutturarsi come vere e proprie teorie
matematiche.
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Ciò che Galileo criticava della Fisica aristotelica era in realtà
la sostanza dei principi su cui essa si basava ed il modo
aprioristico con cui essi pretendevano di essere fondati. L'idea
che noi oggi abbiamo di scienza sperimentale è invece quella di
una scienza i cui postulati sono giustificati, come abbiamo
detto, sulla base del loro potere esplicativo e predittivo. Si
suppone di partire da un certo numero di fatti dell'esperienza
ordinaria o da un corpo di risultati già acquisiti tramite effettivi
esperimenti e si tenta la formulazione di principi che possano
rendere conto di tali fatti o risultati. Si cerca di dedurre dai
principi ipotetici introdotti il maggior numero di conseguenze
empiricamente verificabili e di concepire esperimenti che
possano confermarle o smentirle (Popper parlerà di falsificabilità delle teorie). Galileo individua i due elementi fondanti
nelle già ricordate sensate esperienze e nelle necessarie
dimostrazioni. La "nuova scienza" si svilupperà appunto da un
rapporto dialettico continuo tra costruzione teorica ed
esperimento.
E' importante sottolineare che alla formulazione dei principi il
ricercatore non è mai condotto in maniera univoca dal risultato
di esperimenti attraverso un puro processo di induzione, come
avrebbe voluto Francesco Bacone. Nella formulazione delle
ipotesi alla base di una teoria intervengono l'intuizione e la
fantasia del ricercatore, il suo senso estetico, i suoi pregiudizi
filosofici. Il modo in cui egli vi giunge è per se irrilevante. Ciò
che importa è che le ipotesi siano in grado di dar ragione dei
fatti per la cui interpretazione sono state create e che portino a
previsioni che possano superare successivamente controlli
rigorosi. All'idea, apparentemente contraria all'esperienza ordinaria, che tutti i corpi, fatta astrazione dalla resistenza dell'aria,
cadessero con accelerazione costante ed indipendente dalla
loro stessa natura, Galileo fu guidato da vari elementi, tra questi
un'ipotesi di massima semplicità e la considerazione di un
esperimento ideale (sul confronto tra il comportamento di due
corpi quando essi cadessero separatamente o saldati in un
unico corpo). Contestualmente egli però elaborò varie
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conseguenze della sua ipotesi, tra cui quella della
proporzionalità tra lo spazio percorso nella caduta e il quadrato
del tempo impiegato. Combinando quest'ultimo risultato con
una seconda ipotesi (che nel linguaggio attuale può essere
identifica con il carattere vettoriale dell'accelerazione) fu capace
di concepire i suoi esperimenti di verifica con i piani inclinati,
che, pur nella loro grossolanità, rivestono un grande valore
concettuale.
Un discorso simile può essere fatto per le leggi che Newton
pone alla base della sua meccanica e della sua teoria della
gravitazione. Tali leggi furono scelte in modo da rendere conto
di quelle sulla caduta dei gravi come formulate da Galileo; di
quelle sulla conservazione del momento lineare nell'urto, come
postulata dapprima in maniera imperfetta da Cartesio e poi da
Wallis, Wen e Huygens; delle leggi di Keplero sul moto dei
pianeti. Una loro prima conferma si ebbe nel successo della
loro applicazione al moto della luna attorno alla Terra e
nell'interpretazione del moto dei corpi su scala terrestre. Una
ulteriore e definitiva conferma si avrà, poi, con l'osservazione
delle deviazioni del moto dei pianeti dalle leggi di Keplero e la
loro interpretazione come perturbazioni prodotte dall'attrazione
reciproca tra gli stessi pianeti.
OPZIONI FONDAMENTALI E LINGUAGGIO
Oltre al modo di procedere per continua dialettica tra
costruzioni teoriche ed esperimenti sopra discusso, un'altra
caratteristica molto importante della nuova scienza nata nel
Rinascimento è l'angolo visuale sotto cui gli oggetti sono
guardati. La Filosofia greca come quella medievale sono
dominate dal problema della ricerca dell'essenza e delle cause.
Così si esprime invece Galileo nella sua terza lettera a Marco
Wesler:
"O noi vogliamo specolando tentar di penetrar l'essenza vera
ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci
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di venire in notizia di alcune loro affezioni. Il tentar l'essenza l'ho
per impresa non meno impossibile e per fatica non meno vana
nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e
celesti ... Ma se vorremo fermarci all'apprensione di alcune
affezioni, non mi par ci sia da disperar di poter conseguirle anco
nei corpi lontanissimi da noi, non meno che nei prossimi".
L'aspetto rivoluzionario di questo atteggiamento sta da una
parte nella rinuncia a spiegare i fenomeni naturali ricorrendo a
principi metafisici generali, dall'altra nel riconoscimento della
possibilità di isolare alcuni aspetti degli oggetti studiati, di
delimitare in maniera precisa un certo ambito di fenomeni e di
ottenere una conoscenza valida senza necessariamente porli in
relazione col tutto. Nel pensiero classico la comprensione del
tutto è condizione per la comprensione delle parti, ora invece è
spesso dalla conoscenza delle parti che si può giungere a
sintesi più ampie. E' ad un tale atteggiamento che è
evidentemente legata la stessa possibilità della Scienza della
Natura moderna di articolarsi in capitoli e settori tra loro in larga
misura indipendenti.
E' in quest'ordine di idee che nasce la possibilità di procedere
per idealizzazioni, per modelli e di ragionare su esperimenti
ideali; strumento quest'ultimo molto usato in analisi di tipo
concettuale nella Fisica moderna, ma già presente in Galileo. Si
tratta infatti di prescindere da aspetti della realtà che si studia
ritenuti inessenziali allo scopo che ci si prefigge, per
concentrarsi su quelli più rilevanti. E' questo il caso del moto di
rivoluzione dei pianeti intorno al sole, idealizzati come punti, o
della caduta dei gravi supponendo di poter prescindere dalla
resistenza dell'aria.
Riguardo alle particolari affezioni, alle "qualità" dei corpi da
considerare, inoltre, Galileo nella sua opera Il Saggiatore
distingue tra quelle quantificabili e matematizzabili, come sono
le dimensioni, l'estensione, la disposizione nello spazio,
considerate oggettive e che saranno dette in seguito qualità
primarie, e quelle più direttamente legate alla percezione del
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soggetto, come il colore, che saranno dette qualità secondarie.
Nello sforzo di creare una scienza per quanto possibile
oggettiva e incontrovertibile, egli stabilisce che l'attenzione
debba essere ristretta alle sole qualità primarie.
E' quest'ultima da ritenersi una seconda opzione,
fondamentale e in qualche modo costitutiva, della Scienza
sperimentale. Essa oggi si traduce tra l'altro nel requisito di
operatività nella definizione delle grandezze e di protocolli
precisi per la loro misura e sono proprio queste caratteristiche
che rendono non ambigua l'enunciazione e la comunicazione di
un risultato.
Per finire va precisato che quanto detto a proposito delle
relazioni tra le parti e il tutto, non significa che la Fisica si debba
esaurire in una pura analisi, rivolta ad individuare
semplicemente i costituenti più elementari degli oggetti e a
studiarne le proprietà. A parte l'importanza del modo di organizzarsi di tali costituenti, che non è solamente riconducibile alle
proprietà dei singoli, nelle teorie più fondamentali si punta ad un
punto di vista sempre più unitario. Nell'ambito della Teoria
Quantistica dei Campi poi gli stessi costituenti perdono la loro
individualità per diventare semplice modo di apparire dello stato
di campi che sono per se degli oggetti olistici.
Veniamo al problema del linguaggio. Sempre nel Saggiatore
Galileo scrive anche:
"La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che
continuamente ci sta aperto davanti agli occhi (io dico
l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a
intender la lingua, a conoscere i caratteri, ne' quali è scritto. Egli
è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi e
altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a
intenderne umanamente parola: senza questi è un aggirarsi
vanamente per un oscuro laberinto".
L'affermazione più significativa di questo secondo brano è
che la Matematica costituisce il linguaggio stesso in cui la Fisica
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deve essere espressa. Questa circostanza, se era vera per la
Fisica dei tempi di Galileo, lo è molto di più per la Fisica attuale
e l'averla posta in evidenza va considerata una grande
scoperta. Le ragioni di questo ruolo sono certamente nella
scelta di privilegiare gli aspetti quantitativi del mondo sensibile.
Ma non meno importante è che la Matematica fornisce lo
strumento logico con cui le ipotesi fondamentali di una teoria
fisica possono essere formulate in modo inequivoco, le loro
conseguenze essere elaborate e tradotte alla fine in predizioni
precise e controllabili.
Ovviamente per Galileo il "linguaggio matematico" era
innanzitutto quello della Geometria elementare. Questa era
sufficiente per formulare i modelli cosmologici che erano
discussi a quel tempo. E' chiaro tuttavia che come la
comprensione del mondo della natura ha proceduto, hanno
dovuto essere impiegati tipi di linguaggio matematico sempre
nuovi e avanzati.
La formulazione della Meccanica data da Newton nei suoi
Principia, ad esempio non sarebbe stata semplicemente
possibile senza l'introduzione delle prime idee di Analisi
Infinitesimale. Il concetto di equazione differenziale ha
dominato tutta la Fisica Classica. Il concetto di differenziale
esatto è stato essenziale per l'introduzione di quelli di forza
conservativa in Meccanica, di energia interna o di entropia in
Termodinamica; senza di esso interi capitoli di fisica non
sarebbero mai stati scritti.
Nella Fisica Classica la relazione tra simboli matematici e
realtà empirica è comunque molto diretta. Il punto materiale
idealizza un corpo le cui dimensioni siano trascurabili alla scala
considerata; le sue coordinate corrispondono a tipi di
osservazione concettualmente molto semplici, come quelle
eseguite con comuni strumenti ottici. I campi elettrici e
magnetici possono essere in linea di principio posti
immediatamente in relazione con gli effetti prodotti su corpi di
prova in quiete o in movimento; la distribuzione delle
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temperature in un fluido fa riferimento almeno idealmente alle
indicazioni di un sistema di termometri.
Il grado di astrazione diviene invece grandissimo nella Fisica
Quantistica. In questo caso il linguaggio matematico non ha per
se alcun corrispettivo immediato nell'intuizione ordinaria. Il
contatto con il mondo reale, con ciò che noi possiamo percepire
o su cui possiamo agire, è dato da un insieme di regole
matematiche astratte che acquistano senso solo nella loro
unità. E' solo con l'uso dell'intero complesso di queste regole
che noi possiamo fare delle predizioni verificabili, "spiegare"
determinati fenomeni, capire le loro connessioni con altri.
Non sempre il fisico riesce inoltre a trovare nella Matematica
esistente il formalismo che gli è necessario per costruire una
nuova teoria. In molti casi egli stesso deve crearselo. Molte
volte proprio in questo modo sono stati aperti dei capitoli
completamente nuovi della Matematica. E' stato questo il caso
del concetto di derivata come introdotto da Newton, quello di
serie di Fourier, di certi sviluppi della teoria degli operatori, della
teoria delle distribuzioni.
E' particolarmente interessante ad esempio il modo in cui
Dirac ha organizzato il suo famoso libro Quantum Mechanics e
molti dei suoi lavori scientifici. Di norma egli presuppone solo
una matematica molto elementare e cerca di costruirsi il
formalismo necessario assiomaticamente in stretto contatto con
la teoria fisica. La struttura matematica è così fatta emergere
direttamente dalla Fisica. Alcune delle idee introdotte in questo
modo da Dirac sono state sviluppate da matematici di grande
valore, come L. Schwartz o I. M. Gel'fand, e hanno dato origine
a capitoli interamente nuovi della Matematica.
SVILUPPO ED EVOLUZIONE DELLE TEORIE E DEI MODELLI
CONCETTUALI
Se le teorie ricevono una loro legittimazione dalla capacità di
spiegare i fenomeni conosciuti e dalla conferma dei fenomeni
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che prevedono, è chiaro che esse devono essere innanzitutto
modificate o sostituite come emergono dei risultati nuovi che
non possono essere inquadrati nelle vecchie idee. Questo non
è però l'unico modo in cui le teorie evolvono. Esse
progrediscono in larga parte anche per logica interna, nello
sforzo di raggiungere una sempre maggiore coerenza e
semplicità di presupposti e di ottenere sintesi sempre più
ampie.
Esempi della prima circostanza, a parte il caso di
innumerevoli teorie particolari, si possono avere nel definitivo
prevalere della teoria ondulatoria della luce su quella
corpuscolare, nell'abbandono dell'idea del calore come
sostanza per passare ad una sua interpretazione energetica,
nella creazione di una Teoria Quantistica in sostituzione di
quella Classica per l'interpretazione dei fenomeni di emissione
e assorbimento della radiazione e lo studio della costituzione
microscopica della materia.
Numerosissimi sono però anche gli esempi della seconda
circostanza. Possiamo ricordare innanzitutto lo stesso caso
della Meccanica, in cui Newton, come ho detto, riuscì a
comporre in un quadro unitario e a ricondurre ad un unico
sistema di principi, la caduta dei gravi, i fenomeni d'urto, il moto
dei pianeti. Possiamo ricordare come altro classico esempio del
risultato di un simile sforzo di sintesi l'elettromagnetismo di
Maxwell, nelle cui famose equazioni quest'autore riuscì a
inglobare tutte le leggi particolari sul campo elettrico e
magnetico ai suoi tempi conosciute, prevedendo tra l'altro
l'esistenza delle onde elettromagnetiche, successivamente
verificata da Hertz. Nello stesso ordine di idee possiamo
pensare al caso della Teoria della Relatività di Einstein, nata da
una esigenza fondamentalmente estetica, dalla convinzione
che il principio di relatività valido per la Meccanica dovesse
potersi estendere a tutte le leggi fisiche (e non, si badi, dal
risultato dell'esperienza di Michelson di cui Einstein neppure
parla nel suo primo lavoro). Esempi del tipo indicato potrebbero
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poi moltiplicarsi indefinitamente nel periodo più recente.
Ignorando i moltissimi tentativi che non hanno avuto successo,
possiamo ricordare come particolarmente significativo il caso
della teoria unificata delle interazioni elettro-deboli di Glashow,
Weinberg e Salam che è riuscita a comporre in un quadro
unitario la teoria delle forze elettromagnetiche e delle forze
deboli, arrivando a prevedere con grande precisione tutta una
serie di fenomeni nuovi, tra cui l'esistenza delle famose
particelle W e Z, le loro masse e le loro principali proprietà.
Questa teoria costituisce insieme alla QCD (Cromo Dinamica
Quantistica), teoria delle interazioni forti, la base di quello che è
chiamato oggi il "modello standard" delle particelle e la
premessa dei molti sforzi per creare una teoria unificata di tutte
le forze che includa anche la Gravità.
Venendo ai contenuti ed alle articolazioni delle varie teorie
che si sono succedute, un rapido sguardo storico, permette di
individuare diversi momenti, corrispondenti a capitoli e
problematiche diverse, caratterizzati dall'affermarsi di
determinati modelli concettuali. Tali modelli si sono rivelati
insufficienti in una fase successiva e hanno dovuto essere
integrati o radicalmente trasformati; Thomas S. Kuhn parla di
rivoluzioni scientifiche e di cambiamenti di paradigma.
Il primo capitolo della Fisica che ha acquistato la forma di una
teoria organica è stato ovviamente la Meccanica.
L'idea centrale nella Meccanica è quella di "punto materiale".
In certe classi di fenomeni noi possiamo trascurare la forma e le
dimensioni di un corpo, specificarne semplicemente la massa e
la posizione e scrivere un sistema di equazioni che regola il
variare con il tempo delle sue coordinate. Una tale
idealizzazione è sufficiente per descrivere il moto di molti corpi
pesanti in prossimità del suolo o quello di rivoluzione dei pianeti
intorno al sole. Il comportamento dei corpi estesi può essere
trattato nello stesso ordine di idee, pensando a questi come
aggregati di piccole parti. In questo modo è stato possibile
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costruire una teoria dei corpi rigidi, una teoria dell'elasticità, una
teoria dei fluidi.
La perfezione formale e i risultati raggiunti dalla Meccanica
sono stati tali che per quasi tre secoli molti scienziati hanno
potuto avere la convinzione che tutti fenomeni fisici dovessero
essere inquadrati nell'ambito di tale disciplina. Lo stesso
Newton riteneva che, col progredire delle conoscenze sulla
costituzione microscopica della materia, tutte le forze, incluse
quelle elettriche e quelle magnetiche, avrebbero potuto essere
ricondotte alla sola forza di gravitazione. Ma primi dubbi sulla
possibilità di comprendere la natura esclusivamente con
concetti di tipo meccanico nacquero già nella prima metà del
XIX secolo, come conseguenza sia dello sviluppo della
termodinamica, sia soprattutto dell'idea di "campo" introdotta da
Ampere e da Faraday. Ogni tentativo di interpretare
l'elettromagnetismo in termini meccanici fu poi abbandonato
all'inizio di questo secolo con la comparsa della Teoria della
Relatività, oltre trent'anni dopo la definitiva formulazione della
teoria di Maxwell. Ci si è resi conto che il "campo" doveva
essere considerato come un'entità completamente nuova; una
entità priva di qualsiasi supporto "materiale", eppure
estremamente concreta. Essa poteva essere direttamente
percepita come luce, poteva essere misurata, era capace di
trasportare energia e momento, ma non poteva essere
ricondotta a deformazione o spostamento di corpi. Il
cambiamento nell'ordine delle idee è stato drastico.
Un cambiamento anche più importante si è avuto con la
nascita della Fisica Quantistica. E' apparso chiaro che i concetti
della Meccanica Classica, se insufficienti per la comprensione
dei fenomeni elettromagnetici, ancora di più risultavano
inadeguati per lo studio di quei costituenti elementari della
materia a cui pure poteva sembrare che più immediatamente
dovessero applicarsi. In effetti l'idea di punto materiale, su cui
come abbiamo detto l'intera Meccanica si basa, doveva essere
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radicalmente rivista e perdeva molto del suo significato
originario.
La caratteristica essenziale della nuova teoria è che a
ciascuno di quegli oggetti che chiamiamo "particelle" (elettroni,
protoni, neutroni, ecc.) appare associato un campo
soddisfacente un'appropriata equazione d'onda. Nella
formulazione più elementare, la cosiddetta Meccanica
Quantistica o "prima quantizzazione", il quadrato del modulo del
campo è legato, come è noto, alla probabilità di "rivelare" la
particella con uno strumento effettivo disposto in una
determinata posizione nello spazio. In questo senso il campo
può essere visto come un semplice strumento matematico per
effettuare previsioni osservabili. Tuttavia con le onde associate
alle particelle è possibile ripetere esperimenti di interferenza e
diffrazione largamente analoghi a quelli effettuati con la luce.
Con un fascio di elettroni è possibile ottenere effetti di
diffrazione su cristalli del tutto simili a quelli ottenuti con i raggi
X ed è anche possibile riprodurre l'esperimento di Young, di
interferenza da due fenditure. In questo contesto è importante
sottolineare che in un dispositivo in cui le particelle possano
essere registrate singolarmente la figura di interferenza è
effettivamente progressivamente ricostruita come conseguenza
della loro distribuzione statistica sullo schermo. E' d'altra parte
chiaro che il concetto stesso di interferenza è in contraddizione
con l'idea di una particella puntiforme che segue una traiettoria
continua. Se infatti nell'esperimento di Young, noi vogliamo
anche solo immaginare che la particella passi per una soltanto
delle due fenditure, immediatamente siamo costretti a
concludere che l'interferenza è impossibile. Ciò che resta nella
Meccanica Quantistica dell'idea di particella puntiforme è
semplicemente la circostanza che essa, essendo un oggetto
indivisibile, può agire solo su uno per volta degli elementi di un
sistema di rivelatori, per quanto piccoli questi possano essere.
L'allontanamento dai concetti classici diviene ancora più
drastico ed evidente nella Teoria Quantistica dei Campi
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(seconda quantizzazione), essenziale per conciliare la teoria
quantistica con la Relatività. In tale teoria le particelle sono
pensate come "quanti" di campi appropriati, esse divengono
cioè una manifestazione del fatto che l'energia ed il momento
del campo possono cambiare solo per quantità discrete. Parlare
di un elettrone, due elettroni, molti elettroni ha solo il senso di
specificare lo stato di un determinato campo. In questa
prospettiva la singola particella perde anche quell'individualità
che le era rimasta nella prima quantizzazione. In un dato
processo certe particelle possono sparire e altre essere create;
questo fatto essendo semplicemente un modo di apparire degli
scambi di energia tra campi.
OPZIONI EPISTEMOLOGICHE
Lo sviluppo storico delle idee in Fisica che ho cercato di
delineare nei suoi tratti essenziali nella sezione precedente, la
progressiva crisi dei concetti teorici fondamentali e la necessità
di rimpiazzarli successivamente porta a porsi molto
naturalmente il problema del significato e del valore delle
"conoscenze" acquisite.
Dopo quanto detto in particolare a proposito della Teoria
Quantistica, è chiaro che una posizione di realismo ingenuo
come quella di molti scienziati del passato, che pretenderebbe
di poter dare una descrizione del mondo come è, visualizzare
gli oggetti fisici in maniera immediata e porli in corrispondenza
diretta con gli enti matematici, non appare oggi sostenibile.
Come la ricerca si sviluppa tutte le teorie mostrano i loro limiti e
nuove teorie devono essere create. Anche se le vecchie teorie
in molti casi vengono conglobate e restano nelle successive
(nel contesto di sintesi più generali o come approssimazioni
valide in determinate situazioni limite), è evidente che ad ogni
stadio alle nostre acquisizioni può essere attribuito solo un
carattere parziale e provvisorio.
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Insistiamo sul fatto che col trascorrere del tempo non si è
verificato solo uno sviluppo quantitativo delle conoscenze, ma
sono gli stessi schemi concettuali utilizzati che hanno dovuto
essere radicalmente modificati e sono venuti ad assumere un
carattere progressivamente più astratto. Nell'affrontare i
problemi posti dall'estremamente piccolo abbiamo dovuto
rinunciare in larga parte alla nostra intuizione e formulare teorie
in cui la Matematica da semplice mezzo di calcolo è diventata,
come abbiamo detto, sempre più un indispensabile strumento
espressivo, a un livello e in una misura che Galileo mai avrebbe
potuto immaginare.
Emblematicamente i problemi di interpretazione posti dalla
Fisica moderna possono essere colti nel dibattito che si è
acceso, al suo apparire, attorno alla Teoria Quantistica e che,
nonostante l'atteggiamento molto più pragmatico dei fisici di
oggi, è ancora aperto e rivela una notevole varietà di posizioni.
Di fronte all'astrattezza del formalismo e alle difficoltà di
lettura dei risultati, tra molti scienziati e filosofi della scienza si è
manifestato un atteggiamento puramente strumentalista
largamente diffuso soprattutto negli anni dai ‘20 ai ‘40. Questo
atteggiamento consiste nel negare alla teoria ogni contenuto,
oltre a quello di una pura correlazione tra i fenomeni, e nel
ridurla a semplice strumento di previsione, senza alcun
riferimento a una realtà indipendente dall'osservatore. Esso è
stato interpretato nella maniera più esplicita dal neopositivismo,
che ha avuto a un certo punto la pretesa di assurgere al ruolo di
filosofia ufficiale della nuova Fisica.
Una posizione così estrema è a mio parere insostenibile ed è
addirittura in contraddizione con la stessa motivazione di fondo
della ricerca scientifica. Credo che all'idea di una qualche realtà
al di fuori di noi sia molto difficile rinunciare. Tale idea nasce
infatti dalla nostra stessa fondamentale esperienza che non è
possibile modificare il "mondo" a nostro piacere e che per poter
agire su di esso noi dobbiamo innanzitutto "comprenderlo".
Inoltre in un punto di vista puramente convenzionalista o
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strumentalista non c'è in realtà posto per l'elemento teorico che
pure, come abbiamo detto, è essenziale per la Fisica e
strettamente legato a parole come "spiegare" e "capire". In una
tale prospettiva la teoria può al massimo ridursi ad un criterio di
ordinamento di una molteplicità di fatti empirici. Ma un tale
declassamento è decisamente contro l'atteggiamento
psicologico e la stessa esperienza di lavoro di ogni scienziato.
Come Whitehead diceva, la scienza nasce da "una convinzione
istintiva e generalizzata che esiste un ordine delle cose e più
precisamente un ordine della Natura" e che tale ordine, almeno
in una certa misura può venire compreso. Anche quando
motivato da ragioni applicative, l'atteggiamento dello scienziato
nell'ambito del suo lavoro resta sempre un atteggiamento
conoscitivo, non congruo con una semplice ricerca di utilità.
Se però rifiutiamo un realismo ingenuo, se insistiamo sul
carattere provvisorio di ogni teoria e allo stesso tempo
riteniamo incongruo un puro strumentalismo, quale può esser il
vero senso delle nostre teorie e delle nostre progressive
acquisizioni? Credo che la risposta vada trovata nel concetto di
modello, nell'idea che ogni teoria fisica debba essere riguardata
appunto come un modello (in linea con l'assunto che non
possiamo "tentar le essenze"), come uno strumento di tipo
analogico, che è certamente per molti aspetti una nostra
creazione, ma che, pur sempre ci parla di un mondo reale.
Comunque la si metta, tuttavia, il problema del valore
conoscitivo della Fisica, del fatto che essa parli appunto o non
parli di un mondo reale, appare (qualunque cosa questa ultima
posizione possa voler dire) strettamente legato al ruolo che
nell'interpretazione si attribuisce al concetto di causa e al senso
che si ritiene di dover dare a questa parola. E' su questo
concetto che mi voglio un momento soffermare prima di
ritornare su quello di modello.
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RUOLO DEL CONCETTO DI CAUSA
Nella filosofia classica il termine causa ha parecchie
accezioni. Per i nostri scopi, al di là delle distinzioni più sottili,
ne interessano fondamentalmente due. La prima è il concetto di
causa in rapporto alla dimensione temporale: causa come ciò
che produce un evento (causa efficiente) o a cui un evento è
indirizzato (causa finale). La seconda il concetto in rapporto alla
dimensione dell'essere: causa come ragione dell'essere le cose
come sono, ragione delle caratteristiche e delle proprietà del
mondo che ci circonda.
La prima accezione appare costitutiva del concetto stesso di
ordinamento temporale. Un evento che è determinato,
condizionato, influenzato da un altro è percepito come
successivo, come verificantesi dopo il primo evento; uno che lo
condiziona, lo influenza come verificantesi prima dello stesso.
La percezione di un tale tipo di rapporto appare intrinseca e
all'origine della stessa nozione di tempo. Non è un caso che
proprio nella teoria della Relatività, che nella divulgazione è
spesso presentata come la teoria della relatività del tempo, sia
in effetti ritenuto essenziale per una definizione operativa non
ambigua di questa grandezza la non reversibilità del rapporto di
successione tra ciò che in un dato contesto è considerato
causa e ciò che è considerato effetto.
Nella Teoria della Relatività Speciale il suddetto requisito è
garantito dal teorema di causalità relativistico che è una
conseguenza del carattere limite della velocità della luce. Dal
punto di vista fisico, perché un evento A che si verifica in un
certo luogo e ad un certo tempo (e che è perciò idealmente
specificato da tre coordinate spaziali e una temporale) possa
influenzare un secondo evento B è necessario che il luogo di
quest'ultimo possa essere raggiunto al tempo in cui si verifica
da un segnale originatosi da A (e quindi dal luogo di A al tempo
di A): occorre cioè che nella rappresentazione dello spaziotempo quadridimensionale il punto che rappresenta B cada
all'interno del cono di luce di A (cioè all'interno della
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ipersuperficie che nello spazio-tempo rappresenta la
propagazione di un segnale di luce originantesi da A). Orbene
secondo le equazioni di trasformazione di Lorenzt la coordinata
temporale di un evento dipende dal sistema di riferimento
adottato, ma mentre se B è fuori dal cono di luce di A può
essere tB > tA per un certo osservatore e tB < tA per un altro, se
B cade all'interno del cono di luce di A (e quindi A e B possono
essere in rapporto di causa e di effetto) risulta tB > tA per tutti gli
osservatori.
La seconda accezione del concetto di causa è evidentemente
ancora più fondamentale. Essa appare intrinsecamente legata
al concetto stesso di spiegazione. Spiegare è dare la ragione di
qualche cosa, ricondurla alle sue cause. Spiegare le proprietà
della materia nelle condizioni a noi familiari o in quelle
particolari che si possono ottenere solo nei nostri laboratori, che
si trovano all'interno delle stelle o addirittura riteniamo si siano
verificate in uno stadio iniziale del nostro universo (altissime e
bassissime temperature, altissime densità, stato di plasma
ecc.), significa ricondurre tali proprietà ad un modello di
costituzione microscopica e alle leggi che regolano il
comportamento dei costituenti elementari. Un discorso simile
vale per il problema dell'origine dell'energia irraggiata dal sole,
del meccanismo di formazione delle stelle, dell'evoluzione
dell'universo, del numero, delle proprietà e della natura degli
stessi costituenti elementari ecc..
In quanto legato al concetto di spiegazione il concetto di
causa come ragione sembrerebbe costitutivo del concetto
stesso di Scienza: scientia est cognitio rei per causas. Ma dopo
quanto detto a proposito di Galileo, del nuovo modo di guardare
alle cose della scienza moderna rispetto alla Filosofia
precedente ci si può domandare se le concezioni classiche di
causa, di spiegazione, di scienza siano ancora applicabili?. O,
in altri termini, la scienza moderna può ancora dare risposte a
dei perché? o soltanto, come è stato detto, a dei come?.
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E' evidente che, se ci mettessimo in quella prospettiva
puramente strumentalista che sopra abbiamo rifiutato, la
risposta sarebbe già data. Anche a prescindere da posizioni
estreme, mi sembra comunque esemplificativa di posizioni
esistenti la voce causality che compare sull'Encyclopedia
Britannica (edizione 1962). Si riconosce in tale articolo che la
semplice idea humiana di associazione abituale non può
giustificare quella di una connessione necessaria tra due
eventi, e quindi la capacità di predizione delle teorie
scientifiche. Si sostiene però che il concetto di causa, come
evento che ne produce un altro, sia di natura sostanzialmente
antropomorfa; che al di fuori di un riferimento ad azioni umane
esso possa avere solo un significato analogico. In linea con
Ernest Mach, si sostiene anche che il concetto di rapporto
causale andrebbe ovunque sostituito con quello di relazione
funzionale, che ad esso non si farebbe in realtà alcun
riferimento nelle teorie più evolute e che esso potrebbe al
massimo conservare un suo ruolo nelle spiegazioni di tipo
qualitativo. La spiegazione scientifica si ridurrebbe alla
semplice verifica che un evento o le proprietà di un corpo siano
la conseguenza logica di certe leggi generali (già accertate o
semplicemente ipotizzate), posti certi eventi precedenti o fatte
certe ipotesi sulla costituzione del corpo. La spiegazione
scientifica consisterebbe cioè semplicemente nel mostrare la
conformità a certe leggi e non nel cercare di individuare
relazioni di causa ad effetto.
Quella dell'Encyclopedia Britannica è certamente una
posizione diffusa. In proposito vorrei osservare che effettivamente può essere vero che, finché ci si limita agli aspetti formali
di una teoria, al modo concreto di procedere nella deduzione,
un riferimento esplicito al concetto di causa può essere evitato.
Mi sembra tuttavia che, perché ci si senta autorizzati a parlare
di spiegazione, occorra qualcosa di più. La semplice deducibilità formale da una legge non si vede come possa portare a
superare i limiti dellanalisi di Hume. E' necessario qualcosa che
permetta di tradurre il rapporto logico in un rapporto reale e
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questo è proprio il ruolo del concetto di causa. Se questo
concetto può essere ignorato nel momento formale, esso
diviene essenziale a livello di interpretazione dei risultati, nel
momento in cui pretendiamo che le nostre deduzioni siano
applicabili ad un mondo distinto da noi. La stessa pretesa che
la teoria abbia una capacità predittiva, che certe leggi di cui
abbiamo sempre constatato la validità in passato restino tali
anche in futuro, può essere compresa solo se noi siamo,
almeno implicitamente convinti, che essa colga effettivamente
qualcosa della realtà degli oggetti alla quale la applichiamo.
Voglio in particolare osservare che nel concetto di relazione
funzionale manca quella direzionalità che è propria del rapporto
di causa ad effetto o di quello di successione temporale. Note
ad esempio le leggi della meccanica e della gravitazione, noi
possiamo porre in relazione la posizione e la velocità dei pianeti
in un dato momento con quelle da essi assunte in un momento
precedente. Ma non c'è nulla nel formalismo che faccia
riferimento ad un prima o ad un poi. A livello di interpretazione
noi dobbiamo fare appello alla nostra percezione di questo
prima e di questo poi, senza la quale le nostre relazioni
matematiche restano prive di un senso.
Possiamo illustrare il discorso con le convinzioni istintive che
in noi si sviluppano di fronte a fatti della vita ordinaria.
Consideriamo per esempio il fenomeno del verificarsi di frane in
territori di montagna in conseguenza del disboscamento e di
forti piogge (un'autentica piaga in alcune regioni italiane). Nel
riconoscere piogge e disboscamento come le cause di un
evento di questo tipo noi siamo pienamente coscienti di fare
affermazioni sulla realtà, di indicare circostanze che hanno
realmente prodotto l'evento. E, si noti, che, se il disboscamento
è qualcosa che dipende dall'azione dell'uomo, questo non è
vero per l'occorrere delle piogge. Noi non possiamo in effetti
comunemente disporre delle piogge, né sarebbe sensato fare
esperimenti su scala reale in proposito. Raggiungiamo, tuttavia,
ugualmente empiricamente la convinzione del fatto che la
pioggia sia una delle cause delle frane semplicemente
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confrontando quanto accade durante i periodi di pioggia e
durante i periodi secchi e possiamo spiegarlo come il risultato
della riduzione dell'attrito tra i vari strati di terreno in
conseguenza all'interporsi tra essi di strati di acqua. In tutto ciò
noi siamo convinti di aver compreso realmente qualche cosa
della realtà dell'evento ed è proprio per questo che pensiamo di
poter utilizzare queste conoscenze per delle contro misure e
pensiamo magari di poter avanzare l'accusa di responsabilità
umane.
Il concetto di causa è chiaramente più ricco del concetto di
relazione funzionale ed è essenziale alla nostra comprensione
delle cose. E' in questo senso che deve essere intesa
l'affermazione sulla conoscenza scientifica come conoscenza
per modelli, ma conoscenza vera.
IL CONCETTO DI MODELLO IN FISICA
Cerchiamo, allora, di approfondire e chiarire in qualche
misura il concetto di modello in Fisica, le sue analogie e le sue
principali differenze con il corrispondente concetto in
Matematica.
In Matematica il termine modello è usato con riferimento alla
concezione attuale degli gli enti matematici come sprovvisti di
significato intrinseco. Per modello di una certa teoria si intende
un insieme di oggetti (eventualmente costruiti con gli elementi
stessi di un'altra teoria nel contesto considerata meno astratta)
che ne soddisfa i postulati, secondo un preciso codice di
traduzione o regola di corrispondenza. Se noi associamo, ad
esempio, secondo l'usuale prassi cartesiana, una coppia
ordinata di numeri reali ad ogni punto del piano, un'equazione
lineare ad ogni linea retta e facciamo altre ben note
convenzioni, otteniamo un modello della Geometria Euclidea.
Se, data una stella di rette in un ordinario spazio euclideo,
decidiamo di chiamare punto una retta e retta un piano
passante per il centro della stella, abbiamo un ben noto modello
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di Geometria Ellittica. Due diversi modelli della medesima
struttura astratta possono essere di natura molto diversa. Una
coppia di numeri è qualcosa di molto diverso da una qualsiasi
realizzazione concreta dell'idea di punto. I ruoli del punto e della
retta possono essere completamente scambiati nella Geometria
Proiettiva portando a proposizioni "duali". Ciò che è importante
nel contesto è che ogni teorema per il modello può essere
immediatamente tradotto in un teorema per la struttura astratta
e viceversa.
Il termine modello in Fisica presenta delle analogie ma anche
delle differenze rispetto all'uso che se ne fa in Matematica.
Anche in Fisica è essenziale il concetto di corrispondenza; ma
in Fisica è pure importante il riferimento ad un contesto, ad una
scala di osservazione, alla precisione con cui si pretende che
certe affermazioni siano soddisfatte. Ciò posto, il termine
frequentemente allude ad una idealizzazione e ad una
semplificazione di una situazione complessa con lo scopo di
capire i più importanti aspetti di un fenomeno trascurandone
dettagli meno rilevanti. Ma che cosa sia più o meno importante,
cosa sia rilevante o non lo sia, dipende appunto dal contesto e
dalla scala di osservazione. Si può parlare perciò di un modello
valido ad una data scala, adeguato per certi scopi, non
adeguato per altri. L'idealizzazione dei pianeti come semplici
punti è perfettamente sufficiente per comprendere la loro
progressiva disposizione rispetto al sole e alle altre stelle o,
applicata alla terra e alla luna, il moto apparente del sole o del
nostro satellite contro il cielo stellato. Il modello è invece
insufficiente per spiegare l'alternarsi del giorno e della notte, o il
mutare delle fasi lunari; a questo scopo è necessario far ricorso
al concetto di corpo rigido applicato alla terra e alla luna. Nello
stesso modo, se vogliamo studiare i complessi fenomeni che si
verificano nella nostra atmosfera o sulla crosta terrestre,
dobbiamo considerare in dettaglio la natura chimica, le
proprietà e lo stato fisico delle varie parti del pianeta, il loro
modo di reagire le une sulle altre, l'effetto della radiazione
solare ecc. Ciò che è importante sottolineare è che questi
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modelli, che in ultima analisi vogliono riferirsi al medesimo
oggetto, sono disposti in un certo qual modo in gerarchia.
Quando per un determinato scopo un dato livello della
gerarchia risulta adeguato, noi non guadagniamo nulla a
passare ad un modello più raffinato. Per quello scopo i due
modelli sono del tutto equivalenti, essi ci dicono
sostanzialmente le stesse cose. Per altri scopi il ricorso al
modello superiore diviene essenziale.
Ci sembra che i discorsi precedenti ci permettano di capire in
che senso una teoria fisica può essere sempre pensata in uno
stato provvisorio e incompleto ed allo stesso tempo insegnarci
qualche cosa di definitivo sul mondo della natura. Anche se non
può pretendere di darci una comprensione esaustiva del suo
oggetto, essa ci fornisce appunto un "modello intelligibile" di
validità potenzialmente permanente in un dato ambito. Da
questo punto di vista il rapporto tra due successive teorie, la
seconda delle quali supera e include la prima non ci pare
presenti problemi. Possiamo infatti pensare alla vecchia teoria
come a un modello ad un livello gerarchico inferiore rispetto alla
nuova, un modello che si applica ad una situazione più
particolare, ad una situazione limite, ma che per quella
situazione può essere addirittura più conveniente per la sua
maggiore semplicità. Come ci insegna la lezione dei modelli
matematici. questo resta vero anche se le due teorie operano in
contesti concettuali molto diversi; la cosa importante è
comprendere l'appropriato codice di traduzione tra le due.
Consideriamo qualche esempio. Pensiamo alla già discussa
idealizzazione dell'elettrone come punto materiale. E' chiaro
che questa resta molto utile nel descrivere il moto di questa
particella in un campo elettromagnetico macroscopico ed è
comunemente impiegata nella progettazione dei nostri
apparecchi. Sarebbe sciocco usare l'equazione di Dirac nello
studio di una macchina acceleratrice! Nel contesto della
meccanica Quantistica, tuttavia, il punto materiale è
semplicemente un immagine utile nel considerare il moto del
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pacchetto d'onde quando è possibile trascurare le dimensioni di
quest'ultimo e il gradiente del campo al suo interno.
Qualcosa di simile si può dire del modello planetario
dell'atomo, del modello di un cristallo come un insieme di nuclei
disposti su un reticolo regolare, con gli elettroni che si muovono
nelle intercapedini, o del modello di una molecola complessa
realizzato materialmente con piccole sfere colorate. Ciascuno di
tali modelli ci permette di capire facilmente certi fenomeni
semplici, come la diffusione di un fascio di particelle attraverso
una lamina sottile, la figura di diffrazione ottenuta da raggi X su
un cristallo, le proprietà di sostituzione di radicali organici. Ma
essi contengono anche importanti informazioni per la stessa
teoria quantistica. Essi possono infatti essere considerati come
insiemi di prescrizioni in codice per la costruzione delle
appropriate equazioni di Schrödinger o per la scelta delle
soluzioni che sono necessarie per la comprensione di una larga
classe di proprietà degli oggetti a cui si riferiscono.
Se finalmente veniamo alla Teoria Quantistica dei Campi,
come abbiamo già ricordato, parlare di particelle o sistemi di
particelle corrisponde semplicemente a specificare lo stato di
alcuni campi. Per comprendere i processi che si verificano
quando una particella ad alta energia colpisce un nucleo, o
quando due particelle in un "collider" urtano l'una contro l'altra è
certamente necessario far ricorso a tutto il "macchinario" della
teoria. Per descrivere il risultato finale tuttavia e capire il senso
delle tracce lasciate, diciamo, in una "camera a bolle", il
modello classico di particelle puntiformi che descrivono
traiettorie continue è il più conveniente. Similmente, se
vogliamo studiare le proprietà dell'atomo di idrogeno, possiamo
farlo utilizzando il formalismo del campo elettronico, del campo
protonico e del campo elettromagnetico; ma in approssimazione non relativistica il linguaggio dell'equazione di Scrödinger
per gli elettroni ed i protoni risulta molto più semplice e porta al
medesimo risultato.
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Questo di riguardare la Fisica come una conoscenza per
modelli mii sembra, l'unico atteggiamento equilibrato possibile
nei riguardi del suo valore. Come dicevamo, i concetti che
utilizziamo, i modelli, le teorie sono certamente una nostra
costruzione, non sono tuttavia una costruzione arbitraria né
vuota. Essi sono creati per cercare di gettare uno sguardo sulla
Natura, per rispondere alle domande che su di essa
continuamente ci poniamo e ad ogni stadio del loro sviluppo, ad
ogni traguardo raggiunto dalla nostra ricerca, ci dicono
qualcosa sul mondo che ci circonda; anche se non potranno
mai pretendere di darci di questo una comprensione esaustiva.
RAPPORTO CON ALTRE FORME DI CONOSCENZA
Abbiamo indicato come caratteristica essenziale della Fisica
quella di procedere per semplificazioni e idealizzazioni, di
restringere la propria attenzione agli aspetti quantificabili delle
cose, di utilizzare il linguaggio matematico, definendo nella
maniera più precisa e operativa possibile i propri concetti e le
proprie ipotesi, di operare secondo criteri di verifica rigorosi e
prestabiliti. Nella stessa linea essa prende in considerazione
solo fenomeni riproducibili (o almeno che naturalmente si
ripetono), oggetti caratterizzati da determinate proprietà
generali e per il resto completamente intercambiabili e
sostituibili.
Sono queste le caratteristiche che fanno della Fisica una
scienza, come si suol dire pubblica, le cui conclusioni si
sottraggono ad una valutazione soggettiva, divenendo in
qualche modo incontrovertibili, in linea di principio verificabili da
chiunque. Sono queste che sono alla base dei suoi successi e
del suo prestigio, che ne giustificano la considerazione di regina
delle scienze naturali. Sono anche queste pero le
caratteristiche che ne indicano i limiti e aiutano a precisarne la
collocazione nel contesto delle altre discipline scientifiche od
umane. Esse mostrano quanto sia ingiustificata e improduttiva
la pretesa non rara di considerarla quasi esaustiva di tutte le
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capacita umane di conoscenza, di voler ricondurre in qualche
modo ad essa tutte le altre discipline e di considerare addirittura
prive di senso o perlomeno in uno stato imperfetto tutte le
conoscenze che non possono essere inquadrate nell'ambito
delle sue categorie concettuali.
La rinuncia alla considerazione delle qualità secondarie, il
rivolgere la propria attenzione solo a fenomeni riproducibili e
oggetti sostituibili, che sono, come abbiamo visto, alla base
della sua oggettività, esclude, ad esempio, inevitabilmente dalla
sua prospettiva, il ruolo della soggettività, che pure costituisce
uno degli aspetti fondamentali della nostra esperienza e un
riferimento in ultima analisi ineliminabile.
E' chiaro, che perché si possa parlare di misura, perché i
protocolli di una qualsiasi scienza possano essere stabiliti,
perché un linguaggio preciso e rigoroso possa essere istituito, è
necessario fare appello ad un insieme di preconcezioni, è
necessario presupporre quel linguaggio naturale che si fonda
proprio su quelle esperienze incomunicabili che sono state per
se poste fuori dalla prospettiva della Fisica. Si noti che è qui
evidentemente irrilevante che alcune caratteristiche degli
oggetti sensibili, come il colore, escluse originariamente da
Galileo, perché ritenute legate ad una valutazione soggettiva,
abbiano potuto successivamente essere, come è stato detto,
"primarizzate"; per esempio misurando la lunghezza d'onda
della luce relativa. Tra la nostra soggettiva percezione del
colore giallo e l'affermazione che il doppietto D del sodio
corrisponde a lunghezze d'onda di 589,0 nm e 589,6 nm c'è
infatti un'associazione puramente estrinseca. Lo stesso
potrebbe dirsi di una comprensione dei fenomeni fisico-chimici
che si verificano nel nostro occhio e nel nostro sistema nervoso
e rendono possibile una discriminazione del giallo dal rosso al
livello dei segnali fisici che producono. E' vero piuttosto che la
percezione della luce e del colore, come quella del suono o di
un'immagine visiva, sono incommensurabili con qualsiasi
specificazione quantitativa e fanno parte proprio di quell'insieme
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di esperienze appunto incomunicabili, ma presupposte alla
nostra stessa possibilità di parlare di una lunghezza d'onda o
dei fenomeni che si verificano nella nostra retina. In questo
senso pretese come quella di "spiegare" la nostra stessa
coscienza, di esaurire l'analisi di concetti come ad esempio
quelli di spazio e di tempo nel contesto della sola Fisica, senza
far riferimento a livelli e angolature differenti, al mondo della
nostra esperienza immediata e del nostro vissuto, appaiono del
tutto illusorie.
Dobbiamo renderci conto che la Fisica è un approccio alla
realtà sotto un angolo particolare, un approccio estremamente
fecondo, che però necessariamente rimanda da una parte alle
altre scienze naturali che se ne differenziano per oggetto,
finalità e metodo specifico (e sarebbe ingiusto voler
semplicemente ricondurre ad essa), dall'altra al piano delle
cosiddette scienze umane. Proprio per il suo procedere per
modelli e per idealizzazioni, per il suo vertere su ciò che è
riproducibile o comunque sostituibile, essa non può mai
pretendere di cogliere tutta la ricchezza del concreto. Resta
necessariamente fuori dalla sua prospettiva il problema
dell'irripetibile, quello dello stesso senso delle conoscenze che
ci fornisce e della sua propria fondazione. La prospettiva sul
mondo che ci da la Fisica resta necessariamente una
prospettiva aperta, che, se rettamente intesa, non esclude ma
anzi inevitabilmente si richiama ad una sintesi superiore di tipo
filosofico e anche forme di conoscenza e di espressione più
intuitive che riguardano più direttamente la nostra esperienza
esistenziale, come sono quella artistica e quella religiosa.
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DIÁLOGO
- Dr. Gratton: Prosperi ha subrayado con mucha simplicidad un tema
que es muy complejo. Ha puesto muy bien de manifiesto los puntos
esenciales del método, de la manera con la cual se obtiene
conocimiento en física, analizando algo que es fácilmente visualizable
para nosotros después de varios siglos de experiencia adquirida que es
la mecánica newtoniana. Entonces, ha puesto en relieve cuáles son los
elementos, los pasos esenciales en la adquisición del conocimiento
desde el punto de partida hasta la madurez del conocimiento dentro de
la formación de la teoría. Luego en la segunda parte de su discurso nos
ha planteado el problema de la relación entre teorías cada vez más
complejas que abarcan las precedentes, es decir, el pasaje de la
mecánica clásica a la mecánica relativística primero, pero
fundamentalmente él ha puesto el acento sobre el pasaje quizás más
difícil conceptualmente que es a la mecánica cuántica. Y más aún a los
desarrollos de la teoría cuántica de campos. Me parece que allí hay un
aporte de pensamiento también original de Prosperi en cómo él ve esa
relación de una teoría que abarca la precedente, es decir, que ésta no
queda anulada por la conquista realizada y que tenemos el pasaje a otro
nivel de aproximación al mundo. Aprovechando que a mi entender es
ése uno de los puntos originales de la exposición, me gustaría pedirle
que él agregara algunos comentarios. Sobre todo porque me pareció
que dado que su exposición fue al final de la jornada, tuvo que mover su
discurso muy rápidamente. A mi me parece que trató un punto esencial,
incluso de gran actualidad, que se debate entre los especialistas
precisamente en cuestiones epistemológicas. Decimos que una teoría
ya ha sido abandonada, decimos que es falsa o la pensamos como
incluida en otra nueva? Y surgen allí problemas también de
interpretación. Prosperi ha hablado de un diccionario de traducción
como cuando tenemos la nueva teoría, por ejemplo, la teoría cuántica,
tenemos que tener algo así como un diccionario, ha dicho él, para
traducir los términos de la teoría precedente -en este caso la mecánica
clásica- en la nueva. Me parece que sería de mucho interés si él pudiera
marcar nuevamente, aclarar algunos de estos puntos, poner en
evidencia lo que él considera esencial en esto. Luego tendría otras
preguntas, pero, quizás podría comenzar recapitulando brevemente la
cuestión de cómo una teoría nueva, de nuestros días, se relaciona con
la teoría que estaba en vigencia previamente.
- Prof. Prosperi: Per rispondere a questa domanda mi sembra possa
essere utile riprendere il confronto con il concetto di modello matematico.
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Supponiamo di avere una certa teoria matematica, che riguarda degli
enti astratti non individuati in maniera specifica. Parliamo di modello,
tutte le volte che agli enti della prima teoria possono essere fatti
corrispondere enti di una seconda teoria, in modo da soddisfare i
postulati della prima. Due tipici esempi, come ho detto, possono essere
forniti dalla Geometria Analitica nei riguardi dell'ordinaria Geometria
Euclidea e da una stella di rette (cioè dall'insieme delle rette uscenti da
un medesimo punto nello spazio tridimensionale ordinario) nei riguardi
della Geometria Ellittica. Nel primo caso al punto della Geometria
Euclidea (poniamo piana) viene fatta corrispondere una coppia ordinata
di numeri reali (x,y), alla retta un'equazione lineare ax+by+c=0, ecc., nel
secondo al punto della Geometria Ellittica una retta nella stella e alla
retta un piano passante per il centro della stella. Ma, poiché coppie
ordinate di numeri ed equazioni lineari soddisfano tutti gli assiomi di
Euclide, è chiaro che ogni teorema stabilito nella Geometria Euclidea
deve avere una contropartita nella Geometria Analitica, che tutte le
conoscenze acquisita per l'una possono essere trasferite sulla seconda.
Bisogna solo tener conto della corrispondenza adottata, usare
l'appropriato codice di traduzione.
Mi pare appunto che questa idea di modello in Matematica possa
aiutare a comprendere la relazione che esiste tra due teorie fisiche che
si riferiscono al medesimo oggetto; in particolare a capire in che modo
una vecchia teoria possa essere inclusa in una nuova, nella situazione
limite in cui essa è ancora applicabile, anche quando la seconda utilizza
concetti e una rappresentazione matematica molto diversi. Naturalmente
è chiaro che esistono profonde differenze tra modello matematico e
modello fisico nel senso che ho adottato. La nuova teoria è infatti
supposta avere una portata più ampia della precedente, sia per quel che
riguarda la classe di fenomeni considerata, sia la precisione con cui i dati
sono riprodotti e quindi la scala di osservazione a cui opera. Nei limiti
però in cui entrambi le teorie sono applicabili esse forniscono gli stessi
risultati.
Per illustrare questa situazione nella mia relazione ho considerato
l'esempio di tre teorie in qualche modo incluse l'una nell'altra, l'esempio
della Meccanica Classica, quello della Meccanica Quantistica e quello
della Teoria Quantistica dei Campi e mi sono domandato in che senso si
può parlare di una tale inclusione.
Come ho detto il concetto centrale nella Meccanica Classica è il
concetto di punto materiale che descrive una traiettoria continua e
obbedisce ad una certa equazione di moto. Ora ci si può domandare in
che misura e in quali condizioni una tale idealizzazione sia adeguata alla
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descrizione del comportamento di oggetti microscopici come sono
l'elettrone o il protone. Ciò si verifica certamente per il moto di tali
particelle nel vuoto e sotto l'azione di campi elettrici e magnetici di scala
macroscopica. Anzi è proprio in tal modo, che nel tubo a raggi catodici
l'elettrone e` stato messo in evidenza per la prima volta, che è stato
identificato come particella e che ne sono state studiate le prime
proprietà. E' poi con l'uso della Meccanica Classica, nella sua versione
relativistica, che oggi è possibile progettare macchine acceleratrici di
altissima energia, all'interno delle quali particelle che si muovono ad una
velocità molto prossima a quella della luce sono tenute per ore con
grande precisione su traiettorie prestabilite.
Sappiamo tuttavia che esistono anche fenomeni in cui la trattazione
delle particelle come punti materiali si rivela del tutto inadeguata. E'
questo in primo luogo il caso della Fisica dell'atomo. Noi pensiamo
l'atomo di idrogeno costituito da un protone e da un elettrone. Se
tentiamo di applicare a tale sistema la Meccanica Classica, arriviamo a
concepirlo come un piccolo sistema planetario con un nucleo centrale
(un singolo protone nel caso dell'atomo di idrogeno) e un insieme di
elettroni che gli ruotano attorno. Secondo le leggi dell'elettromagnetismo
un tale sistema non sarebbe però stabile e in brevissimo tempo gli
elettroni ricadrebbero sul nucleo; l'energia di legame del sistema
dovrebbe potere variare in modo continuo e la radiazione emessa o
assorbita dovrebbe avere uno spettro continuo. Tutte queste circostanze
sono contraddette dall'esperienza. E' per superare queste difficoltà che è
stata creata la Meccanica Quantistica; questa ci da un atomo stabile, ci
fornisce valori discreti per l'energia di legame, ci permette di calcolare la
lunghezza d'onda delle righe che compaiono nello spettro e la loro
intensità.
La Meccanica Quantistica opera però con categorie concettuali
completamente diverse. Le particelle mantengono la loro individualità,
ma ad ogni particella è associato un campo'4(x,t) che obbedisce ad
un'equazione del tipo dell'equazione delle onde (l'equazione di
Scrödinger nel caso non relativistico, quella di Dirac o altra nel caso
relativistico) e l'ampiezza di tale onda è legata alla probabilità che la
particella possa agire ad un dato tempo su uno strumento di rivelazione
posto in una certa posizione nello spazio. Il campo è però un entità
estesa che appare in netto contrasto con l'idealizzazione della particella
come punto materiale. Con tale campo è possibile, come ho detto,
ottenere fenomeni di diffrazione e interferenza e anche semplicemente
immaginare una particella che descriva una traiettoria continua, porta a
contraddizioni insanabili con la teoria e con gli esperimenti.
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Immaginiamo tuttavia una situazione in cui l'onda associata alla
particella si riduca ad un pacchetto di estensione molto piccola sulla
scala delle lunghezze che noi prendiamo in considerazione, e
supponiamo che sulla particella agisca un campo elettrico e magnetico
che si possano trattare come uniformi all'interno del pacchetto. In tali
condizioni le dimensioni della regione occupata dal pacchetto si possono
trascurare, questo si può assimilare ad un punto e la particella si può
supporre occupare ad ogni istante una posizione determinata. Dalla
forma dell'equazione d'onda segue, inoltre, che nella stessa
approssimazione il punto-particella si muove secondo l'equazione di
moto della Meccanica Classica per una particella carica in un campo
elettromagnetico. Poiché le condizioni suddette sono sicuramente
soddisfatte nel caso di una particella in un campo generato da corpi di
dimensioni macroscopiche, è chiaro che, nello studio di una macchina
acceleratrice, sarà molto più semplice lavorare con le equazioni di moto
della Meccanica Classica che ricorrere al formalismo molto più
complesso dei pacchetti d'onda e il risultato sarà identico. Vediamo
quindi come, nella situazione limite di cui stiamo parlando, una teoria di
tipo probabilistico che utilizza concetti ondulatori fornisce un risultato del
tutto equivalente a quello di una teoria deterministica che rappresenta
l'oggetto come un punto materiale. Poiché la Meccanica Quantistica
abbraccia una classe molto più ampia di fenomeni e va quindi
considerata in qualche modo più fondamentale, possiamo dire che la
Meccanica Classica fornisce un modello della Meccanica Quantistica
valido in quella situazione limite (il codice di traduzione essendo
pacchetto 6 punto materiale) ed in essa può essere completamente
sostituita a questa.
Anche la Meccanica Quantistica, comunque, cade ad un certo punto in
difetto; ciò accade tipicamente nei fenomeni d'urto ad energie molto alte,
dove può accadere che certe particelle spariscano e ne compaiono altre,
venendo così le particelle a perdere completamente anche quella
individualità che era stata a loro conservata. Tali fenomeni possono
essere inquadrati invece nel contesto della Teoria Quantistica dei Campi.
In tale teoria il campo cessa di essere un semplice strumento
matematico per diventare l'entità fisica fondamentale. Il campo è però un
campo quantizzato e, come accadeva nel caso delle particelle nella
Meccanica Quantistica, la sua energia può assumere solo valori discreti;
anzi tali valori possono variare solo per multipli interi di certe quantità
finite (quanti). Le particelle in tale teoria compaiono come quanti di
appropriati campi. Parlare quindi di un elettrone, due elettroni, cinque
elettroni non significa indicare sistemi fisici diversi, ma dare
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specificazioni diverse dello stato di un medesimo sistema, il campo. E'
chiaro che di nuovo ci troviamo di fronte a due strutture matematiche e
costruzioni concettuali molto diverse. Anche in questo caso, però, si può
mostrare che nel limite di basse energie, in cui il numero di particelle si
conserva, le due teorie danno risultati identici. Se si vogliono
determinare i livelli energetici di un atomo il ricorso all'apparato della
Teoria Quantistica dei campi risulta inutile e, a parte alcune correzioni
relativistiche sottili, la usuale Meccanica Quantistica è del tutto
sufficiente. Ancora si può dire che in quella condizione limite la
Meccanica Quantistica offre un modello della Teoria dei Campi.
Mi sembra, che questo modo di guardare a teorie che hanno
progressivamente superato le precedenti, possa mostrarci come le
vecchie teorie possano, negli appropriati contesti, essere conservate
nelle successive, anche quando procedono con strumenti concettuali
molto diversi. Mi sembra possa precisarci in che senso ogni teoria, pur
dovendo essere riguardata in ogni momento non esaustiva e in uno stato
provvisorio, possa però contenere delle acquisizioni almeno
potenzialmente definitive. Mi pare poi ovvio che per estrapolazione il
concetto di modello, che abbiamo applicato al rapporto tra teorie
progressivamente più comprensive e ritenute più fondamentali, possa
estendersi al rapporto tra le nostre teorie, in qualunque stadio del loro
sviluppo, e quel mondo reale che vorremmo comprendere. Mi pare ciò ci
mostri in che senso i modelli che noi utilizziamo possano essere
riconosciuti una nostra creazione e allo stesso tempo ritenuti parlarci di
quel mondo reale. Poiché poi, naturalmente, inerente al concetto di
modello è il concetto di analogia, dire che la nostra conoscenza della
natura è una conoscenza per modelli, necessariamente equivale ad
affermare che essa è sempre una conoscenza di tipo analogico.
- Dra. Archideo: Quiero saber si entendí bien si esta analogía, que es la
correspondencia entre teoría y realidad, es una analogía que tiene como
analogado principal a la realidad, es decir, si se atribuye a la teoría
porque la realidad lo tiene. Descubro la realidad parcialmente, en un
aspecto. Si el analogado principal sigue siendo la realidad.
- Prof. Prosperi: Non sono certo di sapere bene cosa sia l'analogato
principale, la risposta mi pare, però, debba essere positiva. Io voglio
parlare del mondo che mi circonda, capire qualcosa di quel mondo è il
mio fine. Per fare questo io ho bisogno di ricorrere a delle
rappresentazioni e in queste il concetto di corrispondenza è essenziale.
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- Dra. Archideo: Proprio quello. Se l'analogato principale sarebbe quello
di cui sorge quella relazione; sarebbe il punto in cui io mi fermo e faccio
riferimento.
- Prof. Prosperi: Certamente il mio riferimento è il mondo.
- Prof. Ferro: La domanda che vorrei proporre, è una osservazione in
qualche modo.
Questo rapporto tra teorie nuove e teorie vecchie, teorie che
permangono in altre. Vorrei fare degli esempi: non soltanto la situazione
del passaggio dalla meccanica classica alla meccanica quantistica, ma
anche, ad esempio, il passaggio dalla concezione aristotelica alla
concezione meccanica settecentesca, o ad altri esempi tipo il concetto di
calorico e la teoria della termodinamica successiva, oppure il movimento
degli astri. Ci sono delle teorie che non sono state in qualche modo
inglobate nelle teorie successive, sono state abbandonate. Perché? Io
posso tentare una indicazione e la mia domanda è: le condivisione o
meno su queste indicazioni che senso ha, come vedi questa indicazione.
La mia indicazione è una indicazione di semplicità, dominabilità,
gestibilità dall'uomo, è una teoria che l'uomo sa maneggiare. Ad
esempio, io potrei benissimo descrivere il moto degli astri con le
conoscenze che abbiamo oggi in un sistema che ha per centro la Terra,
però non è conveniente. Le equazioni che ottengo in questo modo sono
estremamente più complesse e non è conveniente usare questo
sistema. Nell'altro caso, invece, l'esempio che tu facevi del passaggio
dalla meccanica classica alla meccanica quantistica, e sì, considerare il
pacchetto d'onda come una particella, mi consente una
rappresentazione più semplice. Ecco, che io mantengo una teoria
superata in qualche modo perché si presta ad una semplicità descrittiva
e conveniente per molte applicazioni. Quella teoria invece, che pur
superata, non è più conveniente per le applicazioni viene abbandonata
come niente per la sua semplicità, per la sua gestibilità, per la sua
capacità che l'uomo di operare usando quella teoria. Ecco, questo credo
è il punto che, in somma, io vedo per l'abbandono o il recupero. C'è
sempre il problema della complessità, in qualche modo, della quantità
eccessiva d'informazioni, per cui faccio fatica a gestirle, ed ecco, che
anche certo sviluppo, certe teorie che rappresentano più situazioni, più
perfezionate, che non vengono adottate pienamente perché tante volte
nello sviluppo della teoria si aumenta la complessità, si aumenta la
difficoltà di trattare la teoria. Altre volte si semplifica, ecco, quando se
semplifica la teoria vecchia viene abbandonata, quando la teoria nuova
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complica, aumenta il peso elaborativo, si mantiene anche la teoria
vecchia che è utile nelle situazioni più semplici.
- Prof. Prosperi: Sono completamente d'accordo con il discorso che hai
fatto sull'utilizzazione concreta di una teoria. Vi sono casi in cui la teoria
vecchia viene semplicemente dimenticata, perché anche meno
economica; altri in cui di fatto essa continua ad essere usata, perché in
certe situazioni concrete risulta più semplice. La mia preoccupazione era
però di tipo conoscitivo; mi interessava in che senso, in linea di principio,
la vecchia teoria potesse essere conservata nel contesto della nuova,
anche se utilizzava categorie concettuali diverse. A questo proposito
vorrei però segnalare che vi sono anche casi in cui una teoria è
abbandonata perché trovata in conflitto insanabile con i dati.
Naturalmente, tutte le teorie che ad un certo punto sono considerate
superate, lo sono perché rivelatisi incapaci di dar ragione di un nuovo
insieme di fatti emersi. Il problema è però, se nella nuova teoria che
dobbiamo costruire per interpretare quei fatti, la vecchia può essere
riassorbita, sia pure con un opportuno codice di traduzione, come ho
cercato di precisare sopra, o se essa si rivela necessariamente in
contraddizione con quella. Possiamo cioè parlare non soltanto di teorie
che hanno un maggiore o minore campo di applicabilità, ma anche di
teorie che portano a conclusioni effettivamente opposte, e possiamo
concepire esperimenti proprio per discriminare teorie concorrenti.
Prendiamo ad esempio, la famosa disputa tra la teoria corpuscolare e la
teoria ondulatoria della luce. La teoria ondulatoria della luce porta a
prevedere una serie di fatti; uno, il più eclatante, è l'esistenza di
fenomeni di interferenza, un altro è che la velocità della luce all'interno di
un mezzo denso è inferiore a quella nel vuoto. Nella teoria corpuscolare
non c'è posto evidentemente per l'interferenza e per la velocità della luce
nella materia si giunge a conclusioni opposte (la deflessione dei raggi di
luce nel passaggio dal vuoto, o da un mezzo meno denso, ad un mezzo
più denso è spiegata come il risultato dell'attrazione esercitata dagli
atomi del mezzo sui corpuscoli di luce e quindi corrisponde ad un
aumento della velocità di questi). Il risultato, nel secolo scorso, degli
esperimenti di interferenza di Fresnel e di Young, e la misura della
velocità della luce in mezzi diversi, per esempio nell'acqua, hanno
definitivamente portato all'abbandono della teoria corpuscolare (alcuni
aspetti della quale, tuttavia, si può dire che sopravvivano nella teoria
moderna quantistica del campo elettromagnetico). Un discorso simile si
applica alla teoria del calorico che attribuiva i fenomeni di diffusione del
calore alla diffusione di una particolare sostanza, il calorico appunto, e
che è stata definitivamente abbandonata a favore di un'interpretazione
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energetica, quando è stata messa in evidenza la possibilità di
trasformare il calore in energia macroscopica e viceversa, secondo una
ben preciso coefficiente di equivalenza quantitativa. La situazione è
invece diversa, evidentemente, per il caso dell'ottica geometrica, che può
essere riassorbita in quella ondulatoria in un senso simile a quello in cui
la meccanica classica è riassorbita nella meccanica quantistica (e cioè
facendo corrispondere un raggio di luce ad un piccolo fascio d'onde in
condizioni in cui gli effetti di diffrazione possano essere trascurati).
A questo punto però, se vogliamo essere coerenti, se è vero che il
modo di procedere della ricerca è per ipotesi e conferme sperimentali,
se, d'accordo con Popper, riteniamo un'induzione pura alla Bacone
impossibile, dobbiamo concludere che dal punto di vista logico nessuna
teoria fisica si può considerare mai completamente provata neppure in
un determinato ambito. In linea di principio, non si può mai escludere che
per dar ragione di nuovi fatti sperimentali debba essere creata una
nuova teoria incompatibile con la precedente. Nessuna acquisizione, a
stretto rigore, si può considerare come realmente definitiva. Quando
tuttavia, in un dato contesto, una certa teoria è stata sufficiente verificata
con risultati sempre coerenti, dal punto di vista pratico noi raggiungiamo
la convinzione di trovarci di fronte ad una teoria che in quel contesto è
vera. Prendendo a prestito una terminologia che è propria della filosofia
scolastica, noi in qualche modo possiamo dire che la scienza della
natura, se non ci da mai delle certezze assolute, ci dà però in molti casi
delle certezze morali.
- Dra. Gnavi: Para completar podría hacer algún comentario sobre el
problema de las interpretaciones de la teoría. Porque uno podría pensar
que en la interpretación de la mecánica clásica, parece no haber
conflictos, mientras que en esta teoría, en la mecánica cuántica, si bien
abarca la anterior, hay grandes dificultades, grandes problemas en
cuanto a su interpretación. ¿Entonces, qué es lo que puede Ud.
comentar sobre eso?
- Prof. Prosperi: Ogni teoria richiede un'interpretazione. Il problema
dell'interpretazione è infatti quello del rapporto tra il linguaggio e la
rappresentazione matematica che noi utilizziamo per formulare una
teoria, da una parte, e la concreta realtà empirica o addirittura quel
mondo reale a cui la teoria dovrebbe applicarsi, dall'altra.
L'interpretazione della meccanica classica è semplice e molto diretta.
Come ho detto, il concetto fondamentale che questa teoria utilizza è
quello di punto materiale. Ogni oggetto di dimensioni sufficientemente
piccole viene idealizzato come un punto e la collocazione di tale punto
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nello spazio può esser specificata tramite l'insieme di tre coordinate, che
sono supposte possedere in ogni istante un valore determinato e hanno
un significato empirico immediato.
La situazione è molto più complessa nel caso della meccanica
quantistica. Il formalismo della meccanica quantistica ha significato solo
nella sua interezza e consiste in un insieme di regole che permettono di
risolvere il seguente problema: conosciuto il risultato di un esperimento
su un oggetto, calcolare la probabilità che un secondo esperimento dia
un certo altro risultato. Ogni tentativo di rappresentazione "visiva"
dell'oggetto, in particolare dell'oggetto microscopico, porta a
contraddizioni.
Nasce allora la domanda: cosa significa fare un esperimento, una
misura su un oggetto? Fare un esperimento, evidentemente significa
fare interagire l'oggetto con un apparecchio o un sistema di apparecchi
di misura e osservare le modificazioni che tale interazione produce in
essi. Se, ad esempio, vogliamo studiare gli effetti dell'urto di un certo tipo
di particelle contro un nucleo, dovremo far arrivare un fascio di tali
particelle su un bersaglio del materiale voluto e disporre in modo
opportuno nello spazio un sistema di rivelatori in grado di discriminare la
natura delle varie particelle prodotte durante l'urto, la loro direzione, la
loro energia. Ma quelle che noi effettivamente osserviamo sono solo le
modificazioni subite da tali strumenti.
Il problema che si pone, però, è quello del formalismo con cui
descrivere l'apparato di misura. Secondo Bohr l'apparato andrebbe
descritto col linguaggio della fisica classica, in termini cioè di proprietà
specificate dal valore di certe variabili che (come nel caso della
meccanica) devono essere supposte istante per istante determinate,
indipendentemente da ogni osservazione. Ogni affermazione
sull'apparato avrebbe allora un significato immediato. (La meccanica
quantistica non sarebbe naturalmente autosufficiente in questa
prospettiva, ma avrebbe intrinsecamente bisogno di un riferimento
classico per la sua interpretazione).
Poiché però l'apparato è costituito da quelle stesse particelle per
descrivere il comportamento delle quali la meccanica quantistica è stata
creata, deve esser possibile trattare anche esso dal punto di vista della
meccanica quantistica. Se d'altra parte applichiamo la meccanica
quantistica all'apparato, ogni affermazione che poi facciamo su di esso
deve essere fatta con riferimento alle modificazioni subite da un secondo
apparato che interagisce col primo e il problema si ripropone. Nel suo
fondamentale libro sui fondamenti della meccanica quantistica, il grande
matematico von Newman ritiene che questa catena di apparati che
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"osservano" altri apparati debba estendersi agli organi di senso e al
sistema nervoso dell'osservatore umano e possa concludersi solo con
l'atto di presa di coscienza di quest'ultimo. Anche se si fosse disposti ad
accettare una tale posizione di tipo berkeliano, a me non pare che essa
risolverebbe realmente il problema.
Dal punto di vista pratico, in realtà, si deve dire che il problema non
esiste. In condizioni normali, infatti, le grandezze rilevanti per descrivere
lo stato macroscopico di un sistema formato da un grandissimo numero
di atomi hanno anche in una trattazione quantistica un valore
praticamente determinato (così come abbiamo visto accadere per la
posizione di una particella carica in presenza di campi generati da corpi
macroscopici). Appena quindi un livello di complessità di questo tipo
nella catena di apparati è raggiunto, una descrizione di tipo classico
dell'ultimo apparato appare un'approssimazione molto buona e la
considerazione di un nuovo apparato diviene superflua. Da un punto di
vista di principio, tuttavia, il problema rimane e credo dobbiamo
onestamente riconoscere che nella forma attuale la teoria quantistica
non sia completamente coerente (ciò che spiega la rinnovata attenzione
per questo tipo di problemi negli ultimi tempi).
- Dr. Puyau: Ud. dice que la mecánica cuántica es fundamental con
respecto a la mecánica clásica. Sin embargo, la ecuación de
Schrödinger no se deriva de la ecuación de Hamilton, pero introduciendo
algunas modificaciones se podría pasar de una a otra. No entendiéndolo
como una derivación, en sentido estricto. Porque ahí el momento y la
energía aparecen como operadores, cosa que en la mecánica clásica no
aparecen. Por qué consideramos que la mecánica cuántica es más
fundamental -ésa es su palabra- que la mecánica clásica.
- Prof. Prosperi: Direi che consideriamo la meccanica quantistica più
fondamentale della meccanica classica, perché essa descrive il
comportamento dei componenti elementari della materia in condizioni
molto più generali della seconda e perché permette di spiegare molte
proprietà dei corpi formati da tali componenti che la seconda non spiega.
Inoltre, la meccanica quantistica contiene, nel senso che ho cercato di
indicare, la meccanica classica, mentre non è evidentemente vero il
contrario. Dalla meccanica quantistica si possono in determinate
condizioni e con appropriate approssimazioni dedurre le equazioni di
Hamilton; ma, se quelle condizioni non sono verificate e le due teorie
sono in contrasto, quella che si rivela valida è la meccanica quantistica.
Lo studio di certe caratteristiche del formalismo classico ha dato
certamente dei suggerimenti fondamentali per la costruzione della nuova
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teoria, perché tra l'altro un requisito fondamentale che ci si pone in simili
circostanze è proprio che la nuova teoria fornisca gli stessi risultati della
vecchia nelle situazioni in cui questa si è dimostrata valida. Il passaggio
dalluna all'altra rappresenta, tuttavia, sempre un salto ed un
allontanamento dalla vecchia. Ad esempio per introdurre l'equazione di
Schrödinger, seguendo Fermi, si può partire dall'analogia tra il principio
di Fermat (che da il percorso di un raggio luminoso in un mezzo
rifrangente) e il principio di Maupertuis (che dà la traiettoria di una
particella di data energia in un determinato potenziale). Se si pone allora
in relazione l'indice di rifrazione del mezzo col potenziale che agisce
sulla particella, si può ottenere un'equazione d'onda con la proprietà che
nell'approssimazione dell'ottica geometrica il baricentro di un pacchetto
si muova esattamente come la particella classica. Ciò è vero però, solo
nell'approssimazione dell'ottica geometrica. Noi invece postuliamo che
l'equazione d'onda ottenuta sia l'equazione corretta in ogni caso e
identifichiamo una certa arbitraria costante h che in essa interviene con
la omonima costante introdotta da Planck. Applicata allora, al problema
dell'atomo di idrogeno (in cui, per la rapidità con cui varia il potenziale
che agisce sull'elettrone in prossimità del protone, siamo molto lontani
dalle condizioni di applicabilità dell'ottica geometrica) la nuova equazione
ci permette di ottenere i valori corretti dei livelli energetici.
- Dr. Gratton: Entonces, la teoría cuántica de campos ha reemplazado el
viejo concepto de fuerzas por el de partículas, para decirlo brevemente.
Es decir, cada fuerza ahora tiene su partícula, pero también es cierto
que cada partícula es sólo un estado de un campo, así que finalmente
todo se reduce a campos. ¿Hay una distinción entre campos que serían
más de partículas o campos que son más de interacciones? No sé si
quieres hacer alguna distinción?
- Prof. Prosperi: Si può, se si vuole fare una distinzione, ma si tratta di
una distinzione essenzialmente convenzionale, più che altro legata ad
una tradizione. Si chiamano solitamente campi di forza i campi di tipo
vettoriale, quei campi che sono in qualche modo una generalizzazione
del campo elettromagnetico, e i cui quanti (bosoni intermedi) possono
essere prodotti singolarmente. Sono di questo tipo appunto il campo
elettromagnetico, il campo che media le interazioni deboli, quello che
media le interazioni forti (campo gluonico). Vengono chiamati campi di
materia quelli corrispondenti alle particelle fondamentali di spin ½, come
i leptoni (elettrone, neutrino-e, muone ecc.) o i vari tipi di quark. I quanti
di questi ultimi campi possono essere prodotti solo in coppia; (elettrone
negativo)-(elettrone positivo), ecc. Il fatto naturalmente che nella teoria
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quantistica relativistica il campo diventi il concetto base è legato
all'esistenza nella Relatività della sola interazione per contatto ed è
un'estensione della necessità anche a livello classico di mediare
l'interazione tra particelle tramite campi propagantisi con velocità finita.
- Dra. Archideo: Agradezco al Prof. Prosperi la claridad con la cual logró
presentar el comienzo del conocer en física, las teorías y sus avances y
su relación también con el modelo matemático. Tal vez en otra ocasión
deberíamos pedirle que profundice el punto de partida.
© 1999 CIAFIC Ediciones
Centro de Investigaciones en Antropología Filosófica y Cultural
Federico Lacroze 2100 - (1426) Buenos Aires
e-mail: [email protected]
Dirección: Lila Blanca Archideo
ISBN 950-9010-20-0
Scienze della Natura e loro valore conoscitivo
G. M. Prosperi, pp.149-189
189
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