Prime pagine - Codice Edizioni

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Utopie
Percorsi per
immaginare il futuro
A cura di Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini
Contributi di Gillo Dorfles, Laura Gemini,
Motus, Filippo La Porta, Piero Dorfles,
Loretta Del Tutto, Mario Tedeschini Lalli,
Marino Sinibaldi, Giovanni Boccia Artieri,
Pietro Del Soldà, Gino Tarozzi, Alberto Saibene,
Carlo Stagnaro
Utopie
Percorsi per immaginare il futuro
a cura di Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini
Progetto grafico: Limiteazero + Cristina Chiappini
Coordinamento produttivo: Enrico Casadei
© 2012 Codice edizioni, Torino
Tutti i diritti sono riservati
ISBN 978-88-7578-336-5
Indice
VII
Nota dei curatori
IX
di Lella Mazzoli
Utopia, architettura, teatro
Viaggio attraverso le utopie: un’introduzione
9
di Gillo Dorfles
15
Il dispositivo teatrale e lo sguardo utopico
di Laura Gemini
39
di Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande
Utopia e letteratura
59
69
L’utopia è architettura
L’utopia necessaria. Il teatro per Motus
Per l’utopia che non pretende di realizzarsi
di Filippo La Porta
Un’ambigua entropia
di Piero Dorfles
81
di Loretta Del Tutto
Utopia e tecnologia
Le parole della civiltà letteraria
99
Libertà e diseguaglianza nell’universo digitale.
Tra utopie semi-realizzate e illusioni
di Mario Tedeschini Lalli
09
1
di Marino Sinibaldi
Progresso e utopie scadenti
119
Eter-utopia e internet. Fuori dal Novecento
e dalla cyber-utopia
di Giovanni Boccia Artieri
Utopia e filosofia
1
41
di Pietro Del Soldà
Atopia di Socrate. Verso il noi che io sono
67
1
di Gino Tarozzi
Utopia ed economia
1
99
L’utopia casuale. Dal demone di Laplace
alla retroazione del futuro sul passato
Ricordi di utopia
di Alberto Saibene
07
2
Ci sarà un motivo, se l’economia
si chiama “scienza triste”
di Carlo Stagnaro
17
2
2
29
Bibliografia
Gli autori
Nota dei curatori
Alle spalle di Utopie c’è un fortunato ciclo di incontri. Ci
era sembrato che Urbino, la città ideale, la città dell’utopia
per eccellenza, meritasse una riflessione multidisciplinare sul
tema. I “Dialoghi sull’utopia” si sono svolti tra il marzo e il
maggio 2011 presso il dipartimento di scienze della comunicazione dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.
I saggi contenuti in questo volume sono una rielaborazione
degli interventi dei protagonisti ai dialoghi. Le pagine di Carlo
Stagnaro sono state invece commissionate per l’occasione. La
scansione dei capitoli riproduce la struttura dei dialoghi. I testi
che introducono i capitoli sono di Giorgio Zanchini.
Per questo lavoro vogliamo ringraziare il dottor Francesco
Giacobbi, presidente di Carifano, Banca del Gruppo Credito
Valtellinese. Con il contributo che è stato offerto al dipartimento di scienze della comunicazione il presidente Giacobbi
e l’istituto di credito hanno dimostrato una grande attenzione
a un argomento di cultura non così scontato, non così mainstream. Ci auguriamo che impegni culturali come questo siano
sempre più diffusi. Un grazie di cuore da parte di tutti noi.
Grazie anche a Giulia Raimondi, dottoranda in sociologia
della comunicazione e scienze dello spettacolo del nostro dipartimento, che ha raccolto e controllato i vari saggi di Utopie.
l.m., g.z.
Viaggio attraverso le utopie: un’introduzione
di Lella Mazzoli
Se ricerchiamo la parola utopia su un qualsiasi vocabolario, oppure se la digitiamo su qualche motore di ricerca, giungeremo a una strana conclusione: il termine ha tante facce,
tanti diversi significati. Eppure, se chiediamo a qualcuno che
cos’è per lui l’utopia, ci risponderà quasi sempre che è qualcosa che non esiste oppure che non è facile che si realizzi. Un
desiderio, un sogno. Per questo motivo in questo libro abbiamo voluto interrogare studiosi e ricercatori che ci offrissero
una loro interpretazione, un’immagine di questo vocabolo e
di quanto vi ruota intorno.
L’obiettivo non era certo quello di giungere a una definizione univoca e precisa che individuasse le caratteristiche e le
peculiarità di uno dei concetti più discussi e analizzati. L’obiettivo, anzi, era creare quel sano livello di entropia necessario
per produrre novità scientifica e intellettuale.
Il termine ha un carattere polisemico, quasi ambiguo. Pur
consapevoli di ciò continuiamo a chiederci che cosa sia l’utopia ogni volta che la incontriamo nei dialoghi, nei dibattiti,
nelle riflessioni scritte (e questo accade sempre più frequentemente), nelle pagine culturali dei quotidiani, nelle riviste
letterarie e in quelle generaliste, nei saggi filosofici – lì è davvero di casa! – in quelli degli scrittori e dei narratori, degli
scienziati. Ma anche nei festival più o meno culturali, oggi di
gran moda, e in contesti che poco hanno a che fare con quel-
Utopie
la cultura cosiddetta alta che sempre più si ibrida con altre
espressioni culturali1.
Anche i politici e gli uomini di partito ne fanno uso frequente. Abbiamo qui deciso di non trattare esplicitamente
della relazione tra politica e utopia. È una scelta più o meno
discutibile: trattare questo termine relativamente al suo uso
quotidiano nella politica parlata e scritta ci avrebbe allontanato dal nostro intento primario, ovvero osservare un tema
di grande fascino e interesse in modo meno pragmatico. Negli interventi che seguiranno il rilievo politico delle riflessioni
sull’utopia sarà spesso presente, perché in fondo la sua trasversalità fa sì che la politica percorra tutti i campi sfidati. In
poche parole, non parleremo esplicitamente di politica perché
essa si trova ovunque.
Tutto quanto si è detto sull’utopia non ha dato – e aggiungo per fortuna – una risposta esaustiva. Non voglio dire che gli
studiosi non abbiano approfondito l’argomento, ma è intrinseca in esso l’impossibilità di giungere a una posizione precisa.
E questo è davvero l’aspetto intrigante dell’utopia.
Vorremmo insomma offrire un panorama, seppur parziale,
che a seconda delle angolature possa aggiungere conoscenza e
informazione a quanto già scritto e conosciuto. Il più delle volte a utopia si associano visioni dicotomiche, direi quasi manichee: una connotazione positiva o, al suo contrario, negativa.
La prima riguarda la possibilità di raggiungere una realtà altra, più soddisfacente e più vicina a ideali di perfezione, mentre
quella negativa si collega alla sua poca concretezza, all’astrazione del pensiero che, se non realizzato, rimane tale, resta
sullo sfondo delle scelte possibili non ancora attualizzabili.
Queste due valenze s’intersecano continuamente, s’incontrano e si scontrano spesso. Da un lato l’utopia include la dimensione progettuale di un mondo perfetto, ideale, un luogo
buono, un ευ-τόπος (eu-topos) appunto. Dall’altro, invece, nel-
1
X
A proposito della contaminazione tra cultura alta e bassa cfr. Zanchini, 2009.
2
Viaggio attraverso le utopie
la sua incapacità di essere raggiunta rispetto alla realtà in cui
si trova, è quel luogo altro, difficoltoso da realizzare, perché
in fondo è il luogo che non esiste per antonomasia. È questa
dualità interpretativa che rende pensabile la doppia accezione
di un bene possibile e di uno irraggiungibile. Rappresenta un
ideale di miglioramento della società reale cui tendere, è un
ού- τόπος (ou-topos).
Pensiamo solamente a Utopia di Thomas More: in essa
si racconta la storia di un naufrago che approda su un’isola
sconosciuta chiamata proprio Utopia, ma il cui nome non si
trova scritto in nessuna carta geografica. O alle Città invisibili
di Italo Calvino: invisibili le più, ma alcune ben precise e con
nomi precisi; anche qui perciò contraddizioni e conferme al
tempo stesso. Associare esclusivamente una valenza positiva
o negativa all’utopia significa attribuirle un valore fortemente
limitativo, che non tiene in considerazione la sua forza critica
nei confronti del reale e il suo tentativo di orientamento e rinnovamento delle forme del sociale.
Utopia racconta di un altrove immaginario, ma anche
esperito, vissuto, che forse non esiste fisicamente ma che si
concretizza nella mente di colui che lo progetta, come hanno
detto tanti architetti e artisti2: per esempio nelle città, nelle
periferie, negli spazi aperti delle campagne dove importanti maestri hanno collocato le loro opere. Come non citare le
sculture-intervento di Mauro Staccioli nel territorio della città
di Volterra in cui ha sviluppato un ideale di arte che dialoga
con lo spazio. O nei luoghi che raccontano la nostra storia e
attraverso cui è possibile vedere l’antico accoppiato con il contemporaneo seppur suscitando anche polemiche, Igor Mitoraj
ne è un esempio, avendo portato le sue opere, classiche e “mitiche”, nella Valle dei Templi di Agrigento. Ecco che l’utopia
si configura sia come scelta critica al tempo presente sia come
alternativa totalizzante e razionale.
Cfr. in questo volume Gillo Dorfles, L’utopia è architettura.
XI
Utopie
XII
Il libro che state per leggere è il frutto di un progetto che
aveva come primo obiettivo il coinvolgimento degli studenti
del dipartimento di scienze della comunicazione dell’Università di Urbino Carlo Bo su un tema di frontiera che ci sembrava
aperto tutt’oggi a letture e interpretazioni diverse. La partecipazione, il confronto, gli stimoli emersi dagli incontri ci hanno poi spinto a tornare a riflettere sui vari percorsi del ciclo
sull’utopia, e a chiedere agli studiosi di depositare su pagine
scritte la loro riflessione.
Voglio iniziare dall’arguta (poteva essere diversamente?)
provocazione di Gillo Dorfles per riflettere sui ricorrenti fraintendimenti a proposito dell’origine del termine. L’autore mette
in evidenza come la pronuncia di utopia sia “ingannevole”.
Nella lingua inglese le parole utopia ed eu-topia si pronunciano “iutopia”. Se diciamo dunque “iutopia”, per attenerci alla
sua pronuncia nella lingua originale del suo inventore Thomas
More, a cosa ci stiamo riferendo? All’utopia o all’eu-topia?
Entrambe le associazioni semantiche sono corrette perché nella lingua inglese producono lo stesso suono.
È un non-luogo (utopia) o un luogo ideale, del bene (eutopia)? Di certo entrambe rimandano all’idea di topos, luogo.
Se abbandoniamo il gioco della pronuncia, che davvero ci è
piaciuto, si possono indicare altri termini che hanno sempre a
che fare con il concetto di luogo, aggiungendo alcuni prefissi:
a-topia, dis-topia, caco-topia, anti-topia, pseudo-topia, cyberutopia. La lista potrebbe essere di sicuro ancora più lunga.
Da luogo perfetto della felicità (eu-) a luogo enigmatico,
dislocato altrove, di cui siamo privi nella realtà (a-), o ancora
da un rovesciamento dell’utopia che conduce a un luogo futuro in cui le tendenze sociali sono portate a estremi apocalittici
(dis-, caco-), a luogo delle controsocietà, che fanno satira del
mondo reale e del suo ordine sociale (anti-), o addirittura un
luogo fittizio, che si trova ovunque e al tempo stesso da nessuna parte (pseudo-), fino a giungere a un luogo nuovo, che
accresce lo spazio della conoscenza grazie alla rete (cyber-). È
insita in ciascuna di queste accezioni di utopia la potenzialità
Viaggio attraverso le utopie
evolutiva implicita in ogni sistema sociale di cui tanto parla
Karl Mannheim.
Una potenzialità, un’idea appunto, che si rende necessaria
per trasformare l’ordine, che permette di modificare, talvolta
sovvertire, l’equilibrio esistente. «Così il cammino della storia conduce da una “topia” (o realtà esistente) ad un’utopia e
quindi a una successiva “topia”»3 . Una ricorsività di tendenze
utopiche e conseguenti trasformazioni da esse generate che
portano un “luogo” a essere pensato altrimenti, a essere considerato altro, immaginario, sfaccettato.
Ancora una citazione classica che parte da un’altra invenzione di utopia viene da Rabelais, e dalla sua descrizione di un
luogo vuoto, brutto, che può essere riempito di significati, di
idee che lo rendono bello grazie all’intervento umano o divino,
com’è accaduto per la nascita di Pantagruele. Rabelais narra
di Utopia, un paese governato da Gargantua, re degli Amauroti, sito in Africa e quindi in una terra molto arida.
Non v’era albero sulla terra che avesse foglia o fiore, le
erbe erano senza verde, i fiumi prosciugati, le fonti a secco, i
poveri pesci abbandonati dal loro proprio elemento vagavano
e gridavano per la terra orribilmente, gli uccelli cadevano giù
dall’aria per mancanza di rugiada; i lupi, le volpi, i cervi, i
cinghiali, i daini, le lepri, i conigli, le donnole, le faine, i tassi
e altre bestie si trovavano pei campi, morte a gola spalancata.4
Un giorno, finalmente, la pioggia:
Un giorno di venerdì che tutta la gente s’era messa in
devozione e faceva una bella processione con molte litanie e
belle preghiere, supplicando Dio onnipotente di volgere a loro
il suo occhio clemente in tale sciagura, furono viste visibilmente
uscir di terra grosse gocce d’acqua come quando alcuno suda
copiosamente. E il povero popolo cominciò a rallegrarsi come se
fosse stata cosa profittevole: gli uni dicevano che non essendovi
3
4
Mannheim, 1999, p. 217.
Rabelais, 2005, libro II, cap. II.
XIII
Utopie
goccia d’umidità per l’aria onde sperare la pioggia, la terra
riparava al difetto.
Quel giorno, in cui l’acqua dissetò terra e persone, nacque
Pantagruele, e il padre gli impose quel nome dal greco Panta,
“tutto”, e Gruel, “assetato”. L’acqua, seppur salata, rappresentò la realizzazione dell’utopia di Utopia.
L’utopia di Utopia è stata l’acqua, intervento eco-logico di
salvataggio dell’ambiente che oggi (in altri termini, è ovvio…)
gli uomini potrebbero continuare a fare per il pianeta, migliorando o anche solo tutelando l’ambiente dai soprusi umani
sulla natura. I luoghi sarebbero così più belli. Si potrebbe dire
che sono due interventi, quello ecologico e quello estetico, che
insieme rendono più armoniosi gli spazi. Questi sono alcuni
dei significati che l’utopia può rappresentare, significati che
s’intersecano e si sovrappongono. È bastato sostituire il prefisso per far emergere tanti altri termini correlati. Molti sono
stati criticati e contestati, durante i nostri incontri. Hanno suscitato attenzione e curiosità, e offerto spunti spesso involontari per ragionamenti, discussioni e controversie interessanti.
Ora torniamo alla ricchezza semantica, polisemica della radice -topos e dei suoi prefissi come citati appena sopra.
Eu-topia
Partiamo dal principio, dall’utopia intesa come eu-topos.
Quando la pensiamo legata all’arte, al teatro, alla letteratura, stiamo parlando di rappresentazioni, spesso realizzate, di
luoghi buoni, luoghi perfetti. Ne abbiamo esempi significativi nelle utopie moderne dell’architettura5, le uniche che non
si sono rivelate distopie (perlomeno secondo Gillo Dorfles).
Dorfles elenca una serie di architetti-artisti tra i più conosciuti
5
XIV
Cfr. in questo volume Gillo Dorfles, L’utopia è architettura.
6
Viaggio attraverso le utopie
come Buckminster Fuller, Walter Gropius e Ludwig Mies Van
der Rohe, che l’utopia l’hanno saputa realizzare attraverso validi progetti urbanistici o architettonici (dunque quella che ho
chiamato positiva). O ancora Oscar Niemeyer, che ha trasformato Brasilia da landa deserta a moderna città, e che ci ricorda
e ci rimanda al paese Utopia di Pantagruele. Seppure in questi
casi l’azione non sia divina ma umana, non è l’acqua che interviene sulla natura ma è l’uomo che interviene sull’architettura.
Ancora Gillo Dorfles ritiene significativo, fra gli altri, il lavoro
di Le Corbusier con la riqualificazione di Chandigarh in India. Questi rimandi ci raccontano che l’eu-topia è creatività,
è progettualità, che si esprime nel disegno, nella realizzazione
architettonica e in tante altre forme di costruzione e arti.
Anche nel teatro l’utopia è eu-topia. È legata all’idea di miglioramento, d’innovazione. La produzione artistica teatrale
del Novecento, con la sua continua ricerca del perfettibile, ha
sempre esplorato nuove forme di sperimentazione, disobbedendo spesso ai canoni statici, innovandosi e promuovendo
un’idea diversa di teatro che andasse al di là dei tradizionali
luoghi di rappresentazione, di immaginazione. Forme, o meglio
performance, ibride6, che oggi si sono svincolate dalla scrittura
verbale, dalla scenografia e dalla regia classica per sperimentarne di nuove, laboratoriali, come “smaterializzate” rispetto
al contesto o al contenitore tradizionale della scena teatrale.
Come se il teatro uscisse dal modello mainstream per aprirsi a
un mondo comunicativo a forte valenza partecipativa.
Utopia che è al tempo stesso eu-topos e ou-topos, un progetto che permetta al teatro di evolversi e di distaccarsi da
una rappresentazione diretta della realtà. Per esempio in Ics.
Racconti della giovinezza o in Antigone, due fra i tanti lavori
dei Motus, ritroviamo questa idea di divenire artistico, di una
storia narrata attraversando spazi incollocabili e mai carat-
Cfr. in questo volume Laura Gemini, Il dispositivo teatrale e lo sguardo utopico.
XV
Utopie
terizzabili7, che sono osservati mediante uno sguardo utopico. Così li raccontano Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande.
Questi autori-attori rappresentano l’essenza della vera utopia
teatrale, un’utopia che vive del rapporto dialettico tra ciò che
è bene e il non-luogo, non presente nel reale ma nel nostro
immaginario, che credo intendano – e io non posso che condividere – altrettanto vero.
È solo un piano altro della realtà. Ecco che ritorna l’idea di
rifuggire il presente, in questo caso il teatro precostituito, ripetitivo, vincolato agli standard dei teatri stabili, per fare spazio,
utopico, a un’idea di performance artistica che ricerchi nuovi
attraversamenti da abitare, al di là dei teatri. La trasformazione di ciò che è reale è l’elemento che sta alla base dell’utopia
come cambiamento.
Distopia
Un’ulteriore accezione del termine porta inevitabilmente a
parlare di distopie, veri e propri rovesciamenti dell’ordine sociale, economico e culturale. La letteratura moderna è piena
di esempi in proposito, sostiene Piero Dorfles. In Roma senza
Papa di Guido Morselli, uno tra i più eloquenti testi di letteratura distopica, troviamo descritte contraddizioni e controindicazioni dell’utopia che diventa distopia8. Ma la letteratura
novecentesca è ricca anche d’incontri tra distopia ed entropia.
La tendenza a perdere energia all’interno di un sistema ben si
applica ai processi di tipo politico che riguardano la perdita di
un’organizzazione reale.
L’aumento dell’entropia d’altronde è un processo naturale irreversibile, che potrebbe avere conseguenze negative. Su
questo tema Ilya Prigogine ha un’altra visione. È proprio que7
8
XVI
Cfr. in questo volume Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, L’utopia necessaria.
Il teatro per Motus.
Cfr. in questo volume Piero Dorfles, Un’ambigua entropia.
9
10
11
Viaggio attraverso le utopie
sto disordine, trasposto dal campo fisico a quello sociale, a
dare vita a nuova informazione, a tutte quelle trasformazioni generate da un atteggiamento distopico nei confronti del
presente, un ribaltamento dell’attuale che apre comunque al
potenziale. È interessante confrontare questa visione con alcuni degli sguardi più originali dei teorici dell’informazione del
Novecento (Claude Shannon, Ludwig von Bertalanffy, John
von Neumann)9 che osservano i sistemi da un’angolatura di
grande fascino che ha coinvolto gli scienziati sociali nell’evoluzione del concetto di sistema e del suo equilibrio.
La distopia è il filo conduttore delle utopie letterarie novecentesche, utopie che proprio a causa di un eccesso “entropico” di testi ci riconducono oggi a una sorta di jet-lag della
letteratura10, un consumo chic che si fa spazio a discapito di
un consumo critico, più adatto a un lettore-individuo tardomoderno che legge quello di cui sente necessità. Qui si è giunti
passando per le grandi utopie della storia, a metà tra letteratura e tecnologia, che hanno sovvertito l’esistente per proporre,
e spesso realizzare, un miglioramento della società.
Il primo passaggio che sancisce il rapporto tra tecnologia,
letteratura e utopia è rappresentato dalla trasformazione della società pre-alfabetica in società alfabetica. È un po’ come
ragionare sul cambiamento che dallo scrivere-scrittura porta
alle lettere-letteratura11, parole comuni ma straordinarie, parole imprigionate nel nostro reticolo semantico che rendono
concreto il processo d’identificazione tra il supporto cartaceo
di un’opera e il suo contenuto.
Questa evoluzione si realizza con la scoperta della stampa
a caratteri mobili, la galassia Gutenberg – evento planetario,
secondo Marshall McLuhan, per la straordinaria possibilità,
attraverso appunto i caratteri mobili, di riprodurre pagine che
Sulla teoria matematica delle comunicazioni cfr. Shannon, 1971; sulla teoria generale dei sistemi cfr. von Bertalanffy, 2004; sulla teoria dei giochi cfr. von Neumann
e Morgenstern, 1953.
Cfr. in questo volume Filippo La Porta, Per l’utopia che non pretende di realizzarsi.
Cfr. in questo volume Loretta Del Tutto, Le parole della civiltà letteraria.
XVII
Utopie
prima erano poco più che uniche, spesso solo uniche – scoperta che ha portato alla riproduzione del libro.
Questo è stato un evento galattico, ma la tecnologia ha gradualmente trasformato i modi e le forme di produzione letteraria, non la logica di base, di scomposizione e ricomposizione
delle lettere che si fanno opere letterarie. Questa universalità,
questa astrattezza è resa ancor più possibile dal web – forse
considerato oggi (da tanti) la grande utopia letteraria della
contemporaneità – non-luogo sia della scrittura sia della letteratura che di contro rende concreto e visibile l’immaginario
di un autore.
Immaginario che, riproducibile all’infinito, non appartiene a nessun luogo, se non alla mente di chi lo immagina. È
vero che la rete consente una maggiore distribuzione dei testi,
una maggiore esponibilità dei contenuti (proponendosi come
eu-topia e come ou-topia), ma al tempo stesso rende fragili e
molto flessibili i confini di autorialità, presentando così il suo
lato distopico. La proprietà intellettuale, tanto discussa da sociologi, filosofi del diritto, giuristi, viene sovvertita12.
I principi giuridici che regolano la tutela delle creazioni,
delle invenzioni dell’ingegno umano vengono meno, o meglio
si modificano. Con le innovazioni tecnologiche digitali il concetto di proprietà intellettuale viene rivisitato. Questa sorta di
monopolio artistico diventa oggi meno rigido, pur mantenendo la propria proprietà di tutela degli autori. L’opera infatti
si scompone e ricompone infinite volte, si de-materializza, assume nuove forme, si poggia su supporti altri che sono diversi da quelli a cui siamo tradizionalmente abituati. Si rende sì
indipendente dal suo contenitore originario ma conserva la
sua autenticità, pur sovvertendo – in modo distopico direi – le
precedenti logiche distributive.
12
XVIII
Cfr. Rossi, 2011; De Martin, 2011.
Con la diffusione di internet e del web non solo si modifica
il concetto di luogo, ma anche quella di spazio, che si rappresenta sempre più come ucronico. Parlare di ucronia, qualcosa
situato in un altro tempo, è forse il termine più appropriato
quando trattiamo la tecnologia. La vera ucronia tecnologica
del nostro tempo è senz’altro la rete: si parla spesso dell’universo digitale come l’unico, vero spazio fuori dalla connotazione tradizionale di tempo in cui realizzare l’idea utopica
contemporanea. È l’universo del good enough13, del quanto
basta, che tende da una parte alla perfettibilità tipica delle utopie classiche per la sua facilità di accesso alle informazioni e
dall’altra, a causa della sua struttura, dei suoi nodi imperfetti,
e non equivalenti, all’utopia negativa. Appare chiaro che in
ambito tecnologico l’utopia rappresenta la potenzialità, la realizzazione del possibile altrimenti in altri modi, tempi e spazi.
È il futuro, la grande utopia/ucronia di tutte le società. Esso
implica una possibile trasformazione del presente attraverso la
costruzione di modelli che siano in grado di anticipare gli esiti
possibili delle condizioni della scienza e della tecnica stesse. I
tre saggi del capitolo dedicato al rapporto fra utopia e tecnologia ci accompagnano in questi passaggi.
Per Marino Sinibaldi sono almeno tre le grandi utopie tecnologiche della modernità: l’energia, le tecnologie della riproduzione e quelle della comunicazione14. Tutte utopie realizzate che sono riuscite a trasformare la società nel profondo a
partire dalla vita quotidiana rispondendo ai bisogni emergenti
come hanno fatto l’elettricità, il transistor e oggi l’ebook. Invenzioni e scoperte legate tutte all’utopia della comunicazione
che, come sostiene anche Philippe Breton, rappresentano la risposta alla crisi della società del ventesimo secolo.
13
14
Viaggio attraverso le utopie
Cyber-utopia
Cfr. in questo volume Mario Tedeschini Lalli, Libertà e diseguaglianza nell’universo digitale.
Cfr. in questo volume Marino Sinibaldi, Progresso e utopie scadenti.
XIX
Utopie
A cominciare da una critica al determinismo tecnologico
perno del pensiero di McLuhan, le tecnologie della comunicazione s’inseriscono piuttosto in un determinismo sociale
secondo cui esse sono frutto dell’emergere di bisogni sociali
latenti, e sono le uniche in grado di rispondere alle trasformazioni della società15.
Il pensiero utopico del Novecento è pervaso da queste
convinzioni, dall’utopia della tecnica dell’era industriale fino
all’utopia della società dell’alta comunicazione, del mondo
post-industriale, che ben esprime il senso della cyber-connessione16. Le possibilità offerte dall’intreccio tra le tecnologie digitali e le telecomunicazioni hanno portato all’affermarsi di
internet, la cyber-utopia per eccellenza17. Utopia che però si
esaurisce quando entra nel mondo della vita quotidiana e ne
diventa prassi, quasi un rituale abitudinario.
Se invece si pensa all’utopia tecnologica non dal punto di
vista del determinismo tecnologico di McLuhan ma da quello
mediologico di Régis Debray, essa si lega alla contingenza del
mondo, al possibile altrimenti che tante volte è emerso nella
riflessione degli studiosi.
La funzione utopica muta, così come muta il termine che
rappresenta questa trasformazione. In questa visione cyber a
mio parere ben si colloca il concetto di eterotopia di Michel
Foucault – un contro-luogo, una realtà contrapposta all’irrealtà dell’utopia che si pone al di fuori di ogni spazio conosciuto
ma che, aprendosi su altri luoghi, comunica con questi e li fa
comunicare tra loro – fino ad approdare all’eter-utopia del
reale contemporaneo, internet appunto, che realizza la connessione degli spazi quali luoghi di attraversamento relazionale,
non solo individuale ma anche collettivo.
15
16
17
XX
Cfr. Breton, 1995.
Cfr. in questo volume Giovanni Boccia Artieri, Eter-utopia e internet. Fuori dal
Novecento e dalla cyber-utopia.
Lévy, 2008.
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