Patologia Generale- Lezione 27 (Parte 2) Cagliari, 24 Ottobre 2012

Patologia Generale- Lezione 27 (Parte 2)
Cagliari, 24 Ottobre 2012 Prof: Ezio Laconi
Silvia Pilloni
L’invecchiamento è il fattore di rischio meglio associato alla patologia neoplastica. Ovviamente, inteso
come fattore cronologico, non è modificabile ma c’è anche un tipo di invecchiamento biologico che è
dovuto alla perdita delle caratteristiche funzionali di un organo o tessuto. Ad esempio,anche l’esposizione
ai raggi UV si dice che “invecchia la pelle”, cioè la cute perde funzionalità. Si tratta del fattore di rischio
meglio associato alle neoplasie: infatti l’insorgere delle patologie tumorali aumenta esponenzialmente con
l’età fino a raggiungere un plateau dopo gli 85 anni. Alcuni fattori dell’invecchiamento favoriscono le
neoplasie: ad esempio l’accumulo delle cellule senescenti che secernono certi fattori. Un tessuto
invecchiato è meno competitivo ed è per questo che è possibile che cellule che hanno acquisito un
vantaggio riescano meglio ad emergere piuttosto che in un tessuto giovane.
Ha un ruolo anche il sistema immunitario, c’è un immunità ai tumori [che verrà poi approfondita nel corso
delle lezioni]. Durante l’invecchiamento vengono meno le difese immunitarie, quindi anche questo influisce
e inoltre viene meno la capacità rigenerativa. Per esempio se si fa un’epatectomia parziale ad un anziano, il
fegato rigenera in un tempo molto lungo. Un midollo invecchiato ha un turn- over diverso da quello
giovane, viene rallentato.
Da tutto questo emerge il fatto che il fenotipo resistente gioca un ruolo fondamentale. Resistenza alle
terapie significa che il tumore inizialmente risponde al trattamento e poi non più. Sappiamo che ci sono
neoplasie(come quelle a polmone, esofago e rene) che rispondono pochissimo alle terapie anche all’inizio
del trattamento, sono refrattarie. Se si considera il meccanismo attraverso cui queste patologie emergono,
si vede che queste si manifestano in seguito all’esposizione a determinate sostanze che sono i cancerogeni.
È il caso ad esempio del tumore al polmone causato dal fumo di sigaretta. Perciò per poter crescere in
quelle situazioni,le cellule mutate, o meglio iniziate, devono avere sviluppato meccanismi di resistenza ai
cancerogeni, che sono sostanze genotossiche. D’altra parte in questo momento si utilizzano altre sostanze
genotossiche per combattere questi tumori.
Questo tipo di neoplasie sono refrattarie perché vengono già da situazioni in cui hanno sviluppato
resistenza a questi fattori genotossici, compresi anche i farmaci che noi vogliamo utilizzare. Perciò bisogna
avere un giusto approccio chimico: spesso per curare i tumori noi utilizziamo delle sostanze che dal punto
di vista qualitativo sono uguali a quelle che l’hanno causato,quindi per trovare il giusto approccio
terapeutico è necessario vedere quali modificazioni sono state indotte da queste sostanze e i meccanismi
che ha sviluppato la cellula per resistervi.
La promozione si configura in questo senso come tappa limitante del processo. Quando un processo
dipende da diverse tappe che sono in sequenza,noi lo possiamo fermare a qualsiasi livello: quando
parliamo di promozione,cioè di selezione di cloni resistenti, ci riferiamo ad un meccanismo che dura molto
tempo, e che quindi ci fornisce una più ampia possibilità d’intervento. Al contrario, l’insorgere delle
modificazioni è un processo rapido.
La proteina p53 venne identificata come il “guardiano del genoma”. Il suo ruolo è quello di aumentare il
tempo di passaggio tra la fase G1 ed S della replicazione in modo da permettere alla polimerasi di operare
la sua funzione di correzione sul DNA neoformato. Quando non funziona bene non viene svolta l’attività di
proofreading della polimerasi. Quindi se c’è un errore questo permane e la cellula continua a riprodursi,
dando luogo alle cosiddette cellule iniziate.
Tuttavia, cercando nella cute di individui sani, si è visto che anche in questi ci sono cellule che hanno la
proteina p53 alterata. Queste sono cellule pronte a dar luogo a lesioni avanzate, ma i tumori cutanei non
vengono sviluppati a meno che le altre cellule non siano alterate in senso inibitorio. Ciò significa che queste
cellule non riescono ad emergere perché , dal punto di vista qualitativo,non hanno niente di meglio rispetto
alle altre sane. Se vengono danneggiate le altre cellule, cioè se si danneggia la cute in generale, allora la
cellula iniziata emerge, ma se il resto della cute è competitivo queste cellule non emergono. Quindi bisogna
creare una lesione. In questo senso la promozione è la tappa limitante, perché la neoplasia non avviene a
causa della presenza delle cellule iniziate, dato che queste sono presenti in tutti gli individui, ma per il
prevalere di queste cellule sulle altre.
La promozione è la condizione che cambia la velocità del processo, che fino ad allora è solo un processo
potenziale. Se si blocca questa tappa si blocca l’intero processo, anche perché è una delle tappe che dura
più tempo, che ci da più tempo per agire.Il danno che è più importante è quello indotto alle altre cellule,
perché non basta indurre la formazione di cellule iniziate.
Di questo ne abbiamo evidenza nei modelli sperimentali: se noi somministriamo a un topo la dose di crohn,
cioè la minima dose cancerogena, questa induce la formazione di cellule iniziate, ma non la neoplasia. Per
indurre lo sviluppo di un tumore bisogna promuovere le cellule iniziate e questo significa anche, ma non
solo, dare un vantaggio proliferativo a queste cellule. Questo lo si può fare danneggiando cronicamente il
resto del tessuto, cosa che sanno far bene le sostanze genotossiche. Quindi i cosiddetti cancerogeni non
causano neoplasie perché inducono la formazione di cellule iniziate, quanto perché danneggiano il tessuto
nella sua interezza. L’aspetto importante è che noi possiamo agire su questa tappa, dato che è quella che
dura più tempo. Per ostacolare la patologia neoplastica dobbiamo agire cercando di mantenere l’integrità
funzionale dei tessuti, anche quando la neoplasia è già insorta in modo da cercare di rallentare il processo
neoplastico. Bisogna mantenere il tessuto giovane, cioè evitare di esporlo cronicamente a quei fattori che
lo danneggiano. Quindi ricercare i meccanismi e gli agenti di promozione,bisogna andare a vedere che
effetto ha quella sostanza sul tessuto.
Se ho una sostanza che stimola e una che inibisce le stesse cellule, sto cercando di far crescere un tessuto
che in realtà non può farlo, sto mettendo in evidenza che il fatto che questo tessuto non può crescere. Se io
ho un tessuto che non può crescere e io non lo stimolo,non vedrò mai che questo tessuto non riesce a
crescere, perché non lo sto stimolando a farlo. Quindi anche gli stimoli positivi possono accelerare il
processo, se ovviamente questo tessuto non è in grado di proliferare o ha una ridotta capacità in questo
senso. È chiaro però che tra le due componenti la più critica è quella soppressoria non quella stimolatrice.
La progressione neoplastica è l’insieme dei processi attraverso cui la lesione focale evolve verso la
neoplasia e continua ad acquisire un fenotipo sempre più avanzato. Comprende tutte le fasi che vanno
dalla lesione primitiva (polipo,papilloma,etc) fino al cancro conclamato e anche ciò che avviene dopo, o la
guarigione o la morte dell’ospite, o comunque qualsiasi effetto che si ottiene con terapie o con
l’eliminazione chirurgica. È la tappa più lunga del processo tumorale e anche quella su cui conosciamo
meno.
L’ipotesi dell’evoluzione clonale formulata da Nowell a metà degli anni 70 è una delle ipotesi che spiega
meglio ciò che avviene: prende in considerazione l’interpretazione del processo neoplastico come processo
evolutivo, proprio perché si formano questi nuovi cloni cellulari, nuove popolazioni di cellule. Questo
avviene appunto per l’emergere del fenotipo mutante.
Qui fa capolino uno dei temi più importanti della neoplasia, che è l’eterogeneità cellulare, che domina il
quadro clinico e che dovrebbe anche dominare i comportamenti dal punto di vista terapeutico. Con
l’elaborazione di una terapia bisogna pensare di rivolgersi a cellule diverse e non uguali, che non si
omologano su un modello. Non si sentono vincolate a una finalità morfologica e/o funzionale, ma vanno
alla deriva facendo quello che gli è consentito in questa situazione. Solitamente è questa la situazione,
anche se le neoplasie che riguardano il sistema emolinfopoietico ( dette anche neoplasie liquide) sono un
capitolo a sé stante. Queste sono diverse da quelle solide perché sono più responsive ai farmaci. Inoltre,
anche se con qualche eccezione, sono sistemiche già dalle fasi precoci, sono cellule che sanno già invadere
e metastatizzare (proprietà intrinseca alle cellule bianche, di muoversi e riprodursi in altri tessuti). Perciò
diciamo che per emergere non hanno avuto bisogno di sviluppare tutte quelle resistenze che sono invece
necessarie allo sviluppo di tumori solidi, e forse è per questo che sono più responsive ai farmaci. Sono
spesso omogenee, cioè le cellule sono molto simili. Alcune sono tipici blocchi differenziativi, si accumulano
come precursori, hanno perso la capacità differenziativa. Sono cellule anche normali, perciò per alcune
neoplasie la sensibilità ai farmaci è paragonabile a quella delle cellule normali. Come avviene nel caso di
terapie che agiscono anche sui capelli e sul midollo, portando ad una perdita di capelli e anemia. Le cellule
normali sono sempre sensibili ai farmaci,quelle neoplastiche non sempre. La terapia è più difficile da
attuare quando ci troviamo davanti a una popolazione cellulare eterogenea.