Materia e antimateria - Università degli studi di Pavia

G.Bendiscioli, V.Filippini, A.Fontana, P.Genova, M.Marchesotti (*),
P.Montagna, A.Panzarasa, A.Rotondi, P.Salvini
Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica - Università di Pavia
INFN Sezione di Pavia
(*)
attualmente presso Cern – Ginevra
Materia e antimateria: dalle particelle agli atomi
presentato da A.Rotondi nella seduta dell’Istituto Lombardo il 17 ottobre 2002
The laws governing the universe are surprisingly valid also for a type of matter exactly similar to the real one,
but with opposite properties in a number of aspects. The existence of this so-called antimatter has been at first
predicted theoretically, and finally confirmed by a number of observations of subnuclear particles, in experimental
studies more and more advanced, which recently have arrived to the production in laboratory of antimatter at atomic
state.
The symmetry of the physical laws could lead to think that in the universe matter and antimatter are present in
equal proportion. But this does not agree with our experience, according to which antimatter in the universe exists only
in a negligible amount, with a short-lived (creation and annihilation of particle-antiparticle pairs) or latent (as
component of unstable particles) presence.
So, why the universe presents such a strong asymmetry between matter and antimatter, when according to the
known physical laws there should be a total symmetry? An exhaustive answer to this question have not been given yet.
In the following we will try to suggest some indications about this, starting from the construction of matter and
antimatter by their fundamental “bricks”, the subatomic elementary particles, and examining the properties of the
physical interactions: a possible violation of some symmetry or conservation principle between antimatter and matter
could open the way to the understanding of the universe.
Any similar violation until now has never been observed, because – even if it exists – it should be very weak,
and, above all, in order to observe it a macroscopic amount of antimatter should be available. Until now this did not
happen, but the recent production of antihydrogen atoms at low energies by the Athena collaboration at Cern (Geneva)
could open a new scenario in this direction. In the second part of this paper we will describe the experimental technique
which led to this result, and some research perspective suggested for the near future.
Le leggi che governano l’universo risultano sorprendentemente valide anche per un tipo di materia
del tutto simile a quella reale ma con proprietà per molti aspetti opposte. L’esistenza di questa cosiddetta
antimateria è stata dapprima prevista teoricamente, poi confermata da numerose osservazioni di particelle
subnucleari, in ricerche sperimentali sempre più evolute che hanno recentemente portato fino alla
produzione in laboratorio di antimateria allo stato atomico.
La validità generale delle leggi fisiche porterebbe a pensare che nell’universo materia e antimateria
siano presenti in egual misura. Ma questo contrasta con la nostra esperienza, secondo la quale l’antimateria
nell’universo esiste solo in minima parte, con una presenza effimera (creazione e annichilazione di coppie
particella-antiparticella) o latente (come componente di particelle instabili).
Come mai dunque l’universo presenta una così grande asimmetria tra materia e antimateria,
quando secondo le leggi fisiche conosciute dovrebbe esserci una completa simmetria? Una risposta
esauriente a questo quesito non è ancora stata data. Nel seguito cercheremo di suggerire alcune indicazioni
in merito, partendo dalla costruzione della materia e dell’antimateria a partire dai loro “mattoni”
fondamentali, le particelle subatomiche elementari, ed esaminando le proprietà delle interazioni fisiche: una
possibile violazione di qualche principio di simmetria o conservazione tra antimateria e materia potrebbe
aprire la strada alla comprensione dell’asimmetria dell’universo.
Una tale violazione finora non è mai stata osservata, sia perché - se pure esistessedovrebbe essere di entità molto piccola, sia soprattutto perché per osservarla bisognerebbe avere a
disposizione quantità macroscopiche di antimateria. Finora questo non è avvenuto, ma la recente
produzione di atomi di antiidrogeno a basse energie da parte dell’esperimento Athena al Cern di
Ginevra potrebbe aprire nuovi scenari in questo senso. Nella seconda parte del lavoro
descriveremo pertanto la tecnica sperimentale che ha portato a tale risultato, e alcune prospettive
di ricerca che questo apre per il prossimo futuro.
1
1. I componenti elementari della materia
L’universo conosciuto, esseri umani compresi, è costituito per definizione da materia. Ogni
frammento macroscopico di materia è l’aggregazione di elementi microscopici che hanno come
strutture fondamentali gli atomi. Questi sono costituiti da elettroni e nuclei, corpi dotati di massa e
di carica elettrica di segno opposto, legati fra loro dalla forza attrattiva coulombiana che agisce in
modo simile alla legge di gravitazione nel caso dei pianeti e del sole. In ogni atomo il numero dei
protoni nel nucleo è uguale a quello degli elettroni. Per questo un atomo è detto elettricamente
neutro.
Gli esperimenti mostrano che gli elettroni sono particelle prive di struttura interna; essi
possono essere pensati come puntiformi e sono in senso proprio particelle elementari. Essi sono gli
esempi più comuni delle particelle elementari denominate leptoni (che comprendono l’elettrone, i
leptoni m e t e i corrispondenti neutrini; i leptoni costituiscono tre famiglie distinte ognuna formata
da una particella carica e un neutrino).
Fra i leptoni, solo l’elettrone e i neutrini sono stabili, mentre gli altri hanno un’esistenza
effimera. Per esempio il leptone m- si trasforma (o decade) in un elettrone secondo la reazione
m - ® e - + ne + n m
(1)
dove n m è il neutrino muonico e n e l’ antineutrino elettronico (sul significato del prefisso antidiremo più avanti). I leptoni possiedono un momento angolare intrinseco (o spin) s = ½ (in unità h ).
Per questo appartengono alla più grande famiglia dei fermioni, particelle dotate di spin semintero.
Fra i leptoni hanno una posizione singolare i neutrini, che sono privi di carica elettrica e di
massa (e pertanto si muovono con la velocità della luce) e sono caratterizzati solo dallo spin. Inoltre
lo spin risulta sempre orientato in verso opposto all’impulso. L’immagine speculare del neutrino è
una particella con spin orientato concordemente con l’impulso, particella che non è mai stata
osservata in nessun esperimento.
L’operazione di trasformazione di un oggetto (o un fenomeno) reale nell’immagine
speculare prende il nome di trasformazione di parità: se l’immagine non coincide con un oggetto
appartenente al mondo reale, si dice che esso non è invariante per parità. L’esperienza mostra che i
fenomeni nei quali sono coinvolti i neutrini sono i soli fenomeni non invarianti per parità.
Diversamente dagli elettroni, i nuclei atomici hanno una loro struttura interna: sono
aggregati di particelle dette nucleoni e distinte in protoni e neutroni. I nucleoni hanno massa circa
uguale tra loro e circa 2000 volte maggiore della massa dell’elettrone, e sono anch’essi fermioni con
spin ½. Il protone ha carica elettrica uguale e opposta (positiva) a quella dell’elettrone, mentre il
neutrone è elettricamente neutro. I nucleoni vengono tenuti insieme nei nuclei grazie a una
interazione detta forte, attiva a piccole distanze (» 10-15 m) e in grado di vincere la repulsione
coulombiana tra i protoni.
Gli esperimenti mostrano che il neutrone e il protone sono a loro volta aggregati di
costituenti elementari detti quark, fermioni di spin ½ dotati della particolarità di avere una carica
elettrica frazionaria (q= ± 1/3, 2/3 e, dove e = 1.6 ·10-19 C è la carica dell’elettrone, considerata
finora come carica elementare).
I nucleoni risultano così costituiti ciascuno da 3 quark, combinati in modo da dare la giusta
carica elettrica. I quark che li compongono sono di due specie, chiamate u e d (up e down), di carica
2
rispettivamente +2/3 e –1/3 rispetto alla carica dell’elettrone: il protone è costituito dai tre quark
uud (carica totale +1), il neutrone da udd (carica totale 0).
Fig. 1. Schema illustrativo della costituzione della materia nei suoi componenti elementari.
Procedendo a ritroso, da antiquark e positroni, è possibile in linea di principio costruire strutture
atomiche o molecolari di antimateria assolutamente simmetriche a quelle della materia ordinaria.
(da Le Scienze, n.411, novembre 2002, pag. 59)
Oltre alla carica elettrica frazionaria, i quark possiedono un’altra carica, detta colore,
responsabile dell’attrazione forte fra i quark, così come la carica elettrica è responsabile
dell’attrazione elettromagnetica. E’ questa attrazione che dà origine al protone e al neutrone. Mentre
esistono due cariche elettriche distinte dal segno + o –, esistono tre cariche forti distinte per il
colore rosso (R ), verde (V) e blu (B). Nei nucleoni, i 3 quark componenti sono presenti nei tre
colori, in modo che globalmente neutrone e protone sono detti incolori o bianchi, così come
l’atomo costituito da un uguale numero di cariche di segno opposto è detto neutro. Differentemente
dalle cariche elettriche, che possono esistere libere (come un elettrone o un protone isolati) o legate
(come in un atomo neutro o ionizzato), i quark non si rivelano mai isolati, ma solo in aggregati
incolori (come il neutrone o il protone). Rivelare un quark isolato implicherebbe rivelare una
particella isolata portatrice di una carica elettrica frazionaria e ciò non è mai accaduto. Usualmente
si dice che i quark sono confinati.
3
Una carica elettrica q1 genera attorno a sé un campo elettrico descritto dalla legge di
Coulomb. Se una carica q2 viene posta a distanza r da q1, il sistema delle due cariche acquisisce
un’energia potenziale
q 1q 2
(2)
r
che diminuisce con la distanza: questo permette che le cariche elettriche possano essere separate
l’una dall’altra. All’energia (2) corrisponde una forza fra le cariche decrescente con la distanza
come 1/r2 , che esprime la ben nota legge di Coulomb.
VC (r ) µ
La precedente descrizione dell’interazione fra cariche elettriche ha un carattere, per così
dire, statico; è tuttavia possibile darne una equivalente descrizione dinamica, secondo cui il campo
elettrico generato da una carica si esplica mediante l’emissione e l’assorbimento continui di fotoni o
quanti di energia elettromagnetica da parte della carica stessa, e l’interazione fra due cariche si
realizza mediante lo scambio di fotoni tra di esse. Per indicare questo loro ruolo, i fotoni sono detti
mediatori dell’interazione elettromagnetica. Essi hanno massa nulla (e viaggiano pertanto alla
velocità della luce) e spin s=1: sono cioè bosoni (particelle a spin intero) e non fermioni.
Analogamente al caso dell’elettrone, un quark genera attorno a sé un campo di colore e
l’interazione fra due quark è governata da un’energia potenziale della forma
V(r ) µ
aS
+br
r
(3)
dove il primo termine è importante solo in prossimità di r = 0. La (3) mostra che il potenziale
aumenta con la distanza r. La forza corrispondente rimane costante al crescere di r (F = b), così che
per allontanare l’uno dall’altro due quark occorrerebbe compiere un lavoro infinito. Ciò riflette il
fatto che essi non si manifestano mai isolatamente, ma sempre in aggregati. Un esempio di forza
costante è dato dall’attrazione fra le armature di un condensatore piano con carica costante;
l’analogia sussiste finchè la distanza fra le armature è piccola rispetto alle dimensioni lineari delle
armature.
Con altro linguaggio, si dice che l’interazione fra quark si effettua mediante lo scambio di
quanti di energia detti gluoni. Mentre lo scambio di fotoni tra particelle elettricamente cariche lascia
inalterata la carica elettrica delle particelle stesse (il fotone non trasporta carica elettrica!), lo
scambio di gluoni può comportare il cambiamento del colore dei quark perché i gluoni sono dotati
di colore. I gluoni sono combinazioni di uno dei colori fondamentali (R, V, B) e di un colore
complementare di questi rispetto al bianco; i colori complementari sono anche detti anticolori e
sono indicati con i simboli R , V, B . Lo scambio di gluoni avviene in modo tale che in ogni atto
elementare di emissione e assorbimento il colore complessivo del quark e del gluone coincide con
quello del quark. Consideriamo a titolo esemplificativo l’interazione fra un quark R e un quark V. Il
quark R emette un gluone di colore R V e diviene verde perché R V V = R; con le stesse modalità il
quark V, assorbendo lo stesso gluone, acquisisce il colore rosso. Questo meccanismo garantisce
anche che neutrone e protone si mantengono incolori.
Neutrone e protone sono le uniche aggregazioni stabili di quark e stanno a fondamento della
materia ordinaria. Esistono però altre aggregazioni di tre quark u e d con esistenza
sperimentalmente accertata ma effimera: esse costituiscono altri esempi della famiglia delle
particelle subatomiche impropriamente dette elementari. Oltre ai quark u e d esistono altri quattro
quark (indicati con le lettere s, b, c, t). Come aggregando opportunamente elettroni e nuclei è
4
possibile raggruppare gli atomi secondo le loro affinità chimica nella tabella di Mendeleev, così
aggregando opportunamente a tre a tre i sei quark è possibile raggruppare le particelle subatomiche
in famiglie con proprietà fisiche simili. Esse vengono chiamate barioni. Tutti i barioni sono prodotti
sia in natura sia in laboratorio nelle collisioni, per esempio, fra protoni di energia sufficientemente
elevata, nelle quali una frazione dell’energia cinetica si materializza. I barioni hanno vita effimera e
decadono in particelle più leggere. Caratteristica comune di tutti i barioni è di essere aggregati
incolori di quark. Il diverso colore dei quark della stessa specie, per esempio u, consente che tre di
essi occupino lo stesso livello energetico senza violare il principio di esclusione di Pauli, che limita
l’addensamento dei fermioni identici (Per esempio, il barione D+ + è costituito da tre quark uuu).
Fig. 2. Struttura a quark dei barioni e dei mesoni. Si illustrano a titolo di esempio le strutture
interne dei nucleoni e dei pioni.
2. L’antimateria
Gli esperimenti mostrano che, oltre a quelle costituenti la materia, in natura esistono altre
particelle con proprietà facilmente collegabili alle precedenti: per esempio, nell’atmosfera sono
osservabili particelle con la stessa massa degli elettroni e dei protoni ma con carica elettrica di
segno opposto (dette, rispettivamente, positroni e antiprotoni). Queste particelle sono presenti in
quantità trascurabili rispetto ai costituenti della materia ordinaria, non sono suoi costituenti
permanenti e hanno una vita effimera. I positroni sono continuamente prodotti, per esempio,
dall’interazione della componente elettromagnetica della radiazione cosmica con i gas atmosferici e
gli antiprotoni dall’interazione dei protoni cosmici. Essi hanno un’elevata probabilità di svanire
(annichilare) per collisione con gli elettroni e i nuclei della stessa atmosfera.
Positroni e antiprotoni sono i più comuni esempi di particelle di antimateria o antiparticelle. Gli
esperimenti mostrano che a ogni particella si accompagna un’antiparticella: a ogni leptone si
accompagna un antileptone e a ogni barione un antibarione. Nel caso di particelle neutre la
particella può coincidere con la sua antiparticella (è il caso, per esempio, del fotone e del pione
neutro) o non coincidere (ad esempio neutrone e antineutrone sono particelle distinte).
Gli antibarioni sono descrivibili come aggregati di tre antiquark in modo simile ai
corrispondenti barioni. Per esempio, l’antiprotone, che ha carica elettrica –1, è l’aggregazione dei
tre antiquark d uu , dei quali d e u hanno carica elettrica opposta rispettivamente a quella dei quark
d e u. L’antiquark è portatore di un anticolore, così un sistema quark-antiquark non ha colore (e
perciò, come vedremo tra breve, può configurarsi come particella). Gli antiquark interagiscono fra
loro con modalità simili a quelle dei quark.
Una peculiarità della coppia elettrone-positrone è che, quando le due particelle entrano in
collisione, la massa e le cariche elettriche ad esse associate svaniscono (o annichilano) e l’energia
5
corrispondente compare sotto forma di fotoni o quanti di energia elettromagnetica. In questo
processo vengono emesse proprio quelle particelle, i fotoni, attraverso il cui scambio si realizza
l’interazione fra cariche elettriche.
Anche nella collisione fra un protone e un antiprotone, la massa e le cariche elettriche
svaniscono e l’energia associata compare come massa ed energia cinetica di particelle più leggere.
Per analogia con l’annichilazione elettromagnetica, ci aspetteremmo che i prodotti
dell’annichilazione protone-antiprotone fossero i gluoni, ma questi non si manifestano isolatamente
perché dotati di colore. Lo stesso vale per i quark. Le particelle prevalentemente emesse
nell’annichilazione protone-antiprotone sono dette mesoni; fra di essi prevalgono i mesoni p (o
pioni) nelle tre varietà con carica elettrica +1, 0 e –1. La massa del pione è circa 1/7 di quella del
protone.
I mesoni sono anche continuamente prodotti nell’atmosfera dall’interazione dei protoni della
radiazione cosmica con i nuclei atomici dei gas atmosferici e possono essere prodotti con le stesse
modalità in laboratorio. Anche questo fenomeno costituisce un esempio di materializzazione
dell’energia cinetica. L’emissione dei mesoni è una manifestazione dell’interazione forte
nell’interazione fra barioni, così come l’emissione di fotoni è una manifestazione dell’interazione
elettromagnetica tra particelle cariche.
Le proprietà dei mesoni sono interpretabili in termini di quark, specificatamente come
aggregazioni di un quark e di un antiquark. Per esempio, i mesoni p+, p– e p° sono formati dalle
coppie du , du e (uu , dd ) , rispettivamente. Un modo peculiare di creare mesoni è il fenomeno
dell’annichilazione antiprotone-protone, che comporta la disaggregazione delle strutture a 3 quark e
3 antiquark e la ricompattazione di questi in strutture a coppia quark-antiquark. Tale processo è
particolarmente significativo e istruttivo ai fini della conoscenza dell’interazione quark-antiquark (e
quindi dei mesoni) quando avviene con protone e antiprotone legati tra loro come l’elettrone e il
protone nell’atomo di idrogeno. In entrambi i casi si hanno due cariche elettriche di segno opposto
trattenute dall’interazione coulombiana in orbite di energia e momento angolare ben definiti.
Anche i mesoni sono particelle prive di colore, sono raggruppati in famiglie di membri
aventi proprietà affini e, avendo spin zero, sono bosoni. I mesoni hanno esistenze effimere e si
trasformano rapidamente in altre particelle; per esempio, i pioni decadono secondo le seguenti
modalità principali:
p ± ® m ± + n m (nm )
(7)
p° ® 2 g
(8)
dove m– è il leptone instabile già incontrato in precedenza (che quindi decadrà secondo la (1)), m+ è
la sua antiparticella e n m è l’antineutrino muonico. Anche i leptoni m sono normalmente osservabili
nell’atmosfera terrestre.
6
Fig. 3. Annichilazione di un antiprotone su un nucleo di neon, osservata in camera a stramer
dall’esperimento Tofradupp al Cern di Ginevra. Essendo attivo un campo magnetico, le particelle
cariche emesse vengono deviate e danno le caratteristiche “spirali” a curvatura sempre più piccola
al calare dell’energia. Tra esse, si distingue chiaramente la traccia di un pione carico che decade
secondo la catena p+ à m+ + nm , m+à e+ + ne + n m .
(da F.Balestra et al., Experimental apparatus for studying the interaction of antiprotons with light nuclei, Nuclear
Instruments and Method in Physics Research A234(1985)30 ).
I pioni hanno un ruolo importante nella costituzione dei nuclei. Posto che protoni e neutroni
sono aggregati di quark privi di colore, cioè privi di carica forte, che cosa li trattiene legati nei
nuclei? La situazione è analoga al caso del legame fra atomi, oggetti elettricamente neutri che si
attirano formando molecole: si pensi, per esempio, alla molecola di idrogeno che è costituita dalla
fusione di due atomi neutri di idrogeno. Per quanto riguarda le molecole e gli atomi, l’esistenza di
un legame è facilmente compresa tenendo presente che anche un sistema elettricamente neutro (cioè
con un numero di cariche positive uguale a quello di cariche negative) può generare un campo
elettrico al suo esterno, purché i baricentri dei due sistemi di cariche non siano coincidenti: si pensi
al dipolo elettrico o, meglio ancora, alla sua variante costituita dalle armature di un condensatore
piano carico. In questo caso il campo elettrico decresce con la distanza più rapidamente che nel caso
di una carica puntiforme. Da ciò segue che anche tra aggregati neutri di cariche è possibile lo
scambio di quanti di energia sotto forma di fotoni.
Nel caso dei nuclei (analoghi alle molecole), i nucleoni vanno pensati come oggetti di
dimensioni piccole, rispetto alle dimensioni del nucleo, separati da distanze relativamente grandi
che non possono essere superate da singoli gluoni, contrariamente a ciò che avviene nel caso di
interazione fra i quark costituenti i nucleoni. L’interazione fra due nucleoni relativamente distanti
può avvenire con lo scambio di quanti di energia privi di colore, i più piccoli dei quali sono proprio
rappresentati dai pioni. Lo scambio di mesoni fra due nucleoni equivale all’esistenza di un
potenziale d’interazione (detto di Yukawa) avente la forma
V(r ) µ
e -r / a p
r
dove ap è una lunghezza caratteristica, detta raggio d’azione dell’interazione, definita come
a
π
=
h
m
π
c
7
con mp massa del pione. Il pione ha il ruolo di mediatore dell’interazione forte fra nucleoni per
distanze sufficientemente grandi fra di essi.
Le interazioni fra le particelle subatomiche sono governate dai principi di conservazione che
sovrintendono a tutti i fenomeni fisici: i principi di conservazione della carica elettrica, dell’energia,
dell’impulso e del momento angolare. Per esempio, la conservazione dell’energia consente i
decadimenti (1), (7) e (8), ma vieta il decadimento:
n ® p + p-
(10)
e la conservazione del momento angolare vieta il decadimento
n ® e+ + e- .
(11)
Lo studio di molte reazioni osservate sperimentalmente e la non osservazione di reazioni
permesse dai principi di conservazione citati ha messo in evidenza ulteriori regole o principi di
conservazione specifichi delle interazioni delle particelle subatomiche. La validità di tali regole sta
nella loro capacità predittiva: vale a dire, tali regole, dedotte dallo studio di in numero limitato di
fenomeni, hanno consentito di prevedere correttamente il verificarsi di altri fenomeni non ancora
osservati e di escludere il verificarsi di altri.
I nuovi principi di conservazione riguardano caratteristiche intrinseche delle particelle. Per
semplicità ci limitiamo a menzionare solo alcune di esse: il numero barionico B e il numero
leptonico L. Queste grandezze caratterizzano le particelle in modo simile alla carica elettrica Q che,
in unità di carica elettronica, può assumere il valore +1, 0, -1 (o valori frazionari nel caso dei
quark). I barioni (gli antibarioni) hanno B = +1 (B = -1) e L = 0; i leptoni (gli antileptoni) hanno B
= 0 e L = 1 (L = -1); i quark ( gli antiquark) hanno numero barionico 1/3 (-1/3) e numero leptonico
zero; i fotoni, i gluoni e i mesoni hanno numero barionico e numero leptonico uguale a zero.
I fenomeni osservati mostrano che il numero barionico deve essere conservato in tutti
processi che coinvolgono i barioni e che il numero leptonico deve essere conservato in tutti processi
che coinvolgono i leptoni (della stessa famiglia). Questa restrizione dà una ragione in più per il
divieto della reazione (11), che non conserva B, e spiega perché non si verifica, per esempio, la
reazione
p ® e+ + g ,
(11a)
permessa sia dalla conservazione dell’energia sia dalla conservazione del momento angolare, ma
che non conserva né B né L.
Le reazioni che coinvolgono barioni ed elettroni, ma non neutrini, mostrano che queste
particelle sono sempre create e distrutte in coppia con le rispettive antiparticelle. Due esempi di
creazione sono i seguenti:
p + p ® p + p + (p + p )
g + p ® p + (e + + e - ) .
8
Due esempi di distruzione o annichilazione sono1:
p + p ® 2p o
(11b)
e + + e - ® 2g .
(11c)
Fig. 4. Esempio di creazione di coppie e+e-. L’immagine mostra le tracce di due coppie e+eprodotte nelle reazioni g + e- à e- (e+ + e-) e g + p à p (e+ + e-), osservate in camera a
diffusione. Le tracce delle particelle positive e negative sono deflesse in versi opposti per la
presenza di un campo magnetico.
(da P.E.Argan et al., Due camere a diffusione per esperienze con gli elettrosincrotroni da 1100 eV di Frascati e di 100
MeV di Torino, N.2 del Supplemento al Nuovo Cimento 17(1960)215.)
Nei processi che coinvolgono i neutrini, vale la stessa regola enunciata sopra per i barioni, mentre la
regola relativa agli elettroni va generalizzata ai leptoni (della stessa famiglia). Questa regola emerge
in modo particolare dai decadimenti, il cui esempio principe è quello del neutrone libero,
n ® p + e - + ne .
(13)
Esso va sotto il nome di decadimento b- ed è il responsabile, insieme al decadimento a, della
radioattività naturale dei nuclei. In questo decadimento non vengono creati un elettrone e un
positrone, ma un elettrone e un antineutrino, ossia un leptone e un antileptone. La (13) è una
1
Per la loro aggregazione di quark-antiquark, i mesoni sono, sotto certi aspetti, l’equivalente “forte” della coppia
particella-antiparticella costituita da e+e-. Infatti nella collisione protone-protone la creazione del mesone p° è simile
alla creazione della coppia e+e- e il decadimento p°®2g è simile all’annichilazione e+e- ®2g.
9
manifestazione dell’interazione debole, una delle interazioni fondamentali della natura. La (13)
riflette il decadimento di un quark costituente del neutrone secondo la reazione
æuö
æuö
ç ÷
ç ÷
n ç d ÷ ¾¾ ¾-¾¾® pç u ÷ + e - + n e
d ® u + e + ne
çd÷
çd÷
è ø
è ø
Il decadimento del neutrone libero ha come corrispettivo il decadimento del protone (legato in un
nucleo), detto decadimento b+:
pL ® n + e+ + ne
(14)
dove l’antileptone e+ viene emesso non in compagnia della sua particella, l’ elettrone, ma assieme
al leptone ne.
2.1 Dov’è finita l’antimateria?
E’ sorprendente il fatto che lo studio delle proprietà delle sole particelle ha condotto
all’introduzione di leggi fisiche che descrivono anche proprietà delle antiparticelle. E’ emblematico
il caso dell’equazione di Dirac che, introdotta per descrivere il moto relativistico dell’elettrone,
risulta adeguata a descrivere anche il moto del positrone, suggerendo la possibilità dell’esistenza
dell’antiparticella dell’elettrone prima che questa venisse osservata sperimentalmente fra i
componenti della radiazione elettromagnetica nell’atmosfera.
Come già accennavamo nell’introduzione, rimane ancora aperta la questione circa la
“sparizione” dell’antimateria dal nostro universo. Infatti allo stato naturale l’antimateria è presente
solo in modo effimero, nella creazione e annichilazione di coppie particella-antiparticella, o
“nascosta” negli antiquark che costituiscono i mesoni. L’universo sembra quindi, almeno alla nostra
esperienza, costituito di sola materia, che ha “prevalso” per qualche ragione sull’antimateria.
Attualmente la risposta a questo mistero viene cercata nell’ambito di una possibile
violazione dei principi di conservazione richiamati più sopra. Supponiamo, per esempio, che in una
fase di formazione dell’universo fossero presenti in uguale numero protoni e antiprotoni, e che essi
siano soggetti ai seguenti decadimenti:
p ® po + e+
p ® po + e-
(15)
(16)
che sono permessi dalla conservazione della carica elettrica, dell’energia e del momento angolare,
ma sono vietati dalla conservazione del numero barionico e di quello leptonico. Il fatto che essi non
siano mai stati osservati indica che, se possibili, hanno una probabilità molto bassa di verificarsi. (In
effetti studi sperimentali sulla stabilità del protone gli attribuiscono una vita media superiore a 1032
anni.)
In ogni caso, in base all’invarianza delle leggi fisiche per lo scambio materia-antimateria, ci
aspettiamo che i due decadimenti abbiano la stessa probabilità e quindi o protoni e antiprotoni
decadano (con bassa probabilità) oppure annichilino (con elevata probabilità). Se, invece, la
probabilità dei due decadimenti fosse diversa, e quella del decadimento degli antiprotoni fosse più
grande, allora si potrebbe formare un’eccedenza di protoni n p - n p , che sopravvive
all’annichilazione protone-antiprotone.
10
Una stima delle probabilità relative compatibili con l’asimmetria materia-antimateria
dell’universo può essere fatta tenendo conto del fatto che attualmente nell’universo sono presenti in
media circa
0 antibarioni/ m3
0.1 barioni (protoni)/ m3
108 fotoni/ m3.
Se si assume che n p - n p » 0.1 /m3 e che il numero originario di protoni (e di antiprotoni) sia
n p » 10 8 /m3, risulta
nB - nB
nB
» 10 -9
vale a dire, i protoni residui sono solo 1 ogni 109/m3 o, equivalentemente, la differenza fra le
probabilità dei decadimenti (15) e (16) è dell’ordine di 10-9. Dunque, una piccola asimmetria
materia-antimateria a livello microscopico potrebbe essere sufficiente a produrre una grande
asimmetria a livello macroscopico.
Abbiamo descritto sommariamente le principali proprietà della materia e dell’antimateria a
livello microscopico. Aggiungiamo brevi considerazioni sulla materia quale appare ai nostri sensi.
Come abbiamo detto, essa è costituita da aggregazioni di atomi e di molecole, che a loro volta sono
aggregazioni di elettroni e nuclei. I mattoni fondamentali sono compendiati nella tabella di
Mendeleev, dove ogni mattone (elemento chimico) è caratterizzato dal numero degli elettroni o
numero atomico: questo, a sua volta, è uguale al numero dei protoni nel nucleo. Quindi la varietà
dei mattoni dipende dalle possibili aggregazioni dei protoni che, tenendo conto solo dei nuclei
stabili, contengono da 1 a 92 protoni.
La forza forte non è sufficiente a formare aggregazioni stabili di soli protoni a causa della
repulsione coulombiana e del principio di esclusione di Pauli. Le aggregazioni stabili includono
anche i neutroni; lo stesso numero di protoni può legarsi con un differente numero di neutroni
formando famiglie di nuclei detti isotopi. Gli isotopi, avendo lo stesso numero di protoni e di
elettroni, hanno le stesse proprietà chimiche. Le differenti aggregazioni stabili di protoni e neutroni
ammontano a circa 260 nuclei. Si conosce poi un grande numero di nuclei instabili o radioattivi
(circa 2400), di cui una piccola parte esiste in natura (circa 75) e i rimanenti sono prodotti
artificialmente in laboratorio, ma verosimilmente erano presenti anche in natura all’origine della
formazione del sistema solare. Questo numero potrebbe aumentare fino a circa 6000.
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Fig. 5. Rappresentazione dei nuclei nel piano Z,N (numero atomico in funzione del numero dei
neutroni). La linea esterna indica i nuclei teoricamente previsti; la regione grigia quelli
effettivamente osservati, al cui centro, evidenziati in nero, stanno i nuclei stabili.
L’esistenza dei nuclei stabili è il frutto di un sorprendente equilibrio fra forze contrapposte
(la forza coulombiana, la forza forte e la forza debole) e il principio di esclusione di Pauli. Questo
equilibrio comporta che i neutroni, intrinsecamente instabili, divengano stabili e che i protoni,
intrinsecamente stabili, divengano instabili. Esso viene raggiunto nelle stelle attraverso i processi di
nucleosintesi.
L’antimateria potrebbe essere confinata in un universo distinto dal nostro. Se i due universi
entrassero in collisione, materia e antimateria annichilirebbero riducendosi per passi successivi a
fotoni, neutrini e antineutrini, come prevedibile in base alle reazioni (11), (11c), (1), (7) e (8).
La corrispondenza fra le proprietà delle particelle e delle antiparticelle è stata verificata con
precisione non elevata. Per esempio, la differenza relativa tra la massa dell’antiprotone e quella del
protone è stata misurata essere < 6 ·10-8 , mentre quella fra i momenti magnetici è (-2.6 ± 2.9)10-3
(si veda: K.Hagiwara et al., Review of Particle Physics, Physical Review D66, 010001(2002)). Una perfetta
simmetria fra particelle e antiparticelle richiede che i valori dell’antiprotone siano uguali a quelli del
protone, ma gli errori relativamente grandi non permettono di escludere una differenza reale se essa
è molto piccola.
3. Lavorare con l’antimateria: l’esperimento Athena
3.1 Dalle antiparticelle agli antiatomi
L’approfondimento dei problemi relativi alla simmetria materia-antimateria richiede di poter
disporre abbondantemente in laboratorio di antimateria, che può essere ottenuta solo artificialmente
in piccola quantità e con tecniche raffinate e costose.
Le prime particelle di antimateria sono state osservate da tempo: il positrone già nel 1932 da
Anderson, l’antiprotone nel 1955 da Segré e Chamberlain, l’antideutone – stato legato di
antiprotone e antineutrone – nel 1965 da Zichichi. Ma solo nel 1995 al Cern di Ginevra, e poco
12
dopo al Fermilab di Chicago, si sono prodotti i primi atomi di antimateria (antiidrogeno: un nucleo
costituito da un antiprotone attorno a cui orbita un positrone, analogamente a quanto avviene
nell’atomo di idrogeno), dando così l’avvio alla possibilità di uno studio comparativo delle
proprietà della materia e dell’antimateria. Gli antiatomi prodotti però erano solo poche decine, e
soprattutto erano ottenuti ad altissime energie, e quindi risultava praticamente impossibile
“manipolarli”
in
laboratorio per un tempo sufficiente a misurarne le proprietà.
Per questo, una volta ottenuta la certezza di poter disporre in linea di principio di antimateria
allo stato atomico, la ricerca sperimentale si è orientata a risolvere problemi per così dire di tipo
tecnologico, con l’obiettivo di produrre atomi di antiidrogeno a basse energie – simili a quelle in cui
si trova normalmente l’idrogeno – e “intrappolarli” in un apparato a vuoto spinto, in modo da
evitarne per un tempo relativamente lungo il contatto con atomi di materia ordinaria che ne
provocherebbe l’annichilazione.
Una delle ricerche attualmente in corso in questo campo al Cern, l’esperimento Athena, ha
annunciato nel settembre 2002 sulla rivista Nature (Amoretti et al., Production and detection of cold
antihydrogen atoms, in Nature Advance Online Publication, doi:10.1038/nature01096, 19 settembre 2002)
l’avvenuta produzione di 50000 atomi di antiidrogeno alle condizioni desiderate.
3.2 L’antiidrogeno di Athena
Athena (ApparaTus for High precision Experiments with Neutral Antimatter) è una collaborazione
internazionale di circa 40 fisici provenienti da Italia, Svizzera, Gran Bretagna, Danimarca,
Giappone, Brasile, che hanno iniziato a lavorare al Cern dal 1997. Il gruppo italiano (15 fisici)
appartiene alle Università e alle Sezioni INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Genova,
Pavia e Brescia.
Il successo di Athena è stato raggiunto grazie alla sua capacità di realizzare un apparato di
notevole complessità, in grado di:
1) creare gli atomi di antiidrogeno mediante una sovrapposizione di due “nuvole” di
antiprotoni e positroni “freddi”, cioè rallentati a energia molto inferiore rispetto alle
situazioni in cui erano stati prodotti, in un sistema criogenico a circa 15oK (-258oC)
2) rivelare gli atomi di antiidrogeno che, essendo neutri, sfuggono alle interazioni
elettromagnetiche e vanno ad annichilare alle pareti del dispositivo, producendo mesoni e
fotoni osservabili.
3.2.1 “Creare” l’antiidrogeno
Seguiamo ora più da vicino il cammino compiuto da Athena. E’ noto dai modelli di
interazione atomica che l’atomo di antiidrogeno si forma spontaneamente se antiprotoni e positroni
si vengono a trovare a distanza ravvicinata. Bisogna per questo disporre di intense “nuvole” dei due
tipi di antiparticelle e portarle a contatto, facendo in modo che esse abbiano velocità relativa e
distanza media le più piccole possibili. Questo processo deve durare per un tempo sufficientemente
lungo perché possa avvenire la ricombinazione tra antiprotoni e positroni, e avvenire in un ambiente
sufficientemente “vuoto” perché le antiparticelle non incontrino particelle di materia con cui
immediatamente annichilerebbero (nemmeno, ovviamente, le pareti della camera a vuoto che le
contiene!). Dal punto di vista tecnico, questo si può ottenere con un sistema a bassissima pressione
che riduca al minimo il “fondo” di atomi di materia presenti nella camera, e con opportune
combinazioni di campi elettrici e magnetici che “costringano” le particelle cariche – antiprotoni e
positroni – a muoversi solo entro spazi ristretti.
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In sintesi, per tutto questo bisogna pertanto provocare contemporaneamente la perdita di
energia (e quindi di temperatura: raffreddamento) e il confinamento elettromagnetico
(intrappolamento) di entrambe le nuvole di antiparticelle, in un ambiente a bassissima pressione e a
bassissima temperatura.
Gli antiprotoni utilizzati provengono dall’acceleratore AD (Antiproton Decelerator) del
Cern, che fornisce agli esperimenti un fascio di circa 2 ·107 antiprotoni ogni 100 secondi, con
energia di 5 MeV (milioni di elettronvolt: 1 eV = 1.6 ·10-19 J). Poiché questa energia sarebbe troppo
elevata per il confinamento, essi vengono fatti interagire con diversi strati di materiali “moderatori”:
in questa fase molti antiprotoni vanno perduti per annichilazione, ma una frazione del fascio iniziale
(circa 10000 particelle) emerge con energia inferiore a 5 keV.
Questa è un’energia sufficientemente bassa per permettere il confinamento delle particelle in
opportuni dispositivi chiamati trappole di Penning. Si tratta di camere costituite da elettrodi
cilindrici coassiali e immerse in un forte campo magnetico: con opportuni potenziali elettrici si
ottiene il confinamento assiale delle particelle (vincendone la repulsione coulombiana reciproca),
mentre grazie al campo magnetico coassiale col cilindro se ne ottiene il confinamento radiale. Se vi
vengono intrappolate nuvole molto dense di particelle a temperature molto basse, le particelle
seguono il moto a cui sono vincolate non più in modo indipendente, ma come un unico corpo
elastico (stato di plasma), che vibra con un moto oscillatorio caratteristico ruotando attorno all’asse
della trappola.
Gli antiprotoni già raffreddati a 5 keV vengono quindi introdotti e confinati in una prima
trappola di Penning. La loro energia è però ancora troppo elevata perché possa avvenire il processo
di ricombinazione con i positroni, previsto a energie dell’ordine del millesimo di eV, ancora un
milione di volte inferiori. Nella trappola di cattura degli antiprotoni bisogna quindi predisporre un
ulteriore processo di raffreddamento, detto electron cooling, che consiste in uno scambio di energia
tra gli antiprotoni “caldi” e una nuvola di elettroni “freddi” precedentemente introdotti nella
trappola. Al termine di questo processo, gli antiprotoni raggiungono una temperatura di circa 15oK,
simile a quella delle pareti della trappola, e (in base alla corrispondenza E µ kBT tra temperatura ed
energia data dalla teoria cinetica dei gas, secondo cui 1 eV à 11594oK) dell’ordine del millesimo
di eV.
I positroni utilizzati derivano invece dal decadimento di una sorgente radioattiva di sodio
(22Na) , e hanno in origine anch’essi energia attorno al MeV; subiscono pertanto una serie di
rallentamenti mediante materiali moderatori, e così raffreddati vengono immagazzinati in una
seconda trappola di cattura.
La parte più complessa è chiaramente il trasferimento e l’intrappolamento di entrambe le
nubi di antiparticelle, accumulate nelle due trappole di cattura, in una terza camera posta tra le
prime due, la trappola di ricombinazione. Per confinare le due nuvole di particelle di carica opposta,
si è scelto di annidare una trappola per particelle negative dentro una trappola per particelle
positive. Dapprima si trasferisce il plasma di positroni, che si posiziona in una buca di potenziale al
centro della trappola e mantiene una temperatura di 15oK. Poi, variando opportunamente i
potenziali, si trasferisce il plasma di antiprotoni, che rimangono a energia superiore a quella dei
positroni. In questo modo, gli antiprotoni oscillano tra le barriere di potenziale della trappola,
attraversando continuamente il plasma di positroni. Una volta raggiunto di nuovo l’equilibrio
termico a 15oK, può finalmente avvenire il processo di ricombinazione e quindi la formazione
dell’atomo di antiidrogeno.
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Fig. 6. Schematizzazione del metodo di lavoro dell’esperimento Athena. In alto (fig. a) è
rappresentata la sezione laterale dell’apparato. Gli antiprotoni vengono immessi da sinistra e
incontrano la nube di positroni, rappresentata in figura dall’ellisse centrale. Dopo la formazione
dell’antiidrogeno, gli atomi neutri sfuggono all’intrappolamento e annichilano alle pareti della
trappola. Dal vertice di annichilazione escono simultaneamente i mesoni carichi di annichilazione
dell’antiprotone (in figura, tre pioni rappresentati dalle linee tratteggiate, che colpiscono le strisce
di silicio del rivelatore e successivamente i cristalli di CsI) e i fotoni da 511 keV di annichilazione
del positrone (le due tracce in direzione opposta che colpiscono solo i cristalli). In basso (fig. b) è
rappresentato l’andamento del potenziale in funzione della lunghezza della trappola di
ricombinazione: con i positroni già all’interno della trappola, abbassando il potenziale (linea
tratteggiata) vengono introdotti gli antiprotoni, che vengono subito intrappolati rialzando la
barriera di potenziale. In questo modo si creano le condizioni per il mescolamento dei due plasmi e
quindi la formazione degli atomi di antiidrogeno.
(da Amoretti et al., Production and detection of cold antihydrogen atoms, in Nature Advance Online Publication,
doi:10.1038/nature01096, 19 settembre 2002)
3.2.2 “Vedere” l’antiidrogeno
Gli atomi di antiidrogeno così prodotti sono sistemi elettricamente neutri, per cui sfuggono
al confinamento elettromagnetico della trappola di ricombinazione, e annichilano con i primi atomi
della materia ordinaria, le pareti interne della trappola stessa.
L’annichilazione avviene entro un tempo di circa 10-9 secondi, mediante i consueti processi
(si vedano ad es. le (11.b) e (11.c)). L’antiprotone annichila con un il nucleo di un atomo di materia,
producendo mesoni (principalmente pioni) carichi e/o neutri. Il positrone annichila con un elettrone
emettendo 2 fotoni di energia 511 keV ciascuno (metà della massa totale in gioco, secondo
l’equivalenza massa-energia E=mc2) in direzioni opposte.
Il rivelatore di Athena è stato quindi progettato per riconoscere simultaneamente questi due
tipi di “segnali” dell’avvenuta annichilazione. I mesoni carichi vengono individuati registrando i
segnali elettrici lasciati al loro passaggio attraverso due strati concentrici di sottili strisce di silicio:
in questo modo è possibile ricostruirne la traiettoria e risalire al vertice di annichilazione con
15
un’incertezza di circa 4 mm. I fotoni invece vengono rivelati dalla luce fluorescente emessa al loro
passaggio da particolari cristalli di ioduro di cesio (CsI): l’intensità di tale luce è proporzionale
all’energia dei fotoni assorbiti, e permette pertanto di riconoscere particolari “finestre” di energia
quali la regione di 511 keV dei fotoni di annichilazione.
Fig. 7. Fotografie del rivelatore di antiidrogeno scattate durante la fase di assemblaggio. Il
rivelatore, lungo circa 20 cm e di diametro 14 cm, è costituito da due strati cilindrici di microstrip
al silicio e da uno strato di 192 cristalli di CsI (ioduro di cesio) puro. A sinistra si vedono alcuni
dei cristalli di CsI disposti su una riga e pronti ad essere installati. A destra, un particolare
dell'interno del rivelatore con le microstrip di silicio e i chip elettronici che effettuano la lettura dei
segnali rilasciati dal passaggio delle particelle.
(da Le Scienze, n.411, novembre 2002, pag. 62)
microstrip
di silicio
cristalli
di CsI
Fig. 8. Rappresentazione del rivelatore di antiidrogeno, illustrato nella figura precedente, con
l’indicazione di un evento ideale con un atomo di antiidrogeno i cui costituenti annichilano nello
stesso punto spazio-temporale: l' antiprotone genera in questo caso 3 pioni (linee continue) e il
positrone genera due gamma (linee ondulate), emessi con un certo angolo relativo. La segnatura
dell' atomo di antiidrogeno e' data da un picco per valori di questo angolo attorno a 180 gradi,
situazione in cui i due gamma vengono emessi in direzioni opposte.
Un evento di annichilazione di antiidrogeno si presenta quindi con una “firma”
caratteristica: la coincidenza spazio-temporale (i parametri di riferimento sono entro 2 mm e 5 ms)
tra un vertice di annichilazione antiprotone-nucleo e un segnale luminoso su due cristalli opposti la
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cui congiungente passi per tale vertice: se si verifica questa situazione, è evidente che nel punto di
vertice è avvenuta simultaneamente un’annichilazione di un antiprotone e di un positrone, e con
tutta probabilità queste due antiparticelle appartenevano allo stesso antiatomo.
Chiaramente per poter attribuire con certezza queste due annichilazioni a uno stesso
antiatomo bisogna essere in grado di riconoscere segnali spurii di background, presenti in gran
numero principalmente a causa delle annichilazioni dei mesoni neutri, che producono fotoni
(p0à2g, con conseguenti sciami elettromagnetici di numerosi elettroni, positroni e fotoni di bassa
energia) e quindi possono essere confuse con le annichilazioni e+e-, da cui si distinguono solo per la
diversa energia.
La progettazione del rivelatore in base alle simulazioni su questo background è stata uno dei
punti critici dell’esperimento Athena, e alla fine una delle chiavi del suo successo: si è infatti
costruito un rivelatore ad alta granularità, cioè altamente segmentato in piccole parti (8192 strisce
di silicio da 0.1x1.0 mm2, e 192 cristalli da 17x17.5x13 mm3), e quindi capace di distinguere
segnali isolati in frazioni estremamente piccole dell’angolo solido totale.
Al momento dell’acquisizione dati, per mezzo dei programmi di ricostruzione degli eventi e
di analisi dei dati, dopo aver accumulato in parecchi mesi una sufficiente statistica, gli attesi segnali
dell’antiidrogeno sono stati riconosciuti in distribuzioni sperimentali e separati dai segnali di
background. Si sono anche effettuati test stringenti, ad es. modificando i potenziali in modo da
variare la temperatura dei plasmi e quindi impedire la formazione degli atomi di antiidrogeno,
verificando in tal caso la totale sparizione dei segnali nelle distribuzioni sperimentali. Si è così
potuto concludere che effettivamente senza ombra di dubbio l’antiidrogeno era stato formato nelle
condizioni previste.
3.2.3 “Capire” l’antiidrogeno
L’esperimento Athena, che è stato in grado di produrre apprezzabili quantità di antimateria allo
stato atomico, potrà ora, nel prossimo futuro, dedicarsi a studi sperimentali sulle proprietà di
simmetria tra materia e antimateria. Molte sarebbero le misure da effettuare; limitandoci a pochi
cenni, potremmo citare:
1) studi sul meccanismo di formazione degli atomi
Paradossalmente, lo studio della formazione degli atomi di antimateria può fornire
informazioni anche sui meccanismi di formazione degli atomi di materia. Essi infatti non
sono ancora conosciuti con precisione elevata, in quanto il fondo di atomi sempre presente
anche nei migliori sistemi a vuoto impedisce di “vedere” la formazione di nuovi atomi. Nel
caso dell’antiidrogeno invece l’evidenza sperimentale della sua avvenuta formazione è,
come abbiamo visto, relativamente semplice da dimostrare.
2) studi spettroscopici sui livelli energetici dell’atomo di antiidrogeno
Ci sono fondati motivi teorici per ritenere che i livelli energetici del positrone nell’atomo di
antiidrogeno debbano essere identici a quelli dell’elettrone nell’atomo di idrogeno. Se così
non fosse, se esistesse una anche minima differenza tra questi livelli, verrebbe a cadere uno
dei principi cardine della Fisica, la cosiddetta invarianza CPT, che impone che le leggi
fisiche conservino la loro validità se applicate trasformando le particelle nelle corrispondenti
antiparticelle, guardando i fenomeni allo specchio e invertendo il senso del tempo (in
linguaggio tecnico, questo si esprime parlando di trasformazioni successive per
coniugazione di carica (C), parità (P) e inversione temporale (T), da cui il nome CPT).
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E’ pertanto particolarmente importante (e affascinante dal punto di vista scientifico, come
ogni possibile negazione di una teoria consolidata) verificare con elevata precisione i valori
energetici dell’antiatomo: Athena lo potrebbe fare, misurando l’energia della transizione 1S2S tra il livello fondamentale e il primo stato eccitato dell’atomo di antiidrogeno. Con
l’utilizzo di una opportuna luce laser, si prevede di poter raggiungere una precisione di 10-18
sulla differenza dei valori energetici tra idrogeno e antiidrogeno.
3) studi sul comportamento dell’antimateria nel campo gravitazionale
La teoria della relatività generale di Einstein prevede che tutti i corpi, qualunque sia la loro
composizione, cadano a terra con la stessa accelerazione di gravità. Anche questo principio,
pur suffragato da rigorose e mai smentite osservazioni nella materia ordinaria, non è mai
stato verificato con l’antimateria. In particolare, avendo a disposizione finora solo
antiparticelle cariche, era impossibile osservare effetti gravitazionali, a causa della difficoltà
di schermare totalmente campi elettromagnetici, che per quanto deboli producono effetti
molto più intensi di quelli gravitazionali. Questo problema si può superare con gli atomi
neutri di antiidrogeno, che non risentono dell’interazione elettromagnetica e sono stabili per
un tempo sufficiente per le misure.
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