- --.>-' 1•••'""'- '"-. ~ - •.... C':: C'"\ - •.•.... •.. -.,J ~ ~ ~. N ~ ~ ~ :....., "- )0000-0I. O rJ1 O . S- _ o. ~C/J ~ ~ 'W' -- - . y.-i.~ r".. ,....· "" ,.... ~ ..-......, ---- :;:-- ""'. L Le fonti della meditazione filosofica dell '/slam I. L'ESEGESI I SPIRITUALE DEL CORANO 1. È opinione diffusa in Occidente che nel Corano non esista nulla di mistico né di filosofico, e che filosofi e mistici non gli siano in alcun modo debitori. Ma il problema non sarà qui di discutere quello che gli Occidentali trovano o non trovano nel Corano, quanto di sapere quello che i Musulmani vi hanno di fatto trovato. La filosofia islamica si presenta innanzi tutto come l'opera di pensatori appartenenti a una comunità religiosa caratterizzata dall'espressione coranica Ahl al-Kitdb: un popolo che possiede un Libro santo, un· popolo, cioè, la cui religione è fondata su un libro « disceso dal Cielo », un Libro rivelato a un profeta e che questo profeta gli ha trasmesso. Le « genti del Libro» sono propriamente gli Ebrei, i Cristiani, i Musulmani (gli Zoroastriani, grazie all'A vesta, hanno più o meno beneficiato del privilegio; meno fortunati sono stati ~ cosiddetti « Sabei di Harran »). Tutte queste comunità si trovano di fronte a uno stesso problema, posto loro dal fenomeno religioso fondamentale che è loro comune: il fenomeno del Libro santo, regola di vita in questo mondo e guida per l'aldilà. Si tratta del problema decisivo della comprensione del senso vero di questo Libro. Ma il modo di comprendere è condizionato dal modo di essere di colui che comprende; e reciprocamente, tutto il comportamento interiore del, suta è essenzialmente una situazione ermeneutica, cioè la situa- X credente deriva dal suo modo di comprendere. La situazione ViSo, zione in cui si schiude al credente il senso vero, il quale al tempo stesso rende vera la sua esistenza. Questa verità del senso è correlativa alla verità dell'essere, verità che è reale, realtà che è vera, tutto questo viene espresso da uno dei termini-chiave del lessico filosofico: la parola haqiqat. Il termine haqiqat ha, fra le sue altre molteplici funzioni, quella di designare il senso vero delle Rivelazioni divine, ovvero il scnso che, essendone la verità, ne è l'essenza, e quindi il senso sjJiriluale. Per cui si può dire che il fenomeno del « Libro santo rivelato» implica un'antroeologia.propria, ovvero stimolandolo un tipo di cul-e !\J tlll'a spirituale determinata, e postula pertanto, oriellt:llldolo, \111 determinato tipo di filosofia, Fra i problemi che la l'in:•.ca del St:1I.W 1Jt:1'O ill quallto .W:1I.HJ sjJiriluale ha posto ri1>1'('11 iV:IIII('lIt(', 11('1(:risi i:lIlI'silllO(' 1I('II'lslalll,:dl'cl'lIIcllcutica clclIn Bil,J,ifl (' fI qll('lln 41(,1(:01"1110 ('lIisloliO d('II(' allalojJ,ic', Ma esi- 20 Le fonti della meditazione filosofica dell' Islam stono anche delle profonde differenze. Analogie e differenze dovrebbero essere analizzate ed espresse in termini di struttura. Indicare come fine il raggiungi mento del senso spirituale, vuoI dire sottintendere che esiste un senso che non è spirituale e ·che fra i due esiste forse una serie di gradi, che può anche condurre a una pluralità di sensi spirituali. Tutto dipende dunque dal· l'atto iniziale della coscienza che proietta la prospettiva stabilendone le leggi. Questo atto, tramite il quale la coscienza rivela a se stessa tale prospettiva ermeneutica, le rivela simultaneamente il mondo che essa deve organizzare e ordinare gerarchicamente. Da questo punto di vista il fenomeno del Libro santo ha suscitato strutture corrispondenti nel Cristianesimo e nell'Islam; ma, nella misura in cui differisce il modo di accostarsi al senso vero, situazioni e difficoltà differiscono da una parte e dall'altra. ~ del2.fenomeno Il primo fatto da Nell' mettere in così rilievo è l'assenza, Chiesa. Islam, come non esistenell' un Islam, clero detentore dei 'mezzi della grazia', non esiste un magistero dogmatico, né un'autorità pontificia, né un Concilio che definisca i dogmi. Nel Cristianesimo, a partire dal II secolo, con la repressione del movimento montanista, il magistero dogmatico della Chiesa si è sostituito all'ispirazione profetica, e più generalmente alla libertà di un'ermeneutica spirituale. D'altra parte, il nascere e l'evolversi della coscienza cristiana annunciano /essenzialmente il risveglio e lo sviluppo della coscienza storica. Il pensiero cristiano è centrato sul fatto avvenuto nell'anno l dell'era cristiana; l'Incarnazione divina segna l'ingresso di Dio nella storia. Di conseguenza, il tema su cui la coscienza religiosa si concentrerà II cato con crescente attenzionecolsarà quello del senso storico, identificol senso letterale, senso vero delle Scritture. È vero che sarà elaborata la celebre teoria dei quattro sensi, che ha per formula classica: littera (sensus historicus) gesta docetj quid credas, allegoriaj moralis, quid agas~'quid speras, anagogia. Eppure oggi è necessario molto coraggio per 'infirmare, in nome di un'interpretazione spirituale, le conclusioni tratte dalle prove archeologiche e storiche. Il problem~, qui appena accennato, è assai complesso. Ci sarebbe da chiedersi in quale misura il fenomeno Chiesa, almeno nelle sue forme ufficiali, possa essere ritenuto responsabile del predominio del senso letterale e storico, e questo predominio responsabile della decadenza che porta a confondere il simbolo con l'allegoria, come se la ricerca del senso spirituale fosse una forma di allegorismo, mentre invece si tratta di tutt'altro. L'allegoria è inoffensiva, il senso spirituale può essere rivoluzionario. Perciò l'ermeneutica spirituale si è perpetuata e rinnovata nelle formazioni spirituali nate in margine alle L'esegesi sPiritùale del Corano 21 Chiese ufficiali. Fra il modo in cui un Boehme o uno Swedenborg interpretano il Genesi, l'Esodo o l'Apocalisse, e il modo in cui gli Shi'iti - ismailiti e duodecimani - o i teosofi sufi della scuola di Ibn 'Arabi interpretano il Corano e il corpus di tradiiioni che lo commentano, esiste qualcosa in comune. Questo qualcosa in comune consiste in una prospettiva in cui si sovrappongono più altri. una pluralità di mondi che simboleggiano gli uni con J piani di gli universi, La coscienza religiosa dell'lslam è centrata non su un fatto ~ SItua- Islam, clero dog- J dellatrans-storico). storia, ma della metastoria (che significa non post-storico, Questo fatto primordiale, anteriore al tempo ma della nostra storia empirica, è costituito dalla domanda rivolta da Dio agli Spiriti degli esseri umani preesistenti al mondo terrestre: «Non sono forse il vostro Signore?» (Cor., 7/171). L'acclamazione di gioia che risponde a questa domanda suggella un patto eterno di fedeltà, ed è la fedeltà a questo patto che i profeti sono venuti, di periodo in periodo, a ricordare agli uomini; la loro successione forma il «ci~lo della profezia». Da ciò che hanno enunciato i profeti risulta la lettera delle religioni positive: la Il problema si pone allora in questi Legge~vina, l~ri'at. termini: bisogna arrestarsi a questa apparenza, letterale? (In tale caso i filosofi non avrebbero nulla a che farei con tutto questo). haqiqat? I O si tratta invece di intendere il senso vero, il senso spirituale, la Il celebre filosofo Nasir-e Khosraw (VIXI sec.), una delle grandi figure deH'lsmailismo persiano, enuncia nel modo migliore i termini del problema: «La religione positiva (la shari' at) è l'aspetto essoterico dell'Idea (la haqiqat), e l'Idea è l'aspetto esoterico della religione positiva ... La religione positiva è il simbolo (mitMI); l'Idea è il simboleggiato (mamthul). L'essoterico fluttua perpetuamente con i cicli e i periodi del mondo; l'esoterico è un'Energia divina non sottoposta al divenire ». 3. La haqiqat, in quanto tale, non può essere definita al modo che I ·ziatori dei dogmi conducano ad essa.~Ora, la profezia è chiusa; nonInivi da un Magistero. Però esige delle Guide, degli saranno più profeti. Si pone allora questo interrogativo: come continuerà la storia religiosa dell'umanità dopo il «Sigillo dei profeti»? Domanda e risposta costituiscono l'essenza del fenomeno religioso dell'lslam shi'ita, il quale si fonda su una profeto-j logia che si amplifica inlillaìnologia. È per questa ragione che nel presente studio cominceremo col porre l'accento sulla' filosofia ,( ;( profetica' dello shi'zsmo. Fra le sue premesse si pone la polarità di shari'at e haqiqat; la sua missione è quella di mantenere e di salvaguardare il senso spirituale delle Rivelazioni divine, cioè il 22 Le fonti della meditazione filosofica dell'lslam senso nascosto, esoterico. Da tale salvaguardia dipende l'esistenza di un Islam spirituale. Altrimenti l'Islam soccomberà - con le varianti che gli sono proprie - a quel processo che nel Cristianet simo ha portato alla laicizzazione dei sistemi teologici in ideologie sociali e politiche, del messianismo teologico, ad esempio, in messianismo sociale. Non c'è dubbio che nell'lslam tale minaccia si presenti in condizioni diverse. Fino ad ora non vi sono stati filosofi che le abbiano esaminate a fondo. Si è quasi totalmente trascurato il fattore shi'ita, mentre non è possibile meditare sulla sorte deUa filo-. sofia nell'lslam, e come corollario sul significato del sufismo, prescindendo dal significato dello shi'ismo. Per quanto riguarda lo shi'ismo ismailita, la Gnosi islamica, con i suoi grandi temi e il suo lessico, era già st~a elabOrata prima che nascesse il filosofo Avicenna. N ell'lslam il pensiero filosofico, non avendo dovuto affrontare l rica " si muove con un duplice movimento: di progressione i problemi suscitati da quella che noi chiamiamo ' coscienza sto-I > mensione dall'Origine (mabda') e di ritorno all'Origine (ma' ad), nella diverticale. Le forme vengono pensate nello spazio piut.tosto che nel tempo. I nostri pensatori non vedono il mondo in , evoluzione' in un senso rettilineo orizzontale, ma in ascensio- I '\~ ne: il passato è dietro di inoi, «sotto i nostri piedi». Su questo assenon si dispongono sensimadelle Rivelazioni divine, , sensi che corrispondono a gera~ie spirituali, a piani di universo che si aprono fin dalla soglia della metastoria. Il pensiero vi si muove liberamente, senza dover fate i conti con i divieti di un magistero dogmatico. Esso deve, però, affrontare la shari'at, nel caso in cui essa rifiuti la haqiqat. Ciò che caratterizza la posizione dei letteralisti della religione legalitaria, i dottori della Legge, è infatti il rifiuto di queste prospettive ascendenti. Ma non sono stati i filosofi a dare inizio al dramma. Esso ha avuto inizio all'indomani stesso della morte del Profeta. L'insegnamento degli Imàm shi'iti, pervenutoci in un corpus massiccio, ci permette di seguirne le tracce, -,edi capire come e perché era proprio in ambiente shi'ita, nell'Iran safavide del XVI secolo, che la filosofia doveva conoscere un magnifico rinascimento. Infatti, le idee direttrici della profetologia shi'ita non cessano di essere presenti nel corso dei secoli. Da esse procedono numerosi temi: l'affermazione dell'identità dell' Angelo della Conoscenza ('Aql fa' 'al, l'Intelligenza agente) e dell'Angelo dell.ilB-ivelazione (Ruh al-Qods, lo Spirito Santo, Angelo Gabriele); il tema della conoscenza profetica neHa gnoseologia di Fàràbi e Avicenna; l'idea che la sapienza degli antichi Sapient:i greci provenisse anch'essa dalla « Nicchia delle luci della profezia)}; l'idea stessa di I L'esegesi sPirituale ! del Corano 23 quella hikmat ilahlya che è etimologicamente theosoPhia, non propriamente filosofia né teologia, nel senso che siamo soliti dare a questi termini. Proprio la separazione fra teologia e filosofia, che la ' laicizzazione metafisica' che comporta la dualità di credere e e al limite della' doppia " professata, non ) sapere, in Occidente risale l'idea alla Scolastica latina, verità è il primo indizio disequelda Averroè, almeno da un certo averroismo; ma questo averroismo rimane isolato dalla filosofiaprofetica dell'Islam. Esso perciò si esaurisce in se stesso, ed èper questo che per tanto tempo lo si è considerato come l'ultima parola della filosofia islamica, mentre esso non fu che un punto morto, un episodio ignorato dai pensatori dell'Islam orientale .. 4. Ci limiteremo qui a riportare alcuni brani dell'insegnamento > J adegli cor~nicae meditazi~~ofica foss~ro.chia!llate a ' sostanziar.si' ImamEcco, shi'iti,ad che permettono di capire come ~_eutica vIcenda. esempIo, una dIChIaraZIOnedel sesto Imam ,. ! k~.- ,,·-r;f' Ja'far Sadiq (m. 148/765): «Il Libro di Dio comprende quattro cose: l'espressione enunciata ('ibarat); il valore allusivo (ishdrat); i sensi occult:i, relativi al mondo soprasensibile (lata'if); le alte dottrine spirituali (haqa'iq). L'espressione letterale è per la mas- ~ sa dei fedeli ('awamm); il valore aHusivo per l'élite (khawdss); i significati occulti appartengono agli Amici di Dio (Awliya, cfr. __ infra); le alte dottrine spirituali appartengono ai profeti (anbiya, plur. di nabi)). Oppure, secondo un'altra spiegazione: l'enun- '_o ciato letterale si rivolge all'udito; l'allusione alla comprensione spirituale; i significati occulti sono per la visione contemplativa; le alte dottrine spirituali concernono la realizzazione dell'Isla.m. spirituale integrale. /';. ?-C./f', 'I",! "0/'17 ~tr1'w"t .Queste parole fanno eco a quelle del primo Imam, 'Ali ibn Ab! Talib (m. 40/661): «Non esiste versetto coranico c1ie non I\ -1b.. limite abbia qua!tro (hadd), ils.ensi: disegno l'essoterico divino (mottala'). (zdhir), l'esoterico L'essoterico(batin), è per la il recitazione orale; l'esoterico per la comprensione interiore; il limite sono gli enunciati che stabi~iscono il lecito e l'illecito; il disegno divino è ciò che Dio si propone di realizzare nell'uomo con ogni versetto». Questi quattro sensi equivalgono nel numero a quelli definiti dalla formula latina sopra menzionata. Eppure si può già intuire qualco~<;li_diyerso: la differenziazione dei significati è qui insono funzione di unadalle gerarchia spirituale fra gliuomini, Ja'far i cui gradi determinati lorocapacit;'CiJ:iferiorCL'Ìmam fa anche allusione a sette modaìrtà'dr~(liScesa)} (rivelazione) del Corano, e definisce inoltre nove possibilità di lettura e di interpretazione del testo coranico. Questo esoterismo è dunque tut- I ,,11 24 Le fonti della meditazione filosofica dell'/slam t'altro che una costruzione tarda, poiché costituisce già il nucleo essenziale dell'insegnamento degli Imam, il quale ne è la fonte stessa. Concordemente con il primo Imam, uno dei più celebri compagni del Profeta, 'Abdallah ibn 'Abbas, trovandosi un giorno in mezzo a una folla riunitasi sul monte 'Arafat (a 12 miglia dalla Mecca), esclamò, facendo allusione al versetto coranico 65! 12 (relativo alla creazione dei Sette Cieli e delle Sette Terre): « O uomini! se commentassi davanti a voi questo versetto come l'ho udito commentare dal }>rofeta,voi mi lapidereste». Queste parole rappresentano perfettamente la situazione dell'lslam esoterico nei confronti dell'lslam legalitario e letteralista. ~ione relativa alla profetologia shi'ita permetterà di intenderla appieno. È infatti al Profeta stesso che risale il h~ith, la tradizione, che)( di profondità tutti gli Esoteristi: Il Corano ha 1i -" èun'apparenza per così direesteriore la « carta» e una nascosta, «un senso esso- I I terico e un senso esoterico; questo senso esoterico nasconde a I sua volta un senso esoterico (questa profondità ha una profondità, . a immagine delle Sfere celesti racchiuse le une nelle altre); così di seguito fino a sette sensi esoterici (sette profondità di profondità nascosta) ». Qt.ÌestOnaalth-è fondamentale per lo shi'ismo, co- kme lo sarà in seguito per il sl!!ìsmo; cercare di spiegarlo significa mettere in causa tutta la dottrina shi'ita. Il ta'lim, la funzione iniziatrice di cui è investito l'Imam, non può essere paragonata al magistero dell'autorità ecclesiastica nel Cristianesimo. L'lmam, in quanto « uomo di Dio », è un ispirato; il ta'lim si riferisce essenzialmente alle 7w:qd'iq (plur. di haqiqat), cioè all'esoterico (bdtin). Infine, sarà la parusia del dodicesimo Imam (il ~hdl, 1'1màm nascosto, l'Imam atteso) che, alla fine del nostro Aiòn, porterà la piena rivelazione dell' esoterico di tu tte le Rivelazioni divine. ~ 5. L'idea dell'esoterico, che sta all'orig~ne dello ~o e ne costituisce il nu~entrale, si dimostra feconda anche al di· fuori degli ambienti propriamente shi'iti (vedremo in seguito come vari problemi vengano così a porsi), sia presso i I.!!istici,i sufi, sia presso i @2sofi. L'interiorizzazione mistica tenderà a rivivere, attraverso l'articolazione del testo coranico, il mistero della sua Enunciazione originaria. Ma questa non è una innovaJa'far, di cui i discepoli avevano un giornoesemplare rispettatodell'lmàm il lungo zione del sufismo. Basti ricordare il caso silenzio che aveva prolungato la preghiera canonica (saldt): « Non ho cessato di ripetere questo versetto,» disse l'Imam « finché non l'ho udito dalla bocca di colui (l'Angelo) che lo pronunciò per il Profeta ». I L'esegesi sPirituale del Corano 25 Il più antico commen~spirituale del Corano è dunque costituito dagli insegnamenti impartiti dagli Im~<_"shil!i d\lJ:.i!!!,tei loro colloqui con i discepoli. E sono i princìpi della. loro ermeneutica spiritmrteèIie i sufi hanno raccolto. I testi sopra citati del primo e de.l sesto Imam occupano una posizione di rilievo nella prefazione del grande commento mistico, in cui Ruzbehan Baqli di Shiraz (m. 606/1209) raccoglie, oltre alle testimonianze della prop~ia personale meditazione, quella dei suoi predecessori (jonayd, Salami, ecc.). Nel VI/XII secolo, Rashidoddin Maybadi (m. 520 j1126) compone un monumentale commento, com- . prendente tafsir e ta'wil mistico (in persiano). Insieme al commento (i Ta'wUdt) composto da un insigne rappresentante della scuola di Ibn 'Arabi, 'Abdorrazzaq Kashani, essi costituiscono i tre più celebri commenti 'irfdni, quelli, cioè, che esplicitano la gnosi mistica del Corano. Al hadUh dei « sette sensi esoterici» è consacrato un intero opuscolo, sfortunatamente anonimo (datato 731/1331) che mostra come i sette sensi corrispondano ai gradi in cui si dividono gl,i Spi~tuali, poiché ognuno di questi livelli di significato corrisponde a un modo di essere, a uno stato interiore. Anche Semnani (m. 736/1336) imposta il suo commento in funzione di questi sette sensi corrispondenti a sette lS!:adi.spirituali. Ma c'Tdi più. Senza commentare inteTà~te il Corano, molti filosofi e mistici hanno meditato sulla haqiqat di una sura, o di un versetto privilegiato (il versetto della Luce, il versetto del Trono, ecc.). L'insieme forma una letteratura cospicua. Così Avicenna ha scritto un tafsir a numerosi versetti. Citiamo, a titolo ~ esemplificativo, l'inizio del suo commento alla sura 113 (la pe• h· l'aurora '> (versetto l). Cioè: in Colui che fa risplendere clcila primordiale, l'Essere necessario per sein stesso. E questo (questo !luce dell'essereVla tenebra delrifugio non-essere, e che èfailriSPlendere) Principio nultima del Corano): « lo mi Colui che splendore di luce), essendo inerente alla sua bontà assoluta, esiste nella sua ipseità per intenzione prima. Il primo degli Esseri che da lui emanano (la prima Intelligenza) è la sua Emanazione. Il Male non esiste in essa, eccetto quello che si trova celato sotto l'espandersi della luce del Primo Essere, cioè quell'opacità che è inerente alla quiddità che procede dalla sua essenza». Queste poche righe sarebbero già sufficienti a spiegare come e perché meditazione filosofica )}l'esegesi~ituale delnell'lslam. Corano deve figurare fra le fonti della ~ Qui possiamo-arare solo qualche altro esempio tipico (l'inventario dei Tafsir filosofici e mistici rimane ancora da fare). Nell'opera monumentale di Mona Sadd di Shiraz (m. 1050/ 1640) figura un Tafsir di gnosi shi'ita che, pur riferendosi sol- Vi! E--1- 26 Le fonti della meditazione filosofica dell'lslam tanto ad alcune sure del Corano, non è meno di settecento pagine in folio. Il suo contemporaneo, Sayyed Ahmad 'Alawi, anche lui discepolo di Mir Damad, compone un Tafszr filosofico in persiano (ancora manoscritto). Abù'l-Hasan 'Amili Ispahani (m. 1138/ 1726) compone un compendio di ta'wll (M irat q,l-Anwar, lo Specchio delle Luci), veri e propri prolegomeni a ogni ermeneutica del Corano secondo la gnosi shi'ita. Anche la scuola shaykhz ha prodotto un buon numero di commenti 'irfanz a sure e versetti singoli. Va inoltre citato il grande commeìitòComposto ai nostri giorni in Iran dallo shaykh Mohammad Hosayn Tabataba'i. All'inizio del XIX secolo, un altro teosofo shi'ita, la'far Kashfi, si propone di precisare la funzione e il compito dell'ermeneutica spirituale. Secondo il nostro autore l'ermeneutica generale comprende tre gradi: tafszr, ta'wll, tafhZm. Il tafszr è, nel senso proprio del termine, l'esegesi letterale del. testo; essa si fonda sulle scienze islamiche canoniche. Il ta'wU (etimologicamente '.ricondurre " 'riportare' una cosa alla sua origine, al suo asl o archetipo) è una scienza i cui cardini sono la guida spirituale e l'ispirazione divina. È ancora il grado med~~filosofia. Infine il tathZm (letteralmente' far comprendere " l'ermeneutica superiore) è una scienza che si fonda su un atto di CaPire attraverso Dio, e su un'ispirazione (ilhdm) di cui Dio è al tempo stesso soggetto, oggetto e fine, ovvero fonte, organo e meta. È il grad<2.J!1.premo della filosofia. Il nostro autore infatti (e l'interesse sta proprio in questo) ordina gerarchicamente le scuole filosofiche in funzione di questi gradi del Capire, quali li situa l'ermeneutica spirituale del Corano. La scienza del tafszr non implica la filosofia; in rapporto alla haqzqat essa corrisponde alla filosofia dei Peripatetici. La scienza del ta'wil è la filosofia degli Stoici (hikmat alRawaq), poiché è una scienza di ciò che è dietro il Velo (hijr1b, mwaq, <Hoa; su come l'Islam si configura la filosofia stoica andrebbe fatto uno studio a sé). La scienza del tafhZm, o ermeneutica trascendente, è la . scienza orientale' (hikmat al-Ishraq o hikmat mashriqzya), cioè quella di Sohrawardi e di Molla Sadra Shirazi. 6. Già l'opuscolo anonimo sopra citato (§ 5) ci aiuta a comprendere come operi questa ermeneutica, le cui regole furono formulate, in origine, dagli Imam dello shi'ismo. Esso si pone )ì questi rappresentadeterminato il testo rivelato in una ì~ lingua interrogativi: determinata eche in cosa un momento in rapporto alla verità !:t~~~ esso enuncia? E come possiamo rappresentarci il processo di questa Rivelazione? Il contesto in èui il teosofo mistico (il filosofo 'i!1anz) si pone queste domande permette di intuire come possa essergli apparsa la controversia tumultuosa, sollevata dalla dottrina dei Mo'taziJ L'esegesi spirituale del Corano I 27 liti, che agitò la comunità islamica nel III/IX sec.: il Corano è creato o increato? Per i teologi mo'taziliti il Corano è creato (cfr., nfra,I1f;Iì , B). Nell'833 d.C. il califfo Ma'mun impose questa dottrina; donde un periodo di penose vessazioni per gli 'ortodossi', finché, una quindicina di anni dopo, il califfo Motawakkil rovesciò la situazione a favore di questi ultimi. Per il teosofo mistico si tratta di un falso problema, ovvero di un problema male impostato; i due termini dell'alternativa - creato e increato - non si riferiscono infatti allo stesso piano di realtà. Tutto dipende infatti dalla capacità di intendere il vero rapporto esistente fra i due: Parola di Dio e parola umana. Purtroppo, né il potere ufficiale, che sosteneva l'una o l'altra parte, né i teologi dialettici impegnati nel problema, disponevano dell'armatura filosofica necessaria per superarlo. Tutto lo sforzo compiuto dal grande teologo Abu'l-Hasan al-Ash'arì si conclude con un ricorso alla fede « senza domandare come». Il filosofo'irfdni, per quanto a disagio si trovi con i teologi del Kaldm (cfr. ancora, infra, cap. III), non si trova certo meglio con il filosofo o il critico occidentale. Quest'ultimo, quando vuole convincerlo a rinunciare all' ermeneutica spirituale, a vantaggio della critica storica, vuole infatti attirarlo su un terreno che non è il suo, imporgli una prospettiva che si fonda su premesse che, se sono quelle di una filosofia occidentale moderna, sono però estranee alla sua filosofia. Basti considerare due problemi tipici. i ) L'uno, ad esempio, quello di comprendere attraverso il suo ambiente, la èsua educazione, la forma ildelProfeta suo genio. L'altro è quello della filosofia che soccombe alla sua storia: in che modo la verità è storica e in che modo la storia è verità? Al primo problema la filosofia 'irfdni oppone essenzialmente la gnoseologia della sua profetologia, per dare ragione del passaggio dal Verbo divino alla sua articol~ione umana. L'ermeneutica 'irfdni cerca di comprendere le vicende dei profeti, in particolare di quello dell'Islam, meditando sulla modalità dei legami da lui avuti non con il ' suo tempo " ma con la Fonte eterna da cui emana il suo messaggio, la ..Rivelazione di cui egli enuncia il testo. Al secondo problema, il dilemma in cui si dibatte lo storicismo, il filosofo 'irfdni oppone che l'essenza eterna, la haqiqat del Corano, è il Logos o Verbo divino TKaldm al-Haqq) che permane con e tramite l'ipseità. divina e ne è indissolubile, senza principio né fine nell' eternità. Senza dubbio si obietterà che, in questo caso, non vi sono più che avvenimenti eterni. E allora che ne è della nozione di avvenimento? E come intendere, ad esempio, senza cadere nell'assurdo, i gesti e le parole riferite ad Abramo e a Mosè, prima che Abramo e Mosè siano stati partecipi dell'esistenza? Il nostro 28 Le fonti della meditazione filosofica dell' /slam autore risponde che questo tipo di obiezioni si fonda su un modo di rappresentazione totalmente illusorio. Analogamente SemnanÌ, suo contemporaneo, distingue tecnicamente (basandosi sul versetto coranico 41/53) fra zaman dfriqi, tempo del mondo oggettivo, tempo quantitativo, omogeneo e continuo della storia esteriore, e zaman anfosi, tempo interiore dell'anima, tempo qualitativo puro. Il prima e il poi assumono un significato completamente diverso a seconda che ci si riferisca all'uno o all'altro di questi tempi; vi sono avvenimenti che sono perfettamente reali senza avere la realtà degli avvenimenti della storia empirica. E così pure Sayyed Ahmad 'AlawÌ (XI/XVII sec.), già nominato (cfr. § 5), affrontando lo stesso problema, arriva a percepire struttura quello eterna,della in cui di successione ì/ delle forme una si sostituisce loroall'ordine simultaneità. Il tempo diventa spazio. I nostri pensatori preferiscono percepire le forme nello spazio piuttosto che nel tempo. 7. Le considerazioni che precedono mettono in luce la tecnica del CaPire postulata dall'esegesi del senso spirituale, quella designata per eccellenza dal termine !.!!!.....wu. Gli Shi'iti in generale, e in particolare gli Ismailiti, dovevano essere naturalmente, fin dalle origini, i grandi maestri del ta'wil. Più· si ammette che il metodo del ta'wil è insolito per le nostre abitudini di pensiero, più esso esige la nostra attenzione. Esso non ha nulla di artificiale, se lo si considera nello schema del mondo che gli è propno. Ta'wil e tanzil costituiscono una coppia di termini e di nOzioni complementari e contrastanti. Tanzil designa propriamente la religione _P-9sitiva,la lettera della Rivelazione dettata dall'Angelo al Profeta. Significa far discendere questa Rivelazione dal mondo superiore. Ta'wil significa al contrario far ritornare, ricondurre all'origine, e perciò ritornare al senso vero e originale di uno SCritto. «Significa far giungere una cosa alla sua origine. Colui che pratica il ta'wil è dunque uno che distoglie l'enunciato dalla sua apparenza esteriore (essoterica, zdhir) e lo fa ritornare alla sua verità, la suà haqiqat» (cfr. Kaldm-e Pir). Tale è il ta'wil come esegesi spirituale interiore, ovvero come esegesL~!g1boli~, esoterica, ecc. Sotto l'idea di esegesi traspare quella di Guida (l'esegeta) l'Imam per lo shi'ismo), e sotto l'idea esodo, di una «uscita dall'Egitdi exegesis traspare quella di ~un to» che è un esodo fuori dalla metafora e dalla schiavitù della) lettera, fuori dall' esi lio e dall' O cciden te dell'apparenza essoterica . verso l'Oriente dell'idea originaria e nascosta. Per la gnosi ismailita la realizzazione del ta'wil è inseparabile da una nuova nascita spirituale (wilddat ruhdniya); l'esegesi dei L'esegesi spirituale del Corano ,( 29 testi non può essere disgiunta dall' ex egesis dell'anima. Essa designa la pratica del ta'wil anche come scienza della Bilancia (mizan). Da questo punto di vista, il metodo alchimico di .Jàbir ibn Hayyàn non è che un esempio di applicazione del ta'wil: occultare l'apparente, manifestare l'occulto (cfr. cap. IV, II). Altre coppie di parole formano i termini chiave del lessico. Majaz è la figura, la metafora, mentre haqiqat è la verità che è reale, la realtà che è vera. La metafora non è dunque il senso spirituale che deve essere scoperto; è bensì la lettera che costituisce la metafora dell'Idea. Zah}r è l'essoterico (-r:à E~OO), l'apparente, l'evidenza letterale, la Legge, il testo materiale del Corano. Batin è il nascosto, l'esoterico (Là EGOO). Il testo sopra citato di Nàsir-e Khosraw offre un'eccellente formulazione di questa polarità. In breve, le seguenti tre coppie di termini (che è meglio ricordare in arabo, perché nella nostra lingua comportano sempre più un equivalente) e haqiqat, come za~i! ile simbolo batin, t'EE:..zt ta'wil,di stanno fra loro, shari'at rispct:tiVamente, sta ale K siffiboleggiato. Questa rigorosa corrispondenza deve garantirci dall'incresciosa confusione fra simbolo e allegoria, che già abbiamo denunciato all'inizio. L'allegoria è una figurazione più o meno artificiale di generalità e di astrazioni che sono conoscibili ed esprimibiliperfettamente in altro modo. Il simbolo è invece l'unica espressione possibile del simboleggiato, cioè del significato con cui esso simboleggia. Esso non è mai decifrato una volta per tutte. La percezione simbolica opera una trasmutazione dei dati immediati (sensibi.Ji,letterali); li rende trasparenti. Senza la trasparenza in tal modo realizzata, è impossibile passare da un piano all'altro. E inversamente, come abbiamo già accennato, senza una pluralità di universi che si dispongono in prospettiva ascendente, l'esegesi simbolica cessa di esistere, essendo priva di funzione e di senso. Questa esegesi presuppone dunque una teosofia nella quale i mondi simboleggiano gli uni con gli altri: gli universi soprasensibili e spirituali, il macrocosmo o Romo maximus (Insan kabir), il microcosmo. Non soltanto la teosofia ismailita, ma anche Mollà Sadra e la sua scuola hanno elaborato in modo mirabile questa filosofia delle' forme simboliche'. Bisogna ancora aggiungere questo. Il procedimento di pensiero che compie il ta'wil, il modo di percepire che esso presuppone, corrispondono a un tipo generale di filosofia e di cultura spirita'wil mette in opera Ishr~n, la coscienzae imma~ativa; della l quale, tuale. Il in-particolare Mollà come vèdremo, i filosofi Sadrà, dimostreranno la-funzione privilegiata e il valore noetico. Non è soltanto il Corano, cOme altrove la Bibbia, a metterci di fronte al fatto irriducibile che per tanti e tanti lettori, che meditano il Corano o la Bibbia, il testo comporta sensi diversi ri- 30 Le fonti della meditazione filosofica dell' Islam spetto a quello che è scritto in apparenza. E non si tratta di una costruzione artificiale dello spirito, ma di una appercezione iniziale, irriducibile come quella di un suono o di un colore. In questa stessa situazione si trova una grandissima parte della letteratura persiana, epopee mistiche e poesie liriche, a cominciare dai racconti simbolici di Sohrawardì, che a sua volta amplificava l'esempio propostogli da Avicenna. H Gelsomino dei Fedeli d'amore di Ruzbehan di Shìr:1z attesta dal principio alla fine la percezione del senso profetico della bellezza degli esseri, operando spontaneamente un ta'wil fondamentale e continuo delle forme sensibili. Chiunque abbia compreso RuzbeMn, e abbia compreso che il sim- . bolo non è l'allegoria, non sarà più stupito del fatto che tanti lettori iraniani percepiscano, ad esempio nelle poesie del suo grande compatriota Hafez di Shìn1z, un significato mistico. Queste considerazioni, per quanto assai brevi, indicando il li-. vello al quale il testo coranico viene letto, possono far intuire apporto abbia dato alla meditazione filosofica .) quale nell'!slam. E seili Corano versetti coranici possono anche intervenire in una dimostrazione filosofica, questo può avvenire perché la gnoseologia rientra essa stessa nella profetologia (cfr., infra, cap. II), e perché quella ' laicizzaz~metafisica " che in Occidente affonda le sue radici nella Scolastica latina, non si è verificata nell'Islam. Ora, se la qualità ' profetica ' di tale filosofia è alimentata da questa fonte, la sua armatura è erede di tutto un passato al quale essa darà nuova vita e originale sviluppo, e le cui opere fondamentali le furono trasmesse grazie al lavoro di numerose generazioni di traduttori. Il. LE TRADUZIONI Si tratta di un fenomeno culturale di importanza decisiva. Lo si può definire come l'assimilazione da parte dell'!slam, nuovo nucleo di vita spirituale dell'umanità, dell'apporto delle culture che l'avevano preceduto a oriente e a occidente. Un circuito grandioso viene a delinearsi: l'Islam riceve l'eredità greca (comprendente sia le opere autentiche, sia quelle pseudoepigrafe), e questa eredità la trasmetterà all'Occidente nel XII secolo, grazie all'opera della scuola di traduzioni di Toledo. L'ampiezza di queste traduzioni dal greco in siriaco, dal siriaco in arabo, dall'arabo in latino, e le conseguenze che ne sono derivate, possono essere paragonate a quelle delle traduzioni del canone buddhista mahac Le traduzioni di una ~e- 31 yana dal sanscrito in cinese, o a quelle delle traduzioni dal sanscrito in persiano, effettuate nei secoli XVI e XVII sotto l'impulso della riforma generosa di SMh Akbar. Si possono distinguere due centri di lavoro: l) Da una parte c'è l'opera propria dei Siriaci, il lavoro cioè che veniva compiuto fra le popolazioni aramaiche dell'occidente e del sud dell'Impero iranico sasanide, e che riguarda soprattutto la filosofia e la medicina. Ma dall'altra ci sono le posizioni assunte dai Nestoriani sia nel campo della cristologia sia in quello dell'esegesi (si pensi all'influenza di Origene sulla scuola di Edessa) che non possono essere ignorate, ad esempio, in una trattazione dei problemi dell'imamologia shi'ita. 2) C'è poi quella che possiamo chiamare la tradizione greco-orientale - nel nord e nell'est dell'Impero sasanide - la cui opera è rivolta soprattutto all'alchimia, l'astronomia, la filosofia e le scienze della Natura, ìvi comprese le 'scienze occulte ' facenti parte di questa Weltanschauung. \I dei~.!.!..~lllll!ani_~lla l. Per comprendere il ruolo svolto dai bisogna Siriaci come filo~o.fìa greca, avere iniziatori presenti, almeno per sommi capi, la storia e le vicissitudini della cultura di lingua siriaca. La celebre « scuola dei Persiani» a Edessa fu fondata al tempo in cui l'imperatore Gioviano cedeva ai Persiani la città di Nisibe (dove, con il nome di Probus, compare quello del primo traduttore di opere filosofiche greche in siriaco). Nel 489 l'imperatore bizantino Zenone chiude la scuola a causa delle sue tendenze nestoriane. Maestri e discepoli rimaSti fedeli al nestorianesimo· si rifugiano a Nisibe, dove fondano una nuova scuola, la quale fu soprattutto un centro di filosofia e di teologia. Inoltre nel sud dell'Impero persiano, il sovrano sasanide Khosraw Anush-Ravan (521-579) fondò a Gonde-SMhpur una scuola i cui maestri furono per la maggior. parte dei Siriaci (è da Gon~e-Shahpur che, in seguito, il califfo Mansur fece venire il medico Giorgio BakhtYeshu). Se si tiene presente che Gi1,lstinianonel 529 fece chiudere la scuola di Atene e che sette degli ultimi filosofi neoplatonici si rifugiarono in Iran, si ha già un certo numero di componenti della situazione filosofica e teologica del mondo orientale alla vigilia dell'Egira (622). Il grande nome che domina questo periodo è quello di Sergio di Rash 'Ayna (m. a Costantinopoli nel 536), la cui attività fu assai intensa. Oltre- a un certo numero di opere personali, questo prete nestoriano tradusse in siriaco buona parte delle ope\ re di Galenoe delle opere logiche di Aristotele. Fra gli scrittori siriaci monofisiti (giacobiti) di quest'epoca, bisogna inoltre ricordare i nomi di Bud (autore della traduzione siriaca di Ka- 32 Le fonti della meditazione filosofica dell' Is larn lilah e Dimnah) e di Ahlldemmeh (m. 575), e quelli di Severo Sebokht (m. 667), Giacomo di Edessa (633-708) e Giorgio, «vescovo degli Arabi» (m. 724). Ciò che soprattutto interessava agli scrittori e ai traduttori siriaci erano, oltre alla Logica (Paolo di Persia dedicò un trattato di Logica al sovrano sasanide Khosraw AnùshcRavàn), le raccolte di aforismi disposti in forma di storia della filosofia. Presi come erano dalla dottrina platonica dell'anima, ·i Sapienti greci, e soprattutto Platone, si confondevano ai loro occhi con le figure dei monaci orientali. Questo non mancò certo di influenzare l'idea che ci si faceva nell'Islam dei « profeti greci» (cfr., supra, I, I, 3), idea secondo la quale i Sapienti greci traevano anch' essi la loro ispirazione dalla « Nicchia delle luci della profezia ». Alla luce di queste traduzioni greco-siriache, la grande iniziativa di traduzioni sorta agli inizi del secolo III dell'Egira, appare essere, più che una innovazione, la continuazione più ampia e sistematica di un lavoro che già era stato intrapreso con gli stessi intenti. Inoltre, fin da prima dell'Islam, la penisola araba contava un gran numero di medici nestoriani, quasi tutti usciti da GondèShàhpur. Baghdàd era stata fondata nel 148/765. Nel 217/832, il califfo al-Ma'mùn fondò la « Casa della sapienza» (Bayt al-hikma) attribuendone la direzione a Yahyà ibn Màsùyeh (m. 243/857), che ebbe per successore il suo allievo, il celebre e fecondo Honayn ibn Ishàq (194/809 - 260/873), nato a Hira da una famiglia appartenente alla tribù araba cristiana dei 'Ibàd. Honayn è senza dubbio il più celebre traduttore di opere greche in siriaco e in arabo; accanto al suo nome va menzionato quello di suo figlio Ishàq ibn Honayn (m. 910) e quello di suo nipote Hobaysh ibn adattavafabbrica più spesso dal siriacocon in una équiPeSi che )'al-Hasan. creò traduceva una vera eo propria di traduzioni, arabo, molto più di rado direttamente dal greco in arabo. Tutta la terminologia tecnica della teologia e della filosofia in arabo venne elaborata in questo modo nel c'orso del III/ IX secolo. Non bisogna tuttavia dimenticare; che termini e concetti vivranno in seguito una vita propria nella lingua araba. Voler rimanere attaccati a tutti i costi al dizionario greco per tradurre il lessico dei pensatori più tardi, i quali non sapevano affatto il greco, può portare a grossi equivoci. Altri nomi di traduttori da menzionare sono: Yahyà ibn Batriq (inizio del secolo IX); 'Abdol-Masìh b. 'Abdillàh b. Nà'ima alHimsì (cioè di Emesa, prima metà del secolo IX), collaboratore del filosofo al-Kindì (cfr., infra, V, I), e traduttore della Sofistica e della Fisica di Aristotele, come anche della celebre Teologia detta di Aristotele; il grande nome di Qosta ibn Luqà (nato in- Le traduzioni 33 torno all'820, morto in età avanzata verso il 912), originario di Ba'albek, l'Heliopolis greca in Siria, di famiglia greca e cristiana melchita. Filosofo e medico, fisico e matematico, Qosta tradusse fra l'altro i commenti di Alessandro di Afrodisia e di Giovanni Filopono alla Fisica di Aristotele, parzialmente i commenti al trattato De generatione et corruptione, e il trattato De placitis philosoPhorum dello Pseudo-Plutarco. Fra le sue opere personali è particolarmente noto il trattato sulla Differenza tra l'anima e lo spirito, come anche alcuni trattati sulle scienze occulte, nei quali egli dà spiegazioni"che somigliano in modo curioso a quelle dei moderni psicoterapeuti. Ricordiamo ancora, nel X secolo, Abiì Bishr Matta al-Qannay (m. 940), il filosofo cristiano Yahya ibn 'Adì (m. 974), il suo allievo Abiì Khayr ibn al-Khammar (nato nel 942). Ma va soprattutto ricordata l'importanza della scuola dei « Sabei di Harran », che aveva sede nei pressi di Edessa. Lo Pseudo-Majrìtì abbonda in preziose indicazioni sulla loro religione astrale. Essi facevano risalire la loro ascendenza spirituale (come in seguito Sohrawardì) a Hermes e Agathodaimon. Le loro dottrine appaiono essere una fusione dell'antica religione astrale caldea, degli studi matematici e astronomici e della spiritualità neopitagorica e neoplatonica. Dall'VIII al X secolo vi furono fra loro traduttori assai attivi. Il nome più celebre è quello di Thabit ibn Qorra (826-904), grande devoto della religione astrale, eccellente autore e traduttore di opere di matematica e di astronomia. Ci è impossibile parlare qui in dettaglio di queste traduzioni: di quelle che non sono ormai altro che titoli (menzionati, per esempio, nella grande bibliografia di Ibn al-Nadìm, del X secolo), di quelle che sono ancora in manoscritto, di quelle che sono state edite. In linea generale il lavoro dei traduttori si è rivolto soprattutto al corpus delle opere di Aristotele, ivi compresi alcuni commenti di Alessandro di Afrodisia e di Temistio. (L'opposizione dei due commentatori è ben nota ai filosofi islamici. un'importanza particolare p'er la teoria della pluralità dei 1 ch'esso Molla Sadd vi insiste. lambda della Metafisica ebbe anil caso di affrontare il problema di ) Motori celesti). Non è Ilquilibro ffi- quello che è stato veramente conosciuto del Platone autentico, ma ricordiamo fin d'ora che il filosofo ~abì (cfr. intra, V, II) ci ha lasciato una notevolissima esposizione della filosofia di Platone, caratterizzando ciascuno dei dialoghi (cfr. bibliografia). Analogo è il procedimento da lui seguito nell'esporre la filosofia di Aristotele. Va inoltre messa in rilievo l'influenza considerevole esercitata da alcune opere pseudoepigrafe. Al primo posto va ricordata la celebre Teologia detta di Aristotele, la quale, come è noto, è una 34 l Le fonti della meditazione filosofica dell' Islam parafrasi delle ultime tre Enneadi di Plotino, fondata forse su una versione siriaca che risalirebbe al VI secolo, epoca in cui il neoplatonismo era fiorente presso i Nestoriani come anche alla corte dei Sasanidi (a questa stessa epoca apparterrebbe il corpus di scritti attribuito a Dionigi Areopagita). Quest'opera, che sta alla base del neoplatonismo nell'lslam, spiega, presso tanti filosofi, la volontà di dimostrare l'accordo fra Platone e Aristotele. Eppure molti hanno espresso dubbi circa la sua attribuzione, a cominciare da Avicenna (cfr., infra, V, IV), nei frammenti superstiti delle sue Note, le quali forniscono anche informazioni precise sul suo progetto di « filosofia orientale)} (edite da A. Badawi, insieme ad alcuni commenti e trattati di Alessandro di Afrodisia e di Temistio, Il Cairo, 1947). Nel celebre passo dell'Enneade IV, 8, l (( Sovente, destandomi a me stesso... }})i filosofi mistici hanno rinvenuto il prototipo sia dell'assunzione celeste (mi'rdJ) del Profeta, riprodotta a sua volta dall'esperienza dei sufi, sia quello della visione che viene a coronare lo sforzo del Sapiente divino, lo Straniero, il Solitario. Questa « confessione estatica)} delle Enneadi, viene riferita da Sohrawardi allo stesso Platone. Sensibile ne è l'influenza anche in Mir Damad (m. 1041jl631). Qazi Sa'id Qommi (XVII secolo), in Iran, consacrerà anch'egli un commento alla Teologia detta di Aristotele (cfr. seconda parte). Il Liber de pomo, nel quale Aristotele morente accoglie, di fronte ai discepoli, l'insegnamento di Socrate nel Pedone, ebbe anche esso grande fortuna (cfr. la versione persiana di Afzaloddin Kashanì, allievo di Nasiroddin Tl1si nel XIII secolo; cfr. seconda parte). Va ihfine menzionato un altro libro attribuito anch'esso ad Aristotele, il Libro del Bene puro (tradotto in latino nel XII secolo da Gerardo da Cremona, sotto il titolo di Liber de causis o Liber Aristotelis de expositione bonitatis purae). Si tratta in realtà di un estratto della Elementatio theologica del neoplatonico Proclo (edita anch'essa da A.-Badawi insieme ad altri testi: De aeternitate mundi, Quaestiones naturales, .Liber Quartorum, «Libro delle tetralogie)}, opera alchimica attribuita a Platone, Il Cairo, 1955). ~ È impossibile menzionare qui gli pseudo-Platone, pseudo-Plutarco, pseudo-Tolomeo, pseudo-Pitagora, che furono fonti di una vasta letteratura concernente l'alchimia, l'astrologia, le proprietà naturali. Per orientarsi a questo proposito, conviene fare riferimento ai lavori di Julius Ruska e di Paul Kraus (cfr. infra, cap. IV). 2. E proprio a Julius Ruska va il merito di aver denunciato una concezione unilaterale che ha prevalso per molto tempo. Perché, se è vero che i Siriaci furono i principali mediatori nel campo • Le traduzioni .-seSy su :neri· l -, . il •in:Ta, _ BIrie ii2. s.titi m là cui .UIlpo Per· lIOn e, XII le ~-ibile s.::.'id 2. Encoèbbe !se sul oddin ~da di ll'Sieme Te· UL50 k: bznno 1110. 1m ~ una alla Proad lo toii plaio: (O BCn ~m, iJosofi, roTjJUJ IE_ Ep'fUdlo f! I •.Plule, di IOato ? 35 della filosofia e della medicina, essi non furono però gli unici mediatori; non vi fu soltanto una corrente che andava dalla Mesopotamia verso la Persia. Non va dimenticata infatti l'influenza che ebbero i dotti persiani, ancora prima dei Siriaci, alla corte degli Abbasidi, particolarmente per quanto riguarda l'astronomia e l'astrologia. Anche l'esistenza di numerosi termini tecnici persiani (per esempio nushdder, ammoniaca) mostra che con molta probabilità gli intermediari fra l'alchimia greca e quella di .Jabir ibn Hayyan vanno ricercati nei centri della tradizione greco-orientale dell'Iran. Nawbakht il persiano e Mash'allah l'ebreo assunsero la direzione della scuola di Baghdad insieme a Ibn Masùyeh. Abù Sahl ibn Nawbakht fu direttore della biblioteca di Baghdad sotto Harùn al-Rashìd, e traduttore di opere di astrologia dal pehlevi in arabo. Tutto il capitolo delle traduzioni dal pehlevi (o medio-persiano) in arabo è di straordinaria importanza (le opere astrologiche del babilonese Teukros e del romano Vettius Valens erano state tradotte in pehlevi). A questo riguardo uno dei più celebri traduttori fu Ibn Moqaffa, persiano convertitosi dallo zoroastrismo all'Islam. Vanno anche menzionati numerosi dotti originari del Tabarestan, del Khorasan, e cioè dell'Iran nord-orientale, e del cosiddetto « Iran esteriore», in Asia centrale: 'Ornar ibn Farrokhan Tabarì (amico del Barmecide Yahya); Fazl ibn Sahl di Sarakhsh (a sud di Merv); Mohammad ibn Mùsa Khwarezmì, padre dell'algebra detta « araba» (il suo trattato di algebra risale all'820 circa), ma tanto lontano dall'essere arabo quanto Khiva è lontana dalla Mecca; Khalid Marwarrùdì; Habash Mervazì(cioè di Merv); Ahmad Ferganì (l'Alfraganus dei Latini nel Medioevo), origihario della Fergana (Alto Iassarte); Abù Mash'ar Balkhì (l'A lbumasar dei Latini), originario della Bactriana. Parlando della Bactriana si evoca l'azione dei Barmecidi, che determinò l'affermarsi dell'iranismo alla corte degli Abbasidi, e l'avvento di questa famiglia persiana a capo degli affari del califfato (752-804). Il nome del loro avo, il Ba,rmak, designava la dignità ereditaria del gran sacerdote nel tempio buddhista di Nawbahar (sanscrito nava-vihdra, «nuQvo-monastero»), a Balkh, del quale la leggenda fece in seguito un Tempio del Fuoco. Tutto ciò che Balkh, la « madre delle città », aveva acquisito, nel corso dei secoli, dalla cultura greca, buddhista, zoroastriana, manichea, cristiana, nestoriana, vi sopravviveva (distrutta, essa fu ricostruita nel 726 dal Barmak). Insomma, matematica e astronomia, astrologia e alchimia, medicina e mineralogia, e con queste scienze tutta una letteratura pseudoepigrafa, ebbero i loro centri nelle città che costellavano la gnnde via dell'Oriente, seguita un tempo da Alessandro. 36 Le fonti della meditazione filosofica dell'/slam Come è stato già indicato, la presenza di numerosi termini tecnici persiani obbliga a ricercarne le origini nei territori dell'Iran nord-orientale, anteriormente alla penetrazione dell'lslam. Da quelle città, astronomi e astrologi, medici e alchimisti, a partire dalla metà del secolo VIII si misero in cammino verso il nuovo centro di vita spirituale creato dall'lslam. E il fenomeno si spiega. Tutte queste scienze (alchimia, astrologia) si inserivano in una Weltanschauung che l'ortodossia 'cristiana della Grande Chiesa non poteva che cercare di distruggere. Diversa era la situazione in Oriente rispetto a quella esistente all'interno dell'Impero romano (d'Oriente o di Occidente). Più si avanzava verso l'Est e più si indeboliva quest'influenza della Grande Chiesa (donde l'accoglienza fatta ai Nestoriani). In quel momento si sono giocate le « cultura aggiungendovi, disgraziatamente, ) di sorti di tutta magica)}, una cultura, quella che Spengler designava la colqualifinome ca di « araba »; totalmente inadeguata a ciò che si trattava di inglobarvi. Purtroppo, come Ruska ebbe a deplorare, l'orizzonte della nostra filologia classica si è arrestato a una frontiera linguistica, senza discernere ciò che vi era di comune fra le due parti. Questa osservazione ci lascia intuire che una volta ricordate le traduzioni dei filosofi greci ad opera dei Siriaci, e una volta constatato l'apporto scientifico dei Persiani di nord-est, c'è ancora qualcosa che manca: bisogna parIare di ciò che va designato con il nome di Gnosi. Gnosi cristiana in lingua greca, gnosi ebraica, gnosUsìaìnica - quelladello shi'ismo e dell'ismailismo - hanno qualcosa in comune. Anzi, oggi siamo a conoscenza di precise tracce dellagnosi cristiana e di quella manichea nella gnosi islamica. Non va infine trascurato il persistere delle dottrine teosofiche dell'antica Persia zoroastriana, che, integrate nella struttura della filosofia ishrdqi dal genio di Sohrawardi (infra, cap. VII), vi permarranno fino ai nostri giorni. Tutto questo ci permette di considerare sotto una nuova luce la situazione della filosofia islamica. Infatti, se 1'Islam non fosse stato altr;-Zliel.a-semplicereligione legalitaria della shari' at, non vi sarebbe spazio per i filosofi ed essi vi si troverebbero del tutto a disagio (un disagio che peraHro essi non hanno mancato di sperimentare, ogni volta che, nel corso dei secoli, si sono trovati in difficoltà con i dottori della Legge). Ma se l'Islam integrale non è soltanto la religione legalitaria ed essoterica, bensì lo svelamento, la penetrazione e l'attualizzazione di una realtà nascosta, esoterica (bdtin), allora la situazione della filosofia e del filosofo acquista tutt'altro significato. Finora la si è osservata soltanto di scorcio sotto questo profilo. Eppure, è proprio alla versione ismaili!a_dello_shi:ismo, gnosi originale dell'Islam per eccellenza, che si deve una definizione adeguata del ruolo della filosofia in questo Le traduzioni ini tec- dell'Iran Islam. Da a partire il nuovo 51 spIega. o m una • - Chiesa - ancora tO con - ebrai- hanprecIse -i islateosottura VII), 37 contesto, definizione che si trova in un'esegesi del celebre ' ~dith -( della tomba': la filosofia ècome la tomba in cui lasapienza teologia divina deve essere seppellita per risuscitare theosophia, (hik-. r mal ildhiya), gnosi ('irfdn). -k Per capire le condizioni che permisero alla gnosi di perpetuarsi nell'Islam, bisogna tornare a quanto è stato detto nel paragrafo precedente, circa l'assenza, nell'Islam, del fenomeno Chiesa e di istituzioni quali i Concili. Qui, l'unico vincolo che gli ' gnostici ' riconoscono è la fedeltà agli «u<2.!llini..di Dio », agli Imam (le c Guide»). Per questo è necessario far seguire immediatamente, per la prima volta forse nello schema di una storia della filosofia islamica, un' esposizione di quella « filosofia _profetica », che è forma originale e frutto spontaneo della coscienza islamica. Una tale esposizione non può essere frammentata. Daremo quindi un quadro d'assieme dello shi'ismo nelle sue due forme principali. E poiché a nessuno meglio che ai pensa tori shi'iti (Haydar Àmoli, Mìr Damad, Molla Sadra, ecc.) possiamo chiedere di spiegarci gli intenti dottrinali dei santi Imam, la nostra trattazione dovrà incorporare elementi che vanno dal I all'XI secolo dell'Egira. Ma l'ampiezza dell'arco storico non fa che approfondire il problema essenziale postosi fin dall'origine.