DETTI E CONTRADDETTI 1996 - Cooperativa Cattolico

DETTI E CONTRADDETTI 1996 – 1° SEMESTRE
Rubrica settimanale tenuta sul Giornale di Brescia
4 gennaio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Che cos'è il metodo? Non esiste metodo filosofico che sia
sostanzialmente e coscientemente distinto dalla meditazione sulla vita (W. Jankélévitch, Henri
Bergson, Morcelliana, Brescia, 1991). L’errore fondamentale. Si estende abusivamente alle realtà
spirituali, mentali e vitali, agli organismi un metodo che riesce solo sul piano delle realtà materiali,
dei meccanismi (W. Jankélévitch). Raramente ci capita di volerlo. Se siamo liberi tutte le volte che
vogliamo di tornare in noi stessi, raramente ci capita di volerlo (H. Bergson, Saggio).
Interrogarsi su tre questioni . Ogni giorno esamino me stesso su tre questioni: 1. se agendo per gli
altri sono stato leale; 2. se trattando con gli amici sono stato sincero; 3. se metto in pratica ciò che
trasmetto agli altri (Confucio, 551 - 479 a.C. Malgrado le accuse di conservatorismo e i ricorrenti
rifiuti del «confucianesimo», Confucio rimane il maestro sommo della civiltà cinese).
Per tener lontana ogni animosità. Essere sostanzialmente esigenti con se stessi e poco con gli altri;
allora si tiene lontana ogni animosità (Confucio). Persino se si vive fra i barbari. A casa essere
rispettosi; nel trattare gli affari essere riverenti, e nei rapporti con gli altri essere leali. Persino se si
vive fra i barbari, non si può rinunciare a queste qualità (Confucio). Non cedere. Per quanto riguarda
la virtù dell’umanità non si deve cedere neppure davanti al proprio maestro (Confucio).
IL DATO: SEI MILIONI E MEZZO DI ITALIANI SONO POVERI ED EMARGINATI. «Secondo
il Rapporto Censis del 1993 sono il 7/8% della popolazione; ma l'ultima relazione della
Commissione sulla povertà e l’emarginazione, istituita dalla Presidenza del Consiglio, assicura che
la cifra si aggira ormai intorno al l0%, cioè quasi a sei milioni e mezzo di persone. Tante quante
oggi da noi girano portandosi in tasca il telefonino cellulare».
IL COMMENTO. 1. Dal punto di vista economico e sociale va subito osservato che se il 10% della
popolazione italiana sta male, il 90% vuol dire che sta bene. Altrove il rapporto era letteralmente
rovesciato, ed in più c’era la dittatura. È, dunque, un successo della democrazia italiana l’aver
raggiunto quel traguardo; gli anni di fango, la prassi di «addolcire» il bilancio dello Stato per
nascondere il baratro del debito pubblico, i guasti morali e materiali del sistema di corruzione esteso
a tutto il Paese non possono farci dimenticare i risultati a cui prima si era pervenuti.
2. Però quei sei milioni e mezzo di cittadini ridotti alla disperazione costituiscono il dato, il
problema da cui si deve partire prima di ogni altra considerazione. Chi chiude gli occhi su quel
punto è cieco del tutto. Se ancora siamo italiani e cristiani, quel numero dovremmo scriverlo a
caratteri cubitali e ricordarlo a noi stessi il più possibile, per esempio all’inizio e alla fine di ogni
telegiornale Rai e Fininvest. Quel numero, insomma, deve tormentarci.
Qual è, invece, la mia impressione? Lo dico con profonda amarezza, ma nei discorsi che si fanno un
po’ dovunque e soprattutto in tanti- articoli e scritti di vario tipo, si deve registrare l’esplosione di
un egoismo aggressivo che unisce in una sola indiscriminata condanna i crimini dello statalismo in
economia e della corruzione clientelare con i doveri della più elementare solidarietà.
3. In un clima di incrinatura del patto sociale, com’è quello che sta incanagliendo gli animi oggi nel
nostro Paese, il pericolo più grande non è l’insurrezione dei diseredati, bensì la tendenza di larga
parte di quel 90% a «scaricare» quelli che fanno più fatica a vivere. Si direbbe che il nuovo dovere
per i ceti sociali appartenenti a coloro che hanno oltrepassatola soglia del benessere sia quello di
elevare a categoria politica, e persino morale, l’insensibilità sociale e l’utilitarismo più gretto. Ma si
è ancora un popolo e una nazione, se si scinde dalla libertà la solidarietà, se non si lavora a
rendere concretamente operante il senso di appartenenza a una stessa storia e a un destino
comune?
DUE CONSIGLI AI GIOVANI. 1. Il confronto leale come metodo. Vi possono essere fra due punti
di vistale divergenze più nette. Ma questo non fa che accrescere l’interesse per il confronto e per la
ricerca di onesti punti d’incontro.
2. Per non far sorgere equivoci. Molto spesso un termine del linguaggio, sia di quello corrente sia
di quello dotto, è preso in due o più sensi fra loro molto differenti. Di qui le confusioni, gli
equivoci, l’incertezza interpretativa. Il rimedio c’è e va praticato drasticamente: restringere l’uso di
quel termine a uno solo dei significati e designare gli altri con altre parole.
11 gennaio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Tu non farai... Tu non farai accomodante il giudizio, non userai
parzialità verso nessuno, non accetterai nessun dono, perché i doni accecano anche gli occhi dei
saggi, e pervertono le parole dei giusti (Deuteronomio 16, 19). Illuminare non incendiare. La
ragione è un lume; la natura vuol essere illuminata dalla ragione, non incendiata (G. Leopardi,
Zibaldone, 1817 - 1818). Convenzionale non è naturale. La tentazione di accreditare frontiere
convenzionali in limiti naturali è grande» (Vl. Jankélévitch). La chiave. L’istanza suprema e l’unica
giurisdizione del filosofo è l’esperienza interiore (Vl. Jankélévitch).
Le tre cose da cui guardarsi . Da tre cose l’uomo superiore deve guardarsi: quando è giovane e la
sua vitalità è in fermento deve guardarsi dalla lussuria; quando è adulto e la sua vitalità è robusta
deve guardarsi dall’irascibilità, quando è anziano e la sua vitalità è indebolita, deve guardarsi dalla
cupidigia (Confucio). L'uomo superiore e l'uomo dappoco. L’uomo superiore è calmo senza essere
arrogante; l’uomo dappoco è arrogante senza essere calmo (Confucio). «L’uomo superiore aiuta gli
altri a completare ciò che è buono in loro e non ciò che è cattivo. Il contrario fa l’uomo dappoco»
(Confucio). La musica. Si cresce grazie alla musica (Confucio).
CIÒ CHE È DI CONFUCIO. L’originalità della civiltà cinese è totale. Nata nel bacino centrale e
inferiore del Fiume Giallo, essa si è irradiata in Mongolia, Corea, Giappone e Annam - Paesi nei
quali ha stabilito per sempre la sua influenza. La cultura, ma anche le armi e l’amministrazione della
Cina - ecco quello che non si mette nel dovuto rilievo - furono per l’Estremo Oriente ciò che la
cultura greca, le armi e l’amministrazione di Roma furono per l’Occidente. Anche in Asia allora,
non meno che in Europa, incombeva la minaccia dei barbari: là si chiamavano gli Unni, che
premevano dal nord, e gli Aborigeni a sud. Quel tempo è designato dalla storiografia come «periodo
dei regni combattenti», o «secolo di ferro».
Ebbene in una situazione così pericolosamente precaria e violenta assume uno straordinario rilievo,
per contrasto, la mite figura di Confucio (551 - 479 a.C.), attraverso la quale l’umanesimo trovò in
Oriente la sua espressione più alta e, in ogni caso, più storicamente efficace. Confucio crede ad un
ordine superiore al quale l’uomo deve cooperare, contribuendo a sua volta al realizzarsi dell’ordine
sociale attraverso il perfezionamento della sua condotta. La morale confuciana è quindi, innanzitutto
una morale sociale, una forma di superiore civismo, la quale si accorda sia con le leggi del cosmo,
sia con l’ideale di una società garbata.
CIÒ CHE È DI SOCRATE. Il lettore occidentale dei Dialoghi di Confucio, farà bene a vedere nel
padre spirituale della Cina non solo «il restauratore di antiche tradizioni in un momento di grave
crisi» - come si fa oggi anche in Cina - ma il grande educatore, il cui messaggio di salvezza si è
esercitato ininterrottamente per due millenni e mezzo. Confucio, insomma, è una forza spirituale
che ha aiutato una parte considerevole della famiglia umana a giudicare le vicende della vita da un
più alto punto di vista. Anche noi, del resto, faremmo bene a trarre profitto da molti dei suoi
insegnamenti.
Bisogna, però, non cercare in lui quello che non può darci perché gli è intimamente estraneo,
costituendo, invece, il cuore, l’essenza dello spirito occidentale. A Confucio non possiamo
certamente chiedere la critica del ritualismo e del fariseismo, il rifiuto di una forma mentis
conservatrice, la coscienza della libertà compito degli individui e delle società di cui essi fanno
parte, la preminente dimensione interiore dell’agire morale, l’esame del pro e del contro come il
primo dovere della ragione, la capacità di congiungere obbedienza alle leggi e obiezione di
coscienza, l’interrogazione sul destino dell’uomo. Tutte queste cose le possiamo chiedere non a
Confucio, ma a Socrate (469 - 399 a.C.) e, per la parte che loro compete, ai Profeti d’Israele. E l’uno
e gli altri sono a fondamento della nostra visione della vita.
POESIA DEL NOSTRO TEMPO. Plenilunio. «Come sull’altare / l’ostia, / sta sopra il monte / la
luna» (Levi Appulo).
Secondo principio di Wittgenstein . «Ciò di cui / tutti chiacchierano, / va taciuto» (Levi Appulo).
Il sugo della storia «Sognando e rincorrendo / potere e opulenza, / ci siamo rovinata l’esistenza»
(Levi Appulo).
Il fiume della vita . «Noi siamo impastati / di futuro e d’infanzia. / Scorre / tra memoria e speranza /
il fiume della vita» (Levi Appulo).
18 gennaio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Assetata di sangue e distruzione è la belva umana. Corrono veloci
quando si tratta di uccidere, / e dove passano lasciano distruzione e-miseria. / Non conoscono la via
della pace / e vivono senza alcun timore di Dio (Isaia 59, 7 - 8). Universalismo cristiano. Dio forse
soltanto il Dio degli Ebrei? No! Egli è anche il Dio di tutti gli altri popoli. È chiaro infatti che vi è
un solo Dio, che mette nella giusta relazione con sé tutti quelli che credono, ebrei e non ebrei (San
Paolo, Lettera ai Romani 3, 29 - 30).
Fuori dalla schiavitù . Il peccato non abbia più potere su di voi. Non ubbidite più ai vostri desideri
perversi. Non trasformatevi in strumenti di male (ibid. 6, 12 - 13). Ciò che vuole lo Spirito. Quelli
che si lasciano guidare dallo Spirito si preoccupano di ciò che vuole lo Spirito; quelli invece che
non si lasciano guidare dallo Spirito, ma dal proprio egoismo, cercano di soddisfarlo. Seguire
l’egoismo conduce alla morte, seguire lo Spirito conduce alla vita e alla pace (ibid, 8, 5 - 6).
UN’INCLINAZIONE CHE CI RENDE QUERULI E SUPERFICIALI. Occorre denunciare
l’inclinazione molto forte del nostro spirito e gridare subito allo scandalo del disordine e del male,
perché giudichiamo attraverso la nebbia di stati affettivi. In realtà quello che chiamiamo «disordine»
è quasi sempre ciò che risulta dall’interferenza tra loro di due o più tipi di «ordini» molto diversi (ad
esempio, quello geometrico e quello vitale, l’ordine meccanico è quello originato da un atto di
volontà). Altre volte è il risultato del nostro incoerente oscillare fra un tipo di considerazioni e un
altro. Può anche sorgere per l’impossibilità di ricondurre ad un’unica legge, che per noi è l’«ordine»,
aspetti diversi di un fenomeno o più fenomeni. Se poi non si riesce a cogliere l’intreccio complesso
di «ordini» molteplici, allora rifugiarsi nell’idea di disordine, invece di disporsi alle fatiche di una
lunga e difficile ricerca, appare addirittura inevitabile.
TRE PERICOLI PER LA DEMOCRAZIA. La democrazia è il più alto traguardo etico-politico per
una società e per uno Stato; ma il varco alla sua attuazione, anche se imperfetta, è tenuto aperto solo
da chi quell’ideale testimonia con il pensiero e la vita. Molti sono i pericoli che minacciano la
democrazia, ma tre mi sembrano oggi particolarmente incombenti.
Il primo è di cedere agli interessi di parte e agli egoismi meglio organizzati. Il secondo è di pensare
che la democrazia riesca automaticamente, grazie ai suoi meccanismi, a guarire dei suoi mali. Nulla
di più falso. Occorre tener conto, invece., del sussistere nella «società che si apre» di tendenze
proprie della «società chiusa», e sono tendenze egoistiche. Il terzo pericolo sta nel degradare la
democrazia a sistema di pubblicità politica, a una tecnica per procurarsi il consenso e vincere le
elezioni. Ogni società, e in primissimo luogo ogni società democratica, ha invece assoluto bisogno
diveder garantite, negli ordinamenti e da ogni forza politica in campo, alcune cose che hanno valore
prioritario: ad esempio il riconoscimento, anche attraverso la loro presenza determinante nelle più
alte istituzioni, dell’aristocrazia del talento, della competenza e soprattutto dell’autorità morale.
«Tutto il problema della organizzazione della democrazia è lì: noi non l’abbiamo risolto» - diceva
Bergson il 24 febbraio 1918 nel discorso di reception all’Accademia francese. Ma noi, in Italia,
possiamo dire di averlo risolto?
POESIA DEL NOVECENTO. Un vecchio al bar. «Nel frastuono del bar, là sul fondo, / un vecchio
seduto, curvo sul tavolino, / senza compagnia, con un giornale davanti. Sa di essere molto vecchio,
lo sente, lo vede. / Ripensa il tempo della giovinezza, / quando c’era nerbo, bellezza, eloquio. /
Sembra ieri. Che spazio breve, che spazio effimero. Ma l’intensità del pensiero e del ricordo / l’ha
stordito. Il vecchio si assopisce / curvo sul tavolino del caffè» (Costantino Kavafis).
L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Nel volume Preghiera e poesia, edito dalla Morcelliana nel
‘91, a pag. 411 leggo questi versi di Paul Celan: «Siamo vicini, Signore, / vicini e afferrabili. / Già
afferrati. Signore, / aggrappati l’un altro, / come fosse il corpo di ognuno di noi, / il tuo corpo,
Signore». E poco dopo: «Te / io feci attendere, / Te! / Per amor tuo vogliamo / fiorire / incontro / a
Te».
25 gennaio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Credulità scientista e incredulità preconcetta. Non c’è nulla che
la gente non sia disposta a credere oggi, purché le sia presentato come scienza, e nulla che non sia
disposta a rifiutare di credere, se le è presentato come religione. Io stesso ho incominciato così, e
ora finisco ricevendo ogni affermazione scientifica con ostinato sospetto, mentre prendo molto
rispettosamente in considerazione l’ispirazione e la rivelazione dei profeti e dei poeti (G. B. Shaw).
Chi sono i martiri da onorare? I martiri di ogni tempo sono coloro ai quali la luce interiore fa
intravedere la possibilità di un mondo migliore basato sull’esigenza spirituale di una vita più nobile
e più ricca, non per sé stessi a spese degli altri, ma per tutti (G. B. Shaw).
L’autentica gioia della vita. È questa l’autentica gioia della vita, l’essere usati per uno scopo da
noi riconosciuto predominante; l'esserci consumati al massimo prima di essere gettati nella
spazzatura; l'essere una forza della natura invece di un inquieto, egoista mucchietto di malanni e di
insoddisfazioni, che si lagna perché il mondo non vuole dedicarsi alla sua felicità (G. B. Shaw).
DUE MODI OPPOSTI DI PENSARE. Quando si affronta un problema, bisogna scendere dalle
altezze dei principi astratti e trasferirsi nel campo dell’esperienza, rinunciando così ad avere subito
la soluzione radicale. Bisogna scegliere fra un ragionamento puro, che mira di colpo a un risultato
definitivo, non perfezionabile perché ritenuto già perfetto, e un’osservazione paziente che dà
risultati approssimativi, però suscettibili di essere corretti e completati indefinitamente.
Il primo metodo, avendo voluto fornirci subitola certezza, ci condanna a restare sempre nel
meramente probabile, o nel possibile. Il secondo fin dall’inizio non mira che alla probabilità, ma
poiché opera su un terreno in cui la probabilità può crescere all’infinito, ci porta a poco a poco a un
punto che praticamente equivale alla certezza. Fra questi due modi di pensare - e perciò stesso di
filosofare - io ho fattola mia scelta. Sarei felice se avessi potuto contribuire, anche se di poco, a
orientare la vostra.
Chi volesse leggere un libro, in cui i grandi problemi sono affrontati con il secondo metodo, si
procuri Il cervello e il pensiero di Bergson, Editori Riuniti, Roma, 1990. Un’avvertenza: il titolo
originale, n francese, è L’énergie spirituelle.
OGGI, 27 GENNAIO 1996, IN GERMANIA. A partire da quest’anno, il 27 gennaio sarà «il
giorno del ricordo» per il popolo tedesco. In quella data nel 1945 fu liberato il campo di Auschwitz
e il mondo cominciò a conoscere il più orrendo crimine che la storia abbia mai registrato.
«Auschwitz - ha detto il presidente federale Roman Herzog - è il simbolo del genocidio, delle
persecuzioni, delle torture, dell’immenso dolore inflitto dal nazismo agli ebrei. La nostra memoria
non deve rimuovere, ma ricordare. Il ricordo serve da avvertimento alle future generazioni». La
decisione, che onora il popolo e il governo della Germania, era stata sollecitata dai sedici presidenti
dei Laender tedeschi.
POESIA DEI NOSTRI GIORNI. Un sogno in testa. «Non disprezzare chi passa, / avendo un sogno
in testa. / Tu non puoi certo essere fiero / della tua onesta nullità» (Levi Appulo).
Interlocutore silente . «Sto sulla soglia / della tua coscienza, / interlocutore silente, / per le poche
cose / che contano. / Attendo sempre / la lettera mai spedita, / io che non ho mai cessato di parlarti»
(Levi Appulo).
La prova. «Più infuria il vento, / sui piccoli crinali di sabbia, / più l’erba incrostata di sale / si rafforza» (Levi Appulo).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Che io ti offra il servizio del mio pensiero e della mia parola.
«Signore, mio Dio, ascolta la mia preghiera, la tua misericordia esaudisca il mio desiderio, perché
esso non arde solo per me, ma vuol essere utile ai fratelli nell’amore: tu vedi dentro il mio cuore che
è così. Che io ti offra il servizio del mio pensiero e della mia parola. Tu dammi la materia
dell’offerta. Fa’ che io possa meditare le profondità della tua Parola. Libera da ogni avventatezza e
da ogni menzogna la mia bocca e il mio cuore. La tua parola è la mia gioia, io l'amo e quest’amore
me l’hai dato tu. Non lasciare nell’abbandono i tuoi doni, non disdegnare questo tuo filo d’erba
assetato» (Sant’Agostino, Confessioni XI, 2, 2).
1 febbraio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il Dio oro. Fate v’avete Dio d’oro e d’argento (Dante, Inferno
XIX, 38). La mia voce è molesta? Ché, se la voce tua sarà molesta / nel primo gusto, vital
nutrimento / lascerà poi, quando sarà digesta (Paradiso XVII, 130 - 33). La creazione. La gloria di
Colui che tutto muove / per l’universo penetra e risplende / in una parte più, e meno altrove
(Paradiso 1, 1 - 3). Se diventiamo una sola cosa con Dio. ...Appressando sé al suo disire, / nostro
intelletto si profonda tanto, / che retro la memoria non può ire (Paradiso 1, 7 - 9).
C’è amore senza eroismo? La verità è che si deve passare attraverso l’eroismo per giungere
all’amore (H. Bergson). Il passaggio. Tra l’anima chiusa e l’anima aperta c’è l’anima che si apre (H.
Bergson). Il primitivo che è in noi. Se la civilizzazione ha profondamente modificato l’uomo, ciò è
avvenuto accumulando nell’ambiente sociale, come in un serbatoio, delle abitudini e delle
conoscenze, che la società versa nell’individuo ad ogni nuova generazione. Proviamo a raschiare la
superficie, a cancellare quanto ci viene da un’educazione costante: in fondo a noi stessi ritroveremo
l’umanità primitiva (H. Bergson). Le citazioni di Bergson sono tratte dall'ultima sua opera, Le due
fonti della morale e delle religioni, di recente tradotta da A. Pessina e pubblicata da Laterza.
LA QUESTIONE MORALE. Allo scrittore Vitaliano Brancati è attribuito un aneddoto molto
istruttivo sul modo in cui il danaro si fa strada nella coscienza di un uomo. Un imprenditore
propone un affare a un alto funzionario, che gli dà questa risposta: «Ho ascoltato attentamente la
sua proposta. Abbia un po’ dì pazienza! Aspetti un momento. L’onestà mi passa presto. Devo
stringermi le tempie e pensare a mio padre che è morto in un pigiama rattoppato. E l’onestà passa.
Aspetti ancora un minuto e la sua proposta, che mi sta rivoltando lo stomaco e che mi dà la voglia
di cacciarla fuori a pedate, io l’accetterò».
Un altro autore ignoto racconta la variante simmetrica dello stesso aneddoto. La risposta del
funzionario è radicalmente diversa: «La sua offerta è allettante. Avrei molte ragioni per accettarla;
ma sento che mi fa rivoltare lo stomaco. L’onestà non mi passa facilmente. Penso a mio padre che
ha lavorato vent’anni in miniera per farmi studiare ed è morto povero: l’affare che mi propone mi
colpisce nella sua memoria, che è anche la mia storia. Per queste radici dico no con forza e con
disgusto alla sua proposta».
Le stesse radici, la stessa storia, una reazione opposta alle suggestioni del denaro. È solo un sottile
filo psicologico che divide l’onesto dal corrotto? No, è una scelta propriamente morale fra la
dignità, che non si può né vendere né comprare, e ciò che ha prezzo, e dunque si può vendere e
comprare.
APOLOGO SULL’ONESTÀ NEL PAESE DEI CORROTTI. Nel 1980 Italo Calvino pubblicò un
racconto che porta appunto il titolo Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti. In esso lo scrittore ci
dette il ritratto di questo nostro strano Paese e la formula epigrafica della nostra cleptocrazia: «Un
sistema nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il
vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto».
Provate a pensare a quante persone, tra i vecchi e i nuovi leader, queste parole si attagliano perfettamente. Sono su loro misura.
CIVISMO E CRETINISMO. Primo episodio. Fine aprile ‘48. Arrivo a Brescia da Taranto. Mi
trascino due valigie cariche di libri. Prendo la filovia e mi accorgo, con grande disagio, di non avere
le monetine per l’acquisto del biglietto. Il conducente non può cambiarmi la banconota da
cinquemila. Paga di tasca sua la mia corsa e mi dice: «Lei faccia lo stesso con chi si trovasse nella
sua situazione. L’importante è non frodare». La patria di Tito Speri mi mostrò così, al primo
impatto, il suo volto più bello.
Secondo episodio. Chieti 1996, 16 gennaio. «Nel 1992 un’anziana commerciante pagò un tributo,
con il quale chiudeva definitivamente i conti con l’esattoria. Oggi si è vista recapitare una cartella
con la quale le si ingiunge il pagamento di lire una, quale corrispettivo della differenza tra la
somma pagata e quella dovuta. Il figlio dell’ex-commerciante è riuscito a procurarsi, cosa ormai
rarissima, una moneta da una lira e, dopo un’ora di fila davanti allo sportello dell’esattoria, ha
saldato il debito» (Il Giornale, 17 gennaio 1996).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Sullo scoglio del dolore. «Soccorri me, Signore, / che sullo
scoglio del dolore / non so che cosa fare. / Aiutarmi da solo vorrei, / ma non posso. / Abbi pietà di
me, dolce Gesù» (Francis Quarles, poeta metafisico inglese del Seicento).
Il vestito di porpora. «Ti hanno lasciato nudo, mio Signore! / Aprendo il tuo fianco, / non
potevano darti un abito migliore / di questo da indossare, / un abito fatto col tuo stesso sangue»
(Richard Crashaw, da Steps to the Temple, 1946).
8 febbraio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Come ago al polo. La mia vita... / volsesi al segno di maggior
disio (Dante, Paradiso III, 123 - 125). È la vita eterna, non quella di Fellini. E differentemente han
dolce vita (Paradiso IV, 35). Nessuno può volere al nostro posto. Ché volontà, se non vuol, non
s'ammorza (Paradiso IV, 76). Se Dio non ci illumina. Io veggio ben che giammai non si sazia /
nostro intelletto, se 'l Ver / non lo illustra / di fuor dal qual nessun vero si spazia (Paradiso IV, 124 26).
ELOGIO DELLA GENTILEZZA. La gentilezza è innanzitutto ripugnanza per tutto ciò che è rozzo
e indiscreto. Chi è gentile si rifiuta di ferire gli altri nel loro intimo con l'indifferenza,
misconoscendone i sentimenti, le legittime attese, il valore personale. La gentilezza bisogna
imparare a praticarla in tanti modi e in ogni ambiente, a cominciare dalla famiglia, fin da ragazzi. La
gentilezza, che a livello elementare si manifesta come buona educazione, oltrepassa nettamente la
sfera sociale delle regole di comportamento per attingere l'interiorità del cuore e farsi delicata
attenzione, partecipazione profonda ai sentimenti degli altri. Da sola, la gentilezza delle buone
maniere non è che una vernice superficiale; ma se penetrata dalla gentilezza del cuore, diviene tatto,
signorilità, preveggente delicatezza, grazia.
CHE COSA MINACCIA OGGI IN ITALIA. L'ETHOS POLITICO? Giriamo la domanda a una
delle più alte autorità morali del nostro Paese. La sua risposta si articola in cinque punti.
1) «L'emergere di una certa figura del primato del soggetto si traduce in un privilegio di fatto per chi
sa rivendicare, con la forza del suo peso economico e sociale, i propri diritti individuali o di gruppo.
Si tratta di un atteggiamento che contesta la funzione dello Stato nella tutela dei più deboli e alla
fine mette a rischio lo stesso patto sociale che sottostà alla Costituzione, a vantaggio di assetti
contrattuali più facili a piegarsi alle convenienze e alle maggioranze del momento».
2). «La fortuna, nell'opinione pubblica e nel costume, di una logica decisionistica non rispetta le
esigenze di una paziente maturazione del consenso o cerca di estorcerlo con il plebiscito
generalizzato o si illude di operare col sondaggio dei desideri, semplificando la complessità della
politica, dei suoi tempi e delle sue mediazioni».
3). «Si fa strada un liberismo utilitaristico che non mette ordine nelle attese e nei bisogni secondo
una gerarchia di valori, ma eleva il profitto e l'efficienza o la competitività a fine, subordinando ad
essa le ragioni della solidarietà».
4). «C'è un crescendo della politica fatta spettacolo, fatta scontro verbale accompagnato anche da
minacce; una politica intesa come luogo del successo e palcoscenico di personaggi vincenti, che
richiedono deleghe a governare non sulla base di programmi vagliati e credibili, bensì sulla base di
promesse o prospettive generiche».
5). «C'è, da ultimo, una logica della conflittualità che tutto intende nel quadro della relazione
amico-nemico, dove con l'amico si ha tutto in comune, col nemico nulla. Tale contrapposizione
sarebbe la sola capace di stabilire correttamente minoranze e maggioranze e di sconfiggere la
degenerazione consociativistica. Il consociativismo, accordo spartitorio di potere che non ricerca
valori comuni da far crescere insieme, ma spazi da gestire da questa o da quella forza politica, va
ben distinto dalla ricerca di valori presenti in varie forze, in vista di una compattazione della città. In
una logica di conflittualità, chi vince si sente invece autorizzato a prescindere del tutto dalle ragioni
dell'altro semplicemente perché ha vinto».
Questi giudizi sono stati espressi da Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, il 6 dicembre '95,
nel discorso per la festa di sant'Ambrogio.
BRICIOLE DI SAGGEZZA. La prima rivelazione di Dio è il creato. «Una volta, mentre stavo
tenendo un discorso, il maestro citò un antico poeta. Una giovane donna andò più tardi a dirgli che
avrebbe preferito una citazione tratta dalle Scritture. "Quell'autore pagano che hai citato conosce
davvero Dio?" domandò».
«Ragazza mia, rispose il maestro severamente, se pensi che Dio sia l'autore del libro che chiami
Scritture, ti informo che è anche l'autore di un'opera molto precedente chiamata Creazione» (Tony
de Mello, Shock di un minuto, Paoline, 1996).
15 febbraio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Ciò che si teme e ciò che non si osa sperare. Dio è colui che
perdona quello che la coscienza teme e che dona quanto la preghiera non osa sperare (Levi Appulo).
Il sigillo. Il sigillo più bello di una vita, o di un'impresa degna sta nel poter dire: Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare (Levi Appulo). L'appello. Risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la
parola della vita (San Paolo, Lettera ai Filippesi 2, 15).
Per dialogare con noi stessi. Ci sarà sempre un'ora nella quale un uomo prenderà un libro in mano
ed in quel momento potrà scoprire qualcosa di sé o il modo per ritrovarsi (Enzo Biagi). Una lingua
senz'anima. Una lingua è impegnata dall'anima del popolo che la parla. Ma qual è l'anima di coloro
che vorrebbero parlare l'esperanto? (Levi Appulo).
ELOGIO DEL BUON SENSO. Sul finire del secolo scorso fu chiesto a un professore di tenere una
conferenza alla Sorbona sul tema: «L'ideale cui deve tendere l'educazione». Quel professore designò
sinteticamente il valore più alto del processo formativo con una espressione di straordinaria
modestia: il buon senso. La cosa irritò profondamente il ministro della Pubblica istruzione francese,
che era presente. Ma tra il professore, che amava la scuola ed era un autentico genio, e il ministro,
tronfio di retorica che cercava parole altisonanti, era il primo che aveva ragione.
Che cosa si deve, infatti, intendere per buon senso? Il buon senso non è il senso comune che
recepisce qualche valido consiglio per la vita mescolato ai molti pregiudizi correnti. È apertura dello
spirito alla realtà, bisogno di rompere le clausure della specializzazione, capacità di «apprendere ad
apprender». Il buon senso è sempre socratica ignoranza consapevole, un sapere di non sapere che si
accompagna al coraggio della sincerità e alla ferma determinazione di voler pervenire alla
conoscenza vera, su misura dei fatti osservati.
Il buon senso è un'intensificazione della volontà che produce insieme penetrazione intellettuale,
chiaro senso del limite e, nei rapporti umani, rispetto, aspirazione alla giustizia, gusto per le
sfumature. Non la riuscita immediata è un valore, bensì la riuscita che è frutto del risveglio dello
spirito e dello sforzo creatore. Il buon senso, insomma, è il solo pragmatismo degno dell'uomo.
INDIVIDUARE IL GIUSTO MOMENTO. C'è un testo biblico in cui l'invito al discernimento, a
cogliere il momento adatto per ogni cosa, suona forte e chiaro. È in uno dei libri sapienziali, il
Qohelet (3, 1 - 8), che nella Bibbia, in un tempo non lontano da noi, era chiamato, secondo la
tradizione latina, l'Ecclesiaste. Gustiamolo insieme.
«Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per
nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo
per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per
guarire e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare
sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli
abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un
tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo
per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace ».
LA LUCE NELLE TENEBRE. Anche dal male si può trarre il bene? «Un giorno il maestro disse:
"Non sarete pronti a combattere il male finché non riuscirete a vedere il bene che esso fa". Ciò
lasciò i discepoli in una considerevole confusione, che il maestro non fece nulla per dissipare.
Il giorno dopo presentò loro questa preghiera, trovata scarabocchiata su un pezzo di carta da pacchi
nel campo di concentramento di Ravensbruck: "Signore, ricorda non solo gli uomini e le donne di
buona volontà, ma anche tutti quelli di cattiva volontà. Non ricordare solo tutte le sofferenze che ci
hanno inflitto. Ricorda i frutti che abbiamo prodotto grazie a questa sofferenza... la nostra
solidarietà, la nostra lealtà, la nostra umiltà, il nostro coraggio e la nostra generosità, la
grandezza di cuore che tutto questo ha ispirato. E quando saranno al tuo cospetto per essere
giudicati, fa' che tutti questi frutti che abbiamo generato siano la loro ricompensa e il loro
perdono"» (Tony de Mello, Shock di un minuto, Paoline, 1996).
22 febbraio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Un verso come augurio. Con miglior caso e con migliore stella
(Dante, Paradiso 1, 40). L’aldilà. Là si vedrà ciò che tenem per fede, / non dimostrato, ma fia per sé
noto (Paradiso II, 144). La luce interiore. Come letizia per pupilla viva (Paradiso II, 144). A testa
alta. Levai lo capo a proferer più erto (Paradiso III, 6). Occorre farne esperienza, come i mistici. Di
vita eterna la dolcezza senti, / che non gustata non s’intende mai (Paradiso III, 38 - 39). La nostra
pace. In sua voluntate è nostra pace (Paradiso III, 85).
Le grandi figure dell'umanità. Le grandi figure morali che hanno inciso nella storia si danno la
mano al di sopra dei secoli, al di sopra delle nostre città umane: insieme compongono una città
divina, nella quale ci invitano a entrare (H. Bergson).
Vero e falso ordine. Detesterei che il mio amore per l’ordine beneficiasse del significato che
pigramente si presta a questa parola (J. Cocteau - J. Maritain, Correspondance, 1923 - 1963,
Gallimard, Parigi, 1993, p. 284). Democrazia a rischio. Non avremo carri armati per le strade, ma
possono bastare uno o due televisori in più per famiglia. La storia non si ripete. Fa di peggio (G.
Bianchi).
QUANTI MORTI IN PIÙ, QUANTI STORPI IN PIÙ? La cifra è ufficiale: tra il 1954 e il 1993
l’Italia ha speso per infortuni sul lavoro 1.600.000 miliardi di lire, in media 40.000 miliardi l’anno.
Si sa, una disgrazia è imprevedibile e casuale, ma come chiameremo le tantissime morti e le
mutilazioni per assenza o inadeguatezza colpevole di misure preventive?
Nel ‘94 l’Europa si è data una nuova legge, la direttiva n. 626, in materia di prevenzione sul
lavoro, ma il Parlamento italiano continua a rimandarne l’entrata in vigore. In risposta a
un’intervistatrice, il sottosegretario al lavoro, Matelda Grassi, ha dichiarato a Telemontecarlo,
venerdì 19 gennaio ‘96, alle ore 20.50: «Abbiamo subito fortissime pressioni da parte degli
imprenditori, sia per ritoccare il decreto, sia per ritardarne l’applicazione».
Quanti morti in più, quanti storpi in più vanno messi sul conto di questo rinvio? E qual è il suo
costo per lo Stato, e dunque per la collettività, anche solo in termini finanziari?
IL TEMPO CHE IN UN GIORNO TU RISERVI AL SILENZIO. È una domanda che non va elusa,
chi non sa stare in silenzio, chi non riflette, chi non prega nel segreto del suo cuore, chi non sa stare
zitto, in un angolo tutto suo, rischia grosso: rischia la perdita della sua interiorità. Ma nascondere a
noi stessi il nostro io profondo, significa lasciarci assorbire dall’io superficiale, per il quale la parola
si fa chiacchiera ed esistere è soprattutto un lasciarsi andare al luogo comune, alla ripetitività, al
sentito dire, al «si dice».
Silenzio e parola, quando sono veri e fecondi, non si trovano su due piani antitetici, escludentisi a
vicenda, né si situano l’uno rispetto all’altra come se si trattasse di due linee parallele destinate a
non incontrarsi mai. Pur essendo due cose diverse, esse si compenetrano e interagiscono. L’uno
richiama l’altra, come ben vide Max Picard in un suggestivo saggio, ormai introvabile.
«Il silenzio - scrive il pensatore elvetico - non consiste soltanto nel fatto che l'uomo, a un certo
punto, cessa dì parlare. Il silenzio è qualche cosa di più di una semplice rinunzia alla parola, è
qualche cosa di più di un semplice stato nel quale ci sì possa trasferire a proprio piacimento. Il
silenzio invero comincia dove la parola finisce. Però non comincia perché la parola finisce, ma
soltanto in quel punto si manifesta. Il fenomeno è un fenomeno a sé. Non quindi si identifica con la
cessazione della parola, non è qualche cosa di ridotto, ma qualche cosa di integro, che sta a sé,
produttivo al pari della parola: esso, infatti, forma l'uomo non meno della parola, sebbene in
misura diversa. Il silenzio appartiene alla struttura fondamentale dell’uomo... Parola e silenzio
sono legati: la parola sa del silenzio, come il silenzio sa della parola» (M. Picard, Il mondo del
silenzio, trad. it. Comunità, Milano, 1975, pp. 5 - 6).
POESIA DEL NOVECENTO. La speranza. «Speravo in me stesso: ma il nulla mi afferra. /
Speravo nel tempo: ma passa, trapassa; / In cosa creata: non basta, e ci lascia. / Speravo nel ben che
verrà, sulla terra: / Ma tutto finisce, travolto, in ambascia, / Ho peccato, ho sofferto, cercato,
ascoltato / la Voce d’Amore che chiama e non langue: / ed ecco la certa speranza: la Croce. / Ho
trovato Chi prima mi ha amato / E mi ama e mi lava, nel sangue che è fuoco, / Gesù, l’Ognibene,
l’Amore infinito, / l’Amore che dona l’Amore, / L’Amore che vive ben dentro nel cuore [...]»
(Clemente Rebora).
29 febbraio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Volontà e grazia. La nostra carità non serra porte / a giusta
voglia» (Dante, Paradiso III, 43 - 44). L’eccesso di desiderio confonde le idee. Quasi com’uom cui
troppa voglia smaga » (Paradiso III, 35). Il primo amore. Quel sol che pria d’amor mi scaldò il
petto (Paradiso III, 1). L’unica cosa necessaria. Tenersi dentro a la divina voglia (Paradiso III, 80).
Se sono così, perché dovremmo sceglierli? Uomini, poi, a mal più ch’a bene usi (Paradiso III,106).
La Chiesa e le questioni più urgenti. Quando la Chiesa affronta urgenti questioni di attualità, deve
necessariamente far appello a scopi comuni. Ma lo deve fare a modo suo, in modo diverso dai
politici. Essa deve svolgere il suo ufficio di guardiano, in primo luogo nei confronti di coloro che si
vantano di essere suoi alleati temporali. L’esperienza attesta che, da questo punto di vista, non pochi
uomini di Chiesa mancano singolarmente di senso critico (Oscar Cullmann, Le vie dell’unità
cristiana, trad. it. Queriniana, Brescia, 1994, p. 67).
Il comandamento essenziale dell’ecumenismo . Non spegnete lo Spirito. Esaminate tutto. Tenete ciò
che è buono (S. Paolo, Lettera prima ai Tessalonicesi 5, 19, 21).
L’EVENTO NUOVO CHE PREPARA IL FUTURO. Fra quattro anni comincia il terzo millennio
dell’era cristiana. Il primo millennio vide la comunione fraterna della fede e della vita sacramentale.
Nel secondo millennio si produsse la rottura violenta dell'unità e si innalzarono muri di divisione tra
le nuove confessioni, l’ortodossa e la protestante, e la Chiesa Cattolica. A partire, però, dalla
seconda guerra mondiale, accomunati nel martirio e nella persecuzione, i cristiani hanno concepito
un grande sogno, quello di realizzare tra i credenti delle tre grandi confessioni una nuova unità
visibile. E il metodo, la via maestra per giungere a quell’alto traguardo, si chiama «ecumenismo».
L’impresa è quanto mai ardita. Gli ostacoli da superare sono tanti e riguardano tanto il passato
quanto il presente. Occorre, infatti, pervenire a una storia implacabilmente onesta delle vicende da
cui si originarono gli scismi e che seguirono al distacco dal papato; ma occorrono anche
lungimiranza, coraggio e delicatezza insieme per vincere la tentazione, sempre rinascente,
dell’autarchia confessionale. Chi ha senso storico comprende, pertanto, perché ad ogni balzo in
avanti possano succedere irrigidimenti e fasi di ristagno; nelle coscienze i tempi della maturazione
non si saltano e una fermata non è necessariamente un cedimento o una rinuncia a riprendere il
cammino. La riprova è sotto i nostri occhi, se guardiamo a quello che si è fatto negli ultimi
cinquant’anni. In appena cinque decenni è cambiato il modo stesso di impostare il problema dei
rapporti tra le Chiese cristiane ed è questa la cosa che più conta, l’avvenimento che da solo supera le
nostre più ardite speranze. Gli eretici di ieri nei documenti del Concilio Vaticano II sono designati
col termine fratelli separati; ed ecco che nell’Enciclica «Ut unum sint», nei paragrafi 41 - 42, a
trent’anni della conclusione del Concilio, sono chiamati fratelli ritrovati.
IL SILENZIO È LA CASA DELLA PAROLA. «Il silenzio è la casa della parola. Esso conferisce
forza ed efficacia alla parola. Possiamo addirittura dire che la parola ha il compito di svelare il
mistero del silenzio da cui essa scaturisce... Una parola che ha potere è una parola che esce dal
silenzio. Una parola che reca frutto è una parola che torna al silenzio da cui è emersa, che ci ripropone il silenzio da cui viene e ci riconduce ad esso. Una parola che non è radicata nel silenzio è
una parola fiacca, inefficace, che echeggia come “un bronzo che risuona o un cembalo che
tintinna” (1 Cor 13, 1)» (H. J. M. Nouwen, Silenzio, solitudine, preghiera, Roma, 1985, pp. 59, 67).
POESIA DI NOSTRI GIORNI. È peccato non vivere. «Se morire non è peccato / è peccato non
vivere / il tempo destinato / con l’entusiasmo della gratitudine» (Liana De Luca., Il posto delle
ciliegie, Genesi editrice, Torino, 1995).
Bellezza e sudore. «Il gelsomino irradia il suo profumo, / il roseto rena al sole, / l’albero del cedro /
scopre poppe gialle prosperose, / le spighe fan sperare un buon raccolto. / Lo sguardo non si posa
indifferente / in superficie; / intuisce un lavoro di pazienza, / di sudore, di ansie» (Giuseppe
Benedetto, Parole scritte, Bastogi editore, Foggia, 1994).
7 marzo 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Non c’è solo la dimensione spaziale della realtà. ... dietro ai sensi
/ vedi che la ragion ha corte l’ali (Dante, Paradiso II, 56 - 57). Il gaudio della verità. Dentro dal ciel
de la divina pace (Paradiso II, 112). «Frate (fratello), la nostra volontà quieta (appaga) / virtù di
carità che fa volerne / sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta». (Paradiso, II 70 - 72). Abbellito
da tante stelle. Il ciel cui tanti lumi fanno bello (Paradiso II, 130). Quando si parla con lo sguardo.
Io mi tacea, ma ‘1 mio disir dipinto / m’era nel viso (Paradiso IV, 10 - 11).
LE DUE FACCE DI UN FALSO MISTERO. La politica spettacolo, incessantemente alimentata
dalla televisione, forse farà audience, ma di certo serve a far dimenticare agli italiani menzogne,
latrocini e crimini di cui non pochi attori della vita politica di ieri e di oggi dovrebbero render conto,
se il nostro fosse uno Stato di diritto.
Si prenda, ad esempio, il caso Ustica. I morti del Dc 9 furono tanti e i loro familiari non conoscono
ancora la verità su una strage che ogni giorno di più assume i contorni di un inutile segreto di Stato,
di un tragico errore di cui non si vogliono far conoscere le cause. Ma a quella sciagura si
accompagna un enigma ben più orrendo: alla lista dei morti del Dc 9 si aggiunge, infatti, quella dei
militari testimoni della strage, marescialli ed alti ufficiali dell’aeronautica in servizio ai radar di
controllo in Sicilia e in Calabria. In questi ultimi anni molti di essi sono passati rapidamente a
miglior vita, uno dopo l’altro, come in una sequenza cinematografica, vittime di assurdi incidenti e
di acrobatiche impiccagioni.
C’è, poi, un particolare agghiacciante, riportato a suo tempo sulla stampa e poi letteralmente sparito
dalla memoria collettiva; ed è un particolare che alla tragedia mescola la farsa più indecente. Un
caccia libico è abbattuto nello stesso frangente in cui si verifica la strage di Ustica e va a schiantarsi
sulla Sila. Il medico della zona certifica il giorno e l’ora in cui è spirato il pilota di Gheddafi; ed
ecco, due agenti dei servizi segreti lo rintracciano e lo convincono a... risuscitare il morto per farlo
defungere in altra data, una settimana più tardi.
Una breve, amarissima riflessione. Pare proprio che il più efficace dei depistaggi nel nostro Paese
abbia un duplice aspetto: da un lato, si fa di tutto per isolare, le une dalle altre, le notizie relative a
una stessa vicenda, almeno quelle che non si possono più occultare; dall’altro, si gioca su tempi
tanto lunghi da far smarrire la percezione non solo della gravità di un fattaccio, ma la sua stessa
esistenza. Per questo ricordare, non tacere, non lasciarsi menare per il naso è nel nostro Paese un
dovere per chiunque abbia ancora senso dello Stato e sete di giustizia.
È UN PRIMO PASSO, MA VA FATTO SUBITO. La televisione non è destinata a scomparire ed è
anche improbabile che cambi al punto da diventare un ambiente ragionevolmente accettabile per la
socializzazione dei ragazzi. Queste realtà vanno accettate. Possiamo modificare i contenuti,
migliorare la qualità dei programmi a disposizione dei bambini, ma l’esigenza più importante è
scoraggiare i ragazzi dall’usare la televisione come fonte di informazione sul mondo. Però se
insistiamo con i nostri figli affinché guardino meno la televisione, dobbiamo offrir loro altre idee su
come passare il tempo. I ragazzi hanno bisogno di conoscere se stessi tanto quanto hanno bisogno di
conoscer il mondo; e queste informazioni si ottengono soltanto agendo nel mondo, cioè tramite
l’interazione reale fra esseri umani. I ragazzi hanno bisogno di più esperienza e meno televisione.
«È necessario far capire ai genitori - scrive lo psicologo e scienziato delle comunicazioni John
Condry- che la televisione non può insegnare ai bambini ciò che debbono sapere via via che
crescono e diventano adolescenti e poi adulti. La televisione è un mezzo pubblicitario; in quanto
tale ha un posto che le spetta legittimamente. Può essere divertente; nell'intrattenimento non c’è
nulla di intrinsecamente sbagliato. La televisione può essere informativa, e questo è un bene.
Tuttavia, come strumento di socializzazione, è carente; occorre capire questo fatto e prenderne
spunto per agire. La scuola e la famiglia debbono fare meglio di quanto facciano attualmente e a tal
fine hanno bisogno di tutto l’aiuto disponibile. Ridurre l‘influenza esercitata dalla televisione nella
vita dei ragazzi è un primo passo. Questo passo va fatto subito». (Da Cattiva maestra televisione,
Reset-Donzelli editore, Roma, 1994).
14 marzo 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Ciò che distingue la persona umana. Le creature ch'hanno
intelletto ed amore (Dante, Paradiso I, 120). Ci incatena alla terra la libertà, se sviata da falso
piacere. ... come forma non s'accorda / molte fiate a l'intenzion de l'arte, / perch'a risponder la
materia è sorda, / così da questo corso si diparte / talor la creatura, ch'ha potere / di piegar, così
spinta, in altra parte; e sì come veder si può cadere / foco di nube, sì l'impeto primo / s'atterra, torto
da falso piacere (Paradiso I, 126 - 135). Il cuore umano è inquieto finché non riposa in Dio. La
concreta e perpetua sete (Paradiso I, 19). L'aldilà. Là si vedrà ciò che tenem per fede (Paradiso I,
43).
L'esperienza e il sistema. Non si può sacrificare l'esperienza alle pretese di un sistema (H. Bergson,
L'evoluzione creatrice, in Oeuvres, P.U.F., 1970, p. 428). Può capitare. Cessando di essere pazzo,
diventò stupido (M. Proust). Sognare, essendo desti. Fosti saggia a destarmi. E tuttavia / tu non
spezzi il mio sogno, lo prolunghi (John Donne).
Se si tratta di vera conversione. Ho potuto pienamente toccar con mano ciò che dice il Newman,
ossia chi ha nutrito sinceramente una fede, sente, avvicinandosi al Cristo, che non rinuncia a nulla di
tutto ciò che di buono vi era in essa, ma lo ritrova approfondito, potenziato, illuminato (Giovanni
Modugno, Lettera a Giuseppe Lombardo-Radice, 7 novembre 1930).
TELEVISIONE, LADRA DI TEMPO E BUGIARDA. Oggi molti ragazzi hanno gravi problemi e
uno dei motivi è che trascorrono una parte eccessiva del loro tempo a guardare la televisione.
La televisione è una ladra di tempo: deruba i ragazzi di ore preziose, essenziali per imparare
qualcosa sul mondo e sul posto che ciascuno vi occupa. E questo sarebbe già abbastanza negativo.
Ma la tv non è soltanto ladra: è anche bugiarda. Per quel po' di verità che la televisione comunica,
c'è molto di falso e di distorto, sia in materia di valori che di fatti reali.
«La televisione esercita un potente influsso sui preadolescenti proprio perché al momento altre
istituzioni che dovrebbero prendersi cura di loro funzionano male. In un tempo e in un luogo
diversi, la televisione potrebbe non aver avuto l'influenza di cui gode oggi. Per molti bambini
piccoli, la televisione ha sostituito le fiabe con racconti moderni, omogenei ma meno coerenti. Il
tempo trascorso a guardare la televisione allontana il bambino dalla lettura; la capacità di leggere
è scarsamente sviluppata, e il valore della lettura trascurato. I bambini vengono abbandonati a una
serva infedele che li espone a "vicende sconnesse raccontate da persone sconnesse"» (John Condry,
Cattiva maestra televisione, Reset-Donzelli editore, Roma, 1994).
IL DIO NASCOSTO E GLI SCRITTORI NON CREDENTI. Primo. «È assurdo e inconcludente
voler "mettere sugli altari", "riabilitare" autori lontani dalla Chiesa. Ciò, però, non toglie che il
compito del critico, anche cattolico, non è quello di giudice intollerante, ma quello di porsi di fronte
al testo con la capacità di lasciarsi interrogare, cogliendo se e dove l'autore giunge a mettere in gioco
se stesso».
Secondo. «I temi della frontiera, della soglia, dell'attesa, dell'abbandono, del cammino costituiscono
un intenso vocabolario teologico presente spesso in autori non esplicitamente cristiani. Di fronte a
questi temi mi chiedo spesso se il credente debba parlare sempre di negazione atea o debba, invece,
riconoscere - per esempio in Kafka, o in Gide, o in Henry James - una religiosità che vuol leggere
nei silenzi, negli scarti, nelle fessure della realtà. Occorre anche andare al di là della bestemmia, la
quale a volte, ed è Giobbe ad insegnarcelo, può essere un accorato appello interiore» (Antonio
Spadaro, Corriere della Sera, 8 febbraio 1996).
POESIE DEL «SAI COME SI DICE». Sai come dice l'avvocato. «Dice l'avvocato: / tu dimmi la
verità, / e io racconterò bugie».
Ho visto di tutto. «Ho visto di tutto. / Ho provato di tutto. / Mi sono reso conto di tutto. / E ti dirò
una cosa: / La tua testa / non scambiarla con nessuno».
Dio e il diavolo. «Sai come si dice: / Dove Dio fa una chiesa, / il diavolo subito fa una cappella».
Se vuoi essere lodato. «Sai come si dice: / Se vuoi essere lodato, / devi morire».
I bambini e gli stupidi. «Sai come si dice: / I bambini mostrano il sedere, / gli stupidi i soldi».
L'autore di questi sapidi versi, dal tono campagnolo, è Ivan Golub, poeta e teologo croato vivente.
L'intera sua produzione è raccolta nel volume L'uomo di terra, Hefti editrice, Milano, 1995.
21 marzo 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La favilla e l’incendio. Poca favilla gran fiamma seconda (Dante,
Paradiso I, 34). Se non te ne liberi, diventi ottuso. ...Tu stesso ti fai grosso / col falso immaginar, sì
che non vedi / ciò che vedresti se l’avessi scosso (Paradiso I, 86 - 89). Come Beatrice parlava a
Dante. Per le sorrise parolette brevi (Paradiso I, 95). Non poltrire! Maraviglia sarebbe in te se,
privo / d’impedimento, giù ti fossi assiso, / com’a terra quiete in foco vivo (Paradiso I, 139 - 141)
Io voglio essere là . Sì, io voglio essere là dove non esistono ricordi e rimpianti e reminiscenze e la
paura e la vigliaccheria sono represse dal fertile movimento delle membra e la mente è libera di
vagare nelle solerti vallate della creatività. Sì, io voglio essere là dove le farfalle vivono
intensamente il breve attimo fuggente del loro volo e la loro preoccupazione di vivere è soltanto una
questione di futile formalità (Paul Gauguin).
Siamo uomini o formiche? Gli esseri umani si distinguono dalle formiche perché hanno la facoltà
di esprimere le proprie opinioni più o meno liberamente e perché non tutti hanno la stessa opinione
di fronte allo stesso fatto. Questa facoltà evidentemente non è concessa alle formiche. Ma ci sono
esseri umani che hanno il cervello da formiche. Questi ultimi hanno la pretesa che tutti dovremmo
pensarla allo stesso modo: cioè come loro, cioè come formiche (Albert Eistein).
PERCHÉ CHI È SUPERFICIALE FA COLPO E PARE AVER RAGIONE? «Ascoltate discutere
insieme due filosofi, di cui uno tiene per il determinismo e l’altro per la libertà. È sempre il
determinista che sembra aver ragione. Non importa che sia alle prime armi, mentre l’avversario è
uno sperimentato. Egli può sostenere senza preoccupazione alcuna la sua causa, mentre all’altro
tocca sudar sangue. Di lui si dirà sempre che è semplice, chiaro, vero e lo è in modo facile e
naturale, non dovendo far altro che mettere insieme pensieri già pronti e frasi fatte: la scienza, il
linguaggio, il senso comune, l’intelligenza tutta è a suo servizio. La critica di una filosofia intuitiva
è così facile, così sicura di essere ben accolta, che costituirà sempre una tentazione per il
principiante. Più tardi potrà sopraggiungere il dispiacere di aver ceduto, a meno che non vi sia
un’incomprensione nativa, un risentimento personale nei confronti di tutto ciò che non è
riconducibile alla lettera e che è propriamente spirito. Questo succede, perché la filosofia ha
anch’essa i suoi scribi e i suoi farisei».
Queste osservazioni, evidentemente autobiografiche, Bergson le scriveva nel 1922 in uno scritto
che fu pubblicato nel ‘34, nel volume Il pensiero e il diveniente. Che cosa direbbe oggi il filosofo
francese dei cosiddetti «dibattiti» televisivi, in cui la teatralità, l’apparire in quanto tale, il tagliare le
gambe ai fatti, il discredito delle idee altrui, la frase a effetto e la maleducazione sono i mezzi usuali
per «far luce» su di un qualsiasi problema? In regime televisivo quanto più serio è il problema in
discussione, tanto più si deve temere per la verità e il buon senso.
MUSICA E SILENZIO. La musica di per sé non è silenzio, ma poche altre cose hanno il dono di
generare il silenzio in noi, disponendoci totalmente a rientrare in noi stessi, ad ascoltare nel silenzio
più profondo. Infatti non v’è nulla di più irritante dello sciocco cicalare durante l’esecuzione di un
concerto.
La musica autentica, come la grande poesia e la preghiera, comunica misteriosamente, ma
effettivamente, con la profondità dell’anima, col nostro sub-conscio spirituale. Lì è la sua prima e
più pura sorgente e lì ci riconduce. Nel segreto di noi stessi, nel nostro «io» raccolto in se stesso.
POESIA DEL NOVECENTO. O infinito silenzio. «Signore, per te solo io canto / onde ascendere
lassù / dove solo tu sei, / gioia infinita. / In gioia si muta il mio pianto / quando incomincio a
invocarti / e solo di te godo, / paurosa vertigine. / Io sono la tua ombra, / sono il profondo disordine
/ e la mia mente è l’oscura lucciola / nell’alto buio, / che cerca di te, inaccessibile luce, / di te si
affanna questo cuore / conchiglia ripiena della tua eco, / o infinito silenzio» (D. M. Turoldo).
28 marzo 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Una cosa inconcepibile. È uno spettacolo ripugnante per me
vedere uomini in preda all’odio verso altri uomini cantare la Nona di Beethoven. È sbagliato
cercare il dolore. Avevo imparato ad amare il dolore. Più tardi ho imparato che è sbagliato cercare
il dolore. Quando, però, già ci è stato inflitto, allora sta a noi accoglierlo in un certo senso
volontariamente, cioè con un atteggiamento di accettazione e di offerta.
Il raggio di luce. Nelle ore buie che ci toccano, la cosa più importante è far sì che penetri sempre un
raggio di luce. Non abbatterti. Non devi abbatterti, la prova durerà il suo tempo. Ma anche se
dovesse durare tutta la vita, non dobbiamo lasciarci sviare dalla nostra strada. Sei disposto a farti
lievito? Il futuro dipende dalla piccola percentuale di quelli che ora vogliono e possono avere
l’effetto del lievito, che sono cioè disposti a diventare strumento di una superiore volontà di amore.
I passi sono tratti da Una piccola luce - Lettere della famiglia Scholl dal carcere nazista, a cura di
Aicher-Scholl, Vita e Pensiero, Milano, 1695.
È ACCADUTO UNA VOLTA. Fu settant’anni fa. Il 9 novembre 1926 la Camera dei Deputati
approvò una mozione, presentata dal segretario del partito fascista, per la quale si dichiarava la
decadenza del mandato parlamentare di centoventi deputati. Subito dopo, nella stessa seduta, in
aperta contraddizione con la tradizione liberale, furono istituiti la pena di morte e il Tribunale
Speciale. Al Senato, che era allora di nomina regia, quarantanove senatori si opposero alle leggi
liberticide. Il grande giurista Francesco Ruffini rilevò che per effetto di quella legge, comminante in
un suo articolo gravi pene persino a chi facesse propaganda di idee, alcuni insigni servitori della
Patria - come Giolitti e Orlando - erano ricacciati d'autorità tra i sovversivi e gli anti-nazionali. Il 20
novembre anche il Senato dette la sua approvazione.
Il Tribunale Speciale, si badi, era presieduto da un generale e formato da cinque consoli della
Milizia fascista, cioè di una formazione militare di partito; esso adottava la procedura di guerra e
contro le sue sentenze non era ammesso ricorso. Il legislatore fascista fece di più: passò sopra anche
al principio che esclude la retroattività della legge penale, in quanto avocò all’istituendo Tribunale
Speciale i provvedimenti già in corso per delitti passati. Avvertì, però, il bisogno di mentire:
dichiarò, infatti, che la nuova legge doveva aver vigore per cinque anni. Durò, invece, finché
scomparve il regime fascista.
Insieme al Tribunale Speciale entrò in azione, come organo avente piena autonomia, alle dirette
dipendenze di Alfredo Bocchini, la polizia politica segreta, la cosiddetta Organizzazione volontaria
per la repressione antifascista, l’Ovra. In meno di sedici anni l’Ovra consegnò al Tribunale Speciale
5.139 italiani: 42 furono i condannati a morte, 23.000 gli anni di carcere inflitti.
EVVIVA, È CADUTO UNO DEI TABÙ DEL CONSUMISMO. Mentre isoliti furbi - la pubblica
Telecom in primissima fila - ce la mettono tutta per ritoccare all’insù i prezzi, facendo crescere
l’inflazione, finalmente qualcuno si è fermato in quella corsa verso il precipizio. Lo ha fatto la
Barilla, prendendo una decisione che ha un enorme valore economico ed anche politico: il 14
febbraio u.s. l’azienda leader nel settore paste-forno ha ridotto mediamente i suoi listini del 12%!
La domanda che sorge spontanea è: com’è stato possibile un «miracolo» del genere? E la risposta è
semplicissima. La Barilla ha tagliato nettamente i costi promozionali delle agevolazioni fasulle e ha
rinunciato a praticare quella concorrenza sleale che procede a colpi di bollini e concorsi. La Barilla
ha capito che bisogna ricondurre finalmente produttori e consumatori al buon senso e, così facendo,
ci ha dato un esempio, una lezione di etica e di economia. La concorrenza leale, infatti, non può che
ispirarsi ad un unico criterio, "la miglior qualità al prezzo più basso", e non già puntare
sull’infantilismo dei consumatori.
La decisione della Barilla potenzialmente ha dato straordinaria carica innovativa, ma i consumatori
capiranno una buona volta dov’è il loro vero vantaggio? Se lo facessero darebbero anche un
contributo decisivo a fermare l’inflazione. Non sappiamo che cosa potrà derivare da una decisione
così giusta e necessaria ma, vada come vada, uno dei tabù dell’incretinimento consumistico di
massa è caduto a pezzi. E noi facciamo festa.
4 aprile 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il torchio e la gioia. L’essere umano più nobile e puro è quasi
sempre colui che è passato attraverso il torchio della sofferenza. Ma ogni purificazione è finalizzata
alla gioia. Il senso del patire alla fine è la gioia (Inge Scholl - è sorella di Hans e Sophie, animatori
del gruppo di resistenza al nazismo «La Rosa Bianca». Il brano è tolto da una lettera clandestina del
12 aprile ‘43, scritta in carcere, dove i familiari di Hans e Sophie erano stati rinchiusi quattro giorni
dopo la decapitazione dei loro cari, eseguita il 14 febbraio ‘43). Com’è possibile? Come può essere
ammissibile che si sia felici con chi è felice e si pianga con quelli che piangono, come può essere
che questa gioia e questo dolore alberghino contemporaneamente nell’anima? (Inge Scholl al
fratello Werner, 18 aprile ‘43).
Andare incontro al futuro . Non è giusto attendere il futuro con una semplice alzata di spalle o con
pessimismo, senza andargli incontro con una sorta di accondiscendenza interiore (Inge Scholl al
padre Robert, 26 luglio ‘43). Se l‘amicizia è sincera. Un’amicizia senza difficoltà e rimproveri non
va bene, è costruita sulla sabbia. Ma gli amici devono costantemente sentire che il giudizio severo è
sempre accompagnato dall’indulgenza (Inge Scholl al padre, 4 settembre ‘43). Degrada l’uomo.
Non amo il motto: il bastone e la carota. Degrada l'uomo (Inge Scholl, ibid.).
I pensieri qui riportati sono tratti dallo splendido volume Una piccola luce - Lettere della famiglia
Scholl al carcere nazista, a cura di Inge Aicher-Scholl, Vita e Pensiero, Milano, 1995.
«UN CAMMINO VERSO LA FEDE». Ci sono i santi e i mistici dentro la Chiesa; ma ci sono anche
coloro che hanno ricevuto la difficile, singolarissima vocazione di «vivere un cammino verso la
fede», senza varcare la soglia della Chiesa, che pure rimane l’interlocutrice continuamente presente.
E tra essi, tra i cristiani senza Chiesa, vi sono anche grandi anime. La «santa dei senza chiesa» nel
nostro secolo è stata Simone Weil (1969 - 43), la cui vita eroica e i cui scritti hanno toccato il cuore
di tante persone in ricerca, ma anche di uomini come Angelo Roncalli, Giambattista Montini,
Robert Schumann, Julien Green, tutti saldamente dentro l’ortodossia cattolica. Quest’anno chiedo a
lei una riflessione sulla Pasqua.
LA CROCE COME PATRIA. Weil considera il centro del Vangelo, «la sua parola più penetrante»,
il grido di Gesù: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Com’è possibile che un Dio lanci
quel grido, se,almeno per un istante, lo Spirito non si sia allontanato da lui? «Dio stesso, dato che
nessun altro avrebbe potuto farlo, è andato alla distanza massima, ha toccato la distanza infinita da
se stesso. Questa distanza infinita fra Dio e Dio, lacerazione suprema, dolore a cui nessun altro è
paragonabile, meraviglia dell’amore, è la crocifissione. Questa lacerazione, in cui l’amore supremo
pone il legame della suprema unione, risuona perpetuamente attraverso il cosmo, al fondo del
silenzio come due note separate e fuse in un‘armonia pura e straziante. È questa la parola di Dio. La
creazione tutta intera non ne è che la vibrazione. Quando la musica umana nella sua più grande
purezza ci attraversa l’anima, è questo che noi avvertiamo per suo tramite. Quando abbiamo appreso
ad ascoltare il silenzio, è questo che noi cogliamo, più distintamente, per suo tramite.
L’universo e tutta l’esperienza umana della sventura non è che un’eco di quel grido. «In qualunque
epoca, in qualunque Paese, dovunque c’è una sofferenza, la croce di Cristo ne è la verità» (Pensées
sans ordre concernant l‘amour de Dieu, Gallimard Parigi 1962).
L’IMMAGINE BIFRONTE DELLA POLITICA. «Un motivo di tristezza che, purtroppo, si rinnova,
è l’immagine bifronte della politica: da un lato, essa promette riforme, giustizia, civiltà; dall’altro,
essa produce «nuovi padroni», nuovi scambi» di favori oscuri, «nuovi eletti»...
Si, mi pare questo il costume che ancora dura col sopraggiunto «nuovo». Ma c’è pure una
«carriera», che deve continuare: quella di saper preparare, coi principi e con l'azione, i giovani alla
politica autentica; quella di negare la fiducia agli uomini che hanno se stessi come programma;
quella di non disperare mai e di lavorare, per il bene comune, nella libertà, sino alla fine della vita»
Angelo Scivoletto in Supplemento d’anima, 1996, n. 59, p. 18).
11 aprile 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il messaggio della ridicolaggine. Nessuno è esente dal dire cose
prive di senso. Il guaio è farlo con solennità (Tony de Mello, Shock di un minuto, Paoline, 1996).
La verità come l’acqua sorgiva. Cerco una verità che continuamente si rinnovi in me e in ciascuno
di noi (Carlo M. Martini).
Il tradimento degli intellettuali. Non vi è per l’intellettuale che una forma di tradimento o di
diserzione: l’accettazione degli argomenti dei politici senza discuterli, la complicità con la
propaganda, l’uso disonesto di un linguaggio volutamente ambiguo, l’abdicazione della propria
intelligenza alla opinione settaria, in una parola il rifiuto di comprendere, e in tal guisa di apportare
agli uomini l’aiuto prezioso di cui la cultura sola è capace, l’aiuto a infrangere i miti, a spezzare il
circolo chiuso di impotenza e di paura, in cui si rivela la contagiosa inferiorità della ignoranza
(Norberto Bobbio, Politica e cultura, Einaudi, Torino, 1955).
LA FILOSOFIA E LA SEMPLICITÀ. Nello scritto L’intuizione filosofica Bergson, nell’atto di
chiarire un aspetto fondamentale del suo pensiero, ci dice come la filosofia non dovrebbe essere
concepita e neppure insegnata. È errato - afferma Bergson - ridurre un nuovo orientamento
filosofico ad un «assemblaggio» di idee preesistenti, a un «lavoro di mosaico»; così ci si illude di
spiegare una filosofia con l’ambiente, ossia con ciò che fu attorno ad essa.
Certamente un pensiero nuovo deve manifestarsi, per forza di cose, attraverso le idee che incontra
davanti a sé e che trascina nel suo movimento; in questo senso, esso può apparire relativo all’epoca
in cui il filosofo è vissuto. Ma una veduta del genere non considera che «le cose già dette da altri
filosofi il filosofo le pensa a modo suo» e che «non si può confondere la materia, di cui il filosofo
doveva servirsi per dar forma concreta al suo pensiero, con l’elemento costitutivo della sua dottrina»
(Oeuvres, Puf, Parigi, 1970[3], pag. 1349). Orbene, l’elemento costitutivo di una dottrina, il suo
significato profondo altro non è che l’intuizione originale che ne costituisce il cuore o, se si vuole, il
punto di forza. Afferrare l’intuizione che anima dal di dentro una filosofia è la prima e la più
importante condizione per intenderla e per insegnarla con il rigore e la passione disinteressata che
essa esige.
Non ci si deve, però, dimenticare di un paio di cose. La prima è che «un filosofo degno di questo
nome non ha mai detto che una cosa sola: meglio, ha cercato di dirla piuttosto che dirla veramente»
(ibid., 1350). E la seconda :la filosofia è una forma di sapere in cui l’approfondimento va di pari
passo con la semplificazione. «Occorre che la complicazione della lettera non faccia perdere di vista
la semplicità dello spirito» (ibid., 1345).
TELEVISIONE, SERVA PADRONA. I ragazzi non fanno forse quel che hanno sempre fatto, cioè
osservare la società per capire meglio che posto occupano al suo interno? La televisione non li
informa forse sugli usi e sui costumi esattamente come in passato i ragazzi acquisivano tali
informazioni osservando le persone che li circondavano?
«La risposta è semplice: sì e no. Sì, i ragazzi fanno quello che hanno sempre fatto, con meno aiuto
che mai da parte degli adulti; no, la televisione non li informa sul mondo, anzi spesso li disinforma.
La televisione non è concepita per fornire ai ragazzi informazioni circa il mondo reale. Quando
viene usata per questo scopo, fa un pessimo lavoro. La tv moderna, specie nel modo in cui viene
attualmente utilizzata, ha un unico obiettivo: vendere merci. La televisione è fondamentalmente uno
strumento commerciale. I suoi valori sono i valori del mercato; la sua struttura e i suoi contenuti
rispecchiano tale obiettivo.
Lo scopo dei responsabili della programmazione televisiva è catturare l’attenzione del pubblico e
trattenerla abbastanza a lungo per propagandare un prodotto. Considerato il funzionamento della
psiche umana, non è compito facile. Gli esseri umani si annoiano e si desensibilizzano facilmente.
Per conquistare la nostra attenzione, la televisione è costretta a trasformarsi di continuo. Se quel che
attrae l’attenzione è distorcere la realtà, vi sarà distorsione. Scopo primario della televisione, anche
di quella sua parte che si definisce “istruttiva”, è conquistare l’audience. Anche la tv istruttiva
compete con la tv commerciale per l’attenzione del pubblico.
La televisione è governata dall’orologio. Qualsiasi elemento drammatico e qualsiasi incertezza che
vengano introdotti debbono essere risolti e soddisfatti entro la fine del programma. Ci sono i
prodotti da vendere. È il tempo che detta il passaggio ad un altro programma, ad altri prodotti»
(John Condry - Testo riportato dal prezioso volumetto Cattiva maestra televisione, Reset-Donzelli
editore, Roma, 1994).
18 aprile 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA -Se la parola è alta e verace. Io veglio sulla mia parola per darle
compimento (Libro di Geremia 1, 12). L’Iddio di Abramo, Isacco, Giacobbe. Io sono con te per
salvarti (Libro di Geremia 1, 18). Come dire "sì" a Dio. Per amore della tua Parola e secondo il tuo
cuore (2 Samuele 7, 20).
La parola libera. La parola libera è vittoria sulle forze di derisione e di oppressione; ma è
innanzitutto il superamento della propria paura (Levi Appulo). Un tempo per tacere e un tempo per
parlare. C’è un tempo adatto per tutto: un tempo per tacere e un tempo per parlare. Devi tacere
quando non trovi un interlocutore disponibile; devi parlare quando il Signore ti concede una lingua
sapiente, così da rendere efficace il tuo discorso nel cuore dei tuoi ascoltatori (S. Ambrogio,
Explanatio Psalmi XLIII, 72 - La spiegazione del Salmo 43 fu scritta pochi giorni prima della sua
morte, nel 397).
Siamo tutti degli "ex".
Enzo Bettizza ha coniato una parola nuova: exeità. Significa,
intuitivamente, sentimento di essere un ex. Forse un giorno gli accademici della Crusca
l’accetteranno. In verità, ci sono tanti modi di sentirsi ex: esistono ex amanti ed ex potenti, ex
militanti, ex amici. Tutti, in fondo, siamo ex qualcosa, e Nietzsche ricordava che ognuno di noi è a
suo modo un uomo postumo ( Corriere della Sera, 8 febbraio 1996).
DALLA MEMORIA STORICA LA SPINTA VERSO IL FUTURO -Non si può parlare di Europa
senza chiedere: che cosa è l’Europa,. che cosa significa essere europei? L’interrogativo è non solo
inevitabile, ma decisivo perché noi attendiamo dalla nostra memoria storica e dal nostro modo di
porci dinanzi ad essa, dalla nostra capacità di riscoprire il nostro patrimonio comune, la spinta più
decisiva e l’orientamento ai valori che devono guidarci nella costruzione della nuova Europa,
l’Europa del Terzo Millennio. Essere o divenire europei, infatti, non è tanto un dato originario, o un
luogo di nascita, quanto una forma mentis e una visione della vita, e dunque una scelta, una
vocazione, un compito che si può accettare o tradire; è riconoscersi in certi valori ed è rifiutare, di
conseguenza, i disvalori e i contro-valori che li negano.
Dal punto di vista geografico non siamo che «un promontorio dell’Asia», come diceva Paul
Valèry. Dal punto di vista razziale siamo il risultato di un processo di commistione durato almeno
quattromila anni: dapprima tra le popolazioni indigene e gli indoeuropei; poi tra le popolazioni
romanizzate e i germani; infine, tra il IX e l’XI secolo, entrano a far parte della comune civiltà a Est
gli slavi e gli ungheresi, a Nord i danesi, i vichinghi, i normanni. Non esiste dunque
geograficamente un continente europeo che abbia una fisionomia distinta come l’Africa o le
Americhe, o l’Australia; e non esiste neppure un Urvolk, una razza pura europea. Esiste, però, ed è
fatto di immensa portata, un’Europa culturale, morale, politica con sue proprie radici e con sue
proprie caratteristiche, ed è in quelle radici e in quelle specifiche caratteristiche che si identifica la
realtà storica del nostro continente.
QUATTRO VERSI DA NON DIMENTICARE.- Antonio Machado nasce a Siviglia nel 1875,
pubblica la sua prima raccolta di poesie nel 1927 e l’ultima nel ‘36, quando nella sua patria scoppia
la guerra civile. Si schiera con la Repubblica contro Franco; ripara in Francia nel ‘39 e in quello
stesso anno muore.
Nei Campi di Castiglia si leggono questi versi di straordinaria profondità: «O tu ed io stiamo
giocando / a rimpiattino, Signore, / o la voce con cui ti chiamo / è la tua voce».
L’ANGOLO DI AGOSTINO. - Non montiamoci la testa. «Cambieremo in meglio, a condizione
che riconosciamo di non essere altro che uomini. È l’umiltà che ci eleva. Se invece ci illudiamo di
essere chissà chi, non solo non riceveremo quello che ancora non siamo, ma perderemo anche ciò
che siamo». (Commento al Vangelo di Giovanni 1, 4).
La parola che rimane dentro. «A forza di parlare, le parole perdono valore: risuonano, passano e
non sembrano altro che suoni. C’è, però, anche nell’uomo una parola che rimane dentro; dalla
bocca, infatti esce soltanto il suono. È la parola che viene pronunciata autenticamente nello spirito,
quella che tu percepisci attraverso il suono, ma che non si identifica con esso» (ibid. 1, 8).
Sulla Parola di Dio. «Dio è una parola tanto breve: tre lettere e due sillabe! Ma quanto è grande il
significato di ciò che esprime. Che cosa c’è nel tuo cuore quando tu pensi a colui che è la vita,
l’eterno, l’onnipotente, l’infinito, l’onnipresente, colui che è ovunque nella sua interezza e che non è
in alcun modo circoscritto?» (ibid. 1, 8).
25 aprile 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Lo spazio dello spirito. Il silenzio è lo spazio dello spirito, là dove
esso può dispiegare le sue ali (A. De Saint-Exupéry, Cittadella, in Oeuvres, Digione, 1965, p. 587).
Essere è amare. L'amore è criterio d'esistenza - è criterio di verità e di realtà. Ove non è amore non
è verità. Ed è qualche cosa soltanto colui che ama qualche cosa - non essere niente e non amare
niente è la stessa cosa. Quanto più uno è, tanto più egli ama, e viceversa (Ludwing Feuerbach,
Principio della filosofia dell'avvenire, ed. Laterza, Bari, § 35).
L'uomo completo. L'arte, la religione e la filosofia o scienza, sono soltanto i fenomeni o le
rivelazioni della vera essenza umana. Uomo, uomo completo e vero è solo colui che ha senso
estetico o artistico, religioso o etico, filosofico o scientifico. È uomo, nel senso generale del termine,
solo chi non esclude da sé nulla di essenzialmente umano. Homo sum, humani nihil a me alienum
puto (L. Feuerbach, ibid., § 55). La vera dialettica. La vera dialettica non è un monologo del
pensatore solitario con se stesso, è un dialogo tra io e tu (L. Feuerbach, ibid., § 62).
LÌ SONO LE NOSTRE RADICI. - L'esistenza dell'Europa culturale, morale e politica è attestata da
un sistema di vita e di educazione che ha creato nel corso dei secoli una somiglianza di consuetudini
sociali e forme di vita per cui, come notò nel secolo scorso il Guizot, «nessun europeo potrebbe
essere completamente esule in alcuna parte d’Europa», e una cert’aria di famiglia si avverte tanto a
Brescia, a Firenze, a Vienna, a Budapest come a Cracovia, a Praga, a Londra, a Barcellona. La
nostra, infatti, è una civiltà, le cui radici e i cui grandi influssi formatori sono gli stessi, in Italia
come in Polonia e in Ungheria: sono la Grecia classica, Roma e il Cristianesimo. E finché in
Europa ci saranno europei, eredi cioè e continuatori della più alta e multiforme civiltà che la storia
conosca, sarà ancora e sempre lì, su quelle fondamenta, che il nostro continente ritroverà le ragioni
delle sue identità, il suo ubi consistam.
La Grecia classica ha fondato in ogni campo, dalla poesia alla scienza, dalla filosofia alla
storiografia, la nostra tradizione culturale e ha forgiato per sempre il tipo dell’uomo europeo. Grazie
a Socrate la Grecia ha inaugurato la civiltà del dialogo e il metodo della discussione critica quale
solo strumento di cui disponiamo per avvicinarci alla realtà. E tuttavia, malgrado il suo splendore, la
paideia greca era confinata tra l’Egeo e l’Adriatico, tra Atene, Antiochia e Alessandria. Ci volle
Roma per allargare la superiore paideia greca a tutto l’occidente barbarico, dando così al nostro
continente la sua unità culturale. Fu questa la missione più alta di Roma, unitamente alla creazione
del diritto, alla cui certezza non v’è alternativa se non quella dell’arbitrio e della disumanità, dentro
gli Stati e fra gli Stati. Senza Atene e senza Roma, dunque, niente Europa; e tuttavia l’Europa non
sarebbe ugualmente senza il Cristianesimo e senza la Chiesa Cattolica, suo tramite storico e centro
propulsore della sua unità; ed è stato ed è tuttora il Cristianesimo a dare all’Europa la sua unità
morale e religiosa.
«PROVERBI E CANTARI» DI ANTONIO MACHADO. L’io e il suo doppio. «Cerca nel tuo
specchio l’altro, / l’altro che va con te».
Le cose buone. «Buona è l’acqua e la sete; / buona è l’ombra e il sole; / il miele del fior di
rosmarino, / il miele di campo senza fiore».
Perché si mente. «Si mente più del previsto / per mancanza di fantasia: / anche la verità bisogna
cercarla».
Quello che importa. «Oltre il vivere e il sognare / c’è quello che importa: / svegliarsi».
L'ANGOLO DI AGOSTINO. Intima appartenenza. «Una parola tu puoi averla nel tuo cuore e
allora essa è come un’idea nata nella tua mente, qualcosa che la tua mente ha partorito come sua
prole» (commento al Vangelo di Giovanni 1, 9). Il rischio. «A forza di usarle, le parole perdono il
loro valore» ( ibid. 1, 9). Creazione e nuova nascita per grazia. «Se per colpa tua vieni meno a ciò
che devi essere, ti rifaccia colui che ti ha fatto. Se per colpa tua decadi, colui che ti ha creato ti
ricrei» (ibid. 1, 12). Riconosci che cosa sei. «Quando s’insuperbisce e si innalza contro Dio, l’uomo,
pur non essendo altro che un uomo, rifiuta di riconoscere nei suoi simili il suo prossimo. È mortale,
ma calpesta esseri mortali come lui. Che cos’è mai, o uomo, questa superbia che ti gonfia?
Riconosci quello che sei» (Cognosce qui sis, ibid. 1, 15).
1 maggio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Parlarsi con gli occhi. Fissa con gli occhi stava ed io in lei
(Dante, Paradiso I, 65). Il trasformarsi dell'umano nel divino. Trasumanar significar per verba / non
si porìa... (Paradiso I, 70-71). Dio è amore, non solo oggetto d'amore. Amor che 'l ciel governi
(Paradiso I, 74). L'ordine, strutturando gli esseri, li rende simili al loro Creatore, pur nella
diversità dei livelli di perfezione. Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che
l'universo a Dio fa somigliante. / Qui veggion l'alte creature l'orma / de l'eterno valore, il quale è
fine / al quale è fatta la toccata norma. / Ne l'ordine ch'io dico sono accline / tutte nature, per diverse
sorti, / più al principio loro e men vicine; / onde si muovono a diversi porti / per lo gran mar de
l'essere, e ciascuna / con istinto a lei dato che la porti (Paradiso I, 103 - 114).
Combattivi, ma non faziosi. Ci si deve impegnare per ciò che ci obbliga in coscienza, per la verità
in ogni campo, in difesa di chi è nella sofferenza e nell'oppressione. Ma l'amore appassionato per la
verità e la giustizia non deve mai trasformarci in uomini di parte (Levi Appulo).
Profeta ed empirista. Le qualità del profeta e dell'empirista non dovrebbero essere incompatibili in
un politico (Raymond Aron).
USCIRE FINALMENTE DAL «PAESE DELLA BANANE». L'espressione «paese delle banane»
sta a significare uno Stato e una società in cui la politica si fa mediante gli affari e gli affari più
sporchi si fanno proprio mediante la politica. Noi ora sappiamo che l'Italia nel decennio '80-'90 è
diventata giorno dopo giorno, il «il paese delle banane» per antonomasia, quello in cui persino le
sentenze della Corte Costituzionale erano sistematicamente disattese dai governi e dalle
maggioranze parlamentari, se osavano interferire con gli affari dei potentissimi sponsor.
Se amiamo questa nostra Italia, se vogliamo adoperarci veramente per la sua rinascita, non si può
continuare a tacere, o a essere reticenti, su una politica la cui prassi era quella di mettere fuori legge
la... legge.
Dovrebbe allora apparire evidente che, prima di ogni discussione su l'una o l'altra riforma
costituzionale, sull'uno o l'altro provvedimento, la cosa assolutamente necessaria è che lo Stato torni
ad essere Stato di diritto, che renda cioè praticamente riconoscibile nel suo operare il primato del
valore morale, a cui ogni legislazione e lo stesso potere esecutivo debbono essere incessantemente
ricondotti.
Noi crediamo che non vi sia questione più importante di questa per rinnovare politicamente il nostro
Paese, se non si vuol degradare la democrazia a menzogna convenzionale e a scelta illusoria.
COLTE A VOLO NEL BAILAMME ELETTORALE. Le parole fatidiche. «La storia è vigile»
(Domenico Contestabile, avvocato deputato di Forza Italia).
La citazione imbarazzante. «Per spiegare la situazione attuale vorrei prendere in prestito una frase
di Mao. "La strada è a zig-zag e il futuro è luminoso"» (Pierferdinando Casini).
Un'osservazione geniale. «Pochi sono i chiamati [per la politica], ma molti gli eletti» (Aldo
Grasso).
I baffetti di D'Alema. «Se io dovrò tagliarmi i baffi, Berlusconi dovrà rimettersi i capelli»
(Massimo D'Alema - In effetti, quando era «intrattenitore di bordo» su navi da crociera, Berlusconi
aveva un'abbondante chioma corvina).
Irene Pivetti e nostro Signore. «Con Dio ho un rapporto fisico, come con la spina dorsale» (I.
Pivetti - Francamente di siffatta teologia al femminile non si sentiva proprio il bisogno).
Il feroce proposito. «Se vinciamo, questa volta non ci saranno prigionieri» (Cesare Previti).
UNA POESIA PER IL PADRE. Da Marone d'Iseo. «Dov'è il boschetto d'acacie, / l'osteria della
frasca, / il gioco delle bocce, il pergolato / del glicine ronzante calabroni? / Qui venivo bambino, /
stordito dalla gente e dalla festa / (tu mi tenevi per mano) / nei lunghi interminabili / tramonti
dell'estate / quando lo specchio del lago / s'increspava alla brezza della sera.
Dalla stanza a terreno / usciva il gran vociare della morra. / Sui tavolacci scuri, nell'afrore / del
clinto, i mezzi litri / erano le pazienti / clessidre dello scopone. / Il berretto rialzato sulla fronte, /
come in un vecchio quadro di Cézanne, / un giocatore mordicchiava il sigaro / e sputacchiava
liquidi pensieri. / Dall'acquaio giungeva / un ciangottare d'acqua e di stoviglie / e la Marisa dava su
la voce / ai più chiassosi e sguaiati / e al solito balordo / che, avendo fatto il pieno, / concionava da
solo contro il muro.
Ora la neve dei fiori d'acacia / si accumula contro i gradini / della vecchia osteria / chiusa da tempo
e in rovina. / La lunga festa è finita / e tu non mi conduci più per mano» (Giovanni Cristini, 1925 1995, in Weekend in terra straniera, IPL, Milano, 1986).
9 maggio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Due pensieri dolcissimi. "Non maledire giammai. Sulle tue labbra
è la vita, sulla tua bocca un fiore". "Dio ti ha fatto immortale. Quel che la luce è per me, Dio è per
te" (Dal Libro della Sapienza).
La dittatura tempo=denaro. Se il tempo è denaro perché chi ha molto denaro ha poco tempo e chi
ha molto tempo ha poco denaro? (Da Rivista Internazionale, marzo 1996).
Mettiamola così. I politici sono i cuochi, noi cittadini gli avventori. Perché mai non dovrebbero
esserci i nuclei anti-sofisticazione? (Levi Appulo).
Verità surreale. Il 20% delle persone è comunque contrario a qualsiasi cosa (Robert Kennedy). Il
paradosso. Un solido governo conservatore: una politica di destra fatta da uomini di sinistra (B.
Disraeli). Amara verità. Nella corsa alla servitù, e alla viltà nonché ai calcoli che l'accompagnano,
non esistono traguardi a cui fermarsi. Non è mai troppo tardi, infatti, per spingersi sempre più avanti
(Levi Appulo).
QUAL È IL GENIO DELL'EUROPA? - Gli influssi formatori dal cui intreccio è sbocciata la
civiltà europea, sono la Grecia, Roma e, attraverso la Chiesa, il Cristianesimo. Alla Grecia l'Europa
deve l'unità culturale, a Roma il diritto, al Cristianesimo l'unità morale e religiosa. Ma se quelle
sono le sorgenti, quali sono i caratteri della nostra civiltà, così come si sono venuti svolgendo,
attraverso una storia lunga e drammatica, ad opera delle diverse nazioni? Qual è insomma il
«genio» dell'Europa, ciò che fa dell'Europa una individualità storica, una tradizione, una forma di
civiltà che può fare appello a tutta una serie di nomi, di fatti, di pensieri che le hanno dato nei secoli
un'impronta incancellabile, che la fa diversa rispetto alle tradizioni, memorie e speranze dei cinesi,
degl'indiani, degli africani o degli arabi? Ebbene, a partire dal 490 a.C., data d'inizio dell'impari
lotta delle città-stato greche contro l'impero Persiano che voleva assoggettarle, ad oggi, la risposta a
quella domanda è sorprendentemente la stessa: il genio dell'Europa, la sua forza, il suo dinamismo
sta nell'aver coniugato l'identico e il diverso, l'unità e la pluralità come nessun altra civiltà.
La nostra è una civiltà varia e anche tempestosa, in cui l'esistenza stessa di una molteplicità
dialettica di nazioni, di forze sociali, di orientamenti culturali e di famiglie spirituali in perenne
confronto tra loro è talmente organica da non permettere mai ad uno solo di quei principi di
assoggettare del tutto l'intero continente e nemmeno un intero Paese. L'Europa è, aristotelicamente,
pollacos, cioè multisignificante e multiforme, non è aplos, non è parmenidea, cioè monistica e
uniforme. E poiché la libertà nasce dall'impossibilità per una sola forza di soffocare le altre, e
l'Europa è il continente in cui tale impossibilità accompagna tutta la sua storia, da Serse a Hitler e
Stalin, l'Europa è la madre della libertà; e la libertà è diventata, nello stesso tempo, il risultato della
storia d'Europa e il valore , dal cui riconoscimento pratico trae origine e regola la varietà di principi
e istituzioni che caratterizzano la nostra civiltà.
PLURALITÀ DELLE SFERE DELLA VITA. - Non che l'assoggettamento del tutto a un solo
principio a una sola razza, a una sola ideologia non sia stato tentato più volte; ma è sempre fallito, e
il tentativo più colossale, quello operato nel nostro secolo dalla barbarie totalitaria, comunista e
nazista, è sprofondato nella sconfitta e nell'ignominia. L'Europa, però, ha potuto resistere alle
violente negazioni della sua civiltà generale dal suo interno, e farsi portatrice di libertà nel mondo,
perché il messaggio religioso che l'ha fecondata, il Vangelo, porta in sé il principio stesso della
pluralità delle sfere della vita.
Per questo non cesseremo di ringraziare gli evangelisti che hanno raccolto dalla bocca di Cristo e ci
hanno trasmesso le grandi inequivocabili parole: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel
che è di Dio» (Mt. 22, 21-22). Parole con cui Cristo condanna senz'appello l'integralismo, la cui
logica perversa comanda la cancellazione della più importante delle distinzioni, quella tra fede e
politica, Chiesa e Stato, religione e partito.
L'ANGOLO DELLA POESIA. - Luce del mattino. «Su ogni turbine, polvere vorticante, / splendi
lassù, alta sul mio cammino, / oltre i falliti sforzi del vagabondo errore, / fonte serena, / pura luce
del mattino» (Hermann Hesse, settembre 1953. Trad. Sergio Solmi).
16 maggio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La parola. Ogni dolore può essere sopportato se lo si narra o se se
ne fa una storia (I. Dinesen). Il giorno del giudizio. Nulla di ciò che si è verificato va perduto per la
storia. Certo, solo all’umanità redenta tocca interamente il suo passato. Vale a dire che solo per
l’umanità redenta il passato è citabile in ognuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi attimi vissuti
diventa una citazione à l’ordre du jour e questo giorno è il giorno del giudizio (W. Benjamin).
Dove il pensiero veglia e si esprime. Un’iniziativa di pensiero può virtualmente includere tutte le
altre. Dove il pensiero veglia e si esprime, i valori più preziosi, quelli dello spirito, rimangono, e
non solo sopravvivono, ma finiscono per generare altre espressioni di vita e, a Dio piacendo, per
vincere (Paolo VI, 15 giugno 1964).
Lo sdegno del cattolico Cartesio. Io biasimo profondamente coloro che vogliono abusare
dell’autorità della Chiesa per esercitare le loro passioni (Da una lettera di René Descartes a padre
Mersenne).
Il tratto del grande artista. Quale giustapposizione di curve conosciute equivarrà mai al tratto di
matita di un grande artista? (H. Bergson, L’evoluzione creatrice, in Oeuvres, Puf, Parigi, 1970, pag.
698).
AD AUSCHWITZ DIO DOV’ERA? Elie Wiesel ci dà la testimonianza diretta, nel racconto
autobiografico La notte (Editrice Giuntina), di come egli ha vissuto la sconvolgente domanda.
Eccone il passaggio essenziale. È una pagina che andrebbe imparata a memoria. «Un giorno che
tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell’appello: tre corvi neri. Appello.
Le SS intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati in
catene, e tra loro il piccolo Pipel, l’angelo dagli occhi tristi.».
«Le SS sembravano più preoccupate, più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a
migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi
erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L’ombra della forca lo
copriva. "Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia. Tre SS lo sostituirono. I tre
condannati salirono insieme sulle seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei
nodi scorsoi. - Viva la libertà! gridarono i due adulti. Il piccolo, lui taceva. - Dov’è il Buon Dio?
Dov’è? - domandò qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del campo le seggiole vennero tolte.
Silenzio assoluto. All‘orizzonte il sole tramontava.
Scopritevi! - urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo. Copritevi! Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata,
bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora...
Più di mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi
dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era
ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: - Dov’è
dunque Dio? - E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:- Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella
forca...».
Sfido chiunque a leggere questa pagina senza... commuoversi e senza pensare al Cristo del Venerdì
Santo.
CHE LE DOMANDE DIVENTINO...SPINE. «I cristiani di professione» si trovano spesso in
pericolo di credersi troppo ben informati su Dio. Essendo sempre pronti con le loro risposte, essi
cancellano ogni interrogativo. Noi dovremmo, invece, lasciar aperte le domande, affinché esse
diventino una spina, che ci spinga a cercare nel profondo la verità. Il teologo Heinz Zahrnt nota che
sempre più spesso chi annuncia la parola di Dio solleva all’inizio dell’omelia domande che
inquietano; ma in pochi minuti egli ce la fa, le piega a una conclusione. «A differenza di un torneo
di tennis una predica in chiesa finisce sempre bene».
L’ANGOLO DELLA POESIA. Sul bisogno di accordare l’io e il mondo. «Procedi, poeta, procedi
diritto / sino al fondo della notte / con la tua voce suasiva / riportaci ancora alla gioia; / con
un’aratura di poesia / trasforma in vigneto la maledizione, / canta il fallimento umano / in estatica
angoscia; / nei deserti del cuore / fa’ che sgorghi la fonte che risana, / nella prigione dei suoi giorni /
insegna all’uomo libero la lode» (W. Auden, Poesie, Guanda, Parma, 1952).
23 maggio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. L’amore per il mondo. Io in realtà sono molto felice perché non si
può andare contro la propria vitalità naturale. E il mondo, così come Dio lo ha creato, a me sembra
buono (Da una lettera di Hannah Arendt a Kurt Blumenfeld, scritta nel 1947. La citazione è tratta
dal bel volume di Paola Ricci Sindoni, Arendt. Come raccontare il mondo, Edizioni Studium,
Roma, l995).
La condizione fondamentale. Il non conformismo sociale è il sine qua non di ogni conquista
intellettuale (H. Arendt). La ragion d’essere della politica. La ragion d’essere della politica è la
libertà, e suo compito è produrre situazioni che creino o allarghino lo spazio della libertà (Renzo
Zorzi).
Non basta neppure nell’era televisiva . Forse non basta essere dei comunicatori; bisognerebbe avere
anche qualcosa da dire (Enzo Biagi). Pietre che ti rimbalzano addosso. Le parole, è stato detto, sono
pietre, pietre che talvolta ti rimbalzano addosso (E. Biagi).
Punire è necessario. Punire è come curare: il malato può anche non guarire, non per questo, però,
lo lascerai senza cure (Guido Ceronetti).
GIOVANNI REALE SCRIVE A EUGENIO SCALFARI: «NON È SOLO ISTINTO DI
SOPRAVVIVENZA». Sul finire del ‘95 Giovanni Reale ha pubblicato un libro che nasce da una
nobile ansia e dalla lunga frequentazione della filosofia classica: Saggezza antica. Terapia per i
mali dell'uomo di oggi, Raffaello Cortina Editore, Milano. Eugenio Scalfari lo lesse addirittura in
bozze e ne scrisse subito all’autore. Dalla lettera di risposta di Reale al direttore di Repubblica mi
permetto di riportare due passaggi significativi.
«Ho letto il suo libro Alla ricerca della morale perduta - scrive Reale - e dal momento che Lei e io
parliamo della medesima cosa nei nostri due libri, sia pure affrontando i problemi da due punti di
vista apparentemente del tutto opposti, mi ha molto sorpreso che, in certe Sue belle pagine, io mi
sento a mio agio... Mi permetta, caro direttore, di riferirle le impressioni che ho tratto...
Lei ha scelto la maschera drammaturgica dell’ateo, ma non mi pare proprio che l’abbia scelta bene,
perché io in essa trovo dei buchi non piccoli che lasciano intravvedere ben altro. Mi limiterò a due
sole questioni...
Domenica 26 novembre su Repubblica Lei ha scritto: “A volte mi prende un senso di sconforto per
gli errori che erano stati previsti in tempo e indicati, ma che malgrado i ripetuti e documentati avvisi
furono pervicacemente commessi, fonte di altri errori successivi e di degrado morale e politico...
Conducemmo quindici anni di battaglia solitaria nell’indifferenza quasi generale”.
Ebbene, come potrebbe mai dire che ha condotto per quindici anni senza posa questa lotta, spinto
solo - stando alla sua dottrina - “dall’istinto di sopravvivenza della specie”, che sarebbe la fonte
della morale? La verità mi sembra ben differente.
Lei ha condotto quella lotta per una precisa consapevolezza di un valore di verità e per una grande
fede in esso. Quello che Lei chiama “istinto di sopravvivenza della specie” non è la vera causa del
Suo agire, ma, per dirla con Platone, è la concausa, o, se preferisce, lo strumento con cui la vera
causa opera.
Torniamo allora alla maschera drammaturgica dell’ateo. Come Nietzsche ci ha ben insegnato, la
morte di Dio, l’ateismo in senso vero e proprio, consiste nell'azzeramento di tutti i valori. Ma Lei,
caro Scalfari, i valori non li ha azzerati. Dunque, quella maschera ha un grosso buco».
CI VUOLE PASCAL PER ANDARE AL FONDAMENTO DELLA QUESTIONE. «Veniamo al
secondo punto - incalza Reale - quello teorico. Lei ama molto Voltaire, eppure nel suo libro scrive
“il filosofo che detta il nome al secolo dei lumi non ebbe mai una vera passione per l’essenza di sé,
ma soltanto per la rappresentazione che di quel sé appariva”.
E alcune pagine dopo, parlando di Pascal, precisa: “Non stupisca se l’ateo che io sono si sente più
vicino, in quest’ideale pellegrinaggio verso alcune grandi menti che hanno dato forma al pensiero
della modernità, al solitario di Port-Royal che non al principe degli illuministi.
La morale di Voltaire è il succedaneo della felicità individuale, quella di Pascal punta dritto al
fondamento della questione”.
Allora, preferisce Pascal a Voltaire, perché Punta dritto al fondamento della questione. Ma il
fondamento della questione sta proprio nel guadagno del valore ultimativo e fondativo del senso
della vita raggiunto da Pascal. E, in questo, il buco della maschera drammaturgica dell’ateo è anche
più grosso del precedente».
30 maggio 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Padri e figli. I figli mangiano i frutti e i padri scivolano sulle
bucce (Proverbio albanese). La caratteristica decisiva. La caratteristica decisiva di un sistema di
governo liberale è di non essere totalitario (George Sabine, Storia delle dottrine politiche).
L’essenza del metodo democratico. La politica è l’arte della pacifica transazione fra interessi
divergenti e il suo metodo consiste nella decisione democratica della maggioranza e nella
protezione della minoranza, ossia nel diritto all’opposizione (Karl D. Bracher, Il Novecento secolo
delle ideologie, Laterza, Bari 1985).
Succede sempre così. I principi democratici vengono violati sempre in nome di una più alta forma di
democrazia (J. L. Talmon). In che cosa consiste la spontanea eticità dell’arte. È estetico ciò che
produce uno stato d’animo libero da ogni interesse pratico o anche solo logico. È un’impressione
che si esprime in una pura immagine, oggetto di intuizione a cui il sentimento dà coerenza e unità
(da una «Lettera al direttore»; Repubblica, 15 aprile 1996).
DUE GRANDI DONNE DEL SECOLO. Nel campo del pensiero, la prima metà del Novecento
vede al primo posto l’ebrea francese Simone Weil (1909 - 1943); nella seconda metà il primato
spetta all'ebrea tedesca Hannah Arendt (1906 - 1975). Molto diverse fra loro, sono accomunate da
un duplice impegno, vissuto con radicalità commovente: in primo luogo, il «pensare sempre dal
principio», cioè la ricerca appassionatamente disinteressata della verità, senza appoggiarsi al
precostituito, al mito della «totalità logica», e tanto meno a ciò che è prevalente nello spirito del
tempo; in secondo luogo, esse compresero che «pensare le questioni politiche non è un lavoro
marginale», ma è compito da non eludere, che reclama uno sforzo continuo d’aderenza al concreto,
di discernimento dello sfondo morale e metafisico delle scelte in gioco. Dell’una e dell’altra si può
dire che vollero con tutta l’anima umanizzare la politica e che seppero unire alla lucidità critica
l’intensità che nasce solo dal cuore e dalla mente di chi abbia il senso dell’essenziale e la volontà di
servire l’onore dell’uomo.
Per accostare le opere della Weil e dell’Arendt non c’è che l’imbarazzo della scelta, essendo quasi
tutte ottimamente tradotte nella nostra lingua. Di Simone Weil l'Adelphi ha tradotto i Quaderni, ma
singoli scritti sono pubblicati da molte editrici. Sulla pensatrice tedesca è bene leggere innanzitutto
l’accurato, agile saggio introduttivo Hannah Arendt. Come raccontare il mondo di Paola Ricci
Sindoni (ed. Studium, Roma, 1995). Il lettore vi troverà anche le indicazioni bibliografiche
necessarie.
HANNAH ARENDT. l. «Io devo comprendere». La Arendt possedeva una imponente cultura, pur
senza essere allieva di nessuno, neppure dei suoi due grandi punti di riferimento filosofici Heidegger e Jaspers - con i quali continuò negli anni ad avere un rapporto difficile. A chi le
chiedeva che cosa l’avesse interessata di più nella sua vasta produzione rispondeva: «Per me si
tratta essenzialmente di questo: io devo comprendere. Ciò che mi importa è il processo stesso del
pensiero. Quando lo esercito sono molto contenta. Voglio ottenere io un’influenza sugli altri? No,
io voglio comprendere. E quando gli altri comprendono nel senso stesso in cui io voglio
comprendere, allora provo una soddisfazione paragonabile a quella che si prova quando ci si sente
a casa».
2. Non fare dei valori solo una ringhiera a cui appoggiarsi. Con il linguaggio franco che le era
proprio, Arendt ha osato scrivere: «Io sono del tutto sicura che la catastrofe totalitaria del nostro
secolo non sarebbe accaduta se la gente avesse veramente creduto in Dio o comunque nell’inferno,
cioè se ci fossero stati ancora dei valori fondamentali. Ma non c’erano». La morale era stata
svuotata, al punto che i principi di condotta propri della civiltà occidentale («Fai agli altri ciò che
vorresti fosse fatto a te»,«Non uccidere», ecc.) erano diventati mere convenzioni e ipocrisia. «Penso
che coloro i quali dicevano di essere convinti dei cosiddetti valori tradizionali furono i primi a
cambiarli. E questo mi dispiace perché penso che se i valori sono solo una ringhiera a cui
appoggiarsi, allora è facile cambiarli. L’unica cosa a cui la gente si abitua è avere una ringhiera, e
nient’altro».
6 giugno 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. - Alla donna amata. Trattengo la morte ancora per un istante, il
tempo per depositare sulle tue labbra un povero bacio, ultimo di molte migliaia (Shakespeare,
Antonio e Cleopatra). Autoritratto di un leader nostrano. La mia coscienza ha mille lingue diverse e
ogni lingua racconta una storia diversa. (ibid.).
Notte e giorno. La notte ha mille occhi e il giorno un occhio solo (Francis W. Bourdillon). Il nazista
pentito. Non basteranno mille anni a cancellare la colpa del nazismo (Hans Frank, impiccato a
Norimberga il 16 ottobre 1946 per crimini contro l’umanità). Le lodi di Dio. Con le sue mille voci, /
la terra canta le lodi di Dio (S. T. Coleridge, Inno prima dell'alba nella valle di Chamonix).
Mille e mille. Mille come l’anno dell’evo di Mezzo, la metà del Duemila che sta per arrivare. / Mille
più una le notti dell’incanto, / mille i colori / di chi sa sognare. / Mille i “non c’ero” degli
smemorati, / mille gli amori / di chi non sa più amare (Gino e Michele in Tuttolibri 30 marzo 1996).
«LE AVVENTURE DI UN UOMO VIVO» DI GILBERT K. CHESTERTON. - Chesterton (1874 1936) è uno dei protagonisti del secolo che si sta per concludere e il suo capolavoro Manalive tradotto in italiano da Emilio Cecchi «Le avventure di un uomo vivo» ora edito dalla De Agostini - è
un vero e proprio romanzo metafisico, in cui la gioia di vivere confuta e irride ad ogni pagina la
cupa, egoistica «Volontà di vivere» di Schopenhauer. Il burlone allegorico, il poeta innamorato della
creazione protagonista di questo romanzo è obbligato dalla necessità dei tempi a scuotere le anime
dei suoi lettori a forza di risate, per impedire ad esse di addormentarsi, consegnandosi così alla più
futile forma di esistenza. Il suo nome è Innocenzo Smith e l’idea per la quale egli si batte è questa:
vi vedo in una civiltà intricata, abbiamo finito col perdere la bussola e crediamo sbagliato ciò che
non lo è affatto. Senza dubbio ci sembrano mali l’eccesso, l’esuberanza, lo strepito, il paradosso, il
finimondo; ma il male non è lì. Il gigantesco Smith-Chesterton gira con la pistola da puntare
improvvisamente, anche se per scherzo, contro gli intellettuali chic per i quali la vita non vale la
pena di essere vissuta, per far scoprire ad essi che la verità sta esattamente nel contrario di ciò che
vanno dicendo, senza credervi seriamente, avendo una maledetta paura di morire, una pistola alla
tempia dell’uomo moderno.
Smith è l’eroe che spezza le convenzioni, proprio perché osserva fino in fondo i comandamenti.
Egli sa distinguere fra consuetudini del perbenismo borghese e fede, fra l'obbedienza servile e la
libertà creatrice per la quale ogni cosa bella deve essere di continuo riconquistata. Egli non
concupisce i beni degli altri, ma ha la fissazione (che tutti vorremmo condividere!) di desiderare
ardentemente ciò che ha. Così, ad esempio, non avendo affatto intenzione di commettere adulterio,
vive appieno il romanzo del sesso; e siccome ama soltanto sua moglie,la sua vita è allietata da
centinaia di lune di miele. Coloro che istituiscono un processo per condannare Smith rappresentano
degnamente l’establishment e quella forma di pazzia atmosferica che penetra a poco a poco negli
spiriti, avviluppandoli in un cerchio di idee turpe, monotono e meschino. Chesterton si diverte a
smascherarli con i suoi paradossi, aghi che sgonfiano immensi palloni di presunzione e di
arroganza.
L’autore de L’uomo vivo è una delle figure più simpatiche della letteratura e la sua verve estrosa ed
accattivante, surreale nell’assurdità delle situazioni narrate, è lo strumento, artisticamente riuscito,
per comunicarci qualcosa che deve giungere a noi «vergine e violento». Il romanzo di Chesterton
esige lettori attenti e non frettolosi, ma la lettura di un libro del genere è anche una terapia per i mali
del nostro tempo. «Punterò la pistola alla tempia dell’Uomo Moderno. - scrive Chesterton - Non già
per ucciderlo, ma per farlo rinascere alla vita».
ALTRI «PROVERBI E CANTARI» DI MACHADO. - Il fuoco sotto la cenere. «Ho creduto
spento il mio focolare, / e ho attizzato la cenere... / Mi son bruciato la mano».
Non è un cuore. «Fate attenzione: / un cuore solitario / non è un cuore».
La campana al risveglio. «Non il sole, ma la campana, quando ti svegli, è / il più bello della
mattina».
La Verità. «La tua verità? No, la Verità, / e vieni con me a cercarla. / La tua, tienitela» (da Machado,
26 poesie, Mondadori, Milano, 1996, Collana «I Miti»).
13 giugno 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Mancanza di pensiero, presenza del male. Vi è una stretta
interdipendenza tra mancanza di pensiero e presenza del male (Hannah Arendt). Un nuovo inizio.
Con la creazione dell’uomo entrò nel mondo il principio del cominciamento. Come dire, il principio
della libertà fu creato quando fu creato l’uomo, ma non prima (H. Arendt). Professione di fede
civile. Per ciò che mi concerne, a dispetto delle mie esperienze, a dispetto del XX secolo, io resto un
progressista (R. Aron, Le spectateur engagé, 1949).
La questione concreta. Chi fa politica, a qualsiasi livello, non può sfuggire alla grande questione: in
che cosa consiste l’ordine giusto a cui tendere, in questo preciso momento storico? (Levi Appulo).
Sapremmo noi riconoscerlo? Cristo è l’ospite paradossale. A ogni generazione rinasce il problema
che Newman e i suoi amici si ponevano: se fossimo vissuti al tempo di Cristo, o se Egli apparisse in
incognito davanti a noi, sapremmo noi riconoscerlo veramente e trionfare dello scandalo della sua
presenza umana, con quel misto di profondità insondabile e di stupefacente naturalezza? (Levi
Appulo).
SENZA PLURALISMO, LA POLITICA È DISUMANA. La politica è parola che viene da polis,
che è la pluralità dei cittadini, la comunità degli uomini liberi e uguali. Ciò che assolutamente
salvaguarda la politeia è la pluralità, la diversità di famiglie spirituali, di gruppi politici, di interessi
concorrenti. Solo la pluralità garantisce la libertà. All'unità, al non riconoscimento pieno dei diritti
dello stesso avversario, corrisponde inevitabilmente un regime di intolleranza. Da questo punto di
vista ha ragione Arendt quando scrive che «un potere che sia dominio non è pertinente alla polis»,
non ha valore politico. Il dominio, in qualsiasi forma si presenti, come tirannico o nelle forme
pseudo-democratiche del plebiscito, distrugge il vero e proprio spazio politico, con il risultato che la
libertà non esiste più né per quelli sui quali si governa, né per coloro che governano. Un testimone
oculare riferisce che una volta, a Chicago, durante un seminario, Hannah Arendt si illuminò in volto
nel riferire le parole di Erodoto: «Non voglio né dominare, né essere dominato». Quando le parti
politiche che si contrappongono in Italia saranno penetrate profondamente da queste convinzioni,
allora non avremo più nulla da temere per la democrazia nel nostro Paese.
IN DIO NON C’È VIOLENZA. «Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte
di Dio, l’Oreb. Ivi entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco il Signore gli disse: “Esci e
fermati sul monte alla mia presenza”. Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo
da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il
vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma
il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia
si coprì il volto con il mantello» (Dal Libro dei Re, 19, 6 - 13).
OCCORRE POTERSI RICONOSCERE NEL PASSO PAOLINO. «Non abbiamo vissuto
oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato
con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo
diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti, quando eravamo presso di voi, vi
demmo questa regola: chi non vuol lavorare, neppure mangi.
Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua
agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane
lavorando in pace» (San Paolo, Seconda lettera ai Tessalonicesi 3, 7 - 12).
NE ABBIAMO PERSO IL GUSTO. «Le esperienze dei nostri genitori ci venivano narrate con
semplicità e forza. Abbiamo perso quel gusto, che è poi una chiave di civiltà, che si esprime nel
confrontare specularmente gli avvenimenti di oggi, troppo frastornati e frastornanti, con ciò che è
accaduto ieri. Ma è tale l’ansia di protagonismo nell’attualità che la parola ieri, da cui pure
potremmo ricavare qualche buon insegnamento, si è come dissolta» (Alberto Bevilacqua, Corriere
della Sera, 28 aprile 1996).
20 giugno 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Se farai sparire da te. Se farai sparire da te l’oppressione, il
puntare il dito accusatorio e il parlare empio, se offrirai pane all’affamato, allora la tua luce sorgerà
come l’aurora e brillerà fra le tenebre (Dal Libro del Profeta Isaia 58, 7 - 10 passim). La forza dello
spirito e la delicatezza del cuore. Credo che la frase sia di Maritain: «Il faut avoir l’esprit dur et le
coeur tendre». Una parola che non sia sentita dall’anima è una parola morta e un sentimento che non
sia germoglio di una idea, è vano» (Sophie Scholl - Testo del 1942 riportato in Una piccola luce di
Inge Aicher Scholl, trad. it. Vitae Pensiero, Milano, 1995).
Il mondo ha bisogno dell’eroismo morale dei giovani. Se vuol evitare il naufragio a cui la sospinge
il consumismo e lo svuotamento spirituale che l’accompagna, la nostra civiltà ha bisogno
dell’eroismo morale dei giovani di ogni generazione, e dunque anche dei giovani di questa
generazione (Levi Appulo). La parola e la politica. Una politica povera di silenzi è ricca di parole
stupide e menzognere. «Siamo in un’età culturale e politica di parole senz’anima, di parole usa e
getta, di parole gettone che trasmettiamo ad altri, come si passa una moneta da una mano all’altra»
(Silvano Zucal in La Rosa Bianca - Per la libertà dello spirito e per l’onore dell’uomo, Edizioni
Ccdc, Brescia, 1996).
IL BACIO DELL’AMICO. Il 12 novembre morì Giovanni Cristini, stroncato in breve tempo da un
tumore. Nato a Brescia nel 1925, giornalista e consulente editoriale, esperto di narrativa per ragazzi,
aveva pubblicato cinque libri di poesia: La strada della croce, Concerto grosso, I chiodi e i dadi,
Cartoline dalle Dolomiti del Brenta, Week-end in terra straniera. Oltre ai numerosi saggi, aveva
raccolto le sue prose autobiografiche nel volume Sulle rive del lago. Da sempre collaboratore del
Ragguaglio librario, ne aveva assunto la direzione alla morte di Ines Scaramucci.
Apprendo da Studi Cattolici del gennaio ‘96 un episodio che merita di essere conosciuto dai molti
amici ed estimatori di Giovanni Cristini. Il 2 novembre ‘95, il poeta Elio Fiore aveva telefonato a
casa Cristini per informarsi sulle condizioni dell’amico, e aveva incaricato un familiare di «dargli un
bacio in fronte».
Quella richiesta commosse profondamente Cristini al punto di ispirargli, pur nella spossatezza
estrema, l’ultima poesia. In essa lo stupore e il tremore per la fine, sentita ormai imminente, si fa
atto di comunione con chi gli dette la vita e con quelle persone care che già varcarono la soglia: ed
ecco, con un ultimo colpo d’ala, in Cristini il senso misero farsi attesa fremente della nuova vita,
annuncio di eterna primavera, «vento di luce». Si noti il tocco finale, che poteva nascere solo da una
schietta fede: il «giorno dei morti» diventa, significativamente, in uno stesso verso, «festa di
ognissanti»
«IN PURISSIMO AZZURRO», L’ULTIMA POESIA DI GIOVANNI CRISTINI. «Nella nebbia
della mente, / del dormiveglia e del nulla, / mia moglie mi porta il bacio di Elio Fiore. / L’ho preso
come un addio, e gli occhi / mi si sono riempiti di lacrime / e anch’io, nella nebbia della mente, / ho
visto con candente terrore / aprirsi uno squarcio nell’ampia vetrata / e apparirvi in purissimo azzurro
/ lo spirito santo. /
Oggi, 2 novembre, festa di ognissanti, / quando trabocca la comunione dei beni / con mia madre
morta e con mio padre / e con tutti coloro che amano e soffrono, / controbilanciando il male del
mondo, / prendo quel bacio come un augurio. / Guardo dalla finestra / gli alberi del giardino /
fremere in un vento di luce / e, benché autunno inoltrato, sento la primavera».
C’È PURE UNA BESTIALITÀ DI MASSA. Non ci sono solo i grandi massacratori di popoli; c’è
pure l’esercito dei piccoli, tenaci, meschini, implacabili operatori di quotidiane iniquità. Lo
ricordava, con parole di fuoco, nel ‘38 George Bernanos, l’indimenticabile autore dei Cimiteri sotto
la luna, Riascoltiamolo: «Commettete un gravissimo errore a credere che la bestialità sia
inoffensiva, per lo meno che esistano forme inoffensive di bestialità.(...) Eppure ognuno di voi sa di
che cosa sia capace l’odio paziente e vigile dei mediocri, e proprio voi ne spargete la semenza ai
quattro venti! Infatti sono questi disgraziati che forniscono alle democrazie le pubbliche opinioni».
27 giugno 1996.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Verità amara. Dove tutti sanno poco, si sa poco (Giacomo
Leopardi). Basta un nonnulla. Basta un nonnulla per trasformare un concetto in un’assurdità (Levi
Appulo). Paese senza élites o élites senza un Paese? Un Paese senza élites? Io parlerei piuttosto di
élite senza Paese. Basta leggere gli scritti di Salvemini, o degli amici del Mondo, per vedere che in
Italia di élites ce ne sono state, eccome. Solo che queste non hanno mai avuto la capacità di tradursi
in forze politicamente e socialmente rilevanti (Tullio De Mauro, Idee per il governo - La scuola,
Laterza, Bari, 1996).
Una scuola di massa o di élite? Una buona scuola di élite non può esistere senza una buona scuola
di massa. Non si può pensare di fare delle Grandes Ècoles destinate ai figli di quel 3% di italiani che
hanno già la laurea. Bisogna pescare in un bacino più ampio ed eterogeneo (T. De Mauro, ibid.).
È rimasta una cultura di 500 parole. La scuola non ha ceduto soltanto sotto il peso
dell’intellettualismo. L’intellettualismo, formalistico o politicizzato, si è limitato a riprodurre
l’infinita deriva della società, finché, tramontati tutti gli idealismi e tutte le astrazioni, ha preso il
loro posto una cultura fatta di cinquecento parole (Luigi Balducci).
PAROLA E POLITICA. Se le parole che pronunciamo nella dialettica politica fossero per noi
qualcosa di più di un suono, che significa genericamente qualcosa, come potremmo sentirne e
assorbirne tante?
In realtà si tratta di larve di parole, che godono per breve tempo di una parvenza di vita, finché le
avvolge il fascino della loro origine, ma ben presto sono ridotte ad un paio di luoghi comuni e nulla
più.
«In un tempo povero di parola e ricco di parolai -scrive un acuto studioso - ci vuole una vera e
propria ascesi della parola: occorre infatti, nutrire una pregiudiziale sfiducia per tutte le parole
grosse, come si nutre sfiducia per carta-moneta di dubbio valore, occorre far ritrovare alla politica la
semplicità della parola contro gli eccessi, riconciliando parola e persona, parola e cosa.
«Basta con le larve di parole, rimettiamoci - ammonisce Romano Guardini - di fronte alle cose,
evadiamo dalle sabbie infide delle idee abusate, ed indeterminate, riapriamo gli occhi alla forza
penetrante del reale, deponiamo la veste glaciale delle frasi fatte».
Troppe parole non sembrano più utilizzabili, tanto sono devastate e prostituite dal prolungato abuso.
Ma se la crisi della politica è essenzialmente la crisi della parola, l’esodo da tale crisi è solo l’ascesi
della parola.
Guardini precisa: «Uno può tenere splendidi discorsi politici, ma se dà informazioni false, se
giudica alla leggera, se trascura lo stato reale dei fatti, enfatizzando o ridimensionando con la
parola, è un pirata dell’opinione pubblica ed è anche un distruttore dello Stato».
Far politica, dunque, significa ridare valore alle parole, rispettare la verità delle cose e delle
persone, sentire dentro sé l’autorità della coscienza» (S. Zucal in La Rosa Bianca. Per la libertà
dello spirito e per l’onore dell’uomo, Edizioni Ccdc, Brescia, 1996).
PRECISIONE E PREZIOSI ROMPISCATOLE. «Caritatevoli amici mi fanno notare che lo spazio
riservato alla rubrica Che tempo fa si è macchiato di uno strafalcione: "Nomen omen" non significa,
come avevo scritto, “è il nome che fa l’uomo”, ma “nel nome c’è il destino”.
Avere fatto il classico tra il ‘68 e il ‘72 - anni distratti - non mi giustifica: la mia casa pullula di dizionari, e avrei potuto facilmente controllare l’etimologia di un modo di dire latino che ho preferito,
per fretta e disinvoltura, tradurre “a senso”, cioè maccheronicamente.
Scrivendo sui giornali ci si abitua a credere che l’approssimazione della scrittura sia giustificata
dall’approssimazione della lettura: ma non è vero. Per novantanove lettori distratti, c’è n’è sempre
uno pronto a cogliere e rispedire al mittente l’errore.
Preziosi rompiscatole che tutelano i propri diritti di consumatori di parole segnalando alla ditta
produttrice le confezioni fallate.
Ci vorrebbe, per esempio da Lubrano, uno spazio apposito anche per segnalare le frodi verbali: che
sono tante, gravemente inquinanti e non tutte in buona fede come quella della quale mi sono appena
autodenunciato» (Michele Serra, L’Unità, 30 aprile 1996).
L’ANGOLO DELLA POESIA. Vera e falsa follia .«Molta pazzia è divino buonsenso / per un
occhio avvertito, / molto buon senso, pura pazzia. / È la maggioranza / in questo, come in tutto, a
prevalere. / Di’ sì, e sei sano, / ribellati, subito sei pericoloso, / e ti trattano con catene» (E.
Dickinson).