Anima
Profa. Dra. Angela Ales Bello
Pontificia Università Lateranense, Roma
1 Prospettiva storica
1.1 Dimensione interculturale
In tutte le culture, per lo meno quelle di cui si hanno testimonianze storiche abbastanza
certe, è possibile trovare una visione del mondo che prevede nell’essere umano un principio
vitale che lo informa. La configurazione più elaborata di questo principio è presente, però,
solo in alcune di esse. Se si esaminano quelle arcaiche, sulla base dei reperti o delle loro
sopravvivenze in epoche recenti, si nota che bisogna escludere l’esistenza di una chiara
distinzione fra il principio vitale e il corpo. Certamente l’esperienza del cadavere deve aver
sempre sollecitato a costatare l’esistenza di un soffio vitale, il quale, d’altra parte, nella
mentalità arcaica, era esteso a tutta la realtà, pervasa da un’attività che, con il nostro
linguaggio, possiamo definire “spirituale”; tuttavia, ogni dualismo fra anima e corpo, natura e
spirito, naturale e soprannaturale sembra escluso.1
La distinzione, alla quale siamo abituati a pensare, per accettarla o rifiutarla, fra anima e
corpo è apparsa, pertanto, in tempi abbastanza recenti dal punto di vista storico. E’ stata, poi,
l’elaborazione filosofica che la ha consolidata e la ha descritta con dovizia di particolari.
Nell’impossibilità di procedere ad un’indagine comparativa, ma distinguendo soltanto culture
arcaiche e culture complesse2, e, fra queste ultime, mettendo in evidenza, in particolare, la
cultura occidentale, si deve sottolineare che è nella tradizione orfico – pitagorico - platonica
che si delinea il tema dell’anima, il quale assume una consistenza notevole, al confine fra una
visione religiosa e una filosofica, o meglio nella circolarità dei due momenti.
1.2 La speculazione greca
La psyché, di cui parla Platone, costituisce lo specifico dell’essere umano e la parte più
importante e immortale, in contrasto con il corpo, che ne causa il distacco dal suo luogo
d’origine, trascendente rispetto al mondo fisico, e la costringe a vivere nella dimensione
1
2
G. van der Leeuw, L’uomo primitivo e la religione, tr. it. A. Vita, Boringhieri, Torino 1961.
A. Ales Bello, Culture e Religioni. Una lettura fenomenologica, Città Nuova, Roma 1997.
2
mondana. Non tutto il pensiero greco, però, è orientato in questa direzione che abbraccia in
un’unica visione il rapporto con il sacro e la riflessione teorica, testimonianza straordinaria
della capacità intellettuale umana. La riflessione intellettuale si separa dalla dimensione
religiosa in pensatori come Aristotele e Democrito, i quali, a loro volta, si dividono sulla
valutazione della consistenza e, perfino, dell’esistenza dell’anima.
Aristotele, fornendo un’interpretazione che avrà tanta fortuna nella speculazione
posteriore, distingue nel De Anima l’anima vegetativa, sensitiva e animale, indicando le
diverse caratteristiche vitali delle piante, degli animali e dell’essere umano, che in sé le
assomma tutte, e riprende con un’attenzione maggiore nei confronti dei ritmi della natura
l’intuizione di Platone, secondo il quale l’anima è tripartita nelle sue tendenze, che la portano
verso il corpo (aspetto irascibile e concupiscibile dell’anima) e verso il mondo degli archetipi
divini (anima intellettiva), come egli sottolinea nel Fedro. Con ciò non si vuole affermare che
Aristotele rifiuti una prospettiva metafisica, ma lega l’anima più fortemente alla dimensione
immanente, aprendo la via ad interpretazioni del tutto naturalistiche, come accadrà
nell’aristotelismo dell’inizio dell’età moderna.
Una terza linea è rappresentata da Democrito, il quale, con la sua posizione atomisticomaterialistica, nega una consistenza autonoma all’anima, riducendola solo alle sue funzioni,
che sono attribuite alla materia, anche se formata da atomi sottili e sferici di natura ignea. 3
La filosofia greca dell’età classica ha indicato, quindi, tre linee di fondo, che,
schematicamente, possono essere considerate come le tendenze più evidenti, presenti nel
corso dei secoli nella cultura occidentale. Elaborate sul piano filosofico-religioso o puramente
filosofico e diffuse attraverso un processo di divulgazione sempre più capillare, diventano le
idee-guida dell’interpretazione dell’anima anche ai nostri giorni.
Si tratta di tre visioni che non rimangono neutrali, come fatti puramente intellettuali; al
contrario, determinano una prassi, scontrandosi sul piano delle decisioni prese dagli esseri
umani, sia sotto il profilo degli interventi educativi e terapeutici, sia sotto il profilo delle prese
di posizioni legislative. Sembrerebbe paradossale sostenere che le questioni bioetiche, ad
esempio, siano da ricondursi alla soluzione del problema dell’anima, ma quest’affermazione è
solo apparentemente paradossale, perché dalla soluzione del problema dell’anima dipende la
visione antropologica globale, che tanta importanza riveste nelle prese di posizioni pratiche.
Prima di giungere a parlare della situazione contemporanea è opportuno soffermarsi su
alcuni momenti della storia del pensiero particolarmente significativi.
3
Secondo quanto ci dice Aristotele nel De Anima.
3
1.3 L’età medievale
L’influenza della visione religiosa cristiana, legatasi soprattutto al platonismo e al
neoplatonismo, è stata determinante per sottolineare l’importanza dell’anima nell’essere
umano. Si potrebbe, però, addirittura rovesciare questo rapporto, indicando che il messaggio
cristiano subisce un processo di inculturazione, attraverso il quale la prospettiva neoplatonica,
particolarmente diffusa nelle regioni che sia affacciano sul Mediterraneo, permea di sé il
cristianesimo nel momento della sua espansione, fornendo ad esso le basi teorico-dottrinali.
Ciò avviene in gran parte con i Padri della Chiesa e soprattutto con Agostino d’Ippona. Senza
il Fedone di Platone non ci sarebbe stato il De Immortalitate Animae di Agostino. L’anima è
importante, soprattutto in funzione della sopravvivenza oltre la morte. Tuttavia, il platonismo
è attenuato, nella prospettiva cristiana; l’anima e il corpo sono entrambi creati da Dio e,
quindi, anche il corpo ha il suo valore intrinseco che, come insegna la resurrezione di Cristo,
avrà un ruolo importante nella resurrezione di tutti gli esseri umani in una dimensione diversa.
L’attenzione nei confronti del corpo e della natura spinge alcuni pensatori come
Tommaso d’Aquino a prendere in considerazione la filosofia di Aristotele. Anche in questo
caso si procede ad alcune rettifiche, necessarie non solo per stabilire una compatibilità con il
messaggio cristiano, ormai profondamente legato al platonismo, ma per giustificare anche in
modo puramente razionale la molteplicità di funzioni intellettuali e morali che caratterizzano
l’essere umano e che indicano la presenza di una realtà che ha una sua consistenza e che
permane; per questo la nozione di ousia, proposta dai filosofi greci e, in particolare, da
Aristotele può essere utilizzata. Nasce, in tal modo, il concetto di anima come sostanza
semplice, incorporea, che, secondo Tommaso, conferisce sostanzialità, in quanto forma, al
composto umano.4
Sulla consistenza dell’anima e sulla sua funzione non tutti i pensatori medievali sono
d’accordo. Per esempio Bonaventura da Bagnoregio sostiene che non è solo forma, ma che
possiede anche una struttura materiale incorporea. Tuttavia, al dilà delle differenze, si
attribuisce una consistenza all’anima umana.
1.4 Interpretazioni dell’anima nell’età moderna
L’età moderna si apre con l’Umanesimo fiorentino e padovano, che sviluppano due linee
interpretative, quella neoplatonica e quella aristotelica, introducendo due prospettive
4
Si veda l’interpretazione di E. Gilson dei testi della Summa theologiae di Tommaso d’Aquino in Lo spirito
della filosofia medievale, I. cap. 9, L’antropologia cristiana , tr. it. Pia Sartori Treves, Morcelliana, Brescia
1963.
4
antropologiche, attraverso le quali si delineano più nettamente le due tendenze fondamentali
della speculazione occidentale. La prima riguarda l’interpretazione dell’essere umano come
microcosmo, in cui il momento dell’anima è, in senso neoplatonico, presente nell’universo
come anima del mondo, manifestandosi nelle sfere celesti e negli esseri viventi e come anima
razionale negli esseri umani. Essa è il centro della natura, il nodo e la copula del mondo, come
scrive Marsilio Ficino nella sua Theologia platonica. L’essere umano racchiude in sé tutti gli
aspetti della realtà, complessa e stratificata e ciò è ribadito da Nicolò Cusano nelle Congetture
e da Pico della Mirandola, nel suo famoso Discorso sulla dignità dell’uomo; secondo loro,
nell’unità dell’umanità sono contratte tutte le cose ed essa rappresenta un miracolo per la
capacità di elevarsi o degradarsi e, quindi, di autocostruirsi.
La seconda interpretazione, sostenuta da Pietro Pomponazzi, riguarda l’idea dell’anima
come forma del corpo in senso aristotelico; non è separata da esso e perisce con esso.
Eliminata
la
sostanzialità,
sostenuta
dal
platonismo,
si
ripropone
la
questione
dell’immortalità, quest’ultima può essere ammessa solo per fede, come egli sostiene nel De
immortalitate animae: la prospettiva religiosa e quella filosofica, unite nell’impostazione
platonica, si separano nuovamente, dando luogo ad una visione naturalistica, che tanta fortuna
avrà in seguito, anche se attraverso diversi rivestimenti.
Nell’età rinascimentale la separazione fra indagine filosofica e visione religiosa si sta
lentamente compiendo. L’anima diventa sempre di più oggetto di un’analisi razionale. Sede
della stessa attività della ragione, si identifica con essa per René Descartes, che parla di mens
sive anima nelle sue Meditazioni metafisiche. Non è negata dagli empiristi, tuttavia,
considerata in modo funzionale come l’insieme degli stati coscienti, diventa mind con Hume,
perdendo completamente la sua sostanzialità e preludendo all’impossibilità, sostenuta da
Immanuel Kant, di coglierne il senso dal punto di vista teoretico; essa rimane per quest’ultimo
solo un postulato della ragione nell’uso morale, come sostiene nella Critica della Ragion
Pratica. Rivalutata dall’idealismo tedesco nell’età romantica, torna subire gli attacchi del
naturalismo ateo di Ludwig Feuerbach, del materialismo storico di Karl Marx. Con questi
ultimi si ripropone potentemente la posizione di Democrito. Anche se si tratta di
“materialismi” diversi, ciò che accomuna queste posizioni è l’eliminazione del tema
dell’anima. Se essa si conosce dalle sue funzioni, queste ultime sono attribuite all’essere
umano che è ricondotto ad un essere di natura o ad un’esistenza sociale.
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1.5 I conflitti delle interpretazioni della anima nel Novecento
Con il Positivismo le scienze si appropriano l’essere umano già nel corso dell’Ottocento.
Si attua una sorta di frantumazione della sua unità, la fisiologia dapprima, poi la sociologia
con Auguste Comte nel Corso di Filosofia positiva, ed, infine, la psicologia, che si presenta
all’inizio della sua configurazione come una psicofisica, ne mettono in evidenza alcuni
aspetti, spesso assolutizzandoli, ognuno dal proprio punto di vista. Il naturalismo assume una
configurazione evoluzionistica con l’opera di Charles Darwin, L’origine dell’uomo, e spesso
si trasforma in scientismo; l’anima può essere oggetto o di una visione organicistica che la
riconduce alle funzioni cerebrali oppure della psiche, come sostiene la nuova scienza
dell’anima, cioè la psicologia, che ne dà una versione indebolita rispetto al passato. Ciò
corrisponde ad un processo che investe qualsiasi aspetto della realtà, ma colpisce in modo
particolare tutto ciò che non è sperimentabile secondo i criteri del metodo scientifico.
Nel campo filosofico si nota, tuttavia, una reazione nel corso del Novecento. Ma non tutti
coloro che sono contrari all’interpretazione scientifica rivalutano la dimensione dell’anima.
Le reazioni più significative sono quelle di Henry Bergson, di Edmund Husserl e dei suoi
discepoli, e, inoltre, di Jacques Maritain e di Emmanuel Mounier. Più che soffermarsi sulla
nozione di anima in alcuni casi, come nell’L’evoluzione creatrice di Bergson, si tratta di dare
spazio alla dimensione spirituale . Ma quale è il rapporto fra anima e spirito?
L’anima si può intendere come un principio vitale e si è già notato che in Aristotele
l’anima può essere vegetale, animale o razionale. Ma l’anima specificamente umana quali
connotazioni ha? E’ solo ragione? Oppure si può rintracciare un principio spirituale, ma che
cosa significa spirito?
L’essere umano come essere spirituale è rivendicato sia da Jaques Maritain, il quale
riesamina accentandole le analisi di Tommaso d’Aquino in Ragione e ragioni, sia da
Emmanuelle Mounier, in La rivoluzione personalista, che fissa l’attenzione sul tema della
persona come un’entità caratterizzata dallo spirito. Ma Mounier ha avuto contatti con Paul
Ludwig Landsberg e quest’ultimo si è formato alla scuola fenomenologica. E’in questa scuola
che troviamo l’analisi più ampia e completa dell’essere umano e su questa che è opportuno
soffermarsi perché, fornendo una descrizione articolata di tutte le dimensioni che lo
compongono, è possibile anche rendersi conto della disparità di interpretazioni sull’anima che
sono state elaborate nel corso dei secoli.
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2 Prospettiva teoretica
2.1 Il contributo della fenomenologia
L’avvio alla ricerca, che si definisce fenomenologica, è dato da Edmund Husserl. Egli ha
proposto un metodo d’indagine che caratterizza un gruppo cospicuo di discepoli, i quali hanno
sviluppato in modo personale le loro indagini, esaminando diversi campi del reale. Ma per
tutti il tema antropologico è stato un tema di fondo. I risultati più interessanti sono quelli
ottenuti attraverso l’evidenziazione della dimensione dei vissuti, cioè di quelle strutture
interiori che ci consentono di sperimentare, conoscere, valutare, produrre creativamente,
vivere l’apertura verso gli altri e l’Altro. Tutti questi sono strumenti attraverso i quali usciamo
da noi stessi per cogliere il senso delle cose naturali e artificiali, delle formazioni culturali,
delle realtà ultime (Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, vol. I e
vol. II). Le analisi più complete, per quanto riguarda il tema dell’anima, sono quelle condotte
da Edith Stein, La struttura delle persona umana e Hedwig Conrad – Martius, Dialoghi
metafisici, le quali riesaminano i momenti salienti della speculazione occidentale e delle
recenti indagini scientifiche, in modo tale da condurre una discussione serrata con tutte le
interpretazioni che sono state date, non contrapponendo un’ulteriore teoria, ma avendo come
punto di riferimento la realtà che concretamente ci si presenta, quindi, la molteplicità dei
fenomeni.
Se si vuole esaminare il fenomeno dell’anima è necessario, allora, procedere alla sua
contestualizzazione per scoprirne la peculiarità. E proprio attraverso i nostri atti vissuti, quindi
iniziando dalle percezioni, cioè dalle registrazioni delle sensazioni, siamo in grado di sentire
che abbiamo un “corpo” e di capire come la nozione stessa di corpo può essere elaborata a
livelli diversi dagli esseri umani. Ci rendiamo conto anche di vivere stati d’animo, impulsi che
non sono originati nel corpo, ma che sono reazioni che provengono da un’ulteriore
dimensione; possiamo usare per determinarla la parola antica “psiche” e riservare alla sfera
degli atti conoscitivi intellettuali, valutativi, volontari, la parola “spirito”. La nozione unitaria
di anima, che nasceva dall’esperienza di una dimensione altra rispetto a quella corporea, si
scinde, in tal modo, in due aspetti corrispondenti alla psiche e allo spirito.
E’ chiaro, a questo punto, che l’attività spirituale è quella che caratterizza l’essere umano
e, per cogliere in profondità tale caratteristica, è necessario procedere ad un confronto con le
altre realtà viventi – come diceva Aristotele possedenti un’anima. Edith Stein e Hedwig
Conrad-Martius si domandano se sia veramente anima, quella delle piante e in quale senso si
possa parlare di un’anima propria degli animali. Se è vero che ogni principio vitale può essere
7
chiamato anima, a questo termine bisogna attribuire un significato particolare, legato ad una
specifica connotazione, secondo la realtà che ci si presenta, in particolare quando ci si
riferisce all’anima umana. Quest’ultima tesi s’impone se si esaminano le caratteristiche
dell’essere umano, soprattutto l’intelletto e la volontà e la nozione di anima si approfondisce
ulteriormente, sdoppiandosi in un principio identitario o nucleo individuale, che può essere
definito anima dell’anima, secondo la Stein, la quale dichiara, inoltre, che a questa
descrizione, condotta sul piano dell’essenza del fenomeno anima, è possibile aggiungere
anche la dimensione sostanziale, senza che ciò crei un contrasto.
In tal modo, l’anima è esaminata secondo le diverse stratificazioni presenti negli esseri
viventi, è indicata nella sua peculiarità come propria degli esseri umani, è inserita al suo posto
nella complessità della struttura antropologica. Si comprende anche come, per metterla in
evidenza, sia necessario un lungo cammino giustificativo della sua essenza e della sua
esistenza e come sia possibile non riuscire a scoprirla se si rimane alla superficie e non si
analizzano fino in fondo le sue funzioni. Questo è accaduta anche ad uno dei discepoli di
Husserl, Martin Heidegger che ha percorso la strada della descrizione dell’esistenza umana,
senza entrare nell’interiorità e, quindi, senza trovare l’anima.
Si è voluto scegliere, come prospettiva teoretica, quella fenomenologica, perché
riassuntiva ed esplicativa del cammino speculativo dell’Occidente e, nello stesso tempo,
capace di rendere ragione anche delle diversità esistenti fra le culture.
Nel caso della cultura occidentale, si comprende come sia possibile che spesso si proceda
all’assolutizzazione di alcune delle dimensioni messe in evidenza proprio dall’analisi
fenomenologica, la quale ha, quindi, il merito di proporre una mappa articolata (corpo, psiche,
mente, anima, spirito), ma anche di far capire il perché degli atteggiamenti riduttivi, che
caratterizzano, in particolare, la nostra cultura. Si può esemplificare facendo riferimento alla
questione del rapporto mente-corpo, nata nell’ambiente culturale anglosassone, erede della
tradizione dell’empirismo e del pragmatismo, secondo la quale non è possibile individuare
altro che funzioni cognitive, evitando di entrare in un territorio che non essere provato
scientificamente. In questa direzione, anche dal punto di vista linguistico, non è legittimo
parlare di ‘anima’ o di ‘spirito’, perché queste sono nozioni metafisiche e, quindi, vaghe e
incerte.
Il problema teoretico, che si pone, allora, riguarda la constatazione della presenza o meno
di una dimensione vitale-spirituale, che, in ogni caso, come si è detto sopra, deve essere
rintracciata attraverso l’esplicazione delle sue caratteristiche e non solo presupposta
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acriticamente. E’ a questo punto che l’indagine antropologica richiede, in linea di principio, la
disponibilità a superare i pregiudizi per ricominciare da capo con disponibilità.
Le due concezioni sopra descritte, quelle che riducono l’anima alla mente e quelle che la
aprono allo spirito, hanno conseguenze importanti e divergenti nel campo della bioetica, se
questa deve porsi domande relative alla costituzione dell’essere umano e ai comportamenti da
assumere sul piano degli interventi terapeutici. Considerare l’essere umano come possedente
un’anima spirituale significa non assumerlo come oggetto di esperimenti che lo pongono allo
stesso livello delle altre entità naturali, ma come una realtà, le cui caratteristiche umane,
quindi quelle legate all’identità personale e alla libertà, debbono essere rispettate.
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