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VITTORIO CARASSITI(†) *
Ricerca chimica e filosofia della chimica **
Chemical research and the philosophy of chemistry.
Summary – The paper treats the relationships between chemistry and the philosophy of
science from the viewpoint of an experimental chemist. The status of the philosophy of
chemistry is discussed in terms of the possibility of «reduction» of chemistry to physics,
highlighting the existence of chemical laws and concepts that can be expressed only at the
chemical level. This is especially true for the concept of chemical structure, one of the great
breakthroughs of 19th century science as shown by the advances of organic and coordination chemistry. Finally the evolution of the concept of molecule in the last decades is considered with regard to several fields such molecular recognition, «supramolecular» structures etc.
«Why has there been no philosophy of chemistry?»: è la frase introduttiva di
una nota di E.R. Scerri e L. McIntyre, dal titolo «The case for the philosophy of
chemistry» [1].
Il termine «filosofia chimica» compare storicamente per la prima volta adottato da Fourcroy già nel trattato del 1792 «Philosophie chimique ou verités fondamentales de la chimie moderne disposées dans un nouvel ordre»: un termine che è
l’espressione di un processo di autonomizzazione della chimica e che ebbe larga
diffusione [2]. Nella storia della chimica il metodo analogico diviene una delle
chiavi della conoscenza per l’ingresso nella filosofia della chimica: scrive Di Meo
«colpisce la permanenza secolare di una metodologia di ricerca che, con troppa
semplicità, si è ritenuto fosse scomparsa dall’orizzonte della scienza moderna col-
* Dipartimento di Chimica e Centro di fotoreattività e catalisi del Consiglio Nazionale delle
Ricerche, Università di Ferrara.
** Relazione presentata al IX Convegno Nazionale di «Storia e Fondamenti della Chimica»
(Modena, 25-27 ottobre 2001).
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l’avvento del metodo quantitativo; ovvero con l’avanzare differenziato della matematizzazione nello studio delle differenti fenomenologie disciplinari» [2].
Venendo ai filosofi della scienza contemporanea, nonostante che fisica, chimica e biologia siano la terna dominante nelle scienze naturali, la filosofia della
scienza, sino alla comparsa relativamente recente della filosofia della biologia, è
stata appannaggio della filosofia della fisica.
La maggior parte dei filosofi della scienza ha creduto che la chimica sia stata
«ridotta» alla fisica (la meccanica quantistica) e perciò la filosofia della chimica
non sia di interesse primario fondamentale; e che la chimica non abbia grandi idee
da poter reggere il confronto con la quantomeccanica e la relatività in fisica o con
la teoria di Darwin in biologia [3].
In realtà chimica e fisica quantistica dell’atomo, con la fisica nucleare, sono
discipline già separate all’origine sulla base dell’assoluta incommensurabilità concettuale delle fenomenologie coinvolte e, di conseguenza, dell’assoluta incommensurabilità degli ordini di grandezza delle quantità di energia in gioco.
L’ipotesi che la chimica possa «ridursi» alla fisica, in particolare alla quantomeccanica – la meccanica ondulatoria di Schrodinger (o la meccanica matriciale di
Heisenberg) – può vedersi nel modo di concepire la chimica come teoria deduttiva
dal modello atomico, un pericolo insito già nella didattica della chimica; per cui è
nella didattica un punto basilare della difesa, purtroppo non abbastanza considerato, almeno in Italia.
Ma negli ultimi anni vi è stata una ripresa dell’interesse nel campo della filosofia della chimica con la propensione a ridiscutere la riducibilità, anche dal punto
di vista della incommensurabilità strutturalista [4].
La chimica è, tradizionalmente, la scienza degli elementi e delle sostanze, problemi filosofici ben presenti nella sua storia [1, 5, 6]: ora la meccanica quantistica
utilizza un modello matematico anziché fisico della natura e le complessità matematiche diventano molto grandi per sistemi di interesse chimico, cosicché ci si
rivolge a metodi di calcolo approssimato salvo la soluzione esatta per l’atomo di
idrogeno. Appare dunque che la riduzione quantitativa della chimica in realtà non
sia stata raggiunta.
Vi sono anche leggi chimiche irriducibili, come la legge periodica degli elementi di Mendeleev: la caratteristica intrinseca è che le previsioni dell’esistenza di
nuovi elementi e delle proprietà dei composti fatte da Mendeleev hanno comportato un fondamentale bagaglio di intuizione chimica piuttosto che l’uso di correlazioni fisico-matematiche precise. La legge periodica, come legge autonoma della
chimica, è tale che non può essere irrigidita in una relazione numerica [2, 7]. Essa
appare come una delle idee conduttrici della chimica [8], che può allinearsi alle
grandi idee della fisica e della biologia: la tavola periodica come idea più geniale
del millennio, secondo Oliver Sachs, neurologo e scrittore [9]. E sarà la tavola
periodica a guidare la riscoperta di Moseley con la sua relazione tra emissione X e
numero atomico, ed a fornire la base nella costruzione della fisica atomica e della
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meccanica quantistica. La periodicità delle proprietà è funzione della configurazione elettronica piuttosto che della massa, ma saranno le anomalie nell’andamento
della massa a segnalare già a Meyer e a Mendeleev quegli interrogativi che porteranno alla chimica degli isotopi.
Quando nel 1919-1920 Bohr comincia ad affrontare i problemi della struttura
degli atomi e della tavola periodica, esprime «la speranza e la convinzione che non
passeranno molti anni prima che divenga necessario, per ottenere buoni risultati nella
maggior parte dei problemi delle due scienze che chiamiamo “fisica” e “chimica”,
considerare con la maggior attenzione i progressi ottenuti nell’altro campo» [10].
Heisenberg, presente ai quattro seminari tenuti da Bohr a Gottinga nel giugno
1922 – che sono l’esposizione più dettagliata delle idee di Bohr sulla costituzione
degli atomi – ha detto: «Si capiva chiaramente che il grande scienziato era giunto
alle sue conclusioni non col calcolo e la dimostrazione matematica,ma piuttosto per
intuizione, o per ispirazione: e si vedeva benissimo che non gli era facile giustificare
le sue scoperte davanti ai famosi matematici di Gottinga» [11]. E Kramers, stretto
collaboratore di Bohr a Copenaghen: «… È interessante tener presente che all’estero molti fisici pensavano che la teoria si basasse in gran parte su calcoli non pubblicati mentre la verità è che Bohr, con preveggenza divina, aveva creato e
approfondito una sintesi tra i dati della spettroscopia e quelli della chimica» [11].
Il fisico, padre della struttura atomica, riconosce l’autonomia della chimica, e ne
adotta risultati e metodi.
Oltreché leggi, vi sono dei concetti eminentemente chimici che non possono essere espressi altrimenti che nell’ambito chimico, come «struttura molecolare» [1, 12].
La spiegazione di tanti fenomeni mediante quest’unica idea fondamentale è stato
uno dei maggiori successi della scienza del XX secolo: un’idea che è assente nel
puro formalismo quantomeccanico applicato ai sistemi chimici o, se si vuole, un
pregiudizio che non è fondato sulla teoria quantistica [13, 14, 15]. L’operatore
Hamiltoniano descrive le interazioni di un insieme di elettroni e nuclei: non
descrive una particolare specie molecolare, e non porta a qualcosa che possa essere
la struttura molecolare classica. La descrizione di una struttura molecolare in termini quantomeccanici è introdotta artificialmente, connessa alla separazione dei
moti elettronici da quelli nucleari secondo Born-Oppenheimer,vale a dire ad
un’approssimazione.
Il concetto di struttura molecolare si origina storicamente sulla base di quell’elemento intuitivo che è uno degli aspetti essenziali della nostra scienza [16], entro
cui viene continuamente richiamata la discussione intorno al dualismo simbolorealtà fisica [17]: una rappresentazione ottenuta attraverso simboli (le formule
strutturali), cioè un modello che, funzionando per analogia, ha relazione con una
metafora. Sommerfeld ha definito plausibile «il considerare l’esistenza di atomi e
molecole una conseguenza dell’esistenza della costante di Planck» [18]; Heisenberg afferma: «atoms form a world of potentialities or possibilities rather than one
of things or facts» [19].
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Il concetto di struttura molecolare di «coordinazione» di Alfred Werner, così
potentemente rivoluzionario e così chimico, può essere, sì, basato a posteriori su
una rigorosa analisi delle combinazioni lineari degli orbitali atomici conformi alle
rappresentazioni irriducibili del gruppo di simmetria della molecola, ma al momento originario (1892) Werner ebbe la «geniale impudenza» – come un collega la
definì – di lanciare la teoria chimica della coordinazione, così feconda di straordinari risultati nel XX secolo, da giovane «Privat Dozent», praticamente senza esperienza in chimica inorganica e senza verifica sperimentale a quel tempo [20],
quando la meccanica quantistica ancora non esisteva. E neppure esisteva l’applicazione della teoria dei gruppi sui concetti di simmetria: Bethe ha pubblicato solo nel
1929 su Annalen der Physik il suo «Termaufspaltung in Kristallen». Dovette passare quasi mezzo secolo prima che il concetto di valenza riuscisse a comprendere
sia i composti che rispecchiavano le teorie di Frankland e di Kekulè sia i composti
di coordinazione di Werner.
La soluzione del problema della formula del benzene è un altro monumento
della peculiare capacità chimica di sviluppare autonomamente una scienza; il riferimento è a Kekulè ,Thiele, Baeyer, ecc. [21].
Su struttura molecolare bisogna dire oggi che il concetto di molecola si è
andato evolvendo negli ultimi decenni anche da un punto di vista di chimica reale
e sperimentale. Si assiste al superamento del concetto tradizionale attraverso una
chimica guidata da forze intermolecolari (le attrazioni deboli che agiscono a breve
distanza, riconosciute come cruciali nella proliferazione degli organismi biologici),
al posto delle forze forti (legami covalenti) che la chimica di sintesi ha usato prevalentemente sino alla fase contemporanea sotto l’incalzare del travaglio plurisecolare
del concetto di valenza.
Questa evoluzione avviene su indicazione dei sistemi naturali. L’ideazione e la
costruzione di sistemi dotati di struttura organizzata in grado di dirigere e controllare enti reattivi (chimica host-guest) è uno degli aspetti di questa chimica, che più
generalmente si descrive con la nozione di «riconoscimento molecolare», un processo che ha relazione con il principio di «complementarità» tra molecole: complementarità di dimensioni, forma, carica, funzionalità chimica, così come fra il
piede e la scarpa su misura fatta a mano [22]. È tra gli elementi principali che cambiano il quadro attuale del meccanismo di produzione della conoscenza in chimica,
in diversi settori, compresi i sensori e la biochimica dei recettori.
Mezzi organizzati influenzano la capacità delle molecole ospitate di mutare la
loro forma, come nel riconoscimento molecolare in spazi ristretti. Ad esempio, in
fotochimica, una disciplina che pur viene discussa in termini di transizioni elettroniche tra i vari orbitali [23, 24], vi è una tematica di ricerca, elegante, sotto titoli
diversi (photochemistry in microheterogeneous systems, in nanoscopic reactors, in
organized media, in constrained media, ecc.) in cui vari materiali (solidi porosi, zeoliti, polimeri, semiconduttori, micelle, cristalli liquidi, ecc.) vengono utilizzati come
micro-ambienti eterogenei, ristretti per agire sulla «forma» molecolare del substrato.
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Così apparentemente disomogenei fra loro, dal punto di vista topologico hanno in
comune la capacità di restringere i gradi di libertà rotazionali e traslazionali della
molecola-substrato ospitata, costringendola in rigide orientazioni, studiate per promuovere reazioni selettive di stati eccitati, altrimenti non ottenibili» [25, 26].
Nell’ambito dell’evoluzione del concetto strutturale di molecola i principi del
riconoscimento molecolare sono impiegati nello sviluppo della nozione di struttura
«supramolecolare» [27] con l’autoassemblaggio di unità molecolari tenute insieme
da interazioni intermolecolari, in forme e funzioni desiderate, oggetti a nanoscala
proponibili come «congegni» a livello molecolare, da cui le potenziali applicazioni
di nanotecnologia e nanorobotica [22, 28, 29]: una branca della chimica contemporanea relativa a complessità strutturale sempre maggiore, al di là della molecola,
per dare diverse classi di gerarchia supramolecolare, che vanno dalle architetture
finite di multicomponenti molecolari, sino ad insiemi di sistemi polimolecolari infiniti per polimerizzazione non covalente, ed a conglomerati giganti per associazione
di supramolecole e di insiemi supramolecolari [30, 31].
Gli organismi naturali possiedono una superba abilità nel costruire sistemi
organizzati: un esempio è il citocromo P-450, un metallo-enzima preposto all’utilizzazione dell’ossigeno, in cui il sito attivo, costituto da ferroporfirina, è alloggiato
all’interno di una cavità idrofobica che ha le funzioni complesse di verificare le
caratteristiche delle molecole aspiranti alla reazione, permettendo l’ingresso soltanto a quelle adatte e disponendole nella geometria opportuna [32].
Oggi la chimica biomimetica, che crea in laboratorio sistemi organizzati, offre
un’area in forte sviluppo sotto lo stimolo della ricerca in catalisi, energia, medicina,
green chemistry. In questo momento molti sforzi della chimica sono impegnati a
cercare di mimare la natura con l’utilizzo delle forze intermolecolari deboli.
Come punto filosofico, il soggetto della chimica – le molecole, le sostanze – è
situato a livello intermedio di complessità strutturale fra fisica e biologia: più «complesso», e quindi meno «fondamentale», degli atomi; meno «complesso», e perciò
più «fondamentale», delle cellule e degli organismi [6, 16].
Si accentua ora nella chimica lo spostamento verso il più grande (organismo).
Chimica e fisica sembrano andare in direzioni opposte: verso il più grande la chimica, verso il più piccolo la fisica (che è poi il mezzo per l’interpretazione dell’universo). Nella ricerca con obiettivi più tecnologici c’è lo sforzo verso dimensioni
ridotte; la nano-tecnologia rappresenta il limite estremo ed a coltivarla maggiormente è la ricerca nel settore dei dispositivi microelettronici.
In generale, lo sviluppo della chimica moderna dipende in buona parte dalla
nostra capacità di usare il concetto di struttura molecolare in modo creativo. Gli
scienziati hanno tutti a che fare con la scoperta, i chimici anche con la creazione; la
chimica si avvicina molto all’arte [33]. Il chimico è guidato da un’alta logica e
insieme da uno spirito avvincente di estetica architettonica,come nelle sintesi ormai
classiche di borani, carborani, clusters metallici, fullereni, ecc. L’idea che la «forma» molecolare non sia una proprietà invariabile delle molecole – già evidente
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nelle relazioni tra fasi e struttura [34] – è molto più di una curiosità filosofica,
scrive Woolley [13]. Ed è abbastanza plausibile che per determinate interazioni con
il contorno una struttura possa comparire rispetto ad alcuni gradi di libertà ma non
rispetto ad altri, notano Claverie e Diner (da Weininger [14]). Questa affermazione
sembra assumere qui un valore oggettivo poiché i sistemi a spazi ristretti prima
descritti presentano popolazioni molecolari non più «termodinamiche», cioè non
più ripartite all’equilibrio fra tutti i gradi di libertà, con la soppressione di alcuni
decisa dall’osservatore e la imposizione di «forma» molecolare dall’esterno.
Inoltre, l’invenzione dello «scanning tunneling microscope» ha fornito immagini dirette di superfici e di atomi o molecole adsorbiti ad una risoluzione mai raggiunta prima, e la capacità di posizionare o assemblare o rimuovere a volontà atomi
o molecole singoli su cristalli con precisione atomica [35, 36]. Questa situazione non
può non richiamare l’imprecisione o indeterminazione dell’osservatore fisico con la
sua impossibilità concettuale di definire le coordinate della materia subatomica.
La struttura molecolare è una conseguenza delle perturbazioni ambientali,
piuttosto che una proprietà intrinseca, però le perturbazioni prima descritte sono
governabili a volontà a livello molecolare. Anche se il concetto di struttura molecolare è niente più di una metafora che non ha realtà obiettiva (per lo meno da un
punto di vista quantomeccanico [13, 15, 37]), si può dire che il paradigma del
riconoscimento molecolare costituisce un metodo per l’acquisizione di conoscenza
scientifica che, a partire da una cognizione di realtà virtuale assegnata alla struttura
molecolare delle molecole-substrato, genera l’idea di altre realtà virtuali assegnabili
alle strutture del microcontorno, con le quali il substrato deve esercitare procedure
di riconoscimento atte a fornire prodotti, materiali, processi, procedimenti, utilizzabili concretamente.
Ed è anche in questo continuo rapporto di concretezza che si deve vedere l’autonoma essenza epistemologica della nostra scienza. Tale concretezza ha attinenza
con gli esiti macroscopici della chimica; e non deve essere confusa con la questione
filosofica del «realismo» riguardante i termini scientifici, come ad esempio «struttura molecolare», o comunque le ragioni storiche e psicologiche dell’attitudine filosofica dei chimici nella problematicità delle relazioni tra concetti chimici classici e
moderni [2, 14].
La chimica – e la sua industria – nel XX secolo hanno fornito all’uomo una
varietà incessante di prodotti utili, diventati necessari; il modello strutturale caratterizzante lo sviluppo dell’industria chimica negli anni post-bellici, impostato su
grandi processi, è entrato in crisi con gli anni ’70, accompagnato da atteggiamenti
sfavorevoli dell’opinione pubblica, in cui il benessere dovuto alla ricerca ed alle sue
applicazioni passa in seconda linea [38, 39]. Utilità e pericolo sono due poli di un
dualismo [33]. Come risposta, le tendenze puntano agli aspetti qualitativi ed alle
correlazioni fra economia e ambiente nello sviluppo sostenibile.
All’acme della crisi della chimica si può dire che la filosofia moderna della chimica fosse pressoché ignorata. Lontana da me l’idea di porre una qualche correla-
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zione di causa-effetto fra questa mancanza e la crisi: noto soltanto che per i chimici
ci sono state le grandi cause oggettive, e, in più, è mancato quel senso impalpabile
di sicurezza intima che può derivare inconsapevolmente nell’animo dall’avere un
radicato ancoraggio patrimoniale filosofico-storico. Rovesciando la medaglia, questo
può valere anche per gli altri, nel senso che possa essersi indebolita quella sottile
barriera di rispetto per una scienza altrimenti dominante: «la conoscenza della
storia del pensiero scientifico può contribuire enormemente a restituire alla scienza
il suo vero significato e a creare un progetto educativo corretto … Tagliando alla
radice i suoi legami con la storia, la scienza ha creato una barriera, in origine inesistente, fra sé e il mondo umanistico, venendo meno nell’interesse non soltanto degli
studenti, ma dell’opinione pubblica in generale» [40].
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