Oltre la religione: attraverso la ragione verso l'educazione Quando Simonetta mi ha chiesto di intervenire a questo convegno ho accettato con entusiasmo perché ho visto in questa opportunità la possibilità di fare una riflessione sul cammino personale e professionale che in questi anni mi ha attraversato. Frequentando il corso di idoneità per l'insegnamento della religione cattolica, il corso per animatori pastorali e sostenendo un esame all'università, ho maturato gradualmente un interesse per la teologia da un punto di vista filosofico. Detto questo, mi sono comunque avvicinata con “timore e tremore” (Kierkegaard) al tema della religione e ho iniziato a pensarlo non come tema da trattare ma come concetto che abita le nostre scuole. La mia intenzione non è stata quella di analizzare il significato sacro della parola religione nel senso di “totalmente altro”, ma di andare oltre, per indagare quanto, in senso più generale, le radici religiose influenzino l'educazione dei bambini che ogni giorno stanno di fronte a noi. Le religioni si manifestano nella cultura e inducono certi comportamenti, orientano il pensiero, i valori e gli ideali. Ma allora mi chiedo quanto la religione intervenga nella costruzione dell'identità, nell'acquisizione dell'autonomia o nella conquista delle competenze dei bambini? La risposta non può essere una sola, ma va declinata all'interno di ciascuna religione. In ogni caso, qualunque sia la religione, ho scoperto in questi anni di insegnamento quanto essa alimenti il modo di essere dei bambini e quanto determini i loro ritmi e i loro bisogni. Da questo quadro generale emerge una concezione di religione, che educa, induce e conduce stili di vita. Per noi insegnanti i bambini sono tutti uguali e sono tutti uguali perché ciascuno è diverso; ed è partendo dal riconoscimento delle loro diversità che proviamo a garantire l'uguaglianza educativa. Ma non è un compito affatto semplice perché spesso siamo sole di fronte a 28 bambini, di età diverse, di religioni diverse, e con vissuti diversi. Mi correggo, è un compito difficile, soprattutto alla luce di un'espressione che voi conoscete bene di D. Demetrio in cui ci ricorda che “l'educazione penetra sotto la pelle” e così anche la religione. Siamo dunque noi persone libere nel nostro modo di educare? Oppure quando educhiamo, anche noi, sotto la nostra pelle abbiamo valori e ideali impregnati di religione? Forse anche il nostro sguardo sul bambino, crediamo sia libero, ma è una libertà condizionata, condizionata dall'educazione che hanno scelto per noi, dalla religione che nelle nostre famiglie e nei nostri territori si è tramandata. La tradizione classica cristiana, dice M.Calidoni, fa parte del nostro patrimonio territoriale e io aggiungerei che in ultima analisi imprime valori, ideali e determina il senso delle nostra vite. Recentemente, ho appreso che la religione cristiana ha preso contatto con la filosofia già nel secondo secolo dopo Cristo, dal momento in cui vi furono i primi convertiti di cultura greca. In questo periodo compaiono i primi padri apologisti o apologeti chiamati così perché le loro opere principali erano delle apologie della religione cristiana, cioè delle arringhe giuridiche per ottenere dagli imperatori romani il riconoscimento del diritto legale dei cristiani a vivere in un impero ufficialmente pagano. Questo per dire quanto la religione cristiana si sia, intenzionalmente e consapevolmente, imposta alla storia dell'uomo e al suo pensiero. A questo proposito vi cito alcuni esempi che si possono incontrare nella filosofia di autorità teologiche come S.Agostino, S.Tommaso o S.Anselmo, che pur avendo avuto sguardi profondamente cristiani, sono stati riconosciuti come grandi filosofi. Esistono dunque una contaminazione e una distinzione tra religione e ragione: verità di fede e verità di ragione ad esempio sull'origine del mondo. S.Agostino, il quale sosteneva una duplice attività della ragione nell'espressione comprendi per credere e credi per comprendere, ha tentato di dimostrare l'esistenza di Dio servendosi dell'uso della ragione, ma pur essendo stato convincente nella dimostrazione dell'esistenza di Dio e del Verbo, la ragione, attività capace di andare oltre l'intelletto, ha avuto serie difficoltà nella giustificazione dell'esistenza dello Spirito Santo. Ma perché questo bisogno di giustificare l'esistenza di Dio? Perché la religione è una credenza e non una conoscenza. La conoscenza direbbe Platone è conoscenza vera giustificata Quindi se la religione non è una conoscenza, ha bisogno di essere giustificata. Ecco il comprendi per credere di S. Agostino. La ragione ha bisogno di riscontri empirici e la fede? La fede religiosa è una credenza e credere significa fare affidamento nella parola proposta e restarle fedele. Un padre rispondendo al figlio che gli chiedeva: “tu sei credente?”, disse: “quando si è razionali non è facile essere credenti” (L'Islam spiegato ai nostri figli di Tahar Ben Jelloum). Se la ragione pensa e l'intelletto conosce, pensare non vuol dire conoscere, ma tentare di andare oltre i limiti del nostro intelletto, cercando giustificazioni. Ad esempio, quando muore una persona, la mia ragione non si ferma ai limiti dell'intelletto e dell'esperienza, ma pensa che non possa finire tutto così, con una morte corporea e dell'anima. Così in quei momenti mi sforzo di avere fiducia in Dio e “dare fiducia vuol dire legare qualcuno a una promessa. Si dà fiducia perché qualcuno si impegni rispetto a noi riguardo a qualcosa” (Fiducia di S.Natoli). La religione, ritenego possa essere sia una visione parziale del mondo, che un dato culturale, o una credenza profonda con la quale veniamo in contatto fin da piccoli e dalla quale impariamo più di quanto supponiamo. Se penso, con l'audacia della ragione, alla religione, intuisco che vada oltre se stessa, oltre le definizioni che possiamo attribuirle perché penetra davvero sotto la nostra pelle diventando matrice di apprendimento, forse matrice delle nostre personalità. Allora una finalità interessante per la ragione potrebbe essere quella di prendere coscienza di quanto ragione e religione siano collegate e correlate, non per capire dove termini una o inizi l'altra, ma per stabilire se davvero ciò che per la ragione è impossibile e noi chiamiamo religione, dà un senso alla nostre vite e indirizzi il nostro agire quotidiano. Qualunque sia la nostra religione, per educare i nostri bambini, potremmo tener presente ciò che sosteneva Kant: avere “giusti concetti” accompagnati da “buona volontà”. Termino l'intervento leggendovi alcuni pensieri estratti dal libro L'educazione non è finita di D.Demetrio, pensieri sull'educazione che invitano a pensare. “L'educazione ci rammenta chi siamo. L'educazione è sapere. L'educazione è aver imparato a ragionare. L'educazione è saper conquistare la stima degli altri. L'educazione è provare gratitudine e saperla manifestare. L'educazione è vigile coscienza di esistere. L'educazione è senno di poi e ci muove al rimorso e al rimpianto. L'educazione ha a che fare con le scelte e le occasioni perdute e alimenta la preziosa facoltà di desiderare, sperare.. L'educazione ci è penetrata sotto la pelle. Non impariamo solo dalle figure umane, ma dai luoghi, dalle circostanze” e anche dalla religione. Chiara Barbieri