Che cos`è la biologia sintetica - Aula Virtual Maristas Mediterránea

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Che cos'è la biologia sintetica
Ecco che cos'è, come funziona e quali prospettive apre la biologia sintetica, la nuova frontiera della
biologia molecolare.
di: Marco Ferrari
E. coli, un batterio usato negli esperimenti di biologia sintetica. © Nature Picture Library/contrasto
Per approfondire, undocumento dello Iap (in inglese), il network globale delle accademie
scientifiche, su rischi e promesse della biologia sintetica.
La notizia del batterio con un alfabeto genetico esteso ha sollecitato le curiosità sulle profonde modiche
che gli scienziati possono apportare alle specie viventi, attraverso una disciplina d’avanguardia
chiamato biologia sintetica.
Ma che cos’è questo nuovo e rivoluzionario approccio allo studio della vita? Cosa promette e quali
possono essere i pericoli e le precauzioni da tenere in questi studi?
Che cos’è la biologia sintetica?
È una disciplina a metà strada tra l’ingegneria e la biologia molecolare. Inventata dagli americani agli
inizi degli anni Duemila nelle facoltà di ingegneria biologica, mira a ridisegnare i circuiti metabolici e
genetici degli organismi viventi, per creare un organismo sintetico di importanza pratica.
Ma allora la biologia sintetica costruisce Ogm?
No, sono due approcci molto diversi. Negli organismi geneticamente modificati (gli OGM) ci sono solo
uno o due geni introdotti nell’intero genoma. Il resto della cellula funziona come prima, e sintetizza solo
alcune molecole diverse per difendersi dai parassiti o dagli erbicidi. Negli organismi sintetici invece
l’intero genoma è quasi totalmente rivoluzionato, tanto che alcuni ricercatori parlano di “vita sintetica”.
Dobbiamo temere per la salute dell’uomo e dell’ambiente?
Molti studi sulle applicazioni sono ancora pionieristici e alcuni affermano che i prodotti potrebbero avere
effetti contrari a quelli voluti, sia in un malato sia nell’ambiente. Rischi temuti per esempio
nell’applicazione di organismi modificati alle tecniche per il disinquinamento: diffondere batteri sintetici
sui terreni contaminati potrebbe ottenere il risultato voluto, ma anche generare effetti indesiderati e
difficilmente prevedibili. È vero che alcuni progetti creano organismi che si autodistruggono, ma c’è
sempre il rischio che queste cellule possano mutare.
Un campione di alga sintetica prodotta negli Stati Uniti per potrebbe essere utilizzata per la produzione di biocarburanti.
Foto: © Stefan Falke/Laif/Contrasto
I dubbi riguardano anche la tecnica in sé: c’è chi dice che questa ingegneria sia un’illusione, perché non
conosciamo abbastanza bene le cellule per indurle a fare quello che vogliamo. All’interno della comunità
dei biologi sintetici c’è comunque molta attenzione alle conseguenze degli studi. E molte ricerche sono
monitorate da sociologi, ecologi e comitati etici, che cercano di capire cosa potrebbe accadere se
lasciassimo liberi in natura organismi modificati. Cautele inevitabili quando una tecnologia
avanzatissima come la biologia sintetica apre le porte a una vera rivoluzione nella conoscenza.
Che organismi viventi si usano?
Di solito i laboratori utilizzano organismi piuttosto semplici, come i batteri (come E. coli); poiché il
genoma di questi organismi è molto ben conosciuto, è possibile anche modificarlo e verificare le
conseguenze delle modifiche. Altri batteri usati sono ancora più semplici, e hanno un patrimonio
genetico formati da pochissimi geni, come i micoplasmi. In questo modo si possono togliere o
aggiungere altri frammenti di DNA in modo da cambiarne anche radicalmente il comportamento e il
metabolismo.
Quali procedure si utilizzano nei laboratori?
Gli approcci usati dai ricercatori sono due, definiti dal basso (bottom up) e dall’alto (top down). Nel
primo caso si mettono insieme le singole molecole, come proteine, lipidi, DNA, e si costruisce una
cellula sintetica per vedere cosa accade. Si cerca cioè di costruire una replica delle primissime cellule
viventi, che ovviamente non si possono studiare perché non esistono più. Si parte di solito da
“sacchettini” di lipidi, simili alle membrane delle cellule, che possono incorporare proteine e materiale
genetico. Si studiano poi le reazioni che avvengono in queste cellule, e che secondo i ricercatori sono
molto simili a quanto accadeva nelle primissime cellule. Il secondo approccio,top down, cerca invece di
arrivare al “genoma minimo”, cioè l’indispensabile per tenere in vita una cellula. È come se da
un’automobile si togliessero il tettuccio, il baule, i sedili e la carrozzeria, lasciando il motore, le ruote e i
meccanismi fondamentali di trasmissione e guida. A questo si aggiungono man mano altri pezzi di Dna,
magari provenienti da altre specie, in modo da modificare l’organismo. Il risultato dovrebbe essere una
cellula migliorata e ottimizzata, che fa tutto con più efficienza e velocità.
Quali sono gli scopi dei due approcci?
Il primo serve per studiare l’origine della vita, il secondo ha invece applicazioni industriali come la
sintesi di nuove molecole. Quali sono i frammenti di DNA che si aggiungono al “genoma minimo”? Sono
sequenze standard di DNA che ogni ricercatore può trovare nel cosiddetto “Registry of Standard
Biological Parts” (registro delle parti biologiche standard) al Massachusetts Institute of Technology, e
usare liberamente per le sue ricerche. Come se fossero accessori e pezzi di ricambio per gli organismi
che studia.
Quali sono i campi applicativi?
Quelli più a portata di mano nel medio periodo sono nel campo della bioeconomia, come la produzione
di molecole o di processi nel campo dell’economia verde. Per esempio un settore di grande impatto
potrebbe essere la produzione di bioetanolo. Grazie a batteri e lieviti “superfermentatori” non ci
sarebbe più bisogno di usare prodotti alimentari come il mais per produrre etanolo: il carburante
proverrebbe direttamente da scarti agricoli. Si possono anche modificare alghe e cianobatteri
(organismi fotosintetici microscopici, presenti a miliardi negli oceani) per produrre altri combustibili per
le automobili, come metanolo o butanolo. Si crede molto alle opportunità della biologia sintetica anche
nel settore delle molecole farmacologiche. È grazie a un lievito modificato, per esempio, che si arriva al
precursore di un farmaco antimalarico, l’artemisinina. La produzione tradizionale si fa estraendo le
molecole da una pianta, l’Artemisia annua, soprattutto in fabbriche di Cina e Vietnam. Dall’aprile 2013,
è però partita la produzione innovativa anche nello stabilimento della Sanofi-aventis a Garessio (Cn);
qui si trasformano le molecole ottenute da un lievito modificato grazie alla biologia sintetica. Con la
materia prima che esce dallo stabilimento, si prevede di realizzare il farmaco sufficiente per 120- 130
milioni di trattamenti per malati di malaria.
Altri progetti molto più avanzati riguardano il metodo per far sintetizzare a batteri sintetici le
cosiddette smart protein, molecole “intelligenti” che si autoassemblano dove è presente la malattia – ad
esempio un tumore – per combatterla.
L’organismo con il codice genetico artificiale
Ricercatori hanno creato per la prima volta in laboratorio un batterio in grado di riprodursi trasmettendo
le nuove “lettere” aggiunte nel suo DNA
di: Chiara Palmerini
L'alfabeto della vita è costituito da quattro lettere: A, C, G, T, ovvero le iniziali dei quattro tipi di basi azotate che
costituiscono i mattoni elementari del DNA. Ma presto potrebbero aggiungersi nuove lettere introdotte artificialmente,
per esempio X e Y,
In sintesi
Gli scienziati erano già riusciti a modificare artificialmente il DNA, aggiungendo una coppia di basi
(nucleotide).
Ora sono riusciti a inserire questo DNA con una coppia artificiale di basi (chiamate X e Y) in un
batterio.
E sono riusciti a farlo replicare senza errori e rapidamente.
Questo secondo passo è la vera notizia di oggi ed è un passo avanti notevole per la biologia sintetica e
la progettazione di microrganismi artificiali.
L’alfabeto della vita sembra più una questione di caso che di necessità. Alle lettere che formano le
parole del codice genetico, le famose basi adenina, timina, citosina, guanina identificate con le lettere
A, T, C e G, che come si studia nei libri di biologia si uniscono a coppie nell’elica del DNA - adenina con
timina, citosina con guanina – se ne possono aggiungere altre.
L’alfabeto si allunga, le lettere diventano sei invece di quattro, e forse si potranno scrivere parole in più,
cioè sintetizzare proteine nuove e forse organismi inediti rispetto a quelli esistenti in natura.
La novità
Questo risultato è stato ottenuto da scienziati dello Scripps Research Institute, negli Stati Uniti. Come
punto culminante di un lavoro che dura ormai da anni, hanno creato per la prima volta un organismo
vivente il cui materiale genetico include una coppia artificiale di basi.
Questa coppia di basi, due molecole che i ricercatori hanno battezzato X e Y, si inserisce alla perfezione
nell'intera molecola del DNA; inoltre nel processo di replicazione, che produce una copia del DNA, è
vista dalle proteine che hanno questo compito come se fosse un frammento “naturale”. Fino a qualche
tempo fa, però, tutto il procedimento si svolgeva in vitro, cioè nel chiuso delle provette e non nel
complesso ambiente di un organismo vivente.
Nella scoperta, descritta su Nature, le nuove lettere dell'alfabeto genetico sono state appunto introdotte
in un batterio, che si è replicato normalmente, copiando insieme al suo materiale genetico anche quello
estraneo introdotto in laboratorio.
Per due lettere in più
Floyd Romesberg e il suo gruppo di ricerca lavoravano da oltre vent’anni alla ricerca di coppie di
molecole che potessero funzionare come basi di DNA artificiale e, in linea teorica, servire a produrre
organismi sintetici. «La vita sulla Terra, in tutta la sua diversità, è codificata da solo due coppie di basi
di DNA, A-T e C-G» ha detto lo scienziato descrivendo il risultato del suo laboratorio. «Quello che
abbiamo creato è un organismo che contiene stabilmente quelle due più una terza coppia di basi, non
esistente in natura».
I ricercatori hanno prima ingegnerizzato un plasmide, una piccola molecola di DNA circolare, che le
contenesse, e poi lo hanno inserito nel batterioEscherichia coli. Il microbo si è riprodotto normalmente,
24 volte in circa quindici ore. Nell’esperimento, il batterio conteneva una sola coppia delle nuove basi X
e Y in aggiunta al suo patrimonio genetico naturale. Ora sarà da vedere se è possibile produrre un
organismo che rimane funzionale aggiungendone di più. Il passo fondamentale, cioè che le basi
sintetiche possano essere trascritte in RNA, e quindi produrre proteine, non è ancora stato dimostrato,
anche se altri ci stanno lavorando e sembra che sia possibile.
Batteri produttori di farmaci
A che cosa potrebbe servire questo risultato della cosiddetta biologia sintetica? Secondo i ricercatori,
per creare in futuro per organismi da usare come fabbriche di farmaci o altre sostanze impossibili da
realizzare con cellule dotate solo di DNA naturale.
Nonostante le prevedibili polemiche sui possibili rischi di queste tecniche di manipolazione (e creazione,
in questo caso, di nuovo materiale genetico), gli autori dell’esperimento assicurano che la tecnica è
sicura e non rischia di produrre batteri potenzialmente pericolosi per l’uomo. In questo caso, le basi
sintetiche devono essere fornite al microbo dall’esterno. Se il batterio dovesse accidentalmente
introdursi nell’ambiente, morirebbe o tornerebbe a usare solo il DNA naturale perché non troverebbe il
materiale per le nuove basi. C’è però da dire che altri ricercatori stanno lavorando per produrre cellule
modificate geneticamente in modo che siano in grado di ricavare da sole le basi artificiali, e quindi in
grado potenzialmente di sopravvivere per conto proprio.
Gli scienziati autori dell’esperimento hanno fondato un’azienda per cercare di sfruttare la loro tecnica
per la produzione di virus o batteri da usare come vaccini. L’idea è che, inoculati, potrebbero facilmente
indurre una risposta immunitaria senza però essere in grado di riprodursi, e quindi senza provocare la
malattia.
Un bambino in provetta e tre genitori
Una discussa tecnica di fecondazione mescola il Dna di due madri e un un padre, per evitare la nascita
di figli con malattie genetiche. La FDA americana sta decidendo in questi giorni se dare o no il via
libera. Ecco di che cosa si tratta.
di: Chiara Palmerini
Una nuova tecnica, la cui sperimentazione sull'uomo deve essere ancora approvata, permetterà a una donna di dare alla
luce un figlio che eredita il suo normale DNA nucleico, ma non quello mitocondriale che verrebbe sostituito con quello
prelevato dall'ovulo di un'altra donna. Un figlio, un papà e due mamme.
Viene chiamata “fecondazione in vitro con tre genitori”, ed è una tecnica concepita per evitare la
nascita di bambini con gravi malattie ereditarie. In questi giorni la Food and Drugs Administration,
l’ente americano che detta le regole in materia, deciderà se è arrivato il momento di passare dalla fase
di sperimentazioni sugli animali a quella sull’uomo.
È un passo importante perché la tecnica è controversa: per i sostenitori è l’unica possibilità esistente
per evitare la nascita di bambini affetti da una classe di malattie gravi e incurabili; per i detrattori
potrebbe aprire la strada un mondo dove è possibile progettare figli “su misura”, con gli occhi azzurri o
i capelli biondi, di alta statura o dotati per la musica.
Fecondazione in vitro
Come viene fatta
Che cosa è possibile fare in Italia
La storia della prima bimba concepita artificialmente
Via il Dna malato, dentro quello sano
I ricercatori sono riusciti a mettere a punto tecniche di manipolazione dell’ovocita per sostituire alcune
parti di Dna che potrebbero contenere mutazioni dannose e sostituirlo con lo stesso materiale genetico
proveniente da un’altra donna sana.
Il Dna in questione è quello cosiddetto mitocondriale, contenuto all’interno di organelli chiamati
mitocondri, di solito definiti come le centrali energetiche della cellula (anche se la loro funzione non è
solo di produrre energia).
Gli scienziati hanno identificato centinaia di mutazioni del Dna mitocondriale che possono provocare
ogni sorta di malattie con sintomi gravi, dalla cecità all’epilessia agli ictus ricorrenti. Ne è affetto circa
uno ogni 5mila nati, e attualmente non c’è cura.
Un metodo, sviluppata alla Università di Newcastle in Inghilterra, parte dall’ovocita con Dna
mitocondriale malato già fecondato. Il suo Dna nucleare, contenente il patrimonio genetico del padre e
della madre, viene rimosso e trasferito in un altro ovocita sano, da cui è stato rimosso il Dna nucleare.
Reportage da un pancione
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Rimozione ante concepimento
In una seconda tecnica, messa a punto da Shoukhrat Mitalipov e colleghi della Oregon Health &
Science University, il Dna nucleare viene invece rimosso dall’ovocita malato non ancora fecondato e
trasferito in uno sano, che verrà poi fecondato in provetta. L’embrione così ottenuto, a questo punto,
verrebbe trasferito nell’utero della madre per far procedere la gravidanza. Il bambino nato grazie a
questa tecnica avrebbe il patrimonio genetico del padre e della madre e il Dna mitocondriale della
donna che ha fatto da donatrice: tecnicamente, tre genitori.
Dubbi scientifici
Finora i ricercatori hanno creato embrioni umani in questo modo, senza però trasferirli nell’utero. Nella
sperimentazione con animali, scimmie nella fattispecie, sono nati animali sani, che non hanno avuto
complicazioni fino all’età adulta.
Secondo gli scienziati che la studiano, la tecnica è matura per essere trasferita nell’uomo. Secondo altri,
però, si tratta di un passo avventato perché le conoscenze ottenute dagli esperimenti con gli animali
non sarebbero ancora sufficienti. C’è chi sottolinea che non si sa che cosa succederà alle generazioni
successive, e quali sono i rischi a lungo termine. Altri ancora sottolineano i problemi ottenuti in alcuni
esperimenti con animali in cui è stato mischiato Dna nucleare e mitocondriale.
Dubbi morali
Poi ci sono le considerazioni di tipo etico: c’è chi teme che l’introduzione di questa tecnica apra la
strada a un mondo in cui è lecito creare figli su misura, con le caratteristiche più desiderabili.
Di fatto, oggi, l’unico mezzo per cercare di evitare di far nascere bambini affetti da malattie è la
diagnosi genetica pre-impianto: si analizzano le cellule degli embrioni ottenuti con la fecondazione in
vitro e si scartano quelli “malati”. Ma nel caso delle malattie mitocondriali non è semplice.
Anche in Inghilterra si sta dibattendo su questi problema. Il Nuffield Council on Bioethics, che si
esprime sulle questioni etiche, ha detto che, se verrà confermato che è un metodo sicuro, non c’è
motivo per cui le famiglie non debbano utilizzarlo per bloccare la trasmissione di malattie genetiche.
Ora si aspetta il responso degli organismi che dovranno dire “via” o “stop” dal punto di vista della
sicurezza ai primi bambini nati in provetta con la tecnica dei “tre genitori”.
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