Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 5 maggio 2013
Percorsi di memoria: siamo gli incontri che abbiamo vissuto
riflessioni di Carlo, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio
con un laboratorio a sorpresa …!!
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Letture dal Vangelo e riflessioni sulle parole “Fate questo in memoria di me”
Memoria: siamo gli incontri che abbiamo vissuto
Memoria: “a proposito di memoria storica”
Laboratorio: “Siamo gli incontri che abbiamo vissuto”
1. Letture dal Vangelo e riflessioni sulle parole “Fate questo in memoria di me”
“Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e
lo diede ai discepoli dicendo : prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice
e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo : Bevetene tutti, perché questo è il sangue
dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò
più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel regno del
Padre mio.”
[Matteo, 26, 26-29]
“Mentre mangiavano prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro
dicendo : prendete, questo è il mio corpo. Po prese il calice e rese grazie, lo diede loro e
tutti ne bevvero. E disse : questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti.
In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo
nel regno di Dio.”
[Marco, 14, 22-25]
“Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui e disse : ho desiderato
ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico,
non la mangerò più finché essa non si compia nel regno di Dio. E preso un calice, rese grazie
e disse : prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché io vi dico, da questo momento non berrò
più del frutto della vite finché non venga il regno di Dio.
Poi prese un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo : questo è il mio corpo che
è dato per voi ; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il
calice dicendo : questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi.”
[Luca, 22, 14-20]
Non abbiamo riportato nessuno stralcio dal vangelo di Giovanni perché in questo non
c’è nessun riferimento alla eucarestia, anche se viene dedicato moltissimo spazio alle
considerazioni che Gesù fa durante la cena pasquale prima di essere arrestato.
Secondo alcune interpretazioni (in particolare quella dello studioso di sacre scritture
Giuseppe Amato) Gesù non ha voluto istituire un “sacramento ripetitivo”, ma la sua
intenzione era quella di anticipare ai discepoli quello che di lì a poco sarebbe accaduto e di
sollecitarli a ricordare e a ricordarlo.
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Le parole “in memoria di me” presenti solo nel testo di Luca intendono il ricordo di quel
momento, così come Gesù aveva voluto ricordare la salvezza del popolo di Israele dopo aver
attraversato il mar Rosso.
Secondo l’interpretazione del biblista p.Alberto Maggi, quando Gesù dice “chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” non istituire la comunione, ma invita a nutrirsi
del “pane” che viene da Gesù cioè ad avere i suoi stessi sentimenti nei confronti degli altri.
“Fate questo in memoria di me” non significa partecipare ad un rito commemorativo ma
mettere nella nostra vita gli stessi sentimenti che portarono Gesù a sentirsi vicino ai poveri
e agli esclusi del suo tempo.
E’ a partire dal II secolo che l’eucaristia sembra assumere una connotazione
esclusiva ed identitaria per i cristiani dell’impero romano (stimati in circa 20.000 su 60
milioni di abitanti): “nel giorno detto a Roma del Sole i cristiani si radunano e leggono le
memorie degli apostoli. Seguono una esortazione del presidente dell’assemblea e la
preghiera comune. Vengono quindi portati pane, vino ed acqua. Il presidente prega e rende
grazie su di essi, poi il pane e le bevande consacrate vengono distribuiti ai presenti ed
inviati agli assenti tramite i diaconi. Il cibo benedetto viene chiamato eucaristia, a cui
nessun altro può prendere parte se non chi crede nella verità delle dottrine, dopo essersi
purificato nel lavacro e aver ottenuto la remissione dei peccati.” [da Storia del
cristianesimo, di Potestà e Vian, pag. 41-42].
Negli anni scorsi quando abbiamo affrontato il tema della comunione con i ragazzi
abbiamo “riletto” i brani del Vangelo con queste parole:
ci immaginiamo che Gesù, seduto tra i suoi amici e le sue amiche, possa aver detto
qualcosa del tipo: “se davvero mi uccideranno, quando non sarò più con voi, se vorrete
ricordarmi, ricordatevi delle cose che ho fatto nella mia vita e del modo con cui le ho
fatte, e fatele anche voi, naturalmente a modo vostro ma con questo spirito”.
E rispetto alla frase “Fate questo in memoria di me” abbiamo osservato che ci colpivano
due parole: FATE e QUESTO.
Innanzi tutto “Fate”, voce del verbo fare, non pensare, pregare, ricordare, ma fare! E ci
siamo chiesti a chi si rivolgeva con il suo “fate”? e ci siamo detti a chi era lì con lui, quel
giorno e oggi,... adulti e bambini, vecchi e giovani, donne e uomini, pescatori o pastori, ebrei
e gentili (stranieri).
Poi ci siamo chiesti che significa la parola “questo”, a cosa si riferisce; e le nostre risposte
sono state una serie di parole, gesti, scelte che si ritrovano nel messaggio evangelico. Tra
queste:
“Venite nel regno che ho preparato per voi perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho
avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato , nudo e mi avete vestito,
malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” .. ogni volta che avrete fatto queste
cose a uno solo di questi fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Matteo, 25)
“I re e i potenti si fanno chiamare benefattori ma tra voi non sia così! Chi vuol essere il più grande
sia il più piccolo...” (Luca 22).
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“Gesù si alzò da tavola preso un asciugamano e poi versò dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i
piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano. Vi ho dato questo esempio perché come ho
fatto io, facciate anche voi”. (Giovanni, 13, 2-17)
Se stai portando un’offerta al tempio ma sei arrabbiato con tuo fratello.. lascia quello che stai
facendo e vai a fare pace con tuo fratello”. (Matteo, 5)
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”
“Se vuoi pregare non fare come gli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe per farsi
vedere dagli uomini .. tu quando preghi entra nella tua camera e chiusa la porta prega” (Mt 6,5-6)
2. Memoria: siamo gli incontri che abbiamo vissuto
Quello di oggi è l’ultimo incontro che il nostro gruppo doveva preparare.
Quest’anno ci siamo dati, come filo conduttore, il tema della memoria, della memoria
sociale, “della sua vitalità generativa, dei suoi avversari e della sua resistenza” , come
scriveva Enzo ne “Il processo dell’Isolotto”.
Abbiamo affrontato “L’antichissima memoria della civiltà della dea Madre, per un futuro
mutuale”, “Le conquiste da difendere e i nuovi referendum sul lavoro”, “La libertà è di
destra o di sinistra?” e infine “La salute bene collettivo”.
Vorremmo continuare con le parole di Enzo per dare senso a quello che proponiamo oggi.
“La memoria del vivere sociale ha una grande vitalità generativa: produce identità
collettiva, tesse la trama del tessuto relazionale, crea di continuo comunità solidali e
ostacola i germi distruttivi della frantumazione egoistica. E’ la vitalità propria del seme:
può restare a lungo apparentemente inattiva, a causa di contingenze storiche che ne
impediscono lo sviluppo o la visibilità, ma è sempre pronta a esplodere in nuove fioriture, e
inoltre, come avviene nei pollini, è racchiusa in forme piccole e leggerissime che possono
essere trasportate lontano dal vento.
E’ una convinzione che ci deriva dall’esperienza di vita. Non dalle mappe dei navigatori
culturali offerte dalla storiografia tuttora dominante, le quali sono per lo più devianti
perché indirizzano solo sulle autostrade dei grandi eventi, delle individualità emergenti, dei
fasti e dei nefasti del potere, mentre sono cieche sugli intrecci sotterranei dove si
muovono le grandi masse dei senza potere. Non vedono quegli intrecci di relazioni che
tessono di continuo la trama sociale del vivere legando fra loro fatti distanti fra loro anche
secoli e creando sintonie incredibilmente profonde fra persone, messaggi, esperienze che
magari non si sono mai fisicamente incontrate. Il vivere sociale nella strada, nella piazza,
nel lavoro, nella famiglia, negli stessi luoghi della segregazione, è la mappa che ci consente
di vedere la struttura profonda dell’interrelazione che cavalca i secoli e produce e
riproduce ininterrottamente valori di comunità aperta oltre i confini….
La memoria sociale…..è anche un luogo di resistenza, anzi il luogo privilegiato della
resistenza rispetto ai sistemi di dominio che tendono sempre a frantumare il vivere sociale:
divide et impera. E forse si può dire che questa resistenza può essere essa stessa come
una struttura profonda del vivere e rientrare così nella vitalità creativa della memoria
sociale……
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Per questo salvaguardare la memoria, spogliarla della ritualità necrofila, attualizzarla, è uno
dei compiti più urgenti di chi vede un futuro per l’umanesimo sociale, per la solidarietà
planetaria, per la società dei diritti di tutti/e a partire dai diritti sociali, per l’etica
comunitaria aperta oltre i confini…..
E una memoria unitaria tiene insieme la nostra identità sociale. La quale però ha molte e
potenti nemici. I quali puntano a disarticolare la memoria che cementa il processo di
socialità dal basso in modo da annullare tale identità. L’agguato è dietro ogni angolo.
Occorre averne consapevolezza.”
Una idea che circola da tempo nel nostro gruppo, tanto cara a Carlo, è questa: abbiamo un
archivio, che, grazie soprattutto al lavoro egregio e paziente di Sergio, è encomiabile, è un
tesoro preziosissimo, è un archivio fatto di documenti, scritti, registrazioni, fotografie
ecc.. che ripercorre, e continua a documentare, un importante pezzo di storia, che ha visto
e vede la nostra Comunità inserita nel mondo. Comunità fatta di persone in carne ed ossa
che hanno dato il loro contributo e la loro presenza, nelle fotografie volti senza nome.
Allora perché non provare a dare, non solo un nome a questi volti, ma anche tentare di
inserirli in relazioni che si sono costruite, in episodi piccoli e banali, ma che possono
caratterizzare le loro personalità, non di individualità emergenti, ma “quegli intrecci
sotterranei dove si SONO MOSSE le grandi masse dei senza potere”?
Il nostro tentativo, speriamo di riuscirci, è questo: non un ripercorrere nostalgico di eventi
già ampiamente presenti nella nostra memoria, ma di quei piccoli episodi, incontri che hanno
il sapore della vita comune e il senso profondo di quel tessuto relazionale che ha formato la
nostra identità.
Partiamo noi da alcuni volti ricavati dagli album fotografici dell’archivio, a cui abbiamo dato
nome e una veloce caratterizzazione derivata da alcuni episodi, come dai nostri ricordi, per
lanciare la palla a tutti voi, perché riconosciate altri volti, altre “persone” in carne ed ossa,
legate a vostri momenti comuni e che così possano assumere una più concreta identità.
Possiamo provare a costruire, tutti insieme, un archivio “in carne ed ossa”?
Ha un qualche significato provare a fare tutto questo?
Un sorriso finale. Oggi è il 5 maggio di manzoniana memoria:
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro…
Ecco, non vorremmo proprio finire così!!!
3. Memoria : “A proposito di memoria storica” di Giovanni Greco, (estratto)
Università di Bologna (dal sito www.bibliomanie.it)
Noi siamo ciò che ricordiamo di essere stati.
La memoria storica è un diario, un salvadanaio dello spirito, e racconta i fatti più pregnanti della
vicenda umana: ecco perché la storia diventa la memoria vivente del mondo intero. Non c’è futuro
senza memoria. […]
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Tutto ciò che oggi noi siamo ha le sue radici nel passato, e dimenticare queste radici è come
condurre una vita priva di riferimenti. Si ha fame e sete di memoria storica, non per una sterile
nostalgia del passato, ma perché essa orienta una visione positiva della vita e dei rapporti umani,
educa alla convivenza pacifica. […]
In uno dei suoi libri più famosi e fortunati, Primo Levi ha scritto da par suo che, fra i
prigionieri, si diceva che bisognava farcela, bisognava sopravvivere anche per far vivere la memoria.
Questa era, in effetti, la prima preoccupazione di Levi allorquando compose Se questo è un uomo:
fornire grandi motivazioni alla memoria, l’atto di ricordare porta un uomo a porsi davanti al suo
passato e alla storia, davanti ai luoghi della memoria, cercando di trarre da essa una strategia di
comportamento.
[…]
Sono persuaso che il miglior modo di valorizzare la memoria storica non consista
nell’indulgere in espressioni magniloquenti e nemmeno nella comunicazione di un bagaglio
d’informazioni tanto cospicuo quanto scollato dai temi decisivi della nostra epoca, bensì nel
tentativo di far scaturire dal reale fluire di ogni elemento storico le ragioni di un concreto
innovamento.
[…]
Gli storici non han da essere professori di morale, ma devono esprimere la condizione umana
con una speciale attenzione però alla distinzione fra il bene e il male, altrimenti tradisce la propria
natura più profonda e non può aspirare alla sua insostituibile funzione formativa. È invece
nell’officina delle emozioni che la storia deve cercare di fondere la cifra degli elementi storicopolitici con le più avvincenti suggestioni del passato, nella complessa filigrana di passioni che è in
grado di suscitare. Mettere in fila i fatti, le cifre, le date, gli eventi, i dati sono importanti, ma
sono le emozioni che fanno la storia, forse l’unica verità è l’emozione. Ecco perché noi dobbiamo
recuperare i particolari, i dettagli, finanche le piccole cose vere che restituiscono il senso delle
grandi tragedie con un’attenzione particolare all’autoformazione delle coscienze.
Grazie alla memoria storica bisogna tentare di ridare respiro a nuove e più forti tensioni sociali ora
sostanzialmente addormentate e rese inoffensive da potenti ammortizzatori sociali sapientemente
progettati. Il senso più alto della conoscenza storica credo risieda soprattutto nel fatto che non si
tratta solo di conservare il passato, ma principalmente di realizzarne le sue speranze. E l’unico
modo di valorizzare il passato è quello di saper essere innovatori, cercando d’immettere il ricordo e
le immagini dell’antico entro un circuito di stimoli e di pensieri rinnovato.
4. Laboratorio: “Siamo gli incontri che abbiamo vissuto”
Con questo laboratorio non vogliamo indulgere alla nostalgia o fare un “amarcord” ma vogliamo
ricordare volti, nomi, situazioni, episodi perché siamo gli incontri che abbiamo vissuto.
Inizia Carlo con questi due brevi volti e ricordi:
Come facciamo a non ricordare Clara che tutte le domeniche veniva in piazza munita del suo
registratore a cassette e registrava tutto quello che veniva detto per poi portare le cassette al
fratello che era emofiliaco e immobilizzato a letto, in modo che anche lui potesse partecipare alle
nostre assemblee liturgiche.
Quando sono venuti i vietnamiti, che parlavano francese, li ho ospitati a casa mia e dormivano seduti
appoggiati alla testiera del letto e bevevano il tè caldissimo in dei loro contenitori e lo aspiravano
per poterlo raffreddare.
Poi la parola passa a tutti gli altri
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