Il Mediterraneo nell`Età delle rivoluzioni 1789-1849

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Luigi Donolo
Il Mediterraneo nell’Età
delle rivoluzioni
1789-1849
Pisa University Press
Donolo, Luigi
Il Mediterraneo nell’età delle rivoluzioni 1789-1849 / Luigi Donolo. - Pisa : Pisa university press, c2012
359.0091638 (22.)
1. Marina militare - Storia
CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa
In copertina
T. Buttersworth, Battaglia del Nilo (Abukir), acquarello. National Maritime Museum, Greenwich, London
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Indice
7
Prefazione
CAPITOLO PRIMO
La rivoluzione vista dal mare
15
Origine della presenza navale inglese nel Mediterraneo
22
Alcune conseguenze della rivoluzione francese
31
La squadra francese a Napoli nel 1792
37
La minaccia navale francese in Sardegna
44
Tolone cade in mano degli alleati nel 1793
53
L’occupazione inglese della Corsica
61
Le marine francese ed inglese sul finire del XVIII secolo
69
La battaglia di Capo Noli
75
Lo scontro delle isole Hyerés
80
Il blocco navale inglese davanti a Livorno
88
La spedizione francese in Irlanda e le sue conseguenze sul Mediterraneo
92
Gli ammutinamenti sulle navi della Royal Navy
CAPITOLO SECONDO
Da Abukir alla rivoluzione napoletana
95
Nelson e Brueys ad Abukir
116 La situazione dopo la battaglia di Abukir
125 Gli anglo-napoletani sbarcano a Livorno
131 Il 1799, l’anno della rivoluzione napoletana
135 La fuga di Ferdinando IV verso la Sicilia e la distruzione della flotta napoletana
139 La repubblica napoletana
143 La difesa sul mare della repubblica napoletana
151 L’isola d’Elba occupata dai francesi
154
160
163
175
La crociera in Mediterraneo dell’ammiraglio Bruix
La fine della repubblica napoletana
Nelson e re Ferdinando IV tornano a Napoli
La marina sarda ridotta a modesta entità
CAPITOLO TERZO
Gli anni di Napoleone console e imperatore
179 Gli effetti dei blocchi navali: la resa di Genova e di Malta
184 Nelson lascia il Mediterraneo
190 La marina statunitense inizia ad operare nel Mediterraneo
202 L’assedio dell’Elba e la fine dell’occupazione francese dell’Egitto
209 La battaglia navale di Algesiras
214 Le conseguenze della pace di Amiens nel settore navale
219 Il blocco dei porti francesi
224 Il piano diversivo di Napoleone
233 Alcune note sulla battaglia di Trafalgar
249 La fine di due protagonisti: Nelson e Villeneuve
253 Il blocco continentale
262 Gli inglesi ai Dardanelli nel 1807
266 Le squadre navali inglese e russa nel Mediterraneo orientale
268 I francesi e gli inglesi si inseguono nel Mediterraneo
272 Piccoli episodi della guerra sul mare
277 Il tentativo di Murat di occupare la Sicilia
282 La prima battaglia di Lissa
287 Le istruzioni tattiche e la guerra al traffico
291 Gli inglesi reclamano la consegna della marina napoletana
298 Il progetto di unità italiana di Lord Bentinck
300 La situazione in Italia dopo Napoleone
CAPITOLO QUARTO
Dal Congresso di Vienna alla rivoluzione in Italia del 1831
305 La fine di Gioacchino Murat ed il rientro di re Ferdinando a Napoli
308 In Mediterraneo riprende la guerra alla pirateria con un intervento americano
312 La spedizione alla Capraia del 1815
315 La battaglia di Algeri
321 Le marine napoletana e sarda dal Congresso di Vienna alle rivoluzioni costituzionali
334
339
352
355
359
366
La spedizione della marina sarda contro Tripoli nel 1825
La guerra di indipendenza greca e la battaglia di Navarino
La marina sarda e la tutela degli interessi commerciali
L’avvento della propulsione a vapore nel Mediterraneo
La marina sarda e la rivoluzione del 1831
La Francia occupa l’Algeria
CAPITOLO QUINTO
Il primo Risorgimento
371 La marina austriaca dopo il Congresso di Vienna
374 La campagna navale di Siria
381 L’irredentismo filo italiano nella marina austriaca
385 Gli avvenimenti nei primi mesi del 1848
390 La rivoluzione a Venezia e la Imperiale Regia Veneta Marina
394 Le squadre navali sarda e napoletana in soccorso della Repubblica di Venezia
403 Le operazioni navali in Adriatico nel 1848
409 Il ruolo delle marine inglese e francese nella rivoluzione siciliana del 1848-1849
421 I contrasti tra l’ammiraglio Albini e l’ammiraglio Mameli
425 La difesa di Venezia
429 Gli ultimi due mesi della marina veneziana
433 La minuscola marina della Repubblica romana nel 1849
436 Lo sbarco dei francesi a Civitavecchia e la difesa di Roma
444 Le navi e la rivolta repubblicana di Genova
454 Il caso Livorno
470 L’assedio e il blocco navale austriaco di Ancona
477
Cronologia degli avvenimenti dal 1789 al 1849
491
Elenco dei nomi citati nel testo e nelle note
517
Bibliografia essenziale consultata
Ringrazio:
il compianto professore Carlo Mangio per i preziosi suggerimenti
il dottor David Nieri per l’ottimo lavoro di editing
l’Associazione Mazziniana Italiana per l’attenzione dimostrata
Prefazione
Il fine di questo libro è di presentare un periodo della storia visto dal mare.
Poiché è noto che gli avvenimenti, come gli oggetti, si comprendono meglio
quando osservati da più angolazioni, la speranza è che ciò che è avvenuto nei
sessanta anni compresi tra il 1789 ed il 1849 possa risultare più chiaro se considerato anche in uno spazio integrato mare-terra.
L’influenza che il mare e le marine militari hanno avuto sulla storia del Mediterraneo nel periodo in questione è stato assunto come principale filo conduttore del libro che inizia con la nascita della rivoluzione francese, origine e causa di buona parte di quanto descritto, e si chiude con un esame dei drammatici
avvenimenti italiani del biennio 1848-1849. In mezzo ci sono i rivolgimenti che
l’Europa ed il Mediterraneo subirono sotto l’azione dirompente di Napoleone,
altre rivoluzioni, moti indipendentisti e liberali e vicende che, nel giro di pochi
decenni, hanno cambiato il mondo occidentale in modo così profondo che le
loro conseguenze si fanno sentire ancora oggi. Il tutto è analizzato e descritto
soprattutto dal punto di vista navale militare, tenuto quindi conto del potere
marittimo, senza peraltro escludere gli avvenimenti a terra quando influenzati
dalle flotte navali sia delle grandi potenze che degli stati che disponevano di
uno strumento militare più ridotto.
La narrazione è geograficamente ambientata nel Mediterraneo, un luogo, un
confine, un crocevia, ma nello stesso tempo un ponte antichissimo tra paesi
e popoli di tre continenti, un mare che da sempre ha la connotazione di uno
spazio più grande di quello definito dalle terre che lo circondano. Dopo un
lungo periodo di immobilità e di abbandono, alla fine del XVIII, quando inizia
la nostra indagine storica, il grande bacino tornò ad essere per il mondo occidentale e per l’Europa un luogo vitale dove le tensioni accumulate a terra si
scaricarono e tentarono di risolversi. Il Mediterraneo è un sistema complesso
per geografia, clima, cultura e storia, quasi un insieme di mondi diversi tra loro
legati da un comune destino. Nell’epoca in esame questo mare, era abbastanza
grande per accogliervi interessi e azioni di disparata origine, e nel contempo
abbastanza piccolo perché tutti gli avvenimenti finissero per influenzarsi a vicenda, sommarsi e produrre conseguenze di carattere universale.
Nel leggere il libro dovremmo pensare al Mediterraneo con la mente alla
storia, per comprendere come, all’epoca della vela e dei primi timidi tentativi
della propulsione a vapore, questo mare fosse una distesa paragonabile ad un
oceano. Se riusciremo a focalizzare la nostra attenzione su un Mediterraneo
storico, potremmo meglio comprendere certe situazioni e alcuni condizionamenti che hanno influito significativamente sul destino di uomini e nazioni.
8
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
Gli avvenimenti sono esaminati con un occhio di riguardo per le azioni
compiute, in tante e diverse situazioni, dalle navi e da coloro che le facevano
muovere e operare. Poiché tutto si svolge sempre con precise relazioni di causa ed effetto, nel descrivere e commentare gli avvenimenti di natura militare e
marittima si è cercato di riferirli al contesto più generale, politico, sociale ed
economico, allo scopo di valutare meglio le cause che li hanno prodotti e le
relative conseguenze.
Negli anni di cui ci occupiamo il mare era fondamentalmente una via di
comunicazione, uno spazio attraverso il quale gli uomini e le merci, materie
grezze o manufatti, potevano muoversi in tutte le direzioni, privilegiando però,
per motivi di praticità e convenienza, certe rotte, perché più brevi o perché più
sicure. Queste, insieme ai porti di partenza e di destinazione ed a basi opportunamente dislocate, costituivano una rete di relazioni e d’interessi di particolare
valore. Le basi potevano essere empori, depositi di merci, chiavi di accesso
alle zone continentali interne, ma dovevano anche servire da ricovero e punti
di rifornimento per le stesse navi mercantili e per le navi militari destinate a
gravitare in zone lontane dalla madrepatria. Quest’ultima esigenza, di natura
più tipicamente strategico-militare, fu la causa di molte delle contese che avvennero nel Mediterraneo.
La rete costituita dai porti di partenza e di destinazione, dalle rotte e dalle
basi era importante sia dal punto di vista commerciale, sia per tutte le operazioni necessarie al controllo e alla difesa del traffico, ancora minacciato in
tempo di pace dalla pirateria. In tempo di guerra le cose cambiavano decisamente. I traffici mercantili nazionali dovevano essere protetti direttamente o indirettamente, quelli avversari colpiti e neutralizzati. Esisteva inoltre, già allora,
l’esigenza di trasferire la potenza militare in aree prefissate per condizionare o
combattere le forze navali militari avversarie o per influenzare gli avvenimenti
a terra. Quest’ultimo risultato poteva realizzarsi con un uso della forza che oggi
chiameremo ‘diplomatico’ o con uno più segnatamente ‘coercitivo’. Le marine
militari traevano in sostanza la loro ragione di essere da due fattori fondamentali: da un lato i commerci marittimi e l’esistenza di una marina mercantile con
la conseguente necessità di poter disporre liberamente del mare e dall’altro la
volontà politica di adoperare il mare come un mezzo per trasmettere potenza.
Nel 1789 la rivoluzione francese diede l’avvio ad un inarrestabile processo
di trasformazione del vecchio mondo. Un nuovo vangelo corse attraverso l’Europa e percorse anche il Mediterraneo distruggendo gli equilibri precedenti,
creando nuove istituzioni, nuovi assetti e nuovi stati, ma soprattutto diede agli
uomini la volontà di impegnarsi per la felicità ed il benessere individuale e
collettivo. Felicità e benessere identificati con l’indipendenza, la libertà ed una
migliore giustizia sociale. L’Europa aveva allora solo 170 milioni di abitanti, la
rivoluzione industriale era appena iniziata e lo era solo in alcune zone dell’Inghilterra e del Belgio, le comunicazioni tra paesi e regioni erano difficili e
l’azione dei governi era ancora lenta e prudente. In una Europa politicamente
rimasta stabile per lungo tempo, la società era ferma a condizioni antiche. In
Prefazione
9
pochi anni si verificarono straordinari cambiamenti e tutto si sviluppò secondo
dimensioni più grandi e si svolse in spazi immensi. Anche gli eserciti e le flotte
diventarono di proporzioni fino allora mai viste, furono diversamente composti
ed assunsero nuovi ruoli.
La rivoluzione francese e ciò che ne seguì, in particolare la discesa in Italia
del generale Bonaparte, portò tra le tante novità la rottura degli equilibri geostrategici. L’asse ideale tra l’Atlantico e il Mare del Nord, ormai consolidato da
due secoli, cambiò il suo orientamento e si spostò nuovamente con un capo
sul Mediterraneo. La campagna d’Italia del 1796-97, nata come un diversivo
per impegnare le forze austriache e alleggerire il fronte renano, fu la premessa di un progetto che prevedeva di rivolgere l’attenzione della Francia anche
verso il sud e l’oriente. Dopo Campoformio questo processo, fino ad allora
ancora incerto, si consolidò e l’equilibro atlantico continentale si trasformò in
una grande manovra che vide l’Italia protagonista e che portò il Mediterraneo
verso una rinnovata importanza, teatro privilegiato della lotta tra la Francia e
le Coalizioni.
Il periodo della rivoluzione francese e quello dell’impero coincisero con la
fine delle guerre caratterizzate in prevalenza da scontri moderati e non decisivi.
Le guerre divennero da quel momento di una vastità senza precedenti e furono
combattute con battaglie cruente che si chiusero con nette vittorie o nette sconfitte. Il principio strategico e tattico fondamentale divenne quello della concentrazione delle forze. Nella marina britannica, certamente la più evoluta di tutte
quelle di allora, perché strumento per eccellenza della politica, furono messi
da parte i vecchi manuali e furono adottati nuovi regolamenti che diedero al
comandante in capo delle squadre navali la possibilità di improvvisare azioni
adatte alla particolare situazione del momento. Fu esaltata anche l’iniziativa e
la capacità dei singoli comandanti di nave. Ciò che avvenne nel Mediterraneo
può essere considerato sotto quest’aspetto un esempio particolarmente significativo. Nelle altre marine i processi di rinnovamento dottrinale e organizzativo
furono più lenti e difficili per ragioni di natura politica, di cultura, di costume,
di disponibilità finanziarie. Così accadde alle marine francese, spagnola, portoghese, danese, sarda, turca e russa. Ognuna, naturalmente, in modo diverso.
In Mediterraneo vi fu l’eccezione della marina napoletana che, inizialmente
perfettamente all’altezza dei compiti, venne poi distrutta dall’incapacità politica
di chi la doveva impiegare.
Negli anni della Rivoluzione e dell’Impero si perfezionò anche il coordinamento tra le marine e le forze terrestri, come accadde per la campagna di
Napoleone in Egitto, per quella inglese nell’Italia meridionale e poi in Spagna. I
blocchi navali realizzati da l’una e dall’altra parte, una forma di guerra commerciale e militare che si era già sviluppata nel secolo precedente, rappresentarono
anch’essi un’applicazione del principio della concentrazione delle forze, volto
in questo caso a neutralizzare la marina militare avversaria o a soffocare, insieme alla guerra al traffico, l’economia della nazione contro la quale venivano applicati. L’importanza delle marine anche nei riguardi delle guerre continentali
10
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
crebbe talmente che il generale inglese Arthur Wellesley Wellington, riferendosi
alla Royal Navy ed alla propria campagna vittoriosa in Spagna, affermò “a chi
volesse conoscere la storia di questa guerra dirò semplicemente che è stata la
nostra superiorità navale a consentirmi di mantenere il mio esercito; questa
superiorità gli altri non l’avevano”.
Grazie al potere marittimo la Gran Bretagna uscì dalle guerre napoleoniche
come la più grande delle potenze, la più ricca e la più temuta. Aveva un nuovo
sistema industriale e dominava i commerci marittimi, attraverso i quali, con la
protezione della più potente marina da guerra del mondo, esportava ovunque
i prodotti frutto della propria superiorità tecnica ed organizzativa. Anche con
i governi più reazionari riuscì a preservare un giusto equilibrio tra libertà e
autorità e questo le diede la forza per influire in modo decisivo sulle vicende
del Mediterraneo.
Dopo il congresso di Vienna del 1815 la carta dell’Europa non cambiò molto
rispetto a quella che era stata prima della rivoluzione francese e delle conquiste
napoleoniche. In apparenza fu come se un grande uragano fosse passato per
niente. Sembrò che un periodo di oltre vent’anni potesse essere dimenticato e
circoscritto. Anche l’Italia, salvo qualche variante, era tornata ad essere quella
di sempre. Una nazione divisa, un campo di confronto delle grandi potenze
usato per mantenere i reciproci equilibri. La Spagna, pur avendo perso alcune
delle colonie, era ancora entro i preesistenti confini. La Francia in mezzo a
molte difficoltà, dovute ai contrasti violenti tra chi voleva tornare all’anciene
régime e chi invece aspirava al liberalismo, riacquistò la normalità riuscendo
a partecipare nuovamente al corso della politica europea, malgrado l’uragano
che si era abbattuto su di lei. Parigi rimase il centro propulsivo delle nuove idee
per tutta l’Europa e in particolare per l’Italia. I principali mutamenti nel bacino
Mediterraneo erano avvenuti ad est dove la Russia era cresciuta politicamente
e militarmente, mentre l’Impero ottomano si stava avviando ad una lenta fine
che si concluderà solo con la prima guerra mondiale. La Gran Bretagna, ormai
potenza mediterranea, aveva rafforzato le proprie posizioni con l’acquisizione
di Malta e delle isole Ionie, due fondamentali basi per il futuro del suo potere
marittimo nel Mediterraneo. Aveva però anche aumentato i propri interessi extra europei con l’acquisizione, nel periodo della Rivoluzione e dell’Impero, del
Capo di Buona Speranza, delle Mauritius e di Ceylon ed era riuscita a difendere
i confini del Canada contro gli Stati Uniti in una guerra che aveva avuto uno
spiccato carattere navale.
Il vero cambiamento non era però di natura geopolitica, consisteva piuttosto
nel fatto che la rivoluzione francese aveva avviato un processo seppur incompiuto di trasformazione del pensiero e delle aspirazioni che non poteva più
fermarsi nonostante i tentativi della Restaurazione. Ciò che era stato faticosamente raggiunto in termini di eguaglianza, di libertà e di concezione laica del
mondo aveva fatto tramontare inesorabilmente il vecchio modo di governare.
Nessun trattato poteva cancellare i codici giuridici, le università, le istituzioni
nate con Napoleone. Chi si opponeva al cambiamento e quindi chi voleva ‘re-
Prefazione
11
staurare’ divenne presto ‘reazionario’, un’espressione che assunse una connotazione negativa, valida ancora ai nostri giorni, e che finì per condannare governi
e persone che si opponevano alle richieste di cambiamento. In Italia contro i
reazionari si batterono apertamente, esercitando una critica politica e culturale, i gruppi liberali e democratici organizzati inizialmente in società segrete.
Il passaggio all’azione avvenne inizialmente per merito di coloro che avevano
combattuto nelle file napoleoniche o nella marina del Regno d’Italia. Costoro
avevano maturato una vera e propria coscienza nazionale e, per le esperienze
fatte sui campi di battaglia, sentivano la nostalgia dell’azione e forse sognavano
ancora la gloria.
Dopo il 1815 l’importanza del Mediterraneo, se paragonata al periodo immediatamente precedente, può apparire diminuita. Tuttavia ciò è vero solo
in parte. Questo mare continuò ad occupare ancora un ruolo influente sugli
avvenimenti continentali caratterizzati per quasi mezzo secolo dalle rivoluzioni
liberali e dalle guerre d’indipendenza. Le flotte saranno ancora un importante
strumento delle politiche nazionali e delle diplomazie.
L’allontanamento di Napoleone dalla scena mondiale non aveva spento il
dinamismo che egli stesso aveva impresso alla storia. Il liberalismo europeo
incominciò a muoversi presto con una inattesa vitalità, contrariamente a quanto
era stato preconizzato dallo stesso imperatore. Gli effetti della rivoluzione avvenuta in Spagna nel 1820 si risentirono prima a Napoli e quindi in Sicilia ed in
Piemonte. In queste circostanze eccezionali le marine napoletana e sarda ebbero sullo svolgimento delle vicende una influenza modesta, ma non trascurabile.
Così avvenne anche per la rivoluzione scoppiata in Piemonte nel 1830 i cui
avvenimenti coinvolsero i responsabili della marina di stanza a Genova. Queste
influenze sono state spesso ignorate anche dalla storiografia più accreditata.
Negli anni tra il 1816 ed il 1825, da parte delle nazioni interessate alle attività commerciali marittime, continuarono le operazioni contro la pirateria barbaresca ancora particolarmente attiva. In questo settore furono protagoniste,
per mezzi impiegati, tecniche usate e risultati conseguiti, soprattutto la marina
britannica e quella sarda. Sempre nell’ambito della lotta alla pirateria si ebbero
interventi anche della marina statunitense, la cui presenza in Mediterraneo da
quel momento cominciò a farsi sentire sempre di più. Sarà nell’ambito della
guerra d’indipendenza della Grecia (1827) e poi della campagna condotta dai
francesi per l’occupazione dell’Algeria (1830) che le marine torneranno a svolgere compiti più specificatamente bellici. Lo studio di questo periodo fornisce
spunti di notevole interesse poiché l’uso della forza militare, ed in particolare
quello esercitato attraverso le navi da guerra, si avvicina straordinariamente a
quello dei nostri giorni.
Il libro si chiude con una particolare attenzione all’analisi degli avvenimenti che si svolsero in Adriatico, nel Tirreno e nelle acque siciliane nel biennio
1848-49, che fu anche il biennio della prima Guerra d’indipendenza italiana.
In questo periodo i moti rivoluzionari riguardarono molte città della penisola,
da Milano a Napoli e Palermo, da Roma a Livorno, da Venezia a Genova ed An-
12
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
cona. In quei due anni incerti e difficili, nel corso dei quali si evidenziò come
l’unità italiana poteva essere conseguita solo partendo dall’espulsione con le
armi degli austriaci dal Lombardo-Veneto, l’impiego delle marine da parte degli
stati preunitari non sempre avvenne con chiarezza di intenti, con la conseguenza che non furono colte tante favorevoli opportunità. Nei mari attorno all’Italia
si mossero invece con precisi obiettivi squadre navali soprattutto francesi ed
inglesi che condizionarono sensibilmente gli avvenimenti a terra, con un uso
diplomatico della forza, come accadde in Sicilia ad opera soprattutto dei britannici, o con un impiego più decisamente militare, come avvenne per l’abbattimento della Repubblica romana da parte dei francesi. Navi straniere, sostando
entro i porti italiani o gravitando in zone a loro vicine, contribuirono a spingere
gli avvenimenti a terra verso le conclusioni volute dai rispettivi governi. In molti casi si limitarono a proteggere gli interessi commerciali nazionali o i propri
cittadini, restando indifferenti a ciò che avveniva in un sottile gioco di equilibri.
Siamo così giunti vicino al limite della grande trasformazione delle navi da
guerra e mercantili. Alla metà del secolo XIX possiamo dire che per le marinerie sia veramente finita un’epoca. Mentre marinai e comandanti che operarono
nei secoli precedenti avrebbero potuto, con un minimo di addestramento, condurre le navi di Nelson, quando si chiude il periodo trattato in questo libro le
navi stanno ormai completando una radicale trasformazione tecnica. Da quel
momento per condurle si richiederanno specifiche e del tutto nuove conoscenze. Resterà ancora però, com’era sempre stato, la necessità per comandanti ed
equipaggi di possedere doti morali e di carattere particolari.
Se è pur vero che le navi a vela, protagoniste di secoli di storia e la cui perfezione aveva raggiunto ormai livelli assoluti, saranno impiegate ancora in campo militare per qualche decennio, esse avranno sempre più frequentemente,
prima a fianco e poi davanti, le più potenti unità a vapore. Senza più il vincolo
del vento e le limitazioni del tonnellaggio, proprie delle costruzioni a vela, e
grazie anche all’introduzione di armi tecnologicamente sempre più sofisticate,
la guerra sul mare cambierà radicalmente. Con essa muteranno le strategie e
soprattutto le tattiche, nascerà un grande dibattito culturale sul da farsi per
utilizzare le nuove potenzialità al servizio della politica. Nonostante i grandi
cambiamenti il potere marittimo continuerà a rimanere importante e le sue
componenti tradizionali manterranno lo stesso significato e lo stesso peso. Sarà
lo studio degli anni dei quali ci occupiamo che contribuirà significativamente,
alla fine del XIX secolo, alla creazione di una vera e propria teoria del potere
marittimo la cui validità, fatti salvi i necessari adeguamenti dovuti ai progressi
tecnologici, manterrà intatto fino ad oggi il proprio valore.
L’intero periodo oggetto del libro è ricco di tante vicende che sarebbe arduo
sintetizzare. Se una conclusione si può trarre è che vi sono molti aspetti del
nostro attuale contesto politico e di relazioni internazionali che possono essere ricondotti a ciò che abbiamo narrato e commentato. Lungo le sponde del
Mediterraneo si agitano ancora complessi e difficili problemi. Questo grande e
vecchio mare è tornato ad essere un campo di tensioni e di confronto e dobbia-
Prefazione
13
mo amaramente constatare che la cultura ed il progresso scientifico hanno solo
scalfito le tante questioni che ancora non trovano soluzione lungo le sue sponde. Poiché la conoscenza del passato è essenziale per la costruzione del futuro
è bene che si torni a rivisitare certi periodi della storia solo in apparenza lontani da noi. I conti con la storia dovrebbero essere fatti continuamente anche
per migliorare la nostra capacità di passaggio dalle buone intenzioni all’azione.
L’Autore
capitolo primo
La rivoluzione vista dal mare
Origine della presenza navale inglese nel Mediterraneo
Allo scoppio della rivoluzione in Francia la presenza in Mediterraneo di navi
mercantili inglesi aveva raggiunto ormai da tempo una notevole consistenza.
Traffici commerciali regolari con navi battenti la bandiera di San Giorgio tra la
Gran Bretagna e Genova, Livorno, Messina, Venezia e i porti del Levante erano
iniziati infatti già a partire dalla metà del XVI secolo.1
L’attività navale inglese più prettamente militare iniziò invece solo nel secolo
seguente. In quel periodo era sul trono d’Inghilterra Giacomo Stuart succeduto
ad Elisabetta I, la regina che aveva avviato la trasformazione dell’Inghilterra in
potenza marittima. Il nuovo re, che portava il nome di Giacomo I, inviò lungo
le coste dell’Africa settentrionale una divisione di navi per fronteggiare i pirati
barbareschi e controllare la Spagna la cui Invincibile Armata era stata sconfitta
solo da pochi anni proprio dalle navi di Elisabetta.2 Successivamente, nel 1650,
una squadra agli ordini di Robert Blake venne in Mediterraneo su mandato
del Parlamento per combattere le navi fedeli agli Stuart e poi, dal 1672 fino al
1674, per sostenervi la terza guerra contro l’Olanda la cui potenza marittima,
mercantile e militare, era cresciuta enormemente a spese soprattutto di quella
portoghese.3
1
Per lo sviluppo dei traffici inglesi in Mediterraneo dalla fine del XVI secolo fino a tutto il XVII
secolo cfr.: G. Pagano De Divitiis, Il commercio inglese nel Mediterraneo dal ’500 al ’700, Napoli
1984 e Mercanti inglesi nell’Italia del ’600, navi, traffici, egemonie, Venezia 1990; F. Braudel - R.
Romano, Navires et mercandaises a l’entrèe du Port de Livourne (1547-1611), Paris 1951.
2
L’Invincibile Armada spagnola forte di 40 grandi navi partì da Lisbona il 29 aprile del 1588 al
comando dell’ammiraglio don Alonzo Perez de Guzman e diresse verso la Manica con lo scopo
di rendere possibile l’invasione dell’Inghilterra da parte dell’esercito spagnolo dei Paesi Bassi, ma
venne battuta dalla squadra inglese composta da 34 navi regie e da 123 navi mercantili noleggiate al comando dall’ammiraglio Charles Howard che aveva come sottordini gli ammiragli Francis
Drake e John Hawkins. Sulla strada del ritorno ciò che restava della squadra spagnola fu decimato
dalle tempeste nella zona tra le Orcadi e l’Irlanda.
3
Sulla decisione del Parlamento inglese del 14 gennaio 1652 di inviare permanentemente in
Mediterraneo uno squadron, cioè una divisione navale, e sulle conseguenti operazioni, cfr. J.S.
Corbett, England in the Mediterranean, a study of the rise and influence of British power within
the Straits (1603-1713), London 1904, vol. I, pp. 240-270. Nella seconda metà del XVII secolo
dalla presenza navale inglese in Mediterraneo nacque anche l’amicizia anglo-sabauda che giocò
un ruolo significativo negli avvenimenti successivi alla rivoluzione francese.
16
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
Il potere navale inglese aumentò il proprio peso in Mediterraneo soprattutto
a partire dalla guerra di successione per il trono di Spagna (1701-1713), combattuta da un’alleanza guidata dall’Inghilterra e dall’Austria, della quale faceva
parte anche l’Olanda, per evitare la riunione sotto una sola famiglia, quella dei
Borbone, dei troni di Francia e di Spagna.4 Gli inglesi, divenuti il fulcro della coalizione, sfidarono nel gran mare interno le squadre navali spagnola e francese
e s’impadronirono anche di Gibilterra conseguendo così il controllo dell’ingresso di un bacino dal quale erano naturalmente esclusi. L’occupazione di questo
vitale punto strategico avvenne ad opera dell’ammiraglio George Rooke. Questi,
dopo aver accompagnato a Lisbona con le proprie navi il re di Spagna Carlo
d’Asburgo, che era il candidato sostenuto dalla coalizione, attaccò Gibilterra
bombardandola e poi occupandola con un assalto anfibio. Era il 4 di agosto del
1704. Quando l’altro re di Spagna, il borbone Filippo duca d’Angiò, designato al
trono dal nonno Luigi XIV, decise di rioccupare la piazzaforte con l’aiuto della
flotta francese, la squadra inglese si oppose fermamente e si scontrò con quella
franco-spagnola davanti a Malaga in una battaglia senza vincitori che lasciò comunque Gibilterra saldamente nelle mani della Gran Bretagna.5 L’occupazione
di Gibilterra può essere assunta come l’inizio di una costante permanenza inglese nel Mediterraneo che si protrarrà ben oltre due secoli.
Nel 1708 una squadra navale inglese occupò temporaneamente anche la
Sardegna e nello stesso anno prese Minorca con l’importante base di Porto Mahon aumentando così la propria capacità di controllo del Mediterraneo.6
Come rilevò Alfred T. Mahan, la Gran Bretagna da quel momento fu presente in Mediterraneo altrettanto, se non di più, di nazioni, come Francia e Spagna,
che gravitavano geograficamente in questo bacino e, avendo come alleato il
Portogallo, poté controllare contemporaneamente sia il traffico atlantico che
quello interno.7 Il potere marittimo fu in grado di trasformare un’isola posta
alla periferia dell’Europa in una delle maggiori potenze politiche e militari del
mondo. Il sistema costituto dai commerci marittimi e dalla catena di basi protette dalle navi da guerra permise alla Gran Bretagna di accedere alle risorse
necessarie per il proprio sviluppo industriale e di sfidare e battere infine la
Cfr. J.S. Corbett, England in the Mediterranean, a study… cit., pp. 187-205.
Dopo la morte di Carlo II, ultimo re degli Asburgo di Spagna, non essendovi eredi diretti, i pretendenti designati al trono furono l’arciduca Carlo, figlio secondogenito di Leopoldo I imperatore
d’Austria che diventò dal 1711 Carlo VI imperatore d’Austria, e Filippo duca d’Angiò il nipote di
Luigi XIV che salì in seguito al trono di Spagna come Filippo V, carica nella quale fu poi confermato dal trattato di Utrecht.
6
Dal 1707, con l’unione dell’Inghilterra alla Scozia, il Regno d’Inghilterra divenne Regno di
Gran Bretagna. Da quel momento l’aggettivo inglese dovrebbe essere sostituito dall’aggettivo
britannico quando ci si riferisce a avvenimenti o questioni che riguardano l’intero regno. Nell’uso
corrente in Italia i due aggettivi sono però considerati sinonimi e pertanto come tali verranno
usati nel prosieguo.
7
Cfr. A.T. Mahan, L’influenza del potere marittimo sulla storia, Ufficio Storico della Marina,
Roma 1994, p. 234.
4
5
La rivoluzione vista dal mare
17
Francia, che era allora lo stato-nazione più potente d’Europa e poteva vantare
sulla Gran Bretagna una estensione di territorio ed una popolazione quasi due
volte più grandi.8 Fu in quegli anni che si consolidò anche il concetto strategico
inglese secondo il quale una potenza continentale può essere affrontata e vinta
per mezzo delle forze navali e con operazioni anfibie rivolte rispettivamente
contro il traffico mercantile e la periferia marittima dell’avversario pagando un
costo minore, in termini di denaro e di vite umane, rispetto a quello necessario
ad affrontare lo stesso avversario sul continente con un esercito.
Nel 1713, con la pace firmata a Utrecht al termine della guerra di successione spagnola, la Gran Bretagna si vide riconosciuto il possesso di Gibilterra e di
Minorca mentre ai Savoia fu assegnata la piena sovranità della Sicilia. In quella stessa occasione l’imperatore Carlo VI d’Austria, poté includere nei propri
domini, oltre ai Paesi Bassi, anche Napoli, la Sardegna ed il Ducato di Milano.
Le decisioni prese al tavolo della pace di Utrecht condizionarono la situazione
politica dell’Europa meridionale e del Mediterraneo per oltre mezzo secolo,
almeno fino al 1789. Il trattato, che sostituì in Italia il dominio spagnolo con
quello austriaco, mise fine alla preponderanza della Francia, trasformò l’Inghilterra, che prima non aveva in Mediterraneo alcuna base e neppure alleati
fidati, in una vera e propria potenza mediterranea e le assegnò un ruolo negli
affari del sud Europa fino allora sconosciuto, favorendo lo sviluppo dei suoi
commerci. Anche Vittorio Amedeo II di Savoia ottenendo Casale, il Monferrato,
la zona compresa tra il Po e il Tanaro e la Sicilia allargò i propri interessi verso
la regione cisalpina, fatto questo che ebbe importanti conseguenze sul futuro
degli avvenimenti italiani e su quelli del Mediterraneo.
La presenza navale inglese in Mediterraneo era tanto comune ed importante
che lo stesso Vittorio Amedeo II, dopo avere assunto nel settembre del 1713 il
titolo di re di Sicilia, dovendo recarsi a Palermo per esservi ufficialmente incoronato, fece il viaggio a bordo di navi da guerra inglesi partendo da Nizza insieme a seimila soldati. Da quel momento la Royal Navy divenne l’espressione più
evidente di una politica estera volta a contenere la Francia appoggiando taluni
stati, come il Regno di Piemonte e più tardi quello di Napoli, che per interesse
politico, militare o dinastico potevano assolvere un ruolo anti-francese. Il governo di Londra sostenne nel contempo, attraverso la propria marina militare,
la presenza austriaca in Italia ritenendola un valido elemento di stabilità, nella
certezza che, comunque, l’impero austriaco non sarebbe stato in grado di nuocere agli interessi commerciali marittimi della Gran Bretagna né di ostacolarne
il controllo del bacino.
Alla guerra di successione spagnola si può fare risalire invece una fase di
declino della marina francese il cui intervento in aiuto a quella spagnola per
rioccupare Gibilterra era stato frustato. In Francia a causa di questo insuccesso
8
All’inizio del XIX secolo, mentre la Francia aveva una popolazione di 30 milioni di abitanti, la
Gran Bretagna ne contava solo 19 milioni.
18
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
la fiducia nelle navi diminuì improvvisamente e fu dimenticato quanto esse
avevano fatto in passato per la grandezza e la ricchezza del paese. Gli effetti del
declino della marineria francese si sentiranno per lungo tempo. In Inghilterra,
al contrario, la guerra di successione spagnola incrementò la fiducia nella marina, contribuì a farla crescere numericamente e qualitativamente ed a rendere
più evidente l’importanza del potere marittimo come strumento della politica e
per lo sviluppo e la protezione dei traffici. La marina britannica divenne tanto
grande e potente da essere in grado di competere da sola contro tutti gli altri
non temendo alcun avversario.
Nel 1717 le navi da guerra inglesi furono impiegate in Mediterraneo quando la Spagna, sotto la spinta del primo ministro, il cardinale italiano Giulio
Alberoni, nell’intento di riconquistare gli antichi domini di Sicilia e Napoli, si
riappropriò temporaneamente della Sardegna con un colpo di mano condotto
da dodici navi da guerra e da novemila soldati. Il potente ministro della Spagna
aveva compiuto un’opera preventiva di riavvicinamento all’Inghilterra promettendo di rendere esecutive tutte quelle clausole del trattato di pace alle quali
non era stata data ancora attuazione e richiedendo, in cambio, che gli inglesi
agissero in Italia in favore della Spagna. Preparò la sua strategia, confidando
in un periodo di cinque anni di pace, potenziando la marina e l’esercito e cercando di attrarre alla propria causa anche il duca di Savoia. Nel luglio del 1718
Alberoni, costretto ad anticipare l’esecuzione del proprio piano, inviò davanti
a Palermo una squadra navale costituita da ventidue navi di linea con a bordo
circa trentamila soldati. L’ammiraglio inglese George Byng, noto più tardi come
visconte di Torrington, che era in quel periodo al comando della squadra inglese del Mediterraneo, cercò inizialmente di prendere tempo chiedendo una
tregua, ma poi l’11 agosto del 1718 affrontò le navi spagnole davanti a Capo
Passero e ne provocò la quasi totale distruzione. Solo alcune riuscirono a sfuggire riparando a Malta. Il destino della Sicilia era ormai segnato e gli Asburgo, amici dell’Inghilterra e già insediati a Napoli, poterono prendere possesso
dell’isola. Nel 1720 i Savoia con la promessa ottenere dei vantaggi in caso di
estinzione della discendenza di FilippoV, da re di Sicilia divennero re di Sardegna. Il cambio fu accettato controvoglia perché considerato sfavorevole. La
Sardegna, infatti, a parte le sue inferiori dimensioni rispetto alla Sicilia, dopo
quattro secoli di dominazione aragonese e spagnola era ridotta in uno stato di
grave depauperamento. La stessa popolazione era talmente diminuita da contare meno di quattrocentomila abitanti. Tuttavia il possesso della Sardegna presenterà per i Savoia, dal punto di vista marittimo, un non trascurabile vantaggio
strategico per la minore lontananza dalla parte continentale del regno e per la
maggiore centralità rispetto agli avvenimenti che si verificheranno in Francia a
causa della rivoluzione. Il possesso della Sardegna faciliterà inoltre per i Savoia
l’annessione al loro regno della Liguria a seguito delle decisioni che saranno
prese con il trattato del 1815.
Durante il XVIII secolo la politica inglese modificò più volte la linea strategica seguita in Mediterraneo in funzione delle situazioni contingenti. Nel corso
La rivoluzione vista dal mare
19
della guerra di successione polacca, al termine della quale la Spagna con l’aiuto
della Francia tolse all’Austria il Regno di Napoli, la Gran Bretagna e la sua marina si astennero dall’intervenire, ma si trattò solo di una conseguenza della politica estera del nuovo primo ministro britannico Robert Walpole orientata ad un
riavvicinamento con la Francia ed al mantenimento della pace ad ogni costo.
Durante la guerra di successione austriaca, negli anni che vanno dal 1740
al 1748, l’Inghilterra apertamente alleata dell’Austria e favorevole a che Maria
Teresa, figlia del defunto Carlo VI, divenisse imperatrice, fece di nuovo sentire il
peso del proprio potere navale in Mediterraneo nonostante le contrarie opinioni
di altri sovrani europei. La Spagna, che era entrata in guerra contro l’Austria nel
1741, inviò via mare un corpo di spedizione di 15 mila uomini per attaccare i
possedimenti austriaci in Italia, ma la squadra navale che trasportava tale contingente, scortata anche da navi francesi, fu intercettata nel mar Ligure dalle
navi inglesi dell’ammiraglio Nicholas Haddock. Questi, considerando le proprie
forze inferiori rispetto a quelle francesi, valutò non conveniente combattere. Desistette, infatti, dall’attaccare e si ritirò a Port Mahon. L’Ammiragliato di Londra
provvide immediatamente a destituirlo dall’incarico e a sostituirlo con l’ammiraglio Thomas Mathews ritenuto capace di dare corpo ad una politica navale più
aggressiva. L’anno seguente, infatti, il nuovo comandante in capo inglese nel
Mediterraneo inviò a Napoli una divisione di navi agli ordini del suo sottordine,
l’ammiraglio George Martin, con il compito di bombardare la città se il re Carlo
di Borbone avesse inviato il proprio esercito a combattere nel nord Italia in ausilio alle truppe franco-spagnole che si contrapponevano a quelle austriache. La
missione di Martin ebbe successo. Nel 1744 la squadra inglese fermò al largo di
Tolone anche un tentativo di sbarco spagnolo in Liguria ed infine nel 1746 aiutò
dal mare gli austriaci a soffocare l’insurrezione scoppiata a Genova.
Fermo restando il permanente distacco e le frequenti tensioni con la Francia, i rapporti della Gran Bretagna con l’Austria mutarono nel corso di taluni
periodi, come accadde in occasione della guerra dei Sette anni (1756-1763)
quando il governo di Londra si propose di attirare la Spagna nella propria orbita aiutandola a riprendersi i possedimenti italiani passati all’Austria. In quel
momento però gli impegni al di là dell’Atlantico in difesa delle colonie e dei
traffici mercantili avevano già costretto l’Inghilterra, ancor prima dell’inizio ufficiale delle ostilità con la Francia, a sottrarre forze navali dal Mediterraneo. Di
questa nuova situazione si avvantaggiarono i francesi che mentre minacciavano
dai porti sulla Manica un’invasione dell’Inghilterra, approntarono nel Mediterraneo una squadra navale di dodici vascelli con l’obiettivo di togliere agli
inglesi Minorca. A metà aprile del 1756 l’ammiraglio Roland Michel La Galissonnière, comandante di tale squadra, lasciava Tolone scortando un convoglio
carico di 14 mila soldati. Gli inglesi disposero allora la partenza immediata da
Portsmouth di dieci navi di linea agli ordini dell’ammiraglio John Byng, figlio
di Lord Torrington il vincitore della battaglia di Capo Passero. Il mattino del
20 maggio Byng incontrò le navi avversarie al largo di Minorca mentre erano
ancora impegnate ad eseguire l’operazione anfibia contro l’isola. Nella battaglia
20
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
navale che ne seguì i francesi si comportarono bene e riuscirono comunque ad
assicurarsi la conquista dell’isola. Byng, costretto a rientrare a Gibilterra senza
essere riuscito ad impedire lo sbarco francese e senza aver potuto difendere la
guarnigione britannica assediata dal mare, fu richiamato in Inghilterra e sottoposto a corte marziale. Pur risultando assolto dall’accusa di codardia, la corte
lo trovò colpevole di non avere fatto tutto quanto era nelle sue possibilità e
pertanto lo condannò a morte per fucilazione.9 La sentenza, malgrado i tentativi di salvargli la vita da parte dell’Ammiragilato, fu inesorabilmente eseguita a
bordo del vascello Monarc.
Il 28 di maggio Minorca veniva dunque occupata dai francesi. L’episodio,
sfavorevole agli inglesi, fu però unico nel corso di tutta la guerra. La superiorità della Royal Navy riuscì infine ad avere la meglio, malgrado alcuni successi
iniziali francesi. Gli inglesi tennero in permanenza una squadra a Gibilterra per
impedire l’uscita in Atlantico delle navi di Tolone che avrebbero dovuto unirsi
a quelle di Brest per tentare l’invasione dell’Inghilterra. Nel 1759 l’ammiraglio
Edward Boscawen, comandante della squadra inglese del Mediterraneo, riuscì a
distruggere e disperdere le navi francesi di Tolone contribuendo così in modo
determinante a neutralizzare il piano di invasione francese. Con la pace firmata
a Parigi nel 1763 la Francia dovette rinunciare a gran parte delle proprie colonie
americane. Minorca venne restituita agli inglesi, invece che alla Spagna che era
entrata in guerra in ritardo a fianco della Francia, e così la marina inglese riacquistò una base di importanza vitale per il controllo del bacino e utile a compensare
il successivo passaggio della Corsica dalla repubblica di Genova alla Francia.
Da molti anni la Francia stava guardando con interesse a questa isola posta al centro del Mar Ligure considerandola un punto vitale per la difesa della
Provenza e per il controllo della penisola italiana e del Tirreno. Dopo la guerra
di successione spagnola, anche in considerazione delle posizioni favorevoli acquisite dagli inglesi in Mediterraneo, l’attenzione della Francia verso la Corsica
aumentò e quindi ben volentieri Parigi accolse, nel 1738, l’invito di Genova
ad intervenire nell’isola con reparti militari per ristabilirvi l’ordine gravemente
turbato dai movimenti indipendentisti. Qualche anno dopo, nel 1755, Pasquale
Paoli, che era diventato il principale esponente del movimento di liberazione
dei corsi, si impossessò di quasi tutta la parte interna dell’isola. La repubblica
di Genova, alla quale erano rimaste solo le piazze marittime, persuasa della
impossibilità di ristabilirvi il proprio dominio, si risolse allora a cedere la Corsica alla Francia mediante un trattato firmato a Campiègne il 15 maggio del
1768, l’anno prima che ad Ajaccio nascesse Napoleone Bonaparte.10 La deci-
9
L’ammiraglio John Byng venne processato dal governo di Willam Pitt (il Vecchio), ma la sua
fucilazione sollevò molte critiche. Voltaire su Candide scrisse “L’Inghilterra trova necessario giustiziare ogni tanto uno dei suoi ammiragli, per incoraggiare gli altri”. Per la corte marziale inglese
dell’epoca vd. J. McArthur, Naval end military court martial, London 1813.
10
Pasquale Paoli, figlio del patriota corso Giacinto, era nato nel 1725 a Morosaglia (Corsica
centro-settentrionale). Aveva quindi solo quattro anni quando scoppiò la prima insurrezione dei
La rivoluzione vista dal mare
21
sione della Repubblica genovese fu accelerata anche per il fatto che i corsi nel
1767 avevano organizzato una spedizione militare contro l’isola di Capraia. La
cessione, della Corsica, presentata in campo internazionale come una garanzia
offerta dalla Francia per la sicurezza dell’isola, sollevò rimostranze da parte del
governo inglese. Ai Comuni si sostenne che sarebbe stato preferibile fare guerra alla Francia piuttosto che accettare questa nuova situazione in Mediterraneo,
ma nessun provvedimento venne preso.
La Francia, per controllare completamente il passaggio da e per il Tirreno
aspirava ad ottenere, oltre alla Corsica, anche l’Arcipelago della Maddalena,
ormai saldamente in mano dei Savoia che avevano provveduto a difenderne
il possesso in sede diplomatica ed a potenziarne le difese militari. Il Regno di
Sardegna inoltre poteva contare sull’aiuto sempre disponibile della marina inglese che non avrebbe permesso un ulteriore allargamento territoriale francese
in una zona strategicamente tanto importante, come dimostreranno anche gli
avvenimenti conseguenti alla rivoluzione francese.
In quegli anni l’Inghilterra era impegnata a dirimere i contrasti nati con le
tredici colonie americane che minacciavano il primato assicuratole dalla pace
di Parigi del 1763 e facevano vacillare la sua politica protezionistica, secondo la quale le colonie dovevano costituire un mercato utilizzabile solo dalla
madre patria. Dal contenzioso si finì per passare allo scontro armato che per
due anni fu limitato tra l’Inghilterra e gli insorti, ma nel 1778 la Francia di
Luigi XVI desiderosa di una rivincita coloniale, visto il risultato della battaglia
di Saratoga nel corso della quale un corpo d’armata inglese era stato battuto,
decise di allearsi con gli insorti. Ne derivò una guerra contro l’Inghilterra che
coinvolse, a fianco della Francia, anche la Spagna e l’Olanda mentre si costituiva una Lega di neutri con finalità anti britanniche alla quale aderirono Russia,
Danimarca e Svezia. La guerra, che ebbe carattere prevalentemente marittimo,
si svolse non solo in Atlantico, ma anche, sia pure in minore misura, nel Mediterraneo dove gli avvenimenti navali più importanti ebbero inizio verso la fine
del 1779 quando la Spagna attaccò Gibilterra per riconquistarla, ma la rocca
riuscì a resistere con successo, anche grazie ai rifornimenti assicurati dalle
navi dall’ammiraglio George Rodney che riuscì ad eludere la vigilanza della
squadra di Cadice. Diversamente andarono le cose nelle Baleari dove nel 1782,
nonostante i rinforzi fatti arrivare dagli inglesi, Port Mahon, bombardata dal
mare e piegata dallo scorbuto, si arrese agli spagnoli dopo un assedio durato
sei mesi.
corsi contro il governo genovese dell’isola. Ancora giovane si trasferì a Napoli dove il padre aveva
ottenuto il comando di un reggimento costituito da corsi. In quella città entrò come cadetto nel
reggimento del padre e poi nel 1745 iniziò a frequentare l’Accademia reale. Come ufficiale borbonico prestò servizio anche in Sicilia. Nel 1755 rientrò nella sua isola dove era in atto una guerra
civile e fu nominato generale. A seguito delle complesse vicende legate alla lotta per l’indipendenza della Corsica fu in esilio in Inghilterra per due volte: dal 1759 allo scoppio della rivoluzione in
Francia e quindi da1795 al 1807, anno della sua morte.
22
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
Le navi inglesi praticavano largamente anche la guerra di corsa contro la
quale le nazioni della Lega dei neutri insieme a Prussia, Austria, Portogallo e
Regno di Napoli proclamarono la neutralità armata sui mari, cioè il principio
che la bandiera neutrale protegge anche le merci nemiche, all’infuori di quelle
di contrabbando.
Firmata la pace a Versailles, il 20 gennaio 1783 venne riconosciuta l’indipendenza dall’Inghilterra delle tredici colonie americane e vennero restituite alla
Francia il Senegal ed alcune isole delle Antille ed alla Spagna la Florida e Minorca. Il potere marittimo britannico in Mediterraneo subì allora una flessione,
ma negli anni a venire il mantenimento del possesso di Gibilterra, strenuamente difesa, risulterà comunque determinante.
Nel 1798 gli inglesi si riapproprieranno di Minorca e a partire dal 1801, con
l’acquisizione anche di Malta, disporranno di una formidabile catena di basi
che consentirà loro di controllare agevolmente il Mediterraneo.
Alcune conseguenze della rivoluzione francese
In Europa, ancora per qualche tempo dal suo inizio, si ritenne che la rivoluzione fosse un male temporaneo e accidentale del quale soffriva la Francia. La
possibilità di propagarsi di tale male al di fuori dei confini francesi era vista
come un’ipotesi buona per condurre manovre politiche piuttosto che comprendere ed immaginare le profonde trasformazioni, ma anche i drammi, che
sarebbero nati per tutti in un futuro non lontano. Già a metà dell’anno 1790
però la rivoluzione cominciò ad attirare le preoccupate attenzioni dei governi
e dei sovrani. Lo storico e ministro francese Adolphe Thiers dirà in proposito
che “Il suo linguaggio [della rivoluzione] era così sicuro, così fermo ed aveva
un carattere di interesse così generale da renderlo adatto a più di un popolo”.
Si capì che non si trattava di un’agitazione passeggera, ma di una proposta
che si spingeva molto avanti nel futuro coinvolgendo anche quello delle altre
nazioni. A farlo credere era soprattutto l’atteggiamento deciso dell’Assemblea
nazionale di Parigi.
L’Europa allora era ancora divisa in due grandi schieramenti, quello angloprussiano e quello costituito delle corti imperiali. La Prussia abbandonando
l’alleanza con la Francia aveva costituito una lega con gli inglesi capace di attrarre la Polonia, la Svezia e la Turchia per fare fronte alla Russia e all’Austria.
La rivoluzione in Francia contribuirà a modificare repentinamente anche questi
schieramenti mettendo tutti d’accordo sulla necessità di combattere per una
causa comune: arginare il propagarsi delle idee rivoluzionarie, che potevano
mettere in pericolo l’assetto istituzionale del continente, e fermare l’espansione
territoriale della Francia.
Mentre la rivoluzione correva implacabile distruggendo in Francia le istituzioni politiche, cambiando le leggi e modificando profondamente i costumi e
si manifestava in tutta la sua grandiosità e assoluta novità, vi era chi sperava
La rivoluzione vista dal mare
23
finalmente nell’arrivo di un momento capace di cambiare radicalmente la storia
dell’umanità intera e chi per contro la vedeva come un processo anarchico che
si sviluppava inesorabilmente autoalimentandosi e che avrebbe portato alla distruzione totale della religione, dell’ordine sociale, dell’assetto internazionale,
senza che dietro questa sorta di mostro si riuscisse ad intravedere alcunché di
positivo e di rassicurante.
Appare difficile ancora oggi riuscire a capirne tutta la grandezza e la drammaticità e cogliere in pieno le ragioni di tanto sanguinoso rivolgimento al
quale nessuna parte del mondo occidentale è rimasta estranea perché, come
sostenne giustamente Alexis Toqueville, “Le grandi rivoluzioni riuscite fanno
scomparire le cause che le hanno prodotte e, per gli stessi risultati da esse
ottenuti, divengono incomprensibili”.11 Riusciamo però a valutarne gli effetti e
le influenze e, giudicando anche solo dagli avvenimenti prodotti in Italia e nel
Mediterraneo, la grande capacità di diffusione.
La rivoluzione francese superò ogni barriera, attraversò le frontiere terrestri
ed anche quelle marittime e mentre metteva tutto e tutti in discussione entro i
confini del paese dove era nata, corse per il mondo creando divisioni tra individui sino ad allora profondamente legati o accomunando popoli ostili, quasi con
la stessa forza che manifestava in Francia. In pochi anni avrebbe cambiato l’Europa, nei confini, nella politica e nella diplomazia ed avrebbe profondamente, e
per sempre, modificato la mentalità ed il modo di sentire non solo della gente
comune, ma anche dei governanti. Ciascuno sarebbe diventato, volente o nolente, diverso da ciò che era prima.
Nella notte del 4 agosto 1789 l’Assemblea nazionale pose le basi per una
nuova società rovesciando, di fatto, l’Ancien Regime, abolendo i privilegi, le
decime ecclesiastiche e la vendita delle cariche e imponendo l’eguaglianza
giuridica come base di una nuova libertà. Il vecchio ordine era crollato. Tutto
era ormai in preda al caos: amministrazione dello stato, esercito e la stessa
marina, che pure aveva dato così buona prova di se nella guerra in America.
La Guardia nazionale, la milizia devota alla rivoluzione, si costituiva ovunque.
I cittadini rivendicavano il diritto di fare la pace e la guerra, di amministrare
la giustizia e di dirigere le truppe e la flotta. La monarchia sopravvivrà ancora
per tre anni, ma come un’ombra del passato. Il vero potere era ormai in mano
all’Assemblea nazionale ed ai municipi delle città. Nello stesso mese di agosto,
il giorno 10, l’Assemblea decretava che le autorità miliari e civili, ovunque
si trovassero, dovessero prestare giuramento alla nazione ed al re con la più
grande solennità.
Il 6 ottobre venne insediato un comitato permanente di dodici membri con
l’incarico di occuparsi dell’impiego delle forze navali e degli affari relativi alle
colonie ed al commercio con l’estero. Ci vollero però alcuni mesi per arrivare,
nel giungo dell’anno seguente, ad emanare alcuni importanti decreti con i quali
A. Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, Milano 1993.
11
24
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
si stabilivano i compiti fondamentali della marina: “défendre la patrie contre les
ennemis extérieurs, protéger le commerce, les colonies et les possessions d’outremer”, le modalità di assegnazione delle quote di bilancio annuale e l’eguaglianza dei cittadini rispetto ai diritti ed ai doveri militari. In quei documenti veniva
anche affermato che ogni anno il 14 di luglio, data della presa della Bastiglia, i
militari ed i funzionari civili dovessero rinnovare il giuramento alla repubblica
e che nessun ufficiale potesse essere destituito senza la sentenza di un consiglio di guerra.
Nell’ambito dell’Assemblea nazionale la marina militare era rappresentata
da 11 ufficiali tra i quali il capitano di vascello Louis Latouche Treville, che fu
successivamente protagonista di molti episodi navali in Mediterraneo nel corso
degli anni seguenti, ed il duca Luigi Filippo d’Orléans, cugino del re.12
Il 24 d’agosto 1790, pochi giorni prima che a Nancy fosse soffocato un
ammutinamento di soldati, entrò in vigore un nuovo codice penale militare
particolarmente severo che suscitò non poco malcontento soprattutto tra gli
equipaggi delle navi di stanza a Brest che minacciarono una sollevazione.13 Nel
corso dello stesso mese venne anche stabilito che dovessero essere posti in
armamento 45 vascelli di linea. Finalmente il 21 di ottobre tutte le navi francesi
inalberarono il tricolore. In realtà la bandiera portata a poppa aveva il tricolore
solo su di un quarto della sua superficie essendo il restante colore costituito
dal tradizionale bianco dei Borbone. La bandiera di bompresso era invece interamente tricolore. L’adozione della nuova bandiera aveva inizialmente indispettito gli equipaggi delle navi militari che sino ad allora erano stati piuttosto
indifferenti a ciò che era accaduto a terra. La decisione dell’Assemblea nazionale costituente di usare il bianco, il rosso e il blu come colori nazionali non
era stata subito gradita in quanto si trattava degli stessi colori inalberati dalle
navi olandesi, sia pure in questo caso disposti orizzontalmente, contro le quali
nel passato quelle francesi si erano tante volte battute. Sulle navi d’altra parte
il colore bianco, fino ad allora usato e rispettato, non era identificato come il
colore dei Borboni, piuttosto come quello della Francia. La nuova bandiera,
bianca con in un riquadro il tricolore, rappresentava pertanto un compromesso
che doveva legare il nuovo, portato dalla rivoluzione, alla tradizione. Il 22 di
aprile del 1791 furono perfezionate anche alcune norme relative agli organici
12
È interessante notare che per la sentenza di condanna a morte del re Luigi XVI fu determinante il voto degli ufficiali di marina presenti nella Convenzione molti dei quali erano appartenuti
all’Assemblea nazionale. Votò per la pena di morte anche Luigi Filippo duca d’Orléans che era un
fervente giacobino. Tra i suoi trascorsi militari navali vi era la partecipazione a bordo del vascello
Saint Esprit al combattimento navale di Ouessant (27 luglio 1778) avvenuto durante la guerra di
indipendenza americana tra navi francesi e navi inglesi. La carriera in marina del duca si era fermata però l’anno seguente per volere del Re, ma nel 1791 era stato incluso tra i vice ammiragli dal
Ministro della marina. Eletto alla Convenzione sedette all’estrema sinistra tra i “montagnardi”, fu
arrestato e condannato a morte nel 1793, accusato di volere salire al trono e di cospirare insieme
al generale Dumouriez.
13
Per il codice penale militare cfr. Moniteur Universal, Paris, 20 agosto 1792.
La rivoluzione vista dal mare
25
del personale e all’andamento delle carriere, mentre rimase stabilito che la nomina degli ammiragli dovesse avvenire per designazione del re.14
Negli ultimi anni dell’Anciene Régime erano stati compiuti notevoli sforzi
per sviluppare la marina militare francese perseguendo soprattutto la qualità
delle navi mettendo a frutto i risultati di numerose ricerche teoriche e pratiche.
Nel 1765 era stata costituita una scuola del genio marittimo presso la quale
si erano formati ingeneri particolarmente competenti e a partire dal 1770 era
stato compiuto anche un notevole passo avanti verso la standardizzazione dei
vari tipi di vascelli e fregate migliorandone notevolmente la qualità. Nel 1788
alla morte di Suffren, uno dei più famosi ammiragli del XVIII secolo, la marina
francese aveva raggiunto un livello di efficienza da tutti considerato il migliore
dai tempi di Colbert.15 La flotta era costituita da circa ottanta vascelli ed altrettante fregate, oltre a numerose navi minori.16 La tecnica delle costruzioni navali
14
I gradi di ammiraglio nella marina francese erano contre-amiral, vice amiral e amiral. Il grado
massimo di amiral de France venne abolito dopo la rivoluzione.
15
Pierre André de Suffren (1729-1788), che era cavaliere di Malta, servì giovanissimo sulle galere
di quell’Ordine. Combatté a Minorca contro la squadra inglese dell’ammiraglio Byng e partecipò
alla guerra di indipendenza americana. Da ammiraglio acquistò grande fama nel corso di lunghe
campagne navali condotte nelle Indie orientali. Jean Baptiste Colbert (1619-1683), controllore delle finanze e ministro sotto Luigi XIV, fautore del mercantilismo, diede grande sviluppo alla marina
francese negli anni dal 1661 alla sua morte.
16
All’epoca delle navi a vela il nome vascello era usato per indicare le più grandi delle navi
militari (lunghe circa settanta metri e larghe quindici per 1800 tonnellate di dislocamento) dotate
di tre alberi molto alti con pennoni e molti tipi di vele (quadre e di taglio come trevi, gabbie,
velacci, fiocchi, stragli, rande e coltellacci). I vascelli potevano essere classificati in funzione del
numero dei ponti dei quali erano dotati (due o tre) o in base al numero dei cannoni. Il tipo di
vascello più diffuso nella marina francese era quello a tre ponti dotato di 110 cannoni e a due
ponti dotato di 74 o 80 cannoni. Nella marina inglese i vascelli a tre ponti potevano avere 98
o 110 cannoni e quelli a due ponti 64 o 74. Alcuni vascelli, nominalmente dotati di un numero
standard di cannoni, potevano portarne di più o di meno, ad esempio il vascello francese Commerce de Marseille classificato da 110 cannoni ne portava in realtà 118. Talvolta i cannoni erano
temporaneamente ridotti per alleggerire la nave in modo da consentirle di trasportare truppe o
materiali (armamento detto in questo caso en flute). I vascelli erano considerati le uniche vere
navi da battaglia delle grandi squadre navali e venivano chiamati anche “navi di linea” in quanto
costituivano il tipo di unità che componeva la “linea di battaglia”, cioè la formazione tattica in
linea di fila che era allora quella più in uso per affrontare il combattimento. Nei vascelli per mantenere una buona stabilità i cannoni di maggiore calibro e quindi più pesanti erano sistemati nei
ponti più bassi. Un vascello a due ponti francese poteva ad esempio portare cannoni da 36 libbre
nel ponte inferiore, da 24 nel ponte più alto e da 12 o 8 libbre in coperta. Il costo richiesto per
la costruzione di un vascello era enorme. Basti pensare che lo scafo ed i ponti richiedevano per
essere costruiti il taglio di circa quattromila tronchi d’albero e che la superficie velica di tale tipo
di nave era di quattro-cinquemila metri quadrati. La fregata invece era una nave veloce e buona
veleggiatrice anch’essa dotata di tre alberi ciascuno dei quali munito di pennoni. Era armata con
una batteria di cannoni sistemata nel primo ed unico ponte coperto. Un’altra batteria, costituita
da cannoni, in genere di calibro inferiore ai precedenti, poteva essere sistemata in coperta. La
fregata in combattimento non occupava un posto nella così detta “linea di battaglia”. Di solito
questo tipo di unità anticipava la marcia della formazione principale con compiti di ricognizione
e di collegamento. Al momento del combattimento le fregate soccorrevano le navi di linea in ava-
26
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
francesi era arrivata ad un tale grado di perfezione da essere imitata persino
dagli inglesi i quali nelle successive guerre ambiranno catturare navi militari
francesi per inserirle nelle loro file. I vascelli francesi da 74 cannoni erano reputati migliori di quelli inglesi della stessa classe e quelli da 80 cannoni a due
ponti potevano competere con quelli inglesi a tre ponti da 90 e da 98 cannoni.
Nella marina inglese non c’era una nave che potesse essere paragonata alle
navi francesi a tre ponti da 120 cannoni come il Montagne e l’Orient. I cannoni francesi erano di ottima qualità ed altrettanto poteva dirsi per l’abilità dei
cannonieri. Anche la marina mercantile aveva raggiunto un buon livello, ma
era quantitativamente insufficiente ad assicurare i commerci con le numerose
colonie. Molte merci francesi venivano ancora trasferite sotto bandiera inglese
o olandese.
Le ottime qualità tecniche delle navi non trovavano però pieno riscontro in
altri settori, come quello dell’addestramento e della disciplina degli equipaggi.
Lo stesso Luigi XVI alla fine degli anni ’80 aveva sentito la necessità di intervenire per dare nuovo ordine alla marina, ma era riuscito solo a fare modificare
il sistema di reclutamento. Con l’avvento della rivoluzione la marina francese
subì un decadimento sensibile soprattutto in conseguenza del fatto che molti
ufficiali, nobili o che comunque non volevano aderire alle nuove idee, abbandonarono il servizio. Anche molti appartenenti al corpo dei cannonieri, che
rappresentavano l’élite della marina tanto da essere definiti bourgeois, cioè borghesi, preferirono abbandonare le navi e disperdersi. Gli esodi degli ufficiali e
del personale specializzato, relativamente modesti prima di Varennes, aumentarono subito dopo progressivamente. La maggior parte degli ufficiali dell’esercito e della marina appartenevano alla nobiltà di provincia che agli inizi della
Costituente aveva riposto molte speranze nel cambiamento coltivando l’idea di
potere riscattare la propria posizione subalterna rispetto all’aristocrazia più vicina alla corte. Nel 1790 però il fatto di dovere giurare fedeltà alla costituzione,
di dovere rinunciare, essendo nobili, al proprio ordine ed accettare il reclutamento degli ufficiali superiori per concorso, aveva creato non poche situazioni
di crisi che diedero luogo ad un aumento degli esodi e delle fughe all’estero.
Si stima che ben due terzi degli ufficiali scelsero di disertare. Per sostituirli si
dovette ricorrere alle promozioni di sottufficiali e all’inserimento nei quadri di
giovani borghesi con la conseguenza di creare antagonismi e diffidenze tra i
nuovi ed i vecchi ufficiali. Dopo il 21 settembre 1792 il continuo esodo costrinse anche ad improvvisare, come ufficiali della marina militare, molti ufficiali
della marina mercantile che però male sopportavano le regole della disciplina
ria per proteggerle e, se necessario, rimorchiarle. Difficile poter separare nettamente le fregate
dai vascelli più piccoli anche perché, nel periodo in questione, la classificazione cambiava frequentemente. Durante le guerre del periodo della Rivoluzione francese e dell’Impero le fregate
erano normalmente classificate in tre classi in funzione del numero di cannoni dei quali erano
dotate (24-36 le più piccole; 36-44; 44-54 quelle maggiori). Alcune marine minori, come quelle
statunitense, fino agli anni 1820 non avevano vascelli, ma disponevano solo di fregate.
La rivoluzione vista dal mare
27
militare e non avevano alcuna esperienza nel campo della tattica.17 La splendida marina di Luigi XVI era stata sostituita da una nuova marina che non aveva
più stati maggiori degni di questo nome.
In Francia il 1790 fu l’anno degli ammutinamenti sia a bordo delle navi, sia
negli arsenali. I marinai si ribellarono e si rifiutarono di eseguire gli ordini. Per
loro la rivoluzione significava la liberazione da una disciplina militare dura,
talvolta incomprensibile e perfino ingiusta. Se prima era stata la confidenza
eccessiva tra superiori ed inferiori a fare discutere gli ordini, nel periodo rivoluzionario fu la pretesa generale di vantare diritti e condizioni di eguaglianza
e la convinzione di essere a conoscenza di tutte le questioni professionali che
creò effetti sostanzialmente simili. Il grave inconveniente sarà lamentato per
anni, anche durante l’Impero. Un ammiraglio arrivò a dichiarare in quel periodo di non riuscire a convincere più di cinquanta uomini a prestare servizio in
coperta nelle ore stabilite o quando necessario. Una percentuale modesta, se
si pensa che una fregata dell’epoca aveva un equipaggio di circa 250 marinai
ed un vascello poteva arrivare a più di 600. La Convenzione quando si insediò
trovò quindi una marina non in perfetto stato, le navi mal tenute, gli arsenali
pressoché vuoti, i comandanti migliori dispersi, emigrati o uccisi. A fine luglio
del 1792, il ministro della marina, Bertrand de Molleville, osservava che la flotta
francese era ancora costituita da 74 vascelli e da 72 fregate la maggior parte
delle quali però non era più in armamento. Un anno dopo le navi in armamento aumentarono complessivamente di una trentina di unità e questo fatto mette
in luce l’impegno della Convenzione verso il settore navale, ma la coesione e
il morale degli equipaggi lasciavano ancora molto a desiderare.18 La situazione
della marina francese andò però gradualmente migliorando. A Brest venne
dislocata un’imponente armata navale composta di 34 vascelli, mentre al Mediterraneo, agli ordini dell’ammiraglio Pierre Martin, furono assegnati 16 vascelli.
Nello stesso periodo la flotta da guerra inglese comprendeva complessivamente ben 180 vascelli e 135 fregate e quindi la sua forza numerica complessiva era più di due volte superiore a quella francese. Se si considerano poi nel
computo generale le navi degli alleati della Gran Bretagna, in particolare, per
quanto riguarda il Mediterraneo, quelle della Spagna e del Regno di Napoli, la
differenza diventava ancora più sensibile.19 Le navi inglesi erano ben armate e
17
Il 21 settembre 1792 fu tenuta la prima seduta della Convenzione e venne abolita la monarchia.
Il re era da qualche giorno prigioniero.
18
A fine luglio 1792 la flotta francese era così composta: navi in armamento dislocate nelle acque
nazionali o nelle zone coloniali 21 vascelli, 35 fregate, 14 corvette e oltre 40 navi minori; navi
in disarmo o in allestimento 53 vascelli, 37 fregate e 12 unità minori. Un anno dopo i vascelli si
erano ridotti complessivamente a 42, 20 dei quali dislocati a Tolone, 22 a Brest e due fuori dalle
acque nazionali. Dei 42 vascelli solo pochi erano quelli operativamente pronti.
19
Cfr. W. James, Naval history of Great Britain, London 1878. Secondo lo storico navale inglese,
le flotte alleate comprendevano: Olanda 49 vascelli e 70 navi minori comprese le fregate; Spagna
76 vascelli e 130 navi minori comprese le fregate; Portogallo sei vascelli e sei fregate; Russia 40
vascelli, Danimarca 21 vascelli; Svezia 18 vascelli; Napoli 102 bastimenti con 618 cannoni (la
28
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
veloci, ma i vascelli francesi a due ponti erano riconosciuti, anche dagli inglesi,
come navi di eccellenti qualità nautiche e militari. La differenza era data dal
diverso grado di preparazione e addestramento degli equipaggi che era del
tutto a favore di quelli inglesi tanto che si diceva: “L’ideale sarebbe un vascello
francese governato da un equipaggio inglese!”. In Mediterraneo negli anni della
rivoluzione fu presente anche la marina statunitense con alcune fregate.
I primi semi della guerra di propaganda rivoluzionaria che avrebbero coinvolto tutta l’Europa vennero gettati il 14 settembre del 1791 quando la direzione della nuova Assemblea legislativa fu assunta dai girondini che volevano la
diffusione degli ideali rivoluzionari e repubblicani anche attraverso la guerra
esterna.
Sei mesi dopo, il 20 aprile del 1792, un governo girondino il cui ministro
degli esteri era il generale Charles Francois Dumouriez, che si era distinto nella
guerra dei Sette Anni ed era stato nei servizi segreti del re, diede inizio alle
ostilità contro l’Impero austriaco, che allora comprendeva anche i Paesi Bassi,
e contro la Prussia sua alleata. La Francia, dichiarando la guerra in un clima di
grande agitazione e inquietudine, volle mettere alla prova la lealtà del re che si
sospettava stesse accordandosi con il cognato Leopoldo II imperatore del Sacro
Romano Impero (SRI) per neutralizzare la rivoluzione. Da parte dell’Austria
vi era più di un motivo di risentimento e di preoccupazione. Oltre ai principi
anti-dinastici propugnati dalla nuova e turbolenta democrazia francese, anche
gli aiuti dati dai francesi alla rivoluzione nel Belgio e l’annessione alla Francia
di Avignone, che era stata tolta al Papa, non consentivano sonni tranquilli. Oltretutto l’imperatore Leopoldo II non poteva essere insensibile alle suppliche
di sua sorella, la regina Maria Antonietta, che insisteva presso di lui perché
venisse convocato un congresso europeo per decidere un intervento contro la
Francia in modo da ristabilire l’ordine. Leopoldo II tergiversò sperando che,
accettata dal re la costituzione, la situazione potesse riprendere la strada della
normalità, ma quando alla sua morte gli successe il figlio Francesco II, più deciso di lui, questi si orientò a risolvere il problema con l’uso della forza.
I francesi, d’altro canto, avevano fiducia nella guerra che speravano avrebbe
sollevato i popoli contro i tiranni ed avrebbe esportato velocemente i nuovi
principi in tutta l’Europa. Attraverso la guerra la Francia riscoperse il patriottismo e diede libero sfogo a tutte quelle forze ed energie, latenti nel popolo
francese, che una volta liberate consentirono ad un esercito ed una marina
improvvisate, male armate e ancor peggio sostenute logisticamente, di ottenere
grandi successi. La guerra provocò subito la caduta della monarchia e la proclamazione della repubblica e aprì le porte all’avvento del governo del Terrore.
Il risveglio dello spirito militare fece accantonare molti dei principi della rivoluzione, come quello di fratellanza e di libertà tra i popoli. In un primo tempo
consistenza è così riportata). La marina sardo piemontese non è citata nei documenti inglesi del
periodo in quanto decisamente inferiore come numero rispetto ad ogni altra.
La rivoluzione vista dal mare
29
le forze terrestri francesi subirono numerosi rovesci, mentre le truppe imperiali
e prussiane, rinforzate da molti di coloro che erano fuggiti emigrando, invadevano il territorio francese minacciando la fine della rivoluzione. Dopo la caduta
della monarchia, il 20 settembre del 1792, la Francia ottenne a Valmy una vittoria contro le truppe della Coalizione comandate dal duca di Brunswick nelle
cui file militavano reparti di soldati prussiani considerati i migliori d’Europa.
Il giorno dopo veniva proclamata la repubblica. Quando nel luglio dell’anno
seguente iniziò l’epoca di Robespierre si aprì una stagione di grandi vittorie
militari. Lione, che era caduta in mano dei realisti, e la girondina Tolone furono
riconquistate, gli austriaci vennero battuti a Wattignies (15-16 ottobre 1793) e
Fleurus (25 giugno 1794) e il Belgio e l’Olanda furono occupati.20
Le cronache degli avvenimenti prodotti dalla terribile forza sovvertitrice che
si era messa in moto avevano suscitato molta impressione in tutta l’Europa. In
Italia il vero brusco incontro con la nuova realtà si ebbe nel novembre del 1792
con lo svilupparsi dell’attacco francese che comportò per il Regno di Sardegna
la perdita, due mesi dopo l’occupazione di Avignone, della Savoia e di Nizza.21
Questi episodi furono seguiti da azioni delle squadre navali della giovane Repubblica contro il Regno di Napoli nel dicembre del 1792 e contro la Sardegna
tra il dicembre del 1792 ed il febbraio 1793.
Di fronte ad una vera e propria aggressione, resa più facile dalla brevità
delle distanze che separavano l’Italia dalla Francia e dalle particolari condizioni
politiche della penisola, i governanti italiani, alcuni dei quali erano legati alla
monarchia francese da vincoli di sangue, reagirono pur senza prendere precise
posizioni, fino a quando non furono direttamente coinvolti.22 D’altronde anche da parte di altre nazioni europee la risposta si fece attendere e solo dopo
l’occupazione francese del Belgio si formò la Prima Coalizione che collegò
all’Austria ed alla Prussia, l’Inghilterra, l’Olanda, la Spagna, la Russia, i regni di
Sardegna e di Napoli, la Toscana e lo Stato pontificio. L’entrata in guerra dell’Inghilterra nel febbraio del 1793 introdusse un’opposizione alla rivoluzione non
solo molto determinata, ma anche allargata in quanto non più limitata al solo
ambito terrestre continentale. L’Inghilterra male sopportava le varianti della situazione politica e strategica dell’Europa sia a nord ovest, in conseguenza della
occupazione del Belgio e dell’Olanda da parte di una potenza continentale, sia
nel Mediterraneo dove la Francia tendeva ad appropriarsi di posizioni favorevoli per controllare il bacino e proiettarsi verso oriente.
20
Nel 1713 le provincie meridionali dei Paesi Bassi, che con il trattato di Utrecht erano state assegnate alla casa d’Austria, si erano liberate dalla dominazione austriaca e avevano costituito gli
Stati Belgi Uniti (1790). Mentre il Belgio entrò a fare parte della Repubblica francese, in Olanda
venne proclamata la Repubblica Batava trasformata poi nel 1806 in Regno d’Olanda da Napoleone
per il fratello Luigi Bonaparte.
21
La campagna contro la Savoia e Nizza si svolse dal 20 settembre al 7 novembre del 1792.
22
Leopoldo II imperatore d’Austria, già granduca di Toscana, era fratello di Maria Antonietta
regina di Francia e di Maria Carolina regina di Napoli.
30
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
La rivoluzione ed i suoi effetti saranno da quel momento combattuti anche
sul mare. L’Inghilterra era un paese nel quale si erano affermate già da tempo
le libertà civili, a fatica conquistate dalla Francia, ed era quindi la meno esposta
delle nazioni europee al richiamo degli ideali rivoluzionari. Il primo ministro
William Pitt il Giovane di ispirazione whig, che in passato aveva fatto molto per
garantire la pace in Europa e aveva sino ad allora preferito rimanere neutrale
e non aderire alla crociata anti rivoluzionaria, non esitò a portare il suo paese
in una guerra che durerà in pratica 22 anni e terminerà solo a Waterloo nel
1815. Fu la tutela degli interessi economici e il rifiuto di accettare interferenze
francesi sul diritto internazionale che spinsero Pitt a compiere il grande passo.
Nel novembre del 1792 la Francia aveva dichiarata la Schelda aperta alla navigazione e aveva inviato una flotta ad Anversa violando le clausole del trattato
di Westfallia e i diritti dell’Olanda e minacciava direttamente la navigazione
inglese da e per il Tamigi. Con l’entrata in scena della Gran Bretagna, vero e
proprio elemento propulsore della Coalizione, la sfida si spostò subito anche
sul mare. Da questo momento il potere navale inglese neutralizzerà molte delle iniziative della Francia fuori dall’asse centro europeo, la isolerà ed alla fine
darà un contributo determinante per porre fine ad un’epoca.
Molti dei rivoluzionari francesi, anche tra coloro che avevano coscienza che
la democrazia doveva significare pace, consideravano la guerra come un male
necessario per liberare zone come la Savoia, il Nizzardo e la Renania dove si
erano formati gruppi simpatizzanti con la rivoluzione che vedevano con favore l’annessione dei loro territori alla Francia. Presto però questo concetto
si allargò e vennero occupati paesi come il Belgio e l’Olanda, fino a che nel
1795 maturò l’idea di entrare in Italia per portare la guerra all’Austria partendo dal settore sud. Le vittorie conseguite a Valmy e due anni dopo a Fleurus
davano fiducia che questo piano potesse riuscire. L’Italia era comunque considerata un teatro secondario nell’ambito del quale lo sforzo militare prodotto
dall’armata affidata al giovane generale Napoleone Bonaparte, doveva servire
principalmente a sostenere la pressione che sarebbe stata esercitata sul confine nord orientale dalle armate francesi comandate dai generali Jean Moreau
e Jean Baptiste Jourdan. I territori italiani occupati avrebbero potuto servire
anche come merce di scambio nell’ambito di eventuali trattati o accordi con
L’Austria. L’Italia per il Direttorio doveva in pratica essere ‘usata’, così come
altri avevano già fatto nei secoli passati, e naturalmente l’uso prevedeva anche lo sfruttamento delle risorse e la depredazione delle ricchezze che vi si
trovavano.
Da questo momento la Francia non conobbe più la pace e mentre offriva
nelle dichiarazioni ufficiali aiuto ai popoli perché si riscattassero dalle condizioni politiche e sociali nelle quali si trovavano confinati da centinaia di anni,
si comportò come fosse animata da un vero e proprio spirito di conquista, missionario ed avido nello stesso tempo. Anche sul mare la Francia repubblicana
seguì una politica espansionistica come quella di una monarchia. La guerra
navale nel Mediterraneo, che vedrà protagoniste per molti anni Francia ed In-
La rivoluzione vista dal mare
31
ghilterra e coinvolgerà direttamente anche le marine sarda e napoletana, sarà
ricca di grandiosi e drammatici episodi, colpi di scena e battaglie sanguinose,
il tutto insieme ad un’infinità di vicende secondarie che vedranno protagonisti
navi di ogni tipo ed uomini che passeranno alla storia per la personalità, l’ardore, l’eccezionale capacità professionale, ma talvolta, com’è umano, anche per
le debolezze, le incertezze e i timori.
In Mediterraneo la prima operazione offensiva navale degli inglesi contro
la Francia ebbe luogo nel 1793 quando l’ammiraglio inglese Samuel Hood si
presentò davanti a Tolone per dare aiuto ai rivoltosi e si fece consegnare navi
e fortezze che poi distrusse allorché i giacobini si riappropriarono della città.
Negli anni seguenti, dal 1794 al 1801, furono prima gli ammiragli Samuel Hood
e John Jervis e poi l’ammiraglio William Hotham a controbattere gli sviluppi
della rivoluzione dominando con le proprie navi il Mediterraneo, sostenendo
ogni movimento anti francese nel teatro tirrenico e proiettando la potenza
navale inglese sulle coste italiane dalla Liguria all’Elba fino alla Sicilia. Gli
ammiragli che si succedettero nel comando delle forze navali britanniche nel
Mediterraneo erano tutti straordinari personaggi. Hood quando vi arrivò si era
già distinto nella guerra d’indipendenza americana nel corso della quale il 12
aprile del 1782, con l’incarico di sottordine dell’ammiraglio George Rodney,
aveva compiuto un’azione memorabile riuscendo a catturare il vascello Ville de
Paris sul quale era imbarcato l’ammiraglio francese de Grasse. Quella battaglia
passò alla storia come la ‘battaglia dei Santi’, o di ‘Ouessant’, dal nome dell’isola
a sud della Guadalupa presso la quale avvenne. Nessun comandante in capo
francese era mai stato preso prigioniero prima di allora. Per ricompensa Hood
era stato nominato barone ed eletto alla Camera dei Lord. Anche Jervis aveva
partecipato alla guerra navale in America e, promosso ammiraglio, aveva a lungo operato nelle Antille occupando la Martinica e Guadalupa.23
La squadra francese a Napoli nel 1792
Per fare fronte alla minaccia rappresentata dalla rivoluzione sia il Regno di
Napoli che quello di Sardegna, i cui sovrani erano rispettivamente Ferdinando
IV di Borbone e Vittorio Amedeo III di Savoia, già nella primavera del 1791
pensarono di costituire una coalizione con gli altri stati italiani per poter sostenere un’eventuale guerra con la Francia. I reali napoletani si recarono in vista
dal Papa per farlo partecipe dell’iniziativa, ma in pratica non fu concluso alcun
accordo poiché, sebbene tutti temessero le conseguenze della rivoluzione, nessuno voleva impegnarsi direttamente. Una proposta di confederazione italiana
fu ripresa alla fine dell’anno da Vittorio Amedeo III, ma fu respinta per due
23
Dopo l’ammiraglio Hotham saranno nominati comandanti in capo della squadra navale inglese
nel Mediterraneo l’ammiraglio George Elphinstone Keith (1799) e quindi Orazio Nelson (1803).
32
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
volte dall’Austria che pretendeva di assumerne la direzione. I tempi non erano
ancora maturi, ma lo diventeranno nell’anno seguente.
Nel marzo del 1792 la fregata napoletana Sirena al comando di Francesco
Caracciolo si trovava a Livorno in attesa di assumere la scorta della nave toscana Ferdinando III. Poiché per motivi tecnici la preparazione della nave da
scortare si faceva attendere e si stimava un ritardo di circa dieci giorni, il governatore di Livorno, che era allora il consigliere Francesco Seratti, aveva suggerito al comandante Caracciolo di intraprendere una crociera per localizzare
e distruggere una nave algerina da quaranta cannoni avvistata giorni prima al
largo delle coste toscane. La ricerca fu infruttuosa e il Sirena rientrò dopo qualche giorno a Livorno. La risposta tempestiva del Caracciolo aveva comunque
impressionato favorevolmente il governatore di Livorno che tramite il console
del Regno di Napoli, il balì Innocenzo Pignatelli, volle fare pervenire una nota
di compiacimento all’ammiraglio John Acton che aveva prestato servizio nella
marina toscana, ma che da qualche tempo era diventato ministro della marina
del Regno di Napoli.
Finalmente, essendo la nave Ferdinando III pronta al viaggio, Caracciolo
poté partire da Livorno e nel maggio successivo, trovandosi in navigazione
nel mar Ligure occidentale, incontrò ed inseguì due navi corsare algerine fino
entro la rada di Cavalaire nel distretto allora denominato del Frèjus. Il cannoneggiamento della fregata napoletana proseguì fino a pochissima distanza
dalla costa, malgrado a terra fosse stato alzato dalle autorità locali il tricolore
francese. Il fuoco napoletano fu talmente violento e continuo che i comandanti
algerini furono costretti a gettare le loro navi in costa per salvare gli equipaggi,
circa seicento persone, e ciò che di importante avevano a bordo. Il Sirena continuò a sparare a mitraglia anche quando gli algerini, ormai a terra, fuggivano
e finì per colpire anche una piccola nave francese all’ancora. Dopo le rimostranze fatte sul posto dalle autorità portuali, queste informarono il municipio
di Tolone inviando un circostanziato rapporto sulla violazione commessa dal
comandante Caracciolo, aggravata, a loro avviso, dal fatto che il comandante
napoletano aveva minacciato di inseguire gli algerini a terra. Nel successivo
rapporto inoltrato al ministro della marina francese le autorità portuali sostennero che la nave napoletana aveva attaccato le navi algerine anche quando si
trovavano già entro il porto francese, negando così al Sirena il diritto di inseguimento. Il rapporto concludeva quindi che il comandante Caracciolo aveva
compiuto una grave scorrettezza in quanto il Regno di Francia ed il Regno di
Napoli erano “amici ed alleati” e a loro volta gli algerini erano in pace con la
Francia. Il ministro della marina francese, dopo avere informato Luigi XVI,
riferì l’episodio all’Assemblea nazionale sostenendo che il comportamento del
Caracciolo costituiva un’infrazione ai trattati internazionali e che, poiché la
reggenza di Algeri avrebbe certamente richiesto i danni, la Francia si sarebbe
rivalsa su Napoli.
La notizia di quanto accaduto fu portata in pochi giorni a Napoli da alcune navi e si capì subito che qualunque fosse la versione esatta dei fatti, il
La rivoluzione vista dal mare
33
comandante della fregata napoletana si era lasciato probabilmente trasportare
dall’impeto oltrepassando i limiti che gli erano consentiti. Da qui la decisione
di Ferdinando IV di domandare le scuse e di offrire le riparazioni al governo
francese. Il che fu fatto attraverso il console napoletano a Marsiglia che fece
pervenire il messaggio del proprio sovrano al ministro francese degli affari
esteri prima ancora che l’Assemblea francese ricevesse il rapporto del ministro
della marina.
La vicenda comportò conseguenze che si trascinarono per lungo tempo
contrariamente alle aspettative dei napoletani i quali ritenevano che la Francia,
impegnata com’era nelle gravi questioni interne, fosse poco attenta ai fatti che
riguardavano le relazioni esterne. A Napoli l’incaricato d’affari per la Francia,
in attesa dell’arrivo dell’ambasciatore designato Armand Mackau, era Francois
Cacault il quale, messo al corrente dell’avvenimento dal governo napoletano,
ricevette comunque dal proprio governo la richiesta di fare conoscere se il
Caracciolo avesse agito in conseguenza di istruzioni ricevute, come aveva sostenuto in una dichiarazione rilasciata alle autorità francesi.
Tra smentite del governo napoletano e insistenze della Francia, finalmente
la posizione napoletana fu espressa per via diplomatica dal ministro e ammiraglio John Acton in un comunicato del 28 giugno 1792 nel quale si assicurava
che la condotta del Caracciolo sarebbe stata giudicata dall’apposita giunta disciplinare e che, per quanto riguardava la riparazione dei danni sopportati dagli algerini e dai francesi, il re era disposto a sostenerne l’onere purché analogo
provvedimento fosse adottato per i danni subiti in passato dalle navi napoletane nelle rade o comunque nelle acque francesi ad opera degli stessi algerini.
La questione sollevò molto interesse anche sotto l’aspetto giuridico in quanto si sosteneva che la fregata napoletana Sirena avesse inseguito le navi algerine dopo che queste erano state sorprese ad inseguire, a loro volta, una nave da
carico napoletana e che pertanto “avendo un bastimento incominciato a perseguire il nemico nel mare libero… questo può continuare la sua persecuzione
quando poi entri nel mare chiuso”.24
Le polemiche tra il governo napoletano e la Francia proseguirono anche
mentre la monarchia cadeva e veniva proclamata la repubblica. A Napoli intanto la giunta disciplinare, avendo accertato che Caracciolo aveva effettivamente
violato le acque territoriali francesi, pur considerando alcune attenuanti, lo
condannò alla perdita del comando del Sirena e lo trasferì nella base di Gaeta.
L’episodio, per quanto di per se circoscritto, sottolineò come tra la Francia ed
il Regno di Napoli non esistessero in quel periodo buoni rapporti. Il comportamento del Caracciolo è giustificabile, infatti, solo considerando che la Francia,
al di là delle convenienze diplomatiche e delle affermazioni ufficiali, non era ritenuta dai napoletani una nazione amica, mentre da parte francese l’insistenza
Cfr. B. Maresca, La Marina napoletana nel secolo XVIII, Napoli 1902, lettera del 23 agosto 1792
di Monsignor Alfonso Airoldi scritta da Palermo a Francesco Daniele.
24
34
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
dei loro rappresentanti diplomatici nel cercare di ottenere le riparazioni e nel
voler conoscere i risultati del giudizio e dei conseguenti provvedimenti disciplinari adottati verso il Caracciolo denotarono un certo malanimo.
Il 16 dicembre del 1792, circa tre mesi dopo che a Parigi era stata proclamata la repubblica una divisione francese composta da nove vascelli e quattro
fregate agli ordini del capitano di vascello Louis Latouche Treville si presentò
davanti al golfo di Napoli con tutte le bandiere al vento.25 La divisione faceva
parte della squadra francese del Mediterraneo comandata dal contrammiraglio
Laurent Truguet che in quei giorni si trovava con le altre sue navi nelle acque
della Sardegna. Latouche Treville era stato scelto per la missione da svolgere
a Napoli non solo per l’esperienza professionale acquisita durante la guerra
in America, ma anche per la sua fedeltà alla rivoluzione. Nato da una famiglia
di marinai e lui stesso ufficiale di marina fino dalla più giovane età, si era
fatto tentare dalla politica facendosi eleggere deputato della Nobiltà agli Stati
generali dove aveva votato a favore dell’unione con il Terzo stato divenendo
poi deputato dell’Assemblea nazionale costituente. Dopo tale esperienza era
tornato alla professione di ufficiale di marina.26 I numeri relativi alle navi alle
sue dipendenze nel corso della missione a Napoli sono quelli riportati dalle più
accreditate versioni napoletane. Anche il suo superiore diretto Truguet era considerato un ufficiale di grande valore. Questi, oltre ad avere una buona esperienza di mare, era stato più volte impegnato in missioni di tipo diplomatico.
Prima della rivoluzione aveva provveduto a riorganizzare la marina ottomana
e mentre si trovava a Costantinopoli aveva ben coadiuvato l’ambasciatore francese per la stipula di un trattato di commercio tra Francia e la Turchia.27 Luigi
XVI aveva inviato Troguet anche in Inghilterra per accertare i progressi della
marina britannica. Al momento in cui fu messo a capo della squadra francese,
che doveva compiere azioni diplomatiche e militari nel Tirreno e nel Mar Ligure, era appena stato promosso contrammiraglio.28
La notizia dell’arrivo a Napoli di navi da guerra francesi, non invitate né annunciate attraverso i canali ufficiali, era già da qualche tempo a conoscenza di
Ferdinando IV grazie ad alcuni rapporti riservati che gli erano stati inviati dagli
25
Secondo gli storici francesi invece la divisione era composta da 10 vascelli e due fregate. Cfr.
O. Troude, Batalilles navales de la France, Paris 1867.
26
La Latouche Treville raggiunse nel prosieguo della carriera il grado di vice ammiraglio. Morì di
malattia a bordo del vascello Bucentaure in porto a Tolone nel 1804, con lui la marina francese
perse uno dei suoi capi più attivi ed intelligenti
27
Truguet nel periodo di permanenza a Costantinopoli scrisse un interessante Traité pratique de
manoeuvres et de tactique.
28
Le vicende di Truguet come ammiraglio saranno lunghe e complesse. Arrestato nel 1793 fu
in seguito reintegrato nei quadri con il grado di vice ammiraglio e nel 1795 gli fu assegnato dal
Direttorio il portafoglio della marina francese. Preparò la spedizione in Irlanda a seguito del cui
fallimento fu congedato. Richiamato in servizio, tre anni dopo fu nominato comandante della
squadra navale di Brest e poi prefetto marittimo di quel dipartimento. Ebbe incarichi importanti
anche dopo la restaurazione da parte di Luigi XVIII e ricevette il titolo di maresciallo di Francia.
La rivoluzione vista dal mare
35
ambasciatori napoletani a Vienna ed a Londra.29 In un primo tempo il governo
napoletano temette che le navi da guerra francesi potessero giungere a Napoli
per avere ragione con la forza del contenzioso provocato dal comportamento
del comandante Caracciolo per il quale non era stata trovata una soddisfacente
soluzione.
L’arrivo delle navi francesi a Napoli a metà di dicembre del 1792 non avvenne,
come temuto e come i fatti dimostrarono, in conseguenza dell’avvenimento del
quale era stata protagonista la fregata Sirena.30 Il motivo dichiarato dell’arrivo
a Napoli della divisione navale di Latouche Treville doveva ricercarsi nel fatto
che la corte napoletana aveva “offeso la nazione francese” nella persona del suo
“cittadino” Semonville, ambasciatore a Costantinopoli, in quanto costui sarebbe
stato oltraggiato in un memoriale dell’ammiraglio Acton. In verità la missione
navale era stata prevista già da tempo con scopi ben diversi. Le comunicazioni
giunte con molto anticipo a Napoli da più canali diplomatici per avvertire che
navi francesi sarebbero arrivate nelle acque del regno fecero nascere il fondato
sospetto che la missione fosse stata preparata a scopo intimidatorio per indurre
il Regno di Napoli ad un atteggiamento di neutralità nella contesa della Francia
con le potenze centrali. Chiesta comunque formalmente la riparazione del torto
subito dall’ambasciatore Semonville, le navi sarebbero ripartite per ricongiungersi in Sardegna con quelle del contrammiraglio Truguet. Il 16 dicembre del 1792
verso mezzogiorno la divisione di Latouche Treville giunse all’altezza dell’isola
di Ischia e diresse senza esitazione verso l’avamporto di Napoli. Mentre si avvicinava un ufficiale napoletano salì a bordo del vascello Linguadoc e comunicò al
comandante Latouche Treville che i trattati in vigore non prevedevano che più di
sei navi da guerra potessero entrare insieme a Napoli. La risposta minacciosa fu
che le forze francesi non si sarebbero divise per alcun motivo e che se fosse stato
sparato un solo colpo di cannone la città sarebbe stata bombardata.
La nave dove era imbarcato Latouche Treville si mise all’ancora indisturbata
davanti a Castel dell’Ovo, mentre le altre unità si portarono all’ingresso del
porto e si ancorarono su di una linea di rilevamento, come fossero in formazione di battaglia. L’arrivo delle navi francesi attirò naturalmente l’attenzione di
tutta la popolazione che si affacciò sul lungo mare per osservare con curiosità,
mista a timore, l’eccezionale avvenimento, soprattutto in vista delle notizie che
arrivavano dalla Francia. Mentre i napoletani seguivano l’insolito spettacolo, i
forti avevano ricevuto l’ordine di completare i preparativi in modo da essere
pronti eventualmente ad intervenire. Le richieste dirette al re vennero portate
da un ufficiale delegato dal comandante La Touche, il capitano di fregata Redon
de Belleville, che raggiunse terra mentre le navi francesi sparavano salve di
Si trattava rispettivamente del marchese di Gallo e del principe Castelcicala.
Proprio nei giorni in cui le navi francesi agli ordini di Latouche Treville entravano a Napoli,
Francesco Caracciolo era stato reintegrato in servizio. Qualche mese dopo gli venne affidato il
comando del vascello Tancredi, una nave da 74 cannoni con 720 uomini di equipaggio.
29
30
36
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
saluto per sottolineare l’importanza del ruolo del loro portavoce.31 Il messaggio chiedeva la neutralità del Regno di Napoli ed una riparazione per le note
diplomatiche con le quali il governo napoletano non solo aveva chiesto alla
Porta ottomana di non riconoscere l’ambasciatore francese Charles Semonville,
ma aveva in precedenza rifiutato anche le credenziali per la designazione come
ambasciatore francese a Napoli di Armand Makau. Ferdinando IV, dopo essersi
consultato con i propri consiglieri ed avere ascoltato Acton che proponeva di
sottomettere le richieste all’arbitraggio di una terza potenza, si orientò prudentemente ad accogliere tutte le richieste dei francesi dando loro piena soddisfazione ed abbandonando così la possibilità di reagire militarmente all’imposizione in una situazione per lui assai favorevole. Anzi in quella occasione fu anche
deciso e comunicato al comandante francese che il Regno di Napoli avrebbe
inviato a propria volta un ambasciatore a Parigi.32
Ventiquattrore dopo, ritenendo di avere completato positivamente la missione, Latouche Treville salpò con le proprie navi da Napoli dirigendo verso
le coste sarde per riunirsi con la navi dell’ammiraglio Trouguet, ma nella notte
tra il 20 ed il 21 dicembre la divisione francese venne dispersa da una violenta
tempesta. Solo i vascelli Languedoc, Entreprenant e Scipion ed una fregata riuscirono a rimanere riuniti ed il comandante Latouche Treville si trovò costretto
a distaccare lo Scipion per avvertire l’ammiraglio Truguet della grave situazione
nella quale si trovava. Nel corso della tempesta il Languedoc subì danni molto
gravi e venne in parte disalberato, i cavi che dovevano mantenere saldamente
al loro posto i cannoni si spezzarono e i cannoni, liberati dalle loro ritenute,
spazzarono paurosamente i ponti. Infine si ruppe anche la barra del timone impedendo alla nave di governare. Fu deciso allora con grave imbarazzo,
specialmente in considerazione di ciò che era avvenuto nei giorni precedenti,
che l’unica possibile soluzione era tornare verso Napoli. In tali condizioni la
navigazione non fu però facile e il Languedoc corse anche il rischio di andare
in secco sull’Isola di Capri. Scampato fortunosamente il pericolo, finalmente il
vascello, a rimorchio dall’Entreprenant e scortato da una fregata, riuscì a raggiungere un punto di fonda nel golfo di Napoli
Quando le navi francesi finirono di ormeggiarsi era il giorno di Natale del
1792. Re Ferdinando, sia pure a malincuore, giacché l’ospite per il suo precedente atteggiamento era poco gradito, non se la sentì di opporsi alla sosta delle
navi francesi, né di rifiutare le riparazioni ed i rifornimenti necessari. L’inco-
31
Il comandante francese Redon de Belleville diventerà in seguito un importante uomo politico.
Fu amministratore di territori francesi, console a Livorno, ambasciatore della Francia a Genova
e poi di nuovo incaricato d’affari a Livorno e a Napoli, quindi a Madrid e Hannover. Terminò la
carriera come responsabile delle poste francesi.
32
L’ambasciatore napoletano a Parigi marchese di Circello aveva lasciato la capitale francese con
altri profughi allo scoppio della rivoluzione ed era stato rimpiazzato dall’abate Leprini che aveva
il ruolo di incaricato della legazione napoletana. Al momento dell’arrivo delle navi francesi quindi
il Regno di Napoli non era più rappresentato a Parigi da persona con il rango di ambasciatore.
La rivoluzione vista dal mare
37
moda presenza, a causa di esigenze tecniche, si prolungò più del previsto fino
a oltre la metà di gennaio. Latouche Treville e i suoi ufficiali non persero però
tempo e presero contatti con alcuni giovani napoletani interessati alle idee ed
alle vicende della rivoluzione francese. Tanta fu l’influenza delle parole di Latouche Treville e la pressione psicologica esercitata dalla presenza delle navi,
che in quei giorni venne fondato in città un club giacobino che ebbe per motto
Sans compromission e alla cui presidenza fu eletto Carlo Lauberg.33
Partite finalmente le navi francesi verso il golfo di Cagliari, a Napoli iniziarono le persecuzioni contro coloro che avevano aderito al club giacobino o che
avevano comunque avuto rapporti di natura politica con i francesi. La corte
iniziò a sospettare che la casa dell’ambasciatore francese Makau, appena riconosciuto come tale dal governo, fosse un centro di diffusione di idee rivoluzionari.34 La vendetta, che si tradusse in carcerazioni ed anche in alcune condanne
a morte, non ebbe subito corso, ma iniziò non appena nel 1793 vennero rotte
ufficialmente le relazioni con la Francia.
Intanto il governo di Napoli, prevedendo un peggioramento della situazione, diede inizio ai preparativi per potenziare l’esercito e la marina.35
La minaccia navale francese in Sardegna
Allo scopo di contenere gli attacchi delle potenze marittime in Mediterraneo
nel luglio del 1792 il Consiglio esecutivo della marina francese decise di costituire a Tolone una squadra navale composta da nove vascelli nominandone
comandante il contrammiraglio Truguet. Poiché a Tolone vi erano solo cinque
vascelli operativamente pronti, venne deciso di trasferire da Brest nel Mediterraneo un primo nucleo di unità navali di rinforzo.36 Ancora prima che le navi di
Sulla minacciosa visita a Napoli delle navi francesi cfr. Cfr. P. Colletta, Storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825, Milano 1905, vol. I, p. 237.
34
Pietro Colletta, generale, uomo politico e scrittore, che aveva vissuto quelle vicende e che
sarà uno dei protagonisti della storia degli anni seguenti e finirà esule, prima in Moravia e poi in
Toscana, nel suo libro “Storia del Reame di Napoli”, la cui prima edizione uscì a Firenze nel 1834,
riferisce che “Esposti più degli altri alle ire del governo ed alle trame delle spie erano i dotti ed i
sapienti per la fallace opinione che il rivolgimento francese fosse opera della filosofia e dei libri,
più che dei bisogni del secolo. I libri del Filangieri furono sbanditi e in Sicilia bruciati; il Pagano,
il Cirillo, il Delfico, il Conforti erano mal visti e spiati; cessarono ad un tratto tutte le riforme dello
stato, avuto pentimento delle già fatte; i libri stranieri, le gazzette impediti; i circoli della Regina
disciolti; le adunanze dei sapienti vietate; negavasi ricovero ai fuggitivi francesi che sebbene contrari alla rivoluzione apportavano per il racconto dei fatti scandalo e fastidio”.
35
In quell’anno l’esercito napoletano contava circa 35 mila soldati. La marina, che comprendeva,
come abbiamo visto, poco più di cento navi di varie dimensioni per un totale di circa seicento
cannoni, aveva in servizio 8600 marinai. La flotta napoletana era costituita da quattro vascelli,
quattro fregate, due corvette, due brigantini, sei galeotte, 74 lance cannoniere, e 10 bombardiere.
36
Con l’arrivo di alcune navi francesi da Brest, nel Mediterraneo si formò una squadra composta
da un vascello da 80 cannoni, il Languedoc, sette da 74 cannoni (Commerce de Bordeaux, Scipion,
33
38
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
Brest raggiungessero le acque di Tolone, l’ammiraglio Truguet ricevette l’ordine
di portarsi con le unità già disponibili e due mila soldati nelle acque del golfo
di San Juan per sostenere, eventualmente con un assalto anfibio, le operazioni
condotte a terra dal generale Jacques B. Anselme contro Nizza e Villafranca,
territori che facevano parte del Regno di Sardegna e ne costituivano, insieme
ad Oneglia, lo sbocco a mare più importante. Il 24 settembre le navi francesi
arrivarono in zona di operazioni ed a metà di ottobre vennero raggiunte da
quelle della divisione proveniente da Brest. A fine novembre le truppe francesi
avevano già occupato le due città, mentre quasi contemporaneamente più a
nord le truppe del generale Montesquiou, approfittando di un’insurrezione popolare, invadevano la Savoia, altra regione appartenente al Regno di Sardegna,
penetrandovi all’altezza di Montmelian e di Chambèry37 L’esercito dei Savoia,
malgrado fosse stato rinforzato con reclutamenti di volontari, era comandato
dal vecchio generale De Lazary che aveva ben poca esperienza di guerra e
adottava tattiche ormai superate. La resistenza contro le forze avversarie, dinamiche e ben condotte, risultò pertanto vana.
L’occupazione di Nizza avvenne senza che i francesi incontrassero eccessive
difficoltà. Infatti, il governatore della città, il generale di origine svizzera marchese de Courten, preso alla sprovvista si arrese al generale Anselme e cedette
la piazza quasi senza reagire. Il suo esempio fu imitato dal governatore del
porto di Villafranca Davide Foucenex. Anche il forte posto a presidio del porto,
che era agli ordini del comandante di marina Cacciardi, non oppose resistenza.
Questi, dopo aver patteggiato la resa con il comando francese, riuscì a fuggire
in Piemonte, ma arrestato, non potendo dare giustificazione del proprio comportamento, venne condannato al carcere a vita. La Savoia, una volta occupata,
venne costituita in dipartimento, denominato del Monte Bianco, mentre Nizza
e Villafranca entrarono a fare parte del dipartimento delle Alpi Marittime.
Cadute le difese di Villafranca, che era la più importante base navale del Regno di Sardegna, le navi dell’ammiraglio Truguet entrarono in porto allo scopo
di predare l’arsenale che era piccolo, ma ben fornito. Le navi sarde vennero
tutte catturate tranne una fregata, la San Vittorio, che riuscì a sfuggire anticipando l’entrata dei francesi e alzando la bandiera inglese, fatto questo che le
conferiva lo stato di nave neutrale, non essendo stata, all’epoca, ancora dichiarata la guerra tra Inghilterra e Francia. La San Vittorio si rifugiò a Genova, città
neutrale, dove venne disarmata. Le navi catturate, compresa la corvetta sarda
Caroline, vennero armate con ufficiali e marinai francesi e trasferite a Tolone,
porto nel quale venne anche spedito il bottino fatto a Villafranca.
Lys, Centaure, Vengeur, Orion, ed Entreprenant) e da 16 tra fregate e corvette. Alle operazioni
condotte dall’ammiraglio Trouguet presero parte complessivamente 11 navi da guerra ed alcuni
trasporti.
37
Inizialmente l’operazione condotta dal generale Anselme e dall’ammiraglio Troguet doveva
costituire un diversivo per le altre operazioni in Savoia, ma finì per diventare di per sé molto
importante.
La rivoluzione vista dal mare
39
Mentre si stavano completando le operazioni per la conquista di Nizza e
Villafranca, le navi francesi di Truguet, diressero verso Oneglia, cittadina che
con il territorio adiacente costituiva un’enclave del Regno di Sardegna entro il
territorio della Repubblica di Genova.38 Il giorno 26 novembre del 1792 dalle
navi venne inviata a terra una delegazione scortata da un reparto di soldati
per chiedere la resa della città, sperando di poterla facilmente occupare come
era avvenuto per Villafranca. La delegazione venne però attaccata dalla piccola guarnigione ed alcuni ufficiali francesi restarono uccisi o feriti. L’ammiraglio Truguet ordinò allora il bombardamento di Oneglia, mentre le sue truppe
sbarcavano protette dal fuoco dei cannoni. Dopo due giorni, viste le difficoltà
offerte dalla tenace resistenza del presidio militare e dei cittadini e ritenendo
di non potere mantenere a lungo le posizioni, l’ammiraglio francese ordinò di
ripiegare e le truppe vennero reimbarcate. La città aveva subito in ogni modo
gravi distruzioni ed era stata anche saccheggiata.
Non appena ultimate le operazioni a Villafranca ed Oneglia, il governo francese, senza porre indugi, decise di condurre un attacco contro la Sardegna e
nei primi giorni di gennaio del 1793 l’ammiraglio Truguet ricevette l’ordine
di raccogliere alcune navi da trasporto, trasferirle ad Ajaccio in Corsica e lì
imbarcare truppe per effettuare uno sbarco sull’isola di San Pietro a sud ovest
della Sardegna. L’ordine venne eseguito molto celermente e già il 13 gennaio
la squadra di Truguet, composta da undici vascelli, tre fregate e tre bombarde e
da alcuni trasporti, arrivò alla fonda davanti all’isola di San Pietro dove alcuni
giorni dopo venne raggiunta dalle navi della divisione affidata al capitano di
vascello Latouche Treville di ritorno da Napoli. La missione in Sardegna aveva
lo scopo di umiliare il re Vittorio Amedeo III, considerato uno dei più accesi
nemici della Francia, e di provocare una sollevazione in favore della rivoluzione. A causa però della reazione ostile della popolazione, atterrita per la minaccia di uno sbarco dei francesi e della burrasca che imperversò in quei giorni sul
Tirreno, la stessa che aveva investito anche le navi di Latouche Treville durante
il ritorno da Napoli, la squadra francese dovette desistere dall’intento.
Il 23 di gennaio le navi francesi si portarono davanti a Cagliari ed alcuni
parlamentari furono inviati a terra per prendere contatti con il governatore
sardo, offrendo la protezione della repubblica francese. Come era accaduto ad
Oneglia, i parlamentari furono accolti a colpi di fucile ed allora le navi francesi
sottoposero la città e il porto ad un bombardamento durato molte ore. L’ammiraglio Truguet attendeva in quei giorni l’arrivo di un altro convoglio dalla
Corsica con più di duemila volontari che avrebbero dovuto essere sbarcati a
38
La città di Oneglia (Imperia) nel 1476 era stata ceduta da Girolamo Doria a Filiberto I di Savoia.
Passata varie volte di mano tra il 1617 e il 1744, a causa di occupazioni spagnole e genovesi, era
stata nuovamente annessa al dominio dei Savoia da Carlo Emanuele III nel 1744. Nel 1801 entrerà a fare parte della Repubblica Ligure costituita dai francesi. Per il suo attaccamento alla casa
Savoia, confermato anche in occasione dell’attacco condotto dalle navi francesi dell’ammiraglio
Trouguet, fu definita “Civitas fedelissima”.
40
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
Cagliari per conquistare la città con la forza. Le cattive condizioni del tempo,
che perduravano ormai da molti giorni sul Mediterraneo centrale, ritardarono
però l’arrivo del convoglio che riuscì a presentarsi davanti a Cagliari solo il 2
febbraio. Non appena i rinforzi furono in vista Truguet avrebbe voluto mettere
in atto il suo piano che prevedeva di sbarcare circa quattromila uomini all’altezza di Quartu a poche miglia a est dalla città per attaccarla provenendo da quella direzione, mentre altri soldati e marinai del contingente di bordo avrebbero
dovuto sbarcare più ad ovest in modo da prenderla tra due fuochi. Il mal tempo
però ritardò ancora una volta le operazioni e solo il giorno 11 febbraio le truppe riuscirono a prendere terra con un certo numero di cannoni, mentre le navi
vennero suddivise in modo da fornire sostegno di fuoco a tutte e due le teste
di ponte. Un gruppo di navi agli ordini di Latouche Treville, che nel frattempo
aveva ricevuto la promozione a contrammiraglio, s’incaricarono invece di attaccare direttamente la città. Una volta a terra le truppe francesi, pur in assenza di
serio contrasto, si trovarono a mal partito e si demoralizzarono quando venne
loro a mancare il collegamento con le navi, che, a causa di un forte vento da
scirocco, non potevano mantenersi sotto costa. Dalla spiaggia si chiese con
insistenza di provvedere al reimbarco. Non appena il vento calò e rese così
l’operazione possibile, le navi provvidero ad eseguire il recupero delle truppe
sia pure con non poche difficoltà perché a causa del cattivo tempo avevano
perso molte delle loro imbarcazioni. La missione dell’ammiraglio Truguet era
nata indubbiamente sotto cattivi auspici e tutti i progetti successivi dovettero
essere cancellati. Tra questi vi era quello di recarsi a Roma per ricordare al
Papa i sentimenti di rispetto verso la Repubblica e poi a Livorno per intimidire
il granduca perché aveva “oltraggiato la Francia” consentendo a navi russe di
usare il porto come fosse un loro arsenale. Avendo rinunciato a completare il
programma, il grosso delle navi francesi rientrò a Tolone, ad eccezione di alcune che restarono in zona per consolidare le posizioni conquistate nel frattempo
sull’isola di San Pietro sulla quale fu poi lasciato un contingente di soldati.39
Mentre nel golfo di Cagliari accadevano questi fatti, i francesi, per operare
una diversione, approntarono un reparto di soldati con l’intento di occupare
l’arcipelago della Maddalena che costituiva un’eccellente posizione strategica
nell’ambito del teatro operativo del Mediterraneo centrale. L’organizzazione
della spedizione fu affidata a Pasquale Paoli, il vecchio eroe dell’indipendenza
corsa.40 Furono riunite numerose unità navali tra le quali un brigantino, alcune
39
Con la rottura delle relazioni della Francia con la Spagna che aderì alla Prima Coalizione,
nata proprio nello stesso mese (febbraio 1793) in cui avvenivano le operazioni descritte, la flotta
spagnola compì la sua prima operazione navale proprio contro la guarnigione e le navi francesi
lasciate a presidiare San Pietro e Sant’Antioco in Sardegna. Questa operazione costerà alla Francia
la perdita di due unità.
40
Paoli era in esilio in Inghilterra quando ebbe notizia della riunione degli Stati generali e della
presa della Bastiglia. Lui che aveva sempre rifiutato di trattare con la monarchia francese accettò
l’unione del suo paese alla Francia e partì per Parigi dove fu accolto trionfalmente e dove venne
La rivoluzione vista dal mare
41
feluche e numerose grandi lance a remi sulle quali presero imbarco uomini
e cannoni. Alla scorta della spedizione ed al tiro contro costa da svolgere in
sostegno alle operazioni di sbarco fu destinata la corvetta Fauvette. Paoli, essendosi nel frattempo ammalato, assegnò l’incarico di comandare la spedizione
al nipote, colonnello della gendarmeria Colonna Cesari. All’impresa partecipò
anche, a capo di un battaglione di volontari, Napoleone Bonaparte, allora tenente colonnello della Guardia nazionale corsa e capitano di artiglieria francese “in licenza”. Le navi francesi entrarono il 22 febbraio 1793 nell’estuario con
l’intenzione di sbarcare le truppe ed i volontari in un primo tempo sull’isola
della Maddalena, così come aveva suggerito lo stesso Bonaparte, ma furono
respinte dal fuoco delle batterie costiere e delle navi sarde che si trovavano
all’ormeggio a Cala Gavetta, tra queste le due mezze galere Beata Margherita
e Santa Barbara. Vista l’impossibilità di sbarcare direttamente sull’isola principale dell’arcipelago, il battaglione agli ordini di Bonaparte riuscì a prendere
terra il giorno 23 sulla vicina isola di Santo Stefano con due obici ed un mortaio per battere da quella posizione con ‘palle arroventate’ La Maddalena e le
navi che si trovavano a cala Gavetta.41 Dopo qualche ora le navi francesi, prese
sotto il tiro delle artiglierie terrestri avversarie, dovettero cambiare le posizioni
inizialmente assunte. La stessa corvetta Fauvette, che scortava il convoglio, per
timore di essere colpita si allontanò e si mantenne molto al largo. In questo
frangente si distinse il piloto sardo Agostino Millelire che durante la notte riuscì a fare attraversare indenne alla propria nave il canale della Moneta sotto il
fuoco avversario. Lo scambio vivace di colpi di artiglieria durò quattro giorni al
termine dei quali i francesi dovettero abbandonare Santo Stefano. Il mantenimento di quella posizione era diventato insostenibile non solo per il tiro delle
artiglierie terrestri sarde, ma anche per uno sbarco compiuto sulla piccola isola
da un gruppo di circa cinquanta sardi agli ordini di Domenico Millelire, fratello
di Agostino, che aveva fino a poco prima diretto efficacemente una batteria
ubicata a terra. Sull’isola della Maddalena i sardi avevano intanto fatto confluire
ottocento uomini, mentre altri reparti dell’esercito si stavano ammassando minacciosamente sulle coste settentrionali della Sardegna. Le navi francesi, vista
la piega presa dalla situazione, reimbarcarono le truppe che avevano preso
terra a Santo Stefano e diressero verso Portovecchio in Corsica inseguite da
alcune unità sarde che nell’occasione riuscirono a catturare una nave logistica
francese.42 Nel lasciare l’isola di Santo Stefano i francesi avevano trasportato
ricevuto dal re e dalla Assemblea nazionale. Rientrato in Corsica fu eletto comandante in capo di
tutte le guardie nazionali dell’isola. Nel mese di luglio del 1792 erano stati i giacobini a volere la
sua designazione a comandante delle forze destinate ad attaccare la Sardegna.
41
Le palle arroventate erano destinate, come nel caso specifico, a provocare incendi negli abitati
sottoposti a bombardamento. Erano usate all’epoca anche nei combattimenti tra navi.
42
Il comandante marittimo della Maddalena era nell’occasione Felice Constantin di Castelnuovo
già comandante della mezza galera Beata Margherita. L’episodio della riuscita difesa dall’attacco
francese alla Maddalena venne molto apprezzato dal re Vittorio Amedeo III che era in quei giorni
42
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
faticosamente sulla costa i loro pezzi di artiglieria per tentare di recuperarli
trasferendoli a bordo delle navi, ma non erano riusciti nel loro intento per
mancanza di tempo ed avevano pertanto dovuto abbandonarli. In un rapporto
fatto al termine della missione da alcuni ufficiali francesi del 2° battaglione volontari, si dice “il convoglio era impaurito dalle mezze galere sarde che la fuga
della corvetta rendeva ora padrone del mare”. Nello stesso rapporto, alludendo
evidentemente alla corvetta Fauvette, gli stessi ufficiali chiedevano che si punissero i “vigliacchi ed i traditori” che avevano fatto fallire l’impresa. In Corsica
i nemici di Paoli misero in giro la voce che il fallito attacco alla Maddalena
fosse da addebitarsi allo stesso Paoli che avrebbe agito di intesa con gli inglesi.
Accusato anche dalla Convenzione venne dichiarato fuori legge. La stessa Convenzione subito dopo adottò provvedimenti di carattere politico e militare per
assicurare la fedeltà della Corsica riprendendo ai corsi ciò che la Costituente
aveva loro concesso e costringendoli così a rispondere alla forza con la forza
e ad accordarsi con gli inglesi che, dopo l’occupazione di Tolone, decisero di
occupare l’isola contando proprio sull’appoggio dei ribelli corsi.
Il tentativo francese di impossessarsi della Maddalena rappresenta di per sé
un episodio marginale nell’ambito degli avvenimenti che accaddero nei primi
anni della repubblica francese, ma ha una certa importanza se si tiene conto
che fu il primo episodio militare di rilievo al quale partecipò Napoleone Bonaparte, allora solo ventiquattrenne. Il giovane ufficiale, nonostante la scarsa
esperienza, riuscì nell’occasione ad esprimere interessanti valutazioni sull’importanza del potere marittimo. L’arcipelago della Maddalena aveva colpito Bonaparte che ne riteneva l’ubicazione particolarmente vantaggiosa per eventuali
incursioni verso l’interno della Sardegna e lo considerava un punto di partenza
“per farvi circolare le nostre opinioni”. In un memoriale dell’epoca l’allora tenente colonnello affermava inoltre che “se la preponderanza nel Mediterraneo
deve esserci contrastata, il porto della Maddalena diventa utilissimo perché
esso domina assolutamente il passaggio dello stretto tra Sardegna e Corsica e
tiene in potere il golfo di Portovecchio”.43 In una guerra al traffico commerciale
il possesso della Maddalena poteva inoltre, a suo avviso, diventare un punto di
rilevante valore strategico per la possibilità di farvi convergere le attività corsare destinate ad intercettare le navi dirette o provenienti dall’oriente. Natural-
molto preoccupato per ciò che avveniva in Piemonte ai confini con la Francia, e che istituì nell’occasione, quale ricompensa, le decorazioni al valore militare d’oro e d’argento. Si verificò nella
circostanza che la medaglia d’oro conferita inizialmente ad Agostino Millelire, forse per errore,
venne poi attribuita al fratello Domenico, considerato per il suo contegno e per l’efficacia del
tiro della sua batteria il vero artefice del ritiro delle navi francesi e quindi della vittoria sarda. Un
provvedimento regio successivo conferì ad entrambi i fratelli l’ambito riconoscimento. Cfr. “Rivista
Marittima”, Roma, ottobre 1902. Agostino Millelire sarà poi promosso capitano di fanteria a fine
secolo XVIII e diventerà Governatore delle “Isole intermedie” (Arcipelago della Maddalena) nei
primi anni del secolo successivo.
43
Cfr. V. Vecchi, Saggi storico marinareschi, in “Nuova Antologia”, Firenze 1876 e in “Rivista Marittima”, Roma, maggio 1896.
La rivoluzione vista dal mare
43
mente la visione del Bonaparte era anche legata alle necessità contingenti della
sua terra d’origine tanto che egli, nel considerare che la Corsica importava già
da molto tempo i generi commestibili necessari al sostentamento della propria
popolazione principalmente dalla Sardegna, riteneva che l’arcipelago acquistasse un’importanza ancora maggiore in un periodo nel quale la repubblica
francese era costretta a mantenere alle armi anche in Corsica un gran numero
di soldati. Bonaparte infine, nel considerare l’opportunità di reiterare l’assalto
contro La Maddalena, dava risalto ad un fattore tipicamente militare, cioè la
difesa dell’onore, che imponeva a suo giudizio di recuperare al più presto l’artiglieria che era stata lasciata sull’isola di Santo Stefano facendovi sventolare la
bandiera francese in modo da “cancellare alla vista di tutta l’Italia la macchia
che ci disonora”.
Nel marzo 1793 Bonaparte redasse un piano in due versioni che prevedeva
di ripetere l’operazione anfibia per impossessarsi della Maddalena. Nel piano,
battezzato appunto Project d’une nouvelle attaque de la Magdelaine, il giovane
ufficiale dimostrava un’ottima conoscenza dei criteri d’impiego di tutti i mezzi
militari, comprese le navi. Il presupposto su cui si basava tale piano, come
puntualizzava testualmente Bonaparte, era l’essere “padrone assoluto del mare”
senza di che sarebbero state “necessarie forze campali assai considerevoli per
resistere agli sforzi di tutta la Sardegna”.
Napoleone comprendeva in quel momento l’importanza del potere marittimo e di quello navale. Più avanti negli anni tale visione verrà in parte stemperata, specialmente dopo la sua fortunata evasione dall’Egitto, nella considerazione che il domino del mare inglese non era riuscito ad impedire la sua fuga
in Francia. Le sue fulminee vittorie terrestri accrebbero in lui l’insofferenza
per i tempi lunghi necessari per la preparazione dello strumento navale. Il suo
cruccio resterà comunque quello di non poter competere sul mare con l’Inghilterra la cui potenza marittima era in quel periodo all’apice e non potrà essere
mai eguagliata, malgrado gli sforzi compiuti dalla Francia. Forse Bonaparte
non arrivò mai a comprendere appieno la differenza tra la strategia e la tattica
navale e le corrispondenti discipline applicate dagli eserciti e s’illuse che, come
qualche volta può avvenire nelle campagne terrestri, il valore del comandante
e lo spirito combattivo potessero sopperire alle mancanze d’addestramento e
di adeguata tecnologia. Per questo, giunto al culmine della sua straordinaria
carriera militare e politica, darà talvolta disposizioni azzardate e pretenderà
l’impossibile dalla flotta francese.
Nelle memorie compilate durante l’esilio a Sant’Elena, ricordando quei
tempi e parlando in particolare dell’Italia, sosterrà che è “una sola nazione”,
ma che per esistere come tale “la sola condizione sarà di essere una potenza
marittima”. Secondo Bonaparte “Nessun paese d’Europa è posto in situazione
più favorevole di questa penisola per diventare grande potenza marittima” e,
anticipando criteri di valutazione dei fattori pertinenti il potere marittimo che
diventeranno famigliari solo dopo qualche decennio, aggiungeva:
44
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
[L’Italia] ha in complesso 1200 leghe di costa, la Francia 130 sul Mediterraneo e 470
sull’Oceano in tutto 600; la Spagna comprese le isole, 500 sul Mediterraneo e 300
sull’Oceano. […] L’Italia ha tutte le risorse di legno e canapa ed in generale ciò che
occorre per le costruzioni navali. La Spezia è il più bel porto dell’universo, la sua
rada è superiore a quella di Tolone, la sua difesa da terra e per mare è facile, i progetti preparati sotto l’Impero e di cui si era iniziata l’esecuzione, hanno provato che
con spese mediocri gli stabilimenti marittimi vi sarebbero al riparo; […] Taranto è
meravigliosamente situata per dominare la Grecia, il Levante le coste dell’Egitto e la
Siria, con i progetti preparati per le sue fortificazioni di terra ed i suoi stabilimenti
marittimi, le più grandi flotte lì sono al riparo da tutti i venti e da ogni attacco anche
di un nemico superiore… infine a Venezia esiste già tutto quello che è necessario.44
Tolone cade in mano degli alleati nel 1793
Mentre presso le case regnanti ed i governi europei non si era ancora attenuato lo sdegno per quanto di drammatico era successo a Parigi con la morte a
mezzo ghigliottina di Luigi XVI, la Convenzione francese il 1° febbraio del 1793
dichiarò guerra all’Inghilterra ed inviò un messaggio esaltante a tutti i marinai
francesi nel quale tra l’altro si diceva:
L’armée navale, aussi brulante de patriotisme que l’armée de terre, doit marcher,
comme elle, de victoires en victoires… Matelots, qu’una émulation salutaire vous
anime! Que des succés égaux vous couronnent! Et vous qui mourez au camp de
l’honneur, rien n’égalera votre gloire! La patrie reconnaisante prendra soin de vos
familles, burinera votre noms sur l’airain, les creusera dans le marble, ou plutot
ils demeureront gravés sur le frontispice du grand édifice de la liberté du monde.
Les générations, en les lisant, diront: – Voilà ces heros francais qui brisèrent les
chaines de l’espèce humaine, et qui s’occupèrent de notre bonheur quand nous
n’existons pas.
A Parigi venne nominato un nuovo ministro della marina in sostituzione di
Bertrand de Molleville, innalzando alla carica un ufficiale, Jean Dalbarade, che
aveva operato come corsaro durante la guerra di indipendenza americana ottenendo molti successi contro le navi inglesi. Tutti gli ufficiali di marina assenti
ingiustificatamente dal servizio vennero congedati, lo stesso provvedimento fu
preso anche nei riguardi di coloro che erano sospettati di ostilità o anche solo
di non nutrire simpatie per la Convenzione. Furono adottati provvedimenti per
favorire l’avanzamento al grado superiore di ufficiali meritevoli e furono inseriti nei quadri della marina, con il grado di capitano di vascello, comandanti di
navi mercantili con lunga esperienza di comando. Entrò in vigore per la prima
volta anche la leva militare.
44
Cfr. Ouvres de Napoleon I a Sainte Hélène; Campagnes d’Italie, in “Correspondance de Napoleon”, Paris 1869, tomo XXIX.
La rivoluzione vista dal mare
45
La Rivoluzione sostituì all’esercito regio di mestiere quello composto da
volontari e da soldati di leva per arrivare a costituire un esercito nazionale.
L’idea di istituire una leva militare non aveva minimamente sfiorato l’Assemblea costituente fino a che non venne dichiarata guerra anche all’Austria. I
nuovi responsabili politici della Francia fino a quel momento avevano infatti
ritenuto necessario migliorare l’organizzazione militare ereditata dall’Anciene
Régime piuttosto che cambiarla. Ciò è tanto vero che nella “Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino” (26 agosto 1789) non vi è traccia di iniziative
relative alla coscrizione obbligatoria. Alla fine del 1789 erano stati tenuti discorsi all’Assemblea costituente a favore di un esercito democratico sulla base
del concetto “tutti i cittadini devono essere soldati e tutti i soldati cittadini”.
Fino alla dichiarazione di guerra però, a parte la Guardia nazionale organizzata subito dopo la presa della Bastiglia, non vi è traccia di milizie borghesi.
Il 22 luglio del 1792, essendo stata dichiarata la patria in pericolo, tutti i cittadini in grado di portare le armi vennero precettati per costituire battaglioni
di volontari il cui compito doveva essere quello di sostenere i reparti di linea
dell’esercito permanente. Nel febbraio del 1793 venne prescritta una leva di
300 mila uomini che ormai di volontari non avevano altro che il nome. Era
previsto l’istituto della ‘sostituzione’ (remplacement) che consentiva, pagando,
di evitare la chiamata. Il 23 agosto seguente, dopo aspre critiche rivolte all’istituto della ‘sostituzione’ giudicato origine di un vero e proprio mercato di uomini, tutti i cittadini indistintamente dai 18 ai 40 anni furono assoggettati alla
chiamata alle armi. Ebbe così inizio la così detta ‘leva di massa’ che non ammetteva alcuna forma di ‘sostituzione’ e che comportò nuovo lavoro e nuove
responsabilità per le autorità locali. Tale forma di leva fu previsto che restasse
in vigore solo fino a che tutti i nemici non fossero stati cacciati dal territorio
della Repubblica. La nuova legislazione sulla leva di massa, che diede luogo a
diserzioni dopo le vittorie di Valmy e di Jemmapes, quando molti soldati non
riscontreranno più validi motivi per restare in servizio, venne in parte modificata nel 1798 (legge Jourdan-Debrel) allo scopo di alleviare gli oneri imposti
dalle primitive disposizioni e per rendere la leva di massa permanente. Salvo
qualche modifica, apportata nel periodo napoleonico relativamente alla durata
ed alla consistenza del contingente, tale legislazione resterà in vigore in Francia fino al 1872 e sarà seguita in linea di principio fino ai nostri giorni da molti
paesi europei, compresa l’Italia.
Il 1° ottobre del 1793 fu deciso di ricorrere anche alla guerra di corsa per
colpire il traffico mercantile della Gran Bretagna e dei suoi alleati. Per incentivare questa forma di impiego delle navi e sollecitare l’interesse dei comandanti e degli equipaggi fu stabilito che i carichi trasportati dalle navi catturate
sarebbero stati interamente di proprietà dei corsari e che ciascun loro cannone
sarebbe stato pagato adeguatamente. La Repubblica si sarebbe limitata ad acquisire per uso proprio le navi predate.
Nonostante i proclami a favore della marina e le agevolazioni concesse, la
disciplina a bordo lasciava però sempre a desiderare e gli episodi di insubordi-
46
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
nazione dovuti anche ad idee di male interpretata autonomia ed indipendenza
dall’autorità non erano rari. Anche nell’esercito repubblicano francese di quegli
anni la disciplina qualche volta vacillò, ma vi furono capi che ebbero la capacità di circoscrivere i singoli episodi e di riportare l’ordine, come Bonaparte,
Moreau o Massena, mentre in marina mancarono forse figure d’analogo livello
oppure gli ufficiali validi furono male assecondati. Soprattutto dopo alcuni
episodi di ribellione verificatisi a Tolone la situazione si presentò tanto grave,
che nel gennaio del 1794 fu emanato un nuovo codice penale militare che
prevedeva pene ancor più severe del precedente, compresa la pena di morte
per i comandanti che abbandonassero la nave prima di affondare o anche solo
per i reati di disobbedienza, ingiurie o minacce nei riguardi di un superiore.
Il regolamento prevedeva anche la detenzione ai ferri per richieste collettive,
diffusione di false notizie e petizioni in favore della grazia per un condannato.
I rovesci della marina francese nell’anno 1793 furono però causati oltre che
dalla scarsa disciplina anche dalla diffusa mancanza del sentimento di giustizia
e del senso dell’onore, fatto questo giustificabile con il grave stato d’incertezza
che regnava in conseguenza della situazione generale e con l’incapacità di alcuni responsabili di assumere una posizione ben definita davanti all’incalzare
degli avvenimenti. Anche il superstite attaccamento alla monarchia giocò tra
gli ufficiali di marina una parte non secondaria sul morale e la loro dedizione
professionale.
All’inizio del 1793 molte città del sud della Francia, tra queste Marsiglia e
Tolone, seguendo l’esempio di Lione si erano sollevate contro la Convenzione
ed i realisti presenti nelle due città marittime avevano organizzato gruppi di ‘federalisti’ armati che avrebbero dovuto riunirsi con quelli di Lione per sovvertire
la situazione in atto ed abbattere la Repubblica.
Gli episodi più gravi accaddero a Tolone dove operavano molti agenti stranieri ed emissari dei fuoriusciti e dove i giacobini erano in costante opposizione con gli ufficiali di marina e, lamentando l’immobilità delle navi e la lentezza
dei lavori cui queste erano sottoposte, domandavano che coloro che avevano
partecipato alla sfortunata missione in Sardegna del febbraio 1793 fossero puniti. I più moderati, di fronte alle richieste di radicali cambiamenti, osservavano
che gli ufficiali in servizio non potevano essere sostituiti perché erano gli unici
tecnicamente capaci di condurre le navi e che in ogni caso bisognava prepararsi bene per affrontare le squadre della coalizione inglese e spagnola che si
pensava si sarebbero presentate al più presto davanti alle coste francesi.
A Tolone la situazione era critica già dal 1792 quando si erano verificati
numerosi episodi di ribellione verso le decretazioni della Convenzione repressi
duramente dai club giacobini della città i cui eccessi finirono però per accrescere la reazione controrivoluzionaria realista. Fu costituito un comitato di notabili cittadini del quale furono chiamati a fare parte anche rappresentanti della
marina. Tale comitato si oppose ai giacobini repubblicani del club Saint-Jean, il
più importante in città, arrestandone molti componenti e condannando il loro
presidente alla pena di morte. In seguito a questi fatti la Convenzione ordinò al
La rivoluzione vista dal mare
47
generale Cartaux, che aveva in precedenza occupato la Savoia, di marciare con
le proprie truppe verso Tolone e Marsiglia per riportarvi l’ordine.45
Mentre queste cose accadevano in Francia, già nel febbraio del 1793, pochi
giorni quindi dall’entrata in guerra, in Inghilterra erano iniziati i preparativi
per inviare in Mediterraneo una consistente squadra navale ritenendo che per
la sicurezza dell’Europa, minacciata dalla politica di aggressione prodotta dalla
rivoluzione, fosse necessario anche sul mare e dal mare impegnarsi militarmente per isolare la Francia impedendole i collegamenti commerciali e militari
con l’estero. L’obiettivo principale era naturalmente Tolone dove si sapeva che
i francesi avevano concentrato una consistente squadra navale.46
La preparazione della squadra inglese per il Mediterraneo richiese più tempo del previsto volendo mettere le navi che la componevano nelle migliori
condizioni di efficienza e di armamento per affrontare quelle francesi che si
sapeva essere numerose e bene armate. In particolare era allora molto difficile, dovendo armare al completo le navi, trovare gli equipaggi. Lo stesso Orazio
Nelson, al quale era stato affidato il comando dell’Agamemnon, vascello da
64 cannoni che faceva parte della squadra britannica del Mediterraneo posta
agli ordini dell’ammiraglio Hood, scrivendo al fratello prima della partenza
dall’Inghilterra diceva: “Men are very hard to be got” ed in seguito comunicava ad un superiore, l’ammiraglio Locker comandante in capo al Nore, “I have
sent out a lieutenant and four midshipmen to get men at every seaport in
Norfolk, and to forward them to Lynn and Yarmouth; my friends in Yorkshire
and North tell me they will send what men they can lay hands on”.47 Nelson si
accingeva a partire per la sua prima missione in Mediterraneo, un teatro del
quale diventerà protagonista per lunghi anni e che condizionerà tutta la sua
vita e le sue fortune, ma che gli darà anche qualche amarezza e lo costringerà
a superare non poche difficoltà. Fino a qual momento le sue esperienze erano
maturate nel corso di missioni svolte nelle Indie occidentali e poi, come molti
altri ufficiali suoi coetanei, durante la guerra di indipendenza americana alla
45
Dopo la fuga del re a Varennes i Giacobini si erano divisi tra filo monarchici (foglianti) e repubblicani. Questi ultimi costituivano l’ala sinistra della Convenzione e furono l’anima del governo del Terrore (1793-1794).
46
All’inizio del 1793 i francesi avevano a Tolone le seguenti navi pronte ad operare: Commerce
de Paris(*) (contreamiral de Trogoff Kerlessy), Tonnant, Apollon, Héros Centaure(**), Heureux,
Commerce de Bordeaux (**), Lys (comandante Saint-Julien), Destin(**), Orion, Duguay-Trouin(**),
Patriote, Entreprenant, Pompée(**), Généreux, Scipion(**), Themistocle(**) e Tricolore(**) [(*) navi
in seguito catturate dagli inglesi; (**) navi che furono distrutte o bruciate al momento dell’evacuazione di Tolone da parte della squadra della Coalizione]. A Tolone vi erano inoltre alcune navi
minori da 40 cannoni (Arethuse, Perle, Topaze) e da 32 cannoni (Aurore, Alceste, Serieuse). Molte
altre unità erano in porto non pronte, in allestimento o in fase di costruzione.
47
“È difficile trovare marinai”, e di seguito: “Ho mandato un tenente di vascello e quattro guardiamarina a cercare uomini in ogni angiporto di Norfolk e poi a Lynn e Yarmouth; i miei amici
che stanno nello Yorkshire (regione a nord di Londra) e a North mi dicono che mi manderanno
tutti gli uomini che saranno capaci di trovare”.
48
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
quale aveva partecipato come comandante di una fregata quando aveva solo
poco più di venti anni.
Alla fine di aprile la squadra di Hood non era ancora del tutto pronta anche
se alcune navi, quelle della divisione dell’ammiraglio William Hotham, tra le
quali era anche l’Agamemnon, potevano già essere inviate in pattugliamento
in una zona tra cinquanta e cento miglia ad ovest del canale della Manica. Tale
divisione ottenne preziose informazioni da navi neutrali di passaggio venendo
a sapere che i porti della Francia del nord erano pieni di navi mercantili inglesi
catturate dai corsari francesi e che navi da guerra francesi pattugliavano costantemente il golfo di Biscaglia.
Finalmente le navi che costituivano il grosso della squadra inglese furono
pronte a dislocarsi in Mediterraneo. Un primo gruppo, al comando del contrammiraglio John Gell, lasciò le acque della Manica già a metà aprile, seguito da
altri tre gruppi, agli ordini rispettivamente degli ammiragli Philip Cosby, William
Hotham e quindi dello stesso comandante in capo Lord Hood. L’ultimo gruppo,
quello di Hood, partì dalla Manica ai primi di maggio. Le navi fecero rotta per
Gibilterra, si fermano a fare rifornimento d’acqua a Cadice e si portano quindi
nella zona di mare antistante Tolone, dove si riunirono il 16 di luglio del 1793. In
quel momento l’ammiraglio Hood, che alzava la propria insegna sul vascello Victory, disponeva di una squadra che comprendeva in tutto 22 vascelli. Negli stessi
giorni anche l’ammiraglio spagnolo Langara prendeva il mare con una squadra di
24 unità per congiungersi agli inglesi davanti a Tolone. Alcune navi napoletane ed
una sardo-piemontese arrivarono successivamente in zona di operazioni.48
L’ammiraglio Hood ritenne di non potere entrare nella rada per affrontare
direttamente l’avversario, in quanto era protetta da solide fortificazioni bene
armate di artiglierie. Diede quindi inizio al blocco del porto. Tale misura, impe-
48
La squadra napoletana che partecipò al blocco di Tolone ed alle successive vicende era costituita da tre vascelli di linea: Tancredi (comandante Caracciolo), Sannita (comandante Spannocchi),
Guiscardo (comandante La Tour) e dalle fregate Sibilla, Minerva, Sirena ed Aretusa, da due corvette Aurora e Fortuna e dai brigantini Vulcano e Sparviero. I sardo-piemontesi utilizzarono solo la
fregata San Vittorio per trasferire a Tolone una parte delle loro truppe. Quest’ultima verrà bruciata
al momento del ritiro da Tolone insieme ad altre unità francesi perché giudicata non trasferibile
ed i sardi riceveranno in sostituzione una fregata ex francese, l’Alceste, che manterrà nel passaggio
il proprio nome e che verrà poi ripresa in combattimento dagli stessi francesi, passando così di
nuovo a fare parte della loro marina. Sulla partecipazione delle navi napoletane, la maggior parte
delle quali era agli ordini di ufficiali provenienti dalla marina toscana, cfr. L. Donolo, L’esperienza
di ufficiale di marina di Francesco Spannocchi Piccolomini, in “Francesco Spannocchi governatore a Livorno tra Sette e Ottocento”, atti del convegno, Livorno, 2007. Secondo le cronache francesi
del tempo la squadra inglese che partecipò al blocco di Tolone era costituita da 19 vascelli e nove
fregate. Stando alle fonti inglesi le navi riunite davanti a Tolone costituivano invece una squadra
di 24 unità così composta: Victory (Vice admiral Lord Hood), Britannia (Vice admiral William
Hotham) entrambe da 100 c, Windsor, Castle (Vice admiral A. Philip Cosby), Princess Royal (Rear
admiral Sam Charles Goodall), St. George (Rear admiral John Gell) da 98 c, Alcide, Fortitude, Terrible, Leviathan, Egmont, Colosssus, Robust, Illustrious, Courageux, Berwick, Bedford, Captain da
74 c, Agamemnon (Captain Horatio Nelson), Intrepid, Ardent e Diadem da 64 c.
La rivoluzione vista dal mare
49
dendo l’arrivo dei rifornimenti, avrebbe dovuto mettere la città in gravi difficoltà logistiche costringendo la squadra navale francese ad uscire in mare aperto
per rompere il blocco. A quel punto, secondo Hood, sarebbe stato possibile affrontare vantaggiosamente un combattimento risolutivo con le navi avversarie.
Mentre nel Mediterraneo Tolone, la più importante base francese, era bloccato, in prossimità dell’isola di Groix, davanti a Lorient in Bretagna, l’ammiraglio francese Morard de Galles con 19 vascelli si incontrò con la squadra
inglese del Canale al comando dell’ammiraglio Howe. Era il 1° agosto del 1793.
Le navi inglesi erano 17, due di meno di quelle francesi, quindi Morard avrebbe
potuto attaccare, ma preferì mettersi al riparo della vicina Belle-Ile in quanto
non aveva fiducia nella propria situazione interna: i suoi ufficiali erano tra loro
divisi, i marinai non obbedivano, la disciplina era morta, i migliori elementi
erano stati imprigionai o erano emigrati.
Come previsto gli effetti del blocco di Tolone non si fecero attendere. Il Comitato tolonese, infatti, nell’assemblea del 15 agosto 1793 decise di domandare agli
inglesi di lasciare passare, “au nome de l’humanité”, i convogli navali che portavano i rifornimenti alla città dove il cibo incominciava a scarseggiare. I capi della
marina a Tolone furono alla fine messi davanti ad una difficile proposta, quella
di disarmare le proprie navi e trattare con Hood. Dapprima essi risposero che
era necessario sentire il parere della Convenzione nazionale e con questa quello
dell’ammiraglio Truguet che era entrato a farne parte e che si trovava in quel periodo a Parigi. La Convenzione interpellata tacque. Il 20 agosto il Comitato degli
insorti insediato a Tolone inviò due propri delegati a parlamentare con Hood a
bordo del vascello Victory. Avendone il mandato, concordarono la cessione della
città a chi poteva ufficialmente rappresentare il nemico. Quattro giorni dopo il
presidente del Comitato, Le Bret d’Imbert, indirizzò alla città un proclama, firmato da 13 membri dello stesso Comitato, nel quale si diceva esplicitamente che la
città doveva essere consegnata agli inglesi a nome del successore di Luigi XVI,
cioè il figlio Luigi XVII. Al proclama non appose la propria firma l’ammiraglio
Trogoff Kerlessy, che pure faceva parte del Comitato essendo il comandante della squadra navale. Questi malgrado il rifiuto di firmare la resa era però troppo
intriso di sentimenti monarchici per fare qualcosa di concreto in favore della
Repubblica. Quando a bordo delle navi francesi si venne a conoscenza delle decisioni del Comitato molti equipaggi protestarono vivacemente e quando venne
emanato l’ordine di sostituire la bandiera bianca con nel riquadro superiore il tricolore, che era allora la bandiera navale della Repubblica, con quella tutta bianca
dei Borbone, alcune navi si rifiutarono di eseguirlo. Il comandante del vascello
Commerce de Bordeaux, Saint-Julien, dichiarò Trogoff traditore ed alzò l’insegna
di comando delle navi che si dissociavano dalle decisioni anti-rivoluzionarie,
ma non poté opporsi ai contatti del Comitato cittadino con gli inglesi.49 Anche a
49
Cfr. G. De Brecy, La revolution de Toulone 1793 e M. Leon Guerin, Histoire de la Marine contemporaine, opere ricordate nel già citato Batailles navales de la France, Paris 1867.
50
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
terra vi furono perplessità. Molti avrebbero voluto, dovendo fare il tragico passo,
che la città venisse piuttosto consegnata agli spagnoli. La preoccupazione di tutti
era che le truppe repubblicane potessero attaccare da un momento all’altro Tolone ed in caso di loro vittoria dessero il via ad esemplari punizioni e vendette.
Si temeva anche che le navi francesi leali alla Repubblica potessero arrivare a
bombardare la città.
Il giorno 27 di agosto sei vascelli francesi agli ordini di Trogoff si spostarono dall’interno del porto alla piccola rada seguendo una precisa richiesta
dell’ammiraglio Hood, mentre altri quattro vascelli agli ordini di Saint-Julien si
rifiutarono di cambiare ormeggio, ma non opposero altra forma di resistenza.50
Il giorno seguente Hood, dopo avere inviato a terra durante la notte un consistente reparto per impossessarsi del forte Lamalgue, entrò in porto con alcune
delle proprie navi seguite da quelle spagnole, napoletane e sarde. Gli alleati
presero rapidamente possesso della piazza, dei forti e delle navi francesi molte
delle quali vennero bruciate ed altre inserite nella squadra alleata alzando la
bandiera borbonica.51
Quattro delle navi francesi che si erano consegnate agli inglesi furono successivamente inviate in Inghilterra, ma, navigazione durante, i comandanti e
gli equipaggi francesi di alcune di tali unità si pentirono di non avere resistito
e decisero di fermarsi nei porti del nord della Francia dove furono catturati,
processati e condannati a morte dai tribunali rivoluzionari.52 La Convenzione
dichiarerà “traditori infami della patria” tutti i comandanti consegnatisi volontariamente agli inglesi e tra questi l’ammiraglio Trogoff che, per evitare una
sicura condanna a morte, tentò di fuggire imbarcandosi su di una piccola nave
mercantile, ma morì mentre questa era in rada a Portoferraio. Tra gli oltre 15
mila soldati alleati che occuparono la città, tutti trasportati via mare, cinquemila erano napoletani e mille cinquecento sardo-piemontesi. Gli altri contingenti
presenti erano costituiti da circa due mila inglesi e da settemila spagnoli. Il
contributo militare sardo e quello del Regno di Napoli in particolare fu dunque notevole. L’ammiraglio Hood non appena concordato il passaggio della
città di Tolone in mano alleata, inviò una delle proprie navi scelta tra le più
veloci, l’Agamemnon al comando di Nelson, prima ad Oneglia e quindi a
Napoli per portare messaggi diretti ai governi dei regni di Sardegna e Napoli
che contenevano la richiesta di fornire sollecitamente rinforzi militari adatti
a sostenere l’occupazione di Tolone e l’invito a non stipulare alcun accordo
con il governo rivoluzionario francese senza il consenso della Gran Bretagna.
Dopo una breve sosta ad Oneglia, Nelson il 12 settembre raggiunse Napoli
Il comandante Saint-Julien dopo l’entrata in porto delle navi alleate si consegnerà a bordo di
una nave spagnola.
51
Le navi bruciate furono in totale 17, mentre 16 furono quelle inserite nella squadra alleata per
tutta la durata della campagna.
52
Le navi si erano consegnate nei porti di Bordeaux, Brest, Lorient e Rochefort.
50
La rivoluzione vista dal mare
51
dove rimase per quattro giorni ottenendo prontamente i rinforzi richiesti che,
del resto, erano già in fase di preparazione. Nel portare a buon fine la missione Nelson venne particolarmente sostenuto dall’ambasciatore inglese a Napoli
lord William Hamilton che lo presentò al re Ferdinando IV e lo intrattenne
nella propria residenza a palazzo Sessa. Nelson restituì le cortesie con un ricevimento organizzato a bordo dell’Agamemnon al quale partecipò anche il
re. Durante la breve visita a Napoli Nelson, che era rimasto particolarmente
colpito delle accoglienze ricevute tanto da evidenziarle nel suo giornale di
bordo, strinse un legame duraturo con l’ambasciatore inglese e con sua moglie
Emma. Egli tornerà a Napoli solo cinque anni dopo, vincitore alla battaglia di
Abukir, ma nel frattempo tra lui e lord Hamilton intercorrerà una frequente
corrispondenza.
Un primo gruppo di soldati napoletani, come era stato concordato, fu sollecitamente imbarcato sui vascelli da 74 cannoni Guiscardo e Tancredi e su altre
navi minori. Tale gruppo di unità partì da Napoli per Tolone il 16 settembre e
arrivò a destinazione il 28, mentre un secondo contingente, imbarcato su unità
da trasporto scortate dal vascello da 74 cannoni Sannita, arrivò a Tolone il 5 di
ottobre. Il comando della spedizione venne assunto dal contrammiraglio Forteguerri.53 Le truppe sardo-piemontesi, invece, affluite a Tolone provenendo dalla
Sardegna, vennero trasportate dalla nave inglese Colossus.
Nei successivi mesi di ottobre e novembre attorno a Tolone avvennero molti
combattimenti per contenere la pressione continua esercitata sulla città dalle
truppe francesi repubblicane agli ordini prima del generale Cartaux e poi del
generale Dugommier. Il contingente di soldati napoletani e sardi si segnalò
per il buon comportamento durante tutta la campagna e subì anche molte
perdite. I gruppi di combattimento che di volta in volta venivano costituiti per
assolvere specifiche missioni erano sempre composti da elementi tratti dai vari
contingenti. Solo per citare qualche esempio, ad un attacco condotto l’8 di ottobre contro un gruppo di tre batterie francesi sistemate sulle alture di Moulins
e di Reinier parteciparono 50 spagnoli, 100 piemontesi, 50 napoletani e 400
inglesi, tra questi ultimi un reparto costituito da marinai tratti dalle navi, tutti
agli ordini di un ufficiale inglese. In altra occasione, il 30 di novembre, ancora
per neutralizzare alcune batterie francesi che bombardavano insistentemente
la città, il reparto che condusse l’attacco fu costituito con 400 realisti francesi,
600 spagnoli, 600 napoletani, 300 sardi e 300 inglesi, ancora una volta sotto il
comando di un ufficiale inglese.
L’occupazione alleata di Tolone ebbe luogo in un clima di contrasti tra le
autorità militari alleate, soprattutto inglesi, e le rappresentanze cittadine, ma
le dispute e le polemiche dureranno poco, infatti già il 30 novembre le forze
53
Anche Forteguerri proveniva dalla marina toscana, ma aveva fatto carriera in quella napoletana, cfr. L. Donolo, L’esperienza di ufficiale di marina di Francesco Spannocchi Piccolomini… cit.,
pp. 48-52.
52
Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849
repubblicane che avevano circondato la città si scontrarono con le truppe occupanti riportando un primo successo e catturando anche il generale inglese
O’Hara, comandante delle forze terrestri, che aveva sostituito nell’incarico il
contrammiraglio spagnolo Gravina dopo che questi era rimasto ferito in uno
scontro.54 L’esercito repubblicano, forte di circa 40-50 mila uomini, sostenuto
dal fuoco molto efficace della propria artiglieria comandata da Napoleone Bonaparte, riuscì ben presto a mettere in difficoltà la resistenza alleata che poteva
contare su non più di 11 mila soldati posti a difesa della fascia perimetrale della
città ampia almeno 15 miglia.
Già il 14 dicembre gli inglesi, sia pure in contrasto con gli altri alleati, iniziarono ad esaminare la possibilità di evacuare Tolone che ancora pochi giorni
prima avevano dichiarato solennemente di voler tenere fino alla fine della guerra. Malgrado gli inglesi diffondessero notizie che evidenziavano la loro determinazione a resistere, gli abitanti della città non nutrivano eccessiva fiducia in
questo impegno e, presi dal terrore di cadere in mano dei repubblicani, cominciarono ad accalcarsi verso il porto, tanto che fu gioco forza provvedere al loro
imbarco sulle navi alleate. In una sola notte, quella tra il 18 ed il 19 dicembre
1793, ben 14 mila persone furono recuperate dalle navi inglesi, spagnole e napoletane. Alcune delle navi più grandi, come i vascelli inglesi Princess Royal e
Robust si videro costrette ad ospitare a bordo circa tremila profughi ciascuna,
mentre a terra i reparti rimasti in retroguardia provvedevano a bruciare tutte le
infrastrutture militari, comprese alcune delle navi francesi.55 Lo storico inglese
William James parlando dell’abbandono di Tolone commenterà in modo molto
partigiano l’episodio concludendo: “The destruction of the ships and magazines might certainly have been more complete, but here again the treachery
of the Spaniards and the pusillanimous flight of the Neapolitans thwarted the
plans of the British”.56 Malgrado l’accusa rivolta al contingente terrestre napoletano di avere abbandonato in disordine le proprie posizioni durante la fase
della ritirata da Tolone, al rientro in patria il 2 di febbraio del 1794, i napoletani lamentarono la perdita di oltre seicento uomini, duecento dei quali morti
o feriti in combattimento e gli altri caduti prigionieri dei francesi. Anche molte
delle loro armi ed equipaggiamenti erano andati perduti.
54
Quando il contrammiraglio spagnolo Gravina rimase ferito e gli inglesi decisero di sostituirlo
con il generale inglese O’Hara, nacquero dei contrasti tra inglesi e spagnoli che provocarono
anche manovre minacciose di navi spagnole verso la nave sede del comando inglese che era il
vascello Victory.
55
Al termine della vicenda le navi francesi bruciate o distrutte furono ben 18 (Trionphant, Douguay-Trouin, Commerce de Bodeaux, Destin, Tricolore, Suffisant, Centaure, Dictateur, Thémistocle, Héros, Sérieuse, Iphigénie, Monrèal, Iris, Caroline, Auguste, Alerte). Le navi catturate e poi
trasferite verso l’Inghilterra, furono in tutto16, tra queste un vascello da 120 cannoni, il Commerce
de Paris. Nel numero totale è compreso anche l’Alceste che passò invece alla marina Sarda.
56
Vd. W. James, The naval History of Great Britain cit., vol. I, p. 93: “La distruzione delle navi e
dei magazzini avrebbe potuto essere più completa, ma ancora una volta la slealtà degli spagnoli
e la fuga pusillanime dei napoletani impedirono di mettere in esecuzione il piano britannico”.
La rivoluzione vista dal mare
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La città di Tolone, una volta occupata dalle truppe repubblicane, fu sottoposta al saccheggio e venne applicata con molta ferocia la pena di morte per
tutti coloro che si erano resi colpevoli di episodi di collaborazione, che non
avevano consegnato prontamente i loro averi o anche solo perché sospettati di
essere filo realisti. I morti fucilati furono molte centinaia e persino la città fu
minacciata di distruzione totale, ma poi i delegati a mettere in atto tale misura
si ricredettero e convinsero la Convenzione a desistere dal proposito.
Liberata Tolone, i repubblicani si prodigarono per rimettere in efficienza la
loro marina nel Mediterraneo facendovi affluire molte unità dai porti dell’Atlantico ed incrementarono le costruzioni navali. Il comando delle forze navali
francesi del sud (Mediterraneo) venne affidato all’ammiraglio Pierre Martin, un
ufficiale che, grazie agli esodi provocati dalla rivoluzione, aveva fatto rapidamente carriera. Ancora tenente di vascello nel 1792, due anni dopo era già contrammiraglio, avendo ovviamente maturato ben poca esperienza di comando.
L’occupazione inglese della Corsica
Mentre gli alleati occupavano Tolone l’ammiraglio Hood si preoccupava di sfruttare il malcontento che serpeggiava nel sud della Francia per sollevare le popolazioni locali contro la Convenzione. Le sue attenzioni erano in particolare
rivolte alla Corsica dove era in atto una insurrezione popolare con a capo il
generale Paoli che era stato, in un primo tempo, accusato dalla stessa Convenzione di avere fatto fallire l’attacco francese alla Sardegna ed in seguito, avendo
convocato le rappresentanze dei comuni dell’isola pronunciando la separazione
dalla Francia, era stato dichiarato traditore della patria. Questa accusa aveva
allontanato da lui una parte delle simpatie della stessa popolazione corsa.57 Paoli si era messo allora in contatto con gli inglesi richiedendo l’intervento nelle
acque dell’isola delle navi dell’ammiraglio Hood con la speranza che la loro sola
presenza potesse fare volgere a proprio favore la situazione che era resa critica
anche dalle difficili condizioni alimentari nelle quali si trovava allora la Corsica.
Nel mese di settembre del 1793 una divisione navale inglese composta da
tre vascelli, Alcide, Courageux e Ardent e due fregate, Lowestoffe e Nemesis,
agli ordini del commodoro Robert Linzee, venne distaccata da Hood ed inviata
nelle acque del sud della Francia e della Corsica con il compito di fare sollevare le popolazioni e procurare rinforzi per gli alleati. Il commodoro Linzee si
presentò con le sue navi in primo luogo davanti a Villafranca, ormai in mano
francese, ed inviò a terra una lettera contenente un proclama rivolto agli abitanti per invitarli a passare dalla parte dei realisti. Lo stesso Linzee aggiunse un
messaggio personale con il quale informava che a Tolone era stata restaurata la
monarchia. Nessuno dei messaggi suscitò particolari reazioni e pertanto la divi-
Pasquale Pali era stato nominato generale dall’assemblea dei corsi ancora nel 1755.
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