Luigi Donolo Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni 1789-1849 Pisa University Press Donolo, Luigi Il Mediterraneo nell’età delle rivoluzioni 1789-1849 / Luigi Donolo. - Pisa : Pisa university press, c2012 359.0091638 (22.) 1. Marina militare - Storia CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa In copertina T. Buttersworth, Battaglia del Nilo (Abukir), acquarello. National Maritime Museum, Greenwich, London © Copyright 2012 by Pisa University Press srl Società con socio unico Università di Pisa Capitale Sociale Euro 20.000,00 i.v. - Partita IVA 02047370503 Sede legale: Lungarno Pacinotti 43/44 - 56126, Pisa Tel. + 39 050 2212056 Fax + 39 050 2212945 e-mail: [email protected] Member of ISBN 978-88-6741-004-0 Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. 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Poiché è noto che gli avvenimenti, come gli oggetti, si comprendono meglio quando osservati da più angolazioni, la speranza è che ciò che è avvenuto nei sessanta anni compresi tra il 1789 ed il 1849 possa risultare più chiaro se considerato anche in uno spazio integrato mare-terra. L’influenza che il mare e le marine militari hanno avuto sulla storia del Mediterraneo nel periodo in questione è stato assunto come principale filo conduttore del libro che inizia con la nascita della rivoluzione francese, origine e causa di buona parte di quanto descritto, e si chiude con un esame dei drammatici avvenimenti italiani del biennio 1848-1849. In mezzo ci sono i rivolgimenti che l’Europa ed il Mediterraneo subirono sotto l’azione dirompente di Napoleone, altre rivoluzioni, moti indipendentisti e liberali e vicende che, nel giro di pochi decenni, hanno cambiato il mondo occidentale in modo così profondo che le loro conseguenze si fanno sentire ancora oggi. Il tutto è analizzato e descritto soprattutto dal punto di vista navale militare, tenuto quindi conto del potere marittimo, senza peraltro escludere gli avvenimenti a terra quando influenzati dalle flotte navali sia delle grandi potenze che degli stati che disponevano di uno strumento militare più ridotto. La narrazione è geograficamente ambientata nel Mediterraneo, un luogo, un confine, un crocevia, ma nello stesso tempo un ponte antichissimo tra paesi e popoli di tre continenti, un mare che da sempre ha la connotazione di uno spazio più grande di quello definito dalle terre che lo circondano. Dopo un lungo periodo di immobilità e di abbandono, alla fine del XVIII, quando inizia la nostra indagine storica, il grande bacino tornò ad essere per il mondo occidentale e per l’Europa un luogo vitale dove le tensioni accumulate a terra si scaricarono e tentarono di risolversi. Il Mediterraneo è un sistema complesso per geografia, clima, cultura e storia, quasi un insieme di mondi diversi tra loro legati da un comune destino. Nell’epoca in esame questo mare, era abbastanza grande per accogliervi interessi e azioni di disparata origine, e nel contempo abbastanza piccolo perché tutti gli avvenimenti finissero per influenzarsi a vicenda, sommarsi e produrre conseguenze di carattere universale. Nel leggere il libro dovremmo pensare al Mediterraneo con la mente alla storia, per comprendere come, all’epoca della vela e dei primi timidi tentativi della propulsione a vapore, questo mare fosse una distesa paragonabile ad un oceano. Se riusciremo a focalizzare la nostra attenzione su un Mediterraneo storico, potremmo meglio comprendere certe situazioni e alcuni condizionamenti che hanno influito significativamente sul destino di uomini e nazioni. 8 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 Gli avvenimenti sono esaminati con un occhio di riguardo per le azioni compiute, in tante e diverse situazioni, dalle navi e da coloro che le facevano muovere e operare. Poiché tutto si svolge sempre con precise relazioni di causa ed effetto, nel descrivere e commentare gli avvenimenti di natura militare e marittima si è cercato di riferirli al contesto più generale, politico, sociale ed economico, allo scopo di valutare meglio le cause che li hanno prodotti e le relative conseguenze. Negli anni di cui ci occupiamo il mare era fondamentalmente una via di comunicazione, uno spazio attraverso il quale gli uomini e le merci, materie grezze o manufatti, potevano muoversi in tutte le direzioni, privilegiando però, per motivi di praticità e convenienza, certe rotte, perché più brevi o perché più sicure. Queste, insieme ai porti di partenza e di destinazione ed a basi opportunamente dislocate, costituivano una rete di relazioni e d’interessi di particolare valore. Le basi potevano essere empori, depositi di merci, chiavi di accesso alle zone continentali interne, ma dovevano anche servire da ricovero e punti di rifornimento per le stesse navi mercantili e per le navi militari destinate a gravitare in zone lontane dalla madrepatria. Quest’ultima esigenza, di natura più tipicamente strategico-militare, fu la causa di molte delle contese che avvennero nel Mediterraneo. La rete costituita dai porti di partenza e di destinazione, dalle rotte e dalle basi era importante sia dal punto di vista commerciale, sia per tutte le operazioni necessarie al controllo e alla difesa del traffico, ancora minacciato in tempo di pace dalla pirateria. In tempo di guerra le cose cambiavano decisamente. I traffici mercantili nazionali dovevano essere protetti direttamente o indirettamente, quelli avversari colpiti e neutralizzati. Esisteva inoltre, già allora, l’esigenza di trasferire la potenza militare in aree prefissate per condizionare o combattere le forze navali militari avversarie o per influenzare gli avvenimenti a terra. Quest’ultimo risultato poteva realizzarsi con un uso della forza che oggi chiameremo ‘diplomatico’ o con uno più segnatamente ‘coercitivo’. Le marine militari traevano in sostanza la loro ragione di essere da due fattori fondamentali: da un lato i commerci marittimi e l’esistenza di una marina mercantile con la conseguente necessità di poter disporre liberamente del mare e dall’altro la volontà politica di adoperare il mare come un mezzo per trasmettere potenza. Nel 1789 la rivoluzione francese diede l’avvio ad un inarrestabile processo di trasformazione del vecchio mondo. Un nuovo vangelo corse attraverso l’Europa e percorse anche il Mediterraneo distruggendo gli equilibri precedenti, creando nuove istituzioni, nuovi assetti e nuovi stati, ma soprattutto diede agli uomini la volontà di impegnarsi per la felicità ed il benessere individuale e collettivo. Felicità e benessere identificati con l’indipendenza, la libertà ed una migliore giustizia sociale. L’Europa aveva allora solo 170 milioni di abitanti, la rivoluzione industriale era appena iniziata e lo era solo in alcune zone dell’Inghilterra e del Belgio, le comunicazioni tra paesi e regioni erano difficili e l’azione dei governi era ancora lenta e prudente. In una Europa politicamente rimasta stabile per lungo tempo, la società era ferma a condizioni antiche. In Prefazione 9 pochi anni si verificarono straordinari cambiamenti e tutto si sviluppò secondo dimensioni più grandi e si svolse in spazi immensi. Anche gli eserciti e le flotte diventarono di proporzioni fino allora mai viste, furono diversamente composti ed assunsero nuovi ruoli. La rivoluzione francese e ciò che ne seguì, in particolare la discesa in Italia del generale Bonaparte, portò tra le tante novità la rottura degli equilibri geostrategici. L’asse ideale tra l’Atlantico e il Mare del Nord, ormai consolidato da due secoli, cambiò il suo orientamento e si spostò nuovamente con un capo sul Mediterraneo. La campagna d’Italia del 1796-97, nata come un diversivo per impegnare le forze austriache e alleggerire il fronte renano, fu la premessa di un progetto che prevedeva di rivolgere l’attenzione della Francia anche verso il sud e l’oriente. Dopo Campoformio questo processo, fino ad allora ancora incerto, si consolidò e l’equilibro atlantico continentale si trasformò in una grande manovra che vide l’Italia protagonista e che portò il Mediterraneo verso una rinnovata importanza, teatro privilegiato della lotta tra la Francia e le Coalizioni. Il periodo della rivoluzione francese e quello dell’impero coincisero con la fine delle guerre caratterizzate in prevalenza da scontri moderati e non decisivi. Le guerre divennero da quel momento di una vastità senza precedenti e furono combattute con battaglie cruente che si chiusero con nette vittorie o nette sconfitte. Il principio strategico e tattico fondamentale divenne quello della concentrazione delle forze. Nella marina britannica, certamente la più evoluta di tutte quelle di allora, perché strumento per eccellenza della politica, furono messi da parte i vecchi manuali e furono adottati nuovi regolamenti che diedero al comandante in capo delle squadre navali la possibilità di improvvisare azioni adatte alla particolare situazione del momento. Fu esaltata anche l’iniziativa e la capacità dei singoli comandanti di nave. Ciò che avvenne nel Mediterraneo può essere considerato sotto quest’aspetto un esempio particolarmente significativo. Nelle altre marine i processi di rinnovamento dottrinale e organizzativo furono più lenti e difficili per ragioni di natura politica, di cultura, di costume, di disponibilità finanziarie. Così accadde alle marine francese, spagnola, portoghese, danese, sarda, turca e russa. Ognuna, naturalmente, in modo diverso. In Mediterraneo vi fu l’eccezione della marina napoletana che, inizialmente perfettamente all’altezza dei compiti, venne poi distrutta dall’incapacità politica di chi la doveva impiegare. Negli anni della Rivoluzione e dell’Impero si perfezionò anche il coordinamento tra le marine e le forze terrestri, come accadde per la campagna di Napoleone in Egitto, per quella inglese nell’Italia meridionale e poi in Spagna. I blocchi navali realizzati da l’una e dall’altra parte, una forma di guerra commerciale e militare che si era già sviluppata nel secolo precedente, rappresentarono anch’essi un’applicazione del principio della concentrazione delle forze, volto in questo caso a neutralizzare la marina militare avversaria o a soffocare, insieme alla guerra al traffico, l’economia della nazione contro la quale venivano applicati. L’importanza delle marine anche nei riguardi delle guerre continentali 10 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 crebbe talmente che il generale inglese Arthur Wellesley Wellington, riferendosi alla Royal Navy ed alla propria campagna vittoriosa in Spagna, affermò “a chi volesse conoscere la storia di questa guerra dirò semplicemente che è stata la nostra superiorità navale a consentirmi di mantenere il mio esercito; questa superiorità gli altri non l’avevano”. Grazie al potere marittimo la Gran Bretagna uscì dalle guerre napoleoniche come la più grande delle potenze, la più ricca e la più temuta. Aveva un nuovo sistema industriale e dominava i commerci marittimi, attraverso i quali, con la protezione della più potente marina da guerra del mondo, esportava ovunque i prodotti frutto della propria superiorità tecnica ed organizzativa. Anche con i governi più reazionari riuscì a preservare un giusto equilibrio tra libertà e autorità e questo le diede la forza per influire in modo decisivo sulle vicende del Mediterraneo. Dopo il congresso di Vienna del 1815 la carta dell’Europa non cambiò molto rispetto a quella che era stata prima della rivoluzione francese e delle conquiste napoleoniche. In apparenza fu come se un grande uragano fosse passato per niente. Sembrò che un periodo di oltre vent’anni potesse essere dimenticato e circoscritto. Anche l’Italia, salvo qualche variante, era tornata ad essere quella di sempre. Una nazione divisa, un campo di confronto delle grandi potenze usato per mantenere i reciproci equilibri. La Spagna, pur avendo perso alcune delle colonie, era ancora entro i preesistenti confini. La Francia in mezzo a molte difficoltà, dovute ai contrasti violenti tra chi voleva tornare all’anciene régime e chi invece aspirava al liberalismo, riacquistò la normalità riuscendo a partecipare nuovamente al corso della politica europea, malgrado l’uragano che si era abbattuto su di lei. Parigi rimase il centro propulsivo delle nuove idee per tutta l’Europa e in particolare per l’Italia. I principali mutamenti nel bacino Mediterraneo erano avvenuti ad est dove la Russia era cresciuta politicamente e militarmente, mentre l’Impero ottomano si stava avviando ad una lenta fine che si concluderà solo con la prima guerra mondiale. La Gran Bretagna, ormai potenza mediterranea, aveva rafforzato le proprie posizioni con l’acquisizione di Malta e delle isole Ionie, due fondamentali basi per il futuro del suo potere marittimo nel Mediterraneo. Aveva però anche aumentato i propri interessi extra europei con l’acquisizione, nel periodo della Rivoluzione e dell’Impero, del Capo di Buona Speranza, delle Mauritius e di Ceylon ed era riuscita a difendere i confini del Canada contro gli Stati Uniti in una guerra che aveva avuto uno spiccato carattere navale. Il vero cambiamento non era però di natura geopolitica, consisteva piuttosto nel fatto che la rivoluzione francese aveva avviato un processo seppur incompiuto di trasformazione del pensiero e delle aspirazioni che non poteva più fermarsi nonostante i tentativi della Restaurazione. Ciò che era stato faticosamente raggiunto in termini di eguaglianza, di libertà e di concezione laica del mondo aveva fatto tramontare inesorabilmente il vecchio modo di governare. Nessun trattato poteva cancellare i codici giuridici, le università, le istituzioni nate con Napoleone. Chi si opponeva al cambiamento e quindi chi voleva ‘re- Prefazione 11 staurare’ divenne presto ‘reazionario’, un’espressione che assunse una connotazione negativa, valida ancora ai nostri giorni, e che finì per condannare governi e persone che si opponevano alle richieste di cambiamento. In Italia contro i reazionari si batterono apertamente, esercitando una critica politica e culturale, i gruppi liberali e democratici organizzati inizialmente in società segrete. Il passaggio all’azione avvenne inizialmente per merito di coloro che avevano combattuto nelle file napoleoniche o nella marina del Regno d’Italia. Costoro avevano maturato una vera e propria coscienza nazionale e, per le esperienze fatte sui campi di battaglia, sentivano la nostalgia dell’azione e forse sognavano ancora la gloria. Dopo il 1815 l’importanza del Mediterraneo, se paragonata al periodo immediatamente precedente, può apparire diminuita. Tuttavia ciò è vero solo in parte. Questo mare continuò ad occupare ancora un ruolo influente sugli avvenimenti continentali caratterizzati per quasi mezzo secolo dalle rivoluzioni liberali e dalle guerre d’indipendenza. Le flotte saranno ancora un importante strumento delle politiche nazionali e delle diplomazie. L’allontanamento di Napoleone dalla scena mondiale non aveva spento il dinamismo che egli stesso aveva impresso alla storia. Il liberalismo europeo incominciò a muoversi presto con una inattesa vitalità, contrariamente a quanto era stato preconizzato dallo stesso imperatore. Gli effetti della rivoluzione avvenuta in Spagna nel 1820 si risentirono prima a Napoli e quindi in Sicilia ed in Piemonte. In queste circostanze eccezionali le marine napoletana e sarda ebbero sullo svolgimento delle vicende una influenza modesta, ma non trascurabile. Così avvenne anche per la rivoluzione scoppiata in Piemonte nel 1830 i cui avvenimenti coinvolsero i responsabili della marina di stanza a Genova. Queste influenze sono state spesso ignorate anche dalla storiografia più accreditata. Negli anni tra il 1816 ed il 1825, da parte delle nazioni interessate alle attività commerciali marittime, continuarono le operazioni contro la pirateria barbaresca ancora particolarmente attiva. In questo settore furono protagoniste, per mezzi impiegati, tecniche usate e risultati conseguiti, soprattutto la marina britannica e quella sarda. Sempre nell’ambito della lotta alla pirateria si ebbero interventi anche della marina statunitense, la cui presenza in Mediterraneo da quel momento cominciò a farsi sentire sempre di più. Sarà nell’ambito della guerra d’indipendenza della Grecia (1827) e poi della campagna condotta dai francesi per l’occupazione dell’Algeria (1830) che le marine torneranno a svolgere compiti più specificatamente bellici. Lo studio di questo periodo fornisce spunti di notevole interesse poiché l’uso della forza militare, ed in particolare quello esercitato attraverso le navi da guerra, si avvicina straordinariamente a quello dei nostri giorni. Il libro si chiude con una particolare attenzione all’analisi degli avvenimenti che si svolsero in Adriatico, nel Tirreno e nelle acque siciliane nel biennio 1848-49, che fu anche il biennio della prima Guerra d’indipendenza italiana. In questo periodo i moti rivoluzionari riguardarono molte città della penisola, da Milano a Napoli e Palermo, da Roma a Livorno, da Venezia a Genova ed An- 12 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 cona. In quei due anni incerti e difficili, nel corso dei quali si evidenziò come l’unità italiana poteva essere conseguita solo partendo dall’espulsione con le armi degli austriaci dal Lombardo-Veneto, l’impiego delle marine da parte degli stati preunitari non sempre avvenne con chiarezza di intenti, con la conseguenza che non furono colte tante favorevoli opportunità. Nei mari attorno all’Italia si mossero invece con precisi obiettivi squadre navali soprattutto francesi ed inglesi che condizionarono sensibilmente gli avvenimenti a terra, con un uso diplomatico della forza, come accadde in Sicilia ad opera soprattutto dei britannici, o con un impiego più decisamente militare, come avvenne per l’abbattimento della Repubblica romana da parte dei francesi. Navi straniere, sostando entro i porti italiani o gravitando in zone a loro vicine, contribuirono a spingere gli avvenimenti a terra verso le conclusioni volute dai rispettivi governi. In molti casi si limitarono a proteggere gli interessi commerciali nazionali o i propri cittadini, restando indifferenti a ciò che avveniva in un sottile gioco di equilibri. Siamo così giunti vicino al limite della grande trasformazione delle navi da guerra e mercantili. Alla metà del secolo XIX possiamo dire che per le marinerie sia veramente finita un’epoca. Mentre marinai e comandanti che operarono nei secoli precedenti avrebbero potuto, con un minimo di addestramento, condurre le navi di Nelson, quando si chiude il periodo trattato in questo libro le navi stanno ormai completando una radicale trasformazione tecnica. Da quel momento per condurle si richiederanno specifiche e del tutto nuove conoscenze. Resterà ancora però, com’era sempre stato, la necessità per comandanti ed equipaggi di possedere doti morali e di carattere particolari. Se è pur vero che le navi a vela, protagoniste di secoli di storia e la cui perfezione aveva raggiunto ormai livelli assoluti, saranno impiegate ancora in campo militare per qualche decennio, esse avranno sempre più frequentemente, prima a fianco e poi davanti, le più potenti unità a vapore. Senza più il vincolo del vento e le limitazioni del tonnellaggio, proprie delle costruzioni a vela, e grazie anche all’introduzione di armi tecnologicamente sempre più sofisticate, la guerra sul mare cambierà radicalmente. Con essa muteranno le strategie e soprattutto le tattiche, nascerà un grande dibattito culturale sul da farsi per utilizzare le nuove potenzialità al servizio della politica. Nonostante i grandi cambiamenti il potere marittimo continuerà a rimanere importante e le sue componenti tradizionali manterranno lo stesso significato e lo stesso peso. Sarà lo studio degli anni dei quali ci occupiamo che contribuirà significativamente, alla fine del XIX secolo, alla creazione di una vera e propria teoria del potere marittimo la cui validità, fatti salvi i necessari adeguamenti dovuti ai progressi tecnologici, manterrà intatto fino ad oggi il proprio valore. L’intero periodo oggetto del libro è ricco di tante vicende che sarebbe arduo sintetizzare. Se una conclusione si può trarre è che vi sono molti aspetti del nostro attuale contesto politico e di relazioni internazionali che possono essere ricondotti a ciò che abbiamo narrato e commentato. Lungo le sponde del Mediterraneo si agitano ancora complessi e difficili problemi. Questo grande e vecchio mare è tornato ad essere un campo di tensioni e di confronto e dobbia- Prefazione 13 mo amaramente constatare che la cultura ed il progresso scientifico hanno solo scalfito le tante questioni che ancora non trovano soluzione lungo le sue sponde. Poiché la conoscenza del passato è essenziale per la costruzione del futuro è bene che si torni a rivisitare certi periodi della storia solo in apparenza lontani da noi. I conti con la storia dovrebbero essere fatti continuamente anche per migliorare la nostra capacità di passaggio dalle buone intenzioni all’azione. L’Autore capitolo primo La rivoluzione vista dal mare Origine della presenza navale inglese nel Mediterraneo Allo scoppio della rivoluzione in Francia la presenza in Mediterraneo di navi mercantili inglesi aveva raggiunto ormai da tempo una notevole consistenza. Traffici commerciali regolari con navi battenti la bandiera di San Giorgio tra la Gran Bretagna e Genova, Livorno, Messina, Venezia e i porti del Levante erano iniziati infatti già a partire dalla metà del XVI secolo.1 L’attività navale inglese più prettamente militare iniziò invece solo nel secolo seguente. In quel periodo era sul trono d’Inghilterra Giacomo Stuart succeduto ad Elisabetta I, la regina che aveva avviato la trasformazione dell’Inghilterra in potenza marittima. Il nuovo re, che portava il nome di Giacomo I, inviò lungo le coste dell’Africa settentrionale una divisione di navi per fronteggiare i pirati barbareschi e controllare la Spagna la cui Invincibile Armata era stata sconfitta solo da pochi anni proprio dalle navi di Elisabetta.2 Successivamente, nel 1650, una squadra agli ordini di Robert Blake venne in Mediterraneo su mandato del Parlamento per combattere le navi fedeli agli Stuart e poi, dal 1672 fino al 1674, per sostenervi la terza guerra contro l’Olanda la cui potenza marittima, mercantile e militare, era cresciuta enormemente a spese soprattutto di quella portoghese.3 1 Per lo sviluppo dei traffici inglesi in Mediterraneo dalla fine del XVI secolo fino a tutto il XVII secolo cfr.: G. Pagano De Divitiis, Il commercio inglese nel Mediterraneo dal ’500 al ’700, Napoli 1984 e Mercanti inglesi nell’Italia del ’600, navi, traffici, egemonie, Venezia 1990; F. Braudel - R. Romano, Navires et mercandaises a l’entrèe du Port de Livourne (1547-1611), Paris 1951. 2 L’Invincibile Armada spagnola forte di 40 grandi navi partì da Lisbona il 29 aprile del 1588 al comando dell’ammiraglio don Alonzo Perez de Guzman e diresse verso la Manica con lo scopo di rendere possibile l’invasione dell’Inghilterra da parte dell’esercito spagnolo dei Paesi Bassi, ma venne battuta dalla squadra inglese composta da 34 navi regie e da 123 navi mercantili noleggiate al comando dall’ammiraglio Charles Howard che aveva come sottordini gli ammiragli Francis Drake e John Hawkins. Sulla strada del ritorno ciò che restava della squadra spagnola fu decimato dalle tempeste nella zona tra le Orcadi e l’Irlanda. 3 Sulla decisione del Parlamento inglese del 14 gennaio 1652 di inviare permanentemente in Mediterraneo uno squadron, cioè una divisione navale, e sulle conseguenti operazioni, cfr. J.S. Corbett, England in the Mediterranean, a study of the rise and influence of British power within the Straits (1603-1713), London 1904, vol. I, pp. 240-270. Nella seconda metà del XVII secolo dalla presenza navale inglese in Mediterraneo nacque anche l’amicizia anglo-sabauda che giocò un ruolo significativo negli avvenimenti successivi alla rivoluzione francese. 16 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 Il potere navale inglese aumentò il proprio peso in Mediterraneo soprattutto a partire dalla guerra di successione per il trono di Spagna (1701-1713), combattuta da un’alleanza guidata dall’Inghilterra e dall’Austria, della quale faceva parte anche l’Olanda, per evitare la riunione sotto una sola famiglia, quella dei Borbone, dei troni di Francia e di Spagna.4 Gli inglesi, divenuti il fulcro della coalizione, sfidarono nel gran mare interno le squadre navali spagnola e francese e s’impadronirono anche di Gibilterra conseguendo così il controllo dell’ingresso di un bacino dal quale erano naturalmente esclusi. L’occupazione di questo vitale punto strategico avvenne ad opera dell’ammiraglio George Rooke. Questi, dopo aver accompagnato a Lisbona con le proprie navi il re di Spagna Carlo d’Asburgo, che era il candidato sostenuto dalla coalizione, attaccò Gibilterra bombardandola e poi occupandola con un assalto anfibio. Era il 4 di agosto del 1704. Quando l’altro re di Spagna, il borbone Filippo duca d’Angiò, designato al trono dal nonno Luigi XIV, decise di rioccupare la piazzaforte con l’aiuto della flotta francese, la squadra inglese si oppose fermamente e si scontrò con quella franco-spagnola davanti a Malaga in una battaglia senza vincitori che lasciò comunque Gibilterra saldamente nelle mani della Gran Bretagna.5 L’occupazione di Gibilterra può essere assunta come l’inizio di una costante permanenza inglese nel Mediterraneo che si protrarrà ben oltre due secoli. Nel 1708 una squadra navale inglese occupò temporaneamente anche la Sardegna e nello stesso anno prese Minorca con l’importante base di Porto Mahon aumentando così la propria capacità di controllo del Mediterraneo.6 Come rilevò Alfred T. Mahan, la Gran Bretagna da quel momento fu presente in Mediterraneo altrettanto, se non di più, di nazioni, come Francia e Spagna, che gravitavano geograficamente in questo bacino e, avendo come alleato il Portogallo, poté controllare contemporaneamente sia il traffico atlantico che quello interno.7 Il potere marittimo fu in grado di trasformare un’isola posta alla periferia dell’Europa in una delle maggiori potenze politiche e militari del mondo. Il sistema costituto dai commerci marittimi e dalla catena di basi protette dalle navi da guerra permise alla Gran Bretagna di accedere alle risorse necessarie per il proprio sviluppo industriale e di sfidare e battere infine la Cfr. J.S. Corbett, England in the Mediterranean, a study… cit., pp. 187-205. Dopo la morte di Carlo II, ultimo re degli Asburgo di Spagna, non essendovi eredi diretti, i pretendenti designati al trono furono l’arciduca Carlo, figlio secondogenito di Leopoldo I imperatore d’Austria che diventò dal 1711 Carlo VI imperatore d’Austria, e Filippo duca d’Angiò il nipote di Luigi XIV che salì in seguito al trono di Spagna come Filippo V, carica nella quale fu poi confermato dal trattato di Utrecht. 6 Dal 1707, con l’unione dell’Inghilterra alla Scozia, il Regno d’Inghilterra divenne Regno di Gran Bretagna. Da quel momento l’aggettivo inglese dovrebbe essere sostituito dall’aggettivo britannico quando ci si riferisce a avvenimenti o questioni che riguardano l’intero regno. Nell’uso corrente in Italia i due aggettivi sono però considerati sinonimi e pertanto come tali verranno usati nel prosieguo. 7 Cfr. A.T. Mahan, L’influenza del potere marittimo sulla storia, Ufficio Storico della Marina, Roma 1994, p. 234. 4 5 La rivoluzione vista dal mare 17 Francia, che era allora lo stato-nazione più potente d’Europa e poteva vantare sulla Gran Bretagna una estensione di territorio ed una popolazione quasi due volte più grandi.8 Fu in quegli anni che si consolidò anche il concetto strategico inglese secondo il quale una potenza continentale può essere affrontata e vinta per mezzo delle forze navali e con operazioni anfibie rivolte rispettivamente contro il traffico mercantile e la periferia marittima dell’avversario pagando un costo minore, in termini di denaro e di vite umane, rispetto a quello necessario ad affrontare lo stesso avversario sul continente con un esercito. Nel 1713, con la pace firmata a Utrecht al termine della guerra di successione spagnola, la Gran Bretagna si vide riconosciuto il possesso di Gibilterra e di Minorca mentre ai Savoia fu assegnata la piena sovranità della Sicilia. In quella stessa occasione l’imperatore Carlo VI d’Austria, poté includere nei propri domini, oltre ai Paesi Bassi, anche Napoli, la Sardegna ed il Ducato di Milano. Le decisioni prese al tavolo della pace di Utrecht condizionarono la situazione politica dell’Europa meridionale e del Mediterraneo per oltre mezzo secolo, almeno fino al 1789. Il trattato, che sostituì in Italia il dominio spagnolo con quello austriaco, mise fine alla preponderanza della Francia, trasformò l’Inghilterra, che prima non aveva in Mediterraneo alcuna base e neppure alleati fidati, in una vera e propria potenza mediterranea e le assegnò un ruolo negli affari del sud Europa fino allora sconosciuto, favorendo lo sviluppo dei suoi commerci. Anche Vittorio Amedeo II di Savoia ottenendo Casale, il Monferrato, la zona compresa tra il Po e il Tanaro e la Sicilia allargò i propri interessi verso la regione cisalpina, fatto questo che ebbe importanti conseguenze sul futuro degli avvenimenti italiani e su quelli del Mediterraneo. La presenza navale inglese in Mediterraneo era tanto comune ed importante che lo stesso Vittorio Amedeo II, dopo avere assunto nel settembre del 1713 il titolo di re di Sicilia, dovendo recarsi a Palermo per esservi ufficialmente incoronato, fece il viaggio a bordo di navi da guerra inglesi partendo da Nizza insieme a seimila soldati. Da quel momento la Royal Navy divenne l’espressione più evidente di una politica estera volta a contenere la Francia appoggiando taluni stati, come il Regno di Piemonte e più tardi quello di Napoli, che per interesse politico, militare o dinastico potevano assolvere un ruolo anti-francese. Il governo di Londra sostenne nel contempo, attraverso la propria marina militare, la presenza austriaca in Italia ritenendola un valido elemento di stabilità, nella certezza che, comunque, l’impero austriaco non sarebbe stato in grado di nuocere agli interessi commerciali marittimi della Gran Bretagna né di ostacolarne il controllo del bacino. Alla guerra di successione spagnola si può fare risalire invece una fase di declino della marina francese il cui intervento in aiuto a quella spagnola per rioccupare Gibilterra era stato frustato. In Francia a causa di questo insuccesso 8 All’inizio del XIX secolo, mentre la Francia aveva una popolazione di 30 milioni di abitanti, la Gran Bretagna ne contava solo 19 milioni. 18 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 la fiducia nelle navi diminuì improvvisamente e fu dimenticato quanto esse avevano fatto in passato per la grandezza e la ricchezza del paese. Gli effetti del declino della marineria francese si sentiranno per lungo tempo. In Inghilterra, al contrario, la guerra di successione spagnola incrementò la fiducia nella marina, contribuì a farla crescere numericamente e qualitativamente ed a rendere più evidente l’importanza del potere marittimo come strumento della politica e per lo sviluppo e la protezione dei traffici. La marina britannica divenne tanto grande e potente da essere in grado di competere da sola contro tutti gli altri non temendo alcun avversario. Nel 1717 le navi da guerra inglesi furono impiegate in Mediterraneo quando la Spagna, sotto la spinta del primo ministro, il cardinale italiano Giulio Alberoni, nell’intento di riconquistare gli antichi domini di Sicilia e Napoli, si riappropriò temporaneamente della Sardegna con un colpo di mano condotto da dodici navi da guerra e da novemila soldati. Il potente ministro della Spagna aveva compiuto un’opera preventiva di riavvicinamento all’Inghilterra promettendo di rendere esecutive tutte quelle clausole del trattato di pace alle quali non era stata data ancora attuazione e richiedendo, in cambio, che gli inglesi agissero in Italia in favore della Spagna. Preparò la sua strategia, confidando in un periodo di cinque anni di pace, potenziando la marina e l’esercito e cercando di attrarre alla propria causa anche il duca di Savoia. Nel luglio del 1718 Alberoni, costretto ad anticipare l’esecuzione del proprio piano, inviò davanti a Palermo una squadra navale costituita da ventidue navi di linea con a bordo circa trentamila soldati. L’ammiraglio inglese George Byng, noto più tardi come visconte di Torrington, che era in quel periodo al comando della squadra inglese del Mediterraneo, cercò inizialmente di prendere tempo chiedendo una tregua, ma poi l’11 agosto del 1718 affrontò le navi spagnole davanti a Capo Passero e ne provocò la quasi totale distruzione. Solo alcune riuscirono a sfuggire riparando a Malta. Il destino della Sicilia era ormai segnato e gli Asburgo, amici dell’Inghilterra e già insediati a Napoli, poterono prendere possesso dell’isola. Nel 1720 i Savoia con la promessa ottenere dei vantaggi in caso di estinzione della discendenza di FilippoV, da re di Sicilia divennero re di Sardegna. Il cambio fu accettato controvoglia perché considerato sfavorevole. La Sardegna, infatti, a parte le sue inferiori dimensioni rispetto alla Sicilia, dopo quattro secoli di dominazione aragonese e spagnola era ridotta in uno stato di grave depauperamento. La stessa popolazione era talmente diminuita da contare meno di quattrocentomila abitanti. Tuttavia il possesso della Sardegna presenterà per i Savoia, dal punto di vista marittimo, un non trascurabile vantaggio strategico per la minore lontananza dalla parte continentale del regno e per la maggiore centralità rispetto agli avvenimenti che si verificheranno in Francia a causa della rivoluzione. Il possesso della Sardegna faciliterà inoltre per i Savoia l’annessione al loro regno della Liguria a seguito delle decisioni che saranno prese con il trattato del 1815. Durante il XVIII secolo la politica inglese modificò più volte la linea strategica seguita in Mediterraneo in funzione delle situazioni contingenti. Nel corso La rivoluzione vista dal mare 19 della guerra di successione polacca, al termine della quale la Spagna con l’aiuto della Francia tolse all’Austria il Regno di Napoli, la Gran Bretagna e la sua marina si astennero dall’intervenire, ma si trattò solo di una conseguenza della politica estera del nuovo primo ministro britannico Robert Walpole orientata ad un riavvicinamento con la Francia ed al mantenimento della pace ad ogni costo. Durante la guerra di successione austriaca, negli anni che vanno dal 1740 al 1748, l’Inghilterra apertamente alleata dell’Austria e favorevole a che Maria Teresa, figlia del defunto Carlo VI, divenisse imperatrice, fece di nuovo sentire il peso del proprio potere navale in Mediterraneo nonostante le contrarie opinioni di altri sovrani europei. La Spagna, che era entrata in guerra contro l’Austria nel 1741, inviò via mare un corpo di spedizione di 15 mila uomini per attaccare i possedimenti austriaci in Italia, ma la squadra navale che trasportava tale contingente, scortata anche da navi francesi, fu intercettata nel mar Ligure dalle navi inglesi dell’ammiraglio Nicholas Haddock. Questi, considerando le proprie forze inferiori rispetto a quelle francesi, valutò non conveniente combattere. Desistette, infatti, dall’attaccare e si ritirò a Port Mahon. L’Ammiragliato di Londra provvide immediatamente a destituirlo dall’incarico e a sostituirlo con l’ammiraglio Thomas Mathews ritenuto capace di dare corpo ad una politica navale più aggressiva. L’anno seguente, infatti, il nuovo comandante in capo inglese nel Mediterraneo inviò a Napoli una divisione di navi agli ordini del suo sottordine, l’ammiraglio George Martin, con il compito di bombardare la città se il re Carlo di Borbone avesse inviato il proprio esercito a combattere nel nord Italia in ausilio alle truppe franco-spagnole che si contrapponevano a quelle austriache. La missione di Martin ebbe successo. Nel 1744 la squadra inglese fermò al largo di Tolone anche un tentativo di sbarco spagnolo in Liguria ed infine nel 1746 aiutò dal mare gli austriaci a soffocare l’insurrezione scoppiata a Genova. Fermo restando il permanente distacco e le frequenti tensioni con la Francia, i rapporti della Gran Bretagna con l’Austria mutarono nel corso di taluni periodi, come accadde in occasione della guerra dei Sette anni (1756-1763) quando il governo di Londra si propose di attirare la Spagna nella propria orbita aiutandola a riprendersi i possedimenti italiani passati all’Austria. In quel momento però gli impegni al di là dell’Atlantico in difesa delle colonie e dei traffici mercantili avevano già costretto l’Inghilterra, ancor prima dell’inizio ufficiale delle ostilità con la Francia, a sottrarre forze navali dal Mediterraneo. Di questa nuova situazione si avvantaggiarono i francesi che mentre minacciavano dai porti sulla Manica un’invasione dell’Inghilterra, approntarono nel Mediterraneo una squadra navale di dodici vascelli con l’obiettivo di togliere agli inglesi Minorca. A metà aprile del 1756 l’ammiraglio Roland Michel La Galissonnière, comandante di tale squadra, lasciava Tolone scortando un convoglio carico di 14 mila soldati. Gli inglesi disposero allora la partenza immediata da Portsmouth di dieci navi di linea agli ordini dell’ammiraglio John Byng, figlio di Lord Torrington il vincitore della battaglia di Capo Passero. Il mattino del 20 maggio Byng incontrò le navi avversarie al largo di Minorca mentre erano ancora impegnate ad eseguire l’operazione anfibia contro l’isola. Nella battaglia 20 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 navale che ne seguì i francesi si comportarono bene e riuscirono comunque ad assicurarsi la conquista dell’isola. Byng, costretto a rientrare a Gibilterra senza essere riuscito ad impedire lo sbarco francese e senza aver potuto difendere la guarnigione britannica assediata dal mare, fu richiamato in Inghilterra e sottoposto a corte marziale. Pur risultando assolto dall’accusa di codardia, la corte lo trovò colpevole di non avere fatto tutto quanto era nelle sue possibilità e pertanto lo condannò a morte per fucilazione.9 La sentenza, malgrado i tentativi di salvargli la vita da parte dell’Ammiragilato, fu inesorabilmente eseguita a bordo del vascello Monarc. Il 28 di maggio Minorca veniva dunque occupata dai francesi. L’episodio, sfavorevole agli inglesi, fu però unico nel corso di tutta la guerra. La superiorità della Royal Navy riuscì infine ad avere la meglio, malgrado alcuni successi iniziali francesi. Gli inglesi tennero in permanenza una squadra a Gibilterra per impedire l’uscita in Atlantico delle navi di Tolone che avrebbero dovuto unirsi a quelle di Brest per tentare l’invasione dell’Inghilterra. Nel 1759 l’ammiraglio Edward Boscawen, comandante della squadra inglese del Mediterraneo, riuscì a distruggere e disperdere le navi francesi di Tolone contribuendo così in modo determinante a neutralizzare il piano di invasione francese. Con la pace firmata a Parigi nel 1763 la Francia dovette rinunciare a gran parte delle proprie colonie americane. Minorca venne restituita agli inglesi, invece che alla Spagna che era entrata in guerra in ritardo a fianco della Francia, e così la marina inglese riacquistò una base di importanza vitale per il controllo del bacino e utile a compensare il successivo passaggio della Corsica dalla repubblica di Genova alla Francia. Da molti anni la Francia stava guardando con interesse a questa isola posta al centro del Mar Ligure considerandola un punto vitale per la difesa della Provenza e per il controllo della penisola italiana e del Tirreno. Dopo la guerra di successione spagnola, anche in considerazione delle posizioni favorevoli acquisite dagli inglesi in Mediterraneo, l’attenzione della Francia verso la Corsica aumentò e quindi ben volentieri Parigi accolse, nel 1738, l’invito di Genova ad intervenire nell’isola con reparti militari per ristabilirvi l’ordine gravemente turbato dai movimenti indipendentisti. Qualche anno dopo, nel 1755, Pasquale Paoli, che era diventato il principale esponente del movimento di liberazione dei corsi, si impossessò di quasi tutta la parte interna dell’isola. La repubblica di Genova, alla quale erano rimaste solo le piazze marittime, persuasa della impossibilità di ristabilirvi il proprio dominio, si risolse allora a cedere la Corsica alla Francia mediante un trattato firmato a Campiègne il 15 maggio del 1768, l’anno prima che ad Ajaccio nascesse Napoleone Bonaparte.10 La deci- 9 L’ammiraglio John Byng venne processato dal governo di Willam Pitt (il Vecchio), ma la sua fucilazione sollevò molte critiche. Voltaire su Candide scrisse “L’Inghilterra trova necessario giustiziare ogni tanto uno dei suoi ammiragli, per incoraggiare gli altri”. Per la corte marziale inglese dell’epoca vd. J. McArthur, Naval end military court martial, London 1813. 10 Pasquale Paoli, figlio del patriota corso Giacinto, era nato nel 1725 a Morosaglia (Corsica centro-settentrionale). Aveva quindi solo quattro anni quando scoppiò la prima insurrezione dei La rivoluzione vista dal mare 21 sione della Repubblica genovese fu accelerata anche per il fatto che i corsi nel 1767 avevano organizzato una spedizione militare contro l’isola di Capraia. La cessione, della Corsica, presentata in campo internazionale come una garanzia offerta dalla Francia per la sicurezza dell’isola, sollevò rimostranze da parte del governo inglese. Ai Comuni si sostenne che sarebbe stato preferibile fare guerra alla Francia piuttosto che accettare questa nuova situazione in Mediterraneo, ma nessun provvedimento venne preso. La Francia, per controllare completamente il passaggio da e per il Tirreno aspirava ad ottenere, oltre alla Corsica, anche l’Arcipelago della Maddalena, ormai saldamente in mano dei Savoia che avevano provveduto a difenderne il possesso in sede diplomatica ed a potenziarne le difese militari. Il Regno di Sardegna inoltre poteva contare sull’aiuto sempre disponibile della marina inglese che non avrebbe permesso un ulteriore allargamento territoriale francese in una zona strategicamente tanto importante, come dimostreranno anche gli avvenimenti conseguenti alla rivoluzione francese. In quegli anni l’Inghilterra era impegnata a dirimere i contrasti nati con le tredici colonie americane che minacciavano il primato assicuratole dalla pace di Parigi del 1763 e facevano vacillare la sua politica protezionistica, secondo la quale le colonie dovevano costituire un mercato utilizzabile solo dalla madre patria. Dal contenzioso si finì per passare allo scontro armato che per due anni fu limitato tra l’Inghilterra e gli insorti, ma nel 1778 la Francia di Luigi XVI desiderosa di una rivincita coloniale, visto il risultato della battaglia di Saratoga nel corso della quale un corpo d’armata inglese era stato battuto, decise di allearsi con gli insorti. Ne derivò una guerra contro l’Inghilterra che coinvolse, a fianco della Francia, anche la Spagna e l’Olanda mentre si costituiva una Lega di neutri con finalità anti britanniche alla quale aderirono Russia, Danimarca e Svezia. La guerra, che ebbe carattere prevalentemente marittimo, si svolse non solo in Atlantico, ma anche, sia pure in minore misura, nel Mediterraneo dove gli avvenimenti navali più importanti ebbero inizio verso la fine del 1779 quando la Spagna attaccò Gibilterra per riconquistarla, ma la rocca riuscì a resistere con successo, anche grazie ai rifornimenti assicurati dalle navi dall’ammiraglio George Rodney che riuscì ad eludere la vigilanza della squadra di Cadice. Diversamente andarono le cose nelle Baleari dove nel 1782, nonostante i rinforzi fatti arrivare dagli inglesi, Port Mahon, bombardata dal mare e piegata dallo scorbuto, si arrese agli spagnoli dopo un assedio durato sei mesi. corsi contro il governo genovese dell’isola. Ancora giovane si trasferì a Napoli dove il padre aveva ottenuto il comando di un reggimento costituito da corsi. In quella città entrò come cadetto nel reggimento del padre e poi nel 1745 iniziò a frequentare l’Accademia reale. Come ufficiale borbonico prestò servizio anche in Sicilia. Nel 1755 rientrò nella sua isola dove era in atto una guerra civile e fu nominato generale. A seguito delle complesse vicende legate alla lotta per l’indipendenza della Corsica fu in esilio in Inghilterra per due volte: dal 1759 allo scoppio della rivoluzione in Francia e quindi da1795 al 1807, anno della sua morte. 22 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 Le navi inglesi praticavano largamente anche la guerra di corsa contro la quale le nazioni della Lega dei neutri insieme a Prussia, Austria, Portogallo e Regno di Napoli proclamarono la neutralità armata sui mari, cioè il principio che la bandiera neutrale protegge anche le merci nemiche, all’infuori di quelle di contrabbando. Firmata la pace a Versailles, il 20 gennaio 1783 venne riconosciuta l’indipendenza dall’Inghilterra delle tredici colonie americane e vennero restituite alla Francia il Senegal ed alcune isole delle Antille ed alla Spagna la Florida e Minorca. Il potere marittimo britannico in Mediterraneo subì allora una flessione, ma negli anni a venire il mantenimento del possesso di Gibilterra, strenuamente difesa, risulterà comunque determinante. Nel 1798 gli inglesi si riapproprieranno di Minorca e a partire dal 1801, con l’acquisizione anche di Malta, disporranno di una formidabile catena di basi che consentirà loro di controllare agevolmente il Mediterraneo. Alcune conseguenze della rivoluzione francese In Europa, ancora per qualche tempo dal suo inizio, si ritenne che la rivoluzione fosse un male temporaneo e accidentale del quale soffriva la Francia. La possibilità di propagarsi di tale male al di fuori dei confini francesi era vista come un’ipotesi buona per condurre manovre politiche piuttosto che comprendere ed immaginare le profonde trasformazioni, ma anche i drammi, che sarebbero nati per tutti in un futuro non lontano. Già a metà dell’anno 1790 però la rivoluzione cominciò ad attirare le preoccupate attenzioni dei governi e dei sovrani. Lo storico e ministro francese Adolphe Thiers dirà in proposito che “Il suo linguaggio [della rivoluzione] era così sicuro, così fermo ed aveva un carattere di interesse così generale da renderlo adatto a più di un popolo”. Si capì che non si trattava di un’agitazione passeggera, ma di una proposta che si spingeva molto avanti nel futuro coinvolgendo anche quello delle altre nazioni. A farlo credere era soprattutto l’atteggiamento deciso dell’Assemblea nazionale di Parigi. L’Europa allora era ancora divisa in due grandi schieramenti, quello angloprussiano e quello costituito delle corti imperiali. La Prussia abbandonando l’alleanza con la Francia aveva costituito una lega con gli inglesi capace di attrarre la Polonia, la Svezia e la Turchia per fare fronte alla Russia e all’Austria. La rivoluzione in Francia contribuirà a modificare repentinamente anche questi schieramenti mettendo tutti d’accordo sulla necessità di combattere per una causa comune: arginare il propagarsi delle idee rivoluzionarie, che potevano mettere in pericolo l’assetto istituzionale del continente, e fermare l’espansione territoriale della Francia. Mentre la rivoluzione correva implacabile distruggendo in Francia le istituzioni politiche, cambiando le leggi e modificando profondamente i costumi e si manifestava in tutta la sua grandiosità e assoluta novità, vi era chi sperava La rivoluzione vista dal mare 23 finalmente nell’arrivo di un momento capace di cambiare radicalmente la storia dell’umanità intera e chi per contro la vedeva come un processo anarchico che si sviluppava inesorabilmente autoalimentandosi e che avrebbe portato alla distruzione totale della religione, dell’ordine sociale, dell’assetto internazionale, senza che dietro questa sorta di mostro si riuscisse ad intravedere alcunché di positivo e di rassicurante. Appare difficile ancora oggi riuscire a capirne tutta la grandezza e la drammaticità e cogliere in pieno le ragioni di tanto sanguinoso rivolgimento al quale nessuna parte del mondo occidentale è rimasta estranea perché, come sostenne giustamente Alexis Toqueville, “Le grandi rivoluzioni riuscite fanno scomparire le cause che le hanno prodotte e, per gli stessi risultati da esse ottenuti, divengono incomprensibili”.11 Riusciamo però a valutarne gli effetti e le influenze e, giudicando anche solo dagli avvenimenti prodotti in Italia e nel Mediterraneo, la grande capacità di diffusione. La rivoluzione francese superò ogni barriera, attraversò le frontiere terrestri ed anche quelle marittime e mentre metteva tutto e tutti in discussione entro i confini del paese dove era nata, corse per il mondo creando divisioni tra individui sino ad allora profondamente legati o accomunando popoli ostili, quasi con la stessa forza che manifestava in Francia. In pochi anni avrebbe cambiato l’Europa, nei confini, nella politica e nella diplomazia ed avrebbe profondamente, e per sempre, modificato la mentalità ed il modo di sentire non solo della gente comune, ma anche dei governanti. Ciascuno sarebbe diventato, volente o nolente, diverso da ciò che era prima. Nella notte del 4 agosto 1789 l’Assemblea nazionale pose le basi per una nuova società rovesciando, di fatto, l’Ancien Regime, abolendo i privilegi, le decime ecclesiastiche e la vendita delle cariche e imponendo l’eguaglianza giuridica come base di una nuova libertà. Il vecchio ordine era crollato. Tutto era ormai in preda al caos: amministrazione dello stato, esercito e la stessa marina, che pure aveva dato così buona prova di se nella guerra in America. La Guardia nazionale, la milizia devota alla rivoluzione, si costituiva ovunque. I cittadini rivendicavano il diritto di fare la pace e la guerra, di amministrare la giustizia e di dirigere le truppe e la flotta. La monarchia sopravvivrà ancora per tre anni, ma come un’ombra del passato. Il vero potere era ormai in mano all’Assemblea nazionale ed ai municipi delle città. Nello stesso mese di agosto, il giorno 10, l’Assemblea decretava che le autorità miliari e civili, ovunque si trovassero, dovessero prestare giuramento alla nazione ed al re con la più grande solennità. Il 6 ottobre venne insediato un comitato permanente di dodici membri con l’incarico di occuparsi dell’impiego delle forze navali e degli affari relativi alle colonie ed al commercio con l’estero. Ci vollero però alcuni mesi per arrivare, nel giungo dell’anno seguente, ad emanare alcuni importanti decreti con i quali A. Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, Milano 1993. 11 24 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 si stabilivano i compiti fondamentali della marina: “défendre la patrie contre les ennemis extérieurs, protéger le commerce, les colonies et les possessions d’outremer”, le modalità di assegnazione delle quote di bilancio annuale e l’eguaglianza dei cittadini rispetto ai diritti ed ai doveri militari. In quei documenti veniva anche affermato che ogni anno il 14 di luglio, data della presa della Bastiglia, i militari ed i funzionari civili dovessero rinnovare il giuramento alla repubblica e che nessun ufficiale potesse essere destituito senza la sentenza di un consiglio di guerra. Nell’ambito dell’Assemblea nazionale la marina militare era rappresentata da 11 ufficiali tra i quali il capitano di vascello Louis Latouche Treville, che fu successivamente protagonista di molti episodi navali in Mediterraneo nel corso degli anni seguenti, ed il duca Luigi Filippo d’Orléans, cugino del re.12 Il 24 d’agosto 1790, pochi giorni prima che a Nancy fosse soffocato un ammutinamento di soldati, entrò in vigore un nuovo codice penale militare particolarmente severo che suscitò non poco malcontento soprattutto tra gli equipaggi delle navi di stanza a Brest che minacciarono una sollevazione.13 Nel corso dello stesso mese venne anche stabilito che dovessero essere posti in armamento 45 vascelli di linea. Finalmente il 21 di ottobre tutte le navi francesi inalberarono il tricolore. In realtà la bandiera portata a poppa aveva il tricolore solo su di un quarto della sua superficie essendo il restante colore costituito dal tradizionale bianco dei Borbone. La bandiera di bompresso era invece interamente tricolore. L’adozione della nuova bandiera aveva inizialmente indispettito gli equipaggi delle navi militari che sino ad allora erano stati piuttosto indifferenti a ciò che era accaduto a terra. La decisione dell’Assemblea nazionale costituente di usare il bianco, il rosso e il blu come colori nazionali non era stata subito gradita in quanto si trattava degli stessi colori inalberati dalle navi olandesi, sia pure in questo caso disposti orizzontalmente, contro le quali nel passato quelle francesi si erano tante volte battute. Sulle navi d’altra parte il colore bianco, fino ad allora usato e rispettato, non era identificato come il colore dei Borboni, piuttosto come quello della Francia. La nuova bandiera, bianca con in un riquadro il tricolore, rappresentava pertanto un compromesso che doveva legare il nuovo, portato dalla rivoluzione, alla tradizione. Il 22 di aprile del 1791 furono perfezionate anche alcune norme relative agli organici 12 È interessante notare che per la sentenza di condanna a morte del re Luigi XVI fu determinante il voto degli ufficiali di marina presenti nella Convenzione molti dei quali erano appartenuti all’Assemblea nazionale. Votò per la pena di morte anche Luigi Filippo duca d’Orléans che era un fervente giacobino. Tra i suoi trascorsi militari navali vi era la partecipazione a bordo del vascello Saint Esprit al combattimento navale di Ouessant (27 luglio 1778) avvenuto durante la guerra di indipendenza americana tra navi francesi e navi inglesi. La carriera in marina del duca si era fermata però l’anno seguente per volere del Re, ma nel 1791 era stato incluso tra i vice ammiragli dal Ministro della marina. Eletto alla Convenzione sedette all’estrema sinistra tra i “montagnardi”, fu arrestato e condannato a morte nel 1793, accusato di volere salire al trono e di cospirare insieme al generale Dumouriez. 13 Per il codice penale militare cfr. Moniteur Universal, Paris, 20 agosto 1792. La rivoluzione vista dal mare 25 del personale e all’andamento delle carriere, mentre rimase stabilito che la nomina degli ammiragli dovesse avvenire per designazione del re.14 Negli ultimi anni dell’Anciene Régime erano stati compiuti notevoli sforzi per sviluppare la marina militare francese perseguendo soprattutto la qualità delle navi mettendo a frutto i risultati di numerose ricerche teoriche e pratiche. Nel 1765 era stata costituita una scuola del genio marittimo presso la quale si erano formati ingeneri particolarmente competenti e a partire dal 1770 era stato compiuto anche un notevole passo avanti verso la standardizzazione dei vari tipi di vascelli e fregate migliorandone notevolmente la qualità. Nel 1788 alla morte di Suffren, uno dei più famosi ammiragli del XVIII secolo, la marina francese aveva raggiunto un livello di efficienza da tutti considerato il migliore dai tempi di Colbert.15 La flotta era costituita da circa ottanta vascelli ed altrettante fregate, oltre a numerose navi minori.16 La tecnica delle costruzioni navali 14 I gradi di ammiraglio nella marina francese erano contre-amiral, vice amiral e amiral. Il grado massimo di amiral de France venne abolito dopo la rivoluzione. 15 Pierre André de Suffren (1729-1788), che era cavaliere di Malta, servì giovanissimo sulle galere di quell’Ordine. Combatté a Minorca contro la squadra inglese dell’ammiraglio Byng e partecipò alla guerra di indipendenza americana. Da ammiraglio acquistò grande fama nel corso di lunghe campagne navali condotte nelle Indie orientali. Jean Baptiste Colbert (1619-1683), controllore delle finanze e ministro sotto Luigi XIV, fautore del mercantilismo, diede grande sviluppo alla marina francese negli anni dal 1661 alla sua morte. 16 All’epoca delle navi a vela il nome vascello era usato per indicare le più grandi delle navi militari (lunghe circa settanta metri e larghe quindici per 1800 tonnellate di dislocamento) dotate di tre alberi molto alti con pennoni e molti tipi di vele (quadre e di taglio come trevi, gabbie, velacci, fiocchi, stragli, rande e coltellacci). I vascelli potevano essere classificati in funzione del numero dei ponti dei quali erano dotati (due o tre) o in base al numero dei cannoni. Il tipo di vascello più diffuso nella marina francese era quello a tre ponti dotato di 110 cannoni e a due ponti dotato di 74 o 80 cannoni. Nella marina inglese i vascelli a tre ponti potevano avere 98 o 110 cannoni e quelli a due ponti 64 o 74. Alcuni vascelli, nominalmente dotati di un numero standard di cannoni, potevano portarne di più o di meno, ad esempio il vascello francese Commerce de Marseille classificato da 110 cannoni ne portava in realtà 118. Talvolta i cannoni erano temporaneamente ridotti per alleggerire la nave in modo da consentirle di trasportare truppe o materiali (armamento detto in questo caso en flute). I vascelli erano considerati le uniche vere navi da battaglia delle grandi squadre navali e venivano chiamati anche “navi di linea” in quanto costituivano il tipo di unità che componeva la “linea di battaglia”, cioè la formazione tattica in linea di fila che era allora quella più in uso per affrontare il combattimento. Nei vascelli per mantenere una buona stabilità i cannoni di maggiore calibro e quindi più pesanti erano sistemati nei ponti più bassi. Un vascello a due ponti francese poteva ad esempio portare cannoni da 36 libbre nel ponte inferiore, da 24 nel ponte più alto e da 12 o 8 libbre in coperta. Il costo richiesto per la costruzione di un vascello era enorme. Basti pensare che lo scafo ed i ponti richiedevano per essere costruiti il taglio di circa quattromila tronchi d’albero e che la superficie velica di tale tipo di nave era di quattro-cinquemila metri quadrati. La fregata invece era una nave veloce e buona veleggiatrice anch’essa dotata di tre alberi ciascuno dei quali munito di pennoni. Era armata con una batteria di cannoni sistemata nel primo ed unico ponte coperto. Un’altra batteria, costituita da cannoni, in genere di calibro inferiore ai precedenti, poteva essere sistemata in coperta. La fregata in combattimento non occupava un posto nella così detta “linea di battaglia”. Di solito questo tipo di unità anticipava la marcia della formazione principale con compiti di ricognizione e di collegamento. Al momento del combattimento le fregate soccorrevano le navi di linea in ava- 26 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 francesi era arrivata ad un tale grado di perfezione da essere imitata persino dagli inglesi i quali nelle successive guerre ambiranno catturare navi militari francesi per inserirle nelle loro file. I vascelli francesi da 74 cannoni erano reputati migliori di quelli inglesi della stessa classe e quelli da 80 cannoni a due ponti potevano competere con quelli inglesi a tre ponti da 90 e da 98 cannoni. Nella marina inglese non c’era una nave che potesse essere paragonata alle navi francesi a tre ponti da 120 cannoni come il Montagne e l’Orient. I cannoni francesi erano di ottima qualità ed altrettanto poteva dirsi per l’abilità dei cannonieri. Anche la marina mercantile aveva raggiunto un buon livello, ma era quantitativamente insufficiente ad assicurare i commerci con le numerose colonie. Molte merci francesi venivano ancora trasferite sotto bandiera inglese o olandese. Le ottime qualità tecniche delle navi non trovavano però pieno riscontro in altri settori, come quello dell’addestramento e della disciplina degli equipaggi. Lo stesso Luigi XVI alla fine degli anni ’80 aveva sentito la necessità di intervenire per dare nuovo ordine alla marina, ma era riuscito solo a fare modificare il sistema di reclutamento. Con l’avvento della rivoluzione la marina francese subì un decadimento sensibile soprattutto in conseguenza del fatto che molti ufficiali, nobili o che comunque non volevano aderire alle nuove idee, abbandonarono il servizio. Anche molti appartenenti al corpo dei cannonieri, che rappresentavano l’élite della marina tanto da essere definiti bourgeois, cioè borghesi, preferirono abbandonare le navi e disperdersi. Gli esodi degli ufficiali e del personale specializzato, relativamente modesti prima di Varennes, aumentarono subito dopo progressivamente. La maggior parte degli ufficiali dell’esercito e della marina appartenevano alla nobiltà di provincia che agli inizi della Costituente aveva riposto molte speranze nel cambiamento coltivando l’idea di potere riscattare la propria posizione subalterna rispetto all’aristocrazia più vicina alla corte. Nel 1790 però il fatto di dovere giurare fedeltà alla costituzione, di dovere rinunciare, essendo nobili, al proprio ordine ed accettare il reclutamento degli ufficiali superiori per concorso, aveva creato non poche situazioni di crisi che diedero luogo ad un aumento degli esodi e delle fughe all’estero. Si stima che ben due terzi degli ufficiali scelsero di disertare. Per sostituirli si dovette ricorrere alle promozioni di sottufficiali e all’inserimento nei quadri di giovani borghesi con la conseguenza di creare antagonismi e diffidenze tra i nuovi ed i vecchi ufficiali. Dopo il 21 settembre 1792 il continuo esodo costrinse anche ad improvvisare, come ufficiali della marina militare, molti ufficiali della marina mercantile che però male sopportavano le regole della disciplina ria per proteggerle e, se necessario, rimorchiarle. Difficile poter separare nettamente le fregate dai vascelli più piccoli anche perché, nel periodo in questione, la classificazione cambiava frequentemente. Durante le guerre del periodo della Rivoluzione francese e dell’Impero le fregate erano normalmente classificate in tre classi in funzione del numero di cannoni dei quali erano dotate (24-36 le più piccole; 36-44; 44-54 quelle maggiori). Alcune marine minori, come quelle statunitense, fino agli anni 1820 non avevano vascelli, ma disponevano solo di fregate. La rivoluzione vista dal mare 27 militare e non avevano alcuna esperienza nel campo della tattica.17 La splendida marina di Luigi XVI era stata sostituita da una nuova marina che non aveva più stati maggiori degni di questo nome. In Francia il 1790 fu l’anno degli ammutinamenti sia a bordo delle navi, sia negli arsenali. I marinai si ribellarono e si rifiutarono di eseguire gli ordini. Per loro la rivoluzione significava la liberazione da una disciplina militare dura, talvolta incomprensibile e perfino ingiusta. Se prima era stata la confidenza eccessiva tra superiori ed inferiori a fare discutere gli ordini, nel periodo rivoluzionario fu la pretesa generale di vantare diritti e condizioni di eguaglianza e la convinzione di essere a conoscenza di tutte le questioni professionali che creò effetti sostanzialmente simili. Il grave inconveniente sarà lamentato per anni, anche durante l’Impero. Un ammiraglio arrivò a dichiarare in quel periodo di non riuscire a convincere più di cinquanta uomini a prestare servizio in coperta nelle ore stabilite o quando necessario. Una percentuale modesta, se si pensa che una fregata dell’epoca aveva un equipaggio di circa 250 marinai ed un vascello poteva arrivare a più di 600. La Convenzione quando si insediò trovò quindi una marina non in perfetto stato, le navi mal tenute, gli arsenali pressoché vuoti, i comandanti migliori dispersi, emigrati o uccisi. A fine luglio del 1792, il ministro della marina, Bertrand de Molleville, osservava che la flotta francese era ancora costituita da 74 vascelli e da 72 fregate la maggior parte delle quali però non era più in armamento. Un anno dopo le navi in armamento aumentarono complessivamente di una trentina di unità e questo fatto mette in luce l’impegno della Convenzione verso il settore navale, ma la coesione e il morale degli equipaggi lasciavano ancora molto a desiderare.18 La situazione della marina francese andò però gradualmente migliorando. A Brest venne dislocata un’imponente armata navale composta di 34 vascelli, mentre al Mediterraneo, agli ordini dell’ammiraglio Pierre Martin, furono assegnati 16 vascelli. Nello stesso periodo la flotta da guerra inglese comprendeva complessivamente ben 180 vascelli e 135 fregate e quindi la sua forza numerica complessiva era più di due volte superiore a quella francese. Se si considerano poi nel computo generale le navi degli alleati della Gran Bretagna, in particolare, per quanto riguarda il Mediterraneo, quelle della Spagna e del Regno di Napoli, la differenza diventava ancora più sensibile.19 Le navi inglesi erano ben armate e 17 Il 21 settembre 1792 fu tenuta la prima seduta della Convenzione e venne abolita la monarchia. Il re era da qualche giorno prigioniero. 18 A fine luglio 1792 la flotta francese era così composta: navi in armamento dislocate nelle acque nazionali o nelle zone coloniali 21 vascelli, 35 fregate, 14 corvette e oltre 40 navi minori; navi in disarmo o in allestimento 53 vascelli, 37 fregate e 12 unità minori. Un anno dopo i vascelli si erano ridotti complessivamente a 42, 20 dei quali dislocati a Tolone, 22 a Brest e due fuori dalle acque nazionali. Dei 42 vascelli solo pochi erano quelli operativamente pronti. 19 Cfr. W. James, Naval history of Great Britain, London 1878. Secondo lo storico navale inglese, le flotte alleate comprendevano: Olanda 49 vascelli e 70 navi minori comprese le fregate; Spagna 76 vascelli e 130 navi minori comprese le fregate; Portogallo sei vascelli e sei fregate; Russia 40 vascelli, Danimarca 21 vascelli; Svezia 18 vascelli; Napoli 102 bastimenti con 618 cannoni (la 28 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 veloci, ma i vascelli francesi a due ponti erano riconosciuti, anche dagli inglesi, come navi di eccellenti qualità nautiche e militari. La differenza era data dal diverso grado di preparazione e addestramento degli equipaggi che era del tutto a favore di quelli inglesi tanto che si diceva: “L’ideale sarebbe un vascello francese governato da un equipaggio inglese!”. In Mediterraneo negli anni della rivoluzione fu presente anche la marina statunitense con alcune fregate. I primi semi della guerra di propaganda rivoluzionaria che avrebbero coinvolto tutta l’Europa vennero gettati il 14 settembre del 1791 quando la direzione della nuova Assemblea legislativa fu assunta dai girondini che volevano la diffusione degli ideali rivoluzionari e repubblicani anche attraverso la guerra esterna. Sei mesi dopo, il 20 aprile del 1792, un governo girondino il cui ministro degli esteri era il generale Charles Francois Dumouriez, che si era distinto nella guerra dei Sette Anni ed era stato nei servizi segreti del re, diede inizio alle ostilità contro l’Impero austriaco, che allora comprendeva anche i Paesi Bassi, e contro la Prussia sua alleata. La Francia, dichiarando la guerra in un clima di grande agitazione e inquietudine, volle mettere alla prova la lealtà del re che si sospettava stesse accordandosi con il cognato Leopoldo II imperatore del Sacro Romano Impero (SRI) per neutralizzare la rivoluzione. Da parte dell’Austria vi era più di un motivo di risentimento e di preoccupazione. Oltre ai principi anti-dinastici propugnati dalla nuova e turbolenta democrazia francese, anche gli aiuti dati dai francesi alla rivoluzione nel Belgio e l’annessione alla Francia di Avignone, che era stata tolta al Papa, non consentivano sonni tranquilli. Oltretutto l’imperatore Leopoldo II non poteva essere insensibile alle suppliche di sua sorella, la regina Maria Antonietta, che insisteva presso di lui perché venisse convocato un congresso europeo per decidere un intervento contro la Francia in modo da ristabilire l’ordine. Leopoldo II tergiversò sperando che, accettata dal re la costituzione, la situazione potesse riprendere la strada della normalità, ma quando alla sua morte gli successe il figlio Francesco II, più deciso di lui, questi si orientò a risolvere il problema con l’uso della forza. I francesi, d’altro canto, avevano fiducia nella guerra che speravano avrebbe sollevato i popoli contro i tiranni ed avrebbe esportato velocemente i nuovi principi in tutta l’Europa. Attraverso la guerra la Francia riscoperse il patriottismo e diede libero sfogo a tutte quelle forze ed energie, latenti nel popolo francese, che una volta liberate consentirono ad un esercito ed una marina improvvisate, male armate e ancor peggio sostenute logisticamente, di ottenere grandi successi. La guerra provocò subito la caduta della monarchia e la proclamazione della repubblica e aprì le porte all’avvento del governo del Terrore. Il risveglio dello spirito militare fece accantonare molti dei principi della rivoluzione, come quello di fratellanza e di libertà tra i popoli. In un primo tempo consistenza è così riportata). La marina sardo piemontese non è citata nei documenti inglesi del periodo in quanto decisamente inferiore come numero rispetto ad ogni altra. La rivoluzione vista dal mare 29 le forze terrestri francesi subirono numerosi rovesci, mentre le truppe imperiali e prussiane, rinforzate da molti di coloro che erano fuggiti emigrando, invadevano il territorio francese minacciando la fine della rivoluzione. Dopo la caduta della monarchia, il 20 settembre del 1792, la Francia ottenne a Valmy una vittoria contro le truppe della Coalizione comandate dal duca di Brunswick nelle cui file militavano reparti di soldati prussiani considerati i migliori d’Europa. Il giorno dopo veniva proclamata la repubblica. Quando nel luglio dell’anno seguente iniziò l’epoca di Robespierre si aprì una stagione di grandi vittorie militari. Lione, che era caduta in mano dei realisti, e la girondina Tolone furono riconquistate, gli austriaci vennero battuti a Wattignies (15-16 ottobre 1793) e Fleurus (25 giugno 1794) e il Belgio e l’Olanda furono occupati.20 Le cronache degli avvenimenti prodotti dalla terribile forza sovvertitrice che si era messa in moto avevano suscitato molta impressione in tutta l’Europa. In Italia il vero brusco incontro con la nuova realtà si ebbe nel novembre del 1792 con lo svilupparsi dell’attacco francese che comportò per il Regno di Sardegna la perdita, due mesi dopo l’occupazione di Avignone, della Savoia e di Nizza.21 Questi episodi furono seguiti da azioni delle squadre navali della giovane Repubblica contro il Regno di Napoli nel dicembre del 1792 e contro la Sardegna tra il dicembre del 1792 ed il febbraio 1793. Di fronte ad una vera e propria aggressione, resa più facile dalla brevità delle distanze che separavano l’Italia dalla Francia e dalle particolari condizioni politiche della penisola, i governanti italiani, alcuni dei quali erano legati alla monarchia francese da vincoli di sangue, reagirono pur senza prendere precise posizioni, fino a quando non furono direttamente coinvolti.22 D’altronde anche da parte di altre nazioni europee la risposta si fece attendere e solo dopo l’occupazione francese del Belgio si formò la Prima Coalizione che collegò all’Austria ed alla Prussia, l’Inghilterra, l’Olanda, la Spagna, la Russia, i regni di Sardegna e di Napoli, la Toscana e lo Stato pontificio. L’entrata in guerra dell’Inghilterra nel febbraio del 1793 introdusse un’opposizione alla rivoluzione non solo molto determinata, ma anche allargata in quanto non più limitata al solo ambito terrestre continentale. L’Inghilterra male sopportava le varianti della situazione politica e strategica dell’Europa sia a nord ovest, in conseguenza della occupazione del Belgio e dell’Olanda da parte di una potenza continentale, sia nel Mediterraneo dove la Francia tendeva ad appropriarsi di posizioni favorevoli per controllare il bacino e proiettarsi verso oriente. 20 Nel 1713 le provincie meridionali dei Paesi Bassi, che con il trattato di Utrecht erano state assegnate alla casa d’Austria, si erano liberate dalla dominazione austriaca e avevano costituito gli Stati Belgi Uniti (1790). Mentre il Belgio entrò a fare parte della Repubblica francese, in Olanda venne proclamata la Repubblica Batava trasformata poi nel 1806 in Regno d’Olanda da Napoleone per il fratello Luigi Bonaparte. 21 La campagna contro la Savoia e Nizza si svolse dal 20 settembre al 7 novembre del 1792. 22 Leopoldo II imperatore d’Austria, già granduca di Toscana, era fratello di Maria Antonietta regina di Francia e di Maria Carolina regina di Napoli. 30 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 La rivoluzione ed i suoi effetti saranno da quel momento combattuti anche sul mare. L’Inghilterra era un paese nel quale si erano affermate già da tempo le libertà civili, a fatica conquistate dalla Francia, ed era quindi la meno esposta delle nazioni europee al richiamo degli ideali rivoluzionari. Il primo ministro William Pitt il Giovane di ispirazione whig, che in passato aveva fatto molto per garantire la pace in Europa e aveva sino ad allora preferito rimanere neutrale e non aderire alla crociata anti rivoluzionaria, non esitò a portare il suo paese in una guerra che durerà in pratica 22 anni e terminerà solo a Waterloo nel 1815. Fu la tutela degli interessi economici e il rifiuto di accettare interferenze francesi sul diritto internazionale che spinsero Pitt a compiere il grande passo. Nel novembre del 1792 la Francia aveva dichiarata la Schelda aperta alla navigazione e aveva inviato una flotta ad Anversa violando le clausole del trattato di Westfallia e i diritti dell’Olanda e minacciava direttamente la navigazione inglese da e per il Tamigi. Con l’entrata in scena della Gran Bretagna, vero e proprio elemento propulsore della Coalizione, la sfida si spostò subito anche sul mare. Da questo momento il potere navale inglese neutralizzerà molte delle iniziative della Francia fuori dall’asse centro europeo, la isolerà ed alla fine darà un contributo determinante per porre fine ad un’epoca. Molti dei rivoluzionari francesi, anche tra coloro che avevano coscienza che la democrazia doveva significare pace, consideravano la guerra come un male necessario per liberare zone come la Savoia, il Nizzardo e la Renania dove si erano formati gruppi simpatizzanti con la rivoluzione che vedevano con favore l’annessione dei loro territori alla Francia. Presto però questo concetto si allargò e vennero occupati paesi come il Belgio e l’Olanda, fino a che nel 1795 maturò l’idea di entrare in Italia per portare la guerra all’Austria partendo dal settore sud. Le vittorie conseguite a Valmy e due anni dopo a Fleurus davano fiducia che questo piano potesse riuscire. L’Italia era comunque considerata un teatro secondario nell’ambito del quale lo sforzo militare prodotto dall’armata affidata al giovane generale Napoleone Bonaparte, doveva servire principalmente a sostenere la pressione che sarebbe stata esercitata sul confine nord orientale dalle armate francesi comandate dai generali Jean Moreau e Jean Baptiste Jourdan. I territori italiani occupati avrebbero potuto servire anche come merce di scambio nell’ambito di eventuali trattati o accordi con L’Austria. L’Italia per il Direttorio doveva in pratica essere ‘usata’, così come altri avevano già fatto nei secoli passati, e naturalmente l’uso prevedeva anche lo sfruttamento delle risorse e la depredazione delle ricchezze che vi si trovavano. Da questo momento la Francia non conobbe più la pace e mentre offriva nelle dichiarazioni ufficiali aiuto ai popoli perché si riscattassero dalle condizioni politiche e sociali nelle quali si trovavano confinati da centinaia di anni, si comportò come fosse animata da un vero e proprio spirito di conquista, missionario ed avido nello stesso tempo. Anche sul mare la Francia repubblicana seguì una politica espansionistica come quella di una monarchia. La guerra navale nel Mediterraneo, che vedrà protagoniste per molti anni Francia ed In- La rivoluzione vista dal mare 31 ghilterra e coinvolgerà direttamente anche le marine sarda e napoletana, sarà ricca di grandiosi e drammatici episodi, colpi di scena e battaglie sanguinose, il tutto insieme ad un’infinità di vicende secondarie che vedranno protagonisti navi di ogni tipo ed uomini che passeranno alla storia per la personalità, l’ardore, l’eccezionale capacità professionale, ma talvolta, com’è umano, anche per le debolezze, le incertezze e i timori. In Mediterraneo la prima operazione offensiva navale degli inglesi contro la Francia ebbe luogo nel 1793 quando l’ammiraglio inglese Samuel Hood si presentò davanti a Tolone per dare aiuto ai rivoltosi e si fece consegnare navi e fortezze che poi distrusse allorché i giacobini si riappropriarono della città. Negli anni seguenti, dal 1794 al 1801, furono prima gli ammiragli Samuel Hood e John Jervis e poi l’ammiraglio William Hotham a controbattere gli sviluppi della rivoluzione dominando con le proprie navi il Mediterraneo, sostenendo ogni movimento anti francese nel teatro tirrenico e proiettando la potenza navale inglese sulle coste italiane dalla Liguria all’Elba fino alla Sicilia. Gli ammiragli che si succedettero nel comando delle forze navali britanniche nel Mediterraneo erano tutti straordinari personaggi. Hood quando vi arrivò si era già distinto nella guerra d’indipendenza americana nel corso della quale il 12 aprile del 1782, con l’incarico di sottordine dell’ammiraglio George Rodney, aveva compiuto un’azione memorabile riuscendo a catturare il vascello Ville de Paris sul quale era imbarcato l’ammiraglio francese de Grasse. Quella battaglia passò alla storia come la ‘battaglia dei Santi’, o di ‘Ouessant’, dal nome dell’isola a sud della Guadalupa presso la quale avvenne. Nessun comandante in capo francese era mai stato preso prigioniero prima di allora. Per ricompensa Hood era stato nominato barone ed eletto alla Camera dei Lord. Anche Jervis aveva partecipato alla guerra navale in America e, promosso ammiraglio, aveva a lungo operato nelle Antille occupando la Martinica e Guadalupa.23 La squadra francese a Napoli nel 1792 Per fare fronte alla minaccia rappresentata dalla rivoluzione sia il Regno di Napoli che quello di Sardegna, i cui sovrani erano rispettivamente Ferdinando IV di Borbone e Vittorio Amedeo III di Savoia, già nella primavera del 1791 pensarono di costituire una coalizione con gli altri stati italiani per poter sostenere un’eventuale guerra con la Francia. I reali napoletani si recarono in vista dal Papa per farlo partecipe dell’iniziativa, ma in pratica non fu concluso alcun accordo poiché, sebbene tutti temessero le conseguenze della rivoluzione, nessuno voleva impegnarsi direttamente. Una proposta di confederazione italiana fu ripresa alla fine dell’anno da Vittorio Amedeo III, ma fu respinta per due 23 Dopo l’ammiraglio Hotham saranno nominati comandanti in capo della squadra navale inglese nel Mediterraneo l’ammiraglio George Elphinstone Keith (1799) e quindi Orazio Nelson (1803). 32 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 volte dall’Austria che pretendeva di assumerne la direzione. I tempi non erano ancora maturi, ma lo diventeranno nell’anno seguente. Nel marzo del 1792 la fregata napoletana Sirena al comando di Francesco Caracciolo si trovava a Livorno in attesa di assumere la scorta della nave toscana Ferdinando III. Poiché per motivi tecnici la preparazione della nave da scortare si faceva attendere e si stimava un ritardo di circa dieci giorni, il governatore di Livorno, che era allora il consigliere Francesco Seratti, aveva suggerito al comandante Caracciolo di intraprendere una crociera per localizzare e distruggere una nave algerina da quaranta cannoni avvistata giorni prima al largo delle coste toscane. La ricerca fu infruttuosa e il Sirena rientrò dopo qualche giorno a Livorno. La risposta tempestiva del Caracciolo aveva comunque impressionato favorevolmente il governatore di Livorno che tramite il console del Regno di Napoli, il balì Innocenzo Pignatelli, volle fare pervenire una nota di compiacimento all’ammiraglio John Acton che aveva prestato servizio nella marina toscana, ma che da qualche tempo era diventato ministro della marina del Regno di Napoli. Finalmente, essendo la nave Ferdinando III pronta al viaggio, Caracciolo poté partire da Livorno e nel maggio successivo, trovandosi in navigazione nel mar Ligure occidentale, incontrò ed inseguì due navi corsare algerine fino entro la rada di Cavalaire nel distretto allora denominato del Frèjus. Il cannoneggiamento della fregata napoletana proseguì fino a pochissima distanza dalla costa, malgrado a terra fosse stato alzato dalle autorità locali il tricolore francese. Il fuoco napoletano fu talmente violento e continuo che i comandanti algerini furono costretti a gettare le loro navi in costa per salvare gli equipaggi, circa seicento persone, e ciò che di importante avevano a bordo. Il Sirena continuò a sparare a mitraglia anche quando gli algerini, ormai a terra, fuggivano e finì per colpire anche una piccola nave francese all’ancora. Dopo le rimostranze fatte sul posto dalle autorità portuali, queste informarono il municipio di Tolone inviando un circostanziato rapporto sulla violazione commessa dal comandante Caracciolo, aggravata, a loro avviso, dal fatto che il comandante napoletano aveva minacciato di inseguire gli algerini a terra. Nel successivo rapporto inoltrato al ministro della marina francese le autorità portuali sostennero che la nave napoletana aveva attaccato le navi algerine anche quando si trovavano già entro il porto francese, negando così al Sirena il diritto di inseguimento. Il rapporto concludeva quindi che il comandante Caracciolo aveva compiuto una grave scorrettezza in quanto il Regno di Francia ed il Regno di Napoli erano “amici ed alleati” e a loro volta gli algerini erano in pace con la Francia. Il ministro della marina francese, dopo avere informato Luigi XVI, riferì l’episodio all’Assemblea nazionale sostenendo che il comportamento del Caracciolo costituiva un’infrazione ai trattati internazionali e che, poiché la reggenza di Algeri avrebbe certamente richiesto i danni, la Francia si sarebbe rivalsa su Napoli. La notizia di quanto accaduto fu portata in pochi giorni a Napoli da alcune navi e si capì subito che qualunque fosse la versione esatta dei fatti, il La rivoluzione vista dal mare 33 comandante della fregata napoletana si era lasciato probabilmente trasportare dall’impeto oltrepassando i limiti che gli erano consentiti. Da qui la decisione di Ferdinando IV di domandare le scuse e di offrire le riparazioni al governo francese. Il che fu fatto attraverso il console napoletano a Marsiglia che fece pervenire il messaggio del proprio sovrano al ministro francese degli affari esteri prima ancora che l’Assemblea francese ricevesse il rapporto del ministro della marina. La vicenda comportò conseguenze che si trascinarono per lungo tempo contrariamente alle aspettative dei napoletani i quali ritenevano che la Francia, impegnata com’era nelle gravi questioni interne, fosse poco attenta ai fatti che riguardavano le relazioni esterne. A Napoli l’incaricato d’affari per la Francia, in attesa dell’arrivo dell’ambasciatore designato Armand Mackau, era Francois Cacault il quale, messo al corrente dell’avvenimento dal governo napoletano, ricevette comunque dal proprio governo la richiesta di fare conoscere se il Caracciolo avesse agito in conseguenza di istruzioni ricevute, come aveva sostenuto in una dichiarazione rilasciata alle autorità francesi. Tra smentite del governo napoletano e insistenze della Francia, finalmente la posizione napoletana fu espressa per via diplomatica dal ministro e ammiraglio John Acton in un comunicato del 28 giugno 1792 nel quale si assicurava che la condotta del Caracciolo sarebbe stata giudicata dall’apposita giunta disciplinare e che, per quanto riguardava la riparazione dei danni sopportati dagli algerini e dai francesi, il re era disposto a sostenerne l’onere purché analogo provvedimento fosse adottato per i danni subiti in passato dalle navi napoletane nelle rade o comunque nelle acque francesi ad opera degli stessi algerini. La questione sollevò molto interesse anche sotto l’aspetto giuridico in quanto si sosteneva che la fregata napoletana Sirena avesse inseguito le navi algerine dopo che queste erano state sorprese ad inseguire, a loro volta, una nave da carico napoletana e che pertanto “avendo un bastimento incominciato a perseguire il nemico nel mare libero… questo può continuare la sua persecuzione quando poi entri nel mare chiuso”.24 Le polemiche tra il governo napoletano e la Francia proseguirono anche mentre la monarchia cadeva e veniva proclamata la repubblica. A Napoli intanto la giunta disciplinare, avendo accertato che Caracciolo aveva effettivamente violato le acque territoriali francesi, pur considerando alcune attenuanti, lo condannò alla perdita del comando del Sirena e lo trasferì nella base di Gaeta. L’episodio, per quanto di per se circoscritto, sottolineò come tra la Francia ed il Regno di Napoli non esistessero in quel periodo buoni rapporti. Il comportamento del Caracciolo è giustificabile, infatti, solo considerando che la Francia, al di là delle convenienze diplomatiche e delle affermazioni ufficiali, non era ritenuta dai napoletani una nazione amica, mentre da parte francese l’insistenza Cfr. B. Maresca, La Marina napoletana nel secolo XVIII, Napoli 1902, lettera del 23 agosto 1792 di Monsignor Alfonso Airoldi scritta da Palermo a Francesco Daniele. 24 34 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 dei loro rappresentanti diplomatici nel cercare di ottenere le riparazioni e nel voler conoscere i risultati del giudizio e dei conseguenti provvedimenti disciplinari adottati verso il Caracciolo denotarono un certo malanimo. Il 16 dicembre del 1792, circa tre mesi dopo che a Parigi era stata proclamata la repubblica una divisione francese composta da nove vascelli e quattro fregate agli ordini del capitano di vascello Louis Latouche Treville si presentò davanti al golfo di Napoli con tutte le bandiere al vento.25 La divisione faceva parte della squadra francese del Mediterraneo comandata dal contrammiraglio Laurent Truguet che in quei giorni si trovava con le altre sue navi nelle acque della Sardegna. Latouche Treville era stato scelto per la missione da svolgere a Napoli non solo per l’esperienza professionale acquisita durante la guerra in America, ma anche per la sua fedeltà alla rivoluzione. Nato da una famiglia di marinai e lui stesso ufficiale di marina fino dalla più giovane età, si era fatto tentare dalla politica facendosi eleggere deputato della Nobiltà agli Stati generali dove aveva votato a favore dell’unione con il Terzo stato divenendo poi deputato dell’Assemblea nazionale costituente. Dopo tale esperienza era tornato alla professione di ufficiale di marina.26 I numeri relativi alle navi alle sue dipendenze nel corso della missione a Napoli sono quelli riportati dalle più accreditate versioni napoletane. Anche il suo superiore diretto Truguet era considerato un ufficiale di grande valore. Questi, oltre ad avere una buona esperienza di mare, era stato più volte impegnato in missioni di tipo diplomatico. Prima della rivoluzione aveva provveduto a riorganizzare la marina ottomana e mentre si trovava a Costantinopoli aveva ben coadiuvato l’ambasciatore francese per la stipula di un trattato di commercio tra Francia e la Turchia.27 Luigi XVI aveva inviato Troguet anche in Inghilterra per accertare i progressi della marina britannica. Al momento in cui fu messo a capo della squadra francese, che doveva compiere azioni diplomatiche e militari nel Tirreno e nel Mar Ligure, era appena stato promosso contrammiraglio.28 La notizia dell’arrivo a Napoli di navi da guerra francesi, non invitate né annunciate attraverso i canali ufficiali, era già da qualche tempo a conoscenza di Ferdinando IV grazie ad alcuni rapporti riservati che gli erano stati inviati dagli 25 Secondo gli storici francesi invece la divisione era composta da 10 vascelli e due fregate. Cfr. O. Troude, Batalilles navales de la France, Paris 1867. 26 La Latouche Treville raggiunse nel prosieguo della carriera il grado di vice ammiraglio. Morì di malattia a bordo del vascello Bucentaure in porto a Tolone nel 1804, con lui la marina francese perse uno dei suoi capi più attivi ed intelligenti 27 Truguet nel periodo di permanenza a Costantinopoli scrisse un interessante Traité pratique de manoeuvres et de tactique. 28 Le vicende di Truguet come ammiraglio saranno lunghe e complesse. Arrestato nel 1793 fu in seguito reintegrato nei quadri con il grado di vice ammiraglio e nel 1795 gli fu assegnato dal Direttorio il portafoglio della marina francese. Preparò la spedizione in Irlanda a seguito del cui fallimento fu congedato. Richiamato in servizio, tre anni dopo fu nominato comandante della squadra navale di Brest e poi prefetto marittimo di quel dipartimento. Ebbe incarichi importanti anche dopo la restaurazione da parte di Luigi XVIII e ricevette il titolo di maresciallo di Francia. La rivoluzione vista dal mare 35 ambasciatori napoletani a Vienna ed a Londra.29 In un primo tempo il governo napoletano temette che le navi da guerra francesi potessero giungere a Napoli per avere ragione con la forza del contenzioso provocato dal comportamento del comandante Caracciolo per il quale non era stata trovata una soddisfacente soluzione. L’arrivo delle navi francesi a Napoli a metà di dicembre del 1792 non avvenne, come temuto e come i fatti dimostrarono, in conseguenza dell’avvenimento del quale era stata protagonista la fregata Sirena.30 Il motivo dichiarato dell’arrivo a Napoli della divisione navale di Latouche Treville doveva ricercarsi nel fatto che la corte napoletana aveva “offeso la nazione francese” nella persona del suo “cittadino” Semonville, ambasciatore a Costantinopoli, in quanto costui sarebbe stato oltraggiato in un memoriale dell’ammiraglio Acton. In verità la missione navale era stata prevista già da tempo con scopi ben diversi. Le comunicazioni giunte con molto anticipo a Napoli da più canali diplomatici per avvertire che navi francesi sarebbero arrivate nelle acque del regno fecero nascere il fondato sospetto che la missione fosse stata preparata a scopo intimidatorio per indurre il Regno di Napoli ad un atteggiamento di neutralità nella contesa della Francia con le potenze centrali. Chiesta comunque formalmente la riparazione del torto subito dall’ambasciatore Semonville, le navi sarebbero ripartite per ricongiungersi in Sardegna con quelle del contrammiraglio Truguet. Il 16 dicembre del 1792 verso mezzogiorno la divisione di Latouche Treville giunse all’altezza dell’isola di Ischia e diresse senza esitazione verso l’avamporto di Napoli. Mentre si avvicinava un ufficiale napoletano salì a bordo del vascello Linguadoc e comunicò al comandante Latouche Treville che i trattati in vigore non prevedevano che più di sei navi da guerra potessero entrare insieme a Napoli. La risposta minacciosa fu che le forze francesi non si sarebbero divise per alcun motivo e che se fosse stato sparato un solo colpo di cannone la città sarebbe stata bombardata. La nave dove era imbarcato Latouche Treville si mise all’ancora indisturbata davanti a Castel dell’Ovo, mentre le altre unità si portarono all’ingresso del porto e si ancorarono su di una linea di rilevamento, come fossero in formazione di battaglia. L’arrivo delle navi francesi attirò naturalmente l’attenzione di tutta la popolazione che si affacciò sul lungo mare per osservare con curiosità, mista a timore, l’eccezionale avvenimento, soprattutto in vista delle notizie che arrivavano dalla Francia. Mentre i napoletani seguivano l’insolito spettacolo, i forti avevano ricevuto l’ordine di completare i preparativi in modo da essere pronti eventualmente ad intervenire. Le richieste dirette al re vennero portate da un ufficiale delegato dal comandante La Touche, il capitano di fregata Redon de Belleville, che raggiunse terra mentre le navi francesi sparavano salve di Si trattava rispettivamente del marchese di Gallo e del principe Castelcicala. Proprio nei giorni in cui le navi francesi agli ordini di Latouche Treville entravano a Napoli, Francesco Caracciolo era stato reintegrato in servizio. Qualche mese dopo gli venne affidato il comando del vascello Tancredi, una nave da 74 cannoni con 720 uomini di equipaggio. 29 30 36 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 saluto per sottolineare l’importanza del ruolo del loro portavoce.31 Il messaggio chiedeva la neutralità del Regno di Napoli ed una riparazione per le note diplomatiche con le quali il governo napoletano non solo aveva chiesto alla Porta ottomana di non riconoscere l’ambasciatore francese Charles Semonville, ma aveva in precedenza rifiutato anche le credenziali per la designazione come ambasciatore francese a Napoli di Armand Makau. Ferdinando IV, dopo essersi consultato con i propri consiglieri ed avere ascoltato Acton che proponeva di sottomettere le richieste all’arbitraggio di una terza potenza, si orientò prudentemente ad accogliere tutte le richieste dei francesi dando loro piena soddisfazione ed abbandonando così la possibilità di reagire militarmente all’imposizione in una situazione per lui assai favorevole. Anzi in quella occasione fu anche deciso e comunicato al comandante francese che il Regno di Napoli avrebbe inviato a propria volta un ambasciatore a Parigi.32 Ventiquattrore dopo, ritenendo di avere completato positivamente la missione, Latouche Treville salpò con le proprie navi da Napoli dirigendo verso le coste sarde per riunirsi con la navi dell’ammiraglio Trouguet, ma nella notte tra il 20 ed il 21 dicembre la divisione francese venne dispersa da una violenta tempesta. Solo i vascelli Languedoc, Entreprenant e Scipion ed una fregata riuscirono a rimanere riuniti ed il comandante Latouche Treville si trovò costretto a distaccare lo Scipion per avvertire l’ammiraglio Truguet della grave situazione nella quale si trovava. Nel corso della tempesta il Languedoc subì danni molto gravi e venne in parte disalberato, i cavi che dovevano mantenere saldamente al loro posto i cannoni si spezzarono e i cannoni, liberati dalle loro ritenute, spazzarono paurosamente i ponti. Infine si ruppe anche la barra del timone impedendo alla nave di governare. Fu deciso allora con grave imbarazzo, specialmente in considerazione di ciò che era avvenuto nei giorni precedenti, che l’unica possibile soluzione era tornare verso Napoli. In tali condizioni la navigazione non fu però facile e il Languedoc corse anche il rischio di andare in secco sull’Isola di Capri. Scampato fortunosamente il pericolo, finalmente il vascello, a rimorchio dall’Entreprenant e scortato da una fregata, riuscì a raggiungere un punto di fonda nel golfo di Napoli Quando le navi francesi finirono di ormeggiarsi era il giorno di Natale del 1792. Re Ferdinando, sia pure a malincuore, giacché l’ospite per il suo precedente atteggiamento era poco gradito, non se la sentì di opporsi alla sosta delle navi francesi, né di rifiutare le riparazioni ed i rifornimenti necessari. L’inco- 31 Il comandante francese Redon de Belleville diventerà in seguito un importante uomo politico. Fu amministratore di territori francesi, console a Livorno, ambasciatore della Francia a Genova e poi di nuovo incaricato d’affari a Livorno e a Napoli, quindi a Madrid e Hannover. Terminò la carriera come responsabile delle poste francesi. 32 L’ambasciatore napoletano a Parigi marchese di Circello aveva lasciato la capitale francese con altri profughi allo scoppio della rivoluzione ed era stato rimpiazzato dall’abate Leprini che aveva il ruolo di incaricato della legazione napoletana. Al momento dell’arrivo delle navi francesi quindi il Regno di Napoli non era più rappresentato a Parigi da persona con il rango di ambasciatore. La rivoluzione vista dal mare 37 moda presenza, a causa di esigenze tecniche, si prolungò più del previsto fino a oltre la metà di gennaio. Latouche Treville e i suoi ufficiali non persero però tempo e presero contatti con alcuni giovani napoletani interessati alle idee ed alle vicende della rivoluzione francese. Tanta fu l’influenza delle parole di Latouche Treville e la pressione psicologica esercitata dalla presenza delle navi, che in quei giorni venne fondato in città un club giacobino che ebbe per motto Sans compromission e alla cui presidenza fu eletto Carlo Lauberg.33 Partite finalmente le navi francesi verso il golfo di Cagliari, a Napoli iniziarono le persecuzioni contro coloro che avevano aderito al club giacobino o che avevano comunque avuto rapporti di natura politica con i francesi. La corte iniziò a sospettare che la casa dell’ambasciatore francese Makau, appena riconosciuto come tale dal governo, fosse un centro di diffusione di idee rivoluzionari.34 La vendetta, che si tradusse in carcerazioni ed anche in alcune condanne a morte, non ebbe subito corso, ma iniziò non appena nel 1793 vennero rotte ufficialmente le relazioni con la Francia. Intanto il governo di Napoli, prevedendo un peggioramento della situazione, diede inizio ai preparativi per potenziare l’esercito e la marina.35 La minaccia navale francese in Sardegna Allo scopo di contenere gli attacchi delle potenze marittime in Mediterraneo nel luglio del 1792 il Consiglio esecutivo della marina francese decise di costituire a Tolone una squadra navale composta da nove vascelli nominandone comandante il contrammiraglio Truguet. Poiché a Tolone vi erano solo cinque vascelli operativamente pronti, venne deciso di trasferire da Brest nel Mediterraneo un primo nucleo di unità navali di rinforzo.36 Ancora prima che le navi di Sulla minacciosa visita a Napoli delle navi francesi cfr. Cfr. P. Colletta, Storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825, Milano 1905, vol. I, p. 237. 34 Pietro Colletta, generale, uomo politico e scrittore, che aveva vissuto quelle vicende e che sarà uno dei protagonisti della storia degli anni seguenti e finirà esule, prima in Moravia e poi in Toscana, nel suo libro “Storia del Reame di Napoli”, la cui prima edizione uscì a Firenze nel 1834, riferisce che “Esposti più degli altri alle ire del governo ed alle trame delle spie erano i dotti ed i sapienti per la fallace opinione che il rivolgimento francese fosse opera della filosofia e dei libri, più che dei bisogni del secolo. I libri del Filangieri furono sbanditi e in Sicilia bruciati; il Pagano, il Cirillo, il Delfico, il Conforti erano mal visti e spiati; cessarono ad un tratto tutte le riforme dello stato, avuto pentimento delle già fatte; i libri stranieri, le gazzette impediti; i circoli della Regina disciolti; le adunanze dei sapienti vietate; negavasi ricovero ai fuggitivi francesi che sebbene contrari alla rivoluzione apportavano per il racconto dei fatti scandalo e fastidio”. 35 In quell’anno l’esercito napoletano contava circa 35 mila soldati. La marina, che comprendeva, come abbiamo visto, poco più di cento navi di varie dimensioni per un totale di circa seicento cannoni, aveva in servizio 8600 marinai. La flotta napoletana era costituita da quattro vascelli, quattro fregate, due corvette, due brigantini, sei galeotte, 74 lance cannoniere, e 10 bombardiere. 36 Con l’arrivo di alcune navi francesi da Brest, nel Mediterraneo si formò una squadra composta da un vascello da 80 cannoni, il Languedoc, sette da 74 cannoni (Commerce de Bordeaux, Scipion, 33 38 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 Brest raggiungessero le acque di Tolone, l’ammiraglio Truguet ricevette l’ordine di portarsi con le unità già disponibili e due mila soldati nelle acque del golfo di San Juan per sostenere, eventualmente con un assalto anfibio, le operazioni condotte a terra dal generale Jacques B. Anselme contro Nizza e Villafranca, territori che facevano parte del Regno di Sardegna e ne costituivano, insieme ad Oneglia, lo sbocco a mare più importante. Il 24 settembre le navi francesi arrivarono in zona di operazioni ed a metà di ottobre vennero raggiunte da quelle della divisione proveniente da Brest. A fine novembre le truppe francesi avevano già occupato le due città, mentre quasi contemporaneamente più a nord le truppe del generale Montesquiou, approfittando di un’insurrezione popolare, invadevano la Savoia, altra regione appartenente al Regno di Sardegna, penetrandovi all’altezza di Montmelian e di Chambèry37 L’esercito dei Savoia, malgrado fosse stato rinforzato con reclutamenti di volontari, era comandato dal vecchio generale De Lazary che aveva ben poca esperienza di guerra e adottava tattiche ormai superate. La resistenza contro le forze avversarie, dinamiche e ben condotte, risultò pertanto vana. L’occupazione di Nizza avvenne senza che i francesi incontrassero eccessive difficoltà. Infatti, il governatore della città, il generale di origine svizzera marchese de Courten, preso alla sprovvista si arrese al generale Anselme e cedette la piazza quasi senza reagire. Il suo esempio fu imitato dal governatore del porto di Villafranca Davide Foucenex. Anche il forte posto a presidio del porto, che era agli ordini del comandante di marina Cacciardi, non oppose resistenza. Questi, dopo aver patteggiato la resa con il comando francese, riuscì a fuggire in Piemonte, ma arrestato, non potendo dare giustificazione del proprio comportamento, venne condannato al carcere a vita. La Savoia, una volta occupata, venne costituita in dipartimento, denominato del Monte Bianco, mentre Nizza e Villafranca entrarono a fare parte del dipartimento delle Alpi Marittime. Cadute le difese di Villafranca, che era la più importante base navale del Regno di Sardegna, le navi dell’ammiraglio Truguet entrarono in porto allo scopo di predare l’arsenale che era piccolo, ma ben fornito. Le navi sarde vennero tutte catturate tranne una fregata, la San Vittorio, che riuscì a sfuggire anticipando l’entrata dei francesi e alzando la bandiera inglese, fatto questo che le conferiva lo stato di nave neutrale, non essendo stata, all’epoca, ancora dichiarata la guerra tra Inghilterra e Francia. La San Vittorio si rifugiò a Genova, città neutrale, dove venne disarmata. Le navi catturate, compresa la corvetta sarda Caroline, vennero armate con ufficiali e marinai francesi e trasferite a Tolone, porto nel quale venne anche spedito il bottino fatto a Villafranca. Lys, Centaure, Vengeur, Orion, ed Entreprenant) e da 16 tra fregate e corvette. Alle operazioni condotte dall’ammiraglio Trouguet presero parte complessivamente 11 navi da guerra ed alcuni trasporti. 37 Inizialmente l’operazione condotta dal generale Anselme e dall’ammiraglio Troguet doveva costituire un diversivo per le altre operazioni in Savoia, ma finì per diventare di per sé molto importante. La rivoluzione vista dal mare 39 Mentre si stavano completando le operazioni per la conquista di Nizza e Villafranca, le navi francesi di Truguet, diressero verso Oneglia, cittadina che con il territorio adiacente costituiva un’enclave del Regno di Sardegna entro il territorio della Repubblica di Genova.38 Il giorno 26 novembre del 1792 dalle navi venne inviata a terra una delegazione scortata da un reparto di soldati per chiedere la resa della città, sperando di poterla facilmente occupare come era avvenuto per Villafranca. La delegazione venne però attaccata dalla piccola guarnigione ed alcuni ufficiali francesi restarono uccisi o feriti. L’ammiraglio Truguet ordinò allora il bombardamento di Oneglia, mentre le sue truppe sbarcavano protette dal fuoco dei cannoni. Dopo due giorni, viste le difficoltà offerte dalla tenace resistenza del presidio militare e dei cittadini e ritenendo di non potere mantenere a lungo le posizioni, l’ammiraglio francese ordinò di ripiegare e le truppe vennero reimbarcate. La città aveva subito in ogni modo gravi distruzioni ed era stata anche saccheggiata. Non appena ultimate le operazioni a Villafranca ed Oneglia, il governo francese, senza porre indugi, decise di condurre un attacco contro la Sardegna e nei primi giorni di gennaio del 1793 l’ammiraglio Truguet ricevette l’ordine di raccogliere alcune navi da trasporto, trasferirle ad Ajaccio in Corsica e lì imbarcare truppe per effettuare uno sbarco sull’isola di San Pietro a sud ovest della Sardegna. L’ordine venne eseguito molto celermente e già il 13 gennaio la squadra di Truguet, composta da undici vascelli, tre fregate e tre bombarde e da alcuni trasporti, arrivò alla fonda davanti all’isola di San Pietro dove alcuni giorni dopo venne raggiunta dalle navi della divisione affidata al capitano di vascello Latouche Treville di ritorno da Napoli. La missione in Sardegna aveva lo scopo di umiliare il re Vittorio Amedeo III, considerato uno dei più accesi nemici della Francia, e di provocare una sollevazione in favore della rivoluzione. A causa però della reazione ostile della popolazione, atterrita per la minaccia di uno sbarco dei francesi e della burrasca che imperversò in quei giorni sul Tirreno, la stessa che aveva investito anche le navi di Latouche Treville durante il ritorno da Napoli, la squadra francese dovette desistere dall’intento. Il 23 di gennaio le navi francesi si portarono davanti a Cagliari ed alcuni parlamentari furono inviati a terra per prendere contatti con il governatore sardo, offrendo la protezione della repubblica francese. Come era accaduto ad Oneglia, i parlamentari furono accolti a colpi di fucile ed allora le navi francesi sottoposero la città e il porto ad un bombardamento durato molte ore. L’ammiraglio Truguet attendeva in quei giorni l’arrivo di un altro convoglio dalla Corsica con più di duemila volontari che avrebbero dovuto essere sbarcati a 38 La città di Oneglia (Imperia) nel 1476 era stata ceduta da Girolamo Doria a Filiberto I di Savoia. Passata varie volte di mano tra il 1617 e il 1744, a causa di occupazioni spagnole e genovesi, era stata nuovamente annessa al dominio dei Savoia da Carlo Emanuele III nel 1744. Nel 1801 entrerà a fare parte della Repubblica Ligure costituita dai francesi. Per il suo attaccamento alla casa Savoia, confermato anche in occasione dell’attacco condotto dalle navi francesi dell’ammiraglio Trouguet, fu definita “Civitas fedelissima”. 40 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 Cagliari per conquistare la città con la forza. Le cattive condizioni del tempo, che perduravano ormai da molti giorni sul Mediterraneo centrale, ritardarono però l’arrivo del convoglio che riuscì a presentarsi davanti a Cagliari solo il 2 febbraio. Non appena i rinforzi furono in vista Truguet avrebbe voluto mettere in atto il suo piano che prevedeva di sbarcare circa quattromila uomini all’altezza di Quartu a poche miglia a est dalla città per attaccarla provenendo da quella direzione, mentre altri soldati e marinai del contingente di bordo avrebbero dovuto sbarcare più ad ovest in modo da prenderla tra due fuochi. Il mal tempo però ritardò ancora una volta le operazioni e solo il giorno 11 febbraio le truppe riuscirono a prendere terra con un certo numero di cannoni, mentre le navi vennero suddivise in modo da fornire sostegno di fuoco a tutte e due le teste di ponte. Un gruppo di navi agli ordini di Latouche Treville, che nel frattempo aveva ricevuto la promozione a contrammiraglio, s’incaricarono invece di attaccare direttamente la città. Una volta a terra le truppe francesi, pur in assenza di serio contrasto, si trovarono a mal partito e si demoralizzarono quando venne loro a mancare il collegamento con le navi, che, a causa di un forte vento da scirocco, non potevano mantenersi sotto costa. Dalla spiaggia si chiese con insistenza di provvedere al reimbarco. Non appena il vento calò e rese così l’operazione possibile, le navi provvidero ad eseguire il recupero delle truppe sia pure con non poche difficoltà perché a causa del cattivo tempo avevano perso molte delle loro imbarcazioni. La missione dell’ammiraglio Truguet era nata indubbiamente sotto cattivi auspici e tutti i progetti successivi dovettero essere cancellati. Tra questi vi era quello di recarsi a Roma per ricordare al Papa i sentimenti di rispetto verso la Repubblica e poi a Livorno per intimidire il granduca perché aveva “oltraggiato la Francia” consentendo a navi russe di usare il porto come fosse un loro arsenale. Avendo rinunciato a completare il programma, il grosso delle navi francesi rientrò a Tolone, ad eccezione di alcune che restarono in zona per consolidare le posizioni conquistate nel frattempo sull’isola di San Pietro sulla quale fu poi lasciato un contingente di soldati.39 Mentre nel golfo di Cagliari accadevano questi fatti, i francesi, per operare una diversione, approntarono un reparto di soldati con l’intento di occupare l’arcipelago della Maddalena che costituiva un’eccellente posizione strategica nell’ambito del teatro operativo del Mediterraneo centrale. L’organizzazione della spedizione fu affidata a Pasquale Paoli, il vecchio eroe dell’indipendenza corsa.40 Furono riunite numerose unità navali tra le quali un brigantino, alcune 39 Con la rottura delle relazioni della Francia con la Spagna che aderì alla Prima Coalizione, nata proprio nello stesso mese (febbraio 1793) in cui avvenivano le operazioni descritte, la flotta spagnola compì la sua prima operazione navale proprio contro la guarnigione e le navi francesi lasciate a presidiare San Pietro e Sant’Antioco in Sardegna. Questa operazione costerà alla Francia la perdita di due unità. 40 Paoli era in esilio in Inghilterra quando ebbe notizia della riunione degli Stati generali e della presa della Bastiglia. Lui che aveva sempre rifiutato di trattare con la monarchia francese accettò l’unione del suo paese alla Francia e partì per Parigi dove fu accolto trionfalmente e dove venne La rivoluzione vista dal mare 41 feluche e numerose grandi lance a remi sulle quali presero imbarco uomini e cannoni. Alla scorta della spedizione ed al tiro contro costa da svolgere in sostegno alle operazioni di sbarco fu destinata la corvetta Fauvette. Paoli, essendosi nel frattempo ammalato, assegnò l’incarico di comandare la spedizione al nipote, colonnello della gendarmeria Colonna Cesari. All’impresa partecipò anche, a capo di un battaglione di volontari, Napoleone Bonaparte, allora tenente colonnello della Guardia nazionale corsa e capitano di artiglieria francese “in licenza”. Le navi francesi entrarono il 22 febbraio 1793 nell’estuario con l’intenzione di sbarcare le truppe ed i volontari in un primo tempo sull’isola della Maddalena, così come aveva suggerito lo stesso Bonaparte, ma furono respinte dal fuoco delle batterie costiere e delle navi sarde che si trovavano all’ormeggio a Cala Gavetta, tra queste le due mezze galere Beata Margherita e Santa Barbara. Vista l’impossibilità di sbarcare direttamente sull’isola principale dell’arcipelago, il battaglione agli ordini di Bonaparte riuscì a prendere terra il giorno 23 sulla vicina isola di Santo Stefano con due obici ed un mortaio per battere da quella posizione con ‘palle arroventate’ La Maddalena e le navi che si trovavano a cala Gavetta.41 Dopo qualche ora le navi francesi, prese sotto il tiro delle artiglierie terrestri avversarie, dovettero cambiare le posizioni inizialmente assunte. La stessa corvetta Fauvette, che scortava il convoglio, per timore di essere colpita si allontanò e si mantenne molto al largo. In questo frangente si distinse il piloto sardo Agostino Millelire che durante la notte riuscì a fare attraversare indenne alla propria nave il canale della Moneta sotto il fuoco avversario. Lo scambio vivace di colpi di artiglieria durò quattro giorni al termine dei quali i francesi dovettero abbandonare Santo Stefano. Il mantenimento di quella posizione era diventato insostenibile non solo per il tiro delle artiglierie terrestri sarde, ma anche per uno sbarco compiuto sulla piccola isola da un gruppo di circa cinquanta sardi agli ordini di Domenico Millelire, fratello di Agostino, che aveva fino a poco prima diretto efficacemente una batteria ubicata a terra. Sull’isola della Maddalena i sardi avevano intanto fatto confluire ottocento uomini, mentre altri reparti dell’esercito si stavano ammassando minacciosamente sulle coste settentrionali della Sardegna. Le navi francesi, vista la piega presa dalla situazione, reimbarcarono le truppe che avevano preso terra a Santo Stefano e diressero verso Portovecchio in Corsica inseguite da alcune unità sarde che nell’occasione riuscirono a catturare una nave logistica francese.42 Nel lasciare l’isola di Santo Stefano i francesi avevano trasportato ricevuto dal re e dalla Assemblea nazionale. Rientrato in Corsica fu eletto comandante in capo di tutte le guardie nazionali dell’isola. Nel mese di luglio del 1792 erano stati i giacobini a volere la sua designazione a comandante delle forze destinate ad attaccare la Sardegna. 41 Le palle arroventate erano destinate, come nel caso specifico, a provocare incendi negli abitati sottoposti a bombardamento. Erano usate all’epoca anche nei combattimenti tra navi. 42 Il comandante marittimo della Maddalena era nell’occasione Felice Constantin di Castelnuovo già comandante della mezza galera Beata Margherita. L’episodio della riuscita difesa dall’attacco francese alla Maddalena venne molto apprezzato dal re Vittorio Amedeo III che era in quei giorni 42 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 faticosamente sulla costa i loro pezzi di artiglieria per tentare di recuperarli trasferendoli a bordo delle navi, ma non erano riusciti nel loro intento per mancanza di tempo ed avevano pertanto dovuto abbandonarli. In un rapporto fatto al termine della missione da alcuni ufficiali francesi del 2° battaglione volontari, si dice “il convoglio era impaurito dalle mezze galere sarde che la fuga della corvetta rendeva ora padrone del mare”. Nello stesso rapporto, alludendo evidentemente alla corvetta Fauvette, gli stessi ufficiali chiedevano che si punissero i “vigliacchi ed i traditori” che avevano fatto fallire l’impresa. In Corsica i nemici di Paoli misero in giro la voce che il fallito attacco alla Maddalena fosse da addebitarsi allo stesso Paoli che avrebbe agito di intesa con gli inglesi. Accusato anche dalla Convenzione venne dichiarato fuori legge. La stessa Convenzione subito dopo adottò provvedimenti di carattere politico e militare per assicurare la fedeltà della Corsica riprendendo ai corsi ciò che la Costituente aveva loro concesso e costringendoli così a rispondere alla forza con la forza e ad accordarsi con gli inglesi che, dopo l’occupazione di Tolone, decisero di occupare l’isola contando proprio sull’appoggio dei ribelli corsi. Il tentativo francese di impossessarsi della Maddalena rappresenta di per sé un episodio marginale nell’ambito degli avvenimenti che accaddero nei primi anni della repubblica francese, ma ha una certa importanza se si tiene conto che fu il primo episodio militare di rilievo al quale partecipò Napoleone Bonaparte, allora solo ventiquattrenne. Il giovane ufficiale, nonostante la scarsa esperienza, riuscì nell’occasione ad esprimere interessanti valutazioni sull’importanza del potere marittimo. L’arcipelago della Maddalena aveva colpito Bonaparte che ne riteneva l’ubicazione particolarmente vantaggiosa per eventuali incursioni verso l’interno della Sardegna e lo considerava un punto di partenza “per farvi circolare le nostre opinioni”. In un memoriale dell’epoca l’allora tenente colonnello affermava inoltre che “se la preponderanza nel Mediterraneo deve esserci contrastata, il porto della Maddalena diventa utilissimo perché esso domina assolutamente il passaggio dello stretto tra Sardegna e Corsica e tiene in potere il golfo di Portovecchio”.43 In una guerra al traffico commerciale il possesso della Maddalena poteva inoltre, a suo avviso, diventare un punto di rilevante valore strategico per la possibilità di farvi convergere le attività corsare destinate ad intercettare le navi dirette o provenienti dall’oriente. Natural- molto preoccupato per ciò che avveniva in Piemonte ai confini con la Francia, e che istituì nell’occasione, quale ricompensa, le decorazioni al valore militare d’oro e d’argento. Si verificò nella circostanza che la medaglia d’oro conferita inizialmente ad Agostino Millelire, forse per errore, venne poi attribuita al fratello Domenico, considerato per il suo contegno e per l’efficacia del tiro della sua batteria il vero artefice del ritiro delle navi francesi e quindi della vittoria sarda. Un provvedimento regio successivo conferì ad entrambi i fratelli l’ambito riconoscimento. Cfr. “Rivista Marittima”, Roma, ottobre 1902. Agostino Millelire sarà poi promosso capitano di fanteria a fine secolo XVIII e diventerà Governatore delle “Isole intermedie” (Arcipelago della Maddalena) nei primi anni del secolo successivo. 43 Cfr. V. Vecchi, Saggi storico marinareschi, in “Nuova Antologia”, Firenze 1876 e in “Rivista Marittima”, Roma, maggio 1896. La rivoluzione vista dal mare 43 mente la visione del Bonaparte era anche legata alle necessità contingenti della sua terra d’origine tanto che egli, nel considerare che la Corsica importava già da molto tempo i generi commestibili necessari al sostentamento della propria popolazione principalmente dalla Sardegna, riteneva che l’arcipelago acquistasse un’importanza ancora maggiore in un periodo nel quale la repubblica francese era costretta a mantenere alle armi anche in Corsica un gran numero di soldati. Bonaparte infine, nel considerare l’opportunità di reiterare l’assalto contro La Maddalena, dava risalto ad un fattore tipicamente militare, cioè la difesa dell’onore, che imponeva a suo giudizio di recuperare al più presto l’artiglieria che era stata lasciata sull’isola di Santo Stefano facendovi sventolare la bandiera francese in modo da “cancellare alla vista di tutta l’Italia la macchia che ci disonora”. Nel marzo 1793 Bonaparte redasse un piano in due versioni che prevedeva di ripetere l’operazione anfibia per impossessarsi della Maddalena. Nel piano, battezzato appunto Project d’une nouvelle attaque de la Magdelaine, il giovane ufficiale dimostrava un’ottima conoscenza dei criteri d’impiego di tutti i mezzi militari, comprese le navi. Il presupposto su cui si basava tale piano, come puntualizzava testualmente Bonaparte, era l’essere “padrone assoluto del mare” senza di che sarebbero state “necessarie forze campali assai considerevoli per resistere agli sforzi di tutta la Sardegna”. Napoleone comprendeva in quel momento l’importanza del potere marittimo e di quello navale. Più avanti negli anni tale visione verrà in parte stemperata, specialmente dopo la sua fortunata evasione dall’Egitto, nella considerazione che il domino del mare inglese non era riuscito ad impedire la sua fuga in Francia. Le sue fulminee vittorie terrestri accrebbero in lui l’insofferenza per i tempi lunghi necessari per la preparazione dello strumento navale. Il suo cruccio resterà comunque quello di non poter competere sul mare con l’Inghilterra la cui potenza marittima era in quel periodo all’apice e non potrà essere mai eguagliata, malgrado gli sforzi compiuti dalla Francia. Forse Bonaparte non arrivò mai a comprendere appieno la differenza tra la strategia e la tattica navale e le corrispondenti discipline applicate dagli eserciti e s’illuse che, come qualche volta può avvenire nelle campagne terrestri, il valore del comandante e lo spirito combattivo potessero sopperire alle mancanze d’addestramento e di adeguata tecnologia. Per questo, giunto al culmine della sua straordinaria carriera militare e politica, darà talvolta disposizioni azzardate e pretenderà l’impossibile dalla flotta francese. Nelle memorie compilate durante l’esilio a Sant’Elena, ricordando quei tempi e parlando in particolare dell’Italia, sosterrà che è “una sola nazione”, ma che per esistere come tale “la sola condizione sarà di essere una potenza marittima”. Secondo Bonaparte “Nessun paese d’Europa è posto in situazione più favorevole di questa penisola per diventare grande potenza marittima” e, anticipando criteri di valutazione dei fattori pertinenti il potere marittimo che diventeranno famigliari solo dopo qualche decennio, aggiungeva: 44 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 [L’Italia] ha in complesso 1200 leghe di costa, la Francia 130 sul Mediterraneo e 470 sull’Oceano in tutto 600; la Spagna comprese le isole, 500 sul Mediterraneo e 300 sull’Oceano. […] L’Italia ha tutte le risorse di legno e canapa ed in generale ciò che occorre per le costruzioni navali. La Spezia è il più bel porto dell’universo, la sua rada è superiore a quella di Tolone, la sua difesa da terra e per mare è facile, i progetti preparati sotto l’Impero e di cui si era iniziata l’esecuzione, hanno provato che con spese mediocri gli stabilimenti marittimi vi sarebbero al riparo; […] Taranto è meravigliosamente situata per dominare la Grecia, il Levante le coste dell’Egitto e la Siria, con i progetti preparati per le sue fortificazioni di terra ed i suoi stabilimenti marittimi, le più grandi flotte lì sono al riparo da tutti i venti e da ogni attacco anche di un nemico superiore… infine a Venezia esiste già tutto quello che è necessario.44 Tolone cade in mano degli alleati nel 1793 Mentre presso le case regnanti ed i governi europei non si era ancora attenuato lo sdegno per quanto di drammatico era successo a Parigi con la morte a mezzo ghigliottina di Luigi XVI, la Convenzione francese il 1° febbraio del 1793 dichiarò guerra all’Inghilterra ed inviò un messaggio esaltante a tutti i marinai francesi nel quale tra l’altro si diceva: L’armée navale, aussi brulante de patriotisme que l’armée de terre, doit marcher, comme elle, de victoires en victoires… Matelots, qu’una émulation salutaire vous anime! Que des succés égaux vous couronnent! Et vous qui mourez au camp de l’honneur, rien n’égalera votre gloire! La patrie reconnaisante prendra soin de vos familles, burinera votre noms sur l’airain, les creusera dans le marble, ou plutot ils demeureront gravés sur le frontispice du grand édifice de la liberté du monde. Les générations, en les lisant, diront: – Voilà ces heros francais qui brisèrent les chaines de l’espèce humaine, et qui s’occupèrent de notre bonheur quand nous n’existons pas. A Parigi venne nominato un nuovo ministro della marina in sostituzione di Bertrand de Molleville, innalzando alla carica un ufficiale, Jean Dalbarade, che aveva operato come corsaro durante la guerra di indipendenza americana ottenendo molti successi contro le navi inglesi. Tutti gli ufficiali di marina assenti ingiustificatamente dal servizio vennero congedati, lo stesso provvedimento fu preso anche nei riguardi di coloro che erano sospettati di ostilità o anche solo di non nutrire simpatie per la Convenzione. Furono adottati provvedimenti per favorire l’avanzamento al grado superiore di ufficiali meritevoli e furono inseriti nei quadri della marina, con il grado di capitano di vascello, comandanti di navi mercantili con lunga esperienza di comando. Entrò in vigore per la prima volta anche la leva militare. 44 Cfr. Ouvres de Napoleon I a Sainte Hélène; Campagnes d’Italie, in “Correspondance de Napoleon”, Paris 1869, tomo XXIX. La rivoluzione vista dal mare 45 La Rivoluzione sostituì all’esercito regio di mestiere quello composto da volontari e da soldati di leva per arrivare a costituire un esercito nazionale. L’idea di istituire una leva militare non aveva minimamente sfiorato l’Assemblea costituente fino a che non venne dichiarata guerra anche all’Austria. I nuovi responsabili politici della Francia fino a quel momento avevano infatti ritenuto necessario migliorare l’organizzazione militare ereditata dall’Anciene Régime piuttosto che cambiarla. Ciò è tanto vero che nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” (26 agosto 1789) non vi è traccia di iniziative relative alla coscrizione obbligatoria. Alla fine del 1789 erano stati tenuti discorsi all’Assemblea costituente a favore di un esercito democratico sulla base del concetto “tutti i cittadini devono essere soldati e tutti i soldati cittadini”. Fino alla dichiarazione di guerra però, a parte la Guardia nazionale organizzata subito dopo la presa della Bastiglia, non vi è traccia di milizie borghesi. Il 22 luglio del 1792, essendo stata dichiarata la patria in pericolo, tutti i cittadini in grado di portare le armi vennero precettati per costituire battaglioni di volontari il cui compito doveva essere quello di sostenere i reparti di linea dell’esercito permanente. Nel febbraio del 1793 venne prescritta una leva di 300 mila uomini che ormai di volontari non avevano altro che il nome. Era previsto l’istituto della ‘sostituzione’ (remplacement) che consentiva, pagando, di evitare la chiamata. Il 23 agosto seguente, dopo aspre critiche rivolte all’istituto della ‘sostituzione’ giudicato origine di un vero e proprio mercato di uomini, tutti i cittadini indistintamente dai 18 ai 40 anni furono assoggettati alla chiamata alle armi. Ebbe così inizio la così detta ‘leva di massa’ che non ammetteva alcuna forma di ‘sostituzione’ e che comportò nuovo lavoro e nuove responsabilità per le autorità locali. Tale forma di leva fu previsto che restasse in vigore solo fino a che tutti i nemici non fossero stati cacciati dal territorio della Repubblica. La nuova legislazione sulla leva di massa, che diede luogo a diserzioni dopo le vittorie di Valmy e di Jemmapes, quando molti soldati non riscontreranno più validi motivi per restare in servizio, venne in parte modificata nel 1798 (legge Jourdan-Debrel) allo scopo di alleviare gli oneri imposti dalle primitive disposizioni e per rendere la leva di massa permanente. Salvo qualche modifica, apportata nel periodo napoleonico relativamente alla durata ed alla consistenza del contingente, tale legislazione resterà in vigore in Francia fino al 1872 e sarà seguita in linea di principio fino ai nostri giorni da molti paesi europei, compresa l’Italia. Il 1° ottobre del 1793 fu deciso di ricorrere anche alla guerra di corsa per colpire il traffico mercantile della Gran Bretagna e dei suoi alleati. Per incentivare questa forma di impiego delle navi e sollecitare l’interesse dei comandanti e degli equipaggi fu stabilito che i carichi trasportati dalle navi catturate sarebbero stati interamente di proprietà dei corsari e che ciascun loro cannone sarebbe stato pagato adeguatamente. La Repubblica si sarebbe limitata ad acquisire per uso proprio le navi predate. Nonostante i proclami a favore della marina e le agevolazioni concesse, la disciplina a bordo lasciava però sempre a desiderare e gli episodi di insubordi- 46 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 nazione dovuti anche ad idee di male interpretata autonomia ed indipendenza dall’autorità non erano rari. Anche nell’esercito repubblicano francese di quegli anni la disciplina qualche volta vacillò, ma vi furono capi che ebbero la capacità di circoscrivere i singoli episodi e di riportare l’ordine, come Bonaparte, Moreau o Massena, mentre in marina mancarono forse figure d’analogo livello oppure gli ufficiali validi furono male assecondati. Soprattutto dopo alcuni episodi di ribellione verificatisi a Tolone la situazione si presentò tanto grave, che nel gennaio del 1794 fu emanato un nuovo codice penale militare che prevedeva pene ancor più severe del precedente, compresa la pena di morte per i comandanti che abbandonassero la nave prima di affondare o anche solo per i reati di disobbedienza, ingiurie o minacce nei riguardi di un superiore. Il regolamento prevedeva anche la detenzione ai ferri per richieste collettive, diffusione di false notizie e petizioni in favore della grazia per un condannato. I rovesci della marina francese nell’anno 1793 furono però causati oltre che dalla scarsa disciplina anche dalla diffusa mancanza del sentimento di giustizia e del senso dell’onore, fatto questo giustificabile con il grave stato d’incertezza che regnava in conseguenza della situazione generale e con l’incapacità di alcuni responsabili di assumere una posizione ben definita davanti all’incalzare degli avvenimenti. Anche il superstite attaccamento alla monarchia giocò tra gli ufficiali di marina una parte non secondaria sul morale e la loro dedizione professionale. All’inizio del 1793 molte città del sud della Francia, tra queste Marsiglia e Tolone, seguendo l’esempio di Lione si erano sollevate contro la Convenzione ed i realisti presenti nelle due città marittime avevano organizzato gruppi di ‘federalisti’ armati che avrebbero dovuto riunirsi con quelli di Lione per sovvertire la situazione in atto ed abbattere la Repubblica. Gli episodi più gravi accaddero a Tolone dove operavano molti agenti stranieri ed emissari dei fuoriusciti e dove i giacobini erano in costante opposizione con gli ufficiali di marina e, lamentando l’immobilità delle navi e la lentezza dei lavori cui queste erano sottoposte, domandavano che coloro che avevano partecipato alla sfortunata missione in Sardegna del febbraio 1793 fossero puniti. I più moderati, di fronte alle richieste di radicali cambiamenti, osservavano che gli ufficiali in servizio non potevano essere sostituiti perché erano gli unici tecnicamente capaci di condurre le navi e che in ogni caso bisognava prepararsi bene per affrontare le squadre della coalizione inglese e spagnola che si pensava si sarebbero presentate al più presto davanti alle coste francesi. A Tolone la situazione era critica già dal 1792 quando si erano verificati numerosi episodi di ribellione verso le decretazioni della Convenzione repressi duramente dai club giacobini della città i cui eccessi finirono però per accrescere la reazione controrivoluzionaria realista. Fu costituito un comitato di notabili cittadini del quale furono chiamati a fare parte anche rappresentanti della marina. Tale comitato si oppose ai giacobini repubblicani del club Saint-Jean, il più importante in città, arrestandone molti componenti e condannando il loro presidente alla pena di morte. In seguito a questi fatti la Convenzione ordinò al La rivoluzione vista dal mare 47 generale Cartaux, che aveva in precedenza occupato la Savoia, di marciare con le proprie truppe verso Tolone e Marsiglia per riportarvi l’ordine.45 Mentre queste cose accadevano in Francia, già nel febbraio del 1793, pochi giorni quindi dall’entrata in guerra, in Inghilterra erano iniziati i preparativi per inviare in Mediterraneo una consistente squadra navale ritenendo che per la sicurezza dell’Europa, minacciata dalla politica di aggressione prodotta dalla rivoluzione, fosse necessario anche sul mare e dal mare impegnarsi militarmente per isolare la Francia impedendole i collegamenti commerciali e militari con l’estero. L’obiettivo principale era naturalmente Tolone dove si sapeva che i francesi avevano concentrato una consistente squadra navale.46 La preparazione della squadra inglese per il Mediterraneo richiese più tempo del previsto volendo mettere le navi che la componevano nelle migliori condizioni di efficienza e di armamento per affrontare quelle francesi che si sapeva essere numerose e bene armate. In particolare era allora molto difficile, dovendo armare al completo le navi, trovare gli equipaggi. Lo stesso Orazio Nelson, al quale era stato affidato il comando dell’Agamemnon, vascello da 64 cannoni che faceva parte della squadra britannica del Mediterraneo posta agli ordini dell’ammiraglio Hood, scrivendo al fratello prima della partenza dall’Inghilterra diceva: “Men are very hard to be got” ed in seguito comunicava ad un superiore, l’ammiraglio Locker comandante in capo al Nore, “I have sent out a lieutenant and four midshipmen to get men at every seaport in Norfolk, and to forward them to Lynn and Yarmouth; my friends in Yorkshire and North tell me they will send what men they can lay hands on”.47 Nelson si accingeva a partire per la sua prima missione in Mediterraneo, un teatro del quale diventerà protagonista per lunghi anni e che condizionerà tutta la sua vita e le sue fortune, ma che gli darà anche qualche amarezza e lo costringerà a superare non poche difficoltà. Fino a qual momento le sue esperienze erano maturate nel corso di missioni svolte nelle Indie occidentali e poi, come molti altri ufficiali suoi coetanei, durante la guerra di indipendenza americana alla 45 Dopo la fuga del re a Varennes i Giacobini si erano divisi tra filo monarchici (foglianti) e repubblicani. Questi ultimi costituivano l’ala sinistra della Convenzione e furono l’anima del governo del Terrore (1793-1794). 46 All’inizio del 1793 i francesi avevano a Tolone le seguenti navi pronte ad operare: Commerce de Paris(*) (contreamiral de Trogoff Kerlessy), Tonnant, Apollon, Héros Centaure(**), Heureux, Commerce de Bordeaux (**), Lys (comandante Saint-Julien), Destin(**), Orion, Duguay-Trouin(**), Patriote, Entreprenant, Pompée(**), Généreux, Scipion(**), Themistocle(**) e Tricolore(**) [(*) navi in seguito catturate dagli inglesi; (**) navi che furono distrutte o bruciate al momento dell’evacuazione di Tolone da parte della squadra della Coalizione]. A Tolone vi erano inoltre alcune navi minori da 40 cannoni (Arethuse, Perle, Topaze) e da 32 cannoni (Aurore, Alceste, Serieuse). Molte altre unità erano in porto non pronte, in allestimento o in fase di costruzione. 47 “È difficile trovare marinai”, e di seguito: “Ho mandato un tenente di vascello e quattro guardiamarina a cercare uomini in ogni angiporto di Norfolk e poi a Lynn e Yarmouth; i miei amici che stanno nello Yorkshire (regione a nord di Londra) e a North mi dicono che mi manderanno tutti gli uomini che saranno capaci di trovare”. 48 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 quale aveva partecipato come comandante di una fregata quando aveva solo poco più di venti anni. Alla fine di aprile la squadra di Hood non era ancora del tutto pronta anche se alcune navi, quelle della divisione dell’ammiraglio William Hotham, tra le quali era anche l’Agamemnon, potevano già essere inviate in pattugliamento in una zona tra cinquanta e cento miglia ad ovest del canale della Manica. Tale divisione ottenne preziose informazioni da navi neutrali di passaggio venendo a sapere che i porti della Francia del nord erano pieni di navi mercantili inglesi catturate dai corsari francesi e che navi da guerra francesi pattugliavano costantemente il golfo di Biscaglia. Finalmente le navi che costituivano il grosso della squadra inglese furono pronte a dislocarsi in Mediterraneo. Un primo gruppo, al comando del contrammiraglio John Gell, lasciò le acque della Manica già a metà aprile, seguito da altri tre gruppi, agli ordini rispettivamente degli ammiragli Philip Cosby, William Hotham e quindi dello stesso comandante in capo Lord Hood. L’ultimo gruppo, quello di Hood, partì dalla Manica ai primi di maggio. Le navi fecero rotta per Gibilterra, si fermano a fare rifornimento d’acqua a Cadice e si portano quindi nella zona di mare antistante Tolone, dove si riunirono il 16 di luglio del 1793. In quel momento l’ammiraglio Hood, che alzava la propria insegna sul vascello Victory, disponeva di una squadra che comprendeva in tutto 22 vascelli. Negli stessi giorni anche l’ammiraglio spagnolo Langara prendeva il mare con una squadra di 24 unità per congiungersi agli inglesi davanti a Tolone. Alcune navi napoletane ed una sardo-piemontese arrivarono successivamente in zona di operazioni.48 L’ammiraglio Hood ritenne di non potere entrare nella rada per affrontare direttamente l’avversario, in quanto era protetta da solide fortificazioni bene armate di artiglierie. Diede quindi inizio al blocco del porto. Tale misura, impe- 48 La squadra napoletana che partecipò al blocco di Tolone ed alle successive vicende era costituita da tre vascelli di linea: Tancredi (comandante Caracciolo), Sannita (comandante Spannocchi), Guiscardo (comandante La Tour) e dalle fregate Sibilla, Minerva, Sirena ed Aretusa, da due corvette Aurora e Fortuna e dai brigantini Vulcano e Sparviero. I sardo-piemontesi utilizzarono solo la fregata San Vittorio per trasferire a Tolone una parte delle loro truppe. Quest’ultima verrà bruciata al momento del ritiro da Tolone insieme ad altre unità francesi perché giudicata non trasferibile ed i sardi riceveranno in sostituzione una fregata ex francese, l’Alceste, che manterrà nel passaggio il proprio nome e che verrà poi ripresa in combattimento dagli stessi francesi, passando così di nuovo a fare parte della loro marina. Sulla partecipazione delle navi napoletane, la maggior parte delle quali era agli ordini di ufficiali provenienti dalla marina toscana, cfr. L. Donolo, L’esperienza di ufficiale di marina di Francesco Spannocchi Piccolomini, in “Francesco Spannocchi governatore a Livorno tra Sette e Ottocento”, atti del convegno, Livorno, 2007. Secondo le cronache francesi del tempo la squadra inglese che partecipò al blocco di Tolone era costituita da 19 vascelli e nove fregate. Stando alle fonti inglesi le navi riunite davanti a Tolone costituivano invece una squadra di 24 unità così composta: Victory (Vice admiral Lord Hood), Britannia (Vice admiral William Hotham) entrambe da 100 c, Windsor, Castle (Vice admiral A. Philip Cosby), Princess Royal (Rear admiral Sam Charles Goodall), St. George (Rear admiral John Gell) da 98 c, Alcide, Fortitude, Terrible, Leviathan, Egmont, Colosssus, Robust, Illustrious, Courageux, Berwick, Bedford, Captain da 74 c, Agamemnon (Captain Horatio Nelson), Intrepid, Ardent e Diadem da 64 c. La rivoluzione vista dal mare 49 dendo l’arrivo dei rifornimenti, avrebbe dovuto mettere la città in gravi difficoltà logistiche costringendo la squadra navale francese ad uscire in mare aperto per rompere il blocco. A quel punto, secondo Hood, sarebbe stato possibile affrontare vantaggiosamente un combattimento risolutivo con le navi avversarie. Mentre nel Mediterraneo Tolone, la più importante base francese, era bloccato, in prossimità dell’isola di Groix, davanti a Lorient in Bretagna, l’ammiraglio francese Morard de Galles con 19 vascelli si incontrò con la squadra inglese del Canale al comando dell’ammiraglio Howe. Era il 1° agosto del 1793. Le navi inglesi erano 17, due di meno di quelle francesi, quindi Morard avrebbe potuto attaccare, ma preferì mettersi al riparo della vicina Belle-Ile in quanto non aveva fiducia nella propria situazione interna: i suoi ufficiali erano tra loro divisi, i marinai non obbedivano, la disciplina era morta, i migliori elementi erano stati imprigionai o erano emigrati. Come previsto gli effetti del blocco di Tolone non si fecero attendere. Il Comitato tolonese, infatti, nell’assemblea del 15 agosto 1793 decise di domandare agli inglesi di lasciare passare, “au nome de l’humanité”, i convogli navali che portavano i rifornimenti alla città dove il cibo incominciava a scarseggiare. I capi della marina a Tolone furono alla fine messi davanti ad una difficile proposta, quella di disarmare le proprie navi e trattare con Hood. Dapprima essi risposero che era necessario sentire il parere della Convenzione nazionale e con questa quello dell’ammiraglio Truguet che era entrato a farne parte e che si trovava in quel periodo a Parigi. La Convenzione interpellata tacque. Il 20 agosto il Comitato degli insorti insediato a Tolone inviò due propri delegati a parlamentare con Hood a bordo del vascello Victory. Avendone il mandato, concordarono la cessione della città a chi poteva ufficialmente rappresentare il nemico. Quattro giorni dopo il presidente del Comitato, Le Bret d’Imbert, indirizzò alla città un proclama, firmato da 13 membri dello stesso Comitato, nel quale si diceva esplicitamente che la città doveva essere consegnata agli inglesi a nome del successore di Luigi XVI, cioè il figlio Luigi XVII. Al proclama non appose la propria firma l’ammiraglio Trogoff Kerlessy, che pure faceva parte del Comitato essendo il comandante della squadra navale. Questi malgrado il rifiuto di firmare la resa era però troppo intriso di sentimenti monarchici per fare qualcosa di concreto in favore della Repubblica. Quando a bordo delle navi francesi si venne a conoscenza delle decisioni del Comitato molti equipaggi protestarono vivacemente e quando venne emanato l’ordine di sostituire la bandiera bianca con nel riquadro superiore il tricolore, che era allora la bandiera navale della Repubblica, con quella tutta bianca dei Borbone, alcune navi si rifiutarono di eseguirlo. Il comandante del vascello Commerce de Bordeaux, Saint-Julien, dichiarò Trogoff traditore ed alzò l’insegna di comando delle navi che si dissociavano dalle decisioni anti-rivoluzionarie, ma non poté opporsi ai contatti del Comitato cittadino con gli inglesi.49 Anche a 49 Cfr. G. De Brecy, La revolution de Toulone 1793 e M. Leon Guerin, Histoire de la Marine contemporaine, opere ricordate nel già citato Batailles navales de la France, Paris 1867. 50 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 terra vi furono perplessità. Molti avrebbero voluto, dovendo fare il tragico passo, che la città venisse piuttosto consegnata agli spagnoli. La preoccupazione di tutti era che le truppe repubblicane potessero attaccare da un momento all’altro Tolone ed in caso di loro vittoria dessero il via ad esemplari punizioni e vendette. Si temeva anche che le navi francesi leali alla Repubblica potessero arrivare a bombardare la città. Il giorno 27 di agosto sei vascelli francesi agli ordini di Trogoff si spostarono dall’interno del porto alla piccola rada seguendo una precisa richiesta dell’ammiraglio Hood, mentre altri quattro vascelli agli ordini di Saint-Julien si rifiutarono di cambiare ormeggio, ma non opposero altra forma di resistenza.50 Il giorno seguente Hood, dopo avere inviato a terra durante la notte un consistente reparto per impossessarsi del forte Lamalgue, entrò in porto con alcune delle proprie navi seguite da quelle spagnole, napoletane e sarde. Gli alleati presero rapidamente possesso della piazza, dei forti e delle navi francesi molte delle quali vennero bruciate ed altre inserite nella squadra alleata alzando la bandiera borbonica.51 Quattro delle navi francesi che si erano consegnate agli inglesi furono successivamente inviate in Inghilterra, ma, navigazione durante, i comandanti e gli equipaggi francesi di alcune di tali unità si pentirono di non avere resistito e decisero di fermarsi nei porti del nord della Francia dove furono catturati, processati e condannati a morte dai tribunali rivoluzionari.52 La Convenzione dichiarerà “traditori infami della patria” tutti i comandanti consegnatisi volontariamente agli inglesi e tra questi l’ammiraglio Trogoff che, per evitare una sicura condanna a morte, tentò di fuggire imbarcandosi su di una piccola nave mercantile, ma morì mentre questa era in rada a Portoferraio. Tra gli oltre 15 mila soldati alleati che occuparono la città, tutti trasportati via mare, cinquemila erano napoletani e mille cinquecento sardo-piemontesi. Gli altri contingenti presenti erano costituiti da circa due mila inglesi e da settemila spagnoli. Il contributo militare sardo e quello del Regno di Napoli in particolare fu dunque notevole. L’ammiraglio Hood non appena concordato il passaggio della città di Tolone in mano alleata, inviò una delle proprie navi scelta tra le più veloci, l’Agamemnon al comando di Nelson, prima ad Oneglia e quindi a Napoli per portare messaggi diretti ai governi dei regni di Sardegna e Napoli che contenevano la richiesta di fornire sollecitamente rinforzi militari adatti a sostenere l’occupazione di Tolone e l’invito a non stipulare alcun accordo con il governo rivoluzionario francese senza il consenso della Gran Bretagna. Dopo una breve sosta ad Oneglia, Nelson il 12 settembre raggiunse Napoli Il comandante Saint-Julien dopo l’entrata in porto delle navi alleate si consegnerà a bordo di una nave spagnola. 51 Le navi bruciate furono in totale 17, mentre 16 furono quelle inserite nella squadra alleata per tutta la durata della campagna. 52 Le navi si erano consegnate nei porti di Bordeaux, Brest, Lorient e Rochefort. 50 La rivoluzione vista dal mare 51 dove rimase per quattro giorni ottenendo prontamente i rinforzi richiesti che, del resto, erano già in fase di preparazione. Nel portare a buon fine la missione Nelson venne particolarmente sostenuto dall’ambasciatore inglese a Napoli lord William Hamilton che lo presentò al re Ferdinando IV e lo intrattenne nella propria residenza a palazzo Sessa. Nelson restituì le cortesie con un ricevimento organizzato a bordo dell’Agamemnon al quale partecipò anche il re. Durante la breve visita a Napoli Nelson, che era rimasto particolarmente colpito delle accoglienze ricevute tanto da evidenziarle nel suo giornale di bordo, strinse un legame duraturo con l’ambasciatore inglese e con sua moglie Emma. Egli tornerà a Napoli solo cinque anni dopo, vincitore alla battaglia di Abukir, ma nel frattempo tra lui e lord Hamilton intercorrerà una frequente corrispondenza. Un primo gruppo di soldati napoletani, come era stato concordato, fu sollecitamente imbarcato sui vascelli da 74 cannoni Guiscardo e Tancredi e su altre navi minori. Tale gruppo di unità partì da Napoli per Tolone il 16 settembre e arrivò a destinazione il 28, mentre un secondo contingente, imbarcato su unità da trasporto scortate dal vascello da 74 cannoni Sannita, arrivò a Tolone il 5 di ottobre. Il comando della spedizione venne assunto dal contrammiraglio Forteguerri.53 Le truppe sardo-piemontesi, invece, affluite a Tolone provenendo dalla Sardegna, vennero trasportate dalla nave inglese Colossus. Nei successivi mesi di ottobre e novembre attorno a Tolone avvennero molti combattimenti per contenere la pressione continua esercitata sulla città dalle truppe francesi repubblicane agli ordini prima del generale Cartaux e poi del generale Dugommier. Il contingente di soldati napoletani e sardi si segnalò per il buon comportamento durante tutta la campagna e subì anche molte perdite. I gruppi di combattimento che di volta in volta venivano costituiti per assolvere specifiche missioni erano sempre composti da elementi tratti dai vari contingenti. Solo per citare qualche esempio, ad un attacco condotto l’8 di ottobre contro un gruppo di tre batterie francesi sistemate sulle alture di Moulins e di Reinier parteciparono 50 spagnoli, 100 piemontesi, 50 napoletani e 400 inglesi, tra questi ultimi un reparto costituito da marinai tratti dalle navi, tutti agli ordini di un ufficiale inglese. In altra occasione, il 30 di novembre, ancora per neutralizzare alcune batterie francesi che bombardavano insistentemente la città, il reparto che condusse l’attacco fu costituito con 400 realisti francesi, 600 spagnoli, 600 napoletani, 300 sardi e 300 inglesi, ancora una volta sotto il comando di un ufficiale inglese. L’occupazione alleata di Tolone ebbe luogo in un clima di contrasti tra le autorità militari alleate, soprattutto inglesi, e le rappresentanze cittadine, ma le dispute e le polemiche dureranno poco, infatti già il 30 novembre le forze 53 Anche Forteguerri proveniva dalla marina toscana, ma aveva fatto carriera in quella napoletana, cfr. L. Donolo, L’esperienza di ufficiale di marina di Francesco Spannocchi Piccolomini… cit., pp. 48-52. 52 Il Mediterraneo nell’Età delle rivoluzioni - 1789-1849 repubblicane che avevano circondato la città si scontrarono con le truppe occupanti riportando un primo successo e catturando anche il generale inglese O’Hara, comandante delle forze terrestri, che aveva sostituito nell’incarico il contrammiraglio spagnolo Gravina dopo che questi era rimasto ferito in uno scontro.54 L’esercito repubblicano, forte di circa 40-50 mila uomini, sostenuto dal fuoco molto efficace della propria artiglieria comandata da Napoleone Bonaparte, riuscì ben presto a mettere in difficoltà la resistenza alleata che poteva contare su non più di 11 mila soldati posti a difesa della fascia perimetrale della città ampia almeno 15 miglia. Già il 14 dicembre gli inglesi, sia pure in contrasto con gli altri alleati, iniziarono ad esaminare la possibilità di evacuare Tolone che ancora pochi giorni prima avevano dichiarato solennemente di voler tenere fino alla fine della guerra. Malgrado gli inglesi diffondessero notizie che evidenziavano la loro determinazione a resistere, gli abitanti della città non nutrivano eccessiva fiducia in questo impegno e, presi dal terrore di cadere in mano dei repubblicani, cominciarono ad accalcarsi verso il porto, tanto che fu gioco forza provvedere al loro imbarco sulle navi alleate. In una sola notte, quella tra il 18 ed il 19 dicembre 1793, ben 14 mila persone furono recuperate dalle navi inglesi, spagnole e napoletane. Alcune delle navi più grandi, come i vascelli inglesi Princess Royal e Robust si videro costrette ad ospitare a bordo circa tremila profughi ciascuna, mentre a terra i reparti rimasti in retroguardia provvedevano a bruciare tutte le infrastrutture militari, comprese alcune delle navi francesi.55 Lo storico inglese William James parlando dell’abbandono di Tolone commenterà in modo molto partigiano l’episodio concludendo: “The destruction of the ships and magazines might certainly have been more complete, but here again the treachery of the Spaniards and the pusillanimous flight of the Neapolitans thwarted the plans of the British”.56 Malgrado l’accusa rivolta al contingente terrestre napoletano di avere abbandonato in disordine le proprie posizioni durante la fase della ritirata da Tolone, al rientro in patria il 2 di febbraio del 1794, i napoletani lamentarono la perdita di oltre seicento uomini, duecento dei quali morti o feriti in combattimento e gli altri caduti prigionieri dei francesi. Anche molte delle loro armi ed equipaggiamenti erano andati perduti. 54 Quando il contrammiraglio spagnolo Gravina rimase ferito e gli inglesi decisero di sostituirlo con il generale inglese O’Hara, nacquero dei contrasti tra inglesi e spagnoli che provocarono anche manovre minacciose di navi spagnole verso la nave sede del comando inglese che era il vascello Victory. 55 Al termine della vicenda le navi francesi bruciate o distrutte furono ben 18 (Trionphant, Douguay-Trouin, Commerce de Bodeaux, Destin, Tricolore, Suffisant, Centaure, Dictateur, Thémistocle, Héros, Sérieuse, Iphigénie, Monrèal, Iris, Caroline, Auguste, Alerte). Le navi catturate e poi trasferite verso l’Inghilterra, furono in tutto16, tra queste un vascello da 120 cannoni, il Commerce de Paris. Nel numero totale è compreso anche l’Alceste che passò invece alla marina Sarda. 56 Vd. W. James, The naval History of Great Britain cit., vol. I, p. 93: “La distruzione delle navi e dei magazzini avrebbe potuto essere più completa, ma ancora una volta la slealtà degli spagnoli e la fuga pusillanime dei napoletani impedirono di mettere in esecuzione il piano britannico”. La rivoluzione vista dal mare 53 La città di Tolone, una volta occupata dalle truppe repubblicane, fu sottoposta al saccheggio e venne applicata con molta ferocia la pena di morte per tutti coloro che si erano resi colpevoli di episodi di collaborazione, che non avevano consegnato prontamente i loro averi o anche solo perché sospettati di essere filo realisti. I morti fucilati furono molte centinaia e persino la città fu minacciata di distruzione totale, ma poi i delegati a mettere in atto tale misura si ricredettero e convinsero la Convenzione a desistere dal proposito. Liberata Tolone, i repubblicani si prodigarono per rimettere in efficienza la loro marina nel Mediterraneo facendovi affluire molte unità dai porti dell’Atlantico ed incrementarono le costruzioni navali. Il comando delle forze navali francesi del sud (Mediterraneo) venne affidato all’ammiraglio Pierre Martin, un ufficiale che, grazie agli esodi provocati dalla rivoluzione, aveva fatto rapidamente carriera. Ancora tenente di vascello nel 1792, due anni dopo era già contrammiraglio, avendo ovviamente maturato ben poca esperienza di comando. L’occupazione inglese della Corsica Mentre gli alleati occupavano Tolone l’ammiraglio Hood si preoccupava di sfruttare il malcontento che serpeggiava nel sud della Francia per sollevare le popolazioni locali contro la Convenzione. Le sue attenzioni erano in particolare rivolte alla Corsica dove era in atto una insurrezione popolare con a capo il generale Paoli che era stato, in un primo tempo, accusato dalla stessa Convenzione di avere fatto fallire l’attacco francese alla Sardegna ed in seguito, avendo convocato le rappresentanze dei comuni dell’isola pronunciando la separazione dalla Francia, era stato dichiarato traditore della patria. Questa accusa aveva allontanato da lui una parte delle simpatie della stessa popolazione corsa.57 Paoli si era messo allora in contatto con gli inglesi richiedendo l’intervento nelle acque dell’isola delle navi dell’ammiraglio Hood con la speranza che la loro sola presenza potesse fare volgere a proprio favore la situazione che era resa critica anche dalle difficili condizioni alimentari nelle quali si trovava allora la Corsica. Nel mese di settembre del 1793 una divisione navale inglese composta da tre vascelli, Alcide, Courageux e Ardent e due fregate, Lowestoffe e Nemesis, agli ordini del commodoro Robert Linzee, venne distaccata da Hood ed inviata nelle acque del sud della Francia e della Corsica con il compito di fare sollevare le popolazioni e procurare rinforzi per gli alleati. Il commodoro Linzee si presentò con le sue navi in primo luogo davanti a Villafranca, ormai in mano francese, ed inviò a terra una lettera contenente un proclama rivolto agli abitanti per invitarli a passare dalla parte dei realisti. Lo stesso Linzee aggiunse un messaggio personale con il quale informava che a Tolone era stata restaurata la monarchia. Nessuno dei messaggi suscitò particolari reazioni e pertanto la divi- Pasquale Pali era stato nominato generale dall’assemblea dei corsi ancora nel 1755. 57