MONS. MAURO RIVELLA
Incardinazione tra fedeltà alla Chiesa locale e nuove esigenze missionarie.
Visione ecclesiologica e canonica
Convegno «Una vocazione, una formazione, una missione»
Roma, 20 novembre 2015
Possiamo definire l’incardinazione (o ascrizione, secondo la terminologia adottata dal
Codice dei canoni delle Chiese Orientali) come il vincolo giuridico tra il servizio ministeriale di un
chierico e una Chiesa particolare1. Si applica a tutti i presbiteri e i diaconi, non solo a quelli che
appartengono a Chiese particolari e a prelature personali, ma anche ai membri di Istituti di vita
consacrata e di Società di vita apostolica.
La storia, in sintesi
Ripercorrere in estrema sintesi la storia dell’istituto per focalizzarne la riproposizione nel
magistero conciliare e la formalizzazione nella successiva codificazione (da intendersi come “un
grande sforzo di tradurre in linguaggio «canonistico» l’ecclesiologia conciliare»2), consente di
individuare uno degli snodi della relazione fra la natura teologica del ministero ordinato e la sua
regolamentazione disciplinare, indispensabile per innervare i principi nella realtà.
In prospettiva storica, sono tre gli aspetti che caratterizzano l’istituto dell’incardinazione:
a) il legame con una comunità (aspetto pastorale): da sempre è esistita una certa
connessione fra l’ordinazione del chierico e la sua destinazione a un ufficio pastorale concreto a
servizio di una comunità cristiana. Proprio per questa ragione, già il Concilio di Calcedonia (451)
proibiva le ordinazioni assolute, cioè quelle non finalizzate direttamente al servizio di una Chiesa3.
Si è ordinati per il bene e le necessità di una comunità, non per rispondere alle aspirazioni o agli
interessi del candidato. All’interno dell’istituzione di appartenenza viene poi individuata la modalità
concreta di servizio, mediante l’attribuzione di un ufficio ecclesiastico fatta dal superiore;
b) il sostentamento del clero (aspetto economico): con il diffondersi del sistema beneficiale
quale asse portante dell’amministrazione del patrimonio ecclesiastico e modalità per assicurare il
sostentamento economico dei ministri sacri, l’incardinazione diviene il meccanismo che regola i
mezzi di sussistenza del chierico, dal momento che la comunità che lo incardina ha il dovere di
farsene carico e non può ordinarlo, se non ha i mezzi per mantenerlo. Nel corso della storia, si
individueranno altre modalità (i cosiddetti titoli di ordinazione) per assicurare il sostentamento ai
chierici non beneficiati;
L. NAVARRO definisce l’incardinazione “como el vínculo jurídico entre un clérigo y una circunscripcíon
eclesiasiástica, por el cual éste queda incorporado a ella, se determina el ámbito de ejercicio del ministerio al servicio
de una porción del Pueblo de Dios, y se fija tanto la sujeción a un superior dotado de potestad de naturaleza episcopal
como el sujeto responsable de la sustentación del clérigo” (in Diccionario General de Derecho Canónico, a cura di J.
OTADUY – A. VIANA – J. SEDANO, Cizur Menor 2012, vol. IV, p. 503). Per una visione articolata del tema, cf. L’istituto
dell’incardinazione. Natura e prospettive, a cura di L. NAVARRO, Milano 2006.
2
GIOVANNI PAOLO II, Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983.
3
Can. 6: “Nessuno dev’essere ordinato sacerdote, o diacono, o costituito in qualsiasi funzione ecclesiastica, in modo
assoluto. Chi viene ordinato, invece, dev’essere assegnato ad una chiesa della città o del paese, o alla cappella di un
martire, o a un monastero. Il santo Sinodo comanda che una ordinazione assoluta sia nulla, e che l’ordinato non possa
esercitare in alcun luogo a vergogna di chi l’ha ordinato”.
1
1
c) l’obbedienza a un superiore (aspetto gerarchico): l’incardinazione comporta la
sottomissione a un superiore gerarchico, a cui si deve l’obbedienza nelle modalità di esercizio del
ministero e nell’adempimento dell’ufficio assegnato. Si vuole così evitare la piaga dei chierici
acefali, la cui presenza rischia di risultare infeconda, se non addirittura scandalosa. Questa
dimensione disciplinare è prevalente nella normativa codiciale del 1917 (cann. 111-117) e spiega
perché essa attribuisca all’incardinazione i caratteri della stabilità e della perpetuità. Di norma,
infatti, il chierico doveva permanere tutta la vita unito alla medesima struttura ecclesiastica e non
era favorito il passaggio ad altre realtà o la mobilità del clero.
Le novità del Vaticano II
Il decreto Presbyterorum ordinis stabilisce che “le norme sull’incardinazione e
l’escardinazione vanno riviste in modo che questo antichissimo istituto, pur rimanendo in vigore,
sia però più rispondente ai bisogni pastorali di oggi” (10b). La ragione è, a prima vista, pastorale
ed è dettata dalla necessità di favorire la propagazione del Vangelo e l’azione della Chiesa in ogni
situazione e in ogni luogo: “si faciliti non solo una distribuzione funzionale dei presbiteri, ma
anche l’attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali in certe
regioni o nazioni o addirittura continenti” (ibid.). A essa è, però, sottesa una motivazione
ecclesiologica, direttamente legata all’orizzonte universalistico dell’ordinazione presbiterale,
correlata non solo con le necessità pastorali di un territorio o con il carisma di un istituto religioso,
ma orientata della missione sino agli estremi confini della terra:
“Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara a una missione
limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, «fino agli ultimi confini
della terra» (At 1,8), dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza
universale della missione affidata da Cristo agli apostoli. Infatti il sacerdozio di Cristo, di cui i
presbiteri sono resi realmente partecipi, si dirige necessariamente a tutti i popoli e a tutti i tempi, né
può subire limite alcuno di stirpe, nazione o età, come già veniva prefigurato in modo arcano con
Melchisedec” (10a).
Il decreto continua evidenziando che non solo ai Vescovi, ma anche ai presbiteri “deve stare
a cuore la sollecitudine di tutte le Chiese”. La disponibilità di quanti appartengono a diocesi con
abbondanza di vocazioni a esercitare il proprio ministero “in quelle regioni, missioni o attività che
soffrano di scarsezza di clero” non costituisce perciò solo la risposta a una chiamata da parte del
proprio Ordinario, il cui assenso è ovviamente necessario, ma anche un’esigenza che si radica nei
tratti che caratterizzano il ministero ordinato.
Anche Christus Dominus 6 sottolinea come l’inserimento nel collegio episcopale fondi la
sollecitudine di tutti i Vescovi nei confronti delle diverse Chiese, dal momento che “per divina
disposizione e comando dell’ufficio apostolico, ognuno di essi, insieme con gli altri Vescovi, è
infatti in certo qual modo responsabile della Chiesa”. Tale attenzione deve concentrarsi verso
“quelle parti del mondo dove la parola di Dio non è ancora stata annunziata, o dove, a motivo
dello scarso numero di sacerdoti, i fedeli sono in pericolo di allontanarsi dalla pratica della vita
cristiana, anzi di perdere la fede stessa”. A tal scopo, è chiesto ai Vescovi diocesani “di preparare
degni sacerdoti, come anche degli ausiliari, religiosi e laici non solo per le missioni, ma anche per
le regioni che hanno scarsezza di clero”, e di fare “ogni possibile sforzo, perché alcuni dei loro
sacerdoti si rechino in terra di missione o nelle diocesi predette ad esercitarvi il sacro ministero,
per tutta la loro vita o al meno per un determinato periodo di tempo”.
Le direttive conciliari delineano così un riposizionamento dell’istituto dell’incardinazione,
dettato dall’esigenza di favorire l’azione missionaria dei chierici nella duplice direzione
2
dell’evangelizzazione dei popoli a cui non è ancora giunto il primo annuncio e della cura pastorale
per quelle categorie di persone e quelle situazioni che non è possibile raggiungere con le forme
dell’apostolato ordinario. Questo approccio si radica in una concezione del ministero ordinato che si
apre alla dimensione universalistica della missione di Gesù Cristo, salvatore del mondo. Non è
difficile individuare i presupposti di questo sguardo nuovo e aperto, da un lato, nella riflessione
biblica, patristica e teologica che prepara il Vaticano II e, dall’altro, in quanto stabilito da Pio XII
nell’enciclica Fidei donum (21 aprile 1957), che per la prima volta prevedeva il coinvolgimento
organico del clero secolare nella missio ad gentes, mediante convenzioni che ne legittimassero il
servizio in Africa per un tempo determinato4.
Il Codice di diritto canonico
All’incardinazione dei chierici è dedicato il capitolo II del titolo III della prima parte del
libro II del Codice di diritto canonico latino (cann. 265-272), a cui corrisponde il capitolo II del
titolo X del Codice dei canoni delle Chiese Orientali (cann. 357-366).
Il can. 265 ribadisce l’obbligo dell’incardinazione per ogni chierico, quale principio
fondamentale che regola l’istituto:
“Ogni chierico deve essere incardinato o in una Chiesa particolare o in una prelatura personale
oppure in un istituto di vita consacrata o in una società che ne abbiano la facoltà, in modo che non
siano assolutamente ammessi chierici acefali o girovaghi”.
Per il clero secolare, l’incardinazione si attua con l’ordinazione diaconale e si realizza nella
Chiesa particolare o nella prelatura personale al cui servizio si è ammessi (can. 266 § 1). Parimenti,
il professo di voti perpetui in un istituto religioso o chi è incorporato definitivamente in una società
clericale di vita apostolica con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell’istituto,
a meno che, per quanto riguarda le società di vita apostolica, le costituzioni non prevedano
l’incardinazione in una Chiesa particolare (can. 266 § 2). Il membro di un istituto secolare con
l’incardinazione viene invece incardinato nella Chiesa particolare al cui servizio è stato ammesso, a
meno che ne sia prevista l’incardinazione nell’istituto stesso, in forza di una concessione della Sede
Apostolica (can. 266 § 3).
Il can. 267 § 1 determina le modalità per la valida incardinazione in una Chiesa particolare
diversa da quella in cui si è stati originariamente incardinati: il chierico deve ottenere una lettera di
escardinazione dal Vescovo diocesano a quo e una lettera di incardinazione dal Vescovo diocesano
ad quem. L’escardinazione ha effetto solo se si è ottenuta l’incardinazione in un’altra Chiesa
particolare (can. 267 § 2). L’Amministratore diocesano non può concedere l’escardinazione e
l’incardinazione, come pure la licenza di trasferirsi in un’altra Chiesa particolare, se non dopo un
anno di sede episcopale vacante e col consenso del collegio dei consultori (can. 272).
Ai sensi del can. 268 § 1, il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa
particolare in un’altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest’ultima per il diritto stesso,
purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al Vescovo diocesano della Chiesa ospite,
Scrive Pio XII: “Un’altra forma di aiuto scambievole, certo di più grave incomodo, è adottata da alcuni Vescovi, che
autorizzano qualcuno dei loro sacerdoti, sia pure a prezzo di sacrifici, a partire per mettersi, per un certo limite di
tempo, a disposizione degli Ordinari d’Africa. Così facendo, rendono loro un impareggiabile servizio, sia per
assicurare l’introduzione, saggia e discreta, di forme nuove e più specializzate del ministero sacerdotale, sia per
sostituire il clero di dette diocesi nelle mansioni dell’insegnamento, ecclesiastico e profano, cui quello non può far
fronte. Volentieri incoraggiamo siffatte iniziative opportune e feconde; preparate e messe in atto con prudenza, esse
possono portare una soluzione preziosa in un periodo difficile, ma pieno di speranza, del cattolicesimo africano” (III).
4
3
sia al Vescovo diocesano proprio e purché nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla
richiesta entro quattro mesi dalla ricezione della lettera. Il chierico secolare ammesso in forma
perpetua o definitiva in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica viene
incardinato in essa e conseguentemente escardinato dalla propria Chiesa particolare (can. 268 § 2).
Il can. 269 elenca gli elementi che il Vescovo ad quem deve valutare prima di concedere
l’incardinazione a un chierico proveniente da un’altra Chiesa:
- ciò deve essere richiesto dalla necessità o utilità della sua Chiesa particolare, salve le
disposizioni che riguardano il sostentamento del clero (n. 1);
- deve constargli da un documento legittimo la concessione dell’escardinazione e inoltre
deve aver avuto opportuno attestato da parte del Vescovo diocesano a quo, se necessario sotto
segreto, sulla vita, i costumi e gli studi del chierico (n. 2);
- il chierico deve avere dichiarato per scritto di volersi dedicare al servizio della Chiesa ad
quem a norma del diritto.
L’escardinazione può essere concessa per giusti motivi, quali l’utilità della Chiesa o il bene
del chierico stesso, mentre può essere negata solo in presenza di gravi cause. Tuttavia il chierico
onerato dal diniego e che abbia trovato un Vescovo che lo accoglie può fare ricorso contro la
decisione negativa (can. 270).
Il can. 271 tratta, infine, del trasferimento temporaneo di quei chierici che si mettono a
servizio di regioni afflitte da grave penuria di clero, senza perdere l’incardinazione originaria:
tranne casi di vera necessità per la propria Chiesa particolare, il Vescovo a quo è invitato a non
negare loro la licenza di trasferimento, provvedendo che, mediante una convenzione scritta con il
Vescovo diocesano ad quem, vengano definiti i diritti e i doveri dei chierici in questione (§ 1). Il
trasferimento deve avvenire per un tempo determinato, rinnovabile anche più volte, avendo cura
che, al momento del ritorno nella Chiesa a quo, i chierici godano di tutti i diritti che avrebbero, se
avessero esercitato in essa il ministero sacro (§ 2). Il chierico che è passato legittimamente a
un’altra Chiesa particolare può essere richiamato dal proprio Vescovo diocesano per una giusta
causa, purché siano rispettate le convenzioni stipulate e l’equità naturale; ugualmente, alle stesse
condizioni, il Vescovo diocesano della Chiesa ad quem potrà, per giusta causa, negare al chierico la
licenza di un’ulteriore permanenza nel suo territorio (§ 3).
Proviamo a sintetizzare gli elementi che caratterizzano la normativa vigente:
l’incardinazione continua a essere concepita come un vincolo giuridico che si instaura fra il chierico
e la Chiesa particolare o l’istituzione di appartenenza. Essa comporta una serie di doveri, fra cui
spiccano l’obbedienza gerarchica nei confronti dei superiori, la dedizione a servizio della comunità,
l’assunzione di un ufficio ecclesiastico e l’obbligo della residenza. Contestualmente, da essa deriva
anche una serie di diritti, in particolare quello a esercitare un ministero, all’onesto sostentamento 5 e
all’assistenza sociale. L’appartenenza a una Chiesa particolare fonda anche il diritto di voce attiva e
passiva negli organismi di partecipazione diocesana e a prendere parte a iniziative di formazione e
aggiornamento culturale, pastorale e spirituale. Tutto ciò costituisce la base e il contenuto
dell’identità diocesana, che non va intesa come un assoluto, in contrasto con l’apertura
universalistica del ministero ordinato, ma come legittima forma di inculturazione e adattamento, a
seconda della storia, delle tradizioni e del presente di ciascuna Chiesa particolare6.
5
Va detto, peraltro, che il sistema di sostentamento del clero vigente in Italia a seguito degli accordi concordatari del
1984 pone come fondamento del diritto all’inserimento nel sistema non l’incardinazione, ma il servizio a tempo pieno
del sacerdote in favore di una diocesi: cf Delibera CEI n. 58, concernente il «Testo unico delle disposizioni di
attuazione delle norme relative al sostentamento del clero che svolge servizio in favore delle diocesi», 1 agosto 1991.
6
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, 25 marzo 1992, n. 31: “Occorre considerare
come valore spirituale del presbitero la sua appartenenza e la sua dedicazione alla Chiesa particolare. Queste, in
realtà, non sono motivate soltanto da ragioni organizzative e disciplinari. Al contrario, il rapporto con il Vescovo
4
La principale novità del Codice del 1983 – e, parallelamente, di quello orientale del 1990 –
sta nel fatto che il vincolo ha carattere stabile, ma non perpetuo: sulla necessità di evitare il rischio
di chierici “girovaghi” ha prevalso il bisogno di provvedere adeguatamente alle esigenze pastorali
delle terre di missione e delle Chiese più povere di risorse, come pure quella di rispondere
all’urgenza dell’evangelizzazione dei lontani. Per questa ragione, la normativa vigente non ostacola
il trasferimento del clero da una Chiesa particolare a un’altra, sia quando ciò comporta
l’escardinazione dalla prima e l’incardinazione nella seconda, sia quando si tratta di una sorta di
distacco temporaneo, in vista del ritorno della diocesi di origine, una volta terminato il servizio
pastorale7.
L’incardinazione nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali
Le Chiese particolari, come pure tutte le altre realtà ecclesiali strutturate gerarchicamente 8,
godono della facoltà di incardinare, perché in esse sono presenti tutte le dimensioni giuridiche che
caratterizzano questo istituto. Invece, tanto la legislazione canonica latina quanto quella orientale
attribuiscono la facoltà di incardinare solo ad alcuni enti di natura associativa. Godono, infatti, di
tale facoltà gli istituti religiosi e le società clericali di vita apostolica, a meno che, ai sensi del can.
736 § 1, le costituzioni non dicano altrimenti. Quanto agli istituti secolari, la regola generale è che i
membri chierici siano incardinati nella propria diocesi, per manifestare la consacrazione di vita
nella secolarità. L’incardinazione nell’istituto è tuttavia possibile “in forza di una concessione della
Sede Apostolica” (can. 266 § 3). Ciò può accadere quando il chierico è destinato alle opere proprie
dell’istituto o a funzioni di governo al suo interno (cf. can. 715 § 2).
Il can. 357 § 1 del Codice orientale prevede che un chierico possa essere ascritto anche “a
un’associazione che abbia ottenuto dalla Sede Apostolica il diritto di ascriversi dei chierici oppure,
entro i confini del territorio della Chiesa a cui presiede, dal Patriarca col consenso del Sinodo
permanente”. Tale possibilità non è contemplata dal Codice latino. Tuttavia talune associazioni
clericali hanno manifestato l’esigenza di poter incardinare alcuni o tutti i loro membri, al fine di
assicurare la stabilità del loro carisma e l’efficacia operativa delle loro strutture. Dopo lunga
riflessione, con Foglio d’Udienza dell’11 gennaio 2008 Benedetto XVI ha concesso alla
Congregazione per il Clero la competenza in materia. L’Annuario Pontificio 2015 elenca quattro
associazioni pubbliche clericali, a cui è stata data la facoltà di incardinare almeno parte dei propri
membri: si tratta della Comunità di San Martino, della Società Giovanni-Maria Vianney, dell’Opera
di Gesù Sommo Sacerdote e della Fraternità dei Sacerdoti Operai Diocesani del Cuore di Gesù.
nell’unico presbiterio, la condivisione della sua sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del Popolo
di Dio nelle concrete condizioni storiche e ambientali della Chiesa particolare sono elementi dai quali non si può
prescindere nel delineare la configurazione propria del sacerdote e della sua vita spirituale. In questo senso
l’incardinazione non si esaurisce in un vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una serie di atteggiamenti e di
scelte spirituali e pastorali, che contribuiscono a conferire una fisionomia specifica alla figura vocazionale del
presbitero”.
7
“La possibilità di prestare il proprio servizio in un’altra chiesa, conservato il legame con la chiesa di incardinazione,
è una modalità concreta per attuare la comunione tra le chiese, condividendo il bene prezioso costituito dai ministri
ordinati. (…) La dimensione universale del ministero non si attua contro la dedicazione ad una chiesa particolare o
fuori di essa, ma ne è una conseguenza. In questa prospettiva la licentia transmigrandi non va vista come un’eccezione
alla norma dell’incardinazione. Essa appare piuttosto come lo strumento giuridico che in concreto rende possibile
l’apertura a quella dimensione universale già insita nella dedicazione ad una chiesa particolare, di cui
l’incardinazione è l’espressione giuridica”: P. PAVANELLO, Servizio ministeriale fuori della struttura di
incardinazione, in L’istituto dell’incardinazione. Natura e prospettive, cit. pp. 201-202.
8
Nell’ordinamento latino, oltre alle diocesi e agli altri enti a essa assimilati ai sensi del can. 368 (prelatura territoriale e
abbazia territoriale, vicariato apostolico e prelatura apostolica, amministrazione apostolica stabilmente eretta), si fa
riferimento all’ordinariato militare, alla prelatura personale, all’amministrazione apostolica personale e all’ordinariato
personale per gli anglicani che entrano in piena comunione con la Chiesa Cattolica.
5
Quanto al più vasto tema della convenienza o meno di concedere ad associazioni e
movimenti ecclesiali la possibilità di incardinare al proprio interno quei chierici che prestano
servizio in favore degli appartenenti o dei simpatizzanti oppure che hanno maturato la vocazione al
ministero ordinato all’interno della spiritualità (o carisma) che caratterizza tali esperienze ecclesiali,
sembra opportuno ribadire che ciò – almeno in linea teorica – sarebbe ammissibile solo in presenza
di tutti gli elementi che caratterizzano questo istituto: la dedicazione pastorale, le garanzie del
sostentamento economico e la sottomissione gerarchica a un legittimo superiore. Dovrebbe pure
risultare con certezza la definitività dell’appartenenza nella struttura che incardina. Ciò significa che
mancherebbero i requisiti per dar luogo all’incardinazione, per esempio, quando essa rispondesse
alle inclinazioni spirituali del clerico piuttosto che al modo di esercizio del ministero pastorale
oppure in mancanza di un vincolo di appartenenza giuridicamente definito e, conseguentemente, di
un superiore da cui dipendere9.
In conclusione, possiamo affermare che la rivisitazione dell’istituto dell’incardinazione dei
chierici, attuato nella normativa codiciale rinnovata alla luce delle indicazioni del magistero
conciliare, da una parte ne ha salvaguardato i tratti essenziali, in coerenza con la sua storia
plurisecolare, mentre dall’altra, consentendo una maggiore flessibilità nel passaggio da una diocesi
all’altra in risposta ai bisogni di una migliore distribuzione del clero, è venuta incontro in maniera
efficace a una delle esigenze più urgenti dell’opera di evangelizzazione.
Cf. sul tema A. D’AURIA, Incardinazione dei preti nei movimenti? Riflessioni su un tema attuale, in L’istituto
dell’incardinazione. Natura e prospettive, cit. pp. 382-397, che riassume lucidamente queste problematiche e presenta
in conclusione la soluzione adottata all’interno di Comunione e Liberazione con l’erezione della Società clericale di vita
apostolica Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, quale “possibilità offerta solo a coloro che
all’interno del movimento di C.L. si sentano chiamati al sacerdozio missionario e alla vita comune” (p. 395).
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