Le professionalità dell’audiovisivo
in Lombardia
Le professionalità dell’audiovisivo
in Lombardia
Hanno lavorato al progetto TV JOB
Alessandra Alessandri, direttore di ricerca
Chiara Valmachino, coordinamento di ricerca
Gaetano Stucchi, consulenza scientifica
Fedra Fumagalli, ricercatrice senior
Paolo Mossetti, ricercatore junior
Antonio Costa, ricercatore junior
Andrea Bertoletti, coordinamento di progetto
Francesca Borghi, ricercatrice junior
Stefano Baleria, ricercatore junior
Paolo Laudani, coordinamento
Fausto Colombo, consulenza scientifica
Antonella La Seta Catamancio, ufficio stampa
Laura Agnesi, coordinamento
Ideazione grafica ed impaginazione
Cristina Carsana, direttore creativo
Giulia Mantuano, art director junior
Simone Castiglioni, web designer
Sabrina Vicini, account
- maggio 2006 -
TV JOB
Le professionalità dell’audiovisivo
in Lombardia
indice
Prefazione
di Fausto Colombo
pag. 13
Introduzione. Obiettivi e metodologia della ricerca
di Alessandra Alessandri
pag. 17
PARTE PRIMA
Mercato, aziende e lavoratori
01. IL COMPARTO DELL’AUDIOVISIVO E I SUOI SOGGETTI
pag. 31
di Alessandra Alessandri
1.1 Definire il comparto audiovisivo
1.2 La catena del valore: tipologie di soggetti
pag. 32
pag. 37
1.2.1 L’opzione “make or buy”.
Il rapporto tra editori e produttori
pag. 38
1.2.2 Il ruolo del Network Provider:
le Telco diventano editori?
Focus Il rapporto editori-produttori.
Alcuni website “commissioning” di emittenti
internazionali
pag. 43
pag. 45
02. LE AZIENDE AUDIOVISIVE
pag. 47
di Chiara Valmachino
2.1 Lo scenario. Il peso della Lombardia nel
mercato audiovisivo
2.1.1
2.1.2
2.1.3
2.1.4
Gli editori televisivi leader
Le emittenti locali
I produttori leader
Le associazioni di categoria dei produttori
2.2 Lo scenario:
le aziende audiovisive in Lombardia
2.3 Il territorio: Milano (e i suoi distretti) capitale
della comunicazione?
2.4 La ricerca: il censimento delle aziende
audiovisive lombarde
Focus Il centro di produzione RAI di Milano
03. I LAVORATORI
pag. 48
pag.
pag.
pag.
pag.
49
52
54
57
pag. 61
pag. 66
pag. 70
pag. 77
pag. 81
di Chiara Valmachino
3.1
3.2
3.3
Lo scenario: i trend occupazionali di settore
La situazione occupazionale RAI e Mediaset
La ricerca: composizione degli addetti e
inquadramenti contrattuali
Focus Il caso Skillset
pag. 82
pag. 91
pag. 95
pag. 106
PARTE SECONDA
Mestieri e competenze
04. I MESTIERI
pag. 111
di Alessandra Alessandri con Fedra Fumagalli
4.1 La classificazione delle professioni audiovisive
4.2 La nostra mappa: aree, ambiti, professioni,
mansioni
4.3 Le figure chiave
4.3.1 Le figure commerciali
4.3.2 Le figure produttive
4.3.3 Le figure “crossmediali”
pag. 112
pag. 123
pag. 126
pag. 126
pag. 131
pag. 137
4.4 Le figure vacanti
4.5 Le figure trasformate
pag. 140
Focus TF1 e la politica di Risorse Umane
pag. 146
05. LE COMPETENZE
pag. 141
pag. 149
di Alessandra Alessandri
5.1 Le competenze dell’audiovisivo
5.2 Le competenze chiave per aziende
e lavoratori
5.3 Specializzazione o integrazione delle
competenze: la divisione del lavoro
pag. 150
pag. 153
pag. 159
5.3.1 Le newsroom digitali: giornalisti multimediali,
telecineoperatori, videoreporter
Focus Il modello produttivo di “Report”:
il videogiornalismo
pag. 168
pag. 178
PARTE TERZA
Gli step di inserimento del lavoratore
06. LA FORMAZIONE
pag. 185
di Chiara Valmachino con Francesca Borghi
6.1 Il censimento dell’offerta formativa per l’audiovisivo
in Lombardia
6.1.1 I corsi di laurea
6.1.2 Al supermercato dei Master
6.2.3 Scuole e corsi professionali
6.2 Formare: per quali professioni?
6.3 Offerta formativa e domanda delle aziende:
percezioni e valutazioni
6.4 Percorsi formativi: la valutazione dei lavoratori
6.5 Linee guida per la progettazione formativa
nell’audiovisivo
Focus La formazione europea per l’audiovisivo:
il programma Media. EURODOC e EAVE
07. ORIENTAMENTO E PLACEMENT
pag. 186
pag. 188
pag. 191
pag. 193
pag. 197
pag. 200
pag. 206
pag. 210
pag. 214
pag. 217
di Alessandra Alessandri e Francesca Borghi
7.1
7.2
7.3
7.4
Definizioni e ambiti
La ricerca: i servizi di placement e l’audiovisivo
Lo stage: la percezione di aziende e lavoratori
Linee guida per le attività di placement
Focus Il Career Center UCLA
pag. 218
pag. 219
pag. 222
pag. 227
pag. 230
08. RECRUITMENT
pag. 233
di Chiara Valmachino e Antonio Costa
8.1 Che cos’è il recruitment
8.2 La ricerca: i canali di recruitment per l’audiovisivo
e le criticità emergenti
I canali di selezione informali
L’autocandidatura
Le società di selezione del personale
Job search on line. I siti delle aziende e le società
di e-recruitment
8.2.5 Le inserzioni a modulo
8.2.1
8.2.2
8.2.3
8.2.4
pag. 234
pag. 234
pag. 236
pag. 238
pag. 239
pag. 244
pag. 249
8.3 Linee guida per le attività di recruitment
nell’audiovisivo
pag. 250
Focus I siti Internet “jobs” di BBC
pag. 252
09. INSERIMENTO LAVORATIVO E PERCORSI DI CARRIERA
pag. 255
di Alessandra Alessandri
9.1 I criteri di selezione delle aziende
9.2 L’inserimento in azienda
pag. 256
pag. 259
9.2.1 I percorsi di carriera e di sviluppo
9.2.2 La struttura “Human Resources”
pag. 259
nelle aziende audiovisive
pag. 264
pag. 265
9.2.3 La formazione in azienda
9.3 I gruppi di lavoro: stabilità e composizione
pag. 268
Focus La “diversity” nella politica HR. I casi 3M e Xerox
pag. 274
10. TEMI DI SFONDO
pag. 277
di Alessandra Alessandri
10.1
10.2
10.3
La percezione dell’andamento e delle criticità del
settore
Il territorio
Le dialettiche nell’audiovisivo
pag. 278
pag. 280
pag. 283
10.3.1 Autore vs produttore,
ragioni espressive vs ragioni di mercato
10.3.2 Prototipo vs serializzazione, artigianato vs industria
10.3.3 R&D vs marketing operativo.
Innovazione e qualità vs conservazione
Focus
pag. 284
pag. 288
10.3.4 Editori vs produttori. Oligopolio vs mercato
pag. 291
pag. 297
Le aziende che puntano sull’innovazione.
Tecniche e strategie
pag. 303
Postfazione
di Gaetano Stucchi
pag. 307
YELLOW PAGES
1.
2.
3.
4.
5.
Mappa dei mestieri
Organigrammi
Censimento aziende
Censimento dell’offerta formativa
Censimento orientamento/placement
pag. 315
pag. 341
pag. 351
pag. 373
pag. 391
Bibliografia
pag. 395
Gli autori
pag. 405
PREFAZIONE
di Fausto Colombo
La ricerca che qui viene presentata costituisce un importante contributo alla
comprensione delle trasformazioni in atto nelle professionalità legate
all’audiovisivo in un contesto fortemente mutevole, attraversato dal fenomeno
della digitalizzazione, e quindi di una innovazione profonda ed efficace delle
tradizionali modalità produttive, distributive e di consumo del settore.
Com’è noto, la trasformazione che ruota attorno alla digitalizzazione ha come
prima conseguenza lo “spacchettamento” della catena del valore. Il che significa,
in termini meno astrusi, che i soggetti implicati nel passaggio dalla ideazione
alla fruizione di un prodotto hanno mutato le proprie competenze e le proprie
aree di intervento.
Tuttavia, ciò che non viene ancora sufficientemente indagato è il riflesso sulle
concrete capacità richieste a chi sul campo si trova ad operare, ossia le ricadute
in termini professionali.
Ecco allora che questo lavoro ci mette in condizioni di riflettere su alcuni punti
essenziali, che vorrei rapidamente sintetizzare.
Primo punto: il ruolo del territorio. Uno degli effetti conclamati della digitalizzazione
è la rottura dell’invadenza delle coordinate spaziali: sappiamo bene che una
delle trasformazioni più efficaci riguarda la traducibilità di ogni tipo di segnale
in linguaggio binario, e che le caratteristiche del software permettono una
riduzione di “peso” dei files, che li rende facilmente trasferibili. Tutto ciò dovrebbe
permettere una de-specializzazione del territorio. Ma questa ricerca mostra che
il territorio lombardo continua a dovere molto - anche nel campo delle
professionalità televisive - alla propria tradizione, che vede il primato della Tv e
della pubblicità sul cinema (quest’ultimo di area prevalentemente romana).
13
Ciò dimostra, a mio parere, che anche in piena era digitale il fenomeno della
concentrazione e della specializzazione produttiva delle aree geografiche rimane
centrale. E rimane tale per il semplice fatto che la specializzazione di un
territorio è un mix in cui la tecnologia gioca solo una parte dei ruoli in commedia:
gli altri ruoli sono rivestiti da elementi economici e culturali non indifferenti, che
orientano tanto le risorse finanziarie quanto la formazione formalizzata o
informale, nonché, entro certi limiti, le vocazioni professionali. Come accade per
i distretti industriali, esiste un orientamento del territorio, che non si modifica in
tempi brevi.
Secondo punto: il governo dei fenomeni. In questo campo il mercato la fa da
padrone, in assenza quasi totale di orientamento politico. Questo da un lato
risponde a una tradizione ormai ventennale che ha portato alla dismissione
sostanziale del polo pubblico (la RAI milanese), e che ha lasciato ai soggetti
(grandi e piccoli) della Tv commerciale il compito di coltivare l’area; dall’altro
sembra segnare alcune incertezze sul futuro. Perché il mercato da solo non
sempre guarda lontano, e invece la fase di trasformazione delle piattaforme e
dei prodotti richiederebbe oggi un pensiero strategico in grado di offrire soluzioni
ai soggetti economici e imprenditoriali, pur lasciandoli ovviamente liberi di agire
nel rispetto delle loro competenze e capacità.
Terzo e ultimo punto: la necessità di luoghi di ricerca e di sedimentazione delle
conoscenze sul campo come luoghi di riflessività. Qui vale la pena di spendere
una parola sul ruolo che la Triennale di Milano ha avuto nello stimolo e nella
promozione di questo lavoro. Non è un caso che una struttura investita in pieno
dal nuovo significato del fare cultura su un’area metropolitana come Milano, si
proponga come zona di dibattito e di autocoscienza delle professionalità e delle
risorse imprenditoriali di questo settore così centrale nella cultura di un Paese.
Non è un caso, perché Triennale sta producendo attraverso le proprie iniziative
un esempio di come OGNI iniziativa culturale debba costituire una occasione di
riflessione prima di un auspicabile balzo in avanti. Questa ricerca va inquadrata
(anche) in questa prospettiva. E come tale è un segnale importante di come le
cose stiano mutando, anche nel più generale panorama della produzione culturale.
14
INTRODUZIONE
OBIETTIVI E
METODOLOGIA
DELLA RICERCA
di Alessandra Alessandri
perché questa ricerca
L’area occupazionale del settore Audiovisivo è un’area raramente indagata in modo
sistematico, e anzi spesso affrontata con la rassegnazione di aver a che fare con
un ambito restio a classificazioni, etichette, regole, definizioni.
Si tratta di un mondo eterogeneo: lavorare nel cinema è molto diverso che
lavorare nella televisione, chi lavora nel documentario si sente estraneo al mondo
delle soap, per non parlare di settori specialistici come quello dell’animazione.
È un ambito in cui non esiste una vera e propria codifica delle figure professionali,
non solo a livello nazionale, ma addirittura tra azienda e azienda: in Italia si registrano figure similari classificate diversamente nei vari contratti, etichette del
tutto disomogenee che corrispondono alle stesse figure, figure esistenti contrattualmente ma non ancora accolte nella prassi. In particolare, il settore televisivo, più
ancora di quelli cinematografico e pubblicitario (in cui esiste da anni una bibliografia, una manualistica e una formazione formalizzate che codificano ruoli, iter
professionali e competenze), resta contraddistinto da un’anomalia per cui l’attribuzione di ruoli e competenze è discrezionale e arbitraria; nemmeno le poche opere
enciclopediche sulla televisione contengono definizioni sui profili e ruoli
professionali.
Il fenomeno è stato favorito dalla conformazione duopolistica del mercato televisivo
italiano, che non ha favorito il nascere di un vero e proprio mercato professionale.
Anticipando alcune delle conclusioni cui si giungerà nel capitolo finale, i nodi che
aziende e lavoratori denunciano come critici sembrano essere sostanzialmente
due: per le aziende le competenze degli aspiranti lavoratori, per gli aspiranti
lavoratori l’accesso al lavoro stesso.
17
Le affermazioni di molte aziende del settore pongono l’accento, tra l’altro, su un
problema di competenze e di preparazione effettiva degli aspiranti lavoratori, che in
molti casi sarebbe frutto di una formazione poco in linea con le loro esigenze:
“manca la vera formazione”, “la specificità delle nostre aziende impone una sorta
di tirocinio ad hoc”. Il presupposto quasi unanimemente condiviso per cui si tratta
di un settore in cui “si impara solo sul campo” (alibi che spesso copre una mancanza di preparazione specifica) non ha impedito infatti il nascere di una offerta formativa molto ampia, che a volte sembra però più attenta ad assecondare la
domanda degli aspiranti lavoratori, attratti da un mondo che appare anche più
luccicante e invitante di quanto non sia in realtà, che non a formare professionisti
con una possibilità concreta di collocarsi sul mercato lavorativo.
Per questo motivo abbiamo esteso lo spettro di indagine, da una parte alle scuole
e ai requisiti che esse dovrebbero avere per offrire risorse più preparate e con
maggiori chances di inserimento, dall’altra alle competenze che le aziende ritengono necessarie.
L’assenza di canali di reclutamento ufficiali (al di là delle scuole) e l’inesistenza
di società di selezione con competenze specifiche sul settore favoriscono invece
la sensazione di molti giovani che si scontrano con la difficoltà non solo di trovare
lavoro ma persino uno stage gratuito: la sensazione che si tratti di un mondo
impenetrabile e poco trasparente nelle sue dinamiche di accesso.
“La mancanza di una rete di informazioni strutturata impedisce di avere continuità
lavorativa”; “L’accesso, non solo alle posizioni, ma, cosa ancor più grave, alle occasioni di contatto e alle informazioni stesse, indispensabili per potersi “muovere” con
profitto, è ormai diventata prerogativa di pochi privilegiati, all’insegna di un ritorno ad una realtà feudale anacronistica ma mai tramontata”. Al di là degli accenti
pessimistici, la denuncia di questi due “lavoratori audiovisivi” nel compilare il nostro
questionario ci ha incoraggiati nel ritenere importante un lavoro di
sistematica e approfondita indagine, che mettesse a disposizione dei lavoratori
attuali e futuri un corpus di informazioni concrete per accedere a nuove e più
soddisfacenti occasioni lavorative. Queste informazioni non possono limitarsi ad
una maggiore circolazione delle offerte di lavoro (cosa che è pure auspicabile),
ma devono dare strumenti di conoscenza effettiva del mercato occupazionale:
quali sono le aziende, quali i settori produttivi, quali le modalità produttive, quali
i ruoli e le mansioni, quali le competenze, quali le scuole.
È per questo che il volume contiene anche un’ampia sezione di “yellow pages”:
utilities di consultazione, ancor più facilmente accessibili in forma di database sul
sito www.tvjob.it.
18
il campo di indagine
Per le ragioni che articoleremo più diffusamente nel primo capitolo, abbiamo
deciso di circoscrivere il nostro campo di osservazioni ai lavoratori e alle imprese
che rientrano in questa definizione: “emittenti televisive, produttori e distributori di
programmi televisivi di intrattenimento, di infotainment, di news e sport, documentari,
animazioni, fiction, spot pubblicitari, crossmedia”.
Il campione e le relative considerazioni quantitative si riferiscono alla Regione
Lombardia, che ha voluto sostenere questa iniziativa, ma la maggior parte delle
considerazioni qualitative possono essere estese alla realtà nazionale dell’audiovisivo.
Questo settore è stato indagato in diversi aspetti:
• definizione del comparto e articolazione della filiera produttiva;
• censimento e classificazione delle aziende;
• quantificazione e profilo degli addetti;
• mappatura e classificazione delle competenze, delle aree e degli ambiti
professionali, delle figure professionali e delle mansioni;
• individuazione delle figure professionali scomparse, da riqualificare, vacanti,
strategiche, e analisi in profondità di queste ultime;
• individuazione delle competenze chiave e delle tendenze in merito alla loro
specializzazione o integrazione, anche alla luce delle trasformazioni imposte
dal digitale;
• censimento dell’offerta formativa a tutti i livelli, valutazione della stessa da
parte di aziende e lavoratori, e formulazione di linee guida per la progettazione
di iniziative formative;
• censimento e analisi dell’offerta di servizi di orientamento e placement; analisi
dello strumento dello stage, formulazione di linee guida per le attività di
placement;
• censimento dei canali di reclutamento, e dell’offerta di job on line in particolare;
• analisi delle modalità di organizzazione del lavoro, delle eventuali strutture di
Risorse Umane aziendali, dei gruppi di lavoro produttivi;
• individuazione e analisi delle criticità indicate dalle aziende e dai lavoratori, dalle
associazioni di categoria e dai sindacati;
• individuazione dei temi che dalle Risorse Umane portano a tematiche di
settore più ampie: l’analisi del tema dell’outsourcing produttivo e del rapporto
tra editori e produttori, la definizione di qualità dell’audiovisivo e, in particolare,
del prodotto televisivo in confronto ad altri settori audiovisivi e il rapporto
delle imprese con il territorio e le istituzioni.
19
Questi ultimi aspetti, che sembrano esulare dalla tematica stretta del lavoro
audiovisivo, ci sono parsi imprescindibili: le interviste agli operatori del settore, e
soprattutto ai lavoratori, ci hanno spesso condotto dalle tematiche occupazionali
più specifiche da cui eravamo partiti (ruoli, scuole, accesso) a questioni più
ampie. Le aziende hanno infatti spesso rimandato a problemi più strutturali, di mercato o istituzionali, che si ripercuotono inevitabilmente sulla loro attività e quindi
anche sulle loro risorse. I lavoratori stessi, inoltre, hanno indicato come criticità del
proprio quotidiano non solo temi come quello della precarietà o della retribuizione, ma
spesso aspetti più sistemici come la capacità delle loro aziende di investire in
Ricerca & Sviluppo, oltre che nelle Risorse Umane, la qualità del proprio output e
il ruolo delle imprese in cui lavorano rispetto al mercato complessivo.
Per questo la ricerca, partita come ricerca sulle “professionalità dell’audiovisivo
in Lombardia”, si è poi allargata all’intero mondo del “lavorare nell’audiovisivo”: il
tentativo è ambizioso e sicuramente comporta il rischio di estendere
indefinitamente l’oggetto di analisi, ma abbiamo preferito puntare ad una visione
estensiva e il più possibile esaustiva di tutte le problematiche connesse incontrate
sul cammino, piuttosto che un’analisi accademica sui meri aspetti occupazionali.
Senza dubbio molti aspetti avrebbero meritato una trattazione a parte, specifica
e più ampia, ma abbiamo comunque scelto di accennarvi per rendere conto della
complessità dei fattori coinvolti.
La ricerca è stata condotta dal novembre 2005 al maggio 2006.
le metodologie utilizzate
Per affrontare uno spettro così vasto ed eterogeneo di tematiche abbiamo scelto
di incrociare varie metodologie.
La fase desk è stata limitata dal fatto che esiste nel campo una bibliografia
piuttosto scarsa, utilizzabile più come spunto da territori limitrofi meglio studiati
(cinema, pubblicità, TLC) che come vera fonte informativa specifica.
Anche la sola laboriosa attività di censimento delle imprese ha comportato l’utilizzo
di numerose fonti bibliografiche che sono state incrociate, aggiornate e messe a
confronto con le associazioni di categoria. Ancora più complessa l’elaborazione
delle mappe professionali, che hanno comportato l’incrocio di una manualistica e
una contrattualistica parziali e spesso contraddittorie tra loro, con la realtà emersa
dalla fase field.
Per quanto riguarda le metodologie field questo il dettaglio degli strumenti utilizzati.
20
Strumenti quantitativi:
• questionario somministrato on line all’intero universo delle 272 aziende
censite, con una redemption del 47% pari a 127 questionari compilati entro la
scadenza richiesta, dalle aziende direttamente on line o telefonicamente;
• questionario anonimo 1 somministrato on line ad un campione (reperito con
modalità snowball 2) di lavoratori dell’audiovisivo lombardo, per un totale di
100 questionari compilati entro la scadenza richiesta 3;
• questionario anonimo somministrato on line all’intero universo delle 21 realtà di
orientamento e placement lombarde (uffici placement universitari, centri di
orientamento e sportelli stage), con una redemption del 76%, pari a 17
questionari compilati.
Tutti i questionari 4 erano a domande chiuse (tranne che per la possibilità di inserire
testi liberi nel caso di altre risposte rispetto a quelle previste tra le opzioni).
Sono inoltre state elaborate alcune considerazioni statistiche sia sul censimento
dell’offerta formativa (ad esempio in merito alle competenze formate e agli ambiti
professionali in uscita, all’utilizzo dello strumento dello stage, ai costi, ecc), sia
sul censimento delle aziende (ad esempio sulla distribuzione territoriale, sulle
tipologie di attività e sulla loro eventuale segnalazione di offerte di lavoro 5).
Strumenti qualitativi:
• interviste personali semistrutturate a 25 individui (titolari, responsabili del
personale, responsabili di produzione, produttori esecutivi) appartenenti ad
un panel di 20 aziende rappresentative dell’universo censito, sia per tipologia di prodotto che per dimensione di fatturato;
• interviste personali semistrutturate ai rappresentanti (Presidenti, Direttore
Generale, Segretario generale) delle quattro più rappresentative associazioni
di categoria (Frt per le emittenti, Apt, App e Doc.it per i produttori);
1
2
3
4
La scelta di utilizzare questionari anonimi, che quindi non richiedessero l’identificazione del rispondente, è stata
fatta nel caso dei lavoratori e nel caso degli uffici placement, laddove si riteneva che consentisse una maggior
libertà di espressione. Allo stesso modo si è garantito ai lavoratori intervenuti ai focus group sotto descritti il
totale anonimato (le loro dichiarazioni sono riportate citando la loro mansione e la tipologia di azienda in cui
lavorano).
La metodologia di reperimento del campione snowball comporta l’allargamento di un numero iniziale limitato di
soggetti, individuati da scuole e aziende, grazie al fatto che i primi contattati divengono essi stessi canale di
comunicazione rispetto a colleghi, collaboratori e superiori, comunicando loro il questionario e coinvolgendoli
nella ricerca.
Naturalmente la scelta della modalità snowball non consente una stratificazione del campione, tale da
rispecchiare in modo omogeneo tutte le possibili variabili: nel campione sono presenti lavoratori con inquadramenti
contrattuali e livelli molto differenziati (dal runner al supervising producer), appartenenti a differenti aree
aziendali (di linea e di staff). D’altro canto è prevalente la presenza di lavoratori di giovane età e di bassa
anzianità aziendale: questo sia perchè uno dei canali di reperimento dei nominativi di partenza era rappresentato
da enti di formazione, sia perchè presumibilmente l’interesse a questo tipo di indagine decresce all’aumentare
dell’età e dell’anzianità aziendale stessa.
In una fase preliminare di ricerca è invero stato somministrato un ulteriore questionario on line nominativo,
21
• interviste personali semistrutturate a esponenti dei più rappresentativi
sindacati dei lavoratori;
• focus group con lavoratori appartenenti ai tre ambiti professionali indicati
come strategici dalle aziende nei questionari (figure “crossmediali”, commerciali,
produttori).
Sono inoltre state citate affermazioni di esperti del settore riportate in un paio
di importanti convegni sul settore svoltisi nel periodo della ricerca 6.
Riportiamo qui una sintesi degli ambiti e degli strumenti utilizzati.
5
6
all’intero universo di 280 aziende di selezione del personale lombarde. Il questionario ha avuto una redemption
del 6%, pari a soli 16 questionari compilati, il che ha offerto comunque il dato di una sostanziale estranietà e
disinteresse dei selezionatori di personali al campo audiovisivo, come tratteremo nel capitolo dedicato al recruiting.
Tutte le elaborazioni sono state effettuate tramite l’utilizzo del programma di analisi statistica SPSS 13.
Si tratta del convegno “Dal lavoro come diritto al lavoro come optional. Le prospettive del settore audiovisivo”,
17-18 marzo 2006, Università La Sapienza di Roma, e del Convegno “L’impegno di Milano per una nuova RAI
organizzato da Provincia di Milano, Triennale di Milano, 11 e 12 maggio 2006.
22
Interviste personali a Presidenti,
Direttori generali e Segretari Generali.
3 focus group sulle figure chiave indicate come strategiche dalle aziende
=
Messa on line sul sito www.tvjob.it di
annunci di lavoro
=
Job search / recruiting
- Censimento e analisi del job
search on line
- Analisi del job search a mezzo
stampa
Somministrazione di un questionario on
line all’intero universo delle società di
selezione lombarde
Elaborazione linee guida per la progettazione di nuove iniziative di orientamento
=
Somministrazione di un questionario on
line anonimo all’intero universo
Uffici placement universita- Censimento soggetti
ri e centri di orientamento
=
=
- Censimento dell’offerta formativa
ai vari livelli
- Analisi dell’offerta formativa
Enti di formazione
23
- Database corsi di formazione
(anche on line nel sito www.tvjob.it)
- Elaborazione linee guida per la progettazione
di nuove iniziative di formazione
=
Interviste a esponenti dei sindacati più
rappresentativi
=
=
Organizzazioni sindacali
Database mestieri
(anche on line nel sito www.tvjob.it)
Somministrazione di un questionario on
line anonimo (metodologia reperimento
campione: snowball)
Mappatura delle figure professionali, degli organigrammi, delle
competenze
Lavoratori
=
Database aziende
(anche on line nel sito www.tvjob.it)
Interviste personali semistrutturate a
25 rappresentanti di un panel di 20
aziende rappresentative
Somministrazione di un questionario on
line (+ recall telefonico) all’universo
- Censimento e classificazione
operatori (271 aziende)
- analisi in profondità degli operatori
più significativi
Aziende
Associazioni di categoria Individuazione delle associazioni
più rappresentantive sul territorio
=
=
=
Progettazione strumenti
progettuali e operativi
Metodologia field
approccio qualitativo
Metodologia field
approccio quantitativo
FASE PROGETTUALE
- Individuazione
settori/prodotti/tipologie soggetti
- Individuazione oggetto di analisi
Metodologia desk
FASE DIAGNOSTICA
Mercato audiovisivo
lombardo
Soggetto di
riferimento
FASE ESPLORATIVA
Ambiti della ricerca e metodologie utilizzate
Tipologia
azienda
Valeria Bollati
Cristina Lippi
Dario Rodino
Paolo Agostinelli
Anna Di Sabato
Nazionale; analogico terrestre, digitale terrestre, crossmedia
Nazionale; analogico terrestre, satellitare, crossmedia
Nazionale, satellitare
Nazionale, crossmedia
Pluriregionale, analogico terrestre
Locale, analogico terrestre/digitale terrestre/satellitare
Programmi tv di intrattenimento, fiction televisive
Fiction televisive, programmi tv di intrattenimento
Fiction televisive
Documentari
Programmi tv di intrattenimento, fiction televisive, spot/filmati
industriali, videoclip, eventi
Documentari, film
Documentari, spot/filmati industriali
Animazione, spot/filmati industriali
Crossmedia, programmi tv di intrattenimento, animazione
Spot/filmati industriali
Editore
Editore
Editore
Editore
Editore
Editore
Produttore
Produttore
Produttore
Produttore
Produttore
Produttore
Produttore
Produttore
Produttore
Produttore
RTI - Gruppo Mediaset
MTV Italia
Disney Channel
Fastweb
Profit (Odeon)
Telenova
Magnolia
Grundy
Mediavivere
Kenzi
Film Master Group
Mir cinematografica
Anni Luce
Demas & partners
Neonetwork
Flying
Luca Giberna
Matteo Scortegagna
Elisabetta Levorato
Evelina Poggi
Paolo Lipari
Gianfilippo Pedote
Marco Balich
Annamaria Gallone
Bruno Stefani
Luca Improta
Nanni Mandelli
Giorgio Gori
Cristiana Molinero
Alessandro Tedeschi
Giusto Truglia
Nicola Calabrese
Nazionale; analogico terrestre, digitale terrestre
Intervistati
Editore
Modalità emissione canali/
generi principali produzione
RAI
interviste panel aziende
Società
Il panel degli intervistati
Executive producer
Responsabile Contenuti e produzione
Amministratore unico
Direttore di produzione
Titolare
Titolare
Amministratore delegato
Titolare
Produttore esecutivo
Organizzatore generale
Produttore esecutivo
24
Presidente e Amministratore Delegato
Produttore esecutivo
Produttore esecutivo
Vice direttore generale Multimedia San
Paolo, direttore testata giornalistica e
palinsesto Telenova
Direttore generale
Head of Media & Tv
Vice President Production & Operations
Responsabile Risorse Umane
Responsabile Sviluppo Risorse Umane
Responsabile Personale
Direzione produzioni Milano
Mansione
Tipologia
azienda
Associazione Produttori Fiction e Intrattenimento
Associazione Produttori Pubblicitari
Associazione Documentaristi (Produttori e Autori)
Federazione Radio e Televisioni private
=
=
=
Associazione
Categoria
Associazione
Categoria
Associazione
Categoria
Associazione
Categoria
Sindacato
Lavoratori
Sindacato
Lavoratori
Sindacato
Lavoratori
APT
APP
DOC/IT
FRT
CISL Fistel
CGIL SLC
RSU RAI
altri soggetti intervistati
Documentari
Programmi tv di intrattenimento
Produttore;
servizi alla
produzione
3zero2 tv
CDI - Camera Distribuzioni Distributore
Internazionali
Documentari, spot/filmati industriali
Produttore
Modalità emissione canali/
generi principali produzione
Metamorphosi
interviste panel aziende
Società
General manager
Dario Barone
Segretario Generale SLC Lombardia
Segretario SLC Lombardia
Bruno Cerri
Vanda Muzzioli
RSU RAI
Segretario Generale Fistel Lombardia
Renato Zambelli
Andrea Corbella
Direttore Generale
Presidente
Alessandro Signetto
Stefano Selli
Presidente
Antonio Canti
Segretario generale
Direttore generale
Facility manager
Uberto Rasini
Mattias Brahammar
Chiara Sbarigia
Socio e regista
Mansione
Marco Poma
Intervistati
25
output finali
Oltre al presente volume, che rende conto analiticamente di tutti i risultati della
ricerca, sono stati elaborati un abstract riassuntivo di più agevole consultazione
con scopi divulgativi e il sito Internet www.tvjob.it, allo scopo di mettere a
disposizione in forma di database, come già detto, un corpus di informazioni utili
in termini di aziende, scuole e corsi, ruoli professionali (figure e mansioni). Il sito
comprende una serie di link che possono rappresentare utili strumenti di
informazione o aggiornamento per i lavoratori audiovisivi, attualmente privi di un
portale di riferimento di settore.
Tutti gli output sono distribuiti in forma gratuita a chiunque ne faccia richiesta 7.
I risultati analitici della ricerca sono qui presentati in tre sezioni: la prima, dopo
una premessa definitoria sull’audiovisivo e sui soggetti della catena del valore
televisiva, focalizza la sua attenzione sulle aziende (la loro distribuzione territoriale,
la loro composizione, i dati fondamentali) e sui lavoratori (numero e profilo degli
addetti, trend occupazionali). Fonti di questa prima sezione sono i dati desk di
settore, i dati “anagrafici” provenienti dal nostro censimento, e i dati
quantitativi sugli organici forniti dalle aziende stesse in sede di compilazione del
questionario; le considerazioni emerse nella fase field qualitativa (interviste e
focus group), anche se collegate ai temi qui introdotti (es. outsourcing produttivo
editori-produttori, relazione Telco-audiovisivi), sono invece approfondite nei
capitoli successivi.
Nella seconda parte si parla di mestieri, qualifiche, ruoli professionali e competenze, nel tentativo di compiere una sistematica ricognizione (riflessa nella mappa
dei mestieri pubblicata integralmente in appendice) e allo scopo di indagare su
competenze chiave e figure chiave. Entrano qui in gioco considerazioni espresse
da aziende e lavoratori, a proposito di temi come le tendenze in atto e i cosiddetti
job/skill shortage.
Nell’ultima parte si affrontano, infine, tutti gli step di inserimento professionale
del lavoratore: dalla formazione iniziale (sia a livello universitario che di Master che
di scuole/corsi professionali) al placement (e al suo strumento principe, lo stage),
alla selezione (canali e criteri di selezione) alla formazione continua (in azienda e
non), all’inserimento in azienda, con le relative problematiche organizzative. Nel
capitolo finale verranno affrontate e riunite tutte quelle tematiche “macro” che costi-
7
Sul sito www.tvjob.it è possibile infatti compilare un form per richiedere copia gratuita del presente volume e/o del
l’abstract sintetico.
26
tuiscono lo sfondo di un tema come le Risorse Umane e che impattano su di
esse: la definizione di qualità, il ruolo delle aziende, l’andamento del mercato, le
criticità del settore. Una nota di speranza viene espressa elencando i consigli che
gli imprenditori intervistati hanno suggerito agli aspiranti lavoratori per un felice
inserimento lavorativo.
Nella seconda e nella terza parte si avrà la possibilità di confrontare spesso il
punto di vista delle aziende e quello dei lavoratori, accostando non solo e non
tanto le risposte percentuali ai questionari delle aziende e dei lavoratori 8, ma
soprattutto le dichiarazioni rilasciate dai vari intervistati (aziende, associazioni di
categoria, rappresentanti sindacali, lavoratori intervenuti ai focus group) 9.
Ogni capitolo è preceduto da un Abstract che ne preannuncia sinteticamente i
contenuti (dando la possibilità di una lettura “modulare” al lettore che sia
interessato solo ad alcuni aspetti della ricerca), e seguito da un breve Focus che
fornisce uno spunto di riflessione tratto dalla situazione internazionale, senza pretese
di sistematicità e di completezza, ma a titolo di suggestione, e spesso di benchmark.
8
9
Come avvertenza metodologica sottolineiamo che i lavoratori rispondenti ai questionari non sono statisticamente
rappresentativi delle decine di migliaia di lavoratori del settore, ma che abbiamo voluto comunque elaborare
alcune considerazioni quantitative per quei fattori che ci sono parsi più significativi e meno viziati da una
composizione non scientifica (ad esempio più sbilanciata sui lavoratori giovani che non su quelli anziani, per
vari motivi).
Nel caso delle aziende, delle associazioni di categoria e dei rappresentanti sindacali le dichiarazioni sono
sempre attribuite al singolo intervistato (cfr. panel sopra riportato), mentre nel caso dei focus group si è come
detto rispettato l’anonimato, citando solo la qualifica e la tipologia di azienda.
27
PARTE PRIMA
MERCATO, AZIENDE
E LAVORATORI
30
01
IL COMPARTO DELL’AUDIOVISIVO
E I SUOI SOGGETTI
di Alessandra Alessandri
In questo primo capitolo si affrontano alcune questioni preliminari alla ricerca,
come l’identificazione del comparto audiovisivo rispetto alle varie definizioni in
uso (Istat e Isfol in particolare), e la classificazione della tipologia di soggetti che
costituiranno il campo di indagine dei capitoli successivi. Oltre che per
delimitare le aziende campione e per individuare il focus della nostra analisi
(emittenti televisive e produttori), analizzare la catena del valore e i soggetti
della filiera produttiva servirà a chiarire alcuni problemi che saranno poi
chiamati in causa dagli stessi lavoratori nel corso delle interviste: tra tutti, il nodo
fondamentale del rapporto tra editori e produttori, e il territorio di confine tra le
imprese di telecomunicazioni e quelle dell’audiovisivo tradizionale.
La suggestione del Focus citerà alcune emittenti tv internazionali, che hanno siti
internet dedicati al rapporto con i propri fornitori di contenuti.
31
1.1 Definire il comparto audiovisivo
“La prima difficoltà nell’analizzare il settore audiovisivo consiste nelle molteplici
definizioni del settore stesso”: con questa premessa l’Annuario 2005 dello
European Audiovisual Observatory (EAO) tenta una classificazione pragmatica del
settore, che integri e superi le categorizzazioni attualmente in uso.
Ne citiamo tre, a testimoniare l’arbitrarietà dei confini dell’audiovisivo.
Una prima categorizzazione è quella della nomenclatura delle attività economiche
NACE, creata dall’organo statistico della Commissione Europea Eurostat nel
1970, aggiornata nel 1990 e adottata obbligatoriamente in tutti i paesi della UE,
valida fino alla modifica sostanziale delle categorie prevista per il 2007, e recepita
in Italia da ISTAT: le aziende che svolgono attività economiche nel settore audiovisivo dovrebbero trovare collocazione all’interno della macrocategoria 92 delle
“Attività ricreative, culturali e sportive” 1, e in particolare nelle categorie 92.11
“Produzioni cinematografiche e di video” 2, 92.12 “Distribuzioni cinematografiche
e di video” 3, e 92.2 “Attività radiotelevisive” 4.
Questo raggruppamento, che coincide 5 con le classi di iscrizione alle Camere di
Commercio, ha però alcuni difetti: quello di assimilare le emittenti radiofoniche,
che evidentemente non rientrano nell’audiovisivo, a quelle televisive (per il fatto che,
storicamente, le attività radiotelevisive erano svolte unitariamente dalle medesime
organizzazioni), e soprattutto quello di ignorare i legami tra la produzione audio
visiva e le telecomunicazioni, laddove le commistioni tra media e informatica/telecomunicazioni (l’abusato tema della “convergenza”) rappresentano ormai una
1
2
3
4
5
Oltre alle tre categorie citate, nella macrocategoria 92 “Attività ricreative, culturali e sportive” rientrano anche
le Proiezioni Cinematografiche, Creazioni e interpretazioni artistiche e letterarie, Gestione di sale di spettacolo,
Discoteche sale da ballo/night clubs, Circhi e altri Spettacoli Itineranti, Altre attività di Intrattenimento e
Spettacolo, che evidentemente non rientrano nell’ambito audiovisivo e quindi nel nostro campo di indagine.
La definizione Istat di “produzione e post-produzione audio e pellicole cinematografiche, noleggio film, acquisizione
diritti cinematografici e Tv” recita: “Produzione di spettacoli cinematografici con l’intervento o meno di attori, su
pellicola e su videotape, per la proiezione diretta in sale cinematografiche o per la trasmissione in televisione;
produzione, in uno studio cinematografico o in laboratori speciali per film di animazione o cartoni animati, di
lungometraggi, documentari, cortometraggi ecc. ai fini di intrattenimento, pubblicitari, di istruzione, di formazione e
di diffusione di informazioni, compresi i film di soggetto religioso e i cartoni animati di qualsiasi tipo; attività
ausiliarie per conto terzi, quali le attività di montaggio, di doppiaggio ecc”.
La definizione Istat di “Distribuzioni cinematografiche e di video” recita: “Distribuzione di pellicole cinematografiche
e di videotape alle altre industrie ma non al pubblico, vendita e/o noleggio di pellicole o nastri a fini di
intrattenimento o per la diffusione televisiva. Inoltre le attività connesse alla distribuzione di pellicole e di
videonastri, quali prenotazioni, consegne, immagazzinamento ecc”.
“Tutte quelle imprese che svolgono attività connesse alla produzione di programmi radiofonici e televisivi, sia
in diretta, sia registrati su nastro o altro supporto, in combinazione o meno con la loro trasmissione. Tali program
mi possono essere prodotti a fini di intrattenimento, di promozione, di istruzione, di formazione, o di diffusione
di notizie anche su nastri che possono essere venduti, noleggiati o conservati per la trasmissione o per
successive diffusioni”.
Sulle cautele da usare rispetto ai dati della Camera di Commercio per la quantificazione delle aziende
effettivamente operanti nel nostro settore di indagine, si veda il capitolo successivo.
32
quota significativa del comparto. La riprova è che “vecchi e storici protagonisti
della produzione di film, dischi, trasmissioni radiotelevisive sono stati assorbiti da
nuove organizzazioni provenienti da settori contigui” (Censis Videoplay 2000),
iscritti nei registri della Camera di Commercio in aree estranee al settore 92.
Un’altra evidenza delle difficoltà del sistema NACE-ISTAT nel classificare le nuove
attività derivanti dalla rivoluzione digitale viene da un’indagine compiuta nel 2005 in
Francia: le 146 compagnie che pubblicano prodotti o servizi multimediali - la
maggioranza delle quali nata dopo il 1995 - sono classificate con ben 34 diversi
codici NACE (EAO 2005).
Per tutti i motivi sopra elencati, lo European Audiovisual Observatory propone un
superamento delle classificazioni NACE, e una suddivisione del comparto
audiovisivo in quattro branche tradizionali: film, televisione, home video, altre
forme di prodotti audiovideo (produzione di spot, produzione corporate ed
educational…), a cui vengono aggiunti i multimedia di intrattenimento, in cui sono
inclusi i videogames. Il problema di questa categorizzazione è che vengono assimilati
generi di prodotto e semplici canali distributivi degli stessi (come ad esempio
l’home video), laddove lo stesso prodotto ha normalmente un complesso ciclo di
sfruttamento distributivo con finestre plurime: l’esempio classico è quello del
lungometraggio cinematografico, che viene distribuito, successivamente alla
circolazione theatrical in sala, nel video on demand e nell’home video, nella pay
tv, nella tv free, oltre a dare origine a sfruttamenti collaterali come quelli del
licensing e del merchandising (ad esempio con i tie-in dei videogames relativi).
Un altro approccio è quello di considerare come area occupazionale omogenea il
settore “Audiovisivi/Spettacolo/Pubblicità”: si tratta della scelta dell’Isfol, che
supera il criterio merceologico Istat e giustifica l’assimilazione di cinema, tele
visione, pubblicità, radio, danza, teatro, musica e spettacoli dal vivo con la
motivazione, peraltro condivisibile per molti aspetti, della “oggettiva contiguità dei
contenuti operativi, delle significative analogie nei processi di produzione, della
marcata trasversalità di numerosi profili professionali caratteristici” (Isfol Studio
di Area).
Rimane comunque dubbia la possibilità di rendere del tutto omogenee aree come
quella dell’audiovisivo e quello dello spettacolo live, che mantiene sue evidenti
specificità (tra cui l’assenza di supporti e della fase di postproduzione).
La scelta adottata nella presente ricerca è quella di delimitare l’oggetto di indagine
all’attività televisiva, sia di produzione che di emissione, e ai suoi link con la pubblicità
per quanto concerne l’audiovisivo pubblicitario (spot pubblicitario/filmato
33
industriale) e le telecomunicazioni (includendo i cosiddetti “new media”, come le
tv via web o le iptv, e i prodotti “crossmedia” o “multicanale”, cioè progettati per
essere veicolati da più piattaforme, come ad esempio tv sat, tv free, web,
mobile, ecc.). 6
Utilizzando il diagramma del macrocomparto della comunicazione stilato da
Censis (Censis 1999) si possono evidenziare i nostri campi di interesse.
Telecomunicazioni
Informatica
Attività audiovisiva
e radiotelevisiva
Spettacolo e
intrattenimento
Pubblicità
Editoria
Fonte: elaborazione Labmedia da Censis 1999.
6
Per semplicità di lettura, in tutta la ricerca, compreso il censimento aziende riportato in appendice e consultabile
in forma di database nel sito www.tvjob.it, ogni commistione tra audiovisivo tradizionale e telecomunicazioni è
stata riportata con l’etichetta di “crossmedia”, in una accezione quindi più ampia di quanto solitamente essa
comprenda.
34
Ciò per rendere centrale il medium televisivo e tutti i generi da esso veicolabili:
• programmi televisivi di intrattenimento;
• programmi televisivi di infotainment e/o educational;
• programmi televisivi di news e/o sport;
• fiction televisive;
• documentari;
• animazioni;
• spot pubblicitari;
• crossmedia.
Tutti gli altri prodotti audiovisivi, tra cui soprattutto i lungometraggi cinematografici,
rientrano nella ricerca solo in quanto prodotti dalle medesime aziende del nostro
universo (ad esempio, se una casa di produzione produce sia cinema che
documentari o fiction è stata inclusa, ma non se produce o distribuisce o proietta
esclusivamente cinema). La scelta di tenere il cinema in secondo piano è
motivata, oltre che dalla sostanziale diversità della filiera rispetto al ciclo produttivo
televisivo 7, anche dall’identificazione quasi assoluta tra settore cinematografico
e territorio laziale.
Naturalmente si tratta di prodotti diffusi su più canali: solo i primi tre generi citati hanno una esclusiva destinazione televisiva, mentre già per alcune fiction e per
gli spot pubblicitari siamo in una zona che eccezionalmente può confinare con la
sala cinematografica; per i documentari e le animazioni si tratta di prodotti sia
televisivi che home video e, più raramente, cinematografici; i prodotti crossmedia,
come detto, sono per definizione multipiattaforma o multicanale e vengono
prodotti sia per la messa in onda televisiva che internet che su mobile, anche se
il medium trainante resta quello televisivo.
Il settore così inquadrato è comunque molto ampio per la varietà dei formati e dei
cicli produttivi: si va dal lungometraggio cinematografico da 90’-120’, che ha un
tempo medio di gestazione di alcuni anni, al documentario, da 26’ a 54’, che ha
un tempo medio di gestazione di 12/24 mesi, allo spot da 30”, con un tempo
medio di gestazione di 60 giorni. I programmi televisivi poi sono molto diversi gli
7
Naturalmente il territorio di confine tra cinema e le fiction non seriali come tv movie e miniserie è molto più
sfumato, come vedremo, sia nella distribuzione dei prodotti (ad esempio prodotti quali “La meglio gioventù” o
“Perlasca” hanno avuto una distribuzione anche cinematografica, sia nel nostro paese che soprattutto all’estero)
sia nelle figure professionali, come vedremo nella mappa delle professioni. Molti autori di miniserie insistono
sull’arbitrarietà della distinzione tra i loro prodotti e il cinema, anche se è differente lo schema di finanziamento e
il reperimento delle risorse.
35
uni dagli altri: citiamo come esempi lo speciale di intrattenimento (il gala, l’evento
sportivo o musicale), il programma settimanale, la striscia quotidiana, il telegiornale
con varie edizioni al giorno.
Ad esemplificare l’eterogeneità dei cicli produttivi, citiamo il macrogenere fiction,
all’interno del quale ci sono tre mondi completamente differenti: la fiction non
seriale (tv movie e miniserie fino a 4 puntate da 100’), la media serialità del
telefilm o della sitcom (ad esempio 13 o 26 episodi da 50’), la lunga serialità
della soap opera (centinaia di puntate di 24’).
Caratteristiche produttive dei formati di fiction
Breve serialità
Media serialità
Lunga serialità
Generi
Tv movie e miniserie
Serie/Teelefim sitcom
Soap opera
Prodotto esemplificativo
(produttore)
“Il commissario Montalbano” “Distretto di polizia”
(Palomar Endemol)
(Taodue)
“Centovetrine” (Mediavivere)
N° puntate/episodi e durata
1 (tv movie) o 2-4 puntate
(miniserie) da 100’
26 episodi da 50’
Centinaia di puntate da 24’
Supporto
Pellicola 35 mm
Pellicola 16 mm
Digitale
Costo medio orario indicativo
1.000.0000 E
450.000 E
100.000-120.000 E
Produttività media giornaliera
(minuti girati al giorno)
3’
7’
30’
Unità produttiva
(del piano di produzione)
1/2 film da 100’
13/26 episodi da 50’
1 blocco da 5 puntate da 24’
Produttività della serie
(puntate/episodi girati in una
unità di tempo)
2 film in 10 settimane
26 puntate in 45-50
settimane
2 blocchi in 8 giorni
Anticipo della scrittura sulla
messa in onda
12 mesi ca
6 mesi ca
Un mese e mezzo ca
Fonte: elaborazione Labmedia dalla Tesi di Laurea “La fiction italiana. Figure e modalità produttive tra artigianato
e industria”, di Isabella Caccialanza, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2004/5, relatore Prof.ssa Alessandra
Alessandri. I dati sono ricavati da numerosi intervistati, responsabili di fiction nazionali.
In molti casi la differenza la fa il singolo prodotto, non standardizzabile, e non è
nemmeno possibile stabilire dei parametri medi di costo (come nell’ambito degli
eventi, dell’animazione e del crossmedia).
Lo spartiacque che tradizionalmente consentiva di tracciare il confine tra due
mondi, fiction e non-fiction, e di compiere delle generalizzazioni all’interno di essi,
recentemente è stato travolto da generi ibridi come il reality, la docu-soap e la
docu-fiction, che vivono sullo stretto territorio di confine tra documentazione del
36
profilmico e creazione del mondo filmico 8.
Anche i budget di produzione dei prodotti considerati sono molto diversi, e con
essi la strutturazione degli organici: si va dal videoreporter, che da solo assume
tutte le mansioni in tutte le fasi di un breve servizio o di un reportage (cfr. capitolo
4), fino al prodotto cinematografico blockbuster, che raggiunge il massimo di
complessità e il record di quasi mille persone coinvolte. 9
1.2 La catena del valore:
tipologie di soggetti
La catena del valore dell’audiovisivo è composta da tipologie di soggetti aziendali
con differenti ruoli e responsabilità.
Fornitore di
servizi alla
produzione
Content
Provider
Produttore
Editore
Broadcaster
Service
Provider
Network
Provider
Packager
Carrier
I soggetti centrali per i contenuti sono gli editori (le emittenti tv) e i content
provider (le case di produzione che forniscono loro i programmi) e, in misura
minore, i distributori. Per questa ragione abbiamo tralasciato gli anelli a monte e a
valle, cioè i Fornitori di servizi (a meno che nonesercitassero l’attività secondaria
di produttori audiovisivi), i Service Provider e i Network Provider (a meno che non
assumessero in prima persona anche il ruolo di editori). 10
Per esaminare più da vicino le distinzioni tra i diversi soggetti, nel prossimo
paragrafo ne esplicheremo le attività fondamentalmente differenti; come si vedrà
nell’ultimo capitolo, questo tema non è solo un accademico esercizio definitorio
ma comporta un dibattito controverso come quello sull’outsourcing produttivo, e
un tema di grande attualità come quello delle “altre tv”, le nuove forme di televisione.
8
9
10
Forse oggi più che distinguere tra fiction e non fiction, ad esempio tra fiction e intrattenimento leggero, sarebbe
opportuno distinguere tra produzione originale (su concept originale) e adattamento da format internazionale.
Perretti e Negro citano l’esempio del film “Titanic”, che contava su una troupe totale di 858 persone. (Perretti
Negro 2003).
Ad esempio, tra i Network Provider mobile abbiamo incluso nel nostro censimento solo H3g in quanto anche
editore in proprio (e addirittura produttore) con La 3 Media, editore di Walk tv dal giugno 2006.
37
1.2.1 L’opzione “make or buy”.
Il rapporto tra editori e produttori
La prima attività della catena del valore citata, quella di fornitura di servizi, riguarda
tutte quelle attività necessarie al produttore, qualora non disponga internamente
di tutte le risorse di produzione. Ad esempio, tra i servizi tipicamente esternalizzati
dai produttori annoveriamo servizi “tecnici” quali l’affitto di studi di produzione e
di sale di postproduzione (e del relativo personale tecnico), il noleggio di
materiali per la ripresa e delle troupe esterne di produzione (dalla configurazione
base della troupe ENG a quella più complessa della EFP 11); ma vi sono anche
servizi “creativi” quali le attività di casting o di Ricerca e Sviluppo.
L’attività di Content Provider riguarda la produzione e la fornitura di Contenuti (i
programmi televisivi) ai broadcaster o ad altri distributori. È svolta tipicamente,
oltre che dagli agenti che svolgono funzione di intermediazione dei diritti
internazionali, dai produttori indipendenti, cioè slegati societariamente e
contrattualmente dai broadcaster. Per “produttori indipendenti” si intendono, cioè,
quegli ”operatori di comunicazione che svolgono attività di produzione audiovisiva e
che non sono controllati da / collegati a soggetti destinatari di concessione, di
licenza o di autorizzazione per la diffusione radiotelevisiva o che per un periodo
di tre anni non destinino almeno il 90% della propria produzione ad una sola emittente” 12. Come si è detto, il Produttore può avvalersi nelle fasi operative di fornitori di servizi.
L’attività di Editore, svolta ad esempio dalle emittenti televisive (broadcaster e non),
comprende invece le attività editoriali di selezione, impaginazione nel palinsesto,
programmazione e promozione dei prodotti; può comprendere l’attività di produzione,
per una parte più o meno rilevante del proprio palinsesto.
I programmi possono infatti essere autoprodotti dagli Editori stessi completamente al loro
interno (produzione in house) o delegandone la realizzazione esecutiva a produttori
indipendenti (autoproduzione in appalto), preacquistati o acquistati da produttori indipendenti,
oppure coprodotti con case di produzione indipendenti 13 o più frequentemente con editori
di altri Paesi, oppure ancora acquistati da distributori che agiscono come intermediari sui
mercati internazionali.
11
12
Per ENG si intende Electronic News Gathering, la troupe leggera composta da operatore e specializzato di
ripresa, utilizzata prevalentemente nei servizi giornalistici. Per EFP si intende invece Electronic Field Production,
una configurazione più complessa di regia mobile, da tre a dodici telecamere.
La definizione è contenuta dalla legge Gasparri del 3 maggio 2004. Sulla base di questa definizione restrittiva
non può essere considerato produttore indipendente la Fascino di Maurizio Costanzo, posseduta per il 50% da
RTI del Gruppo Mediaset. Per quanto riguarda invece gli accordi di esclusiva si è recentemente estesa la
definizione di produttore indipendente includendo anche soggetti come la Taodue di Pietro Valsecchi, che lavora
in esclusiva per Mediaset.
38
Tipologie di approvvigionamento prodotti da parte del broadcaster
Tipologia contrattuale
Modalità
Titolarità diritti
Genere tipico
Formula: autoproduzione
Produzione in house
Produzione totalmente
interna alla rete
Coproduzione
Produzione di più emittenti, Condivisione diritti
o produzione di una emittente
con un produttore
Appalto
Produzione commissionata
Proprietà integrale della rete Fiction nazionale;
ad un produttore totalmente
format di intrattenimento
Appalto di servizi
Produzione commissionata
Proprietà integrale della rete Format di intrattenimento
ad un produttore parzialmente
prodotti con risorse interne
della rete
Proprietà integrale della rete News;
parte dell’intrattenimento
Miniserie di fiction
internazionali; format
pregiati di intrattenimento
Formula: acquisto
Acquisto di licenza
Acquisto da parte della rete Proprietà del fornitore
di una licenza di trasmis(content provider)
sione di un programma finito
o di parti di esso o di un
pacchetto di film, con alcune
limitazioni temporali e nel
numero di passaggi
Film, documentario
internazionale
Acquisto di licenza
di format
Cessione ad una rete da
Proprietà del fornitore
parte dell’avente diritto del- (content provider)
l’uso di un format, soggetto
a condizioni e restrizioni.
Spesso abbinabile alla formula dell’appalto o alla
coproduzione da parte del
content provider cessionario
della licenza
Format di intrattenimento e
fiction di lunga serialità
(soap)
Diritto di ripresa
Acquisto da parte della rete Proprietà dell’organizzatore
del diritto di produrre e
dell’evento.
trasmettere eventi extratelevisivi sportivi o musicali sul
proprio mercato nazionale.
Concerti, Eventi sportivi
internazionali
Fonte: elaborazione Labmedia.
39
L’Editore classico, caso tipico dei servizi pubblici storici, è strutturato sul modello
dell’autoproduzione in house e quindi sull’integrazione verticale della catena
produttiva, e svolge direttamente come unico soggetto) tutte le attività. 14
Oppure l’editore può affidare la realizzazione esecutiva di un programma a società
sussidiarie di proprietà del gruppo, che svolgono alcune delle attività (ad es.
Mediaset affida la realizzazione esecutiva a Videotime, la “fabbrica” del gruppo,
a RTI come editore, a Elettronica Industriale come network provider e quindi per
la distribuzione del segnale). Nonostante la distinzione formale, il modello si può
considerare analogo al precedente.
La catena del valore di una autoproduzione in house RAI o Mediaset
Fornitore di
servizi alla
produzione
Content
Provider
Produttore
Editore
Broadcaster
Service
Provider
Network
Provider
Packager
Carrier
Rai
Rai
Rai
Rai
Rai Way
Videotime
Rti
Rti
Rti
Elettronica
industriale
Ci sono invece editori, come i piccoli e medi canali satellitari, che scelgono di
affidarsi quasi esclusivamente a piccolissimi produttori e ancora più spesso di
15
acquistare prodotti finiti sui mercati internazionali .
La decisione di “make or buy”, cioè di autoprodurre o di esternalizzare la
produzione, è una scelta strategica aziendale, che ha impatto non solo a livello
economico-finanziario ma anche editoriale, soprattutto nel medio-lungo periodo.
La scelta del “make” comporta risorse (costi fissi) e strutture produttive
consistenti e quindi rigide, con un rischio di impresa più alto, ma permette
La collaborazione tra editore e produttore può arrivare a forme più strette della semplice coproduzione su un
singolo prodotto: dai contratti in esclusiva per un certo periodo temporale all’acquisto da parte dell’editore di quote
del produttore stesso (es. Fascino-RTI), alla fondazione di una vera e propria società comune (il caso Mediavivere,
50% Endemol, 50% RTI)
14
“Le imprese televisive che rappresentano anche grandi produttori di programmi sono soprattutto quelle di
elevate dimensioni … e in particolar modo i soggetti pubblici, per evidenti ragioni storiche”. Cfr. DemattèPerretti 2002.
15
Una ricerca sui canali satellitari di intrattenimento condotta da Labmedia nel maggio 2005 per Fox International
Channels ha evidenziato come alcuni canali satellitari non presentino alcuna autoproduzione (Hallmark,
Paramount), altri una percentuale comunque molto bassa (Fox e Jimmy, intorno al 2%, E! Entertainment 5%);
l’unica eccezione è rappresentata da Fox Life, che ha scelto una forte impronta di localizzazione, autoproducendo
una parte significativa del palinsesto (l’8% in volume e il 21% in titoli).
13
40
l’indipendenza dai fornitori esterni, e una maggiore autonomia editoriale; quella
del “buy” consente maggiore flessibilità ma comporta il rischio di “lock in”, cioè di
eccessivo potere contrattuale dei fornitori 16. Naturalmente queste scelte variano
in funzione della tipologia di azienda e dei generi di prodotto: le emittenti pubbliche dovrebbero fare maggior ricorso all’autoproduzione, anche per ottimizzare le
numerose risorse interne produttive e umane, mentre per quanto riguarda i generi,
le news vengono sempre autoprodotte, la fiction italiana viene sempre appaltata
a case di produzione per lo più di derivazione cinematografica, la fiction
internazionale seriale viene acquistata, quella internazionale di breve serialità
coprodotta. Come afferma Devescovi (2003), “le due opzioni spaziano tra l’80%
circa di programmi autoprodotti sul totale della programmazione nel caso dei
principali servizi pubblici europei … e il 30% circa di gran parte delle tv commerciali”.
Nell’ultimo capitolo consideremo l’impatto di queste scelte aziendali sulle professionalità e il vissuto dei lavoratori.
La medesima scelta di “make or buy”, ma a livello di interi canali e non di singoli
prodotti, è quella che si può porre per l’anello successivo della catena: il Service
Provider. Il tipico packager di un’offerta composta da più canali (attualmente circa
150) è oggi Sky Italia, che ha come attività peculiare quella del rapporto con
l’abbonato, e che può decidere di articolare la propria offerta in canali propri e
canali forniti da editori terzi.
La catena del valore di un programma in appalto per un canale satellitare “terzo” Sky
Fornitore di
servizi alla
produzione
302/Icet/
Interactive/
Vision
Content
Provider
Produttore
Magnolia
Editore
Broadcaster
Disney
Channel
Service
Provider
Network
Provider
Packager
Carrier
Sky
Fastweb/Sky
Per quanto riguarda il livello dei singoli programmi si può arrivare quindi ad una
elevata parcellizzazione della catena, identificando ciascuna attività in altrettanti
soggetti. 17
16
17
Nel 2004 RTI ha orgogliosamente rivendicato la possibilità di autoprodurre in house un reality show, finora
appannaggio di case di produzione esterne, con la produzione “Campioni”, che però non ha ottenuto i risultati
sperati.
L’esempio che riportiamo nel diagramma, a titolo assolutamente esemplificativo, è quello di una produzione
come “Quasi gol”, prodotta da Magnolia con facilities Interactive, Vision, 302/Icet, per Disney Channel,
editore terzo di Sky, visibile in modalità satellitare o anche iptv tramite Fastweb.
41
Per quanto riguarda il livello degli interi canali, Sky Italia ha attualmente scelto di
autoprodurre internamente, come editore e produttore, lo sport, le news e un
canale di intrattenimento (rispettivamente Sky Sport, Sky Tg 24, Sky Vivo),
delegando ad editori “terzi” (cioè esterni) tutti gli altri canali 18. Tra gli editori terzi
più importanti ricordiamo Fox International Channels (del gruppo News Corporation
a cui appartiene Sky stessa), Discovery Networks, Disney; si tratta prevalentemente di soggetti multinazionali, tranne i casi Digicast e Sitcom, e prevalentemente
incentrati sulla piattaforma satellitare (tranne RAI con RaiSat e MTV che trasmettono
anche in analogico e in digitale terrestre).
Principali editori del pacchetto Sky
Editore
Canali
Sky
Sky
Sky
Sky
Sky
Fox
Fox, Fox Life, Fox Crime, Fx;
National Geographic, History Channel, Adventure 1, Cult
Rai Sat
Raisat Extra, Raisat Premium, Raisat Cinema World, Raisat Ragazzi,
Raisat Gambero Rosso
MTV
MTV Hits, MTV Brand New;
Paramount Comedy, Nickelodeon
Sitcom
Alice, Marcopolo, Leonardo, Nuvolari
Digicast
Jimmy, Caccia e Pesca, ( + Planet free)
Discovery Networks
Discovery channel, Discovery science, Discovery civilization, Discovery travel & adventure,
Discovery Real Time, Animal Planet
Turner
Cartoon network, Boomerang
Disney
Disney Channel, Toon Disney, Playhouse Disney
Jetix
Jetix, Gxt
Eurosport
Eurosport 1, 2
Hallmark
Hallmark
E! Networks
E! Entertainment
Class editori
Class Cbnc
Bloomberg
Bloomberg
Sony
Axn
Vivendi Universal
Studio Universal
Tg 24, Sky Meteo;
Vivo;
Cinema 1, 3, Max, Autore, Classics, 16/9;
Sport 1,2,3
Fonte: elaborazione Labmedia, maggio 2006
42
1.2.2 Il Ruolo del Network Provider:
le Telco diventano editori?
L’ultimo anello della catena è rappresentato dai Network Provider, gli operatori
che forniscono le infrastrutture tecnologiche per assicurare la trasmissione del
contenuto audiovisivo prodotto o distribuito dai Content Provider per gli editori, ed
eventualmente “impacchettato” dai Service Provider. In alcuni casi di tratta di
società sussidiarie degli stessi editori (RAI Way per RAI, Elettronica Industriale per
Mediaset), in altri casi i soggetti coincidono (es. Sky), in altri casi ritrasmettono i
contenuti di terzi limitandosi a offrire una piattaforma supplementare (web, Iptv,
Umts, Dvb-H) agli editori e ai Service Provider (rispettivamente nel caso di
Telecom e Vodafone che propongono in modalità Umts pillole video di editori vari, 19
o nel caso di Fastweb che trasmette parte dell’offerta Sky in modalità Iptv). Infine
possono anche assumere un ruolo attivo, assimilandosi ai Service Provider o agli
Editori e addirittura ai Produttori (come nel caso di H3G).
I casi di Fastweb e H3g meritano un approfondimento particolare.
Fastweb, dopo il fallimento del tentativo del gruppo e.Biscom di diventare anche
editore (con la casa editrice e.Bismedia e il giornale on line “il nuovo.it”), ha scelto
come obiettivo quello di far diventare la sua videostation la piattaforma vincente
rispetto alla parabola satellitare e al decoder digitale terrestre, aprendola ai
migliori contenuti disponibili sul mercato: a questo scopo può limitarsi a fare da
carrier ritrasmettendo i canali tradizionali (di RAI, Mediaset, La7, MTV e All Music)
e alcuni satellitari (Sky cinema, Sky sport e altri 14 canali satellitari), oppure creare come packager, e quindi come Service Provider, un’offerta Video On Demand (in
partnership con altri editori, come nel caso della joint venture con il servizio
pubblico RAI Click, o da sola con “On Tv”, videoteca quasi esclusivamente
cinematografica 20.
“L’editore tv non è il mestiere che vogliamo fare. Siamo abbastanza consapevoli di non
avere la capacità per affrontare impegni così diversi rispetto a quelli per cui Fastweb è
nata. Il nostro modo di fare tv è quello di offrire una piattaforma tecnologica di alta effi-
18
19
20
Nel 2005 Sky ha dichiarato di autoprodurre direttamente 12.000 ore (6.100 ore di sport, 5.800 di news, 168
di cinema/intrattenimento), a fronte delle 13.000 ore autoprodotte dagli editori terzi, per un totale di 25.000
ore di produzione originale. Cfr. brochure istituzionale Sky.
È questa la ragione per cui l’offerta Umts di Vodafone e Telecom non è stata inclusa nel nostro censimento di
produttori e editori audiovisivi.
Organizzativamente Fastweb sembra confermare una maggiore strategicità dell’offerta televisiva nei confronti
del core business dei servizi di Dati e Voce privilegiati nel passato, costituendo nell’aprile 2006 una Direzione
Media & Tv che centralizza quasi tutte le attività televisive (tranne quelle di Operations).
43
cienza, alternativa a quelle presenti. Il nostro modello è: ‘Reti aperte a contenuti aperti’. Non abbiamo l’obiettivo di fare l’editore televisivo, di occuparci di produzione di contenuti, ma quello di migliorare la piattaforma di distribuzione del segnale televisivo,
basata sull’Internet Protocol. Vogliamo aprire la nostra piattaforma ai migliori contenuti disponibili. La nostra stategia non è quella di finanziare direttamente le produzioni
ma di lavorare con partnership ed acquisizioni. Certo il nostro ruolo, nel caso del Video
On Demand (con On Tv e con RAI Click), è quello di fare un passo in più rispetto a quando ci limitiamo a ritrasmettere i programmi di Sky, facendo anche del packaging e
facendo delle scelte editoriali. Con Rai Click la RAI ha fatto una cosa in anticipo su tutti,
anche su BBC. È un gioiello che permetterebbe a RAI di porsi come un broadcaster
pubblico tra i più innovativi, sperimentali e moderni. Noi vorremmo valorizzarla maggiormante”.
(Paolo Agostinelli, Head of Media & TV Fastweb, intervista personale, 2/5/2006)
La scelta di H3G è invece più radicale. In occasione dei Mondiali di calcio del
giugno 2006 (e in vista del collocamento in Borsa) si è strutturata come una vera
e propria Media Company integrata: la prima tv Dvb-H europea comprende non
solo canali di editori terzi (RAI, Mediaset, Sky) ma anche un’offerta autoprodotta
(“Walk Tv”, che comprende i canali propri “La 3 Live” e “La 3 Sport”) grazie
addirittura a risorse creative e tecniche internalizzate 21, in controtendenza
rispetto all’esternalizzazione prevalente sul mercato.
“Alcuni operatori hanno fatto scelte diverse dalle nostre. Per fare la tv servono un sacco
di soldi e bisogna saperla fare. Tre la fa partendo dal presupposto che ha l’oggetto, il
telefonino. Ma a mio parere il device non basta”.
(Paolo Agostinelli, Head of Media & TV Fastweb, intervista personale, 2/5/2006)
Nel capitolo finale del volume analizzeremo come questi aspetti (outsourcing
editori-produttori, e ruolo delle compagnie di telecomunicazioni) siano vissuti e
valutati da aziende e lavoratori.
21
H3G ha acquisito da Profit studi e frequenze dell’emittente Canale 7 (ex Seimilano), e ha contrattualizzato
numerosi artisti e creativi televisivi: Peppe Quintale come direttore artistico, Massimo De Luca come
responsabile dello Sport, Luca Barbareschi come responsabile di Cinema e Fiction, Jocelyn Hattab come
responsabile del Light entertainment.
44
S
U
C
O
F
Il rapporto editori-produttori.
Alcuni website “commissioning” di emittenti
internazionali
Le maggiori emittenti internazionali, principalmente ma non esclusivamente pubbliche,
rendono trasparente il proprio rapporto con i produttori indipendenti dedicando siti
internet appositi al tema del Commissioning, esplicitando linee editoriali dei propri
canali, priorità, budget e formati, invitando ad inviare proposte di programmi che
seguano determinate griglie, offrendo guidelines per l’elaborazione della proposta,
dando indicazioni del processo interno di valutazione, identificando i referenti dei
produttori.
Il primo esempio è quello di BBC: il
servizio pubblico inglese, nel sito
www.bbc.co.uk/commissioning,
presenta le proprie strutture di
genere e canale e le priorità di
sviluppo (offrendo strumenti come
i dati di ascolti, i bisogni del pubblico,
formati e budget produttivi), e addirittura esplicitando il ciclo di
approvazione interno delle proposte, che promette una risposta ai proponenti entro
poche settimane e una decisione di eventuale
commessa entro 20 settimane.
È presente anche una sezione “who’s who” che
fornisce nomi, foto e biografie dei controllers di
rete e dei commissioning editors di generi e
fasce.
Anche il sito del servizio pubblico statunitense,
Producing for PBS, www.pbs.org/producers,
contiene Productions Tools come guidelines
editoriali e produttive (anche tecniche e legali), indicazioni sulla mission e sulle priorità del
canale, come sul processo di invio delle proposte
(Proposal Process), compresi i nominativi dei
dirigenti di riferimento. Si cita il processo di
45
S
U
C
O
F
sviluppo interno, che prevede Senior Programming Team mensili e
Commissioning Meeting semestrali, e che promette un contatto con il
proponente entro 4-6 settimane.
Il sito di Channel 4, www.channel4.com/corporate/4producers, contiene anch’esso i
briefing dettagliati di ogni genere e fascia dei canali, incluso il palinsesto. Per inviare
le proposte è necessario registrarsi sul sito.
Il sito internazionale di Discovery http://producers.discovery.com contiene le
Guidelines in termini di formati e generi per ogni canale e mercato di riferimento e
Tools come la producer guide. Dichiara di aver previsto la possibilità di ricevere on
line le proposte di contenuti dall’esterno per rendere più semplice, più accessibile e
più efficiente il processo di Submission per i produttori.
Infine, il sito internazionale del National Geographic, all’indirizzo www.ngcideas.com
indica le modalità di invio delle proposte elettroniche “paperless” in un formato
standard (che comprende trattamento, budget, piano di produzione e bio dei
produttori). Viene esplicitato il processo di valutazione delle idee che comprende un
Development Team che boccia l’80% delle proposte pervenute e invia le rimanenti
ai dirigenti del Global programming Group che, in caso positivo, assegna al produttore
proponente un Account Executive o un Business Affairs Representative per seguirne
la commessa.
46
02
LE AZIENDE AUDIOVISIVE
di Chiara Valmachino
Questo capitolo è strutturato in cerchi concentrici, e parte da considerazioni di
scenario: un rapido sguardo sul mercato audiovisivo internazionale e su quello
italiano introduce, innanzitutto, le considerazioni sul ruolo della Lombardia nei
settori dell’editoria televisiva e della produzione audiovisiva, desunte da fonti
quali European Audiovisual Observatory e Istat.
Il dato di un’elevata concentrazione di aziende audiovisive nel territorio lombardo
e, in particolare, in quello milanese, ha suggerito, quindi, un approfondimento
sul tema “Milano capitale della comunicazione”: quanto, al di là dei cliché,
Milano e la sua Provincia riescono a “fare sistema” intorno all’industria della
comunicazione? Quali caratteristiche e quali punti di debolezza hanno gli
insediamenti della comunicazione e dell’audiovisivo di Cologno, Sesto, Santa Giulia?
Ai dati di scenario segue, infine, la presentazione del campione della nostra
ricerca: sarà descritta brevemente la composizione del censimento delle
aziende audiovisive; si presenteranno, infine, le caratteristiche anagrafiche del
gruppo di aziende che ha partecipato alla fase field quantitativa dell’indagine.
Il Focus è dedicato al Centro di Produzione RAI di Milano, alla sua storia e al
suo ruolo attuale.
47
2.1 Lo scenario. Il peso della Lombardia nel
mercato audiovisivo
Lo European Audiovisual Observatory stila ogni anno una classifica delle maggiori
compagnie mediatiche mondiali per volume di affari nel settore audiovisivo:
nell’annuario 2005, compaiono rispettivamente al sedicesimo e diciassettesimo
posto i protagonisti del duopolio televisivo italiano, Mediaset e RAI, entrambi con
sede in Lombardia (sede primaria per Mediaset e non per RAI). Il confronto
diacronico 2001-2004 rivelava per entrambi i gruppi una costante
crescita del volume d’affari; l’incremento tra il 2003 e il 2004, in particolare,
risultava più marcato per Mediaset (+21,30%) rispetto a RAI (+14,70%).
Le prime 17 Media Companies per volume d’affari nell’audiovisivo 2001-2004
Compagnia
Paese Attività 1
2001
2002
2003
2004
2004/03
Walt Disney
US
Prod, dis, tv, vid, rec
18168
18864
20649
23042
11,40%
US
Tv, prod, dis, vid
18046
18858
19758
21347
8,20%
US
Prod, dis, tv, vid, rec
19845
21900
19401
20907
7,80%
Sony
JP
Prod, dis, vg
19161
20151
20159
16006
-20,60%
Vivendi Universal
FR
Prod, dis, tv, vg
14733
19058
19860
15494
-22%
News Corporation
AU
Prod, dis, tv, vid, rec
8318
10183
11739
14417
22,80%
NBC Universal
US
Tv, prod, dis
5769
7149
6900
12900
87%
The DirecTv
Group Inc.
US
Tv
6280
7121
8292
11360
37%
Bertelsmann
DE
Tv, prod, dis, rec
6566
7420
9047
10113
11,80%
Liberty Media
corp. (***)
US
Tv
2059
1804
3783
7682
103,10%
(ex QVC (***))
US
Tv
3917
4362
4889
5687
16,30%
BBC group
GB
Tv, rad, prod, dis, vid
4511
4818
5580
7250
29,90%
ARD
DE
Tv, rad
5021
6066
7131
nd
nd
JP
Tv, rad
5053
5459
6478
6272
-3,20%
US
Vid
5157
5566
5912
6053
2,40%
Nintendo
JP
Vg
4277
4620
4192
4816
14,90%
Mediaset
IT
Tv, prod
2122
2488
3968
4813
21,30%
RAI
IT
Tv, rad, prod, dis
2538
3051
3709
4253
14,70%
Viacom
(*)
Time Warner
(**)
NHK
Blockbuster Inc.
1
(*)
Legenda abbreviazioni delle attività: PROD Produzione audiovisiva; DIS Distribuzione audiovisiva; TV editoria televisiva; RAD radiofonia; VID
pubblicazione e distribuzione di video e DVD; REC produzione di records; VG produzione e distribuzione videogames.
* Blockbuster si è separato da Viacom nel 2004; ** Warner Music group è stato venduto nel 2003 e non è incluso nel volume d'affari Time
Warner del 2003. Il volume d'affari WMG 2004 è calcolato su 10 mesi; *** da settembre 2003, QVC è consolidato in Liberty Media corp.
Fonte: European Audiovisual Observatory, 2005 (Dati in Milioni di Dollari)
48
2.1.1 Gli editori televisivi leader
Osservando i risultati economici delle aziende televisive leader in Europa, troviamo
le grandi emittenti italiane con sede in Lombardia nelle prime posizioni: RAI, nelle
statistiche economiche dell’EAO, è seconda tra le compagnie televisive pubbliche
europee, preceduta solo da BBC; RTI è, a sua volta, la prima società televisiva tra
le private analogiche; Sky Italia, nel 2004, solo un anno dopo il lancio (avvenuto il
31 agosto 2003), è terzo tra gli editori televisivi digitali europei, dopo British Sky
Broadcasting e Canal Plus.
Le Compagnie TV leader in Europa 2001-2004
Margine operativo non consolidato (dati in Milioni di Euro)
Compagnia
Paese 2001
2002
2003
2004
2003/02 2004/03
British Sky Broadcasting ltd
GB
3543,7
3893
4242,1
4933,5
9,00%
16,30%
BBC Home Service
GB
4191,8
3887,6
4227,9
4311,1
8,80%
2,00%
RAI
IT
2676,3
2698,9
2736,7
2884,5
1,40%
5,40%
Reti televisive italiane (RTI)
IT
2009,3
2008,2
2138,2
=
6,50%
nd
RTL Television GMBH
DE
2222,2
2092,9
2010,8
1844,1
ZDF
DE
1769,4
1778,4
1763,4
=
-0,80%
nd
TF1
FR
1567,1
1552
1596,2
1710
2,80%
7,10%
France 2
FR
1441,7
1522,9
1573,5
=
3,30%
nd
Canal Plus
FR
1632
1615
1585
1551
-1,90%
-2,10%
France 3
FR
1343,6
1363
1416
1504,7
3,90%
6,30%
Sky Italia
IT
=
=
308,5
1485,9
nd
nd
ITV Network ltd
GB
1401,4
1375,3
1305,8
=
-5,10%
nd
Wdr - Westdeutscher Rundfunk
DE
1259,6
1283,7
1210,8
=
-5,70%
Nd
TVE
ES
967,6
944,6
912,6
1051,4
-3,40%
15,20%
Premiere Ag Konzern
DE
=
=
828,9
1044,6
nd
26,00%
(ex Premiere Fernsehen Gmbh)
DE
793,4
826,7
=
=
nd
nd
Swr - Sudwestrundfunk
DE
1013,3
1027,9
1029,8
=
0,20%
nd
Srg-ssr Idee Suisse
CH
1047,9
1068
992,1
1025,9
-7,10%
3,40%
Channel 4
GB
1022,3
994,7
911,5
982,9
-8,40%
7,80%
NDR
DE
973,1
988,1
982,4
=
-0,60%
nd
-8,30%
Fonte: European Audiovisual Observatory, 2005
49
Anche i dati relativi ai risultati economici delle compagnie Tv segnalano la presenza
sul territorio lombardo dei maggiori operatori nazionali e di alcuni operatori
locali economicamente competitivi a livello nazionale: se cerchiamo le aziende
che hanno la propria sede principale o secondaria in Lombardia, ne troviamo ben
11 nella classifica delle 25 società Tv leader in Italia (EAO 2005).
Le compagnie tv leader in Italia 2002-2004
Operating revenues (Dati in milioni di euro)
2002
2003
2004
2003/02
RAI 1, RAI 2, RAI 3
2698932
2736660
2884500
1,4
Commerciale
Canale 5, Rete 4, Italia 1
2008193
2138160
=
6,5
Tematica
(Happy Channel, Mt
Channel, Duel, It)
33837
=
=
=
Sky Italia (5)
Packager
Sky Italia
=
308464
1485879
=
(ex Telepiù)
Packager
(D+)
62665
46407
=
-25,9
(ex Omega tv )
Pay tv
(Telepiù Grigio)
193274
90797
=
-53
(ex Stream)
Packager
(Stream)
157000
184248
=
17,4
Europa tv
Tematica
(Telepiù Bianco), Sport Italia (2) 457039
228742
=
-50
Telemarket
Home shopping Tv Telemarket
71393
=
=
=
La 7 televisioni
Commerciale
La 7
=
61779
=
=
Rai Sat
Pubblica
Rai Sat
46500
48117
59115
3,5
Disney channel Italia
Tematica
Disney Channel Italia
56371
=
=
=
(ex Prima tv)
Pay tv
(Telepiù Nero)/D-Free
56770
31313
=
-44,8
33645
30385
=
-9,7
Compagnia
Tipologia Tv Canali
RAI
Pubblica
Reti televisive
italiane (RTI)
(ex Mediadigit)
(1)
Orbit communication Packager
company
(3)
(4)
Orbit
Home Shopping
Europe
Home shopping Canale D (HSE)
Tv
24624
29881
=
21,3
Profit
Commerciale
Odeon Tv
22120
27462
=
24,2
Anicaflash
Tematica
Coming soon Tv
22759
20642
=
-9,3
Radio Italia
Tematica
Playlist Italia, VideoItalia
15263
20492
=
34,3
Telenorba
Locale
Commerciale
Telenorba
16548
17364
=
4,9
Sitcom
Tematica
Leonardo, Marco Polo, Alice, 31166
Nuvolari
14779
=
-52,6
Kidko services
Packager
ART, LBC Europe
14718
=
-2,3
Telelombardia
Locale
Telelombardia
15070
14581
8,8
50
Compagnia
Tipologia Tv Canali
2002
commerciale
13397
2003
2004
2003/02
=
Rete A
Tematica
All music
12330
13214
=
7,2
Canal Jimmy
Tematica
Canal Jimmy
8368
12222
=
46,1
24 ore television
Tematica
24 Ore Television
12009
11592
=
-3,5
(1)
Fuso in RTI nel 2003 (2) Fino al 2003 era una delle società Telepiù. Dal 2004 la società è stata rilevata da Holland Coordinator Italia (Tarak
Ben Amar) ed Eurosport per creare il canale Sport Italia (3) Fuso nel 2003 con Sky Italia (4) Fino al 2003 era una delle società Telepiù. Dal 2004
la società è stata rilevata da Holland Coordinator Italia (Tarak Ben Amar) ed Eurosport per creare il multiplex DTT D-Free (5) Operativa dal
31.8.2003.
Fonte: European Audiovisual Observatory, 2005
Il panorama televisivo italiano vede tuttora in posizioni di dominio i soggetti
tradizionali, ma sembrano emergere nell’ultimo lustro significativi elementi di
novità, che portavano gli osservatori a ritenere imminente, già alla fine del 2003,
la fine della “foresta pietrificata”, un panorama in stallo competitivo da due
decenni (Bonomi, Rullani 2003).
Infatti, nel quinquennio 2000-2004, da un lato il duopolio televisivo sembra rimasto
sostanzialmente inalterato rispetto al decennio precedente, visto che i canali RAI
e Mediaset raccolgono poco meno del 90% dei ricavi pubblicitari. (IEM 2005)
Dall’altro, per quanto riguarda gli ascolti, si intravedono alcuni segni di novità.
Il calo di RAI nel periodo 2000-2004 è costante (2,7 punti nella media del
quadriennio), più altalenante l’andamento di Mediaset (-0,5 punti). Tra i network
nazionali terresti, solo La 7, insieme a Italia 1, registra un saldo positivo di ascolti
rispetto al 2000; il bilancio 2005, tra l’altro, conferma i risultati della rete, che
aumenta l’audience share del 14% rispetto all’anno precedente (passando
comunque a un limitato 2,7%). 2
Il ruolo di Telecom nella partita del “disgelo” dell’editoria Tv non si gioca, in ogni
caso, tanto sul piano della concorrenza in termini di audience o di raccolta
pubblicitaria nella Tv analogica generalista, quanto piuttosto in termini di strategia
globale nel mercato audiovisivo. Fin dall’inizio, Telecom ha puntato infatti su una
logica di multi e crossmedialità, sfruttando le core competencies tipiche di una
2
Il risultato positivo, associato al consolidamento della posizione di MTV sul mercato pubblicitario giovanile, ha
incrementato i ricavi del gruppo proprietario Telecom Italia Media e ha contribuito alla crescita della raccolta
pubblicitaria lorda (+15% rispetto all’esercizio 2004). Si deve notare, tuttavia, che i ricavi dell’area Televisione
di Telecom Italia Media si associano a costi molto elevati sostenuti nel 2005: la redditività operativa, che risulta
negativa, è stata infatti pesantemente influenzata da investimenti “di lungo periodo”, come l’arricchimento dei
contenuti di La 7 e la sperimentazione del digitale terrestre (Telecom Italia Media, Bilancio 2005).
51
compagnia telefonica e lanciando, per esempio, con Alice Home Tv, l’offerta di
Iptv, la tv su protocollo Internet. Il caso Telecom è solo un esempio della già citata
tendenza delle compagnie di telecomunicazioni a investire nell’audiovisivo
tradizionale e crossmediale per diversificare le proprie unità di business (cfr. cap. 1).
Telecom ha inoltre cavalcato, in concorrenza con Mediaset, l’onda dell’introduzione
del digitale terrestre, lanciando nel 2005 canali free e a pagamento, ma anche
un’offerta di contenuti premium (sport e cinema, per il momento) in modalità pay
per view tramite carta pre-pagata. Sebbene iniziative come quella di Telecom - ma
anche di Tiscali - sul DTT siano troppo recenti per valutarne l’impatto, certamente
esse hanno contribuito a dare input innovativi a un mercato in stallo.
D’altra parte, a tre anni dallo sbarco in Italia, Sky - oltre a rappresentare una forza
economica di notevoli dimensioni - sembra cominciare oggi a incidere sugli assetti
della Tv analogica stessa, anche in termini di ascolti: in particolare, le reti analogiche
di Mediaset, con un decremento complessivo di audience share di un punto tra il
2004 e il 2003, sembrano, in particolare, aver pagato proprio l’avanzata rapida
delle reti satellitari, cresciute dal 2,4 al 4% in un anno (IEM 2005). La presenza
e il successo di Sky, come il lancio dell’offerta pay per view su DTT, introducono
un elemento di concorrenza decisivo: “una pay tv capace di attrarre pubblico è un
fattore di rinnovamento importante del sistema televisivo complessivo, perché - se
riesce a convincere e a consolidarsi come fenomeno di massa - promette di
consolidare l’antropologia del consumo televisivo, facendo emergere il bisogno
latente di qualità, di condivisione e di partecipazione che la Tv generalista di massa
lascia insoddisfatto” (Bonomi, Rullani 2003).
2.1.2 Le emittenti locali
Tutte le fonti concordano nel sottolineare la notevole quantità di editori televisivi
locali nel nostro Paese, anche se i dati sul loro numero non sono concordi.
Le stime FRT relative al 2006 parlano di 601 emittenti locali abilitate all’esercizio
dal Ministero delle Comunicazioni; di queste, il 75% circa sono reti commerciali, il
resto reti comunitarie. Il loro numero negli ultimi anni si è assottigliato, soprattutto
per la vendita delle frequenze per il digitale terrestre ai network nazionali. “Il passaggio
[al DTT] non sarà possibile per tutte, e si assisterà, molto probabilmente, ad
un’ulteriore riduzione degli operatori attivi sul mercato” (IEM, 2005).
La Lombardia, con le 26 emittenti locali da noi oggi censite 3, non è tra le regioni
più rilevanti per numerosità delle emittenti: più della metà delle tv locali sarebbero,
3
Nell’ultimo studio FRT disponibile, relativo al 2003, le emittenti lombarde censite erano 36.
52
infatti, concentrate nel Sud Italia e nelle isole (soprattutto in Campania e in Sicilia).
In generale, mentre al Sud esiste in media una tv locale ogni 30-50 mila abitanti,
al Nord il dato è di 1 ogni 90-125mila abitanti (Regione Toscana 2005).
La distribuzione geografica delle società secondo le classi di fatturato mostra
tuttavia che “al Sud (Campania e Sicilia) la maggior parte delle imprese
fatturano meno di 250.000 euro, solo il Nord Ovest e il Nord-Est registrano una
distribuzione più equilibrata tra classi di fatturato pubblicitario: Lombardia e
Veneto registrano il maggior numero di emittenti che fatturano più di 2.600.000
euro” (Osservatorio Nazionale Imprese Radio Televisive Private, FRT 2005).
Le più importanti emittenti locali lombarde, per ascolti, sono Telelombardia e
Antenna 3, entrambe di proprietà del gruppo Mediapason che fa capo a Sandro
Parenzo, seguite da Telecity del circuito 7 Gold: sono rispettivamente al quarto,
quinto e sesto posto per ascolti a livello nazionale (Auditel 2005).
Gli ascolti medi giornalieri delle principali Tv locali lombarde
Canale
2004
2003
2002
2001
2004/03
2003/02
Telelombardia
1334
1425
1278
1124
-6,4 %
18,7 %
Antenna 3
1105
1080
1097
996
2,3 %
10,9 %
7 Gold Telecity
1042
1014
993
882
2,8 %
18,1 %
Fonte: Rapporto IEM 2005, su dati Auditel (valori in migliaia)
Secondo il nostro censimento (cfr. appendice), tra le emittenti con sede primaria
o secondaria (è il caso dei circuiti) in Lombardia, 17 aderiscono all’associazione
di categoria FRT 4, altre 8 ad Aeranti Corallo 5, 3 a nessuna delle due associazioni.
4
5
FRT - Federazione Radio Televisioni private, raggruppa imprese tv nazionali come Mediaset, Sky, Fox, Telecom
Italia Media (La 7, MTV); rappresenta inoltre 135 tv locali, 5 radio nazionali e 180 (su un totale nazionale di
1000) radio locali. “Le emittenti associate alla FRT rappresentano - in termini di ascolto, di fatturato e di
occupazione - oltre il 95% dell’intero settore televisivo privato e circa il 60% di quello radiofonico” (www.frt.it).
Aeranti Corallo (www.aeranticorallo.it) rappresenta 1044 imprese, così suddivise: 314 emittenti locali, 6
syndacation di emittenti locali, 671 radio locali, 39 imprese tv via satellite e via internet, 5 agenzie di
informazione radiotelevisiva e 9 concessionarie di pubblicità del settore radiotelevisivo.
53
2.1.3 I produttori leader
Per quanto riguarda le case di produzione indipendenti, il confronto europeo
mette in luce la presenza di pochi soggetti italiani nelle posizioni dominanti: tra i
primi 20 produttori europei per volume d’affari si trova, infatti, solo Endemol Italia
all’ottavo posto, con risultati economici altalenanti nel quadriennio 2001-2004 (in
particolare, con una perdita del 19% tra il 2003 il 2004). Più defilate, rispettivamente
al ventitreesimo e ventinovesimo posto, Mondo Tv - produttrice di animazione con
sede a Roma - e la produttrice di fiction Grundy Italia, con sede primaria a Roma
e secondaria a Milano (EAO 2005).
In base a un’indagine de “Il Sole 24 ore - Lunedì”, pochi soggetti si spartiscono
in Italia il 90% di un mercato televisivo con un volume di affari di circa 600
milioni di euro annui.
Un terzo dei maggiori produttori italiani (9 su 27) ha sede primaria o secondaria in
Lombardia 6.
6
Per stabilire i criteri di importanza dei produttori, è possibile scegliere tra vari parametri: quello di fatturato (non
disponibile), quello per volume (minuti prodotti), e quello per share medio di tutte le produzioni andate in onda.
Quello per volume è quasi sempre proporzionale all’importanza della produzione e quindi al fatturato (tranne
che per le miniserie cinematografiche, brevi ma molto costose e con ampi bacini di pubblico), mentre quello per
share, pur essendo dipendente alla rete di messa in onda, è ormai considerabile un parametro di efficacia
economica e di successo tout court, visto che Auditel è considerato, a torto o a ragione, l’indicatore su cui si
dimensionano anche i budget (e quindi un produttore che produce per una rete con un bacino di ascolto ristretto
fatturerà comunque meno di un produttore che produce per RAI e/o Mediaset).
54
Roma
Milano
Roma
Roma (Milano)
Magnolia
Einstein multimedia
Grundy Italia (gruppo RTL) Roma (Milano)
Roma
Fascino
Studio uno
Ballandi
Taodue
TPI
Lux vide
Publispei
LDM
Clip television + mad.e
(gruppo Film Master)
11
8
10
15
21
25
4
14
16
12
3
7
20
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
Roma
Roma
Roma
Apt
=
Apt
Apt
=
Apt
Cd live
I raccomandati
Un medico in famiglia
Don Bosco, Don Matteo, Rita da Cascia
Incantesimo, Don Gnocchi
Paolo Borsellino, Cuore contro cuore
Intrattenimento
leggero
Intrattenimento
leggero
Fiction
Fiction
Fiction
Fiction
50 Canzonissime, Ma il cielo è sempre più Intrattenimento
leggero
blu, Stasera Gianni Morandi
Sfera, Top secret
Parla con me, Bra
1.037
1.060
1.546
1.609
1.636
1.733
1.855
2.085
3.775
Fiction
Intrattenimento
leggero
Infotainment
14.732
Intrattenimento
leggero
La squadra, Un posto al sole, Maigret
14.732
Armi & Bagagli, Gli invisibili, L’eredità, L’isola Intrattenimento
dei famosi, Markette
leggero
Apt
29.910
30.852
Segue
10,96%
22.41%
30,42%
20,36%
17.05%
19,92%
25,71%
4,67%
10.33%
19,64%
20,98%
22,03%
20,70%
55
Minuti
Share medio
prodotti
Amici di Maria, Buona Domenica, C’è posta Intrattenimento
per te, Maurizio Costanzo Show, Uomini e leggero
donne, Volere o volare, Madame
Top of the pops, Passaparola
=
relativo
Genere
Intrattenimento
Affari tuoi, Al posto tuo, Changing rooms,
Che tempo che fa, Chi vuol essere milionario, leggero
Cronache marziane, Il Grande Fratello,
Il ristorante, La prova del cuoco
Fiction
Cento vetrine, Vivere
(Mediavivere)
Programmi in onda
=
Apt
=
Apt
(all’aprile
2006)
Associaz.
Roma (Bologna) =
Milano
Roma
Roma (Milano)
Endemol Italia
(gruppo Endemol)
per share
per volume
(e sede
secondaria
all’aprile
2006)
Sede
Rank
Rank
Casa di
produzione
I maggiori produttori televisivi italiani (19.9.2004-25.12.2004)
Fonte: rielaborazione Labmedia da Il Sole 24 Ore 10.1.2005
111
Intrattenimento
leggero
Apt
Roma
Europroduzione
(+ Ruvido)
26
27
127
Intrattenimento
leggero
=
Milano
Newton
23
26
185
Due sul divano
Milano rocking fashion
I fantastici 5
Intrattenimento
leggero
=
Roma
Fact Based
Communication
27
25
212
Fiction
Le 5 giornate di Milano
=
Roma
Progetto immagine
13
24
213
Fiction
Questo amore
Apt
Roma
11 marzo film
(ex tangram)
5
23
221
Fiction
Cime tempestose
=
Roma
Titanus
1
22
229
Fiction
Virginia la monaca di Monza
Apt
Roma
Leone Film
2
21
236
Fiction
Il tunnel della libertà
Apt
Roma
Palomar Endemol
6
20
435
Fiction
La stagione dei delitti
=
Roma
Good time
18
19
546
Infotainment
Giallo 1, Sesto senso
Apt
Milano
Quadrio
(gruppo Magnolia)
24
18
677
Intrattenimento
leggero
Super Ciro
Apt
Bologna
ITC
22
17
817
Intrattenimento
leggero
726
923
1,66%
5,61%
1,96%
20,17%
23,40%
32,90%
31,22%
22.52%
15.04%
5,24%
9,92%
21,47%
14,18%
15,16%
56
Minuti
Share medio
prodotti
Fiction
relativo
Genere
Intrattenimento
leggero
Zelig
=
Milano
Bananas
9
16
Colorado Cafè
=
Milano
302
19
15
La omicidi
17
14
Apt
Associaz.
Roma
Immagine e cinema
per share
per volume
Programmi in onda
Sede
(all’aprile
2006)
Casa di
produzione
Rank
Rank
(e sede
secondaria
all’aprile
2006)
Segue
Il leader indiscusso in Lombardia è Magnolia, che, oltre tutto, aggrega anche alcuni
piccoli produttori di intrattenimento, infotainment e crossmedia, e che figura
(almeno nell’autunno 2004, field di questa classifica) come terzo produttore
italiano in volume e decimo per share. Altre case di produzione in classifica con
sede principale milanese sono Studio Uno (6° in volume e 25° in share), 3Zero2
(15° per volume e 19° per share), Bananas / Zelig (16° in volume e 9° in share),
Quadrio (del gruppo Magnolia, 18° per volume e 24° per share), e infine Newton
(26° per volume e 23° per share).
Dal punto di vista dei generi televisivi prodotti, risulta chiaramente che la maggior
parte dei produttori di fiction risiede nel Lazio (in Lombardia sono presenti solo
le sitcom); l’intrattenimento è ben rappresentato in Lombardia da Magnolia, ma
Endemol, Fascino e Grundy sono in Lazio; i produttori di documentari e animazione
non compaiono nella classifica perché i minuti prodotti sono pochi rispetto agli
altri generi; infotainment e news/sport non sono particolarmente presenti come
generi, perché solitamente sono autoprodotti dalle emittenti. La Lombardia è,
invece, leader indiscussa nella produzione di spot pubblicitari.
Per quanto riguarda i generi, una ulteriore conferma proviene dalle tre più importanti
associazioni di categoria dei produttori. Nel nostro censimento le associazioni
maggiormente rappresentative per numero di iscritti risultano, nell’ordine:
• APP Associazione Produttori Pubblicitari (ne fanno parte l’8% delle aziende
censite);
• DOC/IT Documentaristi Italiani, Associazione che riunisce produttori e autori di
documentari (il 6,5% del nostro censimento).
• APT Associazione Produttori Televisivi, soprattutto di fiction, secondariamente
di intrattenimento leggero e in piccola parte anche di documentari (il 3% del
nostro censimento);
2.1.4 Le associazioni di categoria dei produttori
L’Associazione Produttori Pubblicitari (APP) è stata fondata nel 1997, quando il
valore del mercato era di circa 400 miliardi di Lire, e contava 42 iscritti; oggi gli
iscritti sono le maggiori 26 società, e il valore del mercato viene quantificato in
150-160 milioni di Euro 7, registrando quindi una notevole flessione.
7
Fonte: Antonio Canti, Presidente APP, intervista personale 19/4/2006.
57
Il fenomeno della diminuzione degli iscritti è uno degli indicatori della crisi di
settore, che ha determinato la vera e propria dismissione di alcune aziende o la
fusione di alcune sigle.
Il 95% del mercato della produzione di spot è considerato lombardo, anzi milanese,
e infatti l’associazione ha sede a Milano. 8
Le aziende sono di varia dimensione, e vanno dai 5 dipendenti agli 80 circa: il
numero medio viene quantificato in circa 20 dal Presidente dell’Associazione,
anche se non è semplice stabilire il confine tra addetti stabili e temporanei.
L’associazione sostiene due iniziative di formazione: il corso IED in regia
dell’audiovisivo e il corso in regia di spot pubblicitari, che partirà nell’autunno
2006 presso la sede milanese della Scuola Nazionale di Cinema.
L’Associazione Produttori Televisivi Italiani (APT, www.apt.it) è nata nel 1994.
Ad essa aderiscono attualmente 55 società che realizzano oltre il 75% del
fatturato complessivo del settore 9, pari a circa 250 milioni di Euro annui, con una
occupazione, tra diretta e indotta, stimata da Apt stessa in circa 350.000 persone 10.
Il numero di addetti medio è di difficile elaborazione, perché anche in questo caso
si va da ditte praticamente individuali, che affidano a terzi la produzione esecutiva
(come nel caso di Sergio Silva Fiction), fino alle grandi società con varie decine
di addetti come Endemol, Grundy, Lux Vide.
I generi prodotti sono la fiction, l’intrattenimento leggero, il documentario, anche
se il primo sovrasta largamente il secondo e il terzo è ampiamente minoritario,
sia come volume di produzione che come rilevanza di fatturato; il trend conferma
il peso assoluto dei tre generi (molto positivo per la fiction, positivo per
l’intrattenimento, stabile per il documentario).
La Lombardia è sede principale di 4 aziende associate (Magnolia, Eagle Pictures,
Pay Per Moon e Interactive) e la sede secondaria di ulteriori 3 (Endemol Italia,
Filmmaster Television, Grundy Italia), rappresentando così il 13% degli associati
APT; il mondo della fiction, come detto, è per tradizione romano (di eredità
cinematografica, almeno per quanto riguarda la breve serialità), come conferma
la sede dell’associazione. 11
APT rivendica il ruolo di associazione “maggiormente rappresentativa” della categoria
8
9
10
11
Le uniche eccezioni significative sono Little Bull a Torino, Diaviva di Reggio Emilia (anche se con sede operativa
a Milano), Cineteam di Roma.
Le case di produzione rilevanti della produzione televisiva sono praticamente tutte associate, tranne Titanus e
Rizzoli (oltre naturalmente a Fascino, che essendo partecipata RTI non può essere considerata indipendente).
Apt ritiene largamente sottostimate alcune valutazioni che indicano intorno ai 90.000 gli occupati nazionali (cfr.
ad esempio elaborazioni IsICult su dati Enpals in Millecanali, gennaio 2006).
Il Presidente dell’Associazione è Claudio Cappon, Giuseppe Giacchi il direttore Generale, Chiara Sbarigia il
Segretario generale. APT è membro del CEPI, Coordinamento Europeo dei Produttori Indipendenti, con sede a
Bruxelles, di cui esprime il VicePresidente.
58
televisiva (come ha riconosciuto Siae), ed è impegnata soprattutto nel rappresentare
i produttori rispetto agli editori, tutelando il rispetto delle leggi nazionali e delle
direttive comunitarie in merito alle quote minime di produzione europea e indipendente,
e battendosi per una nuova definizione dei criteri di assegnazione dei diritti
residuali delle opere.
L’associazione ha promosso, in passato, alcuni, corsi di formazione su figure
professionali quali il producer e il direttore di produzione di fiction 12; oggi continua
a sostenere un ente formativo con sede a Roma e a Brescia, limitandosi ad
appoggiare enti di formazione accreditati FSE senza un ruolo attivo nell’organizzazione.
Le case di produzione associate APT con sede lombarda
Casa di
Produzione
Sede
primaria
Sede
secondaria
Rappresentante,
Magnolia *
Milano
Roma
Giorgio Gori,
Presidente
Intrattenimento L’isola dei famosi,
L’eredità, Milano Roma,
Markette, Reparto maternità…;
(Fiction)
Camera Cafè
Pay per moon
Milano
Roma
Mario Mauri,
Presidente
Fiction
Tokio, provincia di Napoli,
Punto Doc, Mammamia
Eagle pictures
Milano
Roma
Renzo
Francesconi,
Presidente
Fiction
Nessuno al suo posto,
Una vita sottile
Interactive group
Milano
Roma
Bruno Bogarelli,
Presidente e CEO
Servizi per cine- =
ma, pubblicità e
tv (Sportitalia,
Eurosport, 24
Ore tv)
Endemol Italia
(gruppo Endemol)
Roma
Milano
Paolo Bassetti,
Chairman;
Leonardo
Pasquinelli,
Direttore Generale
Intrattenimento Affari tuoi, Che tempo che
fa, La fattoria, Cambio
moglie, Bisturi, Chi vuol
essere milionario...;
Fiction
Una donna per amico,
Vento di ponente, Sei forte
maestro…
(+ Mediavivere)
Filmmaster Television Roma
(gruppo Film Master)
Milano
Sergio Castellani,
Presidente,
Giuliano Borsari,
Amministratore
Delegato
Intrattenimento; Cd Live, Tornasole, Chicas,
Robin Hood;
Roberto Sessa,
Direttore Generale
Fiction;
Grundy Italia
(gruppo RTL)
Roma
Milano
Generi
qualifica
Fiction
Prodotti
rappresentativi
La moglie cinese
Un posto al sole, La
squadra, Casa Vianello, Il
mammo, Belli dentro,
Maigret…;
(Intrattenimento) Furore, Greed
Legenda: * associati 2006
Fonte: elaborazione Labmedia da Members Directory 2005 Apt
59
Doc/it (Associazione Documentaristi Italiani)
è un’associazione di categoria “anomala”
perché raggruppa sia società di produzione
che autori (registi e sceneggiatori) di
documentari, “inglobando al suo interno sia il
momento produttivo che quello creativo e
toccando tutti gli aspetti della filiera produttiva
e distributiva del documentario, per quanto
debole”. 13
È nata a Milano nel 1999, e si è trasferita
nel 2003 a Bologna, nella sede ristrutturata della Cineteca del Comune di
Bologna, con uffici e una struttura operativa stabile, che riceve dalla Regione Emilia
Romagna un contributo permanente.
Doc/it ha oggi 176 soci, di cui 51 imprese (18 in Lombardia), il cui numero medio
di addetti è quantificato dall’Associazione in 3-4. Il numero totale degli addetti del
documentario è stato stimato in 3000 unità da una recente ricerca (IsICult 2006),
anche se la quantificazione è oggetto di dibattito presso gli stessi operatori del
settore.
Le aziende leader sono a Roma, con qualche rappresentanza importante anche a
Bologna e Torino, mentre la maggior parte delle aziende lombarde è frammentata in
molte one-man companies a dimensione familiare (nonostante a Milano esperienze
come Filmaker abbiano creato bacini consistenti di autoproduzione, a volte di alto
livello). Notevole è la disomogeneità tra società che producono coproduzioni
internazionali con budget che arrivano a 300.000-400.000 Euro, e una miriade di
piccoli produttori che riescono faticosamente a produrre un documentario o due
all’anno: l’associazione sta infatti registrando il passaggio da una realtà artigianale
ad una dimensione industriale di maggior respiro.
Le attività dell’Associazione hanno contemplato negli scorsi anni: la costituzione
di un Archivio dei documentari italiani; l’Annuario dei documentari e documentaristi
italiani; l’Accordo di Settore con il Ministero delle Attività Produttive e l’ICE per la
12
13
I corsi sostenuti in passato sono stati realizzati con Cfta, Lambda e Multimediamente, mentre attualmente Apt
collabora unicamente con Lambda. Sulle politiche formative di Apt cfr. l’intervista personale a Chiara Sbarigia,
26/4/2006.
Alessandro Signetto, Presidente Doc/it, intervista personale, 12/5/2006. Sul sito www.documentaristi.it si
legge: “Doc/it si vanta di rappresentare non solo l’anima imprenditoriale del settore ma anche quella artistica,
in questo non ha omologhi a livello italiano e si pone come esempio di positivo connubio tra arte e industria”.
60
promozione internazionale del documentario italiano; l’accordo quadro con
Istituto Luce che consente agli associati di usufruire dei materiali dell’Archivio
Luce a condizioni particolarmente vantaggiose. Le azioni istituzionali hanno
portato a modifiche della Legge Cinema per quanto riguarda l’accesso ai
finanziamenti anche per opere non-fiction. Il documentario è il genere audiovisivo che maggiormente si presta a discorsi di valorizzazione territoriale: per questo
motivo i prossimi Stati Generali del Documentario, in programma a Bologna per il
settembre 2006, prevedono come tema esclusivo quello del rapporto con le
Regioni italiane, allo scopo di promuovere una politica di sostegno alle produzioni e
l’attivazione di fondi regionali, che nelle altre regioni motore in Europa (Catalunya,
Rhônes-Alpes e Bade-Württemberg) hanno portato a importanti risultati.
Per quanto riguarda le politiche di formazione, l’Accordo di Settore già citato con
il Ministero delle Attività Produttive e l’ICE contempla anche iniziative di formazione,
declinate quasi esclusivamente in workshop professionali di incontro tra
autori/produttori e le reti televisive satellitari multinazionali Discovery e Fox
(quest’ultima rispetto ai canali National Geographic, History Channel e dal 2006
Cult). In questi incontri i commissioning editor delle emittenti illustrano le loro
linee editoriali e accettano la presentazione di progetti (pitch). Per quanto riguarda la formazione in senso stretto, in passato Doc/it ha organizzato workshop in
collaborazione con Zelig, la scuola di documentario con sede a Bolzano; attualmente non ne organizza direttamente, se non appoggiando enti di formazione accreditati esterni, ma non esclude di occuparsene in futuro, attraverso la società di
servizi Doc Service che ha nel suo statuto anche questa mission, seppur non
prioritaria rispetto agli obiettivi “istituzionali”.
2.2 Lo scenario:
le aziende audiovisive in Lombardia
I dati forniti dalla Camera di Commercio elaborati periodicamente dall’Istat sulla
base delle categorie NACE (cfr. cap. 1) presentano diverse lacune e imprecisioni:
la categoria Istat “Attività radiotelevisive” include per esempio una grande
quantità di radio locali, escluse dalla nostra ricerca. Inoltre, i dati Istat si fondano
sui registri della Camera di Commercio, non sempre aggiornati. Infine, la scelta
di riferirsi alle fonti citate nel testo, accreditate e aggiornate al 2005, ha escluso
61
molte micro-società a carattere individuale registrate alla Camera di Commercio
ma slegate da ogni circuito produttivo. Le rilevazioni Istat sono tuttavia le uniche
fonti desk ufficiali a disposizione di chi cerchi, oltre a raffronti diacronici tra dati
nazionali, anche confronti tra dati regionali e provinciali. 14
Il numero di aziende audiovisive lombarde, in complesso, è quantificato da Istat, al
terzo trimestre 2005, in 2205 imprese. Il numero risulterebbe cresciuto in maniera esponenziale tra il 1991 e il 2005 (+298%): le unità locali 15 del settore
audiovisivo, nella Regione, sarebbero passate da 739 a 2205 nel periodo
considerato. L’incremento numerico delle aziende audiovisive lombarde è stato
particolarmente rilevante negli ultimi cinque anni (+ 185% tra il 2001 e il 2005),
per effetto non tanto dell’aumento di emittenti e distributori, ma soprattutto per
la moltiplicazione delle società di produzione audiovisiva. Il dato sembra
confermare il trend crescente di esternalizzazione produttiva dei broadcaster nei
confronti di produttori indipendenti (cfr. cap.1).
Aziende audiovisive: numero di unità locali in Lombardia - trend 1991-2005
1800
1600
1542
Numero unità locali
1400
1200
1000
800
697
529
600
554
443
403
400
200
0
227
383
19
66
1991
61
1996
2001
109
2005
Anno
92.11 (produzione)
92.12 (distribuzione)
92.20 (attività radio tv)
Fonte: Elaborazione Labmedia su dati Camera di Commercio e Data Warehouse DWCIS - Istat
14
15
I dati proposti nelle prossime pagine sono desunti e rielaborati dal Data Warehouse DWCIS dell’Istat, che mette
a disposizione i risultati definitivi del Censimento dell’Industria e dei Servizi 2001 e i risultati dei precedenti
censimenti, a partire dal 195. I numeri relativi al 2005 sono stati forniti, invece, dalla Camera di Commercio di
Milano e sono aggiornati al terzo trimestre dell’anno.
Si definisce unità locale “l’impianto (o corpo di impianti) situato in un dato luogo e variamente denominato
(stabilimento laboratorio, ecc.) in cui viene effettuata la produzione o la distribuzione di beni la prestazione di
servizi (Excelsior 2005).
62
Mettendo in relazione il numero di aziende (unità locali) registrate in Lombardia al
terzo trimestre 2005 con il numero di addetti dichiarati, osserviamo che si
mantiene invariata la tendenza già notata dall’Isfol in un’indagine del 1999,
secondo cui netta era la prevalenza nel settore audiovisivo di imprese medio-piccole,
con un numero variabile tra 1 e 5 addetti a società (Isfol 1999). La media del
2005 (molto probabilmente sottostimata riguardo alle emittenti, come si
evidenzierà al cap. 3), parla infatti di 4,2 addetti per ogni azienda lombarda,
confermando il trend nazionale secondo cui continuano a moltiplicarsi nel nostro
Paese le imprese a piccola dimensione, contro ogni previsione (Censis 2005).
Attualmente, secondo l’Istat, si concentra in Lombardia il maggior numero di
imprese audiovisive italiane (il 19%); seguono, per concentrazione numerica di
imprese, il Lazio (14%) e, a maggior distanza, la Campania (9%).
Imprese audiovisive attive in Italia: distribuzione nelle regioni
(3° Trimestre 2005)
1800
1678
1600
1400
1255
1200
1000
772
800
676
656
563
600
400
200
561
491
281
209
149
75
248
445
281
228
144 115
45
18
Ab
ru
Ba zzo
si
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Ao
st
a
Ve
ne
to
0
Fonte: Camera di Commercio Milano, 2005
La stragrande maggioranza delle case di produzione audiovisive lombarde (il 75%)
ha sede nella provincia di Milano.
63
Imprese lombarde di produzione video e cinema (cat. 92.11)
Distribuzione provinciale
(3° Trimestre 2005)
3% Como
1% Cremona
Brescia
5%
1% Lecco
1% Lodi
Bergamo
5%
Varese 4%
Sondrio
Pavia
1%
2% Mantova
75% Milano
2%
Fonte: Camera di Commercio Milano, 2005
Maggiormente distribuite sul territorio regionale, come è ovvio, le radio e televisioni
locali: il 57% di esse ha sede in provincia di Milano, ma un numero abbastanza
consistente è dislocato in provincia di Brescia (l’11% del totale regionale) e
Varese (il 9%).
64
Attività radiotelevisive lombarde (cat. 92.20)
Distribuzione provinciale
(3° Trimestre 2005)
5% Como
4% Cremona
Brescia
11%
2% Lecco
3% Mantova
57% Milano
Bergamo
Varese
4%
9%
2% Sondrio
2% Pavia
Fonte: Camera di Commercio Milano, 2005
Il capoluogo lombardo, con il suo hinterland, viene spesso considerato, nei discorsi
sociologici e scientifici, la “capitale della comunicazione”. Il prossimo paragrafo
approfondisce proprio la tematica dei “distretti della comunicazione” a Milano, per
verificare i confini, le ragioni e i limiti di un fenomeno sospeso tra dato sociologico,
mito e immaginario collettivo.
65
2.3 Il territorio: Milano (e i suoi distretti)
capitale della comunicazione?
“Milano capitale della comunicazione” è il nome di un progetto della Regione
Lombardia, che si propone di mettere a fuoco “il posizionamento competitivo che
Milano e le attività svolte a Milano hanno nel più vasto circuito della produzione,
dello scambio e del consumo di comunicazione” 16.
Da un lato parliamo di un clichè, secondo il quale comunicazione è “design,
moda, editoria, radio, tv, pubblicità, cinema” (Salvemini 2002); lo stereotipo di
Milano “capitale della comunicazione” si confonde con quello che parla di un
“contesto di grande ricchezza creativa e professionale grazie alla contiguità con il
mondo della moda, le culture del design industriale e della grafica, … anche digitale”
(ASNM 2003).
Milano è un brand, e il suo immaginario si nutre da decenni di moda e design, ma
anche di pubblicità e di quella estetica della comunicazione visiva che nel secondo
dopoguerra aveva decretato “l’inizio di un nuovo rapporto tra arte e mercato, tra
società di massa e avanguardia estetica” (Ferrari 2002).
Il valore attrattivo della città sarebbe incentrato poi “sulle possibilità che il lavoro
dà, sulla sua esistenza, sulle sue dinamiche e sulle sue condizioni” (XingAssolombarda 2003).
Creatività, comunicazione, lavoro costituirebbero dunque il codice genetico del
capoluogo lombardo. Questa immagine, aggrappata fondamentalmente al passato
della “grande Milano” tra il dopoguerra e gli anni ’80, messa alla prova del
presente chiede tuttavia di essere precisata e rinnovata.
Una recente ricerca di Università Bocconi per Assolombarda ipotizza che la via del
rinnovamento per il “brand Milano” consista forse nella conquista dell’identità “di
una città-sistema” (Cappetta, Salvemini, Carlone 2004), alla luce della quale
rivisitare il concetto stesso di creatività. Di recente la ricerca di orientamento
pluridisciplinare, che comprende prospettive sociologiche e territoriali, ha iniziato
a sostenere, infatti, che la creatività è un processo sociale, e non dipende solo dalla
predisposizione e dal carattere di singoli individui: il contesto, il territorio e le sue
organizzazioni giocano un ruolo non indifferente nel sostegno e nello sviluppo
della “scena creativa”. Si sta sgretolando l’idea che sia sufficiente lavorare sulla
creatività del singolo; conta, più che l’eccellenza di pochi, la presenza diffusa di
una classe “mediamente creativa”, stimolata dal contesto. Secondo gli indicatori
proposti dal sociologo statunitense Florida, Milano in questo sembra non eccellere.
16
www.lombardiacultura.it/osservatorio.
66
Il problema a Milano pare inoltre “rappresentato dalla mancanza di un luogo dove
si riescono a mettere in circolo comunità creative” (Cappetta, Salvemini, Carlone,
2004): il capoluogo lombardo fatica a strutturarsi come “sistema”, le cui parti cooperino per sviluppare l’organismo.
Ma una città-sistema è anche altro: prendendo spunto dalla sua fisionomia sociale
e produttiva composita, la sfida per Milano è quella di diventare un “sistema di
distretti”, altamente specializzati e complessi ma comunicanti tra loro. Passa da
qui la rivisitazione dell’immagine di “capoluogo della comunicazione”.
Tre zone, tra il Centro di Milano e la cintura a Nord della metropoli, si contendono
attualmente il ruolo di “centro nevralgico” nel comparto della comunicazione e, al
suo interno, in quello dell’audiovisivo: Cologno Monzese, Sesto San Giovanni, e
Milano Santa Giulia.
Una specializzazione sull’audiovisivo esiste a Cologno Monzese da quarant’anni;
un comparto dell’audiovisivo è cresciuto accanto ad altre attività manifatturiere
tradizionali, e si è espanso partire dal progetto di Cinelandia del gruppo Icet-De
Paoli, che nel 1960 sorse con l’intenzione di unire in un unico centro tutto il
comparto della produzione cinematografica e teatrale milanese. Nata per
diventare antagonista di Cinecittà, Cologno divenne, in realtà, soprattutto la sede
di programmazioni televisive e pubblicitarie: si trasferirono in Viale Europa i
teatri di posa, gli studi di supporto sonoro e di doppiaggio, ma, a partire dalle sperimentazioni per Carosello, Cinelandia si specializzò nel cartone animato.
Il comparto dell’audiovisivo si è sviluppato a Cologno intorno al fenomeno della
pubblicità; le prime tv private, come Telelombardia e Telealto Milanese, sono
diventate poi clienti fissi del centro di produzione di Cinelandia.
Nel 1983, l’area della Icet - De Paoli venne comprata da Berlusconi, per diventare il
centro della produzione Fininvest e poi Mediaset. Il settore audiovisivo è cresciuto
a Cologno in modo esponenziale nella seconda metà degli anni ’90, quando il
numero delle aziende si è quasi quintuplicato, per rallentare dopo il 1997, anche
per la saturazione degli spazi disponibili sul territorio. Accanto alle aziende audiovisive, si sono insediate nell’ultimo decennio aziende multimediali piccole e mediograndi, sviluppando così un sistema completo caratterizzato “da un elevato livello di conoscenze tecnologiche … da un’offerta completa per la fornitura di
prodotti e servizi, da sinergie nei diversi settori del comparto” (ASNM 2003).
67
Accanto a Cologno, un’altra città del Nord Milano rivendica il titolo di “città della
comunicazione”: Sesto S. Giovanni, che, dalla fine degli anni ’90, cerca nella
comunicazione una nuova vocazione economica dopo la dismissione delle aree
industriali Falck e Marelli. Da un lato, Sesto ha promosso progetti per l’insediamento e
la nascita di nuove attività imprenditoriali del settore, e attualmente è tra i
cinque candidati finalisti in lizza per ospitare la nuova sede del Centro di
Produzione RAI di Milano. Dall’altro lato la città, a differenza di Cologno, ha
puntato molto sulla promozione di una cultura della comunicazione, cercando di
attirare la popolazione locale e quella metropolitana milanese, con appuntamenti di
carattere didattico, culturale e ricreativo. Inoltre, Sesto si è accreditato come centro specializzato per la formazione e la ricerca nel settore comunicativo: l’Officina
Multimediale Concordia (OMC), inaugurata nel 2000, è un incubatore di imprese,
“dedicato a start up e spin off ad alta tecnologia nel settore della multimedialità
e della comunicazione” (ASNM, 2003).
Recentissima è, infine, la “autoelezione” a città della comunicazione da parte del
quartiere milanese - ancora virtuale - di Santa Giulia, intorno all’area di Rogoredo.
In mano alla società “Risanamento” controllata dal gruppo Zunino, Santa Giulia sta
riqualificando le aree industriali dismesse e si va trasformando in un “secondo
centro cittadino multifunzioni”: area residenziale di lusso progettata dall’architetto
Norman Forster, area commerciale e, appunto, area della comunicazione, trainata
dal recente accordo a sorpresa con Sky, che trasferirà entro il 2009 il proprio
Centro di Produzione in una cittadella dell’informazione da 85.000 metri quadrati. 17
17
www.milanosantagiulia.com.
68
Nessuna delle tre aree sopra indicate è definibile propriamente come un distretto
industriale, che l’economista inglese Marshal definisce come “un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno
stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza”. Manca, per esempio, a Cologno una comunità
di riferimento: tra gli spazi funzionali della città “vicina e separata” e quelle dell’area produttiva non c’è, infatti, integrazione e scambio. A Sesto sono meno visibili, rispetto a Cologno, i rapporti di integrazione e collaborazione tra le aziende
del settore. Santa Giulia, poi, al momento è un’ipotesi che gravita intorno al
mega-affare Sky, più che una realtà strutturata.
L’intero territorio di Milano e della sua provincia, piuttosto, possono candidarsi a
diventare un “distretto poligamico” della comunicazione, organizzato su un mix
complesso di servizi e industria, imprese e tecnostrutture (Censis 2005), o per lo
meno un cluster innovativo ad alta tecnologia, se le aree a forte specializzazione
come Cologno, Sesto e (forse) Santa Giulia sapranno, insieme anche se in
concorrenza, “fare sistema” e produrre innovazione e competitività, sviluppando
professionalità e diffusione delle informazioni. In questo processo, potrebbe
giocare un ruolo importante un progetto di coordinamento delle potenzialità e
delle energie del territorio (Salvemini 2002), affidato alle istituzioni e finora carente,
come meglio argomenteremo nell’ultimo capitolo.
69
2.4 La ricerca: il censimento delle aziende
audiovisive lombarde
Usciamo ora dalle informazioni di contesto, che la bibliografia esistente offre, per
inquadrare il tema delle aziende audiovisive in Lombardia, per entrare cioè nel
vivo della nostra ricerca e della sua sua fase “sul campo”.
La nostra ricognizione nell’audiovisivo lombardo è partita con il censimento di tutti
gli operatori appartenenti alle nostre categorie di interesse: editori, produttori e
distributori di programmi televisivi, fiction, documentari, animazioni, spot/filmati
industriali, crossmedia, che avessero una sede (anche non la principale) in
Lombardia.
L’operazione è stata particolarmente complessa perché le fonti di partenza sono
disomogenee, in molti casi parziali, discordanti e datate, quindi si è proceduto ad
assemblarle, aggiornarle e razionalizzarle.
Tra le fonti utilizzate citiamo:
le associazioni di categoria Frt Federazione Radio Televisioni (Imprese Radio
Televisive private italiane, nazionali e locali), Aeranti Corallo (Imprese radiotelevisive italiane, prevalentemente locali), APT Associazione Produttori Televisivi, APP
Associazione Produttori Pubblicitari, Doc/it Documentaristi Italiani, API
Associazione Produttori Indipendenti, Cartoon Italia, Associazione Aziende
Audiovisivi in Animazione;
18
19
20
21
Il censimento dei produttori Agcom 2005, particolarmente lacunoso (presenta solo 32 società a livello
nazionale), è pubblicato nella pagina internet www.agcom.it/operatori/operatori_produttori.htm. Curiosamente
nell’anno 2002 la stessa fonte citava ben 354 soggetti.
Citiamo anche per i produttori audiovisivi l’articolo di Paolo Pozzi e Francesco Siliato, “A colpi di fiction e format
il mercato tocca 600 milioni”, Il Sole 24 Ore, 10.1.2005, e per gli operatori crossmediali la ricerca sui “Mobile
Vas Consumer 2004” del Politecnico di Milano.
Sul sito www.tvjob.it è possibile procedere ad una ricerca delle aziende a testo libero o per chiave di ricerca
tramite database (oltre che per tipologia di attività, anche per genere di prodotto nel caso di produttori e
distributori, modalità di emissione nel caso di editori televisivi, eventuale associazione di categoria di appartenenza,
provincia della sede principale).
La disparità numerica rispetto ai dati Istat è spiegabile in larga parte con la delimitazione del nostro campo di
indagine già descritta sopra; si ricordino, inoltre, i problemi della fonte Istat, già descritti al cap. 2.2.
70
il censimento dei produttori indipendenti 2006 dell’Istituto di Economia dei Media
della Fondazione Rosselli, il censimento 2005 dei produttori televisivi pubblicato
da Agcom, Autorità Garante delle Comunicazioni, il censimento dei produttori pubblicitari pubblicato dal mensile Tv Key;
l’annuario di Prima Comunicazione 18 “Uomini e Comunicazione” del dicembre 2005
(nelle categorie televisioni, e in parte Spettacolo e Telecomunicazioni); l’annuario
Informaset 2006 e altri materiali di scenario 19.
Il risultato, che riportiamo integralmente in appendice, ordinato per tipologie
primarie di attività 20, comprende 48 editori, 185 produttori, 7 distributori, 32 altre
tipologie di aziende che svolgono come attività secondaria quella di produzione
audiovisiva, per un totale di 272 soggetti 21.
Attività principale delle aziende audiovisive censite
Altro
Servizi alla produzione
Distributori
Editori
8%
4%
67%
Produttori
3%
18%
Fonte: censimento Labmedia, 2006
71
La distribuzione sul territorio regionale delle aziende censite conferma e accentua
la forte centralità di Milano, già sottolineata commentando i dati Istat. Soprattutto
per i produttori, il senso di una presenza fuori dal capoluogo o, comunque, dalla
Provincia di Milano, è unicamente spiegabile con forti legami personali dei vertici
dell’azienda con il territorio, e con la capacità di diversificare la produzione,
mantenendo un difficile equilibrio tra locale e globale.22
Aziende censite. Sede principale
1%
Varese
1% Como
Bergamo 3%
Brescia
4%
1% Cremona
1% Sondrio
5% Fuori regione
86% Milano
Fonte: censimento Labmedia, 2006
22
“A Como ho ormai instaurato un rapporto di fiducia con i committenti, rapporto che puoi instaurare in un raggio
di azione territorialmente definito se sei una casa di produzione “media”. Qui… mi conoscono di persona e
quindi i rapporti si instaurano su un dato di fatto, sono relazioni concrete. Poi hai Milano di fianco e allora puoi
collaborare con la Regione, la Provincia, aziende particolari che diventano altri interlocutori che vanno a riempire
il tuo bacino di utenza-committenza. Poi hai il territorio nazionale… e questi territori li raggiungi grazie alla tua
realtà consolidata nel locale. E poi l’internazionale… Questi canali traggono sempre e comunque alimento dal
locale. È un po’ la teoria dei 6 gradi di separazione: esistono sei gradi di separazione tra due persone al mondo.
Il primo grado però te lo devi costruire e io me lo sono costruito a Como, nel locale. Poi da lì arrivi anche a New
York”. Paolo Lipari, titolare Anni Luce, intervista personale 20/3/2006.
72
Tra le 272 aziende censite, 127 hanno risposto al questionario somministrato on
line, permettendoci di approfondire, oltre ai dati “anagrafici”, percezioni, valutazioni,
prospettive inerenti il comparto audiovisivo. Questo paragrafo intende presentare
i soggetti della ricerca quantitativa, soffermandosi su alcuni dati di carattere anagrafico.
Il nostro campione, rispetto al settore di attività economica delle aziende, è
composito: 39 società (pari al 30,7% dei rispondenti) sono specializzate in un
settore di attività unico. Tutti gli altri affiancano a un’attività primaria uno o più
settori di attività secondaria.
In generale, i rispondenti rispecchiano la distribuzione percentuale delle aziende
censite, sul versante del settore di attività primaria: il 17% è costituito da emittenti, il 68% da produttori, il 2% da distributori; il restante 8% è composto da
società che svolgono attività estranee ai nostri settori di interesse, principalmente nell’ambito delle telecomunicazioni e dell’organizzazione di eventi (e che svolgono solo in modo secondario attività produttiva).
Aziende campione. Settore di attività principale
Emittenza
televisiva nazionale
Emittenza
televisiva pluriregionale
Emittenza
televisiva locale
Altro
Servizi
(alla produzione/creativi)
6%
2%
9%
Produzione
67% audiovisiva
8%
6%
Distribuzione
2% audiovisiva
Fonte: Labmedia, 2006 (su 127 aziende audiovisive)
73
Non tutte le aziende partecipanti alla ricerca hanno voluto dichiarare il proprio
fatturato relativo all’anno 2005: tra le 94 aziende che lo hanno fatto, predominano
(con il 40% sul totale) quelle di dimensioni medio-grandi, con un fatturato annuo
compreso tra 1 e 9 milioni di euro; limitata la percentuale di piccole aziende (il
6% del totale), che fatturano meno di 100.000 euro annui 23.
Dimensioni delle aziende
(per classi di fatturato 2005)
17%
Medio-piccole
(E. 100-499.000)
Piccole
(fino a E. 99.000)
26%
Medie
(E 500-999.000)
Medio grandi
40% (E 1-9 milioni)
6%
Grandi
11% (oltre E. 10 milioni)
Fonte: Labmedia, 2006 (su 94 aziende audiovisive)
23
Dal punto di vista della forma giuridica, le aziende rispondenti in maniera completa e corretta a questa domanda
della ricerca sono per il 79% società di capitale; il 12% è costituito da società di persone, il 5% sono ditte
individuali, il 2 consorzi o cooperative.
74
Osservando le previsioni delle aziende circa l’andamento del proprio fatturato nel
2006, notiamo che i soggetti economicamente più forti prevedono di migliorare
ulteriormente la propria posizione (nessuna delle aziende che fatturava più di 10
milioni di euro prevede contrazioni per l’anno in corso); al contrario, il 33% delle
piccole aziende prevede un’ulteriore riduzione del proprio fatturato. Benché la
composizione non statistica del campione induca a evitare generalizzazioni, ciò
sembra confermare il quadro di un settore economicamente dominato da
un’oligarchia di soggetti, che tendono a espandersi e a comprimere il raggio
d’azione delle piccole aziende.
Aziende: previsioni di andamento del fatturato 2006
70,0
60,0
Percentuali
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0
Piccole
(fino a E. 99.000)
Medio-piccole
(E. 100.000499.999)
Medie
(E.5000.000999.999)
Medio-grandi
(E.1-9 milioni)
Oltre E 10 milioni
Dimensioni aziende per classi di fatturato
fatturato stabile
fatturato in espansione
fatturato in contrazione
Fonte: Labmedia, 2006 (su 116 aziende audiovisive)
75
Il 18% del nostro campione è costituito da aziende “storiche”, nate prima del
1986; il 23% ha più di dieci anni di vita, ben il 59% è nato invece dopo il 1996:
ciò sembra confermare l’idea diffusa di un settore magmatico e in rapida
evoluzione.
Anno di nascita delle aziende
Anno di nascita
Prima del 1986
1987-1996
1997-2001
2002-2006
0
5
10
15
20
25
30
35
40
Numero di aziende
Fonte: Labmedia, 2006 (su 111 aziende audiovisive)
A livello di contenuti prodotti, due sono le tendenze dominanti tra le aziende
campione 24. Da un lato, è visibile una tendenza alla segmentazione di contenuto
da parte soprattutto delle aziende grandi e medio-grandi (rispetto al parametro del
fatturato), per le quali l’identificazione con un genere e con un segmento di
pubblico costituisce un vantaggio competitivo (Salvemini 2002).
I soggetti specializzati producono soprattutto nei settori di mercato maggiormente
“in salute”, come quelli dell’intrattenimento e della fiction. Dall’altra parte, le
aziende piccole o quelle originariamente specializzate in settori attualmente in
crisi (come quello del documentario), tendono a diversificare l’attività, offrendo
spesso altri prodotti (come la pubblicità) o servizi creativi e di supporto alla
produzione.
24
Si rimanda, per una verifica delle considerazioni in merito alle tipologie di prodotti realizzati, al censimento delle
aziend in appendice, che evidenzia, tra l’altro, l’identità e i dati anagrafici principali delle aziende campione.
76
S
U
C
O
F
Il Centro di Produzione RAI di Milano
Il 12 aprile 1952 debuttò a Milano, durante la Fiera Campionaria, il Centro di
Produzione Televisiva della RAI: furono trasmessi, in via sperimentale, documentari,
film, persino la benedizione papale “urbi et orbi”. La sede era in Corso Sempione,
nel palazzo che ospitava, già prima della guerra, gli studi radiofonici; alla Tv degli esordi
però, non vennero riservati i piani nobili del palazzo; piuttosto, secondo la leggenda,
“due stanzette, prudentemente prese in affitto nello stabile dall’altro lato della
strada, il cui proprietario, il celebre sarto egiziano Niki Kini, pretese in cambio, oltre
a un salatissimo affitto… quattro televisori” (Ferrari 2002).
Si iniziò in sordina, con due studi e un ripetitore, ma nel 1954, anno ufficiale di
nascita della Tv italiana, già lavoravano nel Centro di Produzione RAI di Milano 400
persone, e dagli studi milanesi (quelli di Corso Sempione e quelli, nel frattempo
acquisiti, della Fiera) veniva trasmesso l’85% dei programmi Tv in onda, telegiornale
compreso 1. Fu un periodo “breve, ma non brevissimo, di grande vitalità ideativa e
produttiva”, nell’ambito di un progetto di servizio pubblico televisivo che “mise a proprio agio… talenti lombardi e nazionali, da Bacchelli a Bo, da Gadda a Tecchi, da
Soldati a Eco” (Ferrari 2002).
La RAI milanese è stata, negli anni ‘50, una fucina di contenuti e linguaggi: lo
studio di Fonologia creato da Luciano Berio e Bruno Maderna nel 1953 fu, per
esempio, centro di ricerche sul suono e sulla musica elettronica di livello europeo,
se non mondiale.
1
www.storiadimilano.it/citta/milanotecnica/televisione/tv.htm
77
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F
Parallelamente, Milano fu a lungo associata con la “RAI degli ingegneri”,
i tecnici che, fin dagli anni ‘30 con Alessando Banfi e Guido Bertolotti,
nel capoluogo lombardo mettevano a punto impianti di ripresa,
trasmissione e ricezione. In una proficua collaborazione con centri di formazione
come il Politecnico (dove era attivo l’insegnamento di Comunicazioni Elettriche e
Radiotecnica), i poli industriali di Magneti Marelli e Safar, ma anche altri marchi
storici come Mivar e Brion-Vega, si specializzarono nella produzione di telecamere
e di apparecchi tv.
Nonostante tutto, i pochi che abbiano tentato una lettura storiografica del rapporto
tra la città e la RAI, ricavano l’ impressione che fin dall’inizio Milano non sia riuscita
a sentire la storia televisiva come parte della propria identità. Non è andata, per
esempio, come a Torino, dove la storia cittadina si è saldamente intrecciata e integrata
con quella televisiva. L’impressione è che la società e la cultura di Milano abbiano
vissuto la Tv come “un linguaggio non autoctono”, restando in fondo diffidenti, “città
ospitante” più che patria della Tv (Ferrari 2002).
Del resto, la centralità milanese rispetto alle linee editoriali della tv fu presto messa
in discussione dall’azienda stessa, e già nel 1958 divennero evidenti le tendenze
accentratrici della dirigenza romana. A scontare quella che Ada Ferrari chiama la
“balcanizzazione” della RAI fu allora, per prima, la redazione giornalistica milanese,
cui si concessero pochi spazi (il 5-6% al massimo dell’intero palinsesto dei Tg nazionali,
e sempre su questioni minori); un po’ meglio andò per settori come lo sport con la
‘Domenica Sportiva’, e come la prosa, che contava su figure di prestigio quali
Puntoni e Bettetini, oltre che su un ricco serbatoio di attori. “Milano cercò di giocare
la carta della sua identità con programmi come ‘Panorama economico’ e ‘Orizzonti
della scienza e della tecnica’… ma furono contentini sia per la fascia oraria che per
i mezzi a disposizione” (Ferrari 2002).
Alla luce di questa storia di un “incontro mancato” tra il capoluogo lombardo e il
servizio pubblico tv, il difficile e incerto presente della RAI di Milano sembra la ripetizione di un film già visto. Ci sono state, dopo il ’58, altre “stagioni” di forte progettualità per il rilancio della RAI lombarda, come tra il 1965 e il 1969, sotto la
dirigenza di Angelo Romanò e Sergio Silva, un’epoca in cui l’autonomia produttiva
di Milano sperimentò con successo generi come il cabaret e lo sceneggiato.
Anche in tempi successivi, poi, “quello dei tecnici rimase un nocciolo duro di forte
orgoglio identitario”… I frutti, in questo senso, non mancarono, se a Milano si
lavorò sul colore e ancora nel 1981 dal Centro RAI si produsse in Alta definizione.
78
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Il vertice dei tecnici milanesi “fu l’ultimo ad essere travolto dalla politicizzazione del personale televisivo che, dagli anni ’70, avanzò con passi
di piombo”, relegando di nuovo Milano al ruolo di periferia.
Nel 2006, alla RAI di Milano “mancano un piano industriale, un piano editoriale e
un piano finanziario” (Tivù giugno 2006); sta per scadere il contratto di locazione con
la sede della Fiera, e una nuova sede ancora nonc’è. Dal 1988 al 2002, i dipendenti RAI
nella sede meneghina sono calati del 50% (a fronte di un 30% nazionale medio);
calano anche le produzioni (da 19 del 2001-2002 a 12 del 2002-3), dopo il recente
trasferimento di programmi come ‘L’Eredità’ o ‘Domenica Sprint’ a Roma, la
cancellazione del quotidiano economico-finanziario e il trasloco del programma di
economia ‘Nonsolosoldi’. “Le scorciatoie hanno portato risultati effimeri, [e lo stesso trasferimento di RAI Due a Milano, annunciato nel 2004] si è risolto con il trasferimento
dell’ufficio del direttore di rete a Milano, non di più 2” . Il 70% della programmazione
non news di RAI 2 è infatti appaltato o acquistato all’esterno e, di ciò che autoproduce
l’intera RAI meno del 10% è realizzato a Milano 3.
Di nuovo si chiede oggi di “ridare al Centro di Produzione capacità editoriali tolte in
questi anni; Milano è stata impoverita dal punto di vista professionale e produttivo” 4,
e le risorse interne (che constano comunque oggi di 830 dipendenti) sono sotto-utilizzate 5. Mentre il servizio pubblico televisivo perde ascolti soprattutto al Nord,
mancano, insomma, alla RAI locale “autorevolezza e autonomia” di palinsesto, di
finanziamenti e di budget 6.
Il dibattito circa i modi per ridare slancio alla sede meneghina, con una “RAI made
in RAI” 7 non mancano. Da una parte, il presidente Petruccioli immagina la necessità di individuare una “missione” per il Centro di Produzione milanese, per costruire intorno a un genere come la cultura o il cabaret una continuità tra ideazione e
confezione dei prodotti 8.
2
3
4
5
6
7
8
Roberto Zaccaria, ex Presidente RAI, intervento al Convegno “La RAI è un servizio pubblico. L’impegno di Milano
per una nuova RAI”, Milano, La Triennale, 11-12/5/2006.
Cfr. Tivu giugno 2006.
Bruno Cerri, Segretario Generale SLC-CGIL, intervento al Convegno “La RAI è un servizio pubblico” già citato.
I turni giornalieri su base settimanale sono passati da 63 nella stagione 2001-2002 a 37 nella stagione 20022003. Cfr Tivu giugno 2006.
Marzio Quaglino, Comitato di Redazione RAI Milano, intervento al Convegno “La RAI è un servizio pubblico” già citato.
Alessandro Ferodi, Giornalista e Delegato della Direzione Centrale, RAI Milano, intervento al Convegno “La RAI
è un servizio pubblico” già citato.
Claudio Petruccioli, Presidente RAI, intervento al Convegno “La RAI è un servizio pubblico” già citato.
79
S
U
C
O
F
Altri, e noi con loro, pensano invece che il futuro della RAI milanese
non dipenda tanto dall’individuazione di una mission specifica, quanto
piuttosto dalla capacità di lasciare autonomia creativa e spazi nei palinsesti
nazionali:
“Il servizio pubblico dovrebbe dare espressione al territorio, sia produttivamenteche progettualmente, con la concezione di programmi pensati a Milano, come accadeva con la RAI 3 di Guglielmi (con Chiambretti o programmi come ‘Milano-Italia’…).
Bisogna restituire la titolarità culturale di Milano, il suo ruolo di mediazione culturale” 9.
Perchè Milano possa raccontare il Nord e raccontarsi nella sua identità di ponte tra
Europa e Mediterraneo, di cerniera tra culture, di “supermercato di Italia”, in cui si
incontrano le eccellenze della moda, ma anche della medicina e della scienza 10.
9
10
Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale 24/4/2006.
Franco Iseppi, Presidente e Amministratore Delegato Rai Click, intervento al Convegno “La RAI è un servizio
pubblico” già citato.
80
03
I LAVORATORI
di Chiara Valmachino
Il capitolo vuole fornire, in apertura, alcuni elementi di scenario circa il tema
dell’occupazione nel settore audiovisivo: facendo riferimento, in particolare, ai
dati Istat, Enpals ed Excelsior, si tratteggeranno i trend del settore in Italia e in
Lombardia.
I dati di scenario sulla situazione occupazionale del settore audiovisivo si
completano con un breve confronto tra i due editori tv leader in Italia: RAI e
Mediaset. Attraverso i dati relativi alle Risorse Umane desunti dai bilanci
aziendali, si cercheranno caratteristiche, peculiarità, punti di contatto tra le
politiche occupazionali delle due aziende.
Il capitolo presenta, quindi, i risultati della nostra ricerca “sul campo” in merito
al numero e alla composizione degli addetti nelle aziende audiovisive lombarde;
infine, si affronta il tema degli inquadramenti contrattuali dei lavoratori e dei
problemi connessi, intrecciando i dati quantitativi forniti da aziende e
lavoratori con le osservazioni qualitative emerse nelle interviste.
81
3.1 Lo scenario:
i trend occupazionali di settore
È arduo reperire dati attuali e storici sugli addetti1 del settore audiovisivo in Italia
comparabili tra le diverse fonti, a causa dell’estrema varietà dei parametri e delle
categorie considerati, tanto che il numero dei lavoratori oscilla, secondo le diverse
ricerche, tra i 24.000 e i 90.000. Una ricerca Isfol del 1999, per esempio, stimava
in 23.000 unità i lavoratori delle “attività radiotelevisive” e in 10.500 quelli della
produzione e distribuzione cinematografica e di video. IsICult (Istituto italiano per
l’industria culturale) stima invece in una recente ricerca gli “addetti” del sistema
cinematografico e audiovisivo in 90.452 unità, dichiarando tuttavia di servirsi di
dati non aggiornati (dati Enpals 2 2002 e dati Istat 2001) e “poco trasparenti”
(Millecanali gennaio 2006).
Si è scelto in questa sede – come già avvenuto nel cap.2 - di considerare
esclusivamente i dati forniti dalle aziende registrate presso la Camera di
Commercio e iscritte nelle categorie NACE 92.11 (produzione audiovisiva), 92.12
(distribuzione audiovisiva), 92.20 (attività radiotelevisiva), in quanto specifiche
rispetto all’ambito della nostra ricerca sul campo. Certamente i dati Istat (forniti
da Camera di Commercio) sottostimano nettamente la quantità di addetti del
settore, perché non includono l’ampia gamma di lavoratori atipici, riducendo la
nozione di “addetto” a quella di lavoratore dipendente e indipendente: ma
soprattutto perché le aziende non sono vincolate da cogenza normativa, per quanto
riguarda la trasmissione alle Camere di Commercio del numero di addetti. I dati
Istat sono tuttavia gli unici aggiornati, su cui è quindi possibile operare confronti
diacronici; seppure in scala ridotta, questi dati lasciano emergere trend
interessanti circa il comparto audiovisivo.
Secondo i dati forniti dalla Camera di Commercio relativi al terzo trimestre 2005,
gli addetti stabili del settore produzione, distribuzione ed editoria radiotelevisiva
in Lombardia erano 9.249 (7.440 se si considerano solo gli addetti presso aziende
che hanno la sede principale in Lombardia), pari al 39% del totale italiano
(23.711 persone). A parte il Lazio, che conta oggi 6.347 addetti (26,8% del totale),
il numero degli addetti nel resto d’Italia risulta molto scarso e frammentato nelle
altre regioni.
1
2
Naturalmente la separazione che abbiamo fatto tra “aziende” da una parte e “lavoratori” dall’altra è in parte
artificiosa, nel momento in cui si parla di ditte individuali o di cooperative. Come si vedrà, queste forme giuridiche
non sono infrequenti nel settore in esame.
Si noti, a margine, che i dati desunti da Enpals potrebbero essere sottostimati, visto che dirigenti e collaboratori,
nel settore audiovisivo, non sono iscritti al Fondo Previdenziale dello Spettacolo.
82
Imprese audiovisive - Numero di addetti nelle Regioni
10000
9500
9000
8500
8000
7500
7000
6500
6000
5500
5000
4500
4000
3500
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
Ab
ru
Ba zzo
si
lic
a
Ca ta
la
C br
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Fr
pa
ili
iu
a
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M
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is
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an
-A
a
lt o
Ad
ig
e
Va Um
lle bri
d’ a
Ao
st
a
Ve
ne
to
Numero addetti
(3° Trimestre 2005)
Regione
addetti presso sede
addetti nelle unità locali
Fonte: Camera di Commercio Milano, 2005
Un confronto diacronico tra i Censimenti dell’Industria e dei Servizi realizzati in
Italia dal 1991 mostra che il numero degli addetti in Lombardia nella produzione,
distribuzione ed editoria audiovisiva, dopo essere costantemente cresciuto tra il
1991 e il 2001 (passando in totale da 6815 a 9972 unità), ha avuto una flessione nell’ultimo quinquennio: al terzo trimestre del 2005, gli addetti dichiarati erano
723 in meno rispetto al 2001 (-7%).
Osservando, poi, in percentuale le perdite di addetti nei singoli settori dell’audiovisivo, emergono dettagli interessanti e più esplicativi rispetto al dato numerico
complessivo. L’elemento più rilevante riguarda la flessione nettissima, durante
l’ultimo quinquennio, degli addetti presso gli editori radiotelevisivi: rispetto ai
5.687 addetti del 2001, i 2.148 lavoratori in meno del 2005 rappresentano una
flessione del 62%.
83
È il risultato più evidente del già citato processo di esternalizzazione produttiva
dagli editori verso le case di produzione indipendenti, le quali crescono, nello stesso periodo, di 2.965 unità, il 73% in più rispetto ai 4032 di addetti del 2001. Una
flessione percentualmente significativa si rileva anche nel più ridotto settore della
distribuzione: i 253 addetti del 2001 si riducono a 104 nel 2005 (-59%).
Addetti del settore audiovisivo in Lombardia 1991-2005
(presso unità locali)
8.000
6.997
7.000
Numero addetti
6.000
5.687
5.447
5.000
4.967
4.032
4.000
3.000
1.313
2.600
2.148
2.000
1.000
55
0
1991
253
195
14
1996
2001
2005
Anno
92.11 (produzione)
92.12 (distribuzione)
92.20 (attività radio tv)
Fonte: Elaborazione Labmedia su dati Camera di Commercio e
Data Warehouse DWCIS - Istat
84
I dati dell’ultimo Censimento dei Servizi e dell’Industria segnalavano, nei settori
della produzione e distribuzione audiovisivi, una massiccia presenza di lavoratrici:
erano donne il 52% degli addetti nella produzione e nella distribuzione, e il 39%
degli addetti nell’editoria radio-tv.
Addetti del settore audiovisivo in Lombardia nel 2001
(ripartizione per sesso)
52%
48%
48%
52%
categorie Istat
92.11 (produzione)
92.12 (distribuzione)
61%
92.20 (attività radiotv)
0
1.000
39%
2.000
3.000
4.000
5.000
Numero di addetti
addetti maschi
addetti femmine
Fonte: Data Warehouse DWCIS - Istat
Al di là della presenza numerica femminile, alcuni dati interessanti emergono a
proposito della relazione tra sesso del lavoratore e retribuzione. I dati del 2003
presentati dall’Enpals (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i
Lavoratori dello Spettacolo) accentuano, in proposito, le tendenze nazionali: “a
parità di competenze, abilità ed esperienza, la busta paga delle lavoratrici è sensibilmente più leggera di quella degli uomini: in media le donne percepiscono una
remunerazione oraria per il lavoro prestato pari al dieci per cento in meno di quanto
incassato da un uomo” (Censis 2005). Nell’ambito radiotelevisivo, addirittura, la
retribuzione giornaliera media di una donna è del 30% inferiore a quella di un
uomo: osservando nel dettaglio le qualifiche, si nota che la forbice è ancora più
grande per quanto riguarda la categoria degli artisti e tecnici, in cui le donne
guadagnano in media ben il 39% in meno dei colleghi maschi.
85
Lavoratori del settore radiotelevisivo
Indicatori dell’occupazione e delle retribuzioni nel 2003
Complesso qualifiche
maschi
femmine
complesso
dei
contribuenti
Artisti e tecnici
Maestranze e impiegati
complesso
maschi
femmine dei
complesso
maschi
femmine dei
contribuenti
contribuenti
Età media
38
36
37
37
35
36
38
23
38
Giornate
lavorative
annue (media)
228
199
217
154
131
144
270
246
261
Retribuzione
giornaliera
media (Euro)
134,88
95,08
118,67
219
133,13
181,15
90,3
69,78
82,38
Retribuzione
annua media
(Euro)
25.079
16.938
21.763
25.316
16.017
21.180
25.151
17.688
22.268
Fonte: Enpals, 2005 (riferito all’anno 2003)
I dati Istat considerano come “addetti” i lavoratori dipendenti e indipendenti,
escludendo volontari, collaboratori occasionali e a progetto, interinali: la quota dei
lavoratori atipici è considerata da tutte le fonti bibliografiche molto elevata nel
settore audiovisivo (Menduni - Catolfi 2002; Censis 2000) 3; tuttavia, mancano
dati ufficiali precisi, che rilevino soprattutto le situazioni di confine tra regolarità
e irregolarità, oppure di palese irregolarità. Infatti, secondo l’ultimo rapporto
Censis sulla situazione sociale del Paese, gli ultimi due anni sono stati
caratterizzati in generale da una netta contrazione del sommerso di impresa;
parallelamente, però, si è registrata una crescita complessiva dei livelli di irregolarità del lavoro, che nel Nord Ovest per esempio incide per il 14,4% (la media
nazionale è del 27,9%). Molto alta in Italia (tocca il 22% dei lavoratori, il 13,1%
di quelli del nord Ovest) è la quota di chi è regolarmente assunto, ma sottoposto
a pratiche al limite della regolarità, come il mancato rispetto dei contratti collettivi,
la doppia busta paga, la dichiarazione del numero di ore o delle giornate lavorate
inferiori a quelle realmente svolte 4, ecc.
3
4
Una ricerca sul settore audiovisivo in Toscana pubblicata nel 2005, notando la scarsità di addetti e soprattutto
di addetti a tempo indeterminato presso le emittenti tv locali, commentava opportunamente: “L’esiguo numero
di dipendenti a tempo indeterminato a livello regionale induce a una riflessione sulla qualità dell’occupazione
all’interno delle televisioni locali e conseguentemente sulla possibilità di produrre comunicazione di qualità
senza l’apporto di sufficienti Risorse Umane. La realizzazione e la trasmissione di informazione quotidiana e
l’autoproduzione di programmi, di cui le emittenti fanno un largo uso, necessitano di un contributo quantitativo
e qualitativo di lavoratori del settore, che difficilmente si ottiene con inquadrature professionali precarie”.
(Corecom Regione Toscana, 2005).
In generale, l’indagine Censis svolta su 750 testimoni privilegiati individuati su tutto il territorio nazionale, rile
va tra i fenomeni di irregolarità più diffusi tra il 2003 e il 2005 “l’utilizzo improprio dei contratti a progetto”, in
aumento secondo il 58,7% degli intervistati (Censis 2005).
86
L’unico dato disponibile per l’audiovisivo in Lombardia non è aggiornato e riguarda, in ogni caso, la percentuale dei lavoratori atipici sul totale: i risultati del censimento 2001 segnalavano che il 73% dei lavoratori lombardi del settore audiovisivo (8581 persone) era dipendente a tempo determinato o indeterminato; il 12%
era indipendente (1391 persone); un altro 12% (1338) era costituito da collaboratori coordinati e continuativi.
Settore audiovisivo
Composizione addetti e lavoratori atipici 2001
12%
Co. Co. Co.
1% Interinali
2% Volontari
Indipendenti 12%
Dipendenti
73%
Fonte: elaborazione Labmedia su Data Warehouse DWCIS - Istat
87
Sul totale delle assunzioni previste in Italia per il 2005 (647.740 persone), 2490
(il 3,8 per mille) erano riferibili al settore audiovisivo, secondo la classificazione
Excelsior delle figure professionali 5. Quindi, rispetto all’anno precedente, le assunzioni
previste per il 2005 nel settore audiovisivo, subivano un calo del 2,35% (60
unità).
Assunzioni previste dalle imprese
Professioni richieste e tipologia di inquadramento
Codice Excelsior e
professioni
di cui (valori %)
Totale
assunzioni
2004 (v.a.)
Totale
assunzioni
2005 (v.a.)
1820
in imprese
con meno di
50 dip.
senza
a tempo
esperienza
indeterminato
specifica
di difficile
reperimento
1740
56,1
27,4
18,1
29,6
13.07.03 (esperti e tecnici 730
dell'impiego di apparecchiature audio-video)
750
22,3
28,1
36,8
47,2
Totale
2490
12.06.05 (specialisti dello
spettacolo e della cultura)
2550
Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, sistema informativo Excelsior 2005
5
La classificazione Excelsior, che annualmente raccoglie dati su più di 100.000 imprese italiane, considera le
seguenti categorie professionali, inerenti l’area di indagine di questa ricerca:
“12.06.05 Specialisti dello spettacolo e della cultura”: addetto programmazione palinsesto; assistente alla
regia; assistente scenografo; attore; ballerino; cantante; commentatore della radio e della Tv; corista; direttore
di orchestra; giornalista; musicista; realizzatore di produzioni Tv; redattore; regista; scenografo; segretario di
redazione; suonatore.
“13.06.05 Esperti e tecnici dello spettacolo e della cultura”: animatori di spettacoli radioTv.
“13.07.03 Esperti e tecnici dell’impiego di apparecchiature audiovideo”: addetto regia audio-video; assistente
tecnico di studio; ausiliario di studio; cameraman; fotografo; macchinista di scena; macchinista teatrale;
montatore cinematografico; operatore alta-bassa frequenza; operatore di proiezione; operatore di ripresa
cinematografica; operatore stampa e riproduzione di pellicole; operatore video; tecnico luci; tecnico radiofonico;
tecnico sonorizzatore; tecnico teatrale.
88
Assunzioni previste dalle imprese
Professioni richieste e caratteristiche dei lavoratori
di cui (valori %)
Codice Excelsior e
professioni
Totale
assunzioni
2005 (v.a.)
In sostituzione di
analoga
figura
Necessità
formazione
(corsi)
Fino a
29 anni
Con età
non
rilevante
Richiesta
conoscenza
Richiesta
conoscen- informatica
come
za lingue
utilizzo programmaz.
12.06.05 (specialisti dello
spettacolo e della cultura)
1740
13.07.03 (esperti e tecnici 750
dell'impiego di apparecchiature audio-video)
Totale
55
14,4
17
65
46,1
38,6 3,1
19,5
9,7
35,6
35,6
10,8
75,9 0,5
2490
Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, sistema informativo Excelsior 2005
I dati Excelsior forniscono, insieme al dato numerico sulle previsioni di assunzione, alcuni spunti per enucleare alcune specificità dei professionisti dell’audiovisivo. Rispetto alla media delle altre professioni specialistiche, intellettuali e scientifiche, i neo-assunti tra gli specialisti dello spettacolo e della cultura (categoria
Excelsior 12.06.05) avrebbero, per esempio, lavorato più spesso in imprese con
meno di 50 dipendenti, ottenendo meno contratti a tempo indeterminato (solo il
27% dei neoassunti avrà un contratto stabile, contro il 55,7% della media totale
nelle professioni a pari livello 6).
Si sente molto poco, per gli specialisti dello spettacolo, la necessità di corsi di
formazione, normalmente prevista dalle imprese con attività corsuale interna ed
esterna (si prevedono attività di formazione per il 14,4% degli assunti, contro il
48,3% della media per lavoratori a pari livello).
6
È in generale piuttosto alta la percentuale di imprese italiane che intendevano assumere nel 2005 personale
a tempo determinato. Le previsioni nazionali Excelsior dicevano che ben il 37,8% dei nuovi assunti sarebbe
stato inquadrato con contratto a termine. Il 34% delle uscite previste dal mondo del lavoro, specularmente,
dipendeva dalla scadenza dei contratti stipulati.
89
Valgono all’incirca le stesse considerazioni se si confrontano le caratteristiche
rilevanti dei neo-assunti per professioni tecniche in generale e per professioni tecniche nel settore audiovisivo. Nelle professioni tecniche in generale la percentuale dei nuovi assunti a tempo indeterminato nel 2005 è del 61,4%, mentre nelle
professioni tecniche dell’audiovisivo è del 28,1%
Caratteristiche esperti e tecnici audio-video in confronto alla
media dei professionisti di pari livello
(previsione nuovi assunti)
70
60
percentuali
50
40
30
20
10
0
Necessiteranno
di formazione
Avranno fino a
29 anni
L’età non sarà
rilevante
Saranno assunti a
tempo indeterminato
caratteristiche
media generale professioni tecniche
esperti tecnici a/v
Fonte: Elaborazione Labmedia su dati Unioncamere
Ministero del Lavoro, sistema informativo Excelsior - 2005
90
3.2 La situazione occupazionale
RAI e Mediaset
È interessante, a questo punto, scendere a considerare la situazione occupazionale
di singole aziende del settore; in questo paragrafo vogliamo proporre il confronto
dei dati sulle Risorse Umane dei due editori televisivi leader, RAI e Mediaset.
Per il gruppo Mediaset in Italia 7 lavoravano, al 31 dicembre 2005, 4.644
dipendenti, il 96% dei quali inquadrati a tempo indeterminato. Sul totale dei
dipendenti, le donne rappresentavano il 43% (ma sono solo il 20% dei dirigenti).
Dopo un quinquennio di sostanziale stabilità, il numero dei dipendenti Mediaset
è cresciuto nel 2005 di 213 unità (+ 4,8%) rispetto all’anno precedente, per almeno
tre motivi:
• il lancio di un nuovo business come il Digitale Terrestre;
• le innovazioni di palinsesto sulle reti generaliste, che hanno visto crescere
l’offerta di news, soft news, infotainment, e le risorse ad essa dedicate.
Anche l’acquisizione (e lo spostamento) dei diritti sportivi per le partite di
calcio sul digitale terrestre ha aperto, tra l’altro, spazi di programmazione
sulle reti analogiche terrestri;
• l’acquisizione della società Home Shopping Europe Spa (HSE), che operando
nel direct business delle televendite, ha - tra l’altro - introdotto nell’organico
Mediaset nuove figure professionali, come i buyers delle acquisizioni di
prodotti diretti.
Mediaset risulta, da una recente ricerca (People Value 2005) un’azienda molto
ambita da chi cerca lavoro: è la quarta azienda per cui gli italiani vorrebbero
lavorare (dopo Telecom Italia, Ferrari e Vodafone), a parecchie posizioni di distanza
rispetto a RAI, che figura solo al diciannovesimo posto.
Al gruppo sono pervenuti infatti nel 2005 circa 10.000 curricula spontanei, con
un incremento del 40% rispetto al 2004. Sono state tuttavia intervistate, per la
ricerca di posizioni specifiche e per l’offerta di stage formativi, solo 772 persone:
meno dell’8% rispetto a quanti hanno inviato il curriculum. Mentre gli stage realmente attivati nell’ultimo anno sono stati 179 (+ 19% rispetto al 2004), e gli
assunti 288: con un calcolo “virtuale” si potrebbe quindi desumere che un aspirante collaboratore di Mediaset ha solo l’1,8% di probabilità di ottenere uno stage
in azienda e il 2,9% di probabilità di essere assunto 8.
7
8
Al numero indicato devono poi essere sommati i 1.173 dipendenti di Telecinco, in Spagna.
Naturalmente un calcolo matematico esatto non è possibile, visto che non tutti gli stage attivati e le assunzioni
sono frutto dell’invio di un curriculum via mail… ma il dato è comunque suggestivo.
91
Composizione per qualifica del personale dipendente Mediaset
Qualifica
2005
%
numero
numero
2004
%
Dirigenti
313
6,9
308
7
Giornalisti
364
8
335
7,6
Quadri
711
15,7
679
15,3
impiegati
3155
69,4
3109
70,2
Totale
4543
100
443
100
Fonte: Mediaset, Bilancio 2005
Tra le caratteristiche dell’organico, il commento al bilancio 2005 di Mediaset
mette in evidenza alcuni aspetti, come un’elevata età media dei dipendenti (42
anni, davvero alta in relazione alla media di altre realtà audiovisive, come si vedrà
al paragrafo seguente), un’anzianità media aziendale “elevata” (14 anni, tanto più
elevata in un azienda con una storia di soli 25 anni), e il basso turn over in uscita
(pari all’1,7%).
Mediaset: età e anzianità media dei dipendenti a tempo indeterminato
Qualifica
Età media
Anzianità media
2005
2004
2005
2004
Dirigenti
47
47
16,4
16
Giornalisti
44
43
10,3
10,1
Quadri
44
43
15,5
15,1
impiegati
41
40
14,2
13,9
Totale
42
42
14,1
14
Fonte: Mediaset, Bilancio 2005
Per quanto riguarda RAI, gli ultimi dati a disposizione sono quelli relativi al
Bilancio 2004. L’organico aziendale, al 31 dicembre 2004, constava di 10.064
unità; ben il 99,2% dei dipendenti era inquadrato a tempo indeterminato, il per-
92
sonale restante (78 unità) con contratto di Formazione Lavoro. Il turn over del
personale RAI è stato positivo dal 2001 in avanti, dopo la severa ristrutturazione
dell’organico avvenuta tra il 1998 e il 2000, quando uscirono dall’azienda 720
dipendenti (il 6,8% del totale).
n. dipendenti
Assetto del personale RAI 1998-2004
Dipendenti in organico
10800
10600
10400
10200
10000
9800
9600
9400
9200
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
anno
Fonte: Annuario RAI 2004
Le assunzioni in RAI nel 2004 sono state 207; 26 i contratti di Formazione Lavoro
trasformati in contratti a tempo indeterminato. Il saldo positivo di 55 unità, che
si ottiene bilanciando le assunzioni con le cessazioni di contratti (152 unità) deve
essere tuttavia osservato più nel dettaglio: ben 125 assunzioni (il 60,4% del totale)
sono avvenute infatti per reintegro a seguito di sentenza giudiziaria 9.
9
Il commento al Bilancio 2004 nota “un sensibile aumento rispetto ai passati esercizi dei reintegri obbligatori a
seguito di sentenza”.
93
Composizione per qualifica del personale RAI a tempo indeterminato
Qualifica
Numero dipendenti
2004
Numero dipendenti
2003
Dirigenti
614
621
Quadri
1093
1069
Giornalisti
1328
1332
Impiegati
4301
4366
Addetti alle riprese
526
525
Addetti alla regia
794
718
Tecnici
150
161
Operai
1048
1032
Personale artistico
132
134
Totale personale a tempo indeterminato
9986
9931
Fonte: RAI, Bilancio 2004
Se si mettono a confronto i dati relativi alla composizione del personale delle due
aziende, per sesso e qualifica, si notano essenzialmente due differenze.
La percentuale di giornalisti sul totale delle qualifiche era nel 2004 decisamente
più elevata in RAI (13,3%) che in Mediaset (7,6%). Il network privato si distingue invece per l’elevata presenza di donne lavoratrici, più alta che in RAI per tutte le qualifiche; netta la differenza, in particolare, nella categoria dei giornalisti: in RAI sono
donne il 27,5% dei giornalisti, a Mediaset la percentuale sale al 42%.
Composizione per qualifica e sesso: confronto RAI - Mediaset 2004
Mediaset
RAI
Qualifica
% sul totale
% donne per qualifica
% sul totale
% donne per qualifica
Dirigenti
7
20,7
6,1
18,6
Quadri
15,3
42
11
34,7
Giornalisti
7,6
42
13,3
27,5
Impiegati e
altri *
70,2
45,5
69,6
37,4
* I dati RAI aggregano nella categoria “impiegati” diversi inquadramenti: oltre agli impiegati amministrativi e a quelli impegnati in produzione,
sono qui compresi anche addetti alle riprese e alla regia, tecnici e operai.
Fonte: elaborazione Labmedia su dati di bilancio RAI e Mediaset
94
Diverso è, naturalmente, il peso dell’insediamento territoriale in Lombardia per le
due aziende. Il 67% del personale Mediaset (2.992 addetti) lavora nell’area
lombarda, nelle tre sedi del gruppo di Cologno Monzese, Segrate, Lissone; il 21%
lavora a Roma, l’11,4% (509 persone) in altre sedi.
Gli addetti stabili del Centro di Produzione RAI di Milano sono invece 830, ovvero
l’8% circa dei dipendenti RAI, cui si aggiungono circa 60 “unità anno” 10 a tempo
determinato. Nella produzione tv lavorano circa 600 dipendenti; gli altri sono
impiegati in diverse strutture aziendali, come redazioni giornalistiche, abbonamenti, radiofonia, strutture editoriali.
La composizione per qualifica dei dipendenti lombardi RAI rispecchia sostanzialmente la
suddivisione nazionale, fatta eccezione naturalmente per i dirigenti (l’1% circa sul
totale degli addetti milanesi), che lavorano quasi esclusivamente nelle sedi romane:
a Milano il 12% è costituito da quadri, ovvero funzionari, e personale operativo
sulle produzioni (direttori di produzione, coordinatori tecnici, programmisti-registi
ecc.); il 10% è costituito da giornalisti, che lavorano per la testata locale del TgR
e per le testate nazionali; compongono il resto dell’organico gli impiegati amministrativi e di produzione (come operatori di ripresa, assistenti alla regia, montatori ecc.) e gli operai.
3.3 La ricerca:
composizione degli addetti e
inquadramenti contrattuali
L’82% delle aziende partecipanti alla nostra ricerca (104 su 127) ha fornito
indicazioni circa il numero e la composizione dei propri addetti, confermando solo
in parte i dati provenienti dalle fonti nazionali. Si conferma, per esempio, l’alta
percentuale di donne occupate nel settore (il 46% del totale), ma senza
differenze significative tra le diverse tipologie di aziende: i dati Istat invece,
sottolineavano una predominanza femminile (ben il 52% del totale) tra gli editori
televisivi.
Trova riscontro, inoltre, l’impressione di un settore “giovane”, visto che il 32%
10
Il concetto di “unità anno” è differente da quello degli addetti a tempo determinato, perché questi ultimi, vanno
calcolati sugli effettivi giorni di impegno: gli addetti totali sono infatti circa 200, ma impegnati solo parzialmente.
95
degli addetti dichiarati ha meno di 30 anni, contro un 12% di over 50; il restante
56% si colloca nella fascia di età intermedia tra il 30 e 49 anni 11.
Il dato viene confermato da FRT che indica in 30 anni l’età media dei lavoratori dei propri associati.
Per quanto riguarda le tipologie di inquadramento contrattuale degli addetti, le
aziende rivelano numeri che non concordano con i dati Istat già citati, ma che
probabilmente restituiscono un quadro più verosimile del settore. In media, le
aziende dichiarano una percentuale piuttosto alta di collaboratori a progetto e
occasionali (il 26% del totale) e di lavoratori a tempo determinato (il 14%): il 40%
dei lavoratori impiegati presso le aziende campione sono, dunque, precari. Ad essi
si aggiunge il “popolo delle partite IVA”, un cospicuo 17% di consulenti.
Inquadramenti contrattuali degli addetti
(valore % medio)
5%
Altro
Stagista
8%
1% Formaz. Lavoro/Apprendistato
Collaborazione
a progetto
14%
17% Consulenza professionale
in partita Iva
Collaborazione
occasionale
12%
29% Tempo indeterminato
14% Tempo determinato
Fonte: Labmedia, 2006 (su campione di 104 aziende)
11
I dati sulla composizione per sesso ed età degli addetti sono però stati riferiti, da molte aziende, ai soli lavoratori
a tempo indeterminato e potrebbero perciò sottostimare la percentuale effettiva di giovani, che si presume
entrino spesso in azienda con contratti a termine.
96
Il dato si precisa se scorporiamo la composizione degli addetti per tipologia di
azienda: la percentuale di lavoratori a tempo indeterminato è maggioritaria tra gli
editori (54% del totale), molto bassa tra i produttori (23% in media sul totale). Al
contrario, collaboratori e consulenti costituiscono ben il 64% degli addetti tra i
produttori, il 21% tra gli editori 12.
Inquadramenti contrattuali degli addetti (valori % medi)
Confronto tra tipologie di aziende
60
50
percentuali
40
30
20
10
al
e
In
te
r
in
o
.L
av
or
m
Fo
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T.
i
nd
et
er
m
o
0
inquadramenti contrattuali
produttori
editori
altro
Fonte: Labmedia, 2006 (su campione di 104 aziende)
In generale, si riscontra una significativa differenza tra editori e produttori nelle
politiche di inserimento lavorativo del personale. Presso le emittenti, il 68% dei
lavoratori ha un contratto di lavoro subordinato; la percentuale scende al 39%
presso i produttori.
12
Bassa la quantità di stagisti dichiarata (il 5% sul totale degli addetti per i produttori, l’1% per gli editori): le
norme vigenti prevedono una percentuale limitata di stagisti sul numero totale dei dipendenti. Le dichiarazioni
dei lavoratori interpellati suggeriscono tuttavia un’altra realtà, che spesso deborda nell’irregolarità; si affronterà
questo tema in modo più approfondito nel capitolo dedicato al placement.
97
Infine,
“Nel settore dei servizi alla produzione c’è un avviamento al lavoro più simile
all’industria, e i lavoratori hanno mercato… si può iniziare con contratti di lavoro
interinale e poi, attraverso il training e i corsi di formazione interna, quasi tutti sono
destinati a passare al tempo indeterminato”.
(Uberto Rasini, Direttore Generale 3Zero2, intervista personale, 20/4/2006)
La diversa percentuale di lavoratori subordinati tra editori e produttori si può
spiegare in parte con le differenti prassi di utilizzo dei Contratti Collettivi di
lavoro 13. Le emittenti nazionali e locali applicano regolarmente Contratti Collettivi
di lavoro specifici del settore audiovisivo, che spingono verso inquadramenti
professionali definiti e stabili, e che sono facilmente monitorabili dai sindacati di
categoria 14: il 50% degli editori, nel nostro campione, dichiara per esempio di
applicare il Contratto Collettivo FRT, il 22% quello di Aeranti Corallo.
In alcuni casi, la stessa normativa in vigore incoraggia l’assunzione di
personale: le emittenti locali, ad esempio, per ottenere la concessione, devono
per legge avere almeno quattro dipendenti subordinati. In più, esse ricevono
contributi (90 milioni di euro) sulla base del fatturato e del numero di dipendenti.
Più precisamente, le prassi non mutano solo per tipologia d’azienda, ma da settore
aziendale a settore:
“Alcune aree aziendali sono caratterizzate da un elevata discontinuità (produzioni televisive che in palinsesto hanno una durata limitata, o picchi di lavoro concomitanti con
eventi sul territorio organizzati dalla rete) e quindi richiedono elevata flessibilità
nell’utilizzo delle risorse dedicate. In questi contesti è naturale agire attraverso gruppi di
lavoro temporanei legati alla nascita di un progetto specifico, destinati a concludersi col
terminare del progetto stesso. In altre aree invece, quali ad esempio quelle tecniche
(emissione, MCR, Operations, Gallery PA, Booking), la continuità del servizio deve essere
garantita in modo più costante. Le figure dedicate a queste attività, solitamente, collaborano
13
14
I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro dell’Audiovisivo sono: Contratto RAI, FRT, Aeranti Corallo (per le emittenti
televisive), delle Industrie di Cinema, Tecnici e Maestranze, generici (per le case di produzione cinematografica
e di fiction), Contratto Giornalistico Fnsi e RAI. Non tutti i lavoratori dell’Audiovisivo sono inquadrati in uno di
questi contratti. Per consultare i testi integrali dei contratti rimandiamo alla sezione Risorse del sito
www.tvjob.it.
Con le emittenti “noi [i sindacati] sistematicamente riusciamo a rinnovare i contratti. Parlo anche dell’FRT. Dal
punto di vista contrattuale non c’è difficoltà. Anche i risultati sono interessanti, i contratti non sono rabberciati…
Nelle aziende più grandi abbiamo anche il secondo livello di contrattazione: ovvero il contratto nazionale e poi
il livello integrativo [aziendale]”. (Renato Zambelli, Segretario Generale CISL-Fistel Lombardia, intervista
personale 20/4/06).
98
con MTV Italia in modo più stabile e continuativo”.
(Cristina Lippi, Responsabile Human Resources MTV Italia, intervista, 20/3/2006)
Circa gli obblighi contrattuali, le aziende che operano nel settore dell’emittenza tv
sollevano qualche obiezione in merito all’eccessiva rigidità del mercato del lavoro:
“C’è una certa rigidità per quanto riguarda i metodi di assunzione e di collaborazione.
Qualcosa si è fatto [a Telenova] per il giornalismo, perché il contratto non è quello
della Federazione Giornalisti della Stampa, ma quello Aeranti Corallo che ha una
maggiore flessibilità, ma è comunque un contratto che ti impegna molto”.
(Giusto Truglia, Vice direttore generale Multimedia S. Paolo, direttore testata
giornalistica e palinsesto Telenova, intervista personale, 13/3/2006)
Dal canto loro, lavoratori e sindacalisti sottolineano, al contrario, la persistenza
di qualche anomalia e difetto di garanzia anche nei contratti applicati dalle
emittenti tv. Innanzitutto, quello dell’emittenza
“È un mercato atipico, per certi versi: ad esempio non prevede cassa integrazione”.
(Stefano Selli, Direttore Generale FRT, intervista personale, 26/4/2006);
“Laddove mancano gli ammortizzatori sociali, quando c’è crisi è il lavoratore a pagare”.
(Renato Zambelli, Segretario Generale CISL-Fistel Lombardia, intervista personale,
20/4/06)
Nelle redazioni e nelle produzioni di alcune aziende tv, inoltre, si fa un uso frequente
dei contratti a termine, che di rado si trasformano successivamente in contratti a
tempo indeterminato 15.
Sul tema degli inquadramenti contrattuali, si scontrano due logiche per loro natura
divergenti: quella tipica di sindacati e lavoratori, che pongono l’accento sulle
cause contingenti della precarietà, e quella delle aziende che sottolineano la
strutturale precarietà del mondo audiovisivo.
La produzione audiovisiva viene considerata all’unanimità il regno della flessibilità
occupazionale, parola che non a caso viene spesso citata in alternativa a “precarietà”:
15
“C’è il problema, sui contratti a termine, di uscita delle risorse formate (es. montatori, tecnici, operatori),
nonostante l’attaccamento all’azienda” (Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione Produzione Tv RAI Milano, intervista personale 20/3/2006).
99
“Il lavoro [nel settore della produzione televisiva] è stato sempre precario e sempre
lo sarà. Il precariato è strutturale nel settore. Noi scritturiamo sempre persone a
contratto determinato sul programma”.
(Nanni Mandelli, Produttore Esecutivo Grundy Italia, intervista personale, 9/3/2006)
Eppure, flessibilità e precarietà non dovrebbero essere sinonimi. La flessibilità rappresentata tipicamente da consulenti freelance - può rappresentare una
condizione vantaggiosa per aziende e lavoratori. I freelance sono lavoratori a cui
la condizione di autonomia può andare bene,
“Perché non vogliono darsi al 100% e vogliono avere rapporti con tanti committenti...
[d’altra parte] bisogna considerare che, per fare la squadra giusta, devi cambiare
più volte gente per trovarla. Per gli aspetti creativi non puoi tenerti certe persone
per 10 anni, perchè cambiano le tecniche, i gusti e si rischia di rimanere sempre
sullo stesso stile”.
(Mattias Brahammar, Facility Manager 3Zero2 TV, intervista personale, 20/4/2006)
I sostenitori della flessibilità teorizzano anche una maggiore efficienza produttiva
e un maggior entusiasmo e spirito di abnegazione del lavoratore autonomo, fattori
indispensabili per la produzione audiovisiva:
“Il principio cardine è questo: chi lavora da free lance è più efficiente: è amaro, ma
è cosi. La casa di produzione che deve fare un format televisivo lo fa con molto più
entusiasmo e passione che non una linea di produzione che fa le stesse cose, che
fa quattro programmi in fila, senza aver alcun tipo di partecipazione. Perché la
gente esternalizza? Perché hai più efficienza, hai meno sbadigli, hai meno reticenze,
hai più entusiasmo. Credo che non sia un segreto”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
“Queste persone non vivono con ‘lo stipendio il 27’, le si fanno morire se si cerca
di contenerle troppo. Queste sono professioni che vivono in un ambiente dinamico,
competitivo, instabile, irregolare, con modalità di lavoro che non sono quelle
impiegatizie”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
100
La flessibilità, in ogni caso, dovrebbe sempre accompagnarsi con l’innovazione di
prodotto e di processo. Troppo spesso, invece, finisce per coincidere con la
discontinuità di lavoro 16 e con lo sfruttamento di Risorse Umane.
“C’è un labile confine tra flessibilità legittima e precarietà preoccupante”.
(Andrea Corbella, RSU-RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)
La precarietà è tipica di collaboratori con relazioni mono-aziendali, professionisti
spesso sottoretribuiti e dal futuro perennemente incerto 17:
“I meccanismi della produzione, lasciati sempre di più al mercato, tendono, come
si sa, all’appalto e al subappalto… e questo si ripercuote sul mercato del lavoro.
In Italia abbiamo un mercato insieme molto concentrato e molto disperso: poche
emittenti leader, ma un’enorme presenza di piccoli produttori. Più aumenta la
produzione esterna rispetto alle emittenti, più aumentano i lavoratori legati a singole
produzioni, mentre nelle emittenti si penalizzano e si sottoutilizzano i profili esistenti.
La flessibilità diventa precarietà. Abbiamo bisogno di una semplificazione del settore,
anche dal punto di vista dell’occupazione. Aumentano i precari, ma non si
razionalizza il sistema”.
(Bruno Cerri, Segretario Generale SLC-CGIL Lombardia, intervista personale
18/5/2006)
Gli addetti del settore radio-tv, secondo i dati Enpals, lavorano comunque in media
molti più giorni rispetto ai colleghi del cinema e del teatro (217 giorni contro,
rispettivamente, 82 e 85); conseguentemente, anche le retribuzioni giornaliere e
annuali medie, per i lavoratori radio-tv, sono decisamente più alte (21.763 euro
l’anno in media) rispetto a quelle dei colleghi del cinema (9.457 euro) e del
teatro (7.823 euro).
Le case di produzione indipendenti sono un settore difficilmente monitorabile e
controllabile con i criteri tradizionali: i produttori applicano frequentemente
contratti diversi dai Contratti Collettivi di Lavoro del settore audiovisivo (come
dichiara il 18% dei produttori del campione), o addirittura non applicano affatto
18
Contratti Collettivi (il 13% dei rispondenti) .
16
17
18
Emilio Viafora, Segretario Nazionale NIDIL-CGIL, intervento al convegno “Dal lavoro come diritto al lavoro come
optional. Le prospettive del settore audiovisivo”, 17-18 marzo 2006, Università La Sapienza di Roma.
La discontinuità e l’insicurezza lavorativa vengono evidenziate come problema rilevante da molti lavoratori che
hanno partecipato alla nostra ricerca, come si argomenterà nell’ultimo capitolo.
Le case di produzione audiovisiva indipendenti, per esempio, hanno una rappresentanza scarsissima (se non
101
Non tutti, in ogni caso, concordano con l’idea che la precarietà dell’occupazione,
specialmente nella produzione audiovisiva, sia strutturale; alcuni preferiscono
rintracciare legami tra la situazione occupazionale e le contingenze socioeconomiche:
“L’occupazione è precaria. In Italia si produce meno... C’è una dimensione artigianale
che non fa vedere grandi prospettive”.
(Dario Barone, General Manager C.D.I., intervista personale, 27/2/2006)
Del resto, non solo la stabilità occupazionale, ma anche i trend relativi al numero di addetti del settore risentono degli andamenti del mercato: se l’occupazione
è in aumento per la produzione di fiction e di intrattenimento leggero, è stabile
per quanto riguarda, ad esempio, il documentario, che attualmente occupa in
Italia una nicchia di mercato molto piccola.
In generale, il 54% delle aziende partecipanti alla ricerca dichiara una stabilità nel
numero di addetti tra il 2004 e il 2005, il 32% affermano che la quantità di addetti
è aumentata; rilevante la percentuale di emittenti (il 28%) che dichiara una
contrazione del personale nell’ultimo anno.
Trend occupazionale nel 2005 rispetto al 2004
(valori % medi)
100,0
90,0
percentuali
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
Produttori
Editori
Altro
Settore di attività principale
stabile
in espansione
in contrazione
nulla) nei sindacati di categoria. “Difficilmente sono regolamentati. Finché si lavora, si è remunerati in maniera
sufficiente; nel mondo delle troupes per esempio non esistono grandi problemi di remunerazione. Però…
mancano le regole per i lavoratori… Mentre nelle emittenti, dove ci sono i sindacati, almeno la diretta è
garantita, ogni situazione ha una regola. Anche retributiva”. (Renato Zambelli,Segretario Generale CISL-Fistel
Lombardia, intervista personale 20/4/06).
102
Un ultimo tema, in merito alla situazione occupazionale delle aziende audiovisive
e alle dinamiche contrattuali, riguarda la definizione delle qualifiche e dei ruoli
professionali. La suddivisione è piuttosto labile in aziende di dimensioni piccole o
familiari 19, in cui spesso pochi addetti sommano molteplici ruoli:
“Nella grande azienda si libera un posto della catena e tu vai a occupare quel posto
della catena. Nello stesso tempo in una società piccola “se c’è quello, devi fare quello”,
per cui se tu vuoi entrare ti devi adattare ed essere flessibile”.
(Project coordinator emittente televisiva, focus group, 7/4/2006)
“Molto raramente mi è capitato di fare il regista per una casa di produzione esterna
che non fosse la mia. Quando è la mia, invece, come produttore mi eleggo anche
regista, e avendo poi una certa autostima, mi occupo anche della sceneggiatura,
delle riprese, del montaggio. Succede poi che la mia autostima non sia ad un livello
ancora patologico, per cui ho la percezione che fare un audiovisivo sia un lavoro di
equipe; per cui ho dei collaboratori, ho un direttore della fotografia, di cui mi fido
molto, un fonico fisso.
Per quanto riguarda l’ideazione - soggetto e sceneggiatura - ho sempre cercato di
avere un’idea da condividere con altre persone per vedere insieme come gestirla,
strutturarla, svilupparla.
Per quanto riguarda la preparazione, ho sempre avuto un paio di assistenti al fianco,
che mi aiutano dal punto di vista organizzativo e creativo. Perché è inevitabile che
le due cose si sovrappongano.
Le riprese le faccio con un operatore/direttore della fotografia, o con un operatore
e un direttore della fotografia, o a volte ho fatto tutto da solo. Dove non hai questo
problema di credibilità “durante”, ma di credibilità “alla consegna” lì allora mi sono
preso la briga di fare tutto da solo. La troupe è quanto di più elastico ci possa essere.
Un mio set massimo ha avuto 15-20 persone.
Sempre di più direi che la caratteristica fondamentale è la flessibilità. Sempre di
più succede che, come già in un passato recente, il ruolo dell’operatore e del
direttore della fotografia vadano a sovrapporsi. E per me la specializzazione, più che
dal tuo percorso formativo, è data da quante volte sei stato impegnato di fatto in
quel ruolo.
C’è quindi una possibilità naturale di interscambio tra i ruoli. E anche di sincretismo
19
Non sono isolati i casi di aziende audiovisive a conduzione familiare, anche tra quelle con produzioni di un alto
livello qualitativo: “La parte amministrativa non la curo io, ma mio marito… ho un cameraman ricorrente che è
mio figlio. Ci sono io e l’unica socia…che è anche mia nuora” (Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista
personale 6/3/2006).
103
tra i ruoli: può succedere che chi fa l’operatore sia anche il direttore della fotografia,
o che l’elettricista abbia una capacità come operatore”.
(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
In ogni caso, i risultati della ricerca quantitativa sui lavoratori sembrano far
emergere che è piuttosto frequente una disparità tra inquadramenti contrattuali e
mansioni effettivamente svolte dai lavoratori nel settore audiovisivo: ciò avviene,
da un lato, per la specificità di professioni “nuove”, che non trovano ancora
collocazione nei Contratti Collettivi di Lavoro, o per la mancanza tout court di un
riferimento ai CCNL specifici del settore. Dall’altro, alcune situazioni fanno
presupporre comportamenti anomali da parte delle aziende, che inquadrano il
personale a livelli inferiori rispetto alle mansioni svolte.
Qualifica riportata nel contratto di lavoro, rispetto al ruolo svolto
(valori %)
È sovradimensionata
al ruolo
Altro (nessuna qualifica)
È restrittiva
rispetto al ruolo
È differente dal ruolo
È sottodimensionata
al ruolo
Non corrisponde
ma è compatibile
Corrisponde
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
45%
50%
percentuali
Fonte: Labmedia, 2006 (su 64 lavoratori)
104
La qualifica è inferiore al ruolo effettivamente ricoperto per l’8% dei rispondenti al
questionario dei lavoratori 20; è totalmente diversa rispetto al ruolo svolto nel 6% dei
casi; 21 in un altro 6% di casi, il ruolo risulta allargato rispetto alla qualifica indicata da
contratto 22: complessivamente un quarto dei lavoratori rispondenti ha indicato
discrepanze più o meno rilevanti tra la qualifica contrattuale e l’effettiva mansione.
20
21
22
A titolo di esempio, si possono citare i casi di una persona inquadrata come operatore Tv - montatore che, in
realtà, svolge il lavoro di un redattore-videoreporter, o di un direttore di produzione inquadrato come assistente
di produzione.
Esemplificativo il caso di un giornalista inquadrato come producer.
Si può citare il caso di un lavoratore contrattualizzato come “operatore”, che svolge in realtà funzioni di
videoreporter e redattore.
105
S
U
C
O
F
Il caso Skillset
Skillset è lo Skills Council di settore per le industrie audiovisive inglesi
(televisione, cinema, video, media interattivi).
Fondato congiuntamente dall’industria e dal governo, ha come obiettivo quello di
“assicurare che le industrie audiovisive abbiano le persone giuste, con le giuste
competenze, nel posto giusto, al momento giusto, per poter rimanere competitive”.
Nato nel 1993 con il compito di “incoraggiare e predisporre una formazione che
contribuisse a conservare e migliorare i risultati raggiunti in campo tecnico, creativo
ed economico dall’industria britannica di broadcasting, cinema e video”, in particolare
tutelando i free lance, dal 1999 è diventato National Training Organisation di settore,
allargando l’attenzione a tutti i lavoratori.
La sua strategia risponde a questi obiettivi:
• influenzare le politiche di formazione dei broadcaster attraverso ricerche
approfondite sui trend lavorativi e sui bisogni di training;
• spingere ad investire sulla formazione un’ampia schiera di soggetti economici
e sociali, per sostenere finanziariamente e incoraggiare alla formazione tutti
gli occupati del settore, specie i free lance;
• sviluppare e implementare gli standard e le qualificazioni fondamentali per
valutare e prevedere la futura qualità del training.
Il gruppo direttivo di Skillset riunisce tutte le componenti sociali: imprenditori,
sindacati, associazioni professionali, esperti, organizzazioni para-governative e
private, ecc. Conta su finanziamenti statali, privati (di istituzioni professionali, delle
imprese del settore, di istituti dell’educazione superiore, e della formazione) ed
europei, funzionando come Charity a capitale misto.
Skillset fornisce agli aspiranti e agli attuali lavoratori informazioni sulla formazione
e sui ruoli professionali, e redige periodicamente ricerche sulla situazione occupazionale e sui trend dell’industria audiovisiva; eroga i suoi servizi on line, nel sito
www.skillset.org, face to face e telefonicamente attraverso una sorta di “numero
verde” gratuito.
Le sue iniziative, svolte in collaborazione con sindacati e associazioni di categoria,
comprendono l’orientamento sulle figure professionali (Careers Advice), per favorire le
scelte di carriera dei lavoratori e per evitare alle aziende situazioni di deficit di competenze (“skills gaps and shortages”).
106
S
U
C
O
F
Svolge attività informative e di accreditamento della formazione per
individui e aziende, e formula linee guida perché la formazione sia sempre più rispondente ai bisogni aziendali; fornisce alle aziende servizi di formazione, reclutamento e sviluppo. Annualmente Skillset pubblica - anche on line
sul proprio sito - “Feature Film Production”, una ricerca, compiuta su 900 soggetti, sulla situazione della forza lavoro nell’audiovisivo inglese.
Definisce inoltre gli standard professionali (che comprendono competenze,
conoscenze e esperienze per lavorare nell’audiovisivo) grazie ad Assessors esperti
di settore, e rilascia la certificazione delle qualifiche (dette “Vocational
Qualifications”, ad indicare le scelte consapevoli e specializzate dei lavoratori),
anche grazie all’attività di tutor e mentor che seguono il lavoratore nella propria
attività professionale.
Strategy
Scotland
England
m
the
Nor and
Irel
Sector Skills Agreements
Wales
UK-wide Sector Skills Strategies
and Action Plans
A Bigger Future - the UK Film Skills Strategy
Interactive Media Skills Strategy and Creating the Future
TV Skills Strategy
English Regional Skills Strategies
N West
N East Y&H East
W Mids E Mids London S East
National and Regional Action Plans
Scotland
S West
N West
N East Y&H East
W Mids E Mids London S East
ent
lopm
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In d
S West
Wales
Action
107
PARTE SECONDA
MESTIERI E COMPETENZE
04
I MESTIERI
di Alessandra Alessandri
con Fedra Fumagalli
In questo capitolo si affronta il tema della mappatura dei mestieri audiovisivi,
partendo da un problema di classificazione e censimento delle centinaia di ruoli
esistenti. Al di là della difficoltà di sistematizzare settori produttivi differenti e
realtà aziendali differenti, il censimento delle professionalità viene comunque
considerato l’indispensabile punto di partenza per un obiettivo di codifica, e
primo passo per la costituzione di una vera comunità professionale.
La ricerca, grazie a un lavoro di sistematica ricognizione sui vari settori audiovisivi, censisce e descrive 213 tra figure professionali e mansioni, classificate nelle
tre aree produzione contenuto, gestione contenuto e ibride, e in ulteriori dieci
sotto-ambiti.
Vengono successivamente approfondite le famiglie di mestieri indicate dalle
aziende come strategiche per la loro attività (commerciali, produttive, “crossmediali”),
vacanti e trasformate.
Il Focus riferisce di un analogo lavoro di mappatura professionale compiuto
qualche anno fa da TF1, il gruppo televisivo commerciale leader in Francia,
all’interno della sua attenta politica di Gestione Risorse Umane.
111
4.1 La classificazione delle professioni
audiovisive
Il tema della disparità tra qualifiche contrattuali e mansioni effettivamente
ricoperte ci introduce ad un aspetto rilevante della ricerca, quello della classificazione
dei mestieri dell’audiovisivo.
Uno dei fattori che fanno pensare ad una codifica ancora scarsa delle professionalità
audiovisive è proprio la mancanza di accordo nella loro denominazione: addirittura
c’è chi afferma che “per adesso non si può parlare di una professione, nel senso
completo del termine, in quanto molti dei fattori che fanno di un mestiere una
professione (iter formativo, norme etiche e comunità professionali) sono ancora oggi
assenti” (Morcellini 2002).
Una riprova consiste nel fatto che in Italia non esiste a tutt’oggi una iniziativa
editoriale sistematica sui mestieri dell’audiovisivo, ma solo singoli contributi
sporadici 1, che non possono essere confrontati con collane ben più esaurienti,
come ad esempio quella francese di INA o quella spagnola di IORTVE 2.
Ciò nonostante, è senz’altro possibile parlare di “occupazioni dell’audiovisivo”,
comprendendo in questa definizione generica sia il lavoro non retribuito (ad es. i
tirocini formativi nel periodo di avviamento alla professione) che quello retribuito,
declinato in:
• “mestieri” (attività pratiche, che utilizzano competenze soprattutto tecniche
grazie ad un addestramento);
• “professioni” (attività intellettuali, che utilizzano ad esempio competenze
manageriali);
• “arti” (attività dell’ingegno, che utilizzano competenze artistiche, secondo
regole dettate dall’esperienza e dallo studio).
Le occupazioni: lavori, mestieri, professioni, arti
Non retribuita
(ad es. tirocinio
formativo)
= “esercizio gratuito di un’attività, a fini di
apprendimento”
Mestiere
= “attività pratica dopo un addestramento;
aspetto pragmatico di una professione”
Professione
= “attività intellettuale”
Arte
= “attività dell’ingegno secondo regole dettate
dall’esperienza e dallo studio”
Occupazione
Retribuita = lavoro
1
2
La casa editrice italiana che vanta il maggior numero di manuali, dedicati a professioni o generi dell’audiovisivo,
è Dino Audino Editore, che pubblica anche la rivista Script e che collabora con RAI per il Corso di formazione e
perfezionamento per sceneggiatori, giunto alla decima edizione. Per un elenco completo vedasi la sezione
Risorse del sito www.tvjob.it.
Cfr. sezione “Risorse” del sito www.tvjob.it.
112
Al di là della legittimità e dell’ampiezza delle occupazioni dell’audiovisivo (che
d’ora in poi, nonostante la precisazione fatta, chiameremo “professioni” in senso
lato), si registra indubbiamente una grande varietà di etichette professionali nel
settore. Si registrano, tra l’altro, profili professionali che mutano denominazione
da azienda ad azienda (ad esempio il “redattore” si chiama “researcher” nei contesti anglosassoni, come MTV), oppure il caso inverso, di figure che a parità di
denominazione svolgono in contesti differenti attività ben diverse (ad es. si veda
l’ampiezza di significati della parola “produttore”, traducibile in varie mansioni 3
come quelle di “produttore creativo”, “produttore esecutivo”, “producer”, ecc, per
non parlare dell’ambiguità delle traduzioni italiane di termini come “executive
producer” e “producer”). Spesso le differenze sono riconducibili a differenti
contesti produttivi: “many of the functions overlap and even change, depending on
the size, location, and relative complexity of the production” (Zettl 1992).
Uno dei problemi è il fatto che alcune figure professionali sono specifiche di alcuni ambiti produttivi (es. le figure delle news, dell’animazione e del crossmedia hanno
specificità maggiori rispetto a quelle dell’intrattenimento e del documentario). Altre
sono specifiche della tipologia di azienda e del suo ruolo nella filiera (alcune figure si riscontrano sia nelle case di produzione che nelle emittenti, altre sono solo
nelle emittenti); o del genere delle case di produzione, solitamente specializzate
(spot, o documentario, o news, o intrattenimento)4; o della modalità di
trasmissione delle emittenti (le figure delle reti satellitari sono spesso diverse da
quelle terrestri).
Storicamente è senza dubbio più facile trovare codifiche condivise in territori consolidati come quello cinematografico (che vanta ormai 110 anni di storia) o pubblicitario (che è quello a lui più vicino), che non in quello televisivo (che in Italia
ha solo 50 anni).
“La pubblicità ha schemi che tutti seguono in tutto il mondo. Dovunque vai hai lo
stesso tipo di figure, le stesse consuetudini, gli stessi strumenti: a seconda dei posti
cambia la rigidità dello schema o hai qualche persona in più, ma hai sempre le tue
callsheet, i tuoi storyboard, il regista si fa il suo shooting board. In tv non è così, tutto
è un pò meno organizzato e codificato”.
(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)
3
4
Per “mansione” si intende qui uno specifico compito da svolgere, in un determinato contesto. Per ogni figura
professionale possono esistere più mansioni, come vedremo poi nella nostra proposta di mappa.
“Nel concreto, nell’area audiovisivi, spettacolo e pubblicità si può individuare una grande varietà di cicli di
produzione, in quanto numerosi e diversi sono i prodotti. Assolutamente inadeguata risulta l’analisi che prenda
le mosse dai settori principali dell’area, che, il più delle volte, appaiono essenzialmente come contenitori di
prodotti e di realtà produttive assai diverse tra loro. È chiaro ad esempio che il ciclo produttivo di un documentario
e di un varietà hanno poco in comune…”. Cfr. Isfol 1999.
113
Ancora maggiore la difficoltà nel crossmediale e nelle nuove tecnologie, in cui la
codifica ad oggi è quasi impossibile per la continua ridefinizione delle competenze, imposta dalle tecnologie stesse 5.
In molti casi, a livello di utilizzo empirico, si registrano anche goffi neologismi
(come l’inesistente dizione “video montaggista”, in un annuncio di lavoro, probabilmente per “montatore”…). Un’ulteriore fonte di ambiguità è data dalla terminologia anglosassone, che spesso si accavalla a quella italiana, dando luogo ad equivoci.
Inoltre gli ambiti di attività delle singole figure finiscono sempre per essere
plasmati e ridefiniti, al di là delle job description contrattuali, dalle effettive
competenze ed esperienze dei singoli che le ricoprono: persino la personalità e il
carisma di chi ricopre una posizione contribuiscono in modo non trascurabile a
tracciarne i confini.
Vari tentativi sono stati fatti per riordinare il mare magnum di definizioni esistenti
nella pratica: qui ne riportiamo alcuni, in quanto riflettono varie visioni del modo
di fare audiovisivo.
Alcuni tentativi di classificazione sono riconducibili alle diverse competenze che
sarebbero attivate nel processo produttivo.
Secondo Menduni e Catolfi “storicamente le grandi suddivisioni classiche delle
professioni che contraddistinguevano le emittenti pubbliche europee negli anni
’60 erano quattro: “amministrativi, creativi, tecnici e giornalisti”. (Menduni,
Catolfi, 2002). Ma risulta evidente che nell’audiovisivo alcuni “mestieri” sono per
loro natura sulla linea di confine tra ambito tecnico e creativo (ad es. il direttore
della fotografia): la digitalizzazione ha infranto spesso non solo il confine tra preproduzione, produzione e postproduzione, ma anche quello tra ambito artistico e
tecnico, costringendo persone che fino a ieri si occupavano esclusivamente della
redazione di testi giornalistici, non solo ad impaginarli, ma anche a pensarli per
immagini e a confezionarli.
Altri tentativi di divisione tra “tecnici, creativi, manager, comunicatori interni e
organizzatori” 6, si rivelano ancora più deboli alla luce della prassi reale: per quale
5
Un tentativo di periodizzazione delle definizioni professionali televisive è operato da Barbara Mazza nel saggio
“La tv tra vecchie e nuove professionalità”, nel già citato “Quella deficiente della tv”. Mazza distingue varie fasi:
1) anni ’50 -’60 o “l’urgenza dei mestieri”, in cui la tv “si avvale di mestieri mutuati dal cinema o ripresi dagli
schemi preindustriali statunitensi”; 2) anni ’60 -’70, in cui dirigenti RAI come Guala e Bernabei incoraggiano “il
passaggio ad una realtà produttiva di stampo industriale” attraverso “schemi gerarchici-burocratici di tipo
verticale, caratterizzati da un forte accentramento gestionale”; 3) anni ’70 -’80, in cui le emittenti private generano
nuovi profili e ridefiniscono quelli esistenti, favorendo la nascita di profili di raccordo tra i manager e gli operatori
artistici e tecnici; 4) anni ’80 -’90 di assestamento, con “una stagnazione del panorama professionale e il
perpetuarsi di meccanismi di crescita impulsiva e selvaggia”; anni ’90 -2000, “la rivisitazione tecnologica”, con
la nascita di profili innovativi e la centralizzazione della componente tecnica.
114
Regista
Fonte: Gavrila 2002
Curatore del
programma (RAI)
Produttore esecutivo
I COMUNICATORI
INTERNI
Direttore di produzione
Direttore di
programmi (FININVEST)
Scenografo
Dirigente coordinatore (RAI)
Costumista
GLI ORGANIZZATORI
Autore
(collaboratore
di testi)
Conduttore
Coreografo
Direttore di Rete
I MANAGER
Capo struttura
Segretaria di redazione - redattore (FININVEST)
Programmista - regista (RAI)
I CREATIVI
Assistente ai programmi (RAI)
Organizzatore di produzione (FININVEST)
Segretaria di produzione (FININVEST)
Advertising
Producer
Videografico
Direttore della
fotografia
Operatore di ripresa
Mixer audio e video
Addetto alla
post - produzione
Montatore
Ass. di studio
I TECNICI
Operatore RVM
Tecnico audio
Ass. alla regia
Elettricista
Mappa delle figure professionali coinvolte nella realizzazione
di un programma televisivo di intrattenimento
115
motivo il “direttore di produzione” viene classificato come “comunicatore interno”
e non come “organizzatore”, oppure il “direttore programmi” viene classificato
come “organizzatore” e non come “manager”?
Anche le classificazioni Enpals sembrano inadeguate a censire le diverse famiglie
di professionalità, e una divisione tra “artisti, amministrativi, tecnici e operai”
risulta quanto meno incompleta. Questi tentativi di classificazione skill-based
nascono in parte dalla letteratura anglosassone, che divide il “production/non
technical personnel” dal “technical/engineering personnel”, e in sostanza il soprala-linea (“above-the line”) dal sotto-la-linea (“below-the-line”), a partire dall’abitudine
di dividere i budget in costi artistici e tecnici. Ma anche questa suddivisione si
rivela almeno parzialmente arbitraria, sia perché istituirebbe un confine eccessivamente rigido tra aspetto tecnico e produttivo (lo stesso Zettl, che in una manuale americano di produzione introduce la distinzione, ammette che “le funzioni tecniche e di produzione si sovrappongono sensibilmente”), sia perché la divisione
tra “sopra” e “sotto la linea” è nella prassi arbitraria e fluttuante. 7
Una parte della manualistica non fa solo riferimento al vero e proprio personale
di produzione del contenuto, ma include anche il personale di gestione del
contenuto, che si trova ad esempio in un’emittente televisiva: tra questi citiamo
Demattè e Perretti (1997), che dividono il “Channel management” dal
“Programme management” dal “Production management”, distinguendoli sulla
base della fase di produzione in cui intervengono e del ruolo che assumono (vera
e propria decisionalità o semplice coinvolgimento).
Fasi e coinvolgimento decisionale del personale
nel processo produttivo dei programmi televisivi
Channel
management
Programme
management
Production
management
Ideazione
Progettazione
esecutiva / sviluppo
Preproduzione
Produzione
Postproduzione
Legenda:
decisionalità,
coinvolgimento
Fonte: Demattè - Perretti, 1997
6
7
Michaela Gavrila, “Percorsi di produzione e percorsi professionali”, in De Domenico, Gavrila, Preta 2002.
“For example, in some productions the PA (Production Assistant) or the TD (Technical Director) are classified in
the below-the.line category; in others, they belong to the above-the-line personnel”. Cfr. Zettl 1992.
116
In effetti una serie di altri contributi sul tema non dividono le figure tra competenze,
ma tra fasi di produzione in cui sono coinvolte: ad esempio Michel Chion colloca
idealmente alcune figure della produzione cinematografica nella fase di
pre-produzione, altre nella fase di produzione vera e propria, altre ancora nella
fase di post-produzione. Rimane da capire in questo caso dove assegnare le
cosiddette “figure permanenti”, come sarebbero , ad esempio nel cinema, quella
del regista e del produttore (ma già nella televisione e nella pubblicità il ruolo del
regista non é più definibile come “permanente”).
I mestieri del cinema secondo Chion
Area
Fase produttiva
Produzione La preparazione
del film
Le riprese
Ambito
Esempi di mestieri
Progetto
Sceneggiatore, dialoghista, adattatore, gagman, disegnatore di
storyboard, consulente tecnico
Scelta attori
Agente, direttore casting
Preparazione
attori
Coreografo, maestro d’armi
Scenografia
Scenografo, arredatore, capo costruttore, pittore scenografo
Organizzazione Aiuto regista, segretaria edizione, segretario di produzione
“Le mani” delle Macchinista di ripresa, trovarobe, elettricista, autista/capo dei
riprese
trasporti, elettricista
Fase dopo le riprese
Aspetti specifici
Ruoli permanenti
Gestione
del film
Distribuzione
Immagine
Direttore della fotografia, cameraman, primo assistente operatore, fotografo di scena
Suono
Ingegnere del suono, microfonista
“Intorno
all’ attore”
Costumista, vestiarista, truccatore
Attore
Attore, controfigura, cascatore, comparsa
Montaggio
Montatore, tecnico del montaggio audio
Suono
Direttore del doppiaggio, sincronizzatore, sottotitolatore,
dialoghista di doppiaggio, rumorista, sound designer, missaggio
Musica
Compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra, interprete
Effetti speciali
e animazione
=
Produzione
Produttore, direttore di produzione
Regia
Regista, regista di seconda unità
Distributore
Esercizio
Gestore di sala, proiezionista
Pubblicità
Realizzatore di trailer, cartellonista, addetto stampa
Fonte: da Chion 1999
117
Isfol ha cercato di combinare le aree di competenza (tecnici, artisti e creativi,
coordinatori e manager) con le singole filiere produttive (radio e tv, distinta ad
esempio dal cinema).
I mestieri di radio-televisione e cinema secondo Isfol
Artisti/Creativi
Coordinatori/
Manager
Macchinista di scena
Arrangiatore di musica
Artist manager
Montatore rvm
Attore
Coreografo
Tecnici
radio e televisione
Addetto agli apparati di
doppiaggio
Addetto al mixaggio
Microfonista
Ballerino
Direttore artistico
Addetto al carrello di
controllo
Operatore alla truka
Compositore di musica
Direttore di palcoscenico
Addetto alla regia audio
Operatore di scena
Consulente musicale
Direttore di produzione
Addetto alla regia video
Operatore di video analyses
Costumista
Direttore di scenografia
Addetto alla sonorizzazione
Operatore controllo video
Creatore di effetti speciali
Addetto alla audio-videoteca Parrucchiere
documentarista
Sarto di produzione
Addetto alle registrazioni
Scenografo
Addetto alle riprese
microfoniche
Scenotecnico
Dialogista
Direttore della
programmazione e del
palinsesto
Disk jockey
Programmista regista
Direttore creativo
Segretario di edizione
Doppiatore
Segretario di produzione
Addetto alle trasmissioni
esterne
Tecnico addetto al playback
Figurante
Segretario di redazione
Tecnico addetto alle videocassette
Musicista
Regista
Aiuto regista
Presentatore
Regista di cartoni animati
Tecnico del servizio tele
video
Realizzatore di scene
Responsabile del casting
Assistente musicale
Tecnico di apparati ad alta
definizione tv
Redattore testi e
sceneggiature
Responsabile
sponsorizzazioni
Assistente tecnico di studio
Tecnico di effetti speciali
Attrezzista di scena
Tecnico di ripresa
Carrellista dolly
Tecnico effetti speciali
televisivi
Arredatore di scena
Assistente di scena
Carrellista giraffa
Trovarobe
Carrellista telecamera
Datore di luci
Truccatore
Fonico
Videografico ideatore e
animatore
Informatico delle immagini
118
Tecnici
Artisti/Creativi
Coordinatori/
Manager
cinema
Addetto agli effetti speciali
Informatico delle immagini
Arrangiatore di musica
Artist manager
Addetto agli apparati di
doppiaggio
Macchinista di scena
Attore
Coreografo
Montatore cinematografico
Ballerino
Direttore artistico
Aiuto operatore
cinematografico
Montatore di disegni
animati
Compositore di musica
Direttore di palcoscenico
Animatore di cartoni
animati
Montatore RVM
Consulente musicale
Direttore di produzione
Arredatore di scena
Operatore alla truka
Costumista
Direttore di scenografia
Assistente di scena
Operatore di proiezione
Creatore di effetti speciali
Attrezzista di scena
Operatore stampa e
riproduzione pellicola
parrucchiere
Dialogista
Direttore della
programmazione e del
palinsesto
Disk jockey
Programmista regista
Carrellista giraffa
Operatore e ripresa effetti
speciali cartoon
Direttore creativo
Segretario di edizione
Doppiatore
Segretario di produzione
Carrellista telecamera
Sarto di produzione
Figurante
Segretario di redazione
Cineoperatore subacqueo
Scenografo
Scenotecnico
Musicista
Regista
Datore di luci
Trovarobe
Presentatore
Regista di cartoni animati
Fonico
Truccatore
Realizzatore di scene
Responsabile del casting
Fotografo
Videografico ideatore e
animatore
Redattore testi e
sceneggiature
Responsabile
sponsorizzazioni
Addetto alla ripresa
Carrellista dolly
Fonte: Isfol, 1999
119
Per alcune figure professionali campione ha addirittura tentato addirittura di
incrociare area di competenza (tecnici, artisti e manager) e fase produttiva,
limitandosi però a descrivere solo poche figure a titolo esemplificativo, e
arrendendosi di fronte all’eterogeneità dei processi produttivi.
Famiglie di mestieri e fasi produttive dell’audiovisivo
Pre-produzione
Produzione
Post-produzione
tecnici
Fonico
Tecnico effetti speciali
Tecnico delle luci
Scenografo
Montatore
Operatore di ripresa
artisti
Fotografo
Animatore
Cabarettista
Disk Jockey
Copywriter
Sceneggiatore
Doppiatore
Musicista esecutore
manager
Direttore di produzione
Regista
Manager
Fonte: Isfol, Area Occupazionale Audiovisivi, Spettacolo e Pubblicità, Studio di area, 1999
Il tentativo più interessante compiuto recentemente sembra essere quello di
Biondi che, nel solo ambito cinematografico, divide semplicemente per ambito (e
quindi per reparto), senza gerarchizzare tra tecnici e artisti, e senza dividere
artificiosamente tra singole fasi di produzione.
120
I mestieri del cinema secondo Biondi
Raparti
Mestieri
Produzione
Produttore esecutivo
Direttore di produzione
Ispettore di produzione
Segretario di produzione
Amministratore film
Cassiere
Scrittura
Sceneggiatore
Traduttore di sceneggiature
Script editor
Artistico
Regista
1° aiuto regista
Segretario di edizione
Assistente alla regia
Casting
Protagonisti
Comprimari
Ruoli speciali (camei)
Caratteristi
Ballerini
Doppiatori
Acrobati
Controfigure
Fotografia
Direttore della fotografia
Operatore alla MdP
Assistente e aiuto operatore
Fotografo di scena
Datore luci
Consulente effetti ottici e CGI
Suono
Fonico di ripresa
Microfonista
Rumorista
Musicista
Addetto al missaggio
Scenografia
Scenografo
Disegnatore
Assistente scenografo
Arredatore
Effetti speciali
Costumi
Costumista - stilista
Truccatore
Parrucchiere
Montaggio e edizione
Montatore
Aiuto montatore
Assistente al montaggio
Direttore di doppiaggio
Assistente al doppiaggio
Adattatore di dialoghi
Doppiatore
Sincronizzatore dialogo
Funzioni di supporto
Maestro d'arme
Addestratore
121
Segue
Raparti
Mesteri
Funzioni di supporto
Coreografo
Disegnatore Story Board
Agente rappresentante
Addetto stampa
II.a unità
Maestranze
Macchinisti
Elettricisti
Attrezzisti
Costruzioni
Sartoria
Addetto ai trasporti
Fonte: Biondi, 2005
Lungi dall’apparire come puri saggi scolastici e asettici, senza alcuna applicazione
pratica, questi tentativi tassonomici sono preziosi perché senza di essi non ha
nessun senso procedere all’identificazione delle figure da formare o da riqualificare.
Questo spiega perché, al di là degli studiosi innamorati delle tassonomie, anche
emittenti televisive e grandi produzioni abbiano concretamente lavorato per una
ricognizione dei loro mestieri. Citiamo due esempi su tutti: l’emittente commerciale
francese TF1 (cfr. Focus), e il suo corrispettivo italiano Mediaset. Un tentativo
ancora in corso è quello di RTI, dove in occasione del varo del sistema informativo
Sap HR, si è proceduto ad una mappatura completa dei mestieri aziendali 8.
8
“La struttura di Sviluppo e di Organizzazione sta utilizzando il sistema SapHr anche per una razionalizzazione
dei mestieri e sistemi professionali. Nel 2005, quando abbiamo iniziato, erano emersi oltre 800 ruoli che poi
abbiamo iniziato a scremare, fino ad arrivare a fine 2006, ad un numero totale di 250-300 figure professionali
descritte”. (Valeria Bollati, responsabile Sviluppo Risorse Umane Mediaset, intervista personale 14/3/2006).
122
4.2 La nostra mappa:
aree, ambiti, professioni, mansioni
Preannunciate tutte le difficoltà, procediamo qui ad illustrare la nostra proposta
di mappa: una proposta che ha l’ambizione di essere esaustiva, per quanto
perfettibile 9, ma consapevole della difficoltà di riunire filiere produttive diverse
(es. il cinema e la televisione), tipologie di aziende diverse (es. case di produzione
ed emittenti), generi produttivi diversi (es. spot pubblicitari piuttosto che animazioni o crossmedia), in tutte le competenze e in tutte le fasi di produzione, al netto
delle disomogeneità tra le diverse imprese e le diverse denominazioni contrattuali 10.
Crediamo che, al di là del margine di parziale arbitrarietà che ogni tentativo simile
comporta, una mappa possa costituire l’indispensabile punto di partenza verso
quell’obiettivo di codifica, che é il primo passo per la costituzione di una vera
comunità professionale. Infatti é proprio quella a-scientificità e aleatorietà che
viene spesso rivendicata da chi fa audiovisivo, che toglie anche la possibilità di
dare concretezza e fondatezza “industriale” alla definizione di un comparto produttivo.
Abbiamo innanzitutto diviso la mappa in due aree: “Produzione contenuto” e
“Gestione contenuto”, poiché le ulteriori due aree idealmente presenti a monte e
a valle (a cui però non dedicheremo ulteriore dettaglio) sono, da una parte,
quella del Cast artistico (tutti coloro che stanno davanti alla camera: conduttori,
show-girls, ballerini, ecc.), dall’altra, quella di Staff di gestione, che potremmo
incontrare in qualsiasi azienda non audiovisiva (ad esempio, ufficio legale, amministrazione e finanza, Risorse Umane) 11.
9
10
11
Sul sito www.tvjob.it è pubblicato un form, che consentirà di segnalare eventuali aggiornamenti o precisazioni
in merito a figure già inserite, o inseribili ex novo.
Numerose sono state le fonti utilizzate per compilare la mappa e le descrizioni dei singoli profili professionali:
oltre ai contratti, citati nel terzo capitolo e riportati nel sito www.tvjob.it, ci limitiamo ad elencare i testi di cui
siamo maggiormente debitori: Michel Chion, “I mestieri del cinema”, GS editrice, 1999; Claudio Biondi,
“Professioni del cinema - tra arte e economia: guida per capire come si lavora nell’audiovisivo”, Dino Audino
Editore, 2005; Stefano Di Leo, “I mestieri della televisione”, Editrice cinetecnica, 2001; Isfol, “Studio di area Area occupazionale audiovisivi, spettacolo e pubblicità”, 1999; Livio Frittella, “Le parole dello spettacolo Dizionario di cinema, teatro, radio, televisione”, Lindau, 2005; Maurizio Costanzo e Flaminia Morandi,
“Facciamo finta che. L’industria televisione: produrre fiction seriale”, Carocci 2003; Enrico Menduni e Antonio
Catolfi, “Le professioni del video”, Carocci 2002; Jean Pierre Fougea, « Les 250 métiers du cinema, de la
télévisione et des nouvelles technologies, et les formations qui y conduisent », Dixit, 1999; Maurice Olivier,
“Les gestionnaires de la Production”, Ina, 1992; TF1, “Guide des Métiers: Cartographie”, 1999; Elmo I.Ellis,
“Opportunities in Broadcasting Careers”, VGM Career Books, 2004; William E.Hines, “Job Descriptions for Film,
Video and CGI”, Ed-Venture Films/books, 1999; Herbert Zettl, “Television Production Handbook”, Wadsworth,
1992; Skillset,“Feature Film Production, Workforce Survey 2005”.
Non si intende qui negare che le figure che lavorano in questi reparti, all’interno di una azienda audiovisiva,
debbano avere una sensibilità particolare, e spesso una conoscenza molto approfondita del prodotto: ma è
comunque legittimo stabilire una differenza tra le figure gestionali che lavorano direttamente sui contenuti e
quelle che lavorano sull’intero processo produttivo. Naturalmente anche in questo caso si tratta di una divisione
parzialmente arbitraria: ad esempio l’ufficio legale, quando lavora su produzioni come “Le iene”, viene citato,
eccezionalmente, nei titoli di coda, data la frequenza dei suoi interventi e la sua strategicità nella specifica
produzione.
123
Le aree delle occupazioni audiovisive
Produzione
contenuto
Cast artistico
Gestione
contenuto
Staff a-specifici
All’interno delle due aree di interesse, Produzione contenuto e Gestione contenuto, abbiamo poi effettuato una distinzione per ambiti, individuandone 10.
Gli ambiti delle occupazioni audiovisive
Area
Ambito
Descrizione ambito
Produzione contenuto
Set
Figure che sovrintendono e che operano sul set nella
fase di ripresa dell’audiovisivo
Immagine
Figure artistiche e tecniche che sovrintendono alla parte
video dell’audiovisivo
Suono
Figure artistiche e tecniche che sovrintendono alla parte
sonora dell’audiovisivo
Editing
Figure che intervengono nella fase di postproduzione
Regia
Figure del reparto regia e di supporto alla regia
Art / design
Figure artistiche che afferiscono ai reparti di
scenografia, costumi, grafica
Scrittura
Figure “autoriali” in senso ampio, siano esse in ambito
giornalistico, che in ambito di light entertainment, che in
ambito di fiction (sceneggiatori)
Produzione / organizzazione
Figure che sovrintendono e che operano
nell’organizzazione della produzione audiovisiva
Figure trasversali, che assommano competenze dei diversi
ambiti (soprattutto scrittura, regia, produzione) o attività
delle diverse aree (produzione e gestione contenuto)
Ibride
Gestione contenuto
Programmazione / promozione
Figure che programmano i vari prodotti nel palinsesto, e
li promuovono
Distribuzione / marketing
Figure che acquisiscono e/o vendono i diritti di trasmissione
dei prodotti, ne quantificano, ne analizzano e ne
massimizzano l’efficacia commerciale
Fonte: Labmedia, 2006
124
Tra i diversi ambiti c’è naturalmente un continuum, che lega le professioni del set
a quelle del cast artistico per contiguità fisica; che continua in ambiti più
“tech-based”, come quelli dell’immagine, del suono, dell’editing; e che sfuma in
ambiti più artistici, come quelli di art/design. Fino ad arrivare alle figure del cosiddetto
“triangolo autoriale”: registiche, di scrittura/autoriali, organizzativo/produttive,
che a loro volta confinano con l’area di Gestione contenuto, e in particolare con
l’ambito di programmazione e promozione. In alcuni casi non è stato possibile
collocare alcune figure in un unico ambito, ed è stato creato uno spazio apposito,
che abbiamo appunto chiamato “Figure ibride”, a cavallo tra i diversi ambiti delle
figure di Produzione contenuto, o addirittura tra Produzione contenuto e Gestione
contenuto.
Sono state così ricavate 153 figure professionali, che in alcuni casi sono
articolate ulteriormente in specifiche mansioni (secondo la loro declinazione in
determinate accezioni produttive), fino ad arrivare a 211 ruoli complessivi.
In alcuni casi abbiamo riscontrato nella bibliografia specifiche contraddizioni tra
le diverse fonti: ad esempio, in una recente ricerca sul mercato documentaristico
italiano si accredita una sinonimia a nostro parere errata tra “produttore” e
“direttore di produzione” (Isicult 2006). In questi casi si è ritenuto opportuno
affidarsi a riscontri sul campo e alla validazione di operatori del settore. Per altro
l’ampio margine di oscillazione nelle definizioni conferma ancora una volta la
scarsa codificazione del settore. 12
Non potendo dedicare a ciascuno dei ruoli un’attenzione specifica, rimandiamo ai
materiali descrittivi riportati in appendice: la mappa completa dei mestieri 13, per
l’esame analitico delle singole job description, e gli organigrammi produttivi, che
ne spiegano le interrelazioni gerarchiche e funzionali all’interno dei vari generi
della produzione televisiva. Nei prossimi paragrafi concentreremo la nostra attenzione sulle figure indicate dalle aziende come strategiche, vacanti, o trasformate.
12
13
Una avvertenza per la denominazione delle figure: si è sempre utilizzato il maschile, anche quando la prassi e
le occorrenze statistiche hanno reso abituale il ricorso a stereotipi femminili (ad es. “segretaria di edizione”);
e in alcuni casi si è accostata alla denominazione italiana quella anglosassone, quando per prassi viene
utilizzata anche nel contesto italiano, oppure quando delinea con maggiore precisione il contenuto professionale
(ad esempio “researcher” descrive con maggiore efficacia il “redattore”, spesso confuso con il “segretario di
redazione”). In alcuni casi l’uso della lingua inglese e della lingua italiana sono stati invece affiancati per
chiarire definitivamente le ambiguità che contraddistinguono i diversi mercati: uno su tutti, l’equivalenza tra
“produttore” italiano ed “executive producer” anglosassone, e tra “produttore esecutivo” italiano e “producer”
anglosassone (che evidentemente fa riferimento ad una diversa accezione del concetto di “esecutivo”, in
italiano sinonimo di “subordinato”; in inglese sinonimo di “gestore effettivo del budget”).
La mappa è consultabile in forma di database nel sito www.tvjob.it, per aree e ambiti, in ordine alfabetico per
figura, e tramite ricerca libera.
125
4.3 Le figure chiave
Una delle domande rivolte alle aziende nel nostro questionario era incentrata
sulle figure chiave: sull’individuazione cioè dei ruoli del futuro, considerati
“cruciali per il mantenimento e/o miglioramento della competitività aziendale”.
Sul totale di citazioni spontanee delle aziende rispondenti, il 40% era concentrato
su tre aree professionali: quelle commerciali (15% delle citazioni), quelle produttive
(12.5% delle citazioni), quelle “crossmediali” o comunque afferenti ai new media
e/o contigue alle TLC (10%). 14
A queste tre famiglie dedicheremo un’attenzione specifica, fornendo definizioni,
attività, competenze, e riportando alcune valutazioni espresse da aziende e la
voratori.
4.3.1 Le figure commerciali
All’interno dell’area commerciale sono state indicate come strategiche figure con
varie denominazioni, tutte afferenti all’area di vendita, o comunque di contatto coi
clienti: Account, Sales manager, Ricerca clienti, Agente, Addetto vendite,
Procacciatore, Rights manager…
Così all’interno della nostra mappa abbiamo definito la figura complessa
dell’Account / Sales executive / Sales manager.
Figura che ha la responsabilità di sviluppare il business di un’azienda di produzione
audiovisiva o la distribuzione dei suoi prodotti presso un certo gruppo di clienti.
Mentre gli obiettivi tipici di ogni ruolo commerciale sono legati allo sviluppo del fatturato
presso i clienti acquisiti e/o all’ampliamento del portafoglio clienti (New Business), i
contenuti specifici della mansione risentono della realtà aziendale in cui il ruolo viene agito,
e variano se i prodotti sono finiti, oppure sviluppati ad hoc per il cliente.
Nelle società di produzione che lavorano per progetti (è il caso delle realtà che si
occupano di sviluppare prodotti per i cosiddetti nuovi media) l’account è impegnato per tutta
la durata del progetto in un ruolo di mediazione tra il cliente, che esprime una serie di esigenze, e il reparto Produzione della propria azienda che si attiva per rispondervi. Accanto
alla capacità di negoziazione sono richieste a questa figura anche competenze sul processo produttivo e sugli strumenti utilizzati nel processo stesso (vedi anche Project Manager).
Nell’ambito delle emittenti free (che non comportano cioè per l’utente il pagamento di un
canone di abbonamento) l’Account/Sales Manager/Sales executive è dedicato invece allo
sviluppo della raccolta pubblicitaria, che è la fonte principale di fatturato.
14
Le altre citazioni, in ordine di importanza, coprono prima di tutto i profili genericamente indicati come “tecnici”
(tecnici audio, video, IT, di studio…); poi montatori, registi/realizzatori, sceneggiatori/creativi, operatori di
ripresa, direttori di produzione, assistenti di produzione.
126
Le attività, come si è detto, possono variare sensibilmente, ma quelle comuni (il
“nocciolo duro”, che ne accomuna tutte le declinazioni) sono:
• relazione tra i reparti interni di produzione e il cliente esterno (per un
produttore), o tra un ente, della cui library si detengono i diritti di sfruttamento,
e un ente a cui se ne propone la vendita (per un distributore);
• negoziazione (includendo talvolta anche la trattativa economica vera e propria);
• contrattualizzazione (inclusa la definizione dei diritti ceduti).
Le competenze sono molto vaste:
• manageriali: soprattutto per quanto riguarda l’aspetto di contrattualizzazione
(incluse conoscenze giuridiche, almeno di base), quello economico-commerciale,
e la conoscenza dei mercati a livello internazionale;
• relazionali: naturalmente fondamentale, sia nella creazione di un rapporto
con un nuovo cliente (new business) che nella “gestione” (accounting)
del cliente esistente, la capacità di mediare tra realtà interne ed esterne
all’azienda, spesso portatrici di culture diverse e di linguaggi diversi;
• editoriali/di prodotto: comprendono una buona conoscenza del linguaggio
audiovisivo, spesso molto specifica perché il soggetto per cui si lavora è a
sua volta specializzato (ad esempio, nel reportage o nel cinema d’autore) e ha
spesso clienti altrettanto specializzati; quando si tratta di prodotti sviluppati
ad hoc per il cliente, il commerciale deve anche avere una sensibilità creativa
nell’ipotizzare formati o declinazioni nuove, prima ancora che intervengano i
creativi;
• tecniche: soprattutto quando sono coinvolte nuove tecnologie, che impongono
la conoscenza di nuove piattaforme (e quindi di nuove finestre di diritti) e
nuovi device.
E in effetti lo spettro di skill implicati è così ampio e variegato, che le aziende
stesse pongono l’accento sul tema della formazione 15 e riqualificazione.
“Lo sviluppo di nuovi mercati pone delle domande nuove, una necessità di
aggiornamento su temi che non si conoscevano. Ci vuole esperienza nella
negoziazione, nella gestione dei contratti, anche internazionali, e nella gestione dei
diritti, soprattutto ora che si affacciano le aziende di telecomunicazioni, le iptv.
… Devi avere capacità di conoscenza del mercato, doti di marketing e esperienza,
15
Come vedremo nel capitolo successivo, quasi completamente assente è l’offerta formativa dedicata a questo
tipo di figure professionali, per lo meno in ambito lombardo.
127
intuito, sensibilità, lucidità nel conoscere tutti i canali produttivi. Si pongono problemi
nuovi di aggiornamento, che neanche le aziende più grosse hanno ancora risolto: il
livello di qualificazione richiesto è molto alto”.
(Dario Barone, General Manager C.D.I., intervista personale, 27/2/2006)
Senza dubbio l’importanza che le aziende assegnano a questo tipo di ruoli è
anche connessa alla convinzione che il poter disporre di competenze interamente
dedicate alla gestione del cliente (e spesso di un committente, unico artefice
possibile della commessa) consentirebbe all’azienda una svolta decisiva per la
propria attività. Questo è ancora più valido per gli imprenditori titolari di piccole
case di produzione, che avvertono l’esigenza di delegare questo aspetto del ciclo
lavorativo, che ad oggi svolgono in prima persona, contemporaneamente a quello di
creazione del prodotto (mixando produzione e gestione).
“Un settore nel quale sentiamo bisogno di avere forze, aiuti, è quello della promozione e distribuzione. Perché noi non abbiamo un distributore. È una figura, questa,
che secondo me dovrebbe, all’interno di una piccola casa di produzione, avere una
formazione specifica. A me questa figura manca”.
(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)
“Il sales manager dovrebbe essere un ruolo di pubbliche relazioni, di contatto e
comunicazione. Una specie di promoter, di agente. È un figura che sto ancora
cercando. Che piazzi i prodotti e che supplisca all’assenza di strutture, di canali che
ti mettano in contatto con le emittenti o con la distribuzione”.
(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
Molto importante anche il ruolo di mediazione, riconosciuto dai manager, che
spesso i commerciali si trovano a compiere tra i diversi reparti interni, e tra
l’azienda e il cliente:
“Project manager, producer e account sono in sintesi la stessa funzione, ma su tre
aree differenti. L’account è il commerciale (marketing and sales), si occupa di impostazione prodotto e relazione col cliente; il project manager è la figura che si occupa
del prodotto lato ‘operation’, e quindi trasla le richieste commerciali del cliente
verso la parte tecnologica; e il producer si occupa del punto di vista della produzione
video, dei trattamenti. Il nostro staff ideale, quello che compone il prodotto, dovrebbe
esser formato proprio da queste tre figure, che si mettono in gruppo, con tre approcci
di base differenti: Operation ragiona in Excel, il commerciale in Power Point e la
128
produzione in Word. Dentro una struttura crossmediale come la nostra abbiamo
rappresentanti di tutte queste culture , dagli ingegneri informatici puri fino agli
sceneggiatori puri (e alcuni di loro scrivono ancora a penna!)”.
(Matteo Scortegagna, responsabile contenuti e produzione NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006)
Anche i lavoratori stessi, che svolgono ruoli commerciali, percepiscono il loro
ruolo come strategico all’interno dell’azienda:
“Il commerciale non può fare solo il suo dovere, ha un obiettivo da portare a casa.
Mentre il producer fa il “girato” che gli serve e va a casa, il commerciale ha anche
un cliente da soddisfare, il cui contratto deve essere ottemperato in tutti i termini.
Il nostro compito è quello più imprenditoriale ed autonomo”.
(Account casa di produzione crossmedia, focus group figure commerciali,
3/5/2006)
Ed effettivamente la componente di “proattività” di questa figura può fare la
differenza, soprattutto quando sono coinvolte competenze di prodotto molto
specifiche e ad ampio raggio; e quando il commerciale è coinvolto anche nella
fase di sviluppo di un nuovo prodotto ad hoc, e non semplicemente nella
collocazione sul mercato di un prodotto esistente:
“Una cosa importante è riuscire in tempi brevi a trasformare da un primo livello di
complessità le richieste di un cliente, cioè le issue tecniche: capire se lo posso fare
tecnicamente, a che costi e in che tempi. Se è un progetto nuovo c’è da ripensare
tutto, c’è un impatto più grosso a livello tecnico; ma se ho qualche prodotto con una
logica simile, posso cercare di adattarlo. Se riesco in breve tempo a convertire le
richieste del cliente in issues, e a incrociarle con la nostra banca di servizi già attivi,
questo mi permette di capire se mi sto infilando in un cespuglio di rovi o in una
cosa fattibile con una bella redditività”.
(Account casa di produzione crossmedia, focus group figure commerciali,
3/5/2006)
Naturalmente in altri settori e mercati possono essere altre le criticità del lavoro,
come ad esempio la tempestività e la conoscenza dell’attualità, se si lavora in un
genere come il current affairs…
129
“Lavorando nel settore dell’inchiesta giornalistica, funzioniamo un po’ anche da
agenzia stampa: forniamo le notizie, gli eventi di attualità. Bisogna infatti anche
collegare gli eventi di attualità con il catalogo, che abbiamo a disposizione. Mi capita
di condurre una trattativa su un prodotto nell’arco di 24-48 ore”.
(Responsabile commerciale distributore documentari, focus group figure commerciali, 3/5/2006)
…oppure le problematiche tecnologiche dei nuovi canali distributivi, che impongono
un continuo aggiornamento:
“Fino a 3-4 anni fa nessuno si poneva il problema dello sfruttamento dei diritti
wireless o DVB-H: un film prodotto solo 5 anni fa non ha i diritti web o wireless
regolamentati… Inoltre quelli DVB-H sono gestiti separatamente dai diritti UMTS,
perchè si trattano su tavoli diversi, anche se il device (il videofonino), è lo stesso.
Per stabilire le tariffe fa differenza anche la possibilità di utilizzare streaming
piuttosto che download”.
(Account casa di produzione crossmedia, focus group figure commerciali, 3/5/2006)
“La maggior parte di questi diritti non solo regolamentati, si va per consuetudine, o
si guarda quello che fa il concorrente. Se poi si distingue tra mezzo e device, si
entra in un mondo ancora più complicato”.
(Sales & Acquisitions Manager casa di produzione di intrattenimento, focus group
figure commerciali, 3/5/2006)
In ambito crossmediale, in cui l’account gestisce progetti che per definizione si
articolano su diverse piattaforme contemporaneamente, la difficoltà diventa quella
di gestire clienti appartenenti a diversi ambiti, principalmente quello televisivo e
quello di telecomunicazione.
“Il dialogo con una persona che si occupa di palinsesti o di acquisto di prodotti
televisivi e di gestione editoriale di un canale, e il dialogo con un marketing manager
o un brand manager di una telefonica, necessitano di due linguaggi molto diversi.
Soprattutto in quest’ultimo caso, il commerciale deve avere anche la competenza e
la sensibilità per parlare con chi, fino alla settimana scorsa, vendeva solo traffico-voce”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile contenuti e produzione NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006)
In alcuni casi invece la criticità maggiore non sta nelle competenze richieste, ma
130
nel ruolo di mediazione tra l’interno dell’azienda e l’esterno; soprattutto quanto
il “fattore critico” è l’azienda stessa, se non è orientata alla vendita, e soprattutto
se la funzione commerciale non è supportata dal management:
“La vera difficoltà che ho trovato è stato quella di reperire informazioni all’interno
della mia stessa azienda, che è una cosa pazzesca. Bisognerebbe capire che ci
sono nuove situazioni di mercato e nuovi settori dove svilupparsi: invece per miopia
interna, o per colpa di figure che vivono di rendite di posizione, le informazioni non
vengono veicolate. Nella mia azienda siamo in due a lavorare sui nuovi canali
distributivi, siamo le uniche figure a curare questo business: per il resto c’è
un’alzata di scudi totale verso queste prospettive, anche da parte di gente giovane,
che però sembra già pronta per la pensione”.
(Rights Manager distributore audiovisivo, focus group figure commerciali, 3/5/2006)
4.3.2 Le figure produttive
Il secondo gruppo di figure indicato dalle aziende rispondenti come strategico è
quello dei produttori: un insieme di ruoli più omogeneo del precedente (e del
successivo), che comprende le mansioni citate di “executive producer, producer,
produttore esecutivo, produttore, ottimizzatore”.
Questa la definizione, molto complessa, che abbiamo dato nella mappa, cercando
di riassumere l’eterogeneità delle accezioni nei vari ambiti e ai vari livelli.
Il Produttore Esecutivo è il responsabile ultimo, sia dal punto di vista artistico che da quello
economico, della produzione audiovisiva (cinematografica o televisiva), nelle fasi di sviluppo
(artistico e di verifica delle risorse necessarie), preproduzione, produzione e postproduzione;
tavolta anche nelle fasi di ideazione (creando un concept televisivo originale o un soggetto
cinematografico, o individuando e proponendo un format internazionale), di finanziamento
(nel caso del produttore cinematografico o del produttore audiovisivo indipendente, che non
lavori su appalto), e di promozione. In fase di produzione supervisiona l’avanzamento del
lavoro, con la finalità di ottenere un prodotto in linea con gli obiettivi iniziali di qualità
editoriale e commerciale (tipologia e livelli di audience/spettatori).
In alcuni casi, all’interno delle emittenti televisive è responsabile di più programmi dello stesso
genere (ad es. programmi news, per ragazzi, di intrattenimento, ecc), e il suo compito è quello
di assicurare alla Direzione di Rete un prodotto coerente con gli obiettivi editoriali e di ascolto
assegnati.
Nel caso in cui la sua dimensione artistica eguagli o sopravanzi quella manageriale, viene
denominato Produttore Creativo. Il Produttore assicura la realizzazione delle produzioni che
gli sono affidate dal Produttore Esecutivo, nel rispetto degli obiettivi commerciali e dei
vincoli economici e temporali fissati; è coinvolto nella fase di progettazione esecutiva e nella
131
definizione dei fabbisogni della produzione, mentre nella fase realizzativa deve assicurare il
rispetto di quanto programmato, coordinando le funzioni coinvolte, verificando gli eventuali
scostamenti di tempi e costi, ed intervenendo affinché siano rispettati gli obiettivi iniziali.
Le denominazioni anglosassoni di Executive Producer e Producer corrispondono a differenti
livelli di responsabilità a seconda dei contesti aziendali considerati, ma generano anche una
notevole ambiguità:
Talvolta si distingue tra Senior Producer e Junior Producer, a seconda dell’anzianità professionale e dal fatto che il prima figura può essere responsabile di più programmi o di
programmi di maggiore importanza.
In alcune realtà televisive di stampo anglosassone il Producer si limita alla responsabilità
editoriale ed organizzativa di un programma, mentre quella economica e gestionale è
ricoperta dal Production Manager, che gestisce il budget e la parte tecnica, coordinata a sua
volta da un Production Coordinator, che gestisce l’operatività dello studio o della location.
A volte il Produttore è supportato da un Produttore Associato, che ad esempio nel cinema si
occupa di compiti particolari quali la ricerca dei finanziamenti o la supervisione di settori
specializzati (ad es. effetti speciali).
Nel caso in cui il Produttore sia un imprenditore, titolare di una casa di produzione indipendente
(dai broadcaster), si parla di Produttore Indipendente ed il suo ruolo comprende la cessione
del “Pacchetto” creato (idea - script - cast artistico - formula produttiva) a emittenti e distributori, con diversi gradi di responsabilità, autonomia e titolarità dei diritti a seconda che lavori
con le formule contrattuali di appalto, coproduzione, preacquisto o acquisto.
Le attività del Produttore sono molteplici, quasi a 360 gradi nel ciclo della produzione
audiovisiva:
• pianificazione produttiva a livello di tempi e costi;
• gestione e coordinamento del cast artistico e della troupe artistica, all’interno
della sua produzione;
• gestione dei rapporti con la rete televisiva (nel caso di un coordinatore, che
riporti ad una direzione di rete, o nel caso di un executive producer di una
casa di produzione indipendente, che si confronti con la rete committente o
coproduttrice), o con l’agenzia di pubblicità e il cliente (nel caso di una casa
di produzione pubblicitaria): verso di essi assume la responsabilità dei
risultati sia economici (il rispetto del budget) che editoriali (il rispetto della
linea editoriale) che commerciali (il raggiungimento degli obiettivi di ascolto
nel caso di un programma televisivo, dell’efficacia commerciale nel caso di
uno spot pubblicitario).
Le competenze sono altresì particolarmente ampie, e soprattutto in questi ambiti:
• manageriali: per la capacità di pianificare e rispettare il budget e il piano di
produzione, e per la conoscenza del mercato e degli obiettivi commerciali del
132
suo prodotto;
• artistico/creative: per la conoscenza del linguaggio audiovisivo e la capacità
di dialogare con gli autori sulla parte di sviluppo editoriale;
• relazionali: per la capacità di team building sia interno alla produzione che
all’esterno (verso il committente), e per la capacità di “ascolto” di tutte le
figure produttive 16.
L’immagine che le case di produzione ci hanno dato di questa figura, è veramente
ampia ed articolata, e determinante per la gestione della produzione audiovisiva:
“L’executive producer [in una casa di produzione pubblicitaria, ndr] è il responsabile
del progetto, colui che si occupa dell’acquisizione dei clienti, dei contatti. Non sempre
l’executive è il titolare, ma può essere un socio o un dipendente: deve comunque
avere una grande capacità di relazione, di conoscenza del settore specifico e di
quelli che sono gli uffici pubblicità/marketing/relazioni esterne delle diverse aziende.
L’executive segue tutto il progetto, dalla pre-produzione alla post-produzione, e
funziona da garante qualitativo del prodotto, e sul rispetto dei soldi investiti (che
sono sempre meno) e dei tempi.
Altra figura importante è quella del producer, che prende in mano il progetto, fa il
preventivo col direttore di produzione, organizza la produzione e la post produzione,
determina il timing, ecc. Le sue capacità fondamentali sono: conoscenza del
mercato; saper mettere insieme una squadra vincente e coordinarla; rispettare
tempi preventivi e costi; gestire i registi, che spesso sono personaggi difficili, stressati, con timing al limite del possibile; mantenere relazioni con agenzie, troupe ecc”.
(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)
“Il produttore, per come lo abbiamo inteso noi, deve essere una figura “rotonda”,
cioè una figura che abbia capacità di gestione di un gruppo di lavoro, che abbia
capacità di organizzarlo in tutte le fasi operative, che abbia il controllo sui costi, che
abbia capacità di relazione sia con il suo gruppo sia con noi, sia con la rete, e che
abbia sensibilità sul contenuto. E figure cosi complete ce ne sono poche”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
07/3/2006)
“È chiaro che in pubblicità il regista è importantissimo. Però il producer coagula su
di sé tutte le tematiche legate al prodotto, tiene strette tutte le persone per la loro
16
Quelle tecniche, che pur completano il profilo di un produttore veramente competente, e che gli consentono di
compiere ad esempio scelte di budget rispetto agli investimenti in risorse produttive, sono quelle in cui il
produttore viene maggiormente supportato da un ruolo come quello del direttore di produzione.
133
parte specifica, mantenendo i contatti. Quindi è anche la figura di cui si sente
maggiormente la mancanza”.
(Antonio Canti, Presidente APP, intervista personale, 19/4/2006)
“Il coordinatore programmi (o curatore) ad esempio è il trait d’union tra la direzione
di rete e, dove esiste, il realizzatore esterno. Quindi deve fare da mediatore, ha un
ruolo fondamentale di negoziatore, complesso, difficile; ed è inserito in questo sistema
di relazioni di complessa governabilità, spesso caratterizzato da interessi
contrapposti”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane Gruppo Mediaset, intervista
personale, 14/3/2006)
In alcune organizzazioni il ruolo del produttore è, viceversa, frammentato in più
figure, vuoi per renderlo più gestibile e controllabile, vuoi per attribuire l’ampio ventaglio di responsabilità a due persone distinte.
A Mediaset, ad esempio, si distingue tra un Coordinatore programmi/Curatore
(che mantiene i rapporti con la rete e cura soprattutto gli obiettivi editoriali e commerciali), e un Produttore Esecutivo (che tiene i rapporti con i gruppi autoriali e la
struttura organizzativo-produttiva), che non ha dipendenza gerarchica stabile nei
suoi confronti, ma viene assegnato funzionalmente e temporalmente al progetto:
A MTV si distingue invece tra un Producer, che ha la responsabilità editoriale del
programma e il contatto con il cast e la troupe artistica, e un Production manager, che ha la responsabilità economica e il contatto con la troupe tecnica:
“L’attività di MTV Italia è distrubuita a grandi linee in due macro aree: l’Area
‘Production’, in cui operano ruoli quali quelli del Researcher, del Producer, del
Producer Assistant, del Supervising Producer, orientati al presidio della parte editoriale, della creazione del prodotto e dello sviluppo dei programmi fino al montaggio.
E l’Area di ‘Production Management’ in cui operano ruoli quali quelli del Runner, del
Production Coordinator, del Production Manager e del Direttore della Produzione
che presidia i costi e la parte logistica della produzione”.
(Cristina Lippi, Responsabile Risorse Umane MTV Italia, intervista personale,
30/3/2006)
Nella produzione della soap infine c’è un “tandem” tra la figura del produttore
esecutivo e quella del produttore creativo, che viene addirittura considerata una
delle chiavi del successo della formula produttiva:
134
“Il produttore esecutivo è all’apice dell’organigramma per quello che riguarda la
determinazione dei vincoli entro cui tutto si muove e deve essere organizzato
(ovviamente attraverso i relativi responsabili); il produttore creativo, nell’ambito di
questi limiti, dispone su tutto quello che in televisione viene visto: regia, fotografia,
scritture, costumi, trucco, parrucco, montaggio ecc. Quindi la stessa figura (un regista, uno scrittore, un truccatore, ecc.) è “sorvegliata” da un duplice angolo: quello produttivo (contratto, orario di lavoro, organizzazione del suo operato, ecc.) e quello
creativo (come vestire un attore, come scrivere una linea, come girare le scene,
come illuminare i set, ecc.). Questo per spiegare che è difficile posizionare la due
figure di produttori in posizioni specifiche l’una rispetto all’altra: l’autonomia di uno
rappresenta il limite della competenza dell’altro, e viceversa. Un produttore esecutivo
non potrebbe dire ad un regista come girare una scena, così come il produttore
creativo dovrebbe “chiedere” quali risorse potrebbero essere utilizzate nella stessa
scena, quando poterla, e come estremo, se poterla girare, entro quali margini, ecc.
È proprio l’interazione tra i due ruoli l’elemento chiave del successo di un prodotto
come il nostro: se proprio dovessi porre una casella all’apice di tutta la struttura, la
riempirei con il risultato della simbiosi tra i due produttori”.
(Luca Improta, Organizzatore generale Mediavivere, intervista personale,
29/3/2006).
In RAI invece non esiste contrattualmente la figura del produttore esecutivo,
anche se viene utilizzata nei titoli di testa dei programmi. 17
“In RAI non esiste come figura professionale quella del producer. Io non sono un
produttore. Non c’è un contratto come produttore. Io sono un ottimizzatore - cosi è
scritto sul contratto, altrimenti sei un programmista”.
(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)
Per quanto riguarda la differenza gerarchica tra Produttore e Producer, soprattutto nell’ambito della produzione di fiction e di cinema, i Producer testimoniano una
fase ancora di transizione, tra una fase imprenditoriale e una più matura.
17
Cfr. intervista a Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano, intervista personale
20/3/2006. Oltre al Produttore esecutivo, non compare contrattualmente (ma è utilizzata) anche la figura del
Responsabile di commessa (una sorta di ottimizzatore, di Direttore di Produzione, con in più la responsabilità
economica del programma).
135
“Teoricamente il Producer dovrebbe essere il responsabile della produzione, che
lavora a stretto contatto con l’esecutivo sopra di lui. In Italia non funziona così né
per la fiction né per il cinema, perché c’è il produttore esecutivo che è il socio o il
proprietario della casa di produzione che riceve l’appalto, e subito sotto, a livello
organizzativo, c’è l’organizzatore generale che organizza tutta la produzione del film.
È molto - troppo - definito il divario tra il produttore esecutivo, che dovrebbe essere
una persona con una cultura di un certo tipo, con una conoscenza della tv e dei
gusti del pubblico, presenti e futuri; e l’organizzatore generale, che è un uomo di
coordinamento, a cui non importa nulla dello share.
Il producer, che è una figura abbastanza nuova, dovrebbe posizionarsi in un ruolo
intermedio: ma in Italia non c’è spazio per il producer, perché le case di produzioni
indipendenti in Italia sono strutture piccole, familiari, che fanno un progetto alla
volta, in cui il produttore esecutivo è anche producer. Le case di produzione di
fiction, anche quelle sono considerate grandi e gestiscono budget di milioni di euro,
hanno 4 dipendenti fissi”.
(Producer casa di produzione di fiction, focus group figure produttive, 5/5/2006)
Invece in pubblicità c’è una migliore articolazione dei ruoli:
“Il ruolo del producer in pubblicità è molto diverso. Prende un briefing da un’agenzia
o dal cliente. Prepara un budget, gestisce dall’inizio alla fine il tutto: fin dalla scelta
delle figure responsabili del lavoro. È a stretto contatto con l’esecutivo, che può al
limite non sapere quasi nulla del lavoro operativo. È diretto responsabile del
budget, tanto che alcuni producer prendono un fisso più una percentuale sul risparmio”.
(Producer casa di produzione spot pubblicitari, focus group figure produttive,
5/5/2006)
Critico a volte il rapporto, più che con il cast artistico, con i “creativi” (registi e
autori):
“Il produttore in una emittente rappresenta l’azienda nei confronti degli autori, con
cui è a contatto: perché davvero rappresenti l’azienda e sei anche responsabile
della parte editoriale”.
(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)
Questo nonostante il produttore, nella sua accezione più completa, debba rivestire
anche un ruolo di scouting nei confronti delle figure della troupe artistica:
136
“In realtà il mio lavoro sarebbe anche quello di andare a teatro e vedere la tv,
segnandomi su un’agendina tutti i registi e gli autori più interessanti. Ma non ne ho
il tempo”.
(Nanni Mandelli, Produttore esecutivo, intervista personale, 9/3/2006)
Un altro tema rilevante (e fonte di criticità) è quello dei produttori interni alle
emittenti, che lavorano su programmi appaltati a case di produzione indipendenti, e
che si vedono progressivamente ridotto il proprio raggio di azione e trasformato
il proprio ruolo: di questo aspetto parleremo quando, nell’ultimo capitolo,
affronteremo il tema dell’outsourcing produttivo, oggi una delle questioni chiave
del lavoro audiovisivo.
4.3.3 Le figure “crossmediali”
L’ultimo gruppo di figure professionali, che sono state indicate dalle aziende
come strategiche per il loro business, sono quelle che per semplicità abbiamo
denominato “crossmediali”: si tratta in realtà di un insieme di ruoli piuttosto
eterogenei, accomunati dalla commistione tra audiovisivo vero e proprio e new
media o telecomunicazioni dall’altra. Le figure citate spontaneamente dalle aziende
in sede di compilazione dei questionari sono molteplici: esperto di contenuti
Internet, esperto crossmediale, Direttore Artistico per i nuovi media, Multimedia
producer, gestore interattività, e così via.
Riportiamo per brevità la figura professionale che nella nostra mappa meglio
rappresenta quest’area professionale 18, quella del Project Manager.
Il project manager ha la responsabilità globale della pianificazione e della realizzazione di
un progetto.
In fase previsionale definisce il piano di lavoro, che contiene l’elenco delle attività, i tempi di
realizzazione, la sequenzialità delle fasi, i soggetti coinvolti e le risorse umane, tecniche,
economiche necessarie.
Durante la fase di produzione agisce come coordinatore del gruppo di lavoro e come
supervisore: la sua abilità è quella di prevedere i possibili rischi e problemi, e di attivarsi
tempestivamente per la loro soluzione in modo da salvaguardare il successo del progetto.
È presente soprattutto nelle realtà crossmediali, in cui funzionalmente coordina il reparto
Operations, a più forte connotazione tecnologica.
18
Citiamo comunque per completezza i ruoli di Content Producer e Multimedia Manager, alle cui descrizioni
analitiche rimandiamo.
137
Le attività principali comprendono:
• previsione e gestione di un piano produttivo, che consenta il rispetto di tempi
e costi;
• coordinamento del gruppo di progetto, composto da ruoli afferenti a diverse
aree aziendali (e quindi con differenti responsabili gerarchici) ed esterne
all’azienda, con cui ha una relazione funzionale.
Le competenze coprono quindi vari ambiti:
• manageriale: per la capacità di pianificare e supervisionare tempi e costi;
• relazionale: per la capacità di coordinare risorse umane, che oltretutto
possono non dipendere da lui gerarchicamente, ma fare capo a differenti
reparti della sua azienda o ad aziende esterne;
• tecniche: l’ambito crossmediale impone la conoscenza più o meno approfondita
di problematiche tecnologiche, imprescindibili nello sviluppo di un progetto
che si articola anche sui new media; spesso la figura del project manager è
anche di mediazione tra l’area della ricerca tecnologica e quella della produzione;
• editoriali: necessariamente incluse in un ambito comunicazionale come
quello audiovisivo.
Le aziende, soprattutto le emittenti televisive, giudicano spesso difficili da
individuare le figure legate ai new media, anche perché esterne al mondo
tradizionale del broadcasting:
“Attualmente le figure strategiche per noi vacanti sono quelle legate alla
digitalizzazione: è un’area dove non ci sono molte risposte sul mercato, anche perché sul digitale e l’interattività siamo stati i primi a lavorare. Le professionalità più vicine sono quelle del mondo informatico.
Ad esempio il gestore dell’interattività è un account a tutti gli effetti, che gestisce il
prodotto interattività, mentre il multimedia producer individua tutti i possibili canali di sfruttamento alternativo di un programma televisivo, dal voting alla
suoneria, inventandosi nuovi business, sviluppando contenuti e realizzandoli”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane, Gruppo Mediaset,
intervista personale, 14/3/2006)
E i lavoratori di questi nuovi “dipartimenti” spesso vivono una situazione di
marginalità rispetto al core business aziendale:
“I nuovi media dovrebbero puntare ad altro rispetto a quelli tradizionali, dovrebbero
differenziarsi; sennò quali novità porterebbero? La nicchia, che i nuovi media
138
dovrebbero ricavarsi, dovrebbe proprio basarsi sul rifiuto da parte dello spettatore
delle tv generaliste, che si sono omogeneizzate. Invece non c’è apertura di investimenti
per i new media, perché l’utente finale non ha ancora la disponibilità per comprarli:
oltretutto, più la qualità è alta meno spazio di mercato c’è”.
(Project Manager Emittente televisiva, focus group figure “crossmediali”,
18/4/2006)
Le criticità espresse dai lavoratori affrontano anche la definizione stessa di
prodotto “multipiattaforma”:
“Spesso la multicanalità, per chi ha dei contenuti in library o li produce, è solo un
modo per dire che ha un altro mezzo su cui far viaggiare quei contenuti. Molto spesso
con l’idea di cambiarli il meno possibile. Ma se tieni alla qualità devi invece
riprogettarli, anzi progettarli fin dall’inizio con l’idea che vadano a finire su mezzi
diversi; perché riprogettare un lavoro per formati diversi da quello iniziale crea
sempre problemi”.
(Redattore editore new media, focus group figure “crossmediali”, 28/4/2006)
“Non puoi pensare che, per adattare un prodotto ad un altro medium, puoi fare
tutto in fase di montaggio: è un lavoro disumano, anche dal punto di vista dei costi,
e la qualità non ne guadagna. Ma forse la qualità non è quello che interessa alle
aziende”.
(Producer casa di produzione crossmediale, focus group figure
“crossmediali”, 18/4/2006)
Infine i lavoratori sono critici sul mercato complessivo, e sulla relazione tra le
compagnie di telecomunicazioni committenti e i produttori che realizzano i nuovi
contenuti:
“I carrier telefonici che investono in Italia sono quattro, ma demandano tutto
all’esterno, a tante società micro in concorrenza tra loro, che nascono, crescono e
muoiono in pochi anni, e che lavorano con costi bassissimi, anche del personale.
Chi ci guadagna? Il carrier telefonico, che non spende nulla di suo, perché paga
poco per un prodotto di qualità relativamente elevata, all’interno non investe niente,e
guadagna molto”.
(Project Coordinator Emittente televisiva, focus group figure “crossmediali”,
18/4/2006)
139
4.4 Le figure vacanti
Abbiamo chiesto alle aziende di indicarci se avessero figure vacanti, con difficoltà
di reperimento, di cui cioè avevano necessità, ma che non riuscivano ad individuare
sul mercato del lavoro.
Solo il 15% delle aziende rispondenti al questionario ha affermato di avere
posizioni di lavoro vacanti per difficoltà di reperimento. All’interno del campione,
sono soprattutto gli editori a non avere bisogno di nuove risorse (ben il 95%), più
dei produttori (86%) o delle altre tipologie di aziende audiovisive (71%): il che
conferma la maggiore stabilità, diremmo quasi staticità, degli organici delle
emittenti televisive.
Le poche figure professionali indicate come vacanti coincidono quasi del tutto con
quelle chiave e strategiche: il 22% delle citazioni spontanee insiste infatti sulle
figure commerciali già citate, e il 14% sulle figure produttive. Interessante però
che il 16% delle citazioni indichi la figura del montatore. 19
Sul concetto di figure vacanti, naturalmente c’è da fare una premessa: la
mancanza di professionalità “percepita” dai responsabili aziendali spesso non
corrisponde alla effettiva mancanza di disponibilità sul mercato.
“Se si chiede alle case di produzione quali sono le figure che mancano, dicono
direttori della fotografia e registi, ma in realtà vogliono sempre gli stessi, perché
vogliono una garanzia di affidabilità del risultato. Le vere figure di cui si comincerà
ad avvertire il bisogno sono quelle artigianali, delle maestranze del set (pittori,
decoratori), che si stanno perdendo, e, fra poco, quelle legate alle nuove tecnologie
(ad es. il digitale, il mobile)”.
(Chiara Sbarigia, Segretario generale APT, intervista personale, 26/4/2006)
A volte il problema è di competenze, e sta nella difficoltà di individuare profili con
uno spettro di competenze molto più ampio 20 del normale; a volte la carenza è di
certi profili, di cui c’è davvero poca disponibilità sul mercato, vuoi per mancanza
di informazione, vuoi per il minore “appeal” rispetto a figure più appetite, vuoi per
la mancanza di un’offerta formativa specifica.
“Per MTV Italia le figure professionali più difficili da reperire sul mercato sono
dunque quelle destinate alle Operations e all’area dell’emissione televisiva.
Sui circa 100 curricula che settimanalmente pervengono alle strutture preposte ad
19
20
Le altre citazioni sono per operatori di ripresa, sceneggiatori, assistenti di produzione, programmatori multimediali;
ma in percentuali quantitativamente poco significative.
Cfr. ad esempio le dichiarazioni di Giorgio Gori riportate sopra sulla difficoltà di reperire produttori con un
bagaglio di competenze “rotonde” e multiple.
140
effettuare un primo screening, solo un numero limitato è orientato verso le aree
tecniche (circa l’1%): la maggior parte dei profili si rivolgono all’area editoriale della
Produzione e al marketing... È frequente incontrare persone che hanno acquisito
Master o corsi di specializzazione rivolti a creare figure che privilegiano sbocchi
professionali in aree editoriali: più raramente professionalità già orientate o addiritura formate in ambito tecnico”.
(Cristina Lippi, Responsabile Risorse Umane MTV Italia, intervista, 30/3/2006)
4.5 Le figure trasformate
Alla domanda se ci fossero figure professionali che negli ultimi anni avevano subito
trasformazioni profonde, l’85% delle aziende ha risposto affermativamente: dalla
tipologia dei profili indicati ci sembra di poter affermare che la trasformazione sia
identificata per lo più con l’addestramento tecnico richiesto dall’aggiornamento
tecnologico. Per oltre la metà delle citazioni spontanee si tratta infatti di montatori
(per i quali il passaggio dall’analogico al digitale non lineare ha costituito una
svolta importante), tecnici generici, direttori della fotografia, grafici; oppure di figure
a cui viene richiesto di acquisire un supplemento di competenze (ad esempio da
giornalista a videoreporter), come vedremo nel capitolo successivo, a proposito
delle figure ibride.
Nelle interviste sono però emerse altre problematiche più interessanti. Si tratta
delle trasformazioni che hanno investito proprio le figure indicate spesso come le
più importanti dello staff artistico-produttivo: il cosiddetto “triangolo autoriale”,
costituito da regista, autore/sceneggiatore, produttore, di cui parleremo più avanti.
È infatti sulla corretta interazione e sull’apporto paritetico di queste tre figure che
sembra essere basata la qualità di un prodotto audiovisivo.
141
Le figure chiave dell’audiovisivo: il triangolo autoriale
Produttore
Cast
artistico
Regista
Autore
Sono proprio queste figure ad aver subito negli scorsi anni i più profondi
cambiamenti. La prima è quella dell’Autore, che abbiamo così definito nella
nostra mappa:
È il responsabile, dal punto di vista del contenuto, di un programma televisivo.
Sempre più frequentemente, in particolare nei programmi televisivi di intrattenimento, l’A.
non interviene nella fase di ideazione di un concept originale, ma solo nella successiva
fase di sviluppo di un format, sopratutto se acquistato sui mercati internazionali...
e che così viene descritto dai testimoni del settore:
142
“L’autore si è impoverito, si è trasformato in puro adattatore di format. Non esiste
più l’ideazione di un programma, un concept originale: è come se un autore italiano
non fosse legittimato a creare da zero e, come dice Ricci scherzando ma non troppo,
dovesse far finta di essere olandese. Le reti hanno troppa paura di rischiare
affidandosi ad un’idea che non è già stata sperimentata altrove con successo,
anche se la storia televisiva ha dimostrato che non tutti i format sono garanzia di
successo, anzi… Il problema è nello scarso coraggio dei manager attuali (soprattutto
della nuova generazione di direttori di rete, pavidi e poco coraggiosi), che non hanno
il talento sufficiente per basarsi sul loro fiuto, e devono sempre affidarsi a qualcosa
di esterno: la percentuale di share, il focus, il format: mai che facciano un programma
semplicemente perché ci credono, perché hanno qualcosa da dire, perchè secondo
loro quella cosa “va detta”.
(Produttore esecutivo emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)
Anche il produttore interno alle reti sembra vivere talvolta un ridimensionamento
di ruolo, soprattutto nel suo obbligatorio interfacciarsi con le case di produzione
esterne, che ne limita le possibilità di intervento sul prodotto e lo relega ad un
ruolo di “fluidificatore di processo”, più che di “creativo”. È evidente infatti che
alcune aziende editoriali, nella loro fase di maturità, chiedono alle loro risorse,
prima impegnate direttamente sulla realizzazione del prodotto, di fare un “salto
manageriale”, facendole diventare delle interfacce organizzative più che realizzative. Per alcuni produttori, che lavorano all’interno di un’emittente, questo passaggio non è vissuto in modo indolore:
“Da quest’anno per la prima volta abbiamo appaltato esternamente un programma,
che ha un grosso peso nel palinsesto, anche perchè è quotidiano. Io sono il
produttore della rete su questo programma, ma il mio ruolo è veramente cambiato.
Ci sono equilibri politici incredibili da rispettare. Io da producer potevo dare indicazioni
anche direttamente agli operatori. Ora, da delegato di rete, non lo posso più fare”.
(Producer emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)
“Il nostro lavoro cambia, e di molto, perché di fatto non lavoriamo più. Parlo per
l’azienda RAI, che ha deciso che è meglio dar fuori i lavori che farli all’interno.
Questo per noi significa subire senza avere voce in capitolo. Gli esterni fanno un
lavoro che potremmo benissimo fare noi”.
(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)
143
Di fatto il produttore interno alla rete, nonostante la denominazione ufficiale di
Produttore esecutivo, è spesso un semplice Producer.
Ma è soprattutto quella del Regista la figura che sembra più trasformata dai
recenti cambiamenti produttivi nel mondo televisivo:
Il Regista è il coordinatore della troupe artistica e tecnica. Il ruolo di un regista ha però
connotazioni assai diverse a seconda della tipologia di produzioni.
Il Regista di un film è colui che ne definisce lo stile e la struttura, ed è la sua visione creativa che
ispira il risultato finale, tanto da essere storicamente considerato l’autore tout-court del film
(anche se non sempre detiene il cosiddetto “final cut”, cioè la decisione sulla
versione finale, la responsabilità ultima di cosa tagliare e cosa lasciare nel montaggio di
quanto è stato girato). Le sue possibilità di decisione sono molto ampie ed includono
sempre la direzione degli attori, spesso la scelta del cast e gli interventi sulla sceneggiatura.
Anche il Regista di uno spot pubblicitario ricopre sul set la centralità tipica del Regista
cinematografico, seppur canalizzata all’interno di un prodotto delineato a monte, nei suoi
obiettivi commerciali e comunicazionali, dai creativi dell’agenzia di pubblicità.
Nel caso di una regia televisiva i compiti sono molto difformi storicamente (nella paleotv,
quando era considerato “il responsabile ultimo della qualità complessiva del programma”,
era di certo più centrale di oggi), a seconda del genere di programmi (nell’intrattenimento
più centrale che nel documentario o nelle news), oltre che naturalmente del peso
contrattuale e dall’esperienza del Regista stesso (come per tutte le figure professionali).
In ogni caso ricadono sotto la sua responsabilità attività come quelle di coordinare la troupe
artistica (Direttore della fotografia, Scenografo, Costumista, Infografici, eventuale
Coreografo), guidare la troupe tecnica, dettare tempi di entrata eposizioni in scena del cast
artistico, selezionare le inquadrature da trasmettere; in alcuni casi può sovrintendere anche
al casting e alla postproduzione...
Sono in particolare i produttori, che hanno lavorato sia in pubblicità che in tele
visione, a rilevare le differenze tra il ruolo del regista pubblicitario (che eredita dal
cinema la sua centralità 21) e quello televisivo:
21
Naturalmente quello del regista, anche al cinema, non è sempre stato il ruolo cardine: nella storia della
produzione cinematografica il ruolo registico ha vissuto diverse fasi con diversi significati. Ad esempio nella fase
dello Studio System hollywoodiano si registrò una graduale perdita di indipendenza del regista, fino a considerarlo
un impiegato stabile alle dipendenze degli Studios; sarà poi con il Neorealismo, e soprattutto con la Nouvelle
Vague e la “politique des auteurs”, che il regista venne considerato nuovamente “autore” del film. Per la storia
del ruolo registico nel cinema vedasi il bel volume di Lucilla Albano, “Il secolo della regia”, 2004.
144
“Nella tv gli autori la fanno un po’ da padroni, mentre in pubblicità il regista, che in
tv conta molto meno, è molto importante”.
(Marco Balich, Amministratore delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
“In pubblicità tutto ruota intorno al regista, che è il cardine artistico. È la figura
centrale. Una volta che hai il regista, tutto il team deve mettersi intorno a lui per
fare in modo che, pur rimanendo entro certi parametri economici, tutto fluisca in
funzione delle sue necessità. In tv il regista è meno importante: è considerato più
come figura tecnica, sempre meno ascoltata e coinvolta”.
(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)
Non sembra che sia sempre stato così in televisione: nell’intrattenimento degli
anni ’60 e ’70 la centralità del regista assumeva quasi la valenza di un “direttore
artistico” del programma: ma il contenimento dei budget, la necessità conseguente di limitare la fase delle prove, e il fenomeno stesso dei format (dove
anche l’immagine del programma è inclusa nelle guidelines della bibbia del
format), hanno concorso a ridimensionarne l’ambito di intervento.
145
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TF1 e la politica di Risorse Umane
TF1, la più importante rete commerciale francese, ha al suo interno 3962
dipendenti a tempo indeterminato (oltre a 204 tempi determinati e 56 contratti
assimilabili a quello di apprendistato e formazione lavoro).
La gestione delle Risorse umane è considerata strategica nel Gruppo, e al di là
dello slogan propagandistico “il futuro di TF1 dipende dai suoi uomini”, i dati confermano un’attenzione particolare al tema: l’incremento del personale dopo la
privatizzazione del 1988 è stato del 45% (1000 nuovi posti di lavoro), e la politica
salariale prevede un differenziale migliorativo rispetto alla media di mercato tra il
15% e il 30%.
La politica è quella del “se l’azienda ha i migliori, con i migliori stipendi, che lavorano
al meglio, l’azienda fa il meglio”. Il Direttore delle Risorse Umane Nonce Paolini
afferma: “Generalmente nelle imprese televisive la visione delle cose è a breve
termine: si preferisce pagare cara l’eccezione, e poco importa per gli altri. Da noi
invece, ad esempio, la formazione non significa solo amministrare i corsi. È soprattutto una variabile dell’evoluzione professionale del nostro personale, un vero
elemento di sviluppo dell’impresa”. 1
Punti cardine della politica HR di TF1 sono:
• tendenza alla parità uomo-donna nella composizione degli organici (47%
donne, 53% uomini nel 2005);
• riduzione del precariato (assunzione di 470 salariati non permanenti tra il
2001 e il 2005);
• formazione (il 56% del personale ha beneficiato di almeno un corso di for
mazione nel 2005);
• mobilità (più di 200 collaboratori nel 2005, e più di 1000 dal 2001, hanno
potuto cambiare ruolo, all’insegna di “una gestione volontaristica dei percorsi
professionali”). 2
1
2
Nonce Paolini, intervista personale, in “Rapporto sulla formazione televisiva in Europa”, a cura di Alessandra
Alessandri per Direzione Ricerca & Sviluppo Mediaset, 2000, fuori pubblicazione.
Cfr. TF1 Rapport annuel 2005.
146
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F
Un importante lavoro di diagnostica e
orientamento strategico della formazione è
stato avviato nel corso del 1997-8, quando
l’azienda intervistò più di 500 dipendenti per
descrivere dettagliatamente attività e competenze
dei ruoli aziendali. Il censimento portò alla creazione di
un inventario dettagliato di 15 famiglie professionali,
24 filiere, 140 mestieri e 300 impieghi tipo 3, sia al fine
di individuare i mestieri stabili, quelli in estensione e
quelli in evoluzione rapida, sia per permettere ai
lavoratori di comprendere meglio finalità e caratteristiche
dei ruoli aziendali, e facilitarne la riflessione sul
proprio percorso di carriera.
3
La ricerca interna confluì nel volume “Les 250 métiers du cinéma, de la télévisione et des nouvelles technologies”,
a cura di Jean Pierre Fougea, edizioni Dixit, 1999.
147
148
05
LE COMPETENZE
di Alessandra Alessandri
In questa sede si continua ad affrontare il tema delle professionalità audiovisive,
non più in termini di singoli ruoli, ma in termini di competenze.
Dopo aver esemplificato e classificato le famiglie di competenze richieste
nell’audiovisivo in artistico/creative/editoriali, manageriali/organizzative,
tecniche e relazionali, individuiamo quelle di cui le aziende sentono maggiormente
la mancanza e quelle che i lavoratori dichiarano di utilizzare maggiormente.
La digitalizzazione ha comunque imposto una parziale ridefinizione dei confini
tra competenze editoriali e tecniche, sfumando, in un certo qual modo, la
tradizionale barriera tra progettazione e realizzazione. Il mondo in cui questo
processo è più visibile è quello del giornalismo: nelle newsroom digitali, in cui i
giornalisti tradizionali sono chiamati ad occuparsi in prima persona anche della
fase realizzativa, e nelle neonate figure ibride come il telecineoperatore e il
videoreporter.
Un interrogativo più ampio, che la ricerca pone, è infatti se la tendenza
generale sia verso la specializzazione e la divisione dei ruoli o verso l’ibridazione di competenze.
Il focus esemplifica una realtà produttiva concreta, questa volta italiana, in cui
le modalità organizzative incidono profondamente sulla qualità del prodotto: si
tratta di “Report” e del modello del videogiornalismo.
149
5.1 Le competenze dell’audiovisivo
Le competenze, intese come “patrimonio complessivo di risorse di un indivduo,
espresso in rapporto ad un contesto e ad un compito” (Di Francesco 1999), sono
divise solitamente (Cresson 1995) nei tre ambiti del sapere (conoscenze di
contenuti), saper fare (capacità e abilità tecniche, procedurali e strumentali) e
saper essere (atteggiamenti, comportamenti) 1.
Tra le conoscenze necessarie (“sapere”) ai lavoratori dell’audiovisivo possiamo
citare, ad esempio:
• conoscenza del linguaggio audiovisivo
• conoscenza del mercato televisivo
• conoscenza delle tecniche di analisi televisiva qualitativa e quantitativa
• conoscenza delle normative e dei codici deontologici sull’audiovisivo
• conoscenza delle problematiche connesse alla gestione dei diritti audiovisivi.
Tra le capacità/abilità (“saper fare”):
• capacità di pianificare l’utilizzo di risorse (es. elaborazione e rispetto di un
piano di produzione)
• capacità di budgeting e controllo costi
• capacità tecniche (relative a singole professionalità, ad esempio all’utilizzo
di specifici software o attrezzature).
Tra gli atteggiamenti/comportamenti (“saper essere”):
• team building
• abilità relazionali
• problem solving
• creatività
• flessibilità
• capacità di negoziazione
• leadership
• capacità organizzativa
• gestione dello stress.
Alcune di queste competenze sono specifiche di alcune famiglie professionali,
altre (la maggior parte) sono comuni a tutti i lavoratori audiovisivi, sebbene in
proporzioni differenti.
Un’altra possibile articolazione è quella proposta da Isfol, che propone tre macro
1
Talvolta la bibliografia fa riferimento anche ad un quarto aspetto, relativo alla formazione continua e
all’autoformazione: il “saper divenire”.
150
aree: di base (requisiti minimi di accesso all’occupabilità: conoscenze/abilità
informatiche e linguistiche), trasversali (abilità e strategie di potenziamento delle
proprie risorse), e tecnico professionali (relative a saperi e tecniche operative
proprie di specifici processi lavorativi).
Nell’audiovisivo le competenze di base, non specifiche ma rilevanti per la
preparazione professionale generale, sono in un certo senso date per scontate.
La conoscenza della lingua inglese è naturalmente molto importante soprattutto
per chi lavora in ruoli commerciali, come i buyer o i sales manager; o di scouting
(di format o di creativi); e soprattutto per chi lavora in contesti internazionali come
quello pubblicitario:
“Un producer pubblicitario è più importante che sappia l’inglese che l’italiano, mentre
ad un producer televisivo l’inglese al limite potrebbe non servire… Preferisco un
producer meno bravo ma che parla bene le lingue perché ha facilità di rapporto e
dialogo, visto che i nostri registi sono spesso internazionali”.
(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)
La conoscenza e l’utilizzo di programmi di informatica di base come Word, Excel
(soprattutto per la costruzione dei budget), e Powerpoint (per le presentazioni, ad
esempio, dei concept o delle proposte commerciali), sono naturalmente imprescindibili, anche se alcuni autori delle vecchie generazioni usano ancora la penna
e affidano la stesura dei copioni a segretarie di redazione. Nell’audiovisivo sono
invece poco utilizzati strumenti di project management, come il software Project,
teoricamente utilizzabile per piani di produzione, che invece é considerato troppo
complesso e poco adattabile alle esigenze di un artefatto comunicativo come
l’audiovisivo.
“Gli ingegneri di Operations ragionano in Excel, il commerciale ragiona in Power
Point e la produzione in Word. Poi ci sarebbe Project, che però non prende piede, è
troppo complicato (abbiamo provato a farlo funzionare, ma poi non ha attecchito
internamente): alla fine la buona mediazione è Excel.
Sono quasi metafore che rappresentano la trasversalità di questo mondo [crossmediale],
che sposa persone che hanno formazione e percorsi talmente diversi l’uno
dall’altro, per cui, paradossalmente, anche gli strumenti informatici diventano degli
ostacoli. Dentro una struttura crossmediale come la nostra abbiamo dagli ingegneri
informatici puri fino agli sceneggiatori puri, alcuni dei quali scrivono solo a penna!
151
È chiaro che se sei abituato a fare il battutista per Greggio non ti è necessario
usare un computer, mentre qui dentro il flusso necessita di strumenti digitali”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006)
Le competenze trasversali sono, secondo il modello Isfol, tutte quelle conoscenze,
abilità, risorse personali utili ad un comportamento lavorativo e organizzativo efficace:
• diagnosticare (percepire, decifrare, interpretare, prestare attenzione,
immaginare…)
• relazionarsi (ascoltare, esprimersi, cooperare, comunicare, gestire i conflitti…)
• affrontare (assumere responsabilità, coinvolgersi, decidere, negoziare, gestire,
prendere l’iniziativa, progettare, risolvere i problemi…).
Nell’audiovisivo sono importanti come in tutti gli altri ambiti occupazionali, e
proprio per questo sono considerate trasversali, ma diventano strategiche nel
reparto produzione, laddove alcune figure (es. il produttore o il project manager)
sono imperniate proprio sulla capacità di gestire un gruppo complesso.
Per questo motivo abbiamo incluso anche le relazionali nelle quattro famiglie di
competenze dell’audiovisivo, insieme ad altre tre di tipo tecnico-professionale (cioè
specifiche del particolare contenuto lavorativo, con una valenza teorico-tecnica o
pratico-applicativa):
• artistico/creative
• tecniche
• manageriali/organizzative
Come si è detto, le figure professionali non sono riconducibili ad una singola
famiglia di competenze o singoli saperi, ma necessitano di più competenze, in
proporzioni variabili (è questo il motivo per cui la nostra mappa non si articola in
artisti, tecnici e manager). Non tutte le figure devono esercitare giornalmente e
attivamente tutte le competenze, ma a tutte è richiesto un coinvolgimento, almeno
indiretto, in gran parte di esse: ad esempio un produttore non deve scrivere una
sceneggiatura, ma essere in grado di valutarla; non deve installare un parco luci,
ma essere in grado di valutare se sia congruente al budget e al risultato artistico
voluto… Inoltre, come vedremo tra poco, il confine tra il mondo editoriale
(competenze artistico-creative) e quello realizzativo (competenze tecniche) è
sempre più sfumato; nello stesso modo in cui non si chiede più ad un singolo
professionista di occuparsi solo della fase di preproduzione (la progettazione, “il
pensiero” della produzione), disinteressandosi della fase di produzione vera e
propria e di quella di postproduzione.
152
5.2 Le competenze chiave
per aziende e lavoratori
Alla domanda posta alle aziende, su quali erano, tra le quattro competenze citate,
quelle di cui sentivano maggiormente la mancanza, la maggior parte ha indicato
quelle tecniche: il 30% dei rispondenti, a fronte di un 27% per le relazionali, un
21% per quelle artistico-creative e un altro 21% per quelle manageriali.
Naturalmente lo scarto ridotto tra le varie risposte testimonia ulteriormente la
compresenza delle competenze nel processo produttivo. Interessante valutare la
disparità di valutazione tra editori e produttori: i primi hanno riposto per il 45% dei
casi “relazionali” (seguono, in ordine, le tecniche, artistico-creative e manageriali), i
produttori hanno risposto in modo più omogeneo: per il 31% “tecniche” (seguite
da quelle relazionali, artistico-creative e manageriali).
Le competenze chiave secondo i produttori
20% Competenze manageriali
27% Competenze relazionali
20% Competenze
artistiche/creative
Competenze
31% tecniche
Fonte: Labmedia, 2006 (su 54 aziende)
153
Le competenze chiave secondo gli editori
9% Competenze manageriali
27% Competenze tecniche
18% Competenze
artistiche/creative
Competenze
45% relazionali
Fonte: Labmedia, 2006 (su 13 aziende)
Evidentemente le emittenti televisive ritengono cruciale il tema delle relazioni, sia
all’interno dell’azienda, sia rispetto all’esterno (compresi i produttori indipendenti);
mentre i produttori pongono l’accento sulla effettiva capacità realizzativa dei
propri prodotti.
Mediaset, ad esempio 2, pur differenziando le risposte a seconda delle diverse
aree di business del gruppo, sottolinea la componente relazionale di RTI (il cuore
editoriale), considerando quella artistica come esterna, e anzi anch’essa gestita
come un fattore di produzione, grazie alle abilità relazionali:
“Le competenze chiave sono differenziate in funzione delle diverse aree di business
del Gruppo: nella fabbrica (Videotime) e nelle aree tecniche e tecnologiche (es.
2
La situazione relativa alla RAI, per quanto riguarda la Lombardia, è influenzata dal fatto che la sede RAI di Milano
è un centro di produzione totalmente dipendente dalla sede centrale romana; e quindi la centralità delle
competenze tecniche (cfr. Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano RAI, intervista
personale 20/3/2006) andrebbe relativizzata in chiave nazionale.
154
Elettronica Industriale) sono le competenze tecniche; nel mondo dei contenuti, invece,
al di là del contenuto specifico di ogni professionalità, è molto rilevante la
dimensione relazionale. Tale competenza è in realtà trasversale a tutta l’azienda, in
quanto, al di là delle dimensioni, Mediaset si fonda sulle relazioni interpersonali,
frutto anche della sua storia e del forte stampo imprenditoriale. Le competenze
artistiche invece sono esterne. In alcune aree sono sempre state esterne: gli autori
sono esterni, le star sono esterne. È anche in questo senso che le competenze
relazionali-manageriali sono le più importanti, per poter interagire e gestire tutto il
mondo che c’è intorno alla televisione...
L’utilizzo di appalti o società di produzione esterne è un modo di flessibilizzare e
specializzare le competenze specifiche, perché Mediaset ha sviluppato nel tempo
più competenze organizzative e di commessa che realizzative di prodotto, tanto è
vero che il primo prodotto realizzato negli ultimi anni è stato “Campioni”: all’inizio è
stata una sfida importante perchè Mediaset non era più impegnata da tempo sulla
produzione diretta dei programmi di grande dimensione. Credo che questo
fenomeno sia in linea con l’evoluzione dei media globali, dove c’è una crescente
specializzazione delle varie aziende: Mediaset è innanzitutto un editore televisivo,
che utilizza i canali di produzione propri o attiva i soggetti esterni”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane RTI - Gruppo Mediaset,
intervista personale, 14/3/2006).
Per i produttori, invece, il cuore del proprio business è nella realizzazione del
prodotto, ed è per questo che vengono avvertite come strategiche le competenze
tecnico-specialistiche, dall’artistico al tecnico al manageriale, rispetto a quelle
trasversali. Il contenuto artistico è sentito come fondamentale nel prodotto:
“Non abbiamo paura della qualità o delle persone difficili da gestire: meglio
l’”eccezionalità” anche se crea problemi, perché poi ci siamo noi, che geni non
siamo, che gestiamo e risolviamo i problemi, che conteniamo ma non limitiamo.
Certo la tv è una cosa molto concreta, applicata, fatta di tempi, modi e risorse
specifiche. Quindi l’artista, il genio in televisione non è legato ad una dimensione
astratta ma si inserisce in regole e dinamiche molto contingenti. Sicuramente poi
ha una sensibilità e una personalità “speciale”, delle capacità produttive particolari. E
in questo senso è una risorsa davvero rara e unica, ci sono i fuoriclasse”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
155
È l’integrazione stessa delle competenze a rendere una risorsa preziosa 3,
soprattutto in contesti “crossmedia”.
“Mentre ci sono forti competenze di autori, di montatori, operatori, sceneggiatori,
c’è un buco, una vera e proprio voragine, nella parte che io definirei manageriale,
cioè di impostazione, strutturazione e sviluppo del prodotto, quando si deve passare
da un brief editoriale generico, dato da un editore o da una compagnia telefonica,
all’impostazione del prodotto. Mentre sul prodotto tv, infatti, esiste un know-how
condiviso, nel momento in cui affronti prodotti che hanno una complessità maggiore
[crossmediali, ndr], le domande si moltiplicano: mentre rispetto ad un prodotto tv
devi solo chiederti se farà ridere, funzionerà, farà ascolto, ecc…, quando
contemporaneamente deve finire anche su una piattaforma mobile bisogna
chiedersi se l’inquadratura sarà visibile sul telefonino, se l’utente farà il download
ad un euro, se questo prodotto è funzionale per la telefonica, per linkare altri
prodotti, ecc. Per cui chi si mette a pensare il prodotto deve unire capacità creative a
una lungimiranza organizzativo-manageriale, che prevede risposte a domande diverse,
che vanno dal “come faccio la squadra?” a “che tipo di risorse posso attivare?” a
“con quale budget?”... Forse l’ideale sarebbe avere un manager di sviluppo con
competenze creative, perchè un pensiero prettamente connesso all’impostazione
della struttura senza sapere cosa c’è dentro non è possibile: non si possono costruire
scatole senza conoscerne il contenuto, mettendo dentro quel che capita”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006)
Anche ai cosiddetti “tecnici” sono richieste sensibilità sul prodotto e conoscenza
dei contenuti:
“Per me che faccio documentari, e li faccio su storie sociali, che cerco di raccontare
attraverso le voci delle persone (spesso li faccio sull’Africa e in Africa), anche il
montatore deve avere uno spessore culturale, deve essere autonomo. Se per me la
conoscenza del Paese che racconto è fondamentale, deve esserlo anche per il mio
montatore. Certo è difficile trovare un profilo così completo, e, anche quando lo
trovo, avere tanto lavoro da poterlo assumere ed essere il suo unico datore di lavoro”.
(Annamaria Gallone, Titolare casa di produzione di documentari Kenzi, intervista
personale, 6/3/2006)
3
Cfr. anche l’intervista a Giorgio Gori, Presidente e Amministratore delegato di Magnolia, sulla già citata difficoltà
a reperire figure “rotonde”, con un profilo di competenze ampio e variegato.
156
Alcuni pongono l’accento sulla componente artistica (soprattutto i produttori di
spot pubblicitari), mentre altre piccole e medie imprese hanno focalizzato
l’attenzione nelle interviste su una mancanza di competenza imprenditoriale che
farebbe la differenza:
“Sentiamo molto la mancanza di competenze manageriali. Un buon manager con
competenze commerciali sarebbe fondamentale, io stessa vengo da una formazione
umanistica, che non può colmare questa assenza. Necessitano competenze sui
diritti, perché dopo essere stati realizzati, questi prodotti vanno sfruttati”.
(Elisabetta Levorato, Amministratore unico Demas & Partners, intervista personale,
2/3/2006)
Certo la risposta dipende moltissimo dalla posizione dell’intervistato (l’imprenditore
porrà l’accento sulle capacità manageriali, il produttore su quelle artistiche,
perché sono quelle che cerca nella sua troupe artistica, e così via...) e dal modello
organizzativo adottato dalla sua azienda:
“In queste organizzazioni, che sono più orizzontali che verticistiche, sono importanti le
competenze relazionali”.
(Uberto Rasini, Direttore Generale 3Zero2 TV, intervista personale, 20/4/2006)
I lavoratori, a cui abbiamo rivolto nel nostro questionario la domanda “quali sono
le competenze prevalentemente utilizzate per il lavoro che stai svolgendo?”,
hanno citato quelle artistiche (il 25% dei rispondenti, contro un 17% che assegna
maggiore importanza alle competenze manageriali, un 12% a quelle tecniche, un
7% a quelle relazionali), anche se è significativa la quota (27%) di coloro che
hanno dichiarato di utilizzarne almeno due di pari importanza. Leggiamo questo
dato ipotizzando che i lavoratori si sentano policompetenti e comunque fortemente coinvolti nella componente artistica e creativa del loro prodotto, indipendentemente dalla loro mansione.
“La produzione è a volte considerata come un reparto che permette a dei creativi
di realizzare un prodotto, con uno spirito di servizio. Invece il mio lavoro non è quello di far lavorare i creativi, ma è paritetico al loro, siamo comunque tutti parte di un
progetto. Noi stessi siamo creativi”.
(Producer casa di produzione di fiction, focus group figure produttive, 5/5/2006)
157
5.3 Specializzazione o integrazione
delle competenze:
la divisione del lavoro
Il tema della divisione del lavoro ha una ricaduta anche nella produzione audio
visiva, e un impatto significativo sulle competenze richieste ai lavoratori. A
confrontarsi sono due modelli organizzativi diversi: quello dello “scientific
management” e quello del “job enrichment”: il primo, di origine tayloristica 4,
prevede mansioni semplici, scomposte in singoli compiti parcellizzati, limitati e
ripetitivi, assegnati a persone diverse, scarsa autonomia lasciata ai singoli,
elevato controllo; il secondo, viceversa, prevede una più larga autonomia dei
lavoratori, a cui viene assegnato un lavoro che implica un’ampia gamma di
attività. Il primo modello prevede una specializzazione di compiti finalizzata
all’innalzamento della produttività, grazie alle conseguenti economie di
apprendimento 5; il secondo intende privilegiare l’obiettivo di responsabilizzazione
individuale e realizzazione personale, allargando la mansione in orizzontale
(incorporando attività appartenenti allo stesso livello organizzativo) o in verticale
(assegnando una maggiore autonomia decisionale).
Per fare un esempio, nell’ambito della redazione di un magazine televisivo la scelta
si può tradurre nella decisione di assegnare la realizzazione di un singolo servizio a
più persone (ad esempio una “coppia creativa” composta da un regista e un
redattore/autore), che ne sono responsabili dalla preproduzione alla postproduzione,
moltiplicando le unità produttive tante volte quanti sono i servizi da realizzare;
oppure di scomporre le fasi produttive di tutti i servizi in singole attività, come ad
esempio la ricerca immagini (addetto desk), le riprese (troupe ENG ed eventuale
regista), la scrittura (redattore), il montaggio (addetto alla regia e/o montatore).
4
5
Come è noto, F.W. Taylor cercò di dimostrare scientificamente la convenienza di una separazione drastica tra
progettazione ed esecuzione, tra studio del lavoro ed esecuzione manuale di esso, tra enti funzionali che
predispongono il quadro tecnico e normativo entro il quale il lavoro deve essere eseguito, ed enti “di linea” che
lo eseguono. Il modello venne adottato da Ford per la catena di montaggio utilizzata nella produzione
automobilistica, e per questo motivo viene talvolta definito “fordista”. Cfr. ad esempio Luciano Gallino,
Dizionario di sociologia, Utet, 2004.
Cfr. ad esempio Pilati-Tosi 2000.
158
L’unità organizzativa tipo del newsmagazine quotidiano:
il modello “scientific management”
Giornalista
Giornalista
Addetto
Desk
Regista
(+ troupe)
Preproduzione
servizio A e B
Produzione
servizio A e B
Assistente
alla regia
(+ montatore)
Postproduzione
servizio A e B
Fonte: Labmedia, 2006
L’unità organizzativa tipo del newsmagazine settimanale:
il modello “job enrichment”
Giornalista
Giornalista
Giornalista
Regista
(+ addetto
desk)
Regista
(+ troupe)
Regista
(+ montatore)
Preproduzione
servizio A
Produzione
servizio A
Postproduzione
servizio A
Giornalista
Giornalista
Giornalista
Regista
(+ addetto
desk)
Regista
(+ troupe)
Regista
(+ montatore)
Preproduzione
servizio B
Produzione
servizio B
Postproduzione
servizio B
Fonte: Labmedia, 2006
159
Naturalmente la scelta tra il primo e il secondo modello dipenderà da vari fattori:
• le dimensioni dell’azienda: aziende piccole necessariamente privilegiano
l’integrazione delle mansioni in un numero ridotto di addetti;
• la fase di maturità dei prodotti/attività: nei contesti sperimentali viene
incoraggiata la multicompetenza, man mano che si consolida il business si
è portati a specializzare;
• la tempistica della produzione: un programma televisivo quotidiano, legato
all’efficienza dettata dai tempi ridotti e da esigenze di tempestività, tenderà
alla specializzazione; mentre un programma con una cadenza meno pressante
consentirà di scegliere tra specializzazione o integrazione delle competenze;
• il genere di prodotto: ad esempio la soap, come fiction industriale,
incoraggerà una divisione più parcellizzata dei compiti rispetto al documentario,
che ha organici più ridotti e organigrammi meno definiti 6.
6
L’organigramma sopra riportato è riferito ad uno schema tipo di documentario di media entità e medio budget
(ammesso che sia possibile una “medietà aritmetica” nell’ambito di una casistica assolutamente eterogenea);
nel caso del piccolo documentario low-budget l’organizzazione produttiva si semplifica ulteriormente.
160
Capo
Montatore
Montatore
Audio
Assistente
Montaggio
Decoratori
Assistente
Arredamento
Scenografi
Reparto
Scenografia
Falegnami
Assistente
scenografo
Tecnici audio
ATTORI
Controllo camere
Actor’s Coach
REGISTI
Truccatori
Capo
Truccatore
Reparto
Trucco
Fonte: Labmedia, 2006
Aiuto
Costumi
Sarte
Assistente
costumi
Costumista
Reparto
Costumi
Operatore Ripresa
Service tecnico
Cassiere
Segretario
Produzione
Runners
Capo elettricista
Amministratore
Coordinatore
Elettricisti
Reparto fotografia
Rep. Amministraz.
Reparto produzione
Montatore
Video
Reparto
Montaggio
Planning
Organizzazione
Generale
Produttore
Esecutivo
Parrucchieri
Capo
Parrucchiere
Reparto
Parrucchieri
Story Editor
161
Assistente Casting
Responsabile
casting
Reparto
Casting
Dialoghisti
Script Editor
Assistente
Head Writer
Story liner
Head Script Editor
Head Writer
Reparto scrittura
Direttore
Fotografia
Produttore
Creativo
Organigramma produttivo tipo: la soap opera
(il caso Mediavivere)
- archivi
- musiche
- storiche
Researcher
Redattore
Autore
Consulente
scientifico
Fonte: Labmedia, 2006
Assistente
di produzione
Direttore di
produzione
Producer
Executive
producer
Direttore
della
fotografia
Assistente
operatore
Operatore
Regista
Organigramma produttivo tipo: il documentario
Assistente
fonico
Fonico
Assistente regia/
Segretario di edizione
162
La divisione del lavoro implica la separazione verticale degli aspetti creativi,
intellettuali, direttivi del lavoro da quelli manuali, esecutivi; e la stretta dipendenza
dei secondi nei confronti dei primi, fino ad individuare nella catena di montaggio
fordista il massimo grado di parcellizzazione dei compiti. 7
L’elevata specializzazione è direttamente proporzionale al livello di
conoscenze/abilità richieste, e alla loro specificità: questo naturalmente implica
che la tendenza alla specializzazione sia maggiore per le mansioni tecniche,
rispetto alle mansioni organizzative, che anzi fanno della flessibilità e della
multicompetenza un loro carattere distintivo.
Abbiamo chiesto alle aziende di indicarci se, a loro parere, la tendenza della
domanda occupazionale andasse verso figure specializzate o figure integrate, cioè
multicompetenti.
Le risposte sono state variegate, e dipendenti, come dicevamo, dal contesto e dai ruoli:
“Entrambe le tendenze sono presenti: in produzioni di altissimo livello come i
programmi di Celentano, Quelli che il calcio, L’isola dei famosi, prevale la
specializzazione; per le piccole produzioni l’integrazione. […]
La figura stessa del programmista regista ad esempio era stata creata in RAI in
occasione della nascita della Terza Rete, con l’obiettivo di integrare la funzione
autoriale e quella realizzativa nelle costituende sedi regionali, per le produzioni da
realizzare su base locale. Poi anche nelle reti si diffusero queste figure miste”.
(Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano RAI,
intervista personale, 20/3/2006)
“Vedo sia una tendenza verso la specializzazione, sia per l’integrazione delle
competenze. Per la tecnica (audio, grafica ecc) i lavoratori devono specializzarsi
ancora di più, perché ci sono tante macchine... Nell’emissione e nel controllo
qualità preferiamo invece delle combinazioni: magari uno con capacità tecniche
che sappia fare anche delle scelte. Piuttosto che una scimmia che schiaccia un
bottone, preferiamo avere persone multi-skill, che assorbono più ruoli. Penso sia
meglio per loro - che sono più stimolati - e per noi”.
(Mattias Brahammar, Facility Manager 3Zero2 TV, intervista personale, 20/4/2006)
Certo, al di là di contesti prettamente tecnici, le indicazioni vanno prevalentemente
7
Cfr. l’impatto della questione sul dibattito di sociologia del lavoro, ad esempio in Gallino 2004.
163
verso uno scenario di integrazione, soprattutto nel settore dell’ emittenza locale…
“Si va verso figure ibride e policompetenti, perché, soprattutto negli ambienti al di
fuori di RAI e Mediaset, sono quelle che danno valore alle aziende. Anzi definirle ibride ne sminuisce l’ importanza; ma invece non è così”.
(Anna Di Sabato, Direttore generale Gruppo Profit, intervista personale,
20/4/2006)
…o satellitare:
“Prendiamo ad esempio la figura del Promoter [responsabile della progettazione e
della realizzazione dei “promo” di programmi televisivi, ndr]: è una figura emergente,
alle dipendenze dirette del direttore di rete. In Disney si occupa della realizzazione
completa del prodotto, operando anche direttamente in sala di montaggio, a differenza di quel che accade in altre realtà dove c’è uno che dice cosa fare e l’altro che
preme il bottoncino. La fusione delle competenze è giudicata inevitabile; i nuovi sistemi di montaggio sono oramai alla portata di tutti sia dal punto di vista economico che
operativo, non ha più senso che certe figure non possano lavorare direttamente su
macchine che magari usano comunque normalmente a casa per montare i propri filmati personali”.
(Dario Rodino, Vice President Production & Operations Walt Disney Television Italia,
intervista personale, 7/4/2006)
I lavoratori confermano quest’ultima tendenza, sia come fenomeno generale del
mercato del lavoro, sia nella loro esperienza personale. Alla domanda se la tendenza prevalente sia verso la specializzazione delle figure professionali o verso
l’ibridazione delle competenze in figure flessibili, il 67% ha infatti risposto indicando
“l’ibridazione” (contro un 18% di “entrambe”, un 11% di “specializzazione”, un 4%
di “non so”). A dare questa risposta sono soprattutto lavoratori laureati, della
fascia di età dai 35 ai 44 anni, che lavorano da 3-5 anni nell’audiovisivo,
prevalentemente con contratti a tempo determinato, in funzioni di staff. La propria
esperienza lavorativa attuale conferma questa tendenza teorica, rafforzandola.
Ben il 90% dei lavoratori si classifica come “figura policompetente” (contro un
10% di lavoratori che si classificano come “specializzati”): sono soprattutto
donne tra i 25 e i 34 anni di età, che lavorano da 6 a 10 anni nel settore, sia
negli staff, che in sviluppo/produzione.
I lavoratori confermano che la specializzazione è proporzionale alle dimensioni
164
Tendenza specializzazione/ibridazion e competenze secondo i lavoratori
11% Entrambe
11% Specializzazione
67% Ibridazione
Fonte: Labmedia, 2006 (su 100 lavoratori)
165
Come si considerano i lavoratori
10% Specializzato
1% Non so
89% Policompetente
Fonte: Labmedia, 2006 (su 100 lavoratori)
aziendali…
“Io credo che figure ibride siano più apprezzate in contesti e strutture ridotte. In
case di produzione con due o tre persone devi essere flessibile per forza: in aziende
come Mediaset c’è bisogno di una specializzazione più definita, altrimenti si crea il
caos totale”.
(Project Manager Emittente televisiva, focus group figure “crossmediali”,
18/4/2006)
….e al contenuto tecnico delle mansioni…
166
“Per i ruoli tecnici la specializzazione può aiutare, ci sono delle nicchie forti dove
puoi vendere la tua professionalità. Su ruoli più legati ai contenuti invece il valore
aggiunto è dato da una certa trasversalità di competenze e conoscenze dei
contenuti”.
(Content Manager Azienda TLC, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)
I lavoratori assegnano alla tendenza verso l’ibridazione di competenze una valenza
ambigua: da una parte riconoscono che dà loro maggiore autonomia e motivazione;
dall’altra sono consapevoli che la scelta aziendale è soprattutto motivata in
termini di risparmio, e non tutto questo risparmio viene riconosciuto…
“Seguo il prodotto dall’inizio alla fine, faccio quattro lavori in uno. Per un campo particolare come le news questa è una benedizione: per un’azienda vuol dire
risparmio. … Io sono soddisfatto perché nel mio piccolo faccio un prodotto che mi
piace. Però non ho soddisfazioni monetarie proporzionate: altri non producono lo
stesso tipo di cose, ma non c’è assolutamente un sistema meritocratico”.
(Redattore editore crossmedia, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)
….o reinvestito nella qualità finale del prodotto:
“Nel mio contesto le figure ibride sono molto apprezzate, per vari motivi. La qualità
si sta abbassando per cui meglio avere un montatore che sappia girare e scrivere:
è più economico e dimezza i tempi. Una qualità media è preferita alla qualità
eccellente”.
(Producer Casa di produzione, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)
167
5.3.1 Le newsroom digitali: giornalisti multimediali,
telecineoperatori, videoreporter
Il digitale è indicato come supporto prevalente dal 62% delle aziende campione
(contro un 30% di pellicola e un 8% di elettronico analogico). La digitalizzazione
ha, secondo l’80% dei lavoratori, influenzato positivamente il loro lavoro, anche
se solo per il 65% di essi ha migliorato complessivamente la qualità dei prodotti
audiovisivi (secondo l’11% la qualità è rimasta invariata, secondo il 17% è
addirittura peggiorata).
Per valutare però quali processi organizzativi siano implicati in questi giudizi, e il
loro reale significato, bisogna fare un passo indietro e analizzare l’impatto delle
nuove tecnologie sull’audiovisivo e a quali livelli (produttivo o trasmissivo) sia
intervenuto. In questa sede non ci interessa affrontare le macro questioni relative
alla digitalizzazione dei segnali, in fase trasmissiva, ma solo capire come il
digitale ha cambiato l’organizzazione produttiva, e quindi il modo di lavorare
quotidiano degli addetti alla produzione. In particolare, non potendo analizzare
tutti i processi produttivi su tutte le filiere di tutti i generi di prodotti, esemplificheremo
l’impatto del digitale in un particolare processo: il newsmaking, cioè la produzione
giornalistica.
Il processo produttivo tradizionale di un servizio di telegiornale prevede una
divisione dei compiti rigida: il giornalista televisivo, classicamente in possesso di
una cultura umanistica, provvede personalmente alla redazione del testo della
notizia, coadiuvato nelle varie fasi di produzione delle immagini da altre figure
specializzate: un addetto al desk che lo assiste nel reperimento di immagini
d’archivio (videoagenzie internazionali, o archivio dell’emittente stessa); un
operatore di ripresa che si occupa dell’eventuale acquisizione delle immagini sul
campo, seguendo le sue direttive più o meno esplicite e dettagliate; uno speaker
che legge il testo da lui redatto; un montatore che, sempre secondo le sue
direttive, si occupa della postproduzione delle immagini; più naturalmente tutto
quanto necessario alla messa in onda del pezzo all’interno dell’edizione. 8
Con il nuovo modello delle newsroom digitali invece il processo produttivo può
potenzialmente essere svolto interamente e direttamente dal giornalista nella
sua workstation, una postazione digitalizzata grazie alla quale può gestire insieme
8
Michael Rosemblum, responsabile editoriale dell’agenzia Video News International, affermava provocatoriamente:
“Se i giornali lavorassero come lavora la tv, per un’intervista servirebbero cinque persone: una per tenere la
penna, una per fare le domande, una per reggere la carta e una per fare il resoconto di tutto. …Fino ad oggi la
televisione ha imitato le tecniche cinematografiche di Hollywood degli anni ‘50”. (Rosemblum 1996).
168
parole e immagini. 9 In particolare le attività che un “giornalista multimediale” è
in grado di svolgere sono: la ricerca di immagini (sia di repertorio sia girate ad
hoc) direttamente a terminale, con la possibilità di vedere le immagini e di
selezionarle, di confezionare un montaggio off line (non definitivo) grazie ad un
semplice software di editing, di registrare una propria voice over direttamente
sulle immagini 10.
Il giornalista multimediale è un giornalista in grado di elaborare i servizi giornalistici nei
vari linguaggi e generi. Redige le notizie con i relativi titoli, sa ricercare e selezionare da
più fonti informazioni, foto, filmati, che impagina e/o monta con sistemi di publishing adatti
a più piattaforme mediali.
Ad oggi è diffuso in realtà giornalistiche particolari, come le newsroom digitali e le testate
web.
Tra i vantaggi connessi a questo processo, citiamo: la velocizzazione del processo lavorativo; la semplificazione e l’ottimizzazione della ricerca d’archivio; la possibilità di condividere le immagini da parte di più soggetti contemporaneamente;
e il pieno controllo da parte del giornalista su tutti gli aspetti del suo lavoro e su
tutti i contenuti da lui prodotti. Tra gli svantaggi possibili, il rischio di ridurre il
ruolo del giornalista a “deskista” (spesso vittima della tentazione del “copia e
incolla”) e di allontanarlo dalla ricerca delle notizie sul campo. 11
Questo modello organizzativo è per ora diffuso solo in alcune limitate sperimentazioni televisive (a Mediaset presso il tg di Italia 1, Studio Aperto; in RAI presso
RAI News 24), oltre che nelle redazioni web. L’introduzione non è stata indolore,
e si sono registrate alcune perplessità e resistenze sindacali, sia da parte dei
giornalisti, sia da parte dei tecnici. Gli intervistati sottolineano il carattere di sperimentalità e di eccezionalità, che contraddistingue queste evoluzioni:
Il tradizionale scollamento tra parte visiva e parte testuale dei servizi giornalistici è secondo alcuni polemici
osservatori (cfr. Achtner 1997) una piaga del giornalismo italiano: si tratta della tendenza a confezionare
immagini “wallpaper”, “carta da parati”, cioé che procedono in parallelo rispetto al testo senza connessioni
volontarie e controllate, presumibilmente derivata proprio dalla tradizionale divisione dei compiti e dalla
mancanza di competenze tecniche sulla parte visiva da parte del giornalista.
10
Per una descrizione delle newsroom digitali vedasi ad esempio Marco Pellegrinato, “Newsroom digitali: col pc si
fa il tg”, in Link Mediaset, 3 e 4, 1999.
11
Per una ricognizione di tutti gli aspetti connessi alle newsroom digitali e alle ricadute sulla professionalità
giornalistica vedasi Alfredo Macchi, “I tg nel futuro”, 1999.
9
169
Il processo produttivo delle news tradizionali
Giornalista
Addetto
Desk
Operatore
(Eng)
Montatore
Preproduzione
Produzione
Postproduzione
Fonte: Labmedia, 2006
Il processo produttivo di una newsroom digitale
(es. Studio Aperto, RAI News 24)
Giornalista multimediale
Operatore
(Eng)
Preproduzione
Produzione
Postproduzione
Fonte: Labmedia, 2006
170
“Ogni volta che ci sono evoluzioni di questo tipo, ci sono una serie di freni: da parte
dei sindacati la paura di perdere figure o doverle riconvertire; e da parte dei
giornalisti, che si vedono portare via una parte delle loro competenze da figure che
fino ad allora non erano state incluse nel contratto giornalistico. È chiaro che più si
avvicinano queste figure, più il mondo dei contratti e delle corporazioni incomincia a
soffrire; questo vale per tutto il Paese, non per una singola azienda….La fase di
sperimentazione su “Studio Aperto” si è conclusa, ma quella rimarrà l’unica testata
digitale. Che io sappia non ci sono intenzioni di esportarla, anche perché la
tecnologia da questo punto di vista è molto onerosa. Ma é stato indubbiamente un
esperimento positivo”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane RTI - Gruppo Mediaset, intervista personale, 14/3/2006)
“Il giornalista multimediale si è diffuso in testate anomale, non ammiraglie, in realtà
prototipali e sperimentali, e non istituzionali; appena le testate sono più stabili, si
ricorre alla specializzazione delle figure tradizionali. Sicuramente c’è però un confine
sempre più labile tra figure tecniche e figure di contenuto: le nuove tecnologie
impongono dovunque una ridefinizione delle figure”.
(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)
Il processo opposto a quello del giornalista multimediale, che integra competenze
tecniche in una mansione originariamente redazionale/creativa, è quella del
telecineoperatore: nasce come operatore di ripresa che, grazie alla capacità di
confezionare un servizio giornalistico in autonomia, conquista un ruolo a tutti gli
effetti giornalistico, tanto da essere previsto come figura del Contratto Collettivo
dell’Ordine dei Giornalisti:
Il Telecineoperatore è il professionista responsabile delle riprese che effettua
nell’ambito di un racconto filmico o televisivo. È responsabile della fotografia, quando non è
presente il Direttore della Fotografia; coordina il lavoro degli Assistenti Operatori e, se
presenti, di altri Telecineoperatori.
È il responsabile dell’immagine finale. Segue tutto l’iter del racconto per immagini, sceglie
ed utilizza qualunque mezzo atto alla ripresa. Nell’ambito giornalistico decide in
completa autonomia, o di concerto con il redattore (se presente), sulle scelte da compiere
per la realizzazione del miglior servizio (del quale cura il testo e il montaggio, se ne è
responsabile).
Il Telecineoperatore è infatti un giornalista, inserito da qualche anno nel Contratto Nazionale
giornalistico, come riconoscimento della rivendicazione di figure tecniche , che lavoravano in
completa autonomia.
171
La sua esistenza sembra però più il frutto dell’autonomia di singoli operatori
particolarmente responsabili, piuttosto che di strategie aziendali che puntino su
questo percorso di carriera. Tanto è vero che non ci sono percorsi formativi per
assicurare un ricambio generazionale ai pochi personaggi, che hanno guadagnato
sul campo questo riconoscimento, soprattutto in una azienda come la RAI, che
sembra averlo più che altro subìto:
“Non c’è un vero confine di competenze tra le mansioni svolte dall’operatore di
ripresa delle squadre leggere e il telecineoperatore: avrebbe più senso se il
telecineoperatore, essendo un giornalista, seguisse l’intero processo produttivo,
dalla ripresa delle immagini alla stesura del testo di commento”.
(Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano RAI, intervista personale, 20/3/2006)
Se il giornalista multimediale si limita alla fase di preproduzione e a quella di
postproduzione, la figura potenzialmente in grado di completare l’intero processo
è quella del Videoreporter, la declinazione “news” del Videomaker. Videomaker e
Videoreporter nascono a partire dalla disponibilità di videocamere leggere,
maneggevoli ed economiche, fino a pochi anni fa considerate come appartenenti
ad una fascia di mercato prosumer (a metà tra lo standard producer e quello
consumer), cioè quasi amatoriali; mentre oggi sono considerate di livello
broadcast, quindi compatibili con lo standard qualitativo della trasmissione
professionale. Grazie a questa strumentazione, anche la fase di ripresa diventa
integrabile nel lavoro di chi prima si occupava esclusivamente di preproduzione;
e non necessita forzatamente un operatore specializzato in possesso di una
telecamera professionale pesante e costosa. 12
12
In alcuni contesti particolari il processo realizzativo integra persino la fase di trasmissione del segnale; alcune
“valigette” integrate, predisposte ad esempio da Sony, offrono al giornalista impegnato in situazioni particolari,
come ad esempio quelle di guerra, la possibilità di montare il “pezzo” e di inviarlo in redazione.
172
Il Videomaker è in grado di realizzare in completa autonomia un prodotto audiovisivo, o un
segmento di esso.
È una figura relativamente nuova, perché la sua nascita è legata alla disponibilità di
strumenti di semplice utilizzo, tecnologie prosumer, quali le videocamere digitali e i software
di editing digitali, che consentono di realizzare prodotti di buona qualità con relativa semplicità
e costi contenuti. Le competenze che deve avere un Videomaker sono a tutto tondo: è l’autore del “racconto per immagini”, che dirigerà come regista e come operatore (occupandosi
delle luci, dell’immagine, delle inquadrature), che arricchirà con testi (a volte speakerati personalmente), che monterà e che sonorizzerà con musiche, fino ad arrivare , selezionando le
sequenze, rivedendo l’ordine del girato, enfatizzando alcuni momenti con effetti speciali e
così via, al prodotto finito pronto per la messa in onda.
Il Videomaker è un freelance e quindi il suo lavoro non termina con la realizzazione del video,
ma spesso prosegue con la promozione e la vendita di quanto è stato in grado di
realizzare. Il vero e proprio Videomaker realizza prevalentemente contenuti di tipo artistico
(ad es. videoclip low-budget, backstage, ecc.), mentre il Videoreporter o Telereporter realizza
servizi, reportage e inchieste di tipo giornalistico. La sua introduzione contrattuale è
relativamente recente ed è stata oggetto di aspre critiche sia da parte dell’Ordine dei
Giornalisti (che vedeva affidate anche a non giornalisti mansioni giornalistiche), sia da parte
dei sindacati (che difendevano le figure specializzate “assorbite” dalle nuove mansioni
tecniche del telereporter). Attualmente, nonostante sia presente anche nel contratto FRT
delle tv private nazionali, viene prevalentemente utilizzato nelle tv private o in produzioni
atipiche, prevalentemente di inchiesta.
La figura, pur prevista dal contratto FRT, è comunque presente nelle tv locali più
che in quelle nazionali, nelle realtà piccole piuttosto che in quelle strutturate, nei
formati para-giornalistici, come le inchieste e i reportage, e non nelle testate giornalistiche.
“La figura del telereporter è stata istituita nel contratto FRT del ’94, e inserita al settimo livello (forse al di sotto delle sue effettive mansioni); nonostante costi molto
meno di altre figure previste nel contratto FNSI, è rimasta solo nelle tv locali, e
credo rimarrà marginale”.
(Stefano Selli, Direttore Generale FRT, 26/4/2006)
I produttori più attenti intuiscono che su questa figura ci sono ampi margini di
potenziamento, sia per la possibilità di avere prodotti più “autoriali”, sia per il
contenimento dei costi di produzione:
“La figura di filmaker è abbastanza recente e molto strategica. Sono persone che
sono capaci di scrivere, di girare, di montare. Soprattutto sulle docusoap, su questi
programmi che facciamo per la tv satellitare dove ci sono pochi soldi ed è meglio
173
La figura del telecineoperatore
Giornalista
Adetto
Desk
Operatore
Montatore
Preproduzione
Produzione
Postproduzione
Fonte: Labmedia, 2006
La sfida del videoreporter
Giornalista
Adetto
Desk
Operatore
Montatore
Preproduzione
Produzione
Postproduzione
Fonte: Labmedia, 2006
174
avere poche persone e autonome, sono figure importanti”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
L’etichetta di “Videomaker” è orgogliosamente rivendicata da chi è in grado di
sommare più competenze e di creare quindi un prodotto completamente
“personale”, artigianale e autoriale in senso pieno:
“Mi piace molto la definizione di videomaker, nel senso che di fatto finisce che mi
occupo della produzione veramente dalla A alla Z. Il discorso è quello della consegna
“chiavi in mano”di un prodotto. Dal punto di vista del mercato costi la metà rispetto
ad una troupe allargata, e, rispetto all’efficacia del servizio, il fatto di avere questa
sensibilità per l’immagine garantisce il fatto che il tuo servizio giornalistico sarà un
servizio giornalistico audiovisivo, e non semplicemente un servizio giornalistico
cartaceo con il supporto di alcune immagini. E poi, per situazioni un po’ clandestine,
essere un’unica persona ti dà delle chances enormi”.
(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
Certo figure come queste, che hanno “democratizzato” l’accesso alla professione 13,
pongono un serio problema di preparazione e di formazione:
“Da una parte, se tu hai una tua deontologia e serietà professionale, il digitale non
può che essere una straordinaria risorsa, perchè con meno costo e meno problemi
tecnici, pratici e organizzativi puoi muoverti e addirittura farti produttore indipendente.
Se però mancano questi presupposti di serietà e competenza, può essere deleterio:
il risultato è un film giustificato come “omaggio a Von Trier”, ma in realtà semplicemente
mosso, fatto a braccio, sotto i livelli della dignità del prodotto, senza una minima
attenzione all’audio, per cui i dialoghi te li devi indovinare, con una sceneggiatura
che pretende di essere intellettuale e filosofica, ma dove ti perdi dopo 10 secondi.
Il digitale ha abbassato le soglie di accesso all’audiovisivo. L’effetto positivo ed
immediato è che la carta e la penna sono accessibili a tutti: poi però l’opera di
alfabetizzazione deve ancora incominciare”.
(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
13
Alcuni cineasti si sono espressi con entusiasmo nei confronti della “democratizzazione” che sarebbe concessa
dalle nuove tecnologie: citiamo su tutti Francis Ford Coppola, che affermò, non si sa se per provocazione o per
ingenuità: “Per me la grande speranza è che con queste piccole telecamere, questi apparecchietti che abbiamo
oggi, tutti comincino veramente a fare cinema. Magari un qualsiasi bambino farà un bellissimo film con la
videocamera di papà, e finalmente il cosiddetto “professionalismo” del cinema verrà distrutto per sempre, e il
cinema diventerà una forma d’arte. Questa è la mia speranza”.
175
Da un punto di vista formativo è innegabile l’importanza di valorizzare queste figure
ibride come profili di riferimento: il potenziale didattico che si sviluppa a partire
da una figura policompetente, è fortissimo, anche per chi si specializzerà e andrà
a ricoprire una singola mansione in realtà strutturate; ma con la consapevolezza
delle problematiche tipiche di tutti i ruoli produttivi implicati, e quindi con maggior
rispetto della professionalità altrui.
Tra i fautori di queste nuove figure, c’è chi pone l’accento sulla possibilità
dell’”autore” di essere completamente autonomo, e quindi di poter, soprattutto in
condizioni estreme (ad esempio in guerra, per interviste “rubate” o a personaggi
particolari), realizzare immagini che una troupe televisiva professionale non
sarebbe in grado di carpire: l’autore sarebbe addirittura in grado di imporre una
sua lettura personale, anche dal punto di vista linguistico, individuando una nuova
estetica, a volte forse più “sporca” ma anche più personale e meno standardizzata.
Il videomaker free lance poi, spesso un outsider anche dal punto di vista
organizzativo ed economico, fuori dall’establishment, sarebbe in grado di produrre
prodotti giornalistici svincolati da logiche aziendaliste: è questa ad esempio la
posizione di una giornalista come Milena Gabanelli, autrice di “Professione reporter”
prima e di “Report” poi, e madrina del videogiornalismo, a cui dedichiamo il Focus
di questo capitolo. Naturalmente non tutti si sono schierati a favore: tra le loro
argomentazioni citiamo la necessità di una maggiore pulizia di immagine, e il
rispetto delle singole professionalità consolidate.
Interessante valutare come queste nuove figure siano lette e interpretate: secondo
alcuni analisti l’aggiunta di competenze è più che altro un aggravio di compiti, un
ampliamento della sfera di attività (si tratterebbe in questo caso di “job enlargment”,
un allargamento in orizzontale della mansione, che implica semplicemente il passaggio ad un’altra fase della catena di montaggio); secondo altri si tratta di un
vero e proprio “job enrichment”, che consente di sviluppare la mansione in
verticale, acquisendo anche l’assorbimento di compiti superiori, e quindi maggiore
discrezionalità e autonomia. (Costa 1997).
176
Arricchimento di mansione nelle figure ibride
Mansione C
Job
enrichment
Mansione A
Job
enlargment
Mansione B
Fonte: Labmedia, 2006
A fronteggiarsi sono un modello produttivo di tipo “artigianale”, in cui una figura
è in grado di realizzare in autonomia tutte le fasi realizzative di un artefatto
(comunicativo, in questo caso), contro un modello “industriale”, in cui l’organizzazione
del lavoro esige una rigida divisione di compiti e un’elevata specializzazione. Non
necessariamente “artigianato” significa low cost e marginalità, e “industria”
significa grandi produzioni di ampio respiro: ad esempio può essere considerato
“artigianale” il processo produttivo del documentario e dell’inchiesta/reportage,
ma anche una miniserie ad alto budget, in cui poche figure decisionali (ad es. un
regista co-sceneggiatore e un produttore creativo) assommino la responsabilità
editoriale; viceversa può essere considerata “industriale” la produzione ripetitiva
e ottimizzata di un game show televisivo di centinaia di puntate, come di una
soap-opera. Naturalmente al termine “artigianale” assegniamo in questo contesto
l’accezione più nobile del termine, che risiede nella possibilità di un lavoratore
audiovisivo di padroneggiare l’intera autorialità del prodotto. 14
14
Ci limitiamo a citare il concetto di bottega artigiana rinascimentale a cui si rifaceva Roberto Rossellini, quando,
dirigendo il Centro Sperimentale di Cinematografia, abolì la dizione “diploma di regia” in favore di una figura di
“operatore della comunicazione”, una sorta di comunicatore multimediale ante litteram, che superava i confini
di ruolo e i confini dei media e i confini tra ambito artistico e tecnico, per lui inesistenti.
177
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Il modello produttivo di Report:
il videogiornalismo
Il programma sperimentale “Professione Reporter” nasce su Rai2, dal 1994 al
1996, nell’ambito della struttura Format di Giovanni Minoli. Già nell’ambito di
questo programma, la conduttrice e autrice Milena Gabanelli esplicitava spesso
quella che si potrebbe definire come l’etica e l’estetica del videogiornalismo.
I motivi della scelta dei “mezzi di produzione leggera” erano:
• di ordine economico, sia per il minore costo del mezzo, sia per la riduzione del
numero di persone coinvolte nella realizzazione dell’inchiesta, visto soprattutto
che si trattava spesso di trasferte estere e comunque di lunghi periodi di
preparazione;
• di ordine logistico: un mezzo di piccole dimensioni, poco visibile e poco
ingombrante, permette di accedere rapidamente e informalmente a situazioni,
alle quali una troupe ufficiale non avrebbe accesso; e consente di realizzare
interviste che beneficiano del clima di intimità e coinvolgimento proprio del
rapporto interpersonale;
• infine, di ordine linguistico, per la possibilità di una scrittura, di uno stile
personale, differente dal linguaggio standardizzato e ufficiale della ripresa
professionale . 1
Come si legge dal sito (www.report.rai.it) del programma “Report”, che nascerà nel
1997 come naturale evoluzione di “Professione reporter”:
“ Si tratta di un rotocalco di informazione che propone un cambiamento di metodo
rispetto al giornalismo tradizionale: il videogiornalismo. Milena Gabanelli, autrice
del programma, dà spazio e tempo a tutti i freelance che lavorano con la propria
telecamera e aspirano ad un giornalismo più impegnato. Invita nel piccolo studio i
nomi più famosi del giornalismo tradizionale a dibattere su questa nuova frontiera.
Il sindacato insorge: vede nel metodo un’arma per la riduzione dei posti di lavoro.
Dall’esperienza si forma un gruppo, motivato, determinato, non interessato né alla
carriera né ai soldi, con una passione comune: la denuncia. Questo era l’obiettivo
della Gabanelli, che li traghetta, l’anno dopo, nel programma d’inchiesta ‘Report’”.
1
Cfr. “Dove non osano i professionisti”, di Giorgio Simonelli e Alessandra Alessandri, in Letture, marzo 1996.
178
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I videogiornalisti che più stabilmente
collaborano al programma sono: Sabrina
Giannini, Giorgio Fornoni, Paolo Barnard,
Giovanna Boursier, Bernardo Iovene, Stefania
Rimini.
Sempre sul sito del programma si legge, alla pagina
“Metodo di lavoro”:
“Il metodo organizzativo di Report non ha nessun
modello di riferimento nei Network nazionali. Una
nuova forma di produzione che utilizza in parte i mezzi
interni (nell’edizione e progettazione del programma) e
in parte quelli esterni (la realizzazione delle inchieste)
scavalcando la forma dell’appalto, pur mantenendone le caratteristiche. Una
razionalizzazione del lavoro che rende l’intero programma economicamente
competitivo. La caratteristica di “Report” è quindi a tutti gli effetti una produzione
interna ridotta al minimo: 3 persone di redazione che fanno da supporto e da
tramite fra gli autori, che realizzano le puntate, e l’Azienda, in tutti gli aspetti
burocratici e di controllo sulla qualità dei contenuti. Gli autori sono freelance, che
autoproducono la loro inchiesta (cioè la realizzano con la loro videocamera, si pagano
le spese, la montano nel loro luogo di residenza), con la costante supervisione
dell’autore della trasmissione, e infine la vendono alla RAI; senza che in mezzo ci
sia l’intermediazione di una società. L’abbattimento dei costi e la libertà di azione
dei videogiornalisti permette di lavorare anche 3 o 4 mesi su ogni singola inchiesta”.
“Report” si è aggiudicato numerosi premi, anche di livello internazionale (tra cui tre
edizioni del premio Ilaria Alpi, il prestigioso Festival di Banff, due Premi Regia
televisiva come programma dell’anno), e “vanta” altrettante cause, per varie puntate
accompagnate da polemiche di vasta eco.
La qualità delle sue inchieste, come riconosciuto anche dagli osservatori inizialmente
più scettici, è superiore a quella di qualsiasi testata giornalistica nazionale, dotata
di ben maggiori mezzi: è forse proprio il fatto di nascere in una nicchia inizialmente
poco visibile, che le ha consentito di svilupparsi, e, grazie alla credibilità raggiunta,
di raggiungere importanti riconoscimenti di pubblico e critica.
179
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Il programma vanta infatti buoni risultati d’ascolto anche in prime
time, dove supera abbondantemente la media di rete. I dati sulla
composizione psicografica del pubblico confermano come il programma riesca
a raggiungere il pubblico tradizionalmente più refrattario al mezzo televisivo
(come Impegnati, Arrivati, Organizzatori, Delfini, su cui vanta indici di concentrazione
elevatissimi 2), collocandosi in termini di mappa delle correnti socioculturali, nel quadrante di Sud-Ovest, tra la dimensione dell’apertura all’ innovazione e quella dell’apertura sociale (insieme a pochi programmi come “Blob”, “Passepartout”, “Che
tempo che fa”) . 3
Interessante notare anche come, nonostante si tratti di inchieste giornalistiche e
quindi su temi di attualità, il loro valore di approfondimento consenta di valorizzare
il programma con sfruttamenti tradizionalmente riservati a generi “di stock” (ad
utilità ripetuta, come film e fiction internazionali) e non “di flusso” (ad utilità immediata,
come l’intrattenimento leggero e le hard news): citiamo ad esempio lo sfruttamento
home video, che testimonia come il programma sia entrato a far parte della
“library” RAI che costituisce un valore duraturo, di autentico servizio pubblico. 4
2
3
4
Cfr. dati Sinottica Eurisko in www.sipra.it.
Ricordiamo che la mappa 3SC di GPF & Associati colloca le correnti socio-culturali in due assi: tradizione vs
innovazione (Est-Ovest), e Orientamento all’Individuo vs Orientamento alla Società (Nord-Sud): la maggior parte
degli spettatori della televisione generalista si colloca in un’area valoriale di Nord-Est, mentre il quadrante SudOvest viene raggiunto più spesso da pubblici di nicchia e da media non generalisti.
“Report” è stato recentemente commercializzato in forma di Dvd-libro, nella collana Bur senza Filtro, in
collaborazione con RAI Trade.
180
PARTE TERZA
GLI STEP DI INSERIMENTO
DEL LAVORATORE
06
LA FORMAZIONE
di Chiara Valmachino
con Francesca Borghi
Il capitolo indaga il rapporto tra occupazione nel settore audiovisivo e formazione
dei lavoratori. Presentiamo, innanzitutto, la nostra elaborazione di un censimento
dell’offerta formativa lombarda nell’ambito audiovisivo, illustrando in sintesi
caratteristiche e criticità delle molteplici tipologie di corso individuate: i corsi di
Laurea, triennale e specialistica, i Master, universitari e non, i corsi professionali.
Riportiamo, quindi, le percezioni e le valutazioni espresse dalle aziende audiovisive
lombarde e dai lavoratori in merito all’offerta formativa esistente sul territorio.
Il capitolo si chiude con la proposta di alcune linee-guida per interventi di
ottimizzazione dell’offerta formativa.
Il focus è dedicato ai corsi europei del Programma Media, esemplificati dai casi
Eurodoc e Eave.
185
6.1 Il censimento dell’offerta formativa per
l’audiovisivo in Lombardia
Un viaggio nell’offerta formativa per il settore audiovisivo deve seguire due strade: quella della formazione iniziale, rivolta agli aspiranti lavoratori; quella della formazione continua, che, in un’ottica di lifelong learning, si rivolge ai lavoratori in
cerca di riqualificazione o specializzazione 1. Queste due direttrici della formazione si sono mantenute a lungo, nel nostro Paese, nettamente separate; tuttavia,
nel campo dell’audiovisivo come in molti altri settori, è diventato più arduo, negli
ultimi anni, operare distinzioni nette.
Pensiamo, ad esempio, al sistema universitario italiano, che a partire dalla fine
degli anni ’90 è stato interessato da una serie di interventi riformatori (compiutisi con l’entrata in vigore del regolamento in materia di autonomia didattica degli
atenei - D.M. 509/99), di cui l’articolazione degli studi su più livelli tra loro integrati (il cosiddetto modello “3+2”) e l’introduzione del sistema dei crediti rappresentano gli aspetti salienti e più noti alla pubblica opinione (Censis 2005). Tra le
novità, sono stati introdotti meccanismi di conversione delle esperienze professionali in crediti formativi: con il progetto “Laureare l’esperienza”, molte università costruiscono oggi percorsi formativi personalizzati, che tengono in considerazione, nell’attribuzione dei crediti, la formazione e l’aggiornamento on the job e
l’esperienza lavorativa precedente dello studente. 2
Più in generale, in un mercato del lavoro in cui l’inserimento lavorativo è incerto
e segue percorsi tortuosi (cfr. capp. 7 e 8), anche corsi post-Laurea di formazione permanente, di perfezionamento e di alta formazione possono attirare Laureati
in cerca di prima occupazione 3; a loro volta, i Master, anziché fungere da porta di
accesso per l’occupazione, diventano sempre più spesso occasioni di generico
approfondimento culturale senza sbocchi professionali.
1
2
3
L’Unione Europea punta in modo particolare sulla formazione continua, in un contesto di invecchiamento della
popolazione e di prolungamento della vita attiva: gli obiettivi di Lisbona (fissati nel 1997) prevedono per i Paesi
membri il raggiungimento entro il 2010 del 12,5% di persone coinvolte in attività di istruzione e formazione,
rispetto al totale della popolazione in età compresa tra i 25 e i 64 anni. Va detto che l’Italia, con un 6,3% di
quota di popolazione adulta in formazione, è ancora ben lontana dal raggiungimento di questo obiettivo (Censis
2005).
Sulle contraddizioni del sistema e sulla discrezionalità nell’attribuzione dei crediti, si rimanda all’inchiesta di
Giovanna Boursier “Regalo di Laurea”, Report 28/5/2006 (trascrizione integrale al sito www.report.rai.it). Il
progetto, tra l’altro, ha interessato anche l’Ordine del giornalisti, che ha stipulato convenzioni con cinque
università: Lumsa di Roma, Università di Torino, Chieti, Cassino e Bari.
Il Corso di Perfezionamento in Media Education gestito dal Servizio Formazione Permanente dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per esempio, dichiara di rivolgersi a “Laureati che intendono acquisire
competenza professionale nelle Scienze della Formazione e della Comunicazione […]; docenti e dirigenti della
scuola primaria e secondaria; operatori e coordinatori di strutture educative extra-scolastiche; operatori dei
media nel settore educational dell’editoria e della Tv per ragazzi”.
186
Per il settore audiovisivo, l’offerta formativa iniziale e continua, in Lombardia, è
molto ampia: la fase preliminare della nostra ricerca ci ha permesso di censire
ben 171 corsi attivi nel 2005, tra Corsi di Laurea, Master e corsi/scuole professionali 4.
L’offerta formativa per il settore audiovisivo in Lombardia
Tipologia di corso
Numero di corsi
% sul totale corsi censiti
Corsi di Laurea triennale
17
10
Corsi di Laurea specialistica
13
8
Master universitari
12
7
Master non universitari
16
9
Scuole e Corsi professionali
109
64
Alta formazione
4
2
Totale
171
100
Fonte: Labmedia (corsi attivi nel 2005)
Il nostro censimento è stato costruito consultando i database di diverse fonti on
line, nazionali e regionali, a partire dal Ministero dell’Università e della Ricerca,
che ogni anno rende disponibili i dati sugli iscritti di tutti gli atenei pubblici e
privati, suddivisi per corso di Laurea 5. Una ricerca per parole-chiave ha consentito
di individuare i corsi inerenti il settore comunicazione, media e spettacolo.
Depurando l’elenco dai corsi che dichiaravano di formare figure professionali
estranee al settore audiovisivo 6, abbiamo invece compilato, per tutti i corsi di
nostro interesse, una scheda riassuntiva, sottoposta infine per la validazione e il
completamento delle informazioni ai responsabili degli enti formativi stessi 7.
4
5
6
7
Nel nostro censimento non entrano scuole superiori specifiche per l’audiovisivo, perchè l’unica esistente è a
Roma: l’Istituto Tecnico “Rossellini” per le Arti e i Mestieri è l’unica scuola statale tecnica in ambito audiovisivo in
Italia. È attiva da 45 anni (è nato nel 1961, come Istituto di Stato per la Cinematografia Scientifica e Educativa,
negli ex stabilimenti Ponti-De Laurentiis) e oggi ha 1000 allievi, 120 docenti, 2 teatri di posa. Il percorso di studio
è quinquennale, e prevede moduli specifici finali (es. ripresa subacquea e steadycam).
Le fonti utilizzate per il censimento sono state: per le Università il sito del Ministero dell’Università e della
Ricerca (www.miur.it), per i Master www.masterin.it www.cestor.it, www.asfor.it, www.guidamaster.it; per le
scuole e i corsi professionali www.jobtel.it; www.lombardiaspettacolo.com, www.comune.milano.it; per i corsi
FSE www.regionelombardia.it.
La cernita dei corsi “per l’audiovisivo” è stata complessa, soprattutto riguardo all’offerta degli atenei. Ciò per
diversi motivi, come la frequente laconicità delle descrizioni disponibili e la genericità di alcuni profili professionali
in uscita, desumibili dalle indicazioni degli enti.
Si rimanda al censimento dell’offerta formativa riportato in appendice e, per le schede analitiche dei corsi, al
sito www.tvjob.it.
187
Il censimento così costruito ha fotografato una realtà eterogenea, fatta di tipologie
di corso, di problematiche e di questioni molteplici, che presentiamo, per sommi
capi, nelle prossime pagine.
6.1.1 I corsi di Laurea
Tra i corsi di Laurea degli atenei pubblici e privati presenti sul territorio lombardo,
erano attivi nel 2005 17 corsi di Laurea triennale e 13 di Laurea specialistica interessanti l’ambito della comunicazione massmediale, e quindi anche audiovisiva. 8
La maggioranza dei corsi (il 33% del totale) afferiscono alla classe di Laurea 14,
in Scienze della Comunicazione; seguono (ognuno con il 13% del totale) i corsi
nell’ambito della classe 73/S in Scienze dello Spettacolo e della Produzione
Multimediale; e della classe 17 in Scienze dell’economia e della gestione aziendale. Si fa anche lentamente largo l’idea che l’audiovisivo sia un settore di studi
trasversale e interdisciplinare: il 20% dei corsi di Laurea censiti sono, infatti, corsi
interfacoltà. 9
La riforma dei cicli universitari è entrata in vigore dall’anno accademico 20012002; il nuovo ordinamento si sta ormai consolidando, con i primi Laureati che
hanno completato il ciclo della Laurea triennale, e con un’offerta sempre più
8
9
I corsi inerenti l’area audiovisiva rappresentano, numericamente, il 5% del totale, sia di tutti i corsi universitari
triennali attivi in Lombardia (327) che di quelli specialistici (259 in totale).
Le più frequenti collaborazioni tra Facoltà sono: Lettere e Filosofia + Economia; Lettere e filosofia + Scienze
Politiche; Psicologia + Scienze della Formazione; Giurisprudenza + Economia.
188
La campagna stampa di IULM, 2004
articolata di Lauree specialistiche (ora magistralis) e di corsi post-Laurea.
Secondo le stime nazionali del Censis, rispetto all’autonomia delle Università
sembrerebbe oggi in declino la spinta alla competitività tra atenei, che ha
caratterizzato i primi anni della riforma (anche se le spese in pubblicità delle
nostre Università sono cresciute in totale del 221% nell’ultimo anno). Nel nostro
settore di interesse, tuttavia, è stata abbastanza costante, negli anni successivi
alla riforma, la “fioritura” di nuovi corsi: il 30% delle Lauree triennali è nato dopo
il 2003; 2 nuovi corsi sono stati inaugurati nello stesso 2005. Per quanto riguarda,
poi, le Lauree specialistiche, il 40% circa dei corsi considerati è attivo solo dal 2004.
Per quanto riguarda gli enti erogatori, si nota che tutti gli undici atenei 10 del capoluogo
lombardo, secondo strategie e declinazioni differenti, offrono corsi che afferiscono
direttamente o indirettamente al settore della comunicazione mediale e quindi
anche audiovisiva.
Nel solco della continuità con la propria storia (forse più che dell’innovazione) si
collocano i corsi dell’Università Cattolica, dove già negli anni ’40 del secolo scorso
“lo storico del Teatro Mario Apollonio, mosca bianca in un mondo che distava
dallo spettacolo come la terra dalla luna, aprì agli insegnamenti del teatro, del
cinema, dei linguaggi di massa” (Ferrari 2002), e dove quindi c’è una lunga tradizione
di studi in “Comunicazioni Sociali”.
Per quanto riguarda IULM, l’Università è addirittura “rinata” nel 1998 (dopo una
trentennale storia come Istituto Universitario di Lingue Moderne) con il nome di
“Libera Università di Lingue e Comunicazione”, sottolineando questa seconda
componente come fondante.
10
È stata esclusa dal censimento solo la Libera Università Vita e Salute del S. Raffaele, che pur offre dal 2005
un corso in Scienze della Comunicazione, ma le cui figure in uscita sembrano essere sostanzialmente estranee
alle professioni dell’audiovisivo e più orientate alla comunicazione di impresa.
189
L’Università Commerciale “Luigi Bocconi” e il Politecnico, nel campo della
comunicazione e dell’audiovisivo, si sono conquistati settori di nicchia per la loro
congenita specializzazione e per la mancanza di concorrenti sul mercato; ma
anche, come vedremo, per la capacità di rispondere a precise richieste del mercato
professionale. Il Politecnico offre il corso triennale e magistrale in Design della
Comunicazione (insieme al Master in Movie Design), integrati nella facoltà di
Design 11 e nel consorzio Poli.Design (fondato nel 1999 da Alberto Seassaro), che
funziona come cerniera tra Università e impresa, tra architettura e ingegneria,
“per dare impulso alla professione, alla ricerca e alla creatività” nell’ambito del
disegno industriale. 12
L’Università Bocconi, dal canto suo, è stata la prima ad istituire, nel 2001, il corso
di Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione (CLEACC), con l’intento di
costruire professionalità gestionali, progettuali e imprenditoriali inseribili anche
nel settore audiovisivo.
Fuori dal capoluogo, l’offerta formativa universitaria per l’audiovisivo non sembra
organizzata in modo sempre organico e coerente. Da un lato, troviamo a Pavia un
percorso strutturato, che collega il Corso triennale in Comunicazione interculturale
e multimediale con quello magistrale in Editoria e comunicazione multimediale (e
al Master in Scienza e Tecnologia dei media). Mentre meno organica sembra, per
il momento, la proposta didattica delle Università Statali di Bergamo e Brescia, e
quella (partita nel 2005 e limitata alla Laurea triennale) dell’Università
dell’Insubria a Varese. 13
I dati sugli iscritti ai corsi di Laurea e, soprattutto, quelli sui diplomati/laureati nei
corsi di nostro interesse sono piuttosto incompleti e di difficile interpretazione,
soprattutto perché la fase di transizione tra vecchio e nuovo ordinamento non è
del tutto completata; molti corsi sono inoltre avviati da poco tempo, e non hanno
ancora prodotto laureati.
Secondo stime desunte dai dati MIUR, gli immatricolati ai corsi di Laurea triennale
lombardi inerenti l’area audiovisiva erano nel 2005 circa 3.200 (con una media
di circa 190 studenti per corso). 9400 sono invece gli iscritti nel 2005 alle Lauree
triennali del settore 14; 1062 gli studenti delle Lauree specialistiche. La media è
11
12
13
14
Il Politecnico è stato il primo ateneo italiano a inaugurare, nel 1993, il corso di Disegno industriale.
www.polidesign.net
Il corso di Scienze della Comunicazione a Varese è inserito addirittura nella facoltà di Scienze matematiche,
fisiche e naturali.
Il dato riguarda il 94% dei corsi censiti; i corsi restanti non hanno comunicato al MIUR i dati aggiornati sugli
iscritti.
190
di 587 studenti per corso nelle Lauree triennali; ma decresce nettamente a 95,5
nelle specialistiche (anche per la presenza di numeri chiusi più restrittivi che in
altri settori). Non si può tuttavia dedurre se la maggioranza degli studenti si fermi
abitualmente alla Laurea triennale o scelga altri percorsi di formazione: come già
si è detto, bisognerà attendere qualche anno, con la stabilizzazione dei corsi attivi
e l’uscita di un numero consistente di studenti dalle Lauree triennali, per valutare a
fondo le tendenze in atto. Si noti tuttavia che, a livello nazionale, i 284 Presidi di
facoltà recentemente intervistati dal Censis, denunciando una “liceizzazione” dei
corsi di Laurea triennali, prevedono che dopo il triennio la maggioranza degli studenti
si iscriverà a corsi di Laurea specialistici; questo passaggio in blocco rappresenterebbe
un sostanziale fallimento della riforma dei cicli, incapace di produrre figure
professionali di livello differenziato, ma comunque recepibili dal mercato.
6.1.2 Al supermercato dei Master
L’offerta di Master per il settore audiovisivo, in Lombardia, ne comprende 12
universitari promossi da 7 diversi atenei, e 16 promossi da 6 diversi istituti privati
non universitari. 15
Dai dati a disposizione - spesso incompleti - si ricava l’impressione che,
nell’ambito della comunicazione audiovisiva come del resto in tutti gli altri settori, i
corsi post-Laurea abbiano avuto un repentino sviluppo dal 2002 in avanti.
Secondo il rapporto 2005 del consorzio interuniversitario AlmaLaurea, a un anno
dalla conclusione degli studi, la partecipazione ai Master riguarda il 17% dei laureati.
La riforma dei cicli universitari ha permesso agli atenei di erogare direttamente
Master - ovvero corsi che dovrebbero rispondere a questa definizione: “corsi
professionalizzanti che consentano con una metodologia all’avanguardia di
ampliare le conoscenze e le competenze dello studente, in un campo ristretto e
già conosciuto” (Rosa 2005), della durata minima di un anno, e per un minimo di
60 crediti formativi.
Criteri ancora più restrittivi per la definizione di Master sono introdotti da ASFOR,
l’Associazione Italiana per la Formazione Manageriale, che distingue i Master
accreditati dalla “miriade di programmi, spesso della durata di pochi giorni e con
15
16
In Italia i Master attivi nel 2005 erano 1500. Si tenga conto che, secondo l’Osservatorio del Corep, il 58% dei
Master si concentra nel Nord del Paese, soprattutto in Lombardia e in Emilia Romagna.
Asfor, nata nel 1971, ha tra i suoi obiettivi quello di qualificare l'offerta di formazione manageriale, adattandola
continuamente alla dinamica della domanda. Ha avviato nel 1989 il processo di accreditamento dei programmi
Master, ponendosi l'obiettivo di stimolare un processo di continuo miglioramento qualitativo, di autodisciplina e
191
contenuti estremamente ridotti e specialistici, che pure sono presentati sul mercato con la denominazione Master”. 16
I corsi universitari post-Laurea raccolgono oggi in Italia, dalle iscrizioni dei
partecipanti, finanziamenti pari a 101 milioni di euro; quelli non universitari
arrivano a 87 milioni di euro. L’82% dei Master universitari da noi censiti costa
più di 5.000 euro annui, e il costo medio è di 6.568 euro, ben di più del costo
medio (2.800 euro) calcolato dal Consorzio per la ricerca e l’educazione permanente
(Corep) su tutti i Master Universitari attivi nel Nord Italia. Ancora maggiore sembra
l’impegno economico richiesto a chi si iscrive a un Master non universitario: in
media il costo è di 8936 euro all’anno.
L’offerta censita è molto eterogenea dal punto di vista della durata, che varia dai
6 ai 24 mesi. I Master universitari censiti sono pressochè tutti di primo livello,
ovvero richiedono come requisito per l’iscrizione il possesso della Laurea triennale;
fa eccezione solo il corso post-Laurea specialistica della Bocconi in Management
per lo spettacolo (MASP), unico caso di Master universitario post-experience, che
richiede cioè ai candidati una pregressa esperienza lavorativa.
17
Ben 9 cosiddetti “Master” sui 16 erogati da enti privati non universitari - i quali
non sono sottoposti, in materia, a vincoli di legge e non danno titoli di studio
legalmente riconosciuti (Rosa 2005) - richiedono ai partecipanti solo il diploma di
scuola superiore; gli altri accolgono comunque tra i corsisti anche Laureandi o
lavoratori.
A livello nazionale, molti osservatori - come l’Asfor, l’associazione nazionale che
certifica le scuole di business, o il consorzio interuniversitario AlmaLaurea denunciano la presenza di un “supermercato” della formazione, in cui mancano
criteri di valutazione standard, e i “bollini di qualità” necessari agli studenti per
orientarsi.
Tra i criteri-guida per la valutazione della qualità suggeriti dal Corep, ci sarebbe
per esempio il collegamento del corso con il sistema economico, ovvero la partnership con aziende. 3 Master universitari su 12 censiti (il 25% del totale) non
citano alcuna partnership con aziende nella propria comunicazione esterna. Lo
17
di maggiore trasparenza nel mercato della formazione manageriale. Asfor distingue, con criteri differenti, tre
tipologie di Master: in General Management, in Business Administration, Specialistici. Citiamo ad esempio i
criteri fondamentali di accreditamento Asfor per i Master specialistici: un numero tra i 15 e i 60 Laureati come
partecipanti, 1200 ore di didattica (di cui almeno 600 di metodologie strutturate, e almeno 120 di
testimonianze/visite aziendali), una Faculty interna di docenti, a loro volta in possesso di requisiti di esperienza e
presenza in aula, infrastrutture adeguate (un’aula per attività di gruppo ogni 6/8 allievi, biblioteca, ecc), e infine
un placement efficace (quantificato in almeno l’80% di occupati entro 6 mesi dal termine del corso).
Si tratta degli 8 corsi offerti da International School of Cinema and Television (non più attivati nel 2006) e del
corso in Multimedia e Web design della Scuola Politecnica di Design di Milano.
192
stesso vale per un terzo degli enti impegnati nell’erogazione di Master non universitari. Infatti non molto diffusa è la prassi di organizzare Master in collaborazione
tra un ateneo e un’azienda, nell’ottica di un bilanciamento tra qualità della
supervisione scientifica e concretezza del legame con il sistema economico. Si
possono citare, a titolo di eccezione, l’esperienza del Consorzio Campus, che
nasce dalla collaborazione tra il gruppo Mediaset e l’Università IULM (che nel
2005 ha proposto, tra le altre iniziative 18, il Master biennale in Giornalismo, e
quello annuale in Management multimediale), e alcuni Corsi di Alta formazione
della Cattolica 19.
Anche la dimensione internazionale è carente; solo uno dei Master universitari
censiti è svolto in partnership con una università straniera (si tratta del Master in
Comunicazione e Formazione dell’Università Cattolica, realizzato in collaborazione
con l’Università degli Studi di Lugano e organizzato con un’alternanza di lezioni in
presenza e a distanza dalle due sedi). Un’apertura internazionale, intesa in questo
caso come attenzione a livellarsi con gli standard qualitativi della Formazione
europea, è espressa inoltre dal Master internazionale in Scienze e Tecnologia dei
media, promosso dalla Scuola Europea di Studi Avanzati ESAS dell’Università di
Pavia, e giunto nel 2005 alla nona edizione.
6.1.3 Scuole e corsi professionali
Esistono nella Regione Lombardia 7 scuole che nel 2005 gestivano 30 corsi di
specializzazione professionale nel settore audiovisivo: si tratta di corsi post-diploma
o post-Laurea triennale (tranne l’Istituto Carlo de Martino, con il suo corso di
giornalismo rivolto a persone in possesso di Laurea magistralis). Tra gli enti che
erogano i corsi, si riconoscono molti soggetti saldamente inseriti nel territorio e
nella tradizione culturale lombarda. Le storiche fucine del talento artistico milanese, ovvero l’Accademia di Belle Arti di Brera e l’Accademia di Arti e Mestieri della
Scala, hanno per esempio una propria offerta formativa rivolta alle professioni
creative dello spettacolo: scenografi, costumisti, ma anche artisti multimediali.
Da citare, inoltre, per il rapporto di lunga data con il territorio, anche la Scuola di
Cinema, Comunicazione, Televisione e Nuovi Media, uno dei quattro indirizzi delle
Scuole Civiche Milanesi. Già Scuola delle Tecniche cinetelevisive, è nata a metà
18
19
All'interno dell'offerta formativa del Campus Multimedia In.Formazione, consorzio fondato dall'Università IULM
e da Mediaset, si colloca anche il MIRFA (Master in Investor Relations e Financial Analysis).
A febbraio 2006, per esempio, si è svolto il corso intensivo “La produzione nel cinema di animazione”, rivolto
a laureandi, laureati ed ex corsisti del Master in Scrittura e Produzione per la fiction e il cinema; il corso era
organizzato dal Servizio Formazione Permanente dell’Università e dalla casa di produzione milanese di
animazione Demas & Partners.
193
degli anni Cinquanta come corso serale privato di cinema, su iniziativa di Renato
Spezzo; sostenuta economicamente, in una prima fase, dalla Provincia di Milano,
è passata al Comune negli anni ‘80 20: attualmente è diretta dal produttore
cinematografico Daniele Maggioni. L’offerta delle Scuole Civiche prevede corsi
curriculari e corsi di approfondimento diurni e serali, con un modello flessibile di
formazione continua, adatto alle esigenze di chi è già occupato.
Di consolidata tradizione in Lombardia, infine, l’Istituto per la Formazione al
Giornalismo Carlo De Martino, che, attraverso l’Associazione senza scopo di lucro
“Walter Tobagi”, da ben ventinove anni propone un biennio di formazione al giornalismo per 40 studenti, che sostituisce il praticantato in redazione e dà così
accesso alla professione giornalistica 21.
Un segnale della crescente centralità della Regione Lombardia nel panorama
audiovisivo è dato invece dalla scelta di decentramento della Scuola Nazionale di
Cinema, ex Centro Sperimentale di Cinematografia, storica istituzione formativa
nata a Roma nel 1935, che dal 2004, ha aperto un suo Dipartimento in
Lombardia. L’iniziativa ad oggi più importante del Dipartimento lombardo é un
“Laboratorio avanzato di creazione e produzione fiction per sceneggiatori e produttori creativi”, con la direzione didattica di Milly Buonanno, fondatrice
dell’Osservatorio sulla Fiction italiana, e una équipe di sceneggiatori e produttori
italiani e stranieri come docenti. 22
Nel panorama delle scuole professionali un’eccezione è costituita dall’Istituto
Europeo di Design, che punta non tanto sulla tradizione formativa e sul radicamento territoriale, quanto piuttosto sulla struttura a network delle sue sedi dislocate in Italia e in Spagna, e sulla flessibilità dell’offerta iniziale e continua, articolata in corsi triennali, Master, corsi serali e moduli di specializzazione. I rilevanti investimenti pubblicitari di IED cercano di identificare il “marchio IED” con l’idea di una didattica non convenzionale, creativa, all’avanguardia.
20
21
22
Oggi le Scuole Civiche milanesi operano come Politecnico della cultura, delle arti e della lingua; il Comune, dal
2000, ha scelto il modello giuridico della Fondazione di Partecipazione, conservando solo funzioni di indirizzo e
controllo sull'attività svolta.
Le scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine dei Giornalisti sono diciannove in tutto il territorio nazionale,
di cui quattro a Milano. Oltre all’Istituto De Martino ci sono infatti anche il Master di Giornalismo a stampa e
radiotelevisivo dell’Alta Scuola in media, comunicazione e spettacolo dell’Università Cattolica; il Master
biennale di Giornalismo dell’Università Statale di Milano (Master universitario interfacoltà, attivo da settembre
2006); e il Master biennale di Giornalismo Iulm.
Per l’anno 2006 sono stati pubblicati anche i bandi per il “Laboratorio avanzato di Regia di Cinematografia
industriale e Pubblicità”, che intende coniugare la memoria storica della Cineteca Nazionale del Cinema
d’Impresa con sede a Ivrea, con la realtà lombarda e europea dell’industria.
194
La campagna affissioni di IED, 2005
Non abbiamo a disposizione dati circa l’effettiva ricaduta delle scuole professionali
in relazione all’inserimento degli studenti nel mercato del lavoro: come per i
Master e le Università, non esiste purtroppo un monitoraggio sistematico di
questo aspetto da parte degli enti di formazione. 23
La stessa carenza di dati si riscontra in relazione al costo dei corsi; le informazioni
disponibili riguardano 16 corsi sui 30 attivi, e il costo medio risulta di 2.230 euro
per anno (oscillante tra i 1200 euro annuali delle Scuole Civiche e i 6.400 di
alcuni corsi dello IED).
Sebbene il discrimine sia piuttosto labile, abbiamo tentato di distinguere, nel
censimento dell’offerta formativa, le scuole professionali - istituti di formazione
strutturati per mission, organizzazione e linee didattiche, che con cadenza regolare
attivano corsi professionali nel settore della comunicazione - dai corsi professionali,
erogati in maniera sporadica da enti solo occasionalmente impegnati nel settore
dei media (e dell’audiovisivo). Su questo secondo versante l’offerta è
estremamente variegata: si contano infatti in Lombardia 79 corsi professionali
gestiti da 30 enti, in maggioranza enti privati e associazioni culturali (tranne casi
come la Fondazione Film Commission della Regione). Solo 3 dei 30 enti censiti
23
Ci sono, al più, iniziative di singoli enti: un'indagine commissionata dalla Fondazione Scuole Civiche di Milano
alla società SWG e citata nella brochure di presentazione della scuola, ha concluso per esempio che, tra i diplomati
dell'anno 2002/03, il collocamento nei primi sei mesi è stato pari al 75% (non è chiaro tuttavia se ci si riferisce
solo agli studenti disoccupati, visto che i corsi di comunicazione sono in parte corsi serali di formazione continua
aperti anche a lavoratori occupati).
195
si trovano fuori dal Comune di Milano.
Nell’estrema varietà dei corsi censiti - per durata, finalità, costi, requisiti di
partenza degli studenti - dedichiamo una particolare attenzione, in queste righe,
a quelli finanziati dal Fondo Sociale Europeo, che (con il consistente numero di
53 corsi attivi nel 2005) costituiscono ben il 64% dei corsi professionali individuati.
Gli obiettivi espliciti del Fondo Sociale Europeo, fissati nel Quadro comunitario di
sostegno per l’Obiettivo 3, da attuare con l’erogazione di corsi frequentabili
gratuitamente, sono così definiti:
• incremento dell’occupabilità dei soggetti in età lavorativa;
• promozione dell’integrazione nel mercato del lavoro di persone a rischio di
esclusione sociale;
• sviluppo di un’offerta di istruzione, formazione professionale e orientamento
che consenta percorsi di apprendimento per tutto l’arco della vita;
• sostegno alle politiche di flessibilizzazione, alla promozione di competitività
e di imprenditorialità;
• miglioramento dell’accesso, della partecipazione e della posizione delle
donne nel mercato del lavoro.
Gli unici dati finora disponibili circa le realizzazioni e le performance dei corsi FSE
a livello nazionale non sono aggiornati, visto che si riferiscono al periodo 19941999 (ISFOL 1991). Per dare un’idea dell’ordine di grandezza del fenomeno,
possiamo dire che in quel lasso di tempo erano state approvate e sostenute,
nell’area Centro Nord dell’Italia, 48.169 azioni formative (e 1728 non formative),
con 790.000 allievi e un impegno finanziario pari a 6030 miliardi di lire. Venendo
ai dati piu’ recenti, sappiamo che nel 2005 sono stati 1339 i corsi FSE attivati
nella sola Lombardia; quelli sull’audiovisivo rappresentano sul totale poco meno del 4%.
Non ci sono purtroppo dati aggiornati circa l’effettiva occupabilità dei
soggetti formati dai programmi FSE, né in generale né tanto meno in settori
occupazionali specifici. Sulla base delle prime valutazioni degli esiti di chi, nel
2000-2001, ha frequentato nel Centro-Nord corsi di formazione finalizzati
all’occupabilità, gli interventi di formazione mostrano in generale “un certo grado
di debolezza nel superamento dei vincoli e dei fattori che caratterizzano i mercati
del lavoro” (Censis 2005). A un anno dalla conclusione dei corsi, il 68% dei
partecipanti si dichiarava occupato; tuttavia, il dato analizzato segnala un rafforzamento delle chances occupazionali per i segmenti più forti: i tassi d’inserimento,
e la coerenza dell’occupazione conseguita rispetto al corso frequentato, risultavano
infatti molto più alti della media per i giovani in possesso di un titolo di studio elevato.
196
6.2 Formare: per quali professioni?
Andrea Marcotulli, Direttore Generale di ANICA, ipotizzava nel 2002 una stretta
relazione tra domanda di formazione delle aziende audiovisive e offerta formativa.
Tre sarebbero state in Europa, negli ultimi 20 anni, le fasi nell’evoluzione della
domanda di formazione (Marcotulli 2002). In un primo tempo, l’esigenza di
formazione era avvertita solo dalle imprese audiovisive tradizionali, in relazione a
professionalità già esistenti e ad ambiti aziendali classici, quali l’amministrazione,
il marketing, l’area sindacale; la risposta giungeva dal mondo universitario,
adattando nozioni e schemi nati per essere applicati ad altri settori merceologici,
soprattutto dell’industria secondaria.
Nella seconda fase, tipica degli anni ’90, l’esigenza di formazione fu avvertita anche
dalle nuove imprese legate all’innovazione tecnologica e allo sviluppo del mercato:
la richiesta, più specialistica rispetto al decennio precedente, riguardava sia la
riqualificazione/aggiornamento delle professionalità esistenti, sia la preparazione
di nuove figure altamente qualificate (soprattutto nell’ambito della gestione dei
diritti e della distribuzione sui nuovi media). La risposta confezionata dalle
Università consisteva soprattutto nell’organizzazione di Master e corsi di specializzazione. Nel contempo, si venivano creando i primi centri di formazione al di fuori
dell’Università, soprattutto per rispondere in modo puntuale alle esigenze delle
imprese dei new media. Si iniziava, in quell’epoca, a parlare di industria audiovisiva, e a poggiare l’impostazione della formazione su schemi e modelli nati per l’industria terziaria.
Nella terza fase - quella a cavallo del nuovo millennio - sarebbero le nuove imprese
a condizionare in modo decisivo le caratteristiche della formazione europea, determinando le professionalità più ricercate: la formazione difficilmente si colloca
all’interno delle aule universitarie, ma è piuttosto appannaggio di centri di formazione, spesso organizzati e gestiti dalle imprese stesse.
In termini statistici, nei Paesi dell’Unione Europea, fino al 1980 esistevano 20
scuole per l’audiovisivo ufficialmente riconosciute dagli Stati (solo il 30% delle
quali a indirizzo manageriale o tecnologico); all’inizio degli anni ’90, le scuole (e,
in proporzione, la percentuale degli insegnamenti centrati su temi economici,
legali-amministrativi e tecnologici) erano più che raddoppiate. Alla fine dell’anno
2000 le attività di formazione nell’area manageriale riguardavano il 65% delle
azioni complessive (Marcotulli 2002).
Analizzando il nostro censimento dell’offerta formativa, a livello locale (e,
ipotizziamo, nazionale) sembra emergere un quadro in controtendenza rispetto a
quello europeo.
Ci siamo domandati, per esempio, se fosse possibile individuare ricorrenze
197
significative rispetto alle figure professionali in uscita e alle competenze formate
dai corsi censiti. Abbiamo deciso di non prendere in considerazione, per questo
aspetto, i corsi di Laurea, dando per scontato che la formazione accademica di
base non abbia finalità esclusivamente e strettamente professionalizzanti;
nell’ipotizzare figure in uscita e sbocchi occupazionali, i corsi di Laurea sono infatti
spesso molto generici, e si riferiscono inoltre ad ambiti professionali molteplici.
Ciò avviene, in realtà, anche nei percorsi di specializzazione delle Lauree magistrali,
che sulla carta dovrebbero garantire maggiore connessione con il mondo professionale.
Abbiamo incrociato i profili in uscita dei singoli corsi (Master e corsi professionali,
come si è detto) con la nostra mappa dei mestieri 24, per analizzare su quali aree
e ambiti professionali si incentrasse l’offerta formativa. L’analisi dell’offerta, al
netto dei percorsi di Laurea, fa emergere innanzitutto un sovradimensionamento
dei corsi per professioni nell’area della “produzione contenuto” (il 78% del totale)
rispetto a quelli dell’area “gestione contenuto” 25 (solo il 2%). Il 7% dei corsi forma
figure che abbiamo definito “ibride”, mentre per il 9% dei casi è addirittura
impossibile collocare le figure in uscita in un’area professionale definita.
Addirittura, sui 145 corsi presi in considerazione, solo tre si occupano dell’area
professionale di gestione del contenuto: due di essi formano per l’ambito del marketing (il Master Publitalia in Comunicazione e Marketing 26 e quello in Digital Media
dell’Accademia di Comunicazione di Milano); uno solo si occupa invece di
programmazione, per altro in maniera non esclusiva (il Master in Scrittura e
Produzione per la fiction dell’Università Cattolica di Milano).
Su questo dato pesa sicuramente il fatto che molti Master e corsi professionali,
che formano a professioni “gestionali”, non hanno indicato espressamente i
Media come proprio sbocco occupazionale, e quindi non sono rientrati nel nostro
censimento. È comunque significativo che non esistano corsi finalizzati alla preparazione di figure gestionali anche (se non esclusivamente) nell’ambito mediale. Crediamo infatti che sia necessario dare un taglio specialistico anche alla
formazione professionale di figure che abbiamo definito di “staff specifico”, come
acquisti, vendite, promozione, marketing, ecc., proprio a causa della forte specificità del settore in questione. Solo sulle figure di staff a-specifico (es.
24
25
26
Ricordiamo che la mappa dei mestieri dell’audiovisivo, strutturata in 3 aree e 10 ambiti professionali, è
consultabile in appendice e, in forma di database, nel sito www.tvjob.it.
Ricordiamo che nella nostra mappa, oltre a queste due aree, ne appare una intermedia, di figure dette ibride.
Negli anni scorsi il Master Publitalia, giunto alla sua 18°edizione, ha formato molti dirigenti del gruppo Mediaset,
mentre successivamente si è prevalentemente concentrato su profili di manager della comunicazione in azienda e
in agenzia.
198
direzione risorse umane, direzione affari legali, ecc.), sarebbe legittimo ipotizzare
un percorso formativo generico, non finalizzato al singolo settore lavorativo.
Tra i corsi inerenti l’area professionale della produzione di contenuti, predominano
inoltre quelli afferenti l’ambito della scrittura (i corsi per autori, sceneggiatori,
giornalisti ecc. sono il 23% del totale), della produzione/organizzazione (16%), di
art/design (15%), seguiti da corsi per l’ambito dell’editing (14%) e della regia (il
13% del totale). Meno numerosi i corsi per gli ambiti più tecnici di suono (9%),
immagine (7%) e set (1%).
Si noti che, in un’offerta teoricamente specializzata e professionalizzante come
quella dei Master e dei corsi professionali, è alta la percentuale di corsi, i cui
profili in uscita non sono collocabili in alcuna area o ambito professionale specifico:
è così infatti per il 9% dei corsi considerati.
Per quanto riguarda le competenze formate, risultano sottorappresentate quelle
manageriali (il 15% del campione considerato) - a favore di quelle artistico-creative
(38%) e tecniche (26%). Soprattutto, è pochissimo incentivata la formazione di
competenze “ibride” (se ne occupa il 5% del campione), viceversa considerate
strategiche dalle aziende. Il 16% del campione non consente poi, per la laconicità
delle descrizioni offerte o per la loro totale assenza, di identificare le competenze
formate.
Come ultima considerazione, vogliamo sottolineare che solo pochi corsi declinano
ulteriormente la propria offerta formativa in un particolare genere di prodotto
(cosa che sarebbe auspicabile, data l’elevata specificità delle diverse filiere
produttive, citata nel primo capitolo). Moltissimi accomunano cinema e tv; molti
parlano in modo assai generico di “media digitali” o di “addetti di comunicazione”:
a parte le news, che evidentemente esercitano un fascino particolare sull’utenza,
si contano sulle dita di una mano i corsi per figure specializzate nel documentario
(4), nell’animazione (2), nella fiction televisiva (3, arrivando a 6 se si accorpa
anche il cinema), nello sport (1).
199
6.3 Offerta formativa e domanda
delle aziende:
percezioni e valutazioni
I corsi di formazione sono considerati canali di reclutamento del personale
(probabilmente attraverso lo stage in azienda, di cui si parlerà diffusamente nel
prossimo capitolo) dal 44% delle aziende. Tra le fonti più utilizzate dalle imprese
per soddisfare la domanda di personale spiccano le scuole e i corsi professionali
(complessivamente citate dal 55% dei rispondenti); i corsi di Laurea vengono citati
dal 28% delle aziende rispondenti, i Master solo dal 15% 27. Alcune delle criticità
individuate dalle aziende rispetto alla formazione esistente spiegano probabilmente
i motivi di questo rapporto “freddo” e incostante tra domanda e offerta di formazione.
Dobbiamo premettere che, sulla qualità dell’offerta formativa, i giudizi delle aziende
che hanno risposto al nostro questionario on line si dividono: l’offerta esistente
è giudicata ottima solo dal 2% delle aziende rispondenti al questionario; il 30%
ritiene che sia buona, il 40% esprime un giudizio prudentemente positivo, ritenendola
“sufficiente”, cioè migliorabile; il restante 30% del campione valuta negativamente
(“insufficiente” o addirittura “inesistente”) l’offerta. Il grado di insoddisfazione
per l’esistente è più elevato presso i produttori (un terzo di essi) che presso gli
editori (un quarto di essi).
Valutazione aziende
ottima 2%
inesistente 8%
40% sufficiente
30% buona
insufficiente 20%
27
Tra gli enti formativi spontaneamente citati come i più efficaci, secondo le 53 aziende rispondenti alla doman
da specifica, risultano nell’ordine: Multimediamente, IED, Scuole Civiche, seguiti dai corsi di Laurea di Università
Cattolica, IULM e Bocconi. Non emergono citazioni percentualmente significative di singoli Master.
200
In tale valutazione, stando alle interviste personali di approfondimento, sembra
avere un peso rilevante proprio lo squilibrio percepito tra esigenze del mercato e
offerta. Da un lato, le aziende intervistate sottolineano l’assenza di corsi di
formazione manageriale; dall’altro, si lamenta l’inutile proliferazione di corsi per
professioni artistiche e creative, che il mercato non riesce ad assorbire, insistendo in particolare sul sovradimensionamento delle iniziative - spesso superficiali e
inadeguate - di formazione per registi, e sull’esistenza di corsi troppo brevi e poco
qualificanti.
“Tutti vogliono fare i registi e le scuole tendono ad assecondare i desideri dell’utenza”.
(Antonio Canti, Presidente APP, intervista personale, 19/4/2006)
“Il nostro messaggio ai giovani che vogliono lavorare nel settore è questo: per realizzare una fiction, una soap opera, un film, un programma di varietà, un documentario, ecc. non servono solo registi o scrittori, ma c’è la assoluta necessità di una
serie di figure professionali altrettanto importanti, sicuramente gratificanti e
certamente più richieste. E questo messaggio rigiriamo anche a quelle strutture scuole professionali, facoltà universitarie, ecc. - che della formazione culturale e
professionale dei giovani sono responsabili”.
(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)
“Il mercato italiano della formazione rende attualmente disponibile un’offerta
limitata di percorsi di studio atti a fornire una specializzazione di tipo tecnico alle
nuove generazioni. In particolare l’affermazione è ancor più vera nelle aree
dell’emissione, nel Booking e in Operations. Coloro che, per occasioni professionali,
hanno acquisito un’esperienza di base offrono mediamente al mercato del lavoro
un profilo molto parziale, pur evidenziando aspettative economiche consistenti”.
(Cristina Lippi, responsabile Human resources MTV Italia, intervista, 20.3.2006)
“In questo mestiere tutti vogliono fare le cose creative ma nessuno vuole imparare l’ABC”.
(Mattias Brahammar, Facility Manager 3Zero2 TV, intervista personale, 20/4/2006)
“Non esiste che tutti i miei studenti vogliano fare solamente gli artisti e i registi.
Mancano bravi operatori, direttori di scena, fotografi, elettricisti. Questa corsa alle scuole
mediatiche non ha senso… costruiscono una grande illusione. L’offerta formativa illude”.
(Marco Poma, Socio e regista Metamorphosi, intervista personale, 17/3/2006)
201
“Dal punto di visto del mercato capisco che abbia molta più efficacia dire: “corso di
regia, corso per operatore”: “in sei mesi ti diamo la patente”. Io su questo sarei
molto severo. Per me un corso di regia non esiste, o comunque dovrebbe durare
molto di più. Un corso di composizione al Conservatorio dura 10 anni; perché un
compositore può avere una patente del genere dopo dieci anni, e un regista (che
dovrebbe essere compositore, architetto, scrittore) dopo nove mesi può
auto-eleggersi come appartenente alla categoria? Invece un corso di video maker
o video reporter può già avere di più il suo “perché”, anche lì, però, con una
scansione temporale molto più lunga; non esiste che in un anno si diventi videoreporter!
In un anno gli studenti che escono non sanno fare nulla; probabilmente anche dopo
due anni non saranno in grado di essere sul mercato […]. Che interesse hanno
questi corsi a far uscire gente che poi è sul mercato in surplus? Ovvio che per un
ragazzo può avere più appeal il corso “veloce”; però, basta con gli imbrogli!”
(Paolo Lipari, titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
Secondo gli intervistati, perchè domanda e offerta si incontrino realmente, perché
i corsi siano realmente professionalizzanti - andrebbero concertati con le aziende,
con i sindacati, soprattutto con le associazioni di categoria 28, in fase di individuazione
dei profili professionali da formare, di ricerca dei professionisti-docenti, e infine
nella fase di placement.
“Quelle premiate sono le iniziative formative che pianificano inserimenti mirati di
persone specifiche su aziende specifiche, più che accedere casualmente alle richieste
di stage. Ogni iniziativa di formazione deve essere preventivamente concordata con
aziende e/o associazioni, altrimenti non ha speranza di inserimento occupazionale”.
(Chiara Sbarigia, Segretario generale Apt, intervista personale, 26/4/2006)
“Non c’è, per l’audiovisivo, una piattaforma concertata con i sindacati e con le
istituzioni. In altri ambiti il modello di concertazione funziona. Nel settore della
grafica, per esempio, noi abbiamo un comitato di progettazione della formazione:
sui territori abbiamo le scuole di formazione professionale, che inseriscono nei loro
corsi la formazione grafica… e noi siamo nel Consiglio di Amministrazione di quelle
scuole. Se mi si chiede invece quanti operatori di ripresa vengono sfornati, non lo
so… L’obbiettivo sarebbe proprio quello di concertare. Non c’è nemmeno una
tradizione in questa direzione, tutto è lasciato alle iniziative singole di enti e aziende”.
(Renato Zambelli, Segretario Generale Fistel CISL, intervista personale, 20/4/2006)
28
Alcune associazioni di categoria sono impegnate personalmente in iniziative di formazione, già descritte al
cap.2.
202
Alcuni intervistati, che componevano il nostro panel di aziende, svolgono, accanto
all’attività professionale o imprenditoriale, quella di docenti in corsi per
l’audiovisivo 29: il loro giudizio sulla formazione è particolarmente interessante per
la loro capacità di scendere nel merito dei contenuti dei corsi e della didattica.
Sul versante dei contenuti, viene sottolineata una disomogeneità notevole tra i
percorsi, nell’ampiezza e nell’approfondimento dei temi trattati. Soprattutto i corsi
professionali, spesso non inseriti in una pianificazione organica,scontano una
mancanza di progettualità didattica forte; in generale, i percorsi per l’audiovisivo
sono scarsamente strutturati, e hanno spesso limitate barriere nei requisiti
d’accesso e di uscita.
“Io proporrei un processo formativo assimilabile al Conservatorio… Secondo me
bisogna portare l’audiovisivo a questi livelli di serietà, di scrupolo e di selettività
(…). È molto chiaro per chi entra al Conservatorio dove si andrà a parare, che si
dovrà studiare solfeggio. Fin dall’inizio si conosce il percorso che si andrà a fare,
con i suoi pro e i suoi contro. Nell’audiovisivo io non vedo l’ostacolo da superare.
Ai ragazzi va fatto un discorso all’entrata: “Guarda che sarà un percorso difficile,
affronterai cose che non ti piaceranno”. Questo discorso non solo rende più fruttuoso
il lavoro ma renderebbe anche più contenti i ragazzi, perché uscirebbero con una
competenza vera”.
(Paolo Lipari, titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
Ancora, viene evidenziata una scarsa attitudine all’interdisciplinarietà, nei piani di
studio ma prima di tutto nei docenti, chiusi nelle proprie aree di sapere settoriale,
e restii al lavoro di équipe:
“Io manderei i professori d’arte alla Bocconi e i professori della Bocconi negli
istituti d’arte. Invece ognuno è chiuso in un proprio mondo”.
(Marco Poma, Socio e regista Metamorphosi, intervista personale, 17/3/2006)
I corsi sono troppo spesso improntati a una didattica trasmissiva passiva, non
supportano le metodologie attive e collaborative (Rivoltella 2005) 30. Trascurato o
mal applicato il modello del learning by doing (Calvani 2000): non è scontato che
29
30
Matteo Scortegagna, Paolo Lipari, Gianfilippo Pedote e Marco Poma tengono docenze in modo strutturato, con
cattedre e incarichi stabili o ricorrenti; altri, come ad esempio Nanni Mandelli di Grundy e Dario Barone di CDI,
lo fanno occasionalmente.
Bassa la percentuale di corsi censiti (quasi tutti concentrati nei Master e nell’alta formazione) che, accanto al
modello didattico classico “lezione frontale + stage”, prevedano workshop, laboratori, studi di caso, business
game, sperimentazioni di cooperative learning (Calvani 2000).
203
la produzione audiovisiva sia contemplata tra le modalità didattiche; quando lo è,
mancano talora la supervisione, il tutoring, la rielaborazione.
“Dopo essermi iscritto ad un Master che costava 5.000 euro, mi sono accorto che
le ore dedicate alle materie più importanti erano troppo poche per poter imparare
veramente a “fare” qualcosa: troppe invece erano le ore dedicate alle solite materie
accademiche e generali di “linguaggio audiovisivo”, magari riciclando gli stessi
vecchi tromboni che insegnavano nel mio corso di Laurea, che ripetevano anno
dopo anno le stesse generiche, astratte e inutili cose. Quando mi sono lamentato
di questo problema delle ore con gli organizzatori del Master, mi sono sentito
rispondere: “Ma tu non devi imparare a fare un piano di produzione o un budget,
devi solo imparare che esistono i piani di produzione e i budget”. Ma allora, perché
spendere così tanti soldi e perdere un anno della propria vita?”
(Producer, emittente televisiva, focus group, 5/5/2006)
“I corsi di formazione ti dicono “fai un cortometraggio”, “fai un video”. Io applicherei
anche in questo caso delle griglie, una struttura. Io al Dams facevo istituzioni di
regia e non volevo fare lezioni cattedratiche, ma più pratiche. (Già il titolo era
impegnativo, cosa vuol dire istituzioni di regia?). Allora perché non guardare e copiare dai documentari di Zavoli, o dalle inchieste di Chiambretti, e far vedere, analizzare come si fa e come funziona davvero l’audiovisivo? Invece molto spesso diventa
solo un discorso meramente tecnico: “la telecamera funziona cosi”, oppure di tipo
creativo a briglia sciolta: “fate, esprimete”
(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
“È soprattutto la commistione con l’esperienza il fattore più importante. Le scuole che
non lasciano i ragazzi legati ad una dimensione puramente teorica “di
pensatoio”, ma li mettono nelle condizioni di sapere, girare, montare, sono già un
passo avanti. Quindi le Università, in un certo senso, sono un passo indietro”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
In parte per le caratteristiche dell’attuale formazione, in parte per la specificità di
molte professioni (diversamente declinate, per altro, in differenti contesti aziendali)
e per la velocità del turn over tecnologico, le aziende ritengono che le scuole non
possano da sole completare la preparazione di un lavoratore dell’audiovisivo.
204
Grande importanza viene attribuita alla formazione on the job (cfr. cap. 9); non
sempre, tuttavia, intesa come azione strutturata, dotata di strumenti di rielaborazione
e di valutazione delle esperienze, ma piuttosto come confronto quotidiano con le
sfide che il lavoro pone.
Paradossalmente un eccessivo livello di scolarizzazione allontana il lavoratore dal
raggiungimento dell’obiettivo lavorativo, rendendolo meno appetibile per le aziende.
“Si fa più fatica a “raddrizzare” persone già formate…, perché questo mestiere dà
pochi parametri di valutazione sulla qualità del lavoro, ed è quindi difficile capire
quanto uno fa e fin dove arriva, ciò richiede molto tempo. Bisogna spendere un
mese e mezzo per “leggere” le competenze di un produttore. Preferisco partire da
zero e mettere in affiancamento più persone in co-formazione, dove io supervisiono e altre due-tre persone gli “stanno addosso”, pur rischiando”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006).
D’altra parte la scuola di per sé non certifica le competenze realmente raggiunte,
tanto che alcuni operatori auspicano addirittura la nascita di un albo professionale o comunque un momento di certificazione:
“Io sarei davvero per un albo. È una mia pena il fatto di dover essere parte di una
categoria che non ha minimamente una definizione, una codificazione, una certificazione pubblica”.
(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
205
6.4 Percorsi formativi:
le valutazioni dei lavoratori
La nostra ricerca sul campo ha indagato, in un’apposita sezione del questionario
ai lavoratori dell’audiovisivo e nei focus group, i percorsi formativi seguiti dai soggetti.
Il 72% del nostro campione 31 è in possesso di una Laurea; le donne hanno, in
media, un titolo di studio superiore a quello dei colleghi maschi (è l’80% ad avere
una Laurea, contro il 61% degli uomini).
Ben il 95% dei partecipanti alla ricerca ha svolto attività di formazione ulteriori
rispetto al titolo di studio conseguito. La maggioranza (il 52% del campione) ha
scelto un corso di formazione professionale; il 18% ha seguito un Master
universitario, un altro 16% un Master non universitario. Si noti che un quarto dei
lavoratori interpellati ha accumulato diverse iniziative di specializzazione
post-Laurea o post-diploma, affiancando per esempio (a volte addirittura
contemporaneamente) un Master (evidentemente ritenuto poco professionalizzante)
e un corso professionale (evidentemente ritenuto poco “acculturante” o poco
“spendibile”). È ancora prematuro, vista la recente introduzione della riforma
universitaria, valutare i percorsi formativi tipici di coloro che hanno studiato con
il nuovo ordinamento: per ora, sembra alta nel nostro campione la percentuale di
studenti che alla Laurea triennale hanno fatto seguire un Master universitario (il
20%). Il percorso Laurea + Master era tipico per la maggioranza dei lavoratori
laureati del vecchio ordinamento: lo ha fatto il 47% dei laureati quadriennali del
nostro campione, mentre un ampio 42% ha scelto un corso professionale.
Abbiamo richiesto ai lavoratori, sia in sede di ricerca quantitativa che qualitativa,
di valutare il proprio iter formativo, secondo due parametri: da un lato, nel
questionario abbiamo sondato il livello generale di soddisfazione per il percorso
di studi fatto; dall’altro si è chiesto di valutare in quale misura il percorso di
formazione fosse in linea con l’attuale posizione lavorativa. Sul primo versante,
ben il 77% degli interpellati ha risposto di ritenersi “in buona parte” (63%) o
“pienamente” (14%) soddisfatto degli studi intrapresi, presumibilmente per le
conoscenze acquisite e gli interessi attivati. Più crescono gli anni di lavoro, più la
formazione (o il suo ricordo?) viene valutata positivamente: si ritiene soddisfatto
degli studi realizzati l’86% di chi lavora da 6-10 anni nel settore audiovisivo, ben
l’89% di chi è attivo da più di 10 anni.
Le valutazioni cambiano per il secondo parametro considerato: il 49% dei lavoratori
ritiene gli studi intrapresi “per nulla” o “in minima parte” in linea con la posizione
31
Come già più volte ribadito, il campione di lavoratori che ha partecipato alla nostra ricerca compilando il
questionario on line, non è statisticamente rappresentativo; esso tuttavia, mette in luce alcuni aspetti operativi
che vale la pena commentare.
206
acquisita. Maggiormente insoddisfatti del proprio iter formativo rispetto alla
posizione lavorativa attuale sono gli uomini del campione (si dichiarano tali il 55,8
% degli uomini, contro il 43,6% delle donne), che nutrivano forse maggiori
aspettative di carriera rispetto alle colleghe.
Approfondendo l’argomento in sede di focus group con i lavoratori, il giudizio
sull’offerta formativa e sulla sua efficacia per la posizione lavorativa, si sostanzia di alcuni elementi supplementari. Da un lato, la formazione ricevuta viene ritenuta adeguata dal punto di vista culturale, per l’acquisizione di un vocabolario di
base e di una forma mentis aperta e curiosa:
“Io penso che il segreto di un buon corso sia quello di darti il vocabolario, il codice
per comprendere, per essere in grado di rapportarti, i termini minimi di comunicazione.
Poi tutto sta alla flessibilità, volontà, intelligenza, curiosità di ciascuno”.
(Project manager emittente televisiva, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)
“Il corso non mi ha dato gli strumenti necessari per lavorare. Mi è servito comunque
per entrare, come contatto. Devo dire che di positivo mi ha posto dei punti di
domanda, non mi ha dato delle risposte, perché secondo me non esistono le risposte,
ma mi ha messo nella condizione di chiedermi cose che magari da sola non mi
sarei chiesta. Spesso, se la risposta c’è, la si chiede e la si trova tra i propri
collaboratori, lavorando”.
(Producer casa di produzione, focus group figure produttive, 5/5/2006)
La formazione può contribuire in modo determinante all’acquisizione di un “sapere”
e, al massimo, al miglioramento del “saper essere”, ma ha poco da offrire sul
piano delle competenze, del “saper fare”. I lavoratori intervistati ritengono, per lo
più, che queste si acquisiscano soprattutto attraverso il training on the job:
“La formazione nel mio caso è abbastanza coerente. Mi sono laureata in Scienze
della Comunicazione, ma molto tempo dopo aver iniziato a lavorare, perché ho fatto
un’esperienza lavorativa già dal secondo anno di università. Per cui avrei potuto
benissimo non laurearmi, ma è stato un desiderio mio arrivare fino alla Laurea. (…)
Tutto quello so, dal punto di vista tecnico, l’ho imparato lavorando. Io ho rubato tutto
sul campo. I producer devono essere come delle spugne, dei ladri. (…) Ogni lavoro
ti dà quello che tu vuoi che ti dia”.
(Producer emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)
207
Valutazione lavoratori
per nulla
in minima parte
in buona parte
pienamente
0
10
20
30
40
50
60
70
in linea con la
posizione acquistata
soddisfacente
Se per l’acquisizione di alcune aree di competenza - ad esempio quelle manageriali si ritiene scontato che i corsi di formazione risultino insufficienti, l’acquisizione di
competenze tecniche si scontra spesso, a detta degli intervistati, con le carenze
strutturali e organizzative dei corsi:
“Ho fatto un corso di montaggio della Comunità Europea, in cui non abbiamo fatto
montaggio. C’erano due computer con Premiere e uno con Avid per 16 corsisti… a
metà del corso sono arrivati i programmi, ma su uno dei computer non funzionavano
… alla fine abbiamo fatto solo tre lezioni di montaggio in tutto il corso”.
(Post production manager casa di produzione crossmediale, focus group figure
“crossmediali”, 18/4/2006)
Chi, tra i lavoratori, ha fatto esperienze internazionali, ne sottolinea il divario
rispetto alla qualità formativa media italiana:
“EuroDoc era molto specifico, legato ad un progetto. Orientato a favorire la
coproduzione di documentari in un contesto europeo, basato su un lavoro che si fa
durante il corso, dunque non solo teorico. Ogni partecipante viene da diversi Paesi
europei, appartiene a una casa di produzione, porta un progetto, questo viene
208
esaminato, smontato e rimontato, e poi ha dei referenti per quanto riguarda i
produttori televisivi, che sono poi i decisori. La rete di produttori TV, case di produzione
e colleghi europei coinvolta nel corso era molto efficace. A livello di sbocchi
lavorativi è stato però più utile per i miei colleghi stranieri che per me”.
(Rights Manager distributore audiovisivo, focus group figure commerciali, 3/5/2006)
Gli intervistati sono generalmente disincantati circa la possibilità di una reale
connessione diretta tra formazione e ingresso nel mondo del lavoro; soprattutto
l’efficacia dei Master viene messa in forte dubbio, su questo versante:
“In realtà i Master che ti danno un timbro che ti consente di lavorare sono pochi,
in Italia praticamente non ce ne sono, forse solo la Bocconi, ma più una volta... Il
criterio per valutare un Master non è la qualità della sua didattica, ma la
difficoltà ad entrare. Se si fa un Master per trovare un posto di lavoro bisogna
sceglierne uno dove sia difficile entrare, e in Italia sono pochi. […]
(Account casa di produzione, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)
“Quello che è il titolo di studio non conta assolutamente nulla per il lavoro che vai a fare”.
(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)
Al più, frequentare un corso, soprattutto se prestigioso, può servire per creare una
rete di contatti, spendibili autonomamente nella ricerca di lavoro:
“La funzione dei corsi e dei Master, oltre a quella di dare una formazione, è quella di
creare un networking di gente. È chiaro poi che la formazione che hai on-the-job è
superiore a quello che ti dà un corso. Visto che in questo mondo non ci sono inserzioni di lavoro, il lavoro lo trovi attraverso il network”.
(Sales & Acquisition Manager, casa di produzione di intrattenimento, 3/5/2006)
Un’ultima questione riguarda un elemento di criticità sollevato non solo dalle
aziende, ma anche dagli stessi lavoratori, in merito alle aspettative troppo elevate
che i titoli di studio generano, con la duplice conseguenza di illudere, in partenza,
circa inquadramenti professionali elevati, e di non predisporre alla necessaria
“gavetta”:
209
“Non puoi, uscito da un corso di producer, posizionarti all’interno di un team di lavoro,
neanche come assistente. Devi arrivare dal basso. Puoi fare l’assistente del
coordinator, il segretario di produzione nell’ambito filmico. O, in quello Tv, puoi fare
l’assistente del direttore di produzione, sempre tenendo conto che poi tu hai le basi
per crescere, per diventare producer, per essere ambizioso. Dopo un Master, una
Laurea, se ti vuoi posizionare ad un livello alto sei visto anche quasi male, perché
non hai l’esperienza. (…) devi avere lo spirito di partire dal basso”.
(Produttore casa di produzione audiovisiva, focus group figure produttive,
5/5/2006)
6.5 Linee guida per la progettazione
formativa nell’audiovisivo
Alla luce di quanto emerso nella ricerca, riteniamo utile proporre alcune considerazioni
conclusive, che fungano da linea-guida per un’eventuale progettazione futura di più
efficaci interventi di formazione, soprattutto nel campo - oggi particolarmente parcellizzato e destrutturato - della formazione professionale. A nostro avviso è necessario focalizzare l’attenzione soprattutto su questi aspetti nella fase progettuale:
• Operare una preliminare ricerca sul mercato produttivo, sui generi, sulle mansioni
effettivamente esistenti e richieste dal mercato occupazionale, per evitare un
appiattimento dell’offerta, per esempio sulle caratteristiche dei docenti disponibili
piuttosto che sulle reali domande occupazionali: si eviterà così di offrire contenuti
didattici lontani dalla realtà, risparmiando agli studenti lo shock “post-corso” e le
frustrazioni causate dallo scollamento tra aspirazioni irrealistiche e reale mercato
del lavoro (ad esempio, si eviterebbe l’allevamento di torme di registi disoccupati).
• Cercare la concertazione, la partnership, il coordinamento tra enti formativi e
istituzioni locali, sindacati di settore, aziende e soprattutto associazioni di categoria 32
nella progettazione dell’offerta, sia a livello di individuazione delle figure professionali
in uscita (che abbiano possibilità di occupazione), sia a livello di professionisti
da coinvolgere come docenti e testimoni, sia per il placement, evitando che
questo sia vissuto dalle aziende come risultato di una collocazione casuale e in
32
Per un censimento delle possibili attività di collaborazione tra mondo dell’impresa e mondo della formazione
cfr. ad esempio “Università e impresa: 100 idee per lavorare insieme”, Confindustria.
210
extremis dello studente; le aziende dovrebbero anzi essere coinvolte fin dalla
fase iniziale di progettazione del corso.
• Creare una strategia di alleanze tra enti formativi, come auspicano i Presidi di
facoltà interpellati recentemente dal Censis. Le alleanze tra atenei, ad esempio,
possono sviluppare congiuntamente un’offerta didattica adeguata e potenziare
l’eccellenza nella ricerca: ciò “servirebbe anche a ridurre l’eccessiva eterogeneità
dei profili formativi prodotta dall’autonoma programmazione degli atenei,
che rende disagevole per lo studente individuare i veri contenuti didattici e i
profili professionali dei diversi corsi di Laurea all’interno di una medesima classe”
(Censis 2005).
• Promuovere corsi e approcci interdisciplinari, che formino figure multicompententi
sempre più necessarie al mercato audiovisivo. Rilevanti, per esempio, le esperienze
dei corsi di Laurea interfacoltà, che completano iter di studi umanistici
(di approccio artistico, semiotico o sociologico) con apporti dall’area dell’Economia
o della Giurisprudenza.
• Potenziare la formazione continua per la specializzazione e la riqualificazione dei
lavoratori; azioni di formazione permanente dovrebbero essere strutturate su per
corsi modulari, molto flessibili, individualizzati e possibilmente negoziati con i
soggetti in formazione. Sul modello di esperimenti già realizzati in diversi contesti
professionali, sarebbe auspicabile, per esempio, costruire agili percorsi di
formazione in modalità blended, che alternino le cinque aule tipiche dell’e-learning:
lezioni in presenza, lezioni a distanza, corsi on line, gruppi di lavoro virtuali e
community (Ardizzone, Rivoltella 2003).
• Porre grande attenzione ai requisiti di selezione dei partecipanti, i corsi dovrebbero
tendere alla selettività dei criteri di ammissione, rendendo il processo
di ammissione più in linea possibile con i requisiti delle aziende (ad esempio in
termini di età non elevata, predisposizione al ruolo, ecc). I corsi con finanziamenti
pubblici dovrebbero tuttavia tendere a riequilibrare questi criteri in una logica
“welfare” (ad esempio dando chances di riqualificazione a persone non di giovanissima
età, di lunga disoccupazione, con percorsi formativi spesso incompleti...).
• Evitare un approccio all’audiovisivo obsoleto e lontano dalle aziende, incentrato sul
concetto di Opera e non di Impresa (Marcotulli 2002).
211
• Alternare moduli propedeutici a moduli di specializzazione formativa: ad esempio,
dopo una parte comune propedeutica di insegnamenti generali, si dovrebbe indivi
duare un modulo di specializzazione in un ambito preciso, sia in termini di ruolo
professionale che di genere produttivo (ad esempio “producer di documentari”
piuttosto che di fiction; sceneggiatori di cinema e breve serialità piuttosto che di
lunga serialità; registi di spot pubblicitari piuttosto che di programmi televisivi); si
eviterà così la genericità di proposte poco professionalizzanti.
• Privilegiare contenuti didattici (e quindi docenti) in grado di affiancare lo studio di
esperienze e di casi concreti con un sufficiente grado di astrazione teorica.
Da evitare, quindi, docenti eccessivamente accademici e lontani dalla prassi, ma
anche professionisti che appiattiscano i contenuti didattici solo sul piano
dell’aneddoto, senza alcuno spessore di concettualizzazione.
• Dare maggiore centralità, rispetto al sistema attuale, allo stage come esperienza
didattica rilevante e come opportunità di ingresso nel mondo del lavoro (cfr. cap. 7).
Ciò implica anche un’attenzione al tutoring degli studenti durante e dopo lo stage,
con percorsi ad hoc volti alla rielaborazione e alla valutazione dell’esperienza. Lo
stage non dovrebbe rimanere un’esperienza completamente sganciata dalla fase
d’aula, ma integrata con essa, anche grazie ad una fase di ritorno in aula
post-stage, che consenta di riflettere sull’esperienza e di astrarre considerazioni di
sfondo. La fase di feedback post-stage permetterebbe inoltre di confrontare le
esperienze fatte dai singoli allievi nelle realtà di inserimento, componendo un
quadro più completo della realtà occupazionale di settore.
• Incentivare, nelle attività d’aula, l’utilizzo di strategie didattiche attive, centrate
sullo studente e sulla costruzione del sapere, includendo per esempio elaborazioni
di progetti, simulazioni, case histories, laboratori, in ogni caso strutturati e guidati
da tutor e mentor.
• Monitorare sistematicamente la ricaduta occupazionale dei corsi, sia nella
percentuale di inserimento lavorativo dei corsisti, sia nei tempi di inserimento, sia
a livello di coerenza tra percorso didattico e inserimento, dando trasparenza ai dati
relativi, e comunicandoli regolarmente all’esterno.
• Incentivare le reti di comunicazione (anche informali) tra corsisti, ex studenti,
eventualmente professionisti dell’audiovisivo, attivando community on line,
212
convegni, workshop, associazioni di ex studenti, e favorendo occasioni di scambio
e confronto professionale.
• Favorire, infine, un’ottica internazionale della formazione, attraverso un sistema di
scambi e di cooperazione con paesi stranieri, sul modello del Programma Media,
oggetto del nostro Focus.
213
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La formazione europea per l’audiovisivo:
il Programma Media. EURODOC e EAVE
Il Programma Media (Mesures pour Encourager le Développement de l’Industrie
Audiovisuelle) è un programma comunitario di sostegno all’industria
dell’audiovisivo, nato nel 1990 e rinnovato con cadenza quinquennale. Nel periodo
2001-2005 (poi prorogato a tutto il 2006), il programma è stato rifinanziato con
la denominazione Media-PLUS: con un budget di 400 milioni di euro - un incremento del 30% rispetto al precedente Programma MEDIA II (1996-2000) - ha cercato di
rafforzare la competitività dell’industria audiovisiva europea intervenendo sia “a
monte” sia “a valle” della produzione, attraverso tre linee progettuali:
• il co-finanziamento della formazione continua dei professionisti (Media PLUS
Formazione);
• lo sviluppo di progetti di produzione (lungometraggi di fiction, documentari di
creazione, animazione e multimedia);
• la distribuzione e la promozione delle opere (Media PLUS Sviluppo, distribuzione
e Promozione).
MEDIA Plus Formazione, in particolare, è fondato sulla Decisione 163/2001/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 gennaio 2001, e interviene
apportando un contributo finanziario agli organismi di formazione professionali che
organizzano corsi di ampio respiro europeo per professionisti dell’audiovisivo in una
delle seguenti aree:
• gestione d’impresa (aspetti commerciali e legali);
• tecniche di scrittura lineare e interattiva;
• uso delle nuove tecnologie (computer grafica, multimediale).
Media Plus ha investito, nel periodo, 2001-2005, 50 milioni di Euro per offrire ai produttori, agli sceneggiatori e ai distributori una formazione adeguata, in grado di anticipare le evoluzioni del mercato internazionale e di sfruttare le nuove potenzialità
delle tecnologie digitali.
Nei programmi di formazione professionale del Programma Media il management
ha relazioni strette con i settori più importanti dell’industria audiovisiva europea, i
docenti e gli esperti provengono almeno da 6/7 Paesi differenti, i partecipanti che
214
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provengono dal Paese organizzatore devono essere meno del 50%
dell’aula.
Tra l’ampia gamma di corsi finanziati dal Programma Media ne citiamo due a titolo esemplificativo, scegliendoli dall’area professionale della gestione dei contenuti. Il
primo che citiamo è Eurodoc Production, destinato annualmente a 30 tra
commissioning executives e produttori indipendenti (con un progetto di documentario che abbia buone potenzialità di circolazione internazionale), e a 5 registi. Il corso si
articola in tre sessioni di workshop itineranti (nell’edizione 2006 le lezioni si svolgono a Bordeaux, Praga e Lisbona), ciascuna della durata di 5 o 6 giorni; l’iscrizione
attualmente costa 2.250 Euro per produttori e commissioning executives; 1.600
Euro per registi.
Gli obiettivi del corso sono:
• migliorare il livello di sviluppo di documentari di ambizione internazionale;
• migliorare il finanziamento dei progetti e la loro gestione economica;
• preparare i professionisti del documentario all’evoluzione delle tecnologie nei
settori dello sviluppo, della produzione e della distribuzione;
• creare una rete di scambio tra i produttori indipendenti e i partner europei del
settore.
EAVE (acronimo di Entepreneurs de l’AudioVisuel Européen) è, invece, la più “anziana”
tra le iniziative inserite nel Programma Media.
Nato nel 1988 dall’idea del direttore programmi ZDF Eckart Stein e del direttore
della scuola nazionale di cinema belga, Raymond Ravar, EAVE è un corso internazionale per produttori audiovisivi.
Dura un anno ed è strutturato in sessioni intensive e residenziali, che si svolgono
ogni volta in un diverso Paese membro dell’Unione; il collegamento tra le sessioni
è assicurato da interventi di formazione a distanza.
Nel 2005 il network paneuropeo di EAVE era costituito da 800 ex corsisti; i
partecipanti ad ogni edizione sono al massimo 50, suddivisi in 5 gruppi.
215
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Il corso consiste nella verifica di fattibilità economica, pratica e
temporale dei progetti audiovisivi che gli studenti presentano, ed è
strutturato in tre step:
• la fase di Development, ovvero di formalizzazione del soggetto e del
trattamento del progetto;
• la fase di Packaging, ovvero di preproduzione (che consiste nella ricerca di
partners, revisione della sceneggiatura, casting);
• la fase di Finance & Distribution (ovvero ricerca di finanziamenti e organizzazione
di attività di marketing).
I team leader di ogni gruppo sono professionisti del settore che fungono da
coordinatori didattici in aula e da tutor nella formazione a distanza.
Le finalità generali del corso sono quelle di superare le frontiere produttive nazionali,
favorire i contatti (il networking), concepire coproduzioni. Ogni progetto presentato
viene incoraggiato nella sua immissione sul mercato (il book dei progetti viene inviato
a un centinaio di decision makers), ma il focus del corso non è il progetto, è piuttosto
la personalità stessa del produttore, e la sua politica di gestione dell’ impresa.
Inoltre, l’obiettivo formativo è quello di creare relazioni tra i partecipanti dei vari Paesi, non solo
come potenziali coproduttori, ma anche
come possibili punti di riferimento nei
mercati.
216
07
ORIENTAMENTO
E PLACEMENT
di Alessandra Alessandri
con Francesca Borghi
In questa sede, dopo una chiarificazione sui termini Orientamento, Placement e
Recruiting e sulle rispettive attività e finalità, sono censite le strutture che sul territorio agevolano l’inserimento lavorativo, principalmente con lo strumento dello stage.
Il censimento degli uffici orientamento/placement delle Università lombarde e dei
Centri di orientamento è finalizzato ad una prima ricognizione sul rapporto con il
mondo audiovisivo, e in particolare, sulla sua difficoltà a far ricorso a enti di questo tipo.
Lo stage è indagato sia nella composizione della forza lavoro dichiarata, sia nella
valutazione che ne danno aziende e lavoratori.
Le linee guida finali, indirizzate sia agli enti di formazione e orientamento, sia alle
aziende che ai lavoratori stessi, promuovono un uso corretto dello strumento
stage nel settore audiovisivo.
Il Focus è incentrato su un benchmark interessante di centro di orientamento universitario, quello di UCLA.
217
7.1 Definizione e ambiti
L’interesse per la tematica dell’orientamento si inserisce in un mercato del lavoro
in continua evoluzione, che impone al singolo di adattarsi a sempre nuovi ruoli
lavorativi. L’orientamento assume importanza negli ultimi anni come strumento di
supporto trasversale all’individuo, in una società caratterizzata da cambiamenti
sociali, organizzativi ed economici; cresce la consapevolezza del suo forte impatto
nelle dinamiche formative e professionali della persona.
All’interno della nostra ricerca, si inserisce così l’analisi delle strutture di orientamento
e placement presenti sul territorio lombardo.
Anzitutto è importante distinguere tra “Orientamento”, “Placement”, e
“Recruiting”. “Orientamento”, nella sua accezione più ampia, comprende “l’insieme
delle attività volte ad assicurare alle persone la conoscenza di tutte le alternative
per loro disponibili nei settori dell’educazione, della formazione, delle professioni, e
ad aiutarle a costruire percorsi pienamente soddisfacenti in ambito formativo e
professionale” (Isfol 2003). Si può articolare in attività di “informazione orientativa”,
“consulenza orientativa” e in “attività di orientamento formativo” 1, e tra “orientamento
personale” (legato ai diversi ambiti di sviluppo e crescita della persona), e “orientamento
scolastico-professionale” (riferito più specificatamente ai processi di scelta e
decisione legati all’area formativa/lavorativa). (Capone, in Isfol 2003).
In ambito universitario, in particolare, è fondamentale distinguere diversi momenti
della vita dello studente che implicano l’attivazione di risorse e strumenti peculiari per
affrontare problematiche legate alla carriera universitaria e professionale 2:
l’orientamento post-universitario prevede l’erogazione di informazioni su borse di
studio e corsi post-Laurea, possibilità di inserimento lavorativo, opportunità di
stage ed esperienze dirette in vari settori produttivi anche prima del conseguimento
della Laurea. Il nostro oggetto di interesse è incentrato sulle attività di
orientamento formativo post-universitario o, comunque, post-corso.
Un servizio concreto offerto dalle strutture che si occupano di orientamento postuniversitario, oltre a quelli di “informazione, consulenza e accompagnamento”, è
quindi quello di “placement”, un servizio, cioè, di segnalazione di offerte di lavoro,
grazie ad un rapporto quotidiano, costante e sistematico con le realtà
occupazionali/aziendali presenti sul territorio. Più che un’offerta concreta di lavoro
1
2
Definizioni di Leonardo Evangelista tratte da www.orientamento.it.
Si distingue solitamente tra orientamento pre-universitario, che riguarda il passaggio dalla scuola secondaria
superiore all’Università, orientamento infra-universitario, legato alla vita universitaria e ai problemi di studio che
lo studente può incontrare durante il suo iter scolastico, e orientamento post-universitario, al centro del nostro
interesse.
218
- come la parola potrebbe erroneamente far pensare - con il termine “Placement”
si indicano tutti quegli interventi di orientamento riguardanti le problematiche di
inserimento professionale di neolaureati o comunque di soggetti che abbiano appena concluso un iter formativo. (D’Alessio, Bolognesi in Isfol 2003).
Il servizio di placement è spesso garantito, infatti, dagli enti che organizzano corsi
professionali o Master, e si propone di assicurare un collegamento tra il mondo
aziendale e il percorso formativo del soggetto. Le attività di orientamento e placement
si muovono in parallelo, in particolare nelle realtà scolastiche e universitarie: attraverso l’attività d’aula e i colloqui individuali, infatti, ogni allievo viene supportato
nella individuazione delle proprie capacità e potenzialità professionali.
Il risultato di queste attività, legate allo sviluppo delle competenze personali,
fornisce una base per formulare un proprio piano di carriera e affrontare con
maturità e consapevolezza i colloqui di inserimento lavorativo.
Grazie al placement le aziende incontrano e selezionano i candidati in base alle
loro esigenze, e i candidati valutano l’offerta più coerente con le loro caratteristiche
e aspirazioni personali.
Nella nostra ricerca abbiamo scelto di identificare il placement con lo strumento
più utilizzato nell’orientamento post-corso, lo stage, distinguendolo dal “Recruitment”
inteso come attività svolta dalle società di ricerca e selezione del personale per
l’incontro tra domanda e offerta di lavoro retribuito vero e proprio.
7.2 La ricerca: i servizi di placement e
l’audiovisivo
All’interno della nostra ricerca sono state censite ed analizzate (cfr. censimento
Orientamento e Placement in appendice):
• le strutture di orientamento e placement presenti all’interno delle Università
lombarde (che, lo ricordiamo, hanno tutte un’offerta formativa più o meno
direttamente riconducibile all’audiovisivo come possibile sbocco occupazionale);
• le strutture di orientamento regionali censite da Assolombarda 3.
3
Altre realtà per certi versi attigue sono gli Informagiovani (228 in Lombardia), con una distribuzione capillare sul
territorio. I Centri per l’impiego provinciali (in Lombardia 68), che svolgono anche attività di orientamento, sono
state invece considerate, per la loro mission prevalente, come strutture di recruiting. (cfr. capitolo seguente).
219
Le Università hanno, tra gli altri compiti, quello di facilitare la transizione dei
propri studenti dallo studio all’occupazione, attraverso la creazione di appositi
uffici per informare sulle possibilità lavorative esistenti: gli uffici di placement.
Queste strutture danno la possibilità di consultare banche dati sui corsi di
specializzazione, perfezionamento e Master, forniscono dati aggiornati sulle varie
possibilità di carriera in settori specifici, informano su seminari riguardanti le
strategie per accedere al mercato del lavoro, attivano stage o informano circa la
richiesta di stagisti, allo scopo di favorire l’incontro tra domanda e offerta.
220
I Centri per l’orientamento 4 sono invece strutture pubbliche presenti sul territorio
specializzate nel settore formazione e lavoro, e in particolare nell’ambito
dell’orientamento e del tirocinio formativo, che offrono servizi gratuiti di
consulenza ai cittadini, offrendo la possibilità di sviluppare e valorizzare le proprie
capacità, aumentando le probabilità di successo in campo lavorativo.
Alle 21 strutture esistenti in Lombardia è stato somministrato un questionario
anonimo on line, a cui hanno risposto 11 uffici stage/placement universitari e 6
centri per l’orientamento. Nonostante l’esiguità dell’universo abbiamo comunque
ritenuto utile e interessante analizzare i dati, confortati dall’elevata redemption delle
risposte e dall’interesse dei risultati emersi.
Più della metà degli enti rispondenti (53%), in particolare 4 Università, che citano
i Media tra i loro sbocchi occupazionali, non hanno mai organizzato stage in aziende audiovisive. Le aziende audiovisive costituiscono, per la maggior parte dei pochi
enti che se ne sono occupati, meno del 10% dei loro contatti complessivi: perlopiù si tratta di piccole case di produzione. La scelta dell’audiovisivo come canale di placement coincide in 3 casi su 4 con una richiesta formulata dall’azienda
stessa, secondariamente con una richiesta degli studenti stessi. Si tratta quindi
di un placement “passivo” e non “proattivo” da parte delle strutture preposte:
d’altro canto le aziende stesse del settore non sembrano rivolgersi loro in maniera strutturata, pianificata e costante, ma piuttosto seguendo le esigenze produttive del momento.
Il servizio più utilizzato (33% dei casi) è quello della pubblicazione delle offerte di
stage delle aziende nei siti (nelle Università, spesso si tratta di “bacheche” ad
accesso riservato agli studenti); meno frequente il ricorso agli altri strumenti di
orientamento: l’assistenza alla compilazione dei curricula di utenti/studenti (20%
dei casi); l’organizzazione di incontri di presentazione delle aziende (15%);
l’organizzazione di colloqui orientativi (15%).
Il nostro questionario prevedeva, poi, l’individuazione degli ambiti lavorativi maggiormente richiesti dalle aziende dell’audiovisivo: metà degli stage proposti si riferiscono all’area artistica/editoriale (es”. giornalista”, “redattore di servizi filmati”,
“collaboratore alla redazione”, “partecipazione alle fasi organizzative”…), e un
quarto all’area organizzativa (ad es. “addetto di produzione”, “collaborazione alla
produzione”). Sono statisticamente ininfluenti le citazioni riguardanti l’area
tecnica: un dato, questo, che sta ad indicare, anzitutto, come la formazione in
ambito universitario non preveda connotazioni tecnico-pratiche, e come
4
Tra i centri per l’orientamento citiamo ad esempio “4 Stars”, che gestisce dal 2000 anche Sportello Stage
Lombardia.
221
l’inserimento lavorativo di queste figure avvenga attraverso altri canali.
Infine, le criticità individuate dagli enti di orientamento rispondenti riguardano,
nell’ordine:
• la mancanza di abitudine delle aziende audiovisive a ricorrere a organizzazioni
di placement/orientamento;
• la difficoltà delle stesse a fornire profili dettagliati e skill specifici;
• la difficoltà di seguire le tempistiche strette imposte dalle aziende (“spesso
le aziende hanno il bisogno immediato di una figura professionale e manca
il tempo di svolgere un lavoro di analisi delle competenze specifiche preciso” 5).
Viceversa, le aziende rimproverano le Università di non attivarsi:
“Attingiamo molto più frequentemente dai corsi professionali FSE che non dalle
Università: i primi ti vengono a cercare per proporti stage, i secondi no... È nella
cura dello stage che si valuta la professionalità di chi gestisce i corsi: la forza di un
corso veramente professionalizzante è quella di avere relazioni che un singolo
individuo non potrebbe avere”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervista
personale 24/2/2006)
7.3 Lo stage: la percezione di aziende
e lavoratori
Lo stage, o “tirocinio formativo” 6, è il periodo di formazione presso un’azienda o
un ente privato o pubblico, in cui il singolo soggetto al termine dei suoi studi può
sperimentare sul campo le conoscenze teoriche acquisite in aula; rappresenta,
all’interno della nostra ricerca, la modalità di inserimento lavorativo iniziale più
utilizzata, ricercata e nello stesso tempo discussa.
5
6
Precisazione di un ufficio stage universitario rispondente al questionario.
A livello ufficiale si distingue tra “stage”, che indicherebbe più propriamente un periodo di formazione volontaria
svolto in ambito lavorativo all’esterno delle Università, e “tirocinio”, “occasione formativa obbligatoria prevista
dal Corso di Laurea. Nella prassi i due termini sono diventati sinonimi e il confine tra volontarietà e
obbligatorietà è più sfumato.
222
Gli stage sono regolamentati dal Decreto Ministeriale 25 marzo 1998 n°142 7,
che prevede siano promossi da specifiche tipologie di enti, in grado di guidarne il
processo di sviluppo e garantirne il buon funzionamento, come appunto gli enti
formativi e i centri di orientamento.
Tornando ai 171 corsi con indirizzi più o meno direttamente riconducibili all’audiovisivo,
da noi censiti, è emerso che il 44% di essi utilizza come modalità didattica lo
stage: nelle Università, in particolare, il tirocinio è presente nella quasi totalità
delle Lauree triennali, delle Lauree specialistiche e dei Master universitari, mentre
soltanto il 45% delle scuole professionali, il 41% dei Master non universitari e il
21% dei corsi professionali citano lo stage come attività formativa facente parte
integrante del corso.
Tra i lavoratori rispondenti al nostro questionario, il 46% afferma di aver iniziato a
lavorare nell’ambiente audiovisivo con uno stage non retribuito, mentre il 32% ha
svolto uno stage che prevedeva un rimborso spese (mentre il 5% ha avuto un
contratto di apprendistato). Otto lavoratori su dieci si sono quindi inseriti nel
mondo del lavoro grazie ad uno o più stage, obbligatorio o volontario, gratuito o meno.
“Si chiede di entrare con uno stage non retribuito di 6 mesi, poi una fase con una
borsa di studio tra i 6 o 9 mesi; dopodichè se sei piaciuto nello stage inizia un
rapporto di lavoro a tempo determinato”.
(Redattore editore new media, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)
Le aziende del nostro campione affermano che gli stagisti rappresentano il 5% del
loro organico: un dato che appare sottostimato, soprattutto da parte dei produttori,
sia perché le aziende stesse individuano nella pratica del tirocinio formativo una
risorsa notevole per il loro sviluppo produttivo, sia per la già citata numerosità dei
lavoratori che dichiarano di averlo svolto. Le dichiarazioni potrebbero essere inferiori alla realtà perché il numero di stagisti che ogni azienda può inserire in
organico è regolato da disposizioni di legge che prevedono limitazioni numeriche
ben precise:
• un’azienda con un numero di dipendenti a tempo indeterminato inferiore a 5
può avere solo uno stagista;
7
Il Decreto chiarisce gli ambiti e le modalità di applicazione della legge 196 del 24 giugno 1997, art.18, dove si
parla di tirocini formativi e di orientamento. Per tutti gli aspetti normativi relativi allo stage De Michelis-Bagnato
2000.
223
• una struttura con un numero di dipendenti tra 6 e 19 può averne due;
• se l’azienda ha più di 20 dipendenti, il numero degli stagisti può variare in
rapporto a quello dei dipendenti, fino al 10% massimo 8.
Inoltre, l’azienda deve indicare, nel progetto formativo di ogni stage, il nominativo
di un tutor interno che ne sia il responsabile didattico-organizzativo. La normativa
nasce dall’esigenza di garantire che lo strumento non venga snaturato: inserire
troppi stagisti in contemporanea non consentirebbe infatti alle aziende di seguirli in
modo adeguato. Certo, parametrare questi vincoli, pur legittimi, al numero dei
dipendenti a tempo indeterminato risulta probabilmente inadeguato nel nostro
settore, vista la tipologia della composizione degli addetti nelle aziende e nelle
redazioni televisive.
“L’elemento fondamentale del nostro processo di localizzazione è stata la formazione
professionale “sul campo”. A tale proposito, dobbiamo dire che un forte impulso è
stato dato dall’amministrazione provinciale che, derogando da quanto previsto dalla
legge nazionale in materia di tirocini formativi, ha permesso di svincolare il numero
dei tirocinanti acquisibili in azienda dalla percentuale dei lavoratori assunti a tempo
indeterminato.
È utile precisare che la particolarità del settore dello spettacolo ha imposto, quasi
naturalmente, il contratto a termine come unica via economicamente percorribile.
Con la legge attuale, sicuramente poco flessibile e inidonea per il nostro mondo
lavorativo, non avremmo potuto avere alcuno stagista al nostro interno”.
(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)
Un altro dato interessante emerso dalla nostra ricerca riguarda la durata dello
stage. Una durata minima non è prevista per legge: la durata va solo indicata nel
progetto formativo. Spesso però gli stage hanno una durata limitata, dalle 150
alle 300 ore: se questa durata può avere un senso per una matricola universitaria
che ha il solo obiettivo di raggiungere una maggiore consapevolezza dei processi
lavorativi, in una fase successiva di inserimento lavorativo appare insufficiente.
Questo sia per lo studente (per un reale apprendimento di conoscenze e abilità,
e per fargli comprendere le sue effettive capacità e propensioni), sia per le aziende
che vogliano “testare” un nuovo ipotetico collaboratore.
8
Queste limitazioni numeriche non sono estese ai corsi FSE, che “non rientrano nel campo di applicazione del
D.M. 25/3/98 n° 142, recante norme sui tirocini formativi… dal momento che lo stage, in ambito corsuale,
costituisce semplicemente un modulo, peraltro di durata assai limitata, di un più articolato percorso formativo
volto a sperimentare una fase di alternanza tra teoria e pratica”. (cfr. circolare n° 52/99 dell’Ufficio Centrale
per l’Orientamento e la Formazione professionale dei lavoratori).
224
“Io ho avuto una stagista l’anno scorso. Una ragazza volenterosa, che non aveva
mai assistito ad un montaggio. È stata qui pochissimo, un numero di ore secondo me
ridicolo. In queste condizioni preferisco non prendere stagisti, non mi sembra serio
accettarli. Non mi sembra che sia formativo”.
(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)
La durata massima è invece indicata con precisione dal Decreto Legge del 1998,
e va dai 4 mesi ai 24 a seconda del destinatario e dalla tipologia di corso 9.
Alla domanda su quanto tempo avessero lavorato senza retribuzione, il 56% dei
lavoratori rispondenti ha indicato un periodo pari o inferiore ai 3 mesi; il 30% un
periodo compreso tra i 3 e i 6 mesi; infine il 10% tra i 6 e i 12 mesi; addirittura, il
4% oltre i 12 mesi.
Queste percentuali fotografano una realtà significativa: anzitutto, lo stage
rappresenta senza dubbio la prima modalità di “ingresso” nel mondo del lavoro
per la maggior parte dei lavoratori intervistati; in secondo luogo, da questi dati
possiamo ipotizzare che spesso la pratica dello stage non si esaurisca in una
singola esperienza, visto che per il 14% dei rispondenti esso è durato più di 6
mesi.
La durata dello stage dovrebbe essere in realtà congruente, da un lato, con
un’effettiva possibilità di apprendimento, e quindi avere una durata minima
comunque significativa (non inferiore ai tre mesi, suggeriremmo); d’altro canto
non sembrano essere giustificati periodi più lunghi del semestre, soprattutto in
assenza di un rimborso spese, né prolungamenti di stage oltre il periodo
inizialmente concordato. Certo molto dipende dall’effettivo affiancamento che il
tutor aziendale compie sul tirocinante:
“Gli stage all’interno di MTV Italia hanno mediamente una durata di sei mesi,
all’interno dei quali le risorse hanno il tempo e gli strumenti per maturare una
formazione di base rispetto alla professione di riferimento”.
(Cristina Lippi, Responsabile Risorse Umane MTV Italia, intervista, 30/3/2006)
9
“I tirocini formativi e di orientamento hanno durata massima non superiore a quattro mesi nel caso in cui i
soggetti beneficiari siano studenti che frequentano la scuola secondaria; non superiore ai sei mesi nel caso in
cui i soggetti beneficiari siano lavoratori, inoccupati o occupati o disoccupati ivi compresi quelli iscritti alle liste
di mobilità, o siano allievi degli istituti professionali di Stato, di corsi di formazione professionale, studenti
frequentanti attività formative post-diploma o post-Laurea; non superiore a dodici mesi per gli studenti
universitari, compresi coloro che frequentano corsi di diploma universitario, dottorati di ricerca e scuole o corsi
di perfezionamento e specializzazione nonché di scuole o corsi di perfezionamento e specializzazione
post-secondari anche non universitari, o nel caso siano persone svantaggiate; non superiore a ventiquattro mesi
nel caso di soggetti portatori di handicap”. (cfr. De Michelis - Bagnato 2000)
225
Lo stage sembra complessivamente, essere prassi ormai consolidata per far incontrare domanda e offerta, vista anche dai lavoratori stessi come importante completamento del percorso formativo:
“Sicuramente bisogna fare un’esperienza di lavoro prima di laurearsi. Basterebbero
un paio di stage d’estate in cui si parte a fare le fotocopie e poi si diventa operativi.
Bisogna lavorare il prima possibile, solo così si impara ad essere operativi”.
(Account casa di produzione crossmedia, focus group figure “crossmediali”,
18/4/2006)
Certo talvolta appare anche come un abusato (e talvolta inflazionato, dato l’alto
numero di aspiranti stagisti) strumento di sfruttamento dei giovani lavoratori,
utilizzato strutturalmente per abbattere i costi di produzione e per rispondere a
bisogni concreti e contingenti legati ad un particolare momento produttivo, più
che con l’intento di formare persone “competenti e autonome”:
“L’azienda in cui lavoro riesce a tenersi in vita grazie al turnover di stagisti”.
(Redattore editore new media, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)
“Le aziende spesso fanno fare degli stage in mansioni non in linea con il profilo
formativo degli stagisti, che sono spesso sottoutilizzati o ‘sfruttati’ in mansioni poco
qualificanti”.
(Project leader, questionario lavoratori)
La nostra ipotesi è che in grandi aziende molto strutturate (ad esempio i grandi
editori) il rischio sia quello dello stage “caffè e fotocopie”, cioè di pura osservazione
passiva del lavoro altrui, mentre nei piccoli produttori il rischio diventi quello di un
indebito sfruttamento intensivo, determinato dall’incertezza strutturale con cui
queste aziende operano e con cui fanno fronte a picchi di lavoro non pianificabili.
Il settore appare complessivamente come atipico e difficilmente iscrivibile
all’interno di strutture programmate e istituzionalizzate, sia per la scarsa capacità
delle aziende di formulare esigenze pianificate, sia per una scarsa conoscenza
specifica dei ruoli e delle esigenze del settore da parte delle strutture di placement.
I risultati del nostro questionario consentono di ipotizzare che le dinamiche di
domanda-offerta nel nostro settore si sviluppino al di fuori delle strutture preposte, sia universitario che extra-universitario.
226
7.4 Linee guida per le attività di
placement
Alla luce dei dati emersi dalla ricerca, si possono individuare alcune linee guida
per la formulazione di un modello organizzativo degli stage come strumento formativo e di placement di riferimento, utile sia ai Centri di formazione e di orientamento, sia alle aziende, sia ai tirocinanti.
• Per gli studenti e per le scuole: considerare un periodo di stage gratuito come
indispensabile prolungamento del proprio percorso formativo, di autentica
sperimentazione delle dinamiche produttive autentiche di un’azienda, non
equipollenta (e quindi non sostituibile da) workshop con esperti del settore o
con laboratori “pratici” (spesso di nome ma non di fatto, dati i problemi di
strumentazione tecnica delle scuole e delle Università, e data la difficoltà di
articolare project work realmente fattuali). Il “learning by doing” è infatti
universalmente considerato da tutti gli operatori come “la” strategia didattica
professionalizzante per eccellenza.
• Appare necessario per i centri di formazione e orientamento un aggiornamento
continuo che permetta di conoscere un settore mobile e complesso come
quello dell’audiovisivo. Solo conoscendo le aziende, i processi e i ruoli
produttivi e i profili professionali può diventare possibile svolgere un’attività
mirata di placement, rispondendo quindi in maniera puntuale ed efficace alla
domanda dell’azienda, e anzi anticipandola.
• Altrettanto fondamentale, per i centri di formazione e orientamento, è
stabilire una rete continuativa di relazioni con le imprese, non legata al
bisogno contingente delle scuole di “piazzare” gli stagisti al termine del
corso o a quello delle aziende di avere forza lavoro gratuita nei periodi di
picchi lavorativi.
• Dal punto di vista didattico, evitare, da parte delle scuole, che il tirocinio sia
completamente slegato dalla fase d’aula, e che anzi rimangano irrisolte alcune
inevitabili contraddizioni tra i contenuti didattici e la prassi operativa, tra “teoria”
e “pratica”. Un periodo d’aula post-stage sarebbe utile, come già accennato
nel capitolo precedente, sia come feedback dell’affidabilità dell’azienda
ospitante nella sua capacità di seguire il tirocinante e assicurargli un percorso
didattico, sia come patrimonio di informazioni e conoscenze sulla realtà del
mercato, da condividere tra tutti gli studenti compagni del tirocinante.
227
• Assicurare al tirocinante, da parte degli enti di orientamento/placement, un
doppio tutoring: da parte dell’ente stesso, e da parte dell’azienda ospitante.
L’ente dovrebbe anzi verificare che l’attività del tutor d’azienda sia effettiva
e costante e che il percorso ipotizzato in sede di stipula del progetto
formativo sia mantenuto durante tutta la sua durata.
• Calibrare la durata dello stage affinchè sia né troppo breve né troppo lungo,
sulla base di una doppia esigenza: dare al tirocinante il tempo di inserirsi
realmente in una realtà lavorativa, di mettere in gioco le competenze
acquisite durante le ore “di aula”, e di uscire con una professionalità ben
definita, evitando però di prolungare indefinitamente e in modo fraudolento
questo periodo di “limbo” tra formazione e inserimento lavorativo.
• Per gli enti di placement e le aziende: assicurare il rispetto di un corretto
rapporto numerico tra numero di stagisti inseriti in una azienda e l’effettiva
possibilità di affiancamento; il rapporto numerico, più che basarsi sul numero
degli impiegati a tempo indeterminato, dovrebbe essere, ad esempio,
basato sul numero di produzioni e dei relativi referenti produttivi.
• Esplicitare nel progetto formativo dello stage i suoi obiettivi e le attività del
tirocinante, in modo che sia l’azienda che il candidato siano consapevoli fin
dall’inizio di quale sarà il percorso formativo: questo consentirà, da un lato,
di non creare aspettative eccessive in un tirocinante impaziente di salire i
gradini della gerarchia aziendale, dall’altro di evitare sottoutilizzi squalificanti o
completamente al di fuori del percorso didattico del corso, da parte delle
aziende. Il progetto formativo dovrà essere sufficientemente flessibile da
consentire di enfatizzare in corso d’opera le attività più idonee alle
caratteristiche del tirocinante e alle esigenze aziendali, ma non potrà essere
stravolto. Nel concordare il contenuto del progetto formativo, dovranno
conciliarsi la flessibilità, da parte del tirocinante, nell’adattarsi anche a ruoli
che gli parranno non del tutto in linea con la propria formazione e sensibilità,
e la responsabilità da parte dell’azienda di offrire stage realmente formativi,
evitando mansioni del tutto distanti dal percorso di studi, ruoli di scarso
prestigio in cui ci sia poca offerta di lavoro, e che soprattutto non diano alcuna
possibilità di apprendimento.
• Per le scuole, gli enti di placement, le aziende e i tirocinanti: privilegiare
progetti formativi che offrano la possibilità di una job rotation (almeno iniziale)
228
tra vari reparti aziendali e/o varie mansioni (ad esempio una settimana nel
reparto costumi, una nel reparto scenografia, una nel reparto regia, una in
produzione), in modo che il tirocinante possa comprendere appieno tutto il
processo produttivo e possa avere gli elementi per individuare la professione
più in linea con le sue capacità e propensioni, e che l’azienda abbia modo di
valutarlo in varie situazioni di inserimento. La job rotation rimarrà per il
tirocinante inserito in azienda un’occasione preziosa di comprendere il punto
di vista delle altre figure coinvolte nel processo, nonostante la sua
specializzazione in una mansione precisa.
• Favorire un corretto equilibrio tra l’esigenza di un’esperienza fattiva e concreta
e la possibilità per il tirocinante di riflettere sulla sua esperienza: non sempre
il tutor aziendale potrà e dovrà offrire momenti esplicitamente didattici, ma il
tirocinante dovrà/potrà accogliere il più possibile i feedback sulle
sue prestazioni; l’ente di placement incoraggerà a questo scopo momenti e
occasioni di feedback reciproco, formalizzati e non.
• Per gli enti di orientamento/placement: dovrebbero diventare prassi consolidata
il monitoraggio costante della percentuale di inserimento occupazionale
post-stage e un servizio di “accompagnamento” del laureato dopo lo stage.
Sarebbe utile poter continuare a seguire i laureati nei loro percorsi lavorativi,
riuscendo in questo modo, da un parte, ad avere una visione completa ed
esauriente delle dinamiche lavorative reali (utili alla progettazione di futuri
interventi sia di formazione che di placement).
229
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F
Il Career Center UCLA
La University of California di Los Angeles, conosciuta anche come UCLA, è
un prestigioso ateneo pubblico statunitense; nato nel 1919, è il secondo
campus più antico del sistema americano e oggi ospita, nella sua sede nel
quartiere residenziale di Westwood, circa 40.000 studenti.
Tra i dipartimenti più noti a livello internazionale (per la qualità della ricerca e per
la fama di numerosi ex studenti), ci sono quelli afferenti alla School of Theater, Film
and Television, ovvero il Department of Theater e il Department of Film and
Television.
L’offerta formativa include svariati programmi di studio, di livello diverso: tra i diplomi
di primo livello, il Bachelor of Arts in Film and Television; tra i corsi di secondo livello,
il Master of Fine Arts in quattro aree - produzione/regia, sceneggiatura, Producers
Program, e cinema d’animazione ; il Master of Arts e il dottorato in “Critical studies”.
Il Dipartimento mette a disposizione degli studenti laboratori professionalmente
attrezzati per sperimentare produzioni audiovisive: l’UCLA possiede, per esempio,
tre teatri di posa, trenta salette di montaggio, e altre svariate aree per le attività di
mixaggio, registrazione lineare e in digitale; ci sono inoltre tre studi televisivi e una
sala regia.
Il Dipartimento di Film e Tv possiede, inoltre, una sala cinematografica con 276
posti; la biblioteca possiede 40.000 volumi che riguardano il cinema e la televisione,
e l’Università conserva un piccolo museo del cinema (che include una collezione di
oggetti provenienti direttamente dagli studios, le corrispondenze cartacee di registi,
attori, e tecnici, migliaia di sceneggiature, copioni, soggetti). Nell’archivio dell’UCLA,
infine, si trovano circa 200.000 tra film e programmi televisivi dal 1946 ad oggi.
Nel contesto di un ateneo tanto specializzato nell’ambito della comunicazione e
dell’audiovisivo, il Career Center dell’Università di Los Angeles rappresenta, per la
nostra analisi, uno dei benchmark più interessanti.
Il Career Center offre una serie di servizi, riferiti sia all’orientamento pre-universitario
(ad esempio grazie alla sezione “What can I do with a degree in…”, che immagina
sbocchi professionali e percorsi di carriera per diversi piani di studio), sia al
job placement per studenti e neolaureati.
Il centro mette a disposizione di ciascuno studente ed ex studente un “career
counselor”, un tutor che, su appuntamento, aiuta, indirizza e motiva: un servizio di
accompagnamento nel senso letterale del termine.
230
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Il sito del Career Center dell’Ucla
(http://career.ucla.edu), inoltre, offre diversi
servizi on line (alcuni dei quali a pagamento),
che vanno dall’iscrizione a workshop e seminari sul
tema della formazione e dell’orientamento, alla pubblicazione di offerte di stage e di lavoro, rivolti a diverse
tipologie di soggetti (studenti, neolaureati e neoassunti).
Il sito offre inoltre test e simulazioni di interviste e
colloqui di lavoro. Infine, è possibile accedere all’elenco
di tutte le possibilità di studio e lavoro all’estero riconosciute dal sistema scolastico americano.
Ogni sessione del sito è arricchita, poi, da “strumenti”
utili agli studenti, sia nel loro percorso universitario, che nel loro successivo inserimento lavorativo: i “tools” più cliccati e ricercati riguardano soprattutto le regole per
scrivere un buon curriculum o la lettera di presentazione.
Insomma: un sito completo e professionale che cerca di accompagnare lo studente
nelle varie fasi del suo percorso di apprendimento e conoscenza, svolgendo un
servizio di “orientamento” nella sua accezione più completa.
231
08
RECRUITMENT
di Chiara Valmachino
e Antonio Costa
Dopo una breve premessa volta a definire il concetto di recruitment, ci
domanderemo in questo capitolo quali sono i canali privilegiati dalle aziende
audiovisive lombarde nella ricerca di personale e, specularmente, dai lavoratori
nell’attività di job search. Per ognuno dei canali individuati, analizzeremo le
criticità individuate da aziende e lavoratori. Si verificherà poi, in particolare,
l’incidenza di due strumenti di ricerca del lavoro, ovvero l’inserzione on line e
quella a modulo su quotidiani, analizzando in un periodo campione il numero e
la tipologia di inserzioni per il settore audiovisivo. Evidenzieremo le criticità
emerse, anche in una prospettiva di confronto internazionale.
Il Focus offre anche in questo caso un benchmark internazionale: i servizi Internet
che BBC mette a disposizione per chi cerca lavoro.
233
8.1 Che cos’è il recruitment
Con il termine “recruitment” si indica non solo l’attività di ricerca e di selezione
del personale, ma la complessa operazione in cui si incontrano capitale e lavoro,
imprese e lavoratori. Il recruitment infatti non consiste solo nell’individuazione di
candidati in possesso dei requisiti necessari per svolgere determinati compiti, e
nella scelta tra i candidati, ma anche nella pianificazione di tutte le decisioni relative alle Risorse Umane; ovvero delle decisioni riguardo l’iter di sviluppo delle carriere, sia per soddisfare i bisogni di professionalità e le esigenze di sviluppo del
personale, sia per regolare il flusso di turn over aziendale (Mocavini, Paliotta 2002).
La presentazione dei risultati della nostra ricerca, in tema di recruitment aziendale
e di strategie di ricerca di occupazione da parte dei lavoratori, necessita di
un’ulteriore premessa: l’Italia, salvo rare eccezioni, è uno dei Paesi dove la
raccolta sistematica e ufficiale sulle job vacancies e sulle strategie di ricerca del
lavoro non è mai decollata. Due almeno i motivi: innanzitutto, “la condizione
necessaria per poter raccogliere informazioni sui posti disponibili è che funzioni
un sistema di centri per l’impiego che effettivamente faccia da intermediazione
tra domanda e offerta di lavoro” (Mocavini, Paliotta 2003); in Italia, la riforma del
collocamento è stata lenta, complessa, e solo di recente gli uffici preposti si sono
adeguati al monitoraggio dei flussi in entrata e in uscita e delle caratteristiche
della domanda di lavoro. In secondo luogo, manca un coordinamento tra gli
strumenti nazionali di indagine periodica sulle forze e sull’offerta di lavoro 1.
8.2 La ricerca: i canali di recruitment
per l’audiovisivo e le criticità emergenti
Aziende e lavoratori dipingono un quadro molto simile circa le modalità con cui si
offre e si cerca lavoro nel campo audiovisivo. In generale, possiamo per il momento
notare che la tendenza emergente dalla nostra ricerca, è quella di:
• privilegiare canali informali e non strutturati (conoscenza e segnalazione)
rispetto a quelli formali e strutturati (società di selezione);
• privilegiare canali tradizionali (scuole, invio curricula) rispetto a quelli innovativi
(inserzione su web, annunci a modulo).
1
Cfr. in proposito, l’indagine trimestrale sulle forze lavoro dell’Istat e le indagini sulle job vacancies svolte
annualmente da Excelsior e Isae, già citate al capitolo 3.
234
I canali di selezione del personale utilizzati dalle aziende audiovisive e dai lavoratori
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
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aziende
lavoratori
Fonte: Labmedia, 2006 (su 127 aziende audiovisive e 100 lavoratori del settore)
Ogni canale di reclutamento, per il peso specifico che ha, e per il modo con cui
si declina nel settore di nostro interesse, merita un approfondimento specifico.
Osserveremo perciò, nel dettaglio, i diversi canali di selezione del personale,
commentando nelle prossime pagine sia i dati quantitativi raccolti attraverso i
questionari somministrati ad aziende e lavoratori, sia gli aspetti qualitativi emersi
durante le interviste personali 2.
2
Gli enti di formazione sono stati citati tra i canali di reclutamento del personale dal 44% delle aziende; il 39%
dei lavoratori dichiara, a sua volta, di aver fatto ricorso, per il job search, alle strutture degli enti di formazione.
Si rimanda, per ogni considerazione relativa allo stage e al placement, ai capitoli 6 e 7 di questo volume.
235
8.2.1 I canali di selezione informali
La maggioranza delle aziende che hanno partecipato alla ricerca utilizza, per la
selezione del personale, canali “relazionali” quali la conoscenza diretta (è tra i
metodi scelti dal 77% delle aziende interpellate) e la segnalazione di conoscenti
e fornitori (vale per il 57% delle risposte 3).
Quest’ultima 4 è in assoluto la modalità prevalente secondo i lavoratori: tra i rispondenti al nostro questionario, ben il 75% dichiara di essersi affidato, nella ricerca
di lavoro, a conoscenti o colleghi.
Si tratta, da un lato, di un metodo molto “italiano”: secondo l’ultimo rapporto
Excelsior di Unioncamere effettuata su un campione di 100.000 imprese italiane,
l’82% ricorre ad assunzioni legate a conoscenze dirette e a raccomandazioni
(Excelsior - Unioncamere 2005). Il tema è ribadito anche dai dati Isfol relativi al
2005, secondo i quali un italiano su tre trova lavoro grazie alla conoscenza diretta.
La situazione pesa nelle considerazioni critiche di molti lavoratori interpellati che,
soprattutto nelle risposte anonime del questionario on line, citano questa addirittura
come la criticità fondamentale del settore, lamentando una scarsa meritocrazia
delle scelte aziendali 5:
“È un settore chiuso, in cui entrare è quasi un’utopia, a meno che la tua rete di relazioni/parentale non ti permetta i contatti ‘giusti’”.
(ispettore di produzione, questionario lavoratori)
“Il problema è il clientelismo imbarazzante e il favoreggiamento dovuto a ragioni
che poco hanno a che fare con meriti e competenze reali”.
(videoreporter, questionario lavoratori)
3
4
5
I questionari prevedevano, in relazione alla domanda sui canali di selezione maggiormente utilizzati, possibilità
di riposta multipla.
Intendiamo per segnalazione prassi tra loro diverse, come l’avvertimento di una ricerca di personale in corso,
la segnalazione di un curriculum meritevole all’attenzione dei decisori aziendali, fino alla vera e propria
“raccomandazione”.
Il Consiglio di amministrazione della RAI, volendo incentivare il pensionamento dei dipendenti, ha escluso nel
2006, per la prima volta, il ricorso alla staffetta generazionale, grazie alla quale i figli
potevano subentrare al padre che accettasse di andare in pensione. La staffetta, esempio di una prassi che
penalizza la meritocrazia, riguardava figure della produzione (montatori, tecnici, operatori, assistenti ai programmi)
o figure qualificate che avrebbero comunque “richiesto un innesto esterno” (Repubblica, 27 dicembre 2005;
Corriere della Sera, 31 dicembre 2005).
236
A onor del vero, non si dovrebbe “semplicisticamente pensare che il ricorso alle
reti di conoscenza, di amicizia e familiari possa dar luogo solo a spiacevoli
fenomeni di nepotismo” (Mocavini, Paliotta 2002): per esempio, quando un’azienda chiede collaborazione ai propri dipendenti nella ricerca di nuovo personale, ottiene spesso una funzione di intermediazione forte ed efficace tra domanda e offerta;
i dipendenti conoscono infatti bene la propria impresa, e mettono spesso in atto
forme di autocensura nei riguardi di personale poco adatto alle qualifiche richieste. La ricerca di personale con canali informali e diretti, se non segue logiche
clientelari, può essere inoltre necessaria per trovare velocemente sul mercato
profili specifici, riducendo il margine d’errore:
“Seleziono le persone con colloqui abbastanza casuali, spargendo la voce. Oppure
cerco degli esempi che mi sono piaciuti, vado a vedere ‘chi si è occupato della cosa
che mi interessa’, e poi cerco di contattarlo”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
“Non ci sono referenti, a parte le persone di cui mi fido e le conoscenze personali”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006)
Anche all’interno delle case di produzione, l’assegnazione delle risorse sulle
singole produzioni avviene spesso per passaparola informale tra i dipendenti: il
sistema sembra tuttavia dettato più dalla fretta imposta dai ritmi di produzione
che da una reale efficacia dei risultati.
“Parlandoci tra noi produttori riusciamo a capire quello di cui ha bisogno un collega
per la singola produzione. Ad esempio parlando con un collega che ha bisogno di
un runner, gliene segnalo uno con cui mi sono trovata bene. Facciamo autogestione
delle risorse umane”.
(Cristiana Molinero, Executive producer Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)
La situazione corrente viene, in ogni caso, vissuta da alcune aziende in modo
problematico, soprattutto quando la ricerca di nuovi addetti è affidata al personale
in prima linea nel processo produttivo, che non ha il tempo (né forse il ruolo adatto)
per dedicarsi in modo sistematico allo sviluppo delle Risorse Umane.
“Sono in grande difficoltà col reperimento delle persone, è tutto un passaparola…
237
Tutti i miei colleghi hanno lo stesso problema, sono tutti disperati. Credo anzi che il
valore di un esecutivo forte sia dato dal network di persone che conosce”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006).
8.2.2 L’autocandidatura
L’invio spontaneo di curricula alle aziende viene utilizzato come canale di offerta
lavorativa dal 20% dei lavoratori interpellati; sull’altro versante, il 28% delle aziende
dichiara di attingere ai curricula pervenuti e inseriti nei propri database. Le interviste raccolte tra lavoratori ed aziende, tuttavia, dipingono, in merito all’efficacia di questo strumento di selezione, un quadro poco confortante.
La prassi dell’invio spontaneo di curricula è, nella percezione delle aziende, molto
usata (se non abusata) dai lavoratori: il numero dei curricula inviati direttamente
è, a detta degli intervistati, costante e consistente, tanto da non consentire una
schedatura sistematica e duratura in database aziendali.
Le grandi aziende ricevono troppi cv; (ricordiamo che ad esempio a Mediaset ne
arrivano annualmente 10.000), alle piccole aziende manca il tempo:
“L’offerta di personale è già troppo grande. Io ricevo al giorno un sacco di curricula.
Che poi vaglio e controllo, come posso”.
(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)
Le candidature spontanee non hanno nessun costo per le imprese ma, in
generale, sono una fonte scarsamente tenuta in considerazione nella dinamica
domanda/offerta di lavoro, per diversi motivi: esse arrivano spesso in momenti
nei quali l’azienda non ha necessità di assumere manodopera, oppure vengono
recapitati a persone diverse da quelle addette alla selezione del personale
(sempre che ve ne siano). (Mocavini, Paliotta 2002)
Ciò è tanto più vero nel settore dell’audiovisivo, che sconta la frequente assenza
di un reparto Risorse Umane anche in imprese di medie e grandi dimensioni e conseguenti difficoltà di pianificazione del lavoro, più o meno consapevoli.
“Riceviamo giornalmente molti curricula, ma non siamo organizzati per poterli
valutare e per poterli ripescare quando ci servono le persone su una produzione
specifica. Perché noi abbiamo il problema del tempo, e quando cerchiamo qualcuno
è perché l’abbiamo bisogno da subito”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)
238
“Non so quanti abbiano modo di selezionare i curricula. Anch’io, nonostante sia
stata disoccupata per anni, adesso non ho tempo di guardarli. Se il curriculum
arriva nel momento propizio bene, ma se arriva nel caos, lo perdi”.
(Producer casa di produzione, focus figure crossmediali, 18/4/2006)
Gli stessi lavoratori sanno che l’invio di curricula è, nella stragrande maggioranza
dei casi, inutile; oltretutto, nella prassi italica, le aziende non rispondono, nemmeno con una mail automatica di risposta negativa:
“Ho mandato un centinaio di mail a qualsiasi ditta e solo due mi hanno risposto,
dicendo che non c’era posto. Io mi offrivo come stagista non retribuito e comunque
non rispondeva nessuno…”.
(Post Production Manager Casa di produzione crossmedia, focus group figure
crossmediali, 18/4/2006)
…e, pur disincantati, mettono in atto strategie complementari, per superare la
soglia della disattenzione e sperare di ottenere visibilità:
“Se ‘martelli’ una persona, alla fine un incontro te lo fissa… perciò il curriculum si
invia più volte, e poi, si fanno telefonate ‘a manetta’ per farsi prendere!”.
(Post production manager Casa di produzione crossmedia, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)
8.2.3 Le società di selezione del personale
Il panorama delle tipologie di centri e società di selezione disponibili sul territorio
lombardo, a prescindere dal nostro settore di interesse, è molto ampio e variegato.
Il censimento realizzato nel 2004 da Mario Bianco contava nella Regione
Lombardia:
• 195 agenzie del lavoro per l’impiego, ovvero società - costituite prevalentemente
da professionisti provenienti da esperienze dirigenziali nel settore delle risorse
umane - che ricercano personale (soprattutto quadri e impiegati) su
commissione di enti o aziende private, da inserire solo a tempo indeterminato.
• 28 società di executive search, che si differenziano da quelle di ricerca e
selezione del personale perché si occupano di figure manageriali di rilievo,
dirigenti e top manager. Appartengono tipicamente a questa categoria i
“cacciatori di teste” (head hunters), che reclutano i candidati attraverso la
239
•
•
•
•
ricerca diretta e i contatti personali con le aziende (raramente tramite ricerche
d’archivio).
12 società di temporary management, ovvero società che si rivolgono
“prevalentemente a candidati di un certo spessore professionale, con la
finalità di inserirli in azienda con contratti di consulenza che variano da 6
mesi a 2 anni” (Bianco 2004). Questi “manager a tempo” vengono impiegati
prevalentemente dalle società di piccole e medie dimensioni, per risolvere
necessità specifiche come la formazione e il supporto di personale in
posizione strategica, impostare nuove strategie commerciali o di marketing,
ristrutturare l’azienda, o semplicemente sostituire un dirigente o un quadro
temporaneamente assente.
11 società di outplacement: si tratta di società, tuttora poco presenti in Italia
e concentrate del Nord del Paese, che operano su incarico di aziende,
prevalentemente multinazionali o comunque di dimensioni medio-grandi, che
devono riqualificare e ricollocare le proprie risorse in esubero o in mobilità.
22 agenzie di lavoro per l’impiego interinale, che tradizionalmente “offrono ai
candidati la possibilità di essere assunti a tempo determinato e di essere
dati ‘in affitto’ ai loro clienti” (Bianco 2004). Per gli effetti della Legge 30 (la
Legge Biagi), a partire dal 2005 le società interinali hanno operativamente
iniziato a svolgere la ricerca e selezione diretta del personale e il collocamento
a tempo indeterminato. Oggi si calcola che le società di lavoro interinale
riescano a collocare circa il 10% di chi cerca o cambia lavoro, contro il 4%
circa di un anno fa.
68 Centri per l’impiego (gli ex Uffici di Collocamento), enti gestiti dalle
Province o dai Comuni e presenti capillarmente sul territorio.
La quasi totalità delle 336 società esistenti non cita il settore Media tra quelli di
specializzazione 6.
Le aziende audiovisive interpellate fanno ricorso raramente a società di lavoro
interinale (il canale è usato dal 10% del nostro campione), o a Centri per l’impiego
(il 2% dei casi); entrambi i canali sono utilizzati solo per la ricerca di figure
aspecifiche, come quelle amministrative…
6
Una sola agenzia per l’impiego (Arrow) dichiara tra i settori di specializzazione “Media/entertainment” (Bianco
2004)
240
“Il canale di selezione tipico è la conoscenza diretta. Soprattutto nel settore delle
produzioni, perché in quello impiegatizio mi posso anche avvalere del lavoro interinale”.
(Anna Di Sabato, Direttore generale Gruppo Profit, intervista personale, 20/4/2006)
… oppure per attività in cui l’avviamento al lavoro e la sua organizzazione sono
assimilabili al settore industriale, come quelle dei servizi alla produzione:
“Sui servizi […] si fa ricorso al lavoro interinale. I lavoratori sono interinali per i primi
uno o due anni, poi facciamo training con corsi di formazione interna… quasi tutte
queste persone sono destinate al tempo indeterminato”.
(Uberto Rasini, Direttore Generale 3Zero2 TV, intervista personale, 17/3/2006)
Solo l’11% delle aziende interpellate dichiara di utilizzare, per il recruitment, altre
tipologie di società per la selezione del personale.
Le poche aziende che hanno fatto ricorso alle società di selezione hanno contattato
in prevalenza società di executive search e head hunters (il 40% dei rispondenti),
cercando dunque profili ad alta qualificazione e di elevato livello. Decisamente
poco utilizzate le altre tipologie di società di recruitment, che servirebbero per
cercare figure produttive (e quindi specifiche) e posizioni intermedie:
“Sono convinto che in Italia esista un gap da questo punto di vista: o abbiamo gli
head-hunters oppure le agenzie interinali. I posizionamenti di mestieri intermedi
non sono coperti”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006)
Le aziende interpellate conoscono poco le società di selezione del personale: alla
domanda specifica, ben il 57% delle aziende non sa valutare la qualità dei servizi
offerti da tali società. Tra coloro che esprimono una valutazione, più della metà
ritiene inadeguato (“insufficiente” o addirittura “inesistente”) il loro servizio.
Per causa e per effetto della scarsa abitudine a ricorrere a questi canali di
selezione, è quindi molto difficile trovare, tra le agenzie presenti in Lombardia ma
anche a livello nazionale, soggetti che si siano occupati del settore audiovisivo,
se non occasionalmente o addirittura eccezionalmente 7. Dalle nostre fonti risulta
7
Il questionario da noi allestito e inviato a tutte le società di selezione del personale lombarde, per sondare
l’attività di recruitment nel settore audiovisivo, ha avuto un tasso di risposta pressochè nullo (circa il 6%),
obbligandoci a tralasciare questo strumento di ricerca. La maggior parte delle società non ha voluto nemmeno
rispondere alla domanda in cui chiedevamo se si fossero mai occupati di audiovisivo, vuoi per problemi di
riservatezza, vuoi per disinteresse al tema.
241
che siano state soprattutto le multinazionali entrate nel nostro Paese dopo
l’ingresso di Sky nel mercato televisivo (2003), ad utilizzare società di selezione.
Le imprese audiovisive si dividono, del resto, sulla disponibilità a utilizzare società
di selezione o head hunters specializzati nel settore audiovisivo, laddove ne
esistessero. Il 46% degli interpellati (a fronte di un 20% non favorevole e di un
35% che risponde “non so”) sarebbe favorevole: tra i vantaggi rispetto alla gestione
interna e non strutturata delle Risorse Umane, sarebbe garantita - soprattutto alle
piccole aziende - una razionalizzazione e una maggior efficienza nelle ricerche di
personale…
“Non ci sono oggi aziende specializzate nel settore dell’audiovisivo, che sappiano
distinguere le diverse richieste. Se ci fossero delle società che mi fornissero dei
curriculum ad hoc e che magari avessero modo di fare prima dei casting per vagliare
e controllare i dati, allora varrebbe la pena”.
(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)
“Sarebbe fantastico un head hunter dell’audiovisivo, anzi dovrebbero esserci vari
head hunters: uno per la produzione, uno per la parte creativa. Sarebbe utilissimo,
cosi invece di cercare risorse a caso, tu chiami l’head hunter, gli spieghi che tipo di
programma devi fare e lui ti individua il profilo di cui hai bisogno”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
…a vantaggio non solo delle singole imprese, ma dell’intero sistema:
“Potrebbe anche diventare uno strumento di messa in ordine delle competenze, si
potrebbero finalmente costruire griglie per valutare le persone. Il problema è che
non ci sono interlocutori: tu parli sempre con gente che fa il tuo mestiere, ma quello
del selezionatore è un altro mestiere…”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervista
personale, 24/2/2006)
A società di selezione specializzate, secondo alcuni, potrebbero essere attribuiti
anche compiti più ampi: non solo trait d’union nelle dinamiche domanda/offerta
di lavoro tra aziende e lavoratori, ma anche in quelle tra commissioning editor e
piccole case di produzione:
242
“Società di selezione del personale servirebbero soprattutto delle situazioni di
interfaccia, tra le esigenze dell’emittente e quelle della casa di produzione.
Ad esempio, se dei canali cercano piccole case di produzione per fare dei fillers per
la loro programmazione, io come faccio a saperlo? Magari sono la giusta risposta per
questa loro esigenza. Dall’altra parte io dico “avrei bisogno di un gruppo di ragazzi
per la parte redazionale” e dove li trovo? Ecco, sono due interfacce che
servirebbero e sarebbero interessanti”.
(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)
Le caratteristiche richieste a un’eventuale società di selezione riguardano la
celerità della ricerca e la garanzia di un’effettiva e profonda conoscenza del
settore e delle sue peculiarità organizzative:
“Chiederei a delle ipotetiche società specializzate di parlare lo stesso linguaggio,
perché adesso con un partner esterno generico si hanno difficoltà a capire le
esigenze dell’azienda. Con un partner specifico il pre-screening sarebbe sicuramente
più efficace.
(…) Il nostro è un mondo abbastanza chiuso, che bisogna conoscere. È molto
difficile entrare qua dentro avendo fatto, per esempio, il marketing altrove; le
logiche culturali sono molto diverse”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane RTI - Gruppo Mediaset, intervista personale, 14/3/2006)
Un terzo delle aziende interpellate nutre riserve rispetto all’utilità di società di
selezione specializzate nel settore audiovisivo, pensando anche all’impegno
economico eventualmente richiesto e alla formula di remunerazione ipotizzabile:
“Se ci fosse una società specializzata usufruirei dei suoi servizi, ma dipende a che
livello e a che costi. Il gruppo di scuole a cui ci riferiamo attualmente ci fornisce
una buona base [per la selezione di personale], se abbiamo bisogno di qualcosa
possiamo rivolgerci anche a loro, senza grandi costi per l’azienda”.
(Giusto Truglia, Vice direttore generale Multimedia S. Paolo, direttore testata giornalistica e palinsesto Telenova, intervista personale, 13/3/2006)
Infine, il 20% delle aziende si dichiara non interessato ai servizi di una società di
recruitment; la diffidenza deriva dalla convinzione di un’irriducibile alterità del settore rispetto al resto del mercato del lavoro, anche se sembra ci si riferisca ai
soggetti esistenti sul mercato, che mancano di specializzazione, più che a ipotetici
243
nuovi soggetti con una mission specifica:
“L’audiovisivo è troppo specifico per ricorrere a head hunters”.
(Stefano Selli, Direttore Generale FRT, intervista personale, 26/4/2006)
Per quanto riguarda i lavoratori, essi dichiarano nel questionario somministrato on
line di non usufruire delle società di selezione (solo l’1% di loro l’ha fatto): il 67%
dei partecipanti al questionario non esprime valutazioni circa la qualità delle
società di recruitment, ma tra i rispondenti, ben il 40% giudica “inesistenti” i
servizi offerti, e un altro 15% li ritiene “insufficienti”. Chi ha avuto, del resto,
esperienze dirette ha ricavato impressioni di superficialità e scorrettezza nella
gestione dei contatti:
“Anche i cacciatori di teste… su quindici cacciatori contattati solo quattro mi hanno
risposto. Posso capire che non lo faccia l’azienda, anche se è scortese. Però un
cacciatore di teste dovrebbe dare una risposta, anche in automatico. Penso che sia
puro disinteresse e superficialità. In quel momento non serviva il mio profilo, stop.
Non c’è la capacità di guardare oltre, per riutilizzare il curriculum in altri campi”.
(Producer casa di produzione, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)
Ben il 67% dei lavoratori, in ogni caso, si servirebbe di una società di selezione
specializzata se ne conoscesse l’esistenza (a fronte di un 16% che non utilizzerebbe
questo canale e di un altro 17% incerto).
8.2.4 Job search on line. I siti delle aziende e le
società di e-recruitment
Tra i canali innovativi di recruitment, gli studi specializzati (Mocavini, Paliotta 2002
e 2003) citano soprattutto le possibilità di incontro tra domanda e offerta di lavoro offerte dal web. Dalla nostra ricerca emerge che Internet non è tra i canali privilegiati dalle aziende dell’audiovisivo lombardo nella fase di selezione del personale: solo il 10% delle aziende rispondenti dichiara di utilizzare annunci via
Internet come strumento di selezione del personale. Questa percentuale non fotografa nella sua interezza l’impatto delle tecnologie web nei processi di
selezione del personale. L’utilizzo diretto, da parte delle aziende interessate, di
annunci su siti web non esaurisce, infatti, le possibilità di utilizzo del web come
strumento di recruitment. Basti pensare, banalmente, ai curricula che vengono
ormai regolarmente inviati alle aziende quasi esclusivamente tramite posta
244
elettronica (cfr. paragrafo 8.2.2), oppure al fatto che possono essere le società
di selezione del personale cui le aziende si sono in precedenza rivolte ad utilizzare
il web come canale di selezione.
Ai fini della presente ricerca, comunque, abbiamo ritenuto opportuno approfondire
altre modalità di job-search on line, per rilevare la diversa portata delle modalità
specifiche attraverso cui si può realizzare questo processo: abbiamo analizzato
quindi come le nostre aziende campione si pongano rispetto alla questione
recruitment nei loro siti (soprattutto in confronto alle altre aziende nazionali e a
quelle internazionali), e se si appoggino a siti di job search esterni, anche per
quantificare la pubblicazione di posizioni aperte nel settore.
Innanzitutto, l’analisi si è rivolta alla quantificazione della consistenza dell’offerta di
lavoro nelle aziende audiovisive lombarde da noi censite. Successivamente, si è
proceduto a scomporre l’effettiva portata del recruitment on line nel settore
attraverso le tre modalità principali di utilizzo delle imprese: invito a inviare il
curriculum via mail o tramite form nel proprio sito, segnalazione di posizioni aperte
in una apposita sezione del proprio sito, segnalazione di posizioni aperte in siti
generici o specializzati di ricerca lavoro (Mocavini, Paliotta 2003).
I dati emersi evidenziano la riluttanza delle aziende dell’audiovisivo ad utilizzare
strumenti di e-recruitment. Analizzando tutti siti delle aziende audiovisive lombarde
alla data del 30/4/2006, emerge che solo il 71% di queste aziende possiede un
sito web attivo. Inoltre, è stato verificato che solo l’8% di aziende con sito ed il
6% di aziende complessive possiede almeno una pagina del proprio sito web con
La pagina “opportunità di lavoro”sul sito
RAI: “Nessuna informazione disponibile”
La pagina “lavora con noi”sul sito Telecom
Italia Media: “Non ci sono posizioni aperte”
245
l’invito ad inviare il curriculum via mail o tramite un form (tra queste RAI e
Mediaset), mentre solo il 6% delle aziende con sito e il 4% delle aziende totali
(solo 10 aziende sulle 271 censite!) possiede una sezione dedicata al job-search
dalla quale sia possibile consultare le ricerche di personale in corso e gli annunci
su posizioni specifiche.
È significativo, inoltre, notare la tipologia di attività di queste aziende: si tratta
esclusivamente di produttori ed editori crossmediali o di aziende che espletano
servizi per telefonia e web, oppure di aziende multinazionali che svolgono attività
anche in Italia, con la sola eccezione di un’ azienda che si occupa di produzione
di video d’animazione 8.
La pagina “job opportunities” nel sito
internazionale di Discovery Networks: tra le
centinaia di posizioni nel mondo, una nella
sede milanese
La pagina “posizioni aperte” del sito di Sky
Italia (gruppo News Corporation)
Buona parte di queste sezioni di job search, comunque, risulta poco aggiornata;
inoltre alcune pagine non sono per mansioni produttive ma di staff (ad esempio
riferiti a profili commerciali), o addirittura per ruoli più legati al mondo ICT che a
quello audiovisivo (visto che si tratta di aziende “della convergenza”). Tra le
posizioni specifiche presenti, comunque, troviamo tra gli altri, sales manager,
video editor, producers e addetti alla gestione dei diritti e del palinsesto, per un
totale di appena 27 annunci sui siti web delle aziende audiovisive lombarde 9.
8
9
Le dieci aziende presenti nel campione che pubblicano annunci di lavoro nel loro sito sono: Buongiorno
Vitaminic, Digital Magics, Discovey Networks, Yahoo, Fastweb, H3G, Icon Media Lab, Maga Animation Studio,
Neo Network e Sky Italia.
Nel conteggio totale sono state considerati come unici (e conteggiati una sola volta) gli annunci del tipo “Cercasi
100 sales representative”.
246
Questo scarso utilizzo dello strumento web per le politiche di recruitment sembra
caratterizzare anche le aziende dell’audiovisivo a livello nazionale, in contrasto con
quelle internazionali, come emerge alla luce di altri due dati: la presenza di boards
di job search rispettivamente sui siti di aziende italiane dell’audiovisivo non residenti in Lombardia e lo stesso dato rilevato sui siti di un gruppo di aziende europee
dello stesso settore.
Nel primo caso, sono stati “visitati” i siti di 50 aziende di significativa importanza
del settore a livello nazionale 10. È stato riscontrato, in proposito, come le percentuali di utilizzo di servizi di job search sui siti aziendali non si discostino da
quelle delle aziende lombarde. Ad un primo raffronto, comunque, i dati sembrano
leggermente più confortanti rispetto a quelli delle aziende campione. La percentuale
di presenza di un sito attivo per le aziende nazionali è leggermente superiore di
quella dei siti lombardi (86% contro il 71%), ed il dato risulta superiore anche
nell’analisi della presenza di una sezione job search nel sito (16%, contro il 6%
del nostro campione); ma si deve tenere conto del fatto che si tratta di realtà di
caratura nazionale, a fronte di un insieme piuttosto eterogeneo per dimensioni
come quello locale.
Nel caso delle aziende leader europee 11, invece, il risultato è differente: l’89%
delle aziende analizzate possiede un sito (contro l’86% delle aziende nazionali e
il 71% delle aziende lombarde). Il 37% (e il 42% sui siti attivi) dei siti delle aziende
straniere possiede una sezione dedicata al job search, e il 33% del totale (il 37%
dei siti attivi) pubblica anche l’elenco delle posizioni aperte. Queste percentuali
sono dunque di circa cinque volte superiori a quelle delle aziende lombarde, e più
che doppie di quelle delle altre aziende nazionali. È evidente che le nostre aziende scontino un gap fortissimo, dal punto di vista dell’utilizzo degli strumenti informatici nella selezione del personale, rispetto alle aziende straniere, e in particolare a quelle del Regno Unito. Tra le aziende di questo paese, infatti, sono altissime sia la percentuale di aziende con un sito web (92%) che la percentuale di siti
attivi con sezione dedicata al recruitment (52%). Le posizioni presenti sono le più
varie, da quelle specificamente produttive a quelle amministrative, da quelle
tecniche a quelle commerciali. Le aziende che non presentano un’apposita sezione di job search sono in genere munite quanto meno di un apposito form per l’in-
10
11
Queste aziende sono state desunte dall’Annuario “Uomini e comunicazione”, pubblicato da Prima
Comunicazione, alle sezioni relative a Tv e Spettacolo.
Si tratta di un campione comprendente le prime 120 aziende dell’audiovisivo per fatturato in Germania, Regno
Unito, Francia, Spagna ed Olanda. Fonte: Annuario European Audiovisual Observatory (EAO) 2005.
247
vio online dei curricula, oppure pubblicano le varie job description presenti in
azienda.
Per quanto riguarda la seconda possibile modalità di utilizzo, vale a dire le
inserzioni su rubriche di portali e siti di annunci, la situazione nel nostro paese
appare persino peggiore. Nei sei principali portali con sezione di ricerca lavoro 12,
difatti, emerge che non esiste neanche una sezione dedicata agli annunci dei
media e dell’audiovisivo. Al massimo esistono sezioni dedicate al macro-settore
della comunicazione, e quando ciò avviene è possibile riscontrare solo la presenza
di annunci nel settore del marketing o delle pubbliche relazioni, e sostanzialmente
mai nel settore dell’audiovisivo. Anche nei veri e propri siti di ricerca lavoro, che
offrono non solo generiche bacheche on line, ma servizi specializzati alle aziende
e agli aspiranti lavoratori 13, agli annunci riguardanti il settore audiovisivo non è
riservato un settore a parte, probabilmente ancora una volta a causa del loro
numero esiguo. Questi annunci sono difatti inclusi in altri settori attigui (media ed
editoria, media-marketing-pubblicità, creatività, ecc…), all’interno dei quali la
rilevanza del settore rimane in ogni caso esigua (in un solo caso appare la parola
“tv”, peraltro aggregata a “editoria, cinema e radio”). A prescindere dalla
categorizzazione, comunque, dei 18 siti monitorati solo tre (Monster, Infojobs 14,
Cambiolavoro) offrivano posizioni specifiche nell’audiovisivo, per un totale di 12
posizioni (tra cui operatori di emissione video, sales representatives, tecnici di
emissione, addetti gestione diritti e scheduler di palinsesto).
Persino nei soli tre siti specializzati in comunicazione che pubblicano annunci le
cose non sembrano migliorare di molto. Uno di essi (Infocity) è consultabile solo
a pagamento; negli altri due liberamente consultabili (Primaonline e Lavori
Creativi), delle 137 offerte presenti alla data della rilevazione, appena 10
riguardavano posizioni specifiche dell’audiovisivo. Tra queste, quelle più ricercate
sono i telereporter e gli operatori.
La possibilità di utilizzare strumenti web nella selezione del personale, dunque,
non sembra allo stato delle cose interessare le aziende dell’audiovisivo. I canali
di selezione privilegiati, infatti, rimangono, come abbiamo visto, quelli personali,
ed un reale e diffuso utilizzo di Internet come strumento di selezione del personale “trasparente” e “democratico” sembra ancora di là venire.
12
13
14
Corriere della Sera, Trovojob, Il Sole 24 ore, Kataweb Lavoro, Tiscali, Libero-Milano Finanza.
Molti operatori del job search hanno trasformato quelli che erano una volta “semplici strumenti di veicolazione
di messaggi, in luoghi di matching” offrendo una serie di servizi complessi e a valore aggiunto per le aziende
(Mocavini, Paliotta 2003).
Il sito Infojobs offre ai candidati registrati un servizio personalizzato molto articolato, che comprende la
possibilità di memorizzare più versioni di curricula e di lettere di presentazione, nonché di visualizzare in tempo
reale lo stato di ciascuno degli annunci di personale a cui si è risposto, controllando se il proprio curriculum è
stato visionato o meno, se è stato scartato o preso in esame, se si è finalisti, ecc.
248
8.2.5 Le inserzioni a modulo
“La ricerca di personale qualificato sui quotidiani costituisce ancora oggi una
delle fonti più immediate e dirette per reclutare forza lavoro da parte del sistema
produttivo nazionale” (Isfol 2005). Questo canale di ricerca, in Italia, viene
monitorato in modo continuativo dal 1979, a cura dell’Isfol in collaborazione con
il Centro Statistico Aziendale (CSA) di Firenze. Il ricorso all’inserzione su mezzi a
stampa è, in generale, indice di un bisogno immediato e urgente che si spera di
soddisfare in tempi brevi; mediante questo canale - piuttosto costoso per le
aziende - si cerca per lo più “personale ad elevata qualificazione, di difficile
reperimento e di acclarata strategicità per la mission aziendale” (Isfol 2005).
Nonostante queste caratteristiche rendano il canale stampa teoricamente
appetibile per le aziende dell’audiovisivo - sempre alla ricerca, come abbiamo
visto, di personale specializzato e velocemente reperibile - l’inserzione a modulo
è scarsamente utilizzata dalle aziende del nostro campione (ne fa uso solo il 7%).
Un’analisi dettagliata delle inserzioni pubblicate nel 2004 sui quotidiani (esclusa
la free press), individua 97 annunci per professioni afferenti alla categoria Istat 92
(Attività ricreative, culturali e sportive), in parte riferibili al settore audiovisivo, su
un totale di 113.000 inserzioni: evidentemente una percentuale irrisoria.
Inserzioni a modulo anno 2004: le professioni delle Attività ricreative, culturali e sportive
Professione
n. di inserzioni
Animatore
55
Attore
10
Coreografo
10
Costumista
5
Promoter
2
Scenografo
15
Totale
97
Totale inserzioni complessive (tutte le professioni)
113.000
Fonte: Isfol, su dati 2004 (quotidiani, esclusa free press).
Alla già citata difficoltà, da parte delle aziende audiovisive, a scostarsi da
strumenti abituali di ricerca e selezione del personale, si aggiungono in questo
caso, probabilmente, fattori congiunturali di più ampia portata: “un’analisi retro-
249
spettiva… ha evidenziato la forte assonanza tra ciclo economico e andamento
delle inserzioni a modulo. In generale, si è osservata una diminuzione delle offerte
in situazioni sfavorevoli o in corrispondenza di aspettative sfavorevoli per il futuro”
(Isfol 2005). 15
8.3 Linee guida per le attività di recruitment
nell’audiovisivo
Alla luce di quanto emerso nella ricerca, il miglioramento dell’attività di recruitment
per il settore audiovisivo passa per alcuni punti chiave:
• Ogni azienda, non appena le condizioni del mercato lo consentano, dovrebbe
strutturarsi per prevenire i propri bisogni di personale, in modo da far fronte
ad emergenze e imprevisti in modo non casuale. Solo un’attività permanente
di raccolta, selezione e classificazione dei curricula, nonché l’organizzazione
periodica di colloqui di selezione, garantirebbe la possibilità di far fronte a
momenti di ricerca non pianificati.
• Ogni azienda audiovisiva dovrebbe essere incoraggiata ad una maggiore
trasparenza nella ricerca delle proprie risorse umane, ad esempio pubblicando
le ricerche in corso sul proprio sito: in questo modo l’aggravio di tempi e
risorse dedicati all’attività di selezione, causato senza dubbio da un alto
numero di candidature, sarebbe compensato dalla qualità delle risorse
individuate, non più affidata al caso e alla contingenza, ma ad un database
di curricula ampio e strutturato. La pubblicazione delle ricerche in corso
consentirebbe, tra l’altro, di descrivere i profili dettagliati, comprese competenze e attività, in modo da fornire informazioni esaurienti all’utenza.
• Ogni attività di Human Resources, a partire da quella di recruitment, non può
prescindere da un corretto rapporto con l’utenza dei singoli aspiranti lavoratori:
15
Bisogna anche sottolineare che, in generale, lo strumento degli annunci a mezzo stampa è attualmente in declino:
ha subito infatti, negli ultimi anni, un drastico ridimensionamento anche per la concorrenza dei mezzi telematici di
ricerca del lavoro: la contrazione dell’offerta si è attuata a partire dal 2001, e al risultato finale del 2003 (-21%
di inserzioni rispetto all’anno precedente) hanno contribuito soprattutto le regioni del Nord Italia.
250
ad esempio, è indispensabile che sia le aziende che (a maggior ragione) le
società di ricerca del personale rispondano a tutti i candidati che inviano
curricula sia spontanei che (a maggior ragione) in seguito ad annunci.
• Per le tre ragioni sopra citate, è necessario che almeno le aziende di media
e grande dimensione prevedano investimenti e personale dedicato, per il
settore Risorse Umane, in grado di pianificare i bisogni. La mancanza di
pianificazione generale delle produzioni non può essere considerata un alibi
alla mancanza di progettualità, anzi ne è il più importante motivo a favore: è
proprio in un ambiente ad elevata variabilità di mercato e con tempistiche
strettissime di produzione, che è necessario prepararsi in anticipo per collocare
“le persone giuste nel posto giusto al momento giusto”.
• La diversificazione dei canali di ricerca del personale (ivi compresi quelli
innovativi, come l’inserzione on line) potrebbe andare, per le aziende, a
vantaggio dell’efficienza nelle attività di reclutamento: canali diversi coprono,
infatti, esigenze differenti rispetto ai livelli, alle qualifiche, alle specializzazioni
dei candidati. Tra i canali, sarebbero da prendere in considerazione anche
quelli più strutturati (evitando di affidarsi prevalentmente a canali informali),
inclusa l’ipotesi di un dialogo con referenti qualificati come società di
selezione specializzate.
• Per le società di selezione che volessero entrare nel mercato, sarebbe certo
indispensabile una specializzazione ad hoc nel settore audiovisivo, evitando
un approccio generalista che scontenterebbe le aziende. Ciò implica naturalmente
un’approfondita conoscenza del mercato, delle filiere produttive, delle competenze
e delle figure professionali che il mercato audiovisivo è in grado di assorbire
e che anzi tenderà nel futuro a ricercare.
251
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I siti Internet “jobs” di BBC
Il servizio pubblico inglese rappresenta
un ottimo esempio di come dovrebbe
essere strutturata la sezione job search del
sito web di una grande azienda del settore
audiovisivo. La sezione “Jobs” di questo sito
è molto ricca di informazioni e servizi, e non
si ferma ad un mero elenco delle posizioni
vacanti in azienda. Il sito BBC presenta infatti
una serie particolarmente ampia di possibilità
e informazioni per l’inserimento in azienda,
la mobilità interna e le opportunità di
formazione, proponendosi come un vero e proprio portale specializzato nelle risorse
umane audiovisive.
Dalla sezione corporate del sito BBC (www.bbc.co.uk/info), è possibile accedere a
diverse sottosezioni dell’area “Working for the BBC”.
Con un solo click sulla prima di queste sezioni, “Jobs and work experience”
(www.bbc.co.uk/jobs), è possibile accedere alla classica parte di job-search, dalla
quale consultare le posizioni aperte, filtrabili per sede geografica, categoria
professionale o parola chiave. Le posizioni vacanti sono molto numerose, e ogni
annuncio presenta una descrizione dettagliata delle competenze necessarie e delle
mansioni previste.
È inoltre possibile, previa registrazione,
usufruire di un servizio di job alert via
e-mail, in grado di avvisare l’utente nel
momento in cui dovesse verificarsi l’apertura
di nuove posizioni, nel settore specifico che
l’utente avrà pre-selezionato, in modo da
ricevere esclusivamente gli avvisi di suo
interesse. Un servizio simile viene in genere
fornito solo dai siti web di cerca-lavoro, quindi
252
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F
appare particolarmente interessante la scelta della BBC di implementarlo
nel proprio sito. Questa scelta è indice di massima trasparenza e
apertura alle possibilità di carriera in azienda.
Interessante anche l’incentivazione fornita, tramite lo stesso sito web aziendale,
alla mobilità interna all’azienda: esiste infatti una modalità di registrazione alla
parte job del sito dedicata ai dipendenti BBC che volessero cambiare sede geografica
o area di lavoro. In questo modo è possibile, almeno in via teorica, organizzare una
certa rotazione delle risorse all’interno dell’azienda, seguendo le aspirazioni dei
dipendenti, oppure aumentare la possibilità di reperire internamente all’azienda
risorse necessarie a coprire posizioni vacanti.
Una parte della sezione Jobs è dedicata alle opportunità di stage interne all’azienda.
La ricchezza di offerte in questo settore è fattore di orgoglio per la BBC: nella pagina
campeggia in un banner l’affermazione “We invest more in broadcast training than
anyone else in U.K.”. Il sito web riflette questo interesse per il training fornendo
informazioni sui Career Days, spiegazioni dettagliate sulle mansioni ricercate e la
possibilità di inviare la propria candidatura per stage specifici in tutto il Regno Unito.
La sezione stage è divisa in numerose aree di interesse (dalla pubblicità all’area
writing, passando per risorse umane e distribuzione): le posizioni aperte sono
numerose e ben distribuite nelle varie sedi BBC del paese.
Un intero sito è dedicato a “Training and
development” (Formazione e Sviluppo)
(www.bbctraining.com), e raccoglie varie
opportunità di formazione.
Ci sono informazioni sui corsi per il settore
audiovisivo delle università britanniche o sui
Master in partnership con BBC; si può, inoltre,
iscriversi ad una newsletter informativa,
accedere a una raccolta di articoli ed inter
viste a professionisti del settore, ed altre
informazioni connesse alla formazione nel settore.
Una parte corposa del sito è dedicata ai corsi online di autoapprendimento, curati
dallo staff BBC e scaricabili gratuitamente dal sito. I corsi riguardano varie mansioni collegate all’attività radiofonica o televisiva, ai new media ed al giornalismo, e
253
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F
sono di due tipi: di base, e di specializzazione (per esempio sull’utilizzo
di tecniche di ripresa particolari).
Una terza area, infine, “New Talent”
(www.bbc.co.uk/newtalent) è dedicata alla
“scoperta di talenti”, e raccoglie le informazioni utili per partecipare ai vari concorsi
organizzati da BBC per tantissime categorie:
presentatori, film-makers, comici, ma anche
scrittori (quindi non solo per il cast artistico
ma anche per i “creativi” della produzione).
Si può essere premiati con consistenti contributi economici, opportunità di lavoro in
azienda o, in alcuni casi, con la possibilità di
proiettare il proprio prodotto audiovisivo (documentario, cortometraggio, animazione, ecc…) in tv o in festival. Anche questa sezione è fornita di interviste (ricche di
consigli pragmatici) a professionisti della rete, links utili e una sezione showreel,
dove vengono presentati i volti ed i prodotti dei vincitori delle passate edizioni.
254
09
INSERIMENTO LAVORATIVO
E PERCORSI DI CARRIERA
di Alessandra Alessandri
In questo capitolo seguiamo il cammino di un ipotetico lavoratore, che, dopo la
formazione e lo stage, si affaccia alle porte dell’azienda: elencheremo i criteri
di selezione citati dalle aziende intervistate, e i requisiti e le doti che gli stessi
lavoratori hanno individuato come indispensabili per una serena e lunga
permanenza nel settore. Affronteremo poi il tema dei sentieri di carriera e di
sviluppo, in un settore in cui anche aziende di medie dimensioni spesso non
hanno risorse dedicate alla gestione del personale. Un tema strettamente
correlato è quello della formazione continua, e degli strumenti utilizzati da
aziende e lavoratori per aggiornarsi e riqualificarsi: come vedremo, il problema
è più sentito dai lavoratori che dalle aziende.
Infine, affronteremo la nozione di “gruppo di lavoro”, analizzandone la stabilità
e la composizione, ed entrando in alcune questioni di fondo, come il conflitto
tra ragioni artistiche ed economiche.
Il Focus è dedicato al concetto di Diversity nella politica delle Risorse Umane di
due multinazionali, particolarmente attente alla composizione e alla
motivazione del proprio personale.
255
9.1 I criteri di selezione delle aziende
Sia nelle interviste ai rappresentanti delle aziende facenti parte del nostro panel,
sia nei focus group con i lavoratori, sono emersi vari “criteri di selezione”, varie
motivazioni che fanno propendere per la scelta di un candidato piuttosto che un
altro.
Alcuni criteri sono validi per tutte le mansioni in tutte le aziende, anche se
nell’audiovisivo assumono maggiore rilevanza:
• motivazione, entusiasmo, disponibilità, spirito di iniziativa, determinazione,
spirito di sacrificio: da evitare l’atteggiamento del “clockwatcher”, che conta
le ore di lavoro (che nei tempi frenetici delle produzioni arrivano spesso a
dodici), e che non vuole lavorare per turni e nelle festività (soprattutto nel
caso di alcune figure tecniche o giornalistiche).
“Io escludo subito le persone che mi chiedono se si lavora nel weekend, quali
sono gli orari, se ci sono i buoni pasto. Dico loro che forse hanno sbagliato lavoro”.
(Alessandro Tedeschi, Produttore Esecutivo Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
• flessibilità, sia rispetto all’accettazione di ulteriori mansioni, sia rispetto alla
relazione con le altre figure:
“[Chi vuole lavorare in Mediaset] deve essere una persona flessibile, con una
abilità relazionale fortissima, con una grande capacità di negoziazione:
esprimere autorevolezza aldilà del contenuto. Se metto al centro di un network
di relazioni, quale è l’azienda Mediaset, una persona che ama stare chiusa nel
suo ufficio a studiare, sicuramente non si troverà a suo agio: magari è il tecnico
più bravo del mondo, ma non è ideale per questa azienda, soprattutto in alcune
aree”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane RTI - Gruppo Mediaset,
intervista personale, 14/3/2006)
“Quando faccio io stessa colloqui, se non vedo persone flessibili, difficilmente
parteggio per tenerli. La flessibilità deve essere alla base: se non sei disposto
a cambiare i tuoi parametri, secondo me, difficilmente vai avanti”.
(Producer Casa di produzione, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)
• umiltà, disponibilità a ricoprire ruoli di basso livello nelle prime fasi d’ ingresso
al lavoro, anche dopo un curriculum studiorum molto lungo; chi inizia a
256
lavorare deve iniziare dal basso, dai primi step:
“Abbiamo la necessità di trovare persone umili. Sappiamo benissimo che la
maggior parte delle persone che viene qui, è laureata, masterizzata, ha fatto
corsi di specializzazione ulteriori, vuole fare l’autore, e tu magari gli chiedi di fare
il runner, di portare le cassette. Però è anche quella figura che ha la possibilità,
in realtà di vedere tutte le fasi della produzione. È il primo step formativo per
crescere in una produzione”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista
personale, 7/3/2006)
“Molti ragazzi arrivano con belle scuole e belle referenze nel curriculum, ma
poi, messi sul lato pratico, sanno fare poco. In Inghilterra funziona meglio: c’è
il concetto di partire dal basso, indipendentemente dalla scuola fatta. Uno
parte e fa il runner, dopo un anno diventa assistente di montaggio, e così via:
solo così capisce come è una produzione”.
(Mattias Brahammar, Facility Manager 3Zero2 TV, intervista personale,
20/4/2006)
“Non bisogna avere fretta, si deve iniziare dalla gavetta: se non sai fare, non
sai comandare”.
(Producer casa di produzione audiovisiva, focus group figure produttive,
5/5/2006)
• apertura mentale, culturale, linguistica, curiosità, disponibilità al nuovo:
“Per lavorare in questo mondo devi sapere chi è Sermonti, devi aver fatto un
rave in Svizzera, l’autostop in Marocco e devi essere stato in spiaggia a Rio de
Janeiro in tenda. Altrimenti sei monocorde e da te non nascerà mai niente,
accompagnerai sempre qualcun altro ma non proporrai mai nulla di nuovo”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
“Ci vuole apertura mentale. Conoscere altre culture e altre lingue”.
(Sales & Acquisitions Manager casa di produzione di intrattenimento, focus
group figure commerciali, 3/5/2006)
257
I criteri di selezione più specifici, che esulano dalle dimensioni di “saper essere”
sopra citate, ed entrano in quelle del “sapere” e del “saper fare”, sono
naturalmente dettati da numerosi parametri. Ad esempio, non c’è (e non potrebbe
esserci) una scelta univoca tra esperienza/specializzazione da una parte e
flessibilità/”tabula rasa” dall’altra. A far propendere per l’una o per l’altra, sono
ad esempio la mansione o il tipo di contratto di inserimento:
“Per i Tempi Determinati si preferiscono persone con esperienza; per i Tempi
Indeterminati, o si assumono persone che hanno maturato esperienza come T.D.,
oppure, se l’assunzione avviene attraverso selezione, non viene richiesta esperienza
professionale per l’ammissione: normalmente l’affiancamento e la formazione sono
sufficienti a creare professionalità eccellenti”.
(Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano RAI,
intervista personale, 20/3/2006)
A volte si dà la preferenza sia a persone con esperienza, sia a ragazzi che non ne
hanno alcuna…
“Il paradosso è che personalmente, o trovo persone totalmente formate che
coinvolgo come free lance, oppure preferisco prendere gente totalmente vergine, a
costo di incappare in scarsa professionalità pratica e costruirmi delle professionalità
in corso d’opera, rischiando di avere persone troppo junior”.
(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Prouzione, intervista personale,
24/2/2006)
…spesso con l’intento di mescolarli e creare percorsi di affiancamento:
“In generale le persone che seleziono devono essere specializzate e devono mostrare
entusiasmo. Devono essere utili per il lavoro che cerco e devono essere persone
motivate, queste sono le due caratteristiche principali. Siamo molto aperti ai giovani:
se vedo un gruppo di giovani che mi piace, provo ad investirci. Noi tra i 20 e i 25
anni abbiamo circa una ventina di persone, tra assistenti producer, assistenti
montatori e “videoclippari”. Tendenzialmente cerco di prendere gente molto brava
e gente molto junior, e abbinarli insieme, così uno stimola l’altro”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
258
9.2 L’inserimento in azienda
È interessante continuare a seguire l’iter professionale del lavoratore una volta
che sia riuscito ad inserirsi in un contesto lavorativo aziendale o comunque professionale, per valutare in particolare se questo contesto preveda o meno
momenti formalizzati di pianificazione di carriera o di formazione e aggiornamento.
9.2.1 I percorsi di carriera e di sviluppo
Proprio il criterio cui abbiamo accennato, di far lavorare insieme persone di diversa
seniority, con percorsi di affiancamento che consentano ai junior di crescere, è
una delle possibili soluzioni che le aziende dell’audiovisivo praticano spesso:
dato che la formazione, come si vedrà, è totalmente o quasi totalmente “on the
job” e informale, l’unico modo che un lavoratore ha di crescere è quello di fare
esperienza, affiancato, in modo più o meno strutturato, da un senior.
Certo i percorsi di affiancamento non sembrano strutturati né pensati con
consapevolezza da parte delle aziende, ma troppo spesso affidati al caso. Inoltre
i lavoratori percepiscono un’assenza di mobilità funzionale: la difficoltà di cambiare
ruolo una volta entrati in azienda, dopo essere stati “ingabbiati” in una posizione. Spesso nelle grandi aziende, come ad esempio le grandi emittenti, la collocazione
iniziale in una determinata area aziendale tende a rimanere fissa, anche perché
le aree stesse tendono a considerare le persone come “proprie” (dato che la
quantità delle Risorse Umane di ogni area è quasi sempre proporzionale al potere esercitabile da parte dei suoi responsabili).
“Nella grande azienda, appena si libera un posto della catena, vai a occupare quel
posto della catena, perché quando si apre un varco ti devi infilare dentro. Per la mia
esperienza, ti prendono se sai fare quello e punto. Scordati la carriera, scordati la
formazione [...] Il problema di una grande azienda è quello di essere divisa in tante
piccole realtà al suo interno, con ciascuna che difende il suo potere”.
(Project Coordinator Emittente televisiva, focus group figure crossmediali,
18/4/20006)
Viceversa le medie aziende, non essendo strutturate per poter dedicare un’attenzione
specifica al tema delle Risorse Umane, finiscono spesso per collocarle in modo
casuale e non farle crescere in uno spirito di job rotation: l’assegnazione delle
risorse ad una produzione piuttosto che ad un’altra, la collocazione in una
259
mansione piuttosto che in un’altra, non sembrano dipendere dalle competenze
attuali del lavoratore, né tanto meno da quelle potenziali, nell’ottica di un percorso
di sviluppo professionale:
“[Il problema è la] mancanza di mobilità all’interno del settore di competenza. Si
dovrebbe infatti avere la possibilità di seguire più aspetti di una produzione
audiovisiva per acquisire molteplici competenze”.
(Segretaria di edizione, casa di produzione, questionario lavoratori)
Naturalmente le aziende tendono a mantenere un lavoratore stabile nella sua
mansione per sfruttare la sua curva di esperienza, ma questo a lungo termine
può diventare poco stimolante e scarsamente “arricchente”:
“Naturalmente c’è un trade-off tra la capacità formativa del lavoro e la novità e la
mancanza di programmabilità delle attività svolte: se una persona svolge attività
altamente programmabili, impara una mansione, però non è detto che questo sia
formativo. A me, quando cambierò lavoro, piacerebbe fare un’altra cosa, completamente
nuova; quindi sicuramente riutilizzare le mie competenze, ma in una chiave diversa. È
chiaro che si fa una grossa fatica a cambiare, però è molto stimolante e divertente”.
(Marketing & sales manager, casa di produzione crossmediale, focus group figure
commerciali, 3/5/2006)
È quindi il lavoratore stesso a doversi far carico della sua crescita professionale, sia
per mobilità di funzione che di ambito produttivo, e a doversi costruire, rispetto alle
occasioni che individua sul suo cammino, un sentiero che allarghi le sue
competenze.
“Io la formazione me la pago da solo. Dal mio punto di vista l’aggiornamento
professionale del singolo deve essere fuori dall’azienda, perchè deve seguire sia le
evoluzioni del mercato, sia quelle che sono le sue motivazioni”.
(Project Manager Emittente televisiva, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)
260
Questo nonostante le aziende stesse, o perlomeno quelle più “consapevoli”,
riconoscano come importante un’esperienza variegata:
“Penso che scambiarsi le figure sia una cosa molto utile e interessante. Se uno
lavora un po’ da noi e un po’ da un’altra parte, un po’ in pubblicità e in po’ in tv, è
utile. Penso anche che un giovane, prima di prendere una strada decisa e delineata,
debba provare tre o quattro ambiti – fare produzione, montaggio, regia. Cosi poi è
molto più arricchito e funzionale. Quindi l’idea è provare, sia come genere che come
mansione, cose diverse”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
Certamente le aziende audiovisive, nel caso in cui diano luogo a forme di
mobilità, optano più frequentemente per percorsi di carriera “a spirale” (con diversi
spostamenti di ruoli e posizioni) o “transitori” (percorsi destrutturati, o non
definitivi, tra campi di attività), rispetto a percorsi “lineari” (verticali, di ascesa
gerarchica nell’ambito della stessa funzione); questo è tipico delle organizzazioni
flessibili e poco strutturate (Pilati, Tosi 2000). La destrutturazione è naturalmente
più elevata nei produttori rispetto agli editori, nelle piccole e medie imprese
rispetto alle grandi, nelle aziende italiane rispetto a quelle multinazionali.
I percorsi di carriera sono visti dai lavoratori come arbitrari e discrezionali:
soprattutto nelle figure artistiche, dalla prestazione difficilmente misurabile, la
valutazione della risorsa umana, e conseguentemente la sua retribuzione e la sua
carriera, non sembrano rispondere a principi di meritocrazia.
“È un mondo dove nei reparti autoriali e produttivi non c’è professionalità, a
differenza del reparto tecnico. La meritocrazia non esiste e il raggiungimento di
talune posizioni autoriali segue illogici percorsi, tipici del modus italicus”.
(Redattore, questionario lavoratori)
È chiaro che in contesti dinamici e ad elevata componente “culturale”, un criterio di
crescita standardizzato e oggettivo come quello dell’anzianità non può
facilmente essere seguito; e quindi si propende per un criterio di merito che risulta,
d’altronde, difficilmente oggettivabile.
Più ancora che inadeguate, o drammaticamente diminuite negli anni (nei questionari
si parla frequentemente di “crollo vertiginoso dei compensi” e di “sfruttamento
non retribuito”), le retribuzioni appaiono quindi scarsamente eque, per colpa di
261
politiche poco consapevoli o addirittura eccessivamente discrezionali:
“Il problema fondamentale è l’eccessiva disparità di trattamento economico tra figure
limitrofe: ad esempio tra un autore e un redattore, che svolgono spesso lavori quasi
uguali, ma retribuiti in modo molto diverso”.
(Redattore, questionario lavoratori)
Il problema è che sia i lavoratori delle grandi aziende che quelli delle piccole, sia
gli addetti delle emittenti sia quelli delle case di produzione, lamentano una scarsa
attenzione in generale al tema delle Risorse Umane. Molti lavoratori hanno risposto
in questo modo alla domanda su quale fosse “LA” criticità più rilevante del settore:
“Totale mancanza di disponibilità a formare o comunque investire sulle risorse umane”.
(Quadro, questionario lavoratori)
“Scarsità o assenza di investimenti da parte delle aziende nella formazione del
personale e nella Ricerca&Sviluppo”.
(Telereporter, questionario lavoratori)
“In quella che dovrebbe essere l’azienda leader, non esiste alcuna progettualità nei
confronti dei dipendenti: si entra in un modo e in quello si rimane, a meno che non
intervengano aiuti di varia natura”.
(Ispettore di produzione RAI, questionario lavoratori)
I lavoratori che dipendono da responsabili con questa sensibilità e attenzione si
sentono delle eccezioni.
“Mi sento una privilegiata perché ho un capo che ha lungimiranza e passione. Se
hai la fortuna di avere un buon datore di lavoro, che investe nella tua formazione,
allora puoi pensare di crescere”.
(Producer casa di produzione crossmediale, focus group figure crossmediali,
18/42006)
Certamente i percorsi professionali, sia per quanto riguarda l’approdo iniziale, sia
per quanto riguarda la crescita successiva, non possono in questo settore essere
pianificati in maniera scientifica: i percorsi di carriera personali di molti imprenditori
intervistati stanno a testimoniare una casualità quasi assoluta, uno sviluppo
262
spesso random, non programmabile per sua stessa natura:
“Non credo che esista una strada che si possa indicare come quella da percorrere.
Io vengo da mille esperienze diverse: prima di aprire la mia società [di distribuzione,
ndr] ho fatto la radio, il copywriter, l’autore e il regista, il produttore... Un percorso
caotico, come quello di tanti altri - si arriva a questo mestiere per caso”.
(Dario Barone, General Manager C.D.I., intervista personale, 27/2/2006)
Per le risorse artistiche, ad esempio quelle autoriali, il problema di uno scarso
ricambio generazionale ha una ricaduta immediata e diretta sulla qualità del prodotto 1...
“In televisione gli autori sono sempre gli stessi, c’è una certa staticità dei gruppi
autoriali, date le alte barriere all’ingresso e la concentrazione dei talenti. Il risultato
è quello di una scarsa innovazione”.
(Dario Rodino, Vice President Production & Operations Walt Disney Television Italia,
intervista personale, 7/4/2006)
“Forse ci vorebbero risorse che selezionino nuovi autori. Ma in questo settore ti fidi
delle certezze, non vorresti cambiare. Preferisci sempre quelli con cui ti sei già trovato”.
(Nanni Mandelli, Produttore esecutivo, intervista personale, 9/3/2006)
... e anche a livello manageriale le cose non sembrano migliorare:
“La RAI ha un serio problema di ricambio generazionale: ci sono pochi capistruttura e pochi produttori esecutivi veramente qualificati, l’età media di queste persone
è piuttosto elevata e dietro di loro ci sono pochi ricambi. A Mediaset la situazione
è migliore, ma è vero che l’azienda ha subito l’uscita di parecchia gente che è andata via. In un mercato che è rimasto compresso per tanto tempo - sostanzialmente
perchè RAI e Mediaset hanno monopolizzato il mercato - ci sono state delle crescite interne e poi delle fuoriuscite dalle stesse aziende”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
La valutazione delle posizioni è poco praticata in questo settore, ed elevatissima
risulta essere la variabilità di giudizio su di una risorsa a seconda di molteplici
1
Ancora una volta introduciamo il confronto con il settore pubblicitario, in cui per assicurare un ricambio e una
continua ricerca di nomi nuovi, è addirittura prevista la figura professionale del “ricerca registi”, che fa esclusivamente scouting di nuovi talenti.
263
fattori, quali l’organizzazione in cui è inserito, la tipologia di prodotto e processo
a cui lavora, lo stile direzionale dei propri responsabili e così via.
9.2.2 La struttura “Human Resources”
nelle aziende audiovisive
Una considerazione, trasversale ai problemi di placement e recruitment fin qui
accennati, nonché ai problemi di formazione aziendale (di cui parleremo tra poco),
merita speciale attenzione: moltissime aziende del nostro campione non sono
strutturate per avere al proprio interno non diciamo una Direzione Risorse Umane,
ma neppure un addetto prevalentemente dedicato alle Risorse Umane 2.
Certamente, stiamo parlando di un settore eterogeneo, che conta grandi aziende
(i 10.000 dipendenti RAI, i 4.600 Mediaset, su base nazionale), medie imprese
(i 300 di MTV Italia, i 260 addetti complessivi di Magnolia), piccole aziende, ditte
individuali (decine di documentaristi “one man company”, ad esempio) e cooperative 3.
Fatta questa premessa, dobbiamo dire che una vera e propria Direzione del
Personale o HR (Human Resources) è presente solo nelle grandi e medie emittenti
(Mediaset, Sky, MTV, Disney…); ma, ad esempio, non nel Centro Produzioni RAI di
Milano, in cui a presidiare le 600 risorse (delle 830 totali) impegnate nella
produzione tv, c’è un rappresentante della Direzione Produzioni. E nemmeno nelle
emittenti a copertura pluriregionale, come ad esempio Telenova (50 addetti); o
nelle grandi case di produzione, come Film Master e Magnolia, in cui alle decine
(nel caso di Film Master) o alla decina di persone (nel caso di Magnolia) assunte a
tempo indeterminato si aggiungono centinaia di collaboratori, che lavorano a
progetto sulle singole produzioni. In questi casi ad occuparsi delle Risorse Umane
è, solitamente, il responsabile dell’Amministrazione, che naturalmente curerà gli
aspetti contrattuali e formali del lavoratore; ma non entrerà nel merito della sua
selezione, della sua assegnazione (ad una produzione piuttosto che ad un’altra),
2
3
Questo è il motivo per cui nella nostra ricerca non è stato in molti casi semplice identificare gli interlocutori a
cui chiedere la compilazione del questionario o l’intervista: se nelle aziende di una certa dimensione era
possibile rivolgersi a una Direzione del Personale, nelle altre la funzione era ricoperta dai responsabili della
produzione, della programmazione, dagli imprenditori titolari, o addirittura dai singoli produttori.
Una delle case di produzione che facevano parte del nostro panel è una cooperativa: Metamorphosi. Tutte le
nove persone che vi lavorano sono soci: un produttore esecutivo, un regista, tre montatori, due direttori della
fotografia, un operatore e un’assistente. La cooperativa, in quanto struttura democratica plurale, viene
considerata il “soggetto” che prende le decisioni sui progetti, il vero “produttore”.
264
né tanto meno del suo percorso di sviluppo.
Il tasso di strutturazione è medio-alto nelle imprese di elevate dimensioni (di
addetti e fatturato), e soprattutto nei contesti internazionali, o comunque dove la
televisione sia una componente di un gruppo editoriale piu’ complesso (ad esempio
i 35 Tempi Indeterminati di Disney Channel fanno riferimento ad una Direzione HR
di gruppo); mentre nelle piccole e medie imprese (comprese quelle che fatturano
più di 10 milioni di Euro l’anno) questo tasso è ridotto o inesistente. Come abbiamo
visto, i responsabili di settore o i produttori dei singoli programmi tendono a una
sorta di “autogestione”, cercando di sopperire alla mancanza di una funzione HR
centralizzata:
“Non saprei, sei talmente di corsa che non hai tempo di chiederti se sia un bene o no…
Parlandoci tra noi produttori riusciamo a capire quello di cui ha bisogno un collega
per la sua singola produzione. Ad esempio parlando con un collega che ha bisogno
di un runner, gliene segnalo uno con cui mi sono trovata bene. Facciamo autogestione delle Risorse Umane”.
(Cristiana Molinero, Produttore Esecutivo Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)
9.2.3 La formazione in azienda
Uno dei temi connessi all’inserimento lavorativo è quello della formazione continua.
La situazione della formazione aziendale è naturalmente molto diversa se
consideriamo i grandi editori oppure le piccole e medie case di produzione.
Un’azienda con un ventaglio molto ampio di iniziative di formazione è, ad esempio,
Mediaset. La formazione non è solo intesa come addestramento tecnico,
aggiornamento e sviluppo di abilità specifiche (ad esempio, per i dipendenti
dell’area commerciale), ma anche come sviluppo di quadri (seminari su
“Relazione e comunicazione”, “Problem setting, problem solving e decision
making”, “La leadership e il project management”) e dirigenti (partecipazione a
master e iniziative esterne interaziendali; e offerta di percorsi formativi, realizzati
internamente, finalizzati allo sviluppo delle caratteristiche manageriali distintive
dell’azienda), e anche come formazione culturale più ampia. Citiamo ad esempio
l’iniziativa “Scenari paralleli”: incontri su temi vicini al business aziendale o
innovativi, “con l’obiettivo di stimolare la curiosità intellettuale, ampiezza di visione
e capacità di innovare” 4.
265
Per quanto riguarda RAI, o, per meglio dire, per quanto riguarda il centro di
produzione RAI di Milano 5, non sembra esserci una visione altrettanto strategica
e articolata. A parte corsi sulle competenze di base (corsi on line di lingua, e corsi
di informatica), e su tematiche specifiche (in particolare sulla sicurezza), l’offerta
è mirata alla riqualificazione professionale (spesso con docenti interni), in termini
di corsi tecnici di addestramento (in genere connessi all’acquisto di nuove
apparecchiature). 6
Esplicite richieste di massicci interventi di riqualificazione sono state invece formulate dai sindacati 7, che sottolineano la carenza di iniziative di tal senso:
“La formazione in azienda è quasi del tutto scomparsa. Dato che la priorità è il
contenimento del costo del lavoro, tutti i lavoratori sono sempre impiegati nelle
produzioni e quindi non c’è il tempo di formarli; la formazione rimane a carico del
lavoratore... Il sindacato aveva richiesto formazione per gli autori, ma oggi è scarso
persino l’addestramento tecnico”.
(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)
Nelle case di produzione è assolutamente eccezionale il ricorso a iniziative di
formazione per i dipendenti (tanto più per i collaboratori occasionali). Le uniche
iniziative sono presenti in contesti ad alto tasso di innovazione, come quello dei
new media…
“Le nostre risorse chiave partecipano a workshop, seminari, forum internazionali,
dove ci si confronta con le esperienze e le scelte fatte nei Paesi esteri, in cui il Video
On Demand è un settore di punta. Sono iniziative coordinate e pagate dall’azienda”.
(Paolo Agostinelli, Head of Media & TV Fastweb, intervista personale, 2/5/2006)
4
5
6
7
Altre iniziative di formazione sono mirate agli esterni dell’azienda, come ad esempio il Laboratorio Contenuti
RTI, gestito a Roma da Maurizio Costanzo in partnership con La Sapienza; o la collaborazione con Iulm, con cui
Mediaset ha fondato il consorzio Campus Multimedia In.formazione, che organizza tre Master (Master in
giornalismo, Master in management multimediale, Master in investor relations and financial analysis). In
passato nella sede di Cologno Monzese sono stati organizzati corsi per autori, sempre riservati ad esterni, che
hanno consentito di immettere nuove leve all’interno delle redazioni.
Ricordiamo che, data la nostra focalizzazione sulla Regione lombarda, citiamo la situazione relativa al Centro di
produzione RAI di Milano: questa naturalmente non esaurisce l’offerta formativa dell’azienda, ma fotografa
comunque la situazione locale. Il Bilancio RAI 2004, sul tema formazione, a livello ovviamente nazionale,
annotava: “Nelle aree più vicine al core business aziendale, si segnalano corsi a supporto dell’introduzione della
Televisione Digitale Terrestre e sull’uso delle telecamere digitali, il seminario sul tema “Tv e minori” , nonché la
conclusione della didattica del Master biennale per autori Tv [per esterni, ndr].
Cfr. Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano, intervista personale 20/3/2006.
“Il recupero della dignità di tutte le professionalità editoriali, largamente schiacciate da realtà esterne malgestite
e da ruoli interni regolati da altri contratti, deve passare inanzitutto attraverso specifici corsi di aggiornamento,
che permettano una reale riqualificazione”. Comunicato CGIL SIC del maggio 2006.
266
… oppure finalizzate all’addestramento tecnico e all’utilizzo di nuovi software…
“Quasi mai all’interno delle società di produzione ci sono corsi di aggiornamento
specifici; a meno che non sia un corso tecnico, che rientri nei nostri interessi. Nel
settore dei servizi c’è un turnover tecnologico che ci obbliga a fare formazione tecnica”.
(Uberto Rasini, Direttore Generale 3Zero2 TV, intervista personale, 17/3/2006)
E in effetti quelle tecniche sono le figure segnalate dalle aziende come più
bisognose di interventi 8 di aggiornamento; il che fa intuire come la formazione
aziendale sia identificata più con l’“addestramento” che con un completamento
manageriale o “culturale”.
Le aziende stesse e i lavoratori hanno risposto al nostro questionario indicando
la formazione sul luogo di lavoro (presumibilmente non strutturata, intesa come
“training on the job”) e l’aggiornamento personale, tramite lettura di riviste di
settore e partecipazione a convegni, come le due forme prevalenti di formazione
continua.
Le più praticate iniziative di formazione continua*
40
37%
37%
35
percentuali
30
27%
25
20%
20
15
16%
13%
15%
12%
10
5%
5
3%
4%
1%
0
Formazione sul
luogo di lavoro
Aggiornamento
personale
(riviste di settore
convegni)
Seminari e
corsi esterni
Nessuno
Viaggi studio,
visite presso aziende
del settore
Altro
caratteristiche
aziende
lavoratori
*domanda a risposta multipla
Fonte: Labmedia, 2006 (su 127 aziende e 100 lavoratori)
8
Seguono, nelle pur scarne citazioni spontanee delle aziende, le figure di produzione e quelle di amministrazione.
267
Interessante comunque notare come le aziende sovrastimino - rispetto alla
percezione dei lavoratori - la formazione sul luogo di lavoro: evidentemente le
aziende considerano “formazione” anche quanto i lavoratori classificano come
“lavoro” tout court.
Le iniziative più strutturate (come, ad esempio, seminari e corsi esterni, o viaggi
studio e visite) sono invece poco praticate: nel primo caso dal 16% delle aziende
e dal 20% dei lavoratori, nel secondo solo dal 12% delle aziende e dal 15% dei
lavoratori. Una percentuale non insignificante (il 12% delle aziende e il 15% dei
lavoratori) ammette di non svolgere/accedere ad alcuna iniziativa formativa. Più
di metà dei lavoratori sostiene di auto-finanziarsi la formazione completamente
(48%) o prevalentemente (10%); nel 30% dei casi, l’azienda si accolla l’onere di
iniziative di formazione in qualche misura; o nel 12% dei casi, sono finanziate alla
pari da lavoratore e azienda.
Ancora più interessante quantificare come aziende e lavoratori valutino l’esigenza
di “aggiornamento” (all’interno della stessa mansione), “riqualificazione” (per
mutare mansione all’interno del settore) o “riconversione” (per mutare settore
lavorativo). Le aziende non ritengono ci sia un problema di riqualificazione delle
loro risorse: alla domanda se ci fossero nei loro organici figure bisognose di
aggiornamento, riqualificazione o riconversione professionale, otto su dieci (79%)
hanno risposto negativamente. Viceversa, i lavoratori hanno tutti risposto
affermativamente, vuoi in termini di aggiornamento (51%), di riqualificazione
(33%), o addirittura di riconversione (16%).
9.3 I gruppi di lavoro:
stabilità e composizione
Interessante anche analizzare la strutturazione, e soprattutto la stabilità,
dei gruppi di lavoro in produzione.
Ripetiamo che, nel caso dell’audiovisivo, si tratta quasi esclusivamente di forme
organizzative che seguono il modello “organico” più che quello “meccanico”:
organizzazioni cioè in cui è quasi impossibile avere strutture gerarchiche ben
definite, mansioni precise, comunicazioni verticistiche; e in cui predomina uno
schema di lavoro per progetto (Pilati-Tosi 2000).
Anche le grandi aziende, con Direzioni HR strutturate, non utilizzano o comunque
268
non rendono noti gli organigrammi, considerandoli elementi di rigidità:
“Questo è un mondo abbastanza chiuso con logiche culturali specifiche e molto
diverse da quelle di una multinazionale [...] Mediaset ha mantenuto la cultura e
l’imprinting imprenditoriale, con maggiore autonomia dei singoli, meno procedure,
zero organigrammi”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane, Gruppo Mediaset, intervista
personale, 14/3/2006)
Certo, organigrammi precisi, che, oltre ad essere elementi di rigidità, avrebbero
anche una valenza positiva di trasparenza organizzativa, risultano di difficile
applicazione in realtà poco standardizzate come quelle produttive. Ciò è ancora
più vero per realtà di dimensioni ridotte, come le piccole case di produzione, dove
tutto è incentrato sulla personalità del titolare.
Nelle appendici al nostro volume sono riportati alcuni organigrammi produttivi
tipo, naturalmente indicativi, da leggere in rapporto alle descrizioni dei profili
professionali, per comprenderne le interrelazioni, a volte molto complesse 9.
Facciamo presente che gli organigrammi non sono stati quasi mai forniti
direttamente dalle aziende, come uno strumento di organizzazione abitualmente
utilizzato all’interno, ma sono stati - aggiungeremmo, faticosamente - ricostruiti
grazie ad un lavoro di ipotesi desk, confrontato con le aziende stesse in sede di
intervista, sollecitando uno sforzo di sistematicità.
In alcuni casi le aziende non hanno voluto fornire alcun elemento per la ricostruzione
dell’organigramma o non ne hanno autorizzato la pubblicazione; il che conferma
quanto sia scarsa la trasparenza organizzativa (anzi la pubblicazione é stata
considerata possibile fonte di polemiche e rivendicazioni interne…).
Dedicandoci all’analisi dell’unità produttiva minima (ad esempio il singolo
programma prodotto) e tralasciando gli staff aziendali, abbiamo descritto diversi
9
10
Sono indicate con una linea continua le relazioni gerarchiche tra una figura e l’altra, con una linea tratteggiata
le relazioni funzionali. Ad esempio, la troupe tecnica dipende gerarchicamente dal direttore di produzione, ma
funzionalmente dal regista.
Nella nostra ricerca ci siamo concentrati sull’organizzazione della catena produttiva, più che dell’azienda: per
una riflessione sui modelli organizzativi di una grande azienda come RAI (per generi o per media), cfr. ad esempio
Parascandolo, 2004-2005.
269
organigrammi produttivi tipo 10, che ritroviamo in appendice, validati dalle singole
aziende citate (ma considerati anche rappresentativi per il loro genere/settore) o
dalle associazioni di categoria relative:
• delle produzioni di intrattenimento Mediaset (nel caso dell’autoproduzione);
• delle produzioni di news e sport Mediaset;
• di una produzione di intrattenimento di una casa di produzione indipendente
(caso Magnolia);
• di uno spot pubblicitario;
• di un documentario di medio budget;
• di due fiction di media serialità (l’esempio è riferito ad una sitcom Grundy 11)
12
e di lunga serialità (l’esempio è di una soap opera Mediavivere ), confrontate
ad una di breve serialità (una miniserie o una coproduzione internazionale);
• di una casa di produzione crossmediale (il caso Neonetwork).
La complessità aumenterebbe esponenzialmente se si volessero registrare i
rapporti con l’esterno dell’azienda (ad esempio le figure, spesso duplicate,
dell’emittente e della casa di produzione, nel caso di una coproduzione); e quindi,
per esigenze di leggibilità, ci siamo limitati a delineare i casi di produzione o
totalmente realizzata in house dalle emittenti, o consegnata “chiavi in mano”
dalla casa di produzione.
Interessante passare ad analizzare la stabilità o meno dei gruppi di lavoro.
Essendo, come si diceva, l’organizzazione produttiva basata sui progetti, quasi
sempre si tratta di gruppi creati ad hoc per una singola produzione, che dura
mediamente alcuni mesi (dalle poche settimane di uno spot ai molti mesi, o addirittura anni, di una soap opera; cfr. capitolo 1). La scarsa generalizzabilità dei
modelli organizzativi è dettata proprio dall’unicità del prodotto di volta in volta
realizzato, come in campo cinematografico: “ogni film rappresenta il risultato
unico di un processo produttivo di alto valore aggiunto e, quindi, un prodotto ad
alto contenuto di lavoro specializzato e scarsamente standardizzabile”.
(Montanari - Usai in Salvemini 2002). Questo non esclude la possibilità di formare
relazioni tendenzialmente stabili, se non permanenti, almeno tra alcuni
componenti del gruppo di lavoro. La squadra creativa è infatti caratterizzata da
11
12
Ricordiamo che Grundy ha prodotto o coprodotto alcune sitcom italiane “storiche”, come ad esempio “Casa
Vianello”.
Ricordiamo che Mediavivere, joint venture Mediaset - Endemol, produce le soap “Vivere” e “Cento Vetrine”.
270
un’elevata interdipendenza: nonostante il processo produttivo cinematografico,
dalla fine dello Studio System in poi 13, sia caratterizzato dalla costituzione di gruppi
di lavoro assemblati per la durata del singolo film, è possibile, ad esempio,
riscontrare la presenza di reti di “relazioni diadiche tendenzialmente stabili”, che
uniscono regista e sceneggiatore o regista e direttore della fotografia (cfr.
Montanari - Usai in Salvemini 2002). Questa sorta di “clan” hanno il vantaggio di
incrementare l’efficienza, facilitando la comunicazione, il linguaggio comune e la
fiducia reciproca; secondo la teoria del capitale sociale, la connessione di
individui garantisce prestazioni superiori alla media. Molti prodotti televisivi di
successo e di qualità sono stati partoriti da gruppi, riuniti da un capoprogetto, che
ne è stato per anni l’elemento coagulante e stabile. 14
Inoltre una garanzia di stabilità permette di ridurre la percezione di precarietà,
soprattutto ai livelli inferiori della catena produttiva (quelli che non hanno ancora
continuità di lavoro stabile):
“Siamo noi stessi produttori che cerchiamo di mantenere lo stesso gruppo. Ho
persone che lavorano con me da anni, ed è giusto che dia loro una certa continuità,
quindi me le carico in budget fin dall’inizio della produzione”.
(Cristiana Molinero, Produttore Esecutivo Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)
Certo la stabilità dei legami, e quindi la possibilità di far crescere le persone,
dipende anche dalla durata della produzione:
“La possibilità di far crescere le persone dipende dalla durata della produzione. In
produzioni di lunga durata, come è stato per “Camera Cafè”, o per “L’eredità”, che
dura da quattro anni, è facile far crescere qualcuno: hai la possibilità di portarlo
13
14
In realtà la storia dell’industria cinematografica americana è articolabile in diverse fasi, in cui il ruolo del
regista e del produttore si intersecano: 1) Director System (1907-1909), di stampo teatrale, in cui il regista è
coordinatore di diversi input creativi e tecnici; 2) Director Unit System (1909-1914), in cui i registi sono a capo
di unità tecniche permanenti; 3) Central producer System (1914-1939 circa): in cui il produttore diventa il coor
dinatore e il responsabile della produzione, a monte e a valle della fase di ripresa , coordinata dal regista; 4)
Producer Unit system (1930-1940 circa): il producer diventa coordinatore di una unità produttiva, che produce
6-8 film all’anno; 5) Package Unit system (dal 1940 ad oggi), fondata su un’organizzazione per progetti singoli
e relazioni a breve termine. Cfr. Perretti Negro 2003.
Tra i numerosi gruppi creativi in televisione ci limitiamo a citare quattro esempi: il team di Antonio Ricci di
“Striscia la notizia” (attivo da diciotto anni), quello di Enrico Ghezzi e Marco Giusti di “Blob” e “Fuori orario” (da
diciassette anni), quello già citato di Milena Gabanelli in “Report” (da dodici anni), e quello di Davide Parenti de
“Le iene” (da nove anni).
271
avanti su una produzione, di farlo crescere, di formarlo. Le produzioni lunghe in un
certo senso, fanno da bacino per tutte le altre. Quando le produzioni durano 2-3
mesi, è più difficile permettere ad una persona di farsi strada, soprattutto perchè
non hai modo di testarla. Comunque, anche se una produzione dura mediamente
dai 3 ai 5 mesi, cerchiamo di garantire una continuità lavorativa di 10 mesi”.
(Alessandro Tedeschi, Produttore Esecutivo Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
Nello stesso tempo, la tendenza a mantenere stabilità all’interno dei gruppi di
lavoro creativi è antitetica all’innovazione, e presenta il rischio di una chiusura
cognitiva. 15
Abbiamo già citato le affermazioni degli intervistati sulla tendenza a far lavorare
sempre gli stessi nomi che “fanno il mercato”, come apparente garanzia di
successo, e sulla tendenza alla staticità dei gruppi autoriali, le cui barriere
all’ingresso hanno l’effetto di produrre una omogeneizzazione dei prodotti, e quindi
una scarsa innovazione. La soluzione sembra essere, quindi, la costituzione di reti
aperte, caratterizzate da team tendenzialmente stabili, in cui sia però previsto un
periodico inserimento di risorse fresche, rinnovandone alcuni membri.
Il parametro dell’età sembra essere un primo fattore, soprattutto in contesti ad
alto tasso di innovazione e creatività:
“L’organico di MTV Italia è cresciuto negli ultimi anni (ad oggi vi lavorano più di 300
persone), in linea con lo sviluppo del numero di canali. Nella primavera del 2005
sono infatti nati due nuovi canali satellitari: Nickelodeon, rivolto al mondo dei ragazzi,
e Paramount Comedy, dedicato all’intrattenimento; ma MTV Italia è rimasta
un’azienda molto giovane: l’età media delle persone che vi lavorano è di 26-28
anni. Nonostante il recente inserimento di professionalità più consolidate stia
portando ad un suo progressivo livellamento, questo dato rimane certamente ben
al di sotto della media delle aziende, anche del settore”.
(Cristina Lippi, responsabile Risorse Umane MTV Italia, intervista, 30/3/2006)
“Siamo aperti ai giovani, li cerchiamo. Ovvio che le reti lo siano molto meno, loro
sono sulla difensiva”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master, intervista personale,
28/3/2006)
15
“La ricerca di una buona prestazione artistica - task caratterizzato da un maggiore grado di innovazione pare risentire negativamente della presenza di legami forti tra i membri del team” (Montanari - Usai in Salvemini
2002).
272
All’interno di un discorso di “apertura”, oltre a un parametro di rotazione delle
risorse e a un parametro di età, vi è anche un parametro di internazionalizzazione:
alcune aziende auspicano addirittura una certa quota di risorse di nazionalità
diverse da quella della squadra di origine.
“È un vero peccato che la televisione non sia un crogiuolo di razze, di meccanismi
creativi. Io penso che dovrebbe essere obbligatorio per una rete televisiva, ad esempio,
avere il 10% di organico di extracomunitari. Una grande lezione che ho appreso qui
in Film Master, è che qui si è sempre respirata un’atmosfera multiculturale. Qui si
parlano almeno due, tre lingue. Anche gli eventi ti spingono in un’ottica internazionale:
nei prossimi mesi abbiamo eventi a Mosca, nel Dubai, a Pechino, a Las Vegas (dove
siamo in gara con il Cinque du Soleil) e a Vancouver. È normale che ci sia lo stagista
tedesco, la regista scandinava, il direttore della fotografia greco; è normale che ci
sia questo scambio”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
In realtà il parametro età e il parametro dell’internazionalizzazione si intrecciano
strettamente:
“Il mondo televisivo italiano è un mondo costretto da prigioni territoriali e linguistiche.
È una cosa generazionale. È ovvio che generazionalmente le persone sopra i 35-40
anni sono abituate a parlare italiano, fanno fatica a cambiare. Spetta ai ragazzi
giovani non sentire queste barriere, non avere questo limite: devi andare a Monaco
di Baviera come vai a Roma, come vai a Parigi. Solo mescolando e misurando si
possono fare cose nuove e innovative. [...] Penso che dovrebbe essere obbligatorio
per un autore e chiunque lavori in televisione fare un anno all’estero come formazione. [...] Alle Olimpiadi avevo un gruppo creativo di 16 persone: francesi, australiani, italiani, americani, inglesi e tedeschi. E c’era la voglia di fare creatività, avendo la guida di una regia italiana ma nello stesso tempo mischiando punti di vista
diversi. Questo secondo me è quello che manca: è raro vedere uno straniero a
Cologno Monzese”.
(Marco Balich, Amministratore delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
È proprio il più ampio concetto di “diversity”, a cui abbiamo dedicato il Focus di
questo capitolo, che connota la politica delle multinazionali più creative e innovative.
273
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U
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F
La “Diversity” nella politica HR.
I casi 3M e Xerox
Sul tema della “diversity” come elemento fondamentale della politica delle
Risorse Umane, abbiamo scelto due casi di aziende, che ne fanno uno degli
elementi chiave di successo e che lo citano esplicitamente come tale nella propria
comunicazione istituzionale. Al di là di certi accenti propagandistici “all’americana”,
riteniamo infatti che porre l’accento su questi fattori, oltretutto in aziende non di
comunicazione, sia un significativo benchmark anche per le nostre più piccole
imprese di comunicazione.
Un primo esempio é la multinazionale Xerox. Leggiamo sul suo sito istituzionale
alcune premesse alla politica di gestione dei suoi 65.000 dipendenti:
“Xerox offre ai suoi clienti una gamma di prodotti e servizi innovativi. Il nostro
obiettivo è di aiutarli a trovare un modo sempre più efficace per ottimizzare le loro
potenzialità lavorative. La Xerox è in grado di conseguire questo obiettivo in quanto si
trova costantemente all’avanguardia nelle tecnologie, nei prodotti e nei servizi per
la gestione dei documenti, migliorando così i processi lavorativi e i risultati aziendali.
Per perseguire il nostro scopo dobbiamo innanzitutto assicurare che la Xerox stessa
offra un ambiente di lavoro ottimale; altrimenti non riusciremmo ad attirare e a
trattenere persone di grande talento, con spirito di iniziativa e di ampie vedute”
Queste le parole del suo Chairman e CEO Anne M. Mulcahy, a proposito di Diversity:
“Sono convinta che la Diversity rappresenti una chiave per il successo. L’esperienza
ci insegna che le aziende più diversificate, quelle dominate dall’immaginazione e
popolate da personale di tutte le età, razze e culture diverse si affermano nel
tempo e raggiungono un maggiore successo… la Diversity genera creatività. Forse
perché le persone di provenienze diverse sono maggiormente propense a mettere
vicendevolmente in discussione i luoghi comuni, liberandoci dalle abitudini e
dall’ortodossia”. (cfr. www.xerox.com)
Un’altra azienda che fa della creatività e dell’innovazione la propria ragion d’essere è
3M: si tratta di una multinazionale attiva in molti mercati differenti (dall’architettura
274
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alle arti grafiche, dalla salute al tempo libero, dalla sicurezza alla
didattica), presente con filiali in 60 Paesi e che vende in 200: produce 50.000 prodotti su 30 piattaforme tecnologiche diverse (i più popolari dei quali sono Scotch e Post-it), e fattura 21 miliardi di dollari.
Uno dei suoi “claim” è “Be a company employees are proud to be part of“:
essere un’azienda di cui i 69.000 dipendenti (33.000 negli Usa, 36.000 negli
altri Paesi) siano orgogliosi di far parte. Leggiamo nel sito corporate di 3M, che addirittura dedica un’ intera directory al tema della Diversity (www.3m.com/about3m/diversity):
”Valorizzare la nostra unicità rispettando le nostre differenze, massimizzando il
nostro potenziale individuale, mettendo in sinergia i nostri talenti collettivi e le
nostre esperienze, per la crescita e il successo dell’azienda... Diversity non è solo
uno slogan in 3M, è una parte importante del nostro mondo. Come azienda
internazionale, lavorare con un eterogeneo gruppo di colleghi è parte dell’esperienza
3M. I nostri clienti dipendendone da noi per la distribuzione di prodotti innovativi
per il lavoro e la casa. Noi dipendiamo dalle idee e dai talenti della nostra
diversificata forza lavoro per offrirli”.
“La nostra forza lavoro diversificata è il cuore della nostra forza e dei nostri valori.
Le nostre differenze sono in grado di farci diventare un’azienda più forte… Noi
cerchiamo i migliori e più brillanti collaboratori con un’ampia gamma di competenze
e esperienze per far crescere la nostra azienda. La nostra forza lavoro rispecchia la
diversità delle comunità globali in cui gli impiegati 3M vivono e lavorano”.
Contare su diversi backgroud, culture ed esperienze eleva le prestazioni, anche
perché ricerche citate da Xerox hanno dimostrato che i dipendenti preferiscono
lavorare in “culture inclusive”: quindi “offrendo questo tipo di contesto siamo in
grado di attrarre e mantenere i migliori talenti, riducendo il costo del turnover”.
Diversità non significa solamente “internazionalizzazione”: un apposito Comitato,
HRACD, Human Resources Advisory Committee on Diversity, e una figura full time
di Diversity Manager, assicurano che siano supportate le minoranze femminili e
etniche (afroamericani, indoamericani, ispanico-latini), sia con corsi di formazione,
sia con programmi mirati a identificare e sviluppare i talenti, o mirati ad accelerare i
processi di leadership di selezionati giovani manager (ad esempio l’Accelerated
Leadership Development Program). Tali politiche “aiutano a tenere l’azienda fresca
e aperta a innovativi modi di fare business”.
275
S
U
C
O
F
276
10
TEMI DI SFONDO
di Alessandra Alessandri
In quest’ultimo capitolo sintetizziamo alcune questioni riassuntive e generali, ad
iniziare dalla percezione da parte di aziende e lavoratori dell’andamento del settore e delle sue criticità espresse.
Lo sguardo si allarga infine ad aspetti finora solo accennati, e che costituiscono
lo sfondo della nostra ricerca. Pur non essendo infatti tra i temi specifici dell’indagine, sono stati gli intervistati, le aziende e i lavoratori stessi, a spostare
spesso l’accento dai loro problemi contingenti a questioni di più ampio respiro,
come il rapporto con il territorio e la tensione dialettica tra logiche produttive
artigianali e industriali, tra i diversi soggetti del mercato (in particolare editori e
produttori), tra oligopolio e mercato, tra innovazione e conservazione.
277
10.1 La percezione dell’andamento
e della criticità del settore
Tra le domande di scenario poste, una mirava a fotografare la percezione del
comparto audiovisivo da parte delle aziende e dei lavoratori.
Il comparto audiovisivo è percepito come...
Aziende
Lavoratori
In espansione
40%
32%
Stabile
28%
39%
In contrazione
23%
13%
Non risponde/non sa
9%
16%
Fonte: Labmedia (su 127 aziende e 100 lavoratori)
Analizzando le risposte fornite nei questionari, sembra che i lavoratori siano meno
ottimisti delle aziende intervistate: questo non tanto e non solo perché solo il
32% di loro delinea un quadro ottimistico (“in espansione”) a fronte del 40% delle
imprese, ma soprattutto per la percezione di stabilità che abbiamo già ritrovato
nelle loro considerazioni (39% dei lavoratori a fronte del 28% delle aziende ritiene il
settore “stabile”).
La sensazione di stabilità sembrerebbe infatti connessa con quella, più apertamente negativa (già commentata a proposito del recruitment), della staticità, intesa come rigidità di accesso al settore, e come mancanza di mobilità.
Alla domanda sulle criticità più rilevanti del settore, le aziende hanno infatti dato,
tra le opzioni indicate, risposte piuttosto eterogenee (un terzo di esse ha indicato
l’inadeguatezza della formazione, il 28% la mancanza di canali di selezione
specializzati, il 20% la mancanza di certificazione delle competenze), mentre i
lavoratori hanno posto l’accento per il 43% sulla mancanza di canali di selezione
specializzati (seguiti dalla mancanza di certificazione delle competenze per il
29%, e dalla formazione inadeguata per il 21%).
Più interessante dare uno sguardo ai commenti liberi indicati dagli uni e dagli altri.
Le aziende citano tra le criticità del settore soprattutto:
• risorse poco qualificate, poco addestrate alle attrezzature in uso, dal profilo
di competenze incompleto (“mancanza di un’unione di capacità creative e di
budget”), di volta in volta poco flessibili o poco specializzate;
• alto costo del lavoro;
278
• una complessiva inadeguatezza dei lavoratori (“inadeguatezza professionale
rispetto agli altri Paesi”).
Certo alcune accuse potrebbero essere anche autocritiche, cioè rivolte a se stesse
e alle proprie scelte (“stage poco formativi”, “insufficiente rinnovo nella presenza di
professionisti sul mercato”); alcune aziende spostano però il problema su questioni “di sistema”, quali la concorrenza, il duopolio, la disorganicità del settore, che
evidentemente condizionano la loro stessa sussistenza o comunque vi influiscono pesantemente, tanto da essere preliminari a qualsiasi considerazione sulle
Risorse Umane 1.
I lavoratori invece indicano come “il problema” del settore, in ordine di ricorrenza
delle citazioni:
• una scarsa attenzione da parte delle aziende alle Risorse Umane (“scarsità o
assenza di investimenti da parte delle aziende nella formazione del personale”,
“mancanza di progettualità nei confronti dei dipendenti e dei loro ruoli”,
“totale mancanza di disponibilità a formare o investire sulle nuove Risorse
Umane”);
• l’eccessiva discrezionalità o la scarsità di percorsi di carriera (“inesistenza
della meritocrazia”, “mancanza di mobilità all’interno del settore di competenza”);
• problematiche economiche (“inadeguatezza della retribuzione”, “sfruttamento
non retribuito”, “crollo vertiginoso dei compensi”, “eccessive disparità di
trattamento economico tra figure limitrofe”);
• mancanza di informazioni e trasparenza (“mancanza di una rete di informazioni
strutturata”, “mancanza di accesso alle occasioni di contatto e alle informazioni
stesse”);
• inadeguatezza della formazione (“offerta formativa non in linea con le nuove
esigenze del mercato”, “molte figure risentono di un percorso formativo
inadeguato”);
• barriere di accesso (“settore chiuso, con ingressi grazie a reti di
relazioni/parentali”, “mancanza di possibilità di farsi conoscere”);
• precarietà (“discontinuità lavorativa”, “rassegnazione al precariato strutturale”,
“inesistenza di contratti a tempo indeterminato”).
1
Non è compito di questa ricerca fornire indicatori sull’andamento del mercato audiovisivo, e quindi ci limitiamo
a riportare alcuni dati esemplificativi citati dagli intervistati, e che comunque hanno una pesante ricaduta sul
tema occupazionale. Per citare la crisi del settore pubblicitario, alcune società hanno negli ultimi anni chiuso i
battenti, e quelle rimaste sul mercato giocano la loro battaglia competitiva con margini sempre più risicati:
in passato le agenzie percepivano il 17,65 % sull’amministrato, ora il 3-4%; una volta le case di produzione
avevano un mark up del 35%, oggi del 20%, o addirittura del 18% sui grandi clienti.
279
In alcuni casi le accuse non vertono tanto sulla posizione personale dei singoli
ma, più in generale, su alcune condizioni strutturali delle proprie aziende e del
mercato:
• generale mancanza di progettualità e innovazione (“scarsità di investimenti
in Ricerca & Sviluppo”, “impostazione aziendale poco moderna, di tipo padronale”);
• generale mancanza di attenzione alla qualità (“scarsa attenzione ai dettagli
che distinguono una buona produzione da una mediocre”).
10.2 Il territorio
Passiamo ora ad approfondire uno dei problemi chiave emersi nel corso delle
interviste, quello del rapporto tra il tessuto delle imprese e il territorio, e in particolare
quello dei sostegni istituzionali che il territorio può o potrebbe offrire.
In questa sede, ci limitiamo a puntualizzare alcuni aspetti nel loro riflesso più
immediato sul lavoro audiovisivo.
Vale la pena ricordare il problema già citato (cfr. focus del secondo capitolo) della
marginalità del Centro di Produzione RAI di Milano, vissuto direttamente dai
lavoratori e spesso stigmatizzato dai sindacati:
“La RAI è “viale Mazzini 14, Roma”. La RAI di Milano è stata sempre marginale. Con
Guglielmi forse ci siamo trovati meglio perché parlava con noi e ci affidava più
programmi: siamo anche riusciti a fare cose che sentivamo nostre”.
(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)
“Il servizio pubblico dovrebbe dare espressione al territorio, sia produttivamente
che ideativamente, con la concezione di programmi pensati a Milano, come
accadeva con la RAI 3 di Guglielmi (un esempio su tutti: ‘Milano-Italia’ di Gad Lerner)”.
(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)
Ma il problema del rapporto con il territorio è vissuto anche da altre aziende: alcune
imprese di produzione, che erano localizzate in Lombardia, hanno scelto di spostarsi
in regioni in cui hanno trovato grande sostegno da molti punti di vista…
“’Centovetrine’ nasce a San Giusto Canavese, in Piemonte, nel 2000, mentre
‘Vivere’, nata negli Studi di via Mambretti a Milano e ambientata sul lago di Como,
280
si è trasferita nel territorio canavesano da un anno e mezzo circa.
Grande impulso alla nascita e al successivo sviluppo di questo polo piemontese
della soap italiana, è stato dato dalla Film Commission regionale, che da subito si
è dimostrata molto attiva attraverso concessione di patrocini e sostegni di vario
genere: rapporti con le amministrazioni comunali, facilitazioni per l’occupazione del
suolo pubblico ecc. Aspetto non trascurabile, ai fini dell’insediamento nel Canavese,
è stato quello del costo degli studi, che si è rilevato sicuramente più conveniente
rispetto ai prezzi standard di mercato”.
(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)
…a differenza della Lombardia:
“Vorremmo porre l’accento sul fatto che in otto anni ‘Vivere’ ha contribuito in misura
rilevante ad aumentare la notorietà di Como e dei suoi dintorni, mentre nessun tipo
di aiuto ci è stato mai riconosciuto dall’amministrazione, la quale, forse, ha avuto il
torto di far partire la propria Film Commission con otto anni di ritardo”.
(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)
Quello della Regione Piemonte e della sua Film Commission 2 è un benchmark
citato a più riprese, sia per le ingenti risorse economiche a disposizione, che per
le competenze specialistiche sfruttate, che, infine, per una coerente politica di
sistema:
“Non è solo un problema di risorse: la Film Commission Lombardia 3 non le sa
usare, anche perché è sempre stata vista come un organismo che vegetava sotto
qualche cappello politico. In Piemonte invece hanno saputo mettere alla testa della
2
3
Film Commission Torino Piemonte è un'organizzazione senza fini di lucro, la cui natura giuridica è quella della
Fondazione, voluta e sostenuta finanziariamente dal Comune di Torino e dalla Regione Piemonte che ne sono i
soci fondatori. La Film Commission Torino Piemonte ha come scopo la promozione della Regione Piemonte e
del suo Capoluogo Torino, al fine di attirare sul territorio produzioni cinematografiche e televisive italiane ed
estere e nello stesso tempo sostenere indirettamente l'industria cinematografica locale, creando nuove
opportunità di lavoro per chi, in Piemonte, opera nel campo cinematografico e televisivo. L’attuale Presidente è
Steve Della Casa (già direttore del Torino Film festival), il Direttore Giorgio Fossati.
Film Commission Lombardia è una Fondazione non-profit creata per promuovere sul territorio lombardo la
realizzazione di film, fiction TV, spot pubblicitari, documentari ed ogni altra forma di produzione audiovisiva.
È stata costituita nel 1998 a livello sperimentale, con sede presso l’Assessorato alla Cultura della Regione; nel
2000 è stata ufficialmente costituita in forma di Fondazione, grazie ai soci fondatori Regione Lombardia,
Fondazione Cariplo e Unioncamere Lombardia, a cui successivamente, si è unita anche Fondazione Fiera Milano
e, dalla fine del 2004, anche il Comune di Milano.
Il Presidente è Renato Pozzetto (titolare tra l’altro della casa di produzione Alto Verbano), il Direttore Fulvio
Moneta Caglio.
281
Film Commission un uomo di produzione con competenze specifiche, l’ex responsabile
di Cinefiat Giorgio Fossati. [...] Mi pare che in Lombardia l’unica politica riconoscibile
che fa la Regione sia quella di finanziare documentari non dico turistici, ma di
presentazione…”.
(Alessandro Signetto, Presidente DOC/IT, intervista personale, 12/5/2006)
“La Film Commission Lombardia è sempre stata marginale. La Film Commission del
Piemonte e il Comune di Torino hanno invece investito molto per affrontare la crisi
dell’industria locale, e molte produzioni si sono spostate lì perché effettivamente
era più vantaggioso girare, sono state create strutture molto competitive”.
(Gianfilippo Pedote, Titolare MIR Cinematografica, intervista personale, 3/4/2006)
La Lombardia sembra, secondo alcuni intervistati, aver disatteso alcune occasioni
di dialogo e confronto con l’Europa…
“La Lombardia era ad esempio parte integrante dell’azione comunitaria autonoma
delle “quattro regioni motori d’Europa” (le altre sono Catalunya, Rhône-Alpes,
Baden-Württemberg), ma nel settore audiovisivo non ha mai seguito gli input delle
altre tre Regioni, che alla fine hanno rotto le relazioni con lei. Nelle altre Regioni c’è
una politica di fondi regionali che funziona regolarmente. Se non si crea il tessuto
produttivo e normativo di riferimento, ogni impresa va per conto suo, è la legge della
giungla”.
(Alessandro Signetto, Presidente DOC/IT, intervista personale, 12/5/2006)
…nonostante le decisioni di localizzazione produttiva abbiano un riflesso diretto a
più livelli, non ultimo quello occupazionale:
“Con ‘Centovetrine’ abbiamo fin dall’inizio cercato di favorire una forte localizzazione
territoriale del personale. In effetti, abbiamo iniziato con la quasi totalità delle figure
professionali che provenivano direttamente da Milano e successivamente, attraverso
grandi sforzi indirizzati verso una formazione specifica, ci siamo attestati a circa
l’80% di lavoratori piemontesi”.
(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)
Il ruolo della città di Milano, in particolare, dovrebbe essere valorizzato da una
politica culturale di ampio respiro…
282
“La città, nelle sue pubbliche istituzioni, ha una grande responsabilità, perché ha
sottovalutato l’importanza del cinema (e della cultura in genere) nella ridefinizione di
un’identità culturale e sociale del nostro territorio, un territorio urbano-metropolitano importante e ampio che ha bisogno di avere una valorizzazione nel mondo superiore a quello attuale.
Ci vorrebbero iniziative coordinate: bisognerebbe fare in modo che girare a Milano
diventi conveniente, interessante, facile anche per i milanesi registi e produttori,
che hanno voglia di ‘mettere in mostra’ la loro città attraverso il loro sguardo.
In questa città c’è bisogno di tornare a guardare con lungimiranza e su scala metropolitana (da tempo si parla dell’istituzione dell’Area Metropolitana, ma non se ne è
fatto più nulla), restituendo alla produzione culturale il ruolo generativo e germinativo che ha avuto nei momenti migliori della storia della città, quando
riusciva a suggerire idee nuove anche al mondo dell’economia e della produzione”.
(Gianfilippo Pedote, Titolare MIR Cinematografica, intervista personale, 3/4/2006)
…che possa liberarne le risorse e restituirle centralità:
“Io ho sempre cercato di far nascere iniziative consortili per sostenere battaglie
culturali necessarie per dare respiro a una brande città e a un paese come il
nostro. Manca una cultura d’impresa, in questo settore. Non si riescono a liberare
nuove risorse da reinvestire, per destinarle a quest’attività; non si riesce ad attivare
nuove logiche di finanziamento che escano dall’assistenza ministeriale”.
(Gianfilippo Pedote, Titolare MIR Cinematografica, intervista personale, 3/4/2006)
“Bisogna restituire la titolarità culturale di Milano, il suo ruolo di mediazione culturale”.
(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)
10.3 Le dialettiche nell’audiovisivo
In questo paragrafo passiamo ad affrontare alcuni nodi di sfondo, che ci sembrano emblematici di tutto il settore.
Tra questi, abbiamo individuato le conflittualità tra ragioni autoriali/espressive e
ragioni produttive/di mercato, tra logica artigianale e industriale, tra Ricerca &
Sviluppo e marketing operativo, come metafore del dissidio tra innovazione e
conservazione, tra editori e produttori, o meglio tra oligopolio e mercato.
283
10.3.1 Autore vs produttore,
ragioni espressive vs ragioni di mercato
Nell’audiovisivo, inteso come “artefatto comunicativo” che si trova in uno statuto
intermedio tra prodotto culturale e prodotto commerciale (Biondi 2001), si verifica
una conflittualità tipica: quella tra creativi e manager, tra autori e produttori 4.
Rispetto ad altri prodotti culturali (opere letterarie e figurative), l’audiovisivo ha
due importanti differenze: non nasce da processi creativi individuali, e non
interagisce con logiche industriali solo al momento della diffusione5, ma ben
prima.
Il concetto complesso di “autore” 6 è caratterizzato da molteplici fenomeni:
• l’integrazione dei processi creativi nei meccanismi produttivi della macchina
industriale, caratterizzati da complessità e necessità di ottimizzazione;
• il valore di scambio che spesso si sostituisce al valore espressivo;
• il conseguente ridimensionamento dell’idea romantica di creazione come
“atto individuale spontaneo legato ad una attenzione espressiva originale”;
• la centralità delle pratiche di consumo nell’interesse produttivo, che mette in
subordine l’ispirazione e l’urgenza espressiva dell’autore;
• la frantumazione della responsabilità autoriale tra più soggetti e lo smembramento
dell’identità autoriale. (Farinotti in Colombo-Eugeni 2001)
Naturalmente il tema è di tale portata che rinunciamo all’ambizioso tentativo di
riassumerlo qui in poche righe.
Ci sembra comunque interessante accennare ad un aspetto che finisce per avere
un impatto decisivo nell’audiovisivo quello della definizione stessa di “autore”
come autore collettivo e come team complesso e composito. Innanzitutto la complessità si traduce nella doppia responsabilità dell’audiovisivo tra parte iconica e
parte testuale: spesso si può correttamente parlare di “coppie creative”.
4
5
6
Un’altra conflittualità ricorrente è quella tra i commerciali e le operations nei contesti new media, dove a
scontrarsi sono esigenze di mercato e vincoli di realizzabilità.
Ricordiamo ad esempio che il “marketing cinematografico” non consiste esclusivamente nella promozione del
film dopo la sua produzione, (concetto “product oriented” tipico dell’approccio europeo), ma più in generale nel
concepimento stesso di un prodotto solo a partire dall’esistenza di un mercato pronto ad accoglierlo e a
decretarne il successo (concetto “market oriented” tipico dell’approccio americano).
Ricordiamo le plurime accezioni del concetto di “autore” nell’audiovisivo: estetico-creativa: autore come artista
la cui intenzione espressiva prende forma nel film; giuridica: autore come detentore della proprietà intellettuale
dell’opera; economico-produttiva: autore come responsabile materiale del prodotto filmico; professionale:
autore come detentore del “final cut” nella realizzazione del prodotto filmico.
284
Abbiamo già citato il caso della coppia “regista-autore” nella confezione di servizi
di magazine, ma il tema si applica anche alla rivendicazione dello sceneggiatore
come co-autore del film 7. In televisione il ruolo di “capoprogetto” può essere assunto di volta in volta da varie figure (cfr. il paragrafo dedicato al “triangolo autoriale” nel quarto capitolo).
L’intera storia del cinema può essere riletta alla luce di questo fattore: alcuni registi
ammisero l’importanza dell’autorialità multipla 8 e altri la negarono orgogliosamente 9.
Il conflitto tra autore e produttore (che nel cinema sono le uniche figure
permanenti presenti in tutte le fasi del film), è proprio la metafora di un conflitto
tra le ragioni economico-produttive da una parte e le ragioni artistico-espressive
dall’altra. Ma al di là delle semplicistiche contrapposizioni tra mercato e arte, è
chiaro che si delinea qui il tema della “costante tensione tra ogni progetto e i
mezzi destinati per realizzarlo” (Biondi in Script 2004-2005), tra il concetto europeo
di film come opera e quello americano di cinema come merce.
La dialettica storica è quella tra autore e committente, tra esigenze economiche
del mercato e libertà espressiva dell’”autore”. La storia del cinema offre anche
vari esempi di come non sia solo l’ispirazione registica a determinare l’opera,
anche per la sua complessità realizzativa 10, e di come il final cut, inteso come
decisione ultima sul montaggio del film, non ricada spesso sul regista ma sul
produttore e sul marketing. La decisione sul final cut è infatti una sede tipica di
contrasto tra “interessi morali, derivanti dalla paternità dell’opera, e interessi
patrimoniali, derivanti dalla potestà sul prodotto” (Biondi 2002).
Ma, in realtà, la contrapposizione è in alcuni casi risolta dall’assunzione, da parte
7
8
9
10
Sulla polemica che spinge a rivendicare un ruolo di co-autore cinematografico allo sceneggiatore, allo stesso
modo della coppia musicista-paroliere nella canzone, o della coppia art director-copy writer nella creatività
pubblicitaria, si veda la rivista “Script” (ad esempio Dino Audino, “Nessuno o tutti” in Script 35/36,
gennaio-settembre 2004.)
Citiamo per tutti Jean Renoir: “Anzitutto non si fa un film da soli. Esso è il prodotto di una équipe. C’è tuttavia
una persona che influenza questa équipe, e che, praticamente, diventa l’animatore, quello che conduce il
gioco…agli inizi del cinema americano era spesso l’attore vedette [la star].. Qualche volta gli scrittori dettero
più degli altri un’impronta all’opera comune. Ma più spesso furono i registi. Ancora adesso, in Europa, un film
è prima di tutto l’opera del suo regista”.
Citiamo ad esempio Francois Truffaut: “In assoluto possiamo affermare che l’autore di un film è il regista, e lui
solo, anche se non ha scritto una riga del soggetto, non ha diretto gli attori e non ha scelto le angolazioni delle
riprese; bello o brutto, un film assomiglia sempre a colui che ne firma la realizzazione”.
A sottolineare quanto possa essere travagliata questa lotta tra il regista e la realizzazione concreta della sua
opera citiamo due casi “storici” documentati a livello video: uno a lieto fine, come “Apocalypse now” di Francis
Ford Coppola (cfr. “Hearts of Darkness: A Filmmaker's Apocalypse” di Eleanor Coppola, 1991), l’altro, destinato a
sfociare nell’opera incompiuta di Terry Gilliam “The Man Who Killed Don Quixote” (cfr. “Lost in La Mancha”, di
Keith Fulton e Louis Pepe, 2002). Come diceva Von Sternberg, “il regista e’ un uomo che si batte contro mille
ostacoli”.
285
di una figura, delle responsabilità di altri ruoli: interessante ad esempio il dibattito
nato a partire dalle figure di “writer producer 11” nei telefilm americani 12.
È la fiction americana il campo in cui sembrerebbe essersi oggi più compiutamente
realizzata una coincidenza tra l’interesse economico di un produttore legato all’esito del suo progetto e l’interesse artistico dell’autore di tutelare la sua visione
(Scardamaglia, in Script 35/36), restituendo all’atto creativo la centralità nella
filiera produttiva (Avellino, in Script 35/36). E la qualità di molti prodotti di fiction
seriale statunitense parrebbe accreditare questa ipotesi: il cinema americano di
qualità oggi sembra risiedere, più che nei blockbuster e nei sequel dei
blockbuster, proprio nel piccolo schermo.
Il sistema americano è quindi un sistema “bottom up”, nel quale si parte dalle
idee, che tutti gli autori (dall’ultimo arrivato a Steven Bochco) sottopongono in
forma di pilot ai network. Al contrario, nel sistema “all’italiana”, sono i network
che, oltre a commissionare i prodotti, ne prescrivono anche la visione; “i produttori
accedono ai finanziamenti a seconda della solidità dei loro rapporti con i network
e non dalla qualità dei progetti presentati, gli autori vengono scelti dai produttori
tra quelli che nel passato hanno meglio e più spesso eseguito la visione loro
commissionata, escludendo irrimediabilmente chi fosse al di fuori di questo
meccanismo di cooptazione” (Avellino, in Script 35/36). Certo è che il produttore
non è colui che firma come tale nei credits, ma “chi ha materialmente finanziato
e organizzato la produzione” (Biondi, in Script 37). Certo è che al produttore si
chiede sempre di più: non solo di far convergere le risorse appropriate per la
riuscita del progetto, ma anche di essere un referente per il regista con cui
confrontarsi, e un “abile mediatore capace di coniugare gli aspetti di economicità
con quelli più artistici ed estetici” (Montanari-Usai in Salvemini 2002).
13
Il produttore si definisce quindi come “l’imprenditore che, capace di riconosce-
11
12
Alcuni sceneggiatori d’oltreoceano hanno assunto anche il ruolo produttivo su di sé, conglobando tutte le
decisioni chiave dell’opera: si tratta di personaggi come Steven Bochco (L.A Law e NYPD Blue), David Chase
(The Sopranos), Tom Fontana (Oz), John Wells (E.R., The West Wing), Darren Star (Sex in the city, Beverly Hills
90210, Melrose Place), David Kelley (The Practice, Ally Mc Beal): ideatori, caposceneggiatori (non
necessariamente writer dei singoli episodi) e produttori esecutivi delle loro serie, definibili certamente come
prodotti “d’autore”.
Un’altra figura ibrida in cui un autore assume più ruoli è quella del producer director, un regista che si assume
anche l’onere produttivo e finanziario del film. Un esempio su tutti è Francis Ford Coppola, che con la sua
American Zoetrope, fondata con George Lucas nel 1969, ha prodotto, interamente o in parte, tutti i suoi film
(compresa la rischiosa avventura di “Apocalypse now”) e film di altri registi (Kurosawa, Wenders, Godard,
Branagh, Burton, Sofia Coppola stessa). Questa la finalità all’origine della decisione: “Mi ha sempre sconcertato
il fatto che nessuna delle grandi case cinematografiche, potenti e finanziariamente stabili, abbia fatto della
coltivazione della scrittura il proprio obiettivo principale… Nessun’altra grande industria ignora le proprie
risorse vitali fino a questo punto”. (Coppola 2001)
286
re il talento espressivo, sia in grado, operando economicamente, di compensare
ciò che ne condiziona la coerenza espressiva [...] in definitiva: un Manager of Art
in grado di realizzare e gestire economicamente l’espressione estetica” (Biondi
2001). Il produttore, anche in televisione, dovrebbe essere colui che incanala i
talenti, li valorizza e li esalta:
“La produzione è a volte considerata come un reparto che permette a dei creativi
di realizzare un prodotto, con uno spirito di servizio. Invece il mio lavoro non è quello
di far lavorare i creativi, ma è paritetico al loro, siamo comunque tutti parte di un
progetto. Noi stessi siamo creativi”.
(Producer casa di produzione di fiction, focus group figure produttive, 5/5/2006)
“Non abbiamo paura della qualità o delle persone difficili da gestire: meglio
l’”eccezionalità” anche se crea problemi, perché poi ci siamo noi, che geni non
siamo, che gestiamo e risolviamo i problemi, che conteniamo ma non limitiamo.
Certo la tv è una cosa molto concreta, applicata, fatta di tempi, modi e risorse
specifiche. Quindi l’artista, il genio in televisione non è legato ad una dimensione
astratta ma si inserisce in regole e dinamiche molto contingenti. Sicuramente poi
ha una sensibilità e una personalità “speciale”, delle capacità produttive particolari. E
in questo senso è una risorsa davvero rara e unica”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
13
Chiaramente in questa accezione il ruolo del produttore coincide con quello imprenditoriale (a fronte della
polisemia d’uso del termine, riportata nella nostra mappa).
287
10.3.2 Prototipo vs serializzazione,
artigianato vs industria
Esistono contesti produttivi in cui questo dualismo non si pone. Si tratta di
contesti “artigianali”, in cui il controllo sul prodotto è tendenzialmente nelle mani
di poche figure che accentrano più ruoli. La massima esemplificazione del processo
artigianale sta nella compressione dei ruoli che si verifica ad esempio nel
documentario...
“La parte amministrativa non la curo io, ma mio marito… ho un cameraman
ricorrente che è mio figlio. Ci sono io e l’ unica socia… che è anche mia nuora”.
(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)
“Quando le produzioni raggiungono un certo livello finanziario, produttori e autori
sono figure distinte, ma più spesso la dimensione è molto vicina all’autoproduzione,
in cui i ruoli sono abbastanza mescolati. Quando ci sono più risorse tende a
ripetersi il classico schema a divisione tra chi finanzia e chi è salariato.
L’ideale sarebbe che il produttore facesse solo il produttore, e ci fosse un’unica figura
autore-regista”.
(Alessandro Signetto, Presidente DOC/IT, intervista personale, 12/5/2006)
...o nella sitcom:
“La sit-com è rimasta una delle poche forme autoriali di tv.
Il problema è che la richiesta di professionisti è superiore ai professionisti esistenti.
E questo porta un abbassamento della qualità. Una volta c’erano quattro maestri di
musica importanti, che facevano un programma di varietà ogni tre - quattro anni, e si
alternavano fra loro. Adesso invece è una bolgia: per questo fanno i reality, per
riempire i buchi, dove il livello autoriale non c’è piu”.
(Nanni Mandelli, Produttore esecutivo, intervista personale, 9/3/2006)
All’opposto di questa logica sta la soap opera, come modello di produzione industriale con un’elevata specializzazione degli addetti. Nella produzione della soap
si verifica una notevole concentrazione in termini territoriali 14, cioè in centri di
14
La soap opera in Italia è attualmente realizzata esclusivamente nel centro di produzione di Telecittà a San
Giusto Canavese in Piemonte (Mediavivere per Mediaset: Vivere e 100 vetrine; di Napoli per RAI Grundy (Un
posto al sole e La squadra). Sono inoltre in costruzione i Med Studios a Termini Imerese per Einstein Multimedia
e RAI (Agrodolce).
288
produzione autosufficienti 15. Nell’ambito di queste “cittadelle” televisive gli standard di efficienza impongono un’elevata specializzazione del lavoro, elevati ritmi
produttivi e il definitivo abbattimento del mito dell’unicità del regista:
“Ciascuna produzione realizza circa sei puntate in cinque giorni lavorativi. Solo un
sistema altamente “industrializzato” può riuscire a raggiungere tale obiettivo. Per
fare un confronto possiamo dire che noi riusciamo a produrre una media di circa
trenta minuti di prodotto televisivo finito al giorno per ciascuna Produzione, contro
i sei-sette della fiction classica e il minuto, minuto e mezzo del cinema. Questo si
traduce nella necessità di avere due troupe in grado di girare contemporaneamente
ogni giorno, con la presenza di sei registi e di una struttura in grado di supportare
questo enorme sforzo. Per citare un altro dato: per girare una scena di 2-3 minuti,
tra preparazione scenografica e fotografica del set, prove movimenti con gli attori,
prove girate e shooting effettivo, non abbiamo più di venticinque-trenta minuti. E
questo viene ripetuto tutti i giorni. È ovvio che solo un sistema perfettamente
calibrato ci consente di realizzare una puntata di 24 minuti con un costo di circa
60.000 Euro”.
(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)
Non si tratta di un confronto tra generi - documentario vs fiction - né tra budget,
ma tra prototipi e prodotti seriali: prova ne è che la miniserie risponde
maggiormente a logiche artigianali (come quella del “triangolo autoriale”).
A fronteggiarsi non sono solo due modelli organizzativi, ma due concezioni “filosofiche” tout court: la prima è sinonimo di autorialità, in quanto l’atto creativo è prerogativa, se non del singolo (visto che la produzione audiovisiva è solo eccezionalmente un fatto individuale, e quasi sempre implica un’autorialità collettiva), di un
numero ristretto di ruoli che incentrano su di sé le responsabilità dell’opera; la
seconda è, viceversa, fondata sulla moltiplicazione dei ruoli, sulla frammentazione
del processo decisionale (la “catena di montaggio” già descritta), sulla brevità dei
tempi di scrittura e di lavorazione, con l’obiettivo prioritario di ottimizzare al
massimo le risorse disponibile, riducendo i costi. La logica artigianale va nella
15
“A San Giusto la produzione di soap opera dà lavoro al 75% delle maestranze della zona, acquista materiale dal
Canavese (all’80%), affitta case, riempie i due nuovissimi alberghi, utilizza esclusivamente comparse locali, fino
a 500-600 persone al mese. Telecittà offre la possibilità di una catena di montaggio completa della soap, dal
teatro di posa agli studi di postproduzione per montaggio e doppiaggio (la società di edizione Videodelta),
dall’albergo ai grandi spazi per il tempo libero dei professionisti impiegati, che vivono a San Giusto come in un
moderno monastero del lavoro televisivo”. (Venerdi di Repubblica, 7/2/2003).
289
direzione di un prototipi non replicabili, quella industriale in quella della
standardizzazione; la prima ha come obiettivo la coerenza autoriale o l’innovazione,
la seconda la tempestività; la prima premia probabilmente più l’efficacia di un
prodotto comunicativo, la seconda maggiormente l’efficienza. È chiaro che la soap
impone ritmi produttivi e vincoli tali che la sceneggiatura non può che esserne fortemente condizionata. Questi ad esempio i “paletti” narrativi posti agli sceneggiatori, agli
story editors, agli storyliners, ai dialoghisti (e già la numerosità delle qualifiche è
significativa), per la scrittura di un blocco da 5 puntate settimanali:
• mediamente 7 linee narrative (miscelando gli elementi di commedia, dramma,
sentimento…);
• mediamente presenti 18 personaggi;
• max 70 scene;
• durata media delle singole scene: 90”;
• max 5/6 location esterne;
• equa ripartizione di scene tra i due teatri di posa.
Fonte: Costanzo, Morandi 2003
È chiaro che l’asservimento della logica di scrittura a quella produttiva è funzionale
al mantenimento degli standard di produttività e di economicità.
Logica artigianale e industriale a confronto
Logica produttiva
artigianale
Logica produttiva
industriale
Focus
Autorialità
Produttività
Modello di organizzazione del lavoro
Integrazione delle mansioni in pochi
ruoli (es. triangolo autoriale)
Divisione del lavoro
Competenze
Integrate
Specializzate
Finalità
Coerenza; Innovazione
Ottimizzazione economico-produttiva
Obiettivo
Efficacia
Efficienza
Output
Prototipo
Prodotto seriale
290
10.3.3 R&D vs marketing operativo.
Innovazione e qualità vs conservazione
Una delle caratteristiche della logica industriale è quella di incentrarsi su una logica
“marketing oriented”, intesa non solo come ricerca di un pubblico potenziale ma
più in generale come legittimità del prodotto nel mercato, piuttosto che su una
logica “product oriented”, che parta dall’autore. La questione sottesa è se si
debba partire, nel concepimento di un nuovo prodotto, dalle (presunte e più o
meno consapevoli) attese della domanda, o dall’offerta di un prodotto su logiche
proprie.
Interessante notare come in molte aziende che non appartengono al settore della
comunicazione si compiano investimenti rilevanti in Ricerca & Sviluppo (Research
& Development), intesa come “il complesso di attività creative intraprese in modo
sistematico allo scopo di accrescere l’insieme delle conoscenze, e di utilizzarle
per nuove applicazioni” (Sirilli 2005). In alcune aziende industriali elettroniche,
chimiche, petrolifere e farmaceutiche, gli investimenti in R&D arrivano al 7% del
fatturato e sono considerati centrali nell’offerta aziendale.
In ambito televisivo la Ricerca & Sviluppo viene spesso - a torto - identificata con
l’individuazione di format esteri sui mercati internazionali e il loro adattamento
alle esigenze nazionali, e non con un insieme più complesso di attività compiute
direttamente all’interno dell’azienda, da sola o con l’aiuto di partner esterni
(produttori o ricercatori).
La maggior parte degli investimenti di ricerca viene concentrata dai reparti di
Marketing Operativo sui panel di pubblico (di cui il più strategico è di gran lunga
Auditel). Spesso il marketing, come baluardo delle presunte attese della domanda,
sembra aver sostituito una strategia editoriale consapevole e autonoma nei decision maker televisivi:
“I direttori di rete coraggiosi, competenti, che difendono le loro idee, sono difficili da
trovare ma sono decisivi: con loro la televisione può evolvere e migliorare. Le reti
hanno bisogno di personalità, di anima, e per questo credo che i migliori direttori
siano quelli che hanno personalità, anche a costo di prendersi qualche rischio e di
sbagliare, talvolta. Il marketing è fondamentale ma non credo, sinceramente, che la
tv si possa fare solo col marketing”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
291
I tentativi compiuti in passato di fondare nuclei di R&D all’interno delle emittenti
hanno avuto scarso impatto sulla produzione, fino ad esserne espulsi e rifiutati
da un meccanismo naturalmente autoconservativo: esperimenti come quello di
Serra Creativa in RAI, Laboratorio 5 e Ricerca & Sviluppo in Mediaset 16, o Crea
per La 7, non hanno avuto - a torto o a ragione - una reale influenza sui meccanismi
produttivi. Da un lato, il fatto di essere considerati dei corpi estranei rispetto al
resto dell’azienda, li condanna ad un ruolo marginale per definizione; dall’altro
“l’organizzazione responsabile dei nuovi prodotti deve essere separata da quelle
che si occupano dei prodotti esistenti, sia perché queste ultime hanno un orizzonte temporale di breve periodo, sia perché chi gestisce prodotti di successo è riluttante ad assumersi i rischi che si devono correre con l’introduzione di nuovi prodotti, la cui accettazione da parte del mercato è piena di incertezze”. (Stanton
Varaldo 1986).
Non a caso alcune imprese hanno concentrato su unità di business secondarie per
fatturato, ma non per importanza strategica, la mission di innovazione 17:
“Il Gruppo Film Master opera in 4 aree di Business: la pubblicità fattura 30 milioni
di euro, gli eventi 20, la tv 10, i clip solo 1; ma Film Master Clip è una sorta di
incubatrice di idee e di nuovi talenti. Molti registi bravi che ora lavorano in pubblicità
o nel cinema sono passati di qua”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
È quindi a livello di management strategico 18 che deve esserci un’enfasi e un
investimento autentico su queste iniziative, che non devono rimanere solo un
“fiore all’occhiello” per fare immagine, ma diventare una spinta propulsiva per
l’intera azienda.
16
17
18
Ricerca & Sviluppo Mediaset, a differenza delle altre strutture citate, non aveva il compito di progettare nuovi
prodotti, ma quello di “realizzare un luogo che faciliti l’innovazione, che aiuti l’organizzazione ad aprirsi verso
stimoli esterni (che possano provenire da mondi anche distanti dalla televisione, malata forse di un germe che
tende ad isterilirla: l’autoreferenzialità), che sperimenti forme di ricerca per comprendere le nuove culture
influenti, che aiuti a generare riflessioni su temi non immediatamente correlati all’andare in onda, ma che forse
sono un lusso che chi produce informazione e cultura deve permettersi”. (Così si leggeva sul numero zero della
rivista interna “Link. Idee per l’innovazione”, marzo 1998). In effetti R&D Mediaset non si occupava solo di
Innovazione di Prodotto, ma anche di Innovazione Tecnologica e Organizzativa.
Analogo discorso può essere applicato, nel gruppo Magnolia, alla società romana Milano-Roma, che produce
format innovativi, anche nelle modalità produttive, ad esempio nel genere docu-soap.
“Nelle grandi imprese il management intermedio percepisce come maggiori i rischi personali derivanti dall’avere
appoggiato un progetto fallito, rispetto al vantaggio derivante dal successo dell’innovazione” (Warglien 1990).
292
Se dovessimo analizzare i palinsesti delle emittenti generaliste la percentuale di
concept originali che non siano un format, uno spin-off, un clone di un prodotto
esistente, sarebbe veramente esigua… Anche lo spazio dato a numeri zero e pilot
è scarso, soprattutto se confrontato alla situazione internazionale:
“Ho l’impressione che, con gli anni, Mediaset abbia perso un po’ dell’intraprendenza,
della voglia di innovare e della flessibilità degli inizi. È un’azienda più strutturata e
fatalmente anche più burocratizzata. Non è facile trovare attenzione per un nuovo
progetto. Le stesse direzioni di rete hanno meno potere decisionale di un tempo.
Sono state create strutture dedicate allo sviluppo e alla sperimentazione, ma ho
l’impressione che a loro volta fatichino a dialogare con il resto dell’azienda. Sono
ben finanziate, possono permettersi di realizzare diversi “numeri zero”, ma è come
se fossero un po’ a margine del “mainstream” editoriale, fatto necessità e di obiettivi
concreti. Spesso i numeri zero restano nel cassetto. E il risultato è che il tasso di
innovazione resta piuttosto basso, decisamente al di sotto di quanto accade sui
canali commerciali in Europa o negli Stati Uniti”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
Uno dei fenomeni in cui è più evidente la mancanza di innovazione interna è il
ricorso ai format: quando diventano l’unica fonte di approvvigionamento creativo
dell’intero sistema, impediscono lo sviluppo di una dinamica creativa autoctona,
riducendo l’autore italiano al ruolo di “adattatore”. Inoltre rendono l’emittente
dipendente dalle case di produzione che detengono una library internazionale (cfr.
ad esempio Endemol) o che meglio sviluppano la capacità di guardare ai mercati, e
delegando ad esse un importante momento di scelta.
Il tema dei format è indicato da molti come la spia di una generale dipendenza
da parte delle emittenti nei confronti dell’esterno, e la rinuncia all’elaborazione di
strategie editoriali proprie.
“La causa della perdita di centralità delle competenze artistiche in tv non è
l’esternalizzazione (anzi sarebbe importante si creasse un vero mercato di produttori
esterni) ma il format. Il broadcaster ha preferito spostare all’esterno certe
collaborazioni. Se RAI e Mediaset volessero mantenere forti reparti di produzione
entrerebbero in crisi, perché hanno perso competenze”.
(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)
293
La scelta dei format si spiega con una logica di breve periodo che spinge a tempi
sempre più compressi, a risultati da ottenere nel più breve tempo possibile: “Un
programma originale ideato in RAI può richiedere anche sette mesi prima di andare
in onda, un format esterno ne impiega quattro” (Costanzo - Morandi 2004). La
stessa impazienza che si constata nella lettura dei dati Auditel alle dieci e mezza
del mattino seguente alla messa in onda di un programma, e nell’ansia della loro
interpretazione e della loro divulgazione: “Un Auditel pubblicizzato ogni mattina
impone al produttore televisivo un orizzonte temporale di ventiquattrore; il che
ucciderebbe qualsiasi azienda e instaura una concorrenza perversa” (Sartori 2000)
È chiaro che i nuovi prodotti hanno bisogno di tempo e costanza, ma proprio qui
dovrebbe ad esempio risiedere la differenza tra la tv pubblica e quella
commerciale, pressata da obiettivi di ritorno economico a breve.
In generale l’innovazione in televisione viene assimilata a pericolosi sperimentalismi
snobistici, classificati con l’etichetta di “nicchia élitaria”:
“Io non ho mai fatto un prime time, non ho lezioni da dare, ma posso dire che quando
ho prodotto programmi per Mediaset eravamo sistematicamente ostacolati: ogni
tentativo di modificare, cambiare, proporre, veniva cassato. Salvo poi dirci a distanza
di anni che quello stesso programma era uno dei programmi musicali più belli mai
andati in onda negli ultimi anni”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
La spinta all’innovazione si scontra inoltre con una logica tendenzialmente
conservatrice, che finisce spesso per “contaminare” anche i giovani che si inseriscono:
“Io non vedo in tv adesso dei 25-30enni curiosi che si sentono portatori di idee nuove,
di dire cose nuove come noi l’abbiamo fatto nella nostra generazione.
Adesso il giovane sceglie tra situazioni esistenti. Vorrei sentire più voglia di scardinare
sistemi precostituiti. Bisogna aprire il proprio modo di vedere la televisione, pensare che
tutto quello che vediamo adesso è morto. È un mondo che funziona a livello di share,
ma è già stato visto e rivisto, per cui è morto”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
Certo il fenomeno è più direttamente correlato alle emittenti che alle case di
produzione, alle grandi imprese che alle medie e alle piccole, alla tv free che a
quella digitale…
294
“C’è poca innovazione e molta omogeneizzazione dei prodotti nel mercato della
free-tv; al contrario c’è molta più innovazione sulle satellitari, dove, però i budget
non consentono una gran quantità di produzione”.
(Dario Rodino, Vice President Production & Operations Walt Disney Television Italia,
intervista personale, 7/4/2006)
…ma il potenziale di innovazione che si attendeva dai new media è rimasto in
gran parte deluso:
“I nuovi media dovrebbero puntare ad altro, dovrebbero differenziarsi, altrimenti che
novità portano? La nicchia che i nuovi media dovrebbero ricavarsi è proprio basata
sul rifiuto delle tv generaliste che si sono omogeneizzate”.
(Project manager emittente televisiva, focus goup figure crossmediali, 18/4/2006)
Interessante notare come a budget ridotti corrispondano contesti più creativi: nei
progetti low cost minore rischio si traduce in minori condizionamenti e quindi in
più spazio per l’innovazione. Questo corrisponde, anche per i lavoratori, nella scelta
tra programmi “mainstream” ben remunerati (ad esempio, i reality e le soap) e
prodotti “di nicchia” praticamente fuori mercato, ai limiti della clandestinità (ad
esempio il reportage, il documentario e l’inchiesta).
Legato al problema dell’innovazione, vi è quello della qualità. I lavoratori sentono,
non senza rammarico, che la qualità non è uno degli obiettivi a cui l’azienda li spinge:
“Non credo che le aziende scelgano di non fare più prodotti più alti qualitativamente
solo per un fatto di costi e investimenti. Secondo me semplicemente non c’è
esigenza di avere una qualità più elevata. Perché i prodotti televisivi, alla fine, una
volta ripagati i loro costi, non cercano di fare meglio o di più”.
(Producer casa di produzione, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)
Certo vi sono alcune aziende che, per la particolarità del proprio settore, hanno
puntato tutto sulla qualità, sia tecnica che di contenuto (intesa come rispetto del
proprio giovane pubblico). È ad esempio il caso di Disney, la cui politica è molto
attenta:
“Il brand Disney è particolare, vincola a produrre ad altissima qualità.
Vi è un doppio controllo di qualità: nonostante lo standard tecnico di registrazione
295
sia già quello piu alto, il Digital Betacam, prima di andare in onda qualsiasi programma viene controllato in play per ben due volte e da due tecnici diversi. La messa in
onda prevede un livello di tolleranza sulla qualità audio/video di solo lo 0,01%. Poi
c’è il reparto “compliance” che un’altra volta visiona tutti i programmi per verificare che siano coerenti ai valori Disney, le scene ed il linguaggio devono essere adeguati al pubblico non adulto, è bandita la violenza, la politica, il sesso, si cercano
una morale ed un insegnamento positivo. Persino Gambadilegno è stato bandito in
quanto fumatore. La televisione poi ha criteri ancora più rigidi del publishing (ad
esempio le Witches, che pur nascono alla Disney, non sono state ritenute in linea
con i parametri Disney, per quanto riguarda l’animazione televisiva) perlomeno di
ciò che esce con il brand Disney [il gruppo comprende anche la società Jetix
Europe, con sede italiana a Roma, emette canali come Jetix e Gxt che editorialmente
sono molto lontani dalla filosofia Disney].
Per questo doppio criterio di qualità, produrre per Disney implica produrre a costi
ed a standard molto alti, cosa non sempre facile per i vari fornitori di contenuti
Italiani”.
(Dario Rodino, Vice President Production & Operations Walt Disney Television Italia,
intervista personale, 7/4/2006)
Ma questo caso sembra costituire un’eccezione, causata dal particolare target di
mercato, in un contesto generale di scarsa attenzione al parametro della qualità.
Non è forse casuale che proprio i produttori che si sono mossi su più mercati
produttivi, ad esempio sul doppio ambito televisivo e pubblicitario, accusino la
televisione di essere meno stimolante, meno attenta alla qualità e alla meritocrazia:
“Film Master mi ha dato come insegnamento quello di puntare alla qualità, perchè
la pubblicità ha il dovere professionale di fare delle cose altamente qualitative.
La pubblicità è molto specifica, a volte avvitata su se stessa, però è molto aperta a
linguaggi nuovi, più sofisticata. La televisione in questo momento si è un po’ fermata”.
(Marco Balich, Amministratore delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
“In pubblicità i lavori non vengono mai affidati direttamente, ma sempre tramite
gare [...] In tv c’è molta politica, in pubblicità c’è molto lavoro e concretezza. A me
questo pragmatismo piace. In tv devi tenere conto se questo piace a quello, la pubblicità è un ambiente molto più meritocratico, se funzioni vai avanti”.
(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)
296
10.3.4 Editori vs produttori, oligopolio vs mercato
Il tema del format ci conduce ad un altro, emerso spesso nelle interviste e già
accennato nel primo capitolo: si tratta del tema del “make or buy”, la scelta
19
dell’azienda di autoprodurre in house oppure di praticare outsourcing , ricorrendo a case di produzione indipendenti. Spesso infatti le emittenti, nel caso
dell’intrattenimento e della lunga serialità, appaltano la produzione o coproducono
con la casa di produzione che si è aggiudicata i diritti di licenza di quel format per
il mercato nazionale 20.
L’esternalizzazione consente alle reti l’immissione di energie creative fresche e
una maggiore flessibilità economica…
“Questo spiega anche lo spazio che negli ultimi anni si sono guadagnate le strutture
di produzione esterne: è inevitabile - e succede così in tutto il mondo! - che
strutture indipendenti, più piccole, più flessibili, se vogliamo anche più “precarie”,
allenate alla competizione, risultino più efficaci dal punto di vista della creatività e
dell’innovazione. Le grandi aziende televisive mantengono un atteggiamento di
sostanziale diffidenza, legata alla cultura della “produzione in house”, mentre
dovrebbero capire che il mercato è la loro grande risorsa. La collaborazione con le
strutture esterne, in una logica di mercato competitivo, è invece un’opportunità per
l’innovazione e uno strumento di grande efficacia per il controllo dei costi. Oltre a
questo è anche un’occasione di incontro - tra le persone “interne” e quelle che
lavorano per le strutture indipendenti - che a mio parere può generare stimoli,
consente un confronto di esperienze diverse e non può che far bene”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
…in strutture mature che per loro natura tendono alla conservazione dello status
quo:
“Ho visto mancanza di ambizioni in entrambi i contesti, RAI e Mediaset: la loro logi-
19
20
Nella ricerca ci siamo limitati ad analizzare l’outsourcing inteso come esternalizzazione dagli editori ai
produttori e non come delocalizzazione produttiva, che pur è un fenomeno significativo. Cfr ad esempio
l’intervista a Elisabetta Levorato, Amministartore unico Demas & Partners: “ la fase di produzione richiede un
grande investimento in personal, per questo i produttori europei si rivolgono spesso all’Asia o al Sud America
dove sorgono grandi strutture in grado di sostenere notevoli carichi di lavoro con tempi e costi ragionevoli”.
In altri casi il ricorso alla casa di produzione avviene sulla base di un concept originale, proposto dalla casa
di produzione stessa o più stessa su indicazione della rete.
297
ca è fare molti profitti e tirare avanti”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,
28/3/2006)
Il rischio per l’editore è quello di impoverire il suo ruolo, riducendosi a puro buyer,
o addirittura a service del produttore esterno (quando il programma viene prodotto
nei suoi studi e con le sue risorse tecniche). “La prima conseguenza dell’acquisto
serrato di format da parte dei broadcaster è il ridimensionamento degli apparati
produttivi interni”. (Costanzo Morandi 2004).
La coproduzione crea, oltretutto, una duplicazione di ruoli…
“Una volta Canale 5 ci dava l’appalto completo, e noi andavamo negli studi che
volevamo. Ora si pratica più spesso la co-produzione, e questo comporta un
raddoppiamento delle figure professionali. C’è il nostro direttore di produzione e il
loro direttore, il nostro assistente e il loro. E insieme fanno poco. È una strana cosa
un pò abnorme”.
(Nanni Mandelli, Produttore esecutivo Grundy, intervista personale, 9/3/2006)
…che dai produttori interni alle reti può essere vissuta a volte come un
impoverimento del loro ruolo…
“L’appalto ha cambiato parecchio il nostro lavoro di produttori interni. Cambia, e di
molto, perché non lavoriamo più. Parlo almeno per l’azienda RAI, che ha deciso che
è meglio dar fuori i lavori che farli all’interno. Per noi significa subire senza avere
voce in capitolo. La casa di produzione con cui ho lavorato io faceva un lavoro che
avremmo potuto fare benissimo noi… E cosi ci sono le doppie figure: il
produttore esecutivo della casa di produzione, che comanda, e il produttore
esecutivo RAI, che non può entrare nel merito dei contenuti; il direttore di
produzione RAI e quello della casa di produzione, che invece non può entrare in
merito delle risorse tecniche perché gli studi di produzione sono i nostri. La RAI ha
dato direttamente gli uffici a queste società, e tutta la struttura, così se la sono trovata pronta”.
(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006).
….e come una minore capacità di controllare direttamente il prodotto, costringendoli
a mediazioni “politiche”:
298
“Da quest’anno per la prima volta abbiamo appaltato esternamente un programma
di peso nel palinsesto, perchè è quotidiano. Io sono il produttore della rete su questo programma. Il mio ruolo è veramente cambiato. Ci sono degli equilibri
politici incredibili da rispettare. Io da producer potevo ad esempio dare
direttamente indicazioni agli operatori. Ora non lo posso più fare”.
(Producer emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)
Il ricorso alle case di produzione esterne è visto con preoccupazione anche dai
sindacati dei lavoratori delle emittenti che esternalizzano:
“Le figure della casa di produzione impongono spesso i ritmi di lavoro, e spesso il
direttore di produzione RAI ha difficoltà a far valere il suo peso… A volte non si
capisce il valore aggiunto del ricorso alle case di produzione esterna, quando non
portano format e quando le produzioni sono semplicissime produttivamente. E poi
le case di produzione private, hanno per loro natura un obiettivo di profitto che
potrebbe non conciliarsi con il servizio pubblico”.
(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)
Le emittenti negano sottoutilizzi di organico e minimizzano il problema della
duplicazione di figure…
“Noi non abbiamo sottoutilizzo dell’organico o del personale, il tasso di utilizzo dei
mezzi di produzione comprese le risorse è circa del 90%. Non ci sono duplicazioni
di figure tra interno ed esterno perchè gli obiettivi sono diversi: chi fa la produzione
esterna fa il contenuto, gli interni si occupano di far rispettare gli standard editoriali
qualitativi e tecnici […] Il coordinatore programmi (o curatore) è il trait d’union tra
la direzione di rete e, dove esiste, il realizzatore esterno. Quindi deve fare da
mediatore, ha un ruolo fondamentale di negoziatore, complesso, difficile, ed è
inserito in questo sistema di relazioni di complessa governabilità, spesso caratterizzato
da interessi contrapposti”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane, Gruppo Mediaset, intervista
personale, 14/3/2006)
…considerando storicamente inevitabile questo processo di evoluzione del loro
ruolo:
“L’utilizzo di appalti o società di produzione esterne è un modo di flessibilizzare e
specializzare le competenze, perché Mediaset nel tempo ha sviluppato più
299
competenze organizzative e di commessa che realizzative di prodotto: [infatti] il
primo prodotto realizzato negli ultimi anni è stato “Campioni”, che all’inizio è stata
una sfida importante perchè Mediaset non era più impegnata sulla produzione
diretta dei programmi di grande dimensione da tempo. Credo che questo fenomeno
stia nell’evoluzione dei media globali, dove c’è una crescente specializzazione delle
varie aziende: Mediaset è innanzi tutto un editore televisivo, che utilizza i canali di
produzione propri o attiva i network esterni”.
(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane, Gruppo Mediaset, intervista
personale, 14/3/2006)
È necessario aggiungere per completezza che i produttori indipendenti, dal canto
loro, pur ammettendo che alcuni passi legislativamente sono stati fatti per inquadrare il loro ruolo 21, lamentano una situazione di mercato che ancora non valorizza
il loro apporto …
“Il problema è un mercato ristretto con scarso numero di committenti, con molti
appalti e preacquisti e poche coproduzioni. E poi c’è il problema dei diritti, che, tranne
che per gli sfruttamenti minori, rimangono in capo all’editore (mentre altrove, ad
esempio, in Francia vengono ceduti per un periodo di 18 mesi poi tornano al produttore)”.
(Chiara Sbarigia, Segretario generale APT, intervista personale, 26/4/2006)
…o addirittura non rispetta completamente le normative:
“In Italia il problema fondamentale del settore è il mancato rispetto delle leggi: la
Gasparri è stata elusa in relazione alle quote di investimento da destinare alla
produzione europea e italiana, dato che con semplici autocertificazioni qualunque
emittente può dimostrare di aver rispettato tali quote.
L’escamotage usato ad esempio da RAI è quello di acquistare programmi dall’estero
e inserirli in un contenitore autoprodotto, così la produzione finale risulta italiana;
oltretutto i diritti d’autore in questo modo vanno agli autori dei testi di raccordo del
21
“APT ha contribuito in modo determinante - attraverso audizioni parlamentari, redazione di documenti per le forze
politiche, partecipazione a convegni e seminari sul tema, informazione agli organi di stampa - all’approvazione
della Legge n. 122 del 30 aprile 1998. La legge ha recepito le direttive della CEE (Direttiva 89/552/CEE e
Direttiva 97/36/CE), rimaste lungamente inosservate in Italia, definendo le quote minime di diffusione e di
produzione di opere europee che le emittenti nazionali sono obbligate a rispettare. Di eccezionale importanza
per i produttori indipendenti italiani sono i vincoli posti alle emittenti televisive nazionali, che dovrebbero
assicurare ai produttori indipendenti un flusso consistente e certo di risorse - dell’ordine di 250 milioni di euro
annui - che consentiranno maggiori possibilità di programmare lo sviluppo creativo, organizzativo e finanziario
delle società di produzione, ponendo le premesse per la nascita di una vera e solida industria nazionale
300
contenitore invece agli autori dei documentari originali”.
(Alessandro Signetto, Presidente DOC/IT, intervista personale, 12/5/2006)
I produttori rivendicano tra l’altro la necessità di adeguarsi alle indicazioni europee
espresse dalla Direttiva Cee 552/89, che prescrive alle emittenti una quota minima
di programmazione da realizzarsi da parte di imprese esterne non dipendenti
dalle emittenti, con “l’obiettivo di stimolare la costituzione di piccole e medie
imprese e offrire nuove opportunità e nuovi sbocchi per talenti creativi nonché per
le professioni e i lavoratori del settore culturale”. Secondo Apt la legge attuale
“non sembra tener conto dell’importanza del ruolo e quindi dell’incentivazione
della produzione indipendente e della piccola e media impresa audiovisiva” 22;
secondo Doc/it le quote effettive riservate alla produzione indipendente in Italia
rispetto alla media europea 23 sono la spia di un sottodimensionamento che non
giova al mercato nazionale complessivo:
“Una produzione veramente indipendente assicurerebbe l’effettiva competizione
e il pluralismo nell’ideazione dei nuovi programmi, soprattutto nei mercati con
pochi editori proprietari di canali primari verticalmente integrati; che i diritti di
trasmissione dei prodotti europei, mantenuti dai produttori, siano disponibili per
gli editori nuovi entranti; il pieno sfruttamento internazionale di programmi e format
europei su tutti i media 24”.
Le posizioni apparentemente contraddittorie fin qui riportate possono in realtà
trovare un punto di incontro comune: in realtà non ci sarebbe un conflitto tra
editori e produttori, ma un conflitto tra l’oligopolio di pochi soggetti dominanti, sia
sul fronte delle reti che su quello della produzione indipendente, e la pluralità di
un mercato che appare invece troppo spesso chiuso e inaccessibile ai piccoli e ai
nuovi soggetti.
“Il mercato è fatto da RAI e Mediaset, Endemol, Grundy e Magnolia, Lucio Presta
e Lele Mora. Fuori da questa élite, a tutti gli altri rimangono solo le briciole. Piccole
emittenti, comprese quelle digitali, piccoli produttori, giovani autori, sono tutti
22
23
24
dell’audiovisivo, con le evidenti, positive conseguenze sul piano culturale ed occupazionale”. (www.apt.it)
Promemoria Apt relativamente all’Audizione presso le Commissioni VII e IX della Camera dei Deputati in materia
di riordino del sistema radiotelevisivo, disponibile on line al sito www.apt.it.
Rispetto alla media europea del 20% di produzione indipendente sul tempo “qualificato” della programmazione
(e al 43% della Francia, al 24% della Germania, al 23% di UK), l’Italia figura al terzultimo posto con il solo 12%,
seguita da Portogallo e Lussemburgo. Fonte: ricercaDavid Graham and Associated Ltd per Commissione
Europea 2006.
Fonte: ricerca David Graham and Associated Ltd per Commissione Europea 2006, citata da Dario Barone,
intervento al Convegno di presentazione “Indagine conoscitiva sul mercato del documentario in Italia”, Roma,
301
esclusi dal grande giro.
(Produttore esecutivo emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)
Il problema sarebbe addirittura estensibile non solo ai soggetti della catena del
valore, ma anche a tutte le risorse umane dell’audiovisivo, ivi compresi i giovani
autori che non riescono ad aprirsi un varco nei consolidati gruppi autoriali, e in
generale tutti i nuovi entranti.
Il nemico sarebbe quindi la chiusura, a tutti i livelli, sia quello individuale dei
singoli lavoratori…
“Siamo in Italia, un paese che ha smesso di produrre talenti e coltivare “cervelli”
perchè l’accesso, non solo alle posizioni, ma cosa ancora più grave, alle occasioni di contatto e alle informazioni stesse (relative a qualsiasi campo e indispensabili per potersi
“muovere” con profitto) è ormai diventato prerogativa esclusiva di pochi previlegiati, all’insegna di un ritorno a una realtà feudale anacronistica ma mai tramontata”.
(Videoreporter, questionario lavoratori)
…che quello delle imprese:
“A Mediaset sembra siano diventatati inaccessibili, che si siano un po’ arroccati.
Quando lavoravo io c’erano 10/15 case di produzione, adesso lavorano praticamente
solo con Endemol o con Fascino”.
(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale, 28/3/2006)
Il problema si allargherebbe quindi a tutti i soggetti “deboli” della catena,
accomunati dalla difficoltà di scardinare un sistema chiuso e arroccato sulle sue
convinzioni e sui suoi feticci, (l’Auditel, il format…).
Certo il problema è più generale e coinvolge l’assetto complessivo del settore
audiovisivo. “Dove non c’è imprenditorialità, iniziativa e rischio, il vuoto che si
forma viene subito riempito dal clientelismo e dall’azzeramento della ricerca”
(Scardamaglia in Script 35/36)
“Un ambiente competitivo, fatto di tanti soggetti che cercano di selezionare i migliori, di contenderseli - non dimentichiamo che il nostro è un lavoro assolutamente
fondato sul fattore umano - tende a promuovere una crescita complessiva della televisione”.
(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,
7/3/2006)
En attendant le marché, buon lavoro audiovisivo a tutti!
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Le aziende che puntano sull’innovazione.
Tecniche e strategie
Riportiamo qui, sintetizzandole per brevi punti 1, alcune tecniche e strategie
adottate da aziende internazionali per massimizzare il loro tasso di innovazione.
Non casualmente, la prima e l’ultima sono già state citate come benchmark per la
loro politica di gestione delle risorse umane.
Xerox:
• Alto senso di appartenenza dei collaboratori (chiamati “Xeroidi”);
• incitazione all’assunzione del rischio e enfasi sul coinvolgimento dei dipendenti
(“cerchiamo persone che siano disposte ad accettare il rischio, a proporre
nuove idee e a proporre le proprie… che non abbiano timore di cambiare ciò
che stanno facendo da un giorno all’altro, e da un anno all’altro… che
accolgano persone e posizioni nuove”);
• grandi investimenti in R&D: vedi il centro di ricerca PARC (Palo Alto Research
Center), fondato nel 1970;
• “Il nostro nuovo marchio occupazionale, “eXpress yourself”, caratterizza
Xerox come un’azienda in cui passione, diversità, idee e il contributo di ogni
membro della famiglia Xerox determina la nostra capacità di apportare audaci
innovazioni e un ambiente di lavoro all’avanguardia”.
Google:
• Coinvolgimento nell’innovazione di tutti i reparti aziendali (“tutti dedicano una
parte della giornata alla ricerca e sviluppo”), e coinvolgimento di chi ha avuto
l’idea nella fase realizzativa;
• utilizzo di Intranet come raccolta di idee da parte di dipendenti che non
estrinsecano il loro contributo ideativo in occasioni formali;
• iter formalizzato di sviluppo idee: un team che si riunisce settimanalmente per
scegliere le 6/7 idee che possano essere portate allo step successivo di
sviluppo;
• ambiente informale, ma strutturazione di un iter per accogliere e attuare le
idee.
1
23/2/2006.
Gli esempi sono tratti da Daft 2004.
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Nokia:
• Incoraggiamento di uno spirito imprenditoriale nei dipendenti, e di
un “dilettantismo non inibito” che non faccia temere sanzioni per la
stranezza delle proprie idee.
Toyota:
• Tecnica per lo sviluppo di nuovi prodotti “oobeya” = “Grande ufficio aperto”:
riunione mensile di persone di tutti i reparti aziendali per due anni, per
condividere le informazioni e discutere senza ruoli e tabù di progetti aziendali.
Mattel:
• “Progetto Platypus”: lavoro di persone appartenenti a più aree aziendali, per
tre mesi, sulla gestazione di idee per 2/3 nuovi prodotti annui, in una sede
diversa da quella centrale, caratterizzata da un immenso spazio aperto senza
pareti ed elementi divisori.
3M:
• Investimenti in Ricerca & Sviluppo nel solo 2005 di 1.242 milioni di dollari
(5.814 milioni di dollari negli ultimi 5 anni);
• da un secolo è leader nell’innovazione: nel 2000 ha ottenuto 5,6 miliardi di
dollari (un terzo dei suoi ricavi totali) da prodotti che non esistevano fino a 4
anni prima;
• Ogni anno la 3M sforna 50.000 nuovi prodotti: nel 2000 il 35% di essi era un
nuovo prodotto;
• il 15% del tempo contrattuale di ciascun dipendente - solo nel Campus di St.
Paul ve ne sono 12.000, per una rappresentanza linguistica di 43 diversi idiomi è lasciato alle personali intuizioni e sperimentazioni, potendo utilizzare in assoluta
libertà laboratori e strumenti aziendali. Tra le idee scaturite da questa strategia,
il Post-it.
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POSTFAZIONE
di Gaetano Stucchi
Essere coinvolto in questa indagine sul lavoro audiovisivo in Lombardia é
stata un’esperienza interessante da molti punti di vista. E non solo perché mi
ha consentito una rilettura, ricca di memorie, della regione delle mie origini e
della mia giovinezza, della città in cui sono nato: ma per la visione penetrante
e, credo, esatta, che mi ha offerto, delle sue potenzialità e delle sue contraddizioni
di oggi.
Tra le molte ambizioni della ricerca, infatti, campeggia secondo me il riesame
del rapporto tra sviluppo industriale e Risorse Umane. Colto in un settore
come l’audiovisivo, dove da sempre é questione centrale; ma più che mai
significativo anche del grado complessivo di civiltà, di benessere, di qualità del
lavoro e della vita, che un territorio o un settore produttivo hanno raggiunto.
Proprio su questo nodo la valanga di dati e testimonianze, che ho potuto
percorrere, mi ha confermato impressioni e certezze antiche, e mi ha sollecitato
nuove riflessioni.
Fra queste ultime, vorrei condividerne due in particolare con i destinatari di
questa ricerca.
La prima si riferisce al tema della qualità delle Risorse Umane, cui fa ricorso
un comparto industriale per sospingere la sua crescita e la sua produttività.
Nell’industria della comunicazione audiovisiva - che non é solo labour intensive,
ma anche creativity based - questa qualità condiziona direttamente la qualità
del prodotto, e dunque anche della performance economica, e cioè dello sviluppo
di tutto il settore. In un certo senso, le Risorse Umane sono la vera materia
prima di questa industria.
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Ebbene, la qualità di queste risorse, di questa materia prima non é un’opzione
segmentabile per ambiti, competenze, profili o fasi del ciclo produttivo: é una
scelta strategica di fondo, che comincia dai vertici della piramide imprenditoriale
e scende in modo pervasivo e contagioso fino all’ ultimo addetto.
È una scelta di sistema, come si usa dire.
Sia la proprietà - privata o pubblica - delle imprese audiovisive, che i
responsabili della regolazione di settore - Governo, Autorità, Parlamento - possono
fare o non fare questa scelta (o non farla fino in fondo): possono cioè affidare
il futuro dell’industria audiovisiva e dei suoi occupati a mani e teste più o
meno capaci e adeguate. Ma probabilmente lo faranno solo se considerano
prioritario il libero sviluppo del settore, la sua competitività internazionale, il
suo contributo all’efficienza del Sistema Paese; e non invece il suo controllo
politico ed economico, la sua utilità “strumentale” a breve, la sua occupazione
clientelare.
Da questa “scelta di sistema” discenderà un messaggio vincolante per tutti
gli altri livelli manageriali e operativi dell’intero comparto industriale: la definizione
appunto di uno standard di qualità professionale, non stabilito in astratto, ma
agganciato al riconoscimento sociale, all’immagine, al ruolo, agli obiettivi che
la comunità nazionale - attraverso le sue istituzioni - assegna al proprio sistema
della comunicazione.
Cito poche righe, di una verità schiacciante, dalla testimonianza di un intervistato:
Il problema è nello scarso coraggio dei manager attuali (soprattutto della nuova
generazione di direttori di rete, pavidi e poco coraggiosi), che non hanno il talento
sufficiente per basarsi sul loro fiuto, e devono sempre affidarsi a qualcosa di
esterno: la percentuale di share, il focus, il format: mai che facciano un
programma semplicemente perché ci credono, perché hanno qualcosa da dire,
perchè secondo loro quella cosa “va detta”.
In altre parole, prima di demonizzare la pubblicità o il mercato o la tecnologia,
chiediamoci in che modo (e fino a che punto) gli attori industriali e politici del
nostro sistema audiovisivo si sono preoccupati di presidiare la qualità del loro
“prodotto” (in senso lato, di qualità “sociale” e non solo merceologica), e
innanzitutto quella professionale delle Risorse Umane impiegate.
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La seconda riflessione riguarda invece il ruolo e i compiti della formazione in
questo settore così carente di solidità e coesione.
Nell’attuale paesaggio delle azioni formative per il lavoro audiovisivo, in
Lombardia come a livello nazionale, aumentano a dismisura la quantità delle
offerte e la competizione fra loro, senza grande riguardo alla qualità e alla
funzionalità delle competenze, che le singole iniziative annunciano di voler
produrre.
Sembra quasi che gli svariati soggetti ed agenti formatori siano più interessati
alla propria caratterizzazione autoreferenziale, alla propria affermazione come
operatori individuali, e vincenti sul mercato, affollatissimo di scuole, corsi,
Master, diplomi e lauree, che non a contribuire alla soddisfazione di un
bisogno complessivo del settore, di cui pure fanno parte.
Non é dunque il caso di rallegrarsi per questa “politica dei cento fiori”, in cui
una pretesa originalità del singolo approccio didattico e il suo appeal in
termini di marketing fanno premio sull’obiettivo fondamentale di creare una
vera community professionale, omogenea (e solidale), che condivida valori,
conoscenze e linguaggi: che condivida insomma “una cultura dell’audiovisivo”.
Ricordo di aver chiesto anni fa a Carol Littleton, la mitica montatrice di “E.T.”,
quale fosse la dote più eccelsa del “suo” regista, Steven Spielberg. Risposta:
“In pochissimo tempo e con pochissime parole, lui riesce a comunicarti cosa
vuole da te”. “E come ci riesce?”, replicavo io, memore di tanti set nostrani (e
moviole) bloccati per ore dalle esitazioni e dalla “incomunicabilità” d’autore.
“Perché nel cinema americano parliamo tutti lo stesso linguaggio, abbiamo studiato le stesse discipline nelle nostre Università, letto gli stessi testi, frequentato gli
stessi corsi. E le parole hanno, per la maggior parte di noi professionisti, lo stesso significato”.
Forse non c’é bisogno di commenti, ma lasciatemi dire che molte delle nostre
“scuole”, a qualsiasi livello (dai corsi più estemporanei ai Master più solenni),
nascondono davvero malamente le ambizioni dei loro promotori (come evitare
la battuta fulminante di G.B.Shaw? “Chi sa fare una cosa, la fa. Chi non la sa
fare, la insegna”). Docenti e “direttori didattici” si disperdono in mille faticose
teorizzazioni (non sempre indispensabili), in mille sforzi di descrizione e
categorizzazione della realtà audiovisiva; anziché dedicarsi alla costruzione di
una base omogenea di risorse (umane) per i progetti industriali e creativi delle
imprese, che sono dopotutto i loro principali “committenti”.
In effetti le cosiddette Risorse Umane, le capacità e il talento dei lavoratori
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dell’audiovisivo, sono qualcosa di più che la materia prima di questa
industria: ne costituiscono anche la fonte energetica (di energia immateriale,
intellettuale) e l’infrastruttura portante, quella rete di persone, capacità e
conoscenze, che permette la circolazione delle idee e dei saperi, lo scambio
delle esperienze e l’accumulazione di know how, in una parola il funzionamento
e lo sviluppo dell’intero sistema della comunicazione.
E la prima qualità, di cui una rete ha bisogno, é proprio la sua omogeneità, la
sua trasparenza, la sua accessibilità, universale e veloce: insomma un suo
linguaggio e una sua cultura, entrambi ampiamente condivisi.
Forse raccogliere questa sfida, a cui non sembra rispondere l’evoluzione
spontanea del mercato della formazione audiovisiva; ed organizzare - da parte
delle istituzioni e delle imprese - una rinnovata politica delle Risorse Umane,
e del loro inserimento lavorativo (vedi il Focus su Skillset al cap. 3), potrebbe
davvero accelerare la crescita e il consolidamento del settore, in Lombardia
come in tutto il nostro Paese.
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