SOCIETÀ QUANDO L’INCOGNITA DEL FUTURO APRE NUOVE OPPORTUNITÀ Vivere nel rischio L’uomo postmoderno vive nell’aspettativa di una catastrofe che lo coinvolgerà a fondo. Negli anni scorsi questa ansia è stata sfruttata per creare base di consenso a guerre e azioni militari. Ma su di essa poggia anche un nuovo cosmopolitismo che vede aziende e popoli ricercare soluzioni ecologicamente sostenibili su scala globale Romano Trabucchi na delle poche certezze, anno dopo anno, è che avverranno eventi estremamente improbabili. Ad esempio catastrofi di vario tipo: ecologiche, economiche, terroristiche, epidemiche e via dicendo. Se da una parte è vero che la frequenza di questi eventi è oggettivamente aumentata, è però soprattutto aumentata la nostra prossimità a essi. Mentre incominciavamo a renderci conto della gravità della crisi economica che ha investito il mondo, abbiamo assistito, tramite tv e internet, all’attacco terroristico di Mumbai, l’antica Bombay ora capitale economica dell’India. La globalizzazione ha compresso le dimensioni spazio-temporali e le tecnologie della comunicazione rendono mediatici tutti gli avvenimenti, ovunque essi si svolgano. Ormai nulla di ciò che accade nel mondo è più soltanto un evento locale. Questo vale anche per tsunami e uragani come i recenti Gustav e Ike (che negli Stati Uniti hanno spazzato via, assieme a vite umane, miliardi di dollari). Ormai i pericoli essenziali sono diventati pericoli globali e noi tutti ne diventiamo, se U Romano Trabucchi, pubblicista, è autore di libri di management e ha diretto alcune collane presso l’editore Franco Angeli. Collabora con periodici e riviste ed è membro del comitato scientifico del Cfmt. 20 䡵 DIRIGENTE 3|2009 non protagonisti, spettatori. E questo induce in noi il dovere di preoccuparci per ogni cosa. La sensazione inevitabile è quella di aver raggiunto livelli inauditi di turbolenza e di pericolo. Viviamo nella società mondiale del rischio. Quegli eventi, infatti, cambiano radicalmente il nostro modo di percepire e concepire la realtà e i fatti del mondo. Cambiano le nostre aspettative. Cambiano la nostra cultura, che ci aveva abituati alla relativa stabilità di una società come quella industriale. In sintesi, cambia la condizione dell’uomo nel mondo. Abbiamo perciò bisogno di nuove categorie per capire la realtà e per affrontarne i problemi. Uno dei maggiori sociologi mondiali, il tedesco Ulrich Beck (docente di Sociologia all’università di Monaco di Baviera e alla London School of Eco- nomics), ha costruito un quadro concettuale che spiega a livello teorico il significato di questi eventi e di questi processi. Beck, noto in tutto il mondo per la sua teoria della società mondiale del rischio, ha scritto recentemente Conditio humana. Il rischio nell’età globale, edito da Laterza nel 2008. Il punto centrale della sociologia di Beck è che l’uomo di oggi, anche se non si verifica alcuna catastrofe, si trova nel mezzo di uno sviluppo sociale in cui l’attesa dell’inaspettato, del rischio possibile, domina sempre più la scena della sua vita, si tratti di rischi a livello individuale o collettivo. I rischi sono dappertutto, anche se, il più delle volte, nascosti: li troviamo nella società (terrorismo), nel lavoro (licenziamenti di massa da parte di aziende sicure), negli affetti (di- vorzi inattesi) e nelle nostre relazioni con gli altri. Il rischio è diventato la condizione strutturale della fase attuale della società moderna. Abbiamo di fronte una diffusa crisi economica, legata a una crisi energetica, che ha alle spalle una crisi ecologica. Perciò il potenziale di rischi è grande: precarietà del lavoro, violenza all’interno delle società, guerre, terrorismo, ziale dell’umanità che si realizza nella società della seconda modernità: post-industriale e post-nazionale. La seconda modernità è detta anche modernità riflessiva, nel senso che è la stessa modernizzazione che è diventata un problema. Quindi noi viviamo con la percezione di minacce prodotte dall’uomo e dalla sua civiltà del progresso, minacce impossibili da localizzare, calcolare e arginare. Ormai viviamo nella società mondiale del rischio, che non significa solo catastrofe naturale, ma anche terrorismo, licenziamenti di massa, divorzi inattesi. minaccia nucleare, eventi naturali catastrofici. Siamo in una situazione di grande incertezza in cui le tradizionali regole della vita ci aiutano ben poco a far fronte a questi nemici senza volto, mentre la politica fa fatica a capire i nuovi problemi e a impostarne le soluzioni. Dalla prima alla seconda modernità Il libro di Beck fa il punto su un vasto orizzonte culturale. È un volume utile anche ai manager per comprendere la complessità del mondo di oggi e le implicazioni per chi vi opera. Un mondo ben lontano dalle certezze e dalle regole di quello della prima modernità: la società industriale e nazionale. Il libro ci prospetta la nuova condizione esisten- Nella seconda modernità tutto scivola nell’incertezza e si perde quella sicurezza ontologica che era propria della prima: non c’erano dubbi, allora, sulle finalità sociali, sulle modalità dell’azione umana o sulla controllabilità degli eventi. La prima modernità era basata sulle società legate allo stato-nazione e le relazioni erano essenzialmente intese in senso territoriale: ogni uomo viveva in un territorio determinato e aveva una sua precisa identità. Inoltre la prima modernità era caratterizzata dal sistema di produzione industriale, dalla padronanza scientifica della natura e dall’idea di un progresso tecnico-economico lineare. Queste istituzioni oggi sono messe in crisi da una serie di processi strettamente interconnessi di cui la globalizzazione e i suoi rischi sono gli aspetti più rilevanti. Il primo libro di Beck su questi temi, La società del rischio, è del 1986, lo stesso anno del disastro di Chernobyl. Quel testo è oggi considerato un classico della sociologia contemporanea. La nube radioattiva di Chernobyl è diventata il simbolo di come la società della seconda modernità trasformi, attraverso la scienza, le forze naturali e rischi di produrre catastrofi. Nella società mondiale del rischio si per䊳 Il sociologo della teoria dei rischi Ulrich Beck è docente di Sociologia presso la Ludwig Maximilians Universität di Monaco di Baviera e la London School of Economics. Nasce a Stolp, cittadina della Germania nazista nel 1944 e ora parte della Polonia. In seguito ai suoi brillanti studi in qualità di ricercatore, nel 1992 è professore di Sociologia e direttore di istituto della Ludwig Maximilians Universität di Monaco di Baviera. Seguono incarichi di prestigio come quelli presso l’università di Cardiff e la Commissione istituita dal governo tedesco sui cambiamenti futuri delle società. Beck introduce veri concetti rivoluzionari per la sociologia: a partire dalla teoria del rischio fino alla definizione di una seconda modernità, contempla temi tra cui globalizzazione, individualizzazione, disoccupazione, sottoccupazione, rivoluzione dei generi, crisi ecologica e mercati finanziari. Concetti trattati nel saggio La società del rischio. Verso una seconda modernità del 1986. Conditio humana. Il rischio nell’età globale esce invece nel 2008. DIRIGENTE 3|2009 䡵 21 SOCIETÀ de la chiara distinzione tra natura e cultura. Viviamo in un mondo costruito, artificiale, la cui realtà è l’industrializzazione della natura caratterizzata dai pericoli che possono esserne prodotti. Beck sostituisce termini-chiave dal significato apparentemente ovvio come natura, ecologia, ambiente, che sottolinea- indipendentemente dalle nostre percezioni. Ma, allorché se ne acquisisce una consapevolezza generale, diventano un fatto politico. Proprio perché la minaccia permanente determina le nostre aspettative, occupa le nostre menti e guida le nostre azioni, diventa una forza politica che cambia il mondo. I pericoli globali modellano le azioni e facilitano la creazione di istituzioni internazionali, come dimostrano Dall’attacco alle Torri Gemelle prese il via la politica americana anti-terroristica. no la distinzione rispetto alla dimensione sociale, con concetti che superano l’opposizione tra società e natura e pongono al centro l’insicurezza prodotta dall’uomo. Le nuove categorie divengono rischio, catastrofe, effetti collaterali, assicurabilità e globalizzazione. Dalla percezione del rischio a una politica di intervento Rischio non è sinonimo di catastrofe. Rischio è l’anticipazione della catastrofe, lo stato intermedio tra la sicurezza e l’evento disastroso. I rischi riguardano la possibilità di episodi e sviluppi futuri, rendono presente una condizione del mondo che non c’è (ancora) e che potrebbe esserci: sono eventi futuri che forse ci attendono, che ci minacciano. Non sono qualcosa che esiste in sé, 22 䡵 DIRIGENTE 3|2009 gli accordi internazionali riguardanti l’ambiente conclusi negli ultimi trent’anni. Questo, per Beck, è un punto molto importante. Sono varie le tipologie di rischio globale: ambientale, tecnologico, economico e terroristico. Una differenza essenziale tra i pericoli ecologici e quelli economici da un lato è la minaccia terroristica, dall’altro sta nel fatto che in quest’ultima il caso viene sostituito dall’intenzione. Ma la morale che se ne ricava è che, in ogni caso, i rischi presuppongono decisioni umane; essi non vengono da colpi del destino che si abbattono sugli uomini dal di fuori per cause naturali o per volere degli dei o di qualche demone. I rischi sono legati al sistema economico e politico. È proprio l’anticipazione inscenata delle distruzioni e delle ca- tastrofi che obbliga la società ad agire preventivamente. La catastrofe climatica è un esempio di come si costruisce un rischio. Beck si chiede come ha potuto prevalere la tesi degli ambientalisti dell’origine antropica del cambiamento climatico. E risponde: grazie a una grande coalizione tra mondo scientifico e Nazioni Unite, alla conversione ecologica dei principali attori economici e a condizioni meteorologiche percepite come cambiamento climatico in atto. Così il mutamento del clima è diventato un fattore di mobilitazione fondamentale dell’interesse pubblico. Con un’azione di svuotamento delle forme tradizionali della politica e di contemporanea politicizzazione di ambiti considerati in precedenza apolitici, come l’economia e la scienza. Il potenziale racchiuso nel problema del cambiamento climatico è vasto al punto da far prospettare una riconfigurazione e trasformazione del paesaggio socio-politico. Al Gore e i suoi hanno ridefinito l’agenda politica globale. A ciò si deve aggiungere la svolta verde del governo britannico e della Ue, le istituzioni transnazionali del movimento ambientalista, l’istituzione dei ministeri dell’Ambiente nei diversi governi, la creazione di nuovi monopoli del sapere, come gli ipertecnici modelli del clima mondiale costruiti dagli scienziati dell’International panel for climate change. Questi aspetti servono, secondo Beck, a travalicare i confini nazionali e hanno la funzione di svolgere una sorta di spinta cosmopolitica della crisi ecologica. Con la comparsa del discorso ambientale si realizza, infatti, la fine dello stato nazionale. Ciò significa che una politica progettuale efficace contro il riscaldamento globale è possibile solo al di là delle istituzioni rappresentative dello stato nazionale. Lo stesso discorso vale per l’attacco e il crollo delle Torri Gemelle di New York. In quell’occasione si costruì e si consolidò la poli䊳 SOCIETÀ tica americana anti-terroristica. Tale crimine, per Beck, distrusse ovvietà culturali profondamente radicate. «Queste esplosioni materiali e simboliche provocarono qualcosa che era da esse separato nello spazio e nel tempo: l’aspettativa del terrorismo». Sono la percezione e la definizione culturale che costituiscono quel tipo di realtà virtuale che sono i rischi. Ne segue che lo scontro tra culture del rischio costituisce uno degli aspetti più importanti della seconda modernità. Non si tratta di conflitti culturali di valore tra civiltà (clash of civilization), come poteva pensare Secondo la teoria di Beck, lo tsunami del 2004 nel sud-est asiatico ha avvicinato popolazioni dell’intero pianeta creando nuove responsabilità globali. Samuel Huntington, ma scontro tra culture del rischio (clash of risk culture): gli europei, che sono caratterizzati dall’isteria ambientalista, mentre gli americani lo sono (o lo sono stati?) dall’isteria da terrorismo. Quando il rischio genera nuove opportunità Ma i rischi creano anche opportunità. Le avversità globali destabilizzano l’ordine esistente e possono essere viste come un passo vitale verso nuove istituzioni. Così la 24 䡵 DIRIGENTE 3|2009 società mondiale del rischio dà impulso a una logica-chiave storicamente nuova: la difesa del clima può dare occasione al cosmopolitismo. Dalle analisi apocalittiche del nostro tempo possiamo definire una strategia per uscirne. È la logica del rapporto crisi-opportunità; la logica dalla quale può germogliare la speranza. La soluzione di quel complesso di problemi che è la crisi che abbiamo di fronte dipende anche dal nostro atteggiamento e dai mezzi che sapremo inventare per superarla. Occorre cercare di creare responsabilmente il futuro; pensarlo con realismo, ma anche con coraggio creativo. A ben guardare, di fronte al diffuso sentimento di apocalisse, la società mondiale del rischio svolge una funzione positiva di stimolo, nel senso che i rischi fanno prendere coscienza della necessità di costruire nuove istituzioni e nuove modalità di azione politica per la sopravvivenza dell’uomo. Afferma Beck: «Per la prima volta nella storia tutte le popolazioni, culture e gruppi etnici, così come ogni regione e religione del mondo, si trovano a vivere nel comune presente di un futuro che minaccia tutti indiscriminatamente. La politica del cambiamento climatico è per forza di cose inclusiva e globale; è una realpolitik cosmopolita»*. È così che i rischi globali, abbattendo i confini nazionali, finiscono per mescolare l’indigeno con lo straniero e mettere ognuno di noi a confronto con l’altro. Eventi come le catastrofi affratellano le persone, vincono i loro egoismi, avvicinano gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza, dai loro paesi di origine, dalle classi di appartenenza e dal loro livello gerarchico. È rimasto famoso un articolo di Beck scritto in occasione dello tsunami che ha colpito nel dicembre 2004 il sud-est asiatico: quella ca* La speranza dello Stato cosmopolita, in “Reset”, n. 110, novembre-dicembre 2008, pag. 57. tastrofe, secondo il sociologo tedesco, ha avvicinato i paesi e le popolazioni dell’intero pianeta, mettendo in evidenza la necessità di una nuova responsabilità di tutti per la sofferenza degli altri, proprio per le dimensioni globali di essa, in cui hanno perso la vita individui provenienti da tutti i continenti e da moltissimi paesi (svedesi, italiani, indiani, inglesi, tedeschi, tailandesi, danesi, americani, africani e via dicendo). Sono proprio le dimensioni globali della catastrofe che rivelano la sua quintessenza cosmopolita. In questo modo una catastrofe globale implica un cambiamento del paradigma culturale e politico. Da questo punto di vista il cosmopolitismo crea un nuovo approccio sociale anche alla diversità culturale: l’inclusione di tutti gli altri diventa la sua massima ispiratrice. Per Beck il mutamento climatico è una delle dimensioni fondamentali della dinamica della società mondiale del rischio. Anche a proposito dell’attuale profonda crisi economica che stiamo attraversando, il rischio del cambiamento climatico può indirizzare la nostra azione verso soluzioni nuove. Abbiamo l’opportunità di puntare su un’economia verde, il che può significare anche crescita monetaria e di lavoro. L’approccio nuovo alla crisi è quello di rendere le sue soluzioni sostenibili dal punto di vista ambientale. Sembra questa anche la strategia (una sorta di new deal verde) del nuovo presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, per il quale la crisi deve diventare l’occasione per accelerare un generale cambiamento. Il mutamento del clima non è, infatti, un problema che riguarda solamente l’ambiente con le sue implicazioni economiche, ma può diventare l’occasione di creare nuovi rapporti di giustizia fra i diversi paesi e nuove regole internazionali. Da questo punto di vista la crisi può essere una grande opportunità: può portare nel mondo un nuovo ordine e nuove regole di cui molti sentono l’esigenza. 䡵