Collana di Finanza aziendale dell’Università “La Sapienza” di Roma • 18• A13 51 Alessandro Gennaro FINANZA CONDIZIONATA E TEORIA DEL VALORE Volume XVIII Inflazione e valore Copyright © MMXII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A-B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–5010–1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: luglio 2012 “Dove si trova un esercito, i prezzi delle merci salgono E con il rincaro, le ricchezze si esauriscono.” Sun Tzu, VI secolo a.C. INDICE Prefazione…………………………………….…………….………………......1 Introduzione………………………………….……………….………………...3 1 2 Inflazione e valore .............................................................................................. 7 1.1 Caratteri dei processi inflativi ................................................................... 7 1.2 Integrità monetaria ed economica del capitale ........................................ 11 1.3 Adeguamento nominale dei tassi all’inflazione ...................................... 16 1.4 Aspettative e rischio d’inflazione............................................................ 24 1.5 Inflazione e valore d’impresa: modelli teorici ........................................ 31 1.6 Inflazione e valore d’impresa: approfondimenti ..................................... 39 1.7 Inflazione e mercati finanziari: evidenze empiriche ............................... 43 Inflazione e rischio ........................................................................................... 49 2.1 Rischio d’inflazione e costo del capitale ................................................. 49 2.2 Inflazione e risultabilità operativa ........................................................... 54 2.3 Inflazione e risultabilità netta .................................................................. 62 2.4 Inflazione, integrità e valore d’impresa .................................................. 63 2.4.1 Inflazione specifica, settoriale e generale ........................................... 65 2.4.2 Ipotesi Base: assenza d’inflazione generale e settoriale ..................... 66 2.4.3 Ipotesi 1 .............................................................................................. 67 2.4.4 Ipotesi 2 .............................................................................................. 73 2.4.5 Ipotesi 3 .............................................................................................. 74 2.4.6 Generalizzazioni ................................................................................. 74 2.5 Rischio d’inflazione e premio di rischio operativo ................................. 75 2.5.1 Ipotesi Base: inflazione specifica allineata a quella generale ............. 76 2.5.2 Ipotesi 1: leva prezzi superiore a 1 ..................................................... 78 2.5.3 Ipotesi 2: leva prezzi pari a 1 .............................................................. 81 2.5.4 Ipotesi 3: leva prezzi inferiore a 1 ....................................................... 84 2.5.5 Generalizzazioni ................................................................................. 87 2.6 3 2.6.1 Stima bottom-up del cost of equity ..................................................... 89 2.6.2 Stima top-down del cost of equity ...................................................... 90 Inflazione e pianificazione ................................................................................ 97 3.1 Contesto competitivo e leva dei prezzi.................................................... 97 3.2 Politiche finanziarie e leva dei prezzi.................................................... 100 3.3 Inflazione e pianificazione economico-finanziaria................................ 103 3.4 Determinazione dei risultati in presenza d’inflazione ........................... 105 3.5 Logiche e procedimenti di pianificazione economico-finanziaria......... 107 3.6 Obiettivi di rendimento e crescita in presenza d’inflazione .................. 110 3.6.1 Investimento mono-periodale ........................................................... 110 3.6.2 Rendita perpetua costante ................................................................. 111 3.6.3 Rendita perpetua con crescita regolare ............................................. 113 3.6.4 Rendita temporanea costante ............................................................ 114 3.6.5 Rendita temporanea con crescita regolare......................................... 116 3.7 4 Obiettivi aziendali e rischio d’inflazione .............................................. 117 Inflazione e valutazione .................................................................................. 125 4.1 Valutazione finanziaria d’impresa......................................................... 125 4.1.1 Vita utile aziendale limitata .............................................................. 126 4.1.2 Vita utile aziendale illimitata ............................................................ 127 4.2 Metodo dei Tassi Attualizzati................................................................ 131 4.3 Metodo valutativo misto........................................................................ 134 4.4 Economic Value Added ......................................................................... 139 4.5 Metodo Patrimoniale Dinamico ............................................................ 145 4.5.1 5 Inflazione e costo del capitale di rischio: brevi osservazioni .................. 88 Stima delle opzioni reali e terminal value ......................................... 151 Casi di pianificazione e valutazione ............................................................... 155 5.1 Considerazioni introduttive ................................................................... 155 5.2 Piani economico-finanziari in ipotesi di stazionarietà ........................... 156 5.2.1 Variante a: assenza d’inflazione ....................................................... 156 5.2.2 Variante b: inflazione neutrale.......................................................... 160 5.2.3 Variante c: inflazione non neutrale ................................................... 168 5.3 5.3.1 Variante a: assenza d’inflazione ....................................................... 173 5.3.2 Variante b: inflazione neutrale.......................................................... 177 5.3.3 Variante c: inflazione non neutrale ................................................... 182 5.4 Stima del valore economico nel primo caso.......................................... 187 5.4.1 Variante a: assenza d’inflazione ....................................................... 188 5.4.2 Variante b: inflazione neutrale.......................................................... 193 5.4.3 Variante c: inflazione non neutrale ................................................... 200 5.5 Stima del valore economico nel secondo caso ...................................... 205 5.5.1 Variante a: assenza d’inflazione ....................................................... 205 5.5.2 Variante b: inflazione neutrale.......................................................... 211 5.5.3 Variante c: inflazione non neutrale ................................................... 217 5.6 Piani economico-finanziari in ipotesi di crescita reale .......................... 173 Stima del valore economico nel terzo e quarto caso ............................. 222 Prefazione Che l’inflazione sia causa di illusione monetaria è ormai noto da almeno un secolo, se si considera il lavoro, sul potere d’acquisto della moneta, che Irving Fisher diede alle stampe nel 1911. Ma già nel 1751 Ferdinando Galiani aveva pubblicato Della Moneta, un trattato in cinque tomi in cui enunciava una teoria monetaria collegata al valore economico dei beni. In tale ottica, considerava i sistemi monetari possibili, da quelli basati sulla cartamoneta a quelli fondati sui metalli preziosi, gli unici che riteneva in grado di assicurare il regolare funzionamento d’una economia di scambio. Il pregio di Fisher è nell’eleganza della sua formulazione, per cui – noto il tasso tendenziale d’inflazione – il rendimento nominale atteso scaturisce dal complemento ad uno del prodotto di due fattori di capitalizzazione: quello al saggio reale e quello al saggio inflativo. Si ha, quindi: j = (1 + h) (1 + i) – 1 h =[ (1 + j)/(1 + i)] – 1 A ben vedere, Fisher considera l’inflazione alla stregua d’uno sviluppo apparente e, pertanto, foriero di inganni sul valore attuale dei flussi attesi. La fondatezza di tale impostazione è adeguatamente discussa e comprovata nel presente lavoro di Alessandro Gennaro. Egli, sulla base d’una attenta analisi della più recente letteratura dell’argomento, introduce interessanti considerazioni sulle situazioni proprie dei differenti contesti aziendali, riprendendo il tema, tipico della Finanza Condizionata, dell’integrità del capitale quale componente essenziale del valore economico delle imprese, tanto nell’aspetto della dinamica generale dei prezzi (integrità monetaria), quanto in quello delle dinamiche settoriali (integrità economica) che possono presentare diversi rischi ed opportunità per gli operatori di mercato. Tale apertura consente di approfondire il tema dell’inflazione (generale e settoriale) in relazione ai molteplici effetti che possono aversi sul valore di mercato delle imprese, facendo emergere quei fattori sommersi che, come è accaduto nel caso della cosiddetta bolla immobiliare, possono diversificare notevolmente, ed a lungo, l’intensità delle variazioni dei prezzi di costo rispetto a quella dei prezzi di ricavo. 1 L’Autore, inoltre, estende la propria riflessione alle concrete situazioni di rischio suscettibili di accentuare questo o quel comportamento a livello di impresa e di mercato, indirizzando l’indagine anche verso l’esame e l’interpretazione complessa dei modi in cui la pianificazione aziendale, economica e finanziaria, può essere condotta per la salvaguardia del valore e dell’integrità delle risorse impiegate, nonché per la sopravvivenza dell’impresa in quanto sistema vitale esistente. Il lavoro si inquadra in una produzione già ampia in cui spicca Governance e Valore pubblicato, nel 2008, in questa stessa collana di Finanza Condizionata e Teoria del Valore. Università “La Sapienza” di Roma – luglio 2012 Prof. FRANCESCO COLOMBI 2 Introduzione Il presente contributo si inquadra nell’ambito degli studi di Corporate Finance che considerano, sul piano concettuale e metodologico, i possibili effetti indotti dall’inflazione sulla creazione, diffusione e misurazione del valore economico d’impresa. In Italia, nel corso degli anni ’70, il tema trattato ha suscitato il forte interesse degli economisti d’azienda prevalentemente per quegli aspetti relativi alla corretta rappresentazione dei risultati aziendali in periodi di elevata inflazione. Meno indagate sono state le criticità relative alla pianificazione economico-finanziaria e alla valutazione aziendale. Nello stesso periodo, in altri Paesi (principalmente Stati Uniti e Inghilterra) si è assistito al proliferare di indagini empiriche volte a verificare la tenuta della teoria della “neutralità dell’inflazione”. Questa prevede che, in ipotesi di mercati perfetti e di omogeneità delle aspettative, le dinamiche inflative non possano influenzare il valore economico di un investimento. I diversi studi hanno spesso evidenziato come il comportamento dei prezzi di borsa contraddicesse tale teoria, senza tuttavia giungere a definire modelli alternativi capaci di spiegare in maniera esaustiva gli effetti dell’inflazione sul valore d’impresa. Lo studio che qui si propone offre una trattazione sistematica degli aspetti che in via concettuale legano valore e inflazione, al fine di riesaminare criticamente le costruzioni teoriche e le analisi empiriche presenti nella letteratura internazionale. Assumendo il punto di vista del management o del valutatore, ciò consente anche di affrontare le problematiche relative alla costruzione di adeguati piani economicofinanziari e all’applicazione di opportuni modelli valutativi. Il lavoro è organizzato in cinque parti, ciascuna volta ad approfondire un particolare aspetto della questione in esame. Nel primo capitolo, si delinea il quadro teorico necessario a cogliere le connessioni tra inflazione e valore aziendale. A tal fine, dopo aver descritto i caratteri fondamentali dei fenomeni inflativi, si analizzano i principali modelli teorici nonché le principali analisi empiriche che hanno indagato sul tema. Nel secondo capitolo, si esamina il legame esistente tra aspettative, rischio d’inflazione e rendimenti minimali attesi dagli investitori; si tenta di individuare logiche e driver per la quantificazione di un particolare premio 3 di rischio associato a variazioni, specifiche o generalizzate, dei prezzi. Si procede, dunque, con lo studio della variabilità dei flussi attesi applicando l’analisi di scenario, al fine di osservare, attraverso simulazioni, il comportamento dei driver del valore in contesti d’inflazione, per premi coerenti con il rischio d’inflazione. Le analisi, le riflessioni o le proposte, soprattutto in tema di formulazione delle aspettative e di analisi del rischio, riflettono l’approccio tipico della Finanza Condizionata, che si fonda sul pensiero soggettivo piuttosto che oggettivo, sull’analisi probabilistica exante piuttosto che frequentistica ex-post. Nel terzo capitolo, si assume il punto di vista del management nell’analisi del problema inflativo. Si propongono logiche e metodi di pianificazione economico-finanziaria che siano in linea con l’obiettivo della difesa dell’integrità monetaria, oltre che economica, dei capitali impiegati nelle attività aziendali. Dopo aver individuato tassi di rendimento, di crescita e di sconto coerenti con le aspettative d’inflazione, si procede ad individuare le principali logiche e i correlati criteri di pianificazione finanziaria. Nel quarto capitolo, si assume il punto di vista del valutatore rispetto al problema inflativo, per evidenziare convergenze o divergenze sistematiche che alcuni metodi valutativi presentano in contesti inflazionistici. Movendo dal Discounted Cash Flow Method, applicato seguendo un approccio Adjusted Present Value, vengono considerati ed esaminati: - il Metodo dei Tassi Attualizzati, che, come procedimento sintetico di stima, presenta una perfetta aderenza al criterio dei flussi attualizzati ; il Metodo Patrimoniale Dinamico, che presenta interessanti peculiarità in merito al trattamento degli effetti inflativi, sia per le rivalutazioni patrimoniali che per la stima del terminal value; il Metodo della rendita abbreviata di goodwill e quello dell’Economic Value Added, al fine di rappresentare le modalità per adeguamento all’inflazione degli input necessari. Infine, nel quinto capitolo, si tenta di confermare concretamente, attraverso semplici simulazioni, quanto sostenuto, dal punto di vista teoricoconcettuale, nei capitoli precedenti. **** 4 Un sentito ringraziamento va ai Professori Francesco Colombi e Giovanni Palomba, sui cui insegnamenti si fonda il presente lavoro di ricerca. Infatti, gli studi del Prof. Colombi sulla Finanza Condizionata e la Teoria Soggettivistica del Costo del Capitale, e del Prof. Palomba sul Metodo Patrimoniale Dinamico, hanno costituito sia la spinta iniziale che il supporto costante per le analisi, le riflessioni e le applicazioni presenti nel testo. 5 1 1.1 Inflazione e valore Caratteri dei processi inflativi I processi inflativi vengono identificati dagli studiosi come aumenti generalizzati e persistenti dei prezzi di beni e servizi negoziati in un sistema economico. Tale visione porta normalmente a sottolineare una delle principali conseguenze del fenomeno: la diminuzione tendenziale del potere d’acquisto dell’unità monetaria con cui gli operatori del sistema misurano i prezzi. Poiché un processo inflativo può essere attivato e sostenuto sia da fattori reali che monetari, risulta particolarmente difficile individuare, tra le cause concorrenti, quella scatenante1.La letteratura macroeconomica ha elaborato due distinti approcci teorici per descrivere ed analizzare l’agire di tali fattori: il primo si rispecchia nei cosiddetti demand – pull inflation models, mentre il secondo nei cost – push inflation models. Tra i modelli del primo genere si distingue quello di derivazione keynesiana, secondo il quale l’inflazione è determinata da continui aumenti, in termini reali, della domanda aggregata, spinta dalla crescita della spesa pubblica, della propensione al consumo oppure delle esportazioni. Tali incrementi si possono riflettere: - in aumenti della produzione finché vi è capacità produttiva e forza lavoro inutilizzata; in aumenti dei prezzi quando non vi è capacità produttiva sufficiente per soddisfare interamente l’incremento di domanda2. A quello keynesiano si lega il modello monetarista fondato sulla teoria quantitativa della moneta, che spiega come la moneta stessa possa accelerare o frenare le dinamiche di crescita generalizzata dei prezzi. La teoria quantitativa, proposta da Fisher3 e sviluppata dalla Scuola di 1 PIERCE D.G., SHAW D.M., Economia monetaria, Il Mulino, Bologna, 1979. In altri termini, l’inflazione da domanda si manifesta quando le politiche economiche adottate da un Paese consentono che, sui mercati del lavoro e degli altri fattori della produzione, pervenga una domanda di risorse superiore al volume compatibile col pieno impiego e che, quindi, non può venire soddisfatta in mancanza di capacità produttiva in eccesso. 3 FISHER I., The Purchasing Power of Money, The MacMillan Co., New York, 1911. 2 7 Capitolo 1 Cambridge e da quella di Chicago4, configura l’inflazione come la conseguenza dell’inadeguatezza, per volume o velocità di circolazione, della quantità di moneta rispetto agli scambi attivabili in ragione del livello della produzione reale5. In realtà, proprio la lettura in chiave dinamica del modello monetarista conferma che l’inflazione può trarre origine tanto dall’economia reale (dove le variazioni della domanda aggregata, provocando effetti su grandezze quali il livello di produttività, d’occupazione e del costo del lavoro, influenzano in definitiva il PIL reale) quanto da variabili monetarie (quali la quantità di moneta e la sua velocità di circolazione). Ciò appare evidente configurando l’equazione degli scambi non in termini statici ma dinamici: ΔP =i = P § ΔM ΔV ΔPIL · f¨ ; ; ¸ © M V PIL ¹ Il tasso periodale d’inflazione i, inteso come variazione percentuale generalizzata dei prezzi (ΔP/P), sarebbe determinato dalle variazioni, verificatesi in un dato periodo ed espresse in termini percentuali, della base 4 La teoria quantitativa della moneta spiega come il potere d’acquisto sia inversamente correlato alla quantità di moneta in circolazione. In termini formali, la teoria si può sintetizzare nella cosiddetta equazione degli scambi (o equazione quantitativa della moneta) che evidenzia la relazione fondamentale che lega quantità di moneta e valore degli scambi: P*T = M*V. Nell’equazione P indica il livello dei prezzi al quale avvengono gli scambi, T il volume delle transazioni effettuate in un dato periodo, M lo stock di moneta in circolazione a scopo transattivo, V la velocità di circolazione di quest’ultima. Lo stock di moneta, moltiplicato per il numero medio di volte che ogni unità monetaria cambia di mano per finanziare le transazioni, definisce il valore monetario degli scambi effettuati in un dato periodo. Tale formulazione originaria è stata rielaborata da Marshal, Pigou e altri economisti della Scuola di Cambridge, i quali giunsero alla cosiddetta teoria delle scorte liquide. L’equazione degli scambi è stata modificata tenendo conto non solo del volume delle transazioni, ma anche dell’ammontare di capacità di spesa che gli operatori decidono di tenere sotto forma di moneta. Tale revisione ha condotto alla cosiddetta equazione di Cambridge: M = k*P*Y. Le modifiche apportate riguardano: la sostituzione del valore delle transazioni con il prodotto interno lordo, per meglio esprimere il concetto di reddito monetario aggregato; la sostituzione della velocità di circolazione della moneta con un coefficiente k che ha il significato di fabbisogno monetario per unità di reddito ed esprime la preferenza dei soggetti per la detenzione di moneta liquida. Oggi la Scuola Monetarista ritiene che il parametro k non sia una costante bensì una funzione di diverse variabili, tra le quali assumono un ruolo rilevante quelle finanziarie, quali i tassi di interesse. Oltre a questi ultimi, hanno una certa influenza anche fattori quali: la propensione al consumo, il tenore di vita delle diverse classi sociali, la localizzazione geografica degli scambi, l’intervallo di tempo necessario a percepire il reddito, la durata dei cicli produttivi, le fasi congiunturali dei cicli economici, ecc. Cfr. PIERCE D. G., SHAW D. M., 1979, cit. 5 Di qui la diffusa, ma errata, convinzione che l’inflazione sia un fenomeno essenzialmente monetario, controllabile attraverso la sola regolazione della moneta circolante. 8 Inflazione e valore monetaria (ΔM/M)6, della velocità di circolazione della moneta (ΔV/V) e del prodotto interno lordo reale (ΔPIL/PIL)7. Tale lettura del modello monetarista consente di affermare, in estrema sintesi, che: - - le variabili monetarie possono essere causa di inflazione, ovvero acceleratori dell’inflazione generata da dinamiche reali; infatti, quando la crescita della moneta circolante, in termini di massa o di velocità, supera il tasso di crescita delle attività reali, si ha una pressione rialzista sui prezzi; le stesse variabili monetarie possono frenare l’inflazione prodotta delle variabili reali; difatti, per non avere pressioni sui prezzi sarebbe necessario, a parità di altre condizioni, che quantità e velocità della moneta crescessero allo stesso ritmo della produzione reale. Diversamente da quelli ora presentati, i modelli cost – push consentono di indagare meglio gli aspetti microeconomici dei processi inflativi, cogliendo la disomogeneità spazio-temporale che li caratterizza. L’aumento generalizzato dei prezzi è la risultante di variazioni, tendenzialmente rialziste, dei prezzi specifici dei fattori che circolano all’interno di un sistema economico. Il cost – push inflation model interpreta, infatti, l’inflazione come l’effetto di continui aumenti dei costi di produzione di specifici beni o servizi, che si riflettono in aumenti dei prezzi praticati dalle imprese8. Secondo tale approccio diverse sono le cause che spiegano l’incremento dell’onerosità dei fattori produttivi. Tra le principali sono solitamente indicati gli aumenti del costo del lavoro, delle materie prime, delle risorse finanziarie e della pressione fiscale. Tali aumenti sono giustificati: - da dinamiche economiche generali interne al Paese (rinnovi dei contratti collettivi che determinano aggiustamenti salariali o decisioni di politica monetaria che muovono i tassi di interesse); 6 La Banca Centrale Europea, in base a studi e analisi, ha scelto l’aggregato monetario M3 come base di riferimento per perseguire gli obiettivi di politica monetaria che le sono stati assegnati dal Trattato di Maastricht. Per moneta M3 si intende la somma del circolante di moneta legale in mano al pubblico e alle banche (come riserva obbligatoria o libera), dei depositi a vista, dei depositi rimborsabili a termine, dei titoli di Stato e delle obbligazioni rimborsabili entro 2 anni. 7 La variazione del PIL fa riferimento alla stima della crescita potenziale di tale grandezza, misurata in termini reali. 8 Quanto più è anelastica la domanda aggregata, tanto più le imprese saranno in grado di scaricare i maggiori costi sui consumatori. 9 Capitolo 1 - da dinamiche settoriali specifiche (variazioni nei costi degli approvvigionamenti di materie prime, prevalentemente quelle alimentari, agricole ed energetiche); da aggiustamenti nelle ragioni di scambio internazionali (variazioni nei vantaggi comparati tra Paesi o nei tassi di cambio). Il modello dell’inflazione strutturale consente, inoltre, di interpretare i processi inflativi spinti dai costi non soltanto come fenomeni “verticali”, che si generano e si propagano nei mercati intermedi delle filiere produttive, ma anche come eventi “orizzontali” che si propagano, come per osmosi, da un settore all’altro dell’economia. Si pensi al fatto che normalmente aumenti salariali in un settore, giustificati da una crescita della produttività del lavoro o della domanda di mercato, sono applicati in altri comparti industriali attraverso il meccanismo della contrattazione collettiva. Se in tali comparti la produttività o la domanda non è cresciuta abbastanza, le imprese devono aumentare i prezzi dei prodotti venduti per tutelare i loro livelli di redditività, generando così nuova inflazione. I modelli cost – push consentono, quindi, di evidenziare uno degli aspetti più interessanti, dal punto di vista microeconomico, dei processi inflativi: le continue modificazioni nella struttura dei prezzi relativi. I mercati interni alle filiere e l’interdipendenza settoriale costituiscono canali di trasferimenti verticali e orizzontali dell’inflazione tra comparti differenti del tessuto industriale. Lungo tali canali le variazioni dei prezzi specifici possono avere velocità e intensità differenti da mercato a mercato, da settore a settore, da filiera a filiera. Nelle spirali inflazionistiche, infatti, si possono osservare prezzi che si muovono per primi, detti leads, ed altri che entrano con ritardo o con minor forza nella spirale, detti lags9. Per tali ragioni, l’aumento dei prezzi è un fenomeno spesso disomogeneo dal punto di vista settoriale e geografico, che si riflette nei mercati finali con tempi ed intensità differenti10. E’, infatti, la risultante di variazioni, più o meno intense, nella struttura dei prezzi relativi dei beni e servizi negoziati in un sistema economico. La disomogeneità spaziale e temporale con cui le spinte inflative si propagano, rappresenta l’aspetto del fenomeno maggiormente temuto dalle imprese stesse, in quanto tende a creare condizioni di maggiore 9 FANNI M., Manuale di finanza dell’impresa, Giuffrè, Milano, 2000, pag. 571. A livello aggregato, quindi, l’inflazione può generare una rilevante ridistribuzione di risorse, capace di determinare un’indesiderata modifica nella composizione strutturale e/o settoriale dell’economia o nel modo in cui il reddito si ripartisce fra salari, profitti e rendite. 10 10