Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione S O C I O / L O G I E 2 Collana diretta da Alberto Abruzzese Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Stefano Cristante POTERE E COMUNICAZIONE Sociologie dell’opinione pubblica ISSN 1972-0785 Liguori Editore Estratto distribuito da Biblet Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. 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Weber e il potere nell’era della razionalizzazione 15; 2. Classi dirigenti e circolazione delle élite 36; 3. L’industrializzazione generale e l’industrializzazione della cultura 49; 4. Il capo e il suo doppio 53; 5. Il potere della comunicazione 57. 71 2. L’intreccio potere-opinione pubblica dal secondo dopoguerra agli anni ’60 1. Potere e società nelle nuove definizioni di Lasswell 71; 2. Le nuove élite del potere e la società di massa negli Stati Uniti 81; 3. Gli studi sull’opinione pubblica e la mass-communication research 89; 4. I mutamenti di struttura della sfera pubblica 105. 127 3. La crisi dei concetti tradizionali di opinione pubblica 1. Teoria critica versus ricerca amministrativa: un epilogo europeo 127; 2. L’opinione pubblica non esiste: sondaggi e consenso 133; 3. La società dello spettacolo 138; 4. Piccole apocalissi crescono 143; 5. Microfisica del potere 150; 6. L’opinione pubblica nella complessità sociale 155; 7. Spirali del silenzio 166; 8. Oltre la società industriale: nuovi modelli teorici delle scienze sociali 171. Estratto distribuito da Biblet IX viii 183 INDICE 4. I media cambiano la politica? L’opinione pubblica nella società dell’informazione 1. Televisione e new media: una nuova cultura elettronica integrale? 183; 2. Repubbliche elettroniche 196; 3. Dalla massa concentrata alla moltitudine differenziata, dalle élite tradizionali alle tecno-élite 209; 4. L’opinione pubblica come luogo di intreccio dei nuovi flussi socio-comunicativi 229. 241 1. Ciò che resta di Weber: introduzione a una nuova tipologia dei poteri 241; 2. Il potere associativo 254; 3. Il potere dei media 264; 4. Il potere della grande ricchezza 269; 5. Excursus: la forma spuria noocrazia 276; 6. Considerazioni finali: doxasfera e mappa del potere 278. 285 Bibliografia generale Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione 5. Mappa del potere e sfera dell’opinione: ipotesi per un modello sociologico A quella Lira-Carpine, a quel Bovaro-Bagolaro, a quella Pesce Australe-Acero, a tutte le Lepri-Faggio e anche a tutti gli altri e soprattutto a Lei. (E grazie ad A.A.) Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE Estratto della pubblicazione Il secolo (e il millennio) in cui è stato scritto questo libro è finito. Gli studi e le ricerche di cui si occupa sono infatti precedenti il 1999, la zona cesarini del secolo breve. La distanza temporale da quell’epoca è relativamente contenuta – in fondo è passato solo qualche anno –, tuttavia anche i più inconsapevoli tra i terrestri hanno saputo (e poi vissuto le conseguenze) dell’11 settembre 2001, dell’esplosione del terrorismo globalizzato e delle bellicose azioni dell’occidente a riguardo. E senz’altro perciò la scelta investigativa di questo mio lavoro – cioè l’intreccio sistematico tra potere e comunicazione – va ridiscussa e rimeditata alla luce dei fatti. Elenchiamone qualcuno e arriviamo rapidamente a una considerazione finale. 1. L’11 settembre non esplode nel mondo solo come una tragedia, ma come una tragedia-spettacolo. La motivazione vera dell’attentato alle torri gemelle non è la morte di circa tremila innocenti. È il grande evento mediale subito dall’occidente e organizzato da forze occulte che assumono poi i connotati di Al Qaeda e quindi del suo leader riconosciuto e attualmente introvabile. La traduzione di questi fatti in termini di filosofia dei media è che i media sono il territorio principale (per non dire l’unico) per la rappresentazione del mondo inteso come società dell’info-spettacolo. Per la rappresentazione dello spettatore inteso come info-attore. Per gli studiosi di comunicazione c’è da fregarsi – amaramente – le mani. 2. L’ondata di bellicismo occidentale seguita all’attentato e culminata nella guerra in Afghanistan e quindi in Iraq non è stata determinata da una unanime condivisione ideologica da parte delle società civili occidentali. Anzi. Inoltre, come ci hanno raccontato i media per mesi, prima che Bush e i suoi ministri (e Tony Blair) premessero l’acceleratore guerriero, il xii PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE 3. L’insorgenza di studi teorici che hanno attualizzato la nozione di Impero. Personalmente non ritengo questa direzione di ricerca molto feconda, nemmeno nella versione erudita (e spesso stimolante) del lavoro di Michael Hardt e Tony Negri. Vedo piuttosto il mondo come un insieme brulicante di lobby, media, elites economiche e addetti alla conoscenza. La nozione di lobby che utilizzo è ampiamente illustrata all’interno del libro che state leggendo, e non esclude affatto aggregazioni di interessi transazionali ancorché globalizzate. L’impero presuppone una centralizzazione e insieme – nella sua accezione più complessa e quasi perfetta, quella degli imperatori Traiano, Adriano e Ottaviano Augusto – una enorme attenzione nell’osservare e assimilare le culture vinte. Non vedo nell’Impero attuale né una capacità di centralizzazione né una disponibilità all’assorbimento culturale. Nel frattempo le lobby si sbranano, si alleano, si contraggono, si mettono in viaggio attraverso la nuova potenzialità digitale, producendo fenomeni economici e culturali ad alto tasso di instabilità e provvisorietà. La conclusione di queste brevi note è che il lavoro che ho intrapreso ha bisogno di nuova linfa, di nuove meditazioni. Mi riprometto di radunare carte raccolte su ogni tipo di supporto, e di riuscire a trovare il giusto Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione dissenso è stato molte forte anche da parte dei rappresentanti istituzionali di alcuni paesi non irrilevanti (Francia e Germania su tutti). Due i fatti salienti per gli studiosi di doxologia: la gigantesca manifestazione pacifista del febbraio 2002 (tre milioni di persone nelle piazze di tutto il mondo, dal punto di vista degli organizzatori) e la segnalazione da parte di media non sospetti (New York Times) della comparsa del soggetto politico ‘‘opinione pubblica’’. Laddove evidentemente l’espressione risulta l’estensione della rilevanza delle ‘‘minoranze attive’’ (sostenute soprattutto dal movimento no global) all’interno di una sfera comunicativa più ampia, la cui articolazione è illustrata nell’ultima parte di questo volume. Il secondo fatto-chiave è l’emergere di un possibile cupo epilogo per la sfera pubblica democratica, allorché il decisore istituzionale (sovente accompagnato e amplificato dai media) riesce a disinteressarsi del parere di vaste minoranze e persino di alcune maggioranze sondate su singole issues. La questione è talmente delicata che qui mi sembra doveroso limitarmi ad accennarla. Ma è questione che riguarda il nostro presente, e che lancia segnali d’allarme per il nostro futuro. Parlo di occidente, in primo luogo, ma penso all’intero pianeta. PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE xiii tempo (ma è possibile di questi tempi?) per scrivere un vero aggiornamento del rapporto tra ‘‘potere e comunicazione’’, che nel frattempo vi ripresento nella sua veste originaria, per urgenze ed esigenze soprattutto didattiche. Spero che l’eventuale lettore extra-universitario ne tenga conto. Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione INTRODUZIONE Estratto della pubblicazione 1. La riflessione teorica sull’opinione pubblica, nonostante l’innegabile diffondersi di questa espressione nel linguaggio giornalistico, politico e genericamente ‘‘comune’’, non ha registrato negli ultimi anni un’intensificazione rilevante in sede sociologica. Sto parlando di una riflessione sul concetto di opinione pubblica, e non di un semplice riferirsi ad essa come formulazione nobilitante per intendere l’insieme degli individui che consumano i mezzi di comunicazione di massa. È infatti cosa molto semplice constatare la presenza di vari tipi di citazione dell’opinione pubblica all’interno di elaborazioni teoriche e di singoli saggi, soprattutto centrati sulla grande questione della comunicazione nella contemporaneità. Ciò tuttavia non basta qualora si riscontri una crescente complessità sistemica dietro espressioni di sintesi proprie delle scienze sociali, tra le quali ‘‘opinione pubblica’’ resta una tra le più ermetiche ed enigmatiche. Se è concessa una piccola testimonianza personale, l’espressione ‘‘opinione pubblica’’ mi ha colpito fin dai tempi del liceo, quando ho incontrato, in un celebre saggio di Giuliano Procacci usato anche nelle scuole superiori (Procacci 1968), un paragrafo dedicato alla formazione dell’opinione pubblica italiana durante il periodo risorgimentale. Lo storico interpretava, in modo per me del tutto nuovo, lo sviluppo di una identità nazionale italiana attraverso la diffusione, anche popolare, della letteratura in lingua e dei suoi percorsi all’epoca più innovativi (la poetica di Leopardi, la narrativa di Manzoni), precedenti l’unificazione politica del Paese. Inoltre Procacci sosteneva che altrove (in Francia e in Inghilterra, ad esempio) la costruzione di un’opinione pubblica nazionale era processo in gran parte completato, fenomeno che rafforzava gli elementi di stabilità interni ai processi sociali complessivi. Cosa si nascondeva però dietro quell’espressione, pur cosı̀ stimolante per le implicazioni che rapidamente rivelava (rapporto tra lingua e comu- 2 POTERE E COMUNICAZIONE Estratto distribuito da Biblet nità, tra economia e società, tra sviluppo dei media e diffusione della cultura, tra scontro di classi e nascita della democrazia)? Gli aspetti della sedimentazione ‘‘culturale’’ e dell’imporsi di un immaginario collettivo realmente tale mi sembrarono altamente strategici per tentarne una comprensione. In termini simbolici, la questione-chiave mi sembrava quella individuata dal pensiero empirista, ciò che David Hume sintetizzava con l’aforisma: «It is on opinion only that government is founded», anticipato dalle incisive argomentazioni di Locke («There is always an element of agreement, of accord, in opinion, and from this accord result legitimation, and demand, and will»). In sostanza, i filosofi empiristi cominciavano ad avvertire la consistenza, a percepire l’importanza generale di un grande mutamento sociale, di una moltiplicazione degli interessi, di una perentoria divulgazione di informazioni che attraversava la società del loro tempo. L’opinione, parola utilizzata nel corso dei secoli soprattutto per esprimere il mondo delle apparenze, delle mezze o false verità, delle illusioni cognitive, veniva ad assumere significati nuovi: non più ciò che il sapiente disprezzava e scartava sulla strada della conoscenza, ma ciò che gli individui costruivano mentalmente e socialmente per avvicinarsi ad un’idea propria di ‘‘mondo’’. Stava diventando questo l’orizzonte sul quale misurare il consenso, principalmente politico, necessario per esercitare il governo. «Risiede solo nell’opinione la base del governo». Nel XVII secolo, e per tutto il XVIII, queste nuove intuizioni assunsero una grande carica innovativa. Se pensiamo alla lotta ingaggiata dalla nuova classe borghese, dai suoi intellettuali, dai suoi uomini di scienza per contrastare la lenta agonia di un regime di privilegi bloccati sull’origine sociale e di un ordine figlio della tradizione dell’‘‘eterno ieri’’, non può non colpire lo stretto vincolo che interessa questa riabilitazione dell’opinione con lo scenario storico complessivo. È ciò che Jürgen Habermas ha ricostruito assai bene alcuni decenni fa (1962) in un’opera a tutt’oggi considerata un classico, Strukturwandel der Oeffentlichkeit, tradotta in Italia con il titolo non letterale di Storia e critica dell’opinione pubblica. Habermas ha collocato storicamente la nascita dell’espressione e del concetto di opinione pubblica proprio nella convulsa fase dell’ascesa della borghesia nei luoghi del governo della società, agevolata dallo sviluppo sempre più rapido dei mezzi di informazione e di pubblica discussione. Ciò risolveva un problema centrale: di opinione pubblica si poteva parlare, storicamente e sociologicamente, soprattutto per intendere una particolare funzione della sfera pubblica borghese, ovvero l’espressione dei INTRODUZIONE 3 2. L’importanza di un testo dipende anche dalla sua capacità di riordinare il materiale precedente sulla materia. In questo senso l’opera di Habermas ha Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione privati cittadini riuniti in quanto pubblico, e quest’ultimo come il soggetto sociale e culturale che conduceva una epocale lotta di emancipazione. Contestualmente, l’espressione ‘‘pubblico’’ (inteso come collettività ‘‘autovalorizzata’’) trovava un rispecchiamento nel progressivo venir meno della impermeabilità di procedure, di informazioni, di dibattiti, di prese di posizioni: in una parola, di tutto ciò che riguardava la segretezza del potere e del suo esercizio. Pubblicazione dei decreti, pubblicità degli interventi parlamentari, una certa libertà di dissenso e di contrasto con le istituzioni: un insieme di nuovi costumi normativi in profonda sintonia con l’urgenza di confrontarsi con l’estensione della pratica sociale negoziale e/o conflittuale. L’aspetto pubblico delle complessive norme sociali sta ad indicare prevalentemente un desiderio di esercizio redistribuito del potere. Nuovi commensali si avvicinano al tavolo delle decisioni: l’opinione pubblica è l’ambito comunicativo che esprime bene sia il carattere conoscitivo dell’azione sociale (opinione), sia la sua possibile portata universalistica (pubblica). D’altronde Habermas mette in luce assai bene lo strappo storico ottenuto dal nuovo ceto intellettuale grazie ad un simultaneo coincidere di accadimenti: lo scavo nelle pieghe dell’economia capitalistica di una classe agguerrita di imprenditori è accompagnato da un sistema filosofico imperniato sul libero arbitrio, a sua volta sostenuto da una fiducia crescente nella ragione, esaltata dal rapido diffondersi di forme argomentative razionali, spesso decentrate, censibili sempre più frequentemente anche in luoghi non tradizionalmente deputati, come club, caffè, ritrovi episodici, sale di lettura. La forte carica di motivazioni della modernità, e dei ceti complessivamente chiamati a interpretarne l’esprit du temps, incontra le circostanze di un periodo di immediata moltiplicazione mediale: comunicare diviene più rapido, il telegrafo ottico di Chappe rinvia sintetiche notizie ad una velocità inaspettata, le dotte riviste per pochi savants lasciano il posto a fascicoli più agili, a veri e propri fogli dove però comincia a svilupparsi l’attitudine alla disamina attenta dei fatti, alla presa di posizione, all’indirizzo dell’opinione. È quello che McLuhan legge come apoteosi della Galassia Gutenberg, il periodo che culmina nella costituzione rigida delle unità nazionali, la trasposizione socio-politica di un regime alfabetico governato dal senso della vista, post-orale, razionalizzante, il passaggio che l’immaginazione sociologica di Tœnnies aveva registrato come avvenuta transizione da comunità a società. 4 POTERE E COMUNICAZIONE 3. È chiaro che l’adozione di un tale dispositivo interpretativo, per molti versi concepito anche dalla sociologia critica nord-americana, seppure con toni, accenti e stili assai diversi (pensiamo soprattutto ai lavori del ’51 e del ’56 di Charles Wright Mills), spinge in due direzioni: in primo luogo verso una critica generale della modernità, intesa come ideologia dell’alienazione (o del conformismo, nella versione millsiana); in secondo luogo verso un giudizio pesante contro i media di massa e la loro comune valenza comunicativa. Questo secondo aspetto interpretativo collega per almeno due decenni Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione notevoli meriti: la riorganizzazione dei segmenti comuni all’area della comunicazione, della politica, della filosofia e della sociologia costituisce a tutt’oggi un tentativo di comprensione allargata che davvero molto ha contato per un settore relativamente poco battuto come lo studio dell’opinione pubblica. Quando però il saggio di Habermas affronta in termini di bilancio attualizzato i destini dell’opinione pubblica nell’epoca della piena industrializzazione, lo scenario cambia radicalmente. La ridefinizione della sfera pubblica, attraversata da un inedito protagonismo statuale nella società e nell’economia, da una crescita dell’industria culturale e dello spettacolo, da una diffusione massiccia e inaspettata delle comunicazioni di massa, si scontra con le aspettative politiche generate dalla fase ‘‘aurea’’ dell’opinione pubblica liberale. Si tratta di una nuova fenomenologia della sfera pubblica che innanzitutto registra l’interruzione della crescita di un solo pubblico, quello borghese, rivelandosi con forza crescente il peso delle battaglie (politiche, sindacali, culturali) promosse dalle nuove masse di provenienza popolare e operaia. Tanto più questi processi si intrecciano, tanto meno la funzione razionalizzatrice dell’opinione pubblica classica è in grado di esercitarsi. È probabilmente in questo contesto che avviene la connessione tra l’analisi di Habermas e l’indirizzo strategico della Scuola di Francoforte, di cui il sociologo rappresenta l’ultima generazione di studiosi. L’istanza critica affrontata sul piano dello sfarinamento del concetto di opinione pubblica, del suo progressivo scadimento euristico a fondamento di ogni modello gruppale (privo però di profondità politica), produce cupe conseguenze: un modello di passività generalizzato, un ‘‘pubblico’’ che da attore diviene spettatore, una funzione della sfera pubblica che cambia in finzione del diritto pubblico. L’industria culturale occidentale promuove se stessa a regolatore del mercato delle idee, delle emozioni collettive, dell’immaginario, dei modelli di identificazione sociale. INTRODUZIONE 5 4. In varie occasioni è stata sottolineata la dicotomia tra approcci critici e approcci amministrativi. Questi ultimi rivolgono uno sguardo del tutto diverso all’opinione pubblica e ai media. Si tratta, in estrema sintesi, di un’osservazione che giudica indagabili in maniera empirica le distribuzioni delle opinioni, assimilate ad atteggiamenti, in seno ad un certo gruppo (pubblico). Anche se la genesi di questo approccio può datarsi da un saggio dello psicologo sociale Allport (1937), è soprattutto in ambito sociologico nord-americano che i modelli teorici di questo indirizzo si riveleranno attraverso la ricerca empirica, intensificatasi, come sottolinea Robert K. Merton, anche per via di specifiche condizioni dell’organizzazione massmediale. Come hanno indicato Lazarsfeld e altri studiosi, le ricerche sulle comunicazioni di massa si sono sviluppate principalmente in risposta a esigenze di mercato. La dura competizione fra i vari mezzi di comunicazione di massa e tra enti all’interno di ciascuno di essi per quel che riguarda la pubblicità ha provocato la domanda economica di misurazioni obiettive Estratto distribuito da Biblet (metà anni ’50, metà anni’ 70) la considerazione sociologica sull’opinione pubblica a quella sui mass media. Si può dire che un vasto settore degli studi sociali comincia a considerare obsoleto il riferimento ad un concetto di opinione pubblica razionale, formata da cittadini liberi di sostenere le proprie convinzioni e di organizzarsi sulla base di esse. Questo fenomeno viene messo in relazione indissolubile con la crescita spettacolare della comunicazione di massa, che a sua volta — pur nella differenza degli approcci critici — viene analizzata soprattutto nei suoi aspetti di manipolazione, etero-direzione, induzione alla passività collettiva. Il settore degli studi interessato da questi schemi interpretativi è trasversale: gli echi dei francofortesi si mescolano a quelli millsiani, e poco dopo una certa massmediologia francese (Baudrillard, Virilio) rafforza l’analisi critica sul piano dei consumi, dei simboli, dell’occupazione mediatica degli spazio-tempi della modernità. Ma anche l’esponente di un filone sociologico assai divergente da quelli nominati, come Niklas Luhmann, dà per terminata la funzione sociale dell’opinione pubblica liberale — ambito del ‘‘contropotere’’ implicito nella concezione habermasiana del pubblico — pur riconoscendo all’opinione pubblica contemporanea il ruolo di processo e struttura capace di ordinare operazioni selettive, ovvero di selezionare i temi principali all’attenzione della sfera istituzionale. 6 POTERE E COMUNICAZIONE della grandezza, della composizione e delle reazioni del pubblico (pubblico dei giornali, delle riviste, della radio e della televisione) (Merton 1949: 812). Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Quest’ultimo riferimento del sociologo americano al ‘‘pubblico’’ evidenzia con chiarezza la trasformazione del concetto: il pubblico è sempre meno un soggetto storico in senso forte, e sempre più un insieme (scomponibile) di consumatori, di cui non solo le ricerche sociologiche ma anche i sondaggi di opinione, esponenzialmente moltiplicatisi sin dagli anni ’30, potevano costantemente monitorare gli orientamenti complessivi. Va naturalmente messo in luce che, proprio negli Stati Uniti, i processi della comunicazione di massa avevano incontrato un terreno favorevole di sviluppo. Le stesse dinamiche del mercato (industria culturale e della comunicazione) si presentavano in termini di maggiore radicamento rispetto agli altri paesi occidentali e dimostravano una centralità inedita nei processi sociali. Dopo un primo periodo di registrazione dell’impatto formidabile dei media di massa sul comportamento collettivo, segnato dall’influenza delle teorie comportamentistiche, proprio la mass-communication research nordamericana provvederà a ridimensionare la portata totalizzante degli effetti sociali dei media. Si parlerà sempre più frequentemente di ‘‘effetti limitati’’ e le ricerche che fonderanno in termini espliciti tale paradigma (Lazarsfeld, Berelson e Gaudet 1944; Katz e Lazarsfeld 1955), sposteranno l’attenzione su una diffusa penetrazione dei messaggi mediali nell’ambito collettivo, rielaborata però di continuo da meccanismi di leadership gruppale assai mobile (fenomeno degli opinion-leaders e del doppio livello del flusso di comunicazione, two-step flow of communication) e dal riconoscimento dell’importanza, per valutare gli effetti dei media sugli individui, delle variabili sociologiche classiche (età, sesso, status economico, categoria sociale, istruzione, origini familiari, eccetera). D’altronde lo stesso Paul Felix Lazarsfeld, che si trovò a dirigere le due famose ricerche empiriche, esplicitò in più occasioni il dubbio che si potessero esprimere risultati duraturi rispetto ad uno studio dell’opinione pubblica intesa unicamente come ‘‘distribuzione ben analizzata di atteggiamenti’’: nel 1950 si spinse a proporre una sorta di collaborazione continuativa tra storici e studiosi dell’opinione pubblica per integrare in un’unica articolazione metodologica sia i risultati empirici che le ipotesi di lungo periodo (in polemica con quanti chiedevano insistentemente di misurare gli effetti della mass-communication solo nel breve o brevissimo periodo). E qualche anno dopo, nel 1957, Lazarsfeld propose anche di utilizzare gli INTRODUZIONE 7 Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione strumenti della tradizione classica delle scienze sociali, soprattutto per cogliere quali effetti la distribuzione delle opinioni possa esercitare sulla sfera politica, tornando, quando fosse il caso, anche a recuperare il senso profondo di concetti coniati in ambito filosofico, come ‘‘clima di opinione’’, espressione derivata da Locke. Va anche notato, per non cadere in semplificazioni grossolane, che lo stesso Lazarsfeld, talvolta accusato di sottovalutare l’influenza dei mezzi di comunicazione di massa nelle dinamiche sociali e di segnalare invece la capacità dei media di rendersi accessibili ai nuovi ceti popolari, già nel 1948, insieme a Merton, parlava esplicitamente di disfunzione narcotizzante dei mass-media. I due autori aggiungevano: «Le stesse condizioni che rendono massima l’efficacia dei mezzi di comunicazione di massa operano per la conservazione della struttura sociale e culturale esistente, piuttosto che per la sua trasformazione» (Lazarsfeld e Merton 1948: 856). Negli esiti finali, nelle considerazioni più generali in merito ad una possibile evoluzione dei media di massa e dell’opinione pubblica del secondo dopoguerra nel mondo occidentale, la distanza tra importanti settori della teoria sociologica ‘‘critica’’ e della communication research di oltreoceano appare meno sensibile di quanto lasciato trasparire da popolari espressioni di contrapposizione dicotomica (cfr. Eco 1964). Ciononostante, le possibilità di un disaccordo meno netto tra i due indirizzi di studi non ampliano lo spettro delle capacità interpretative dei fenomeni connessi all’area dell’opinione pubblica. Se da un lato i più accorti e sofisticati studiosi dettavano una serie consistente di condizioni argomentative per esprimere la complessità fenomenologica dell’opinione pubblica, e i più pessimisti riguardo ai cambiamenti introdotti da un’intensificazione costante dei flussi comunicativi di massa (soprattutto dopo l’introduzione e il successo della produzione televisiva) evidenziavano il carattere potenzialmente manipolato della formazione delle opinioni, d’altro canto l’insieme di queste indagini non superavano due ostacoli fondamentali. Il primo: dare conto di come, nonostante le sempre più rapide procedure di campionamento, i sondaggi — sempre più utilizzati a partire dagli anni ’30 — non riuscissero a definire in maniera soddisfacente le implicazioni motivazionali di un eventuale cambiamento nel ‘‘clima di opinione’’ (cioè perché, in base a quali processi e fenomeni, alcuni individui e alcuni gruppi mutassero la propria propensione verso una qualsiasi issue; buco teorico ben analizzato da Pierre Bourdieu in un polemico saggio del 1973). 8 POTERE E COMUNICAZIONE Il secondo: perché, nonostante la diffusione di un’industria culturale audiovisiva di massa (portatrice, in una sola e semplificante espressione, di elementi omologativi) il cambiamento sociale continuasse a prodursi, spesso con modalità inedite (si pensi al fenomeno della contestazione giovanile, prima nordamericano e poi europeo) e con momenti di forte partecipazione corale (si pensi alle reazioni dell’opinione pubblica americana sul caso Watergate). Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione 5. Proprio in riferimento a questi ultimi aspetti, vorrei sottolineare che le difficoltà sottese alla concettualizzazione dell’opinione pubblica e al suo presentarsi come mobile campo di studi risiedono, probabilmente, nella gran mole di intersezioni sociologiche di cui essa è composta. Detto in altri termini, un tentativo di spiegazione esclusivamente massmediologico dell’opinione pubblica è destinato a mancare l’obiettivo. Si tratta di affrontare un problema di grandi dimensioni, in cui l’attenzione è costantemente posata sia sulle modalità e i contenuti della comunicazione, sia sul disporsi in ambito sociale delle opinioni, sul divenire ‘‘società’’ delle opinioni stesse. Si tratta, in sostanza, di annodare una visione sociologica sulla comunicazione ad un’interpretazione sociologica dell’azione politica nei suoi termini più generali, quelli weberianamente connessi con lo studio del potere. Il 1922, per la storia della sociologia, è soprattutto l’anno della prima pubblicazione di Wirtschaft und Gesellschaft, dove compare la celebre definizione weberiana di potere («Per ‘‘potere’’ [Herrschaft] si deve intendere [...] la possibilità per specifici comandi — o per qualsiasi comando — di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini, e non già qualsiasi possibilità di esercitare ‘‘potenza’’ e ‘‘influenza’’ su altri uomini». Weber 1922, vol. I: 207), accompagnata dall’altrettante celebre tipologia ideale delle forme di potere (potere tradizionale, carismatico e razionalelegale). Un approccio teorico deliberatamente non esaustivo, che tuttavia apre con inedito vigore la prospettiva di una rivisitazione sociologica dei modi in cui il potere si è venuto a formare nei convulsi attraversamenti delle epoche, sino alle grandi traformazioni del capitalismo industriale: un vincolo legittimante per chi esercita il potere e per chi lo subisce, una mappa di grandi dimensioni per cogliere anche gli spostamenti più oscuri tra tipi diversi di autorità e di obbedienza. E il comando, nell’epoca del governo basato sul consenso, ripropone la tematica cara a Hume del ruolo fondamentale delle opinioni e del loro determinare conseguenze concrete nell’organizzazione sociale (fino a fondare il governo stesso).