Potere e comunicazione. Sociologie dell`opinione pubblica

annuncio pubblicitario
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
S O C I O / L O G I E
2
Collana diretta da Alberto Abruzzese
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
Stefano Cristante
POTERE E COMUNICAZIONE
Sociologie dell’opinione pubblica
ISSN
1972-0785
Liguori Editore
Estratto distribuito da Biblet
Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro
elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet
http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza.
Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma,
all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o
televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale
dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito
della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet
http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=legal
Liguori Editore
Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA
http://www.liguori.it/
© 1999, 2004 by Liguori Editore, S.r.l.
Tutti i diritti sono riservati
Seconda edizione italiana Febbraio 2004
Cristante, Stefano :
Potere e comunicazione. Sociologie dell’opinione pubblica/Stefano Cristante
Socio/logie
Napoli : Liguori, 2004
ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5879 - 0
ISSN
1972-0785
1. Comunicazione di massa
2. Sociologia
I. Titolo
II. Collana
III. Serie
Aggiornamenti:
—————————————————————————————————————————
12 11 10 09 08 07 06 05 04
10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
Estratto della pubblicazione
INDICE
1
15
Premessa alla seconda edizione
Introduzione
1. Una ricognizione delle forme del potere in Weber e nei suoi
contemporanei
1. Weber e il potere nell’era della razionalizzazione 15; 2. Classi dirigenti e
circolazione delle élite 36; 3. L’industrializzazione generale e l’industrializzazione della cultura 49; 4. Il capo e il suo doppio 53; 5. Il potere della
comunicazione 57.
71
2. L’intreccio potere-opinione pubblica dal secondo dopoguerra
agli anni ’60
1. Potere e società nelle nuove definizioni di Lasswell 71; 2. Le nuove élite
del potere e la società di massa negli Stati Uniti 81; 3. Gli studi sull’opinione
pubblica e la mass-communication research 89; 4. I mutamenti di struttura
della sfera pubblica 105.
127
3. La crisi dei concetti tradizionali di opinione pubblica
1. Teoria critica versus ricerca amministrativa: un epilogo europeo 127;
2. L’opinione pubblica non esiste: sondaggi e consenso 133; 3. La società dello
spettacolo 138; 4. Piccole apocalissi crescono 143; 5. Microfisica del
potere 150; 6. L’opinione pubblica nella complessità sociale 155; 7. Spirali del
silenzio 166; 8. Oltre la società industriale: nuovi modelli teorici delle scienze
sociali 171.
Estratto distribuito da Biblet
IX
viii
183
INDICE
4. I media cambiano la politica? L’opinione pubblica nella società
dell’informazione
1. Televisione e new media: una nuova cultura elettronica integrale? 183; 2. Repubbliche elettroniche 196; 3. Dalla massa concentrata alla moltitudine
differenziata, dalle élite tradizionali alle tecno-élite 209; 4. L’opinione pubblica
come luogo di intreccio dei nuovi flussi socio-comunicativi 229.
241
1. Ciò che resta di Weber: introduzione a una nuova tipologia dei poteri 241;
2. Il potere associativo 254; 3. Il potere dei media 264; 4. Il potere della
grande ricchezza 269; 5. Excursus: la forma spuria noocrazia 276; 6.
Considerazioni finali: doxasfera e mappa del potere 278.
285
Bibliografia generale
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
5. Mappa del potere e sfera dell’opinione: ipotesi per un modello
sociologico
A quella Lira-Carpine,
a quel Bovaro-Bagolaro,
a quella Pesce Australe-Acero,
a tutte le Lepri-Faggio
e anche a tutti gli altri
e soprattutto
a Lei.
(E grazie ad A.A.)
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE
Estratto della pubblicazione
Il secolo (e il millennio) in cui è stato scritto questo libro è finito. Gli studi e
le ricerche di cui si occupa sono infatti precedenti il 1999, la zona cesarini
del secolo breve. La distanza temporale da quell’epoca è relativamente
contenuta – in fondo è passato solo qualche anno –, tuttavia anche i più
inconsapevoli tra i terrestri hanno saputo (e poi vissuto le conseguenze)
dell’11 settembre 2001, dell’esplosione del terrorismo globalizzato e delle
bellicose azioni dell’occidente a riguardo.
E senz’altro perciò la scelta investigativa di questo mio lavoro – cioè
l’intreccio sistematico tra potere e comunicazione – va ridiscussa e rimeditata alla luce dei fatti. Elenchiamone qualcuno e arriviamo rapidamente a
una considerazione finale.
1. L’11 settembre non esplode nel mondo solo come una tragedia, ma
come una tragedia-spettacolo. La motivazione vera dell’attentato alle torri
gemelle non è la morte di circa tremila innocenti. È il grande evento
mediale subito dall’occidente e organizzato da forze occulte che assumono
poi i connotati di Al Qaeda e quindi del suo leader riconosciuto e
attualmente introvabile.
La traduzione di questi fatti in termini di filosofia dei media è che i
media sono il territorio principale (per non dire l’unico) per la rappresentazione del mondo inteso come società dell’info-spettacolo. Per la rappresentazione dello spettatore inteso come info-attore. Per gli studiosi di comunicazione c’è da fregarsi – amaramente – le mani.
2. L’ondata di bellicismo occidentale seguita all’attentato e culminata nella
guerra in Afghanistan e quindi in Iraq non è stata determinata da una
unanime condivisione ideologica da parte delle società civili occidentali.
Anzi. Inoltre, come ci hanno raccontato i media per mesi, prima che Bush
e i suoi ministri (e Tony Blair) premessero l’acceleratore guerriero, il
xii
PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE
3. L’insorgenza di studi teorici che hanno attualizzato la nozione di Impero.
Personalmente non ritengo questa direzione di ricerca molto feconda,
nemmeno nella versione erudita (e spesso stimolante) del lavoro di Michael
Hardt e Tony Negri.
Vedo piuttosto il mondo come un insieme brulicante di lobby, media,
elites economiche e addetti alla conoscenza. La nozione di lobby che
utilizzo è ampiamente illustrata all’interno del libro che state leggendo, e
non esclude affatto aggregazioni di interessi transazionali ancorché globalizzate. L’impero presuppone una centralizzazione e insieme – nella sua
accezione più complessa e quasi perfetta, quella degli imperatori Traiano,
Adriano e Ottaviano Augusto – una enorme attenzione nell’osservare e
assimilare le culture vinte.
Non vedo nell’Impero attuale né una capacità di centralizzazione né
una disponibilità all’assorbimento culturale. Nel frattempo le lobby si sbranano, si alleano, si contraggono, si mettono in viaggio attraverso la nuova
potenzialità digitale, producendo fenomeni economici e culturali ad alto
tasso di instabilità e provvisorietà.
La conclusione di queste brevi note è che il lavoro che ho intrapreso ha
bisogno di nuova linfa, di nuove meditazioni. Mi riprometto di radunare
carte raccolte su ogni tipo di supporto, e di riuscire a trovare il giusto
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
dissenso è stato molte forte anche da parte dei rappresentanti istituzionali
di alcuni paesi non irrilevanti (Francia e Germania su tutti).
Due i fatti salienti per gli studiosi di doxologia: la gigantesca manifestazione pacifista del febbraio 2002 (tre milioni di persone nelle piazze di tutto
il mondo, dal punto di vista degli organizzatori) e la segnalazione da parte
di media non sospetti (New York Times) della comparsa del soggetto
politico ‘‘opinione pubblica’’. Laddove evidentemente l’espressione risulta
l’estensione della rilevanza delle ‘‘minoranze attive’’ (sostenute soprattutto
dal movimento no global) all’interno di una sfera comunicativa più ampia, la
cui articolazione è illustrata nell’ultima parte di questo volume.
Il secondo fatto-chiave è l’emergere di un possibile cupo epilogo per la
sfera pubblica democratica, allorché il decisore istituzionale (sovente accompagnato e amplificato dai media) riesce a disinteressarsi del parere di
vaste minoranze e persino di alcune maggioranze sondate su singole issues.
La questione è talmente delicata che qui mi sembra doveroso limitarmi ad
accennarla. Ma è questione che riguarda il nostro presente, e che lancia
segnali d’allarme per il nostro futuro. Parlo di occidente, in primo luogo,
ma penso all’intero pianeta.
PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE
xiii
tempo (ma è possibile di questi tempi?) per scrivere un vero aggiornamento
del rapporto tra ‘‘potere e comunicazione’’, che nel frattempo vi ripresento
nella sua veste originaria, per urgenze ed esigenze soprattutto didattiche.
Spero che l’eventuale lettore extra-universitario ne tenga conto.
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
INTRODUZIONE
Estratto della pubblicazione
1. La riflessione teorica sull’opinione pubblica, nonostante l’innegabile
diffondersi di questa espressione nel linguaggio giornalistico, politico e
genericamente ‘‘comune’’, non ha registrato negli ultimi anni un’intensificazione rilevante in sede sociologica.
Sto parlando di una riflessione sul concetto di opinione pubblica, e non
di un semplice riferirsi ad essa come formulazione nobilitante per intendere
l’insieme degli individui che consumano i mezzi di comunicazione di
massa. È infatti cosa molto semplice constatare la presenza di vari tipi di
citazione dell’opinione pubblica all’interno di elaborazioni teoriche e di
singoli saggi, soprattutto centrati sulla grande questione della comunicazione nella contemporaneità.
Ciò tuttavia non basta qualora si riscontri una crescente complessità
sistemica dietro espressioni di sintesi proprie delle scienze sociali, tra le
quali ‘‘opinione pubblica’’ resta una tra le più ermetiche ed enigmatiche.
Se è concessa una piccola testimonianza personale, l’espressione ‘‘opinione pubblica’’ mi ha colpito fin dai tempi del liceo, quando ho incontrato,
in un celebre saggio di Giuliano Procacci usato anche nelle scuole superiori
(Procacci 1968), un paragrafo dedicato alla formazione dell’opinione pubblica italiana durante il periodo risorgimentale. Lo storico interpretava, in
modo per me del tutto nuovo, lo sviluppo di una identità nazionale italiana
attraverso la diffusione, anche popolare, della letteratura in lingua e dei suoi
percorsi all’epoca più innovativi (la poetica di Leopardi, la narrativa di
Manzoni), precedenti l’unificazione politica del Paese. Inoltre Procacci
sosteneva che altrove (in Francia e in Inghilterra, ad esempio) la costruzione di un’opinione pubblica nazionale era processo in gran parte completato, fenomeno che rafforzava gli elementi di stabilità interni ai processi
sociali complessivi.
Cosa si nascondeva però dietro quell’espressione, pur cosı̀ stimolante
per le implicazioni che rapidamente rivelava (rapporto tra lingua e comu-
2
POTERE E COMUNICAZIONE
Estratto distribuito da Biblet
nità, tra economia e società, tra sviluppo dei media e diffusione della
cultura, tra scontro di classi e nascita della democrazia)?
Gli aspetti della sedimentazione ‘‘culturale’’ e dell’imporsi di un immaginario collettivo realmente tale mi sembrarono altamente strategici per
tentarne una comprensione. In termini simbolici, la questione-chiave mi
sembrava quella individuata dal pensiero empirista, ciò che David Hume
sintetizzava con l’aforisma: «It is on opinion only that government is
founded», anticipato dalle incisive argomentazioni di Locke («There is
always an element of agreement, of accord, in opinion, and from this
accord result legitimation, and demand, and will»). In sostanza, i filosofi
empiristi cominciavano ad avvertire la consistenza, a percepire l’importanza
generale di un grande mutamento sociale, di una moltiplicazione degli
interessi, di una perentoria divulgazione di informazioni che attraversava la
società del loro tempo. L’opinione, parola utilizzata nel corso dei secoli
soprattutto per esprimere il mondo delle apparenze, delle mezze o false
verità, delle illusioni cognitive, veniva ad assumere significati nuovi: non più
ciò che il sapiente disprezzava e scartava sulla strada della conoscenza, ma
ciò che gli individui costruivano mentalmente e socialmente per avvicinarsi
ad un’idea propria di ‘‘mondo’’. Stava diventando questo l’orizzonte sul
quale misurare il consenso, principalmente politico, necessario per esercitare il governo. «Risiede solo nell’opinione la base del governo».
Nel XVII secolo, e per tutto il XVIII, queste nuove intuizioni assunsero
una grande carica innovativa. Se pensiamo alla lotta ingaggiata dalla nuova
classe borghese, dai suoi intellettuali, dai suoi uomini di scienza per
contrastare la lenta agonia di un regime di privilegi bloccati sull’origine
sociale e di un ordine figlio della tradizione dell’‘‘eterno ieri’’, non può non
colpire lo stretto vincolo che interessa questa riabilitazione dell’opinione
con lo scenario storico complessivo.
È ciò che Jürgen Habermas ha ricostruito assai bene alcuni decenni fa
(1962) in un’opera a tutt’oggi considerata un classico, Strukturwandel der
Oeffentlichkeit, tradotta in Italia con il titolo non letterale di Storia e critica
dell’opinione pubblica.
Habermas ha collocato storicamente la nascita dell’espressione e del
concetto di opinione pubblica proprio nella convulsa fase dell’ascesa della
borghesia nei luoghi del governo della società, agevolata dallo sviluppo
sempre più rapido dei mezzi di informazione e di pubblica discussione.
Ciò risolveva un problema centrale: di opinione pubblica si poteva
parlare, storicamente e sociologicamente, soprattutto per intendere una
particolare funzione della sfera pubblica borghese, ovvero l’espressione dei
INTRODUZIONE
3
2. L’importanza di un testo dipende anche dalla sua capacità di riordinare il
materiale precedente sulla materia. In questo senso l’opera di Habermas ha
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
privati cittadini riuniti in quanto pubblico, e quest’ultimo come il soggetto
sociale e culturale che conduceva una epocale lotta di emancipazione.
Contestualmente, l’espressione ‘‘pubblico’’ (inteso come collettività ‘‘autovalorizzata’’) trovava un rispecchiamento nel progressivo venir meno della
impermeabilità di procedure, di informazioni, di dibattiti, di prese di
posizioni: in una parola, di tutto ciò che riguardava la segretezza del potere
e del suo esercizio. Pubblicazione dei decreti, pubblicità degli interventi
parlamentari, una certa libertà di dissenso e di contrasto con le istituzioni:
un insieme di nuovi costumi normativi in profonda sintonia con l’urgenza
di confrontarsi con l’estensione della pratica sociale negoziale e/o conflittuale. L’aspetto pubblico delle complessive norme sociali sta ad indicare
prevalentemente un desiderio di esercizio redistribuito del potere. Nuovi
commensali si avvicinano al tavolo delle decisioni: l’opinione pubblica è
l’ambito comunicativo che esprime bene sia il carattere conoscitivo dell’azione sociale (opinione), sia la sua possibile portata universalistica (pubblica).
D’altronde Habermas mette in luce assai bene lo strappo storico
ottenuto dal nuovo ceto intellettuale grazie ad un simultaneo coincidere di
accadimenti: lo scavo nelle pieghe dell’economia capitalistica di una classe
agguerrita di imprenditori è accompagnato da un sistema filosofico imperniato sul libero arbitrio, a sua volta sostenuto da una fiducia crescente nella
ragione, esaltata dal rapido diffondersi di forme argomentative razionali,
spesso decentrate, censibili sempre più frequentemente anche in luoghi non
tradizionalmente deputati, come club, caffè, ritrovi episodici, sale di lettura.
La forte carica di motivazioni della modernità, e dei ceti complessivamente chiamati a interpretarne l’esprit du temps, incontra le circostanze di
un periodo di immediata moltiplicazione mediale: comunicare diviene più
rapido, il telegrafo ottico di Chappe rinvia sintetiche notizie ad una velocità
inaspettata, le dotte riviste per pochi savants lasciano il posto a fascicoli più
agili, a veri e propri fogli dove però comincia a svilupparsi l’attitudine alla
disamina attenta dei fatti, alla presa di posizione, all’indirizzo dell’opinione.
È quello che McLuhan legge come apoteosi della Galassia Gutenberg, il
periodo che culmina nella costituzione rigida delle unità nazionali, la
trasposizione socio-politica di un regime alfabetico governato dal senso
della vista, post-orale, razionalizzante, il passaggio che l’immaginazione
sociologica di Tœnnies aveva registrato come avvenuta transizione da
comunità a società.
4
POTERE E COMUNICAZIONE
3. È chiaro che l’adozione di un tale dispositivo interpretativo, per molti
versi concepito anche dalla sociologia critica nord-americana, seppure con
toni, accenti e stili assai diversi (pensiamo soprattutto ai lavori del ’51 e del
’56 di Charles Wright Mills), spinge in due direzioni: in primo luogo verso
una critica generale della modernità, intesa come ideologia dell’alienazione
(o del conformismo, nella versione millsiana); in secondo luogo verso un
giudizio pesante contro i media di massa e la loro comune valenza
comunicativa.
Questo secondo aspetto interpretativo collega per almeno due decenni
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
notevoli meriti: la riorganizzazione dei segmenti comuni all’area della
comunicazione, della politica, della filosofia e della sociologia costituisce a
tutt’oggi un tentativo di comprensione allargata che davvero molto ha
contato per un settore relativamente poco battuto come lo studio dell’opinione pubblica. Quando però il saggio di Habermas affronta in termini di
bilancio attualizzato i destini dell’opinione pubblica nell’epoca della piena
industrializzazione, lo scenario cambia radicalmente.
La ridefinizione della sfera pubblica, attraversata da un inedito protagonismo statuale nella società e nell’economia, da una crescita dell’industria
culturale e dello spettacolo, da una diffusione massiccia e inaspettata delle
comunicazioni di massa, si scontra con le aspettative politiche generate
dalla fase ‘‘aurea’’ dell’opinione pubblica liberale. Si tratta di una nuova
fenomenologia della sfera pubblica che innanzitutto registra l’interruzione
della crescita di un solo pubblico, quello borghese, rivelandosi con forza
crescente il peso delle battaglie (politiche, sindacali, culturali) promosse
dalle nuove masse di provenienza popolare e operaia. Tanto più questi
processi si intrecciano, tanto meno la funzione razionalizzatrice dell’opinione pubblica classica è in grado di esercitarsi. È probabilmente in questo
contesto che avviene la connessione tra l’analisi di Habermas e l’indirizzo
strategico della Scuola di Francoforte, di cui il sociologo rappresenta
l’ultima generazione di studiosi. L’istanza critica affrontata sul piano dello
sfarinamento del concetto di opinione pubblica, del suo progressivo scadimento euristico a fondamento di ogni modello gruppale (privo però di
profondità politica), produce cupe conseguenze: un modello di passività
generalizzato, un ‘‘pubblico’’ che da attore diviene spettatore, una funzione
della sfera pubblica che cambia in finzione del diritto pubblico. L’industria
culturale occidentale promuove se stessa a regolatore del mercato delle
idee, delle emozioni collettive, dell’immaginario, dei modelli di identificazione sociale.
INTRODUZIONE
5
4. In varie occasioni è stata sottolineata la dicotomia tra approcci critici e
approcci amministrativi. Questi ultimi rivolgono uno sguardo del tutto
diverso all’opinione pubblica e ai media. Si tratta, in estrema sintesi, di
un’osservazione che giudica indagabili in maniera empirica le distribuzioni
delle opinioni, assimilate ad atteggiamenti, in seno ad un certo gruppo
(pubblico). Anche se la genesi di questo approccio può datarsi da un saggio
dello psicologo sociale Allport (1937), è soprattutto in ambito sociologico
nord-americano che i modelli teorici di questo indirizzo si riveleranno
attraverso la ricerca empirica, intensificatasi, come sottolinea Robert K.
Merton, anche per via di specifiche condizioni dell’organizzazione massmediale.
Come hanno indicato Lazarsfeld e altri studiosi, le ricerche sulle comunicazioni di massa si sono sviluppate principalmente in risposta a esigenze
di mercato. La dura competizione fra i vari mezzi di comunicazione di
massa e tra enti all’interno di ciascuno di essi per quel che riguarda la
pubblicità ha provocato la domanda economica di misurazioni obiettive
Estratto distribuito da Biblet
(metà anni ’50, metà anni’ 70) la considerazione sociologica sull’opinione
pubblica a quella sui mass media. Si può dire che un vasto settore degli
studi sociali comincia a considerare obsoleto il riferimento ad un concetto
di opinione pubblica razionale, formata da cittadini liberi di sostenere le
proprie convinzioni e di organizzarsi sulla base di esse. Questo fenomeno
viene messo in relazione indissolubile con la crescita spettacolare della
comunicazione di massa, che a sua volta — pur nella differenza degli
approcci critici — viene analizzata soprattutto nei suoi aspetti di manipolazione, etero-direzione, induzione alla passività collettiva. Il settore degli
studi interessato da questi schemi interpretativi è trasversale: gli echi dei
francofortesi si mescolano a quelli millsiani, e poco dopo una certa massmediologia francese (Baudrillard, Virilio) rafforza l’analisi critica sul piano
dei consumi, dei simboli, dell’occupazione mediatica degli spazio-tempi
della modernità.
Ma anche l’esponente di un filone sociologico assai divergente da quelli
nominati, come Niklas Luhmann, dà per terminata la funzione sociale
dell’opinione pubblica liberale — ambito del ‘‘contropotere’’ implicito nella
concezione habermasiana del pubblico — pur riconoscendo all’opinione
pubblica contemporanea il ruolo di processo e struttura capace di ordinare
operazioni selettive, ovvero di selezionare i temi principali all’attenzione
della sfera istituzionale.
6
POTERE E COMUNICAZIONE
della grandezza, della composizione e delle reazioni del pubblico (pubblico dei giornali, delle riviste, della radio e della televisione)
(Merton 1949: 812).
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
Quest’ultimo riferimento del sociologo americano al ‘‘pubblico’’ evidenzia con chiarezza la trasformazione del concetto: il pubblico è sempre
meno un soggetto storico in senso forte, e sempre più un insieme (scomponibile) di consumatori, di cui non solo le ricerche sociologiche ma anche i
sondaggi di opinione, esponenzialmente moltiplicatisi sin dagli anni ’30,
potevano costantemente monitorare gli orientamenti complessivi.
Va naturalmente messo in luce che, proprio negli Stati Uniti, i processi
della comunicazione di massa avevano incontrato un terreno favorevole di
sviluppo. Le stesse dinamiche del mercato (industria culturale e della
comunicazione) si presentavano in termini di maggiore radicamento rispetto agli altri paesi occidentali e dimostravano una centralità inedita nei
processi sociali.
Dopo un primo periodo di registrazione dell’impatto formidabile dei
media di massa sul comportamento collettivo, segnato dall’influenza delle
teorie comportamentistiche, proprio la mass-communication research nordamericana provvederà a ridimensionare la portata totalizzante degli effetti
sociali dei media. Si parlerà sempre più frequentemente di ‘‘effetti limitati’’ e
le ricerche che fonderanno in termini espliciti tale paradigma (Lazarsfeld,
Berelson e Gaudet 1944; Katz e Lazarsfeld 1955), sposteranno l’attenzione
su una diffusa penetrazione dei messaggi mediali nell’ambito collettivo,
rielaborata però di continuo da meccanismi di leadership gruppale assai
mobile (fenomeno degli opinion-leaders e del doppio livello del flusso di
comunicazione, two-step flow of communication) e dal riconoscimento dell’importanza, per valutare gli effetti dei media sugli individui, delle variabili
sociologiche classiche (età, sesso, status economico, categoria sociale, istruzione, origini familiari, eccetera).
D’altronde lo stesso Paul Felix Lazarsfeld, che si trovò a dirigere le due
famose ricerche empiriche, esplicitò in più occasioni il dubbio che si
potessero esprimere risultati duraturi rispetto ad uno studio dell’opinione
pubblica intesa unicamente come ‘‘distribuzione ben analizzata di atteggiamenti’’: nel 1950 si spinse a proporre una sorta di collaborazione continuativa tra storici e studiosi dell’opinione pubblica per integrare in un’unica
articolazione metodologica sia i risultati empirici che le ipotesi di lungo
periodo (in polemica con quanti chiedevano insistentemente di misurare gli
effetti della mass-communication solo nel breve o brevissimo periodo). E
qualche anno dopo, nel 1957, Lazarsfeld propose anche di utilizzare gli
INTRODUZIONE
7
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
strumenti della tradizione classica delle scienze sociali, soprattutto per
cogliere quali effetti la distribuzione delle opinioni possa esercitare sulla
sfera politica, tornando, quando fosse il caso, anche a recuperare il senso
profondo di concetti coniati in ambito filosofico, come ‘‘clima di opinione’’,
espressione derivata da Locke.
Va anche notato, per non cadere in semplificazioni grossolane, che lo
stesso Lazarsfeld, talvolta accusato di sottovalutare l’influenza dei mezzi di
comunicazione di massa nelle dinamiche sociali e di segnalare invece la
capacità dei media di rendersi accessibili ai nuovi ceti popolari, già nel
1948, insieme a Merton, parlava esplicitamente di disfunzione narcotizzante
dei mass-media. I due autori aggiungevano: «Le stesse condizioni che
rendono massima l’efficacia dei mezzi di comunicazione di massa operano
per la conservazione della struttura sociale e culturale esistente, piuttosto
che per la sua trasformazione» (Lazarsfeld e Merton 1948: 856).
Negli esiti finali, nelle considerazioni più generali in merito ad una
possibile evoluzione dei media di massa e dell’opinione pubblica del
secondo dopoguerra nel mondo occidentale, la distanza tra importanti
settori della teoria sociologica ‘‘critica’’ e della communication research di
oltreoceano appare meno sensibile di quanto lasciato trasparire da popolari
espressioni di contrapposizione dicotomica (cfr. Eco 1964).
Ciononostante, le possibilità di un disaccordo meno netto tra i due
indirizzi di studi non ampliano lo spettro delle capacità interpretative dei
fenomeni connessi all’area dell’opinione pubblica.
Se da un lato i più accorti e sofisticati studiosi dettavano una serie
consistente di condizioni argomentative per esprimere la complessità fenomenologica dell’opinione pubblica, e i più pessimisti riguardo ai cambiamenti introdotti da un’intensificazione costante dei flussi comunicativi di
massa (soprattutto dopo l’introduzione e il successo della produzione
televisiva) evidenziavano il carattere potenzialmente manipolato della formazione delle opinioni, d’altro canto l’insieme di queste indagini non
superavano due ostacoli fondamentali.
Il primo: dare conto di come, nonostante le sempre più rapide procedure di campionamento, i sondaggi — sempre più utilizzati a partire dagli
anni ’30 — non riuscissero a definire in maniera soddisfacente le implicazioni motivazionali di un eventuale cambiamento nel ‘‘clima di opinione’’
(cioè perché, in base a quali processi e fenomeni, alcuni individui e alcuni
gruppi mutassero la propria propensione verso una qualsiasi issue; buco
teorico ben analizzato da Pierre Bourdieu in un polemico saggio del 1973).
8
POTERE E COMUNICAZIONE
Il secondo: perché, nonostante la diffusione di un’industria culturale
audiovisiva di massa (portatrice, in una sola e semplificante espressione, di
elementi omologativi) il cambiamento sociale continuasse a prodursi,
spesso con modalità inedite (si pensi al fenomeno della contestazione
giovanile, prima nordamericano e poi europeo) e con momenti di forte
partecipazione corale (si pensi alle reazioni dell’opinione pubblica americana sul caso Watergate).
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
5. Proprio in riferimento a questi ultimi aspetti, vorrei sottolineare che le
difficoltà sottese alla concettualizzazione dell’opinione pubblica e al suo
presentarsi come mobile campo di studi risiedono, probabilmente, nella
gran mole di intersezioni sociologiche di cui essa è composta.
Detto in altri termini, un tentativo di spiegazione esclusivamente massmediologico dell’opinione pubblica è destinato a mancare l’obiettivo. Si
tratta di affrontare un problema di grandi dimensioni, in cui l’attenzione è
costantemente posata sia sulle modalità e i contenuti della comunicazione,
sia sul disporsi in ambito sociale delle opinioni, sul divenire ‘‘società’’ delle
opinioni stesse.
Si tratta, in sostanza, di annodare una visione sociologica sulla comunicazione ad un’interpretazione sociologica dell’azione politica nei suoi termini più generali, quelli weberianamente connessi con lo studio del potere.
Il 1922, per la storia della sociologia, è soprattutto l’anno della prima
pubblicazione di Wirtschaft und Gesellschaft, dove compare la celebre definizione weberiana di potere («Per ‘‘potere’’ [Herrschaft] si deve intendere [...]
la possibilità per specifici comandi — o per qualsiasi comando — di trovare
obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini, e non già
qualsiasi possibilità di esercitare ‘‘potenza’’ e ‘‘influenza’’ su altri uomini».
Weber 1922, vol. I: 207), accompagnata dall’altrettante celebre tipologia
ideale delle forme di potere (potere tradizionale, carismatico e razionalelegale). Un approccio teorico deliberatamente non esaustivo, che tuttavia
apre con inedito vigore la prospettiva di una rivisitazione sociologica dei
modi in cui il potere si è venuto a formare nei convulsi attraversamenti
delle epoche, sino alle grandi traformazioni del capitalismo industriale: un
vincolo legittimante per chi esercita il potere e per chi lo subisce, una
mappa di grandi dimensioni per cogliere anche gli spostamenti più oscuri
tra tipi diversi di autorità e di obbedienza. E il comando, nell’epoca del
governo basato sul consenso, ripropone la tematica cara a Hume del ruolo
fondamentale delle opinioni e del loro determinare conseguenze concrete
nell’organizzazione sociale (fino a fondare il governo stesso).
Scarica