La famiglia icona della Trinità
Descrizione della parola “icona”
Nicola Calbi
Prima di tutto vorrei dare un significato non generico al termine “icona”. È una
parola greca εἰκών che in latino si traduce imago, in italiano immagine.
I due termini, icona e immagine, fondamentalmente significano la stessa cosa: non
sono la realtà ma la sua rappresentazione, un mezzo di informazione …
Nel corso dei secoli, però, i due termini hanno assunto un contenuto con sfumature
diverse, che li differenziano notevolmente sia sul piano geografico sia su quello
concettuale e teologico.
Questa differenziazione è avvenuta soprattutto nell’ambito della liturgia cristiana,
orientale e occidentale.
Il termine immagine appartiene alla Chiesa occidentale, mentre il termine icona è
proprio della Chiesa orientale.
Fra i molteplici tratti caratteristici che distinguono le immagini dalle icone, credo
opportuno segnalarne almeno uno: le immagini vengono a situarsi sulla linea del segno,
mentre le icone si situano sulla linea del simbolo.
In breve: il fine delle immagini è catechetico - devozionale, cioè orizzontale, quello
delle icone vuole essere la testimonianza visibile della presenza del mistero del Dio
invisibile, si tratta di un approccio verticale.
In altre parole: l’immagine aggiunge all’icona la dimensione trascendente, supera le
forme del nostro mondo, per rendere presente il mistero di Dio.
San Giovanni Damasceno ha dato la descrizione più precisa ed efficace dell’icona:
“ … riflette le realtà della trascendenza di Dio nella materia”1. Per questo “ … le icone di
Cristo, e soprattutto della Theotocos, Madre di Dio, e dei Santi sono delle icone
dell’umanità trasfigurata, non immagini di un santo concreto ma di quel santo che, in
quanto cristiano, si è configurato pienamente al mistero di Cristo”2.
L’uomo, alla ricerca di Dio, desidera, dal più profondo di se stesso, incontrarlo;
l’icona, per i fratelli d’oriente, è come un sacramentale della presenza di Dio e del suo
incontro con l’uomo.
Concilio Costantinopolitano IV
(869 – 870)
Proprio a quel sacramentale fa allusione il Concilio Costantinopolitano IV in
contrapposizione alla crisi iconoclasta, nel seguente testo: “Ciò che il Vangelo ci dice con
le parole, l’icona ce lo annuncia con i colori e lo rende presente”.
È una presenza, misteriosa e dinamica, del mistero trascendente, che ricrea, nel
credente, la coscienza del suo ultimo destino, tangibile e visibile, per mezzo dell’icona.
Le parole conciliari costantinopolitane dimostrano che la Chiesa ha superato la
comprensione – esclusiva e gratuita – di una affermazione di S. Paolo: “Fides ex auditu –
la fede proviene dall’ascolto”3.
A causa di una comprensione non esatta del testo paolino, la conoscenza uditiva
della fede è stata contrapposta alla conoscenza visiva; anzi alcuni hanno arbitrariamente
1
Michel Quenot: “L’icona. Finestra sull’assoluto” Edizioni San Paolo, p. 155
Manuel Nin “La voce dell’icona”, Libreria Editrice Vaticana, p.10
3
Rm 10, 17
2
1
sentenziato che l’approccio biblico alla conoscenza attraverso l’ascolto si opporrebbe a
quello greco che ha collegato la conoscenza alla visione.
Nella Bibbia nessuna opposizione
tra ascolto e visione anzi stretta connessione
Questa pretesa opposizione tra ascolto e visione non trova riscontro né nel Vecchio
Testamento né nel Nuovo Testamento.
Per quanto riguarda il Vecchio Testamento mi vengono in mente molti testi,
soprattutto di Salmi, che implorano Dio di “mostrare il suo volto” o di “non nascondere il
suo volto”.
Soltanto qualche citazione dal libro dei Salmi: “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non
nascondermi il tuo volto”4; “Non nascondere il tuo volto al tuo servo; sono nell’angoscia;
presto rispondimi”5; “Perché, Signore, mi respingi? Perché mi nascondi il tuo volto?”6.
Anche nel Nuovo Testamento la fede non è collegata soltanto all’ascolto ma anche
alla visione. Dopo il richiamo alla vita di Lazzaro, i giudei “alla vista di ciò che egli aveva
compiuto, credettero in lui”7.
Qui la visione precede la fede, come anche il mattino di Pasqua, Giovanni, davanti
al sepolcro vuoto, “vide e credette”8.
Altre volte è la fede stessa che guida ad una visione più profonda della realtà: ”se
crederai, vedrai la gloria di Dio”9; sempre il giorno di Pasqua, la fede porta Maria
Maddalena a confessare apertamente, davanti agli apostoli, “ho visto il Signore”10.
In breve riassumo dicendo che, mentre nel Vecchio Testamento, l’uomo aveva
istaurato con Dio un rapporto quasi esclusivamente uditivo, nel Nuovo Testamento sul
rapporto uditivo viene innestato anche il rapporto visivo.
La più grande icona del mistero di Dio
La più grande icona che rende visibile il mistero di Dio è l’Umanità del Signore
Gesù. Non solo perché l’artista di questa icona non è un uomo ma è lo Spirito Santo che
ha plasmato la carne del Figlio di Dio nel grembo di Maria …; ma c’è dell’altro.
Ecco: “In principio era il Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio … e il
Logos si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo visto la sua
gloria…”11.
È più che evidente che, in questo testo, la conoscenza uditiva e concettuale del
Logos si arricchisce della conoscenza visiva, direi sperimentale. Ancora nel Vangelo di
Giovanni leggiamo: “ … chi, vede me, vede colui che mi ha mandato”12 e, nell’ultima cena,
il Signore risponde a Filippo che aveva chiesto “Signore, mostraci il Padre e ci basta”, con
queste parole: “ … Chi ha visto me, ha visto il Padre …”13.
Sempre Giovanni, nella sua prima lettera, non solo esclude qualsiasi opposizione
tra le due forme di conoscenza della fede ma le mette insieme.
4
Sl 27, 8-9
Sl 69, 18
6
Sl 88, 15
7
Gv 11,45
8
Gv 20, 8.
9
Gv 11,40
10
Gv 20,18
11
Gv 1,1-14
12
Gv 12,45
13
Gv 14, 8-10
5
2
“Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo
veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e le nostre mani toccarono del Verbo
della vita … quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunciamo a voi …”14.
La conoscenza sperimentale precede l’annuncio.
Anche nei Vangeli sinottici si può verificare la connessione profonda tra l’udire e il
vedere nella conoscenza della fede.
In alcune parabole dei sinottici, costituite da immagini del mondo rurale, Gesù parla
del seme che, gettato nella terra, germoglia e cresce da solo, sia che il contadino dorma
sia che vegli, perché egli conosce, per esperienza, la potenza interna del seme e la fertilità
del terreno. Le parole di Gesù non destano soltanto ascolto, ma accendono anche la
visione immaginaria di chi ascolta, che vede il seme, gettato dal contadino, diventare stelo,
spiga e chicco pieno … Nel linguaggio evangelico l’immagine del seme diventa simbolo o
icona della Parola di Dio. Come l’umile seme si sviluppa nella terra, così la Parola opera
con la potenza di Dio nel cuore di chi l’ascolta (Cfr Mc 4, 26-29).
Tra i tanti altri testi sinottici mi limito a ricordarvi l’evento della trasfigurazione del
Signore sul monte Tabor.
Cristo Gesù si trasfigura apparendo come Dio nella sua umanità, Dio qual è
“irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza”15 e con Lui sono
trasfigurati anche i discepoli, resi capaci non solo di vederlo sensibilmente come Dio, che
fa risplendere dell’abbagliante gloria divina la sua umanità, ma anche di ascoltare la voce
del Padre: “Questi è il Figlio mio, l’amato, in Lui ho posto il mio compiacimento.
Ascoltatelo”16. Dalla visione all’ascolto!
L’umanità del Signore Gesù è la massima icona, perché attraverso di essa c’è
l’immanenza - in noi e tra di noi - della trascendenza del Padre, che per noi è misteriosa
esperienza, visiva e uditiva nello stesso tempo (o istante).
A questo punto si impone qualche riflessione.
Dell’Umanità del Signore facciamo parte anche noi che siamo il suo corpo … Cristo
e la Chiesa si identificano misticamente: essa è il suo prolungamento storico, nello spazio
e nel tempo, e parla al Suo posto … l’identificazione di Cristo e della Chiesa ci permette di
dire che la verità di questa è al di là di ciò che appare: è invisibile nella sua visibilità,
appartiene allo Spirito del Padre e del Figlio nella sua temporalità.
La Chiesa, cioè noi uniti misticamente a Cristo, partecipiamo all’essere iconico
dell’Umanità di Cristo e siamo per questo, nel mondo visibile, testimoni dell’invisibile.
La Famiglia icona della Trinità
Quello che ho detto fino a questo momento sull’icona - o simbolo - si può
riassumere nelle seguenti quattro espressioni:
1) L’icona è un velo che nasconde e rivela la presenza delle realtà trascendenti
nella materia;
2) L’icona è epifania di santità, perché ci mostra non la persona umana concreta
ma quella pienamente configurata al mistero di Cristo morto e risorto;
3) L’icona rende presente il trascendente anche nelle realtà temporali, come il
matrimonio e la famiglia;
4) L’icona non è soltanto visione ma anche ascolto, perché le realtà trascendenti,
in essa rappresentate, parlano all’osservatore del suo destino eterno.
14
1Gv 1,1-3
Eb 1,3
16
Mt 17, 1-8
15
3
Nella famiglia della prima creazione dovremmo trovare queste caratteristiche
dell’icona, come anche nella famiglia della incipiente seconda creazione.
La famiglia icona della Trinità nella prima creazione
Il progetto di Dio sulla famiglia della prima creazione traspare esplicitamente da
alcuni testi del primo libro della Bibbia: la Genesi. Su questi testi, che non sono i soli, ma
sono quelli fondamentali, fermeremo la nostra attenzione e la nostra meditazione.
La famiglia, persino nel popolo eletto, l’ebraico, è decaduta dall’originario progetto
divino a causa del peccato, che ha steso come un velo ed ha nascosto, in essa, la
tensione verso la Trinità.
A causa di questo velo il metodo della presente relazione non sarà quello di
ricercare nella famiglia, così com’è dopo il peccato, l’icona della Trinità, ma alla luce del
progetto originario di Dio, riscoprire e ricostruire quella icona.
In questo modo, noi trinitari, realizziamo il passaggio importante per il nostro
carisma, dalla Trinità creatrice alla Trinità redentrice.
“Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra
somiglianza…»17.
Queste parole hanno stimolato sempre la mia attenzione: anzitutto il passaggio dal
singolare “Dio disse”, al plurale “facciamo …” che nasconde, alla luce del Nuovo
Testamento, la prima, anche se implicita, rivelazione del mistero trinitario.
L’invito “facciamo …” fa parte del dialogo eterno tra i Tre. Ma c’è dell’altro: le parole
“facciamo l’uomo” non sono soltanto un documento storico di migliaia d’anni fa, ma
contengono la rivelazione della verità di Dio, rivelazione sempre attuale anche per noi,
oggi, e per tutte le generazioni; rivelazione di un dialogo tra i Tre, al quale siamo ammessi
anche noi, che, in Cristo, partecipiamo della seconda Persona della Trinità, per collaborare
alla creazione e all’organizzazione dell’umanità, secondo il progetto del Padre.
“Facciamo l’uomo …” è un’espressione che rivela il programma di Dio, dei Tre,
sull’umanità, sui popoli e sulle nazioni di tutti i tempi, chiamati ad essere una molteplicità
distinta, nell’unità della famiglia umana, proprio come in Dio, uno nell’essere e trino nelle
persone. I popoli, le nazioni, le diversità culturali e religiose vanno comprese come
espressioni della fondamentale unità del genere umano.
Il programma del Padre è l’ambiente proprio del carisma di S. Giovanni de Matha: la
liberazione degli schiavi è in vista della molteplicità delle persone e dei popoli nell’unità
della famiglia umana.
La creazione dell’essere umano si concretizza in maschio e femmina
“Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e
femmina li creò”18
Questo testo è la continuazione del precedente, si passa dalla programmazione
“facciamo l’uomo” all’esecuzione concreta “ … a sua immagine lo creò, maschio e
femmina li creò”.
Questa lettura è suffragata dal verbo “facciamo …” che si può leggere come una
esortazione, un invito a fare, mentre nell’esecuzione c’è il verbo “creò”, “bará” in ebraico,
un verbo che nella Bibbia si predica soltanto di Dio e indica la sua forza di dare esistenza
alle cose dal nulla.
La creazione dell’essere umano si concretizza con due volti, maschio e femmina:
17
18
Gn 1, 26
Gn 1, 27
4
“ … a sua immagine lo creò, maschio e femmina li creò”.
Queste parole non insinuano che in Dio ci sia una distinzione sessuale-biologica tra
maschio e femmina.
Dio è puro spirito e nello spirito non si può parlare di distinzione sessuale-biologica,
come nell’essere umano. Per il semplice motivo che ẞíos indica la vita umana, non quella
di Dio, che è indicata da un altro termine greco, Zωἡ, elevato, nel greco biblico, a
significare la più alta trascendenza della vita divina.
La distinzione biologica di maschio e femmina, nell’essere umano, viene giustificata
dal verso immediatamente successivo: “Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e
moltiplicatevi»”19.
La distinzione dei sessi ai fini della procreazione compare sin dal primo momento
della creazione della coppia, uomo-donna, che è il vertice della creazione, il capolavoro di
Dio.
Alcune persone del nostro tempo, che si ritengono originali, quelle della
inconciliabilità tra fede e ragione - quasi che un’aquila possa volare con una sola ala hanno avuto il loro quarto d’ora di celebrità sentenziando, nella così detta “teoria del
gender”, che la distinzione biologica, tra maschio e femmina, non è originaria, deriverebbe
da certe costruzioni storico-culturali.
Il dramma di queste persone … sta nell’illusione che ciascun individuo, maschio o
femmina, abbia la capacità di avere in sé tutta la pienezza dell’essere umano:
l’uguaglianza dei sessi, cioè la rimozione della loro differenza, sarebbe la base
dell’uguaglianza sociale; la distinzione dei sessi è vista come la fonte della discriminazione
della donna.
La teoria del gender è espressione di una frustrazione, che mira a cancellare la
differenza sessuale, perché teme il confronto con essa … Invece “… siamo fatti per
ascoltarci e aiutarci a vicenda. Possiamo dire che senza l’arricchimento reciproco, nella
relazione uomo – donna, nel pensiero e nell’azione, negli affetti e nel lavoro, e anche nella
fede, i due non possono nemmeno capire fino in fondo che cosa significa essere uomo e
donna”20 .
La differenza sessuale tra uomo e donna non è soltanto biologica, ma riguarda
anche la mente, il cuore, l’intelligenza, gli affetti, il lavoro, la preghiera, l’atteggiamento …
senza escludere l’altro sesso … ma, in forza di una innata reciprocità, lo reclama, al punto
che i dati della differenza sessuale costituiscono il segno della complementarità tra uomo
e donna in tutti gli spazi della vita.
Questa complementarità è il fondamento, e anche l’esigenza, di un continuo
dialogo, non solo tra i coniugi per la crescita reciproca, ma a tutti i livelli, nella chiesa e nel
mondo.
Proprio il dialogo è l’elemento più importante che fa della famiglia l’icona della
Trinità, che vive in un eterno e ininterrotto dialogo d’amore.
Più dell’uomo e della donna, presi separatamente, è la coppia, uomo-donna,
l’autentica icona della Trinità nella prima creazione.
Con tali premesse possiamo leggere il racconto dettagliato della Bibbia sulla
creazione dell’uomo e della donna.
19
20
Gn 1, 28
Papa Francesco, Udienza Generale del 16 aprile 2015
5
Creazione dell’uomo
Per capire cosa significhi l’uomo creato ad immagine di Dio propongo un altro testo
del libro della Genesi: “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle
sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”21.
Con questo alito di vita viene chiaramente significato che l’uomo è il risultato di un
impasto di polvere del suolo - allusione alla sua materialità - con un elemento
trascendente che condivide con Dio e lo rende persona.
Ma che cosa è questo alito di vita, questo elemento trascendente che l’uomo
possiede con Dio?
Il libro dei Proverbi interpreta l’alito di vita della Genesi come “una lampada del
Signore che illumina il suo cuore fin nel profondo” 22.
L’alito di vita, allora, è luce che serve per conoscere; illumina il cuore che, nella
Bibbia, è l’organo della conoscenza; fin nel profondo esprime l’autocoscienza: l’alito di vita
è conoscenza, coscienza e autocoscienza.
La lampada del Signore è la capacità dell’uomo di conoscere il mondo e se stesso,
una qualità trascendente, propria di Dio e donata all’uomo, che lo unisce verticalmente a
Dio stesso.
L’alito di vita ricevuto da Dio rende l’uomo diverso dagli altri viventi e lo fa immagine
di Dio …, cioè persona.
Ma la persona non è ancora completa proprio nel suo essere in quanto essa è
esigenza di dialogo, di incontro e si realizza nella sua relazione ad un’altra persona.
In Dio, la triplicità delle Persone e il dialogo eterno, che le unisce in unità,
definiscono la sua essenza: “Dio è amore”23.
Dio crea la donna proprio per completare la pienezza dell’essere umano,
donandogli un’altra persona.
Creazione della donna
“E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che
gli corrisponda»24.
Commuove, fa tenerezza questa preoccupazione di Dio per la solitudine dell’uomo.
Dio osserva l’uomo, solo nel giardino: è libero, è signore … ma è solo e soffre di
una mancanza di comunione, di dialogo, d’amore. La stessa mancanza di cui avrebbe
sofferto Dio se non avesse generato la persona del Figlio.
A questo punto, però, Dio non dà subito seguito al suo proposito di dare all’uomo un
aiuto, “ezer” in ebraico, che gli corrisponda.
“Allora - continua il testo - Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti
gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo … ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli
corrispondesse”25.
Nessun animale plasmato dal suolo, come l’uomo, ha ricevuto l’alito di vita
trascendente, che lo ha reso immagine di Dio, pronto al dialogo. Nessun animale
“corrisponde” all’uomo, in ebraico kenegdổ, letteralmente “che gli stia di fronte”.
L’aiuto che Dio vuol dare all’uomo è dentro l’uomo, ma lui non lo sa, perché non gli
sta di fronte, con lo stesso alito di vita trascendente.
21
Gn 2, 27
Pro 20, 27
23
1 Gv 4, 8
24
Gn 2, 18
25
Gn 2, 19-20
22
6
Questo aiuto deve venir fuori dall’uomo e diventare un’altra persona, con lo stesso
alito di vita, che rende immagine di Dio e persona pronta al dialogo.
Ed ecco che Dio passa all’azione: “Allora Dio fece scendere un torpore sull’uomo,
che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore
Dio formò con la costola, che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo”26.
Faccio notare un’analogia abbastanza ardita: come dalla sostanza del Padre è
generata la Persona del Figlio, uguale al Padre ma distinta dalla sua Persona, così dalla
carne dell’uomo è stata formata la donna, uguale a lui ma distinta e ben diversa da lui
come persona.
Nasce la distinzione dell’uomo e della donna che, insieme, rappresentano la
pienezza dell’essere umano per la loro reciprocità e complementarità.
Nasce la distinzione dell’io, del tu e del noi, come nella Trinità: Padre, Figlio e
Spirito Santo.
In quel noi della coppia c’è la pienezza dell’essere umano. E l’uomo l’ha capito
molto bene e si è rallegrato per il dono ricevuto: “Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso
delle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata
tolta”»27.
Qui si nasconde una grande verità: la dimensione maschile e quella femminile
erano come fuse nell’unica persona dell’uomo, ˀadàm.
Separando le due dimensioni e dando ad esse un’esistenza distinta, Dio ha riempito
la solitudine dell’uomo, dandogli una persona diversa da lui, con la quale potesse
incontrarsi, dialogare e amare.
Creazione del matrimonio
Il capitolo secondo della Genesi continua: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e
sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne”28.
Ci fermiamo a fare qualche riflessione: il testo precedente alludeva alla creazione di
un’altra persona, la donna, per liberare l’uomo dalla solitudine …; nelle parole che Dio dice
sul matrimonio l’accento è posto sull’unità dell’uomo e della donna, ma un’unità che si
realizzerà nel futuro … “ saranno una sola carne”.
L’unità non è un punto di partenza ma di arrivo, è la meta di un cammino, insieme,
dei coniugi. Unità e Trinità, ma mentre in Dio i due attributi sono coessenziali ed eterni,
senza un prima e un poi, nella coppia umana, l’unità, il noi dei due coniugi è da costruire
momento per momento.
Tracce a volte quasi invisibili del dialogo trinitario si trovano nel matrimonio tra
l’uomo e la donna e nella famiglia.
La persona umana è stata sepolta da una valanga di fango che si chiama
individualismo, che innalza altari allo spudorato egoismo, con la rivendicazione dei diritti
egoisticamente individuali. Infatti, l’individuo sta agli antipodi della persona; la persona
umana porta in sé la ferita individualista del peccato, che la ripiega su se stessa;
l’individuo non dà ma prende, più prende e più crede di realizzarsi, ingannando se stesso.
L’individualismo è la parola chiave per capire non solo la nostra società, ma anche il
fallimento di tanti matrimoni, anche cristiani.
Nel matrimonio sono in due a sposarsi, io e tu, ma spesso manca la terza persona,
il noi, la coscienza della reciprocità e della complementarità tra i coniugi, manca un
progetto di vita in comune; anzi ognuno dei coniugi ha il suo progetto di vita individuale;
26
Gn 2, 21-22
Gn 2, 23
28
Gn 2, 24
27
7
quando i due progetti non si intersecano, cioè non sono complementari, viene a
interrompersi il cammino verso l’unità, verso la costruzione del noi, che dovrebbe abitare
nell’io e nel tu, come lo Spirito Santo rimane nel Padre e nel Figlio.
La famiglia icona della Trinità fuori della coppia
Come la Trinità è uscita da se stessa e, per amore, ha creato l’universo, l’umanità,
la storia …, così la coppia umana ha ricevuto da Dio il potere di dare l’esistenza ad altre
persone, immagini di Dio …
La coppia umana non è una monade chiusa, senza porte e finestre 29: la
benedizione di Dio la apre ad extra, fuori di sé: “Dio li benedisse e disse loro: «Siate
fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra …»”30.
I figli, insieme ai genitori, sono all’origine di tutta la storia e dei suoi contenuti: la
famiglia, il lavoro, la città, la società, le leggi, la politica, l’economia, l’arte, il pensiero, le
scienze …
La storia è il palcoscenico di tutti questi “personaggi” della creatività umana, donata
da Dio all’uomo, perché fosse il signore della creazione.
I figli nascono dai genitori ma sono preceduti dalla benedizione di Dio sulla coppia,
essi sono un dono e un segno di quella benedizione; non si ha un diritto nei loro confronti:
primo, perché nessuno può vantare diritti verso Dio; secondo, perché i figli sono persone e
non cose …
I figli sono un dono e come tali vanno accolti. Solo qualche citazione biblica: “…
dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo”31; i figli sono come “ …
virgulti d’ulivo intorno alla mensa. Ecco com’è benedetto l’uomo che teme il Signore”32.
C’è una teologia della benedizione che mette in discussione la ricerca del figlio ad
ogni costo e con ogni metodo; questa ricerca del figlio con ogni metodo non è lodevole,
così come non è accettabile il rifiuto di procreare per … egoismo.
I figli ci vengono donati per dare a noi una discendenza, per completare il numero
dei figli di Dio, per portare a maturità il corpo di Cristo, la Chiesa, per dare alla società
cittadini onesti che operino per il bene comune.
Accanto alla teologia della benedizione qualcuno parla anche di una teologia della
sterilità. La mancanza non volontaria dei figli si potrebbe interpretare come una vocazione
specifica dei coniugi a realizzare la loro genitorialità con figli adottivi o affidati.
Crescere ed educare figli che non siano nati dalla propria carne è la radice della
fecondità spirituale molto diffusa nella nostra società.
Gesù riporta il matrimonio al progetto iniziale di Dio
Ho fatto più volte riferimento alla situazione di decadenza della famiglia dal progetto
di Dio dell’inizio …
Molti uomini e donne hanno spento quasi del tutto il loro legame con la
trascendenza divina, facendo sparire i lineamenti dell’icona della Trinità dalla loro unione:
l’unità, frutto della reciprocità e della complementarità spirituale, psicologica e fisica, e la
Trinità di persone uguali e distinte, che si compenetrano nell’incontro, nel dialogo, nella
comunanza di vita e nell’amore.
Chi si chiude alla trascendenza si chiude nella prigione della terra.
29
Leibniz
Gn 2, 28
31
Sal 127, 3
32
Sal 128, 3-4
30
8
Anche nel popolo eletto, l’ebraico, è stato consumato l’attentato all’unità del
matrimonio.
Il libro del Deuteronomio riconosce il “diritto” dell’uomo di ripudiare la propria
moglie: “Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi
avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualcosa di
vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via
dalla casa”33.
Per l’interpretazione del motivo del ripudio “qualcosa di vergognoso”, nella seconda
metà del primo secolo a. C., rabbi Shammai e la sua scuola intesero l’adulterio, mentre
rabbi Hillel e la sua scuola diedero un’interpretazione più ampia: “qualcosa di vergognoso”
equivaleva a qualsiasi motivo.
La disputa tra le due scuole era ancora viva ai tempi di Gesù, al punto che alcuni
farisei gli si avvicinarono e, “per metterlo alla prova” gli chiesero: “ È lecito a un uomo
ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”.
Gesù non si schiera con nessuna delle due scuole, anzi le spiazza entrambe,
affermando che solo “per la durezza del vostro cuore, Mosè ha ordinato di ripudiare le
vostre mogli; all’inizio non fu così”.
All’inizio, be-ré shit, è il titolo del libro della Genesi, che Gesù richiama, con forza e
radicalità, nella sua risposta ai farisei: “Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da
principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre
e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”. Ho già commentato questo
testo.
Ma Gesù aggiunge del suo: “Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque
l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.
È da sottolineare, nelle parole del Signore, la forza del verbo essere: “non sono più
due ma sono una sola carne”. La Genesi diceva: “diventeranno una sola carne”.
Questa interpretazione viene confermata dalla conclusione del Signore: “Dunque,
l’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto”34
Gesù afferma solennemente che il matrimonio e l’unità fra i coniugi sono opera di
Dio.
La durezza del cuore, la cardiosclerosi, è la chiusura dell’uomo all’opera di Dio,
all’alito di vita che lo unisce verticalmente a lui e lo rende sua immagine e persona.
La durezza del cuore (= della mente) continua l’arroganza del peccato originale, per
il quale l’uomo vuole mettersi al posto di Dio e legiferare a piacimento sulla sua creazione.
Accorato e forte l’appello di Gesù: “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”,
che significa riconoscere, rispettare e promuovere l’opera di Dio e il suo progetto.
Facciano un passo indietro gli sposi, i partiti politici e i parlamenti che fanno le leggi
ed escano dalla prigione della falsa laicità.
L’unità tra l’uomo e la donna, creata da Dio, nelle parole di Gesù può chiamarsi
anche indissolubilità, tanto è vero che il Signore condanna, senza mezzi termini, il
passaggio da una moglie all’altra, da un marito all’altro: “Chi ripudia la propria moglie e ne
sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro,
commette adulterio”35.
Il Deuteronomio riconosce il diritto al divorzio soltanto all’uomo; Marco declina il
pensiero del Signore sia per l’uomo che per la donna.
33
Dt 24, 1
Mt 19, 3 - 9
35
Mc 10, 11-12
34
9
La rinuncia al matrimonio
Continuando a leggere la pericope del Vangelo di Matteo scopriamo il disappunto
dei discepoli sul richiamo di Gesù al matrimonio dell’inizio: “Se questa è la situazione
dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”36.
Gesù prende la palla al balzo e dice: “Non tutti comprendono questa parola ma solo
coloro ai quali è stato concesso”37.
A chi viene concesso di comprendere la parola di non sposarsi? A quelli che
liberamente prendono questa decisione; tra questi coraggiosi non vanno annoverati quelli
che, per impotenza nativa o provocata dalla cattiveria umana, non possono sposarsi.
Quelli che scelgono di non sposarsi, lo fanno “… per il regno dei cieli”38. Gesù vuole
riannodare il legame tra le scelte umane e Dio, rispolverando l’alito di vita.
Il matrimonio tra l’uomo e la donna è stato creato da Dio e rimane la vocazione
fondamentale dell’essere umano; ad alcuni viene concessa la vocazione della rinuncia del
matrimonio, che è un’altra strada per camminare verso Dio; è la strada profetica
dell’anticipazione, sulla terra, del regno celeste.
Infatti, alla domanda dei sadducei che chiedevano a Gesù, a chi sarebbe toccata,
alla risurrezione, la moglie che aveva avuto sette mariti, il Signore rispose: “Vi ingannate,
perché non conoscete le Scritture e neppure la potenza di Dio. Alla risurrezione infatti non
si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo”39.
Ma cosa significa la rinuncia al matrimonio per il regno dei cieli? Il cielo, i cieli
stanno a indicare la trascendenza di Dio. Ma il Figlio di Dio, il logos, è diventato carne
(uomo), si è reso immanente nell’umanità.
Nell’unità della sua Persona divina coesistono, unite e distinte, la natura umana e la
natura divina: la coesistenza delle due nature nell’unità della Persona è già
un’anticipazione dell’unione sponsale di Dio con l’umanità.
La morte e la risurrezione del Signore inizia il processo di spiritualizzazione
dell’essere umano, con la Parola e i Sacramenti.
Tra questi c’è il Sacramento del matrimonio, definito dall’apostolo S. Paolo “il
grande Sacramento, … in riferimento a Cristo e alla Chiesa”40.
Il Sacramento del matrimonio
Ma che cos’è un Sacramento? Il Sacramento è segno efficace della grazia. Segno
significa che qualche cosa di sensibile non ha valore per se stesso, ma per quello di cui è
segno: la bandiera è un pezzo di stoffa che è segno della patria; segno efficace vuol dire
non solo che quella cosa sensibile è segno di un’altra cosa, ma che è anche efficace, cioè
produce la cosa che significa …
I sette Sacramenti sono segno, ognuno, di qualche cosa che realizzano. Il
matrimonio tra l’uomo e la donna è segno efficace dell’unione tra Cristo e la Chiesa, cioè
significa e realizza, nella coppia umana, l’unione tra Cristo e la Chiesa. La coppia umana è
un piccolo noi (di due persone), che fa parte del grande Noi della Chiesa universale; la
coppia umana è una cellula della Chiesa ed è parte integrante del matrimonio definitivo,
quello tra l’Agnello e la città santa, il Noi dei Salvati, descritto dall’Apocalisse41.
36
Mt 19, 10
Mt 19, 11
38
Ivi 19, 12
39
Ivi 22, 23- 32
40
Ef 5, 32
41
Ap 21, 9 - 27
37
10
Sulla terra i due matrimoni, quello tra l’uomo e la donna e quello tra Cristo e la
Chiesa, convivono, devono convivere …, perché ciò che è l’uomo per la donna è Cristo
per la coppia, per il noi degli sposi, che è una cellula del grande Noi della Chiesa. Come
chi si unisce ad una donna forma con lei un solo corpo, così “chi si unisce al Signore
forma con Lui un solo spirito”42.
A sostegno della convivenza dei due matrimoni ci dev’essere nella coppia la
preghiera, una preghiera fondata sullo sguardo d’amore dei due verso Cristo, lo Sposo;
sull’accoglienza del mistero di Cristo che si propone alla coppia e la pervade di soavità;
sulla comunione della loro vita di coppia con Lui, nella vigilanza e nell’attesa del Suo
intervento in ogni momento della loro vita in comune per quanto difficile.
Nel paradiso, dove tutte le coppie vedranno con i propri occhi di essere l’unica
Chiesa, la Sposa di Cristo, scomparirà il segno - cioè l’unità carnale tra l’uomo e la donna ma rimarrà la realtà, il matrimonio fra Cristo e la Chiesa della quale la coppia umana,
ormai angelicata, è una cellula distinta e consapevole.
La convivenza, sulla terra, dei due matrimoni serve ad innestare nella coppia
umana e cristiana, un processo di spiritualizzazione; l’amore coniugale - anche quello
espresso con l’unione sessuale - non è fine a se stesso: la ricerca reciproca del piacere,
ma il fine è quello di cooperare all’esistenza di altri uomini e donne e di impegnarsi a
costruire, con essi, il corpo della Chiesa, la sposa di Cristo.
La presenza di Cristo, sposo della coppia umana, non solo trasforma negli sposi
l’eros in agàpe, cioè di amarsi nel Signore, secondo il piano del Padre, ma rende anche
più salda la loro unione, perché scoprono che il loro sogno di amore fa parte di un
“disegno più grande dei propri progetti, disegno che li sostiene e permette di donare
l’intero futuro alla persona amata”43.
Potrei portare molti testi biblici a sostegno della convivenza, sulla terra, dei due
matrimoni, quello del segno e quello della realtà. Ve ne leggo uno solo: “Vi esorto, dunque,
fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e
gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma
lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la
volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto”44.
Il testo paolino è stato recepito dal Lezionario del Sacramento del Matrimonio. Il rito
di questo sacramento si svolge solitamente durante la liturgia eucaristica, che è sempre
una celebrazione sponsale: in essa gli sposi diventano consapevoli – inconsci di essere
membra del Corpo di Cristo e membra l’uno dell’altra, resi così capaci di comprendere il
senso (eterno) della loro unità sponsale - sono uno in Cristo - è il significato sacrificale
della loro unione nel mistero di morte e risurrezione del Signore.
Ecco perché l’apostolo dice: “Questo è il vostro culto spirituale …” e aggiunge:
“Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro
modo di pensare”.
Gli sposi cristiani sono nel mondo ma non sono del mondo: essi sono nuove
creature, appartenenti al mondo della risurrezione.
Questo è l’esempio più eloquente della convivenza, nella coppia umana, della prima
creazione con la seconda.
La prima creazione, ferita dal peccato e rappresentata dal matrimonio dell’inizio,
cammina verso la sua distruzione (la fine del mondo), mentre la nuova creazione cresce
verso la sua pienezza in Cristo. Qui mi piace citare una riflessione mistica di una filosofa
fenomenologa: “Più in alto si sale nella somiglianza con Cristo, più l’uomo e la donna
42
2Cor 6, 17
Papa Francesco, Lumen Fidei, n.52
44
Rm 12, 1-2
43
11
diventano uguali ( … ) così il dominio da parte del genere viene cancellato a partire dallo
spirituale” 45.
Cristo è il fondamento e l’autore della nuova creazione, nella quale camminiamo,
con la Parola e i Sacramenti … Anche la nuova famiglia, innestata sulla prima con il
Sacramento del matrimonio, porta in sé l’icona della Trinità.
Le Tre Persone divine sono all’opera nella costruzione della famiglia fondata sul
Sacramento del matrimonio.
L’architetto è il Padre, che è anche la fonte dell’amore sponsale del Figlio per la
Chiesa e l’origine dell’azione dello Spirito Santo per l’edificazione del noi della coppia
umana, del grande Noi della Chiesa e del noi definitivo tra Cristo, la coppia umana e la
Chiesa.
Che il Padre sia sorgente della coppia e della Chiesa è scritto nel profeta Geremia:
“Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non
trattengono l’acqua”46. Il testo profetico fotografa la nostra società edonistica che,
abbandonato Dio, cerca di sostituirlo con acque che non dissetano, come il matrimonio e
la famiglia private della luce di Dio.
Del Figlio, poi, leggiamo in un passo: “Hanno abbandonato la fonte della
sapienza”47. Cristo è la Sapienza di Dio contenuta nel Vangelo, l’unica Sapienza che tiene
unito il popolo e i popoli e costruisce le società e le civiltà sul bene comune, sulla
solidarietà, sulla sussidiarietà e sulla famiglia aperta alla trascendenza e all’amore di Dio.
Infine dello Spirito Santo si dice: “Chi beve dell’acqua che io gli darò … (questa)
diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”48.
I testi citati provano che il mistero della Trinità è la triplice fonte della coppia e della
Chiesa, Sposa dell’Agnello, e queste sono le vere, autentiche icone storiche della Trinità.
Cristo è lo Sposo che “ha dato se stesso per la Sposa per renderla santa …, senza
macchia né ruga …49 e continua a soffrire per lei nelle tribolazioni del corpo mistico. Lo
Spirito Santo è lo Spirito della verità, che ci guiderà a tutta la verità … e ci annuncerà le
cose che stanno per accadere50.
I Tre sono all’opera … Questa è la ragione per la quale io mi discosto un po’ dalla
versione italiana di un altro brano di Giovanni: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, il
Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”51: la versione
più dinamica dal greco potrebbe essere “costruiremo … la dimora …” piuttosto che la
statica “prenderemo dimora”.
Questa azione continua dei Tre rivela il significato della dinamica storica ma
comunica anche la certezza che il Signore della storia è all’opera.
Soltanto alla fine della storia i Tre prenderanno dimora (= riposo) nella casa che
hanno costruito lungo i millenni: “E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova,
scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una
voce potente, che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli
abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio»”52.
Il processo di spiritualizzazione iniziato con la risurrezione del Signore ha fatto
scomparire l’aspetto materiale dell’icona …; la Chiesa, la famiglia di Dio, che Cristo ha
45
Edith Stein “La donna, il suo compito secondo la natura e la grazia”, Città Nuova, pag. 69 s
Ger 2, 13
47
Bar 3, 12
48
Gv 4, 14
49
Ef 5, 25-27
50
Cfr Gv 14, 16; 16, 13
51
Gv 14, 23
52
Ap 21, 2-3
46
12
conquistata con la sua morte, è tutta pervasa dallo Spirito Santo, dal suo Noi, è icona della
Trinità come lo è l’umanità di Cristo risorto, come l’umanità di Cristo trasfigurato sul Tabor.
L’unità e la molteplicità tra Cristo e la Chiesa non è ancora l’ultima perfezione
dell’umanità. Nella preghiera sacerdotale del Signore, durante l’ultima cena, che oggi si
preferisce chiamare preghiera dell’unità, Gesù ci fa intravedere il nostro ultimo destino:
“Padre … non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante
la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano
anch’essi in noi …” e ancora con più accorata insistenza Cristo chiede la perfetta unità tra
lo sposo e la sposa nell’abbraccio della Trinità: “… perché siano una sola cosa come noi
siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità … ”53.
L’umanità di Cristo è il legame irrinunciabile tra noi e la Trinità. Queste riflessioni
sono state suggerite alla mia mente e al cuore dalla contemplazione dell’icona della Trinità
di Andrej Rublev.
Le Tre Persone Divine, sedute intorno al tavolo, si guardano in atteggiamento di
dialogo, eterno dialogo. Il Figlio e lo Spirito Santo, con la testa china verso il Padre, Gli
esprimono riverenza. L’ineffabile dialogo che si svolge tra i Tre non li chiude nella loro
beatitudine: c’è un posto vuoto intorno al tavolo ed Essi sembrano in ansia, in attesa della
Sposa dell’Agnello che lo deve occupare.
Non per niente il dialogo tra i Tre si svolge intorno alla mensa eucaristica: il mistero
di Cristo morto e risorto che porta a compimento il progetto dell’inizio: “Facciamo l’uomo a
nostra immagine, secondo la nostra somiglianza”54.
Una piena comunione di vita tra la Sposa e lo Sposo, scandita dall’amore e dalla
conoscenza, che sono una sola cosa, nell’oceano senza limiti della Trinità, nel quale: ” …
più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercare …”55.
Se la contemplazione amorosa della Trinità è il fine ultimo della nostra vita, al quale
siamo continuamente chiamati, non posso porre termine a questa relazione con le mie
povere parole …, prendo in prestito le parole di San Paolo nella lettera agli Efesini:
“Fratelli, io, prigioniero del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della
chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità … un solo corpo e
un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati …; un solo
Signore …, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti
ed è presente in tutti”56.
53
Gv 17, 20-23
Gn 1, 26
55
Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, 1928, II, pp. 576 - 588
56
Ef 4, 1-6
54
13