ANTROPOLOGIA ITALIANA. CAPITOLO I Nel 1901 si festeggia il 30esimo anniversario del Giubileo universitario di paolo Mantegazza, della fondazione della S.I.A.E. e dell’A.A.E. Nel 1869 Paolo Mantegazza riceva la cattedra di antropologia ma questo non significa che l’antropologia nasce con questo studioso bensì la storia degli studi della disciplina rientra all’interno di un quadro molto più complesso e lungo. Mantegazza riteneva l’antropologia un connubio di più discipline “un mosaico preso da tutte le scienze umane, una vera e propria torre di babele.”Si mostra come eroe solitario propugnatore di una scienza laica improntata su canoni positivisti. Ma come abbiamo detto l’antropologia non nasce con lui ma il 1869 da avviò ad un vero e proprio processo di istituzionalizzazione accademica. La fase preMantegazziana vede la presenza di alcuni studiosi importanti. Cattaneo visto come precursore dell’antropologia, si occupava di antropologia etnica. Giambattista Vico le cui riflessioni influirono sul pensiero Mantegazziano. Le teorie speculative di Nicolucci il quale prese le distanze da Mantegazza e attraverso lo studio craniometrico di impronta medico-anatomica procedette alla classificazione delle razze umane. Miraglia e lo studio frenologico per la caratterizzazione dei popoli. Nel 1893 Sergi si distacco dalla S.I.A.E. e fondò la Società Romana di Antropologia. Fu una notizia non accolta bene da Mantegazza ma ben accettata da Mochi. Nelle sue pubblicazioni compare il nome di Canestrini, il primo a scrivere un manuale di antropologia. Canestrini sosteneva la distinzione disciplinare tra antropologia ed etnologia basata su oggetti conoscitivi e metodi di ricerca differenti. Lo stesso Malfatti sosteneva l’appartenenza di una alle scienze naturali e l’altra alle scienze storico-culturali. Alla morte di Mantegazza nel 1910 Mochi attribuì i meriti al suo maestro rimproverandolo per non aver lascato una sintesi generale del suo lavoro. Divenuto direttore della S.I.A.E. insieme a Sergi si occupò di rifondare il sapere antropologico. Ne segui una disgiunzione del filone storico da quello medico -anatomico. Promossero una totale autonomia dell’antropologia somatica dall’etnologia. Lombroso fondatore dell’antropologia criminale fu il primo a distaccarsi dalla scuola Fiorentina, in seguito anche il ramo paleontologico di Pigorini. Nel 1876 fu fondato il “MUSEO NAZIONALE PRESTORICO ED ETNOGRAFICO.” CAPITOLO II La scuola fiorentina di occupò anche di studiare la popolazione italiana. La S.I.A.E. sottopose la popolazione italiana ad un questionario di 16 domande di impronta medico-fisiologica per raccogliere materiale etnografico e mirare ad un quadro generale di differenziazione del territorio. Morselli invece attraverso un’approccio storico –culturale arrivò a generalizzare un quadro di differenze delle religioni. Sovvenzionato e sorretto dall’apparato statale la S.I.A.E. interessata ai fatti folklorici investì la popolazione di inchieste. Inchiesta Jacini: interessata ad aspett economici e produttivi più che storico –culturali. Inchiesta Bertrani: storico-culturale. I dati raccolti saranno poi ripresi da Panizza il quale ricerca dati demologici per spiegare la sua teoria secondo cui le superstizioni e la magia sarebbero causa di problemi di salute. Panizza sostiene inoltre che le donne sono la causa dell’arcaicità della vita di campagna e che se ci si basa sulla magia e le superstizioni il divario tra nord e sud non è poi così ampio. Inchiesta Faina: indirizzata perlopiù alle regioni meridionali. De Gubernatis avviò il processo di istituzionalizzazione degli studi sulle tradizioni popolari definendone i limiti e confini e asserendo alla sua utilità a sostegno dello stato. Ma prima di lui a Palermo, Pitrè aveva fondato la società per lo studio delle tradizioni popolari e glie era stato affidato il corso di demopsicologia italiana. Del Chiaro fondò la rivista sui canti “GIAMBATTISTA BASILE” e Nigra sostenne che i canti popolari sono la manifestazione di caratteri particolari che hanno permesso l’unificazione del paese prima ancora della sua unificazione ufficiale. Distingue i canti narrativi al Nord (canzoni romanzesche ,storiche, domestiche religiose) dai canti lirici presenti al Sud (strombotti e stornelli) secondo canoni di differenziazioni di natura storico-politica e etnica e antropometrica. I canti narrativi hanno natura storicoevocativa quelli del Sud sentimentale e amorosa. CAPITOLO III Il ‘900 fu un periodo florente per il folklore Fu fondato l’istituto nazionale di demopsicologia diretto da Roberto Corso. La rivista di cui si dotò fu Ethnos e nessuno degl’esponenti della S.I.A.E. vi partecipò. Corso intendeva: Distaccarsi dal termine di demopsicologia. Ridefinire l’autonomia della disciplina L’oggetto di studio: il popolino L’apporto tecnico-metodologico: si basava su due fronti quello relativo a territori più delimitati e definiti e quello su aree più estese. I fatti folklorici vengono analizzati in un primo momento con un approccio evoluzionista-positivista, come sopravvivenze di tradizioni passate. Successivamente invece tramite un approccio etnicostoricista come reviviscenze. Un altro fattore determinante fu il periodo storico, quello del fascismo. Il folklore divenne leva ideologica per propagandare la politica coloniale ed imperialista. Cocchiara riprese alcuni aspetti elaborati da Corso e se ne distacco sul piano metodologico. Egli sostenne che è possibile giungere allo storia dello studio della disciplina a livello nazionale solo partendo da quello locale e che lo studio delle tradizioni locali possono essere messe al servizio di un’educazione nazionale. Grazie alla riforma Gentile, il folklore divenne materia di insegnamento. In seguito i Congressi organizzati riguardavano dibattiti sull’oggetto di studio, i metodi e il passato disciplinare. Nel 1° Congresso tenutosi a Firenze e presieduto da Pettazzoni, questo sosteneva che dal passato disciplinare era possibile una rifondazione del folklore e che la sua presenza negl’atenei rappresentava una salto di qualità indiscusso. Pasquali dal suo canto, contro batteva sostenendo la non scientificità del folklore in quanto privo di unicità metodologica e avente come oggetto ristretto di studio il solo POPOLINO. Il connubio tra regime e disciplina ebbe dei risultati propositivi dando al folklore la possibilità di affacciarsi sul panorama universitario e ottenendo la libera docenza. Alla 3° conferenza Vidossi espose la sua teoria in merito all’oggetto di studio non più solo limitato al popolino ma anche alle classi più acculturate. Toschi invece si interessò del passato disciplinare dandone una sua rappresentazione. Si occupò anche di manualistica confutando la teoria della non scientificità del folklore di Pasquali e allontanandosi dal termine di demopsicologia. Nel frattempo Panizza diede alla stampa un suo secondo manuale nel quale prese un chiaro distacco dai precetti fascisti. CAPITOLO IV Corso rappresentò un importante risorsa per il consolidamento del folklore .Decise di utilizzare il termine etnografia come disciplina autonoma. L’etnografia doveva prendere in considerazione tutti i campi disciplinari perseguendo nello studio sul folklore e sui popoli extra-occidentali in particolar modo africani. Corso ricoprì all’orientale di Napoli il corso di etnologia coloniale. Anche la S.I.A.E. si occupò di questi studi con Mochi. Sergio Sergi giunse in africa e mise correlazione l’antropologia fisica con l’archeologia per rintracciare i profili dei tipi puri. Ottolenghi invece sostenne l’utilizzo della fotografia per cogliere l’attimo del momento, e della classificazione. Corso si interessò di rintracciare il passato disciplinare svelandone un passato funzionalista e proclamandosi rifondatore e massimo protagonista. Un altro contributo importante fu dato da Pettazzoni che ricoprì il corso di storia delle religioni. Secondo lo studioso attraverso la natura storica è possibile definire i caratteri delle singole religioni. Negl’anni 30 il connubio tra antropologia e entologia sembrava un male intollerabile… queste due discipline appartenevano a campi differenti: psiche e soma. L’etnologia divenne a tutti gli effetti una disciplina specifica che pur rifacendosi al campo medicoanatomico non escludeva altri campi come quello dell’antropogeografia di cui Biasutti divenne il massimo esponente. CAPITOLO V La storia degli studi demoetnoantropologici non puo’ essere compresa se non si fa riferimento ad un quadro storico preciso, quello del Fascismo. Chi non avesse aderito ai precetti fascisti sarebbe stato escluso da qualsiasi tipo di attività. Nel 1938 fu pubblicato “il manifesto della razza” che propugnava l’idea della superiorità della razza ariana nella quale il popolo italiano doveva identificarsi. Questo ovviamente andava contro le teorie elaborate fino ad allora di una presunto origine meridionale. Il manifesto fu commissionato dal Duce e sottoscritto dai più importanti studiosi del tempo tra i quali comparì il nome di Guido Landra. Ciò rappresentò un chiaro passaggio dalla teoricità del manifesto alla sua applicabilità. Landra sosteneva che per rintracciare le tipologie di razza fosse necessario fare riferimento ad elementi e caratteristiche medicoanatomiche più che linguistiche e culturali in quanto perduravano nel tempo. Si occupò inoltre di rintracciare il passato disciplinare con lo scopo di affermare la veridicità e la legittimità della teoria viste non come momentanee. Cocchiara in un primo momento aderì ai precetti fascisti ma in un secondo momento effettuò pubblicazioni contro. Secondo Cocchiara non dovevano essere presi in considerazione solo le classi più civilizzate ma bisognava porre attenzione anche a quelle più selvagge. Corso rispetto alla rilettura biologica delle razze né sostituì una che vedeva l’insieme di tratti materiali legati a tratti spirituali, connubio tra psiche e soma. Blanc combatteva contro le teorie di una presunta origine africana del popolo italico sostenendo la perdita della purezza della razza. Infine Biasutti soffermandosi su tratti psichici suddivise le razze in inferiori, intermedie e superiori. Affermò che la l’antropologia sociale mirava allo studio non tanto di tratti psichici legati a quelli somatici quanto ad elementi comuni caratterizzanti una psicologia nazionale. Biasutti passò poi alla classificazione delle razze umane. CAPITOLO VI Ernesto de Martino è considerato uno degl’antropologi e etnologi più innovati ed importanti d’italia. Alla base delle sue riflessioni vi è la necessità di rifondare il passato disciplinare in due modi diversi : decostruendo il passato disciplinare e ricostruendo ex novo. Il primo passo consisteva nell’allontanarsi da istanze irrazionaliste e naturaliste che hanno caratterizzato gli studi passati sostituendole con istante storiciste ed etnocentrismo critico. Allontanarsi da istanze naturaliste comportava un ridimensionamento nei suoi aspetti ed ambiti. Ernesto de Martino decise così di lanciare la sfida all’etnologia naturalista nel campo a lei congeniale, quello magico-religioso. “Il mondo magico” cercava di rintracciare il potere magicoreligioso insediatosi nel mondo culturale per giungere al paradosso di una natura culturalmente condizionata che rimanda al dramma storico del mondo magico. Alla base di questa sua riflessione cercò di ritrovare che caratterizzavano il dramma storico: la perdita della presenza e il relativo riscatto. Orizzonti culturali stabilizzati e rituali condivisi sono posti in essere per affermare l’esserci. La fondamentale funzione è quella di garantire la presenza di un mondo che ci è dato per scontato. Ben presto De Martino partecipò ad un dibattito tenutosi a Bari nel quale si affrontava il problema dei contadini meridionali. A differenza del meridionalismo classico i contadini sembravano essere consapevoli della loro estraneità alle attività in un contesto politico,sociale,culturale ed economico in grande trasformazione. Nacque così il bisogno di ribellione , di riscatto. Questo rappresentò uno spunto per le riflessioni di de martino il quale reinterpretò in una nuova chiave il dramma storico come denuncia politica. Ernesto de Martino seguì la linea di studi di GRAMSCI-DE SANCTIS-CROCE. Gramsci sosteneva che per attuare una vera e proprio rifondazione del sapere demologico fosse necessario allontanarsi da istante metodologiche pregresse che avevano distorto il senso e il significato della disciplina. Che il folklore doveva rappresentare un nuovo modo per approcciarsi alla vita e interpretare il mondo. Fu proprio per la linea di studi seguita che Toschi accusò De Martino. Egli inoltre rifiutò l’idea di vedere Pitrè come capostipite della demologia italiana. Non ebbe un buon rapporto con l’ambiente accademico e universitario,ricoprì la cattedra di etnologia solo nel 1951. Secondo de Martino il folklore era una forma culturale di vita primitiva presente nelle classi più arretrate delle moderne nazioni europeizzate. CAPITOLO VII Il rilancio degli studi demologici si ebbero nell’immediato dopoguerra con una serie di congressi scientifici. Furono organizzati il 5 e 6 congresso nazionale per lo studio delle tradizioni popolari. Questi rappresentarono un vero e proprio segnale di svolta della disciplina demologica. Il dibattito di basava sullo studio del passato disciplinare al quale parteciparono anche toschi e cocchiara. Quest’ultimo suddivide il quadro in quattro fasi: Precursori (vico, precursore del folklore e dell’etnologia) Romanticismo-risorgimento (Tommaseo) Positivismo-filologico (Nigra) Comparativismo etnologico fino ai nuovi orizzonti internazionali ben rappresentati in italia con notevoli interessi per la letteratura popolare e la cultura materiale. Anche Toschi suddivise la storia in 4 fasi: Precursori Romanticismo Positivismo critico ( intervento di storici e letterati esterni) Alberto Cirese invece proprio tra gli anni 50-60 elaborò la teoria dei dislivelli culturali. Questa consisteva nell’insieme di concetti, comportamenti, valori , atteggiamenti di una data classe sociale in un periodo storico preciso diversa dalla classe dominante. La cosa interessante è che Cirese non li mostrò come blocchi monolitici ma come placche scorrevoli di idee e teorie che si intrecciavano tra loro. Da un punto di vista metodologico Cirelli sostene la totale presenza dello studioso nei fatti per raggiungere i risultati sperali (l’essere dei loro) , un coinvolgimento ideologico. Molte delle ricostruzioni sembrano essere tasselli di un mosaico più ampio della storia degli studi. Questo mostra come la rifondazione del sapere dipendesse dal suo passato e dall’apporto di studiosi e maestri, presunti o reali. CAPITOLO VIII L’istituto di civiltà primitiva dell’università di Roma ottenne il suo decollo nel dopoguerra. Fu una chiara posizione e manifestazione della volontà di rendere autonoma l’etnologia. Prima ancora gli studi antropologici furono svolti da Pitrè a Palermo. Il processo di istituzionalizzazione accademica diede lo spunto di riflettere su alcune dinamiche riguardanti lo studio e gli studiosi del tempo. Si affermo l’emancipazione dell’etnografia dalle discipline medico-naturaliste. La collaborazione con le istituzioni ecclesiastiche ,la ricerca di campo effettuata salvo casi in Africa. La presenza di tematiche ricorrenti come la religione, la cultura materiale e artistica e una certa sensibilità per i mutamenti culturali. Anche da un punto di vista metodologico si andò bene ad inserire il processo di istituzionalizzazione. Grottanelli difatti cercò di rendere l’etnografia una disciplina sempre più unitaria attraverso la sistematizzazione manualistica. Secondo lo studioso solo la collaborazione tra divenire ed essere avrebbe condotto ad un etnologia completa. L’elemento essenziale di ogni mutamento sociale stava nel considerare la tradizione come il passaggio della cultura di generazione in generazione. Questo comportava il fatto che la cultura venisse concepita come strumento che riceve,analizza e conserva e trasmette a seconda della presenza o meno di gruppi innovatori,elementi provenienti dall’esterno. Della storia degli studi etnoantropologici si occupò anche Lanternari il quale si soffermò sull’aspetto teorico-metodologico e sull’analisi monografica per rintracciare gli aspetti positivi e negativi. Egli sostenne che il ritardo dell’etnologia in italia fu dovuto all’assenza di colonie e che la demologia era stata caratterizzata e vista in maniera troppo negativa. Il folklore non era riuscito a distaccarsi da istanze letterarie e populiste inoltre avevano contribuito il fascismo e il crocianesimo a creare un universo completamente chiuso. Se per Lanternari le origini della disciplina e il fondatore fosse Pettazzoni per Bernardi invece le origini si collocavano nella II metà dell’800 con Mantegazza e i fratelli Sergi. CAPITOLO IX ANTROPOLOGIA CULTURALE. Nel 1958 fu organizzato il congresso nazionale delle scienze sociali per ridefinire quei campi disciplinari che si sarebbero poi interessati degli studi sull’uomo e la società. Fu grazie alla psicologia sociale e alla sociologia che l’antropologia potè rientrare in quella categoria di discipline definite di “base.”Ma il cammino non fu poco travagliato … i primi ad ostacolare il consolidamento di questa disciplina furono gli studiosi che in passato si occuparono di etnologia ed antropologia. Il MEMORANDUM è il documento che viene preso come atto fondante . A limitare l’affermarsi di questa disciplina furono gli studi di matrice etnologica vista come studio delle civiltà e il prevalente carattere naturalistico. L’antropologia sociale doveva occuparsi della società nel suo complesso a prescindere dalla sua contemporaneità agli studiosi, sul piano culturale. Secondo gli autori del MEMORANDUM l’antropologia non doveva perseguire solo obiettivi conoscitivi ma attraverso la cultura insita in qualsiasi individuo parte e membro di una società determinatasi storicamente,rappresentava una soluzione, un approccio alla realtà. L’istituto di etnologia e antropologia di Perugia fu il primo istituto universitario di ricerca in italia. Cantoni cercò di avvicinarsi sempre di più all’antropologia cercando di definirne oggetti conoscitivi e metodi. Egli sostenne che più che concentrarsi sulla sfera soggettiva l’antropologia dovrebbe evitare di trasformare i presupposti inevitabili i pregiudizi evitabili. Carlo Tullio Altan invece sosteneva che l’antropologia non poteva rappresentare un modello come quello delle scienze naturali in cui era possibile distinguere oggetto conosciuto e soggetto conoscente. Questo dibattito continuò per il resto degl’anni 70. Per quanto riguarda il processo di istituzionalizzazione accademica la cattedra fu affidata a Tentori il quale distinse l’antropologia e l’etnologia per oggetto conoscitivo , la prima la cultura e la seconda lo studio della civiltà , e studiò il rapporto con le altre discipline. CAPITOLO X Nel 1975 il profilo istituzionale degl’insegnamenti antropologici mutò completamente. Il lungo percorso e la volontà di tracciare costantemente i confini delle date discipline finì per terminare con l’aggruppamento di quest’ultime, il “GRUPPO 48”. Il concorso del 1975 diede una svolta di grande impatto. Bernardiera sostenne che a lungo andare le discipline antropologiche perseguendo gli stessi obiettivo conoscitivi avrebbero finito per non distinguere più il campo della cultura e della società. Il traguardo finale di questo lungo processo sarebbe stato quello di giungere alle discipline etnoantropologiche. Bernardiera divide la storia in 4 fasi: Evoluzionista-positivista: MANTEGAZZA,SERGI E PITRE’. Individuale-umanistica:CONTI,CERULLI,BIASUTTI. Etnologica : CORSO,COCCHIARA. (Ernesto de martino visto come maestro dell’etnologia e fondatore delle discipline etnoantropologiche, Grotanelli vivace etnologo, Tentori attuò il primo approccio alle società complesse.) Anni 60 in cui si affermano definitivamente le discipline ETNOANTROPOLOGICHE.